Di fiamme e alleanze inaspettate

di pampa98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo anno scolastico ***
Capitolo 2: *** I campioni di Hogwarts ***
Capitolo 3: *** Joffrey Lonmouth: tra ingegno e ghiaccio ***
Capitolo 4: *** Il Ballo del Ceppo – Parte 1 ***
Capitolo 5: *** Il Ballo del Ceppo – Parte 2 ***
Capitolo 6: *** Aegon Targaryen: l'intestino di Leviatano – Parte 1 ***
Capitolo 7: *** Aegon Targaryen: l’intestino di Leviatano – Parte 2 ***
Capitolo 8: *** Jacaerys Strong: tra illusione e realtà ***



Capitolo 1
*** Un nuovo anno scolastico ***


Note: uno dei requisiti dell’iniziativa era che tutti i personaggi fossero maggiorenni. Dal momento che volevo scrivere di Aegon e Jace – e al momento dell’iscrizione non ricordavo l’esistenza di Cregan Stark 🙈 – ho cambiato l’età di Joffrey Lonmouth, rendendolo coetaneo dei due Targaryen. Ho modificato l'eta anche di altri personaggi, in particolare i gemelli Cargyll e Criston Cole, anche loro coetanei di Aegon. Anche Laenor Velaryon è molto più piccolo (24 anni circa) e lui e Rhaenyra non si sono mai sposati. Inoltre, in questa storia ho deciso che Alicent ha sposato Daemon, quindi Aegon&co. sono cugini di Jace&co. 

Spero che tutte le altre informazioni siano comprensibili dal testo di questo capitolo e dei successivi. Detto ciò, vi lascio alla storia. Buona lettura!


 

Capitolo 1

Un nuovo anno scolastico




 

Il silenzio di King’s Cross fu assorbito in un attimo dal trambusto di studenti affannati a fare l’ultimo controllo dei loro bagagli e di genitori che salutavano i loro figli, pronti a partire per Hogwarts. 

Jacaerys si guardò alle spalle in tempo per vedere suo padre e Joffrey fare capolino dalla parete. L’uomo sorrise trionfante.

«Visto?» disse Harwin, indicando il treno ancora fermo sui binari. «Siamo in perfetto orario.»

Jacaerys scosse la testa. «Mancano solo cinque minuti, papà.»

«Abbiamo tempo per salutarci?» chiese Luke, spostando i suoi occhi scuri da Jacaerys a loro padre. Stava per iniziare il suo quinto anno, ma il momento della partenza era sempre difficile per lui.

Harwin gli passò una mano tra i riccioli scuri.

«Certo che lo abbiamo» lo rassicurò. «So che questo sarà un anno impegnativo per te, con i G.U.F.O. che incombono, ma sono certo che te la caverai egregiamente. Sei mio figlio, dopotutto.»

Gli scompigliò i capelli e Luke rise, abbracciandolo. Quando si staccò, Harwin spostò la sua attenzione su Jacaerys.

«Anche tu avrai il tuo bel daffare quest’anno, figliolo.»

Il ragazzo annuì, raddrizzando le spalle. «Mi impegnerò al massimo per ottenere ottime valutazioni nei M.A.G.O.»

Harwin annuì e scompigliò i capelli anche a lui. «Sono certo che lo farai. Ricordati anche di divertirti, però. È il tuo ultimo anno, devi godertelo fino in fondo.»

Jacaerys lo abbracciò. «Lo farò, padre.» Gli sorrise, poi prese le sue cose e si diresse verso il treno per cercare uno scompartimento per lui e i suoi fratelli. Passò accanto a Joffrey Lonmouth e Laenor Velaryon, che si stavano salutando con la loro consueta passione. Laenor lo vide e alzò una mano per salutarlo. Lui ricambiò il gesto con un piccolo sorriso. Notò altri volti familiari in mezzo alla folla ancora ammassata sui binari – non erano stati i soli ritardatari, dunque. Mentre faceva scorrere lo sguardo su quelle famiglie intente a salutarsi, non poté fare a meno di cercare tra esse un capannello di chiome bionde.
Era un errore che continuava a commettere da tre anni, ma non riusciva a farne a meno: ovunque andasse, sperava di vederlo. Solo per sapere che era ancora vivo – solo per sentire ancora la sua voce, anche se piena di insulti e odio, mescolati a un vuoto che Jacaerys non riusciva a spiegarsi e che odiava vedere dipinto sul suo volto. Stava iniziando a pensare che fossero già saliti a bordo – Alicent Hightower non avrebbe mai permesso che i suoi figli arrivassero in ritardo – quando scorse Helaena Targaryen salire la scaletta del treno. Come se avesse percepito la sua presenza, la ragazza si voltò nella sua direzione. Jacaerys non era mai certo di quale sarebbe stata la sua reazione, ma ancora una volta Helaena si dimostrò dolce e gentile: gli sorrise e lo salutò con la mano. Jacaerys ricambiò con piacere il gesto, solo per ritrovarsi con il sorriso congelato sul volto non appena vide il fratello seguirla sul treno. Abbassò la mano, fissando Aegon a testa alta per fingere che il suo sguardo disinteressato non gli stesse frantumando il cuore. I loro occhi rimasero legati solo per un istante; poi Aegon salì, seguito da Aemond, e lui ritrovò il respiro. 

«Buongiorno, Jacaerys.» Il ragazzo si voltò e sorrise, incontrando il familiare viso di Cregan Stark. 

«Buongiorno» ricambiò il saluto, stringendogli la mano. 

«Oh, quello è il piccolo Joffrey?» chiese il Prefetto, vedendo il ragazzino insieme a Luke e Harwin. «Credi si unirà a noi o seguirà tuo fratello a Tassorosso?»

«Penso la seconda. Ma chissà, il Cappello Parlante potrebbe scoprire che ha un grande intelletto e smistarlo in Corvonero.»

Cregan annuì, incrociando le braccia sul petto. «Un figlio per ogni casa, non male. Mi auguro solo che non finisca in Serpeverde.»

Jacaerys non rispose. Nemmeno lui amava particolarmente quella Casa, ma sapeva per esperienza che tra i suoi studenti esistevano anche persone straordinarie. Se suo fratello si fosse rivelato un Serpeverde, lui ne sarebbe stato comunque orgoglioso. 

«Non vedo tua madre» continuò Cregan, guardandosi intorno. «Sta bene?»

«Sì, ma sta per entrare nel nono mese e abbiamo concordato tutti – be’, tutti tranne lei – che fosse meglio che restasse a casa.» Sospirò. «Speravo che nascesse prima, sinceramente. Avrei voluto conoscere subito la mia sorellina, invece dovrò aspettare fino alle vacanze natalizie.»

«Sei già sicuro che sarà una femmina?»

«Mamma è convinta che lo sarà e a me piace l’idea di avere una sorella.»

Il treno fischiò, annunciando la sua imminente partenza. 

«Credo sia ora di andare» disse Cregan.

Jacaerys si avvicinò insieme a lui alle porte del treno, chiamando i suoi fratelli che corsero subito da loro. 

 

~

 

«Giurami che sentirai la mia mancanza!»

«Te lo ripeto da stamattina: sì, mi mancherai, ti penserò ogni minuto di ogni giorno, ti amo. Va bene?»

«Un saluto davvero passionale, non c’è che dire» disse Joffrey, fingendosi offeso. Anche quell’anno, aveva cercato di convincere Laenor a tornare a Hogwarts – “Fatti assegnare una cattedra a caso da tua madre. Oppure fingiti uno studente dell’ultimo anno, guarda che non sembri tanto più grande di noi” – ma il ragazzo aveva rifiutato. 

«Ci siamo già salutati almeno cinque volte stamani» gli ricordò Laenor.

«Sì, le prime due però sono state molto più sentite. Probabilmente anche i nostri vicini le hanno sentite.»

Rise, vedendo il rossore sul volto di Laenor alla menzione delle loro attività mattutine. 

«Sta’ zitto, Joff» borbottò, cercando di mascherare il suo imbarazzo. 

«Sai che esiste un unico modo per farlo.»

«È incredibile come gli anni passino, ma la scena rimanga sempre la stessa» commentò Harwin Strong, avvicinandosi a Laenor e accennando un saluto verso Joffrey.

«Certe persone non riescono a crescere» commentò Laenor, lanciando un’occhiataccia al suo ragazzo. «Dai, andiamocene.»

«Ehi, almeno aspetta che il treno sia partito!» lo rimproverò Joffrey. 

«Partirà a momenti. E tu dovresti rimettere la testa dentro il finestrino se non vuoi che si fracassi contro un palo.»

«Ho la testa dura» commentò, dandosi un colpo sul capo per dimostrarlo. «Non devi preoccuparti.»

«Dovresti davvero fare attenzione, Lonmouth. Non vorrai lasciare il tuo ragazzo vedovo a una così giovane età» commentò Harwin, mettendo una mano sulla spalla di Laenor mentre cercava di mascherare il suo divertimento per quella scenetta. 

«Sai che non sarebbe male?» disse Laenor, picchiettandosi il mento con l’indice. «Ho molti corteggiatori dopotutto. C’è quel ragazzo del mio stesso dipartimento, Qarl, che…»

«Non. Osare.» 

Joffrey non era una persona particolarmente gelosa. Gli piaceva flirtare per gioco e non aveva problemi se lo faceva anche Laenor – purché, appunto, restasse un gioco. Quel Qarl, però, era convinto che Laenor fosse davvero interessato a lui e non perdeva occasione per provare a pomiciare con lui. Laenor lo aveva già respinto più volte, anche se Joffrey non era certo che si fosse impegnato davvero, dal momento che giocava sempre la carta di quel damerino quando voleva farlo innervosire.

«Quale sarebbe il problema?» chiese Laenor, rivolgendogli uno sguardo innocente. «Se non vuoi che ti sostituisca, ti basta restare vivo, no?»

Joffrey imprecò tra i denti. «Va bene, va bene! Ora vado a sedermi, contento?»

Laenor annuì. Si avvicinò ai binari e allungò una mano verso Joffrey, che gli tese la sua d’istinto. Laenor gli baciò le nocche, prima di rivolgergli un sorriso radioso. 

«Non vedo l’ora che arrivi Natale.»

Joffrey sorrise e si sporse verso di lui per dargli un bacio a fior di labbra. «Mi aspetto di trovare un bel regalo sotto l’albero. O sopra il letto, a tua discrezione.» 

Un colpo di tosse alle sue spalle lo fece voltare. Joffrey trattenne uno sbuffo.

«Prefetto, il tuo scompartimento è in cima al treno. Molto, molto lontano da qui e da me

«Il tuo invece è il corridoio, Lonmouth?» gli chiese Stark, incrociando le braccia sul petto. «Vorrei ricordarti che tutti gli studenti devono essere seduti al momento della partenza del treno – nei loro rispettivi scompartimenti, naturalmente. Vuoi che Serpeverde inizi l’anno in negativo?» 

«Anche loro non sono seduti» disse Joffrey, indicando i tre Strong alle sue spalle. «Ehi, ragazzi, c’è vostro padre se volete dargli l’ultimo saluto.» 

«Così suona molto male» gli fece notare Jacaerys, prima di seguire gli altri due che erano già corsi al finestrino.

«Ragazzi» li richiamò Stark dopo qualche momento. «Date il buon esempio, per favore. Jace.»

Il ragazzo annuì. 

«Sì, hai ragione.» Mise una mano sulle spalle dei suoi fratelli, prima di rivolgere un sorriso a Joffrey. «Lonmouth, vuoi fare il viaggio con noi?»

«No, ti ringrazio, ho già la mia roba dai Cargyll» disse, lanciando un’occhiata a Stark come per dirgli “Visto? Io sono perfettamente in regola.” 

Il treno fischiò di nuovo. 

«Bene, ne sono lieto» disse Stark, anche se Joffrey era certo che avrebbe provato molto piacere a sottrargli punti prima ancora di raggiungere la scuola. «Va’ a sederti, allora. Noi ci vediamo più tardi, d’accordo?» aggiunse con più gentilezza, rivolto a Jacaerys. 

I tre Strong trovarono uno scompartimento libero poco più avanti, a un paio di posizioni da quello di Joffrey. Il ragazzo fece per salutarli, ma Jacaerys lo trattenne. 

«Senti, ehm, non so se l’hai sentito ma… Cole è tornato.»

Joffrey sospirò. «Sì, la preside mi aveva già informato quest’estate. Non capisco perché siate tutti così preoccupati di questa cosa, quello è solo un cretino.»

«Un cretino che ha cercato per ben due volte di spaccarti la testa con una Pluffa, nonostante tu non fossi nemmeno in partita.»

«So anche questo.» Gli mise una mano sulla spalla, facendogli l’occhiolino. «Sei carino a preoccuparti per me, mio caro Strong, ma ti assicuro che ho tutto sotto controllo. Se quello stronzo proverà ancora ad avvicinarsi a me, troverà pane per i suoi denti.»

 

~

 

Aegon fu svegliato da un forte dolore alla gamba. Aprì le palpebre solo per richiuderle all’istante, una morsa atroce a comprimergli le tempie. Passarono un paio di minuti prima che riuscisse a comprendere che Aemond gli stava parlando. 

«Che vuoi, fratello?» sbottò, tirandosi di nuovo il mantello sopra la testa. Non sapeva che ore fossero, ma voleva solo essere lasciato a dormire in pace, non gli sembrava di chiedere poi tanto.

«Siamo quasi arrivati a Hogwarts. Hai presente, quel posto che si chiama “scuola”?» Aemond gli strappò il mantello di dosso, lanciandolo sopra il portabagagli, lontano dalla sua portata. «Vai a darti una sistemata. Sei al tuo ultimo anno – per non so quale miracolo – e non mi sembra il caso di iniziarlo con una punizione per essere arrivato già ubriaco.»

Aegon sbuffò, passandosi le mani sul viso per cercare di liberarlo dal sonno.

«Non sono ubriaco. Dormo solo perché non c’è un cazzo da fare su questo treno.»

«Fai una passeggiata fino al bagno, mi sembra una valida alternativa al poltrire» suggerì Aemond, tornando a concentrarsi sul libro di Storia della Magia che aveva abbandonato per disturbare il suo sonno. 

Aegon prese in considerazione l’idea di ignorarlo e tornare nel mondo dei sogni, in cui talvolta faceva capolino un volto familiare che per pochi, effimeri momenti gli permetteva di dimenticare la sua vita e come le loro strade si fossero allontanate per sempre. Ma, con la fortuna che aveva, non avrebbe sognato Jace una volta chiusi di nuovo gli occhi. Al contrario, lo scenario più probabile vedeva Aemond sfoderare la sua bacchetta per svegliarlo con qualcosa di molto più doloroso di un semplice calcio. 

Si alzò, stirando platealmente le braccia sopra la testa. Aemond non lo degnò di uno sguardo; probabilmente era solo felice all’idea di liberarsi per qualche minuto della zavorra che aveva per fratello. Anche Aegon non avrebbe disdegnato una compagnia diversa. Magari in corridoio avrebbe incontrato qualche ragazza con cui passare gli ultimi momenti prima di arrivare a Hogwarts – qualcuno che lo avrebbe distratto dalla noia che permeava la sua vita, anche se solo per poco tempo.

Camminare nel senso di marcia opposto, con la testa annebbiata dalle due bottiglie di vino che aveva nascosto sotto la giacca perché sua madre non le scoprisse, si rivelò un’impresa più ardua del previsto. Tirò un sospiro di sollievo quando raggiunse la porta del bagno.

«Un momento, è occupato.»

Jace si stava lavando le mani, dando la schiena a lui e alla porta. Aegon sbatté le palpebre, incredulo della sua fortuna: voleva incontrare qualcuno che lo distogliesse dalla sua mente distorta e l’universo lo aveva assecondato. 

«Ci entriamo tranquillamente in due, cugino.»

Jace ebbe un sussulto. Un sorriso divertito comparve sul volto di Aegon di fronte alla sua espressione. Non cercò di indagare se fosse infastidito, deluso o incuriosito dalla sua presenza – nessuna risposta gli sarebbe andata a genio. Si avvicinò a lui, aprendo il rubinetto che il ragazzo aveva appena chiuso, e si gettò l’acqua fredda in faccia. Accanto a lui, Jace si stava asciugando mani e viso, e sembrava pronto a scappare alla prima occasione. Ageon non voleva lasciarlo andare così in fretta.
Dubitava che si sarebbero rivisti spesso da soli e quello era il loro ultimo anno – l’ultima occasione che aveva per stare insieme a lui. Dopo il diploma, Jace sarebbe diventato un Auror, come i suoi genitori, mentre lui… Lui avrebbe fatto ciò che sua madre e suo nonno avrebbero deciso. L’idea di non rivederlo mai più era come una mano glaciale stretta intorno alla sua gola, che premeva con tale forza da mozzargli il respiro.
Sapeva che era sbagliato: Jacaerys Strong, esattamente come sua madre che aveva sposato un banale Sanguemarcio, era un simpatizzante Babbano, un insulto alla purezza del sangue magico – del sangue Targaryen, il più fiero e antico. Avrebbe dovuto ripudiare la sua esistenza e la sua sola presenza vicino a sé avrebbe dovuto disgustarlo. Eppure…

«Ho visto un terzo ricciolino stamani» disse, appena Jace si voltò per raggiungere la porta. «Joffrey, giusto? Non credevo avesse già undici anni.»

Jace rimase in silenzio per qualche secondo, forse ponderando se fingere di non averlo sentito, ma la maleducazione non era nella sua natura.

«Sì, li ha compiuti quest’estate. Appena in tempo.» Mise la mano sulla maniglia, ma non aprì. «Non ho visto Daeron. Non avrebbe dovuto iniziare la scuola quest’anno?»

«L’anno scorso, in realtà. E l’ha iniziata, solo che Otto ha deciso che sarebbe stato più stimolante per lui frequentare una scuola in cui non ci fossero i suoi fratelli.»

«Oh, e dov’è andato? Se posso chiedere.»

Aegon sorrise di fronte alla sua timidezza. 

«In una scuola in Germania, Durang o qualcosa di simile. Pare che ci si trovi bene.»

«Mi fa piacere.» Jace sorrise, una visione a cui Aegon non era più abituato ad assistere. Un tempo, Jace sorrideva sempre con lui, per lui, e anche nelle occasioni in cui lo rimproverava per la sua pigrizia e la scarsa applicazione nello studio, Aegon aveva sempre avuto la certezza che gli fosse affezionato. Avrebbe voluto crederlo ancora – ma sarebbe solo servito a farlo stare peggio. Si appoggiò al lavandino, stringendo le dita sul marmo per nascondergli la sua frustrazione. Avrebbe dovuto conservare un po’ di vino, per situazioni come quella. 

«Ora è meglio che torni dai miei fratelli» disse Jace. «Joff sta iniziando ad agitarsi per l’incontro con il Cappello Parlante.»

«Ha paura di finire in Serpeverde?» 

«Non proprio. Lui vorrebbe andare in Tassorosso, come nostro padre, e si è convinto che lo deluderà se non verrà smistato lì.»

Aegon rise. «Già, voi siete la famiglia dei colori caldi. Chissà, magari lui invece sarà il primo Corvonero.»

Il volto di Jace si illuminò. «Sì, è esattamente quello che…»

Aegon non gli diede il tempo di entusiasmarsi oltre.

«Serpeverde è fuori discussione. Un sangue così sporco non può unirsi alle nostre fila.»

Era tornato su un terreno privo di mine. Là Jace non sorrideva più, non lo guardava più come se fossero ancora amici. Come se Aegon fosse ancora tutto il suo mondo. 

«Non ti stanchi mai della tua crudeltà, Aegon?» Lo chiese senza rabbia o odio; solo rassegnazione, che fece desiderare al ragazzo di essere rimasto nel suo scompartimento a farsi tormentare da Aemond. Qualunque tortura avesse scelto, sarebbe stata meno dolorosa del modo in cui Jace lo stava guardando in quel momento. 

Si è arreso, constatò. Anche lui si è arreso con me.

Stava per rispondere di no, perché cos’altro poteva fare se non continuare a fingere, ma una voce proveniente dal corridoio catturò l’attenzione di entrambi.

«Lasciatemi andare, ho detto! Mi ha mancato di rispetto ancora una volta!»

Aegon si avvicinò alla porta per sentire meglio. «Chi è?»

«Penso sia Cole» rispose Jace, che si era abbassato per guardare dallo spioncino. «Sì, è lui.»

«Ma non l’avevano cacciato?»

«È riuscito a farsi riammettere. La preside ha deciso di concedergli una seconda occasione, e in fondo gli manca solo un anno di studi. Se riesce a controllarsi, si diplomerà e potremo finalmente dirgli addio.»

Aegon inarcò un sopracciglio. «A me sembra che non riesca a controllarsi già adesso e non siamo nemmeno davanti ai cancelli di Hogwarts.»

Jace sospirò, passandosi una mano dietro la nuca. «Già. Ma che sarà successo? Spero che non c’entri di nuovo Joffrey.»

Aegon accostò un orecchio alla porta. C’erano altre due persone con lui, ma non riuscì a riconoscerle, anche se probabilmente si trattava di Arryk ed Erryk Cargyll, gli unici che avessero il coraggio e la pazienza di avvicinarsi a Cole durante i suoi scatti d’ira. 

«Sbaglio o ha nominato Cassandra Baratheon?» disse Jace. «Merlino, è dal nostro primo anno che non fa che lamentarsi di lei. Possibile che non l’abbia ancora superata?»

«Probabilmente il fatto che sia stata lei a lasciarlo è stato un trauma» commentò Aegon. «E il suo orgoglio ferito lo ha fatto passare da Mazza Chiodata a Mazza Afflosciata.»

Jace scoppiò a ridere. Era un suono che non aveva il privilegio di udire spesso ed ebbe il potere di scaldargli il cuore come nessun incantesimo sapeva fare. 

Gli era mancato. Aveva bisogno di lui nella sua vita, l’unico che potesse portarvi un po’ di sole e di allegria. Aegon avrebbe voluto bearsi di quella risata per il resto dei suoi giorni, imbottigliarla in una teca di cristallo e portarla sempre dentro di sé. 

Agì senza pensare, mosso solo dall’istinto. Gli prese il volto tra le mani e lo baciò, assorbendo la sua risata e il suo stupore. Le labbra di Jace erano esattamente come ricordava: piene e morbide, con un leggero sentore di limone. Il ragazzo si irrigidì sotto le sue dita, ma non oppose resistenza quando Aegon lo spinse verso il muro, bloccandogli col suo corpo ogni via di fuga. Quando Jace premette lentamente le labbra contro le sue e portò le mani a stringere la stoffa della sua camicia, Aegon approfondì il bacio, assetato di riscoprire ogni angolo della sua bocca. 

Il treno si fermò, annunciando l’arrivo a destinazione. Aegon si allontanò bruscamente. Jace lo fissò, le labbra gonfie e il volto arrossato, con un misto di incredulità e incertezza nei suoi occhi marroni.

«Aegon…»

Aegon spalancò la porta e corse via. Come gli era venuto in mente di baciarlo? Jace era un Mezzosangue, un insulto alla loro famiglia e una macchia sulla loro stirpe centenaria. Entrò nello scompartimento senza degnare Aemond di uno sguardo. Si sistemò la cravatta e indossò il mantello. Sulla schiena avvertiva ancora il calore delle dita di Jace ed era certo che non si sarebbe liberato in fretta di quella piacevole sensazione. 

«Sembri quasi peggio di prima, fratello.»

«Fottiti, storpio. E tu che ci fai qui?» chiese, notando solo in quel momento che Helaena era seduta accanto ad Aemond.

«La fiamma rinsalderà le macerie delle torri.»

Aegon roteò gli occhi al soffitto. «Mi sembrava strano che non ci avessi ancora deliziato con le tue stramberie, sorella.» 

Afferrò le sue cose e uscì, ignorando l’occhiata truce di Aemond e il sorriso compiaciuto di Helaena. 

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Capitolo 2
*** I campioni di Hogwarts ***


Capitolo 2

I campioni di Hogwarts



 

Caro Joffrey,

sono felice che questo anno sia iniziato nel migliore dei modi – almeno a detta tua. Ti prego, cerca di diplomarti e per una volta prova a vincere la Coppa delle Case (renditi conto che sto tifando per la vittoria di Serpeverde quando Tassorosso potrebbe fare la tripletta!). Per quanto riguarda ciò che mi hai assicurato su Criston Cole, mi perdonerai se prima di commentare aspetterò di ricevere notizie da Rhaenyra: i resoconti di Jace sono molto più affidabili dei tuoi. Ti rinnovo solo la mia preoccupazione e la mia richiesta di stargli lontano. So che tu sei convinto di non averlo mai importunato, ma io mi ricordo ancora le tue battutine su Cassandra Baratheon quindi fidati, hai il potere di infastidirlo, anche non volendo. Perciò giragli a largo e basta, d’accordo? Pensa a studiare e divertirti.

Mi dispiace di non averti detto quale sorpresa vi avrebbe atteso quest’anno, ma mia madre mi ha fatto giurare di mantenere il silenzio e già solo dicendoti che sarebbe successo qualcosa di particolare ho più o meno infranto quella promessa. Nel caso il tuo nome venga estratto, sarò orgoglioso di te e anche molto preoccupato, perciò spero e non spero che sia tu uno dei campioni. Non mi hai detto chi altri si è iscritto, però. Ci sono dei Tassorosso, vero? Sono sicuro che loro riuscirebbero ad affrontare tutte le prove senza problemi. 

So che l’annuncio dei campioni è domenica, stesso giorno in cui presumo riceverai questa lettera, perciò attendo tue notizie sui prossimi sviluppi.

Ti amo,

Laenor

 

Joffrey baciò la firma in fondo alla pergamena, poi la arrotolò e la ripose con cura dentro il suo comodino. Stirò le braccia e si lasciò cadere supino sul letto. Quella sera, dopo cena, avrebbe scoperto se sarebbe stato uno dei campioni di Hogwarts. Non era un grande sostenitore del lavoro di squadra, avrebbe preferito sfidarsi alla vecchia maniera: un solo campione che avrebbe affrontato tutte e tre le sfide per tenere alto il nome della scuola. Con le nuove regole, invece, avrebbe partecipato a un’unica sfida, dividendo poi la gloria con altre due persone. 

Sapeva che i fratelli Cargyll avevano scritto i loro nomi nel Calice, magari sarebbero stati loro i suoi compagni di squadra. Sorrise: se uno di loro fosse stato scelto, la Casa di Laenor avrebbe avuto il suo momento di gloria e lui almeno un compagno di squadra con cui avrebbe potuto divertirsi.

 

 

«Non sei emozionato per stasera?» gli chiese Luke, seduto accanto a lui in riva al lago, con la schiena poggiata contro il tronco di un albero – il loro albero.

«Non particolarmente. Non devo aspettarmi qualche scherzo da parte tua, vero?» 

«In che senso?»

Aemond inclinò la testa di lato, fissandolo con il suo unico occhio. «Ho sentito che qualche mentecatto ha provato a fregare il Calice di Fuoco, fingendo di essere maggiorenne per poter inserire il proprio nome. Voglio sperare che tu sia abbastanza intelligente da non ipotizzare nemmeno un gesto simile, ma non mi fido altrettanto delle compagnie che frequenti.»

Luke aggrottò le sopracciglia. La sua espressione infastidita fece sorridere Aemond, che spesso si divertiva a indispettirlo proprio per poter godere della sua faccia da barboncino arrabbiato.

«Ma che ti salta in testa?» esclamò il ragazzo. «Né io né i miei amici abbiamo cercato di partecipare al Torneo! Neanche Jace o Cregan, che comunque avrebbero avuto l’età per farlo.»

«Ne sono lieto.»

«Tu, piuttosto? Non è che il “mentecatto” che ha cercato di raggirare il Calice sei proprio tu? Ne saresti capace.»

Aemond strinse le labbra. «A me non frega un cazzo del Torneo.»

Luke emise un sospiro di sollievo. «Meno male.» Gli sorrise, con quella dolcezza che riusciva sempre a scaldare il cuore di Aemond. «Sai, so che è una competizione importante, sia per rinsaldare i legami con le altre scuole sia per tenere alto il nome di Hogwarts, ma sono felice che nessuno dei miei amici vi prenda parte.»

«Non saresti più felice se avessero modo di mostrare il loro valore?»

«S-Sì, certo. Ma magari possono farlo a scuola, negli esami, nel Quidditich… Dove non si rischia la morte, ecco. Non… Non quasi sicuramente, almeno.»

Abbassò lo sguardo, strappando distrattamente alcuni ciuffi d’erba che spuntavano tra le loro ginocchia. Aemond non aveva bisogno di chiedergli a cosa si riferisse. 

Era stata proprio la morte di Arrax a creare un ponte tra di loro. Lucerys era riuscito a perdonarlo per aver ucciso il suo gufo nel tentativo di mutilare lui e Aemond era riuscito a perdonarlo per averlo privato di un occhio nel tentativo di difendere suo fratello. In parità, avevano trovato terreno fertile su cui coltivare una nuova amicizia; questo, tuttavia, non significava che gli errori del passato non pesassero ancora sui loro cuori. Il dolore per le loro perdite non sarebbe mai svanito del tutto, ma ogni volta che Aemond si ritrovava a pensarci, non erano più l’odio e la vendetta a convergere nella sua mente. Era il sorriso di Luke, la sua mano stretta nella propria, la disperazione con cui chiedeva il suo aiuto per la quantità sempre maggiore di compiti assegnati; le loro conversazioni in riva al lago, i riccioli di Luke che solleticavano il suo collo quando si addormentava contro la sua spalla, le lettere che si inviavano d’estate di nascosto dalle rispettive famiglie. Provava per lui un affetto diverso da quello che aveva sempre riservato a sua madre e persino a sua sorella. Quel sentimento era forse l’unica cosa di cui Aemond Targaryen avesse paura.

«Scusa, non volevo parlare di… quello» disse Luke, riscuotendolo dai suoi pensieri. Gli rivolse un sorriso di scuse e si alzò, scuotendosi l’erba dai pantaloni. «Ehi, sai che la prima partita di campionato sarà contro Serpeverde?»

«L’ho sentito dire» rispose. Si alzò a sua volta e iniziarono a camminare insieme verso il castello.

«Questa volta tiferai per me?» gli chiese Luke, fissandolo con i suoi occhioni neri.

Aemond sorrise. «Naturalmente no.»

Luke strinse le labbra, abbassando la testa deluso. Restarono in silenzio per qualche minuto, poi il ragazzo tornò all’attacco.

«Zio Laenor tifava sempre Joffrey, anche se non faceva parte della sua Casa.»

Aemond si arrestò all’istante. Luke lo guardò, inclinando la testa di lato, non capendo perché si fosse fermato all’improvviso; probabilmente non si era reso conto di averli appena paragonati a una coppia di fidanzati. Era un’immagine che ad Aemond non dispiaceva quanto avrebbe dovuto – e decise di sfruttarlo a suo vantaggio.

«Non tiferò per te, né contro Serpeverde né contro le altre Case» disse, e sorrise di fronte alla sua espressione mortificata. Si chinò verso di lui, portando le labbra contro il suo orecchio. «Ma ti conviene comunque fare del tuo meglio, perché ho intenzione di festeggiare il cercatore che riuscirà a guadagnarsi la vittoria finale.»

Luke sgranò gli occhi e il suo volto assunse la tonalità di un peperone. Aemond lo guardò soddisfatto, beandosi di quella reazione. Il ragazzo scosse la testa e riprese a camminare.

«Lo… Lo farò!» esclamò, continuando a muoversi davanti a lui. Si voltò solo quando giunse sulla soglia del portone principale, l’imbarazzo scemato a un lieve colorito sulle guance e le labbra aperte in un sorriso radioso. «Diventerò il miglior cercatore che Hogwarts abbia mai visto.»

 

~

 

Jacaerys aveva ascoltato distrattamente le conversazioni al tavolo Grifondoro durante la cena, riuscendo a mandare giù qualche boccone a fatica. Non era da lui agire d’impulso e stava pagando il prezzo della sua incoscienza – che, per il momento, si limitava a un nodo alla bocca dello stomaco e azzeramento della salivazione. 

I suoi occhi si spostavano a intermittenza verso il tavolo dei Serpeverde. Aegon era seduto proprio sulla sua traiettoria visiva e, a differenza sua, sembrava non provare un briciolo di agitazione per ciò che sarebbe potuto accadere da lì a poche ore. Se ne stava seduto a mangiare in silenzio, ascoltando ogni tanto le conversazioni dei suoi compagni e sbadigliando apertamente. Jacaerys non trovava strano che stessero vivendo quel momento con due stati d’animo opposti, era sempre stato così: più una situazione preoccupava lui, più Aegon la viveva con indifferenza. 

In quel caso però non stavano parlando di semplici esami o giochi tra ragazzi. Potevano essere scelti come campioni per rappresentare la loro scuola, in una prova che avrebbe potuto costare loro la vita. Jacaerys si fidava della preside, naturalmente – per l’amicizia che legava sua madre e Laenor, Rhaenys e Corlys Velaryon erano praticamente dei parenti per lui – ma era certo che anche all’ultima edizione fossero state prese delle misure per la sicurezza degli studenti e ciononostante uno di loro era morto. 

E lui, consapevole di tutto ciò, quella mattina aveva comunque messo il suo nome nel Calice solo perché Aegon si era vantato, durante la lezione di Pozioni, di essersi iscritto a sua volta.

“Vuoi partecipare al Torneo Tremaghi?” aveva esclamato, facendosi largo attraverso il capannello di Serpeverde raccolti attorno a lui. Aegon lo aveva guardato con sufficienza, come ogni volta che lo incontrava dopo il loro bacio sul treno, ma per una volta Jacaerys non ne era stato ferito, troppo concentrato su ciò che il ragazzo aveva appena detto.

“Certo. È un ottimo modo per mostrare il proprio valore.”

“Ma è pericoloso, Aegon!”

Il ragazzo aveva riso, imitato da alcuni suoi compagni. “Forse lo è per te, principessina, ma io ho palle abbastanza grandi da poter affrontare il Torneo senza problemi. Ora torna al tuo banco, che per un Mezzosangue come te è già un miracolo poter frequentare questa scuola.”

Jacaerys era uscito dalla classe all’istante, diretto deciso verso la Sala Grande. Credeva che non avesse le “palle”? Gli avrebbe dimostrato che si sbagliava. Inoltre, aveva realizzato mentre scriveva il suo nome su un pezzo di carta, se fossero usciti entrambi i loro nomi e avessero dovuto collaborare per vincere il Torneo, Aegon sarebbe stato costretto ad accettare la sua presenza e ad affrontarlo, senza più scuse per sfuggirgli.

Due dita schioccarono davanti ai suoi occhi, talmente vicini alla sua faccia che rischiò di venire accecato. Si voltò alla sua sinistra, dove Cregan lo stava fissando preoccupato.

«Che c’è?» chiese Jacaerys.

«Stai bene? Ti ho chiamato almeno cinque volte.»

Il ragazzo distolse lo sguardo. Era talmente assorto nei suoi pensieri che si era isolato dal mondo circostante, in cui il tempo aveva continuato a scorrere e la cena era finita. Gli studenti si erano alzati per sgranchire le gambe e andare a salutare gli amici di altre Case, in attesa che il Calice di Fuoco venisse portato nella stanza. Jacaerys si alzò a sua volta, abbozzando un sorriso verso Cregan.

«Scusa, sono solo un po’ stanco» disse. Non gli aveva detto che si era iscritto al Torneo, in parte per mancanza di tempo e in parte perché sapeva che l’amico non avrebbe appoggiato la sua decisione.

