Frammento

di EleWar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il dopo… ***
Capitolo 2: *** Ma non subito! ***
Capitolo 3: *** In un reame lontano lontano. ***
Capitolo 4: *** Andare oltre ***
Capitolo 5: *** Un desiderio struggente ***
Capitolo 6: *** Il frammento ***
Capitolo 7: *** Sulle spine ***
Capitolo 8: *** Kaori hai vinto ***
Capitolo 9: *** Fra donne sole ***
Capitolo 10: *** Voltare pagina ***



Capitolo 1
*** Il dopo… ***


Eccomi! Sono tornataaaaa! Sentita la mia mancanza??? Immagino :D
Vi propongo l’ennesima fic, una storia che ha uno strano effetto su di me, contradditorio direi: a volte la amo, a volte la reputo insulsa, però ormai l’ho scritta tutta e ve la voglio far leggere. Ho anche
paura di sollevare un vespaio non indifferente, ma ok, staremo a vedere.
Come sempre vi ringrazio in anticipo, per chi leggerà e commenterà, e per chi leggerà soltanto.
Ditemi cosa ne pensate…
Ah dimenticavo… ovvio questo è SOLO il primo capitolo ^_^

 
 
 
 
Cap. 1 - Il dopo…
 
Era una bella giornata di sole, e l’aria fresca del mattino riempiva la casa.
Kaori stava giusto riordinando il soggiorno, e si aggirava per le stanze leggiadra come una farfalla.
Non le era mai sembrato così bello, come in quel momento, rimettere ordine nell’appartamento che condivideva con Ryo, e per una volta non aveva da rimproverargli di essere stato sbadato o sciatto.
Un dolce sorriso le illuminava il viso e i pensieri fluttuavano leggeri; nulla avrebbe turbato la sua serenità.
 
Non era trascorso troppo tempo dai fatti della radura, dopo il matrimonio della sua migliore amica Miki, la sparatoria, il rapimento, l’attacco del generale Kreutz… ma soprattutto dalla confessione che le aveva fatto Ryo.
Stavolta non si era tirato indietro, non si era rimangiato le parole e, miracolosamente, nemmeno lei aveva perso la memoria, quindi tutto era stato detto e confermato e non c’era più modo di tornare indietro.
Era come se i due fossero cresciuti all’improvviso, e avessero smesso di essere due adolescenti riottosi, abituati a rincorrersi e a nascondere i propri sentimenti, anche davanti all’evidenza.
La paura di perdere l’altro era stata più forte dell’ennesimo giro di parole, dell’ennesimo giochetto atto solo a mistificare i fatti e le intenzioni, nel solito balletto dei rimandi.
Ryo aveva detto che sarebbe sopravvissuto per la donna che amava, che l’avrebbe salvata; e a chi avrebbe potuto riferirsi, se non a lei, l’unica donna presente, per giunta anche in pericolo, e pronta a morire per lui?
Si erano mostrati patetici, di fronte al nemico?
Forse, ma per due come loro, che non avrebbero ammesso i propri sentimenti nemmeno sotto tortura, quella era stata più che una dichiarazione: era la verità sconvolgente che li legittimava come coppia anche nella vita, di fronte a tutti i nemici e al mondo intero.
Inutile, d’ora in poi, nascondersi dietro un dito.
Ryo e Kaori si erano scoperti, si erano scoperti a loro stessi, e agli altri, nel modo più plateale possibile.
 
Kaori non avrebbe mai scordato la felicità provata in quel momento, quando, avanzando sicura verso Ryo, che per una volta le appariva totalmente spiazzato e disarmato, nonostante impugnasse ancora la sua pistola, si era sentita finalmente padrona del suo destino.
Non voleva più fingere che non fosse innamorata di quell’uomo meraviglioso, per cui avrebbe dato anche la sua stessa vita, se ce ne fosse stato bisogno; non voleva più fingere che a lui non importasse nulla di lei, non voleva più negare niente.
Ryo l’amava, a modo suo:un modo tortuoso, doloroso, forse; un modo che faticava a manifestarsi, ma proprio per questo più puro e incontaminato.
 
Quando gli era andata incontro, con i capelli leggermente arruffati, il viso lievemente sporco, con il vestito della festa stropicciato ma ancora intatto, a Ryo era apparsa ancora più bella di come la considerasse in realtà.
Il suo cipiglio fiero e sicuro, che nulla aveva a che vedere con la sicurezza sfacciata di certe donne che aveva frequentato in passato, l’aveva abbagliato.
A parole si era dichiarato, di fronte a lei e a quel topo di fogna del generale Kreutz che, fosse stato per lui, non avrebbe meritato l’onore di sentirlo parlare in quel modo, perché totalmente indegno di tali confidenze intime e personali, ma era stato necessario chiarire la sua posizione.
E per la prima volta Ryo aveva ammesso, anche a sé stesso, che lui non voleva più solo sopravvivere – e vivacchiare – come aveva fatto fino a quel momento:lui voleva vivere!
Sì, vivere!
Voleva un futuro, voleva poter invecchiare e smettere di attribuirsi solo vent’anni, come scaramanticamente faceva solo perché sicuro che alla vecchiaia, tanto, non ci sarebbe mai arrivato.
Voleva vivere per sé stesso, ma anche per colei che gli aveva ridato la vita, per colei che lo amava e che sarebbe morta di dolore perdendolo.
Soprattutto, voleva vivere perché c’era lei su questa terra, accanto a lui – aveva scelto lui! –, voleva vivere perché voleva stare con lei fino alla fine dei suoi giorni che, si augurava, sarebbero stati ancora tantissimi.
 
Si era scoperto a parole quindi, inequivocabili sotto certi aspetti, e anche Umibozu, nascosto dietro il cespuglio a guardargli le spalle, aveva sperato che quella fosse la volta buona; ma ora, contavano anche i fatti.
 
Sapeva cosa avrebbe rappresentato, per Kaori, afferrare il bouquet che le aveva lanciato intenzionalmente Miki, all’uscita della chiesa; sapeva che Kaori desiderava sposarsi, e non era nemmeno un mistero su chi fosse lo sposo dei suoi sogni.
Probabilmente Ryo, se le cose non fossero precipitate, lì nella radura, avrebbe temporeggiato ancora un altro po’ e aspettato l’occasione giusta per fare un passo verso di lei, in quella direzione; forse avrebbe rimandato il momento, frustrando entrambi in quell’assurda attesa… forse… ma ora non aveva più senso quella commedia trita e ritrita.
Voleva mettere un punto al suo comportamento scellerato, voleva far capire a Kaori che era pronto, che anche lui voleva essere lo sposo dei suoi sogni, e per questo le aveva fatto credere di aver ritrovato un fiore di tricyrtis nello scollo della sua giacchina: il bouquet non era andato completamente distrutto dalla raffica di pallottole, la magia del matrimonio che chiama matrimonio era intatta, poteva ancora avverarsi il desiderio di Kaori, che ora era anche il suo.
Tuo per sempre, tua per sempre.
 
Era una scelta che lo terrorizzava a morte, più delle bombe e di quello squadrone che aveva appena affrontato e sconfitto; più del sapere la sua amata Kaori in pericolo e disperare di non poterla salvare, ma Ryo sapeva che quella era la scelta giusta.
Lo sapeva lui e lo sapeva anche lei, e il fatto che la compagna conoscesse la verità fin dall’inizio, lei più matura di quel vecchio balordo donnaiolo, lo spiazzava completamente.
 
“Sono così felice, Ryo, non mi avevi mai detto quelle parole. Adesso ho tanta voglia di saltarti addosso” gli aveva detto Kaori, e lui, lo stallone di Shinjuku, era stato invaso dalla tremarella: l’aveva abbracciata goffamente, perché ancora non riusciva a rilassarsi, percependo nell’aria gli ultimi echi di pericolo, in più perché totalmente impreparato.
Non era riuscito a rinfoderare la pistola, e l’abbraccio era venuto un po’ a metà; i baci che le aveva teneramente deposto fra i capelli, erano stati tutto ciò che, in quel momento di terrificante felicità, era stato in grado di donarle.
 
E più il senso di pericolo lasciava il posto ad una quieta serenità, più Ryo si sentiva svuotare dall’adrenalina prima, e dalla tensione poi: una tensione che però non aveva nulla a che vedere con lo scontro appena affrontato e vinto, ma aveva radici molto più lontane nel tempo.
Un’ansia che era cresciuta con lui fin dai tempi della guerriglia nella giungla, che non lo abbandonava mai, e che cercava di dimenticare stordendosi con l’alcol e con donne facili e disponibili.
Ma quei brevi attimi che riusciva a strappare al dominio del suo demone personale, erano solo una tregua effimera e passeggera, che rendevano ancora più stridente il confronto con l’esistenza che aveva sempre condotto, e che era convinto sarebbe stata così per sempre.
E se l’incontro con i Makimura gli aveva fatto intravedere una possibile svolta, un allentamento di quella terribile tensione, il doversi prendere cura di Kaori in seguito,il folle desiderio e l’amore devastante che provava per lei, lo avevano caricato di un nuovo fardello.
Perché tanto più avrebbe voluto lasciarsi andare al sentimento che provava per la giovane, e più si negava la felicità.
Dover fingere e trattenersi lo avevano sottoposto ad uno stress atroce che lo aveva portato al limite.
 
Quell’abbraccio vero, l’abbraccio di due persone che si amano e che possono finalmente permettersi di dimostrarselo, lo aveva affrancato dalla tensione e dai brutti pensieri, lo aveva redento.
E di una cosa era certo: non sarebbe stato più in grado di rinunciare a quel calore, a quell’amore, a quella donna.
 
E nonostante Ryo e Kaori si amassero da anni, e quel preciso momento rappresentasse una sorta di resa dei conti, tornare alla realtà non fu affatto facile per i due, troppo abituati a recitare ognuno il proprio ruolo – il mandrillo irriverente lui, la gelosa custode del pudore e dell’integrità lei – e faticarono non poco a trovare un nuovo equilibrio.
Passare all’improvviso da soci litigiosi a teneri innamorati sembrava strano anche per loro, eppure, nonostante vivessero insieme da tanti anni, di fatto, da quel punto di vista non si conoscevano affatto.
Non sarebbero tornati indietro per nulla al mondo, però, e smussando un pochino quell’intimità cameratesca che avevano adottato nel corso della loro partnership, nemica dell’erotismo e del sentimentalismo, muovendosi in quella nuova dimensione, cercarono di conoscersi un po’ di più.
 
I primi tempi, inevitabilmente, Kaori temette che la propria inettitudine data dalla scarsa esperienza, e la sua poca avvenenza, non aiutassero Ryo a spingerlo ad avere attenzioni più, come dire, concrete, perché un conto è far capire ad una donna che la si ama, un conto è approcciarsi a lei fisicamente; così almeno pensava la ragazza.
Del resto, come esisteva il sesso senza amore, e nel loro mondo ne aveva la riprova in continuazione – e non aveva bisogno di sorbirsi una lezione di sessuologia in seconda serata, da un tizio occhialuto che straparlava in tv – così esisteva l’amore senza sesso.
Platonico, ieratico, puro, romantico, cavalleresco, come ai tempi dei samurai; in fondo Ryo, alla radura, le era sembrato proprio il campione che scende in campo per difendere l’onore della sua dama…
“Troppi film di serie B, cara la mia Kaori?” si ripeteva la ragazza, quando, confusa cercava di far luce sui suoi timori.
Però, come avrebbe potuto anche solo immaginare che Ryo la desiderasse fisicamente e veramente, quando lui aveva passato anni e anni a rinfacciarle che lei era l’unica donna che non lo eccitava?
Che era per lui al pari di un travestito, di un mezzo uomo?
Kaori conosceva molto bene le bellone e le bombe sexy che lo mandavano fuori di testa, e lei non rientrava in questa appetibile categoria.
Lei invece lo desiderava, eccome, e se anche non fosse stato quell’uomo affascinante e innegabilmente bello qual era, si sarebbe concessa a lui anche senza amore… ci aveva pure provato quella volta in cui era stata minacciata di morte da Silver Fox, ma alla fine il suo rifiuto l’aveva profondamente ferita.
Okay, ne era passata di acqua sotto i ponti, si diceva, e se voleva progredire nella loro relazione, non doveva più guardare così morbosamente al passato.
Però che lui non le fosse saltato addosso fin dalla prima sera, era un fatto.
 
Il loro trasformarsi da semplici colleghi di lavoro, ad amanti, era stato un lento cammino, che a pensarci bene faceva quasi tenerezza.
 
Di ritorno dalla radura, erano filati dritti in ospedale, per vedere in che condizioni versasse Miki: l’avevano trovata scossa e un po’ acciaccata, ma decisamente fuori pericolo.
Le pallottole non avevano leso organi vitali e in sala operatoria gliele avevano già tutte rimosse.
Si sarebbe ripresa in breve tempo, del resto non era la prima volta che non usciva propriamente illesa da uno scontro a fuoco, anche se in questo caso non aveva potuto difendersi e men che meno attaccare.
Umibozu, che sedeva al suo fianco, le teneva delicatamente la manina esangue, posata sulla coperta; qualche tubicino ed una flebo erano ancora attaccati al suo braccio, ma il sorriso radioso con cui aveva accolti i due soci, anch’essi sani e salvi, aveva illuminato la stanza.
Erano tutti e quattro ancora lì, insieme, vivi e vegeti, e questo era ciò che più contava; Miki si era appena sposata, coronando il sogno della sua vita, il suo amore era lì accanto a lei, e in più aveva già capito che qualcosa era successo anche a quei due zucconi dei suoi amici, e ne gioiva segretamente.
 
Prima di entrare, in un eccesso di pudore, Ryo e Kaori avevano sciolto le mani, affinché non si vedesse che erano arrivati fin lì mano nella mano.
Perché quando erano scesi dalla macchina al parcheggio, gli era venuto naturale intrecciare le dita dopo che, camminando fianco a fianco, non avevano fatto altro che sfiorarsi in cerca del coraggio di afferrare la mano dell’altro.
Ma nonostante fossero stati veloci nell’allontanarsi, proprio lì, sulla soglia della porta, la bella barista aveva fatto in tempo ad accorgersene, come pure il suo gigantesco marito che, dietro gli occhiali scuri, aveva sogghignato di soddisfazione.
 
E se anche Miki e Falcon non avessero notato quel veloce gioco di mani, si percepiva nell’aria che in loro qualcosa era cambiato: le aure erano se possibile ancora più allineate, e palpitavano all’unisono.
Quella di Ryo era più calma e benevola, quella di Kaori quasi bruciava dall’amore che sprigionava.
E gli sguardi li stavano tradendo, o meglio, l’assenza degli stessi: i due soci stavano attenti a non guardarsi mai direttamente, a non interpellarsi mai, nemmeno di sfuggita, e questo era molto più eclatante di qualsiasi altra cosa potessero fare.
Quei due erano abituati a dialogare con gli occhi, con lievi sguardi accennati, si capivano telepaticamente e avevano un linguaggio tutto loro che escludeva gli altri; questo quando non strepitavano, urlavano, si insultavano o rideva sguaiatamente l’uno e si arrabbiava l’altra, rendendo più che manifesti i loro pensieri e le loro intenzioni.
Vederli lì, a sforzarsi di non comunicare, era, per assurdo, la prova provata che i due nascondessero qualcosa, e di grosso per giunta.
Tuttavia Falcon era presente poche ore prima, lì nella radura, e non aveva bisogno di ulteriori spiegazioni; quando aveva raggiunto Miki in ospedale, le aveva semplicemente detto: “È successo”, e lei aveva capito.
 
In ogni caso, ad un certo punto Miki aveva detto alla sua amica, con voce roca ma abbastanza ferma:
 
“Ah, ma allora sei riuscita lo stesso a prendere il bouquet… o quello che ne è rimasto!” e sorridendo aveva indicato con il mento quell’unico fiore reciso che Kaori si rigirava fra le dita, ormai semi appassito ma ancora profumato.
 
Kaori, a quell’uscita, aveva subito abbassato gli occhi sul tricyrtis ed era arrossita come una mela matura; senza riuscire a guardarla in viso le aveva risposto:
 
“Sì… Ryo l’ha trovato nello scollo del mio vestito… pensa, era rimasto lì tutto il tempo e malgrado tutto!”
 
Voleva convincere sé stessa e l’amica della casualità dell’evento, ma dentro di sé sapeva che sarebbe stato improbabile, se non impossibile, che una cosa del genere potesse essere successa sul serio.
Sapeva anche che mettersi a disquisire sul perché e sul per come, avrebbe tolto significato al gesto che, innegabilmente, aveva compiuto Ryo, perché quella era stata tutta opera sua, era stato lui a mettercelo, aveva voluto farle sapere che…
Era veramente ciò che immaginava lei?
Aveva anche solo paura a pensarlo, come se ammettere che Ryo avesse potuto farlo apposta, o peggio dirlo apertamente, lo avrebbe fatto tornare sui suoi passi, sconfessando tutto.
Kaori non avrebbe potuto sopportare una sua battutaccia in proposito, una sua risata sguaiata mentre magari diceva:
 
Kaori non essere la solita sciocca sentimentale! Nel caos della sparatoria t’è finito un pezzo di bouquet dentro la giacca, sotto la spalla e quando ti hanno portato via, il fiore è rimasto schiacciato sotto la fodera. Chissà cos’altro nascondi sotto il giubbetto, magari una manciata di riso, o qualche altro petalo. Va a finire che se ti metto a testa in giù e ti scuoto, cade pure qualche monetina, quel tanto che basta per prendermi una birra al distributore giù all’angolo!
 
No, meglio tenere per sé le sue supposizioni, tanto era sicura che fosse stato Ryo, e metterlo in imbarazzo davanti ai loro amici non avrebbe portato nulla di buono.
Se non glielo avesse confessato lui un giorno, glielo avrebbe di sicuro chiesto lei, ma… con comodo.
 
I City Hunter si erano trattenuti lì con i neosposi fino a quando un’infermiera, giovane e carina, non aveva fatto capolino ed aveva annunciato:
 
“Fine orario visite!” ed aveva sorriso con aria compiaciuta, congiungendo le mani.
 
Per un attimo Kaori aveva temuto che Ryo si gettasse su di lei come al solito: lui aveva un debole per le infermierine, anzi, aveva un debole per tutte le donne giovani e carine, ma stranamente lui non si era mosso.
Sprofondando le mani nelle tasche dei pantaloni, pronto ad andarsene, aveva detto soltanto:
 
“Ragazzi, che razza di prima notte di nozze vi aspetta!” e aveva ridacchiato piano.
 
Era convinto che anche Umi avrebbe dovuto sloggiare, ma l’infermiera aveva aggiunto:
 
“Il marito, ovvio, può rimanere” e, dicendolo, aveva fatto incendiare la pelata del gigante che, fresco di matrimonio, non si era ancora abituato a tale appellativo.
 
Miki a quel punto gli aveva stretto una mano e lui, per poco, non era svenuto.
 
Non appena Ryo e Kaori furono usciti, chiudendosi la porta alle spalle, la sweeper aveva sospirato:
 
“Ho avuto tanto paura per lei!” ed istintivamente aveva infilato il suo braccio in quello del socio, prendendolo a braccetto e stringendosi a lui, rabbrividendo.
 
Lui si era limitato ad un laconico:
 
“Già” rimuginando sul fatto che quel giorno speciale avrebbe dovuto essere solo un momento di gioia e festa, e invece la paura e il dramma si erano abbattuti su tutti loro, ancora una volta.
 
Forse era vero che la vita andava vissuta interamente, fino in fondo, e non limitarsi alla superficie… che le emozioni e i sentimenti vanno vissuti finché se ne ha la possibilità, e prima che sia troppo tardi.
Ryo,allora,si era ritrovato all’improvviso a pensare che sarebbe potuto morire, anche quel giorno stesso, senza aver mai avuto la possibilità di dire a Kaori che l’amava, che ricambiava i suoi sentimenti… e lo stomaco gli si era contratto in uno spasmo doloroso.
Pur giocando con la morte tutti i giorni, non aveva mai considerato l’eventualità che avrebbe potuto portarsi quel segreto nella tomba, e che morendo avrebbe doppiamente fatto soffrire la donna che amava.
 
Dissimulando quel fastidioso disagio, si era stretto di più alla socia, la quale aveva molto gradito.
 
Da adesso in poi, Ryo si era detto, basta con i cattivi pensieri e i sensi di colpa; anche a loro due spettava una parte di felicità, se la meritavano tutta! Kaori molto più di lui, e se essere ricambiata da lui la rendeva felice, perché negarglielo ancora?
Inoltre anche lui voleva essere guardato da Kaori come Miki guardava Falcon, e Ryo sapeva che se la compagna non lo aveva mai fatto prima, era solo perché lui non glielo aveva mai permesso… o forse no?
 
Di ritorno verso casa non avevano parlato tantissimo, ma non era l’imbarazzo a spingerli al silenzio; dovevano ancora assimilare tutto ciò che era successo in quella lunga e caotica giornata, e soprattutto cosa comportasse, ora, per loro.
Però, quando avevano varcato la soglia dell’appartamento che condividevano già da parecchi anni, improvvisamente si trovarono a disagio, indecisi sul da farsi: cosa ne sarebbe stata della loro vita, da adesso in poi?
 
