No direction but to trust the final destination

di GladiaDelmarre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Letter ***
Capitolo 2: *** Sunflower ***
Capitolo 3: *** Lantern ***
Capitolo 4: *** Armor ***
Capitolo 5: *** Ghost Tree ***
Capitolo 6: *** Nest ***
Capitolo 7: *** Mushroom ***
Capitolo 8: *** Salty ***
Capitolo 9: *** Glass ***
Capitolo 10: *** Mist ***
Capitolo 11: *** Flame ***
Capitolo 12: *** Fight ***
Capitolo 13: *** Leaves ***
Capitolo 14: *** Wreck ***
Capitolo 15: *** Hidden ***
Capitolo 16: *** Chest ***
Capitolo 17: *** Wild ***
Capitolo 18: *** Sleep ***



Capitolo 1
*** Letter ***


L’uomo era morto ormai da parecchio tempo. Anni, probabilmente. Il cadavere sembrava rinsecchito e polveroso: capelli radi incollati al cranio, orbite vuote, vestiti ridotti a stracci. La morte lo aveva trovato rannicchiato in un angolo, con una busta da lettera tra le dita.

 

“Sarà solo un’altra stupida lettera di addio Ellie, lascia perdere. Non c’è niente che ci possa essere utile qui”.

“Aspetta, è pur sempre… beh qualcosa. Qualcosa che era caro a questa persona. Magari gli ultimi pensieri, sai, tipo i condannati a morte”.

“Ragazzina, questo posto è stato già ripulito. Vieni via”. Joel si era già rimesso lo zaino sulle spalle, pronto a frugare la stanza successiva. 

 

Ellie allungò ugualmente la mano per prendere il foglio di carta ingiallito e spiegazzato, borbottando un “che stronzo” tra sé e sé. 

 

Nel mondo di Ellie la morte faceva parte della vita più di quanto non fosse mai successo prima. 

Neanche lei ci faceva troppo caso, ormai, eppure non riusciva a lasciarsi alle spalle tutto rapidamente come faceva Joel. Per lui era importante solo l’attimo presente, teneva a bada il passato seppellendolo e facendo finta che non esistesse, e guardava al futuro con circospezione, quel tanto che bastava a mantenere entrambi in vita. Lei invece sognava la vita che non aveva conosciuto, arsa da una curiosità inarrestabile di comprendere quello che era stato. Ogni frammento sembrava essere importante, anche se molte cose le sembravano senza senso. 

 

La busta conteneva un foglio con poche parole scritte in una grafia sorprendentemente bella. Chiaramente non scritto negli ultimi attimi della vita di nessuno. Aveva una data precedente a quella dell’arrivo del Cordyceps. Qualcosa come 1981, un migliaio di anni prima.

 

“I almost wish we were butterflies 

and only lived for three days in summer,

three such days with you I could fill with more joy 

than fifty ordinary years could ever contain”.

John Keats

 

Ellie lo lesse e rilesse più volte. Solo tre giorni, ma pieni e felici come mai. Ripensò a Riley. Avevano avuto molto meno di tre giorni in realtà. Solo poche ore. Eppure era stata pronta a morire, perchè Riley era con lei. Perché la amava, e perché la sua bocca si era posata su quella di Riley. Perché la sua pelle bruna splendeva, ed era seta e miele sotto il tocco delle sue labbra. Si perse, per qualche attimo, in quei ricordi. Joel le avrebbe detto di ricacciarli via, di dimenticare. Chi resta indietro deve rimanere nel passato. Era per questo che Ellie non gliene aveva parlato. Riley era ancora con lei, non poteva lasciarla andare, non ancora. 

 

Si chiese se avrebbe mai avuto tre giorni di gioia con Joel. Scosse la testa, sospirando, guardando le sue spalle larghe appesantite dalle armi e dal lungo cammino già percorso durante la giornata. Forse no. Tre giorni sembravano davvero tanti, in quel momento.  

