Come un corpo muta

di Teony
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1/2 ***
Capitolo 2: *** 2/2 ***
Capitolo 3: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1/2 ***


Come un corpo muta
 
1/2
 
La prima volta che Collei è arrivata a chiedergli affetto è stata la sera stessa della loro partenza da Monstadt, quattro anni addietro.
Cyno aveva allestito una tenda a poche miglia da Springvale ed aveva concesso alla bambina dello spazio per se stessa. Non aveva osato avvicinarla troppo, né interrompere i suoi silenzi con futili domande.
Si era limitato a fissarla sporadicamente, giusto per accertarsi che il rituale compiuto non avesse sortito effetti indesiderati.
Collei, da parte sua, non aveva fatto altro che fissare la fiamma convulsa del falò, gremita da cocenti riflessioni. Probabilmente non era ancora del tutto convinta di ritornare a Sumeru. Forse sarebbe stato meglio per lei trasferirsi a Monstadt. Inoltre non si era ritrovata ad avere al fianco il migliore compagno di viaggio, aveva pensato di se stesso.
In fondo, è sempre stato un disastro nel rapportarsi con gli altri, figurarsi con una bambina a cui aveva inflitto un dolore lancinante, pur di poterla salvare dal Residuo dell’Archon.
Unica frase che si era concesso di rivolgerle era stata: «Vai a riposare. Domani ci aspetta una lunga giornata di cammino.» Il suo tono era forse risultato spiacevole, perché la bambina si era limitata a sollevare gli occhi, con le labbra piegate in un cruccio. A Cyno non importava cosa lei pensasse di lui. Non sarebbe stata la prima a trovarlo sgradito, né l’ultima. Era abituato ad un simile atteggiamento di diffidenza ed aveva smesso di restarne ferito da tempo.
Aveva visto la bambina alzarsi ubbidiente ed infilarsi nella tenda. Lui era rimasto all’esterno, infilato nel sacco a pelo, di fianco al fuoco da campo, fino a che non aveva deciso di spegnerlo.
Poi il grido nella notte lo aveva strappato brutalmente dal sonno. Neanche si era accorto di essersi addormentato. Aveva subito riconosciuto la voce della bambina ed aveva aperto la tenda in pochi secondi.
L’aveva ritrovata stretta tra le ginocchia, con la voce distrutta dai singhiozzi e colta da fremiti violenti. Non ci aveva pensato due volte ad avvicinarsi, allarmato, perché aveva temuto subito che il suo rituale stesse avendo su di lei dei risvolti negativi.
«Non ti avvicinare!» gli aveva urlato, con la voce rotta dal pianto e lui si era come paralizzato sul posto.
La bambina si era ritratta al massimo, quasi cercando riparo nell’angolo della tenda. «Scusami» aveva emesso debolmente, pochi secondi dopo. «Ho paura» si era sfogata poi, nascondendosi il viso tra le cosce.
«Mamma…» aveva urlato, roca. «Mamma!»
Cyno aveva esitato nel farsi avanti, ma il vedere quella bambina così tramortita da incubi e ricordi, persino da sveglia, lo aveva quasi obbligato a compiere un silenzioso e timido passo avanti. Non aveva idea di cosa sarebbe stato meglio fare, aveva agito come l’istinto gli aveva suggerito. «La mamma purtroppo non c’è più» Lisa gliel’aveva detto e lui non ha mai avuto un rapporto troppo distaccato con la morte, per potersene crucciare.
Collei aveva sussultato ed aveva sollevato debolmente il capo. I violacei occhi, cerchiati dalle lacrime, gli si erano piantati addosso. «Mamma…» aveva ripreso a singhiozzare ed il giovane aveva intuito di non aver affatto contribuito a farla sentire meglio. Si era inginocchiato davanti a lei, con estrema cautela. «Ma non sei sola.»
L’aveva sentita irrigidirsi.
«Davvero?» il suo era stato un debole lamento, supplicante di certezze che, preda dei crudi ricordi, non riusciva a trovare da sola.
«Sì. Per ora ci sono io.»
«Tu?»
E Cyno aveva annuito, anche se a disagio. «E poi ci sarà un mio amico. Lui conosce la medicina. Può aiutarti ad imparare un sacco di cose.»
«Io… non voglio essere un peso per nessuno.»
«Lo sarai solo se non dormi» aveva creduto che questa fosse la strategia migliore per convincerla a quietarsi e forse aveva funzionato, perché la bambina si era scacciata le lacrime dalle guance, aggressiva, ancora con la fronte accipigliata.
Cyno avrebbe voluto dirle che l’aveva trovata coraggiosa, in quel momento, ma la voce gli era mancata. Si era solo rialzato. «Se hai qualche problema, non esitare a svegliarmi» le aveva detto, atono e si era apprestato ad uscire dalla tenda.
«Aspetta» lo aveva fermato la bambina a filo di voce e lui le aveva di nuovo dedicato attenzione. «Puoi… Puoi dormire qui, se vuoi.»
«Non voglio toglierti spazio. Non ho problemi a stare fuori.»
«No… davvero» aveva insistito la bambina, ancora preda del tremore. «Puoi dormire qui» poi gli occhi le si erano fatti di nuovo languidi e le labbra avevano pronunciato una parola priva di voce, ma che lui era riuscito a cogliere, leggendo il labiale.
“Per favore”.
Forse Collei non era neanche conscia di avergli rivolto la muta richiesta, eppure Cyno, dopo qualche secondo, aveva accettato.
Se l’era ritrovata stretta al costato quasi subito, il tempo di ricavarsi uno spazio sufficientemente comodo dal permettergli di dormire. Il disperato e disinvolto gesto d’affetto l’aveva colto di sorpresa, a tal punto dal non avere idea di come reagire, ma il vederla così avvinghiata al suo mantello, come se alla disperata ricerca di un appiglio a cui potersi aggrappare, pur di non cadere in nuovi e folli deliri del subconscio, lo aveva indotto a lasciarla fare.
Sentire quel caldo corpicino stringerglisi addosso, tramortito dalla paura, eppure così energico e vitale, aveva istigato in lui un’emozione mai provata.
Quella bambina era riuscita a sopravvivere all’iniezione del Residuo, era sfuggita a Zandick ed aveva avuto una forza tale dall’uscire indenne dal suo Rituale. L’ammirazione per lei era tale dal trovare ancora più incredibile il come l’avesse reputato degno di fiducia.
Lui: guardato con circospetto e disprezzo dagli stessi membri dell’Akademiya, a cui non aveva mai alzato un dito, adesso aveva stretta al suo petto una persona che avrebbe più che motivo di temerlo.
Si era ritrovato ad abbracciarla a sua volta e lei a reagire, stringendolo maggiormente e premendo il viso gracile contro il suo sterno, così dal soffocare su di esso le lacrime.
Era stato allora che il suo inconscio aveva stabilito per lui qualcosa: non avrebbe mai permesso a quella bambina di subire altro dolore.
 
La seconda volta è stata ad ormai un anno dal suo ritorno a Sumeru.
Cyno aveva affidato l’istruzione di Collei al suo vecchio amico Tighnari, neo-laureato, con la salda decisione di prendere le distanze dall’Akademiya, scelta che lui stesso aveva ammirato, pur impossibilitato ad imitarla. Ultimo suo desiderio era che la bambina fosse affidata alle istruzioni di qualche accademico, ossessionato da tossica conoscenza scientifica e con tutta l’intenzione di tramutarla in un catalogo di fredde informazioni, che probabilmente avrebbero finito col neutralizzarla.
Al suo arrivo a Gandharva Ville, tuttavia, la bambina aveva iniziato a manifestare visibili segni di disagio nell’avere Cyno a poca distanza, per quanto lui andasse a trovarla solo per assicurarsi che il sigillo reggesse o l’Elazar non stesse peggiorando. Era solita portarsi una mano alla nuca e massaggiarsela con nervosismo, quasi rivivesse il dolore causato dal Rituale, solo nel guardarlo. Il malessere nel sapere di averlo attorno era progredito, nel corso dell’anno, a tal punto che Collei inventava puntualmente scuse, pur di allontanarsi da lui o sparire semplicemente dal suo campo visivo.
La situazione era divenuta a tal punto evidente, che Cyno aveva deciso di affidare la totale responsabilità di lei a Tighnari. Una scelta sofferta, ma necessaria. Da allora le sue visite a Gandharva Ville si erano rarefatte e quelle poche che si concedeva, erano celate dalla segretezza.
Collei era ignara che lui non aveva mai smesso di andare a trovarla e verificare le sue condizioni psicofisiche, almeno sommariamente. Non sapeva di essere divenuta per lui a sua volta un appiglio, che gli forniva energie per continuare a vivere.
La vita accademica era estenuante, per lui anche più che per gli altri, specialmente da quando Lisa, forse l’unica con cui aveva potuto vantare un rapporto quantomeno decente, nel proprio Darshan, aveva tagliato per sempre i ponti con Sumeru. La diffidenza e la repulsione nei suoi confronti erano stati una costante, ed erano accresciuti, appena sparsa la notizia della sua candidatura come Matra.
Non aveva motivo di lasciare l’Akademiya, per quanta sofferenza potesse arrecargli, non aveva la possibilità di tornare nel Deserto, perché non aveva un posto in cui tornare e non aveva intenzione di tracciare la strada che la Foresta avrebbe voluto per lui: un semplice, ignaro, cieco mercenario, abusato da chissà che tipo di baldanzoso e razzista cliente.
Cyno non aveva niente, fuorché la sete di conoscenza ed il proposito di ritrovare le proprie radici, in qualche sporadico e proibito manoscritto. Sentiva di neutralizzarsi via via, in quel tossico ambiente sgorgante di discorsi, ma non gli rimaneva altro da fare.
Però nulla era più gratificante dello scorgere Collei sorridere. Non importava che lei rifiutasse la sua compagnia, non aveva bisogno che lei fosse consapevole dell’essere comunque vigilata, per sentirsi realizzato.
La soddisfazione arrivava nel vederla compiere da lontano i suoi primi timidi passi come Ranger, nel sapere tramite vie terze, che ormai amasse il cucito, che stesse migliorando nella lettura, così come nella scrittura, che stesse iniziando a leggere, anche di sua spontanea volontà. Sapeva anche dell’albero cavo in cui la bambina vi infilava i propri segreti, scritti con furia su biglietti di carta, ma che non si era mai permesso di leggere.
Poi, era stata la volta della sua prima ronda solitaria. Cyno aveva pressato Tighnari perché il momento fosse rimandato il più possibile. Temeva che la bambina non fosse ancora pronta, che l’Elazar potesse ostacolare i suoi movimenti e portare a conseguenze che il suo conscio rifiutava di immaginare. L’amico gli aveva ribadito fino allo sfinimento che il tratto scelto per lei era perfettamente adatto alle sue forze, ma questa sicurezza non bastava per farlo sentire sufficientemente sereno. Era stato difficile trovare una giustificazione per assentarsi dalle proprie giornaliere incombenze, ma infine era riuscito ad evadere dall’Akademiya, giusto in tempo per vedere Collei caricarsi lo zaino in spalla, con tutto il necessario e partire per la sua piccola ronda, per la prima volta totalmente sola: era un gracile corpo febbricante di entusiasmo.
Il percorso era pianeggiante e le avrebbe richiesto sei ore di cammino: una semplice pattuglia del sentiero più rapito tra Gandharva Ville e Vimara, passante per la foresta.
Cyno l’aveva seguita, mantenendo da lei la necessaria distanza per non essere notato. Sapeva di farle un torto, nel sorvegliarla così testardamente ma, giunto quasi a metà tragitto, si era ritrovato a ringraziare la propria diffidenza.
In poche ore aveva iniziato a piovere.
Un richiamo enfatico aveva fatto eco nella foresta.
Cyno aveva sentito il fiato mancargli, nel vedere che la bambina aveva preso a correre e si era spinta oltre il perimetro del sentiero senza esitazione, per accorrere a quella che a tutti gli effetti, pareva una richiesta di aiuto. L’aveva seguita a sua volta, preoccupato. Non aveva potuto vedere con chiarezza l’intera vicenda, aveva solo intuito che un bambino era caduto oltre un dislivello lì vicino e la terra friabile gli aveva impedito di risalire. Avrebbe voluto con tutto se stesso intervenire, ma si era imposto di non muoversi. Se Collei voleva davvero diventare Ranger, quella non era che una delle tante prove che le sarebbe toccato affrontare. L’aveva vista lasciare subito lo zaino e recuperare una fune. «Aggrappati alla corda. Così ti tiro su» aveva esclamato la bambina, con tono sicuro.
Ma non era riuscita nel suo intento. Il terreno, ormai friabile fango, le era ceduto sotti i piedi ed era scivolata a sua volta, con un singulto sorpreso.
Cyno aveva già abbandonato il proprio nascondiglio, col cuore in gola, ma si era di nuovo imposto di non intervenire, non nel sentirla di nuovo.
«Stai bene!?» aveva chiesto il bambino, allarmato.
«Sì, non preoccuparti.»
«Come facciamo a risalire…?»
«C’è un appiglio lì in cima. Se Sali su di me, posso aiutarti a raggiungerlo, ma poi devi arrampicarti da solo. Poi mi tiri su»
Il Matra si era concesso una nuova postazione, da cui sorvegliare gli avvenimenti. Era risalito agilmente su di un albero ed era rimasto chino fra i rispettivi rami.  
Aveva visto la piccola ranger adoperarsi al massimo per aiutare il bambino. Gli aveva indicato gli appigli, prima di caricarselo in spalla ed aiutarlo a cominciare la scalata. Cyno era orgoglioso di lei, ma aveva notato ciò che la forza di volontà la stava forzando ad ignorare: la sua gamba destra era tesa in maniera innaturale, tanto che la bambina scaricava tutto il peso sul lato sinistro del corpo.
Era riuscita nel salvataggio, aveva tirato un sospiro di sollievo. Poi aveva ripreso fiato, il tempo che il ragazzino le tendesse la mano il più possibile e così aveva cercato il suo primo appiglio e vi si era aggrappata. Ma né la sua determinazione, né le incitazioni del compagno di sventure erano state sufficienti. L’Elazar aveva vinto su di lei ancora una volta.
La gamba le si era irrigidita, come se sottoposta ad una scossa violenta, aveva urlato, era caduta all’indietro.
Cyno si era sentito come colpito da una percossa, nel vederla rannicchiarsi al suolo, tramortita dalle fitte, ma ancora non si era permesso di intervenire.
«Stai bene!?»
«S-sì! Sto bene. Non preoccuparti» si era imposta di rispondere. «Solo che… non so se riesco a scalare» aveva ammesso, con la voce piegata da un dolore con forza trattenuto.
«Se mi aspetti qui, vado a prendere una scala! Casa mia è a Vimara. Se faccio presto sarò di ritorno in pochissimo.»
Collei si era issata sui gomiti a fatica ed era tornata a sedersi. «Sì, grazie…»
«Cerca di ripararti, intanto.»
E così il bambino si era allontanato con foga.
Era tornato il silenzio, interrotto solo dalla fitta pioggia.
Cyno avvertiva il petto contrito in una morsa, specialmente nel vedere la bambina impossibilitata anche solo dallo strisciare sui gomiti e raggiungere un arrangiato riparo, al di sotto di un qualsiasi albero. Ci aveva provato, ma solo per pochi secondi, prima di rendersi conto spontaneamente che il tremore l’aveva aggredita con troppa violenza, per lasciarle anche solo una misera libertà di movimento. Così, si era limitata a pressarsi il più possibile contro la parete, per poi non muoversi più.
Non c’era più niente da fare.
Specialmente nel vederla stringersi tra le braccia, alla ricerca di misero calore. Era fradicia. Non poteva restare in quelle condizioni a lungo, o l’Elazar sarebbe potuto divenire l’ultimo dei problemi.
Non importava che lei non volesse vederlo, che avesse disagio anche solo nel guardarlo in viso, Cyno non l’avrebbe mai lasciata in quelle terribili condizioni a lungo.
E così aveva abbandonato il proprio nascondiglio. Aveva superato il dislivello senza fatica, non era più alto di due metri e mezzo e poi le era passato di fronte, silenzioso.
Si erano guardati a lungo.
A Collei erano tremate le labbra, forse allora, non per il freddo, mentre Cyno era rimasto immobile, poi era scivolato con gli occhi alla gamba di lei, rigida e leggermente arcuata all’interno.
Alla bambina era sfuggito un singulto, nel vederlo chinarsi su di essa. Ancora si era fermato, prima di poterne verificare le relative condizioni. Nel non ricevere ulteriori proteste, tuttavia, aveva proseguito con lo scoprirgliela, sempre con movimenti cauti, voluti a non spaventarla.
L’aveva sentita cominciare a singhiozzare sommessamente, si era sentito arso da inspiegabili sensi di colpa, come se si reputasse colpevole di qualsiasi cosa le fosse capitata sino ad allora.
«Perché…?» aveva chiesto Collei a voce roca, d’un tratto, col volto rigato da lacrime e pioggia.
Cyno era tornato a guardarla, marmoreo in viso, ma turbato dall’interno.
«Perché sei qui… anche se ti ho cacciato via?»
Lui aveva di nuovo abbassato gli occhi alla caviglia, ingoiando un groppo di saliva. Non aveva avuto il coraggio di rispondere, piuttosto aveva preso a massaggiarle il polpaccio con accortezza, insistendo maggiormente nei punti in cui sentiva maggiormente l’Elazar irrigidirle la pelle. Ad ogni movimento più deciso la sentiva mugugnare, ma Collei non si era permessa di lamentarsi. Poi le era scivolato con le mani sulla caviglia, le aveva sfilato il sandalo.
Il piede era paralizzato e le dita quasi strizzate le une alle altre.
Anche qui aveva insistito, premendo i pollici sui nervi tesi, con ponderata intensità. La bambina aveva sobbalzato d’un tratto, con un gemito acuto, questo perché Cyno l’aveva forzata a distenderlo in un unico e brusco movimento.
«Riesci a muoverlo, adesso?»
Lei aveva ripreso fiato, poi aveva mosso il piede con diffidenza. La sorpresa nei suoi occhi era stata percepibile.
«Se te la senti, ti aiuto a risalire.» non si sarebbe permesso di rovinarle la ronda ulteriormente, sapeva bene quanto lei ci tenesse e quanto volesse dimostrare al suo maestro di essere pronta alla vita da Ranger. Le avrebbe permesso di terminare il percorso da sola.
Ma Collei non gli aveva risposto, invece aveva piegato le labbra in un cruccio ed aveva aggrottato la fronte in un’espressione amareggiata. Aveva ripreso a singhiozzare.
Cyno non aveva avuto il coraggio di chiederle cosa la turbasse, perché dava per scontato lui ne fosse la causa.
«Scusami…» aveva mugugnato lei d’un tratto, così flebilmente che lui non era riuscito a sentirla ed aveva potuto solo fissarla interrogativa.
E poi l’abbraccio.
La bambina quasi gli si era fiondata addosso, cogliendolo impreparato. «C-Collei, piano! Puoi farti male.»
«Scusami!» aveva gridato lei, di contro, singhiozzando con enfasi. «Scusami. Scusami. Scusami. Scusami.»
Un fremito aveva percorso Cyno lungo il corpo, nel sentirla implorante di un perdono che non aveva motivo di chiedere.
«Scusami…» aveva ribadito ancora la bambina, fra un singhiozzo e l’altro, stringendolo anche più forte.
«Perché mi chiedi scusa?» era riuscito a domandarle lui ed aveva ricambiato l’abbraccio, anche se debolmente.
«Scusa se ti ho cacciato via… se ho trovato tutte quelle scuse per non farmi vedere, se ho detto al maestro che stavo male, quando c’eri. Scusami per tutto» la voce le si era ridotta in stentati frammenti di suoni, sfumati ulteriormente dalla pioggia.
Lui non era riuscito ad aggiungere nulla. Avrebbe voluto dirle che non importava, che non tutto ciò non l’aveva mai ferito, anzi aveva trovato indispensabile lasciarle i giusti spazi e scegliere il meglio per se stessa. La lingua aveva rifiutato di dar voce ai suoi pensieri.
«Credevo che non tornavi più.»
Aveva sentito le unghie di lei affondare ulteriormente nel suo mantello, mentre la voce le si sbriciolava irrimediabilmente. «Non voglio che te ne vai...»
Lo sentiva, il piccolo petto di lei battere frenetico contro il suo sterno ed era stato allora che le aveva accarezzato le ribelli ciocche verdi, madide di pioggia. «Io non me ne sono mai andato, Collei. Non ti ho mai lasciata sola e non lo farò mai.»
Erano rimasti abbracciati a lungo, avvinghiati l’uno all’altra, come se col timore di perdersi ancora di vista.
E quella stessa sera Collei era arrivata a chiederglielo: di restare a Gandharva ville durante la notte e permetterle di stringerlo forte, finché lei non fosse riuscita a scivolare in un sonno quieto.
 