In situazioni simili Ryo avrebbe scelto la fuga, la dissimulazione, il cinismo, si sarebbe chiuso in sé stesso, mentre Kaori si sarebbe fatta prendere da un attacco di vergogna che l’avrebbe portata a farfugliare frasi senza senso, o a scaricare la frustrazione strepitando per un nonnulla.
Eppure, pur sentendosi entrambi improvvisamente depersonalizzati, sbalzati fuori dai loro soliti cliché, non volevano continuare a fingere, volevano essere autentici, non volevano far appassire quel vago sentore di cambiamento, quel loro sentimento appena sbocciato che, prepotentemente, li aveva invasi, rendendoli felici e atterriti allo stesso tempo.
 
Per un breve lasso di tempo si erano aggirati, perfino indecisi, per le stanze di casa, nemmeno non fosse quella la loro residenza abituale.
Poi, come per un accordo tacito e comune, avevano deciso di sospendere eventuali decisioni importanti: ci avevano messo anni e anni per arrivare fin lì e non avrebbero stravolto la loro intimità, la loro familiarità in una sera soltanto.
E poiché da sempre cucinare era la valvola di sfogo della ragazza, nonostante fosse stanca morta, aveva deciso di mettersi ai fornelli, non prima di aver trovato un vasetto dove riporre il fiore del bouquet, con una cura tale che Ryo si era commosso osservandola.
 
Tenersi impegnata, spadellare, l’aveva aiutata a distendere i nervi e a riacquistare il suo equilibrio, e mentre la socia improntava una cena tardiva, anche Ryo si era lasciato andare e, sprofondando sul divano del soggiorno con un lungo sospiro, si era detto che, in fondo, decidere di dare una svolta alla loro relazione non significava stravolgere tutta la loro vita, e che quello che avevano creato fino ad allora poteva e doveva rimanere intatto.
Aveva sorriso a questo pensiero e, gustandosi il delizioso profumino che proveniva dalla cucina, aveva pensato che anche quello era casa e famiglia, e che era fortunato ad avere Kaori accanto; era un aspetto del prima tremendamente dolce, che adesso lo sarebbe stato molto di più.
Prima o poi glielo avrebbe confidato.

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Capitolo 2
*** Ma non subito! ***


Bene, eccoci al secondo – tranquillo – capitolo. Il vostro bentornata mi ha riempito il cuore di gioia, e spero che anche questo vi piaccia come il primo.
Grazie infinite.
Buona lettura
Eleonora

 
 
Cap. 2- Ma non subito!
 
Quando Ryo e Kaori si erano seduti a tavola, solo allora si erano accorti di essere in realtà affamati; per ovvie ragioni il ricevimento del matrimonio non aveva avuto luogo, e la giornata aveva preso una piega così violenta e al cardiopalma che nessuno aveva avuto tempo e modo per mettere qualcosa sotto i denti.
 
“Che peccato essermi perso quella mega mangiata! E per giunta a scrocco di Umibozu!” esordì Ryo, masticando rumorosamente e alludendo appunto al banchetto nuziale.
 
“Veramente te lo saresti perso ugualmente” rispose la ragazza, alzando un sopracciglio al di sopra delle sue bacchette.
 
L’uomo la guardò interrogativamente, trangugiando un altro boccone.
 
“Non ricordi? Tu non eri stato invitato…” chiarì Kaori e gli strizzò l’occhio con espressione irridente.
 
Ryo si fermò a metà, con le bacchette a mezz’aria e la bocca già aperta, e per un attimo sostò pensieroso, poi scoppiò a ridere come uno scemo.
Sì, era vero, nella partecipazione di matrimonio Falcon aveva specificatamente messo che Ryo non era invitato, e si era pure risentito quando lo aveva visto lì in chiesa, sempre pronto a sfotterlo, per giunta; nel bel mezzo di quel tremendo trambusto, quel piccolo particolare era passato decisamente in secondo piano.
Ryo stava ancora ridendo quando Kaori, attraverso il tavolo, allungò timidamente la sua mano verso quella dell’uomo; dapprima la sfiorò, poi la strinse significativamente.
Lo sweeper tornò serio all’istante.
Si guardarono intensamente e la ragazza gli disse, in un sussurro, ma con il tono deciso:
 
“Però… per fortuna sei venuto lo stesso…”
 
Già, in barba all’ammonimento del suo miglior amico-nemico, Ryo era voluto andare ugualmente al matrimonio di Falcon, d'altronde Umibozu si aspettava che l’altro non si sarebbe perso l’occasione di sfotterlo, di fare lo scemo, e di sbafarsi una quantità sconsiderata di cibo, per giunta senza preoccuparsi di fargli il regalo!
Umi ne era certo e, sotto sotto, sperava che lo sweeper sarebbe venuto comunque, malgrado l’avvertimento.
In fondo, era così la loro amicizia: un’amicizia fra uomini duri, che non lasciava spazio al sentimentalismo, alla gentilezza, alle buone maniere, ma non meno forte e potente.
E la riprova l’avevano avuta anche quel giorno stesso, quando lo sposo, accertatosi che l’amata Miki fosse ormai fuori pericolo, era corso in aiuto di Ryo, combattendo con lui e per lui, salvandogli la pelle ancora una volta e adoperandosi perché la sua affezionatissima Kaori tornasse sana e salva a casa.
 
Era stata una vera fortuna che Ryo fosse presente al matrimonio, quindi, poiché la sua presenza aveva fatto la differenza, per Kaori e per lui stesso, perché, in fine, si era dichiarato.
Ma la verità era che lo sweeper non sarebbe riuscito a stare troppo tempo lontano da Kaori, non l’avrebbe mai lasciata andare alla cerimonia da sola.
Inoltre non si sarebbe perso per nulla al mondo il momento in cui i suoi migliori amici si sarebbero giurati amore eterno, dimostrandogli che anche delle persone come loro possono amare alla luce del sole, possono mettere su famiglia, possono osare sperare in un futuro migliore, malgrado tutto.
 
Kaori gli aveva appena manifestato la sua gratitudine, si era spinta perfino a fargli una carezza; e non erano state solo vuote parole le sue, quelle erano ricche di sottintesi, avevano una valenza immensa, e la sua mano gli stava trasmettendo tanto di quel calore che Ryo era sicuro ne avrebbe portato il segno per sempre.
All’uomo non passò per la testa nemmeno per un secondo di ritrattare il suo atto eroico, di buttarla sul ridere, di schernirsi o peggio schernirla.
Inchiodato dai suoi occhi di ambra liquida, gli sembrava di precipitarci dentro, ma non gli importava: era solo ciò che più desiderava in quel momento.
Era inoltre convinto che lei potesse leggergli nella mente e nel cuore, e quindi mentirle non sarebbe servito a nulla.
 
Posando le bacchette accanto alla ciotola del riso, con la mano ormai libera andò a stringere quella della socia, e altrettanto intensamente le disse:
 
“Dove sei tu, sono io”.
 
Si sorrisero.
 
Il fischio del bollitore per il tè li riportò alla realtà.
Lentamente sciolsero le mani e Kaori fece per alzarsi e andare a staccare la spina, ma fu preceduta da Ryo che le disse semplicemente:
 
“Stai, vado io”.
 
Stupita, Kaori riprese a mangiare, scuotendo la testa e sorridendo; era bello vedere Ryo così e forse il cambiamento sarebbe passato anche dalle piccole cose.
 
Il resto della cena si svolse come tante altre volte, tranne che al momento di rigovernare: l’uomo aiutò la compagna e in poco tempo misero tutto in ordine.
Ormai più rilassati e sazi di buon cibo, si sentirono improvvisamente stanchi, e la doccia veloce che a turno si erano concessi, gli aveva disteso i nervi a tal punto, mettendoli in uno stato di profondo languore, che gli faceva desiderare solo di andare a dormire e non pensare più a nulla.
Allo stesso tempo, però, gli sembrava che quella lunga giornata non avrebbe dovuto finire così, che qualcosa di più diverso dal prima, avrebbero dovuto fare… ma non sapevano ancora bene cosa.
 
Si ritrovarono fermi davanti alla porta di Kaori: freschi di doccia avevano già indossato il pigiama; erano caldi e profumati, e sprigionavano le essenze dei rispettivi shampoo e bagnoschiuma.
Combattuti fra il bisogno impellente di stendersi e lasciarsi andare finalmente al sonno, e il dover fare qualcosa che facesse la differenza fra il prima e il dopo, e soprattutto desiderosi di stare insieme, non riuscivano ancora a darsi la buona notte.
 
Infine Kaori si decise e fece per avvicinarsi a Ryo; voleva dargli il bacio della buona notte, un semplicissimo bacio sulla guancia, di quelli che potresti dare anche ad un amico, ma sul più bello le venne meno il coraggio e si bloccò a metà slancio.
Ryo, che sperava ardentemente fosse lei a fare il primo passo, aspettandosi e bramando un suo gesto gentile, uno qualsiasi lei fosse stata in grado di donargli, vedendola arretrare si protese verso di lei e, afferratale una mano, l’attirò a sé e le depositò un bacio fra i capelli odorosi.
Kaori, rianimata dall’atteggiamento propositivo di Ryo, si disse che voleva di più di un semplice bacio sulla fronte o fra i capelli: una volta sarebbe rimasta impalata lì per ore a smaltire l’emozione, come quell’unica volta sulla terrazza, quando lei gli aveva donato un compleanno e lui per ringraziarla aveva compiuto il medesimo gesto, spiazzandola.
Quello non era forse più un bacio che avrebbe potuto dare un padre o perfino un fratello maggiore ad una ragazzina, con affetto certo, ma non con amore?
E in ogni caso lei non era più una ragazzina, era una donna e voleva di più, in generale, e in particolare dall’uomo di cui era innamorata, e che quello stesso giorno si era scoperto con lei, ammettendo, in un certo senso, di corrispondere i suoi sentimenti.
Pertanto quando lui si allontanò da lei, Kaori alzò il viso e mettendosi sulle punte provò a baciarlo, stavolta sulla bocca: un bacio leggero, aereo, un semplice sfioramento di labbra, che però ebbe il potere di stravolgere entrambi.
Ryo, sorpreso e deliziato, sgranò tanto di occhi, ma non fece in tempo a dire o fare altro, che Kaori era già scomparsa dentro la sua stanza.
 
Inebetito l’uomo restò ancora un po’ davanti alla porta chiusa, con un sorriso da idiota e con gli occhi a cuoricino; il cuore gli batteva come un tamburo e credeva potesse uscirgli dal petto: non era mai stato così felice come in quel momento.
Infine pigramente girò sui tacchi e, sospirando, si diresse in camera sua.
 
Kaori, dentro la sua stanza, invece, cercava di calmare l’affanno, come di chi avesse corso a perdifiato e in salita; credeva che il cuore le sarebbe scoppiato, così pericolosamente sollecitato dall’audacia che aveva avuto, dalla paura di essere respinta, dal desiderio e dalla felicità.
Era però contenta di averci provato e che fosse riuscita ad arrivare a tanto senza che Ryo… senza che Ryo la bloccasse e disinnescasse prima.
D'altronde è difficile buttarsi e provarci nelle situazioni in genere, figurarsi con qualcuno che fa di tutto perché certe situazioni non si verifichino mai!
Inoltre Kaori non era una di quelle donne fatali o audaci, sfrontata come tante clienti che erano transitate nella loro vita; non si sentiva abbastanza sicura della sua bellezza e del suo fascino, per poter anche solo pensare di proporsi a Ryo, accennare un flirt, un minimo corteggiamento, mostrarsi disponibile e assertiva.
Lui aveva sempre frustrato anche i suoi più piccoli gesti, ripetendole in continuazione che non era nemmeno una donna, che aveva l’appeal di un uomo, anzi peggio, di un mezzo uomo, e quindi totalmente fuori dalla sua portata: quante volte le aveva detto che era l’unica donna che non lo eccitava sessualmente?
E lei era finita per credergli.
Ma adesso era diverso, doveva essere diverso!
 
Quindi adesso, galvanizzata dal successo ottenuto – non era stato poi così difficile, no? – si sentiva estremamente viva e vitale, pronta a ribaltare il mondo, a compiere grandi imprese, ed era pure sicura che non avrebbe dormito affatto, perché quell’emozione così intensa, l’aveva svegliata del tutto.
E prima ancora che potesse pensare a cosa stava per fare, si girò di scatto e spalancò la porta, convinta che Ryo fosse ancora lì, desiderosa anche solo di vederlo, di stare con lui, ma grande fu la sua delusione quando si trovò da sola nel corridoio illuminato.
 
In un attimo evaporò tutto il suo entusiasmo e si diede della stupida, per aver osato sperare che lui fosse rimasto lì davanti alla sua porta… per fare cosa, poi?
Che idiota che era stata nel perdere tutto quel tempo!
Se era vero che voleva stare con Ryo, perché si era ritirata subito dopo quel breve bacio, ed era scappata dentro la sua camera come una scolaretta alle prime armi?
Ma più di tutto si scoraggiò pensando che, ciò che per lei era stato il massimo atto di audacia, un bacio che avrebbe fatto la differenza, per lui era stato… cosa? Un nonnulla. Un’inezia, per lui, lo Stallone di Shinjuku, abituato a ben altri approcci, molto più carnali e intensi.
 
Stava già per rientrare sconsolatamente nella sua tana, quando un’ombra invase all’improvviso il suo campo visivo.
 
“Ha-hai chiamato?” udì la voce di Ryo, che era tornato indietro di gran carriera: aveva appena svoltato l’angolo quando aveva sentito la sua porta riaprirsi e speranzoso l’aveva raggiunta.
 
“Eh?” si ritrovò a spiccicare appena la ragazza.
 
“Ah, perché mi era parso che mi avessi chiamato…”
 
“No-no… io… io… ho solo aperto la porta” balbettò quasi la socia.
 
“Ah, okay, allora… io… allora io… vado?” chiese Ryo.
 
Se Kaori non fosse stata così tanto concentrata a mantenere una sorta di lucidità mentale, si sarebbe accorta di quanto insicuro fosse Ryo in quel momento: non sembrava più il cinico sweeper o il navigato uomo di mondo solito frequentare i bassifondi della città.
Sembrava un semplice innamorato impacciato, che non sa come comportarsi di fronte alla donna che ama.
 
“Sì…cioè…no…” si confuse la ragazza, cercando di rispondergli.
 
Dannazione cosa stava succedendo fra loro?
Cosa stava succedendo a lei!?
Perché lo aveva baciato, per poi tirarsi indietro, per poi riaprire la porta e sperare di ritrovarlo lì per poi balbettare come una scema?
 
Si riscosse: l’enorme stanchezza che correva sotto pelle, il sonno, il desiderio, la paura, la facevano osare; era in una condizione alterata, una di quelle in cui finalmente certe barriere cadono e si è più autentici, si dice e si fa quello che più si desidera fare e dire; e infatti si stupì lei stessa quando si sentì chiedergli:
 
“Ryo… resta!”
 
Era una richiesta?
Una preghiera?
Un ordine?
Quasi si pentì di averlo detto, perché dopo cosa avrebbero fatto loro due, insieme, se lui fosse restato?
Che poi… restato dove?
In piedi tutta la notte davanti alla sua porta chiusa?
Nel corridoio?
Non avrebbe dovuto farlo entrare?
Nella sua stanza da letto?
E poi?
Poi cosa avrebbero fatto?
Cosa avrebbe fatto lei?
Non era sicura di poter condurre i giochi, di riuscire a fare la sua parte.
Un invito ad entrare non era un invito a trascorrere la notte insieme?
In che modo, però?
Si spaventò: non si sentiva pronta.
 
Ryo, non appena sentì Kaori parlargli in quel modo, inghiottì a vuoto.
Gli aveva appena chiesto di restare, ed era quello che lui sperava ardentemente.
Ma restare dove?
Lì sul corridoio, o lo avrebbe fatto entrare?
Ma se lui fosse entrato, cosa si aspettava che lui facesse?
Non ce la vedeva a chiedergli di passare la notte insieme a fare cose, nonostante lui desiderasse con tutto sé stesso darsi a lei: era suo!
E non sarebbe stato lui a tentare un approccio più fisico, a meno che non fosse stato strasicuro che anche lei volesse la stessa cosa.
Non voleva rovinare tutto; non con lei, non con la sua amata Kaori.
E che non pensasse lui volesse approfittarsi di lei o della situazione!
Lei non era una di quelle donnine compiacenti.
Però gli aveva espressamente chiesto di restare…
Sarebbe rimasto anche tutta la notte a guardarla dormire, come faceva sovente, ma questo lei non poteva saperlo, e non credeva fosse ciò che lei volesse.
Sarebbe rimasto, certo, a qualsiasi condizione, ma spettava a lei dirgli quale.
 
Mentalmente le domandò: “Kaori, cosa vuoi da me?
Per una volta non seppe leggere nei suoi pensieri, e il proverbiale affiatamento dei due, che gli permetteva di dialogare anche senza parole, venne meno.
Stavolta avrebbero dovuto parlare, a voce, e anche abbastanza chiaramente.
 
“Va bene, resto…” iniziò dicendo lui, attendendo un’ulteriore imbeccata che lo avrebbe guidato oltre quel momento di imbarazzante empasse.
 
A quel punto Kaori si confuse e abbassò gli occhi, prese a fissarsi le pantofole con disegnati sopra dei graziosi piccoli orsetti panda, ma si fece da parte per farlo entrare.
L’uomo attraversò la soglia lentamente, a piccoli passi guardinghi, nemmeno si fosse trovato a dover passare attraverso un campo minato.
Non pensava ad altro che a dove mettere i piedi, temendo di far troppo rumore e spezzare l’incanto di quel sogno ad occhi aperti – che poi, non è che davvero stava già sognando e quello era tutto frutto della sua fantasia?
 
Kaori, consumata dalla voglia di averlo lì con lei, e la paura di averlo lì con lei, girò lo sguardo intorno, in quella che era la sua stanza da quanti anni, ormai?
Le sembrava di vederla per la prima volta e, assurdamente, si chiese dove avrebbe fatto dormire Ryo… perché di dormire si parlava, o no?
C’erano due letti, uno per lei e l’altro per la bella cliente di turno: quella era anche la stanza degli ospiti e tale sistemazione era stata una sua trovata, così avrebbe potuto tenere sotto stretta sorveglianza la donna, e proteggerla dai pericoli, ma soprattutto dalle fregole del socio marpione.
Ma adesso aveva un senso dormire su due letti separati?
Tanto valeva usarne uno solo…
 
Per una volta Ryo disse la cosa giusta al momento giusto:
 
“In quale dei due mi sistemo?” alludendo ai due letti affiancati.
 
“È-è-è uguale per me” rispose la socia e si maledisse perché avrebbe voluto chiedergli di dormire insieme.
 
“A-allora scelgo questo” e si diresse verso quello di destra, quello più vicino alla finestra; ma quando fu lì aggiunse: “Se vuoi… possiamo attaccarli, così staremo più vicini… ma solo se vuoi, eh?” e appena pronunciate queste parole, si mise a ridacchiare a disagio, grattandosi la testa.
 
Si era già pentito di averlo proposto e temeva che Kaori pensasse chissà cosa.
Ma lei, inaspettatamente, annuì con la testa e lui si dispose a far scivolare il letto sul pavimento, senza farsi prendere troppo dalla fretta per non spaventarla: che non pensasse che era pronto a saltarle addosso… anche se era la verità.
 
Nonostante quel tira e molla impossibile, la stanchezza tornò a perseguitare i due soci, pertanto affrettarono le manovre di messa a letto.
S’infilarono ognuno nel proprio letto e, spegnendo le rispettive lampade, si diedero finalmente la buona notte.
Ma erano ancora troppo emozionati per dormire e Kaori, aiutata dall’oscurità gli sussurrò:
 
“…volevo solo dormire con te” la sua voce tradiva un misto di tenerezza, di tristezza, rimpianto.
 
Ryo, che nel buio della stanza percepiva tutto in maniera amplificata, ne rimase profondamente turbato, e dopo un brevissimo silenzio disse:
 
“Anche io volevo dormire con te… e non farò nulla che tu non voglia” intendendo che avrebbe lasciato a lei la facoltà di decidere come e quando; lui l’avrebbe sempre rispettata e mai forzata.
 
Kaori si sentì sciogliere a quelle parole; non avrebbe dovuto dimostrargli nulla, né che era una donna come tutte le altre, né che non era una sprovveduta, almeno non per l’immediato.
In fondo, fino a poche ore prima erano ancora i soliti soci, quindi sarebbe stato arduo cambiare così repentinamente.
Se possibile sentì di amarlo ancora di più ed istintivamente si avvicinò a lui, fino a rannicchiarglisi su di un fianco.
Lui l’accolse nel suo abbraccio e, profondamente grato per il momento magico che lei gli stava facendo vivere, chiudendo gli occhi le sussurrò un:
 
“Grazie” che valeva più di mille spiegazioni e discorsi.
 
