A Christmas Carol

di berettha
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Neville - calza di Natale ***
Capitolo 2: *** Harry e Remus - Campanelle ***
Capitolo 3: *** Luna - Yule ***
Capitolo 4: *** Percy - Christmas cracker ***
Capitolo 5: *** Hagrid - Shepherd's pie ***
Capitolo 6: *** Ginny - Soldatino di Stagno ***
Capitolo 7: *** Narcissa - Stella cometa ***
Capitolo 8: *** Aurelius - Spirito del Natale futuro ***



Capitolo 1
*** Neville - calza di Natale ***


                                                                                                                      Neville - Calza di Natale 

Il San Mungo per Natale quell’anno era decorato con centinaia di piccoli Babbo Natale che guidavano la loro slitta per i reparti. Nella loro, altrettanto piccola slitta, sacchettini contenenti cioccolatini, caramelle mou, Cioccorane...
 
Neville li osservava col naso all’insù, aspettando solo che uno gli si fermasse davanti per poter prendere qualche leccornia e riempirsi le tasche di dolcetti. Gli occhi brillavano riflettendo le palline di luce che vagavano per il corridoio, e nelle mani teneva stretto un bigliettino di Natale, di quelli che suonavano se aperti. 
Per mamma e papà, da Neville e nonna. Tanti auguri! Recitava. Sul dorso, una foto stregata di Neville con i suoi genitori, scattata qualche mese prima: vestito di tutto punto, si trovava tra di loro, sdraiati sui letti d’ospedale; si era allenato per giorni con l’incantesimo, ma alla fine era riuscito a far figurare nella foto un albero di Natale per coprire lo sfondo ospedaliero e sulle loro testi dei cappellini di Babbo Natale, rosso fuoco. 
“Pulisciti il naso Neville, ti sta colando il moccio.” Sua nonna lo prese per un braccio, avvicinandolo a lei. Dalla tasca tirò fuori un ruvido fazzoletto di cotone, che usò per pulire il nipote.  
Un po’ trovava fastidiosa l’apprensione della nonna, un po’ lo faceva sentire coccolato, quindi era raro opponesse resistenza a questo tipo di invasioni dello spazio, anche se ormai sapeva di esser un po’ troppo grande per lasciarsi soffiare il naso da qualcun altro. La nonna dovette mettersi sulle punte per arrivare al suo viso, ancorandosi con la mano alla sua spalla per non perdere l’equilibrio. 
L’infermiera uscì dalla stanza, tenendola aperta dietro di sé. “Potete entrare, adesso, la visita quotidiana è finita. Sono in grande salute, come sempre! Oh, e buon Natale signora Augusta, buon Natale, Neville.”  
“Grazie Rosalyn.” risposte la nonna, prendendo il nipote sotto braccio e avviandosi verso la porta.  
Lo staff del San Mungo aveva fatto un bellissimo lavoro anche all’interno delle camere dei degenti, a giudicare dai piccoli alberi di Natale ricoperti di neve magica accanto ad ogni letto, gli angeli di carta con le ali piene di brillantini d’orati appesi al soffitto e il vago odore di biscotti al burro.  
Tutto sommato, era molto confortevole. 
Alice e Frank occupavano due letti vicini, a separarli solo un piccolo comodino decorato con una tovaglia a scacchia rosa. Qualcuno era passato i giorni prima a trovarli, perché figurava su essa ancora un regalo incartato.  
“Auguri, carissimi. Come vi sentite oggi? Lo sapete che è Natale, vero?” la nonna lasciò andare Neville, per avvicinarsi al figlio e alla nuora. Baciò loro le guance, accarezzò i loro capelli.  
Loro restituirono le delicatezze con un sorriso confuso, non parlavano mai molto. 
Neville si sedette ai piedi del letto della madre.  
“Vi ho portato un regalo, vi piace?” Mostrò loro il biglietto. Frank si alzò dal letto e si mise seduto anche lui, avvicinandosi per poter guardare meglio. 
Dondolava i piedi nudi, poggiando i gomiti sulle ginocchia e tenendosi la testa con le mani come un bambino. Neville provò un moto di tenerezza. “Se lo aprite suona, e poi guardate: questi siamo noi. Mamma” e indicò il volto di Alice con l’indice, “papà...” il dito scivolò alla sua destra, sul volto del padre “e questo sono io. La nonna non c’è, perché è lei che ha scattato la foto. È stato un incantesimo difficile, ma sto migliorando.”  
Alice prese in mano il biglietto, senza rispondere. Lo posò sul tavolinetto annuendo, il volto però rimaneva indecifrabile.  
"Sono felice che ti piaccia, mamma”.  
Frank tornò a letto, coprendosi fino al mento con la spessa coperta di lana. 
“Non avete aperto questo regalo, ancora? Volete una mano? Lo faccio io per voi.” Chiese, allungano la mano verso il pacchettino.  
Frank annuì energicamente da sotto le coperte.  
“Posso nonna?”  
“Se per Frank va bene, non vedo perché dovresti lasciarlo così.”  
Neville prese in mano il regalo, notando che era stato impacchettato da mani inesperte. La carta era un po’ stropicciata, e il fiocco sbilenco.  
Ma quello che lo colpì fu il bigliettino poggiato sopra, scritto in uno stampatello grande ed infantile: NEVILE. 
“Nonna, c’è il mio nome, guarda.”  
“Ah sì?” Fu il turno di Augusta, che maneggiò con cura il pacchettino per non rischiare di rovinare la carta. “Forse è per te. Frank, Alice, è per Neville? Lo avete fatto voi?”  
Frank annuì nuovamente, questa volta con meno entusiasmo.  
“Sarà uno di quei nuovi progetti che fanno con quel curatore nato babbano, queste medicine alternative da babbani... lo chiamano pissichiatra mi pare...” Mormorò, ripassandolo al nipote, gli occhi sgranati per lo stupore. 
A Neville invece, gli occhi, pizzicavano già di lacrime, mentre lo apriva con tutta la cura che disponeva sulle sue ginocchia.  
Dentro, un singolo calzino rosso, decorato con delle piccole candele ricamate, contenente delle caramelle alla frutta.  
“Mamma... papà... Lo avete fatto voi?” 
Frank si era assopito. Fu il turno di Alice, di annuire. 
“Grazie... è bellissimo.”  
“Vogliamo bene a Neville.” mormorò la madre. 
“Anche io ve ne voglio.”  