L’evento che Cyno aveva creduto come eccezionale era divenuto quasi prassi, negli anni a venire. Ciò, appena l’Elazar aggrediva Collei con violenza ed il panico giungeva negli istanti successivi, forzandola a disperate richieste d’aiuto, oppure quando ricordi cocenti, vissuti nel laboratorio di Zandick, emergevano dal suo inconscio e le distruggevano la psiche.
Quell’abbraccio era l’unica cosa che riusciva, per qualche inspiegabile ragione, a lenire le sue sofferenze e permetterle un riposo sereno.
Non un abbraccio qualsiasi: solo quello di Cyno, del tocco degli altri avvertiva fastidio e lui non si era tirato indietro dall’offrirglielo, finché le sue visite a Gandharva ville non avevano subito un netto diradamento, questo perché le possibilità che lui assumesse il comando dell’intero corpo dei Matra, seppur ad una giovane età, si facevano sempre più concrete.  
Così, quella misera dimostrazione d’affetto era traslata gradualmente da richiesta di aiuto, a quasi un rito necessario per far sentire Collei ancora benvoluta.
La bambina, tuttavia, non cercava mai quel tipo di affetto, se in compagnia di altri, era come un segreto fra loro due, che non aveva intenzione di rivelare a nessuno.
C’era anche un’altra cosa che non confessava, neanche a lui, ma che Cyno era comunque in grado di cogliere: soffriva ad ogni sua partenza, specialmente perché consapevole che non lo avrebbe rivisto per un lungo periodo. Lo salutava sempre con un sorriso gioviale, la riconferma che lei stava benissimo e la promessa che al suo ritorno l’avrebbe trovata più cresciuta, più forte, più coraggiosa, più sicura di se stessa e che avrebbe terminato quel noioso libro di studio che Tighnari le aveva assegnato.
Ed era cresciuta davvero, solo che lui aveva preferito non accorgersene. Aveva notato solo superficiali cambiamenti: la bambina aveva cominciato a sviluppare dei gusti specifici. Come portare i capelli, per esempio. Le piaceva che non superassero le spalle, ma comunque accentuassero il suo volto che via via perdeva la rotondità infantile. Aveva iniziato a delinearsi gli occhi con un velo di ombretto, a tal punto sottile, dall’essere quasi impercepibile. Aveva scelto di forarsi i lobi delle orecchie, così dal poter indossare orecchini, puntualmente spaiati – le piaceva essere creativa, diceva –. Prediligeva la comodità, in abbigliamento, ma senza che risultasse trascurata.
Tutte piccole cose a cui Cyno non aveva dato peso, né attribuito un particolare significato. Se lei era felice, tanto bastava perché lo fosse anche lui.
C’era stato qualcos’altro che Collei aveva cominciato a rimarcare, sempre con più insistenza, ma con le labbra puntualmente piegate in un’espressione decisa. «Ormai non sono più una bambina.»
E lui annuiva o concordava con lei, anche se a ciò non credeva. Ai suoi occhi non era cambiata di un minimo: stesse abitudini, stesso entusiasmo, stessa determinazione, ma anche stessi traumi, dubbi e stessa malattia.
Forse aveva rifiutato di accettare i suoi cambiamenti, perché il timore di perderla, una volta cresciuta, sarebbe stato troppo arduo da sopportare. Perché preferiva avere la certezza che, una volta evaso dalle turpi prigioni e lavatosi di dosso quelle urla strazianti o appena sfuggito agli opprimenti comandi dei saggi, avrebbe trovato Collei a Gandharva ville, congelata nel tempo e nei modi di fare, ma anche nell’affetto che gli dimostrava.
E quel desiderio si era persino rafforzato, una volta divenuto Mahamatra, lo stesso che, aveva portato Cyno a domandarle se volesse accettarlo come tutore legale.
Voleva essere responsabile della sua crescita e che lei sapesse di poter contare su di lui in ogni modo possibile.
Aveva aspettato una settimana prima di proporle di ufficializzare, anche burocraticamente, il rapporto che tra loro due si era venuto a creare, ciò perché aveva temuto che lei rifiutasse, per qualsivoglia motivo. Aveva esitato anche nel rivelarle della sua promozione, all’interno dell’Akademiya, perché non voleva evidenziare che la sua presenza a Gandharva Ville si sarebbe ulteriormente rarefatta.
Poi si era deciso: erano soli, come accadeva ogni sera che lui decideva di sostare per la notte nell’accampamento ranger. La sua voce aveva tremato, nell’avanzare con la richiesta. Un lato di sé si sentiva quasi egoista: tutto ciò era iniziato per quel semplice ma terribile Rituale compiuto su di lei e che sembrava averli legati l’uno all’altra.
Non aveva diritto su di lei. Non meritava di scegliere il come crescerla.
Ma ogni dubbio si era semplicemente sbriciolato nel guardarla, appena confessata ogni cosa: di essere divenuto Mahamatra, di doversi assentare forse per periodi anche più lunghi, ma anche di volerle un’infinità di bene.
«Collei…»
La bambina aveva compreso che quella appena intrapresa non sarebbe stata un’usuale conversazione, non le era stata neanche concessa l’occasione di complimentarsi con lui per la promozione, perché si era subito trovata a rispondere a quella domanda.
«Ci ho pensato a lungo prima di chiedertelo e non nego che l’idea, in parte, spaventa anche me. Ho paura di non essere in grado di offrirti tutto ciò di cui hai bisogno, di non essere la persona giusta per te, di non essere abbastanza responsabile dal farmi carico di ogni tua necessità, ma…»
“Mi accetteresti come tuo tutore legale?” aveva chiesto, quasi vergognandosene.
Lei aveva trattenuto il fiato, era rimasta immobile, solo gli occhi avevano presentato una reazione, dal tremarle appena, avevano iniziato a lacrimare, per poi abbandonarsi in un pianto prima silenzioso, poi caotico e liberatorio. 
Di tutte le reazioni che Cyno si aspettava di dover fronteggiare, quella era di sicuro la più difficile da gestire, tanto che si era subito ritirato nella consapevolezza che la risposta implicita fosse “no”.
La risposta non era mai stata pronunciata a parole. Non ce n’era stato bisogno.
Perché la bambina, fra un singhiozzo e l’altro, gli aveva poggiato le mani alle guance, lo aveva fissato dritto negli occhi, poi gli si era stretta al collo. «Resti a dormire qui, oggi?» gli aveva chiesto.
La richiesta lo aveva fatto fremere, ma lui aveva reagito all’abbraccio e le aveva accarezzato i capelli. «Sì» le aveva mormorato. «Oggi resto con te.»
Quella è stata l’ultima notte che Collei, nel prendere sonno, gli era rimasta aggrappata addosso e lui si era semplicemente addormentato senza discostarla, aggredito dalla stanchezza.
L’ultima, prima di questa.
 