«Cos’hai? Hai appena iniziato l’ultimo anno, so che è faticoso ma è un po’ presto per esaurire le energie.»

«Lo so, non è… Sono un po’ preoccupato per mia madre.» Era una scusa, ma nemmeno del tutto fasulla. «La bambina nascerà a giorni e il parto è sempre un’incognita. Finora le è andato bene, ma se stavolta non dovesse essere così…»

Cregan sorrise. Gli mise una mano sulla spalla, stringendola in un gesto di conforto. «Capisco le tue preoccupazioni, Jace, ma vedrai che andrà tutto bene. Tua madre è forte e tuo padre non permetterà che accada niente di male a lei o alla bambina.»

Jacaerys annuì. 

Le porte della Sala Grande si aprirono. Il silenzio calò tra gli studenti, rotto solo dai passi dei due esponenti del Ministero che tenevano le bacchette puntate verso il Calice di Fuoco, facendolo fluttuare a mezz’aria fino a deporlo al centro esatto della stanza. Jacaerys aprì e chiuse i pugni, sentendo l’agitazione ricominciare a crescere.

«Sei emozionato, Jace?»

Si voltò, incontrando il viso allegro di suo fratello. Il suo cuore perse un battito davanti a quello sguardo. Gli aveva detto che non gli interessava il Torneo e Luke aveva tirato un sospiro di sollievo; come avrebbe reagito se fosse stato scelto proprio lui come campione per Hogwarts? 

«Abbastanza» disse, cercando di suonare neutrale. «Credo che dovremmo tornare ai nostri posti, staranno per iniziare.»

Luke annuì. «Certo. Ehi, hai visto che Joff ha già formato un bel gruppetto di amici?»

Jacaerys guardò verso il tavolo dei Tassorosso, dove Joffrey era seduto a ridere insieme ad altri quattro studenti, due dei quali giunti pochi giorni prima da Beauxbatons. Quell’immagine gli restituì il sorriso: il ragazzo temeva di non riuscire a stringere nuove amicizie a Hogwarts, ma era evidente che fosse una paura infondata.

«Credi che adesso che conosce altre persone si dimenticherà della nostra esistenza?» scherzò Jacaerys.

«L’ha già fatto! Prima, quando è tornato in camera, non mi ha nemmeno degnato di uno sguardo, si è tuffato subito sul letto di Gwayne e ho dovuto chiamarlo più volte solo per farmi dire “ciao”.»

Jacaerys rise, scompigliando i capelli di Luke. «Coraggio, in fondo è un bene, no? Deve imparare a vivere nel mondo senza la sua famiglia sempre intorno.»

«Certo, ma almeno salutarmi… Non ridere. Quando ignorerà anche te, scoprirai che non ti piacerà!»

«Va bene, va bene.»

Rhaenys Velaryon batté un cucchiaino contro il suo calice, richiamando con quel tintinnio l’attenzione generale.

«Vado a sedermi» disse Luke. «Ci vediamo più tardi.»

Jacaerys annuì e tornò al suo posto accanto a Cregan. Dall’altro lato della tavolata, Criston Cole era seduto con le gambe oltre la panca, nella posizione più comoda per alzarsi all’istante se fosse uscito il suo nome. 

«Cari studenti e studentesse» iniziò la preside. «È giunto il momento che tutti voi stavate attendendo da una settimana. Stasera scopriremo i nomi dei nove valorosi che si affronteranno nel Torneo Tremaghi. Confido che porterete onore alle vostra scuole e che affronterete le prove a cui verrete sottoposti con coraggio e lealtà. Ricordate che lo scopo principale di questo evento è rafforzare i legami tra le scuole magiche e i rispettivi studenti, perciò affrontatelo con un sano spirito competitivo e d’amicizia.» Puntò la bacchetta verso le candele appese alle pareti della Sala Grande e le spense una a una. «Cominceremo con i campioni di Durmstrang, seguiti da Beauxbatons e, infine, da Hogwarts.»

Jacaerys non prestò molta attenzione all’annuncio dei campioni delle altre scuole, esattamente come Aegon che continuava a sbadigliare, anche quando venne fatto il nome dello studente di Durmstrang seduto accanto a lui – Bolton, se aveva capito bene il nome. Tra i campioni di Beauxbatons, invece, Jacaerys riconobbe solo il Tyrell che era seduto insieme a suo fratello. Quando le porte della Sala dei Trofei si chiusero dietro l’ultimo terzetto, un silenzio carico d’attesa cadde sulla stanza. 

«E infine, il momento che i miei studenti aspettavano di più» annunciò la preside. «Scopriamo chi saranno i campioni di Hogwarts.»

La fiamma azzurra del Calice di Fuoco si alzò, sfrigolando mentre scagliava in aria un pezzetto di carta bruciacchiata. Jacaerys strinse i pugni sulle ginocchia mentre Rhaenys afferrava il biglietto e ne scopriva il contenuto.

«Il primo campione è… Joffrey Lonmouth.»

Un coro di applausi si levò dal tavolo dei Serpeverde mentre il ragazzo si alzava, dirigendosi verso la preside lanciando baci e inchini per tutta la sala. Fece l’occhiolino a Cregan, che si limitò a scuotere la testa e applaudire per educazione, e non degnò Criston di una sola occhiata mentre gli passava accanto. Jacaerys ne fu felice: forse aveva iniziato a capire che non era il caso di giocare con quel tizio.

Rhaenys gli strinse la mano e lo invitò a posizionarsi davanti al tavolo dei professori, in attesa dei suoi compagni.

Il Calice eruttò di nuovo e la donna lesse il secondo nome.

«Aegon Targaryen.»

Jacaerys chiuse gli occhi. Aveva sperato di non udire il nome del cugino, così da non dover sperare che il terzo campione fosse lui

«Due Serpeverde, che sfortuna» commentò Cregan. «E proprio quei due. Non so chi sia il peggiore. Speriamo che il terzo nome sia di un Grifondoro, almeno porterà un po’ di buonsenso in quelle due zucche vuote.»

Jacaerys annuì distrattamente. «Sì. Speriamo.»

Il Calice eruttò per la terza e ultima volta. Vide il biglietto roteare verso le dita di Rhaenys come se una forza invisibile ne stesse rallentando la caduta. La distanza e lo stato della carta non gli permettevano di capire se quello fosse il suo biglietto oppure no. Dietro la preside, Aegon stava dicendo qualcosa a Joffrey, che appariva divertito. Nessuno dei due stava prestando attenzione a ciò che accadeva attorno a loro. 

Una volta lo faceva con me, pensò Jacaerys. Una volta era con me che si estraniava dal mondo. Voglio che lo faccia ancora. Voglio che le cose tornino com’erano un tempo.

«Il terzo campione è…» Rhaenys aggrottò le sopracciglia, forse incerta di aver letto bene. «Jacaerys Strong.»

I Grifondoro esplosero in grida di gioia. 

«Perché ha fatto il tuo nome?» gli chiese Cregan, giustamente sorpreso da quella piega degli eventi.

Jacaerys gli rivolse uno sguardo mortificato. Non era pentito di aver messo il suo nome nel Calice, non più, ma sapeva che avrebbe almeno dovuto confessarlo a lui. Ormai però era tardi.

«Te lo spiego dopo, d’accordo?» disse. Cregan annuì e di nuovo batté le mani senza entusiasmo.

Jacaerys lanciò una veloce occhiata verso il tavolo dei Tassorosso. Joffrey aveva un’espressione sorpresa, mentre Luke lo stava guardando con un misto di rabbia e angoscia che non poté biasimare. Sillabò anche a loro la stessa risposta che aveva dato a Cregan e si diresse verso Rhaenys e gli altri due campioni.

La donna gli sorrise, stringendogli la mano. «Mi ha sorpresa leggere il tuo nome» disse, «ma sono lieta che rappresenterai Hogwarts.»

«Grazie.» Stava per aggiungere nonna, ma riuscì a evitarlo. Quando raggiunse i suoi compagni, Joffrey gli sorrise e allungò la mano destra verso di lui.

«Benvenuto nella squadra. Non sapevo nemmeno che avessi deciso di partecipare.»

Jacaerys gli strinse la mano e ricambiò il sorriso. «Già. Decisione dell’ultimo minuto.»

Aegon non lo degnò di uno sguardo mentre si posizionava accanto a lui. 

«Decisione di questa mattina, presumo» sibilò, a voce talmente bassa che quasi Jacaerys non lo sentì. 

 

 

Era certo di aver udito male. Non gli interessava particolarmente sapere chi sarebbe stato il suo secondo compagno di squadra e la sua mente era sempre focalizzata su Jace, perciò non sarebbe stato strano scambiare il suo nome per un altro somigliante. Ma quando sentì i Grifondoro esplodere in cori di esultanza e vide proprio lui alzarsi e raggiungere la preside, Aegon dovette riconoscere che aveva sentito bene. 

Era certo che il ragazzo si fosse detto contrario a partecipare al Torneo, troppo impegnato con lo studio per prendersi un’altra responsabilità così gravosa, e questo era stato uno dei motivi che lo aveva spinto a mettere il suo nome nel Calice. Era chiaro che Jacaerys volesse parlare di ciò che era accaduto sul treno, ma Aegon era intenzionato a dimenticarlo e fingere che non fosse mai esistito. Partecipare a un’attività che lo avrebbe tenuto impegnato lontano da lui gli era sembrato un buon modo per sfuggirgli; ma a quel punto sarebbe stato costretto a trascorrere ancora più tempo insieme al cugino. Si era fregato con le sue stesse mani.

La preside congedò gli studenti dopo un ultimo discorso in onore dei tre campioni, che invitò poi a scendere nella Sala dei Trofei per raggiungere i loro sfidanti e dare a tutti istruzioni più precise su ciò che li attendeva, affiancata dai presidi delle altre scuole e dai gemelli Lannister. 

Aegon percepì solo alcune delle parole che furono pronunciate in quella stanza, distratto dalla presenza di Jace accanto a sé – lo faceva a posta di stargli così appiccicato? – e troppo concentrato a cercare di capire quale di quei due damerini del Ministero fosse quello che faceva spesso visita a sua madre. 

«Questo è quanto. Avete qualche domanda, ragazzi?»

Un tizio di Durmstrang dalla pelle scura, di cui Aegon aveva rimosso il nome, alzò la mano per chiedere qualcosa che non ascoltò. Jace continuava a orbitare attorno al suo spazio personale, sfiorandogli la spalla con la propria – era quasi certo che lo facesse di proposito, sebbene notò che anche Joffrey fosse appiccicato al ragazzo e forse era a causa sua che i loro corpi si trovavano così vicini.

«Targaryen, hai ascoltato ciò che è stato detto, vero?» La voce di Rhaenys Velaryon richiamò la sua attenzione. Aegon realizzò solo in quel momento che la donna era la suocera di Joffrey e la praticamente-nonna di Jace – chissà che questi legami non avrebbero portato giovamento alla sua squadra e, di conseguenza, a lui.

«Naturalmente, preside. Ho memorizzato tutto qui dentro» rispose sorridendo mentre si indicava la testa.

Rhaenys sospirò, ma non insistette. «Va bene. Allora andate a riposare e mi raccomando, fatemi sapere il prima possibile il nome del primo sfidante tra di voi. Buonanotte.»

Salutarono rispettosamente i loro professori e i Lannister prima di uscire dalla stanza insieme agli altri studenti. Dopo qualche convenevole, si salutarono, ognuno diretto ai rispettivi alloggi – una grande nave ancorata a largo del lago per Durmstrang e la carrozza parcheggiata vicino alla Foresta Proibita per Beauxbatons. 

Rimasti soli nell’atrio, Joffrey batté le mani entusiasta.

«Ah, ero sicuro che ce l’avrei fatta! Non vedo l’ora di dirlo a Laenor e sbatterlo in faccia a tutti quelli che mi davano già per sconfitto, incluso Stark. A proposito, ma cosa ne pensa Ser Rettitudine della tua partecipazione al Torneo?» chiese poi, rivolto a Jace. 

Il ragazzo abbassò lo sguardo. «Non credo ne sia molto felice. Spero che cambierà idea.»

«Non ha l’aria di un tipo molto flessibile» disse Joffrey, «ma tu gli piaci, magari farà un’eccezione.»

Jace abbozzò un sorriso. «Be’, sicuramente è felice che ci sia un Grifondoro a tenervi d’occhio.»

Joffrey rise e gli diede una pacca sulla schiena. «Già, accidenti, sarà andato su tutte le furie per l’evidente trionfo dei Serpeverde. Che serata magnifica! Tu che ne pensi, Targaryen?»

Aegon sollevò un angolo della bocca. «Penso che Strong dovrebbe sbrigarsi a tornare nel suo dormitorio, così potrà rassicurare il suo fidanzatino che non resterà vedovo prima dei vent’anni.»

«Cregan è solo un mio amico» disse Jace, guardandolo dritto in faccia. Aegon avrebbe voluto che non fosse vero; almeno il suo amore sarebbe stato unilaterale e Jace per primo non avrebbe cercato a tutti i costi un contatto tra loro. 

All’improvviso sentì una mano sulla sua spalla e si ritrovò naso a naso con Jace. Entrambi arrossirono e si voltarono contemporaneamente verso Joffrey.

«Che cazzo fai?» esclamarono.

«Amici miei, ascoltatemi» disse, abbassando la voce in un atteggiamento da uomo saggio e vissuto. «Noto un’evidente tensione tra voi due, da anni in realtà, ma mi ero ripromesso di farmi i fatti miei – o meglio, lo avevo promesso a Laenor, visto che secondo lui io sono l’anti-Cupido. Ma non credo di poter restare ancora in silenzio, soprattutto perché noi tre, da adesso fino alla fine dell’anno, saremo un gruppo. Dovremo supportarci, e sopportarci, che ci piaccia o no. Io accetto tranquillamente di fare il terzo incomodo, ma tra una coppia ufficiale, non tra due idioti che si sbavano dietro e si lanciano frecciatine ogni volta che si vedono.» Fece un passo indietro, dando loro un’ultima pacca di incoraggiamento. «Cercate di fare pace con i vostri sentimenti prima dell’inizio ufficiale del Torneo, d’accordo? Sogni d’oro, ragazzi.»

I suoi passi riecheggiarono nell’ingresso mentre si dirigeva verso i sotterranei. Aegon iniziò a pensare a tutte le maledizioni riportate sui libri di testo, così da potersi vendicare di quell’imbecille senza rischiare un biglietto di sola andata per Azkaban – per una volta, invidiò la dedizione agli studi di Aemond. 

Cercate di fare pace

Se quella faida fosse dipesa solo da loro, Aegon avrebbe anche potuto provare a farlo. La frattura che si era creata nella loro famiglia quando Rhaenyra aveva infranto secoli di tradizioni era stata segnata definitivamente dall’incidente tra Luke e Aemond, e ormai non c’era più modo di risanarla. 

Si passò le mani sul viso: odiava essere ancora in quella situazione, dove non riusciva ad accettare fino in fondo che il suo rapporto con Jace fosse perduto per sempre. Forse lo avrebbe capito meglio se non avesse trascorso tutto il suo tempo libero a bere e fottere chiunque gli passasse accanto.

«Ha ragione.»

La voce di Jace, giunta direttamente sulla sua pelle, lo distolse dai suoi pensieri e gli fece notare che erano ancora nella stessa posizione in cui li aveva messi Joffrey. Aegon tenne lo sguardo basso per evitare di affondare nei suoi occhi nocciola.

«Va’ a dormire» disse, spingendolo via per dirigersi a sua volta nei sotterranei.

Jace lo afferrò per un braccio, costringendolo a fermarsi. Era più piccolo di lui, ma rendeva onore al nome che portava.

«Perché mi hai baciato?»

La domanda che era gravata su ogni loro incontro da quando erano scesi dal treno, ma che in pubblico non poteva essere scagliata senza una premessa – “Hai un minuto? Possiamo parlare?” – che gli aveva sempre permesso di schivarla con agilità. In quel momento, da soli nell’oscurità della notte, Aegon non aveva vie di fuga.

«Mi andava» rispose, facendo spallucce. «Stavo cercando qualcuno con cui passare gli ultimi minuti del viaggio e tu eri un passatempo come un altro.»

Jace strinse la presa e Aegon si ritrovò a ridere. Quante volte i suoi commenti lo avevano già ferito? Il suo cuore ormai doveva essere una poltiglia sanguinante che batteva solo per respirare. E allora perché la sua tempra non era ancora andata in pezzi? Perché continuava a tornare da lui, quando al mondo esistevano persone migliori, che avrebbero potuto donargli l’amore che meritava?

«Non trattarmi come se fossi una qualsiasi delle tue conquiste, Aegon» disse Jace, strattonandolo perché si voltasse a guardarlo. Aegon lo fece. Il suo sguardo era determinato e nei suoi occhi brillavano fiamme che solo un vero Targaryen era in grado di sprigionare. «Siamo una squadra adesso, ricordi?»

«Non per mia scelta.»

«Nemmeno mia, se è per questo. È stato il Calice di Fuoco a decidere o sei troppo immerso nella tua mente contorta per ricordare ciò che è successo nemmeno un’ora fa?»

Aegon rise. «Oh, indubbiamente è stata colpa sua. Allora toglimi una curiosità, Mezzosangue: quando stamattina sei corso ad aggiungere il tuo nome, quanto peso ha avuto nella tua decisione il fatto che ci fosse anche il mio e che esistesse la possibilità che saremmo potuti venire scelti entrambi?»

La determinazione di Jace vacillò. Abbassò lo sguardo, imbarazzato, ma fu solo per un momento. Tornò a piantare i suoi occhi in quelli di Aegon, fissandolo con una rinnovata aria di sfida.

«Nessuno» disse. «Era una scelta su cui riflettevo fin dall’inizio. Ho voluto farlo attentamente, ecco perché ho aspettato una settimana per iscrivermi.»

Aegon rise. «E ti aspetti che io ti creda?»

Jace sorrise, di quel sorriso strafottente che compariva sul suo volto quando lasciava uscire il suo lato più ribelle e sfrontato – quello che probabilmente solo Aegon conosceva davvero.

«Esattamente come tu ti aspetti che io creda alle tue stronzate.» 

Aegon sussultò. Jace lo notò e il suo sorriso si fece più ampio. 

«Non mi sembra una buona soluzione, raccontare balle, specie dal momento che, come ha detto Joffrey, dovremo presto collaborare. Tienilo a mente per il futuro.» Allentò la stretta sul suo braccio, scendendo a sfiorargli le dita. Aegon avrebbe voluto stringergli la mano, ma il contatto durò solo un istante. Jace si allontanò, dirigendosi verso le scale per salire alla Torre di Grifondoro. 

Aegon rimase immobile in mezzo all’atrio. Jace lo aveva battuto su tutta la linea, doveva riconoscerglielo; ma più di questo non avrebbe fatto. Non voleva che gli mentisse ancora? Benissimo, pensò, riscuotendosi. D’ora in poi eviterò le tue domande, a costo di lanciarti un Languelingua.

Prima però avrebbe fatto un bel discorsetto con Joffrey Lonmouth, per spiegargli che, se intendeva tornare dal suo amato Laenor alla fine dell’anno, avrebbe dovuto imparare a tenere il naso fuori dai fatti altrui. 




 

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Capitolo 3
*** Joffrey Lonmouth: tra ingegno e ghiaccio ***


Capitolo 3

Joffrey Lonmouth: tra ingegno e ghiaccio





 

«Allora, come sta andando?» chiese Joffrey, per la quinta volta in dieci minuti. Jace aveva sollevato un lembo della tenda e stava cercando di scorgere Alyssa Tarth, una dei tre campioni di Beauxbatons mentre affrontava la sua Creatura.

«Come prima, Joffrey» rispose Jace, con una punta di stizza nella voce. «Sta ancora combattendo.»

«Come si sconfigge un Serpe- Come si chiama la Creatura che sta affrontando lei?» chiese Aegon, seduto sul tavolo accanto a Joffrey.

«Basilisco» rispose Jace, chiudendo la tenda e avvicinandosi a loro. «E credo che la domanda più importante, adesso, sia come si addormenta quello

Joffrey spostò lo sguardo dove puntava il suo dito. La piccola riproduzione di Nundu che aveva pescato alla cieca stava sputacchiando intorno a sé un vapore verdastro – la preside li aveva rassicurati che quello non era letale come il soffio del vero Nundu, ma lui lo trovava comunque fastidioso.

Joffrey lo prese in mano e se lo portò davanti al volto per osservarlo meglio. Sapeva che la Prima Prova avrebbe visto un campione cimentarsi nel compito di recuperare un oggetto attaccato al collo di una Creatura Magica, informazione che gli era stata gentilmente offerta da Lucerys Strong che era riuscito a estrapolarla a Laenor tramite Rhaenyra. 

Spostò lo sguardo verso il Grifondoro, che intanto aveva iniziato a prendersela con lui e Aegon per non aver nemmeno voluto aprire il libro “Animali fantastici e come riconoscerli”, dove avrebbero sicuramente trovato qualche informazione utile per affrontare quella prova. 

«Jace, posso farti una domanda?» chiese, interrompendo le sue lamentele.

«È inerente alla prova?»

«Sì.» Jace annuì e Joffrey gli chiese quello che si stava domandando da una settimana ormai: «Perché tuo fratello è venuto a parlare con me e non con te?»

Jace sgranò gli occhi. «Non mi sembra inerente alla sfida che stai per affrontare, Lonmouth» disse a labbra strette, ma a Joffrey non sfuggì la nota di tristezza nei suoi occhi e nella sua voce. Aveva sempre visto i due Strong andare d’amore e d’accordo: se litigavano, era per idiozie che risolvevano nel giro di pochi minuti, ed era certo che Luke sarebbe sempre stato l’ombra di suo fratello, ovunque lui andasse. 

Fu Aegon a rispondere alla sua domanda. «Il piccolo Luke non rivolge la parola al suo fratellone da quando ha scoperto che gli ha mentito circa la sua volontà di partecipare a questo Torneo.»

Jace lo fulminò con lo sguardo. «Non gli ho men… Non importa» disse, chiudendo gli occhi e prendendo un profondo respiro. «Tarth presto avrà finito e tu, Joffrey» disse, puntando il dito contro di lui, «stai per affrontare una delle Bestie più pericolose sulla faccia della Terra, senza nemmeno un’idea di piano.»

«È davvero così pericoloso?» chiese Aegon. «A me sembra solo un leopardo con la criniera di un leone.»

«Quella non è una criniera e di certo non è “solo un leopardo”. L’ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche lo ha classificato come Noto Ammazzamaghi e l’ultima volta che uno di questi è stato soggiogato, è stata necessaria la collaborazione di numerosi maghi esperti per riuscirci.»

Joffrey deglutì a vuoto, lasciandosi poi andare a una risata. «Aspetta, stai esagerando, dai! Ti pare che diano una bestia del genere da affrontare a un unico, semplice studente? Cioè, io sono un mago esperto, certo, ma come dire…»

«Anche il Basilisco è considerato al suo stesso livello di pericolosità.»

Udirono un urlo provenire dall’arena, che fece voltare istantaneamente tutti e tre verso l’uscita della tenda. Aegon e Jace corsero ad aprirla per vedere cosa stesse accadendo, mentre Joffrey rimase indietro a fissare il piccolo Nundu con le parole del suo compagno che riecheggiavano nella sua mente. Va bene che avrebbe solo dovuto fargli perdere i sensi e non sconfiggerlo del tutto… ma come cazzo avrebbe fatto a farlo?

 
 

Discussero a lungo sulla strategia da adottare per superare la prova – Jace parlò, mentre lui e Aegon ascoltavano e, di tanto in tanto, avanzavano delle idee. 

«Potrei saltargli sulla schiena, staccargli il cilindro dal collo e andarmene, che ne dite?» propose Joffrey.

Jace scosse la testa. «No. La preside ha detto che la Creatura deve perdere i sensi. Probabilmente il cilindro stesso avrà una qualche protezione che impedisca che venga preso se il Nundu è ancora vigile.»

«E se provassi semplicemente con Accio cilindro?» propose Aegon.

«Hai ascoltato cos’ho appena detto?»

«Sì, cugino, e ho sentito bene la parola probabilmente. Sai, a volte la soluzione più semplice è anche quella giusta.»

«Certo, ma non credo sia questo il caso.»

Vennero interrotti dal rombo di un cannone, seguito dalla voce di Rhaenys. Joffrey non riuscì a coglierne le parole esatte, ma il senso fu chiaro: Tarth aveva concluso la sua prova e, presto, sarebbe dovuto scendere lui nell’arena. 

Iniziò a sentirsi nervoso, ma fece di tutto per non mostrarlo ai suoi compagni. Soprattutto perché Jace era già abbastanza nervoso per tutti e tre.

«Ok, abbiamo meno di dieci minuti per realizzare un piano. Grandioso.»

«Jace.» 

Aegon si avvicinò a lui, posandogli una mano sulla spalla. Il ragazzo si irrigidì per un momento, ma sembrò che in qualche modo quel tocco lo stesse anche tranquillizzando. Joffrey era certo che non avessero ancora risolto i loro problemi, anche se avevano imparato a comportarsi più civilmente – tranne quando avevano dovuto decidere chi avrebbe affrontato quella prova: si erano dati addosso (non in senso buono) finché Joffrey non aveva stabilito che sarebbe stato lui il primo Campione, ponendo fine alla loro discussione. 

«Senti, è vero che è un idiota, ma Lonmouth è un ottimo mago e ha sempre saputo tirarsi fuori dalle situazioni peggiori. Conosce tutti gli Incantesimi di cui potrebbe avere bisogno là fuori e, detto francamente, nessuno di noi tre ha abbastanza informazioni per elaborare un piano completo e vincente. Lascia che sia la fortuna del Mago di Baci a fare il resto, d’accordo?»

«Grazie per, ehm, i complimenti mescolati a insulti» disse Joffrey. Si alzò, mettendo una mano sulla spalla libera di Jace. «A parte questo, Targaryen ha ragione. Ho tutto ciò che mi serve per affrontare questa sfida.»

«Ciò mi rincuora profondamente.»

Joffrey si voltò e non riuscì a impedire che un grande sorriso si aprisse sul suo volto, vedendo Laenor sulla soglia della tenda.

«Allora ce l’hai fatta a venire!» esclamò, andandogli incontro a braccia aperte. 

«Be’, le tue minacce di trasformarmi in un ranocchio se non avessi assistito alla tua prova sono state piuttosto convincenti.»

Joffrey sorrise, portandogli le braccia dietro la testa. «Ne parli come di un destino nefasto! Sarebbe bastato solo un bacio dal tuo principe per tornare umano, non lo sai?» E gli mostrò esattamente il funzionamento di quel controincantesimo. Laenor sorrise sulle sue labbra e lo strinse a sè, approfondendo il bacio fino a far scaturire un piccolo gemito dalla gola di Joffrey.

Un forte colpo di tosse alle loro spalle li fece fermare e voltare verso un imbarazzatissimo Jace.

«Ehm, allora… Noi due… Noi due andiamo» disse, facendo cenno ad Aegon di seguirlo fuori. «Così, insomma…»

«Potete scopare lontano da sguardi indiscreti» concluse Aegon, guadagnandosi un’occhiataccia dal cugino. «Che c’è? Potrebbe essere l’ultima volta che possono farlo.»

«Cosa? Perché?» esclamò Laenor, preoccupato. «Non rischi di morire in quell’arena, vero?»

«Ma certo che no» lo rassicurò Joffrey, liquidando le sue paure con un gesto della mano. «Targaryen ha solo un pessimo umorismo.»

«Aspetta, quindi c’è davvero il rischio di morire in questo Torneo?» chiese Jace, preoccupato.

«N-No. Non credo. Mia madre non lo permetterebbe» rispose Laenor. Joffrey strinse le palpebre: non ne sembrava sicuro, il che era un pessimo segno. Ma almeno qualcuno tra di loro doveva mostrarsi fiducioso e lui era ben lieto di svolgere quel compito.

«Andrà tutto bene. Forza, andate a prendere posto sulla gradinata, così non vi perderete il mio ingresso trionfale.»

«Concordo» disse Aegon. «Buona fortuna allora.» Prese Jace per le spalle e lo portò fuori con sé.

Rimasto finalmente solo con Leanor, Joffrey gli gettò le braccia intorno al collo e lo abbracciò, affondando il volto tra i suoi dread biondi. 

«Onestamente, sono un po’ nervoso» confessò.

Laenor gli accarezzò la schiena dolcemente. «È normale così, Joff. Sarei molto preoccupato se non lo fossi.»

Joffrey si scostò appena per guardarlo negli occhi, accigliato. «Vuoi che vada là fuori tremante come una foglia e faccia la figura del fifone davanti a tutti?»

Laenor rise, reazione che lo indispettì ulteriormente. «Ma certo che no. Voglio solo che tu vada là fuori con la sicurezza che ti contraddistingue, ma insieme alla consapevolezza che non è un gioco e che stai per affrontare una sfida pericolosa e devi essere concentrato. E, ehm, a tal proposito…» Si guardò intorno circospetto, poi si infilò una mano all’interno della giacca per estrarne una piccola boccetta contenente un liquido verdastro. «So che sei un ottimo mago, ma hai la tendenza a deconcentrarti facilmente, soprattutto quando sembra che le cose vadano bene. Perciò, ehm, questa dovrebbe evitare che inizi a sottovalutare la situazione.»

Joffrey prese la boccetta tra le dita, sollevandola davanti agli occhi per osservarla attentamente. C’erano delle piccole bollicine all’interno e non sembrava affatto invitante. Fece mente locale delle Pozioni che conosceva, ma non trovò niente che facesse al caso suo – probabilmente aveva dormito durante la spiegazione del professor Gerardys. 

«Grazie, amore mio. Sarebbe?» chiese, sventolando la boccetta davanti a Laenor.

«Aguzzaingegno. Mi ha insegnato Harwin a farla, è diventato un esperto avendo dovuto prepararla ogni volta che Rhaenyra era sotto esame. Non fa niente di incredibile e gli effetti svaniscono in poche ore, ma, ecco, migliora la concentrazione e penso che potrebbe tornarti utile.»

«Sai, un po’ mi offende che tu non mi ritenga capace di concentrarmi con la mia sola forza di volontà» disse, stappando la boccetta, «ma per come sto messo, non è il caso che mi lamenti. Alla tua!»

Svuotò la fiala in un sol sorso, storcendo il naso per il sapore di quell’intruglio.

«Sei sicuro di aver seguito la ricetta e non aver semplicemente vomitato qui dentro?»

«Certo che l’ho seguita. Anzi, se hai sentito un pessimo sapore, è un buon segno.»

Joffrey scosse la testa. «E poi si sorprendono che la gente odi Pozioni.»

Un nuovo colpo di cannone avvertì Joffrey che quello era il suo momento. Fino a pochi minuti prima, avrebbe sentito le dita tremare e la mente andare in confusione ripensando ai – pochi – incantesimi che Jace gli aveva suggerito di utilizzare. Invece, si sentì tranquillo e pronto ad affrontare il Nundu. Guardò sorpreso la fiala vuota che teneva ancora in mano: aveva un effetto istantaneo!

«Bene, è il momento.» Laenor prese a tormentarsi le mani, guardandolo come se fosse l’ultima volta che lo avrebbe fatto. La tensione che avrebbe dovuto provare Joffrey si era trasferita su di lui e la cosa lo fece sorridere. Gli prese il volto tra le mani e lo baciò, senza la passione di prima, ma con gentilezza e amore. Cercò di trasmettere in quel semplice gesto la promessa che avrebbero condiviso altri baci, altri sorrisi e altri momenti insieme. 

«Mi aspetto un regalo, qualunque punteggio otterrò» gli disse e si beò della risata che straripò dalle labbra di Laenor.

Uscirono insieme dalla tenda, ma prima che Joffrey potesse entrare nell’arena, il suo ragazzo lo trattenne per un braccio.

«Scusa, che intendevi prima quando hai detto che non potevi lamentarti visto come stavi messo?»

«Oh, quello… Era solo un modo di dire» rispose, facendo spallucce. «Non mi farò ammazzare e questo è tutto ciò che conta.»

 
 

Ovviamente, Jace aveva ragione: con Accio sapeva anche lui che non avrebbe ottenuto nulla, ma nemmeno altri attacchi diretti al cilindro appeso al collo del Nundu erano risultati efficaci. La sua unica consolazione, dopo almeno dieci minuti passati a evitare gli attacchi della bestia e vedere i suoi Incantensimi farle appena il solletico, era la presenza di una museruola attorno alle sue fauci. Dai lati fuoriuscivano sbuffi di vapore verde, segno che non sarebbe stato saggio avvicinarsi, ma almeno non rischiava di venire avvelenato a metri di distanza. 

La vide prepararsi a balzare in avanti e scartò all’ultimo istante, riparandosi dietro una delle rocce presenti nell’arena. Alcune zolle di terra erano rovesciate e c’erano detriti di roccia sparsi un po’ ovunque, segno che le battaglie dei suoi due sfidanti non erano state più semplici della sua. Ed erano entrambi vivi, anche se un po’ malandati, a quanto aveva capito. 

Il ringhio del Nundu rimbombò nelle sue orecchie e ancora una volta Joffrey evitò il suo attacco, senza riuscire però a contraccambiare.

«Expulso!» gridò, colpendo il suo avversario in mezzo agli occhi. Quello sbatté le palpebre, come se un moscerino fastidioso gli stesse volando intorno al viso, poi tornò a puntare la sua furia verso di lui. 

Joffrey punto la bacchetta verso alcuni detriti, scagliandoli contro il Nundu per distrarlo e correre verso il centro degli spalti, dove i suoi compagni stavano seguendo l’andamento della sfida. Vedere che anche Aegon era preoccupato non lo rincuorò. 

«Un aiuto dal pubblico mi farebbe comodo, ragazzi» disse, dando loro le spalle per mantenere l’attenzione sul Nundu e continuare a muovere la bacchetta per creare vortici attorno al suo muso. Quel trucco lo stava rallentando, ma non sarebbe durato a lungo. 

«Devi immobilizzarlo» gli suggerì Aegon. 

«Ci ho già provato, è stato inutile. Come ogni attacco. Tu sei proprio sicuro che la sua pelle non respinga gli Incantesimi?» chiese, rivolto a Jace.

«Sì, ma te l’ho detto, è difficile da sconfiggere per un mago solo, servono più fonti di energia.» 

«Allora interveniamo noi» propose Aegon, e dal fruscio che sentì, Joffrey immaginò che avesse già estratto la bacchetta.

«Non possiamo combattere anche noi, le regole…» 

«Oh, le regole le abbiamo già infrante scoprendo in anticipo l’argomento della prova!»

«Parla piano» lo riprese Jace. Poi, dopo una lunga pausa, disse: «Non siamo ancora in una situazione critica.» 

«Sicuro?» commentò Joffrey. Con un’unica zampata, il Nundu schiacciò a terra tutti i detriti e puntò dritto verso di lui. Gli era sembrato arrabbiato quando era sceso in campo, ma a quel punto era evidente che lo avesse infastidito al punto da renderlo furibondo. 

Joffrey scartò di lato, lanciando anche un Protego a sé e ai suoi compagni, nel caso il Nundu decidesse di voler attaccare anche loro. 

L’idea di immobilizzarlo non era male, il problema era il come. Nessuno degli Incantesimi che conosceva – e di Incantesimi non aveva mai saltato mezza lezione – aveva ottenuto l’effetto desiderato. Nemmeno la pozione che gli aveva dato Laenor sembrava avere un qualche effetto benefico. Avrebbe dovuto dargli qualcosa che aumentasse la fortuna, non la concentrazione. E poi a che cazzo gli serviva la concentrazione in una sfida del genere? 