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Capitolo 2
*** Harry e Remus - Campanelle ***


                                                                                                             Harry e Remus - Campanelle 

  ​La notte della Vigilia di Natale Dudley Dursley dormiva pacifico in un nuovissimo lettino per neonati di ultima generazione. 
Aveva già osservato, con occhietti curiosi, una ventina di persone affacciarsi dalle sbarre e sorridergli dall’alto, allungando le mani per accarezzargli la zazzerina di capelli biondi o una delle grasse guance sporche di latte. Qualche volta, gli mettevano vicino un giocattolo nuovo che ciucciava per qualche minuto prima di riappisolarsi, dimenticandolo per sempre. 
Accanto a lui, in una piccola e vecchia culla che aveva scovato Petunia in soffitta, dormiva un altro bambino.  
Era quasi nascosto dall’albero di Natale, in un angolo della stanza. Più magro, e meno bello del cuginetto, i capelli neri pettinati accuratamente all’ingiù per coprire la cicatrice sulla fronte: per lui, meno carezze, meno sorrisi e meno giochi.  
Remus Lupin invece, indossando il suo completo migliore, rammendato anch’esso e palesemente di seconda mano, aveva appena citofonato a casa Dursley. 
Aprì Petunia, sussultando alla vista di questo giovane ragazzo con la barba incolta per nascondere alla bellenmeglio le cicatrici che aveva sul volto. 
“Mi scusi... Cosa possa fare per lei?”  
“Buonasera, mi scusi per l’orario ma sono qui per Harry. Ho portato lui...”  
“Harry?!”  
Vernon, che aveva origliato la conversazione, salutò frettolosamente il collega con cui stava parlando, ansimando verso la porta, già rosso in viso. Una singola goccia di sudore gli precipitò dal naso dentro il colletto della camicia inamidata.  
“Harry? Perché vuole vedere Harry?! È uno di loro, non è così?!” Parlava tanto a bassa voce che Remus dovette chinarsi alla sua altezza per riuscire a capire qualcosa.  
“Ero un loro amico... di Lily e James, intendo...”  
“Se ne vada immediatamente! Non abbiamo tempo da perdere, con le vostre stramberie! E poi la NOTTE della VIGILIA?!”  
Petunia, era rimasta in silenzio, schiacciata tra lo stipite della porta e il marito che continuava ad inveire e a sputacchiare contro Lupin.  
Alla fine, flebile ma decisa, esclamò: “Entri pure. Non abbiamo più niente, però, la cena si è conclusa un’ora fa.”  
Il colorito di Vernon dal rosso pomodoro passò a una delicata sfumatura violacea, costretto a spostarsi dall’entrata.  
Guardava il ragazzo entrare in casa sua, pulendosi la neve dagli stivali sullo zerbino e allentandosi la sciarpa che portava al collo, pensando che di lì a poco gli sarebbe venuto un attacco cardiaco. 
Senza degnare di uno sguardo ciò che era rimasto del buffett -” Strano” borbottò il signor Dursley alla consorte “Sembra che lo abbiano affamato da quanto è magro, avrei detto che ci avrebbe costretto a svuotare il frigo per farlo contento.”-  andò direttamente alla piccola culla sull’angolo.  
Harry dormiva pacificamente, i pugnetti chiusi vicino al viso e la bocca semi aperta. 
Remus si rovistò nelle tasche, e ne tirò fuori un piccolo sonaglino a forma di leone, che andò a posarglielo vicino. Non era riuscito ad incartarlo, ma dubitava che Harry sarebbe riuscito a scartarlo. 
Subito, il piccolo Potter, in quel dormiveglia profondo ma estremamente vigile ad ogni movimento di cui sono capaci solo i neonati, lo afferrò e se lo portò al petto. 
“Buon Natale, Harry.”  
Uscì subito dopo, Remus Lupin, non prima di essersi chinato sulla culla per baciare la testa di Harry, salutando educatamente gli ospiti e i padroni di casa.  
Non passarono nemmeno trenta secondi dalla chiusura della porta, che la signora Quinn si avvicinò curiosa a Petunia, “Chi era quel giovanotto tanto carino?”  
“Un vecchio compagno di scuola di mia sorella.”  
 