Una notte che non può ripetersi, non più ormai e Cyno lo comprende troppo tardi per potervisi ritrarre. 
È mancato a Gandharva Ville per quasi un anno, se non per visite sporadiche, dalle tempistiche decisamente poco permissive. Della sua figlioccia sapeva i miglioramenti principalmente tramite lettere e talvolta quando riusciva a ritagliarsi una mezza giornata di pausa, per potersi dedicare pienamente a lei.
Oggi è l’ultimo giorno in cui ha potuto pensarla bambina.
Dopo aver semplicemente percorso l’usuale copione: Collei entusiasta di rivederlo, la loro piccola escursione ed infine l’Elazar che le scortica le ossa e le impedisce anche solo di muoversi. Non è più abituata, però, all’idea del vederlo rimanere a Gandharva, tanto che nel chiederglielo si è sorpresa nel sentirsi rispondere affermativamente.
L’ha fatto, perché sa bene che questo è il suo desiderio e glielo deve, dopo tutte le volte che è stato obbligato semplicemente a riaccompagnarla, per poi volatilizzarsi per mesi.
Che razza di tutore sarebbe, altrimenti?
Si sente già sufficientemente in colpa per non poterle essere affianco, giorno per giorno e lasciare il compito interamente sulle spalle dei Ranger e di Tighnari. Tuttavia, non ha scelta. Non può evadere dal proprio ruolo di Mahamatra, tantomeno vuole che lei si interessi alla realtà dell’Akademiya.
È capitato, una sera, che Collei esprimesse il soffice e confuso desiderio di voler tentare il test di ammissione, ma lui ha subito liquidato la questione con un perentorio “no”.
È solo adesso, in ogni caso, che Cyno si rende davvero conto di quanto tempo sia trascorso dall’ultima volta a Gandharva, dall’ultimo abbraccio notturno, che lei ha preteso e lui le ha concesso.
Tanto è cambiato, troppo. Anche la stanza della ragazzina ne è un chiaro segnale: i libri di studio si sono moltiplicati, così come gli abiti, disegni, quaderni, erbe aromatiche e, purtroppo, anche medicine.
Ma non è tutto.
C’è di peggio a sottolineargli quanto l’abbia trascurata, quanto la ragazzina stia sostanzialmente crescendo da sola, senza nessuno che le suggerisca che lei sta davvero crescendo. E non può neanche prendersela con qualche Ranger o lo stesso Tighnari. I primi, non sono così tanto coinvolti nella sua sfera intima, il secondo è semplicemente suo insegnante, tra l’altro, dalla mentalità troppo scientifica per essere in grado di sensibilizzarla su certe tematiche.
Tocca a lui soltanto. In quanto suo tutore.
Ma avrebbe dovuto comprenderlo prima, sicuramente prima del ritrovarsela di fronte, intenta a svestirsi, senza alcuna inibizione, per poi infilarsi la camicia da notte.
La situazione l’ha colta a tal punto impreparato, che Cyno è solo riuscito a menare lo sguardo altrove nell’immediato, ammorbato all’istante da pesanti riflessioni.
Eccola, messa a nudo, la sua inadempienza.
Per tutto questo tempo ha solo rifiutato di accettare di vedere quella sventurata ed orfana creatura come una persona ed in quanto tale, dotata di un sesso, coi propri stimoli ed i propri bisogni.
Ha rimandato così a lungo la volontà di accorgersene, che nel frattempo il corpo di Collei mostra già visibili cambiamenti.
E lui non le ha mai spiegato niente.
Si passa una mano fra i capelli, caldo in viso.
Ha creduto che il restarle vicino, per quando possibile, fosse sufficiente. Si dà del completo imbecille.
«Cyno, mi stai ascoltando?»
Lui quasi trasalisce. Ora a tutte le conclusioni tratte, si aggiunge il senso di colpa nel dover ammettere a se stesso che no, non è riuscito a dedicare attenzione alle sue parole, di sicuro non quando l’ha vista disfarsi degli abiti sotto i propri occhi. Non ricorda neanche quale fosse il soggetto del discorso. «Io…» cerca una giustificazione da fornirle, ma non trova nulla di idoneo.
Collei si avvicina all’armadio ed appende la divisa da ranger, scuote il capo. «non fa niente… Non era importante» liquida, ma lui comprende che la ormai-non-più-bambina si è di poco intristita per la sua distrazione. Deve sicuramente avergli riferito qualcosa inerente a qualche ronda svolta o progresso compiuto e sta a lui gratificarla. Lo fa sempre, del resto.
Richiude le ante e gli si avvicina, Il sorriso smagliante torna puntuale sulle sue labbra, anche se è sempre difficile dedurre sino a che punto sia sincero, poi gli si siede di fianco, sul letto. «Sono solo tanto, tanto felice che resti con me.»
Il vederla così serena quasi smorza la criticità appena scovata nella loro dinamica, tanto che Cyno si persuade che, in fondo, non è successo granché; che una discussione delicata come quella dell’adolescenza, può essere ancora per un po’ rimandata. A questo pensiero, sente la tensione distendersi, così può finalmente rispondere al suo sorriso e le accarezza i capelli. «Anche io sono felice.»
Collei gli si avvicina al viso con aria di sfida. «Se però te ne vai durante la notte, ci resto malissimo» dichiara.
Cyno batte le palpebre interdetto. «Ti ho promesso che resto.»
«Come faccio ad esserne sicura?» ribatte lei, il suo tono è scherzoso, ma sembra nascondere una nota di stizza.
«Per caso non ti fidi più delle mie parole?» le risponde serio. Si sente quasi ferito dalla mancanza di fiducia, anche se, deve ammettere a se stesso, è anche comprensibile.
Collei si stringe tra le spalle, piega le labbra in un cruccio. Non gli risponde, ma si chiude in un silenzio riflessivo.
«Basta adesso, è tardi e tu devi riposare. Vedrai che domattina sarò ancora qui» si alza, ma è ora che lei lo trattiene per l’avanbraccio.
«Allora, andiamo a dormire.»
Ciò che lo obbliga a fremere non sono tanto le sue parole, ma il tono con cui lei gli si rivolge: sono velate dal rammarico, ma anche da una rabbia repressa.
Non gli crede.
Ed ha anche paura di restare sola.
Questo è ciò che Cyno riesce a dedurre. «Certo… vado un attimo a prendere il sacco a pelo e torno» cerca di mascherare il disagio.
«Ma io non voglio che dormi a terra.»
«Collei, non ho problemi, sono abituato.»
«Allora tu dormi sul letto ed io a terra» brontola lei e lo lascia ancora interdetto.
«Collei, quello è il tuo letto.»
«Beh, allora vorrà dire che mi stringo e ti faccio spazio.»
«Ma—»
«Giuro che se non dormi con me, non dormo neanche io.»
Cyno ammutolisce e batte le palpebre, incredulo. Non l’ha mai vista così indisponente e perentoria. Non riesce a risponderle e di nuovo la ragazzina insiste, anzi solleva già le coperte e gli fa cenno di distendersi.
No, è costretto a ricredersi, la delicata discussione non può più essere rimandata.
E non solo, questa sorta di possessività che gli sta dimostrando, rende il dover affrontare la questione ancora più impellente.
Alla fine si arrende. Si allontana giusto il tempo per cambiarsi ed indossare una maglia, poi torna nella stanza. Ritrova la giovane ranger esattamente dove l’ha lasciata, seduta pazientemente sul materasso, in sua attesa. Impossibile intuire a cosa stia pensando, però nel vederlo tornare allarga di nuovo il sorriso.
Nel guardarla di nuovo, l’illusione che sia rimasta sempre lei, immutata nel tempo, torna ancora, ma ad essa si mesce la spiacevole consapevolezza che nulla è più come prima.
Collei può anche avere le più pure intenzioni, può anche solo essere bisognosa di affetto, ma il modo di riceverlo deve necessariamente cambiare.
E tutto ciò si intensifica, nel momento in cui lei aspetta persino che lui la preceda nell’infilarsi nel letto, prima di farlo a sua volta. È chiaro che sia intenzionata a non permettergli in alcun modo di andarsene. Teme a tal punto, che lui non mantenga la parola.
La ragazzina spegne la luce, poi s’infila al di sotto delle coperte, vi si raggomitola e così gli si avvicina.
Cyno riconosce ogni suo gesto. Sono quelli che gli rivolge come abitudine da anni. Sin dall’inizio. Eppure stavolta sono velati da una nota amara. l’intera situazione lo pone in una condizione di estremo imbarazzo: Collei gli si accosta maggiormente, quasi obbligandolo a stringersi contro la parete, poi lo abbraccia con forza, chiude gli occhi, quieta il respiro.
Gli si cinge addosso a tal punto che lui ne sente chiaramente le forme, il respiro, il battito. Rabbrividisce. Il piccolo seno, ancora in fase puberale, preme contro il proprio. Le gambe s’intrecciano alle sue. Avverte addosso tutta la consapevolezza di quell’esile corpo, che sta cambiando ed un senso di vergogna lo aggredisce.
C’è qualcosa di totalmente diverso in tutto ciò a cui lui non riesce a porre rimedio. Non corrisponde all’abbraccio. Invece è ben attento a non toccarla. Anzi, quasi porta il braccio libero dietro la schiena e preme il viso sul guanciale, con gli occhi serrati al massimo.
Spera solo che lei si addormenti, il prima possibile e gli lasci la possibilità di allontanarsi.
Anche lui quieta il respiro, si forza nel farlo, ma sa bene che non potrebbe mai prendere sonno, in simili condizioni.
La variazione del gesto, tuttavia, viene inevitabilmente colta anche da lei. Infatti Collei gli si rivolge. Lo richiama, con un filo di voce. Lo obbliga a riaprire gli occhi.
Le vede nella penombra, le sue intense iridi violacee, anche se fra le palpebre dischiuse.
«Perché non mi abbracci?» il suo è un debole lamento sussurrato e Cyno si sente quasi travolgere tra contrastanti sensi di colpa.
La bambina, nel non ricevere alcun particolare esito alla sua domanda, gli si avvicina ancora, stavolta al viso e quasi lo forza a ritrarsi persino maggiormente. «Collei… devi dormire» mormora. Vorrebbe quasi implorarla di ascoltarlo, ma lei si limita solo a stringerlo con più convinzione.
«Non mi vuoi più bene…?» la sua voce è ridotta ad un flebile lamento, ma tanto basta perché Cyno senta addosso il peso di ogni parola udita.
«Collei...»
«È per lei, non è vero?»
Lei? Non riesce ad intuire a cosa si riferisca, eppure quella insinuazione gli si insinua sotto la pelle e lo ferisce inspiegabilmente. «Cosa stai dicendo?»
La ragazzina si solleva sulle braccia e quasi lo sovrasta, rintronandolo anche maggiormente. «Ora che c’è Candace vuoi bene a lei e non a me» dichiara. Cerca di mantenere il tono saldo, ma si sbriciola presto nell’incertezza.
Cyno sbarra gli occhi. Ora inizia a delineare un quadro più chiaro dell’intera situazione. Ora intuisce a cosa sia dovuta l’improvvisa possessività, oltre alle sue trasformazioni fisiche e sicuramente anche psicologiche.
Collei è… «Sei gelosa?» lo dice ad un filo di voce, velato dall’incredulità.
Lei si stringe tra le spalle, abbassa il capo, poi, come ridestata da uno specifico pensiero torna ad aggrapparglisi addosso. «Che cosa vuol dire?» sbuffa, contro la felpa bianca.
Oh, no.
Oh, no. No… No. No!
Non va affatto bene.
E lui che credeva di poterla lasciare ancora in balia del nulla. La situazione si è evoluta decisamente e lui non si è accorto di nulla! «Collei il fatto che io e Candace siamo… particolarmente intimi» non trova parole migliori per smussare ciò che prova per la Guardiana, senza risultare indelicato «non cambia il fatto che io ti voglia bene.»
Sente la ragazzina trattenere il fiato. Le parole le sfuggono morsicate dalle labbra, come se provi un’immensa fatica nel formularle. «Però vuoi più bene a lei, vero?»
Sente di poter impazzire. Più questa conversazione si protrae, più ne nota la tossicità. Tutto ciò perché è stato lontano troppo a lungo. «Collei» ora il tono è fermo. Pretende che lei lo ascolti e sa che lo farà. Lo fa sempre, quando la richiama in questo modo. «Voglio tanto bene ad entrambe. Semplicemente in due modi diversi.» ed ora comprende bene che glielo deve, per dimostrarle che, nonostante nulla sia più come prima, i suoi sentimenti non sono comunque cambiati. Le accarezza i capelli con dolcezza.
«Ma se dovessi scegliere dove stare… fra se stare da lei o da me—»
«Collei, ti prego» ora è stanco e stizzito, ma non permette che la voce lo riveli. Però la sente irrigidirsi. «Non è il caso di porti domande simili ora. Io sono qui. Con te. Ed ho scelto di esserlo. Io sceglierò sempre di starti vicino.»
«Allora perché non vuoi abbracciarmi…?» la voce le si spezza, mentre si stringe maggiormente contro il suo petto.
Si guardano, con una intensità che lo scotta.
Renderla felice è suo dovere. Così, anche se gremito dal disagio, la cinge delicatamente col braccio, prima di sentirla accogliere il gesto volentieri. Serra di nuovo gli occhi, forzandosi semplicemente di non pensare a nulla. «Ora, però, dormi» le mormora impositivo.
Lei annuisce. «Buonanotte, Cyno.»
«Buonanotte.»
«Ti voglio bene» la sente confabulare, prima di tirare un profondo respiro e rilassare i muscoli. 
Come previsto, non riesce a chiudere occhio. Non può fare a meno di restare vigile. Avverte in lei ogni variazione, dal suo battito, alla sua tensione, al ritmo del suo fiato, che si distende e si fa regolare. Collei scivola in un sonno quieto in poco tempo, rassicurata dalla serenità dell’abbraccio, dalla certezza che niente è cambiato e non cambierà mai.
Lui, invece, è solo assillato da un senso d’ansia che lo soffoca. Pensa già a cosa dirle, come poterglielo dire, come poter anche solo iniziare a svelarle alcuni di quei segreti, che in realtà sono già in lei, ma che possono anche rivelarsi pericolose lame, pronte a colpire in profondità, se evidenziate senza tatto.
Ed ha un bisogno fisico di liberarsi; quella vicinanza è troppo ardua da sopportare. Appena certo che la ragazzina stia ormai dormendo, discosta il braccio con cautela e così si libera anche dalla sua presa. Riesce a rialzarsi, anche se si congela un istante, nel sentirla mugugnare d’un tratto.
Sospira sollevato nel notare che non si sia svegliata, così passa semplicemente a sedere sul letto. Si poggia alla parete e guarda l’esterno, dalla finestra.
Trova la quiete della notte confortante.
Domani.
Domani sarà costretto a ferirla, di nuovo e di nuovo, per il suo bene.



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N.a: 
Bruh am back. 
Avevo detto che sarei calata in depressione se non avessi scritto questa storia, con tutto il periodo di esami e stress che mi aspetta. Infatti eccomi qua. 
Che dire - cerco di essere breve, per la sanità mentale di tutti - il rapporto tra Collei e Cyno l'ho sempre adorato. Per quanto nel fumetto lui sia praticamente un cameo, ero certa di ritrovarli insieme e notare una loro stretta dinamica nel gioco stesso. Infatti ho avuto ragione. Ricordo anche che ci stetti male, quando i leaks mostrarono la voiceline di Collei su Cyno; delusione che poi è stata smussata dalla certezza che il caro Mahamatra tenga ancora tantissimo a lei. 
Quindi, nulla. Ho voluto approfondire la loro splendida dinamica, aggiungendomi del mio, che non vedremo mai nel gioco. (Sappiamo tutti che Hoyoverse is lazy af). 
Il tema del corpo, specialmente quello femminile, che cambia e prende consapevolezza è a me molto caro e Collei è stata il mezzo per parlarne. 
La storia dovrebbe contare due capitoletti (forse con un piiiiccolo piccolo extra). Prima di postare gli ultimi due capitoli della raccolta pazza, mi andava di smussare il tono con del puro sugar! 