Accoccolati uno nelle braccia dell’altro e cullati dal respiro via via sempre più regolare e profondo del partner, finalmente si addormentarono, sperimentando la prima di una lunga serie di situazioni intime e intense, nel cammino che li avrebbe portati ad essere gli amanti che desideravano diventare.

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Capitolo 3
*** In un reame lontano lontano. ***


Uuuuuh! Ma quanto sono in ritardo? Tanto, tantissimo! E vi chiedo umilmente scusa, ma fra l’otite, il lavoro e le feste, sono rimasta un filino indietro… anche con le risposte alle vostre fantastiche recensioni.
Bene, eccovi allora il terzo capitolo… vedremo cosa ne pensate ^_^
Colgo l’occasione per farvi i miei più sinceri e sperticati
AUGURI di Buone Feste, che queste giornate siano ricche di gioia, armonia e serenità.
Vi abbraccio
Eleonora

 
 
Cap. 3  - In un reame lontano lontano.
 
Nello stesso periodo in cui Ryo e Kaori iniziavano ad aprirsi l’un altro, facendo progredire la loro storia d’amore, in un reame lontano, incastonato in qualche parte del mondo, una principessa, ormai regina, viveva la sua vita.
Molto amata dal popolo, era stata incoronata da poco e presto avrebbe sposato un giovane di alto lignaggio, così come prevedevano le leggi di corte.
Sarebbe stato un matrimonio morganatico, e cioè il consorte non avrebbe assunto il titolo di re e non avrebbe avuto un ruolo attivo nel governo del regno; i figli, o meglio le figlie, però, sarebbero state le eredi al trono legittime e, come sempre accade, l’unione fra gli sposi avrebbe rinsaldato i legami fra le famiglie regnanti e aperto nuovi canali di contatto con altrettanti principati, nella fitta rete di collegamenti e amicizie che corrono fra i potenti della Terra.
 
Kris, il nome del principe designato, era il quinto figlio di una nobile e antica famiglia, e la linea di successione non prevedeva che fosse lui, un giorno, a prendere in mano le redini del governo del principato retto dai suoi genitori.
Poco male, perché Kris era bello, affascinante, atletico, sportivo e mediamente mondano, non ultimo ricchissimo; era lo scapolo d’oro più invidiato e agognato da mezzo mondo, e il fatto che fosse anche un filantropo e si battesse per la pace e la libertà dei popoli, faceva di lui uno dei pochi esemplari blasonati amati dal popolino.
 
La futura regina, quando le avevano sottoposto la candidatura di Kris come consorte regale, era stata d’accordo nel prenderlo in esame prima, e ad acconsentire al fidanzamento ufficiale, poi.
Conosceva i suoi obblighi e sapeva che non sarebbe stata una questione d’amore, il suo matrimonio, ma una formalità come un’altra, un modo per mantenere il potere e tramandarlo nel tempo.
Ci si aspettava che dalla loro unione nascessero dei figli, degli eredi legittimi, e la principessa ricordava la sua nutrice, quando le aveva detto, a proposito degli amori romantici letti sui libri, che l’amore, forse, sarebbe venuto in seguito, e che il sentimento, la passione e il desiderio, sarebbero stati secondari rispetto all’accordo fra le famiglie.
Una specie di contratto, in fondo.
 
L’aspetto fisico di Kris era notevole, non aveva tare ereditarie, era in buona salute, e dal momento che le famiglie in passato non si erano mai unite in matrimonio, lui avrebbe portato sangue fresco alla discendenza.
Era il candidato ideale; inoltre, fin dalla prima volta che si erano incontrati, si era dimostrato spontaneamente gentile, e si vedeva che i suoi modi educati non erano minimamente frutto dell’affettazione richiesta dall’etichetta di corte.
Il suo sguardo era sincero e i suoi occhi neri sembrava che riuscissero a scrutarla nel profondo, provocandole un moto di disagio ogni volta.
La principessa non sapeva spiegarsene il perché, e si augurò che fosse il principio di un innamoramento, che avrebbe reso infinitamente più piacevole quel matrimonio d’interesse.
 
La sera della festa di fidanzamento avevano ballato insieme, conversato amabilmente, ed entrambi sembravano ben disposti ad adempiere i doveri impostigli dal loro rango; erano naturalmente bellissimi, e le riviste di gossip parlarono a lungo della cerimonia, del fascinoso principe e della bella regina.
Erano una vera manna per le testate di cronaca rosa, e tutto il mondo sognava leggendo di loro due, dei viaggi, delle feste, dei ricevimenti a cui prendevano parte.
Sembrava che sull’intera Terra non ci fosse coppia più felice e fortunata di Kris e della Regina.
Ovviamente era tutta esteriorità, la loro.
Non che fossero infelici, ma nemmeno felici nel vero senso della parola.
Stavano vivendo una vita scelta da altri, alla quale si adattavano di buon grado, e dal momento che era ricca di agi, perché non approfittarne?
 
Poco prima che la Principessa si assumesse pienamente i suoi doveri di regnante, era tornata da un viaggio in Giappone, che l’aveva cambiata profondamente.
In seguito ad un incidente non meglio specificato, aveva perso temporaneamente la memoria, e nel paese del Sol Levante aveva vissuto per un breve periodo un’esistenza intensa, a tratti pericolosa, ma infinitamente più autentica di quella trascorsa fino ad allora.
Aveva anche scoperto l’amore, in un certo senso: aveva conosciuto un uomo misterioso, forte ed enigmatico, che l’aveva salvata da morte certa, e in nome di questo profondo attaccamento verso di lui, la Principessa aveva deciso di rinunciare al suo regno e di scappare dai suoi obblighi.
Era stata pronta a lasciarsi tutto alle spalle, pur di vivere un’altra vita, magari anonima, ma decisamente più appagante accanto all’uomo che credeva di amare.
Ma quello stesso uomo, alla fine, l’aveva riconsegnata agli addetti della sua ambasciata, facendole capire che non si può sfuggire al proprio destino, e che si deve andare fino in fondo sempre e comunque.
A nulla era valso offrirgli il suo stesso regno, tutte le ricchezze che possedeva, la possibilità di affrancarsi da quell’esistenza balorda che conduceva al limite della perdizione, della legalità, nei bassifondi di Shinjuku. L’uomo, inamovibile, non aveva ceduto, nonostante le fosse parso vedere nei suoi occhi un profondo turbamento, quasi un rammarico, un rimpianto per l’occasione che, volutamente, non voleva cogliere.
Piccata nell’orgoglio e nell’amor proprio, aveva chiesto, ai dottori del suo entourage, di essere sottoposta ad un apposito lavaggio del cervello, che avrebbe cancellato per sempre i ricordi di quella breve e felice parentesi, vissuta in Giappone.
Quando era tornata nel regno di Arimania, era totalmente dimentica dei fatti che le erano accaduti, beatamente ignara di quello scampolo di vita, anche se, in un certo senso, non era più quella di prima.
Era pronta, però, a riprendere il suo posto, e ad andare avanti per la sua strada.
Aveva accettato a cuor leggero di prendere in esame i diversi aspiranti alla sua mano, e scegliere Kris era stato un atto spontaneo, che metteva tutti d’accordo.
 
Nel frattempo c’era stata la cerimonia d’incoronazione e, tutta presa dai numerosi impegni di governo sul fronte interno, dove aveva apportato importanti migliorie per il popolo, e su quello esterno, rinsaldando i rapporti con gli stati confinanti, non aveva avuto più tanto tempo e modo per occuparsi di sé stessa.
A lei ci pensavano gli altri.
 
Una sera però successe una cosa strana.
 
Era stato dato un ricevimento, nella reggia, per l’ambasciatore italiano ad Arimania, e ovviamente vi aveva preso parte anche Kris, in alta uniforme come di rito.
Era bellissimo, e le donne della corte sospiravano ogni volta che gli passava accanto o che incrociavano il suo sguardo.
Erano tutte innamorate di lui.
Fra le regole non scritte della vita di corte, c’era anche la possibilità di avere degli amanti o delle amanti, delle cortigiane più o meno ufficiali.
Da che mondo e mondo i matrimoni erano combinati, e intrattenere relazioni amorose o sessuali al di fuori della coppia ufficiale era tollerato, se non incoraggiato, per il benessere della coppia stessa.
L’importante era che il tutto avvenisse con discrezione e che non nascessero figli da tali relazioni; soprattutto che la regina non generasse figli, se non con il consorte legittimo.
Anche il matrimonio fra la Regina e Kris non sarebbe stato un matrimonio d’amore, e le donne del corteggio speravano che prima o poi lui scegliesse una di loro per intrattenersi, o per trovare il vero amore fra le loro braccia.
 
Ma quella sera Kris non aveva occhi che per la bella Regina, facendo la felicità dei giornalisti, dei fotografi e dei dignitari di corte che gongolavano per l’ottima scelta fatta.
Pertanto quando i due uscirono sulla terrazza a chiacchierare, nessuno si stupì più di tanto, e anzi cercarono di lasciarli discretamente da soli; non succedeva mai che i due potessero parlare senza un codazzo di personaggi dei più svariati, e per una volta nessuno li seguì.
La cerimonia, che era partita in pompa magna, si stava rivelando come tante altre, noiosa e con un che di stantio, come una recita ripetuta centinaia di volte, con gli stessi attori e le stesse comparse.
 
“Non pensi mai di andartene via di qui, di cambiare vita?” le chiese di punto in bianco Kris quando raggiunsero il balcone di pietra, aggettante sul magnifico giardino all’italiana.
 
Ai loro piedi si stendeva un intricato labirinto di siepi, punteggiato qua e là di panchine di marmo consunto e fontanelle zampillanti con putti e amorini.
La Regina trasalì: non si aspettava tanta schiettezza, finora, anche se avevano parlato sempre tantissimo, principalmente di argomenti seri, o al contrario del tutto leggeri e mondani, non erano mai scesi a raccontarsi di loro stessi, di aprirsi verso l’altro, accennando a cose estremamente personali, quindi si stupì non poco.
Quella domanda, posta così all’improvviso, nascondeva un’insidia, la Regina ne percepiva la pericolosità, ma non sapeva dire perché.
 
“Allora? Non dirmi che non ti sei mai chiesta come sarebbe stata la tua vita fuori di qui!” La incalzò lui, di fronte al suo mutismo attonito.
 
Alla fine la Regina si decise a rispondere:
 
“Kris, ma che stai dicendo? Io sono nata e cresciuta con l’idea che sarei stata regina un giorno, io ed io soltanto. Lo sai che sono sempre stata l’unica erede al trono, che i miei genitori non sono riusciti ad avere altri figli…”
 
Parlare delle gravidanze non portate a termine di sua madre, e del suo senso di vuoto per la mancanza di fratelli e sorelle con cui condividere le sue giornate, la faceva star male; aveva altresì perso entrambi i genitori nel giro di poco tempo ed ora si sentiva sola al mondo.
Non voleva pensarci, e di certo la prospettiva di mettere su una famiglia tutta sua, accanto a Kris, non le faceva dimenticare quel senso strisciante di solitudine che si era sempre portata dietro fin da bambina, quando, per giunta, non poteva nemmeno godere dell’affetto dei suoi, sempre troppo impegnati con gli affari di stato, e in giro per il mondo.
 
S’incupì.
 
Ecco, questo Kris avrebbe dovuto impararlo in fretta: non le piaceva affrontare certi argomenti.
Ma non poteva prendersela con lui, Kris non la conosceva, non si conoscevano, pertanto resistette alla tentazione di rispondergli male; del resto lui le era pari a lignaggio, non era un suo sottoposto qualsiasi.
Cercò di addolcirsi.
 
“Volevo dire… conosco bene quali siano i miei doveri, e sto bene così, inoltre non mi ci vedrei a fare un’altra vita. Cosa potrei mettermi a fare? Forse la stunt woman in un film d’azione?” E anziché ridere della sua stessa battuta, improvvisamente il cuore le perse un colpo, e si spaventò.
 
Che diavolo le era preso?
Perché immaginare una cosa tanto assurda l’aveva così sconvolta?
Cercò di dissimulare il suo disagio, che Kris non pensasse che era una squilibrata mentale, oltre che rigida bacchettona.
 
La risata sincera che invece sgorgò dalla gola del principe, la riscosse dai cupi pensieri, e si costrinse a guardarlo; era davvero un bel ragazzo e pensò di essere fortunata a doversi sposare con lui: almeno non le era toccato il principe Adam, basso e tarchiato, e con una preoccupante propensione agli alcolici, o Nathan, così alto e allampanato, talmente magro che la sua postura sempre leggermente ingobbita, lo faceva somigliare ad un vecchio becchino.
No, Kris era una gioia per gli occhi.
 
“Hai ragione, non ti ci vedrei a fare altro di diverso dalla governante illuminata di un piccolo regno ricco e fiorente” e le sorrise maliziosamente “Però credo che certe acrobazie ti verrebbero bene lo stesso” e senza aspettare che lei cogliesse il senso delle sue parole, si avvicinò a lei e la baciò con passione.
 
La Regina dapprima non rispose al bacio, troppo stupita per reagire a quell’approccio passionale; nessuno aveva mai osato tanto e, nel tempo, si era sempre tenuta distante dai vari principi e principini che sapeva essere innamorati di lei, e che volevano anche solo avere un’avventura con la bella Yuki.
Però poi chiuse gli occhi e si lasciò andare, cingendogli il collo con le mani guantate.
Kris baciava divinamente, e ancora una volta si disse fortunata che fosse lui il suo promesso sposo; forse alla fine non tutto il male veniva per nuocere e quel matrimonio combinato avrebbe potuto essere un matrimonio felice ugualmente.
 
La Regina, ormai dimentica dell’etichetta, del ruolo che doveva interpretare e soprattutto del posto in cui si trovavano – casa sua! – fu sul punto di concedersi molto di più di un semplice bacio.
Sentiva il corpo in fiamme, il sangue ribollirle nelle vene; era contenta del trasporto che stava provando, del desiderio che la spingeva verso quell’uomo affascinante che era nientemeno il suo fidanzato ufficiale!
Ma lui si fermò in tempo e, staccandosi da lei, le sussurrò all’orecchio, prima di allontanarsi definitivamente e rientrare nel salone:
 
“L’amore verrà in seguito!”
 
La frase di per sé era una specie di mantra, che generazioni e generazioni di fidanzati e promessi sposi si erano ripetuti, o sentiti ripetere quando pensavano al legame che avrebbero dovuto contrarre con un perfetto sconosciuto o quasi, ma detto da lui, subito dopo quel bacio di fuoco, aveva dell’incomprensibile. Cosa aveva voluto intendere?
Che ciò che lo aveva spinto verso di lei era solo pura attrazione fisica, che nulla aveva a che vedere con l’amore vero e proprio?
Che aveva solo voluto testare a che punto era la loro sintonia, se il desiderio fosse reciproco?
 
Una cosa era certa però: quell’approccio, la Regina, l’aveva trovato estremamente piacevole, e sotto sotto pensava che, se tanto mi dà tanto…
 
Anche questo, inoltre, era un piacevole effetto della vita che viveva, perché cercarne un’altra?
Era costretta a sposarsi con un aitante principe, e non aveva dovuto fare nemmeno lo sforzo di andarselo a cercare, di iniziare una qualsiasi relazione con tutte le incognite del caso.
No, si disse, andava decisamente bene così: la vita era bella, e non avrebbe voluto essere nessun’altra se non Yuki di Arimania.
 
 
 
 
La notte stessa, però, fece un sogno strano.
 
Sognò altri due occhi neri che la scrutavano nel buio: erano insondabili, con una punta di tristezza di fondo, ma non le incutevano affatto terrore. 
Quegli occhi appartenevano ad un viso che, emergendo dall’oscurità, aveva un non so che di noto, le sembrava di riconoscerlo, ma era frustrante non potersi ricordare il dove, il come e il quando.
La bocca soprattutto… la bocca che si atteggiava ad un sorriso stanco, l’attirava irrefrenabilmente; e lei aveva solo un pensiero in testa: baciare, baciare quella bocca.
Ad un certo punto, si era svegliata di soprassalto, madida di sudore, ansimante, e più cercava di dare un senso a quel sogno e più non ne trovava.
Perché più ci pensava, più provava un senso di inquietudine?
 
Da quella volta tornò spesso a fare lo stesso sogno, ed ogni notte si aggiungeva sempre un particolare nuovo; progressivamente però, crebbe in lei un senso di disagio e frustrazione, poiché sentiva che quelle sembianze, quel volto che si disvelava sogno dopo sogno, appartenevano ad una persona importante, che però lei non riusciva a ricordare.
 
Una notte d’estate, complice il caldo e le tante preoccupazioni assorbite durante la giornata appena trascorsa, ebbe degli incubi spaventosi e, dibattendosi nel letto ormai fradicio di sudore, si ritrovò a ripetere un nome, un unico nome di sole tre lettere; lo invocava come a chiedergli aiuto: Ryo!
 
Era riemersa dall’incubo con il cuore impazzito, e passandosi una mano tremante fra i lunghi capelli appiccicati alla fronte sudata, ebbe paura di pronunciare ad alta voce quel nome che l’aveva tormentata tutta notte, come se udire la sua stessa voce scandire quelle lettere, avesse potuto far materializzare quell’uomo, lì nella sua camera.
Era sicura che il volto dello sconosciuto e il nome ripetuto come una nenia, appartenessero alla stessa persona.
C’era solo un problema: che lei non sapeva chi lui fosse.
 
Era scesa, allora, dal letto e, silenziosamente a piedi nudi, aveva percorso tutti i lunghi corridoi della reggia, per raggiungere gli appartamenti privati della vecchia nutrice.
Aveva bussato timidamente alla sua porta, e per un attimo si era ritrovata bambina quando, svegliandosi da un brutto sogno, o non riuscendo a dormire terrorizzata dal temporale, correva dalla buona dama per farsi coccolare.
Era sempre da lei che ricorreva: lei era la guardiana del suo cuore, la custode del suo intero passato.
 
L’anziana, abituata a captare ogni più piccolo rumore che avrebbe significato una richiesta d’intervento di qualsiasi tipo, sempre pronta e scattante, sempre in servizio, anche adesso che era in pensione, si destò senza particolare apprensione, in automatico.
Non avrebbe mai perso quell’atteggiamento da donna votata al benessere altrui, da fata madrina; era come se non esistesse affatto se non come governante, come nutrice, come dama di compagnia; come se non avesse una sua identità.
Riconobbe subito la principessa, e fu così che la chiamò, nonostante ora sarebbe stato più opportuno rivolgersi a lei con l’appellativo di Sua Maestà, ma Yuki non ci fece caso; inconsciamente le fu grata di essere stata accolta con amore e comprensione, con quel calore che non le era mai venuto da sua madre.
 
“Cosa succede, piccola mia?” le aveva chiesto, con la voce impastata dal sonno, avvolta in una preziosa camicia da notte in seta; non era una semplice governante, ma la Nutrice Reale, pertanto poteva permettersi di vestirsi con abiti costosi e ricercati.
In ogni caso, la donna pensò che la Regina fosse in ambasce per l’approssimarsi del suo matrimonio, e già era pronta a fornirle i chiarimenti del caso, a rassicurarla, compresa nel suo ruolo di consigliera e mentore, e si stupì non poco quando invece le chiese, quasi a bruciapelo:
 
“Cosa mi è accaduto quando ero in Giappone? Raccontami tutto!”
 

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Capitolo 4
*** Andare oltre ***


Buon Anno Nuovo, gente *____* Mi e ci auguro di poter passare altri 363 giorni insieme, troppi dite? Ok, solo quelli che vorrete e che vorrò :D
Auguri per uno splendido 2023 fuori e dentro di qui.
 

E così arriva anche il cap. 4… vi piacerà? Fatemi sapere.
Vi abbraccio

Eleonora

 
 
Cap. 4 - Andare oltre
 
Dopo quella prima notte insieme, gradatamente Ryo e Kaori si lasciarono andare a piccoli slanci di affetto, carezze più o meno furtive, tenerezze.
Erano sempre molto impacciati nel farlo, ancora troppo ancorati alla parte sostenuta per tutti quegli anni; si sentivano sempre strani quando provavano ad approcciarsi l’un l’altro, e non perché non lo volessero, ma solo perché si erano sempre trattenuti dal farlo, ed ora… non sapevano come esprimersi.
Ma allo stesso tempo era tutto eccitante e nuovo, ed erano anche troppo felici per credere che fosse finalmente vero.
 
Quando uno dei due tentava una carezza o una gentilezza, era sempre guardingo nel farlo perché già si aspettava, come da copione, la reazione avversa e contraria dell’altro.
Nel caso di Kaori si aspettava di essere derisa e respinta; nel caso di Ryo, di essere preso a martellate per la troppa audacia dimostrata, o che la compagna andasse in ebollizione e, paralizzata, non fosse più in grado di reagire per la troppa emozione, che potenzialmente gratificava l’uomo, ma di fatto la viveva come una reazione spropositata che non portava a nulla.
 