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Capitolo 3
*** Luna - Yule ***


                                                                                                                     Luna - Yule 

  I Weasley festeggiavano il Natale, assieme ad Harry naturalmente.  
Aveva sentito di un Tassorosso che invece festeggiava Hanukkah, ogni sera correva via dalla Sala Grande per accendere un lume nel suo Dormitorio.  
Lei e suo padre, invece, festeggiavano Yule.  
Ed era divertente, per Luna, svegliarsi presto la mattina con suo padre, andare nel bosco con i piedi congelati nonostante il doppio paio di calzini per cercare decorazioni per il loro altare: agrifoglio, rami secchi di biancospino, vischio, piccole bacche acerbe sopravvissute al freddo ma anche ghiande bucate abbandonate da qualche scoiattolo, sassi da colori sgargianti, Gorgosprizzi che si impigliavano loro nei capelli seguendoli fino a casa. 
A casa invece, intrecciavano ghirlande che poi avrebbero indossato la notte, aspettando la luna.  
Erano però i balli, ciò che aspettava con più ansia.  
Aspettando che comparissero le prime stelle in cielo, lei e Xenophilius danzavano, le mani al cielo, battendo i piedi nudi a terra: il freddo a quel punto, non lo sentiva più.  
“Questo si chiama radicarsi” le spiegava il padre. I piedi, bene piantati a terra come delle radici, le mani invece che toccavano le nuvole e tutto quello che si trovava assieme ad esse: Luna si sentiva proprio un albero.  
Si immaginava un grosso abete ricoperto di neve, che ondeggiava assieme ai rumori della foresta. Come abete respirava aria fredda, ma al contempo era lei che donava l’aria alle creature attorno. 
Urlavano e gioivano e poi cantavano e ridevano, davanti all’altare, e poi meditavano e offrivano i loro doni al vecchio Re Agrifoglio chiedendo poi a Re Quercia di essere buono, clemente, di offrir loro la luce e di scacciare le tenebre. 
Osservavano la candela sull’altare, bruciare lentamente.  
“Mamma ci avrà sentiti cantare quest’anno?”  
“Assolutamente. E ha pure cantato con noi, l’ho percepito nelle stelle.”  