 

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Capitolo 2
*** 2/2 ***


2/2

In realtà, la discussione che Cyno ha tanto avuto timore di affrontare, si è rivelata molto più breve del previsto e non è stata costituita da alcuna botta e risposta. È stato un dialogo monocorde, distaccato, dove è stato solo lui a parlare, per tutto il tempo.
Collei non gli si è neanche seduta accanto. È rimasta in piedi, con gli occhi semplicemente piantati su di lui e le labbra strette. Impossibile dedurre anche uno solo dei suoi pensieri.
Sicuramente la colpa è stata di Cyno. La notte insonne lo ha stordito, innervosito ed oppresso a tal punto, dal non essere sicuro di aver mostrato la giusta delicatezza.
Si è lasciato trovare all’esterno, intento a massaggiarsi la fronte e strizzare gli occhi, a causa della stanchezza. Non ha avuto difficoltà a percepire la giovane ranger allarmarsi all’istante, nel non trovarselo affianco, tanto che l’ha sentita vestirsi alla svelta e quasi fiondarsi fuori dalla stanza.
«Collei» l’ha subito richiamata.
Lei gli si è avvicinata, con un sospiro ed ha riformulato un sorriso sollevato.
La sua espressione è cambiata però, via via che Cyno le ha rivelato l’ovvio. Le labbra le si sono ritratte in una seria linea retta, per poi quasi rifugiarsi tra i denti.
«Devo parlarti.»
«Dimmi.»
La verità è che non ha avuto neanche la forza di guardarla negli occhi, da un certo punto in poi.
Niente è più come prima, le ha detto. «Non posso più permettermi di abbracciarti in quella maniera.»
Non c’è stata opposizione di alcun tipo.
«Se lo facessi, ti mancherei solo di rispetto, o peggio, potrei compromettere la tua crescita.»
Paradossalmente, l’assenza di ribellione o anche di una misera reazione, ha persino accresciuto la propria condizione di incertezza.
Il tuo corpo sta cambiando.
Ormai sei cresciuta.
Non sei più una bambina.
Questo le ha detto, a grandi linee o almeno è ciò che può ricordare.
È stato un dialogo scarno, non sarà durato più di cinque minuti e lo ha lasciato orridamente insoddisfatto.
Collei, infatti, una volta che Cyno non ha saputo più cosa dire, ha chiuso gli occhi, portato le mani dietro la schiena e sorriso gioviale. «Sì. Capisco benissimo.» sono state le uniche cose dette. «Non ti preoccupare.»
È tornato a guardarla solo quando ha sentito il petto fremere, come allarmato.
«Io ora devo andare» ha rivelato la ranger, le è sembrata assolutamente tranquilla. «Ho una ronda che mi aspetta, vicino alla collina.»
Ha maledetto il proprio carattere, in quel preciso istante. Se ne avesse avuto le forze, l’avrebbe trattenuta, le avrebbe quantomeno chiesto cosa ne pensava di tutto ciò. La verità è che ha avuto paura. Paura di ferirla, nel caso di una insistenza, paura di una sua reazione, paura dei suoi pensieri. È solo tornato a guardarla, forse confuso. Ha solo dischiuso la bocca, ma la voce ha rifiutato di emettere alcun suono.
«Ci vediamo, Cyno. Ciao.»
Gli è semplicemente sfuggita dagli occhi, prima che potesse anche muoversi.
Al fatto che è stata la prima volta, dopo tanti anni, che è stata lei a lasciarlo per prima, ci ha pensato solo ora. Ad ormai quattro giorni dalla stringata discussione.
Solo adesso, a seguito di usuali giornate lavorative all’Akademiya, che lo hanno gradualmente convinto che Collei ha semplicemente compreso quello che lui le ha detto ed ha, di conseguenza, accettato il cambiamento.
Del resto: è solo un abbraccio.
Non l’ha privata di nulla di ché.
Una certezza che cade brutalmente a pezzi, nel ritrovarsi di fronte Tighnari. Lo sa, ancor prima che lui parli, che è accaduto qualcosa a Collei. Per quali altri motivi, del resto, la guardia della foresta potrebbe giungere all’Akademiya e non solo, oppressare i Matra fino allo sfinimento, pur di potergli permettere un urgente colloquio privato col Mahamatra in persona.
«Tighnari… che è successo?»
Lo vede passarsi una mano fra i capelli, non ha neanche la forza di guardarlo.
Cyno affila gli occhi, s’irrigidisce. «Perché mi hai fatto chiamare?» potrebbe impazzire nel non ricevere subito risposta. Sotto pelle ricorda già il sorriso forzato di Collei, i suoi occhi vitrei piantati su di lui, le labbra serrate. Poi lo sguardo che gli sfugge, lei che gli dà le spalle e sparisce dal suo raggio visivo.
«Cyno… ascolta»
Quanto non gli piace il tono con cui gli si rivolge. È serioso, eppure così incerto, come se velato da una vergogna indescrivibile.
C’è qualcosa in tutto questo che quasi lo induce a ritrarsi, tornare nel proprio ufficio, riprendere le proprie incombenze e rimuovere dalla coscienza che un simile episodio sia mai avvenuto.
«Si tratta di Collei.»
Freme.
È tutta colpa sua.
Quella discussione, gli sguardi di lei, indecifrabili, i suoi sorrisi.
«Cosa è successo…?» la voce gli si piega quasi in un rantolo. Perché in fondo lo sa bene, anche se non comprende come. Sa che stavolta l’Elazar non c’entra. Sa che non è una delle sue solite avventatezze, durante le sue escursioni, sa anche che ciò non è relativo a qualche pessimo risultato nel suo percorso di studio.
«Due giorni fa è partita per una ronda che le ho affidato, nei pressi di Vimara.»
Sente la vista annebbiarsi, specialmente nell’incrociare gli occhi dell’amico. «Lei…non è ancora tornata.»
La pressione crolla a picco, a tal punto che Cyno si sorprende, nell’essere ancora in piedi.
«Ho subito avviato le ricerche nei dintorni, sono operativo da subito.» si affretta subito ad aggiungere Tighnari, forse anche per fornire la giusta speranza ad entrambi. «Ma credo che, giunti a questo punto, era importante informarti.»
Ma il Mahamatra è sordo a tutto questo. Lo sguardo gli si perde nel vuoto. Tutto ciò che gli pulsa nel cervello è la consapevolezza di quel volto gioviale, appena baciato dall’adolescenza che sfuma, per poi tornargli vivido tra i ricordi.
E le peggiori prospettive gli si aprono davanti, miste a brutale incredulità ed un incerto bagliore di ottimismo, volto a convincerlo che lei tornerà da sola, che non le è successo nulla di grave, che sta tardando per chiari motivi.
«Sono un imbecille» mormora, nel ritrovare consapevolezza.
L’amico si fa interrogativo. «Che intendi?»
Lui torna a guardarlo. «Vengo a cercarla.» dei propri doveri in quanto Mahamatra, in questo momento, non potrebbe importargliene di meno.
Tighnari annuisce, consapevole. «vedrai che la troveremo.»
“Certo che la troveremo” vorrebbe poter riconfermare. L’idea dell’averla persa non lo sfiora neppure.
Una cosa è certa, la aspetta un rimprovero esemplare, quando la vedrà al sicuro nella sua stanza.
 
Le ricerche sono capillari sin da subito, maniacali, estenuanti.
Tighnari ed i Ranger si sono focalizzati principalmente sulla zona attorno alla collina, non tralasciando neanche uno sprazzo di terra.
Cyno, invece, ha scelto di cercarla da solo. È partito col setacciare da cima a fondo ogni grotta, cava, sentiero, insenatura da Collei conosciuta, partendo da quelle più prossime a Gandharva. All’inizio, determinato ed in forze, non ha permesso al conscio di sibilargli neanche il più misero e tetro dubbio.
Deve essere da qualche parte. Non può essere troppo lontana.
Non è la prima volta che la ragazzina decide di nascondersi, riconferma a se stesso svariate volte, per darsi più sicurezza. Non è la prima volta che lei sfugge dal suo campo visivo, in attesa di essere trovata.
Lui l’ha sempre trovata.
È il Mahamatra del resto.
Non c’è persona che, una volta entrata nel suo mirino di garante della giustizia, sia riuscito a sfuggirgli. Riuscirà a trovarla.
Deve.
Non c’è alcun dubbio su questo.
È solo una ragazzina, del resto.
Eppure, ad una grotta che trova vuota, segue subito l’altra. Un’altra ancora.
Ricorda il sorriso birbante che gli ha rivolto tante volte, nell’essere stata scoperta di nuovo, in un nascondiglio sempre diverso e che puntualmente lei reputava “perfetto”. A ciò seguiva sempre una promessa: «La prossima volta, non mi troverai.»
S’imbuca nella piccola galleria nei pressi del bosco di Apam. Piove a dirotto, come di consueto. Percorre il tunnel senza energia. Non si è neanche accorto di quante miglia abbia compiuto.
La prossima volta non mi troverai. Sente ancora echeggiare nelle orecchie. Arresta il passo, poggia il palmo alla parete umida. Il cuore gli palpita frenetico. Avverte gli occhi come pesanti. Gli sembra di sentirla ridere.
Non si è mai spinta così lontana da sola: è il pensiero che emerge brutale, fra tutti gli altri, nel rendersi davvero conto di quanto la ricerca si stia protraendo.
Non è mai giunta qui, senza di lui.
Ingoia. Respira profondamente e forza il battito a decelerare. Non permetterà al panico di assalirlo. Se lo facesse, sarebbe la fine. Così torna ad aggrapparsi alla speranza. Lei è qui e nel caso non lo sia, sarà sicuramente vicina.
Eppure, nel raggiungere il cuore della cava, sente il vuoto pervaderlo. Setaccia la zona compulsivo, ne analizza preciso il suolo, alla ricerca anche solo di un indizio che possa suggerirgli che lei sia o sia stata, effettivamente, nei paraggi. Non trova nulla.
Guarda in avanti, nel vuoto. C’è solo un pensiero che continua ad avvelenarlo: Collei non è neanche qui.
Non è da nessuna parte.
Collei è sparita.
Si siede sul suolo. Non riesce più ad avanzare. Deve concedersi una pausa e riordinare i pensieri, scegliere subito il nuovo luogo da controllare. Il panico inizia ad assalirlo, nel rendersi conto che le idee iniziano a rarefarsi. Magari Tighnari l’ha già trovata, mentre lui è qui a struggersi a mani vuote. Sì, dev’essere così per forza, si ribadisce. Magari è già a Gandharva, nel suo letto e sta recuperando le ore di sonno perse.
Se ne convince e così lascia la cava, a notte inoltrata.
Raggiunge l’accampamento Ranger di prima mattina, dopo un tragitto percorso senza pause, trascinato dalla semplice idea di rivedere la sua protetta sana e salva. Gli è persino passata la voglia di rimproverarla, gli interessa solo il poterla riabbracciare e confessarle di quanto l’ha fatto stare in pensiero.
Ma Collei non è ancora tornata.
Tighnari lo accoglie con uno sguardo afflitto, anche lui ha trascorso una notte insonne, costellata da ricerche e pattuglie senza sosta. Non ha neanche la forza di confessare che ogni sua fatica non ha portato ad alcun risultato, per quanto glielo si legga in faccia.
Cyno sente di poter crollare sotto il proprio stesso peso, ma è l’incredulità a reggerlo in piedi. Rifiuta semplicemente di concepire che tutto ciò sia reale. Saluta l’amico, vuotato semplicemente di ogni emozione, ma con la reciproca promessa di prendersi giuste pause, tra una ricerca e l’altra.
L’incapacità dell’accettare l’attuale realtà dei fatti lo porta ad entrare nella sua stanza. Nel varcare la soglia avverte un fremito. Gli è sembrato di vederla lì, intenta a leggere un libro o forse riportare sul quaderno qualche nota che è necessario che ricordi. L’immagine, tuttavia, sfuma nell’istante successivo.
La camera è perfettamente in ordine: letto fatto, libri in pila, in attesa di essere studiati, medicine accuratamente riposte sullo scaffale. Sulla scrivania poggia solo il piccolo diario di studio della ragazzina. Se qualcuno gli strappasse di netto un arto dal corpo, probabilmente avvertirebbe meno dolore di quanto gliene arreca il solo sfiorare l’agenda chiusa.
Non riesce neanche ad esternare fisicamente le violente emozioni che prova. Non riesce a piangere, lo trova inutile. Non sa chi poter accusare di questo terribile episodio, se non se stesso.
Non ha la forza di confessare a Tighnari che la causa della sparizione di Collei è la sua. Si ritrova a sedersi sulla sedia della sua protetta, piegarsi sulla scrivania, infilarsi le unghie tra i capelli, serrare gli occhi, con le labbra contrite nel rimorso.
È il ricordo del sorriso di lei a dilaniarlo più di ogni altra cosa. Quell’espressione serena, che in realtà nascondeva turbamento, dolore, incapacità del comprendere a cosa lui si stesse riferendo. L’ultima, prima di vederla voltarsi.
«Capisco benissimo» gli aveva detto.
In realtà non ha capito niente e la colpa è solo di Cyno, perché è un completo imbecille. Avrebbe dovuto istigarla a chiedergli maggiori spiegazioni, avrebbe forse dovuto trattare la questione in una diversa maniera, anzi, sicuramente.
Ma ora vuole solo rivederla. Niente è più importante, al confronto.
Di lacrima gliene sfugge una sola, nel nascondersi il viso fra gli avanbracci. È una lacrima di rabbia, rivolta solo a se stesso. Però questa reazione è sufficiente a riaccendere in lui la determinazione. Digrigna i denti.
La troverà: anche a costo di dover setacciare tutta Sumeru.
 
