L'isola delle lucertole

di Cladzky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Naufragio ***
Capitolo 2: *** I sopravvissuti ***
Capitolo 3: *** Le bestie ***
Capitolo 4: *** La zattera ***



Capitolo 1
*** Naufragio ***


PREFAZIONE

L’opera l’ho ritrovata, spillata in fogli a righe, in mezzo una pila di vecchi disegni, insieme ad altri temi che ci facevano scrivere alle medie. In quel periodo scoprii che scrivere mi divertiva quanto leggere e questi compiti d’italiano mi davano l'opportunità di unire l’utile al dilettevole. Letta oggi non è un capolavoro ma l’ho trovata sorprendentemente solida considerando il contesto. Non sono mai stato uno scrittore preciso e da giovane incominciavo molti racconti da un’idea senza curarmi di sapere dove andavano. A dodici anni, per la prima volta, scrivevo una breve storia effettivamente godibile, a differenza degli esperimenti precedenti, che mi garbano solo per ricordo e sono esilarantemente sconclusionati. Non mi azzardo a definire “L’isola delle lucertole” una bella storia ma certamente era la prima effettivamente professionale. Più informazioni nell’ultimo capitolo.


L’ISOLA DELLE LUCERTOLE

CAP. I

NAUFRAGIO

    —Voi dovete portarmi rispetto!— Sbottava il colonnello.

    —Voi siete un passeggero qualunque!— Rispondeva aspramente il capitano.

    —Qualunque sarete voi! Io sono il colonnello Sprangton, del quarto reggimento fucilieri, che ha appena riportato una strepitosa vittoria nelle Indie e la stessa regina d’Inghilterra vuole farmi i complimenti! Io mi distinguo da semplice marmaglia.

    —L’unica cosa in cui vi distinguete è stupidità!

    —Come osate!?

    —Oso perché questa è la mia nave e finché rimarrò su questa terra, voi seguirete le regole di questa bagnarola.

    —E quali sono queste regole?

    —Che tutti i passeggeri sono uguali.

    —E allora io sono un'eccezione!

    —Lei è un pallone gonfiato!

    —Incosciente!

    —Se ne vada!

    —Se ne vada lei!

    —E con quale autorità?

    —La mia!

    Subito dopo queste parole il capitano chiuse violentemente la porta della cabina. Al colonnello non rimase altro che andarsene sbuffando. Il tutto era cominciato dopo che il colonnello inglese si era ritrovato un qualunque pasto di riso, portandolo a chiedere un cibo ben più sostanzioso e con dal sapore a sua detta “quantomeno decente”. Ma quella notte ci fu qualcosa di ben più preoccupante di un piatto cucinato male.

    Quella notte l’oceano Indiano fu percosso da una violenta tempesta. Il barometro era più a destra che mai, con la lancetta che sembrava presa da convulsioni. Onde alte 15 metri si infrangevano sul grande mercantile, facendo vibrare lo scafo metallico. Il capitano Stewart aveva attraversato, con quella nave, già diverse volte lo stretto di Suez, da Singapore a Londra, ma fino ad allora il mercantile aveva attraversato un mare calmo o solo poco mosso. L’equipaggio fu preso di sorpresa e non sapendo come comportarsi in una simile circostanza finirono per uscire di rotta di almeno 20 leghe, giungendo esattamente nell’equatore. Il giorno dopo la nave era ancora preda dei venti e non potendo orientarsi con le stelle, rimaneva solo la bussola, che risultava però impazzita. La vedetta sul ponte, che da tempo si era rassegnata a non vedere nulla con quella nebbia, scorse in lontananza un’isola, dalla lunghezza di circa 3 leghe e dalla lunghezza di 6. Sebbene non segnata sulle carte e fuori da ogni rotta fu dato l’ordine di attraccare, ma preso dall’euforia l’equipaggio non controllò il fondale che si rivelò pieno di scogli. La chiglia fu perforata e le lancie furono gettate in acqua per remare fino all’isola. La nave, in meno di due ore, affondò fra i flutti.