 

~

 

«Tu sei proprio sicuro di non volergli dare una mano? Lancio un Incantesimo piccolo, non lo noterà nessuno.» 

«Questa l’ho già sentita e non mi sembra che sia mai andata come dicevi» rispose con uno sbuffo, ricordando tutte le occasioni in cui Aegon gli aveva assicurato che i loro scherzi non avrebbero avuto conseguenze negative e, puntualmente, le avevano avute. «E poi che sia tu o lui a colpire non fa differenza. Non penso nemmeno che attaccando tutti e tre insieme otterremmo un qualche risultato.»

Strinse le mani sul parapetto, cercando di trovare una soluzione. Il suggerimento di Aegon riguardo al bloccarlo era probabilmente il migliore, ma se gli Incantesimi non funzionavano, in che altro modo avrebbero potuto farlo?

Sollevò lo sguardo verso gli spalti dietro di loro, da cui famiglie e studenti stavano assistendo alla prova. Rhaenys e gli esponenti del Ministero osservavano Joffrey impassibili – Jace non seppe dire se fosse un bene o un male – mentre più indietro vide Laenor, evidentemente preoccupato, seduto insieme alla sua famiglia. Rhaenyra teneva la piccola Visenya tra le braccia e accanto a lei Harwin teneva una mano sulla spalla di Laenor, nel tentativo di rassicurarlo. Avvertendo il suo sguardo, suo padre incrociò i suoi occhi. Jace sperò di scorgere in quelle iridi azzurre tutte le risposte di cui aveva bisogno, come aveva sempre fatto da bambino; ma il tempo delle favole era finito e tutto ciò Harwin poté fare fu rivolgergli un sorriso incoraggiante. Fu meglio di niente, ma non abbastanza per aiutare Joffrey. 

E, come se la fortuna non li avesse già abbandonati, in quel momento Jace sentì delle piccole gocce d’acqua cadergli sulla fronte.

«Pensi che riuscirebbe a sollevare quelle rocce?» disse Aegon, riportando la sua attenzione su di lui. Jace guardò gli elementi che indicava e scosse la testa. 

«Sono troppo grandi per lui da solo.»

«Mm. Però, per tre…» Gli rivolse uno sguardo eloquente. 

Jace scosse la testa. «Te l’ho già detto: non possiamo aiutarlo così. E poi che ci dovrebbe fare con dei massi?»

«Potrebbe usarli per colpirlo e fargli perdere i sensi. Dovrebbe essere efficace, se pensi che una palla di neve di quelle dimensioni è in grado di stendere un essere umano.»

Jace si lasciò sfuggire una risata, prontamente zittita dietro le mani. Rivedere l’immagine di Aegon, intento a inseguire suo fratello con una palla di neve grande il doppio di lui sollevata sopra la testa con la bacchetta, gli aveva fatto tornare il buonumore, in un luogo e un momento in cui erano decisamente inappropriati.

«Bravo, ridi, ridi» lo riprese Aegon, dandogli un pugno sulla spalla. «Molto gentile a godere delle mie sventure. Provocate da te, oltretutto.»

«Da me?» Poi Jace ricordò: l’incantesimo che aveva lanciato per bloccare le gambe di Aemond e i suoi effetti che, secondo Aegon, avevano avuto ripercussioni anche sul terreno intorno a lui. «Aegon… Aegon, sei un genio!»

 

~

 

Joffrey si era nascosto nuovamente dietro una roccia. Era infastidito dalla sua continua fuga, ma aveva bisogno di fermarsi un momento e pensare, attività non semplice da svolgere in quella situazione. Oltre agli artigli del Nundu, aveva dovuto iniziare a preoccuparsi anche della pioggia che aveva iniziato a scendere – leggera, per il momento, ma per quanto sarebbe durata così? Doveva terminare la Prova, e in fretta.

Sentì una voce dagli spalti chiamare il suo nome e si sporse oltre la roccia per vedere Jace sbracciarsi verso di lui. Che avesse avuto l’idea geniale che stava aspettando? 

Joffrey sollevò il pollice, avvisandolo che aveva capito di doverlo raggiungere. Scagliò una Bombarda sul lato opposto da cui si trovava, distraendo il Nundu abbastanza per avvicinarsi ai suoi compagni.

«Dimmi tutto!»

«Usa Glacius

«Glacius?» esclamò. «A che cazzo mi serve?»

«Puoi immobilizzarlo. Lanciane tanti, che blocchino tutte le parti del corpo. Penso… Penso che funzionerà.» Il suo tono era fermo, deciso; e Joffrey lasciò che quella sicurezza fluisse in lui. 

Annuì e si posizionò al centro dell’arena per avere una migliore visuale del Nundu. 

Lanciò il primo colpo alla sua zampa anteriore destra. Un blocco di ghiaccio si formò attorno a essa, costringendo l’arto a terra. La Creatura provò a muoverlo, senza successo. Joffrey sorrise.

«Avevi ragione» disse, voltandosi verso Jace. «Bella mossa, Stro-»

«Attento!»

Quella volta non riuscì a schivare il colpo. Il Nundu gli arrivò addosso e con un’unica zampata lo fece volare dall’altra parte del campo. Joffrey fu abbastanza veloce da lanciare un incantesimo per arrestare la sua caduta, ma sentiva il braccio e il lato sinistro del volto bruciare. Si passò una mano sulla guancia e sentì dei graffi corrergli lungo la pelle. 

Attaccò nuovamente il suo avversario, stavolta colpendo in sequenza le zampe anteriori. Il Nundu ebbe bisogno di qualche momento, ma riuscì a liberarsi anche quella volta. 

«Merda!»

Gli lanciò un Expulso, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla. Niente sarebbe servito. 

Eppure quella Prova era stata pensata per essere superata. Possibile che il Ministero avesse scelto una Creatura imbattibile, qualcuno che non sarebbe stato mandato al tappeto da niente

Guardò verso gli spalti. Jace e Aegon sembravano delusi quanto lui dall’inefficienza dell’Incantesimo congelante, ed era probabile che a quel punto avessero definitivamente esaurito le idee. Spostò gli occhi a cercare Laenor e lo trovò subito, poco dietro di loro, in piedi insieme a Harwin Strong. Joffrey gli sorrise – e maledì quella stupida pioggia che gli impediva di vedere con chiarezza l’uomo che amava.

La pioggia… 

Joffrey sentì le gocce d’acqua che cadevano sui suoi capelli, scendevano lungo il collo e andavano a bagnargli i vestiti. Una pioggia autunnale. Imprevedibile. 

Gelida.

Gli tornò alla mente la lezione che la professoressa Royce aveva dedicato agli Incantesimi dell’acqua.

“Affinché Glacius abbia effetto, è necessario che vi troviate lontani da fonti di calore o climi particolarmente torridi. D’inverno avrà molta più efficacia che in estate, inoltre, se voleste aumentarne la potenza, potrebbe esservi utile disporre di vaste quantità di acqua. Queste si congeleranno, creando un ulteriore blocco attorno al vostro avversario.”

Joffrey sorrise. Schivò il Nundu prima che lo colpisse di nuovo e corse a posizionarsi sotto la gradinata. Puntò la bacchetta pochi centimetri alla destra della Creatura; era la sua ultima possibilità, eppure si sentiva incredibilmente calmo. 

«Aqua Eructo

Un getto d’acqua scaturì dal terreno in cui aveva puntato la bacchetta. Subito si spostò per generarne un altro e un altro e un altro, finché il Nundu non fu circondato dall’acqua. Joffrey ruotò il polso in modo da direzionare i getti direttamente su di lui, creando una sorta di bolla d’acqua attorno al suo corpo. Il Nundu si dimenò, cercando di attraversare la barriera che si era creata tra loro due, ma Joffrey fu più veloce.

«Glacius

L’acqua si trasformò in un blocco di ghiaccio, che inglobò interamente il Nundu. Joffrey trattenne il fiato, in attesa. Niente si mosse. L’unico rumore che udiva era lo scroscio della pioggia che batteva sul terreno intorno a lui. Rilasciò il respiro.

«Accio cilindro.» 

Il Nundu non si mosse e il cilindro che aveva appeso al collo si staccò, volando tra le sue mani. 

Ancora un attimo di silenzio. Poi la folla dietro di lui esplose.

 
 

«Secondo! Secondo, contro quell'animale di un Bolton, ma vi rendete conto?»

«Era solo la prima prova, Joff, calmati» gli disse Laenor, accarezzandogli i capelli ancora bagnati. «Adesso pensa a riposare. Quanto tempo devi restare in Infermeria?»

«Zero secondi, me ne vado subito. E non dirmi di stare calmo, sai quanto odio perdere.»

«È stato solo per due punti» si intromise Harwin.

«Appunto, anche peggio! Voi due» disse, puntando il dito contro Jace e Aegon, in piedi alla base del letto. «Vedete di farci guadagnare il primo posto nelle prossime prove, chiaro?»

Jace annuì, mentre Aegon si limitò a una scrollata di spalle.

«Comunque… Grazie del suggerimento. Non avrei mai pensato a usare l’Incantesimo congelante.»

«È stato merito di Aegon» disse Jace, rivolgendo al ragazzo un sorriso pieno d’affetto. 

Aegon abbassò lo sguardo e a Joffrey non sfuggì il lieve rossore sulle sue guance. Doveva far mettere insieme quei due, erano veramente ridicoli!

«Sì, anche se io avevo proposto tutt’altro e non ho idea da dove sia sbucato quell’incantesimo. Comunque, ha funzionato e questo è l’importante.»

«Che c’è lì dentro?» chiese il piccolo Joffrey, prendendo il cilindro posto sul comodino. 

«Joffrey, non toccarlo» lo riprese Rhaenyra. «Serve a tuo fratello e gli altri per affrontare la prossima prova.»

«Esatto» disse Joffrey, togliendoglielo dalle mani. Se lo mise davanti agli occhi, scrutandolo attentamente. Era un semplice cilindro d’acciaio contenente, secondo quanto spiegato da Rhaenys, un oggetto che sarebbe stato utile per la Seconda Prova; ma di cosa si trattasse o come si estraesse, Joffrey non ne aveva idea.

«Non puoi provare ad aprirlo?» suggerì Luke.

«Questa mi sembra una bella idea» lo spalleggiò Aegon.

«La preside ha detto che non possiamo farlo fino al 24 febbraio» ribatté Jace, smorzando l’entusiasmo dei suoi parenti. Joffrey non lo disse, ma si trovò d’accordo con lui – anche perché non riusciva a capire come si potesse aprire quell’affare e non voleva rischiare di fare la figura dell’idiota.

«Voglio dire, magari potremo farlo anche prima…» Sollevò lo sguardo verso Jace e vide che stava fissando suo fratello, mortificato. «Appena lo apriamo te lo facciamo vedere, vuoi?»

Luke si strinse nelle spalle, tenendo lo sguardo basso. Joffrey non aveva capito che fossero messi così male. Si dispiacque per loro, ma prima che potesse provare a metterci una pezza, intervenne Harwin.

«Sono certo che saprete tutto al momento opportuno, ragazzi. Ora credo sia tempo di rincasare per noi, che ne dici, cara?» Rhaenyra annuì, cullando la nuova arrivata di casa Strong tra le braccia. «Prima però» proseguì Harwin, mettendo un braccio intorno alle spalle di Jace e di Luke, «noi tre andiamo a fare una bella chiacchierata, vi va?»

«Certo» rispose prontamente Jace, con gli occhi pieni di una luce speranzosa.

Luke sembrò titubante, ma poi annuì in silenzio e tutti e tre uscirono dall’infermeria, seguiti a ruota da Rhaenyra e dal piccolo Joffrey. 

«Be’, allora vi lascio anch’io» annunciò Aegon.

Laenor annuì. «Ho visto tua madre in tribuna, insieme ai tuoi fratelli. Daemon temo non sia riuscito a venire stavolta.»

Le labbra di Aegon si stirarono in un sorriso. «Che novità» commentò, apatico. Rivolse loro un cenno della mano e uscì, lasciandoli soli.

Joffrey ripose il cilindro sul comodino, prima di spostare lo sguardo sul suo fidanzato, che aveva continuato ad accarezzargli i capelli per tutto il tempo.

«Andiamo a fare un giro?» tentò, anche se conosceva già la risposta.

«Mia madre ha detto che devi restare a riposo, come i tuoi avversari» disse, indicando con la testa i letti nascosti dietro due  tende sul lato opposto della stanza. «I letti dell’Infermeria non sono scomodi e almeno stavolta non devi bere nessuna pozione per farti ricrescere le ossa.»

Joffrey storse la bocca. «Ti prego, non nominare quella schifezza» disse, rabbrividendo al ricordo della caduta dalla scopa di due anni prima, che gli aveva rotto il braccio sinistro e causato una lunga convalescenza.

«Ecco, appunto. Quindi non lamentarti, riposati e gioisci perché i pericoli per te sono finiti.»

Joffrey sbuffò. «Pericoli fisici, sì. Ma quei due idioti che mi ritrovo in squadra mi faranno finire al reparto malattie mentali del San Mungo!»

«Sono certo che se la caveranno. Tu fatti gli affari tuoi e andrà tutto bene.»

«Come il mio signore comanda.»

Laenor scosse la testa e si chinò per dargli un bacio. Joffrey sorrise. Sollevò la coperta, facendogli cenno di sdraiarsi con lui.

«Tra poco dovrò tornare a casa» gli disse, ma lo assecondò comunque. Posò la testa sul suo petto e Joffrey prese ad avvolgersi i suoi dread attorno alle dita.

«Potremmo dire a Rhaenys che sto molto male e avrò bisogno di un infermiere personale per la notte.»

«Ottima idea, così manderà Mellos a riempirti di pozioni curative.»

Joffrey sentì la gola chiudersi al solo pensiero.

«Va bene, lasciamo stare. Ah, a proposito di pozioni… il tuo intruglio di vomito è stato del tutto inutile.»

Laenor sollevò la testa per guardarlo negli occhi. «Davvero? Mi sembrava di aver eseguito bene tutti i passaggi.»

Davanti a quell’espressione mortificata, Joffrey si ritrovò a cedere.

«Be’, magari semplicemente è più efficace per lo studio che altro» disse. «E poi, sì, forse a qualcosa è servita. Ero troppo concentrato a superare la prova per farci caso.»

Il volto di Laenor si illuminò. «Allora è servita, se eri concentrato!»

Joffrey pensò che lo sarebbe stato comunque – difficile distrarsi quando una delle Creature più pericolose del mondo ce l’ha a morte con te – ma si limitò ad annuire, concedendo al suo fidanzato quella piccola vittoria. Lui era l’unico con cui accettava di perdere.



 


Note: le informazioni su pozioni e incantesimi presenti nel capitolo le ho prese da Potterpedia
Poi, scrivendo la scena in Infermeria, mi è venuto in mente che non avrebbe molto senso, in questo universo, che il terzo figlio di Rhaenyra e Harwin si chiami Joffrey, ma visto che ormai l'errore era fatto, ho trovato un modo per giustificare quel nome: Rhaenyra, Harwin e Laenor sono molto amici e avevano promesso a quest’ultimo che avrebbe potuto scegliere il nome del nuovo bambino. Lui si era preparato una lista, ma al momento della nascita si è distratto e ha sparato il primo nome che gli è venuto in mente, aka quello del suo fidanzato. E siccome Harwin desiderava avere un figlio di cui riuscisse a fare lo spelling del nome senza difficoltà, hanno deciso che andava bene Joffrey 🙈

Grazie a chi ha letto fin qui, spero che il capitolo vi sia piaciuto ^^

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Capitolo 4
*** Il Ballo del Ceppo – Parte 1 ***


Capitolo 4

Il Ballo del Ceppo – Parte 1




 

Joffrey abbottonò l’ultimo bottone della giacca a ricami blu e oro, specchiandosi soddisfatto della sua eleganza. Solitamente indossava abiti casual a Hogwarts, soprattutto da quando Laenor si era diplomato, ed era stata una vera fortuna che il suo ragazzo fosse riuscito a spedirgli quell’abito in tempo per la serata. 

La porta si aprì, ma Joffrey non prestò attenzione al nuovo arrivato: era uno dei pochi fortunati ad avere una camera singola e l’unico Serpeverde che si presentasse lì senza un briciolo di educazione era il suo caro compagno di squadra.

«Hai bisogno di qualche consiglio di moda, Targaryen?» gli chiese, pettinandosi indietro i capelli per liberare la fronte. 

Quando Aegon gli passò alle spalle, nel riflesso Joffrey notò che era già vestito con un completo simile al suo, anche se più sobrio e completamente verde. Fischiò, voltandosi per osservare la figura reale. 

«Però! Ti ho sempre trovato carino, amico mio, ma stasera sei stupendo. Vuoi fare colpo su un certo Grifondoro, per caso?»

«Stanotte farò colpo solo sulla morte» borbottò Aegon, tirando la stoffa sul cavallo dei pantaloni. «Mia madre ha trovato un modo molto originale per uccidermi, devo riconoscerlo.»

«Io trovo che ti stia bene. Mette in risalto il tuo fisico.»

«E mi blocca la circolazione del sangue!» Aegon aggrottò le sopracciglia, annusando l’aria intorno a sé. «Cos’è questo odore dolciastro?»

Joffrey sorrise, riempiendosi i polmoni dell’aroma circostante. «Ylang-ylang. Me lo ha regalato Laenor per il compleanno, che per inciso è stato la settimana scorsa.»

Aegon si tappò il naso. «È dolce da far schifo.»

«A me piace. E visto che questa è camera mia, la tua opinione mi è indifferente.» 

Si diede un’ultima occhiata allo specchio, sorridendo soddisfatto: non avrebbe dovuto fare colpo su nessuno quella sera, ma quello non era certo un motivo per apparire sciatto e insignificante. Si voltò e raggiunse il comodino, aprì il primo cassetto e ne estrasse la sua bacchetta, che ripose con cura nella tasca interna della sua giacca.

«Allora, posso sapere a cosa devo il piacere della tua visita?» chiese, voltandosi verso Aegon che stava ancora cercando di allontanare il profumo di Ylang-ylang dal suo naso.

«A niente» disse. «Ho commentato l’eccesso di zelo che Aemond ha messo nel prepararsi e lui ha cercato di Cruciarmi

Joffrey rise. «Normale amministrazione in casa Targaryen. Quindi andrà al ballo con qualcuno?»

«Sì, con nostra sorella.»

Joffrey storse le labbra. «Oh, be’... So che avete una lunga tradizione di matrimoni tra consanguinei in famiglia, perciò…»

Aegon sgranò gli occhi. «Ma che cazzo hai capito? Non si piacciono in quel senso. O almeno credo. Spero.» Scosse la testa, come se volesse dimenticare che quel sospetto si fosse mai fatto largo nella sua mente. «Non so nemmeno se ad Aemond piacciono le ragazze. O se è in grado di provare attrazione sessuale verso qualcuno.»

«Magari lo scoprirai stasera» disse Joffrey, facendogli l’occhiolino. Si avvicinò a lui, passandogli un braccio intorno alle spalle. «Sai, ho sentito dire che il Ballo del Ceppo è un evento molto romantico: neve, ghirlande di vischio, musica lenta che ti permette di volteggiare tra le braccia del tuo amato. È il luogo perfetto per aprire il proprio cuore, non trovi?»

Aegon scoppiò a ridere. «Stai cercando di dire che Aemond – quell’Aemond – si sta preparando a trascorrere una serata… romantica?» 

«Perché no? Tutti meritano un po’ d’amore nella loro vita, non trovi?» Aegon provò a rispondergli, ma era ancora a corto di fiato per la risata e Joffrey ne approfittò per lanciare il suo attacco. «Tu, per esempio. E anche Jace. Potrebbe essere la serata giusta per riportare l’amore nelle vostre vite.»

La risata di Aegon scemò all’istante. Si ricompose e fece un passo di lato, allontanandosi dal suo tocco. 

«Io sto bene così. E anche Jace.»

«Davvero? Allora sarà per questo che va al ballo con Sara Snow.»

Dovette nascondere il suo sorriso soddisfatto davanti all’espressione sconvolta del ragazzo. Joffrey non sapeva chi avesse invitato chi, né se Jace era intenzionato a far ingelosire Aegon quella sera – conoscendolo, probabilmente no, o almeno non lo avrebbe fatto di proposito – ma presentarsi con la ragazza che, com’era noto a tutti, aveva una cotta per lui da sempre era stata sicuramente una mossa audace. 

«Oh» disse Aegon, dopo un lungo momento di silenzio. «Buon per lui.» Fece spallucce, ma Joffrey notò che stava evitando il suo sguardo. Davvero non riusciva a capire perché si ostinasse a fingere che non gli importasse nulla di Jace, quando era evidente che viveva per lui. 

Inspirò a pieni polmoni il profumo attorno a sé per calmarsi ed evitare di concretizzare le minacce di Aemond. 

«D’accordo. Senti, io devo andare alla Torre di Corvonero a prendere la mia dama, quindi ci rivediamo direttamente al ballo. La tua accompagnatrice chi è?»

«Nessuna.»

Joffrey sbatté le palpebre. «Non… Vieni da solo?» 

Lui annuì.

«E come pensi di danzare? Con una partner immaginaria?»

«Non penso di danzare. Penso che me ne starò seduto a bere finché non troverò una bella ragazza con cui divertirmi un po’ e poi me ne andrò a dormire.»

Joffrey sospirò. «Aegon… Sai che dobbiamo aprire le danze, vero?»

Quella volta fu lui a sbattere le palpebre. «In che senso?»

«Il primo ballo è riservato ai campioni delle tre scuole ed è obbligatorio, naturalmente. Mi sa che ti conviene trovarla adesso una “bella ragazza con cui divertirti”» disse, facendogli il verso. «A meno che tu non voglia renderti ridicolo davanti a tutti.»

Aegon sbatté le palpebre un altro paio di volte, nel tentativo di comprendere a fondo quanto aveva appena sentito. Quando lo fece, esplose rendendo onore al suo antico lignaggio di domatore di draghi.

 

~

 

Un’ultima piroetta, inchino e un nuovo scroscio d’applausi ai compagni sulla pista da ballo. Sara allungò una mano verso di lui e Jacaerys la strinse, rivolgendole un piccolo sorriso.

«Queste scarpe mi stanno uccidendo» gli disse, e lui si sorprese che fosse riuscita a indossarle fino a quel momento. «Ti va di andare a riposare un po’?»

«Certo» rispose, cercando di non apparire troppo sollevato. Gli piaceva ballare, ma cinque canzoni di seguito erano troppe anche per lui. 

Accennarono entrambi un breve saluto in direzione di Cregan, che si stava preparando a un altro giro insieme a una delle campionesse di Durmstrang, Tyana Greyjoy – lui aveva negato, ma sia Jacaerys che Sara concordavano sul fatto che avesse una cotta per lei – e si diressero verso il loro tavolo, situato a metà stanza. Jacaerys si guardò intorno per cercare Luke, ma i suoi occhi furono catturati da una figura bionda seduta al tavolo accanto al loro. 

«Oh, ti spiace se saluto Helaena?» gli chiese Sara, iniziando a tirarlo verso di lei senza aspettare la sua risposta.

Quando la ragazza li vide, rivolse loro un caldo sorriso. 

«Ciao, Sara. Ciao, cugino. Danzate molto bene.»

«Grazie» rispose lei, mentre Jacaerys si limitò ad annuire. Aegon era seduto accanto alla sorella e si stava dondolando sulla sedia, fissando il soffitto. Sembrava più insofferente del solito, ma Jacaerys non ne era sorpreso: sapeva che lui odiava le feste, soprattutto se, come in quel caso, non c’era una goccia di vino che gli permettesse di alleviare la noia. 

«Jace è un ottimo cavaliere» continuò Sara, guardandolo con un sorriso che lo fece arrossire. 

«Impeccabile» commentò Aegon. «Peccato che sia un legno a ballare.»

«Senti da che pulpito» ribatté lui, infastidito.

«Tu sei stato pessimo stasera» disse Helaena, ricordandogli ancora una volta perché fosse la sua cugina preferita. «Sarei dovuta rimanere con Aemond.»

«Allora vattene con lui, tanto non mi servi più. E comunque è colpa di nostra madre se non posso muovermi!»

«In effetti, quell’abito sembra piuttosto attillato. Tu che ne pensi, Jace?» disse Sara.

Lui fece spallucce, guardando ovunque meno che verso Aegon. Aveva rischiato un mancamento quando lo aveva visto arrivare, con i boccoli biondi che gli ricadevano morbidi sulle spalle e la giacca verde che modellava alla perfezione il suo fisico – quel fisico che Jacaerys non aveva mai dimenticato e che faceva spesso capolino nei suoi sogni. Probabilmente sarebbe rimasto a fissarlo imbambolato per tutta la sera se Luke non lo avesse raggiunto, iniziando a lamentarsi per qualcosa riguardante loro fratello che lui aveva ascoltato solo in parte. 

«Ametista e zaffiro si uniranno, rinsaldando il legame strappato e mai annientato» mormorò Helaena, attirando l’attenzione su di lei e salvando Jace dal dover rispondere a quella domanda scomoda. «Lacerazioni di carne, lacerazioni di ossa. Non tutto il male viene per nuocere.»

«Balliamo?» chiese poi a Sara, dopo una breve pausa. 

La ragazza sbatté le palpebre. «Oh. Ehm, sì, certo.»

Si presero per mano e tornarono in pista. Jacaerys ricordò solo in quel momento che Sara aveva detto di volersi riposare, ma le misteriose parole di Helaena glielo avevano fatto dimenticare – e probabilmente avevano avuto lo stesso effetto anche sulla ragazza.

«Cosa intendeva dire, secondo te?» chiese ad Aegon.

«Chi?»

«Tua sorella. Quello che ha appena detto su ametista, zaffiro e lacerazioni varie.»

Aegon fece spallucce. «Non ne ho idea. Diciotto anni di convivenza mi hanno insegnato a spegnere il cervello quando avverto la sua voce. Dovresti imparare a farlo anche tu.»

Jacaerys sbuffò, prendendo posto accanto a lui. «Non ci penso proprio, a me interessa cosa ha da dire Helaena. È solo che a volte non riesco a capirla.»

«Solo a volte?» rise Aegon. «Comunque, è facile capirla: le sue profezie sono solo fonte di sventura, perciò probabilmente era un modo per avvertirci che la serata finirà molto male.»

Jacaerys impallidì. «Non… Non penso, insomma… È una festa sorvegliata dai professori, dalla preside» disse, puntando lo sguardo verso il tavolo degli insegnanti per assicurarsi che Rhaenys fosse ancora lì – c’era, intenta a chiacchierare con il preside di Durmstrang, suo cognato che però non aveva mai partecipato alle loro cene di famiglia. «Cosa potrebbe succedere di così brutto?»

«Oh, non saprei. Magari qualcuno che impazzisce di nuovo perché qualcun altro si è avvicinato troppo alla sua ragazza?»

Indicò verso il tavolo del buffet e Jacaerys seguì il suo sguardo, già consapevole di chi vi avrebbe trovato. Criston Cole era in piedi a osservare i ballerini – una in particolare – impettito nel suo completo argentato e con le labbra serrate in un evidente esternazione del suo livore. 

«Perché Joffrey ha invitato proprio lei?» sospirò, scuotendo la testa. In quel momento Cassandra Baratheon non stava danzando con lui, ma era il suo accompagnatore ufficiale e se Cole avesse deciso di sfogare la sua furia su qualcuno, sarebbe certamente stato il loro compagno.

«Latente desiderio suicida?» propose Aegon. «Ad ogni modo, la sua Prova l’ha già affrontata, perciò non è più un nostro problema.»

«Non mi sembra un buon motivo per lasciarlo morire!»

«Lasciar morire chi?»

Jacaerys si voltò, sorpreso di udire proprio la voce di Joffrey. Il ragazzo si fermò in mezzo a loro, posando le mani sullo schienale di entrambe le sedie. Insieme a lui c’erano i gemelli Cargyll, che rivolsero loro un educato cenno di saluto.

«Te» rispose Aegon. «Sai che invitare la Baratheon è stata una pessima idea, vero?»

Joffrey rise. «Per Crispin? Ormai è acqua passata, state tranquilli.»

«Ne sei sicuro?» chiese Jacaerys. «Perché la sua faccia sembra dire il contrario.»

«La sua faccia è un cipiglio perenne, secondo solo a quello di Stark, ma non trovo giusto giudicarlo male per questo. Piuttosto» aggiunse, puntando i suoi occhi verdi su Aegon, «anche il tuo fratellino è famoso per la sua aura minacciosa, ma a quanto pare ha trovato qualcuno abbastanza forte da poterla gestire.»

Aegon inarcò un sopracciglio. «Cioè?»

Joffrey rise, spostando lo sguardo tra loro due. Jacaerys non era interessato alla vita di Aemond Targaryen, ma il sorrisetto del suo amico lo fece preoccupare, spingendolo ad ascoltare attentamente la sua risposta.

«Aemond è in cortile a pomiciare con un ragazzo. Non un ragazzo qualsiasi, sia chiaro, bensì il nostro piccolo Strong – cioè, il medio Strong, visto che adesso ce n’è uno più giovane.»

Jacaerys sbatté le palpebre. «Io continuo a non capire.»

«Siamo in due» disse Aegon.

«I vostri fratelli, Aemond e Luke, si stanno baciando in cortile.»

Jacaerys spostò lo sguardo da Joffrey ad Aegon nello stesso istante in cui lui fece altrettanto – e un attimo dopo scoppiarono entrambi a ridere. Non aveva idea che Joffrey avesse una così fervida immaginazione, ma dovette ammettere che era divertente: l’immagine di Aemond e Luke insieme era talmente assurda da non risultargli nemmeno inquietante.

«Grazie, Lonmouth» disse Aegon, tenendosi una mano sulla pancia. «Avevo bisogno di una bella risata. Ma l’hai sentito?» aggiunse, posando una mano sulla spalla di Jacaerys. Lui annuì, continuando a ridere finché non notò lo sguardo accigliato di Joffrey e la sua totale serietà.

«Joffrey» disse, riprendendo fiato. «Stavi scherzando, vero?»

«Per niente. Li ho visti con questi miei occhi e fidatevi che ho un’ottima vista.»

Jacaerys sbatté le palpebre. «Luke e Aemond? Quei Luke e Aemond?»

«Ne conosci altri?»

«Be’, quelli che conosco io si odiano, perciò…»

«Li avrai scambiati per qualcun altro» intervenne Aegon, che a sua volta aveva smesso di ridere. «Guarda, magari davvero era Luke, ma ti assicuro che mio fratello non ha idea di cosa sia un bacio – e, come ha detto Jace, non potrebbe mai essere…»

Si bloccò, perso in pensieri che Jacaerys non riuscì a cogliere. 

«Aegon?» Gli mise una mano sul braccio, cercando il suo sguardo. «Cosa…»

Aegon scattò in piedi e corse verso l’uscita. Jacaerys spostò lo sguardo verso Joffrey, che si limitò a una scrollata di spalle.

«Capisco che scoprire che i vostri fratelli minori sono più intelligenti di voi sia uno shock, ma mi sembra una reazione esagerata.»

Jacaerys sbuffò, alzandosi a sua volta. Non sapeva che accidenti fosse preso ad Aegon, né chi Joffrey avesse scambiato per Luke e Aemond – e nemmeno dove fossero i diretti interessati in quel momento, ma quello non era importante. 

Seguì Aegon fuori dalla Sala Grande, chiedendosi se non fosse quello il disastro annunciato da Helaena.

 

~

 

I baci di Luke erano come lui: timidi, sinceri e irruenti. Le sue labbra racchiudevano il salmastro del mare e la dolcezza dei pasticcini al limone che gustava alla fine di ogni pasto. Aemond non aveva saputo di averne bisogno finché non le aveva assaporate per la prima volta, un mese prima. 

Gli strinse le braccia dietro la schiena, sollevandolo per sentirlo ancora più vicino mentre continuava a esplorare ogni anfratto della sua bocca. Luke teneva le mani dietro la sua nuca, accarezzando i suoi capelli con una presa ferrea che gli impediva di allontanarsi da lui anche solo per riprendere fiato. Ad Aemond andava bene così: gli apparteneva dal momento in cui si era preso il suo occhio e Luke era libero di reclamare tutto ciò che voleva da lui – e Aemond aveva il diritto di fare altrettanto.

Luke sfiorò con le dita il laccio che reggeva la sua benda, facendolo irrigidire. Gli morse giocosamente il labbro inferiore, prima di allontanare la sua bocca, permettendo a entrambi di riprendere fiato. 

«Posso… Posso vedere com’è?» gli chiese, accarezzando la sua guancia sinistra seguendo la linea della cicatrice. Le sue dita salirono verso la stoffa scura e quando la raggiunsero iniziarono a sollevarla, abbastanza lentamente perché Aemond potesse fermarle in qualunque momento. 

Non lo fece.

Luke trattenne il fiato quando si scontrò con il freddo riflesso azzurro dello zaffiro incastonato laddove un tempo si trovava il suo occhio. Aemond non amava mostrare quella parte di sé, lo faceva sentire sbagliato, nudo; ma Luke era l’artefice di quell’immagine ed era giusto che ammirasse la sua opera. 

«Fa male?» gli chiese, puntando lo sguardo verso il suo occhio sano.

«Ogni tanto, ma è più un fastidio che un vero dolore. Vorresti provarlo anche tu?» 

Gli scostò i capelli dalla fronte, scendendo ad accarezzargli l’occhio sinistro. 

«Suppongo che sarebbe giusto» rispose, con una determinazione che lo sorprese.

Le dita di Aemond proseguirono la loro discesa lungo la guancia, sfiorandogli le labbra e scendendo fino al collo. Si fermarono sopra il ciondolo di ametista che Luke indossava da due anni ormai e ne accarezzarono la superficie liscia. Era della dimensione giusta per sostituire un occhio, ma quel viola morto non lo avrebbe mai guardato con la stessa intensità che gli restituivano quelle iridi scure e vive.

«Il tuo debito l’hai già pagato» disse. 

Luke gli rivolse un piccolo sorriso. Il Tassorosso si sollevò sulle punte, ma non fu il calore delle sue labbra a colpirlo. All’improvviso, Aemond si ritrovò a terra, scaraventato dal lato opposto del cortile. I suoi riflessi gli permisero di atterrare sul fianco, evitando di sbattere la testa, ma l’idea che qualcuno fosse riuscito a coglierlo di sorpresa gli fece ribollire il sangue nelle vene. Chiunque fosse stato, avrebbe pagato a caro prezzo la sua sfrontatezza.

Sollevò lo sguardo, trovandosi davanti l’ultima persona che avrebbe voluto vedere – perché se avesse fatto del male al suo amato fratello, Luke non gli avrebbe più rivolto la parola.

«Jace, no!» Luke corse verso di loro, frapponendosi tra lui e il Grifondoro. «Sei impazzito? Che stai…»

«Tu sei impazzito! Che cazzo ci facevi qui fuori da solo con lui?» gridò, indicando Aemond con la bacchetta. 

Lui si alzò e in quel momento notò che il ragazzo non era solo. Aegon non si perse in convenevoli: scattò verso di lui, afferrandolo per un braccio nel tentativo di trascinarlo via. Aemond puntò i piedi a terra.

«Un attimo» gli disse. «Luke. La benda, per favore.»