A mantenere la promessa del concedersi qualche sporadica pausa, non è certo lui. Per quanto dovrebbe, lo sa bene. Sono ormai tre giorni che non chiude occhio, il suo corpo gli sta letteralmente urlando di riposare, ma è la sua mente che non gli consente il sonno.
Appena chiude le palpebre, anche di poco, vede Collei, affamata, infreddolita, sofferente, nelle più disparate condizioni, ognuna delle quali gli tramortisce la psiche e lo obbliga a spalancare gli occhi di nuovo e rimettersi subito in cammino.
Ogni singolo secondo di riposo che si consente, potrebbe essere letale per lei.
A momenti di sconforto estremo, si alternano attimi di energia, in cui torna a ripetersi che la troverà, non può essersi volatilizzata, ma divengono sempre più incerti, effimeri, pronti a sbriciolarsi ad ogni suo impulso di lasciarsi semplicemente cadere a terra.
Gli è capitato diverse volte di inciampare su se stesso, nel setacciare, per un’intera mattina, le alture attorno ad Alcazarzaray. Poi, nel bosco, colto dall’esasperazione, è persino arrivato a chiamarla, a gran voce, sotto la pioggia scrosciante.
Ha percepito il temporale come ostile, non solo alla sua disperata ricerca, ma anche alla speranza. Ha sentito le sue grida di richiamo propagarsi nella boschiva, ammortizzate dalla pioggia. Ha vagato sotto di essa disperato, incurante del freddo, dell’essere fradicio da testa a piedi. Ormai la ragione non fa neanche più parte dei mezzi di cui sente di poter disporre. C’è solo quell’ombra, che gli sorride, dice di aver compreso e poi semplicemente svanisce.
È restato in contatto con Tighnari tramite rapide missive, ma la risposta è sempre stata la stessa, che col passare del tempo si fa sempre più turpe.
“La stiamo ancora cercando” frase che l’amico ha sempre preferito alla cruda verità, che gli avrebbe strappato di dosso anche l’ultima delle speranze: “Non l’abbiamo ancora trovata”.
Ancora.
Dopo ormai quattro giorni.
Ormai sono pochi i luoghi da controllare. Ha avvisato anche Candace, le ha chiesto di avviare le ricerche nel Deserto. Ormai Collei potrebbe essere ovunque, sempre che…
Sempre che sia ancora viva, ma quell’idea non la contempla neppure.
È così ironico. Lui, proprio lui, che ha sempre vissuto ad un passo dalla morte, se non essergli quasi fedele servo, ora teme così tanto l’idea che una semplice fase della vita, la stessa di cui si è fatto carico tante volte, la colga.
Non vuole neanche concepire l’idea che Collei abbia semplicemente scelto di abbandonare Sumeru, per dirigersi chissà dove, forse a Liyue o Monstadt. Nel caso sia stata questa la sua decisione, non la rivedrà. Non saprebbe come cercarla, non la troverebbe mai. Non ha abbastanza contatti esterni, per poter essere in grado di rintracciare una gracile ragazzina, senza alcun segno distintivo, se non il suo precario stato di salute.
Senza essersene accorto, è giunto sino a Caravan Ribat ed il prenderne consapevolezza lo devasta: il limite della Foresta è davanti ai suoi occhi, eppure è ancora a mani vuote, stanco, affamato, fradicio ed il solo pensare che Collei potrebbe trovarsi in condizioni ben peggiori, lo induce a non curarsi di se stesso.
L’unica cosa che si concede è una piccola sosta, in un rudere prossimo alle Mura di Samiel. Forse si addormenta, ma nel riaprire gli occhi si sente persino più spossato di prima.
Rinuncia semplicemente all’idea di riposare.
Non sa dove andare, che obbiettivo darsi e neanche riesce a motivare il perché la ragazzina possa essersi diretta nel Deserto; ma ormai niente ha più importanza.
Non ci pensa. La sua ricerca è semplice inerzia, per convincersi che ha fatto tutto il possibile.
Non la troverà.
Questo si dice, nel rimettersi in marcia, arrivando persino a far leva sulla propria lancia, pur di non incespicare.
Non la troverà.
Allo spuntare del sole si rende conto che un altro giorno è trascorso.
È passata una settimana da quell’insoddisfacente discussione.
Non la troverà.
Trova conforto nel percepire la sabbia sotto la pelle, si sente a casa. Non ha avuto ancora notizie, né da Candace, né da Tighnari. Avanza ancora. Le scaglie di roccia della barriera naturale, volute a delimitare il Deserto, sono ormai alle sue spalle. A lui di fronte si erge il mare d’oro e di nulla, sotto un sole violento.
Compie un altro passo, ormai ha perso il conto di quante miglia abbia compiuto. È la voce di lei ad echeggiargli ancora nelle orecchie, lo richiama.
«Cyno?»
Collei…
Sorride smagliante, fra i suoi ricordi. Ha un cerotto sulla guancia, ma è realizzata. Ha appena superato una prova di forza particolarmente ostica, si sente fiera. Le abrasioni sul corpo non hanno importanza.
«Cyno…»
Le profonde iridi viola sfuggono dalla sua attenzione. «Sai, avevo pensato che non sarebbe male, se iniziassi a studiare per il test di ammissione all’Akademiya.»
Non se ne parla. Non è luogo per te. Non te lo permetterei mai.
Devi essere felice, Collei. Devi farlo, anche per me.
«Io voglio stare con te.»
Gli occhi gli si inumidiscono. Si arresta, sta tremando. Il caldo gli scotta la pelle, eppure perché… perché sente così freddo?
Cos’ha fatto lui, per tutto questo tempo, anziché proteggerla? L’ha lasciata sola, concedendole solo una cosa.
Un abbraccio.
Lo stesso che vuole toglierle, perché troppo tardi si è accorto che non fosse il metodo giusto per starle vicino. Non ora. Non più.
Riprende il cammino.
Ed ora l’ha persa.
Forse avrebbe dovuto lasciare l’Akademiya. Forse avrebbe semplicemente dovuto lasciarla alle cure di qualcun altro, decisamente più capace.
«Sono solo tanto felice che resti con me» gli dice quella voce, nei ricordi. «ti voglio bene.»
Vuole piangere.
Da quant’è che sta avanzando nella sabbia? Non lo sa. In realtà ha perso l’orientamento, la mente rifiuta di indirizzarlo in un punto preciso, di offrirgli anche solo un barlume di speranza o un obbiettivo da perseguire. Vorrebbe solo poterlo obbligare a serrare quei maledettissimi occhi. Lo stomaco gli urla di cibarsi. Anche la gola è secca, dovrebbe bere.
Incespica su se stesso. Cade. La sabbia attutisce il tonfo. Deve rialzarsi, eppure è così piacevole… vorrebbe rimanerci qui, la morte non lo spaventa. Non più e da molto tempo, ormai.
Collei: il suo corpo tramortito dall’Elazar, gli occhi vitrei che guardano il vuoto, la carne che deperisce, per poi restare polvere.
Assottiglia la vista e contrisce le labbra in un cruccio addolorato.
Il suo compito è giudicare le anime dei morti. Cosa potrebbe mai giudicare dell’anima di Collei? Che è stata una semplice e povera ragazza, vittima di crudeltà indicibili e terribili sfortune? Che ha cercato di proseguire nonostante la malattia che le scarnifica la pelle? Che ha riposto la sua più completa fiducia nella persona sbagliata?
Quanto gli piacerebbe vederla crescere.
Quanto vorrebbe poterle dire che per lui è un miracolo saperla sempre più adulta, sempre più consapevole e matura. Non c’è niente che lo gratificherebbe più di questo.
Succederà mai?
Forse no.
Ma rifiuterà sempre di cercarla nella morte. Preferisce il dubbio di saperla altrove, piuttosto che la certezza che ormai, non appartenga più a questo ciclo vitale.
Poi sbarra gli occhi, si solleva sui gomiti di scatto, resta semplicemente inebetito, per un paio di secondi. La mente gli sta urlando un chiaro messaggio: traduce quello che la vista gli propone.
La vede.
Si rialza di getto. Barcolla in avanti per lo sforzo immediato, poi prende a correre. È lontana, ma è lei. «Collei!» si sgola.
La ragazzina continua ad avanzare ed offrirgli le spalle. Non è che una semplice sagoma in controluce, ma è lei. La riconoscerebbe ovunque.
«Collei!» la richiama ancora. Le corre dietro, con le ultime energie di cui ancora dispone. I muscoli delle gambe bruciano per lo sforzo eccessivo, il petto sembra ardere.
Lei seguita a camminare, non lo sente neppure.
Il corpo gli sta urlando di smetterla, di limitarsi ad accartocciarsi su se stesso e riposare, ma non potrebbe mai, non ora.
Perché…?
Perché non riesce a raggiungerla!?
Che sia così debilitato, dal non poter neanche reggere una semplice corsa?
Eppure quella sagoma si fa sempre più piccola, a tal punto dal fondersi con l’orizzonte e non solo, ora a confonderla maggiormente è il deserto stesso.
Cyno si accorge troppo tardi del vento che, durante la sua corsa sfrenata, si è fatto impetuoso, tanto che avverte i granelli di sabbia picchiettargli sulla pelle e soffocargli il respiro.  
Una tempesta.
Eppure non se ne pone neanche il problema, ad un ipotetico rifugio non ci pensa neppure. Sa solo che deve raggiungerla, a qualunque costo.
La richiama ancora, con quanto fiato ha in gola, questo perché il vento sembra spezzare il suono della sua voce.
Eppure quella sagoma è sempre più sfumata, inghiottita dalle dune del deserto. Nel non vederla più, crede di poter impazzire.
Corre ancora, ma inciampa su se stesso.
E stavolta non ce la fa.
Non riesce ad alzarsi.
È finita.
 
È una voce famigliare a spingerlo a socchiudere gli occhi.
Ora sono due.
Avverte le membra intorpidite, come se a lungo sottoposte ad una paralisi.
«È una perdita di tempo, non abbiamo neanche una pista» sente dire, per quanto i suoni gli giungano alle orecchie come ovattati.
«Dobbiamo insistere.»
«gli eremiti sono esausti.»
«Io lo sono quanto loro, Dehya. Ma non per questo reputo lo sforzo inutile.»
Segue uno sfiato esasperato.
Stringe di nuovo gli occhi, perché una fitta alla testa lo paralizza. Mugugna a fatica, tenta di muoversi, ora avverte una presenza a lui prossima. È così stordito, che nell’immediato non riesce neanche a ricordare cosa sia successo, né perché.
«Cyno, mi senti?»
Dischiude gli occhi appena: riconosce subito la voce, ma la vista è così debilitata che, per mettere a fuoco la sua sagoma, impiega diverso tempo.
«Candace…?»
La donna è arcuata su di lui, chiaramente preoccupata. Prova a muoversi, ma un’altra fitta alle tempie lo paralizza. «Che è successo?» riesce a domandare, nel poterla inquadrare finalmente nitida.
«Che sei un imbecille, ecco che è successo» sbotta l’altra, alle spalle di Candace.
«Dehya!» tuona la Guardiana. «Finiscila.»
«Dovresti essere furiosa quanto me.»
«Non sei di aiuto.»
E di nuovo segue un grugnito contrariato.
Ma Cyno non fa neanche caso al piccolo battibecco tra le due, perché d’improvviso ha ricordato tutto: Collei è dispersa. Lui si è spinto nel deserto. L’ha vista.
Era lì! Ma non è riuscito a raggiungerla.
Scatta a sedere, ignora persino che Candace ora lo fissi scettica.
«Da quanto sono qui?» le chiede, ansioso. Ora sa perfettamente dove sia, a casa della sua compagna e sa altrettanto bene che non dovrebbe essere qui affatto.
«Cyno devi—»
«L’avete trovata?» domanda ad entrambe, supplicante.
Le due donne si scambiano uno sguardo di sfuggita e ciò che legge nei loro occhi non gli piace, per nulla. «Devo andare!»
Fa per alzarsi, ma Candace lo trattiene, perentoria. «Tu non vai da nessuna parte» ed anzi, lo pressa nuovamente sul materasso. «Ti rendi conto delle tue condizioni!? Ci mancava poco che morissi d’infarto, per quanto ero preoccupata!»
La squadra costernato, poi si ribella. «Lei era lì. L’ho vista. Devo tornarci subito, devono esserci ancora delle tracce.»
«Lì dove?» indaga la Guardiana, senza ammorbidire il tono di un minimo.
Lui ammutolisce. Non lo sa. Non ne ha idea. Ed è ora che ci fa effettivamente caso… Com’è arrivato qui?
«Cyno» s’intromette di nuovo Dehya, stavolta avvicinandosi ed incrocia le braccia. «Ti rendi conto che hai rischiato di crepare sul serio?»
Ingoia. Non ricorda a sufficienza. Non capisce a cosa si riferisca, ma gli occhi taglienti della mercenaria lo inducono a credere che stia dimenticando qualcosa di importante. Non riesce a ribattere e forse questo stimola Dehya a farsi anche più aggressiva.
«Non fosse stato per la visione di Candace, a questo punto saresti un fottuto cadavere, amico mio.»
Rabbrividisce, ma a stordirlo maggiormente è il fatto che la sua compagna non riesca neanche a guardarlo: svia gli occhi altrove, con un cruccio chiaro sul viso. È rigida, indisposta, forse persino arrabbiata. Eppure si limita a stringere le mani sulle cosce e non aggiungere nulla.
Cosa cazzo ha combinato?
Torna a fissare Dehya e quasi vuole giustificarsi. «Ho visto Collei. Ho semplicemente provato a raggiungerla» ma l’amica inarca un sopracciglio.
«Cyno, non c’era nessuno oltre te.»
«Dev’essersi allontanata… sono sicuro di averla vista.»
«Eri solo» riconferma la Guardiana, duramente ed il suo tono quasi lo obbliga a tornare a guardare la compagna, afflitto. «Sei stato travolto da una tempesta di sabbia.»
Sbianca. Ora comincia a ricordare qualcosa di simile. La guarda, gli occhi di Candace lo fanno fremere, come se sottoposto ad un giudizio. È seria nel dirgli: «La sabbia ti ha quasi sepolto vivo.»
Interrompe il contatto, ora comprende bene la gravità della situazione.
«Collei non c’era neanche nella mia visione. So che non sono sempre precise, ma dubito che non l’avremmo trovata nelle tue stesse condizioni, se ci fosse davvero stata.»
Cyno Incurva la schiena in avanti, si porta le mani al viso. Sono troppe le emozioni che sente di provare, in questo momento e gli mozzano il respiro. C’è solo qualcosa che riesce ad elaborare: È stato vittima di un miraggio. Ed è quasi morto, per questo.
«Dehya…» la richiama Candace. «Per favore, lasciaci soli. E riferisci al capovillaggio di rafforzare le ricerche il possibile.»
L’eremita tira un profondo respiro, infine rigira gli occhi e scrolla le spalle. «D’accordo» e così va via.
Nel restare soli, aleggia nell’aria il silenzio, nel quale Cyno non ha smesso di nascondersi il viso, né si è mosso e Candace non osa parlargli, colta da chissà quale tipo di pensieri.
Forse ora crede di poterlo perdere, per qualsiasi motivo, data la sua avventatezza. Non sta facendo altro che combinare un disastro dopo l’altro. Ma non è solo questo a farlo sentire inutile.
Ha perso tutto, anche il più misero barlume di speranza è ora infranto.
Non ha più una meta, non ha più una direzione ed ha persino rischiato di far soffrire la persona che ama. Per quanto la morte non lo spaventi, non può permettersela. Non più. Da quando c’è Candace.
Da quando c’è Collei.
Viene abbracciato di getto e quasi sobbalza.
La Guardiana lo stringe con forza, così poggia il capo sulla sua spalla e gli bacia il collo. «Cosa credevi di ottenere, nel ridurti in queste condizioni?» gli domanda, in un sussurro travolto dalle emozioni.
Lui trattiene il fiato, si morde le labbra.
«Dimmi la verità, da quanti giorni non dormi?»
Ingoia, ma non osa rispondere. Troppi…  
«Ti rendi conto che per trovarla, ti servono energie, vero?»
A cosa potrebbero servigli ora, le forze? Collei se n’è andata. Non tornerà più e lui ne è la causa.
«È colpa mia» confessa finalmente, a qualcuno che non sia se stesso. Discosta le mani dal viso a fatica, ma non rifiuta l’abbraccio della compagna. «È colpa mia se è scappata» la voce gli si spezza in un rantolo, eppure lei non cerca ulteriori chiarimenti. Si limita a cingerlo più forte. «Ed ora ho fatto anche preoccupare te. Sembra che non sia in grado di fare altro che danneggiare coloro a cui tengo.»
Ora gli occhi gli si fanno languidi, col cuore stretto in una morsa brutale. «Forse sarebbe stato meglio davvero restare solo. Non merito altro.» non sa se ciò lo pensi davvero o sia l’amarezza a farglielo dire, ma Candace scioglie l’abbraccio, gli prende le mani e gliele bacia. «Cyno» lo richiama soffice. «Non c’è un singolo giorno in cui mi pento di amarti»
Di lacrima gliene sfugge una. La guardiana gli discosta i capelli dal volto ed il sorriso che lei gli rivolge lo devasta.
«E sono certa che anche Collei pensi lo stesso.»
Ora di lacrime gliene sfuggono due. «Ma io l’ho ferita» rimarca a fatica.
«Qualsiasi cosa sia accaduta tra voi, sono certa sia frutto di un fraintendimento, ma è risolvibile.»
Lui scuote il capo, svia lo sguardo.
«Ma adesso devi assolutamente mangiare qualcosa e riposare.»
Candace si sbaglia. Ormai è tardi. È tutto inutile.
«Così domattina riprenderemo le ricerche.»
Assottiglia gli occhi, colmi di lacrime a stento trattenute; ma è ciò che lei gli dice a sbloccarlo del tutto. «La ritroveremo, vedrai. Su questo non ho alcun dubbio.» si piega in avanti, le si stringe addosso e si lascia andare ad un pianto sommesso, ma che trova liberatorio e viene cinto dalle braccia della compagna. 
 