 

Corricchiò per raggiungerlo e stare al suo passo, tenendo strette tra le mani le cinghie del suo zaino. La vecchia lettera che aveva trovato era chiusa nella tasca sul fondo, accanto a quella di sua madre.





Note: Martina, che è un'acquarellista super talentuosa (https://www.instagram.com/martina_huni/), ha interpretato la mia storia in questo modo:

Letter

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Capitolo 2
*** Sunflower ***


Stando alla mappa, il confine del South Dakota ormai era poco distante. Le vecchie autostrade erano posti da evitare (troppi banditi, troppa visibilità) ma avevano tenuto la Interstatale 80 come riferimento verso sud e il giorno precedente avevano visto un cartello ormai scrostato con le indicazioni per Sioux City - 100 km. 

 

Un tempo qui era pieno di campi coltivati.

 

Gli alberi avevano cominciato a reclamare la terra ormai da vent’anni, e boschetti di pini e abeti si trovavano un po’ ovunque in quella zona. 

 

Avevano iniziato a camminare da un paio di ore. Ellie era di poco avanti a lui e stava canticchiando qualcosa tra sé e sé. Joel non riusciva davvero a capire come lei potesse essere sempre così piena di energia. 

 

Ha 38 anni meno di te, vecchio.

 

Sarah adesso ne avrebbe avuti 32. 

 

Joel scrollò la testa. Non doveva pensare al passato. Il passato non serve ad altro che a tenere le persone legate a cose e a persone che non esistono più. Fa male. Joel aveva imparato la lezione nel modo più duro. Se solo Ellie non gli facesse continuamente domande sulla sua vita. Se solo non gli ricordasse così tanto Sarah, per certi versi. Se solo non fosse così diversa da lei per altri. Se solo Ellie non fosse così dannatamente giovane. O non abbastanza.

 

Qualcosa doveva aver attirato la sua attenzione, perché aveva lanciato una sorta di trillo eccitato ed era corsa in avanti, zigzagando tra gli alberi, violando per l’ennesima volta la regola restare-sempre-in-vista.

 

“Ellie, torna qui!” sibilò Joel. Non erano così distanti dalla strada, non abbastanza almeno. Potevano esserci infetti. Potevano esserci altre persone.


Joel le corse dietro, quasi andandole a sbattere addosso nel punto in cui si era fermata, appena fuori dalla linea degli alberi. 

 

“Joel, guarda!” aveva detto, indicando eccitata la piana che si stendeva loro davanti.

 

C’era un enorme campo di girasoli. Era ormai autunno, eppure erano lì, rivolti verso di loro, un mare giallo luminoso appena a poche decine di metri più avanti. 

 

“È bellissimo…” aveva sussurrato Ellie, muovendosi verso il campo. Joel l’aveva trattenuta, mettendole una mano sulla spalla.

 

“Non possiamo attraversare qui, ragazzina. I fiori sono più alti di te”

“Che cazzo Joel, non mi mangeranno mica!” esclamò lei, piccata.

“Non i fiori, no. Ma nemmeno io posso vedere bene lì in mezzo, ed è pericoloso. Non possiamo sapere cosa ci sia nascosto”.

“Non ci avevo pensato…” aveva risposto, sottovoce.

 

Gli occhi le si erano rattristati, per un attimo. Joel l’aveva notato, anche se lei si era ripresa quasi subito. Era davvero un mondo terribile, quello che non permetteva a una bambina di correre in un campo pieno di girasoli. Di ridere ad alta voce, di giocare con altri ragazzini della sua età. Quello che metteva sulle spalle di Ellie il futuro dell’umanità.

 

“Aspetta qui” le disse Joel. Aveva preso in mano il revolver, per buona misura, ed era sceso verso la piana coperta di fiori. Poteva sentire lo sguardo di lei sulla sua nuca. Poteva immaginarla allungare il collo sottile, preoccupata, mentre lui si allontanava verso il campo.

 

Tornò poco dopo, con un grosso girasole in mano. 

 

“Per te, ragazzina”.

 

Gli occhi di lei brillarono di nuovo, più caldi dello stesso sole. 