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Capitolo 2
*** I sopravvissuti ***


CAP. II

I SOPRAVVISSUTI

    Dell’equipaggio che ammontava a circa 40 uomini, solo 20 scamparono al disastro. Con loro avevano portato i viveri per 1 mese, 2 fucili, 2 pistole (appartenenti al capitano Stewart e al colonnello Sprangton) la bussola e diversi oggetti personali. Si trovavano tutti su una spiaggia bianca, con palme alte anche trenta metri, seguita da una vegetazione nell’entroterra di fitta foresta verde, lussureggiante ed esotica.

    —Allora capitano Stewart?— Chiese il colonnello al l’uomo sopracitato —Devo ancora fidarmi di lei?

    —Cosa intende?

    —Prima di partire mi ha promesso la massima efficenza! Se questa è la vostra efficienza, cosa sarebbe successo se foste stato svogliato?

    —Lei pensa davvero che avrei potuto impedire tutto questo?

    —Si capisce.

    —Ma se non ha neanche guidato una barca a remi.

    —Io sono un colonnello, faccio lo stratega, ma so che se un uomo vuole può fare di tutto!

    —Anche sconfiggere il mare?

    —Certo.

    —Le sue parole hanno senso quanto mettere un toro in una vetreria!

    La discussione andò avanti per minuti, e tutti gli uomini dell’equipaggio rimasto, li cirocndavano, dipigendo leggeri sorrisi sui loro volti. Alla fine il colonnello esclamò:

    —Basta stare a discutere! Dobbiamo organizzarci a passare la notte.

    —Più che giusto— Lo seguì il capitano.

    —Dobbiamo creare un rifugio per la notte.

    —Ha un’idea?

    —Certo. Nell’esercito ho costruito castelli con due pietre ed un bastone.

    —Qua mi pare che abbiamo più che due sassi ed un bastone.

    —Appunto! Mettiamoci all’opera!

    Prima di mezzanotte un piccolo rifugio, dal tetto di foglie e sorretto da alcuni paletti fu eretto sulla spiaggia, ma vicino alla foresta , sotto consiglio del capitano, in quanto l’alta marea così non li avrebbe raggiunti. Montarono due vedette, scelte a caso fra i marinai, ma per tutta la notte non ce ne fu bisogno, o almeno fino al mattino.

    —Un serpente!!— Gridava una vedetta, seguita da rumore di spari. CInque, sei, sette… Dodici colpi esplosi. Tutti si svegliarono di soprassalto già al primo sparo. Il gruppo volse il suo sguardo verso la provenienza degli spari. Le vedette stavano sparando all’impazzata coi due fucili a quello che sembrava un grosso serpente, che sbucava con il suo lungo collo fuori dalla vegetazione. Con una colorazione verde scuro ed una testa con un rialzamento a cresta sulla nuca. La bestia, ferita, gemette e aprù la bocca, mostrando denti grossi e schiacciati, in un lungo verso di dolore dal tono basso e forte. Fatto ciò, dopo il 13° colpo cadde a terra, trascinando con sé anche una grossa roccia.

    —Cos’è quella mostruosità?— Chiese stupefatto il colonnello Sprangton.

    —Nulla che possa essere definito un animale— Gli rispose il capitano Stewart.

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Capitolo 3
*** Le bestie ***


CAP. III

LE BESTIE

Tutti avevano accerchiato il corpo del grosso serpente. Ora scrutandolo con attenzione, il collo, lungo almeno 4 metri, del serpente, era incastonato alla base, a quella che sembrava una pietra dello stesso colore verde. Ciò significava che quella creatura mastodontica, era un quadrupede, dal lungo collo ed un’altrettanta lunga coda. In tutto la creatura era almeno 11 metri.

    —Ora so cos’è quella belva!— Disse con occhi sgranati il capitano —È uno di quei dinosauri che tanto vengono discussi dagli studiosi di Londra!

    —Intende quelle creature antidiluviane esistite prima dell’uomo?— Chiese perplesso il colonnello.

    —Certamente! Ma dovrebbero essere estinti!

    —Questo non lo è.

    —Sa cosa significa?

    —Che adesso lo è e che per stasera avremo bistecche.