Il riposo, in effetti, si è rivelato anche più benefico delle aspettative. Forse per quel misterioso canto tenue, che Candace gli ha mormorato nell’orecchio, di cui non è riuscito a cogliere le parole, per via della stanchezza. Forse perché la sua mente aveva semplicemente bisogno di una pausa dignitosa, per ritrovare una traccia da seguire. Però, ora ha una risposta, nello svegliarsi.
Candace ha aperto gli occhi poco dopo, come se il loro sonno fosse in qualche modo interconnesso. Gli ha sorriso placida, con quella costante aura di mistero che la avvolge e la sua domanda l’ha sorpreso, ma non fino in fondo. Sa bene che le capacità di lei siano ben oltre la logica. «Hai trovato la risposta che cercavi?» ha chiesto, placida.
Si sono guardati. L’ha baciata a fior di labbra. «Sì» ha ammesso, consapevole. «Ora so dove andare.»
«Bene. Allora vai. Ti sta aspettando.»
Se solo riuscisse a dirle quanto la ama, perché non trova parole in grado di esprimerlo. Ha sperato che il suo sguardo grato fosse sufficiente. «Tornerò presto e con lei.»
La Guardiana ha annuito e gli ha sorriso ancora. Gli è sembrata stanca, come se drenata di energie, ma l’ha vista felice. «Allora vi aspetto qui.»
Ed è partito subito.
In fin dei conti il suo semplice istinto ha avuto ragione: Collei ha davvero voluto addentrarsi nel Deserto e, non solo, nel luogo più inconcepibile per la sua psiche.
Li ha visti nel sogno, quelli lugubri corridoi di roccia, imbrattati di sangue, urla, messaggi segnati da unghie consunte, impregnati dall’odore di carne putrescente. Ha visto con gli occhi di Collei bambina, ha visto la sua fuga senza speranza, ha percepito l’orrore delle ferite ancora aperte, del corpo che ribolle, a causa del residuo dell’Archon. Ha sentito le grida strazianti, provenire da quelle camere di tortura.
Ha visto il vuoto, in quelle gallerie, la completa assenza di vita.
Nessuno è mai uscito dal budello del deserto, nessuno è mai riuscito a scappare da quell’assassino. Questo Collei lo sapeva benissimo, eppure la più pura disperazione l’ha indotta ad annichilirsi completamente. Meglio morire di fame, in quelle gallerie, meglio vuotarsi di tutto ciò che si è, che vivere, anche solo per un ulteriore e misero giorno, quelle brutali violenze fisiche.
Era partita con un compagno; Cyno ha potuto persino vederne i lineamenti. Un piccolo ragazzino, affamato e terrorizzato quanto lei. Lo stesso che aveva visto sbranato da una bestia, due giorni dopo.
Ha visto il sangue colare dai canini della creatura e quel volto conosciuto ciondolare senza vita da un lato all’altro, prima di venire schiacciato da un singolo morso. Aveva sentito il suono delle ossa scricchiolare e pezzi di cervello colare sul terriccio.
Collei non aveva provato nulla.
Aveva pensato che, in fondo, morire non sarebbe stato poi così male. Non aveva niente da perdere del resto e quelle labirintiche pareti non l’avrebbero mai condotta all’uscita.
Lei sarebbe rimasta lì ad aspettare.
Aspettare di marcire.
Ma quella bambina si è salvata; infine ha trovato l’uscita, anche se non la cercava davvero. Nello scorgere la luce, per la prima volta, dopo tanto tempo, ha avuto il timore di perdere la vista. Ha pianto disperata, quella bambina, nel riuscire dove tanti hanno fallito, senza che neanche lo volesse davvero. In quel budello vuoto non ci sarebbe più tornata, si era detta.
Perché avrebbe ricominciato, avrebbe trovato qualcosa lì fuori, che le avrebbe restituito la voglia di vivere.
«Collei.»
La ritrova rannicchiata in un angolo, stretta fra le ginocchia, con le unghie, gli abiti ed il viso insozzati di sangue e tre carcasse di roditori a pochi centimetri da lei o almeno, quel che ne resta.
Quantomeno ha deciso di non lasciarsi semplicemente morire di fame, è la constatazione di Cyno, ma il ritrovarla in queste misere condizioni non lo fa sentire certo sollevato.
Le si avvicina. Compie solo due timidi passi prima che lei sollevi di poco il capo. Ha gli occhi cerchiati di rosso, sembra aver pianto a lungo. «Vattene.» Il suo tono è raggelante, ma la sua voce roca, probabilmente consumata dai singhiozzi, evidenzia lo stato di estrema fragilità in cui si trova.
Gli fa così male vederla così. Avanza di un altro passo.
«Vattene via, ho detto!» gli urla, si porta le mani ai capelli, si graffia la nuca.
In lei non riesce a vedere la giovane Ranger in crescita che ormai ha imparato ad accettare. Ha di fronte l’esatta raffigurazione di quella bambina, abbandonata nel nulla, congelata in una condizione assente di progresso.
Ha di fronte la bambina senza speranza, che ha deciso di annichilirsi.
La richiama ancora e le si avvicina, lei soffoca un singhiozzo, si ritrae maggiormente sulla parete, ma lo sforzo la obbliga ad urlare di dolore. Si preme le braccia rachitiche sul busto, contrisce le dita delle mani in una posa innaturale, in tensione. Una scarica violenta l’ha aggredita e l’ha forzata a rizzare la schiena.
L’Elazar.
Ha bisogno di cure immediate, geme nella mente Cyno. Deve portarla subito via da lì.
La vede portare le dita paralitiche fra le ciocche verdi, sporche di polvere, terriccio e sabbia, per poi tapparsi le orecchie e nascondere il viso fra le ginocchia. Non vuole guardarlo, non vuole neanche sentirlo.
«Mi sei mancata così tanto» le dice, in ogni caso e s’inginocchia con cautela ad ormai solo un metro da lei. La sente trattenere il respiro. «Sei un bugiardo» è l’amara risposta della sua protetta e lo ferisce.
«Non ti ho mai mentito. Mai. Sin dal primo giorno che ti ho conosciuta. Perché dovrei farlo ora?»
Lei si concede un attimo di silenzio, anche per schiarire la voce, ostacolata dai grumi di saliva. «Perché ora non mi vuoi più.»
Se delle parole fossero in grado di ucciderlo, queste sarebbero letali.
«Vattene. Io sto bene qui.»
«Io non vado da nessuna parte.»
«Quanto sei fastidioso» gli sibila e lui non osa ribattere, specialmente nel ricevere di nuovo i suoi occhi, colmi di rabbia. Era da tanto che non vedeva quell’espressione sul suo viso: disillusa, aggredita dall’odio, colma di rancore e ribrezzo. «Insistente, fastidioso, noioso, antipatico!»
E di nuovo Cyno non risponde.
«Io ti odio, hai capito? Ti odio!» eppure la voce le si rompe di nuovo in singhiozzi. «Io ti odio…»
Torna il silenzio, ma che stavolta lui interrompe. 
«Hai ragione.»
La sente sussultare. «Eh?»
«Ho detto che hai ragione. Sono una persona estremamente fastidiosa, noiosa, irritante, anche molto stupida. Ma una cosa è certa, non sono bugiardo.»
La ragazzina contrisce maggiormente le labbra, senza smettere di premersi le braccia contro il petto.
«Ed io non ti ho mentito quando ho detto che ti voglio un’infinità di bene.»
Ora lo sguardo di lei ricade verso il basso, assieme a nuove lacrime. «Ma il mio corpo… il mio corpo sta cambiando. È per questo che non vuoi più stare con me, no?»
«Collei…»
«E allora io non voglio crescere!» esclama d’un fiato. «Io voglio tornare come prima. Io voglio che non cambi mai niente! Perché… perché!? Perché non possiamo fare semplicemente finta che non stia cambiando niente!?» sbotta, nascondendosi il volto dietro alle braccia strette le une contro le altre, nella rigida posizione.
È ora che riesce ad avvicinarla, ma ha ancora timore di toccarla. «Collei, ascoltami» gli trema la voce e forse lei lo coglie ed è ciò che la induce a tornare a guardarlo, anche se timidamente.
Le sorride, gli viene spontaneo farlo. «So bene quanto un cambiamento possa spaventare. So anche bene quanto tu tema di perdere ciò che a fatica hai guadagnato.» ora è la sua voce che si fa smorzata dalle emozioni. «Ma il vederti crescere e maturare è per me un’immensa benedizione.»
Lei singhiozza. «Ma adesso…»
«Il cambiamento fa parte della vita, ma non è detto che sia negativo. Ogni fase ha specifici bisogni e caratteristiche e noi ci adattiamo ad essi. Non dipende da noi, ma è parte di noi.»
Collei non recrimina, si limita a soffocare il pianto tra le labbra.
«È vero. Molte cose cambieranno, da ora in avanti, ma presto ti accorgerai di quanto sia naturale che lo facciano ed io, anche se in modi diversi, non smetterò mai di starti affianco e supportarti.» ora riesce a sfiorarle i capelli. «C’è una cosa che non cambierà mai, tuttavia.»
«Non dirlo, se non è vero.»
Scuote il capo. «Io non smetterò mai di volerti bene» e le sorride ancora.
Ed è qui che lei, per una volta, riesce persino a contrastare l’Elazar, che le impedisce dignitosi movimenti. Gli si getta addosso e libera la voce in singhiozzi decisi, tra le lacrime copiose.
Cyno la abbraccia con forza, travolto da intense emozioni. «Torniamo a casa» la voce gli trema.
Anche lui si commuove, nel sentirsi rispondere un debole «Sì.»


_______________________________
N.A
Sì. avete letto bene: 2/2 ma la storia non è ancora finita. In realtà lo è LOL, ma avrà una piccola ed ultima appendice dal punto di vista di Collei, successiva a questa piccola vicenda. 
Che dire... Sinceramente non so quanto questi due capitoli siano riusciti a comunicare, trovo già un miracolo essere riuscita a leggerli/correggerli e persino pubblicarli! 
As always le note di mezzo non sono mai prolisse. Generalmente mi riescono meglio nell'ultimo capitolo. 
Quindi ci rivediamo all'epilogo!
And Yeah! Innanzitutto congratulazioni come sempre a chiunque sia riuscito a leggere sin qui e un grazie speciale va al carissimo Tubo Belmont, per le fantastiche recensioni. - Ma forse questo era meglio scriverlo nelle ultime note ebv. 
Grazie a tutti!
P.S: amo Candace ç_ç

 

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Capitolo 3
*** Epilogo ***


Epilogo

È assolutamente certa di non essersi ferita in alcun modo. È stata attenta ad ogni pericolo, durante tutta la ronda. Di sicuro non ha battuto e l’Elazar ha deciso di risparmiarla almeno per quella mattina.
È per questo che non riesce a spiegarsi cosa le stia succedendo.
Sanguina.
È stato nello svestirsi che se n’è accorta. Ha osservato l’intimo incredula, notandovi al di sopra una nitida chiazza rossa. All’inizio non ci ha dato peso: probabilmente qualche rovo o frasca deve averla ferita superficialmente. Si è ripulita, cambiata ed è tornata in completa attività.
Ma dubbi e timori l’hanno aggredita, nel momento in cui il piccolo Vikram le ha detto placidamente “Collei, sei sporca di sangue, lì” con tanto di indice puntato addosso.
È quasi balzata in piedi. In realtà sentiva di essere umida, ma credeva fosse dovuto a semplice sudorazione. Invece si è ritrovata le dita sporche. È corsa in bagno e si è chiusa dentro. Forse avrebbe dovuto avvisare qualcuno del suo volontario ritiro prolungato sui sanitari, non l’ha fatto perché non ci ha pensato.
È troppo presa dal tamponarsi convulsamente fra le gambe e notare con suo rammarico che il sangue non smette di defluire. Le lacrime l’assalgono, d’un tratto.
Forse sta morendo, questo si dice.
Forse l’Elazar sta finalmente terminando il suo ciclo ed ha deciso di mettere fine alle sue sofferenze di punto in bianco. Eppure non si sente male.
Non sente dolore.
Cosa le sta succedendo?
Si ritrova a singhiozzare, seduta sulla tavolozza dei sanitari e non sa neanche spiegarsi la ragione, ma sente un improvviso bisogno di avere Cyno affianco. Lui forse saprebbe cosa fare, come calmarla, come ribadirle che va tutto bene e non ha nulla da temere.
Il pensiero che tutto ciò sia l’inconfutabile prova della sua prossima morte la ammorba a tal punto che se ne convince. Immagina già un ipotetico scenario: lei in un avanzato stato di decomposizione, morta in bagno. Che fine umiliante.
Forse il lasciarsi morire di fame in quelle gallerie, giusto qualche settimana prima, non era poi una cattiva idea. Almeno Cyno si sarebbe ritrovato a piangerla in una condizione più drammatica, un po’ come quello stupido libro che ha finito di leggere avantieri. Sì. Non sarebbe stato poi tanto male vedere il suo tutore abbracciare la sua salma con forza e piangerla disperato, dopo essersi accorto del torto immenso che le ha fatto.
Perché, in fondo, non gli ha ancora perdonato il non volerla più abbracciare la notte. È scesa a patti con questa consapevolezza, ma non riesce a non sentirsi indispettita.
Del resto è tutta colpa sua quello che è successo, pensa con rabbia. È solo uno stupido! Però lei è persino più stupida… non avrebbe dovuto perdonarlo, quel giorno. Avrebbe dovuto guardarlo furiosa ancora a lungo, finché non l’avrebbe obbligato a piangere e chiederle scusa e farsi promettere che non sarebbe cambiato niente.
Tira su col naso. Non ha intenzione di stare male di nuovo per questo. Ha ceduto a quella sua promessa di volerle un bene dell’anima, senza poter neanche opporre resistenza.
La verità è che senza di lui è stata male, col passare dei giorni si è sentita persino peggio, non solo per le sue condizioni, ma anche perché aveva scelto di spingersi così lontano, che neanche Cyno riusciva a trovarla.
A volte ha pensato di tornare, ma c’è stato qualcosa dentro di lei che gliel’ha impedito.
È stata così felice, quando è riuscito a trovarla.
Ha creduto di poter ricominciare a vivere di nuovo.
Si ritrova a singhiozzare, arrabbiata. Dov’è adesso? Ha tantissimo bisogno di lui. Prima della fine.
È obbligata a sobbalzare d’un tratto però e così di interrompere la caterva di pensieri, perché sente bussare. «Collei?»
Il maestro…!
Gli occhi le si riempiono di nuove lacrime. Adesso come fa a dirglielo? Forse dovrebbe, ha bisogno d’aiuto. Forse non è ancora troppo tardi.
«Tutto bene?»
La voce le trema. Ingoia. Non riesce a parlare.
«Che succede? Sei chiusa in bagno da venti minuti.»
«I-io…» è solo in grado di balbettare, ma si accorge subito che il lasciar trasparire il suo stato d’animo non sia stata una buona idea.
«Collei, ti senti male!? Posso entrare?»
«No!» trilla. «Esco subito» riesce a dire.
«Ti aspetto qui.»
«S-sì..» si tampona ancora, si ripulisce alla ben meglio, rinfila i pantaloncini, si lava le mani ed esce. Si rivede subito gli occhi del maestro piantati addosso, sbarrati. E pensare che giusto l’altro giorno si era promessa di non far preoccupare più nessuno.
«Che sta succedendo?»
Lei riabbassa lo sguardo. Deve dirglielo. Spera solo che l’aspetti una morte rapida ed indolore, non sopporterebbe di vedere il maestro perdere colore e renderla consapevole che le resta qualcosa come un mese di vita. Quanto avrebbe bisogno di vedere Cyno. Non ha mai sentito la sua mancanza così brutalmente come adesso. Torna a guardare Tighnari, con gli occhi liquidi. «Io credo che… Io sto per morire» confessa timidamente, con le labbra piegate dal cruccio.  
Lui, tuttavia, non si allarma. Si limita ad inarcare un sopracciglio, perplesso. «Cosa intendi?» il vederlo così pacato, persino indifferente, di fronte alla sua fragilità emotiva quasi la porta ad irritarsi. «Esattamente quello che ho detto. Sto per morire, quindi avvisa tutti e dì loro che gli voglio bene» singhiozza. Riflette, poi aggiunge: «Ma non dirlo a Cyno. Digli solo che me ne sono andata via, perché sono ancora arrabbiata.» tanto vale prendersi una piccola vendetta. Magari così impara, quello stupido, ad aver scelto di non volerla più trattare come prima.
«Prima di farlo, voglio sapere cosa te lo faccia credere.»
Lei rotea gli occhi, caccia via le lacrime, anche se gliene sfuggono subito altre. Aveva dimenticato di avere di fronte una persona con il senso del tatto pari a quella di uno Stumpter Beast nella serra di Pardis Dhyai. «Mi sta uscendo del sangue, tantissimo, sempre» ed è un inspiegabile senso di vergogna a limitarsi ad indicarsi. «qui.»
Il maestro di fatto una reazione la ha, ma non è quella che si aspettava. Infatti anziché allarmarsi e probabilmente fiondarsi a scrivere una lettera a Cyno, per richiamarlo di fretta a Gandharva, sembra piuttosto meravigliato, poi sereno. «Collei, ma non è nulla!»
E lei si fa solo più confusa.
«Hai solo avuto il tuo primo mestruo.»
Aggrotta la fronte. È la prima volta che sente una parola simile, il suono le risulta così inusuale. Uh, ora che ci pensa, forse non è proprio la prima. In realtà ha sentito due ranger che parlavano di qualcosa di simile, ma non ricorda neanche quando e comunque la conversazione non la riguardava, quindi non se n’è interessata.
Tighnari forse ha notato il suo turbamento, perché si permette pure di sollevare l’indice, come fa ogni volta che sta per impartirle una lezione di medicina o botanica. «Ora ti spiego.»
Lei lo squadra torva, con ancora le lacrime che minacciano spaventosamente di sfuggirle nuovamente dagli occhi.
«È una perdita di sangue e tessuto dalla superficie della mucosa che riveste l'utero internamente, chiamato endometrio. Quest'evento consente all'utero di eliminare il rivestimento costruito durante il ciclo mestruale precedente. Va ricordato, infatti, che la struttura dell'utero è caratterizzata da tre strati: il perimetrio, ossia rivestimento esterno …»
Lui continua a spiegare, ma lei smette di ascoltarlo. Non ci sta capendo niente: tutte quelle parole sono così lunghe e complicate, che il solo udirle la fa sentire anche peggio. Le ricordano un po’ quelle che di solito usa per descrivere la malattia di un paziente.
Sta davvero per morire, allora. Solo che non vuole dirglielo. È così, vero?
Quelle malefiche gocce salate le scivolano di nuovo sulle guance. A questo punto ha solo un ultimo desiderio ed ha davvero bisogno che sia concretizzato. «Voglio andare da Cyno.»
Il maestro interrompe l’intricata spiegazione, per poi farsi di nuovo confuso. «Collei, lo sai bene quanto è complicato anche solo avvicinarlo, quando sta lavorando.»
«Non m’importa!» sbotta. Le labbra le tremano. «Se non vuoi accompagnarmi ci vado da sola. Io devo vederlo.»
Lo vede sospirare appena ed abbassare lo sguardo riflessivo.
«Per favore…» lo supplica.
Ed ora lui cede. «Va bene, ma prima cambiati e vado a prenderti un assorbente.»
 