Note: sbirciate sempre instagram di Martina, che per questa storia ha dipinto lo zaino di Ellie con il suo girasole <3

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Capitolo 3
*** Lantern ***


 

Attraversare un tunnel era sempre un azzardo, ma a volte non c’erano altre soluzioni. 

Aveva camminato rasente al muro, tenendo in mano il fucile a pompa. Nessuna spora in vista, ma non si sentiva a suo agio.

Il tunnel era stato un tempo un sottopasso in una zona alla periferia di Fort Wayne. Adesso era in parte inondato d’acqua e vecchi camion, macchine e furgoni arrugginiti gli sbarravano il passo. Tutte le dannate auto dell’Indiana erano ammassate in quel cazzo di posto.

 

Tra le auto si aggirava un vecchio clicker, ricoperto in gran parte da placche di cordyceps che gli rendevano la pelle spessa e quasi impenetrabile: ormai era sulla strada per diventare un bloater. Gli abiti erano ormai praticamente inesistenti, e quando Joel si accorse che pene e testicoli erano esposti e parzialmente mangiati dal fungo succhiò per un attimo l’aria tra i denti, disgustato. Probabilmente il clicker aveva percepito quel suono, per quanto debole, e si era voltato verso di lui urlando nel tentativo di localizzarlo. Joel si era appiattito sul fianco di un’auto per fornire la peggiore immagine eco possibile per il mostro che si muoveva verso di lui. Aveva bisogno di tenersi a distanza. Frugò con la mano nell’acqua putrida, trovando fortunosamente un pezzo di un mattone. Lo lanciò alle spalle del clicker in una lunga traiettoria ad arco, per tentare di attirarlo lontano da lui. Quello si era voltato, per un attimo. Abbastanza per lasciare a Joel il tempo di scivolare dietro alla macchina. Aveva solo una molotov, ma se la sarebbe fatta bastare. Il grosso clicker aveva ricominciato a schioccare la lingua per ritrovare la sua preda, infammezzando con grida stridule e movimenti scattosi verso una direzione o l’altra. Joel si sporse quel tanto che bastava per prendere la mira. Lanciò la molotov, che esplose al contatto con il clicker, facendolo avvampare. Si preparò a sparare. Aveva sei cartucce, avrebbe dovuto aspettare che gli fosse abbastanza vicino per penetrare la pelle inspessita. 

In quel momento sentì un altro rumore, al suo fianco destro. Un runner, attirato dal trambusto. Joel d’istinto gli sparò un colpo in pieno viso facendolo crollare nell’acqua, ma il clicker si era ormai voltato verso di lui e si stava avvicinando troppo velocemente. 

Cristo, è troppo grosso.

 

Joel sparò due colpi con il fucile in rapida successione, e scivolò indietro spinto dal rinculo, cadendo di schiena. Il clicker gli fu addosso in un attimo, urlando. Era più pesante di lui, più grosso di lui e non sembrava accusare le ferite ancora, nonostante la sua schiena continuasse a bruciare. Joel lo tenne a distanza con una mano, mentre la mandibola spaccata a metà del clicker schioccava a pochi centimetri di distanza dal suo viso, e una bava giallastra gli stava colando addosso. Riuscì a liberare il revolver dalla fondina e gli scaricò a bruciapelo tutti i colpi che aveva, mentre il mostro contunuava ad urlare. Infine gli trafisse il collo alla base della mascella con uno dei suoi coltelli improvvisati. Lo colpì due, tre volte, finchè quello non gli cadde addosso, finalmente morto.

 

Gli ci vollero uno o due minuti per riprendere il fiato. 

 

Si alzò, rendendosi conto di trovarsi al buio. La torcia doveva essere scivolata dalla cinghia dello zaino. Non c’era tempo di cercarla, se c’erano infetti potevano essere tornati indietro, essere arrivati da Ellie.

 

Si alzò e si mosse in direzione di quella che doveva essere la fine del tunnel. Si era addentrato troppo. Non riusciva quasi a vedere nulla. 