    —Ma no! Non ci arriva? Questo non è certamente l’unico di tutta l’isola! Ce ne saranno altri e di sicuro non erbivori.

    —Questo era un erbivoro?

    —Certo. Non vede la dentatura?

    —Al diavolo la dentatura! Se oseranno presentarsi gli suonerò un gran concerto con la mia pistola!

    —Pensa di poterli tenere a bada con una pistola?

    —Certamente!

    —Lo dicevo che era uno stupido!  Queste creature sono ben più grandi di quel cucciolo!

    —Quello era un cucciolo?

    —Esatto! E sua madre sarà grossa quanto la vostra casa!

    —Santi numi!

    —Dobbiamo andarcene al più presto da qui. Specialmente dalla spiaggia, se non vogliamo un’insolazione.

    Il gruppo si addentrò così nella foresta, ma non prima di aver squartato parzialmente il corpo dell’animale, per prenderne la carne. Dopo pochi minuti di marcia, si imbatterono in un altro abitante dell’isola, una lucertola lunga quanto un drago di Komodo, sormontata da una cresta arancione con sfumature viola. Il colonnello stava per sparare, ma Stewart lo fermò.

    —Che intenzioni avete?— Chiese sorpreso il militare.

    —Dobbiamo risparmiare i colpi— Rispose freddo il capitano —E quella salamandra poco cresciuta non può certo impensierirci.

    Ripresero dunque il viaggio e dopo un’ora trovarono un piccolo torrente. Dopo essersi consultati i membri dell’equipaggio trovarono saggio accamparsi lì. Infatti tutta l’acqua ammontava ad almeno due borracce, ben poche per 20 persone. Mentre costruivano una piccola barricata per evitare spiacevoli incursioni, con legno e pietre, il militare parlò col capitano, confidandogli alcune preoccupazioni.

    —Mi dica— Gli chiese con un che di preoccupazione —Come pensa torneremo in Inghilterra?

    —Ho già un piano.

—E quale?

    —Costruiremo una zattera.

    —E sarà in grado di raggiungere l’India?

    —Ovviamente no.

    —E come torneremo a casa?

    —Ci basterà arrivare alle rotte commerciali e aspettare che passi una nave.

    —Lei sembra avere una soluzione per ogni cosa.

    —E lei ha smesso di fare il buffone.

    —Non lo sono mai stato!

    —Sì, invece!

    —No, invece!

    E continuarono per diversi minuti. Furono però interrotti da un verso spaventoso, simile a quello di un leone, ma più acuto e stridolo. Il muro di cinta costruito non superava il mezzo metro, e la creatura si avvicinava. Furono preparati i fucili e i due litiganti tirarono fuori nello stesso istante la pistola. I passi si fecero pesanti e a qualche metro dal muretto spuntò dalla boscaglia di felci e alberi, un rettile bipede alto almeno dieci metri, colore tendente al nero, una lunga coda strascicata a terra ed una postura leggermente curva, spingendo in avanti il suo muso allungato.

    —Sparate!— Gridò il militare. Esplosero i colpi di fucili e pistole. Più spesso si dovettero ricaricare le armi, che sembravano ferire solo lievemente il dinosauro. Il mostro scosse capo e coda e urlando, sfondò con un calcio la piccola staccionata.

    —Continuate a sparare!— Urlò ancora l’ufficiale.

    —Dobbiamo scappare colonnello!— Cercò di farlo ragionare il capitano, continuando a sparare con il revolver.

    —Ricoprirci di disonore? Mai!

    —Quel coso non lo abbatteremo con i proiettili!

    —Meglio morire che scappare!

    —Ma stia zitto!— Poi si rivolse all’equipaggio —Uomini! Fuggite!

    Sembrava che quei ragazzi non attendessero altro. Tutti si diedero ad una fuga disordinata fra la boscaglia, dimenticando di portare con sé cibo e attrezzi. Anche Sprangton, probabilmente covava dentro di sé una paura segreta, perché vedendo che non c’era nulla da fare, corse come una lepre.