Il maestro Tighnari insiste davvero per ricevere un’udienza con Cyno. Non le permette neanche di parlare, reputa che sia meglio lo faccia lui “perché non ti ascolterebbero, finirebbero soltanto con il cacciarti fuori”. Così rimane semplicemente in silenzio, al suo fianco e lo vede alterarsi con la Matra stanziata all’ingresso.
Questa, di tutta risposta, prova in tutti i modi a dissuaderlo, con un chiaro cipiglio di dissenso sul volto. Sembra che i giorni di assenza, a causa della sparizione di Collei, abbiano costretto Cyno ad intensi straordinari e non può essere disturbato.
«Ordini dall’alto» è la sua amara risposta. «E non me lo faccia ripetere. So bene chi lei sia, ma ciò non lo autorizza a disturbare il nostro lavoro a proprio piacimento.»
Collei vede maestro innervosirsi, probabilmente avrebbe ribattuto, ma a giudicare dalla sua irritazione, forse sarebbe stato qualcosa di troppo scurrile per l’ambiente in cui si trova. Poi la guarda ed ammorbidisce la tensione, ma le dice proprio ciò che non voleva udire «Andiamo. Non possiamo fare nulla, per ora.»
Sente i brividi e nuove lacrime le pungono gli occhi. Scuote la testa, poi guarda la Matra con disprezzo, mentre questa seguita semplicemente a fissarla da capo a piedi con durezza.
Il maestro si volta, ma lei resta immobile, come paralizzata sul posto. Percepisce ancora il sangue scivolarle sulla pelle, non ne prova vergogna, trova solo che sia scomodo. Ciò che la devasta è solo l’idea del doversene andare, senza non solo capire cosa le stia succedendo, ma anche con la certezza che non rivedrà Cyno forse per molto tempo.
Forse mai più.
Come è sempre successo, del resto. È sempre così che si sente, ogni volta che lo vede andare via e si obbliga a sorridere, così dal mostrarsi ubbidiente, responsabile e sufficientemente in grado di cavarsela da sola.
Si forza a mostrarsi salda e composta, di fronte alla Matra, che ora non può che stimolarle antipatia. Non le concederà la soddisfazione di vederla rattristarsi, però l’impulso di rivolgerle parole d’odio non fa che incrementare. In realtà, vorrebbe quasi scappare nei meandri dell’Akademiya e richiamare Cyno a gran voce, speranzosa che questo basti a raggiungerlo.
Eppure tutto ciò non è necessario, perché il Mahamatra sopraggiunge spontaneamente e Collei sente subito gli occhi farsi nuovamente languidi. Vorrebbe precipitarsi ad abbracciarlo, ma si mantiene composta.
«Che sta succedendo qui?» il tono di lui è fermo, austero, indecifrabile.
La Matra, visibilmente sorpresa, non perde tempo a chinare il capo e salutare il suo superiore con rispetto.
Collei non osa muoversi. Ora che ci fa caso, è la prima volta che lo coglie nel proprio ambiente lavorativo. Ed infatti… non l’ha mai visto comportarsi in questo modo. Sembra così impassibile e distaccato che, nel ricevere addosso la sua attenzione, d’improvviso avverte il timore assalirla. Non riesce a decifrare cosa pensi, se sia arrabbiato perché sia giunta fin qui e stia disturbando il suo lavoro o semplicemente sia del tutto indifferente alla sua presenza.
L’impulso di saltargli addosso e stringerlo con forza si sgretola in un istante. Abbassa gli occhi, imbarazzata e congiunge le mani. D’improvviso si sente una stupida. Allora il maestro aveva ragione… sarebbe stato meglio non venire, rimanere a Gandharva e sperare che lui la raggiungesse spontaneamente, prima della sua morte.
Tighnari però, si è fermato e si è riavvicinato al gruppo.
«Queste persone desideravano riceverla, Mahamatra» dice la sottoposta, senza sollevare il capo. «Tentavo di risolvere il problema io stessa, senza il bisogno di richiamarla.»
Collei si fa ancora più indispettita. “In realtà ci stavi cacciando, stron—” si blocca, perché ricorda bene quanto Cyno non voglia che lei dica o addirittura pensi a quella lista di parole che le ha segnalato come “brutte e cattive”.
«Avrei desiderato essere informato immediatamente» le viene risposto con durezza e lei china ancor più il capo. «Ho solo fatto ciò che i Saggi mi hanno ordinato» rimbatte, eppure è tesa ed incerta.
«Non sei comunque autorizzata a decidere per me, adesso torna a lavoro o potrei essere io a segnalarti per inadempienza.»
«Sì, Mahamatra.» e si allontana, per quanto, probabilmente, infastidita.
È quando rimangono solo loro tre che tutti i timori provati da Collei semplicemente si disciolgono, perché lo sguardo duro di Cyno muta in uno impensierito e ne riconosce subito la dolcezza. È questo il suo tutore.
«Che sta succedendo?» ma a malapena ha il tempo di chiederlo, che lei gli si fionda addosso e lo stringe con forza, quasi aggrappandoglisi sul busto.
Ne riconosce l’odore, il calore e quella così soffice apprensione, in grado di conquistarla, anche nelle situazioni più critiche. Di nuovo le si inumidiscono gli occhi.
«Collei ha appena avuto le mestruazioni» il maestro è superficiale nel dirlo, come se ciò che lei stia provando ora, sia cosa da poco e ciò la infastidisce.
Io sto per morire! Avrebbe appuntato subito, se non fosse che sente Cyno fremere. Lo guarda negli occhi, ne nota lo stupore e l’incertezza, sente anche il suo battito accelerare. Si rilassa, perché si sente compresa.
Aveva ragione, quel che le è successo non è cosa da poco, qualunque essa sia.
Però non vorrebbe farlo preoccupare.
«Si è spaventata ed ha insistito a vederti. Tutto qui.»
Di nuovo la schiettezza del suo maestro la innervosisce, ma è Cyno a quietarla, perché le si china di fronte, le asciuga le lacrime dal viso. La richiama.
Le piace tanto quando fa così, sente come di essere al centro del suo mondo, che non esista altro ai suoi occhi. «Sto per morire…» biascica di nuovo ed ora lo sfogo di lacrime è dovuto più a commozione, che a paura. «Mi sta uscendo tanto sangue, ho tanta paura» singhiozza.
«Ho cercato di spiegarle la situazione, ma non è stato sufficiente» lamenta il maestro, grattandosi le orecchie.
Cyno la guarda per qualche istante, riesce perfettamente ad intuire che lui stia cercando il modo migliore per fornirle la spiegazione che cerca.
Lei gli concede tempo, anche perché ora è l’averlo di nuovo vicino, dopo un tempo che, per una volta, non le è apparso interminabile, ad avere più importanza di qualsiasi cosa. Poi lo vede rivolgere l’attenzione al maestro. «Tighnari, grazie. Puoi andare, di lei ora mi occupo io.»
Questo si limita a scrollare le spalle. «Ci vediamo a Gandharva.»
Così rimangono solo loro due.
Cyno torna a dedicarle completa attenzione. «Collei, vieni. Devo un attimo accordare un paio di cose con i Saggi, poi avremo tutto il tempo di parlare senza essere disturbati.»
Assente, così lo segue.
 