 

Finalmente era apparsa una luce fioca e tremolante. Corse verso quella direzione.

 

“Joel?”.


Ellie aveva disobbedito, ancora una volta. 

Gli si stava avvicinando, direzionando la torcia in modo da non accecarlo. In una mano aveva il coltello. Così giovane, eppure così coraggiosa. La luce dal basso amplificava le emozioni che le passavano sul volto: preoccupazione, sorpresa, sollievo. Era bella. La cosa più bella che potesse vedere, in quel momento. Ellie piegò le labbra in un sorriso, felice di vederlo.

 

“Ti avevo detto di aspettare” le disse, cercando di mantenere un tono severo. 

 

“E lasciarti tutto il divertimento?”.

 

Joel non riuscì a trattenere un ghigno.

 

“Sei una selvaggia. Vieni”.




Note: Come sempre, grazie Martina perché fai questa cosa con me <3

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Capitolo 4
*** Armor ***


La Zona di Quarantena di Cleveland aveva avuto una vita breve, solo cinque anni. Era stata abbandonata quando la FEDRA aveva deciso di bombardare la città per contenere il gran numero di infetti. Negli ultimi 15 anni quindi la città era stata lentamente erosa dalle intemperie e adesso si presentava come una zona di guerra abbandonata. Era sicuramente un posto pericoloso, molto più dei campi e delle forteste che la circondavano, ma poteva contenere anche razioni di cibo, munizioni e attrezzature. Non era passato molto tempo dalla fuga da Pittsburg ed Ellie sembrava ancora scossa dalla morte di Sam ed Henry. Joel le avrebbe volentieri risparmiato aggressioni o disavventure che nelle grandi città accadevano più di frequente, ma dovevano assolutamente cercare di rifornirsi, visto che nei giorni precedenti non erano stati fortunati nei centri più piccoli. 

 

“Joel, che cos’è quello?” 

Ellie stava indicando una grande palazzo che aveva mantenuto un aspetto sontuoso nonostante fosse in parte in rovina. 

“Un museo, credo”.

“Possiamo entrare?”.

 

Joel guardò con più attenzione. Una scritta “FEDRA” era stata dipinta su una delle colonne del frontone. I musei erano stati usati spesso come basi militari. Poteva valere la pena dare un’occhiata all’interno. 

 

“Se non ci sono spore” annuì.

 

Nella sala d’ingresso avevano trovato resti di materiale appartenuto alla FEDRA, ma niente di utilizzabile. Probabilmente altri erano passati prima di loro, lasciandosi alle spalle solo quello che non serviva. 

 

“Cerchiamo ancora, vieni”.

 

Il cortile sul retro doveva essere stato molto bello. Ampio e luminoso, con delle enormi vetrate sul tetto. Adesso la struttura in metallo che le sorreggeva era crollata in più punti, probabilmente a causa dei bombardamenti, e le vetrate erano frantumate. Piante simili ad ampie cortine verdi scendevano dalle larghe aperture in alto, e rampicanti carichi di fiori coprivano i muri laterali.

 

Il resto dell’edificio era quasi del tutto crollato. 

 

Joel ed Ellie si aggirarono per le sale sventrate, ormai invase dalla vegetazione. I quadri sui muri erano stati resi quasi del tutto irriconoscibili dall’acqua e dalle muffe, mentre le teche di vetro erano in pezzi, e quello che un tempo contenevano era sparso tra l’erba sul vecchio pavimento.

 

L’atmosfera di quel posto era di una calma irreale e ovattata. Camminarono a lungo in mezzo alle rovine di quello che un tempo era stato un museo d’arte medievale, e di cui ormai restava poco più che lo scheletro, osservando in silenzio i resti di una cultura che non gli era mai appartenuta: troppo antica per Ellie, figlia di un mondo nuovo e violento, troppo estranea a Joel, che non se ne era mai curato troppo.