Allungò la mano libera verso il ragazzo, senza distogliere lo sguardo da suo fratello. Quando sentì la benda posarsi sul suo palmo, la strinse e strattonò Aegon, liberandosi dalla sua presa. Si coprì lo zaffiro e si diresse verso le arcate, fermandosi dietro una delle colonne in attesa che l’altro lo raggiungesse.

Prese un profondo respiro. Nascondere i loro incontri al lago non era difficile, ma dopo aver iniziato una vera relazione non avevano più prestato troppa attenzione a essere discreti. Aemond sapeva che sarebbero stati scoperti, presto o tardi – e quello che avrebbe potuto farlo più facilmente era proprio Aegon.

Suo fratello si fermò davanti a lui, le braccia tese lungo i fianchi con i pugni serrati nel tentativo di mantenere la calma. Lo sguardo che gli rivolse, pieno di accusa e risentimento, gli ricordò quello che aveva ricevuto dopo essere stato privato di un occhio, quando Aegon lo aveva rimproverato per avergli portato via l’unica persona di cui gli fosse mai importato qualcosa. 

«Da quanto tempo?» sibilò, a voce talmente bassa che quasi Aemond non lo sentì.

«Cosa?»

«Da quanto tempo va avanti questa cosa con Luke?» gridò.

Aemond sospirò. «Ci siamo messi insieme poco dopo l’inizio della scuola.» Decise di giocare a carte scoperte, non aveva più senso mentire.

Aegon strinse le palpebre. Si massaggiò la fronte, prendendo un profondo respiro. 

«Dopo l’annuncio dei campioni» dedusse. «La persona che aspettava ogni mattina fuori dal nostro dormitorio eri tu.»

Aemond annuì.

«Quindi vi frequentavate già da prima, altrimenti dubito che Luke avrebbe cercato conforto da qualcuno che diceva di odiarlo, non è un masochista.»

«Abbiamo ricominciato a parlarci dopo che ho ucciso Arrax.» Era la prima volta che ammetteva quel crimine ad alta voce, ma non aveva senso nasconderlo: anche se Luke lo aveva coperto, tutti erano a conoscenza dell’identità del vero responsabile della morte del gufo. «L’ho portato in una stanza al settimo piano per celebrare una sorta di funerale al suo animale e da allora abbiamo ricominciato a parlarci.»

Aegon lo fissò a bocca aperta. Quando il suo braccio saettò verso di lui, Aemond fu abbastanza veloce da schivarlo. Suo fratello non si curò dell’impatto delle nocche contro il muro, troppo furioso per prestare attenzione al dolore fisico.

«Arrax è morto due anni fa!»

«Lo so.» 

Aegon si scagliò di nuovo contro di lui, ma quella volta Aemond gli afferrò il braccio, torcendoglielo dietro la schiena e mandandolo a sbattere con la faccia contro la parete opposta. Lui imprecò, ma l’altezza di Aemond gli dava un buon vantaggio e riuscì a tenerlo fermo. 

«Se può consolarti, fratello, è stato lui ad appiccicarsi a me per primo» disse. «Non avevo pianificato di diventare suo amico, né di… di diventare qualcosa di più. È successo e basta.»

«Oh, povero, piccolo Aemond. Sempre così sfortunato che le cose gli capitano, senza che possa controllarle. Buffo però che a subirne le conseguenze sia sempre io

Aemond lo lasciò andare, permettendogli di voltarsi ma tenendo una mano salda sul suo petto in modo da tenerlo a distanza. 

«Io ho dovuto lasciare Jace, io ho dovuto subire l’ira di nostra madre perché avevo portato quei Mezzosangue nella vita del suo adorato bambino e io mi sono dovuto sorbire i discorsi di nostro nonno sull’importanza che prendessi il posto di Viserys come capofamiglia alla sua morte per liberarci dalla piaga che Rhaenyra aveva portato nella nostra casa.» Aegon abbassò la testa e alcune lacrime caddero sulla mano di Aemond. «Ho dovuto ascoltare gli insulti che rivolgevano al ragazzo che amo e imparare a ripeterli al resto del mondo, incluso lui stesso. E tu eri sempre lì, a spalleggiarli, il figlio perfetto. Tu» sputò, piantando le sue iridi viola su di lui, «che nel frattempo te la spassavi proprio con suo fratello, il ragazzino che ti aveva mutilato!»

«Sai che nostra madre e Rhaenyra erano amiche?»

Aegon sbatté le palpebre. «Hai ascoltato almeno una parola di quello che ti ho detto?»

«Ho ascoltato e adesso sei tu che devi ascoltare me. Daeron mi ha mostrato una cosa quest’estate, una vecchia scatola che ha trovato in camera di nostra madre mentre giocava a nascondino con Helaena.» Fece una pausa per assicurarsi che l’attenzione di Aegon fosse focalizzata su ciò che gli stava raccontando. «All’interno c’erano alcuni ricordi del periodo in cui frequentava Hogwarts: la sciarpa di Tassorosso, una copia del libro di Storia della Magia con i complimenti del defunto professor Royce per essere stata la strega migliore del suo corso e una pila di fotografie e lettere, alcune delle quali posso confermare che sono state scritte in tempi recenti. Sai qual era il soggetto principale di tutto ciò? Già, proprio quella "viziata e crudele" di nostra cugina.»

Aegon lo spinse via. La confusione nei suoi occhi era evidente e lui non poteva biasimarlo per quello: aveva avuto bisogno della conferma di Daeron e Helaena per accettare che ciò che stava vedendo era reale. Se glielo avessero raccontato, non ci avrebbe mai creduto.

«Non capisco cosa c’entri» disse Aegon, ma la sua voce aveva perso la furia di poc’anzi. «Stai forse insinuando che nostra madre e Rhaenyra sono ancora amiche?»

«No, non lo sono più. Ma nostra madre vorrebbe che lo fossero ancora, anche se a quanto pare non ha il coraggio di fare la prima mossa. Le ultime lettere che ha aggiunto alla scatola erano richieste di perdono per il male che si erano fatte e suppliche affinché potesse tornare tutto come un tempo.» Omise che anche il nome di Daemon compariva in quelle pagine: secondo sua madre, anche lui desiderava ricucire i rapporti con Rhaenyra, ma Aemond non conosceva abbastanza quell’uomo da poter affermare, senza ombra di dubbio, che quei desideri erano reali. Alicent, invece, era certo che non mentisse. Aegon non sapeva osservare, ma lui aveva notato da tempo come il suo sguardo si incupisse e le sue dita prendessero a tormentarsi le unghie ogni volta che Otto parlava di Rhaenyra. Il fatto che sua madre non avesse il coraggio di opporsi al volere paterno non significava che il suo cuore gli fosse favorevole.

«Quindi stai… stai dicendo che questa stupida faida che va avanti da anni potrebbe concludersi… positivamente?» chiese Aegon, scandendo lentamente le parole come se faticasse a crederci davvero.

«Non sono ottimista fino a tal punto, tuttavia credo che ci sia margine di manovra. Se Rhaenyra leggesse una di quelle lettere, magari accoglierebbe le richieste di nostra madre.»

Aegon inarcò un sopracciglio. «Hai già spedito quelle lettere» disse, a metà tra uno sbuffo e una risata.

«In realtà no, ma intendo farlo appena saremo di nuovo a casa. Mi auguro che per l’inizio della Seconda Prova Rhaenyra le abbia ricevute e possa comunicare la sua risposta a nostra madre.»

«Hai pianificato proprio tutto.» Si asciugò il volto e si aggiustò il vestito, lisciandolo per eliminare le pieghe che si erano formate durante la loro colluttazione. «Adesso ho solo una domanda per te e se osi mentirmi giuro che ti cavo anche l’altro occhio.»

Aemond sollevò un angolo della bocca. «Ti ascolto.»

«Se la risposta di Rhaenyra fosse negativa e le cose non migliorassero tra le nostre famiglie, tu da che parte ti schiereresti?»

Non era ciò che si era aspettato, ma la domanda non lo colse impreparato. Aveva già pensato a un simile scenario e aveva fatto la sua scelta molto tempo prima.

«Al fianco di Lucerys.»

Aegon rilasciò un lungo sospiro. Annuì, più sicuro. «E lui starà sempre dalla parte di Jace.»

«Sì.»

«Bene.» Si passò una mano tra i capelli. «Sappi che me la pagherai per aver agito alle mie spalle per due fottuti anni, ma non adesso» disse, spostando lo sguardo in direzione dei fratelli Strong, che erano rimasti a discutere nello stesso punto in cui li avevano lasciati. «Adesso ho cose più importanti da fare.»





 

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Capitolo 5
*** Il Ballo del Ceppo – Parte 2 ***


Capitolo 5

Il Ballo del Ceppo – Parte 2




 

Aegon sentì le loro voci, ma non si preoccupò di ascoltare cosa dicessero. Afferrò Jace per le spalle e lo trascinò via, fermandosi solo quando furono al riparo dietro una colonna.

«Ma che cavolo fai?» esclamò il ragazzo, cercando di allontanarlo.

«Dobbiamo parlare.»

«Sì, con i nostri fratelli» rispose, spingendolo via. Si voltò verso il cortile, ma la scena che si trovò davanti lo bloccò. 

La neve aveva iniziato a cadere, creando una piccola costellazione sui capelli di Luke che, libero da Jace, era subito corso da Aemond. I due ragazzi si voltarono verso di loro, prima che suo fratello mettesse una mano sulla spalla del Tassorosso e lo invitasse a tornare dentro la scuola. Luke abbozzò un sorriso nella loro direzione e poi seguì Aemond.

Jace sospirò. Si appoggiò contro la colonna e si massaggiò le tempie, la combattività di poc’anzi svanita in un soffio.

Aegon si appoggiò alla colonna di fronte a lui, fissandolo in cerca delle parole giuste da dire. 

Mi manchi. Ti amo. Sono stato un coglione. Ti amo.

«Come lo sapevi?» disse Jace, sollevando gli occhi verso di lui.

«Che cosa?»

«Dei nostri fratelli.» Davanti al suo sguardo perso, capì che doveva spiegarsi meglio. «Prima hai avuto una sorta di illuminazione, dopo che Joffrey – che a quanto pare ci vede davvero bene – ci ha detto che si stavano baciando.»

«Oh, quello. Non lo sapevo, in realtà.» Si staccò dalla colonna, avvicinandosi a lui. «È solo che ho visto spesso Luke aspettare qualcuno fuori dal nostro dormitorio nelle ultime settimane. Non avrei mai immaginato che fosse Aemond, ma quando Joffrey ha detto di averli visti insieme, ho pensato che forse poteva essere lui. Ma, più che altro» disse con un sorriso divertito, appoggiandosi accanto a Jace, «volevo vedere se davvero Aemond era in grado di baciare qualcuno.»

Sperava che quel commento aiutasse ad alleggerire l’atmosfera, ma tutto ciò che ricevette in risposta fu un sospiro. Jace spostò lo sguardo verso il cielo, da cui la neve aveva preso a cadere più fitta.

«Luke ha detto che lo ama.»

Aegon non riuscì a trattenere un risolino. «Suppongo che non tutti possano avere buon gusto, no?»

Jace annuì distrattamente. Si voltò verso di lui, rivolgendogli un piccolo sorriso che gli strinse il cuore.

«Abbiamo gusti simili a quanto pare.» Si staccò dalla colonna, voltandosi in modo da fronteggiarlo con tutto il corpo. «Aegon… Mi sono sempre convinto che, un giorno, sarebbe accaduto qualcosa che ci avrebbe permesso di ricostruire il legame che avevamo un tempo. Mi sono aggrappato a questa convinzione fino a oggi e… e penso che quel cambiamento che stavo aspettando sia appena arrivato.» Fece un passo verso di lui e Aegon intercettò la sua mano a mezz’aria, intrecciando insieme le loro dita. 

Alzò lo sguardo verso di lui, cercando le parole giuste da dire anche se l’unica cosa che voleva fare era baciarlo – e godersi il momento, senza più fuggire.

«Aegon…»

«Ti amo.» Quelle parole sfuggirono dalle sue labbra prima che potesse fermarle. Era la prima volta che le pronunciava ad alta voce e colse entrambi di sorpresa – ma le aveva dette perché le provava, con un’intensità tale da fare male, e non valeva più la pena tenerle nascoste. 

«Ti amo» ripeté. Gli sfiorò una guancia con la mano destra e Jace chiuse gli occhi, appoggiandosi al suo palmo. «Vorrei… Vorrei essere più bravo a esprimere a parole quello che sento, ma non so come descrivere ciò provo per te meglio di…»

Jace posò le labbra sulle sue, zittendolo.

«So che sei un disastro, Aegon» disse, interrompendo il bacio prima che lui potesse ricambiare a dovere. «Ti chiedo di dirmi solo una cosa, va bene?»

Aegon annuì. 

«Giurami che non mi lascerai mai più.» 

Sorrideva, ma i suoi occhi lo fissavano con determinazione. Aegon ricambiò il sorriso.

«Non ti lascerò mai, Jacaerys. Lo giuro sul piccolo Sunfyre.» 

Jace sgranò gli occhi. «Hai… Lo hai conservato?»

«Certo. Anche se ha un’ala storta e non si avvicina nemmeno un po’ alla bellezza del drago leggendario, era un tuo regalo.» Posò la fronte contro la sua, sorridendo. «Non avrei mai potuto sbarazzarmi di qualcosa di tuo.» 

Jace gli strinse le braccia intorno al collo. «Mi sembra il minimo, con tutta la fatica che ho fatto per intagliarlo. Mi sono quasi staccato due dita!» Gli sorrise ancora una volta. «Ti amo anch’io, Aegon.» 

E lo baciò, dimostrando in quel gesto l’intensità delle sue parole. Aegon lo strinse a sé, assaporandolo come se fosse la prima boccata di ossigeno dopo un’infinita apnea, con la consapevolezza stavolta che non sarebbe mai più dovuto tornare a vivere senza la sua aria. 

Quando si separarono, Jace sorrideva ancora. Era la visione più idilliaca che Aegon avesse mai visto e odiava esserne stato privato così a lungo. Non avrebbe più permesso a nessuno di portargliela via.

 

~

 

«Quindi, adesso voi quattro state insieme?» 

«Due e due, non tutti e quattro insieme.»

«Grazie del chiarimento, Targaryen, non lo avrei mai capito da solo.» 

Jacaerys spostò lo sguardo preoccupato dal suo ragazzo al suo migliore amico. I rapporti tra loro non erano mai stati ottimali, e il fatto che Cregan lo avesse sentito piangere più volte proprio a causa di Aegon non aveva certo aumentato il suo apprezzamento nei confronti del ragazzo, ma sperava che, con il tempo, avrebbero imparato almeno a trattarsi civilmente. 

«Sono contenta per voi» disse Helaena, attirando la sua attenzione. La ragazza si era limitata a sorridere all’annuncio delle nuove coppie, come se fosse la cosa più normale del mondo – o come se sapesse già che sarebbe accaduto.

«Grazie.» Le sorrise a sua volta, felice del suo appoggio e, soprattutto, di avere la possibilità di essere di nuovo suo amico. 

«Jace.» Cregan si alzò e fece il giro del tavolo per raggiungerlo. «Ti posso parlare un momento in privato?»

«Ehi, non provare a metterti in mezzo da subito» sbottò Aegon.

Jacaerys gli diede un bacio sulla guancia e lo fissò con un tacito monito a mantenere la calma. Aegon sbuffò.

«Prendi un po’ in giro Aemond nell’attesa» gli suggerì per distrarlo, prima di alzarsi e seguire Cregan. 

Si fermarono davanti a una delle vetrate della Sala Grande, dalla parte opposta rispetto al loro tavolo. Mancava ancora un’ora allo scoccare della mezzanotte, ma molti studenti avevano già iniziato a ritirarsi e la pista da ballo era occupata da poche coppie coinvolte in lenti che permettevano loro di godersi la vicinanza della persona amata. Jacaerys pensò di invitare Aegon a ballare, dopo aver parlato con Cregan. Doveva fargli rimangiare il suo commento sulla sua incapacità di danzare.

«Jace, senti…»

«So che non sei un suo grande fan» lo interruppe subito, «ma sarebbe importante per me che voi due andaste… non dico per forza d’amore e d’accordo…»

«Bene. Perché l’ho trovato odioso e incivile dal primo istante in cui l’ho visto e in sette anni non mi ha mai dato motivo di cambiare opinione.»

Jacaerys si passò una mano dietro la nuca. 

«Non lo hai conosciuto al suo meglio, Cregan.» 

Lui lo aveva fatto e, sebbene fosse consapevole che nemmeno quella versione di Aegon sarebbe mai entrata nelle grazie del suo amico, era certo che l’avrebbe ritenuta tollerabile. L’Aegon Targaryen che aveva riempito i corridoi di Hogwarts negli ultimi anni non era il vero lui: Jace non aveva ancora capito cosa lo avesse cambiato, il ragazzo gli aveva accennato qualcosa tra un bacio e l’altro ma erano stati entrambi troppo concentrati sulla loro rinnovata relazione per preoccuparsene. Avrebbe preteso delle spiegazioni, ma in quel momento voleva solo godersi la gioia che gli procurava stare di nuovo insieme a lui – perché una parte della sua mente ancora temeva che fosse solo un’illusione, che sarebbe svanita con il sorgere del sole.

Cregan gli posò una mano sulla spalla, abbassandosi per raggiungere il suo sguardo. «Jacaerys» disse, con tono solenne. «Sei sicuro che vada bene così? Sì, io penso e continuerò a pensare che meriteresti di meglio, ma se sei felice per me va bene lo stesso. Voglio solo essere certo che tu lo sia davvero e che quell’idiota non ti spezzerà di nuovo il cuore.»

Aveva espresso paure che albergavano anche dentro di lui, ma Jacaerys rispose comunque con un sorriso. 

«Ha detto che mi ama.» 

Aegon non si era mai sbilanciato nei suoi sentimenti, non li aveva mai racchiusi in parole. Quella era la prova tangibile della veridicità delle sue intenzioni – e Jacaerys voleva credere che avrebbe mantenuto il suo giuramento.

«Davvero?» La sorpresa di Cregan fece ampliare il suo sorriso. 

«Sì. Questa volta è diverso, me lo sento. Andrà tutto bene.»

Un urlo proveniente dal lato opposto della sala attirò la loro attenzione. Davanti al tavolo del buffet si era radunato un capannello di studenti intenti a osservare qualcosa. Jacaerys e Cregan si avvicinarono per capire di cosa si trattasse. 

«Che succede?» chiese Luke, unendosi a loro. «Qualcuno si è sentito male?»

«Oppure è in corso una rissa» commentò divertito Aegon. Il suo sguardo intercettò quello di Jacaerys e il sorriso gli si congelò sulle labbra. «Cazzo…»

Jacaerys si fece largo tra la folla, trovandosi davanti proprio la scena che paventava. Joffrey era a terra, il lato sinistro del volto ricoperto di sangue e la bacchetta abbandonata accanto a lui mentre Criston Cole continuava a colpirlo, incurante delle ferite che gli provocava. Il Serpeverde allungò le dita verso la bacchetta in cerca di una difesa, ma il suo avversario fu più veloce a estrarre la sua. 

«Cru…»

«No!» 

Jacaerys si fece avanti, ma prima che potesse lanciare un Expelliarmus, Cole si accorse della sua presenza e puntò la bacchetta contro di lui. 

Il suo corpo prese ad ardere dall’interno, ogni singolo centimetro di carne, muscolo e ossa inviò spasmi di dolore al suo cervello. Cadde a terra, incapace di sostenere le coltellate roventi che lo stavano attaccando implacabili da ogni lato. Non capì se il grido che si levò nell’aria provenisse dai suoi polmoni o dall’ambiente attorno a sé – non era nemmeno certo che esistesse ancora qualcosa al di fuori di quel dolore. 

A un tratto, improvviso come era arrivato, tutto svanì. Jacaerys riprese a respirare, beandosi dell’aria fredda che gli colpiva il viso e la solidità del pavimento che lo sorreggeva. Sentì delle mani sulle sue spalle e dovette sbattere le palpebre più volte per mettere a fuoco il volto sopra di lui.

«Jace!» gridava Luke. «Jace! Jace, stai bene? Mi senti?»

«Non scuoterlo così, lascialo respirare» lo rimproverò Sara, accovacciata accanto a lui. 

«L-Luke…» Jacaerys sentiva la gola in fiamme e faceva fatica a parlare. 

«Proviamo a farlo sedere» suggerì Helaena. Gli prese il braccio destro, mentre Sara afferrò il sinistro e, sorreggendolo sulla schiena, lo aiutarono a tirarsi su. A Jacaerys girò la testa e fu costretto a chiudere gli occhi per evitare di vomitare. 

«Come ti senti? Sei ferito? Devi andare in Infermeria!»

Jacaerys scosse la testa. Passò una mano tra i riccioli di Luke, rivolgendogli un sorriso che sperava risultasse rassicurante.

«Sto bene. Cosa…»

«Jacaerys Strong!» Rhaenys Velaryon si accovacciò di fronte a lui, afferrandogli il volto tra le mani. Lo scrutò attentamente, poi sospirò e gli passò gentilmente le dita tra i capelli. «Resta in Infermeria per stanotte. Hai subìto la Maledizione solo per pochi secondi, non dovresti patire conseguenze, ma è meglio non correre rischi.»

«Lo accompagno io.» 

Aegon lo afferrò sotto le braccia, tirandolo in piedi. Il movimento improvviso lo destabilizzò e Jacaerys dovette reggersi alle sue spalle per non cadere. Credeva che le sue gambe si fossero liquefatte, ma quando ne tastò la stabilità, si rese conto che erano in grado di sostenerlo, anche se il corpo di Aegon era un aiuto fondamentale per restare in piedi.

«No. Tu, Targaryen, sei in guai seri, così come lo è Cole. Appena si rimetterà subirà gravi conseguenze per le sue azioni, esattamente come te.» 

Rhaenys spostò lo sguardo verso Criston e Jacaerys fece altrettanto. Non riuscì a nascondere il gemito d’orrore che gli provocò la scena dinnanzi a sé: la professoressa Royce stava passando la bacchetta sopra il corpo del ragazzo, facendo fluire il sangue sparso in una chiazza uniforme attorno al suo corpo di nuovo dentro le sue vene. 

«Tu aspetterai con me che il ragazzo si riprenda» sentenziò la preside, fissando Aegon. «Tuo fratello e il signor Stark possono scortare Jace in Infermeria, assieme a Joffrey.»

Jacaerys ricordò solo in quel momento dell’altro responsabile di quella situazione. Joffrey era ancora steso a terra, con Cassandra e altre due ragazze sedute accanto a lui. Metà della sua faccia era coperta di sangue, ma stava sorridendo e stringeva la mano della sua accompagnatrice, tutti segni che era ferito, ma vivo.

«No!» esclamò Aegon, stringendolo contro di sè. «Non intendo allontanarmi da Jace.»

«Targaryen, vuoi aggiungere all’accusa di tentato omicidio anche quella di insubordinazione?»

«Quel pazzo che lei ha riammesso a scuola ha usato una Maledizione Senza Perdono e sarei io quello da punire?» 

Rhaenys sollevò il mento, guardandolo negli occhi con severità. «Ho commesso un errore di valutazione di cui avrò modo di pentirmi per il resto della mia vita. E puoi star certo che il signor Cole vedrà le torri di Azkaban molto presto. Non sarò altrettanto dura con te, ma non posso soprassedere su ciò a cui ho assistito. L’incantesimo che hai usato l’ha quasi ucciso.»

«Però, se non fosse stato per Aegon» intervenne Luke, «Jace starebbe ancora… Avrebbe potuto… Lo ha salvato» disse, prendendo forza dalla mano di Aemond posata sulla sua spalla. «Ha attaccato Cole per difesa, non per crudeltà.»

«Lucerys…»

«Nonna.» Jacaerys si raddrizzò, tenendo però sempre le braccia sulle spalle di Aegon. «Per favore. Lascialo restare con me.»

La donna sgranò gli occhi, sorpresa dal fatto che avesse usato quell’appellativo in pubblico o forse dalla richiesta stessa. Spostò lo sguardo da lui ad Aegon, finché un lampo di comprensione non la colpì e la sua espressione si rilassò. 

Sospirò. «Va bene. Parleremo delle conseguenze delle tue azioni domattina.»

Aegon annuì. Strinse un braccio sulla schiena di Jacaerys. 

«Ce la fai a camminare?» gli chiese. 

«Sì.»

«Sicuro?» Cregan comparve accanto a lui e gli posò una mano sulla spalla. «Posso portarti in spalla, non c’è nessun problema.»

«Posso portarlo io in spalla» ribatté Aegon.

«Piuttosto vado strisciando» disse Jacaerys con uno sbuffo. E, per mostrare loro di farcela, iniziò a camminare. 

Cregan scosse la testa. «Non serve che ti atteggi a eroe imbattibile. Vengo a trovarti domattina, ok? Ora devo riaccompagnare gli studenti nei loro dormitori.»

Jacaerys annuì. «Mi dispiace che il ballo sia stato rovinato.»

«E perché? Non è certo colpa tua» disse Aegon.

«Lo so, però…»

«Non preoccuparti di colpe che non ti competono.» Cregan gli diede un’ultima pacca sulla spalla. «Buon riposo» disse, prima di raggiungere gli studenti radunati davanti alle porte della Sala Grande. 

«Luke.» Jacaerys si voltò in cerca del fratello, che subito gli fu accanto.

«Dimmi!»

«Credo che dovresti seguire Cregan» gli disse con un sorriso, e gli scompigliò i capelli per rassicurarlo ancora una volta che stava bene. 

Luke scosse la testa. «No, io vengo con te.»

«Non credo che Mellos permetterà a più di una persona di restare al mio fianco stanotte.»

Il ragazzo spostò lo sguardo da lui ad Aegon, poi sospirò. Afferrò la mano libera di Jacaerys e la strinse tra le sue. 

«Giurami che starai bene.»

«Certo che starò bene. Io sono invincibile, lo sai.»

«Jace, non sono un bambino, non ci casco più.»

«Fino all’anno scorso lo facevi» rispose, guadagnandosi un’occhiataccia. «Va bene, va bene. Mellos è un ottimo Medimago, non preoccuparti, me la caverò.»

«Va bene» disse, dopo un momento d’incertezza. 

Luke gli lasciò andare la mano e prontamente Aemond prese la sua.

Aegon rise. «Il ragazzo si è già spaventato abbastanza per stasera, fratello, cerca di non peggiorare la situazione con la tua bacchettina imbranata.»

Luke e Jacaerys gli rivolsero uno sguardo interrogativo – poi il maggiore capì.

«No!» gridò. «Voi due, ognuno nella sua camera! E tu tieni le mani lontane da mio fratello, chiaro?» 

Aemond gli rivolse un sorriso divertito. «Temo che ormai sia tardi, Strong.»

«Spero per te di no!» 

Spostò lo sguardo verso Luke, che nel frattempo aveva capito di cosa stavano parlando e aveva abbassato lo sguardo, completamente rosso in volto. 

«È… È meglio… Dobbiamo andare! Riguardati, Jace!»

Corse fuori dalla stanza, trascinandosi dietro un fin troppo compiaciuto Aemond. 

Jacaerys rimase a guardare imbambolato il punto in cui erano scomparsi. Le labbra di Aegon contro la sua tempia lo riscossero dalla trance in cui era caduto.

«Quel grandissimo figlio di puttana!»

«Sarebbe anche mia madre.»

Jacaerys sbuffò. «Non ci posso pensare! Luke che fa… quelle cose… con tuo fratello! Ma ti rendi conto?»

«Già. Dobbiamo vendicarci per quello che hanno combinato, ma intanto preoccupiamoci di te.»

Aegon affondò il volto tra i suoi capelli e la sua vicinanza fece sorridere di riflesso Jacaerys, nonostante l’orrore di ciò che aveva appena scoperto.

«Temo che l’immagine di Luke e Aemond insieme tormenterà la mia mente per parecchio tempo.» 

«La mia invece sarà tormentata dal suono delle tue grida.» Il tremore nella voce di Aegon gli fece stringere il cuore. «Quella maledizione raramente uccide, ma il dolore che causa può portare le persone alla pazzia. Ti ho appena ritrovato e non posso credere di… di averti quasi perso… di nuovo.»

«Sto bene, Aegon.» Jacaerys gli prese il volto tra le mani, sorridendo mentre con i polpastrelli asciugava le lacrime che si erano formate intorno ai suoi occhi. «È finita. Siamo insieme, va tutto bene.»

Posò le labbra sulle sue in un bacio che sperò riuscisse a tranquillizzarlo. Aegon lo abbracciò, affondando il volto nell’incavo del suo collo.

«Se Cole non viene cacciato domani stesso, giuro che lo ammazzo con le mie mani» disse. «Lui e quell’idiota di Lonmouth.»

«Dimenticati di Cole.» Jacaerys gli scostò una ciocca di capelli dal viso, portandogliela dietro l’orecchio. «Per quanto riguarda Joffrey, sono certo che domani Laenor sarà qui a rimproverarlo a dovere. Lascia che se ne occupi lui, d’accordo?»

Aegon sbuffò. «Come vuoi. Ma me la pagherà comunque per averci rovinato la serata!»

Jacaerys non poteva dissentire su quello, ma sorrise al pensiero che, nonostante tutto, avrebbe comunque avuto Aegon accanto a sé per tutta la notte. Fino a un paio d’ore prima era un pensiero inconcepibile e adesso era la realtà. 

«Ehi» gli disse, notando che aveva ancora uno sguardo cupo. «Non lo vuoi sapere?»

«Che cosa?» chiese Aegon, mentre continuavano a camminare verso l’Infermeria.

«Che cosa penso del tuo vestito.» 

Aegon abbassò la testa. «No.»

«Perché?» Forse era troppo presto per tornare a battute e allusioni. Anche se il loro rapporto si era interrotto lì, non significava che dovesse anche ripartirci. «Non… Non importa, lascia stare» rettificò subito, temendo di aver appena distrutto il loro rinnovato legame. «Scusami.»

Aegon si fermò davanti alle porte dell’Infermeria e il suo braccio stretto saldamente attorno alla vita di Jacaerys fece fermare anche lui.

«Jace, so già cosa ne pensi» disse. «Ho visto la faccia che hai fatto quando sono arrivato e, per quanto mi piacerebbe molto ascoltare quello sguardo tradotto in parole, questi pantaloni sono già mortalmente stretti senza che tu peggiori la situazione.»

Jacaerys lo fissò per qualche secondo in silenzio, poi scoppiò a ridere, sollevato che le sue paure fossero immotivate. 

«In effetti» disse, «sembra un po’ attillato.»

«Solo un po’?»

Jacaerys continuò a ridere e presto sentì che anche Aegon aveva iniziato a farlo. Unirono le fronti, mescolando tra le loro labbra la gioia che provavano come avevano fatto tante volte in passato. Jacaerys non vedeva l’ora di scoprire quali altre abitudini avrebbero riscoperto e quali novità avrebbero fatto capolino nel loro rapporto.



 

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Capitolo 6
*** Aegon Targaryen: l'intestino di Leviatano – Parte 1 ***


Note: “L’intestino di Leviatano” è il titolo del libro de “I Miserabili” in cui Hugo parla delle fogne di Parigi. Visto l’argomento della prova, ho deciso di usarlo come titolo del capitolo.
La filastrocca contenuta nella pergamena non l’ho scritta io, ma era nella traccia per sviluppare questa seconda prova.

La mia conoscenza in fatto di Creature Magiche è molto scarsa, quindi non so se tutto quello che ho scritto avrà senso 🙈 Spero comunque che sarà una lettura piacevole ❤


 

Capitolo 6

Aegon Targaryen: l’intestino di Leviatano – Parte 1



«Va tutto bene, ragazzi?» 

Joffrey si voltò verso Cregan e annuì. «Tutto a posto» disse, sorridendo. 

Il prefetto inarcò un sopracciglio. «Sicuro?»

Non poté biasimarlo per il suo scetticismo: non era molto comune vedere lui e le due nuove coppiette felici seduti al tavolo di Corvonero, intenti a fissare un cilindro di piombo. 

Dopo che Aegon si era proposto come secondo campione (fatto avvenuto circa un mese prima) e dopo che le insistenze di Jace erano culminate nella minaccia di non fare mai più sesso con Aegon (e questo era accaduto solo tre giorni prima), lui e i suoi compagni di squadra si erano messi di impegno per provare ad aprire quel cilindro e scoprire l’indizio che conteneva. 

Avevano tentato Incantesimi di ogni genere, incluso il poco ortodosso Bombarda; lo avevano lanciato contro ogni superficie solida nella speranza che si rompesse, rivelando il suo contenuto; lo avevano messo nell’acqua, nel fuoco e nel ghiaccio. Niente lo aveva smosso. 

Il loro ultimo tentativo consisteva nello sperare che l’intelligenza di intere generazioni di Corvonero fluisse in loro attraverso il legno e che bastasse desiderare che il cilindro si aprisse, perché ciò accadesse davvero. 

Il fatto che mancassero meno di ventiquattr’ore all’inizio della prova, l’aveva fatta sembrare a tutti un’idea sensata. 

«Jace, non avete ancora aperto il cilindro?» chiese Cregan, avvicinandosi a lui. A Joffrey non sfuggì la nota di rimprovero nella sua voce.

Jace sospirò. «È più difficile di quanto sembri.»

«Hai qualche idea?» gli chiese Luke, che si era gentilmente offerto di aiutare il fratello, trascinando anche Aemond con sé – il quale, tuttavia, si era limitato a starsene seduto vicino a lui senza apportare nessun contributo alla causa.

«No. Ma so che i ragazzi di Durmstrang l’hanno aperto, perciò un metodo per farlo esiste.»

«È stata forse una certa Greyjoy a darti questa informazione?» chiese Joffrey, già pregustandosi il rossore che avrebbe invaso il volto dello stoico Stark. Non credeva che il ragazzo fosse in grado di provare attrazione per qualcuno, men che meno per un esponente del gentil sesso, ma i recenti avvenimenti lo avevano smentito. 

«Lonmouth, al tuo posto mi preoccuperei meno della vita privata degli altri e più dei tuoi impegni di studente e campione. Hai forse bisogno di subire un altro pestaggio per capire questo semplice concetto?»

Joffrey sbuffò. «Ti ringrazio, Stark. Ogni volta che inizio a trovarti interessante, mi ricordi perché non ti sopporto.» 

Gli diede le spalle, tornando a guardare il cilindro. 

Si portò d’istinto una mano a sfiorarsi la guancia sinistra, percorrendo con i polpastrelli il lungo tratto di cicatrice che gli deturpava il volto. Mentre Criston Cole lo picchiava a sangue, intorno a lui sbocciava l’amore – o rifioriva, come nel caso di Aegon e Jace. Avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro e assistere al loro ritorno di fiamma. 

Ed evitarsi uno sfregio a vita sul viso. 

La sua unica consolazione era che, dopo averlo sgridato per un’eternità, Laenor gli aveva detto che era ancora il ragazzo più bello che avesse mai visto.

«Senti, non potresti chiedere alla tua fidanzata di aiutarci?» La voce di Aegon lo riscosse dai suoi pensieri.

«Tyana non è la mia fidanzata.»

«Va bene, trombamica o quello che- Ahi! Perché mi hai dato un pugno?»

Jace gli scoccò un’occhiata d’avvertimento, prima di voltarsi verso il suo amico. «Scusalo, Cregan. Ehm, però… ecco, un piccolo indizio su come l’hanno aperto loro…»

«Ogni gruppo di campioni deve fare affidamento solo sulle proprie forze. Credo che anche il loro aiuto non rispetti il regolamento» aggiunse, indicando Luke e Aemond. 