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Capitolo 4
*** Percy - Christmas cracker ***


Percy – Christmas cracker  

 

Percy aveva appena tirato giù la maniglia della porta, quando il caldo del camino e l’odore di pasticcio di noci lo investirono in pieno petto, sciogliendo velocemente tutto il freddo che gli si era annidato nelle ossa durante il viaggio.  
Stelline, animali vari quali tigri, salmoni, gatti –e pure gnomi- di carta era appesi ovunque nella sala, e il pavimento era già ricoperto di coriandoli, segno che svariati christmas cracker erano già stati scoppiati.  
Molly corse ad abbracciarlo, affondando il volto nel suo maglione. Era una sua impressione o era più bassa dall’ultima volta che l’aveva vista? Aveva anche qualche capello grigio in più, e qualche ruga nuova a segnarle il volto. Ma l’affetto era rimasto immutato.  
Aveva appena finito l’ennesimo tirocinio a Cardiff, dopo la Guerra aveva deciso di lasciare totalmente l’ambiente del Ministero per dedicarsi all’insegnamento nelle scuole babbane, un mondo talmente lontano da quello in cui era cresciuto che a quasi 30 anni si era ritrovato a dover imparare tutto da capo. Non che gli dispiacesse, aveva scoperto che le materie di studio babbane potevano essere interessanti tanto quanto quelle magiche, se non di più: avevano una vastissima cultura letteraria, teatrale, musicale. Miliardi di storie, poesie, ma anche la più semplice filastrocca per bambini sapeva prenderlo per la gola, lasciarlo senza fiato.  
Una volta aveva deriso il padre, per la sua passione per i babbani, ma adesso lo capiva.  
E lo guardava con affetto, sedere davanti al camino con i nipotini in braccio: Fred Jr, i capelli neri e crespi come quelli della madre e la pelle color caramello, su una gamba, sull’altra la piccola Victoire, bella come la madre, Fleur. Indossavano tutti e tre delle coroncine di carta, e nonostante non riuscisse a sentire cosa stesse dicendo il loro nonno, era sicuro dovesse essere la cosa più divertente del mondo a giudicare dalle risate.  
Accanto all’albero, George e Charlie parlavano del negozio di scherzi, e seduti su un divanetto poco lontano Hermione e Ron discutevano animatamente, tra le mani di lei un libro sulla Legge Magica. 
In cucina, Fleur e Angelina decoravano dei muffin, provenire dal giardino sul retro sentiva chiaramente le urla di divertimento di Harry e Ginny, mentre giocavano a Quidditch col piccolo Teddy. Più piano, sentiva anche quello di Andromeda Tonks, che preoccupata ordinava al nipote di scendere subito da quel trabiccolo infernale. 
“Sono così felice che tu sia riuscito a venir per Natale, Percy! Ma ti danno da mangiare in quella scuola babbana? Guarda come sei sciupato, guarda quanto larga ti cade questa giacca! Toglitela, mettila lì sul cesto da cucito che appena posso te la sistemo.”  
“Ovvio che mangio mamma...”  
“Ma lo so, lo so! È che mi preoccupo, sei così lontano!” 
Il profumo del cibo, della legna che ardeva nel camino e dell’amido che la madre usava per lavare le federe del divano lo portarono subito in un’altra dimensione, una di cui era più piccolo, stupido, i gemelli erano ancora due e puzzavano eternamente di polvere da sparo e uova di Doxy, e Percy continuava a sentirsi il figlio di mezzo. 
Charles e Bill avevano l’uno la compagnia dell’altro, i gemelli erano sempre stati attaccati, uno l’ombra dell’altro e viceversa, e quando era nato Ron lo aveva seguito a ruota Ginny, diventando i piccoli della casa. 
E mentre la madre sembrava apprezzare più Ginevra, la sua unica figlia femmina, col padre non era mai riuscito a creare un profondo legame, perso tra il lavoro, gli oggetti babbani e quelle stramberie nel suo garage.  
O forse, Percy, non ci aveva mai provato, a creare un legame. Tanto esuberante, spesso giudicato anche arrogante dai più, si era però sempre tenuto ai margini della sua stessa famiglia.  
Una sola domanda, fin da bambino: ma io davvero piaccio a loro? 
Certo, si sentiva amato. Ma era loro simpatico? Soffocato da tutto quell’affetto, c’era davvero il piacere della sua compagnia?  
Aveva quindi dedicato la sua intera giovinezza al risplendere più degli altri, per sopperire a questa solitudine: prima accademicamente, poi sul lavoro. Si era forzato così tanto, di far brillare la sua luce sopra a quella degli altri, più forte, ma più fredda.  Che sciocco, pensò. 
È quando chiamò a rapporti tutti i suoi nipotini, aprendo la grande valigia piena di regali che si portava al seguito, che sentì l’ennesima conferma che, assieme agli altri, la propria luce era più forte. Fred jr si tolse la coroncina di carta, per posarla sulla testa di Percy, prima di prendere il suo regalo. 
E pensare, che gli c’era voluto così tanto per capirlo... 