 

Una vecchia armatura giaceva tra erba e fiori. Un tempo indossata da un guerriero a cavallo, non avrebbe protetto più nessuno. 



Note: Anche questa volta, il bellissimo acquerello di Martina:

 

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Capitolo 5
*** Ghost Tree ***


Joel era ancora convalescente, dopo quello che era successo alla Eastern Colorado University. Era riuscito a salvarla da Silver Lake, ma lo sforzo gli era costato caro. La maggior parte delle volte era ancora Ellie a dover andare a caccia, mentre lui aspettava e riposava.

 

La primavera aveva iniziato a farsi sentire, e qualche bucaneve spuntava dalle coltri bianche che coprivano il terreno. 

 

Ellie camminava da sola e in silenzio. Il chiacchiericcio incessante che un tempo invadeva la sua mente ora era stato sostituito da pensieri più cupi, che lei si ostinava a ricacciare in basso concentrandosi soltanto sui suoni del bosco. Il canto di un uccello, il rumore di rami spezzati dal peso della neve, ma soprattutto il leggero scricchiolio sotto agli scarponcini. A volte contava i suoi passi uno ad uno, fino a dimenticare il numero a cui era arrivata per poi ricominciare di nuovo. 

 

Fino a quel momento aveva evitato il margine nord della cittadina, perché era da lì che erano passati nel ritorno da Silver Lake. Non ricordava molto di quel viaggio e avrebbe preferito evitare di farlo, ma era l’unica zona che non aveva ancora battuto.

 

Un parco di piccole dimensioni era occupato da un vecchio cimitero, abbandonato da molti anni. C’era una lieve nebbia, e le lapidi erano sgretolate e quasi del tutto illeggibili. Sembrava un posto infestato, ma Ellie sapeva che non era dei morti che doveva preoccuparsi. Almeno non di quelli sotto terra.

 

Appesi ad un albero isolato c’erano due uomini e una donna impiccati. Potevano essere lì da un anno, forse.

 

“E voi perché siete qui?” chiese Ellie.

“Eravamo cacciatori. Banditi, ci avresti chiamato. Eppure eravamo umani, come te” disse la donna.

“Ti avremmo ucciso per quel bel coniglio che porti legato allo zaino”.

“Lo avremmo mangiato”.

 

“Ed invece siete morti. Chi vi ha impiccato?”. Ellie si era appoggiata ad una delle tombe, guardando i cadaveri che oscillavano lentamente dai rami appesantiti.

 

“Eravamo a caccia” disse uno degli uomini.

“Proprio come te”.

“Ma siamo diventati noi delle prede”.

Il secondo uomo, che era stato in silenzio fino a quel momento, parlò.

“Infetti. Siamo sopravvissuti molti anni, qui fuori. Da prima che tu nascessi. Ma non si può fuggire per sempre. Ci hanno circondato. Ne abbiamo uccisi molti, ma non abbastanza”.

“Altri di noi sono stati mangiati. Noi siamo stati solo morsi”.

“Ma non volevamo trasformarci”.

“Io non avevo il coraggio di farlo” disse il primo uomo. Sembrava più piccolo dell’altro. Forse più giovane.

“Così io l’ho aiutato” aveva incalzato il primo. “Gli ho legato le mani e l’ho tirato su. Lei piangeva”. Le sue orbite vuote, intaccate dal becco dei corvi, sembravano risucchiare la luce di quel pallido mattino di Marzo.

“Io lo amavo!” aveva gridato lei. Il suono del suo urlo si era mischiato a quello del vento. I capelli lunghi e aggrovigliati sventolavano in sottili bande scure. Se solo avesse saputo cosa fosse, Ellie avrebbe pensato ad una banshee.

“Lo sapevo, ma non era più importante. Ho impiccato anche te. Ho lasciato solo abbastanza corda per me: poi è finito tutto”.

“Altri infetti sono venuti. Ci hanno mangiato le gambe. Ma noi eravamo già morti”.

“Prenderanno anche te”. Il ragazzo aveva riso.