I primi baci furono delle vere e proprie esperienze magiche per entrambi, e c’era da sorridere per l’impaccio dimostrato da Ryo, il grande stallone di Shinjuku, ma ogni volta che provava a baciare Kaori, gli sembrava di approcciarsi ad una creatura ultraterrena, che gli aveva fatto la grazia di concedersi a lui.
Viveva nella sua devozione e alla ragazza non sembrava possibile, proprio a lei che era stata così tanto osteggiata, insultata, a volte umiliata; questo atteggiamento di Ryo la destabilizzava e turbava assai, ma allo stesso tempo la riempiva di orgoglio… quando il dubbio non la tormentava.
Kaori vedeva che l’uomo in qualche modo la desiderava, anche se lui cercava di essere discreto per non spaventarla; d'altronde, lei conosceva quanto quella ben nota parte del suo corpo fosse suscettibile e vivesse di vita propria: era sempre stata la croce e delizia della loro partnership, la dannazione della ragazza, l’orgoglio dell’uomo, e poterla sfoggiare impunemente, il suo maggior vanto.
Ma ora Ryo faceva sul serio, e capiva che non era il caso di mettere al primo posto le sue voglie smodate da porcello in calore; allo stesso non voleva, però, nemmeno sconfessare il suo desiderio, perché era giusto che Kaori sapesse, che sapesse che qualcosa era cambiato.
Nonostante ciò, Ryo non andava mai oltre nei suoi approcci, e Kaori stava iniziando a credere che davvero il loro sarebbe stato un amore poco più che platonico, perché di prendere lei l’iniziativa non se ne parlava nemmeno lontanamente parlando, ma se lui non ci provava mai, come potevano fare?
 
In crescendo scendevano sempre più in intimità: le carezze si facevano più mirate, più decise e deliberate, i baci molto più appassionati, lunghi, lasciandoli senza fiato, ansanti.
Si sfinivano di tenerezze, di abbracci e strusciamenti, ma anche se poi finivano per passare la notte insieme, addormentati nello stesso letto, e avvinghiati per non perdersi nulla del calore del corpo dell’altro, restavano sempre segretamente insoddisfatti.
Troppo timidi per parlarne apertamente, tacevano, anche se ogni volta cercavano di spingersi sempre un po’ più in là.
 
Per fortuna, prima che la situazione diventasse troppo frustrante da sopportare, e che certe remore intaccassero la loro felicità pura, una sera, davanti al solito film noioso, pensarono bene di vivacizzare la situazione.
 
Avevano una gran voglia di toccarsi, di sentirsi, e con la scusa di bisticciare e poi farsi il solletico, iniziarono a lottare, ridendo, distesi sul divano.
 
Era così eccitante muoversi uno contro l’altro, stringersi, respingersi, per poi afferrarsi nuovamente, far correre le mani, le dita, in ogni dove, solleticare l’altro ma anche stimolarlo, un po’ per gioco, un po’ con malizia, e ben presto quello non fu più solo farsi il solletico, ma una richiesta impellente di molto di più.
 
Ryo aveva giusto imprigionato Kaori sotto di sé, e pur stando attento a non gravarle addosso, godeva nel sentire i loro corpi quasi aderire; la sua virilità era così accentuata che era impossibile lei non se ne accorgesse, ma lui non se ne dava peso.
In fondo quello era l’espressione della sua passione, del suo desiderio, e voleva che lei lo capisse, che lei lo sentisse.
Ciononostante, lui si fermava lì, era come se aspettasse un cenno da lei, il consenso ad andare oltre.
 
Kaori, rossa in volto, accaldata per il troppo ridere e per essersi dimenata come un’ossessa, si era fatta altresì languida e recettiva; sentiva un vuoto dentro, e un bisogno ben noto: voleva Ryo, voleva accoglierlo dentro di sé.
Durante la lotta più volte, inconsapevolmente, aveva spinto il bacino verso l’altro, alla disperata ricerca di un contatto più profondo, e il sentire la sua eccitazione premere attraverso i vestiti, l’aveva a sua volta eccitata.
 
Ancora una volta le vecchie remore, le paure, i complessi d’inferiorità, la frenarono.
 
Anche se quella non fosse stata la sua prima volta, per cui tra l’altro, dentro di sé, si sentiva più che pronta, l’uomo con cui voleva farlo era niente meno che Ryo Saeba, lo sciupa femmine, il playboy che aveva fama di amatore seriale, un vero professionista del sesso… e lei era semplicemente Kaori Makimura.
Non era la sensuale e provocante Saeko, non era la sicura e intraprendente Reika o la avvenente Kasumi, non era nessuna delle affascinanti e attraenti clienti che erano transitate nella loro vita.
Ogni volta le sembrava perfino troppo, quello che era riuscita ad ottenere da Ryo, con la segreta paura di perdere tutto per una parola o un gesto sbagliato.
Però non poteva ignorare la passione che l’altro metteva in tutti i suoi baci, nelle sue carezze che la facevano vibrare di desiderio e la colmavano di aspettativa.
 
Ci stavano penosamente girando intorno, con il risultato di esasperare il bisogno dell’altro, di esaurire le energie nel vano tentativo di frenarsi sempre lì, sul limitare.
 
Anche quella sera Ryo era arrivato ad accarezzarle la parte più sensibile del corpo, la stava portando velocemente verso il culmine del piacere, e la ragazza stava per lasciarsi andare alla sublime beatitudine, quando, con un notevole sforzo riuscì ad allontanargli la mano, attirando la sua attenzione e cercando di guardarlo negli occhi con più decisione possibile.
 
L’uomo, dapprima incredulo, per un attimo temette di aver esagerato, anche se altre volte Kaori l’aveva lasciato fare, fin troppo felice delle sue attenzioni; la guardò interrogativamente e quando la compagna, ansante, lo fissò, capì che erano arrivati al punto culminante della questione.
 
Lei gli disse semplicemente:
 
“Perché ti stai trattenendo?”
 
Ryo accusò il colpo, colto alla sprovvista, ma ben consapevole che la sua magnifica socia aveva fatto nuovamente centro, ma poi le sorrise e, vibrante, le chiese a sua volta:
 
“E tu? Perché ti stai trattenendo?”
 
Stavolta toccò a Kaori trasalire; si sentì colta in fallo: allora lui l’aveva capito, l’aveva sentito?
In fondo perché non avrebbe dovuto?
Lui era un uomo navigato, un amante esperto, e di sicuro stava pensando che non era altro che una novellina, una sprovveduta imbranata.
S’incupì, e i suoi occhi si velarono di sconforto; persero la naturale lucentezza che aveva fatto innamorare Ryo e che, in certi momenti, lo inebriava e lo stordiva.
L’uomo capì al volo che la sua Sugar aveva equivocato e, seppur consapevole di essere sull’orlo del burrone e che sarebbe bastata ancora un’altra carezza e non avrebbe risposto di sé, si sforzò di chiarire:
 
“Kaori, sei la donna più bella e desiderabile che io abbia mai conosciuto. Sto letteralmente ribollendo di desiderio, ma ho paura che tu non sia pienamente sicura, che non mi voglia fino in fondo…” e la sua voce assunse un tono venato di tristezza.
 
“Ma-ma che stai dicendo?” si allarmò la donna che, al pari del suo compagno, faticava a ragionare lucidamente, preda com’era della passione e dell’abbandono “Io Ryo ti voglio! Forse… forse… non l’hai capito?” e d’improvviso si sentì una sciocca e fece per tirarsi su.
 
Ryo la fermò:
 
“Sì che l’ho capito, ma…io, Kaori… sono io, Kaori. Voglio dire… hai sempre detto che sono un maiale, un porcello in calore… e forse, non so… Ti frena quello?”
 
“Oh, Ryo, ma certo che no!”
 
“E allora cos’è? Non sono abbastanza per te? Perché io… perché io ti amo e non so come fare a dimostrartelo…”
 
Kaori spalancò gli occhi, attonita.
Incapace di credere alle sue orecchie, si mosse a disagio sotto il corpo di Ryo, che stavolta la lasciò andare.
 
“Ry-Ryo… ho sentito bene?” chiese, la ragazza, convinta di aver capito male.
 
“Sì, è quello che ho detto. Ma forse preferiresti uno meno volgare di me… uno più… più… diverso?”
 
Per tutta risposta Kaori gli gettò le braccia al collo, e lo attirò a sé con foga e passione; cercò le sue labbra e mise nel suo bacio tutto l’amore di cui era capace.
Ryo chiuse gli occhi e quasi si lasciò sfuggire un singhiozzo, o così parve a lei.
Quando si allontanarono quel tanto per potersi guardare negli occhi, Kaori si accorse che Ryo stava tremando e, un po’ per tornare a sentirlo totalmente addosso, e un po’ per consolarlo, fece ricorso, bizzarramente, al suo istinto materno, e lo strinse più forte.
Quindi gli sussurrò sulle labbra:
 
“Io Ryo, ho paura che… insomma non ho avuto nessun altro mentre tu… quante donne sono passate nel tuo letto?”
 
“Vorresti dire che… davvero? Kaori non penserai che… non ti sentirai da meno di… quelle???”
 
E stavolta fu lui ad abbracciarla stretta, affondando il viso nel suo collo, e cercando di infonderle coraggio e consolazione; e lì le disse, con un soffio di voce:
 
“Era anche troppo facile andare con quelle… Ma tu sei diversa, Kaori, sei la persona più importante che mi sia mai capitata d’incontrare nella vita e non voglio perderti” poi spostando il viso e tornando a guardarla intensamente: “Io ho paura di rovinare tutto…” e le rivolse un sorriso disarmante, quasi rassegnato, come di chi sa di fare sempre la cosa sbagliata nel momento sbagliato.
 
Un’ondata di amore sommerse, allora, la ragazza che, se possibile, l’amò di più, e senza bisogno di aggiungere altro si mise a baciarlo con un tale trasporto che ci mise tutta sé stessa; e tanto era la brama e l’urgenza, che prese a spogliarlo con foga.
Gli sfilò la maglietta e armeggiò con la cintura fino a slacciarla.
Ryo, galvanizzato dall’iniziativa della compagna, e felice che fosse lei a darsi da fare, ormai più sicuro, fece la sua parte, e finalmente poté spogliare quella giovane donna che da sempre lo faceva andare fuori di testa.
 
In men che non si dica i loro corpi nudi si muovevano avvinghiati sul divano, eccitati dal contatto della pelle sulla pelle, e soprattutto liberi di poter esprimere i loro desideri più veri.
 
Si unirono e si compenetrarono come avevano sempre sognato di fare, dandosi reciprocamente piacere, in un rincorrersi e in un concedersi meravigliosi.
Erano finalmente e semplicemente Ryo e Kaori, nati per stare insieme, e mai unione fu più perfetta.
 
 
 
Molto dopo, poco prima che il sonno li cogliesse, ormai sazi e soddisfatti, pensarono all’inutilità delle loro remore, a quanto fossero stati sciocchi nel trattenersi, ognuno per il suo strano motivo, ma anche quello faceva parte del loro carattere ed entrambi ne apprezzarono la peculiarità; in fondo non si erano innamorati dell’altro anche per quello?
 
 
 
 
Ecco perché quella mattina Kaori sorrideva riordinando la stanza: perché la sera prima, proprio come quella prima volta, tutto aveva seguito quel ben noto percorso.
L’idea di guardare un film in tranquillità sul divano, la perdita di interesse subitanea per trama e personaggi – che film era? non ricordava nemmeno il titolo! –, un po’ di solletico e lotta e poi… eccoli lì, nudi, a fare l’amore come solo loro sapevano fare.
E allora al diavolo la confusione e il disordine, se il tutto era il frutto del loro amarsi!
 
Era una bella mattina di sole, Kaori era felice anche di riordinare; stava con Ryo, era la sua compagna, la sua amante, finalmente erano felici… cos’altro poteva andare storto?
 
Ma… cos’era quel pezzetto di carta che spuntava da sotto il cuscino del divano?
Sembrava una lettera.

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Capitolo 5
*** Un desiderio struggente ***


…L’epifania tutte le feste porta via, ma non la ff mia :D
Visto? Sono anche una poetessa XD
A parte gli scherzi, ancora GRAZIE gente per… tutto.
Ecco the number five (5 il mio numero preferito).
Buona lettura
Eleonora

 
 
Cap. 5 - Un desiderio struggente
 
Dopo che ebbe parlato a lungo con la sua nutrice, la Regina rimase alquanto turbata, e ai sogni che si susseguivano di notte, in cui rivedeva Ryo, si aggiungevano i pensieri assillanti di giorno, che non le davano pace.
Allo stesso tempo, però, il suo rapporto con Kris, andava consolidandosi, perché sempre più cercavano di ritagliarsi momenti di privacy nel complicato e fitto tran tran quotidiano, fatto di lunghe sessioni diplomatiche, affari interni ed esterni, etichette di corte e obblighi imprescindibili per una regnante come Yuki.
Ritrovarsi lontani dalla corte e dai dignitari, era diventato il loro più assiduo desiderio; solo in quei momenti potevano essere loro stessi, due persone autentiche che, fatte avvicinare per volontà altrui, provavano a conoscersi e a capirsi.
Non che ci fossero problemi di comunicazione di sorta, anzi: più stavano insieme, più scoprivano di avere molte cose in comune, seppure avessero vissuto, fin lì, vite alquanto diverse.
 
L’infanzia di Kris era stata gioiosa e caotica; il rigore e la severità non erano di casa nella sua famiglia, e vivere con altri quattro fratelli più grandi era stata una continua festa.
I Kohinoor non erano però degli sconsiderati, i loro figli erano stati istruiti dai migliori precettori sul mercato e avevano frequentato le scuole superiori e l’università in istituti prestigiosi.
Padre e madre avevano incoraggiato sempre le tendenze e le propensioni di ogni singolo rampollo, e non avevano imposto veti o obblighi di sorta.
Tutti i ragazzi erano cresciuti con la mentalità aperta di chi gira e conosce il mondo, come avevano fatto i genitori che mai si erano separati dalla prole, alla quale avevano trasmesso i valori fondamentali della vita.
Pur potendo vivere una vita di agi e comodità, gli avevano infuso una profonda riconoscenza per la fortuna ricevuta dal destino, e mai avevano abusato della loro ricchezza.
L’amore dei coniugi, che, a differenza di altre casate reali, era autentico perché si erano scelti di spontanea volontà, aveva permesso a Kris e ai suoi fratelli e sorelle, di vivere serenamente e circondati da tanto affetto.
Gli stessi domestici, che gravitavano intorno alla famiglia reale, si reputavano immensamente fortunati di poter servire tali signori, perché trattati alla pari o quasi, stimati e apprezzati dai padroni di casa.
 
L’amore che aveva ricevuto Kris, lo spirito di libertà e riconoscenza, l’educazione a scuola e i numerosi viaggi, avevano fatto di questo giovane principe, un uomo rispettoso della persona altrui, ma anche uno che sa godersi la vita e apprezzarne tutti i lati positivi.
 
Quando in famiglia gli avevano consigliato di chiedere la mano della bellissima principessa Yuki, aveva accettato di buon grado, ligio agli obblighi imposti dal suo rango, ma anche affascinato da quella triste ed infelice principessa, la quale, si vociferava, era perfino scappata dal suo regno, pur di sottrarsi al suo destino.
Ne aveva sentite raccontare tante sul suo conto e, intrigato, si era detto che avrebbe voluto conoscerla sul serio, diventarne quantomeno amico.
Se avessero stabilito un buon rapporto, magari sarebbe nato anche un po’ di affetto, e il matrimonio sarebbe risultato meno infelice e tedioso di tanti altri.
Non aveva messo in conto che si sarebbe, infine, innamorato, e in cuor suo sperava che i suoi sentimenti fossero ricambiati o che, al contrario, sarebbe riuscito prima o poi a conquistarla.
 
Fin dagli inizi aveva notato che la Principessa, ormai Regina, era ben disposta nei suoi confronti e, al par suo, voleva sinceramente approfondire la conoscenza.
La naturale attrazione fisica, inoltre, facilitava i rapporti, e non vedeva l’ora di poter diventare in tutti i sensi il suo consorte ufficiale, per poter beneficiare delle conseguenze di quello che era, a tutti gli effetti, un contratto d’affari fra le rispettive famiglie.
 
Kris, per il momento, non pensava minimamente alle numerose e sospirose dame di compagnia che avrebbero tanto voluto entrare nei suoi appartamenti privati: se tutto fosse filato liscio con Yuki, non avrebbe cercato altrove.
Inoltre, checché se ne dicesse, nonostante fosse bello e desiderato, non usava le donne a suo piacimento; non era un playboy come lo si voleva far credere, ma un giovane assennato che si era innamorato poche volte nella vita, e che cercava l’amore vero.
Sapeva cosa volesse dire avere il cuore spezzato, e non faceva per lui rincorrere le avventure.
Il destino aveva messo sulla sua strada la Regina Yuki di Arimania, e lui ne sarebbe diventato il consorte ufficiale; dovevano al popolo una discendenza legittima e avrebbero provveduto anche a quello.
Se poi fra loro due fosse nato anche l’amore, sarebbe stato un piacevole di più.
 
Yuki apprezzava in Kris quel suo spirito libero, la sua leggerezza, che però non lo distoglieva dagli affari di corte e dagli obblighi di rango; amava i racconti dei suoi viaggi e ne rimaneva affascinata, lei che era uscita pochissimo dal suo regno, e solo per affari legati al governo.
Gli invidiava il rapporto con la sua famiglia d’origine, perché avrebbe tanto voluto averlo anche lei; in un certo senso aveva vissuto da orfana anche quando i suoi genitori erano in vita, e la mancanza di fratelli e sorelle aveva acuito la sua solitudine.
Non le era capitato così spesso di incontrare i fratelli di Kris, quelli che col matrimonio sarebbero diventati cognati e cognate, e sognava di entrare a pieno titolo nella sua rumorosa e affollata famiglia; non come la Regina, ma come Yuki, la moglie di Kris.
Il fatto che il loro sarebbe stato un matrimonio morganatico impensieriva un po’ la giovane regina, che desiderava essere considerata alla pari e non superiore a tutti gli altri.
 
Kris possedeva fascino e carisma, ma non solo per l’innegabile prestanza fisica: era un ottimo ascoltatore e consigliere, era simpatico e sempre allegro, era una vera e propria ventata di aria nuova nella sua vita.
 
Non per la prima volta, Yuki si chiese se l’aver frequentato solo superficialmente tutta la pletora delle teste coronate, non l’avesse anche allontanata dalle potenziali amicizie; se non essersi concessa più momenti da passare con tutti gli altri rampolli come lei, non le avesse tolto la possibilità di conoscere prima un tipo come Kris e di diventare amici.
Magari qualcuno di quei suoi viaggi avrebbero potuti farli insieme, magari avrebbe assaggiato prima le sue dolcissime labbra, magari… si sarebbe innamorata molto prima; o no?
 
Ma Yuki voleva a tutti costi lasciarsi alle spalle il passato, voleva solo vivere pienamente il presente, tutta tesa ad un roseo futuro; ecco perché cercava spesso la compagnia di Kris ed entrambi cercavano, il più possibile, di sgattaiolare via dagli impegni di corte per passare più tempo insieme.
Allo stesso tempo, però, un peso le gravava sul cuore e le offuscava la felicità che stava nascendo da questo fidanzamento obbligato, rovinandole i bei momenti passati con Kris.
Il pensiero di Ryo tornava spesso a tormentarla: i suoi occhi stanchi e malinconici, le sue labbra che aveva assaggiato solo una volta, il bisogno di averlo di nuovo accanto nella sua vita, il desiderio di rivederlo ancora una volta… o ancora di più.
Un’idea folle le balenava sovente nella testa, e cioè di chiamarlo nel suo regno, come Capo dei Servizi Segreti, o a comandare l’Armata Reale, o ancora come Consigliere di Corte; gli avrebbe perfino offerto la possibilità di farsi un harem tutto suo, se solo avesse voluto, se solo fosse venuto lì per lei.
Essere sposata con Kris, a quel punto, non avrebbe fatta nessuna differenza, perché lei come Regina avrebbe potuto prendersi tutti gli amanti che voleva, ed era quasi sicura che Ryo avrebbe accettato.
 
Quella volta, in Giappone, lei lo aveva spaventato, offrendogli il suo regno, offrendogli la possibilità di diventare il suo consorte ufficiale per poter governare insieme… ma lui non amava i legami, voleva rimanere libero.
Era sicura che fosse così, che lui l’avesse riportata all’ambasciata solo perché non voleva impegnarsi; d'altronde avrebbe dovuto cambiare totalmente vita, trasferirsi in un paese straniero, sottostare a delle leggi che lui non aveva scelto – lui, che viveva solo delle sue –, avrebbe dovuto essere fedele ad una donna, ad una soltanto, e invece…
Lei era stata una sciocca egoista, e l’aveva perso.
Invece, così, lui sarebbe stato libero di impostare la sua vita come meglio avrebbe creduto, circondato dalla ricchezza e dal potere, dalle donne perfino, tutte quelle che voleva, e finalmente avrebbe avuto anche lei: non la principessa, ora regina, Yuki, ma la giovane donna per cui aveva perso la testa e che aveva salvato dagli attentati dei nemici del regno.
 