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Capitolo 5
*** Hagrid - Shepherd's pie ***


Hagrid – Shepherd’s pie  

Sul piccolo tavolo della cucina, stava aperto un vecchissimo libro di ricette tutto macchiato, le pagine tenute insieme da un singolo pezzo di spago per legare l’arrosto e la copertina bruciacchiata sugli angoli.  
Con le sue grandi mani da gigante, Hagrid, orgogliosamente tutto da solo aveva già preparato: pasticcio di carne –doveva essere un polpettone, ma la forma non aveva tenuto per niente-, vellutata di zucca, pane alle patate, salsa di mele e cipolle. 
Soddisfatto, si sedette ad aspettare che il minestrone, posto sul fuoco, finesse di cuocere. Aveva scelto per esso con cura le verdure migliori dal suo orto. 
Da quando suo padre se ne era andato, raramente aveva festeggiato il Natale: lo faceva sentire troppo solo. 
Si sentiva troppo vecchio per commiserarsi ogni volta che provava a metter su un abete per decorarlo, quindi col tempo aveva lasciato perdere la tradizione.  
Quell’anno però diverso: avrebbe avuto ospiti. E per loro aveva pulito il pavimento, riordinato il salotto, scelto le posate migliori dal cassetto, messo a prendere aria la tovaglia elegante a quadrettoni per toglierne l’odore di chiuso e vecchio e cucinato con dedizione un pranzo coi fiocchi.  
Addirittura, aveva decorato la baita con agrifogli che scendevano giù dalle travi sul soffitto, candele rosse e lanterne ad olio per illuminare l’abitazione e alle finestre veniva giù ghirlande di frutta secca. Dopo poco, eccoli bussare alla porta: la professoressa McGrannitt, con indosso un severo vestito verde muschio e un dolce ben impacchettato tra le mani, accompagnata dal preside Albus Silente, anch’esso vestito a festa, la barba infilata nella cintura decorata con minuscole palline di Natale. 
Hagrid sentì il cuore perdere un battito per la gioia.  
Tornare a festeggiare la sua festività preferita, fu il più bel regalo che ricevette quell’anno. 

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Capitolo 6
*** Ginny - Soldatino di Stagno ***


Ginny – Soldatino di stagno 

Ginevra non voleva bambole di pezza. 
Non voleva neanche calzini, sciarpe, fiocchi per capelli o nuove scarpe di vernice.  
Ginevra non era come le altre bambine. A Ginny piaceva giocare alla guerra con i suoi fratelli, rubare le scope dal casotto in giardino, buttarsi nei cespugli per catturare gli gnomi e urlare a squarcia gola per spaventare la creatura che viveva in soffitta.  
Le piaceva anche indossare i vestiti di Ron, lasciargli ragni e vermi sul cuscino, montare sulle spalle di Bill per mettere il puntale all’albero.  
E Ginny, per Natale, voleva il soldatino di stagno che aveva visto in quel negozio babbano giù a Ottery St. Catchpole.  
“Ginny, e cosa dovresti fartene di quel coso? Un bel vestito, anzi? Un bel vestito con un fiocco, che ne dici?” le diceva Molly, tirandola via dalla vetrina su cui aveva spiaccicato il naso. 
Mamma non capiva mai, come si sentiva.  
Per fortuna, papà sì.  
E che sorpresa a Natale, dopo il pranzo, quando Arthur la prese per una mano portandola in un angolo del salotto. 
“Non sai che fatica, la valuta babbana... proprio non riesco a capirla, continuavano a parlarmi di un certo resto, qualunque cosa fosse! Non mi lasciavano andar via!” 
Le offrì un minuscolo pacchettino, incartato alla perfezione. Un leggero rossore colorò le guance della bambina, che già sapeva cosa si trovava al suo interno. “Oh papà!” esclamò, buttandogli le braccia al collo.  
Il piccolo soldatino di stagno stava ora lì tra le sue mani, a fissarla con occhi vacui. Pensò che era ancora più bello che quando lo guardava da dietro alla vetrina, circondato da pacchi regalo e casette di marzapane. E quanto orgoglio sembrava avere, dietro alla giacchina rosso fuoco, ai bottoni dorati, alla piccola spada che portava al fianco! 
“Charlie, posso chiederti una cosa?” chiese Ginny al fratello.  
“Dimmi tutto, pulce.”  
È così che Ginny espresse il suo secondo desiderio, per Natale.  
Nascosti dagli occhi indiscreti di Molly, che mai avrebbe approvato quell’eccesso di magia, Charlie lo incantò con un solo colpo di bacchetta ben assestato.  
Avrebbe passato ore ad osservarlo danzare assieme alla ballerina del suo carillon...  
 