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Capitolo 4
*** La zattera ***


CAP. IV

LA ZATTERA

    In tutto, ciò che si era perso nella precipitosa fuga furono i viveri, la carta nautica e le munizioni dei fucili, che rimasero con una manciata di colpi, più un uomo, divorato dalla bestia antidiluviana, inciampando. I sopravvissuti stavano tutt’ora marciando per l’isola e cercare di raggiungere il lato opposto, in quanto tornare indietro avrebbe sicuramente significato ritrovare il carnivoro nero. Durante la marcia , che durò almeno un’ora e tutte e due le borracce, avevano visto altre meraviglie dell’isola. Incontrarono un’immensa prateria, che occupava almeno 2 leghe di diametro, occupata da un piccolo lago, dalla superficie di circa un centinaio di metri. Tutt’intorno pascolavano dinosauri grandi quanto 5 tori, dalla postura quadrupede e ricoperti di scaglie pentagonali sulla schiena. Tutto questo corpo era pilotato da una testolina, munita di becco e piccoli occhiolini neri. Insieme a loro si ritrovavano a passeggiare e mangiare fogliame a mucchi, i dinosauri della stessa specie dell’esemplare sulla spiaggia.

    —Guardi che meraviglia!— Esclamò il capitano Stewart —Bellissimi esemplari di Argentinosaurus e Stegosaurus! Mai occhi umani videro vive queste bestie!

    —E mi dica— Scherzò seccato il colonnello Sprangton —Sig. Paleontologo, sa cos’era allora il carnivoro che ci ha attaccati?

    —Certamente. Era un chiaro esemplare di Allosaurus.

    —E quelli laggiù sono i dinosauri grandi quanti la mia casa?

    —Esatto. Non sono forse immensi?

    Il militare li scrutò attentamente, immaginandosi la sua casa di due piani con soffitta affianco a quei bestioni e non ebbe un granché da controbattere. Erano forse le cinque del pomeriggio a quanto pareva dal sole e il caldo afoso dell’equatore era affievolito da un fresco venticello. Circumnavigando la pianura giunsero dove la prateria si congiungeva con il mare, attraverso un fine strato sabbioso e iniziando i lavori per la zattera. Tre marinari furono mandati alla ricerca di cibo, dandogli per difendersi uno dei fucili. Prima delle otto la zattera era completa. Grazie agli alberi trovati abbattuti dai giganteschi abitanti e uniti alle cinture dei 19 superstiti, realizzarono un’imbarazzante zattera, senza vela, che avrebbe faticato a chiamarsi tale.Lunga 20 metri e larga 3, poteva essere guidata solo con dei semplici remi. Il capitano contava che una volta usciti dall’equatore, le correnti oceaniche li avrebbero portati verso lo stretto di Suez, dove Asia e Africa si incontravano ed imbattersi in una nave. Il colonnello più che altro lo sperava, in quanto i remi erano solo bastoni intagliati. Gli uomini andati a cercare provviste tornarono con entrambe le borracce piene e le tasche e mani trepidanti di frutti. A provviste, a detta di Sprangton, erano a posto per 3 giorni se tutti l’avessero razionato e non avessero sprecato il cibo. La zattera  era pronta, non rimaneva che spingerla in mare. L’avevano costruita però a diversi metri dal bagnasciuga e quei pesanti tronchi di palma, con tutta la forza dell'equipaggio, percorsero a malapena 1 o 2 metri sulla sabbia.

    Si udirono pesanti passi, familiari al gruppo, seguiti da un ruggito, ancora più familiare. Furono imbracciate le armi e scrutando gli alberi con attenzione, l’equipaggio vide l’Allosaurus di prima, uscire dalla fitta vegetazione, correndo e barcollando sull’erba. Gli erbivori, scapparono appena videro arrivare tale predatore, tranne uno degli stegosauri, rimasto sorpreso da tale fatto. Guardando con attenzione, ora dall’aspetto del carnivoro nero emergevano nuovi particolari anzitutto le braccia del sauro, ridicole rispetto alla sa mole, poi diverse ferite su tutto il corpo, provocate dagli uomini stessi, poche ore prima. L’obiettivo della bestia non era però lo stegosauro, ma gli uomini sopravvissuti, per le ferite riportate. Lo si intuiva dal fatto che fissava ben oltre l’erbivoro, che quasi non lo vedeva, ma l’erbivoro lo vedeva benissimo e fortuna volle che lo stegosaurus, pensando ad una minaccia, lo colpì in pieno stomaco con la sua coda chiodata da piccole ossa che fuoriuscivano a mo’ di mazza. I due mostri cominciarono allora a lottare furiosamente e l’equipaggio ne approfittò per fuggire.