L’ha sentito discutere, non troppo animatamente, ma comunque a sufficienza dal sentirsi in difetto. Non conosce nessuno all’interno dell’Akademiya, le sono ignari i meccanismi, ma sa solo che Cyno sta dibattendo con uno di quei pochi che hanno ancora potere decisionale su di lui.
Tutto perché non vogliono lasciarlo andare.
Perché lui ha bisogno di parlarle con calma, ma non sta ottenendo un facile consenso.
Intanto sente la pancia gorgogliare di rumori da lei mai sentiti. Non ha fame, in realtà non ha neanche sete. Si accorge solo di strizzare le gambe con imbarazzo, speranzosa che questo basti ad interrompere il flusso di sangue.
Le passa davanti uno studente, poi un altro, poi forse un insegnante, poi ancora qualcun altro. Perde il conto di quante persone semplicemente le scivolano davanti, la guardano con un cipiglio stranito, duro o sorpreso, per poi disperdersi in uno dei vari corridoi dell’immenso palazzo di governo. Lei li osserva di sguincio, si sente anche a disagio. Sa che il suo non indossare la divisa dell’Akademiya la rende più appariscente di un faro acceso in piena notte. Sobbalza, perché sente un tonfo sordo proveniente dall’interno. Poi la porta si apre alle sue spalle e sente la tensione scivolarle via dal corpo, nel vedere nuovamente il suo tutore.
Sembra stanco e spossato, sicuramente più di prima, eppure ritrova compostezza e le si rivolge. «Scusa se ti ho fatto attendere, Collei. Ora ho risolto.»
Vorrebbe dirgli che non ha nulla per cui scusarsi, che ad essere in difetto è unicamente lei ad averlo disturbato, ma si limita a restare in silenzio.
«Ti dispiace restare a Sumeru City per oggi?»
Scuote la testa.
«Allora andiamo. Ho anche una sorpresa per te.»
Strabuzza gli occhi. Ne merita davvero uno, dopo tutto il disastro combinato? Ma in realtà già si domanda cosa possa essere.
«Forza, non stare lì impalata e seguimi.»
Escono dall’Akademiya, anche se dal retro. All’esterno è già buio. Percorrono i viali rapidamente, forse anche perché Cyno, in linea generale, preferisce non mostrarsi in pubblico, per evitare di scatenare attenzione o pettegolezzi. Raggiungono la locanda più vicina ed a giudicare dal modo loquace con cui la proprietaria si rivolge al suo tutore, non è la prima volta che lo vede.
Sosteranno qui per la notte, così lui ha deciso, anche se Collei non riesce ancora ad immaginarne il motivo.
Entrano nella camera: poco arredata, con due letti addossati alle pareti opposte, un comodino ed una finestra che si affaccia a nient’altro che all’Albero Divino e la prima cosa che lui gli dice la imbarazza.
«Ho chiesto questi alla proprietaria. Non ho avuto il tempo di comprarteli io stesso.»
Collei squadra i piccoli involucri con titubanza. Non se ne spiega la ragione, ma il solo capire che tutto ciò che le sta succedendo è come una verità conosciuta da tutti e che semplicemente le è sfuggita sino ad allora, la fa sentire quasi stupida.
E giusto oggi ha compreso che tutti sappiano cosa sia un assorbente, tranne lei e probabilmente i bambini di Gandharva Ville.
«Se devi andare in bagno non farti problemi.»
Squadra Cyno, rossa in viso. Però lo vede sereno, forse solo un po’ impensierito. Allora è vero: non c’è niente di preoccupante in questo inusuale fenomeno. Prende il pacchetto con impaccio, spera non sia questa la sorpresa di cui parlava prima: non è che una sottospecie di bende per tamponare il sangue sia proprio ciò che aspettava con ansia di ricevere. Comunque annuisce, s’infila nel piccolo bagno e richiude la porta.
Eccola, la nuova scarica di lacrime. La minaccia brutalmente, anche se sono troppe le emozioni provate, per poterla motivare precisamente.
Si ripulisce di nuovo.
Come può trovare normale qualcosa del genere? Ha visto troppo sangue in passato per poterlo associare a qualcosa di diverso, che non sia dolore e sofferenza.
Ha visto la sua pelle lacerata, su quel tavolo di tortura, su cui il Dottore la faceva stendere. Ha visto le chiazze rosse incrostare l’ambiente e le urla.
Ha paura. Ha così tanta paura.
Nel vedere ancora quella macchia tra le gambe, ora persino più estesa di prima; nel notare di essersi chiusa la porta alle spalle, senza neanche averci fatto caso, nel sapere che Cyno è subito lì fuori.
Cyno.
Lui, Lisa, Amber, Jean… Loro l’hanno salvata dal sangue, dall’odio, dall’orrore.
Perché ci sta ripensando adesso?
Se tutto ciò è naturale… perché ne ha così tanto terrore?
Il dolore è naturale, le ha detto il Dottore, una volta, con quel sorriso sghembo sulle labbra. Soffrire non è poi così male, mia cara. Fa parte della vita.
Buio.
Le gambe le cedono, scoppia in lacrime, urla. Vuole smettere, vuole che tutto ciò finisca. Ora che aveva trovato un proprio equilibrio, è come se tutto si stia incrinando di nuovo. L’abbraccio mancato, la fuga, l’attesa ed ora questo.
Ha sentito la porta spalancarsi alle sue spalle ma non ne è sicura.
«Collei!» si sente scuotere dalle spalle e quasi forzata a riaprire gli occhi.
Cyno.
Si ritrova gli occhi del proprio tutore piantati addosso. Singhiozza con energia. Sono l’unico conforto che le resta. Lo osserva, mentre le accarezza il viso, le asciuga le lacrime, tenta di sorreggerla.
«Perché non smette…?» geme. Non sta neanche dando importanza al fatto che abbia ancora l’intimità scoperta, forse sta anche macchiando il pavimento ma non le importa. Sente di poter svenire.
«Collei, guardami, ti prego.»
Piange ancora. «Fallo smettere.»
«Collei… ciò che ti sta succedendo non è qualcosa di cui avere paura»
«Ah, no?» singhiozza.
Le accenna un sorriso. «Ti ho mai mentito?»
Lei ingoia, ma non riesce a parlare, in realtà non sa neanche cosa dire. Trova tutto ciò assurdamente illogico.
«Questo sangue, Collei, non è causato dal dolore o sofferenza.»
Si stropiccia gli occhi, si guarda il pube, eppure altre due lacrime le sfuggono «Allora perché succede?»
«Ti ricordi quando ti ho parlato del cambiamento che il tuo corpo sta subendo? E so anche che ne sei consapevole anche tu, de tuo sviluppo.»
Lei annuisce, anche se forse vorrebbe non farlo.
«Ciò che ti sta accadendo è un semplice fenomeno che mostra quanto ormai tu stia maturando.»
«Perché non ne sapevo niente?»
Cyno abbassa gli occhi. «Quella è stata una mia mancanza… Ho sbagliato, Collei. Ho sbagliato tanto. Ho preferito non accorgermi della tua crescita, di pensarti sempre una perenne bambina. Ho sempre voluto rimandare… è colpa mia.»
«Se è una cosa così normale… perché non me l’hai detto subito?» non sa se lo stia rimproverando, ha semplicemente espresso i propri pensieri.
Segue un istante di silenzio. Di nuovo lui sembra vergognarsi di qualcosa. «Perché avevo paura» ammette. «forse più paura di quanta ne hai provata tu, oggi.» abbozza un sogghigno nervoso «sono davvero patetico.»
«Paura di cosa?»
Tornano a guardarsi.
Cyno le accarezza i capelli, la cinge con forza. «paura di non essere adatto a spiegarti quanto sei straordinaria, di non essere in grado di farti comprendere della potenza incredibile che il tuo corpo dispone, senza farti sentire schiacciata da responsabilità, che non devi temere.»
Tutte queste parole la lusingano, ma ancora non le è chiara la situazione. «Come hai reagito quando è successo a te?»
E qui di nuovo sfugge ai suoi occhi, prima di dedicarle nuova attenzione, più determinata. «È proprio per questo che avevo paura…»
Lei si limita ad ascoltare.
«Collei… i nostri corpi sono diversi.» in cuor suo lei questo già lo sapeva, ma non se n’era mai posta il problema. Ha semplicemente trovato la cosa curiosa. Non ha mai indagato sulla questione. «Quindi non posso neanche immaginare come tu ti senta ora.»
Dentro di lei qualcosa si sgretola. Avverte come una brutale lacerazione, che non è in grado di spiegarsi, si sente come tradita, anche se non ne comprende il motivo.
«Però ricordati… io ti sarò sempre vicino, pronto ad aiutarti e sostenerti. Ci saranno battaglie in cui non potrò essere in grado di comprenderti completamente, ma il mio appoggio lo avrai sempre e se ti sentirai crollare, io ti sarò vicino.»
Lo abbraccia, commossa, gli si avvinghia addosso. Si forza di non rompere la voce in singhiozzi.
«Ciò che ti è successo oggi, Collei. È la prova che il tuo corpo funziona esattamente come dovrebbe e ti sta letteralmente dicendo che sei cresciuta.» le bacia la fronte. «Ed io non potrei esserne più fiero.»
Singhiozza, ma ora non ha più paura. Ci sono ancora tante cose che deve comprendere, però sente di nuovo la vicinanza di Cyno ed è questo che le interessa, più di ogni altra cosa.
«Ti ricordi della sorpresa che ti ho accennato prima?»
Annuisce, sul suo petto. Non lo sta guardando, ma è sicura che stia sorridendo, lo percepisce dal tono con cui glielo dice: «Sono riuscito ad ottenere due giorni da trascorrere liberamente insieme.»
È felice. La notizia è così magnifica che non può che sconvolgerla.
«Domani andiamo nel Deserto, Collei.»
 
 
Con oggi è la terza volta che la vede, ma la prima a poterla osservare così da vicino, per quanto nella penombra.
Come unica fonte di luce, c’è solo il piccolo falò da loro acceso, voluto a contrastare il freddo pungente della notte.
Sono sole, si sono spinte ben oltre il fossato di Aaru. Dal promontorio da cui ora si trovano, si vede distintamente il Mausoleo di Al-Ahmar, l’oasi ed un cielo terso, fulgido di stelle, con la luna piena proprio su di loro.
Quando Cyno le ha rivelato di volersi recare nel deserto, aveva immaginato di rivedere Candace, ma non si sarebbe mai aspettata di restare con lei da sola. Non si sono davvero mai parlate direttamente, né ce n’è stata occasione. Piuttosto si aspettava di assistere ad uno dei loro abituali e soffici battibecchi, per poi essere condotta chissà dove a conoscere chissà che abitante di Aaru e ritrovarsi a stringere inaspettate amicizie.
Di fatto una piccola discussione tra i due c’è stata, una delle loro solite.
Cyno, infatti, appena varcata la soglia della casa del capovillaggio, è subito stato accolto da Candace, la quale, col suo consueto modo di fare, lo ha tirato a sé e l’ha baciato con un sorriso malandrino.
Lui si è discostato, intimandola di contenersi e poi hanno iniziato a punzecchiarsi.
Insomma, nulla di nuovo.
Di diversa però, una cosa c’è stata: si è ritrovata in un baleno al centro della discussione e dell’attenzione di entrambi. Ed è stato allora che Cyno ha detto quella parola che non ha capito: «Ha avuto il primo ciclo» ha rivelato alla Guardiana.
Lei ha strabuzzato la vista, l’ha squadrata, poi è tornata a rivolgersi al suo tutore. «Oh, caro mio, non dirmi che sei venuto qui solo per questo?»
L’ha visto infiammarsi, incrociare le braccia e negare tutto.
«Fammi indovinare, hai bisogno del mio aiuto?»
Di nuovo lui non ha risposto, si è solo limitato a voltare il capo dalla parte opposta, ma lei ha ridacchiato.
Infine è stato deciso. «Per ora riposa, Collei. Stanotte faremo una piccola escursione, solo io e te.»
E così, di fatto, è stato. Non avrebbe mai disubbidito ad un invito così gentile, come quello che Candace le ha rivolto ed in fondo non se ne sta pentendo, per quanto all’inizio temeva di restare sola con lei, forse anche perché incerta su come conversare.
Ma la Guardiana è tranquilla, lo sta scoprendo solo ora. È come il deserto: placida, immobile, silenziosa, ma capace di dimostrare una furia senza pari, se provocata. È anche bellissima, lo deve ammettere. Forse l’eterocromia così particolare condiziona il suo giudizio, ma sente come di doverle rispetto, nell’averla così vicina. C’è un lato di lei che la trova intoccabile, distante, forse anche temibile, per quanto non riesca a spiegarsi la ragione.
D’altra parte, invece, il sorriso caldo che le scorge sul volto, mentre contempla innanzi a sé, in direzione dell’oceano di sabbia, le pare eco di ricordi lontani, di una medesima espressione che in passato le è stata rivolta.
Dalla sua mamma.
Poi scivola con gli occhi sul suo corpo, sulle sue forme, sul suo fisico. Ora che lo sa, che c’è importanza nella differenza dei due sessi, si chiede se il suo sarà simile, quando crescerà e a cosa ciò potrebbe comportare.
La vede chiudere gli occhi e sussulta appena nel sentirsi richiamata. Spera di non essere stata troppo invadente, nell’osservarla con così tanta insistenza. «Come stai?»
Il petto prende a palpitarle energico. Assurdo come di tutte le cose che si aspettava di sentire, per prima si ritrova a fronteggiare una domanda così semplice. Però riflette. La verità è che non lo sa. Tutto d’improvviso le appare oscuro ed inutilmente complicato. «Bene» risponde comunque, più per semplice educazione.
Ora si guardano, ma la Guardiana non spegne il sorriso. «Capisco come ti senti.»
Lei abbassa gli occhi.
«Devi essere molto confusa e sicuramente ti stai chiedendo perché così tante difficoltà nello spiegarti qualcosa di così naturale.» la sente sospirare appena. «Tra l’altro, Cyno è proprio uno sciocco».
Questo giudizio la indispettisce. Il suo tutore è perfetto così com’è. È buono, gentile, disponibile e soprattutto conosce tantissime cose.
«Avrebbe dovuto parlartene molto prima. Il saperlo da subito ci permette di accettarlo senza fatica o timore.»
«Lui aveva paura di dirmelo» le risponde, come a voler prendere le sue difese.
«Oh, lo so che ne aveva» le dice Candace con ironia, eppure è soffice. «È come spingerlo ad ammettere che ci sono cose che semplicemente non può provare o comprendere. Ma questo piccolo errore glielo possiamo anche perdonare» torna ad incrociare i suoi occhi, le ammicca.
Lei annuisce, anche se timidamente.
Poi Candace sospira. «Collei, chiudi gli occhi ed ascolta.»
Lei si limita ad assecondarla, per quanto incerta. Ora innanzi vede il buio. avverte più intensamente il tepore del fuoco, lo scricchiolio della legna ardente, il fruscio del vento, i versi dei draghi, lo scorrere delle sterpaglie sulla sabbia.
Sono rumori così diversi da quelli che ascolta ogni giorno nella foresta, così caotici e febbricanti di vita. La Guardiana riprende a parlare «Questi sono i rumori della nostra terra. Per quanto diversi gli uni dagli altri, da zona in zona.»
«Sì. Lo capisco.»
«E la terra, come ogni cosa che la popola, ha un ciclo vitale. Le stagioni, la notte ed il giorno, il fiorire ed il rinsecchirsi di una pianta, la pioggia ed il cielo terso. Tutto ciò è possibile, perché ogni cosa nasce e muore. Ed il punto di partenza e di fine è sempre lei. La nostra terra.»
Inavvertitamente ha riaperto gli occhi ed è tornata a fissare la donna, la quale, adesso, anche lei dischiude le palpebre.
Freme, nel sentirsi dire le parole subito successive.
«Il tuo corpo, mia cara. È come la terra
Avverte come il ventre vibrare, forse di timore, forse d’entusiasmo.
«Il tuo corpo ha un potere di cui sarai libera di far uso, in futuro, sempre che tu lo desideri. Tu potrai donare la vita. E come la terra, noi abbiamo un ciclo, che va rispettato in ogni sua fase, il cui inizio e fine è proprio ciò che stai vivendo. Il tuo corpo, Collei, è pura energia. E ciò che sei non è tuo semplice diritto, ma è libertà. Hai la libertà di originare la vita.»
Resta in silenzio, si tocca la pancia.
«È vero» ammette Candace. «A volte può venire a noia, ma ricorda sempre che è anche un segnale che indica che il tuo corpo sta benissimo. Rispettati ed amati sempre. Questa è la cosa più importante.» solleva l’indice.
Poi di nuovo la vede ritrarsi. «E sì, avrai queste perdite per circa cinque giorni» scrolla le spalle. «ma ci farai presto l’abitudine.» tira un sospiro e solleva gli occhi al cielo «E comunque» alza d’improvviso la voce e Collei intuisce che queste ultime parole, per assurdo, non siano rivolte a lei. «Non avevo detto che era un’escursione solo tra donne?»
Silenzio.
«Cyno, guarda che ti ho sentito» emette Candace, col tono traboccante di sarcasmo. Collei sbarra gli occhi, specialmente nel notare che, di fatto, il suo tutore sbuca dietro di loro.
La Guardiana inarca un sopracciglio, ma non spegne l’ironia, probabilmente anche nel notarlo così mortificato, forse per l’essere stato scoperto ad origliare una conversazione privata.
«Guarda che non avevo intenzione di mangiare la tua figlioccia per cena.»
«Scusatemi…» mormora.
«Eri così tanto preoccupato?»
Collei sente le gote infiammarsi.
Lui svia lo sguardo altrove.
«È sana come un pesce, papino. Non hai nulla di cui preoccuparti»
Cyno forse vorrebbe folgorarla con gli occhi, però si limita a sfiatare ed avvicinarsi. «Come ti senti ora, Collei?»
La ragazzina gli sorride gioviale, poi passa a guardare il firmamento. Sente che qualcosa è cambiato, ma è vero: non ne nota negatività. «C’è un cielo bellissimo, stasera» si sente di rispondere.
Sono in tre a guardare verso l’alto, appena Cyno le si siede affianco.
C’è una cosa che Collei pensa nitidamente, ora.
Il Deserto ha decisamente un suo fascino.


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N.A: Che dire. Ho finito anche questa... (Mg, help. Un pensiero in meno)
Conto questo capitoletto come epilogo 1 perché il punto di vista è cambiato 2 perché è, di fatto, un piccolo ending post storia. 
Il ciclo mestruale è letteralmente una delle cose più ovvie al mondo eppure in molti temono di parlarne - Bouh... società demme-- ehm ehm - spero comunque di essere stata in grado di riuscire a dare giustizia al tema. 
Infine 1) Collei è fantastica 
2) Cyno è... vabbé. Poi sicuramente penserete: ma nel gioco non è così tanto variegato! Amici cari, diamo un maggiore spessore a questi personaggi in due d per un maledetto gioco pegi 12, suvvia!
3) CANDACEEEEEEEEEEEEEEEEEE AAAAAAAAAAAAAAAAA
Infine, grazie come sempre Tubo, per le recensioni stupende e grazie A TUTTI coloro che sono stati disposti a sopportare questo mio ennesimo delirio e leggere sino alla fine, ma anche in mezzo, ma anche aprire il link... insomma come vi pare. Vi si vuole bene! Ciauuuu


 

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