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Capitolo 7
*** Narcissa - Stella cometa ***


                                     Narcissa – Stella Cometa 

Diversamente da quanto si potesse pensare, il Natale a casa Malfoy era divertente. 
Narcissa aveva visto il marito ubriacarsi, lasciandosi andare a discorsi poco consoni: e i babbani, e il Ministero, e gli Indicibili che vanno questo, questo e questo. Quello che diceva sempre, ma senza parolone ampollose e benaltrismo.  
Ridacchiava, guardando i capelli biondi di Lucius, che teneva sempre pettinati alla perfezione, lanciarsi da tutte le parti come se avesse preso la scossa e le sue labbra macchiate di vino. 
Ridacchiava e si teneva la pancia, dove anche il bambino sembrava divertirsi un sacco, a giudicare da quanto aveva scalciato e saltato e rotolato. Sentiva ogni movimento, specialmente se posava la mano dove pensava si trovasse il bambino: sembrava che lui la percepisse e subito a spingerci contro un piedino, o una manina –o la testa, se si trovava in posizione-. 
Ancora non era riuscita a pensare a un nome, ma di una cosa era sicura: voleva mantenere la tradizione della sua famiglia di trovare il nome tra le stelle.  
Lucius era stato molto attento, a questo suo desiderio: per Natale le aveva regalato un meraviglioso Atlante della volta celeste. 
Dopo la cena si era messa a sfogliarlo, sdraiata su un fianco in uno dei divani del salotto. Sopra di lei, il soffitto incantato riluceva di polvere di stelle, facendo risplendere le incisioni argentee del libro: uno degli elfi domestici era riuscito a replicare una cometa che zigzagava tra i lampadari e la punta dell’albero di Natale.  
Quassù scivola il Serpente con le sue pieghe sinuose e come un fiume passa intorno ed in mezzo alle due Orse... 
Lucius le si sedette vicino, poggiando la mano sul pancione. La sua veste accuratamente ricamata con serpi e serpenti aveva una piccola macchia di Bicerin vicino al colletto. 
Serpenti, come la costellazione.  
Draco, in latino.  

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Capitolo 8
*** Aurelius - Spirito del Natale futuro ***


Questo è l’ultimo capitolo della mia raccolta, grazie se siete arrivati fino a qua a leggere. <3 
Mi ha tenuto tantissima compagnia e mi ha aiutato ad esprimere al 100% lo spirito natalizio che prende possesso del mio corpo dal primo dicembre al ventisei, scriverla mi ha fatto stare bene come poche cose, ne sono davvero orgogliosa. <3 xD 
Quest’ultimo capitolo è un po’ diverso dal solito, il personaggio non fa proprio parte del mondo di Harry Potter ma è pur sempre di Wizarding World quindi ho pensato di concedere anche a lui un piccolo spazio. 
È anche un pochetto più triste delle altre, come mai? Perché la fine del Natale mi rende triste. Stahp. Mi sembrava quindi giusto metterci anche un po’ di malinconia. 
Spero vi abbia fatto passare dei momenti carini, vi ringrazio ancora per aver speso qualche istante a leggere o per avermi lasciato un messaggino, ha significato davvero molto per me. <3  
 