    Intanto i due titani finirono la loro lotta, con la testa dell’erbivoro stretta fra le mascelle dell’allosaurus. Ucciso l’avversario, il predatore si volse allora verso la bagnarola. Gli uomini non si erano resi conto di una cosa però. Quella in cui si trovavano adesso era la alta marea e per diversi metri l’acqua era alta ben pochi piedi. Il carnivoro nero, infatti non impiegò molto a raggiungerli. Preso allora da un gesto di follia,  il colonnello Sprangton tirò fuori il suo revolver e saltò giù dalla zattera. In un’azione a dir poco eroica, sparò a bruciapelo sull’essere primordiale, che arretrò di un poco socchiudendo i suoi occhi bianchi. La gigantesca figura dell’allosaurus si stagliava imponente davanti al colonnello, che aveva solo una pistola per fermarlo. Dopo sei colpi, tutti andati a segno, il militare finì le cartucce e appoggiando il braccio teso della pistola sul fianco, scoppiò in un pianto di disperazione e dopo pochi secondi, il carnivoro nero gli fu addosso e lo dialniò fra le sue fauci, mentre il gruppo si allontanava, verso la salvezza.


FINE


POSTFAZIONE

Stavamo studiando il romanzo d’avventura in quel trimestre e io ero tutto contento, perché nell’inverno 2014 scoprii Jules Verne, mediante “Viaggio al centro della terra”, affibbiatoci dalla scuola per le ferie natalizie e che solo io leggetti per intero, che mi portò a recuperare “Le avventure del capitano Servadac” a un mercatino e “L’isola misteriosa” nella libreria di una mia zia. Non vedevo quindi l’ora di infondere ciò che avevo imparato dal maestro francese in un mio lavoro e noterete molte similitudini: invece di chilometri le distanze si stimano in leghe, la gente risponde “si capisce” per indicare l’ovvietà di qualcosa e tutti si danno del voi. All’epoca non avevo ancora chiara la differenza fra il “voi” e il “lei”, tanto da considerarli interscambiabili e causare dei rimproveri da parte di professori che credevano li prendessi in giro. I personaggi sono sopra le righe come nella tradizione, con brevi sprazzi di umanità inattesa, le descrizioni brevi e i dialoghi, che praticamente si svolgono solo fra i due protagonisti, serrati. Questi ultimi non sono uomini a caso, ma uomini d’azione, come nel caso del colonnello e uomini di scienza, amatorialmente interpretato dal capitano. Era infatti impossibile trovare un personaggio che non avesse un rango militare o favolosi inventori nel mondo di Verne, fatto di battaglie e scoperte. Nel primo caso ho ecceduto. Ci sono ben tre sparatorie in questa storia di dieci pagine, mentre al centro della terra Axel e Lidenbrock non avevano sprecato una sola cartuccia contro i rettili marini che li minacciavano. Nel secondo caso ho fatto troppo poco. I dinosauri compaiono dal nulla, senza spiegazioni sulla loro preservazione e nessuno dell’equipaggio si impegna a studiare i fenomeni particolari dell’isola. 