Pur essendosi gradatamente aperta con Kris, ed avergli incredibilmente raccontato tantissimo di lei – anche, incidentalmente, di Ryo, ma senza mai scendere nei particolari – ora non poteva dirgli che avrebbe tanto voluto riallacciare i rapporti con Mister Saeba in persona.
Capiva che Kris avrebbe visto il suo territorio invaso da un altro maschio alfa, e anche se avrebbe dovuto abbassare la testa di fronte ad un ipotetico volere della regina in persona, i loro rapporti si sarebbero guastati all’istante.
Non voleva perdere l’intimità e la familiarità raggiunta con il principe, ma nemmeno si sentiva di dover rinunciare per sempre a Ryo.
Stare con Kris le aveva insegnato che se c’è qualcosa che si desidera ardentemente nella vita, bisogna fare di tutto per raggiungerlo, o anche provarci, e che arrendersi senza tentare è da vigliacchi.
E in fondo non lo era stata proprio lei?
 
Come una bambina viziata, quando non aveva potuto avere Ryo, perché lui non aveva accettato le sue regole, lei non solo si era subito arresa, ma si era fatta pure cancellare la memoria, per dimenticarlo.
Invece avrebbe dovuto lottare per averlo, venirgli incontro, essere meno egoista.
 
E adesso si trovava potenzialmente divisa fra due amori, fra due uomini bellissimi, affascinanti, che le sconvolgevano la vita e che avrebbe voluto, entrambi.
 
 
 
Un giorno che Kris e Yuki erano andati a fare una lunga cavalcata nei dintorni della reggia, il principe imboccò un sentiero appena battuto, che si snodava nel sottobosco e sbucava in una piccola radura, circondata da massicce pietre affioranti dal terreno e parzialmente ricoperte di muschi e licheni.
 
“Ma questo è il Regno delle Fate!” esclamò allora la Regina.
 
“L’ho scoperto giorni fa, ma immaginavo tu lo conoscessi già!” Spiegò il principe.
 
“Sì, ci venivo sempre con il mio maestro d’equitazione: mi piaceva così tanto, questo posto, che nella mia fantasia lo ritenevo abitato dalle fate. Ma devo confessarti una cosa…” disse Yuki scendendo da cavallo, facendo passare le briglie sopra la testa del suo magnifico roano, e dirigendosi all’albero più vicino per legarvi i robusti lacci di cuoio.
 
“Cosa?” chiese curioso ed intrigato Kris.
 
Yuki non rispose subito; si avvicinò a lui, che era già sceso e con una mano accarezzava il muso del suo possente baio, e gli sussurrò maliziosa:
 
“Devo confessarti che io di fate non ne ho vista nemmeno mezza!” e ridacchiò.
 
Anche Kris sorrise, però le disse:
 
“Eppure ora una ce n’è…” e lasciò in sospeso la frase.
 
Yuki, nonostante fosse avvezza ai complimenti e alle adulazioni, ogni volta che sentiva un apprezzamento da parte di Kris non poteva non arrossire, perché sapeva essere sincero e le piaceva piacergli.
 
Gli si avvicinò e gli depose un bacio leggero a fior di labbra, ma il cavallo con una testata la scansò; la bestia non voleva di certo farle del male, ma forse era semplicemente gelosa del suo cavaliere.
 
“Ehi, la tua Artemide è gelosetta, direi!” rise la Regina, allontanandosi e sedendosi alla base del masso più grande.
Formava una specie di sedile, mentre gli altri affioramenti rocciosi correvano a semicerchio, delimitando una porzione di terreno erboso e morbido.
 
“Mi piace questo posto” disse Kris, accomodandosi accanto a lei con un sospiro “La prossima volta potremmo farci un picnic e accendere un fuoco, che ne dici?”
 
“Sarebbe un’idea magnifica!” esclamò la donna, deliziata da questa interessantissima prospettiva.
La sola presenza di Kris valorizzava anche i luoghi della sua infanzia, colorava il suo passato e ammantava di buono e bello ogni cosa, anche la più vecchia e scontata.
Si strinse a lui, grata.
 
Fu del tutto naturale che le loro labbra si cercassero, trovandosi.
Era così bello lasciarsi andare in quel luogo magico, dimentichi del resto del mondo; lontani dalle rigide formalità a cui erano abituati, lontani dall’attenzione di chi cercava nella loro vita qualcosa di cui parlare o sparlare, lontani dai fotografi e dai curiosi; lontani perfino da chi voleva sinceramente solo il loro bene.
 
I baci si stavano facendo sempre più passionali e partecipati, le mani vagavano sopra e sotto le corte giacchette della divisa; le lunghe gambe della ragazza, valorizzate dai calzoni bianchi aderenti e dagli alti stivali, erano accarezzate dalle grandi mani virili di Kris.
Lei gli aveva già sciolto l’ascot ed aveva affondato il viso nel collo dell’uomo per assaporarne l’odore.
 
L’atmosfera si stava facendo sempre più torrida, e non erano mai arrivati a tanto, sempre interrotti sul più bello, da qualcuno o da qualcosa, richiamati alla realtà e ai numerosi impegni; a volte loro stessi si frenavano, spaventati da ciò che erano sul punto di compiere.
Ma lì, in quel momento, sembrava che tutto fosse possibile; stavano lentamente perdendo ogni inibizione, desiderosi di conoscere l’altro fino in fondo, quando ad un tratto un nome balenò nella mente di Yuki, e ci mancò poco che lo pronunciasse ad alta voce: Ryo!
 
Si arrestò all’improvviso, ansante, terrorizzata.
 
“Che-che… che succede?” chiese il principe, incapace di capire perché la donna si fosse staccata con violenza da lui.
Ancora su di giri, al colmo dell’eccitazione, faticava a ritornare lucido.
 
Yuki, tornata in sé e consapevole che doveva una spiegazione al suo fidanzato, cercò disperatamente una scusa, per poi dirgli:
 
“Non possiamo… non possiamo… farlo prima del matrimonio!”
Suonava falsa anche a lei questa motivazione, e sperò che lui l’accettasse senza discutere, invece protestò:
 
“Ma siamo ufficialmente fidanzati!”
 
“Sì, ma se dovessi rimanere incinta?” la Regina ci provava in tutti i modi a perorare la sua causa, ben consapevole che ogni sua obiezione avrebbe potuto essere smontata con facilità.
 
“… ci staremo attenti” le disse Kris e, istintivamente, si batté le dita sul taschino del giacchetto.
 
Temeva di apparire uno sfrontato, uno che sperava di fare sesso sempre e comunque, tanto che si portava dietro degli anticoncezionali, ma davvero sarebbe stato da sprovveduti fare diversamente.
Non erano più due adolescenti e anzi, si aspettava da loro proprio che lo facessero, con tanto di progenie come conseguenza.
E poi gli era sembrato di capire che anche lei lo volesse.
Che si fosse sbagliato?
Si rattristò.
 
“Ho capito” e fece per risistemarsi e mettersi in piedi.
 
“As-aspetta!” lo bloccò la ragazza, preoccupata di aver effettivamente rovinato tutto.
Ma come poteva darsi totalmente a lui, se l’immagine di Ryo si era sovrapposta a quella di Kris?
Avrebbe rischiato di fare l’amore con uno, pensando di farlo con un altro…
Dove finiva l’amante reale e iniziava quello fantastico e ideale?
Però non voleva offenderlo, ferirlo: teneva troppo a lui per arrecargli nocumento.
 
Fece per allungare una mano a sfiorargli la guancia; per fortuna lui non si ritrasse e, anzi, chiuse gli occhi al suo tocco gentile.
No, Kris era ciò di più bello potesse capitarle e non voleva fargli del male.
 
“Kris, ti prego…” e la Regina non seppe dire di cosa volesse pregarlo in realtà; forse che lui capisse tutto quello che c’era da capire, senza che lei parlasse, perché non avrebbe mai potuto spiegargli che Ryo invadeva i suoi pensieri ed era tormentata da lui, al punto che non sapeva più chi desiderasse maggiormente dei due.
 
Il principe, intenerito dai suoi occhi colmi di lacrime, dalla sua espressione colpevole e contrita, non se la sentì di rinfacciarle nulla, del resto non aveva tutti i torti e, se non si sentiva pronta, non sarebbe stato lui a forzarla.
Non sapeva se prima di lui avesse avuto altre esperienze, né gli interessava: ciò che apparteneva al passato, lì doveva rimanere, così lui pensava.
Forse era ancora illibata e la prospettiva della prima volta la spaventava; in fondo la loro relazione era cresciuta piano piano, e non aveva visto in lei troppa malizia o lussuria, magari aveva ancora delle remore su di lui, e la sicurezza data da un matrimonio fatto e finito le avrebbe garantito la serenità di cui aveva bisogno.
Come non capirla?
 
Se anche non fosse stata una Regina, e potenzialmente di un gradino superiore a lui, per una donna concedersi non era cosa da poco.
 
Kris scosse la testa benevolmente e sorrise; le restituì la carezza e, guardandola intensamente negli occhi, le disse:
 
“Ma sì, hai ragione” e poi con più malizia aggiunse: “Servo suo, mia Regina!”
Stava scherzando ovviamente, e lei accettò la battuta che sdrammatizzava la situazione; grata del suo atteggiamento sempre solare e spensierato, gli diede un finto cazzotto sulla spalla mormorando:
 
“Scemo…”
 
Si ricomposero e, anche se il momento magico era stato interrotto, era tornato il buon umore e loro erano nuovamente quelli di sempre.
Kris non dimostrava di essersi offeso dal rifiuto della donna, e lei era felice che lui non recriminasse.
 
Galantemente il principe l’aiutò a risalire in sella e, non appena lei si fu sistemata, guardandolo con amore gli sussurrò un “Grazie” che valeva infinitamente di più di un semplice ringraziamento per il servigio resole.
 
Tornarono alla reggia al galoppo, decisi a non dare troppo peso a quel momento imbarazzante vissuto poco prima.
Kris sempre più convinto di volerla conquistare fino in fondo, che quando lei si sarebbe concessa a lui sarebbe stato solo per desiderio e passione, se non per amore vero e proprio, e non per obbligo contrattuale, anche se la data del matrimonio si avvicinava sempre più.
 
Yuki invece era divorata dall’urgenza di…
Doveva scrivere a Ryo, doveva rivederlo, costasse quel che costasse.
 
 
 
Quella sera stessa prese carta e penna e, con la sua calligrafia ricercata, vergò di suo pugno una missiva indirizzata al grande Ryo Saeba, lo sweeper di Shinjuku.
 

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Capitolo 6
*** Il frammento ***


Visto che avete aspettato tanto, non mi dilungo in chiacchiere! :D
Vi dico solo GRAZIE e… buona lettura!
Eleonora

 
 
Cap. 6 - Il frammento
 
E adesso Kaori era lì, nel suo salotto, a riordinare i cuscini del divano dove lei e Ryo avevano fatto… con la lettera in mano, o meglio, con ciò che ne restava, perché era solo una striscia, strappata per la lunghezza, stropicciata come se fosse stata accartocciata, ma anche con i bordi esterni azzurrini, come se avesse strusciato ripetutamente in qualcosa di blu, magari la tasca dei jeans di Ryo.
 
Per un attimo se la rigirò fra le dita, indecisa se leggerla o meno.
In fondo, stava violando la corrispondenza di un’altra persona, anche se, ne era certa, quella doveva essere per forza di Ryo, dal momento che non ricevevano visite da un bel po’, ma dato che avevano deciso di non avere più segreti fra di loro, poteva essere autorizzata a farlo.
Inoltre, la missiva era stata strappata, quindi in teoria non aveva tanta importanza per il destinatario, si ripeteva per giustificarsi.
 
La curiosità ebbe la meglio, e mai tale curiosità Kaori la pagò così cara.
 
La striscia di carta era evidentemente la parte destra di una lettera e pertanto era ben visibile in alto un bel XYZ! seguito dalla data, 15 settembre.
La scrittura era fitta e senza spazi, ma gli ideogrammi molto chiari e precisi; con un relativo sforzo d’interpolazione, si riusciva a capirne il senso.
Recitava più o meno così:
 
Caro Ryo, ti ho pensato tanto e vorrei rivederti […] sto per sposarmi. […] ho bisogno di parlarti, è importante. […] Ti aspetto martedì mattina, 20 settembre, all’Hotel Imperatore del […] alle ore […] Per sempre tua, Yuki.
 
Quando Kaori ebbe rimesso insieme i pensieri, e capito appieno il senso di quelle parole – frammenti di un testo molto più lungo e articolato – e soprattutto chi fosse la donna che l’aveva scritta, provò un improvviso conato di vomito.
Troppo lontana dal bagno, corse al lavello della cucina, dove restituì allo scarico tutta la gustosa colazione che poco prima aveva consumato con Ryo.
Si appoggiò al piano di lavoro, in preda ad un vorticoso capogiro, e non appena il cucinino smise di girare, cercò di riordinare le idee.
 
Chi era questa Yuki?
La famosa principessa che aveva spezzato il cuore a Ryo facendosi cancellare la memoria, per potersi dimenticare di lui?
Nonostante Kaori avesse assistito impotente all’innamoramento dei due, come da copione, aveva sofferto vedendo Ryo dispiaciuto per le conseguenze del trattamento di rimozione dei ricordi a cui si era sottoposta la cliente.
In quel modo sconfessava tutto il suo sentimento, e cancellava definitivamente lo sweeper dalla sua vita.
La socia non aveva ben capito cosa fosse successo fra i due, ma ricorrere ad un tale artifizio, per lei era disumano.
Voler dimenticare i torti subiti, il male ricevuto, le delusioni è un conto, ma obliare totalmente ogni cosa è fare piazza pulita di tutto quanto ha rappresentato quella persona per te.
E non ci vedeva Ryo ad averla fatta soffrire così tanto da spingerla a volerlo estirpare dalla sua mente; sì okay, a volte il socio si era comportato come un porcello in calore, l’aveva insidiata come al solito, ma il più delle volte Kaori gli aveva impedito di andare oltre; per giunta la compagna nutriva una segreta stima per lui, ed era sicura che all’atto pratico non fosse mai ricorso alla violenza per ottenere ciò che bramava, in generale, né che non le avesse portato rispetto, e questo non perché era una principessa.
 
Dentro di sé Kaori, all’epoca, aveva tirato un sospiro di sollievo quando quella Yuki era tornata nel suo paese d’origine; poco prima lei e Ryo avevano avuto un significativo avvicinamento, ma poi era comparsa questa ragazza venuta da lontano che aveva turbato assai l’uomo, e la socia si era un po’ eclissata.
Se ne era rimasta al suo posto, più o meno, troppo insicura anche solo per imporsi; del resto lei e lo sweeper non avevano una vera e propria relazione, e lui faceva un passo avanti e due indietro, trincerandosi dietro una cortina di fumo, ed era sempre arduo capire cosa volesse in realtà.
Ryo sembrava veramente preso dalla principessa esule, e Kaori non si spiegava perché alla fine l’avesse riportata alla sua ambasciata, dai dignitari di corte che tanto la cercavano, invece di tenerla con sé o di fuggire con lei.
 
Kaori non aveva indagato, d'altronde non sarebbe servito a nulla tempestarlo di domande, né aspettarsi che fosse lui a parlarne.
Dopo quella breve parentesi, loro avevano ripreso il solito tran tran quotidiano e anche Ryo sembrava ormai dimentico della bella e altezzosa cliente; da quel punto di vista, sembrava addirittura sereno.
In ogni caso poi erano successe tantissime altre cose, anche ai due soci, ed ora erano lì, finalmente fidanzati, finalmente amanti, finalmente felici.
 
Ma quel frammento di lettera aveva avuto il potere di far crollare il mondo addosso alla dolce Kaori.
 
Se quella Yuki era la principessa, o meglio la Regina di Arimania, di cui aveva sentito distrattamente parlare in tv, che aveva fatto di tutto per cancellare Ryo dalla sua vita, perché ora gli scriveva?
Si era ricordata improvvisamente di lui?
C’era scritto che si stava per sposare… ah, sì: col bellissimo principe Kris Kohinhoor, e va bene che era un matrimonio combinato come tanti nel loro mondo, ma lei scriveva “per sempre tua”!
Allora lo amava ancora?
Lo amava di nuovo?
In cima al frammento spiccava un XYZ inequivocabile: aveva forse bisogno di aiuto?
Dell’aiuto di Ryo come City Hunter?
Ma allora perché Ryo non le aveva detto nulla?
 
Già, perché Ryo non le aveva detto nulla?
Le aveva promesso, dai tempi in cui Kaori era andata a lavorare con Mick, che non avrebbe più preso casi di nascosto dalla socia; che ogni volta che si fossero trovati tra le mani una richiesta qualsiasi d’aiuto, ne avrebbero parlato insieme, avrebbero deciso insieme il da farsi, anche se ci fosse stata di mezzo la solita bella cliente.
E Ryo manteneva sempre le sue promesse.
E comunque non aveva più fatto lo scemo con le clienti e la compagna sapeva che le era fedele, non fosse altro che lo aveva minacciato che al primo sgarro gli avrebbe fatto passare non una, ma tutte le notti a seguire, in bianco, ed era troppo preso da lei per cadere in errore.
Se i martelli non gli facevano più male, dover rinunciare alla sua adorata compagna era una tortura troppo dura per lui.
In ogni caso, appurato che negli ultimi anni quel suo atteggiamento da tacchino nella stagione dell’accoppiamento era puro teatrino – perché da che si era scoperto innamorato di lei, aveva solo finto tutto quel trasporto per le altre – Kaori si sarebbe stupita di vederlo cedere agli antichi vizi.
Però restava il fatto che quella era una richiesta d’aiuto, e chiunque fosse quella Yuki, lui non gliene aveva parlato.
E poi perché stracciare la lettera?
E perché tenersela per così tanto tempo in tasca?
Kaori era un’investigatrice troppo astuta per non aver notato tutti questi indizi; incomprensibile però il comportamento del socio che, nonostante apparentemente non avesse dato importanza alla lettera, tanto da averla stracciata, poi non se ne era liberato definitivamente.
Se voleva distruggerla, era stato imprudente da parte sua portarsela a spasso tutti quei giorni, col rischio che… quale rischio aveva corso? Quello che Kaori avrebbe potuto trovarla in qualsiasi momento, nelle sue tasche, quando avrebbe messo a lavare i jeans, o fra i cuscini del divano proprio come era successo quella mattina stessa.
 
Lo stomaco si contrasse nuovamente e un conato a vuoto la scosse, facendola sudare a freddo.
 
Maledizione!
 
Aveva perso l’abitudine di dover inghiottire i magoni e le delusioni che Ryo le faceva provare: ora stavano insieme, andavano d’amore e d’accordo, e proprio questa battuta d’arresto non se l’aspettava.
 
Si stava giusto versando un bicchiere d’acqua, con mani tremanti, quando un’altra vertigine la colse, provocatale da un dubbio atroce.
Riprese in mano la sottile strisciolina e la rilesse più e più volte: questa fantomatica Yuki dava appuntamento a Ryo per la mattina del 20 settembre, ma il 20 settembre era proprio per quel giorno!
Si precipitò in soggiorno a controllare il calendario appeso al muro, come se ce ne fosse realmente bisogno: stampato a chiare lettere c’era scritto “Martedì 20 settembre”.
 
Allora strappò la pagina con rabbia, e la stracciò in mille pezzi!
Che stupida era stata!
Perché non ci aveva pensato prima?
Ryo non era lì.
Ryo era dovuto uscire proprio quella mattina.
Ryo era andato all’appuntamento!
Alla faccia di non dirle niente della lettera o della fantomatica richiesta d’aiuto!
 
La lettera era datata 15 settembre e, ammesso che lui l’avesse in qualche modo ricevuta anche due giorni dopo, o più – e si chiese addirittura come avesse fatto, visto che la posta la ritirava sempre lei – avrebbe avuto tutto il tempo di parlargliene, ma soprattutto di decidere se presentarsi all’appuntamento oppure no.
E per quella mattina le aveva candidamente detto che doveva sbrigare una faccenda nella sede di una banda di delinquentelli e che aveva chiesto aiuto a Falcon; erano andati via insieme, o meglio, così lui le aveva detto, perché di fatto non aveva visto Umibozu passare a prenderlo.
 
Kaori iniziò a pestare i piedi, in preda ad una crisi di nervi:
 
“No, no, no, non è possibile! Me l’ha fatta sotto il naso! Che razza di bastardo! È corso da lei, è andato da lei e mi ha preso in giro! Mi ha proprio preso per il culo, quello stronzo!”
 
Nella furia della rabbia, afferrava e scagliava contro il muro oggetti presi a caso, pur di scaricarsi; e nel mentre malediceva Ryo, malediceva sé stessa per avergli creduto, per avergli ceduto - nonostante sapesse benissimo che era ciò che lei desiderava di più al mondo – e malediceva il fatto di essersi fidata, sempre e comunque di lui, fino a quando agguantò l’ennesimo ninnolo; ma stavolta si fermò di colpo, sul punto di lanciarlo, e alcune gocce d’acqua le bagnarono la mano, facendola riscuotere.
Immobile, guardò il vasetto che stringeva fra le dita, con tanta forza che le nocche le si erano sbiancate: era il vasetto con dentro il fiore del trycirtis, che ancora miracolosamente resisteva dopo tutti quei giorni.
Per sempre tuo.
Per sempre tua.
E lo aveva scritto anche quella Yuki.
 