«Sono le versioni in miniatura di loro due» spiegò Joffrey, indicando Aegon e Jace. Poi, lanciando un’occhiata al Targaryen più giovane, aggiunse: «Più o meno. Ad ogni modo, loro possono aiutarci.»

«Non che finora siano stati molto utili» commentò Aegon, guadagnandosi un’occhiataccia sia da Jace che da Aemond.

Luke sospirò, poggiando il mento sul tavolo. «Credete che sia così importante aprirlo? Magari Aegon se la caverà anche senza l’indizio. Anzi, forse così si dimostrerà più abile degli altri e guadagnerà punti in più!»

«Il piccoletto ha ragione» disse Aegon, allungandosi sul tavolo per arruffargli i capelli. Aemond gli allontanò la mano, ma al ragazzo sembrò non importare. Si alzò, stirando le braccia sopra la testa. «Farò più bella figura sfruttando unicamente la mia intelligenza.»

«Al contrario» intervenne Aemond. «Credo che aprire questo cilindro faccia parte della prova stessa. Considerato che avete avuto tre mesi per farlo, farete solo la figura degli stupidi o dei lavativi.»

«Concordo con Targaryen» disse Cregan.

«Ehi, non abbiamo avuto esattamente tre mesi» si difese Joffrey. «Io, per esempio, ho passato tutto gennaio in Infermeria.»

«Perché ti sei quasi fatto ammazzare» gli ricordò Aegon. Poi aggiunse, in un sibilo: «E hai messo in pericolo anche Jace.» 

«Mi sono già scusato per quello.» Tecnicamente, l’incidente di Jace era stato causato solo dal Grifondoro stesso e da Criston, ma Joffrey era disposto a riconoscere che quella situazione era venuta a crearsi anche per colpa sua. «E comunque io la mia parte l’avevo già fatta. Voi due piccioncini avreste dovuto mettervi d’impegno e aprire questo affare. O almeno, la metà della coppia rimasta a Hogwarts avrebbe potuto farlo» aggiunse, scoccando uno sguardo di sfida ad Aegon, che non prese bene quell’ultimo commento.

«Va bene, adesso basta!» Jace si alzò in piedi, prendendo le mani di Aegon prima che potesse usarle per colpire Joffrey, e lo costrinse a voltarsi verso di lui. «È acqua passata. Io sto bene, Joffrey è vivo e la tua sospensione è terminata. Fine della storia. Non parleremo più di quanto avvenuto al Ballo del Ceppo, chiaro?» aggiunse, spostando lo sguardo tra lui e Joffrey. «Amici come prima.»

Aegon, di malavoglia, annuì. Joffrey sospirò e si alzò a sua volta. 

«Sì. Scusate, devo essermi svegliato con la luna storta stamani.» Allungò la mano destra verso Aegon. «Amici? Anche se non lo siamo mai stati, ma insomma… quello che era.»

Aegon gli strinse la mano. «Quello che era.»

Si sedettero di nuovo al tavolo.

«Di come hai mandato Aemond col culo per terra, però, ne possiamo parlare, vero?» chiese Aegon, ritrovando subito il suo buon umore.

Jace stava per ridere, ma un cenno di Luke lo fece tornare serio. «No. Evitiamo ogni riferimento spiacevole a quella serata.»

«Ma non era spiacev- Ahi!» Si massaggiò la gamba sotto il tavolo, dove probabilmente Aemond lo aveva appena colpito. «Luke, tieni a bada il tuo fidanzato, per favore.»

«Te la sei cercata» rispose lui, indifferente alla sofferenza del cugino. «Piuttosto, Cregan, puoi darci un indizio? Anche piccolo piccolo. Per favore.»

Anche Jace si voltò verso di lui, fissandolo con gli stessi occhioni supplicanti del fratello. Cregan sospirò.

«Non… Non mi ha detto come lo ha aperto, solo… che lo ha fatto da sola e che è stato semplice.»

«Quindi devo mettermi da solo in una stanza e capirò come aprirlo?» chiese Aegon.

«È possibile.»

«Allora proviamo» disse Jace. Prese il cilindro e lo mise in mano ad Aegon. «Vai nella tua stanza o in un bagno, e vedi se funziona.»

«Perché siete tutti a questo tavolo?» 

Tutti si voltarono verso Helaena Targaryen, che li stava fissando incuriosita. 

«Scusaci, stavamo… Ce ne andiamo subito» disse Jace, alzandosi.

«Oh no, restate pure. Mi fa piacere la vostra compagnia mentre studio» disse, posando i suoi libri accanto a Joffrey. 

«Tu avresti qualche idea per aprire quel cilindro?» le chiese Luke.

«Il cilindro? Oh, non l’avete ancora aperto?»

«No» risposero in coro. 

La ragazza lo tolse dalle mani di Aegon, svitò la parte alta e rovesciò il contenuto del cilindro sul tavolo in mezzo a loro. 

«Ecco.»

Joffrey spostò lo sguardo incredulo da lei agli oggetti sul tavolo. 

Calò il silenzio sul gruppo e lui non ebbe difficoltà a immaginare i pensieri degli altri, perché di certo echeggiavano il suo: era così facile?!

 

~

 

Ti saranno date tre ore di tempo,

vedi di trovare l'uscita nel frattempo.

Sarai solo, isolato e inzuppato,

senza alcun incantesimo come alleato.

Ascolta i tuo compagni e usa l'intuito,

saranno il tuo unico aiuto.

 

Jacaerys ripercorse quelle parole ancora una volta, ma ne trasse sempre le stesse conclusioni: la prova durava tre ore e prevedeva che Aegon uscisse da qualche luogo, avendo come unico alleato il suo intuito e i consigli dei suoi compagni, che immaginava sarebbero stati lontano da lui dal momento che doveva essere solo. Nel cilindro era presente anche un frammento di uno specchio gemello, con cui immaginava avrebbero potuto comunicare con Aegon – anche se non ne avevano il gemello, ma grazie a Cregan aveva saputo che anche i campioni di Durmstrang ne avevano trovato uno solo, perciò probabilmente sarebbe stato fornito loro il giorno della seconda prova. 

Che avrebbe avuto luogo la mattina seguente.

«Jace~» Aegon gli posò il mento sulla spalla, avvolgendosi attorno a lui con tutto il corpo. «Torna sotto le coperte. Non hai freddo?» Gli sfiorò le braccia e le sue dita si scontrarono con i piccoli rilievi formatisi sulla sua pelle. «Sì, decisamente hai freddo.»

«Sto bene» lo liquidò lui, ricominciando a leggere la pergamena.

Aegon gliela strappò dalle mani.

«Aegon!»

«Diventerai cieco a forza di fissarla.» Aprì il primo cassetto del suo comodino e la gettò lì dentro, chiudendolo poi con un tocco della bacchetta. «Le parole non cambieranno, non importa quante volte le leggerai.»

«Ma assumeranno un nuovo significato. È così che funziona con gli indovinelli, Aegon: devi studiarli a fondo per trovare la soluzione.»

«Quello non è un indovinello. È solo un’informazione per dirci il tempo e l’entità della prova.»

«Quindi tu hai capito cosa dovrai fare?»

«Uscire da qualche posto entro tre ore.»

Jacaerys sbuffò. Si sdraiò sul letto, passandosi le mani sul viso. A volte invidiava la tranquillità di Aegon nell’affrontare la vita, ma in momenti come quello un po’ di apprensione sarebbe stata più salutare.

«Sarai inzuppato.»

«Mh?» 

«Solo, isolato e inzuppato. Vuol dire che ci sarà dell’acqua in quel luogo. Converrai con me che uscire da una vasca o da un lago sono due cose diverse, vero? E che affrontare la seconda opzione senza magia potrebbe essere molto pericoloso, per non dire letale.»

Aegon rise, sdraiandosi addosso a lui. Jacaerys fu tentato di dargli un pugno, ma il peso del ragazzo gli rendeva difficile muoversi. 

«Jace, ne abbiamo già parlato» disse, a un soffio dalle sue labbra. «Nessuno morirà in questo torneo.»

Jacaerys sospirò. «Lo so, è solo che… La volta scorsa Joffrey se l’è cavata per un soffio.»

«Grazie a me, ricordi? Domani avrò il mio intuito con me e tanto basterà.»

Jacaerys sbuffò. «Tu hai parlato di un argomento che a me ha dato l’idea giusta. Da solo non ci saresti arrivato.»

«Ed ecco la nostra seconda fortuna» rispose, allegro. «Io parlerò per tre ore e tu, dall’altra parte dello specchio, mi aiuterai a capire come mettere in pratica quello che penso. Ce la caveremo, vedrai.»

Jacaerys stava per ribattere, ma su fermato dalle labbra di Aegon. Chiuse gli occhi, lasciando che quel bacio mettesse a tacere le sue paure. Sollevò le mani tra i suoi capelli, stringendo abbastanza per sentire che era tutto reale. A volte ancora non riusciva a crederci – e il pensiero che il giorno seguente sarebbe potuto accadere qualcosa di brutto al ragazzo che amava, lo faceva agitare ancora di più. 

«Andrà tutto bene» mormorò Aegon. «Abbi un po’ di fede in me.»

Jacaerys sospirò. «Io credo in te, Aegon. So che andrai alla grande. Ho solo paura che ti capiti qualcosa di brutto.»

«Il solito apprensivo.»

Jacaerys sbuffò, ma non riuscì a nascondere un sorriso mentre lo stringeva a sé fino a far aderire perfettamente i loro corpi.

«Uno di noi due dovrà pur esserlo, no?»

Aegon rise e riprese a baciarlo.

 

~

 

Plic. Ploc. Plic. Ploc.

Sentì un suono estraneo intorno a sé, ma non gli andava di aprire gli occhi. Era ancora troppo presto e voleva stare un altro po’ sdraiato accanto a Jace. Si era talmente abituato alla sua presenza da non sentire nemmeno più il peso del suo corpo addosso. Quando sollevò una mano per accarezzargli i capelli, però, le sue dita gli ricaddero sul petto. Aggrottò le sopracciglia: anche il materasso era diventato improvvisamente freddo e duro. 

Aprì gli occhi. 

Era avvolto dalla penombra, rischiarata solo da una tenue luce bianca – forse era la luna? Non aveva idea di che ore fossero.

Si guardò intorno e scoprì che non era più nella sua stanza. Si mise seduto e sentì la sua schiena bagnata: era sdraiato su un rigagnolo d’acqua. Sempre più confuso, frugò tra i vestiti – che qualcuno doveva avergli rimesso mentre dormiva – in cerca della sua bacchetta, ma l’unico risultato di quel movimento fu un dolore all’indice della mano sinistra. Tastò con più attenzione all’interno della giacca e scoprì che l’oggetto che l’aveva tagliato era un frammento di specchio. Lo specchio gemello che aveva trovato nel cilindro il giorno prima.

Si stropicciò gli occhi e osservò il suo riflesso, ritrovandosi a fissare il volto di Jace.

«Aegon!» L’urlo improvviso lo fece sussultare. «Mi vedi? Mi senti?»

«Anche troppo» rispose, massaggiandosi le tempie.

Lo sentì sospirare, mentre l’immagine si spostò e accanto a Jace comparve il volto di Joffrey.

«Buongiorno, principessa» lo salutò lui, allegro. «Sei pronto per iniziare la tua prova e portare tanto onore alla nostra nobile Casa?»

«Be’, lo sarei, se solo sapessi dove cazzo sono.» Si alzò in piedi, guardandosi intorno. Non era nella sua camera, né in alcuna zona del dormitorio. Il freddo e il buio lo fecero pensare ai sotterranei del castello, ma c’era troppa acqua perché fosse lì. 

«Aegon, ascoltaci. Aegon!»

«La smetti di urlarmi in testa, Jace? Sappi che questo è stato il mio peggior risveglio degli ultimi mesi. Perché non siamo più nel mio letto?»

«Sai, credo che Rhaenys vi terrà più sotto controllo, d’ora in poi» rise Joffrey. «Ma tranquilli, vi spiegherò tutti i trucchetti che ho usato a suo tempo con il mio dolce Laenor.»

«Ma di che sta blaterando?» 

Jace sospirò. «Niente, ignoralo. Abbiamo poco tempo, Aegon, quindi presta molta attenzione. Hai iniziato la prova.»

Aegon sbatté le palpebre. «Cosa? Quando?»

«Il countdown è iniziato appena ti sei svegliato, per questo siamo riusciti a contattarti.» L’immagine nello specchio cambiò, compiendo una rotazione che fece venire le vertigini ad Aegon. Fortunatamente, si fermò quasi subito su un foglio pieno di linee. 

«Lo vedi?» chiese Jace. 

Aegon si avvicinò lo specchio al viso, stringendo le palpebre per cercare di capire cosa avesse davanti.

«Mappa dell’impianto… idraulico?» lesse in cima al foglio. «Che vorrebbe dire?»

«Quello che c’è scritto» rispose Joffrey.

«Possiamo evitare altri commenti inutili?» lo rimproverò Jace. «Aegon, sei all’interno di questi condotti» disse, indicando sulla mappa un punto in cui compariva una scritta animata che formava il nome “Aegon Targaryen”. «Solo e inzuppato, ecco il senso di quelle parole. Hai tre ore di tempo per trovare l’uscita, come sai. Noi ti guideremo attraverso i condotti, ma purtroppo ogni chiamata non può durare più di dieci minuti e potremo parlare solo due volte ogni ora. Non potremo sfruttare il tuo piano, ma questi pochi minuti che ci sono concessi dovrebbero bastare per riuscire a indirizzarti correttamente. Mi segui?»

Aegon annuì, poco convinto. «Quindi non devo affrontare nessun nemico? Devo solo… camminare? È questa la prova?»

«Devi uscire da un labirinto buio e bagnato, in cui potresti trovare qualunque ostacolo.»

«Tipo?»

«Non lo so, la preside è stata piuttosto vaga a riguardo. È una prova molto difficile, Aegon, non prenderla sottogamba.»

«Va bene, va bene. Allora, dimmi, da che parte sta l’uscita?» Non voleva far arrabbiare Jace, ma davvero quella prova gli sembrava un’idiozia, soprattutto considerato che i suoi compagni avevano la mappa per condurlo all’uscita. 

Mentre Jace parlava, dicendo che per un po’ avrebbe dovuto proseguire a dritto, Aegon infilò una mano nella tasca sul retro dei pantaloni per prendere la sua bacchetta. Non c’era. Provò davanti, poi all’interno della giacca, ma di nuovo non trovò niente.

«Jace, aspetta un attimo» disse, prendendo a tastarsi tutto il corpo. «Non trovo la bacchetta!» 

«Non ce l’hai» rispose Joffrey.

«Ma certo che ce l’ho! Non mi muovo mai senza.»

«No, intendo dire che te l’hanno tolta per questa prova. Non puoi usare la magia mentre sei nel condotto. Non c’era scritto anche sulla pergamena?»

Aegon fissò lo sguardo sullo specchio, che continuava a inquadrare la mappa. 

«Cos… Davvero?»

«Se l’avessi letta più attentamente, forse lo avresti notato» commentò Jace.

Aegon sbuffò. «Non mi sembra il momento giusto per rimproverarmi, Jace!» 

«Hai ragione, scusa. Ma adesso capisci perché ho detto che sarà difficile?» Aegon concordò in silenzio, non volendo dargliela vinta in quel momento. «Ci restano pochi secondi. Dimmi che hai capito cosa devi fare.»

«Camminare a dritto per un po’. Anche se “un po’” non è molto precisa come informazione.»

«Vedrai delle vie che si aprono ai tuoi lati: non seguirle. Continua sempre lungo lo stesso condotto.»

«Capito.»

Nell’istante in cui pronunciò quella parola, l’immagine sullo specchio cambiò. Non mostrava più né la mappa, né Jace o Joffrey. 

Aegon si ritrovò a fissare il suo riflesso. 

 

 

Non potevano essere passati più di pochi minuti, ma ad Aegon sembravano già ore. Camminava nell’oscurità, con solo la flebile luce che filtrava dall’esterno a illuminare la via. L’acqua non rappresentava un problema per i suoi movimenti, dal momento che gli arrivava appena alle caviglie, ma il continuo sciaff sciaff prodotto dai suoi piedi aveva iniziato a stancarlo.

Ad ogni bivio che aveva incontrato, aveva seguito il consiglio di Jace ed era proseguito a dritto. Aveva pensato di arrivare in fondo prima di contattare nuovamente i suoi compagnia, ma quel condotto sembrava non avere fine. 

Aegon sbuffò. Rallentò il passo e prese lo specchio, che aveva riposto all’interno della giacca. Le indicazioni di Jace non erano state precise, quindi aveva tutto il diritto di chiamarlo per chiederne altre. Magari avrebbe dovuto svoltare in uno dei condotti laterali e continuare ad andare avanti in quel modo gli avrebbe solo fatto perdere tempo. Certo, tre ore erano tante: avrebbe anche potuto farsi dire il percorso subito, così poi si sarebbe gestito il tempo a suo piacimento e avrebbe potuto parlare con Jace quando voleva, senza preoccuparsi di sprecare minuti importanti per la buona riuscita della prova. 

A tal proposito, Aegon tese le orecchie. 

Plic ploc

Silenzio.

Nessun altro suono era udibile là sotto. Gli altri campioni, dunque, non erano nei paraggi. Immaginava che la prova venisse svolta contemporaneamente da tutti e tre, quindi forse prima o poi li avrebbe incontrati. Sarebbero stati loro gli ostacoli che avrebbero intralciato il suo cammino? Possibile. Dopotutto, uscire per primi avrebbe fatto guadagnare più punti che farlo per ultimi. 

Accelerò il passo: senza bacchetta, non aveva idea di come avrebbe fatto a combattere – nelle lotte Babbane non era il massimo e di certo non gli andava di rischiare di spaccare la testa a qualcuno, soprattutto dopo che aveva quasi ucciso Cole. Non gli andava di rischiare di finire ad Azkaban, di nuovo.

Aveva voglia di parlare con Jace. Aveva bisogno della sua voce rassicurante e dei suoi occhi nocciola che lo incitavano, anche attraverso dei rimproveri, non importava: desiderava solo vederlo. 

Si portò lo specchio davanti al volto e stava per pronunciare il nome del ragazzo, quando un suono anomalo attirò la sua attenzione. 

Si guardò attorno, ma non vide comparire nessuno degli altri campioni. E, ascoltando meglio, si rese conto che il suono era piuttosto strano. Sembrava uno schiocco e proveniva da davanti a lui, fatto che lo fece allarmare perché non riusciva a vedere niente che potesse produrre quel rumore. Forse era solo un qualche marchingegno presente nelle tubature, non inerente alla prova e di cui dunque non doveva preoccuparsi. Per sicurezza, però, decise di fare un paio di passi avanti, scrutando attentamente la zona circostante. Lo schiocco – o, meglio, la scia di schiocchi – aumentò di volume. Si stava avvicinando, anche se non sapeva a cosa. 

A un tratto, sentì qualcosa pungergli la caviglia destra. Aegon saltò indietro, abbassando lo sguardo… e scoprì dei piccoli esserini che si muovevano attorno a lui. 

«Ma che caz-»

Non ebbe il tempo di chiedersi cosa fossero che vide le sue gambe invase da uno sciame di quelle creature. Aegon le calciò via – e al loro posto ne comparve il doppio. 

Portò una mano sul retro dei pantaloni e imprecò, ricordandosi che non aveva la bacchetta con sé. 

«Levatevi di torno, via!» urlò, continuando a scalciare con le gambe per impedire loro di arrampicarsi su di lui come se fosse un tronco d’albero. Provò anche ad allontanarli sventolando lo specchio contro di loro: aveva sperimentato la sua affilatura di persona e poteva provare a usarlo come arma improvvisata.

Appena videro lo specchio, quegli esseri – che Aegon riconobbe infine come granchi, anche se piuttosto strani – cercarono di saltare direttamente su quell’oggetto. Uno riuscì a stringerlo tra le zanne e provò a strapparglielo di mano. Aegon strinse la presa e lo allontanò da lui. Non si sarebbe fatto sottrarre la sua unica comunicazione con l’esterno – con Jace.

«Jacaerys!»

Il ragazzo non si fece attendere.

«Aegon, sono passati solo venti…»

«Non me ne frega un cazzo! Dei granchi mi stanno attaccando! Non ho niente per difendermi, che devo fare?»

«Granchi?» chiesero in coro i suoi compagni.

Aegon ruotò lo specchio e lo tenne in alto sopra la sua testa, in modo che loro vedessero di cosa parlava e, allo stesso tempo, impedendo a quegli esseri di avvicinarsi a esso.

«Accidenti!» esclamò Joffrey. «Ma quanti sono?»

«Troppi, per i miei gusti.»

«Lo immagino. Ma… Granchi? Sì, in effetti, sono granchi.»

«Chizpurfle, per la precisione» disse Jace. «Non sono animali pericolosi, anzi sono anche piuttosto semplici da sconfiggere.»

«Ottimo. Come?»

«Con delle pozioni apposite.»

«Ho modo di procurarmi quelle pozioni qui?»

«No…»

«Allora forse mi serve un suggerimento più pratico per il momento, non credi?»

Si allontanò da loro, tenendo sempre lo specchio sopra la testa e notò che, più si allontanava, più i chizcosi lo lasciavano stare.

«Be’, almeno non mi inseguono» disse, traendo un sospiro di sollievo. Abbassò lo specchio, così da poter vedere direttamente i suoi interlocutori.

«Senza pozioni non saprei che suggerirgli» disse Joffrey. «Forse conviene fargli cambiare strada.»

Jace si massaggiò il mento, con la fronte aggrottata in un’espressione pensierosa. Poi scosse la testa.

«No. La strada è questa, deve passare per forza da lì.»

«Allora, non so… Hai detto che non ti hanno seguito, giusto?» gli chiese Joffrey.

Aegon annuì. Guardò verso il punto in cui si trovavano quelle creature e la macchia scura sopra il rigagnolo d’acqua gli confermò che erano ancora lì. 

«Allora potresti provare a passare oltre. Magari devono stare ferme in quella zona e attaccano chi ci passa, ma una volta superate, sei a posto.»

Aegon aggrottò le sopracciglia.

«Jace? Che ne pensi?» chiese. Non gli sembrava una brutta idea, ma preferiva ascoltare anche la sua opinione.

«Che c’è, non ti fidi del mio parere?» sbottò Joffrey.

Aegon sbuffò. «Non particolarmente, no. E comunque è Jace l’esperto di Creature Magiche tra noi.»

«Potrebbe essere un’idea» concordò il ragazzo, ignorando il loro ultimo battibecco. «Solo… I Chizpurfle non sono creature territoriali. Non so perché dovrebbero stare fermi a sorvegliare un punto specifico in un condotto.»

«Magari perché è il punto che porta verso l’uscita?» suggerì Joffrey. «Dopotutto, qualcuno ha messo degli ostacoli nel percorso che conduce fuori, no?»

Visto da quella prospettiva, Aegon dovette riconoscere che aveva ragione. Anche Jace sembrò abbastanza convinto da quelle parole.

«Va bene» disse. «Dai, prova a superarli, vediamo se funziona. Intanto penso a un’altra…»

Aegon smise di ascoltarlo. Fece qualche passo verso i granchi che, notando la sua presenza, si avvicinarono a loro volta. Aegon ne approfittò per correre avanti, saltando oltre i gruppetti che avevano formato e superandoli con facilità. 

Era fatta. 

A quel punto, notò un secondo problema: non c’era più una strada dritta, il condotto si apriva in due diramazioni.

«Ehi, adesso dove dovr-»

Sentì delle piccole punture colpirgli le gambe. Abbassò lo sguardo e scoprì quei granchi di nuovo attaccati a lui. Stavolta non sembravano molto interessati a raggiungere lo specchio, stavano solo cercando di fargli quanto più male possibile. Fortunatamente, i loro attacchi erano poco più che pizzicotti – ma riceverne a decine contemporaneamente era tutt’altro che piacevole.

«Serve un’altra idea!» disse, ricominciando a scalciare e provando anche a toglierseli di dosso con la mano libera. «Questi continuano a starmi tra i piedi!»

«Sono attratti dagli oggetti magici» disse Jace, ragionando più con se stesso che con Aegon. «Forse sono interessati allo specchio, ma potrebbero nutrirsi della sua magia? Di solito attaccano le bacchette perché il loro nucleo è…»

«Jace, mi serve un aiuto pratico, non una lezione!»

«L’“aiuto pratico” si può ottenere dalla conoscenza dei Chizpurfle, non credi?»

«Jacaerys!»

Non ebbe bisogno di guardare dentro lo specchio per sapere che il ragazzo stava roteando gli occhi al cielo.

«Va bene» disse infine. «Prova a… distrarli con qualcosa. Hai oggetti magici da cui ti puoi separare?»

Aegon si tastò alla rinfusa nelle tasche, trovando la pergamena contenente l’indizio scoperto il giorno prima. 

«Ho solo questa» disse, mostrandola a Jace. «Secondo voi è magica?»

«Può darsi» disse Joffrey. «Prova a lanciarla a quei cosi, vedi se funziona.»

«Aspetta un attimo, prima…»

Aegon lo ignorò. Appallottolò la pergamena e la lanciò in mezzo a loro. I granchi osservarono l’oggetto sorpresi. Poi vi si avvicinarono, liberando le sue gambe e dimenticandosi completamente di lui.

Aegon si allontanò un po’ da loro. Quando capì che non lo avrebbero più seguito, esultò.

«Bravo, Lonmouth! Ogni tanto servi a qualcosa anche tu.»

«I tuoi complimenti sono sempre troppo lusinghieri, Targaryen.»

«Sì, sì. Ora, ripassa lo specchio a Jace. Non credo ci sia rimasto molto tempo.»

«Un paio di minuti scarsi» rispose Joffrey, mentre cedeva lo specchio al Grifondoro.

Aegon si aspettava che Jace fosse soddisfatto che si fosse sbarazzato dei granchi, invece sembrava più cupo di prima.

«Va tutto bene?» gli chiese, preoccupato.

«Non hai pensato che forse, se avevi ancora con te la pergamena, poteva essere importante? Ti ricordo che non l’abbiamo – e sto usando il plurale solo per gentilezza – studiata così bene ieri. Magari aveva ancora qualche informazione utile da darci.»

«Be’, è riuscita a togliermi quei cosi di dosso. Penso che la sua utilità fosse quella» ribatté Aegon, facendo spallucce. «Te l’ho detto, non c’era granché da estrarre da quelle parole. Era solo un oggetto, a quanto pare magico, che mi ha aiutato a superare uno degli ostacoli di questa prova.»

«Ha ragione. Su col morale!» lo spalleggiò Joffrey, mettendo un braccio intorno alle spalle di Jace.

«Va bene, sì, forse avete ragione voi» disse Jace, passandosi una mano dietro la nuca. «È solo… Riusciremo mai a prepararci adeguatamente per questo torneo?»

«Ne dubito» rispose Aegon.

«Ma è meglio così» aggiunse Joffrey. «Finora ce la siamo cavata comunque alla grande, no?»

Jace sospirò e annuì, anche se non sembrò molto convinto.

«Bene, restano trenta secondi, ragazzi.»

Jace e Aegon sgranarono gli occhi.

«Sono già passati dieci minuti?» esclamò Aegon.

«Il tempo vola quando ci si diverte» commentò Joffrey.

«Oh, merda! Merda!» Jace armeggiò con qualcosa sul tavolo. «Scusatemi, ehm… Ok, Aegon, ascolta. Sei a un bivio, giusto?»

«Sì.»

«Perfetto. Allora prendi la strada a sinistra. Come prima, sempre a dritto.»

Aegon si voltò verso sinistra, fronteggiando l’ingresso del condotto. Sembrava più buio rispetto a quello in cui si trovava e anche un po’ più stretto.

«Sicuro che sia questo?» chiese.

«Sì. Prosegui lì. Ci risentiamo tra…»

La sua voce si spense e lo specchio tornò a riflettere l’ambiente circostante.

Aegon sbuffò. Costringerli a potersi parlare solo per pochi minuti era puro sadismo.

 

 

La sua prima impressione si rivelò corretta: più si inoltrava nel condotto, più veniva avvolto dal buio e dal silenzio. La sottile scia d’acqua che lo percorreva era abbastanza piccola perché Aegon riuscisse a evitarla senza problemi, anche se si ritrovò a sentire nostalgia del suono che lo aveva accompagnato nel primo condotto. 

Dal momento che non avrebbe potuto contattare i suoi compagni per un po’, aveva riposto di nuovo lo specchio in tasca e usava entrambe le mani per tastare le pareti attorno a lui. Scoprì che c’erano molte vie che si diramavano ai suoi lati, ma seguì l’ordine di Jace e proseguì sempre nella stessa direzione. 

Appena il primo dubbio che il ragazzo avesse letto male la mappa si insinuò nella sua mente, l’ambiente circostante lo mise a tacere. Davanti a lui vide comparire una piccola luce, che si ingrandì man mano che vi si avvicinava. 

A un tratto il passaggio si fece più stretto, tanto che dovette anche abbassarsi per riuscire a passare, ma superato quel punto ostico si ritrovò in un ampio spazio circolare, chiuso da una grata. 

Aegon si avvicinò alle sbarre, guardandosi intorno per capire se ci fossero altre vie per passare, ma non ne trovò. Provò a vedere se la grata si muoveva, ma, ovviamente, era bloccata da un lucchetto. Con un Alohomora avrebbe risolto il problema in un attimo – come facevano i Babbani a vivere senza magia?

Si guardò intorno, cercando di capire cosa fare. Tornare indietro per quel condotto buio e stretto non lo entusiasmava, e non era abbastanza forte da poter aprire la grata a mani nude. 

Estrasse lo specchio dalla tasca. Era passata mezz’ora dalla loro chiamata? Forse sì. Decise di fare un tentativo.

«Jacaerys.» Nessuna risposta. «Joffrey.» Ancora silenzio.

Sbuffò, passandosi una mano tra i capelli. 

Si appoggiò alla grata, cercando di vedere cosa ci fosse dall’altra parte. Il percorso sembrava pulito e notò una luce brillare sul fondo. Doveva essere l’uscita.

«Ho trovato la strada giusta in meno di un’ora» disse, soddisfatto.

Era indubbiamente una prova idiota. Quei chizule (era quasi sicuro che fosse il nome corretto) erano stati un fastidioso impiccio, ma niente di tanto drastico. Com’era giusto, dopotutto: come avrebbe potuto affrontare nemici o attacchi seri senza l’uso della magia?

Stirò le braccia, sentendosi più tranquillo. Non aveva motivo di correre o agitarsi. Era sulla strada giusta, perciò gli sarebbe bastato aspettare lì l’inizio della seconda ora della gara, quando Jace e Joffrey avrebbero potuto dirgli come aprirsi un passaggio attraverso la grata o, nel peggiore dei casi, suggerirgli una strada parallela che gliela facesse aggirare.

Si sedette con la schiena poggiata contro la grata. Quel luogo era completamente asciutto. 

Alzò lo sguardo in alto, verso la luce, e si chiese se la sua famiglia fosse arrivata a Hogwarts per sostenerlo durante la sua prova, anche se solo da lontano. Gli dispiaceva non poter essere in un’arena, circondato da spettatori pronti a fare il tifo per lui: sapere di poter incontrare lo sguardo di Jace e ricevere il suo supporto ogni volta che ne avesse avuto bisogno; poter vedere l’invidia sul volto di Aemond per essere stato, per una volta, migliore di lui; ricevere l’ammirazione e il rispetto di sua madre – e, magari, anche di suo padre. 

Dubitava che Daemon Targaryen fosse andato a sostenerlo in un momento tanto importante ma, se la notizia della sua vittoria lo avesse raggiunto, forse lo avrebbe rivalutato e si sarebbe ricordato che era sangue del suo sangue. Suo padre non era mai stato troppo affettuoso, né con sua madre né con i suoi fratelli, ma Aegon ricordava che non era mai mancato ai loro compleanni e portava sempre qualche regalo dai suoi viaggi. Un piccolo gesto, che Alicent considerava niente, ma che ad Aemond, Helaena e Daeron diceva che, in fondo, Daemon teneva a loro. 

Solo a loro.

Aegon non sapeva perché suo padre lo disprezzasse. Si erano parlati poche volte e lui non lo aveva nemmeno mai visto nei suoi momenti peggiori, eppure era comunque più affezionato ai suoi fratelli, incluso Daeron, nonostante fosse stato cresciuto dagli Hightower.

Sospirò e chiuse le palpebre, sentendo quel familiare formicolio premere ai lati degli occhi. Piangeva meno da quando il suo rapporto con Jace si era risanato, ma nemmeno il suo amore era sufficiente a spengere del tutto il dolore che l’assenza di affetto dalla sua famiglia gli aveva sempre provocato. Se fosse riuscito a ritrovare anche quello, era certo che sarebbe diventato la persona più felice del mondo.

Sentì un lieve sciabordio irrompere nella quiete di quel luogo. Aprì gli occhi, cercando di capire da dove venisse. E perché, a ogni secondo che passava, aumentasse di intensità.

Si alzò in piedi e tese le orecchie, scoprendo che il suono veniva dal condotto da cui era giunto lui. Forse stava per incontrare uno dei suoi avversarsi – anche se doveva essere un toro per causare quel baccano.

Si avvicinò lentamente all’imboccatura del condotto. Il buio gli permetteva di udire solo il rumore dell’acqua. 

La vide nell’istante in cui lo travolse, con una potenza che lo fece andare a sbattere contro la parete vicina. Aegon tossì, inalando altra acqua. In un attimo, si ritrovò sommerso ed ebbe bisogno di tutte le sue forze per riuscire a nuotare in superficie. Là tossì ancora, cercando di liberarsi i polmoni dall’acqua che aveva inghiottito. Strizzò gli occhi e dovette sbattere le palpebre più volte per riuscire a sollevarle abbastanza da osservare la sua situazione. L’acqua era arrivata all’improvviso e aveva riempito la stanza per quasi tutta la sua altezza. Aegon alzò lo sguardo sopra di sé: la parete si trovava a un braccio di distanza dalla sua testa. Tastò l’acciaio per capire se ci fosse un’apertura da cui poter uscire, ma l’unica feritoia presente, quella da cui aveva visto la luce prima, era troppo piccola perché potesse passarci. 

«Maledizione!» 

Quell’allagamento improvviso era un incidente o faceva parte della prova? Sperava che il luogo fosse controllato e sicuro, dal momento che lo avevano abbandonato lì dentro senza la magia. 

Prese lo specchio, sperando che la prima ora fosse scaduta. Chiamò i suoi compagni. Di nuovo, non accade niente.

Sbuffò. Galleggiava senza problemi, poteva aspettare ancora qualche minuto, ma non era esattamente…

La sua testa colpì dolcemente qualcosa sopra di lui. Aegon alzò lo sguardo. Adesso, a separarlo dalla parete, c’erano solo pochi millimetri.

«Perfetto. Jace! JACAERYS!» urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, ma il ragazzo continuava a non rispondergli. 

Aegon strinse lo specchio, troppo spaventato per preoccuparsi dei tagli che si stava procurando. Era in trappola. Una trappola pronta a soffocarlo con la sua morsa glaciale. 

Dovette sollevare il mento per evitare che bocca e naso venissero sommersi dall’acqua; ma a che scopo? Entro pochi secondi non avrebbe più avuto spazio per respirare. 