Parlando di dinosauri c’è un motivo anche per la loro inclusione. Contemporaneamente, all’epoca, mi appassionai a loro mediante film e libri. Certe scene sono anche riprese paro-paro (La comparsa del dimetrodonte nel capitolo tre è ripresa identica dal film “L’isola sconosciuta”, 1948) o ispirate (L’attacco dell’allosauro all’accampamento ricordo di essermelo immaginato come una scena simile a “Il mondo perduto”, 1925). Rispetto a Verne qui le creature appaiono con più frequenza, perché essendo un bambino non capivo come mai i suoi animali preistorici avessero un ruolo così fugace nelle sue opere. Tra l’altro, questi animali “antidiluviani” come li chiamavo io, a livello di raffigurazione sono piuttosto antiquati anche per quando scrissi. Lo si intuisce dalla descrizione dell’allosauro, che viene detto strascicare la coda a terra e avere una postura solo leggermente curva. Sapevo benissimo che i teropodi camminassero paralleli al terreno, l'avevo visto in Jurassic Park, ma ero in una fase passatista che idolatrava i lavori di Ray Harryhausen e oltretutto l’idea che avessero le piume non mi piaceva affatto. Col tempo ho fatto pace col cervello e ho iniziato a trattare i dinosauri come semplici animali e non più “mostri primordiali” che non muoiono nonostante vengano imbottiti di piombo come il nostro antagonista dal manto nero. Forse fu addirittura una scelta cosciente di rappresentare i dinosauri in maniera antiquata, per dare alla storia un sapore di genuina avventura del diciannovesimo secolo, ma sarebbe darmi troppo credito.

Una piccola disgressione paleontologica: Gli animali descritti nella storia sono solo tre dinosauri. Il quarto intruso, il dimetrodonte, è un sinapside del Permiano, quindi precedente al resto della fauna e neppure un rettile come riportato nella storia, bensì facente parte dello stesso clade di noi mammiferi. In retrospettiva sono quasi deluso che il me bambino non avesse inserito una biodiversità maggiore, magari con qualche classico triceratopo o parasaurolofo. Strana mancanza sono anche gli pterosauri, che così spesso si ammucchiano nei cieli della narrativa ambientata in mondi perduti. Peraltro, è davvero sorprendente che nessuno degli animali si sia evoluto nel corso di 65 milioni di anni sull’isola o si sia verificato un caso di nanismo insulare. Ancora più sorprendentemente il nostro capitano riconosce gli animali a colpo d’occhio pur potendosi basare solo sui fossili incompleti visti a Londra. Per fare un processo inverso potrei mostrarvi gli scheletri di un’oca e un cigno per poi chiedervi di riconoscerli. Ultimo punto. Fra tutti i dinosauri è incredibile che vedendo un sauropode Stewart riesca a riconoscere un Argentinosaurus, nonostante si tratti di un genere le cui ossa furono scoperte solo nel 1989.

Parliamo di storia, quella vera. Sorprendentemente il me bambino ha fatto bene i calcoli: Non viene dato un anno preciso, ma diversi elementi stringono il campo. Si parla di un colonnello inglese che torna a casa dopo aver combattuto in India, facendo intendere ci sia ancora l’impero coloniale nel paese, che non cadrà fino al 1947. L’isola di Singapore divenne colonia inglese il 1824. Il primo dinosauro venne scientificamente riconosciuto nel 1827. Il mercantile è diretto allo stretto di Suez, canale che verrà completato nel 1869, quindi abbiamo una data minima. Si fa riferimento a una regina d’Inghilterra e dunque non può che trattarsi della regina Vittoria, che regnò dal 1837 al 1901. Più nello specifico, ignorando l’anacronistico Argentinosaurus, Stewart riconosce un Allosaurus e Stegosaurus, entrambi classificati nel 1877. Ecco dunque l’anno di svolgimento della nostra storia: tutto coincide per indicare il 1877 come l’anno più probabile per lo svolgimento della vicenda, ovvero quando Jules Verne era ancora in attività e aveva già pubblicato diversi capolavori.

Dal punto di vista dei nomi invece cadiamo di nuovo. I due protagonisti, e gli unici che li hanno peraltro, sono chiamati uno Stewart e l’altro Sprangton. Mentre il primo esiste, quello del colonnello è del tutto inventato. Assomiglia però a Sprigton, che pare essere il nome di un paio di paesi negli Stati Uniti e Australia.

Perdonate questi dettagli aggiunti. Mi piace analizzare certe stupidaggini per capire cosa passasse per la testa al me passato.

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