Un moto di disappunto la spinse a liberarsi con rabbia di quel fiore inutile, ma un altro conato di vomito le impedì di portare a termine quel gesto tanto liberatorio.
Fu costretta ad inghiottire il bolo di saliva che le era salito dalla gola, e a prodursi in respiri profondi e regolari.
Il sudore le scorreva copioso sulla fronte e fra i seni.
Dannazione, cosa le stava succedendo?
 
Si passò una mano stanca fra i rossi capelli.
Respirare profondamente l’aiutò a calmarsi.
 
Doveva pensare lucidamente.
Doveva andare a fondo della questione.
 
Bene, Ryo, apparentemente, non solo le aveva mentito su tutta la linea, accettando un caso a sua insaputa, nonostante le avesse promesso – giurato addirittura – che non lo avrebbe fatto mai più, ma era corso scodinzolando da una sua vecchia fiamma, una stronza che lo aveva pure rinnegato quando ne aveva avuto l’occasione.
 
E lei, Kaori, cosa avrebbe dovuto fare?
Come comportarsi?
Erano finiti i tempi in cui se ne sarebbe stata in disparte a rimuginare sul suo amore non corrisposto, a soffrire in silenzio, o a dare da matti con scenate isteriche che non portavano a nulla.
No, stavolta lei e Ryo erano una coppia; di più, una famiglia, come amava dire lui.
E allora l’avrebbe affrontato, l’avrebbe preso di petto e avrebbe preteso la verità.
 
Che ora era?
Guardò l’orologio, ma in quella cazzo di lettera mancava l’orario dell’appuntamento: poteva essere un’ora qualsiasi fra le 5 di mattina e le 12; escludendo le ore dell’alba – perché non solo Ryo non si sarebbe svegliato a quell’ora per un qualsiasi appuntamento, morto di sonno com’era – ma fino ad almeno le 10 erano stati insieme… piacevolmente insieme, rimarcò con una nota di triste ironia.
Da quanto tempo era uscito?
Mezz’ora?
Allora l’appuntamento non sarebbe stato prima delle 11… Ma certo, un bell’aperitivo all’HotelImperatore del…? Di cosa, per dio?
 
La sweeper corse al mobiletto del telefono, prese la guida telefonica e sfogliò freneticamente l’elenco, scorrendo tutti i nomi degli hotel Imperatore del…
Imperatore del Sol levante!
Che fantasia, eh? si ritrovò a pensare. Ma che importanza aveva? Non doveva mica assegnare il “Premio Miglior Nome per un Hotel dell’anno 1989!”
Si stupì della sua ironia, malgrado la situazione fosse tendenzialmente tragica.
 
Perfetto, il posto era riuscita a rintracciarlo, con tanto di indirizzo; sapeva pure in quale parte della città si trovasse: accanto ad un frequentato parco monumentale.
In quanto all’orario, avrebbe potuto ancora farcela, se avesse preso la moto di Ryo, più veloce ed agevole nel traffico metropolitano.
Se si fosse sbrigata, forse sarebbe riuscita a coglierli sul fatto, sempre che non fossero saliti in camera da lei. Una smorfia rabbiosa di cocente gelosia le alterò i lineamenti.
No, sarebbe arrivata in tempo!
In caso contrario, avrebbe scoperto quale fosse la camera della bella principessa, o di chi per lei, e avrebbe fatto irruzione nella stanza d’albergo.
Saputa la verità, semplicemente, avrebbe lasciato Ryo.
Punto.

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Capitolo 7
*** Sulle spine ***


…. Lo so, lo so che devo ancora rispondere alle rec del capitolo precedente, ma ho poco tempo a disposizione e dovevo fare una scelta: il capitolo o le rec e ho pensato che forse volevate leggere il proseguo della storia.
Prometto che presto vi rispondo ^_^
GRAZIE DI TUTTO *_____*
Eleonora

 
 
Cap. 7 - Sulle spine
 
Yuki già da un po’ sedeva in disparte nel bar della hall dell’hotel.
Era scesa in anticipo, rispetto all’ora stabilita per l’appuntamento con Ryo, ma tanto aveva passato una notte pressoché insonne, ed aveva accolto con sollievo il sorgere del sole.
Sapeva che l’uomo, notoriamente poco mattiniero, non avrebbe anticipato la sua venuta, ma, nel dubbio… era sicura che sarebbe arrivato e fremeva di aspettativa.
 
Era letteralmente fuggita dal suo regno, ancora una volta.
Aveva passato la frontiera a piedi, in autostop, e per non dare nell’occhio si era conciata come la classica turista fai da te, con tanto di zaino in spalla, scarponi e abiti comodi; aveva legato i capelli in una semplice coda di cavallo e inforcato dei finti occhiali da vista.
Il camionista che l’aveva fatta salire le aveva subito detto, con aria sorniona e da lupo famelico:
 
“Ehi, bellezza, ma lo sai che assomigli proprio alla nostra Regina?”
 
Voleva essere un complimento e Yuki non si era scomposta: aveva pianificato tutto nei minimi dettagli e si era aspettata anche un commento del genere.
D'altronde era il personaggio di spicco del suo piccolo regno, e i mass media erano letteralmente tempestati di foto e video che la ritraevano, difficile passare inosservata.
Aveva risposto semplicemente:
 
“Grazie, me lo dicono in tanti” e gli aveva strizzato l’occhio.
 
Giunta nello stato limitrofo, di passaggio in passaggio era arrivata fino all’aeroporto e, grazie ad un passaporto falso, si era imbarcata su di un volo low cost e aveva fatto rotta verso il tanto amato Giappone.
Aveva volato di notte, e di notte era giunta in terra nipponica.
 
L’Hotel Imperatore del Sol Levante non era dei più lussuosi, ma nemmeno un alberghetto da quattro soldi, pertanto aveva modificato il suo outfit indossando abiti casual, ma del tutto anonimi: aveva lasciato gli occhiali e i capelli legati e, anziché camuffarsi con il solito cappellone a tesa larga e larghi occhiali da sole, che avrebbero attirato maggiormente l’attenzione, aveva optato per un profilo basso.
 
Troppo nervosa per mangiare, aveva sorseggiato del tè che continuava a raffreddarsi nella teiera; non ricordava di essere mai stata così tanto tesa come in quel momento; nemmeno la cerimonia dell’incoronazione le aveva fatto quell’effetto.
 
Fugacemente ripensò a Kris, che aveva lasciato ignaro ad Arimania, ma era fuori discussione metterlo a parte dei suoi piani, meno che meno portarlo con sé: questa era una faccenda che riguardava lei e lei soltanto, e non solo perché era La Regina, piuttosto perché era Yuki e voleva essere padrona del suo destino e scegliere chi amare.
Pur di avere Ryo sarebbe stata disposta anche a dividerlo con tutte le altre donne che lui avrebbe deciso di frequentare, che fossero del suo harem personale o le giovani cortigiane: anche lei, del resto, sarebbe stata impegnata comunque con Kris, il suo futuro marito, e doveva – e voleva – tenere fede ai suoi impegni coniugali.
Sapeva che lo sweeper non era uno stinco di santo, che non amava i legami, e soprattutto la sua moralità, in fatto di relazioni amorose, era discutibile, pertanto era sicura che tale sistemazione sarebbe stata vantaggiosa pure per lui; che non avrebbe fatto obiezioni e si sarebbe adattato più che volentieri a quel ménage bizzarro quanto vuoi, ma del tutto soddisfacente per entrambi.
Ricordava di aver avuto su di lui un enorme ascendente, sapeva che la desiderava, aveva visto anche un barlume di sentimento nei suoi occhi, quindi non c’era da temere un altro rifiuto da parte sua.
Stavolta tutto sarebbe andato per il meglio, ne era certa.
 
 
 
 
Kaori, nonostante la rabbia cieca che l’animava, non aveva perso la sua concentrazione, e anzi questa si era acuita ancora di più da quando zigzagava per le vie della città, come una pilota provetta.
Aveva imparato a guidare la moto di Ryo già da un po’, e a volte lui gliel’aveva lasciata prendere, nonostante fosse una cilindrata molto potente e l’uomo temesse per la sua incolumità.
Ma la sweeper era una temeraria, e lui lo sapeva: non c’era mezzo di trasporto che Kaori non conoscesse, i motori non avevano segreti per lei, del resto era o non era l’altra metà dei City Hunter?
Nella sua mappa mentale del fitto reticolato della città, sapeva dove trovare scorciatoie, vicoli ingombri d’immondizia ma percorribili solo su due ruote, scalinate, rampe, abbrivi e faceva rombare la due cilindri che stava cavalcando come una novella amazzone.
 
Il corto giubbotto di pelle la proteggeva dal vento, ma i capelli liberi dal casco, le si erano appiattiti sulla fronte; poco male, non doveva presentarsi acconcia e in ordine, si sentiva ribollire di sdegno e anche il suo aspetto avrebbe dovuto esprimere tutto il suo furore, quindi i capelli sparati sarebbero andati benissimo.
Peccato quelle fastidiosissime lacrime che la velocità le strappava via: era solo per effetto del vento, giusto? Perché non stava realmente piangendo, vero?
Con un gesto rabbioso, velocemente, se le deterse con le dita.
 
Ben presto raggiunse il parcheggio antistante l’hotel citato nella lettera; per una frazione si secondo si chiese se fosse quello l’albergo giusto, ma poi si tranquillizzò pensando che, nonostante l’ira e la disperazione, aveva perso tempo a controllare per bene il nome sull’elenco.
Aveva imparato da Ryo a dominare la sua impulsività, la sua smodata esuberanza; era anche lei una sweeper professionista e non avrebbe permesso alla tempesta emotiva che la stava attaccando su più fronti, di sopraffarla tanto da lasciarla attonita e senza forze.
La lucidità innanzitutto!
 
Una volta scesa dalla moto, però, si sentì improvvisamente svuotata.
Cosa avrebbe fatto ora?
Sarebbe entrata come una furia e, piombando sui due, avrebbe fatto una scenata?
E se loro non si fossero trovati più lì?
E se, peggio, fossero saliti in camera da lei?
Prima di tutto doveva verificare; sì, verificare tutto.
Si costrinse a considerare la cosa come un normale pedinamento, anzi no, un appostamento: avrebbe dovuto svolgere discretamente delle indagini, accertarsi, identificare il nemico e stabilirne la posizione.
 
Si riscosse e si diede un contegno.
Fece un passo indietro e controllando il suo stato nello specchietto della moto, con gesti sapienti e nervosi, si aggiustò i capelli ribelli; si massaggiò il viso per riacquistare un po’ di sano incarnato, si stirò verso il basso il giubbotto e, assumendo un’aria il più possibile rilassata, a passi lenti e misurati, le mani infilate nelle tasche laterali del giubbetto, entrò nell’albergo.
Preoccupandosi di non farsi troppo notare, né attirare l’attenzione, si guardò intorno con fare annoiato, senza dar segno di voler posare gli occhi su qualcosa o su una persona in particolare.
Che non si credesse che stava cercando qualcuno!
 
C’era un discreto via via intorno alla reception, su e giù per le scale e intorno agli ascensori: turisti, viaggiatori, uomini d’affari, ma anche donne di tutte le età e nazionalità, paludate in vistosi abiti esotici o in pragmatici tailleur da lavoro.
Come avrebbe riconosciuto la Principessa? Non certo per la corona in testa!
Si ritrovò a ridacchiare mentalmente, la ragazza.
Anche la prima volta che l’aveva vista non spiccava per eleganza e fascino; era bella, certo, ma sarà che stava facendo la controfigura all’attrice principale di un film, e, insomma, non aveva notato nulla di particolare in Yuki, nemmeno dopo aver riconosciuto in lei l’atteggiamento rigido e altezzoso di chi è abituato a volare alto sopra i comuni mortali.
Ad essere sincera non le era parsa neanche così tanto antipatica, non più di tante altre clienti bellone.
 
Kaori stava ancora cercando un indizio rivelatore fra i visi che affollavano l’hotel in quel momento, quando, sedendosi al bancone del bar, la vide dal riflesso dello specchio posto dietro il barman.
 
A vederla così, sembrava una giovane studentessa in viaggio per il mondo; l’espediente degli occhiali le davano pure un tocco da intellettuale: chissà se erano posticci, oppure funzionali ad una sua eventuale carenza di vista?
Sedeva sul bordo della seggiola e, nonostante si sforzasse di apparire rilassata e perfettamente a suo agio, Kaori poteva scorgere in lei una certa tensione: la Regina Yuki sarà stata anche brava a nascondere i suoi veri sentimenti dietro una maschera di freddezza, ma Kaori sapeva riconoscere i sintomi di chi si sta sentendo fuori dal mondo, perché per tutta la vita aveva provato quella fastidiosissima sensazione.
 
Nell’attimo stesso in cui Kaori avvistò Yuki, però, si sentì a sua volta vulnerabile e scoperta.
Se la sweeper aveva riconosciuto la Regina, allo stesso tempo la Regina avrebbe potuto riconoscere la sweeper, e come spiegare la sua presenza lì?
Lì avrebbe dovuto esserci Ryo e non lei…
Già, avrebbe dovuto esserci il suo fidanzato, ma perché non c’era?
 
Non perse tempo a rimuginare sull’assenza di Ryo e, prima che Yuki potesse beccarla, si nascose dietro un’enorme pianta ornamentale, molto simile ad una palma, che torreggiava al lato del salottino; si accovacciò perfino, fino all’altezza del vaso: da quella postazione poteva vedere tutto intorno.
Poteva tenere sotto tiro la nemica e la porta girevole dell’hotel, nel caso fosse arrivato quel fedifrago di Ryo.
 
La sweeper valutò che, approssimativamente, quella poteva essere l’ora giusta per l’appuntamento, ma non stava succedendo nulla.
Le sembrava di essere lì appostata da una vita, quando trasalì sentendo la pendola della reception battere dodici rintocchi.
 
Tecnicamente la mattinata era già finita.
 
Anche Yuki era sobbalzata e aveva guardato ansiosamente l’antico orologio e, subito dopo, la porta a vetri.
Si era mossa a disagio sulla poltroncina e aveva scavallato le gambe, piantandole bene sul pavimento; anche il linguaggio del corpo tradiva il suo nervosismo, la sua tensione, Kaori lo vedeva bene.
Non che lei fosse messa meglio, per giunta rannicchiata dietro quella strana pianta ombrosa: iniziava a sentirsi tutta indolenzita, lo stomaco reclamava del cibo e, forse forse, avrebbe dovuto anche andare in bagno.
 
Era così presa dai suoi pensieri e dall’osservare fittamente Yuki, che quasi scattò come una molla quando sentì una voce a pochi centimetri dal suo orecchio chiederle:
 
“Cosa stai facendo?”
 
Kaori si voltò, spaventata a morte, e le ci volle un po’ per capire che la voce apparteneva ad un grazioso bambino sugli otto anni che, vestito con una divisa di una qualche scuola, la guardava con curiosità.
 
“Hai perso forse qualcosa?” domandò lui, ancora.
 
Erano quasi testa a testa, Kaori e il bambino: la donna accovacciata era alta quanto lui in piedi.
Presa alla sprovvista, non seppe cosa rispondergli; non avrebbe certo potuto mandarlo via, magari in malo modo, ma nemmeno mettersi a chiacchierare tranquillamente con lui: in entrambi i casi avrebbe attirato l’attenzione di tutti.
Come spiegare la sua posizione dietro la finta palma?
Il bimbo però restava lì, per niente impressionato dall’atteggiamento di Kaori, come se per lui fosse perfettamente normale restarsene accucciati dietro un’enorme pianta, nella hall affollata di un hotel.
Nella sua innocenza, qualunque scusa Kaori avesse trovato, sarebbe andata benissimo, perché per i fanciulli tutto è possibile.
Il sorriso disarmante che continuava ad illuminare il suo viso costrinse la sweeper a dargli una risposta qualsiasi, pur di farlo allontanare:
 
“Mi è caduto un orecchino e lo stavo cercando proprio qui”.
 
“Ma quale? Il destro o il sinistro? Perché non ne indossi nessuno!” ribatté il ragazzino.
 
Kaori si morse la lingua per non lasciarsi scappare un’imprecazione.
 
“Il destro. Il sinistro l’ho qui” si batté sulla tasca del giubbotto.
 
“Se me lo mostri, vedo com’è fatto e posso darti una mano…” propose innocentemente il bimbo.
 
Kaori si rimangiò lo sbuffo che le stava salendo dalla gola; stava anche perdendo tempo prezioso dietro quel simpatico ma importuno mocciosetto e, per stare a parlare con lui, aveva perso di vista Yuki.
 
Stava per spazientirsi quando il ragazzino, appoggiandole una manina grassoccia sulla spalla, le domandò:
 
“Come lo chiamerai il tuo bambino?”
 
“Cosaaaaaaa?” quasi urlò la ragazza, tirandosi su in piedi di scatto, rossa in viso.
 
“Kentaro? Eccoti finalmente” proruppe sua madre, spuntata chissà da dove, e avvicinandosi a grandi passi verso i due “Kentaro, tesoro, non disturbare la signora” e prendendolo per mano, fece per portarlo via, mentre Kaori si confondeva e si scusava, dicendo che no, non la stava disturbando, che si figurasse e via discorrendo.
Ma sul più bello, la madre di Kentaro le disse, con un sorriso a trentadue denti:
 
“Sa, il mio Ken riesce sempre a prevedere se sarà un maschio o una femmina” e gongolando aggiunse in un tripudio di miele “Quando incontra una donna in stato interessante… lei mi capisce” e, inspiegabilmente, arrossì fino alle orecchie “Voglio dire… lui ci indovina sempre!”
 
“Co-cosa???” proruppe Kaori con voce stridula e con un tono così alto che riuscì a sovrastare tutto il brusio dell’andirivieni, attirando l’attenzione dei presenti; tutti si voltarono verso di lei che, al colmo dell’imbarazzo, aveva letteralmente preso fuoco.
 
“Ka-Kaori… ma sei proprio tu?” si sentì apostrofare.
 
La sweeper voltò la testa e si trovò faccia a faccia con Yuki, la Regina di Arimania.
 

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Capitolo 8
*** Kaori hai vinto ***


Stasera mi sono accorta di due cose:
- 1 che era ora di aggiornare essendo passati già 5 giorni;
- 2 che il capitolo è cortino bene eh eh eh eh! ‘^_^
Mi perdonate?
Nel frattempo ne approfitto per RINGRAZIARVI INFINITAMENTE per le rec, per le visite, per la simpatia, per la fiducia, per i complimenti, per… tutto!
Vi abbraccio
Eleonora

 
 
 
Cap. 8 - Kaori hai vinto
 
 
“Kaori??? Kaori dove sei?”
 
Ryo era appena rientrato in casa, felice di aver sbrigato presto l’impegno con Umibozu e impaziente di rivedere la sua socia.
Era già arrivato a metà soggiorno quando percepì un cambiamento, come se la casa stessa potesse mandargli un messaggio.
S’incupì, e il sorriso gli morì sulle labbra.
Cosa era successo?
Perché tutti quegli oggetti rotti e sparsi in giro?
Istintivamente portò una mano al calcio della pistola celata sotto la giacca.
Aveva già avvertito la mancanza della compagna: non era lì nella stanza, ma nemmeno nello stabile intero; non fiutava pericoli di sorta, però in tutto quel relativo disordine c’era, in più, una nota sbagliata.
 
Guardingamente si aggirò per il soggiorno, fra i frammenti di vetro e i cocci dei vari ninnoli che, valutò, erano stati infranti direttamente sul pavimento, con notevole forza, o scagliati sulle pareti, dove riconosceva distintamente i segni dell’impatto che aveva scalfito l’intonaco.
 
Solo una persona avrebbe potuto fare un tale disastro, e quella era indubbiamente la sua irascibile fidanzata che, ad essere sinceri però, si era notevolmente calmata dopo che lui si era avvicinato a lei e aveva deposto le armi.
 
Il vasetto, che fino a quella mattina conteneva il prezioso fiore del bouquet di Miki, il segno del loro amore appena sbocciato, il simbolo di future e dolcissime promesse da mantenere, giaceva sul tappeto che ne aveva parzialmente assorbito l’acqua.
Il contenitore era stranamente intatto e il fiore stava già appassendo; irrazionalmente lo sweeper pensò che avrebbe dovuto salvare quel fiorellino, prima che fosse troppo tardi, e si affrettò a raggiungere l’acquaio tenendo in una mano il vaso e nell’altra il trycirtis, senza stringerlo, col timore di rovinarlo ulteriormente.
 
Kaori era furiosa, aveva spaccato tutto ciò che le era passato per le mani, ipotizzò il socio, ma per una strana ragione aveva risparmiato il loro fiore; poteva forse significare che il motivo di tanta rabbia non fosse imputabile a lui?
D'altronde, ultimamente non le aveva dato motivo di arrabbiarsi, aveva rigato dritto, si era comportato bene, sia quando erano in giro in mezze alle altre persone – alle altre donne, piuttosto – sia quando erano insieme.
Le aveva ripetutamente dato prova di tenere a lei e di essere profondamente innamorato; stava cercando di fare del proprio meglio per non deluderla e renderla felice, e davvero non si capacitava di essere lui la fonte dei suoi furori.
Si stava forse sbagliando?
 