«Cazzo! Jace! Joffrey!» Cercò di portarsi lo specchio davanti agli occhi, ma il movimento repentino e le sue dita bagnate gli fecero perdere la presa. Il suo unico contatto con l’esterno cadde dentro l’acqua.

«No!»

Senza pensarci due volte, Aegon si immerse. Lo specchio stava lentamente cadendo verso il pavimento, proprio sotto di lui. Nuotò in basso, afferrandolo con entrambe le mani. Non avrebbe potuto chiamare aiuto là sotto, ma forse Jace si sarebbe ricordato di contattarlo, lo avrebbe visto sul punto di affogare e gli avrebbe suggerito cosa fare. O, nel peggiore dei casi, avrebbe avvertito la preside, che lo avrebbe salvato – esito che però, con tutta probabilità, gli avrebbe fatto fallire la prova. 

Davvero sarebbe finita così? Si sarebbe dimostrato, ancora una volta, un completo fallimento? 

Oppure sarebbe morto. Forse sarebbe quasi stato meglio. 

Il sorriso di Jace gli illuminò il cuore, riscaldandolo dal freddo pungente intorno a sé. 

No, non poteva finire così.

Guardò in alto, ma temendo che ormai l’acqua avesse raggiunto il soffitto, non rischiò di sprecare energie preziose per tentare di tornare in superficie. Doveva agire sfruttando quel poco ossigeno che ancora gli riempiva i polmoni. 

La grata che gli aveva ostruito il passaggio permetteva all’acqua di superarla, ma troppo lentamente perché la stanza si svuotasse in tempo. Diede un paio di bracciate in direzione del condotto da cui era arrivato, ma anche lì era pieno d’acqua; e, dal momento che l’inondazione era giunta da là, era logico supporre che anche tutta quella zona fosse impraticabile. 

Cosa poteva fare? Non gli sembrava che ci fossero altre strade. Magari qualche porta nascosta? Qualche passaggio…

Iniziò a sentire i muscoli contrarsi, mentre la vista si appannava. Stava trattenendo il fiato da troppo tempo. Iniziò a nuotare freneticamente, nel disperato tentativo di trovare una soluzione, ma quello sforzo fece solo aumentare il suo malessere. Non poteva finire così, non lo accettava! Doveva esserci una soluzione.

Il suo campo visivo si oscurò e nella sua mente rimase un unico pensiero: Jace. 

Voleva vederlo ancora una volta.

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Capitolo 7
*** Aegon Targaryen: l’intestino di Leviatano – Parte 2 ***


Capitolo 7

Aegon Targaryen: l’intestino di Leviatano – Parte 2



 

Tossì acqua e saliva, talmente a lungo che la sua gola prese a bruciare. Gli girava la testa e si sentiva troppo debole anche solo per stare in ginocchio. Cadde a terra, scontrandosi contro il freddo del metallo sotto di lui. Il rumore dell’acqua continuava a rimbombargli nella testa e il vociare che cercava di raggiungere le sue orecchie non era d’aiuto.

Lentamente, Aegon aprì le palpebre. Si stropicciò gli occhi, cercando di mettere a fuoco l’ambiente circostante. Anche le voci divennero più chiare. Arrivavano dal basso, accanto a lui. 

Aegon abbassò lo sguardo e vide delle immagini muoversi, senza però riuscire a capire di cosa si trattasse. 

«Aegon, ti prego, rispondi!»

La voce di Jace lo ridestò dal suo torpore. Scattò a sedere, prendendo lo specchio e portandoselo davanti agli occhi.

«Jace! Finalmente.»

«Oh, Merlino, grazie.» Il ragazzo lasciò andare un lungo sospiro, chinando in avanti il capo. Quando sollevò di nuovo il volto, Aegon vide che aveva gli occhi lucidi. «Non… Non rispondevi e poi… ti abbiamo sentito tossire, sembravi stare male e ti sei accasciato a terra, temevo che…»

«Sto bene» rispose con voce roca, massaggiandosi la gola. «Ho solo rischiato di annegare.»

«Cosa?» esclamarono entrambi i suoi compagni.

«Già. Sapete, non sono così sicuro che l’obiettivo finale di questo torneo non sia ucciderci.»

«Aspetta, andiamo per gradi» disse Joffrey. «Esattamente cos’è successo? Ti abbiamo visto fermo in questo condotto per parecchio tempo e poi all’improvviso sei tornato qui.»

«Se con “questo condotto” intendi il posto in cui mi avevate indirizzato prima, sì, ero lì.» Si alzò in piedi e scosse la testa, spargendo gocce d’acqua tutto intorno a lui. «C’era una grata, in mezzo al condotto» spiegò. «Dall’altra parte c’era della luce, ma non sapevo come aprirla per raggiungerla. Volevo aspettare lì la fine della prima ora e chiamarvi, ma all’improvviso il condotto si è allagato e poi…»

E poi? 

Aegon si guardò intorno. Non era più nello stesso punto: era in un condotto più buio e c’era di nuovo, sotto i suoi piedi, il rigagnolo d’acqua che aveva incontrato all’inizio della prova.

«Dove sono?» chiese.

«Sei tornato indietro» disse Jace. «All’interno del primo condotto che si diramava da quello in cui ti sei svegliato.»

«Ah. E come ci sono arrivato qui?» Ricordava di aver desiderato rivedere Jace e poi si era ritrovato lì, a metri di distanza dal condotto allagato. «Mi sono Smaterializzato?»

«Direi proprio di sì» disse Joffrey. 

«Ma allora posso usare la magia!»

«Sembrerebbe di sì.»

Aegon sbuffò. Si era preoccupato tanto per niente. Certo, non erano molte le magie che si potevano compiere senza bacchetta – ma in una prova che consisteva solo nello spostamento all’interno di uno spazio fisico, la Smaterializzazione era più che sufficiente!

«Allora ditemi dov’è l’uscita e ci vado subito» esclamò, il panico che lo aveva avvolto nell’altro condotto già dimenticato.

«Non credo che sia così facile» disse Jace, guardando la mappa con le sopracciglia aggrottate. 

«Sei davvero carino quando ti concentri così, lo sai?»

Jace arrossì, facendolo sorridere. Per un momento aveva davvero temuto che non lo avrebbe più visto e ora più che mai sentiva di dover cogliere ogni occasione a sua disposizione per fargli sapere quanto lo amasse.

«N-Non mi sembra il momento adatto, Aegon» mormorò. 

«Come vuoi. Allora forza, dimmi dove si trova l’uscita così posso dimostrarti a dovere quanto ti trovo carino.»

«Ragazzi, me ne pentirò, ma… credo che vi preferissi quando flirtavate senza rendervene conto» commentò Joffrey, guadagnandosi un’occhiataccia da entrambi. «Comunque, mancano tre minuti, se vi interessa.»

«Va bene. Senti, Aegon, per l’uscita c’è un’altra strada, parallela a quella che avevi preso prima» disse Jace, tornando a concentrarsi seriamente sulla prova. «Credo sia meglio evitare l’altra. Purtroppo da qui non possiamo vedere le condizioni in cui si trova – non possiamo valutare la sicurezza nemmeno di questa, però…»

«Ma non mi serve la strada, Jace. Fammi solo vedere il traguardo finale e mi Smaterializzo lì.»

Il ragazzo storse la bocca. «Non sono sicuro che funzionerà.»

«Perché non dovrebbe?» intervenne Joffrey. «L’ha già fatto, no?»

«In una situazione di emergenza.»

«Fa lo stesso» commentarono in coro i due Serpeverde.

«Il tempo scorre» avvisò poi Joffrey. 

A quel punto, Jace sbuffò e mosse lo specchio in modo che inquadrasse la mappa. «Mi sembra un’idiozia, ma facciamolo.» Indicò un punto sulla destra, nemmeno troppo lontano da dove si trovava Aegon. «Ecco, l’uscita è questa. Non sono sicuro di come farai a tornare in superficie, ma il punto da raggiungere è qui. Però, davvero, Smaterializzarsi lì sarebbe troppo semplice, ragazzi. Non avrebbe senso.»

«Infatti ti avevo detto che questa prova era stupida.»

«Hai rischiato di morire, Aegon!»

Lui fece spallucce. «Forse era solo un modo per farci sapere che, in realtà, la magia si può usare. Bene, preparatevi a festeggiarmi all’arrivo.»

Pensò al punto che gli aveva indicato Jace e immaginò di raggiungerlo. 

Non accadde niente. 

Ci provò una seconda volta, ma di nuovo non si mosse.

«Hai dimenticato come ci si Smaterializza?» commentò Joffrey.

Aegon si morse la guancia per non ribattere. Chiuse gli occhi, concentrandosi al massimo. 

Quando li riaprì, era ancora nello stesso posto.

«Ma che cazzo!»

«Come immaginavo» disse Jace, spazientito. «Abbiamo pochi secondi, posso dirti che strada devi fare, adesso?»

Aegon sbuffò. «Va bene, va bene!»

«Dunque, c’è un bivio vicino a te. Devi andare a dritto e poi…»

Silenzio. La comunicazione si interruppe. 

Aegon imprecò. La scoperta che, forse, si poteva usare la magia gli aveva fatto perdere tempo e adesso si ritrovava a non sapere cosa dovesse fare. In teoria, aveva ancora una chiamata per quell’ora, ma valeva la pena sprecarla subito?

Si appoggiò alla parete del condotto, buttando la testa indietro contro il freddo metallo. 

Prese un profondo respiro, cercando di calmarsi. Jace gli aveva dato una piccola indicazione: bivio e andare a dritto. Si guardò intorno e constatò che c’erano tre condotti che si diramavano da quel punto e lui era proprio sull’ingresso di uno di questi. Jace aveva detto di andare a dritto – perciò decise di imboccare quella via. 

 

 

Quel condotto era ampio, ma più vi si addentrava, più diventava buio. Dopo un po’, Aegon dovette tenersi alla parete per capire dove stesse andando. Quell’oscurità era tutt’altro che rassicurante e lo portò a chiedersi se non avesse sbagliato strada. 

Continuò a camminare per diversi metri, accompagnato solo dallo sciaff sciaff dei suoi piedi nell’acqua, che gli arrivava di nuovo fino alle caviglie. A un tratto, la mano che scorreva sulla parete si scontrò con un ostacolo. Aegon provò a spingerlo via, ma era troppo pesante. Sollevò l’altra mano davanti a sé e scoprì di essere di fronte a un’altra parete.

«Grandioso» disse. Tastò in lungo e in largo, in cerca di una maniglia o di un’apertura, ma non trovò niente.

«Aegon.» 

La voce di Jace gli giunse attutita dalla stoffa della sua giacca. Prese lo specchio e vide il volto del suo ragazzo fissarlo da lì, portando un briciolo di luce anche nell’ambiente circostante.

«Ehi. Riesci a vedermi?»

«Non proprio, però ti sento. Hai sbagliato condotto, quello in cui ti trovi si interrompe senza una via d’uscita.»

Aegon posò una mano sulla parete che gli bloccava il cammino. «L’ho notato. Devo tornare indietro, quindi?»

Jace annuì. «Scusami, ti ho dato un’indicazione poco chiara.»

«Be’, in realtà non gliel’hai proprio data» commentò Joffrey. «Adesso però abbiamo dieci minuti per rimediare, forse è il caso di sfruttarli a dovere stavolta.»

«Finalmente hai fatto un discorso sensato» disse Jace, guadagnandosi uno sbuffo da parte dell’altro. 

«Lonmouth, non tormentare il mio Grifondoro» lo rimproverò Aegon.

«Ma non ho fatto niente!»

«Aegon, devi uscire da questo condotto» disse Jace, ignorando Joffrey. «Quando torni al punto di partenza, vedrai una strada alla tua destra. Prendila e da lì…»

«Piano, piano.» Aegon iniziò a camminare, tenendo sempre una mano sulla parete accanto a sé. «Intanto esco da qui e poi mi dai l’indicazione successiva.»

«Sì, hai ragione.»

Proseguì in silenzio, a passo più svelto rispetto all’andata, e iniziò anche a correre quando l’oscurità si fece meno fitta. Giunto al bivio iniziale, tornò a guardare lo specchio. Jace gli stava sorridendo e quell’espressione fece comparire un sorriso anche sul suo volto.

«Adesso?» chiese.

«Vai avanti, verso destra. Sì, perfetto. Segui lo stesso percorso di prima, poi…»

«Aspetta, quindi devo passare di nuovo dai chizu?» Non gli mancavano e, inoltre, non aveva più oggetti magici con cui distrarli.

«Chizpurfle» lo corresse Jace, roteando gli occhi al cielo. Aegon temette che volesse fargli una lezione su quelle creature, invece il ragazzo fu abbastanza clemente da passare oltre. «Purtroppo sì, non ci sono altre strade. Speriamo che ormai se ne siano andati.»

Per sua fortuna, era proprio così. Aegon non ricordava il punto preciso in cui li aveva incontrati, ma giunse di fronte al bivio senza imbattersi in alcun tipo di ostacolo.

«Di qua eviterei» disse, indicando alla sua sinistra. «Sono stato in apnea abbastanza a lungo per oggi.»

«Infatti devi proseguire in questo condotto, sempre a dritto.»

Aegon guardò davanti a sé. Il condotto era abbastanza luminoso, anche se un po’ stretto. «Alla fine ti troverai a un bivio con tre strade distinte: dovrai prendere quella di sinistra.»

«E quella strada dove mi porterà?» chiese, riprendendo a camminare.

«Precisamente all’uscita.»

Aegon sgranò gli occhi. «Sul serio? Ma allora è davvero una caz-» L’occhiataccia di Jace lo fece desistere dal concludere la frase. «Volevo dire, allora la strada di prima era corretta. Almeno in linea d’aria.»

Jace annuì. «Sì. Alla fine dovresti sbucare nello stesso condotto, sperando ovviamente che non sia allagato. Mi raccomando, tieni gli occhi aperti e non prendere questa prova sottogamba!»

«Sì, sì, va bene.»

«Aegon, sono serio. Non voglio vederti di nuovo in punto di morte.»

Aegon gli rivolse un sorrisetto compiaciuto. «Eri tanto preoccupato per me, eh?»

«Sì» rispose, serio. «È normale esserlo, se vedo soffrire il ragazzo che amo.»

Il sorriso scomparve dal volto di Aegon. Non era ancora abituato ad accettare che Jace lo amasse, ma non poteva biasimarlo per essersi spaventato: sapeva bene quanto potesse essere terribile, assistere al dolore di chi si ama.

«Ti prometto che farò più attenzione d’ora in poi» disse, sincero.

Jace annuì, poi gli sorrise. «Ti conviene. Non vuoi essere festeggiato a dovere, quando uscirai?»

«Puoi scommetterci!»

«Ehm, piccioncini» si intromise Joffrey, «per la cronaca, all’uscita ci saranno i vostri parenti. Non so se vi conviene saltarvi addosso davanti a loro.»

Aegon ponderò attentamente la questione. In realtà, lui l’avrebbe trovato molto divertente – ma, vedendo il volto paonazzo di Jace, evitò di dirlo. 

«Comunque, buona fortuna, Targaryen» disse Joffrey, sporgendosi verso Jace per guardare nello specchio. «Ci sentiamo tra… una quarantina di minuti, circa.»

«È già finito il tempo?» esclamarono Aegon e Jace.

La scomparsa dell’immagine dallo specchio fu la risposta.

 

 

Aegon proseguì nel suo cammino, guardandosi intorno per accertarsi che non ci fossero pericoli in vista. Il condotto aveva sempre mantenuto una buona luminosità lungo tutto il percorso, sufficiente a permettergli di vedere bene l’ambiente circostante, ma a un certo punto si era ristretto al punto che aveva dovuto camminare con la schiena abbassata. Per fortuna, non era stato un tratto lungo. 

Aveva visto spesso dei condotti aprirsi ai suoi lati, ma Jace aveva parlato di un bivio a tre strade, perciò aveva continuato a dritto. Sperava di non essersi sbagliato. 

Sbuffò. Odiava non poter parlare con lui e, soprattutto, non sapere quando avrebbe potuto contattarlo di nuovo. Quanti minuti erano passati? Cinque? Venti? Non aveva niente con sé che gli permettesse di valutare lo scorrere del tempo. Visto che in quella prova dovevano comportarsi come Babbani, avrebbero almeno potuto dargli uno di quei braccialetti da tenere al polso che segna l’ora. 

Dovette abbassarsi di nuovo per attraversare un punto particolarmente ostico, in cui si era anche formata una grande pozza d’acqua. 

«Non fare altri scherzi, eh!» le disse, mentre la attraversava bagnandosi fino alla vita. 

Dopo quel passaggio, però, Aegon si permise di tirare un sospiro di sollievo: davanti a lui si aprivano tre strade. 

Sorrise. L’uscita ormai doveva essere vicina. 

Puntò lo sguardo verso il condotto di sinistra, ma prima che potesse raggiungerlo, il silenzio intorno a lui venne rotto da una melodia. Era un suono armonioso e dolce, e gli dispiacque non averlo ascoltato prima, gli avrebbe potuto tenere compagnia durante il tragitto. Aveva un che di confortante: gli ricordava la voce di sua madre.

Aegon si voltò, cercando di capire da dove venisse quel suono. Sembrava avere origine dietro di lui, ma non ne era del tutto certo. Non che avesse importanza, in fondo. Chiunque ne fosse il responsabile, forse si sarebbe spaventato vedendolo e avrebbe smesso di cantare. Aegon voleva ascoltare quella melodia per tutta la vita. 

Chiuse gli occhi e si rivide bambino, steso sotto le coperte mentre sua madre cantava per lui e suo padre gli raccontava delle sue avventure da Auror, finché non si addormentava. Era un ricordo piacevole, in cui sarebbe sprofondato volentieri; ma non poteva farlo, giusto?

Aegon aprì gli occhi. C’erano tre condotti davanti a sé e uno alle sue spalle. Gli sembrava di essere arrivato da lì, ma lui doveva andare avanti. Giusto? Sì, in effetti, quello non era un bel posto: sarebbe stato meglio uscire. 

Osservò le strade davanti a sé, cercando di capire quale dovesse prendere. Jace non glielo aveva detto? Gli sembrava di sì…

A un tratto, il canto si fece più flebile, come se si stesse spegnendo. 

«No!» esclamò. Non voleva tornare a sentire solo il silenzio. Non riusciva ancora a capire l’origine di quel suono, ma si rese conto che stava svanendo nel condotto centrale. 

Lo seguì.

Corse là dentro, dove il suono si alternava in note più vicine e altre più lontane. Aegon continuò a correre, inseguendolo e lasciandosi avvolgere dai ricordi che gli provocava.

Il primo Natale trascorso con tutta la sua famiglia, quando Daeron non aveva nemmeno compiuto un anno.

La Firebolt che suo padre gli aveva regalato prima di accompagnarlo al binario 9 e ¾.

I complimenti degli insegnanti per il suo ottimo percorso scolastico.

L’ammirazione di Aemond, che desiderava diventare come lui un giorno.

Il piccolo drago di legno che Jace gli aveva regalato al primo anno di scuola, perfetto come il Sunfyre leggendario.

Aegon si fermò. Nella sua mente si era formata l’immagine di una statuina fatta a regola d’arte, che non aveva niente a che vedere con quella che teneva sul suo comodino. Jace decisamente non era un intagliatore esperto e quel Sunfyre non aveva niente a che vedere con l’originale. Aegon lo amava lo stesso, ma…

Non aveva mai avuto una Firebolt. O meglio, gli era stata regalata, sì, ma non da suo padre. Era stato un dono di Harwin e Rhaenyra, che sua madre gli aveva proibito di usare dopo l’incidente tra Luke e Aemond. 

Si massaggiò le tempie, sentendo improvvisamente la testa pesante. Come mai quelle fantasie – quei desideri – lo avevano colto in un momento del genere? Aveva una gara da portare a termine, non poteva…

Si guardò intorno, rendendosi conto solo in quel momento di trovarsi in un condotto completamente buio e silenzioso. La melodia che aveva sentito poc’anzi era svanita e, anche se non sapeva con esattezza dove si trovasse, era piuttosto certo di non aver imboccato la strada giusta. Jace aveva detto di andare a sinistra – lui dov’era andato?

Si voltò, sperando di vedere dietro di sé la strada giusta; ma anche lì era tutto buio. Si era immerso nell’oscurità senza essersene reso conto.

Aegon sbuffò e sbatté la testa contro la parete metallica. Estrasse lo specchio dalla giacca, poi scosse la testa, riponendolo nella tasca. Non era ancora iniziata la terza ora o Jace e Joffrey, vedendo che aveva imboccato la strada sbagliata, lo avrebbero chiamato. 

Si passò le mani sul viso, lasciandosi scivolare a terra. Avrebbe dovuto aspettare che i suoi compagni lo contattassero per riuscire a uscire da lì e ritrovare la strada giusta, e questo gli avrebbe fatto perdere altro tempo. Senza contare che, anche sulla strada giusta, avrebbe potuto imbattersi in qualche ostacolo che l’avrebbe intralciato di nuovo. E se non fosse riuscito a uscire nel tempo previsto dalla Prova? Gli avrebbero sottratto punti? Avrebbero squalificato la sua squadra? Tutti i loro sforzi sarebbero andati perduti.

Be’, gli sforzi di Joffrey e Jace. 

Lui cos’aveva fatto di utile per la sua squadra? Lamentarsi, disinteressarsi alla sfida, considerare quella prova una passeggiata, nonostante i ripetuti moniti di fare attenzione. 

Si lasciò sfuggire una risata. Davvero aveva creduto di poter dare un qualche tipo di apporto alla sua squadra, in un torneo così complesso come il Tremaghi? Era stato un vero idiota. Non importava cosa facesse, quanto ci provasse: non sarebbe mai stato altro che una delusione.

Strinse le ginocchia al petto e vi poggiò sopra la fronte. Perché si ostinava a provarci? Il risultato era sempre lo stesso. Suo padre continuava a odiarlo, sua madre si vergognava a chiamarlo “figlio” e i suoi fratelli lo disprezzavano. E lui era così stupido nel desiderare più affetto dalla sua famiglia, che aveva trasformato le sue illusioni in ricordi reali e si era fatto fregare da…

Maridi. Era il canto dei Maridi quello che aveva udito e che lo aveva condotto fin lì.

Rise, mentre le lacrime iniziavano a cadere dai suoi occhi. Era semplice riconoscerli, erano anche una delle poche Creature Magiche che ricordava di aver studiato, eppure non l’aveva capito finché non era stato troppo tardi. Un perfetto esempio della sua vita: errori reiterati e delusioni cocenti per gli altri – e per se stesso.

Prese di nuovo lo specchio. Avrebbe voluto vedere Jace, ma cosa avrebbe potuto dirgli? Il suo ragazzo gli aveva dato indicazioni precise e lui era comunque riuscito a perdersi. Non era in grado di fare niente senza il suo aiuto. Jace non meritava un simile fallimento accanto a sé.

Non avrebbero festeggiato niente al suo ritorno. Ad aspettarlo, avrebbe solo trovato i suoi compagni delusi e imbarazzati per la sua performance. Jace non gli avrebbe sorriso, non lo avrebbe abbracciato: lo avrebbe guardato come facevano tutti, capendo che non aveva senso sprecare il suo tempo con lui. 

Aegon lo avrebbe perso di nuovo. Avrebbe dovuto dire addio all’unica cosa bella che esistesse nel suo mondo. 

Quel pensiero gli tolse il fiato. 

Ripensò a tutti i momenti che avevano trascorso insieme e poi a quegli ultimi mesi, che erano stati, senza ombra di dubbio, i più felici della sua vita. Rideva, scherzava, addirittura studiava. Tutto era più bello e semplice, se aveva Jace accanto a sé. 

E anche Jace sembrava felice con lui e approfittava di ogni occasione per stare in sua compagnia. 

“Ti amo anch’io, Aegon.”

Anche quelle parole erano un’illusione della sua mente? No, di questo ne era certo: erano reali. Jace gli aveva davvero detto di amarlo, con parole e gesti.

“Io credo in te, Aegon.”

Quand’era stata l’ultima volta che qualcuno aveva avuto fiducia in lui? Non riusciva a ricordarlo. 

Io credo in te, Aegon.”

Aegon alzò la testa, sentendo quelle parole rimbombare intorno a lui. Erano ancora più melodiose del canto dei Maridi, ma a differenza loro non lo trascinarono a fondo. 

Si alzò, passandosi la manica della giacca sul volto per asciugare le lacrime.

Jace credeva in lui. Tutti gli altri si erano arresi, ma lui non l’aveva ancora fatto e Aegon non poteva permettersi di deluderlo. 

Doveva provarci. 

Magari avrebbe fallito, ma almeno avrebbe dimostrato – a Jace, e anche a se stesso – che non era un vigliacco che si arrendeva alla prima difficoltà. 

Si incamminò verso destra. Era ancora tutto buio, ma sapeva per certo di essere venuto da là. A un tratto, finì con i piedi immersi nell’acqua, ma lo prese come un segno positivo: ricordava di essere passato da un’ampia pozza prima di sentire il canto. E, a tal proposito, decise di coprirsi le orecchie, nel caso i Maridi fossero ricomparsi. 

Continuò a camminare, cercando di ricordare se aveva visto qualcosa di particolare all’andata, così da riconoscere se era sulla strada giusta oppure no. Gli sembrava di ricordare di aver imboccato il condotto centrale, perciò, ammesso che avesse proseguito sempre a dritto, l’uscita doveva trovarsi alla sua destra in quel momento. Era un’ipotesi azzardata, ma decise di sperare in un po’ di fortuna e ignorò completamente i condotti che si aprivano alla sua sinistra.

Finalmente iniziò a scorgere qualche raggio di luce davanti a sé. Credeva di non aver camminato molto a lungo all’inizio e, infatti, ben presto si ritrovò al bivio di partenza.

Aegon si guardò intorno, incredulo. Ce l’aveva fatta davvero. Aveva risolto il problema facendo affidamento sulle sue sole forze!

Avrebbe voluto esultare, ma non aveva tempo. Ne aveva sprecato già troppo a sognare e compatirsi: adesso era il momento di agire. 

Si avvicinò al condotto opposto a quello da cui era appena sbucato e si voltò, guardando le tre strade davanti a sé. Ricreò la stessa situazione in cui si era trovato prima che i Maridi lo distraessero, così da essere certo di non sbagliare di nuovo. 

Inspirò a fondo e si diresse verso il condotto di sinistra.

 

 

«Aegon!»

Aegon prese lo specchio e non riuscì a trattenere un sorriso a trentadue denti quando vide Jace.

«Ciao, Jace.»

«Ciao.» Lui abbozzò un sorriso, ma aggrottò le sopracciglia in un’espressione dubbiosa. «Va tutto bene? Abbiamo visto che sei entrato nel condotto sbagliato, sei stato fermo per un po’ e ora…»

«Sono nel posto giusto, vero?» chiese. 

«S-Sì, stai andando verso l’uscita. Ormai non dovrebbe nemmeno mancare molto.»

«Bene!»

«Già, ma perché non hai preso subito questa strada?» chiese Joffrey, infilandosi nell’inquadratura. «Non ti ricordavi più dove dovevi andare?»

Aegon sbuffò. «Certo che me lo ricordavo. Ho solo… incontrato un altro ostacolo.»

«Un ostacolo? Di che tipo?» chiese Jace.

Aegon si grattò il mento. Non aveva problemi a raccontargli tutto quello che era successo, ma non aveva voglia di aprirsi davanti a Joffrey. Chiedergli di tapparsi le orecchie, però, non era un’opzione.

«Maridi» rispose. «Il loro canto mi ha distratto e mi ha fatto prendere la strada sbagliata. Ma sono riuscito ad accorgermene in tempo e tornare indietro.»

«Maridi? Cavolo! Quelli sono dei veri bastardi» commentò Joffrey. «Complimenti per essere riuscito a liberartene.»

Aegon aggrottò le sopracciglia. «Grazie» rispose, piano.

«Sei stato bravissimo, Aegon» disse Jace, rivolgendogli un sorriso che desiderò poter baciare all’istante. «Sono fiero di te. Mi dispiace che tu abbia dovuto affrontarli da solo, sarei voluto essere insieme a te.»

Aegon sorrise. «C’eri.»

Jace sbatté le palpebre, confuso, ma prima che potesse chiedere spiegazioni, Joffrey esclamò: «Guarda, sei vicinissimo!»

Jace abbassò lo sguardo sulla mappa, mentre lui si guardò intorno. Notò che il condotto virava verso sinistra e da lì arrivava più luce.

«Quindi è… La prova è davvero finita?» chiese. 

«Be’... suppongo di sì» disse Jace. 

«Secondo voi, i punti in base a cosa li assegneranno?» chiese Joffrey.

«Non ne ho idea. Ma, per quello che ho affrontato, direi che già solo uscire in tempo dovrebbe farmi meritare il primo posto!»

Jace scosse la testa, sorridendo. «Non voglio infrangere i tuoi sogni, ma anche i tuoi sfidanti hanno incontrato le tue stesse difficoltà.»

«Già, a proposito» disse Aegon, guardandosi intorno. «Non ho visto nessuno di loro. È normale?»

«Sì. Ognuno aveva un percorso diverso, così da poter svolgere la prova nello stesso momento senza interferire l’uno con l’altro.»

Aegon annuì. Non era stata una brutta idea, ma sarebbe stato divertente passare un po’ di tempo con la Greyjoy. Forse lei sarebbe stata più loquace di Cregan e avrebbe finalmente risolto il mistero sulla natura della loro relazione.

«Bene, adesso il condotto dovrebbe virare» disse Jace, riscuotendolo dai suoi pensieri. «Poi da lì vai a destra e ci sei.»

Aegon svoltò verso sinistra e si ritrovò con i piedi nell’acqua. Vide in lontananza una grata e sbuffò.

«Credo di essere tornato nel condotto in cui sono quasi morto» disse.

«Sì, è lo stesso» confermò Jace. «Ma ora dovresti poter proseguire senza ostacoli. Riesci a vedere l’uscita?»

Aegon si guardò intorno. Verso destra, a pochi metri di distanza da lui, notò una luce azzurra brillare sul soffitto. Non aveva l’aria di un fenomeno naturale. 

«C’è una luce strana, qui vicino» disse. «È quella? Non è esattamente come immaginavo l’uscita.»

«Forse c’è una Passaporta» disse Joffrey. «Sei sottoterra, dubito che ci sia una porta normale che si apra sulla superficie e ti permetta di uscire.»

Aegon pensò che avesse ragione, anche se non sarebbe stato sorpreso se lo avessero costretto ad arrampicarsi fino in cima, come avrebbe dovuto fare un Babbano se si fosse trovato al suo posto. 

La vita senza magia era davvero difficile.

Si diresse verso quel punto. L’acqua iniziò a salirgli fino alle caviglie e poi alle ginocchia.

«Tutto bene?» gli chiese Jace.

«Sì, sì. Però non voglio più vedere una goccia d’acqua per il resto della mia vita.»

Jace e Joffrey risero, guadagnandosi un’occhiataccia da parte sua. Non l’avrebbero trovato divertente, se fossero stati al suo posto.

A un tratto, Aegon sentì qualcosa afferrargli la caviglia destra in una morsa ferrea. Provò a muovere il piede, ma sembrava incastrato.

«Perché ti sei fermato?» chiese Jace, nello stesso momento in cui avvertì qualcosa graffiargli la gamba. «Aegon?»

«Che cazzo!» sbottò, voltandosi per cercare di capire cosa stesse succedendo. «C’è qualcosa qui den-Argh!» 

Aegon perse l’equilibrio e cadde in avanti, ed ebbe solo la prontezza di ripararsi la faccia con il braccio prima di sbattere sul pavimento. Sollevò la testa, sputando l’acqua che per sbaglio aveva ingoiato, e imprecò. Si voltò su se stesso, restando seduto a terra, e finalmente vide ciò che lo aveva aggredito.

«Un Avvincino!» esclamò. «Mi ci mancava solo un Avvincino, oggi! Questo come me lo levo dal cazzo senza magia?» 

Non ricevendo risposta, spostò lo sguardo sullo specchio, che gli restituì solo il suo riflesso. Sbuffò: probabilmente i dieci minuti erano già passati. Poco male, aveva un’altra chiamata a disposizione.

«Jacaerys.» Nessuna risposta. Aegon aggrottò le sopracciglia. «Joffrey. Ehi, mi sentite?»

Perché non riusciva a contattarli? La terza ora era appena iniziata e aveva parlato con loro solo una volta. Doveva per forza aspettare del tempo prima di poterli chiamare di nuovo? Ma quella era un’emergenza, non poteva…

L’Avvincino lo trascinò indietro all’improvviso, facendolo finire in acqua. Aegon riuscì a sollevarsi subito e si ritrovò a fissare il volto del demone, che ghignava attraverso la superficie. 

«Jace!» Tentò di nuovo, ma, continuando a non ricevere risposta, ripose lo specchio nella giacca e si concentrò sul suo avversario. «Ehi, senti, sono stanco e non ho voglia di giocare con te. Va’ a tormentare qualcun altro.»

L’Avvincino sbatté le palpebre. Sembrava confuso e Aegon non ricordava se fosse in grado di comprendere il suo linguaggio oppure no. Lo aveva affrontato durante il terzo anno di scuola, ma l’unica cosa che rammentava era che era riuscito a sconfiggerlo con la magia. 

La confusione, comunque, lasciò presto il volto del demone, che sempre con il suo ghigno tronfio gli affondò gli artigli nella coscia. Aegon gemette e cercò di afferrarlo per toglierselo di dosso, ma la tua testa era viscida e scivolosa, e i suoi tentativi di combatterlo sembrarono solo farlo divertire di più. 

Aegon lanciò un’occhiata alle sue spalle, dove vedeva ancora brillare la luce blu. Pochi metri e l’avrebbe raggiunta. 

Strinse i denti e si alzò in piedi, deciso a raggiungere subito la Passaporta o qualunque cosa ci fosse stata lì che lo avrebbe riportato in superficie. 

Appena fu fuori dall’acqua, l’Avvincino emise un verso stridulo e lo lasciò andare. Aegon inarcò un sopracciglio, ma non gli prestò ulteriori attenzioni: se aveva deciso di lasciarlo in pace, non era sua intenzione fargli cambiare idea. 

Si diresse verso la luce, più lentamente di quanto avrebbe voluto perché costretto a combattere contro la resistenza dell’acqua. 

Proprio quando credeva di essere davvero giunto alla fine, l’Avvincino si attaccò di nuovo a lui.

«Ma non hai proprio niente di meglio da fare?» sbottò. «E voi stronzi del Ministero, se è un modo per non farmi vincere, me la pagherete cara!»

L’Avvincino stavolta aveva attaccato l’altra gamba, ma Aegon notò che il suo corpo era ancora sott’acqua. Ripensò al verso che aveva emesso quando si era ritrovato fuori: sembrava sofferente, come se non sopportasse di uscire dal suo ambiente naturale. Il che era plausibile, considerato che si trattava di un demone acquatico. 

Aegon ricambiò il ghigno che l’Avvincino continuava a rivolgergli, gesto che la creatura non sembrò apprezzare. 

«Ehi, ci sono altri punti del mio corpo che puoi colpire» disse, avvicinandosi a lui. «Vieni, lascia che te li mostri.»

Quando provò ad afferrarlo, l’Avvicino agitò le sue lunghe dita, cercando di scacciarlo. Il sorrisetto compiaciuto era scomparso dal suo volto, ma riuscire a prenderlo mentre si difendeva era ancora più complicato di prima. Presto, la sua sicurezza tornò, mentre Aegon si fece sempre più impaziente. Gli stava facendo perdere un’infinità di tempo.