  Aurelius – Spirito del Natale futuro 

A Godric’s Hollow c’era una piccola casa che per Natale non decorava mai. 
Intorno a mille luci, alberi decorati posti fuori dalle case, porte agghindate con calze e rametti di vischio e ghirlande appese ai lampioni delle case, c’era un puntino scuro che cercava di rimanere inosservato.  
I bambini le evitavano, perché si diceva ci vivesse un uomo grande e grosso che faceva magie oscure contro di loro, dicevano loro i genitori: se non fate i bravi, vi colpisce con la bacchetta e vi trasformate in capre! 
Anche gli adulti, d’altrocanto, se ne tenevano ben lontani. Qualcosa diceva loro che era meglio non fermarsi, a quella porta: né per chiedere le due uova che mancavano alla ricetta, anche se nel vicinato erano soliti aiutarsi, né per chiedere se avessero voglia di donare qualche spicciolo per la mensa dei poveri. 
Pure il prete della zona aveva paura ad avvicinarcisi troppo: ricorda, che quando era bambino, qualcosa di oscuro successe lì. Non si ricordava esattamente cosa, ma per sicurezza un segno della croce e un po’ di acqua santa fatta cadere accidentalmente sull’uscio non era mai una precauzione esagerata.  
Quella casa, insomma, metteva proprio i brividi, nonostante l’odore di pane cotto al forno e quello di formaggio fresco che ne proveniva, e che nei giorni buoni, quando il vento soffiava nella giusta direzione tra i piccoli cottage del quartiere, profumava tutte le strade, facendo venire l’acquolina in bocca ad adulti e bambini.  
Quel Natale, non fu diverso: non una decorazione spuntò su essa come per magia, non un lumino sulla finestra, non un rametto di abete fu adornato. Nessuno dei suoi abitanti si presentò alla Messa dalla mezzanotte, nonostante per quell’ora la luce era accesa nella stanza al piano di sopra. Strano, pensarono i vicini, per tanti anni era rimasta spenta, e le imposte sbarrate.  
E allora, stretti fuori dalla parrocchia, le bocche sepolte nelle sciarpe per il gran freddo iniziarono i pettegolezzi: Sarà tornato il Signor Silente? Non si vede da decine di anni! Ho saputo che hanno comprato un allevamento di capre, Ah sì? Io invece sapevo si fossero trasferiti in Scozia.  
Tante congetture, ma la realtà era così lontana che a nessuno di loro sarebbe mai venuta in mente: nascosto dalle tende rosse a scacchi e dalla pesante coperta di pile tirata su fino a nascondere il naso, un ragazzo aspettava di morire.  
Poco importava fosse la notte di Natale: Aurelius sentiva la Morte ansimare accanto a lui.  
Il fiato caldo contro il suo orecchio sembrava essere l’unica cosa capace di riscaldarlo, nonostante il camino perennemente acceso e le coperte che suo padre continuava ad impilare su di lui.  
Si avvicinava, Aberforth Silente, gli prendeva la mano: sembrava fatta di ghiaccio. Allora si preoccupava, scendeva giù in cantina e tirava fuori l’ennesima coperta che era stata dimenticata tanti anni prima. 
“Sai che è il primo Natale che festeggio in Inghilterra.” Il ragazzo provava a tenerci una discussione, ma la Morte non rispondeva mai.  
Si limitava ad annuire, stagliata in piedi contro la finestra. Veniva illuminata dalle lucine che si trovavano all’esterno, e a Aurelius commuoveva la sua grottesca bellezza.  
In mano aveva un rosario, le cui perle rosse rilucevano come sangue. O come le bacche dell’agrifoglio. 
“A New York, in Piazza, mettevano un albero gigante... E nevicava. Anche qua nevica, però è tutto più... delicato.”  
Aberforth lo osservava preoccupato. Dal suo punto di vista, il ragazzo quella mattina aveva iniziato a parlare da solo. Aveva già mandato un messaggio ad Albus, Ci siamo. Solo due parole, pesanti come il cielo.  
“Mio padre non può vederti, vero?”  
Annuì, Lei, da dietro la sua maschera.  
“Farà male?”  
È come addormentarsi... 
Si girò, sorpreso, e il movimento sembrò toglierli ogni forza. Era la prima volta che sentiva la Sua voce.  
Poi Lei allungò la mano, e lui la prese, senza esitare.  
Fuori iniziarono a suonare le campane della chiesa. Era tutto illuminato, e un uomo vestito da Babbo Natale iniziò a distribuire i regali per i bambini più poveri del vicinato, agitando una campanella.  

 

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