Era entrato in casa felice di poterla ritrovare lì che lo aspettava; si era pure sbrigato a sistemare quella faccenda giù in città, giusto per poter tornare prima da lei, e invece…
Il fatto che Falcon li avesse invitati a pranzo, finiva decisamente in secondo piano rispetto a quel casino che lui aveva o non aveva combinato.
 
Si lasciò cadere con un sospiro di frustrazione sul divano.
 
Cosa diavolo stava succedendo?
Con chi altri avrebbe potuto litigare e infuriarsi, quell’amore di ragazza, se non con lui?
Nemmeno Reika era capace di provocarle tutto quel risentimento; a dirla tutta neanche tutte quelle ochette che erano transitate nella loro vita, l’avevano fatta andare fuori di testa come dimostrava di aver fatto quella mattina.
Kaori era troppo buona per sbottare e scazzarsi con qualcuno che non fosse lui; lei era affettuosa, comprensiva, amava tutti, trovava il bello e il buono in ognuno, era pronta al perdono, era empatica, era una santa…
Chi, o cosa, poteva averla esasperata a tal punto?
Per una frazione di secondo, Ryo pensò che forse era passato di lì Mick e l’aveva insidiata, ma Kaori lo avrebbe preso a martellate, sicuramente; inoltre si poteva dire tutto, di quello yankee da strapazzo, tranne che fosse un molestatore vero, qualcuno che seriamente importunasse le donne.
E poi la sua magnifica socia era capacissima di difendersi da lui, e di certo non scagliandogli addosso oggetti innocui e poco pericolosi.
 
No, c’era di sicuro un’altra spiegazione e, più ci pensava, più s’innervosiva.
Non gli piaceva non riuscire a capire il perché delle cose… e se Kaori fosse stata in pericolo?
Se qualcuno avesse tentato di rapirla o farle del male e, nel tentativo di difendersi, gli avesse tirato addosso l’impossibile?
Eppure non c’erano segni di lotta: a parte quegli oggetti infranti, regnava il solito impeccabile ordine, e in ogni caso se un nemico qualsiasi avesse tentato di portarla via contro la sua volontà, la sua partner avrebbe cercato di lasciare delle tracce per lui, per Ryo: degli indizi che gli avrebbero fatto capire chi fosse il balordo di turno, quanti fossero, se fossero armati e di cosa, e via dicendo.
Era in gamba la sua socia.
 
Si mosse a disagio sul comodissimo divano, che ultimamente ne avrebbe potute raccontare di belle, e che invece ora gli sembrava cosparso di spine e rovi.
Fece per accendersi una sigaretta – tanto Kaori non era in casa – ma il solito accendino era scarico.
Istintivamente guardò verso il ripiano dove sempre ne teneva uno di scorta e, appallottolato in un angolo, vide un foglietto di carta con delle scritte, blu su bianco.
Incuriosito e stupito di non averlo notato prima, raggiunse il mobile e prese il grumo di carta; prima ancora di aprirlo sapeva già cosa contenesse, quali frasi e quale significato avessero quelle parole: si maledisse fin nel profondo del suo cuore.
 
“Idiota, idiota, idiota!” Si ripeteva dandosi pugni sulla testa “L’ha trovato, l’ha trovato! Ma come ho potuto, come ho fatto?”
 
A quel punto già girava in tondo come un leone in gabbia, sbuffando, imprecando e insultandosi.
Aveva rovinato tutto, aveva combinato la solita cazzata, non era affatto il più furbo sweeper del Giappone: era un farlocco, un bamboccio qualsiasi, che non è in grado nemmeno di distruggere una lettera compromettente e che si lascia cadere dalle tasche i frammenti che ne rimangono, dopo averla stracciata.
 
Adesso anche lui avrebbe voluto scagliare con rabbia gli oggetti sul muro e sul pavimento, ma non ce n’erano più, ci aveva già pensato la sua incazzatissima fidanzata.
 
Urlò!
E il suo grido riecheggiò per l’appartamento deserto.
Che cazzo aveva combinato?
Ma poi si riscosse all’improvviso.
Scartò l’involto e lesse le poche ma inequivocabili frasi: Kaori era andata sicuramente all’appuntamento.
Che ore erano?
Doveva far presto, forse nulla era ancora perduto.
 
Afferrò al volo le chiavi della Mini e, un minuto dopo, era già lanciato a tutta velocità per le vie di Shinjuku.
 
 
 
 
oOo
 
 
 
 
“Ka-Kaori… ma sei proprio tu?” si sentì apostrofare la sweeper.
 
La ragazza voltò la testa e si trovò faccia a faccia con Yuki, la Regina di Arimania.
 
“Yuki!” rispose più allarmata che sorpresa.
 
Per stare dietro ai vaneggiamenti di quel moccioso e di sua madre, aveva perso di vista la sua sorvegliata speciale, ed era finita per attirarne addirittura l’attenzione: che razza di professionista era?
Ryo non avrebbe avuto tutti i torti a sgridarla.
Si guardò intorno imbarazzata, nemmeno il socio fosse lì davvero.
Questo gesto non sfuggì alla regina che, con un tono troppo speranzoso per i gusti di Kaori, chiese:
 
“Ryo… Ryo è qui con te?” E anch’essa girò lo sguardo tutto intorno.
 
Nel frattempo, madre e figlio si erano allontanati, più discretamente di come si erano presentati, ed ora restavano solo le due donne a fronteggiarsi.
 
Una vestiva un corto giubbetto di pelle, sopra jeans attillatissimi che ne evidenziavano le lunghe gambe atletiche; una zazzera di capelli color mogano incorniciavano un viso dolce e delicato, e due grandi occhi stupiti e vispi, catturavano l’attenzione ad ogni sguardo.
L’altra era il cliché di una giovane donna in vacanza studio, il cui portamento tradiva nobili ascendenti e un’innata attitudine al comando.
Di quest’ultima, tutto si sarebbe potuto dire, tranne che non avesse carisma e appeal, ma non era nulla in confronto alla naturale bellezza di Kaori, che incontenibile strabordava dalla slanciata figura ritta davanti alla Regina.
Solo allora Yuki di Arimania si accorse di una cosa importantissima, che aveva sottovalutato, se non considerato, già dalla prima volta, e cioè che Kaori era bellissima, ed ebbe come un’illuminazione.
 
Colpita dalla sua constatazione, abbassò lo sguardo, quasi in segno di sconfitta, a riordinare le idee; Kaori la sentì appena mormorare:
 
“Che stupida… che stupida sono stata… a non averlo capito subito!”
 
Quando rialzò lo sguardo a fissare la giovane sweeper, che ammutolita e a corto di parole le stava innanzi, finalmente Yuki parlò chiaramente:
 
“Bene, Kaori. Direi che hai vinto… hai vinto di nuovo!” e le sorrise enigmaticamente, un misto di rimpianto, sarcasmo, dolore.
 

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Capitolo 9
*** Fra donne sole ***


… E siamo arrivati al penultimo capitolo di questa storiellina senza pretese.
Ho cercato il più possibile di aggiornare presto, perché oltretutto i capitoli sono anche cortini e va a finire che se passa troppo tempo, perdete il filo
@_________ del discorso! ^___^
Detto ciò, ancora grazie per la vostra stima e simpatia.
A presto
Eleonora

 
 
Cap. 9 - Fra donne sole
 
“Bene Kaori. Direi che hai vinto… hai vinto di nuovo!” e le sorrise enigmaticamente, un misto di rimpianto, sarcasmo, dolore.
 
“Eh?” fu costretta a chiedere la ragazza.
 
“Quanta innocenza… quanto fascino autentico…” mormorò Yuki, nuovamente, più a sé stessa che all’altra.
 
Stanca di non capire cosa stesse succedendo fra loro due, finalmente Kaori ritrovò la favella e, istintivamente, le domandò:
 
“Si può sapere di cosa stai parlando? Io non capisco!”
 
Una breve risata secca lacerò l’aria.
Yuki guardò la sua rivale e la consapevolezza della sua scoperta le pesò come un macigno: possibile che solo lei capisse come stessero realmente le cose?
Aveva fatto tutto quel lungo viaggio inseguendo un amore che… non era mai stato per lei.
 
“Piuttosto, Kaori, perché sei qui?”
 
Yuki provava un sottile piacere nel mettere a disagio la sua rivale; era un’arma di ben poco conto, contro chi l’aveva battuta su tutta la linea, le restava giusto questa magrissima consolazione per difendere il suo orgoglio ferito.
Era sicura di averla spiazzata a sufficienza quando, inaspettatamente, Kaori rispose tagliente:
 
“E tu? Tu perché sei qui?”
 
Yuki trasalì.
Fu lì lì per risponderle che non erano affari suoi, ma sapeva che non sarebbe stata credibile; fra le due era la sweeper ad aver più diritto di trovarsi in un qualsiasi albergo nel centro di Tokyo, nello stato del Giappone, piuttosto che lei, Yuki di Arimania, perché Kaori ci viveva, era casa sua!
La Regina di Arimania, in quel preciso momento, invece, avrebbe dovuto essere a mille miglia di distanza da lì, nel suo paese, ad organizzare l’imminente matrimonio con un fascinoso principe innamorato.
Istintivamente scosse la testa e, arrendevolmente, rispose:
 
“Hai ragione. A questo punto è giusto che tu sappia”.
 
Fece una breve pausa, raccolse le idee e, infine, chiarì tutti i dubbi:
 
“Se tu sei qui, è perché hai letto la lettera che giorni fa ho scritto a Ryo. Forse speravi di sorprenderlo in mia compagnia, e magari dargli una bella lezione delle tue, anche se… non sono qui propriamente in veste di cliente, e non credo che basti la mia richiesta d’aiuto, la ben nota sigla XYZ per giustificare la mia presenza” e le fece un sorriso storto “anche se, in un certo senso, pure la mia era una vera e propria richiesta d’aiuto…”
 
Di nuovo Kaori stava perdendo il filo, Yuki parlava di cose che lei non comprendeva; la Regina se ne accorse e si scusò, per poi aggiungere:
 
“Dicevo, se sei qui hai letto la lettera… ma, come vedi, Ryo non c’è, non si è presentato all’appuntamento” e la tristezza e un senso di sconfitta presero per un attimo il sopravvento sulla donna.
 
Kaori stava per dire che aveva letto solo un frammento della missiva, ma si trattenne; voleva che fosse l’altra a parlare e a chiarirle tutti i dubbi che l’avevano tormentata fin da quella prima volta che aveva messo piede sul suolo nipponico.
All’epoca si era accorta dell’infatuazione della giovane principessa per il suo socio, per certi versi non vi aveva dato peso più di tanto, perché con le clienti succedeva sempre così.
All’inizio deploravano il comportamento scellerato di Ryo, che le insidiava ad ogni piè sospinto, ma poi finivano per innamorarsi quando vedevano in lui l’eroe buono e senza paura, il loro salvatore, un duro dal cuore tenero e bla bla bla.
Ryo ci giocava ad impressionarle in tal senso, perché il suo unico scopo era portarsele a letto, e la storia romantica avrebbe dovuto durare lo spazio di una notte d’amore, come le chiamava lui.
Ma quella volta Kaori aveva letto fra le righe della solita commedia: aveva visto un certo turbamento in Ryo, forse anche lui si era innamorato della bella principessa e gli era costato riportarla all’ambasciata, in barba ai suoi propositi scellerati.
Era stato un po’ come se lui si fosse sacrificato per Yuki, che l’avesse lasciata andare perché era giusto che lei compisse il suo destino di principessa, ma poi lei si era fatta cancellare la memoria, aveva voluto dimenticarlo in toto, e questo lo aveva fatto star male.
Questo Kaori l’aveva solo dedotto da tanti piccoli indizi che lei aveva raccolto qua e là, perché, ovvio, Ryo alla socia non aveva mai detto nulla di preciso, e lei, nonostante la grande confidenza e amicizia, non gli aveva chiesto nulla.
La ragazza non sapeva esattamente cosa si fossero detti o cosa avessero fatto in quell’ultima notte prima della partenza della principessa; aveva avuto anche il terrore di chiedere, però poi la vita aveva fatto il suo corso e di Yuki non se n’era parlato più.
 
E ora eccola lì, rispuntata dal passato, addirittura Regina.
Aveva scritto a Ryo, di cui, evidentemente, si era ricordata eccome!
E per un attimo Kaori si chiese se, per tutto quel tempo, i due si fossero frequentemente sentiti, se quella non fosse l’unica lettera, se il socio avesse mai risposto alle sue missive.
 
Eppure Yuki aveva detto una cosa importante, una verità lapalissiana: Ryo non era lì.
 
Ma allora era veramente andato in missione con Umibozu?
Non ci fu tempo di rimuginarci su, perché Yuki non aveva ancora finito e infatti riprese:
 
“Gli ho scritto perché ad un certo punto mi sono ricordata completamente di lui, e allora mi sono ritrovata a pensarlo, e avevo bisogno di vederlo, di parlargli… di chiedergli di venire via con me”.
 
Kaori sussultò.
 
“Sì, glielo avevo chiesto anche quella volta” spiegò la Regina “Gli avevo offerto il mio cuore e il mio regno, saremmo stati insieme ad Arimania, avremmo governato insieme, sarebbe stato il mio sposo. Avrebbe avuto tutte le ricchezze del mondo, avrebbe potuto smettere di fare il vostro sporco lavoro, si sarebbe sistemato per sempre. Credevo che mi amasse e che non aspettasse altro di… mettersi con me”.
 
Lo stomaco di Kaori si contrasse in uno spasmo di atroce gelosia; era uno strazio sentirla parlare così, e se prima perdere Ryo sarebbe stato doloroso, ora che erano una coppia anche solo il pensiero le attorcigliava le viscere togliendole il fiato: sarebbe morta di dolore.
 
Ma quelli erano solo i sogni di una principessa sprovveduta, che crede di aver incontrato il grande amore, o anche Ryo le aveva dato da intendere che per loro c’era realmente una possibilità?
E se era così, perché allora Ryo non l’aveva seguita?
Solo ed esclusivamente perché odiava i legami?
Sarebbe stata poca cosa di fronte al magnifico cambiamento che avrebbe fatto, avrebbe dato una svolta alla sua vita, sarebbe stato felice…
Sarebbe stato felice veramente?
Per quale motivo aveva rinunciato?
Solo perché poi sarebbe venuto meno alla promessa fatta al suo amico morente, e cioè di prendersi cura della sua sorellina adorata?
Ma ormai Maki era morto da un pezzo e Kaori non era più una bambina, non aveva bisogno di un tutore.
Non che come fossero poi andate le cose fra lei e Ryo le dispiacesse, tutt’altro.
Però i dubbi di allora si erano ripresentati non appena era rispuntata quella lettera, ed ora Kaori voleva sapere, voleva andare fino in fondo:
 
“Perché allora Ryo non ha accettato?” chiese recisamente la sweeper “Perché ti ha ricondotto dai tuoi dignitari?”
 
“Bella domanda!” sbottò la Regina “Me lo sono chiesta un milione di volte e non ho trovato una risposta valida… fino ad oggi. All’epoca, quella che mi sembrò più sensata fu che Ryo non amasse i legami sentimentali, e che fosse convinto che ognuno di noi debba seguire il proprio destino, soprattutto quando questo è già segnato. Forse intendeva che io avessi delle responsabilità a cui non potevo sottrarmi, che fuggire non sarebbe servito a nulla. Per il suo codice d’onore da vecchio samurai, che si sacrifica per il bene dell’altro, poteva andare, no? Potevo accettarlo, forse. Pensavo che ci fosse qualcosa che lo trattenesse qui, qualcosa che era pari ai miei doveri di principessa regnante… forse”.
 
“Se lo amavi tanto, perché hai deciso di dimenticarlo totalmente, come se non fosse mai esistito, allora?” domandò Kaori, ancora scioccata da quel rimedio immorale e inumano.
 
“Per orgoglio” ammise senza mezzi termini la donna “Sì, per orgoglio, perché lui mi aveva rifiutato. Lo so, può sembrare egoistica la cosa, crudele, ma lui mi aveva spezzato il cuore e non volevo soffrire più”.
 
“Ma così tu gli hai spezzato il cuore!” si ritrovò ad esclamare con veemenza Kaori.
 
“Da-davvero?” si rianimò speranzosa la Regina.
 
“Certo!” confermò la sweeper, nonostante stesse in qualche modo favorendo e legittimando la loro ipotetica storia d’amore; non importava che ora fosse lei la compagna di Ryo Saeba, all’epoca quei due si sarebbero potuti mettere insieme ugualmente, lui sarebbe stato felice, avrebbe cambiato vita e… Kaori avrebbe sofferto in silenzio, come sempre, e avrebbe sacrificato il suo amore per lui.
 
“Nessuno merita di essere dimenticato, cancellato totalmente dalla propria vita, soprattutto se ti ha aiutato tanto. Ha rischiato la vita per te, non lo ricordi? E di certo il nostro compenso non l’ha ripagato del pericolo corso. L’avrebbe fatto anche senza ricompensa, perché lui ha un animo buono, è un brav’uomo che aiuta le persone in difficoltà. Direi che ti sei comportata da ingrata…”
 
Quelle parole ferirono la Regina Yuki di Arimania, le arrivarono dritto al cuore, scuotendola profondamente. Nessuno le aveva mai parlato in quei termini, ma ciò che più la sconvolgeva, era che Kaori aveva perfettamente ragione.
Yuki con Ryo era stata un’ingrata, ma c’era di più.
Yuki aveva capito la vera ragione per cui Ryo non aveva voluto partire con lei: perché era innamorato di Kaori e non voleva perderla, e questo lo aveva compreso solo ora.
 
“Bene, giunte a questo punto direi che non c’è più molto altro da aggiungere…” disse con un sospiro Yuki, guardandosi intorno in cerca del suo zaino, pronta a togliere il disturbo.
 
Ma Kaori la fermò, prendendole un braccio: non era una presa forte, né particolarmente decisa, ma ebbe l’effetto di far sobbalzare la Regina; finora le due non si erano nemmeno sfiorate, e lei non permetteva quasi a nessuno di toccarla, figurarsi proprio alla sua rivale.
Quel tocco le bruciò la pelle attraverso i vestiti.
Sorpresa, Yuki spostò lo sguardo sulla mano di Kaori e poi sul suo viso.
 
“Aspetta!” le mormorò la sweeper “Non mi hai ancora spiegato una cosa: che vuol dire che io ho vinto, ho vinto di nuovo?” e la guardò con i suoi grandi occhi.
 
Yuki aveva anche dimenticato quanto la ragazza fosse stata gentile e carina con lei, quando avevano deciso di proteggerla da anonimi sabotatori, quando si era presa cura di lei, mettendosi a sua disposizione.
Anche Kaori aveva consapevolmente accettato di correre il pericolo, pur di aiutarla.
 
La consapevolezza della sconfitta le lacerò l’anima.
 
Kaori, poco prima, trovandola lì al bar dell’hotel, avrebbe potuto affrontarla, magari a male parole, esigendo una spiegazione qualunque, o anche dopo, dopo aver ascoltato tutta quella tirata che di sicuro non le aveva fatto piacere, avrebbe potuto sbraitare, arrabbiarsi, e invece… nei suoi limpidi e caldi occhi vedeva… cosa?
Perdono.
Comprensione.
Bontà d’animo.
Kaori era incapace di odiare, era lontana anni luce dalle meschinità della vita, dalla malizia, dalle ipocrisie; malgrado il suo lavoro la costringesse a frequentare i bassifondi della società, sempre a contatto con il marciume, con i reietti, con la feccia dell’umanità, la sua anima rimaneva pura e limpida.
Impossibile non innamorarsi di lei, Ryo aveva visto lungo; Yuki contro Kaori non avrebbe potuto vincere, mai e poi mai, e questo lei avrebbe dovuto capirlo fin da subito.
 
Ecco perché Ryo non aveva risposto al bacio di Yuki.
Ciò che doveva essere un preludio, un invito ad andare oltre, dimostrandosi finalmente disponibile a fare altro, magari per una notte soltanto, per quella notte stessa, invece si era dimostrato un penoso bacio d’addio.
Non l’aveva respinta, forse per rispetto, ma non l’aveva nemmeno incoraggiata.
Questo aveva fatto infuriare Yuki sopra ogni dire, ed era voluta ricorrere al Ricondizionatore Mentale per poterlo dimenticare.
Non aveva pensato nemmeno per un istante che ci fosse un’altra donna.
Non aveva pensato nemmeno per un istante che ci fosse… Kaori.
Kaori era già talmente radicata nel cuore dello sweeper, che per lei non avrebbe rinunciato a nulla della sua vita, neanche al pericolo, alla violenza, alla costante penuria di soldi.
All’atto pratico, Ryo, inoltre, non aveva neanche approfittato della situazione, eppure non era forse lui che fin dall’inizio voleva portarsela a letto?
Ebbene, gli sarebbe bastato pochissimo per ottenere ciò che voleva, e invece…
 
In quel momento Yuki si sarebbe presa a schiaffi, ma il suo orgoglio di Regina glielo impedì.
Cercò invece di sorridere alla sua ormai ex-rivale e provò a spiegarle l’ovvio: glielo doveva.
 