Con uno dei suoi artigli, riuscì a graffiargli una mano. Rise, soddisfatto del suo operato.

«Mi hai veramente rotto il cazzo!»

Aegon strinse una delle dita dell’Avvincino e questa, in un attimo, si spezzò. All’improvviso la sua mente fu invasa da un ricordo: era estate, lui e Jace erano fuori dall’aula di Difesa contro le Arti Oscure in attesa del loro esame di fine anno. Il Grifondoro era nervoso, mentre lui aspettava tranquillo appoggiato al davanzale della finestra.

“Stai tranquillo, Jace. Se sbagli Incantesimo, puoi sempre usare il metodo Babbano per liberarti: hanno dita talmente fragili che penso basti toccarle per spezzarle.”

Aegon sorrise. Doveva ammettere che il suo ragazzo aveva ragione: conoscere il proprio nemico era il modo più utile per abbatterlo.

L’Avvincino, anche se dolorante, strinse la presa sulla sua gamba e lo fissò pieno di rabbia. 

Aegon indicò verso il lato opposto del condotto. «Guarda che nessuno ti obbliga a stare qui» disse. «Vattene e potrai tenerti le altre dita.»

Il demone emise un grido infastidito e lo colpì di nuovo con i suoi artigli. Aegon non perse altro tempo. Strinse le mani attorno alle dita dell’Avvincino, riuscendo a spezzarne un paio prima che questo allentasse la presa. A quel punto, lo afferrò per il corpo e lo tirò fuori dall’acqua. Quello si guardò intorno, gemendo terrorizzato.

«Guarda, guarda. Come mai non ridi più?» lo canzonò lui. «Vuoi tornare in acqua, per caso?»

L’Avvincino lo fissò con occhi supplicanti. Aegon guardò in basso, verso la sua gamba piena di tagli. Non aveva molta voglia di lasciarlo vivere – ma poi ricordò che era stato proprio dopo il loro esame che Jace lo aveva baciato per la prima volta, ringraziandolo per avergli dato dei consigli utili per superare la prova. 

Aegon sospirò. Lanciò l’Avvincino in acqua, abbastanza lontano perché potesse finalmente raggiungere la sua meta senza che quella creatura lo infastidisse ancora.

Si voltò e corse il più in fretta che potè verso la luce. Lì scoprì che l’illuminazione era dovuta a un cerchio magico, all’interno del quale si trovava una bacchetta.

La sua bacchetta.

«Merlino, grazie! Non sono mai stato così felice di vederti» disse.

Allungò il braccio verso il bastoncino di legno e, appena lo toccò, ebbe l’impressione che un gancio lo afferrasse all’ombelico e lo strattonasse via.

 

 

Aprì gli occhi e subito li richiuse, portando una mano a schermarli dal Sole. La sua luce gli faceva dolere le tempie e le urla attorno a lui gli facevano scoppiare la testa. Credeva di essere uscito dall’impianto idraulico, ma già altre volte quella mattina aveva creduto di essere arrivato alla fine solo per essere brutalmente smentito, perciò aspettò a cantare vittoria. 

Quando riuscì a schiudere abbastanza le palpebre per mettere a fuoco l’ambiente circostante, notò un gruppo di persone radunate su un prato. Prato su cui si trovava anche lui. 

A un tratto si sentì colpire da qualcosa e, abbassando la testa, si ritrovò a fissare i riccioli scuri di Luke.

«Complimenti, Aegon.» Helaena si avvicinò a lui, seguita da Aemond e Cregan Stark. 

Impiegò qualche secondo a realizzare la situazione.

Era fuori. Era uscito!

Si guardò intorno, cercando il volto di Jace, ma si scontrò invece con la faccia di sua madre – e i suoi capelli in faccia, quando lei lo abbracciò.

«Mi hai fatto spaventare» disse. «In certi momenti temevo che non ce l’avresti fatta… ma sei stato bravissimo!»

Aegon sbatté le palpebre. Chi era quella donna che aveva l’aspetto di sua madre e gli parlava con tanta gentilezza?

«Hai svolto un’ottima prova, Aegon» disse Rhaenyra Targaryen, avvicinandosi a lui al fianco di suo marito. 

Aegon annuì appena, sempre più confuso. E la sua confusione peggiorò ulteriormente quando vide sua cugina passare una mano sulla schiena di Alicent, in un amichevole gesto di conforto. Sua madre si separò da lui, rivolgendogli un grande sorriso prima di voltarsi verso Rhaenyra, a cui sorrise timidamente.

Aegon guardò Aemond, che stava cercando di ripulire Luke dall’acqua sporca che lo aveva macchiato quando lo aveva abbracciato. Quando suo fratello incontrò il suo sguardo, lui inarcò un sopracciglio e indicò con la testa le due donne vicino a loro. La sua unica risposta fu un piccolo cenno del capo, che però Aegon non riuscì a interpretare.

Helaena gli si avvicinò, prendendogli una mano tra le sue.

«Le torri non bruciano più. Dal fango si può risorgere, più splendenti di prima. Le parole sanno fare miracoli.»

Aegon aggrottò le sopracciglia, ma poi scosse la testa. Aveva avuto una mattinata fin troppo piena di avvenimenti per i suoi gusti: a sua madre e Rhaenyra avrebbe pensato un’altra volta.

«Aegon!»

Si voltò all’istante sentendo quella voce e si ritrovò subito stretto tra le braccia di Jace. Aegon ricambiò l’abbraccio, lasciandosi avvolgere da quell’agognato contatto. Affondò il volto nell’incavo del suo collo e respirò a fondo il suo familiare profumo. 

«Come stai?» gli chiese Jace, scostandosi da lui quanto bastava per guardarlo in viso. «Cos’è successo alla fine? Ti abbiamo sentito urlare, ma poi sei scomparso. Perché non rispondevi?»

«Calma, calma.» Joffrey si avvicinò a loro, mettendo le mani sulle spalle di Jace. «Lascialo respirare, come vedi è vivo, quindi tutto a posto. Congratulazioni per essere uscito, Targaryen. E sei anche il primo, credo.»

«Tyana Greyjoy è uscita pochi minuti prima di lui» rispose Rhaenys Velaryon, avvicinandosi a loro nel suo elegante completo blu, che Aegon le aveva visto sfoggiare anche durante la Prima Prova. «Hai comunque concluso la prova prima dello scadere del tempo, il che è encomiabile. Lo sono meno le parole che hai rivolto agli organizzatori del Torneo.»

Aegon sgranò gli occhi. «Avete… Lo avete sentito?»

Tutti, a eccezione di Jace e Joffrey, annuirono, qualcuno ridendo – Luke e Laenor –, qualcuno guardandolo con rimprovero – Cregan e Aemond. 

«Abbiamo seguito tutto il tuo percorso, Targaryen» rispose la preside. «Ma, per tua fortuna, abbiamo accettato che la fatica e lo stress della prova abbiano attenuato i tuoi freni inibitori e tu ti sia lasciato andare a uno sfogo… comprensibile, in quella situazione.»

Che al Ministero fossero degli stronzi Aegon lo pensava già prima – ci lavoravano suo nonno e suo zio Viserys –, ma la stretta di Jace al suo braccio lo convinse a concordare con Rhaenys.

«Ehm, sì, ho… ho parlato a vanvera, non ho riflettuto. Mi dispiace.»

La donna annuì. Estrasse la sua bacchetta e la puntò contro Aegon, che all’improvviso sentì i vestiti più leggeri e caldi. 

«Adesso andate a riposare» disse. «Saprete i risultati di questa prova e la classifica parziale quando anche il signor Lannister avrà terminato il suo percorso.»

Aegon non se lo fece ripetere due volte. Strinse la mano di Jace e si incamminò con lui e il resto della famiglia verso la scuola.

«Quindi voi avete visto tutto?» chiese Jace a Luke.

«Sì, tutto. Perché, tu e Joffrey non lo avete visto?»

«No! Noi avevamo solo una mappa col suo nome sopra per seguirlo.» Sbuffò. «Non è giusto. Se avessimo avuto una visione completa della situazione, ti avremmo potuto aiutare molto meglio di così. Anzi, praticamente non siamo serviti a niente.»

«Questo non è vero» disse Aegon. «Mi avete indirizzato voi all’uscita. Inoltre, non sarei riuscito a superare certe sfide senza il tuo aiuto.»

Jace abbassò lo sguardo. «Peccato che non te lo abbia dato.»

Aegon si fermò e gli sorrise. Gli mise due dita sotto il mento, sollevandogli il volto. «Pensare a te mi ha dato la forza di andare avanti. Perciò credimi quando dico che sei stato tu a tirarmi fuori da lì.»

Jace sgranò gli occhi e Aegon poté leggere tutto lo stupore e la commozione che provava nelle sue iridi nocciola. Quando lo baciò, Aegon lo strinse a sé e sorrise contro quelle labbra che aveva temuto di non poter assaporare più.

Un colpo di tosse li costrinse a separarsi. Aegon era indeciso se ridere o scappare, mentre Jace si limitò ad abbassare lo sguardo mentre il suo volto virava al rosso acceso.

Era stato Harwin Strong a richiamare la loro attenzione, ma tutta la loro famiglia aveva assistito a quel bacio. Vedendo che Harwin era quasi più imbarazzato del figlio, suppose che non lo avrebbe ucciso – per il momento – e ne approfittò per osservare la reazione di sua madre. Lei stava guardando Rhaenyra con gli occhi sgranati, ma la donna si limitò a una stretta di spalle. Quando Alicent incontrò il suo sguardo, Aegon non vi lesse il disgusto o la delusione che si sarebbe aspettato di trovarci. Ripensò a ciò che il canto dei Maridi aveva scatenato nella sua mente e si chiese se, in fondo, il desiderio di essere accettato da sua madre non si sarebbe potuto avverare davvero.

«Jace?» Harwin si avvicinò a loro, spostando lo sguardo dall’uno all’altro. «Quindi, ehm, voi state di nuovo insieme?»

«Sì» rispose Jace, sostenendo il suo sguardo, mentre lentamente il suo volto tornava al colorito normale. «Ti ho detto che le cose tra noi andavano molto meglio.» Si voltò, sorridendogli, e Aegon fece altrettanto.

Harwin si passò una mano tra i capelli. «Sì, solo non pensavo a… questo.» 

Sospirò. Poi puntò i suoi occhi blu su Aegon, fissandolo con una tale intensità che temette stesse cercando di incenerirlo con lo sguardo. 

«Lo farai soffrire di nuovo?» chiese.

«Papà…»

Harwin alzò una mano, zittendo Jace. «No. Se è un qualche giochetto per rendere più piccante il Torneo o l’ultimo anno di scuola, questa storia finisce qui. Se, invece, hai intenzioni serie, avrai la mia approvazione.»

Aegon si era aspettato una reazione molto più dura da parte sua. Sapeva di non piacergli più da quando aveva spezzato il cuore del suo figlio preferito – era anche per questo che aveva chiesto a Jace di aspettare a dare la notizia ai suoi genitori, così da avere il tempo di riguadagnarsi parte della loro fiducia. Invece, Harwin sembrava disposto a restituirgliela subito: gli stava solo chiedendo di essere sincero.

«Signor Strong, non intendo commettere gli stessi errori del passato. Amo Jacaerys e mi prenderò cura di lui ogni giorno, per il resto della mia vita.»

Harwin lo fissò in silenzio, anche se Aegon ebbe l’impressione che il suo sguardo si fosse addolcito. Ma non gli importava; gli bastò sentire le dita di Jace stringersi attorno alle sue per respirare con serenità. 

«Va bene. Ti credo.» Harwin sorrise e si avvicinò a entrambi per scompigliare loro i capelli. «Ma se mai dovessi venire meno alla tua parola, sappi che non ci sarà un angolo del mondo in cui potrai nasconderti da me, chiaro?» aggiunse, a bassa voce.

Aegon annuì.

Il resto del gruppo, intanto, si era messo a ridere – inclusa sua madre. Non ricordava che la sua risata avesse un suono così bello.

Anche Cregan gli sorrise: l’approvazione di Harwin forse lo aveva ammorbidito. E, accanto a lui, vide Luke e Aemond parlottare tra di loro, compiaciuti. Quelle espressioni, soprattutto quella del più piccolo, non gli piacquero affatto.

Si voltò verso Jace e gli fece cenno di guardare i loro fratelli.

«Papà, comunque non sono l’unico a essersi fidanzato» disse lui. «Luke e Aemond stanno insieme.»

Jace e Aegon erano una storia nota, e probabilmente sentivano tutti che era destinata a ripetersi; Luke e Aemond erano una novità, certamente ritenuta impossibile da chiunque li conoscesse.

Mentre l’attenzione di tutti si focalizzò su di loro, lui e Jace ne approfittarono per svignarsela – non prima, però, di aver apprezzato il volto paonazzo di Luke e l’occhio sgranato di Aemond. 

«Sai che ce la faranno pagare, vero?» disse Jace, anche se non riusciva a smettere di ridere.

Aegon fece spallucce. «Stanno insieme da più tempo di noi e ce l’hanno tenuto nascosto. Meritavano di subire la nostra vendetta.»

«Hai ragione» concordò. Poi, guardando in basso alla sua destra, gli rivolse un sorrisetto divertito. «È stato così traumatico stare senza bacchetta che adesso la terrai sempre in mano?»

Aegon seguì il suo sguardo. Non si era accorto di non averla ancora riposta nella divisa.

«Potrei farlo, sai?» disse. «Fai poco lo spiritoso, Jacaerys. Guarda che la vita dei Babbani fa davvero schifo. Tuo padre è stato molto fortunato a nascere mago.»

«È stata una fortuna anche per te: senza di lui, io non ci sarei.»

Aegon gli portò un braccio intorno alle spalle, stringendolo a sé. «Non voglio neanche pensarci a un mondo senza di te. Sarebbe troppo deprimente.»

Jace rise. «Esagerato.»

Aegon gli diede un bacio sui capelli e ripose la bacchetta nella tasca della divisa. Sentì qualcosa all’interno e, infatti, quando estrasse la mano teneva tra le dita un foglio di pergamena. Era piegato in quattro ed era certo di non averlo avuto prima. 

«Cos’è?» chiese Jace.

Aegon si fermò e lo aprì. «Ah, sembra qualcosa di relativo alla Terza Prova.» Poi gli rivolse un sorrisetto compiaciuto e lo passò a lui. «Direi che è roba tua. Puoi divertirti a leggerlo quanto vuoi.»

Jace sbuffò. «Stavolta voglio arrivare preparato sul serio, Aegon. Spero di poter contare su di te e il Mago dei Baci.»

«Su di me puoi contare sempre. Ti farò uno striscione gigantesco e ti inciterò con baci e carezze durante il tuo periodo di preparazione.»

«Dovrò cavarmela da solo, quindi.»

Aegon sorrise, ma prima che potesse dirgli qualcosa, sentì delle voci che li chiamavano. Quando si voltò, vide Luke e Aemond che si stavano avvicinando a loro – suo fratello con la bacchetta già sguainata. 

Afferrò Jace per mano e scapparono insieme dentro il castello.




 

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Capitolo 8
*** Jacaerys Strong: tra illusione e realtà ***


Capitolo 8

Jacaerys Strong: tra illusione e realtà



 

Jacaerys sollevò di nuovo la pergamena davanti ai suoi occhi, nella vana ipotesi che vi fosse apparso improvvisamente qualcosa sopra. Ancora bianco – ancora nessun indizio sulla Terza Prova.

“Anch’io ho scoperto cos’avrei affrontato il giorno stesso della sfida e nessuno se ne è preoccupato!” aveva commentato Joffrey, senza nascondere il suo disappunto per quella che considerava un’agitazione eccessiva. 

Jacaerys concordava con lui, anche se solo in parte: quella pergamena era comparsa nella divisa di Aegon dopo il superamento della sua Prova, e per quale motivo sarebbe successo se non per dare un indizio all’ultimo Campione? 

«Se non è apparso niente finora, dubito succederà proprio stanotte.»

Jacaerys sospirò, ripiegando la pergamena prima di sdraiarsi nel letto accanto a quello di Cregan. 

«Lo so» rispose con un sospiro. Rimase a fissare il soffitto, picchiettando distrattamente le dita sulla sua pancia. «Non… Non credi che sia strano, però?» chiese poi, voltandosi verso di lui. «Perché hanno ricevuto quella pergamena, se non serviva a niente?»

Cregan si strinse nelle spalle.

«Forse ti sarà utile durante la Prova» disse, riproponendo la stessa idea che aveva esposto quando era stato chiaro che quel foglio vuoto era e vuoto sarebbe rimasto. «Dopotutto, la scorsa volta Aegon non ha usato la pergamena per distrarre i Chizpurfle?»

Jacaerys rise. Adesso che il suo fidanzato era al sicuro, fuori dalle tubature di Hogwarts, poteva ripensare ad alcuni momenti di quella giornata con maggior serenità. 

«Non hai tutti i torti» concordò, «e, in effetti, Aegon aveva affrontato la Prova praticamente senza indizi.»

«Per sua scelta – alquanto idiota, se mi permetti.»

Jacaerys gli scoccò un’occhiata obliqua, che non provocò alcuna reazione in Cregan. Sapeva di non doversi lamentare, dopotutto lui e Aegon si sopportavano – quest’ultimo aveva anche smesso di avvinghiarsi a lui ogni volta che il Prefetto era nei paraggi – e, in fondo, non poteva nemmeno biasimarlo per ritenere il suo ragazzo uno scansafatiche. 

«Comunque, adesso credo sia meglio che ti riposi» disse poi Cregan, rivolgendogli un sorriso. «Domani avrai bisogno di essere in forze.»

Jacaerys annuì – e avvertì l’agitazione tornare a crescere dentro di sé. Era sempre stato un bravo studente, aveva tutte le conoscenze necessarie a superare la sua sfida, qualunque essa fosse, ma affrontare l’ignoto lo faceva comunque tremare.

Avrebbe voluto che Aegon fosse lì, ma Rhaenys era stata molto chiara dopo la Seconda Prova: tutti gli studenti devono essere nel loro dormitorio dopo il coprifuoco, indipendentemente dalla Casa del partner, pena la decurtazione di dieci punti ciascuno e, nel loro caso specifico, del rischio di squalifica dal Torneo. 

“Odio dover invitare al rispetto delle regole, ma, per esperienza, devo informarvi che non è così semplice sfuggire agli occhi della Preside” aveva detto loro Joffrey, dopo che Aegon si era lamentato per l’ingiustizia che stavano subendo. 

Jacaerys sospirò. Aveva accettato senza troppi problemi quella limitazione – forse perché tanto in camera sua quanto in quella di Aegon c’erano delle presenze poco entusiaste verso la loro rinnovata relazione – ma in quel momento la sentiva gravare sul suo petto come un macigno. 

Prese un profondo respiro, cercando di calmarsi. 

Aegon sarebbe stato al suo fianco il giorno seguente ed era quella la cosa più importante.

 

~

 

«Sei pronto, vero? Ti ricordo che questa è l’ultima sfida, l’ultima occasione che abbiamo per vincere questo Torneo e riempirci di gloria. Qualunque cosa ti capiterà davanti, saprai affrontarla, quindi va’ tranquillo, d’accordo? E se non ci riuscirai, vedi comunque di…»

Aegon non resistette più. 

Gli scagliò un Languelingua, incurante del fatto che fossero a pochi metri dalla Preside e dagli emissari del Ministero, e che accanto a lui ci fosse il fidanzatino di Joffrey. A ogni parola che diceva, aveva visto la maschera di sicurezza di Jace creparsi sempre di più e voleva evitare che il ragazzo avesse un crollo davanti a tutta la loro famiglia.

Joffrey si portò le mani alla gola, cercando invano di parlare. Gli scagliò un’occhiata truce, poi si rivolse a Laenor, facendogli cenno di colpire Aegon – probabilmente con qualche Fattura molto dolorosa.

L’uomo sospirò.

«Non posso biasimarti» gli disse, prima di prendere Joffrey sottobraccio e portarlo via.

Quando furono abbastanza lontani, Jace mormorò un “Grazie”, abbozzando un sorriso.

Aegon gli portò un braccio intorno alle spalle, stringendolo a sé.

«Era il minimo. Va meglio adesso?»

Jace annuì. Abbassò lo sguardo, stringendo la bacchetta tra le mani sudate.

«Sono pronto» disse, forse più a se stesso che a lui. «Avrei preferito avere almeno un’idea di cosa affronterò, ma so che me la caverò comunque.»

«Ben detto» lo incoraggiò Rhaenyra, rivolgendogli un sorriso affettuoso che il figlio ricambiò.

«A tutti i Campioni di quest’oggi.» La voce di Rhaenys si sollevò dal palco posto di fronte alla Foresta Proibita, richiamando l’attenzione dei presenti. «Per favore, raggiungete ciascuno il membro del Ministero che vi è stato assegnato.»

«Solo il Campione?» chiese Joffrey, che li aveva nuovamente raggiunti. «Noi no?»

«No, signor Lonmouth» rispose Rhaenys, «perché quest’oggi il Campione affronterà la sua sfida in solitaria.»

«Quindi noi dovremo usare di nuovo degli Specchi Gemelli per comunicare con lui?» domandò Aegon. Aveva temuto che la Prova di Jace potesse essere simile alla sua e l’idea di non poter sapere con esattezza cosa gli stava accadendo lo metteva in agitazione. 

La Preside sospirò, probabilmente infastidita dalle loro interruzioni, e Cregan Stark le venne in soccorso.

«Gli altri si sono già posizionati» disse, avvicinandosi a Jace. «Vai anche tu. Vedrai che Velaryon ti spiegherà tutto quanto.»

Il ragazzo annuì. Strinse un’ultima volta la mano di Aegon, sorridendogli, e raggiunse Tyland Lannister. Il Serpeverde notò solo in quel momento che i tre uomini schierati davanti al palco avevano ciascuno una spilla con lo stemma di una delle scuole in gara.

«Jace è bravo a fare le scelte giuste.» Aegon sussultò, sentendo la voce di Helaena accanto a lui. «E, comunque, le illusioni non uccidono.»

Gli sorrise, forse pensando seriamente di avergli detto qualcosa di confortante – peccato che lui non ci avesse capito niente.

«Tu la sai tradurre?» chiese, voltandosi verso Aemond.

Lui fece un cenno con la testa in direzione del palco.

«Ascolta le regole della Prova.»

Proprio in quel momento, infatti, Rhaenys aveva iniziato a parlare.

«Siamo infine giunti all’ultima giornata di questo lungo Torneo. Finora le Prove sono sempre state affrontate in squadra e ogni membro del gruppo ha contribuito al risultato finale. Quest’oggi, però, saranno solo le scelte individuali a decretare il vincitore.»

«Quindi Jace sarà davvero solo?» mormorò Luke.

Harwin gli posò una mano sulla spalla, cercando di confortarlo, anche se sembrava più preoccupato di lui.

«All’inizio della Prova» continuò Rhaenys, «dovrete bere una Pozione che vi terrà addormentati fino al termine delle dodici ore della sfida – o, in alternativa, fino a quando uno di voi non solleverà la Coppa Tremaghi. È stata posizionata al centro della Foresta Proibita e voi dovrete trovare il modo di raggiungerla.»

«Di nuovo una passeggiata?» mormorò Joffrey, incrociando le braccia sul petto. «Perché solo io ho rischiato davvero la pelle?»

«Mi permetto di darvi un piccolo consiglio» concluse Rhaenys, guardando i tre Campioni uno a uno. «Scegliete con saggezza il percorso da seguire. Ciò che accadrà nell’illusione non avrà ripercussioni sul vostro corpo, ma non posso darvi la stessa garanzia circa la vostra salute mentale.»

Aegon aggrottò le sopracciglia, voltandosi verso Helaena. Era un caso il commento di poco prima oppure…?

Rhaenys attirò di nuovo la sua attenzione, spiegando che i Campioni avrebbero iniziato la Prova a cinque minuti di distanza, in base alla classifica parziale. Jace, dunque, sarebbe stato il primo insieme al Campione di Durmstrang.

«Accomodatevi» disse Rhaenys. «Anche le vostre famiglie e i vostri compagni possono raggiungervi.»

Tyland Lannister si fece da parte, rivelando alle sue spalle un semplice letto a una piazza. Jace ci si sedette sopra guardingo e rivolse loro un sorriso forzato mentre lo raggiungevano.

«Sei pronto, tesoro?» gli chiese Rhaenyra, posandogli una mano sulla spalla.

Jace annuì, poi abbassò lo sguardo, torcendosi le mani.

«Non sembra tanto difficile, no?» disse. «Anche se sarò da solo.»

«Questa non l’ho proprio capita» intervenne Harwin. «Anche Aegon praticamente non ha avuto aiuti, quindi che senso ha esattamente che siate una squadra?»

Aegon si voltò verso Rhaenys, che stava parlando con gli uomini del Ministero – probabilmente le stavano consegnando le Pozioni. 

Non aveva senso che Jace dovesse essere da solo. E se avesse avuto bisogno di consigli su come muoversi? A quanto ricordava, lui era entrato nella Foresta Proibita solo una volta, senza però addentrarsi più di tanto. Era un ottimo mago, questo non lo metteva in dubbio, ma trovava comunque frustrante la consapevolezza di non potergli stare accanto. 

«Non stai cercando di incenerire mia madre con lo sguardo, vero?» gli domandò Laenor.

Aegon sbuffò, distogliendo la sua attenzione da Rhaenys.

«Questo Torneo diventa più assurdo a ogni Prova.» Si avvicinò a Jace, abbassandosi per sussurrargli all’orecchio: «E se ci dividessimo la Pozione e io entrassi con te?»

Jace rise, e anche se l’obiettivo di Aegon non era stato quello, fu felice di udire quel suono.

«Non credo si possa fare.»

«Perché no? La prendi e poi ti bacio. Sembrerà un incidente. Certo, dovrai ricordarti di non ingoiare, il che potrebbe non essere facile per…»

«Aegon!» Jace divenne paonazzo e stavolta fu lui a ridacchiare. 

«Certi dettagli potreste tenerli solo per voi?» commentò Aemond, lanciando un’occhiata di disgusto a entrambi. 

Accanto a lui, Luke era diventato quasi della stessa tonalità del fratello, ma nemmeno quell’informazione intima su di lui era riuscita a diminuire la sua agitazione. Difatti abbracciò subito Jace, che ricambiò con forza il gesto.

«Luke, tuo fratello non sta andando in guerra» lo richiamò Rhaenyra, con un sorriso affettuoso in volto. 

«Già» disse Harwin, avvicinandosi ai due ragazzi, «vedrete che andrà tutto bene.»

Entrambi annuirono – e, appena Luke si fece da parte, fu Harwin ad abbracciare Jace. Rhaenyra roteò gli occhi al cielo, scuotendo la testa, mentre Alicent sorrise di fronte a quella manifestazione di affetto.

«È bello vedere quanto lo ama.» 

Quel commento giunse fino alle orecchie di Aegon, che focalizzò tutta la sua attenzione su ciò che Jace avrebbe dovuto affrontare per non pensare a quanto fosse invidioso del suo rapporto col padre.

«Sei tranquillo?» Daeron, che aveva avuto un permesso speciale per unirsi alla sua famiglia quel giorno, si avvicinò a lui con un sorriso in volto. Nonostante la sua giovane età, era anche il più maturo tra i suoi fratelli – nonché l’unico che non gli provocava una costante emicrania. 

«La trovo una Prova stupida, ma Jace vuole seguire le regole alla lettera. Mi dovrò adattare.»

«Sono sicuro che se la caverà. Se tutto quello che mi hai raccontato è vero, è un ragazzo in gamba. Non avrà difficoltà.»

Aegon annuì, arrossendo leggermente. Forse durante le vacanza di Natale si era lasciato sfuggire qualche commento sul suo ragazzo e nelle lettere che inviava a Daeron parlava spesso di Jace – ma non così tanto!

«Sì, se non soffoca prima» commentò Joffrey Strong, che si era attaccato a suo fratello da quando era arrivato. Forse davvero gli Strong erano geneticamente attratti dai Targaryen.

«Papà, sei imbarazzante. Lascialo andare» disse, avvicinandosi ai due ancora abbracciati. 

«Joffrey!» lo riprese Jace, ma il ragazzino si limitò ad alzare le spalle.

«Volevo farti gli auguri anch’io» spiegò.

«Giusto, hai ragione.» Harwin passò una mano tra i capelli del figlio minore, lanciando un’ultima occhiata a Jace prima di allontanarsi.

Jace sorrise verso suo fratello e allargò le braccia, invitandolo ad abbracciarlo a sua volta.

«Non stai per morire, Jace, non c’è bisogno di tutte queste smancerie. Buona fortuna, ci vediamo stasera.»

Detto ciò, tornò sui suoi passi, unendosi nuovamente a Daeron e iniziando a raccontargli della scopa che aveva chiesto per il suo compleanno. 

Aegon, vedendo quella scena, non potè fare a meno di ridersela sotto i baffi.

«Sta’ zitto!» lo attaccò Jace, che sicuramente non aveva apprezzato la freddezza di suo fratello. 

Aegon si avvicinò a lui, sedendosi al suo fianco, e gli circondò le spalle con il braccio destro.

«Coraggio, lo sai che è diventato un piccolo stronzetto» gli disse. «Immagino sia colpa del nome.»

«Quale nome?» chiese Joffrey Lonmouth, prendendo posto accanto a Jace. Lui e Aegon si scambiarono un’occhiata, decidendo tacitamente che non era il momento adatto per iniziare una discussione con il loro compagno.

«Certo che è triste pensare che questa è l’ultima Prova e noi due non solo non parteciperemo, ma non potremo nemmeno vederla.»

«Devo concordare» disse Aegon. «È un’immensa cazzata.» Pronunciò quelle parole a voce alta, ma vennero nascoste alle orecchie degli organizzatori del Torneo dal rombo del cannone che annunciò l’inizio della sfida.

Tyland Lannister si avvicinò a loro insieme a Rhaenys e porse a Jace la Pozione che avrebbe dovuto bere. Aveva un colore rosato che fece storcere il naso sia ad Aegon che a Joffrey.

«Buona fortuna, Jacaerys» gli disse la preside. Poi, rivolgendosi ai Serpeverde: «Per favore, adesso lasciate che si metta comodo. Voi due lo supporterete da qui.»

Aegon scattò in piedi, sentendo un barlume di speranza brillare in lui.

«Allora possiamo aiutarlo in qualche modo? Che possiamo fare?»

«Tenergli la mano e fargli sentire il vostro sostegno.»

«Quindi, in parole povere, non possiamo fare niente» commentò Joffrey, alzandosi a sua volta. 

Aegon sbuffò, ma la mano di Jace stretta alla sua lo fece desistere dal dire qualcosa che avrebbe potuto metterlo nei guai.

«Andrà bene» gli disse il Grifondoro. «Sapere che sarai al mio fianco è già di grande aiuto.»

Aegon si avvicinò a lui, catturandogli le labbra in un lungo bacio. 

«Non vedo l’ora di riaverti qui con me» gli disse.

«Forse dovrebbe bere la pozione adesso» suggerì Helaena. 

Jace annuì. Guardò un’ultima volta tutti i presenti, che si erano radunati attorno al letto, e rivolse loro un sorriso prima di bere quello strano liquido. A giudicare dall’espressione che fece, il sapore non doveva essere molto migliore dell’aspetto.

«Come ti senti?» gli chiese Aegon.

«Normale, credo.»

«Vedrai che farà effetto a momenti.» Helaena si frappose tra di loro e abbracciò Jace.

«Il momento degli auguri è passato, stupida!»

Si avvicinò per allontanarla dal suo ragazzo, ma lei lo aveva preceduto ed era già tornata a posizionarsi vicino a loro madre. 

«Non chiamarla “stupida”» lo rimproverò Jace, facendogli emettere uno sbuffo infastidito.

«Ti sembra questo il momento per le prediche?» sbottò.

«Hai ragione, scusa.»

Fece appena in tempo a pronunciare l’ultima parola, prima che i suoi occhi si chiudessero e perdesse conoscenza. Aegon riuscì a trattenerlo, evitandogli di cadere in avanti e lo fece adagiare sul letto. 

Sbuffò, passandosi una mano sul viso. L’ultima cosa che avevano fatto prima che Jace iniziasse quell’assurda prova era discutere: grandioso!

Si sedette accanto a lui, stringendogli una mano tra le sue – e sperò di riaverlo presto accanto a sé. 

 

~

 

Aprì gli occhi, scontrandosi con il cielo limpido sopra di sé. Sbatté le palpebre, sorpreso di essere ancora sveglio: forse la pozione aveva bisogno di un po’ di tempo per fare effetto. Si voltò in cerca del viso di Aegon – voleva salutarlo a dovere prima dell’inizio della Prova – ma intorno a lui non c’era nessuno.

Si tirò su a sedere, guardandosi intorno spaesato. Si rese conto solo in quel momento di essere sdraiato a terra e che la Foresta Proibita, che prima aveva visto dall’esterno, adesso lo circondava.

La Prova era iniziata.

Jacaerys prese un profondo respiro, che rilasciò insieme a tutti i suoi timori. Si alzò in piedi ed estrasse immediatamente la bacchetta. Per sicurezza, si tastò le tasche della divisa nel caso ci fosse qualche sorpresa, ma non trovò niente: avrebbe avuto solo la magia e il suo senso dell’orientamento ad accompagnarlo.

«Perché sei così nervoso? Non dirmi che il più bravo della classe ha paura di qualche albero.»

Jacaerys sussultò al suono di quelle parole, provenienti dalle sue spalle. Era uno degli altri Campioni? No, la voce gli era sembrata molto giovane, da bambino. Si voltò – e l’immagine che apparve di fronte ai suoi occhi lo confuse ancora di più.

C’era davvero un bambino, un piccolo Serpeverde dagli occhi viola e i capelli biondo argentato che gli scendevano fino alle spalle. Aveva un’aria familiare – tremendamente.

«Ae-Aemond?» mormorò. Era identico all’Aemond che aveva conosciuto durante i primi anni di scuola, quando aveva ancora entrambi gli occhi e poteva chiamarlo amico – ma quel bambino era cresciuto e la sua versione adulta l’aveva vista pochi minuti prima.

«Adesso non ti ricordi nemmeno più di me?» lo sbeffeggiò il ragazzino – con un tono e un atteggiamento che lo fecero somigliare ancora di più ad Aemond. «Già, non dovrebbe sorprendermi. Mi hai buttato via appena non ti sono più piaciuto.»

Jacaerys si irrigidì di fronte a quelle accuse. Era stato Aemond ad allontanarsi da lui, nonostante i suoi tentativi di legare. Se voleva incolpare qualcuno per il modo in cui il loro rapporto era degenerato, doveva accusare solo se stesso. 

«Che c’è, non ti ricordi più come si parla?» lo sbeffeggiò ancora.

«Si può sapere che vuoi? Come fai a…» Jacaerys scosse la testa, imponendosi di stare calmo. «Sei tu la Prova, dunque?» chiese, stringendo la presa sulla bacchetta nel caso in cui ciò che aveva davanti a sé avesse deciso di attaccarlo.

Aemond spostò lo sguardo sulla sua mano destra, sollevando un angolo della bocca in un sorriso triste.

«Vuoi attaccarmi di nuovo, Jace?» disse, e lo sguardo che gli rivolse gli strinse il cuore. I suoi occhi erano pieni di delusione e accusa, e Jacaerys si sentì colpevole – di averlo escluso, di non aver combattuto di più per la loro amicizia.

Non è stata solo colpa mia, si ripeté. 

«Rispondi alla mia domanda» intimò, ma anziché alzare la bacchetta la ritrasse. Forse la sfida consisteva nel riappacificarsi con qualcuno che aveva ferito, anche se non capiva perché dovesse farlo con la versione bambina di Aemond.

«No, non sono io. La tua Prova consiste nel trovare la Coppa Tremaghi. Non hai ascoltato il discorso della preside?»

«Certo che l’ho ascoltato! Ma allora si può sapere cosa sei tu?»

«Un tuo vecchio amico» rispose, con un sorrisetto beffardo. «Non sei felice di avere un po’ di compagnia?»

Jacaerys si passò una mano sul volto. Che razza di scherzo era quello? Se non doveva affrontare la Prova da solo, perché non aveva con sé uno dei suoi compagni o qualcuno che davvero era suo amico? Anche l’Aemond adulto gli sarebbe andato bene.

«A tal proposito, non pensi che dovresti iniziare la ricerca?» disse Aemond. «Non voglio deluderti, ma sappi che non arriverà mammina con la Coppa pronta per te.»

Jacaerys strinse i pugni, sforzandosi di non rispondere a tono – o peggio. Su una cosa, però, doveva dargli ragione: aveva perso fin troppo tempo con lui. 

Non gli piaceva l’idea di dargli le spalle, ma il centro della Foresta era dietro di lui e non poté fare altro che voltarsi e incamminarsi, sperando di riuscire a liberarsi di quella presenza il prima possibile.

 

 

Era entrato nella Foresta Proibita solo al suo terzo anno, quando lui e Aegon avevano condiviso una punizione per essersi passati un esame di Pozioni, ma mai così in profondità. 

Provava a immaginare la strada da percorrere, cercando di memorizzare ogni bivio o albero particolare nel caso in cui si fosse perso, e contemporaneamente teneva le orecchie bene aperte per non incappare in qualche pericolo. Non aveva difficoltà a svolgere più azioni insieme – anche se sarebbe stato più semplice senza la vocetta di Aemond che continuava a canzonarlo e mettere in dubbio le sue scelte.

«Io te lo dico, così non arrivi da nessuna parte» commentò dopo che Jacaerys aveva svoltato per un altro bivio, addentrandosi ancora di più nella boscaglia. «Ma, in fondo, perché dovresti dare retta a me? Tu sei tanto superiore, così perfetto e intelligente. Come potrei mai io dare consigli a te

«Chiudi il becco una buona volta!» sbottò, voltandosi verso di lui – e inciampando in una radice rialzata.

Cadde a terra, imprecando tra i denti, mentre il piccolo Aemond rideva soddisfatto. Jacaerys strinse i pugni – quanto avrebbe voluto farli impattare sulla sua stupida faccia! – e sentì qualcosa di appiccicoso sui polpastrelli. Si portò la mano davanti agli occhi per capire cosa fosse: un liquido argentato gli imbrattava le dita e, abbassando lo sguardo, notò che una scia dello stesso colore si allungava per qualche metro davanti a lui.

«Povera bestia» mormorò Aemond, che sembrava aver già individuato l’origine di quel liquido. Quando anche Jacaerys la scoprì, scattò in piedi, osservando la scena allibito.

Poco distante da loro, un unicorno era sdraiato a terra con una ferita sul fianco mentre un’Acromantula la sovrastava nel tentativo di succhiare il suo sangue. L’animale scalciava, anche se debolmente, e Jacaerys sperò che non si trattasse solo di un riflesso post-mortem. 

Credeva che gli unicorni fossero creature mitologiche, ormai estinte da anni come i draghi, eppure in quel momento ne aveva uno davanti agli occhi. 

Il sogno di molti maghi si stava avverando, nella forma di un terribile incubo.

Uccidere e nutrirsi del sangue di un unicorno era un’atrocità anche per un essere come l’Acromantula. E Jacaerys non poteva restare lì a guardare.

Strinse la presa sulla bacchetta e si avvicinò alle due creature.

«Che stai facendo?» domandò Aemond. «Il centro della Foresta è di qua.»

«Lo so, ma quell’unicorno ha bisogno di aiuto!»

Aemond sbatté le palpebre, fissandolo con uno sguardo che non trasmetteva alcuna emozione. La sua capacità di nascondere i propri sentimenti era uno degli aspetti che Jacaerys più odiava di lui.

«Capisco» annuì infine, sempre con la stessa espressione. «Non puoi abbandonare qualcuno che è in difficoltà – a meno che non si muova su due sole gambe.»

Jacaerys si irrigidì. Non sapeva cosa fosse esattamente, ma di certo quello spettro conosceva Aemond e i loro trascorsi, altrimenti non avrebbe saputo come centrare così bene tutti i suoi sensi di colpa.

Non è il vero Aemond. Vuole solo distrarti.

Si voltò, tornando a concentrarsi sull’unica questione importante in quel momento. Puntò la bacchetta contro l’Acromantula, che ancora non si era accorta della sua presenza, e scagliò il suo incantesimo.

«Arania Exumai!»

La creatura venne scaraventata via dalla sua vittima, sparendo dietro gli alberi. Jacaerys si avvicinò guardingo, tenendo la bacchetta puntata nella direzione in cui era scomparsa l’Acromantula. Vedendo che sembrava tutto tranquillo, si inginocchiò davanti all’unicorno e tirò un sospiro di sollievo constatando che respirava ancora. La ferita sul suo fianco non sembrava troppo profonda, ma dubitava che il povero animale sarebbe sopravvissuto a lungo senza cure. 

Spostò lo sguardo sul suo muso e si accorse che lo stava guardando. Jacaerys non era un esperto di unicorni, ma non gli sembrava che fosse arrabbiato o spaventato. Probabilmente, però, era solo troppo stanco per preoccuparsi di quell’umano che gli si era avvicinato.

«Andrà tutto bene» gli disse, sperando che dal suo tono e dai suoi gesti trasparisse il suo sincero desiderio di aiutarlo.

Sollevò la bacchetta sopra il suo corpo e, pregando che quell’Incantesimo avesse effetto anche sulle Creature Magiche, recitò la formula. Lentamente, vide la ferita farsi sempre più piccola fino a ridursi a una semplice cicatrice.

Jacaerys sorrise di fronte a quell’immagine. E il suo sorriso si fece ancora più ampio quando vide l’unicorno iniziare a muoversi per rimettersi in piedi. 

Clap. Clap. Clap.

«Congratulazioni» disse Aemond, battendo le mani. «L’eroe del giorno! Un vero peccato che tu non conoscessi certi Incantesimi quando eravamo più giovani.»

Appena pronunciò quelle parole, il suo volto mutò. Il suo viso si sporcò di terra e sul lato sinistro comparve un’orrenda ferita che gli attraversava l’occhio. 

Jacaerys deglutì a vuoto. 

«Non potrei guarirti nemmeno adesso» rispose.

«Hai ragione, ma avresti potuto salvarmi, come hai fatto con quell’unicorno. Il tuo fratellino era sicuramente più gestibile di un’Acromantula.»

Jacaerys strinse i pugni. Odiava il tono pieno di accusa e risentimento con cui gli si stava rivolgendo e con cui parlava anche di Luke. Suo fratello aveva subito cercato di scusarsi, ma non era stato ascoltato.

L’hai costretto a saldare il suo debito, prima di riammetterlo nella tua vita.

«Ma, in fondo, è più onorevole salvare un animale sacro che un Serpeverde» continuò Aemond. «Hai mai provato a immaginare uno scenario diverso, Sanguemarcio

Jacaerys non ci vide più.

«Sì, ci ho provato» rispose, avvicinandosi a lui. L’unico aspetto positivo di quell’Aemond era che lo sovrastava con facilità. «Per esempio, sono sicuro che tu avresti ancora il tuo dannatissimo occhio se non avessi cercato di uccidermi!»

Sapeva cos’aveva perso Aemond quel giorno – e sì, ne era stato dispiaciuto – ma ciò che più lo aveva ferito, oltre agli insulti, era stata la luce verde che aveva visto brillare dalla bacchetta del ragazzo contro il suo volto. 

Se Luke non fosse intervenuto, adesso lui sarebbe morto. 

Un’ombra di tristezza passò sul volto del Serpeverde, ma fu solo un momento.

«Non ti avrei ucciso» mormorò.

«Davvero? Mi spiace infrangere i tuoi sogni, ma l’Anatema che Uccide produce un unico risultato.»

Aemond strinse la palpebra.

«Almeno io non attacco usando sporchi trucchetti» disse, ritrovando la sua rabbia.

Jacaerys scosse la testa. Perché perdeva tempo a parlare con lui? Quel ragazzino era convinto di essere dalla parte della ragione ed era sordo a ogni errore che aveva commesso. 

Non è il vero Aemond, si ripeté. 

«Altri però lo fanno» continuò, incrociando le mani dietro la schiena. «Infatti, trovo sia stupido voltare le spalle a un nemico.»

«Su questo posso concordare.»

«Allora perché lo stai facendo?»

Jacaerys sbatté le palpebre, confuso. 

Stava per rispondere che lui gli era di fronte, quando si ritrovò schiacciato a terra e avvertì un dolore lancinante alla spalla sinistra. L’Acromantula si era ripresa ed era andata a cercare vendetta – e, probabilmente, anche un altro spuntino.

Jacaerys si dimenò, ma la Creatura era troppo grande per lui. Fortunatamente aveva ancora la bacchetta in mano e, puntandola alla cieca dietro di lui, lanciò un altro Arania Exumai. Colpì il ragno di striscio, ma fu sufficiente perché si staccasse da lui, permettendogli di rialzarsi in piedi.

«Io ci ho provato ad avvisarti» disse Aemond, facendo spallucce.

Jacaerys fu tentato di offrirlo all’Acromantula, così da liberarsi di due problemi in un colpo solo, ma non poteva lasciarsi distrarre da lui un’altra volta. Attaccò nuovamente il ragno, scagliandolo lontano da lì. Anche quando scomparve alla sua vista, continuò a scagliare Incantesimi per essere certo che stesse il più lontano possibile e solo allora iniziò a correre verso il centro della Foresta. 

Aegon gli aveva detto che, durante la sua Prova, sia i Chizpurfle che l’Avvincino, una volta sconfitti, non si erano più fatti vedere, e lui sperava che quella regola valesse anche nel suo caso.

La spalla iniziò a bruciargli sempre di più e lui si rese conto con orrore che non aveva alcun antidoto con sé. Quanto tempo impiegava il veleno dell’Acromantula a fare effetto? Sperava almeno più di dieci ore, anche se gli sembrava un’utopia. Rhaenys aveva detto che niente di ciò che sarebbe accaduto nell’illusione avrebbe avuto effetto sul corpo reale, ma questo non significava che non lo avrebbe avuto su quello illusorio. E se il veleno lo avesse fatto svenire, riportandolo alla realtà prima di aver trovato la Coppa Tremaghi? Avrebbero perso il Torneo per un suo stupido errore di distrazione.

No, non poteva permetterselo. Doveva raggiungere il centro della Foresta e sollevare la Coppa – subito.

 

 

«L’Acromantula dovremmo averla seminata ormai. Peccato per l’unicorno, non credo ci capiterà mai più l’occasione di vederne uno, sarebbe stato bello stare in sua compagnia un altro po’. Ehi, non ti va bene nemmeno questo argomento di conversazione?»

Il ragno non lo aveva seguito, ma Aemond purtroppo sì. Tra la stanchezza, il veleno che gli circolava in corpo e la sua vocetta petulante, Jacaerys era certo che presto sarebbe impazzito.

Avrebbe voluto parlare con Aegon in quel momento. Se erano una squadra, perché diamine doveva affrontare tutta quella Prova da solo? Una volta uscito da lì, avrebbe fatto un bel discorsetto con sua nonna. 

«Guarda che bel cielo» disse Aemond, accanto a lui. «Quel rossore credi indichi che il Sole sta tramontando?»

Jacaerys sollevò la testa di scatto e imprecò – per il dolore che quel movimento repentino gli aveva causato e per la constatazione che era il tramonto. Com’era possibile? Credeva non fossero passate più di un paio d’ore da quando aveva iniziato la Prova.

«Hai tempo fino alle dieci di sera per trovare la Coppa, giusto?»

«Sì» rispose a denti stretti, accelerando il passo per quanto possibile.

«Allora mi sa che devi sbrigarti.»

«Cosa ti sembra che stia fac-»

Un’ombra improvvisa si palesò davanti a lui, insieme a un acuto cinguettio. Jacaerys sollevò lo sguardo, trovandosi davanti a un ampio masso, sulla cui sommità vide della palle gialle. Fece qualche passo indietro, guardandosi meglio attorno. 

La prateria in cui erano finiti era piena di massi, tutti piuttosto alti, che ospitavano nidi di uccelli – Golden Snidget, a giudicare dalla forma e dal colore dorato.

«Sembrano boccini» commentò Aemond, confermando i suoi dubbi. «Questo è interessante. Cosa pensi di fare?»

Jacaerys si guardò intorno: pochi metri davanti a lui la Foresta proseguiva, diventando sempre più fitta man mano che si avvicinava al centro, e l’unico ostacolo sul suo percorso erano quei nidi di Snidget – che si trovavano molto in alto, dove lui non li avrebbe disturbati. 

Sapeva che, con tutte le angherie subite dai Maghi, quegli uccelli non erano particolarmente amichevoli nei loro confronti, ma non erano nemmeno Creature aggressive. Lui aveva solo bisogno di camminare su quel prato. Gli sarebbero bastati pochi minuti e gli Snidget non lo avrebbero più visto. 

Prese un profondo respiro e ripose la bacchetta all’interno della sua divisa. Ferito e disarmato, non poteva certo rappresentare una minaccia.

«Non sai che i Golden Snidget sono molto protettivi verso i loro territori?» disse Aemond. «So che non ti importa di chi ritieni inferiore a te, ma quei poveri animali hanno già sofferto molto a causa della tua specie.»

Jacaerys si voltò verso di lui, stringendo i pugni.

«Devo solo camminare, e le loro nidiate sono troppo in alto perché quest’azione possa metterle in pericolo.»

«Se lo dici tu» rispose con un’alzata di spalle.

Jacaerys aggrottò le sopracciglia. Lo spettro aveva di nuovo il suo aspetto iniziale, perciò non gli era difficile guardarlo, e infatti si ritrovò a fissarlo per cercare di cogliere in lui qualche avvertimento. Prima, dopotutto, aveva notato l’Acromantula che stava per attaccarlo. Che sapesse che anche quei piccoli Snidget gli avrebbero causato problemi?

«Se sai qualcosa di utile su questo territorio e i suoi abitanti, ti sarei grato se me lo dicessi» gli disse, voltandosi completamente verso di lui.

Aemond sgranò gli occhi, portandosi le mani al petto, in un'esagerata ostentazione di stupore. 

«Tu saresti grato a me? Oh, quanto mi onori! Mai avrei immaginato che sarebbe arrivato il giorno…»

Jacaerys gli diede le spalle e iniziò a camminare. Si sentì uno stupido per aver cercato consigli da quell’agglomerato di sarcasmo e vittimismo che, al di fuori dell’aspetto, non aveva poi molto a che fare con Aemond.

Il fratello di Aegon non era così.

Non lo era mai stato.

Le gambe di Jacaerys si inchiodarono al suolo, mentre la consapevolezza di tutti gli atteggiamenti sbagliati che aveva avuto nei suoi confronti si faceva strada dentro di lui. La sua compagnia gli piaceva, ma avendo sempre avuto un debole per Aegon, non si era fatto scrupoli a seguirlo nei suoi stupidi scherzi. Scherzi che, per Aemond, erano sempre stati qualcosa di più grave – ma lui si era rifiutato di ascoltare e quando il bambino aveva iniziato a rispondere con la stessa moneta, Jacaerys gli aveva voltato le spalle.

E non si era mai scusato per quello.

Sentì un’improvvisa folata di vento colpirlo sulla guancia destra, provocandogli un graffio. Si voltò, cercando di capire cosa fosse successo, ma non vide niente. Sentì solo un altro colpo e poi un altro e un altro ancora. Qualcosa che non riusciva a identificare lo stava attaccando, provocandogli tante, piccole e fastidiose ferite. 

A un tratto, scorse una scia di giallo intorno a sé – e capì.

Si era distratto, mostrandosi agli Snidget che dovevano averlo scambiato per un cacciatore ed erano scattati sulla difensiva.

«Fermi!» gridò, cercando di coprirsi il volto con le mani. «Devo solo raggiungere… l’altro lato del prato, non… non voglio farvi del male!»

«Non parlano la tua lingua, genio.»

Jacaerys imprecò, mandandolo al diavolo. Era colpa sua se si era distratto, di nuovo

Estrasse la bacchetta, pensando di lanciare un Protego che gli permettesse di proseguire indisturbato, ma riuscì solo a sollevarla a mezz’aria. La velocità degli Snidget non gli dava tregua e, quando vide uno di loro attaccarsi alla sua bacchetta con il becco, capì che non avrebbe potuto fare niente contro di loro.

«Posso suggerire una ritirata?» disse Aemond, che era rimasto in disparte a osservare la scena indisturbato.

Suo malgrado, Jacaerys dovette dargli ascolto. Staccò lo Snidget dalla sua bacchetta e iniziò a indietreggiare. Più si allontanava dai massi che ospitavano i loro nidi, più quelle Creature scemavano, smettendo di attaccarlo. Solo quando giunse al limitare opposto della prateria, da dove era partito, gli Snidget lo lasciarono libero di proseguire il suo percorso. 

Jacaerys, pieno di ferite in tutto il corpo, alzò lo sguardo verso il cielo: non era ancora calata la sera, dunque quantomeno non aveva perso troppo tempo con quegli uccelli. 

«Fossi in te, mi darei una mossa» commentò Aemond. «La notte è sempre più vicina.»

 

 

E li colse nel fitto della Foresta, costringendo Jacaerys a usare Lumos per orientarsi in mezzo agli alberi. Ormai doveva essere in prossimità del centro – o forse si era allontanato senza rendersene conto e adesso si trovava dal lato opposto. 

Si era curato le ferite più profonde, non volendo perdere troppo tempo, ma stava iniziando a temere di essersi infettato i piccoli tagli che gli ricoprivano il corpo. E, ovviamente, il veleno dell’Acromantula in circolo non era d’aiuto. Si sentiva spossato e il suo stomaco aveva anche preso a brontolare insistentemente. 

Di quel passo, non avrebbe mai raggiunto la Coppa Tremaghi.

Si accasciò a terra, appoggiato al tronco di un albero, e prese un profondo respiro. Doveva raggiungere il centro della foresta. Se anche non fosse riuscito ad arrivarci per primo, quantomeno era suo dovere provarci. Ne valeva degli sforzi fatti dai suoi compagni di squadra, che avevano lottato senza mai arrendersi e che gli avevano permesso di arrivare a un passo dalla vetta. 

«Ti arrendi, dunque?» gli chiese Aemond, fermandosi davanti a lui.

«No. Faccio solo una pausa.»

«Se la ritieni una buona idea…»

Jacaerys sbuffò, ma non gli rispose. Quelle poche forze che aveva le doveva concentrare sul suo obiettivo. Non poteva più permettersi distrazioni.

Fu percorso da un brivido di freddo. Non sembrava il clima tipico di una serata di fine giugno – ma forse era la sua debilitazione a fargli percepire un clima più rigido. 

Si guardò intorno, scoprendo con piacere che quella zona era piena di rami secchi. Li Appellò a sé, usandoli per costruirsi un piccolo fuoco con cui scaldarsi.

Pochi minuti, si disse. Riprendo fiato, mi scaldo e concludo la Prova.

«Ti rendi conto che mancherà, a voler essere ottimisti, mezz’ora alla fine della gara?» esclamò Aemond, che si era comunque seduto accanto a lui. «Non mi sembra il momento adatto per fare un campeggio.»

«Non è un campeggio. Ho bisogno di riprendere fiato, tutto qui.»

Jacaerys imprecò tra i denti per avergli dato ascolto. Aemond aveva sempre avuto un vantaggio su di lui: sapeva come fargli perdere il controllo. Non doveva permetterglielo, tanto più che quello non era Aemond.

Doveva sollevare la Coppa anche per togliersi dai piedi quella seccatura. 

Nonostante il calore del fuoco, Jacaerys continuava a sentire freddo. Il suo corpo aveva infine perso contro il veleno dell’Acromantula? Però non si sentiva più debole fisicamente. 

Era… strano. 

Si alzò in piedi e in quel momento, attraverso le fronde degli alberi, vide qualcosa che sperava di non dover affrontare in un momento del genere. 

Tre Dissennatori, che lentamente si facevano avanti aumentando di numero a ogni secondo, lo stavano circondando.

Jacaerys strinse la bacchetta tra le mani, puntandola contro il primo trio, e scagliò l’Incanto Patronus. La sua fenice fluttuò verso di loro, ma era piuttosto piccola e venne spazzata via in un attimo.

«Ma come?» esclamò Aemond. «Tu, con la tua bella vita piena di amici e di successi, non riesci a evocare un Patronus decente?»

Jacaerys strinse le palpebre, cercando di focalizzarsi su un ricordo felice. Pensò alla prima volta che aveva volato su una scopa insieme a suo padre, quando aveva scoperto quanto fosse elettrizzante librarsi in cielo. Nonostante ciò, però, il suo Incantesimo produsse un effetto anche peggiore del precedente – forse perché, insieme agli incoraggiamenti di Harwin, aveva sentito anche le risate dei Serpeverde quando si era mostrato incapace di richiamare la scopa al primo tentativo, cosa che, invece, ai suoi fratelli era riuscita senza difficoltà.

Sentiva sempre più freddo e aveva come la sensazione che il tempo avesse preso a correre, avvicinandosi sempre di più allo scadere della Prova.

Non avrebbe raggiunto la Coppa Tremaghi.

Non avrebbe esultato per la vittoria con i suoi compagni.

«Onestamente? Sono sorpreso. E anche un po’ deluso, in realtà. Pensavo fossi più forte di così.»

Jacaerys strinse i pugni. Tentò nuovamente di richiamare alla mente ricordi felici, magari qualcosa che riguardasse Aegon – ma tutto ciò a cui riuscì a pensare furono gli ultimi anni fatti di sguardi assenti e commenti sprezzanti, causati in parte dall’attacco di Aemond contro lui e Luke. 

Se solo quello stupido ragazzino fosse rimasto al suo posto. 

Se non fosse mai esistito.

Si voltò verso lo spettro, stringendo la bacchetta tra le dita. Era stato lui a fargli perdere tutto quel tempo e a provocargli le ferite che lo avevano rallentato. Era lui il motivo per cui non sarebbe riuscito a terminare la sua Prova.

«Ti ho voluto bene, un tempo» disse Aemond, alzando lo sguardo verso di lui. E Jacaerys ebbe la terribile sensazione che il ragazzino avesse capito quali fossero le sue intenzioni.

Indietreggiò, scuotendo la testa. Cosa voleva fare? Stava davvero pensando di attaccare un bambino indifeso? 

Il freddo attorno a lui si fece sempre più pungente e Jacaerys non ricordava nemmeno più che aspetto avesse la felicità. Sollevò lo sguardo verso i Dissennatori, sempre più vicini, e si chiese se davvero il loro bacio fosse così terribile come raccontavano.

Fu in quel momento che lo vide. 

A pochi passi da lui, un unicorno lo stava osservando immobile. Jacaerys strinse le palpebre, cercando di capire se fosse reale o solo un’illusione della sua mente sfinita. 

«Lo vedi anche tu?» chiese ad Aemond.

«L’unicorno che hai salvato prima? Sì.»

Jacaerys annuì. Provò ad avvicinarsi alla Creatura, ma le sue gambe erano di piombo e anche solo l’idea di provare a muoverle gli appariva irrealizzabile. Inoltre, ormai il tempo doveva essere prossimo alla scadenza: qualunque cosa avesse fatto, non sarebbe riuscito a completare la Prova.

«Se fai del bene, ti torna del bene.» La voce di Aemond gli giunse ovattata, come se gli stesse parlando dal lato opposto della foresta. «O, almeno, questo è ciò che dice mia sorella.»

La menzione a Helaena lo ridestò dal suo improvviso torpore.

“Gli unicorni sono degli amplificatori.”

Ricordò che, appena prima di ritrovarsi nella Foresta Proibita, la Corvonero lo aveva abbracciato e gli aveva sussurrato quelle parole. Non aveva avuto il tempo di soffermarsi sul loro significato – e probabilmente non lo avrebbe mai fatto se non si fosse trovato di fronte a un vero unicorno. 

Puntò lo sguardo sull’animale, che era ancora fermo nella sua posizione, ed ebbe l’impressione che il macigno che sentiva gravare su di sé si alleggerisse.

C’era ancora tempo. C’era ancora una possibilità.

E lui aveva ancora abbastanza forze per vincere quel Torneo.

Si incamminò verso l’unicorno – e il suo rinnovato vigore attirò l’attenzione dei Dissennatori, che strinsero la loro morsa attorno a lui. Si ritrovò ancora una volta a dubitare delle sue capacità, ma decise che doveva comunque tentare. 

«Expecto Patronum.»

La fenice, scaturita dalla sua bacchetta mentre pensava alla proposta di Aegon di affrontare la Prova insieme, era più grande della precedente e gli permise di allontanare i Dissennatori abbastanza perché potesse riprendere il cammino e raggiungere finalmente l’unicorno. 

Istintivamente, posò una mano sul suo collo, cercando un appiglio che lo aiutasse a restare in piedi. L’animale si lasciò toccare senza mostrare segni di disagio e il calore della sua pelle fluì attraverso le dita di Jacaerys, liberandolo dal freddo causato dai Dissennatori. 

Tutti i ricordi felici che sembravano averlo abbandonato riemersero nella sua mente e lui riuscì a visualizzarli con estrema chiarezza. Chiuse le palpebre, lasciando che i volti di Aegon, Luke, Harwin, Rhaenyra, Laenor, Cregan, Joffrey, Helaena e anche Aemond scorressero davanti ai suoi occhi.

«Expecto Patronum!»

La fenice che comparve si librò fiera nell’aria, grande quanto i Dissennatori, e volò attraverso ognuno di loro, mettendolo in fuga. Il suo Incantesimo non era mai stato così potente – e fu solo quando l’unicorno si allontanò, tornando ad addentrarsi nella foresta, che Jacaerys si rese conto di aver tenuto la mano sinistra sulla creatura fino a quel momento. 

Helaena aveva avuto ragione, tanto per cambiare.

Quando anche l’ultimo Dissennatore svanì dalla sua vista, Jacaerys avvertì il tiepido clima estivo tornare ad avvolgerlo. Emise un lungo sospiro di sollievo: aveva seriamente creduto di dover assaggiare il bacio dei Dissennatori, esperienza che, a mente lucida, era deciso a non sperimentare mai.

Alzò lo sguardo verso Aemond, che come sempre aveva osservato lo scontro in silenzio e adesso stava guardando un punto alle sue spalle.

Temendo l’insorgere di una nuova minaccia, Jacaerys si voltò – e quasi non credette ai suoi occhi. Davanti a lui, la strada si apriva in un unico sentiero che conduceva dritto a una colonna, sulla cui cima era posta la Coppa Tremaghi.

Era a un passo dalla meta.

«Non te lo meriti» disse Aemond. In un battito di ciglia, Jacaerys se lo ritrovò davanti agli occhi, unico ostacolo tra lui e la vittoria. «Non sei arrivato qui con le tue sole forze. Contro quei Dissennatori, eri disposto ad arrenderti, a discapito dei sacrifici fatti dai tuoi compagni.»

«Sì, hai ragione» rispose, ma non si sentiva in colpa. Anche Aegon gli aveva raccontato di aver pensato di mollare durante la sua Prova, ma non l’aveva fatto – ed era quella la cosa più importante. 

Aemond sembrò sorpreso dalla sua risposta.

«Tutto qui? Non cerchi nemmeno di giustificarti?»

Jacaerys scosse la testa. 

«Non ce n’è bisogno. Sì, ho avuto molti momenti di debolezza oggi, ma li ho superati. E, in parte, lo devo anche a te.» Si accovacciò davanti a lui, in modo da guardarlo dritto negli occhi. «Aemond, mi dispiace molto per…»

«No.» Il bambino si scostò, evitando la mano che Jacaerys aveva cercato di posargli sulla spalla. «Dillo a qualcuno a cui interessa.»

Jacaerys sbatté le palpebre. Giusto, stava facendo di nuovo lo stesso errore: lui non era Aemond.

Si alzò e lo oltrepassò senza più degnarlo di uno sguardo. Si sarebbe scusato con chi di dovere, una volta tornato a casa.

Raggiunse la colonna in pochi passi e, senza permettersi altre distrazioni, sollevò le braccia e afferrò i manici della Coppa Tremaghi.

 

 

Aprì gli occhi su un cielo stellato colmo di musica e applausi.

«Ottimo lavoro, figliolo» disse Harwin, sorridendogli fiero, mentre Aegon lo abbracciava – o, almeno, Jacaerys immaginò che i capelli biondi che si ritrovò in faccia fossero i suoi. 

Si sentiva un po’ frastornato e, per un momento, temette di essere ancora all’interno della Foresta Proibita e che loro fossero un’altra prova da dover superare; ma il freddo metallo tra le sue dita gli confermò che era tutto vero.

«Aegon, lascialo respirare» lo rimproverò Alicent, cercando di staccarlo da lui. 

Il ragazzo mugugnò qualcosa in risposta, anche se non sembrava il suo solito borbottio infastidito: non stava uscendo nessuna parola dalle sue labbra.

Jacaerys si tirò su e osservò attentamente il suo ragazzo, notando che aveva qualcosa di strano alla bocca.

«Stai bene?» gli chiese, prendendogli il volto tra le mani. «Che è successo?»

«Abbiamo dovuto farlo stare zitto per evitare che vi facesse squalificare» spiegò Helaena. «Ma ora penso che siate fuori pericolo.»

Estrasse la bacchetta e lanciò un Finite Incantatem verso suo fratello, che si massaggiò la mandibola emettendo uno sbuffo.

«Alla buon’ora!» esclamò. Poi si voltò verso Jacaerys, abbassando lo sguardo, mortificato. «Non devi preoccuparti per me, io sono solo un idiota. Tu, piuttosto, stai bene?»

Jacaerys sorrise. Si sporse verso di lui e lo baciò, stringendolo a sé per avere la conferma definitiva che tutto quello era reale.

«Ti amo» sussurrò sulle sue labbra.

Aegon si lasciò sfuggire una risatina.

«Non pensavo che qualche ora lontano da me ti facesse quest’effetto. Forse dovremmo farlo più spesso.»

«Senza la parte delle Acromantule e dei Dissennatori, se ne può parlare.»

Aegon sgranò gli occhi.

«Cos’hai detto? C’erano… Hai dovuto affrontare quella roba?»

Jacaerys annuì, pentendosi all’istante di averglielo detto perché lo vide scattare in piedi, pronto a urlare contro gli emissari del Ministero.

«Lo abbiamo dovuto zittire proprio per questo» gli spiegò Luke, che si era arrampicato sul letto per sedersi accanto a lui. «Il tuo sonno non è stato molto tranquillo, ti agitavi spesso ma non dicevi una parola. La nonna ha detto che era tutto a posto, ma era difficile crederle.»

Jacaerys abbassò lo sguardo. Non avrebbe voluto far preoccupare la sua famiglia e, forse, avrebbe potuto evitarlo se fosse stato più forte. Si era fatto distrarre così spesso durante tutta la Prova che si chiese se davvero la vittoria non l’avrebbe meritata qualcun altro. 

«Tanto per curiosità» disse Joffrey, spostando lo sguardo su tutti loro. «Sono l’unico ad aver notato che Jace è tornato con la Coppa Tremaghi?»

«No, signor Lonmouth. Lo abbiamo notato tutti.» Rhaenys si avvicinò a Jace, accompagnata da Tyland Lannister e gli altri uomini del Ministero. Sorrise al ragazzo, che ricambiò il gesto. «Se volete seguirmi, è tempo di annunciare i vincitori di questo Torneo.»

«Naturalmente vogliamo» disse Joffrey, aggiustandosi la cravatta soddisfatto.

Jacaerys scattò in piedi, tenendo la Coppa tra le mani. Quando spostò lo sguardo verso Aegon, notò Aemond accanto a lui. Ripensò allo spettro che lo aveva accompagnato durante tutta la Prova e alle accuse – in parte veritiere – che gli aveva rivolto. Non era certo che esistesse davvero la possibilità di ricucire il loro legame, ma adesso Jacaerys sapeva di volerci almeno provare.

«Spero non ti dia fastidio la mia presenza qui.» 

La voce profonda di Aemond lo riscosse dai suoi pensieri. Doveva averlo fissato per tutto il tempo, facendo scaturire in lui quella sensazione errata.

«Niente affatto» rispose, avvicinandosi e rivolgendogli poi un sorriso. «Anzi, mi fa piacere che tu sia qui. E… E credo che Luke sia fortunato ad averti.»

Aemond inarcò un sopracciglio, mentre Aegon gli si avvicinò, posandogli una mano sulla fronte.

«Che ti hanno fatto in quella foresta?» chiese, preoccupato. 

Jacaerys gli prese la mano, intrecciando le loro dita insieme.

«Ho avuto modo di riflettere su alcune cose, tutto qui. Tranquillo, continuo a preferire te» aggiunse poi sottovoce.

«Quello mi sembra il minimo!»

«Piccioncini!» Joffrey sventolò una mano verso di loro, invitandoli a raggiungerlo sotto il palco. «Servirebbe la Coppa.»

Jacaerys osservò l’oggetto che brillava nella sua mano destra, stringendo la presa sul manico per essere certo di non starlo sognando. Dopo tutti quei mesi di ansie e fatiche, avevano davvero vinto.

«Posso dire che non sono affatto dispiaciuto che questo Torneo sia finito?» mormorò Aegon.

«Siamo in due.» Poi gli sorrise, accarezzandogli il dorso della mano con il pollice. «Ma sono felice che abbiamo partecipato.»

Non ebbe bisogno di specificare il perché di quell’affermazione. Aegon lo baciò e Jacaerys si lasciò avvolgere dalle sue labbra, incurante del mondo intorno a loro.

Il Torneo Tremaghi era terminato, ma la loro storia era solo all’inizio.



 



Note: intanto ringrazio chiunque sia arrivato a leggere fin qui ❤ Il capitolo mi è uscito molto lungo (e ho anche tagliato delle parti 🙃) e penso non sia il migliore di questa storia, ma il tempo per consegnare era agli sgoccioli e non sarei riuscita a modificarlo ulteriormente 🙈
La parte finale con l'unicorno non so se abbia senso, è un po' fusa con gli Amplificatori di Shadow and Bone, ma visto che viene spesso usato per creare delle bacchette ho pensato che la sua sola vicinanza potesse aumentare il potere di Jace.
Non so quando, ma pubblicherò anche un epilogo (in cui devo far vedere Daemon, principalmente 🙈) prima di spuntare la casella Completa di questa storia. EDIT: mi sarebbe piaciuto scrivere un epilogo, ma in questi mesi non ho avuto idee né tempo per mettermici e, comunque, non ci sarebbe stato niente di particolare in quel capitolo. Dunque, la storia è completa così 😊
Colgo l'occasione per ringraziare chiunque l'abbia seguita e commentata e, soprattutto, Bluebell e L'Angolo di Madama Rosmerta per aver indetto questo Torneo 💙


 


 

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