“Ryo non è venuto via con me perché ti amava già!”
 
Kaori sussultò appena e, lentamente, lasciò la presa sul braccio di Yuki; questa aggiunse:
 
“Sì, ti amava… e spero che ora si sia deciso a dirtelo…” e le sorrise sinceramente.
 
Kaori annuì in silenzio.
 
“Bene allora. Ho dovuto fare un lungo viaggio per arrivare alla verità” disse Yuki, quasi più a sé stessa che all’altra “ma almeno ora non ho più dubbi. Direi che mi sono anche umiliata a sufficienza…” e nel dirlo abbassò gli occhi a terra, nascondendo il suo sguardo all’altra “Non pensavo di doverlo dire, ma sono contenta che Ryo non sia venuto e che non mi abbia vista qui.”
 
E mentre ancora Kaori cercava di assimilare le ultime parole, Yuki recuperò il suo zaino decisa a scomparire per sempre dalla vita dei due City Hunter; ma un ripensamento la riportò indietro, lì doveva aveva lasciato la sweeper, e prendendole entrambe le mani le disse:
 
“Siate felici…come spero di esserlo io. Addio”.
 
E, silenziosamente, si perse nell’andirivieni dell’Hotel Imperatore del Sol Levante.
 
Kaori tirò un sospiro di sollievo; non si era nemmeno accorta di essere stata per tutto il tempo quasi in apnea.
Scosse la testa e un sorriso le nacque spontaneo all’angolo della bocca.
Girò le spalle alla direzione presa dalla Regina Yuki e si dispose ad uscire, quando si trovò Ryo di fronte:
quasi gli andò a sbattere contro.
Lì per lì ci mise un po’ a riconoscerlo, lui e la sua dannatissima dote di riuscire ad arrivarti alle spalle senza farsi sentire: se fosse stato un nemico sarebbe stata spacciata, magari le avrebbe già tagliato la gola; per fortuna, però, non esisteva un nemico in gamba come il suo socio.
 
Kaori indugiò una frazione di secondo, poi gli assestò un potente schiaffo in pieno viso.
Ryo incassò il colpo e anzi, se possibile, annuì.
 
“Da quanto tempo sei qui?”
 
“Già da un po’.”
 
“E cosa hai sentito?”
 
“Abbastanza…”
 
Fu il laconico scambio di battute dei due.
 

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Capitolo 10
*** Voltare pagina ***


Ebbene, se anche noi voltassimo pagina, ci accorgeremmo che la fan fiction è finita…. almeno questa! Ma tante storie ci aspettano, fuori e dentro il fandom e cmq a volte è necessario andare oltre!
Dopo queste pillole di saggezza :D vi lascio l’ultimo capitolo.
Volevo fare la lista dei ringraziamenti, ma temo di dimenticare qualcuno stasera, e siccome mi premeva aggiornare – e terminare – la fic, dovrete accontentarvi di un
MEGA-ULTRA-STRATOSFERICO-ENORME-*GRAZIE* per aver letto questa mia ennesima storiella, per averla commentata o solo letta in ‘silenzioso’.
La vostra simpatia e stima è arrivata tutta e ha riempito il mio cuore di gioia.
Enormemente grata,
vostra
Eleonora

 
 
 
 
Cap. 10 - Voltare pagina
 
Un minuto dopo erano in sella alla moto di Ryo: guidava Kaori.
All’uomo non dispiaceva affatto, apprezzava le doti da centaura della compagna e poi, così, aveva la possibilità di starle appiccicato e godersi il suo magnifico corpo.
Ma quando Kaori fece per prendere la via di casa, lui le strinse più forte le mani sui fianchi e le urlò:
 
“No aspetta!”
 
Kaori fu costretta ad accostare; anche se non portavano il casco, parlare in quel modo sarebbe stato scomodo e impossibile, fra il rombo della moto e il rumore del traffico intorno a loro.
 
“Scendiamo, ti va?” disse Ryo, smontando dalla sella.
 
Entrambi sapevano che un chiarimento era rimasto in sospeso fra loro, ma Kaori pensava che avrebbero affrontato l’argomento a casa, non si aspettava una deviazione; però non oppose resistenza.
Ogni posto andava bene quando stava con il suo Ryo, e poi era una così bella giornata!
 
“Ah, prima che mi dimentichi, Umi e Miki ci hanno invitato per pranzo… ci avevano… perché ormai credo che siamo fuori tempo massimo” disse Ryo ridacchiando e grattandosi la testa, e poi, avvicinandosi alla compagna, con fare da seduttore aggiunse: “Poco male, così avremo più tempo per stare insieme” e già si abbassava per baciarla, ma Kaori si ritrasse e, poggiandogli una mano sulle labbra, quasi a spingerlo indietro, disse:
 
“Non devi dirmi niente?”
 
Ryo raddrizzò la schiena e mise da parte i suoi propositi amorosi, in fondo lo sapeva che non se la sarebbe passata con un semplice schiaffo; la prese per mano e la tirò verso una panchina un po’ in disparte.
 
“Inizia tu. Sei così brava a fare le domande…” attaccò lui, sempre restio a dare spiegazioni o cominciare discorsi impegnativi; ma, visto che si era deciso ad essere sincero e aperto con lei, e non voleva più avere segreti; preferiva che fosse lei a dare l’avvio, poi lui l’avrebbe seguita a ruota.
 
“Sempre il solito…” sbuffò la ragazza, che però, ormai, sapeva benissimo come andavano le cose fra loro due; quindi, dopo aver fatto un bel respiro, chiese: “Perché non mi hai detto nulla della lettera?”
 
Bene, Kaori era andata dritta al punto e l’uomo non poteva non apprezzare la sua schiettezza, del resto la domanda non lo coglieva minimamente di sorpresa; rispose così:
 
“Non lo so…”
 
“Avanti Ryo, non ricominciare!” si spazientì invece l’altra “Non fare che ti devo tirar fuori le parole con le pinze!”
 
“Ma è vero, Kaori-chan!” provò a giustificarsi lui, alzando le braccia in segno di resa “La lettera è arrivata, quando…? Due o tre giorni fa, l’ho trovata per caso, quando eri via, e non ho fatto nulla per… per… cioè non te l’ho tenuta nascosta intenzionalmente. Voglio dire, era arrivata solo quella, l’ho vista, mi ha incuriosito… dall’odore ho capito che l’aveva scritta una donna… non-non fare quella faccia, eh eh eh eh…”
 
“Sii serio una volta tanto, Ryo!” sbottò la compagna.
 
“Ma lo sono! E sto provando anche ad essere sincero, come tu mi vuoi[1]!”
 
“L’ho già sentita questa… dove l’avrò letta? Ricordo che era divertente… mmm… Mah, mi sto confondendo… Vai avanti” lo incoraggiò la ragazza, cercando di essere meno acida possibile.
 
“Dicevo… non era la solita bolletta, e poi al posto del mittente c’era scritto XYZ. L’ho aperta, ho visto che era di Yuki che parlava di… dai lo sai di cosa parlava, eh eh eh eh” finì per ridacchiare, nuovamente, in imbarazzo.
 
Quella era una smielata lettera d’amore, un tardivo ripensamento, del tutto inutile peraltro, ma gli dispiaceva far soffrire Kaori rivelandole il contenuto: conosceva la sua gelosia e una lettera simile avrebbe fatto male a chiunque.
Ma Kaori lo guardava seria e forse in quel momento avrebbe preferito la verità nuda e cruda.
 
“Io non lo so di cosa parlasse, perché ne ho letto solo un frammento, e da lì sono risalita al luogo e all’ora dell’appuntamento” chiarì la socia.
 
Ryo allora le si avvicinò ulteriormente: erano seduti sulla stessa panchina, vicini, ma uno di fronte all’altra; lui le prese una mano con entrambe le sue.
 
“Sugar, hai ragione, non puoi sapere con esattezza cosa c’era scritto, perché hai trovato solo quel dannatissimo frammento… dannatissimo non perché avrei dovuto far sparire anche quello… insomma… è inutile che ci giri intorno. Yuki mi ha scritto una lettera d’amore, dicendomi che si era improvvisamente ricordata di me, che voleva vedermi, voleva offrirmi un posto nel suo regno, e visto che si stava sposando ufficialmente, e che in un certo senso mi avrebbe sollevato da un legame formale, avrei potuto diventare il suo amante, se solo avessi voluto” e fece spallucce “Per invogliarmi mi metteva anche a disposizione un harem… nel suo paese funziona così”.
 
Kaori fece tanto d’occhi.
Ryo aveva rinunciato addirittura ad un harem per… per lei?
 
“Ryo, hai rinunciato ad un harem?” Kaori disse senza neanche accorgersene.
 
“Non farmici pensare…” mormorò di rimando l’uomo. Poi si riscosse, non voleva che la conversazione prendesse una brutta piega “Però a me non interessava… Yuki intendo”.
 
E questa frase attirò l’attenzione della sua compagna; lui la guardò intensamente e aggiunse:
 
“Kaori, io sono innamorato di te, da sempre, e non potrei essere l’amante di nessun’altra, nemmeno se fosse una principessa o una regina, perfino! Ho scelto te allora, e scelgo te adesso… tuo per sempre, ricordi?”
 
“Oh, Ryo!” esclamò la ragazza, gettandosi fra le sue braccia. Lui l’accolse e, affondando il viso nei capelli ribelli, le mormorò:
 
“Non ti ho parlato della lettera per non farti soffire… ancora. L’ho distrutta perché non la vedessi, ma alla fine è stato tutto vano perché tu, in qualche modo, l’hai trovata. Inutile dire che non sarei andato all’appuntamento per nulla al mondo. Mi dispiace se hai pensato che ti avessi mentito… io e Umibozu siamo andati veramente in missione…” fece una pausa e si accorse che la socia stava sussultando, tremando “Ka-Kaori… che hai?” e dolcemente l’allontanò da lui per guardarla meglio “Kaori! Perché piangi?”
 
“Idiota! Piango dalla felicità!” e tirò sul col naso. Poi, asciugandosi gli occhi con la manica, in un gesto che la faceva apparire come una bambina, lo guardò con amore e passione – e qui invece era la giovane donna innamorata qual era –  “Ryo Saeba, sei l’uomo più fantastico, meraviglioso che io conosca… e anche il più fortunato, ad avermi incontrato” e lo incantò col suo magnifico sorriso “Ryo… io… io ti amo!”
 
Non aspettò che lui dicesse altro, che Kaori si impossessò delle sue labbra e lo baciò con struggimento e riconoscenza.
 
Per un attimo Ryo pensò che fosse bello l’amore, che avesse tante sfaccettature, che amare una sola donna fosse entusiasmante, soprattutto se quell’unica donna era la sua Kaori.
Naturalmente si lasciò trasportare dall’entusiasmo dell’altra e, per un tempo che parve eterno, si baciarono come se ci fossero solo loro sulla faccia della terra.
 
Quando si separarono, ancora ebbri di sentimento, nella più perfetta delle armonie, occhi negli occhi, si sorrisero nuovamente; poi Kaori si rialzò in piedi e, tendendogli una mano per invitarlo ad alzarsi a sua volta, gli chiese, con uno strano luccicore negli occhi:
 
“Che ne pensi del nome Kentaro?”
 
“Eh?” fu la risposta inebetita dell’uomo.
 
“Niente, niente” e la ragazza scoppiò a ridere “Niente, niente” avviandosi verso la moto.
 
“Kaori? Cosa vuol dire? Chi è questo Kentaro? E cosa ne dovrei pensare del nome?... Ka-Kaori aspetta…”
 
 
 
o.O.o
 
 
 
Da qualche parte, nell’Hotel.
 
“Pronto? Kris? Vieni a prendermi… ti prego…” Yuki in lacrime stava facendo una telefonata internazionale.
 
Sei in Giappone, vero?” fu la risposta recisa del principe.
 
“Sì…” era giusto un sussurro, che tradiva un senso immenso di sconfitta.
 
Lo immaginavo… Sei tornata da Ryo…
 
Kris avrebbe voluto dire molto altro, che per esempio si sentiva tradito, anche se non ne aveva nessun diritto, visto che lei era la Regina e poteva scegliersi tutti gli amanti che voleva; oppure che aveva capito che la sua ribelle e insoddisfatta fidanzata aveva un cruccio che non la faceva star tranquilla, e forse era per quello che non riusciva ad aprirsi totalmente a lui, a concedersi, e non solo per un mero atto sessuale volto al concepimento.
Avrebbe voluto dirle che, sotto sotto, sentirla piangere gratificava il suo ego ferito, che ben gli stava a correre dietro a uomini che non la volevano.
E, non per la prima volta, si chiese cosa avesse di così tanto speciale questo Ryo Saeba, tanto che la Regina di Arimania all’epoca se ne fosse innamorata perdutamente e che, per un capriccio – era stata forse respinta? – avesse deciso di rimuovere tutto di lui dalla sua mente, per poi ricordarsene nuovamente e tornare in Giappone per convincerlo a seguirla.
 
Aveva anche lui i suoi informatori all’interno della corte, ma le notizie erano state tutte frammentate e vaghe; si era fatto un’idea, in proposito a questa storia mancata, ricostruendola da solo, con un po’ di intuito, mettendo insieme tutti i pezzi.
 
Avrebbe voluto dirle, se fosse stato un altro uomo, con altri obblighi, e non del suo rango, che per lui poteva rimanere lì dov’era, che tornasse da sola, che non aveva bisogno di lei, che andasse al diavolo; ma lui era Kris III della nobile e antica casata dei Kohinoor, il futuro Principe Consorte della Regina di Arimania; e, soprattutto, era uno stupido uomo innamorato della sua promessa sposa.
E, come se non bastasse, se lei gli stava telefonando in lacrime, voleva dire solo una cosa, e cioè che qualcosa era andato storto, che quel fantomatico Ryo Saeba non aveva accettato, qualsiasi proposta lei gli avesse potuto fare.
Ne era profondamente sollevato.
 
“Kris, Kris… ti prego perdonami, mi dispiace…” proruppe la donna, aggrappata disperatamente alla cornetta; eppure lui aveva usato un tono neutro e non c’era traccia di rimprovero nella sua voce.
 
Il principe ne rimase sconvolto.
Sapeva che raramente la Regina chiedeva scusa e non si aspettava da lei un atto di totale arrendevolezza, una tale richiesta di remissione: lei che chiedeva perdono a lui, a Kris!
Era sincera, lo sentiva, non si stava scusando per via del loro imminente matrimonio… allora, allora voleva dire che lei teneva a lui!
 
Yuki, va tutto bene” la rassicurò con voce dolce “non devi scusarti…” provò a dire lui, cercando di farsi capire fra i singhiozzi dell’altra.
 
“Kris… perdonami…” insisteva la donna fra le lacrime e, per un attimo, Kris si chiese in che modo tutto ciò avesse potuto nuocergli fino a quel punto, ma le parole che la Regina disse dopo, lo inchiodarono sul posto “Kris… io… io ti amo!”
 
Ci fu attimo di silenzio.
 
La donna riprese:
 
“Sì, ti amo, mi sono innamorata di te, fin da subito, ma poi mi sono persa dietro un sogno irrealizzabile, sono scappata come una ladra e sono corsa dietro a uomo che non avrebbe mai potuto essere mio perché… amava un’altra da sempre! Sono stata una stupida, un’ingenua… anzi no, un’orgogliosa e presuntuosa bambina viziata…”
 
Yuki…”provò ad interromperla Kris.
 
“Non ho mai capito nulla della vita, dell’amore, finché non ho conosciuto te. Avevo la felicità a portata di mano, e ho rovinato tutto… Perdonami…”
 
Yuki…” cercò di intromettersi in quel suo soliloquio disperato “Yuki, ho detto che va tutto bene…
 
“No, che non va tutto bene! È vero, il nostro è un matrimonio combinato, ma io credevo… credevo che fra noi due ci sarebbe potuto essere qualcosa di più… So che terrai fede ai tuoi impegni istituzionali, ma se non ne vorrai più sapere di me…”
 
Yuki, vuoi starmi a sentire una buona volta?” alzò la voce Kris, più per attirare la sua attenzione, che per rimproverarla. Assicuratosi che lei lo stesse ascoltando veramente, riprese più dolcemente: “Ho detto che va tutto bene, e che non devi scusarti. Se anche non fossi stata la Regina di Arimania, colei che può decidere chi ammettere e chi no nel suo letto, io ti avrei già perdonato lo stesso perché… perché io ti amo, semplicemente”.
 
Silenzio.
 
Kris riprese:
 
È vero, il nostro matrimonio è un contratto fra Stati, ma anche io ho sperato fin da subito che potesse nascere l’amore fra di noi, e fino a un certo punto ne ero anche abbastanza sicuro. Vedevo però che non eri serena, che nascondevi un cruccio, un problema. Se questo viaggio in Giappone ti ha chiarito le idee, non posso che esserne felice”.
 
“Di-dici davvero?” disse Yuki con un filo di voce.
 
Certo. Se aver capito che Ryo non era l’uomo per te e che… be’ che insomma, mi ami, almeno adesso non avrai più dubbi, o no?
 
“Oh, Kris!” esclamò la donna, asciugandosi le lacrime in un gesto poco regale, ma così tanto umano e disarmante; peccato che lui non potesse vederla.
 
Yuki non ignorava la consuetudine dei reali e dei cortigiani di affiancare, a matrimoni d’interesse, relazioni amorose più o meno clandestine con favoriti e concubine, e non era così sprovveduta da non considerare la possibilità che lo stesso Kris si sollazzasse lontano dalla sua alcova regale, ma ben prima che l’ossessione per Ryo tornasse a sconvolgerle la mente, aveva sperato che lui si innamorasse così tanto di lei, tanto da non cercare l’amore altrove.
Ciò che aveva provato per lui, fin dall’inizio, non lo aveva sentito per nessuno, e si diceva fortunata ad avere un promesso sposo come Kris.
Ma poi aveva perso la testa per Ryo, nuovamente, ed aveva intrapreso quel viaggio in terra nipponica, per fare poi cosa?
Chiedere allo stesso Saeba di diventare il suo amante, il suo favorito.
Era stata meschina, egocentrica ed egoista, e l’umiliazione inevitabile che ne era seguita l’aveva improvvisamente riportata alla realtà, fatta ripiombare fra i comuni mortali.
Ed ora temeva di perdere anche il vero amore della sua vita, Kris, che non solo aveva accettato di sposarla di buon grado, ma che nei suoi slanci e nei suoi sentimenti era stato sincero ed autentico.
Sentiva di averlo ferito, di averlo tradito.
E questo andava al di là degli obblighi reciproci che avrebbero avuto come marito e moglie.
Le aveva appena detto che anche lui l’amava, che in sostanza la perdonava perché non c’era nulla da perdonare.
Era contento che lei si fosse tolta la curiosità, se così si può dire, di capire fino a che punto amasse ancora Ryo; così, ormai, era sicura che nel suo cuore ci fosse posto solo per Kris e, anzi, era arrivata al punto di confessarglielo.
 
Per Kris era quindi una doppia vittoria, perché se fosse tornata ad Arimania con Saeba e fosse stata amorosa e passionale anche con il Consorte, lui avrebbe dovuto dividere il cuore e il talamo della bella Yuki con Ryo.
Invece così sarebbe stata solo sua, sua soltanto.
 
Allora Yuki, dimmi in che albergo alloggi; entro stasera conto di essere lì con il nostro jet privato” prese in mano la situazione Kris.
 
“Il jet privato? E cosa dirai alla corte?” si allarmò la Regina.
 
Nulla! A chi me lo chiederà dirò semplicemente che volevo fare un giro” e dalla voce, Yuki sentì che l’uomo stava ridendo.
 
Il suo cuore finalmente si sciolse, in un empito di gratitudine e amore.
Sì, quel viaggio le aveva impartito una tremenda lezione, le aveva aperto gli occhi su tante cose e, in cuor suo, fu grata a Kaori per non aver infierito su di lei, per non averla maltrattata o presa a cattive parole; anche se, ancora una volta, la gentilezza altrui le aveva fatto male e ricordato quanto fosse meschina, a volte.
Si disse che sarebbe cambiata, che avrebbe fatto di tutto per migliorare, per diventare una donna diversa, non solo una Regina seria e giudiziosa, ma un’ottima persona; che avrebbe coltivato relazioni e legami autentici e non basati sul rispetto imposto o sull’ipocrisia, così tanto comuni nel suo mondo.
Lo doveva a Kris e a chi le aveva voluto bene veramente, e in un certo senso anche a Kaori Makimura.
 
Improvvisamente, sentì il bisogno impellente di avere lì con lei Kris e, finalmente, si sentì pronta a fissare la data delle nozze; non vedeva l’ora di stare con lui e di dare inizio alla loro splendida vita insieme.
 
Quando riattaccò il telefono, si sentì sollevata e, infine, assolta.
 
 
 
E noi, la assolviamo?
 
 
[1] Mi auto-cito e auto-sponsorizzo. Per chi non lo sapesse questo è il titolo di un’altra mia fan fiction https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3906480&i=1

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