 

“Io non posso essere infettata. Sono immune. Sono l’unica speranza dell’umanità” aveva detto Ellie.

“Non c’è speranza per l’umanità, ragazzina”.

“Il fungo mangerà via tutti noi. Morirai anche tu”.

 

Ellie respirò a fondo, buttando fuori l’aria dai polmoni attraverso la bocca. 

 

“Resta con noi”.

“Se cerchi bene, magari troverai della corda anche tu”.

 

Ellie teneva gli occhi chiusi. Non voleva più guardare.

 

“Resta qui, ragazzina”.

“Sei più morta che viva comunque. Resta con noi” aveva detto la donna, suadente.

 

Si voltò, ignorando le loro richieste.

 

“Torna qui, ragazzina”.

 

Ellie corse via, con il cuore che le pulsava nelle tempie.

 

Quando arrivò al rifugio dove Joel la stava aspettando, lo trovò che stava spaccando della legna. Nonostante il dolore al fianco che ancora doveva essere forte, era riuscito a fare un bel mucchio. 

 

“Hey piccoletta, hai corso?” le aveva detto, stirando un sorriso.

“No, ho solo freddo” mentì.

“Entriamo dentro. Il coniglio sarà un’ottima zuppa, vieni”.

 

Joel la strinse forte sul fianco buono, ed Ellie si rese conto di sentirsi intera solo in quel modo.





Note:
1) Per un contesto più ampio, potreste leggere la mia "Sotto una coltre di Neve".
2) Grazie Martina <3

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Capitolo 6
*** Nest ***


Era stata una giornata di cammino dura, ed avevano dovuto compiere una lunga deviazione verso nord per attraversare il Missouri. Ellie non sapeva nuotare e quel fiume era troppo ampio e veloce perchè Joel potesse trascinarsi dietro un pallet con lei sopra insieme agli zaini, per quanto fossero ancora in autunno e non fosse piovuto molto durante quell’estate. Erano finalmente arrivati al ponte che scavalcava il corso d’acqua e lo avevano percorso in fretta e guardandosi alle spalle di continuo, per timore di essere colti alla sprovvista da qualcuno, che fosse umano o infetto.

 

Erano stati fortunati, in qualche modo. I ponti erano spesso presidiati da gruppi di persone che chiedevano almeno un dazio per l’attraversamento. Quello non era in buone condizioni e in un paio di punti era quasi del tutto crollato. Erano passati con una certa difficoltà, soprattutto per via del temporale che era scoppiato durante il pomeriggio e che aveva reso tutto scivoloso. Finalmente si trovavano sulla sponda opposta, ma erano entrambi bagnati fino all’osso.

 

Di fronte a loro si trovava un boschetto di abeti, che per quanto poco riparo potesse offrire, sembrava comunque meglio delle rovine di Sioux City alle loro spalle. Avevano sentito dei clicker in lontananza, e nessuno dei due aveva le energie necessarie per stanarli ed ucciderli.

 

Avevano camminato ancora per una mezz’ora in mezzo agli alberi, poi gli si aprì davanti un’ampia radura.

“Andiamo ragazzina, arriviamo solo dall’altra parte, poi ci fermeremo”. 

“Joel che roba è quella?” indicò un albero isolato, a un cinquantina di metri da loro.

Joel strizzò gli occhi in quella direzione, e sorrise come Ellie aveva visto poche volte dall’inizio del viaggio.

“Quella, piccoletta, è una casa sull’albero”.

 

Ellie arrivò prima di lui, correndo per l’eccitazione.

“Sbrigati vecchio!” gli urlò da lontano.

 

Un tempo doveva esserci stata una bella scala per salire. Una larga e con gradini, non di quelle a pioli. Adesso la struttura era crollata, e la casetta era troppo in alto perché Joel potesse spingere Ellie in alto per cercare qualcosa per aiutarlo a salire, ma lei smaniava dalla voglia di dormire lì. Joel aveva un rotolo di corda nello zaino. Poteva fare un tentativo. 

 

Ellie rimase assolutamente deliziata quando arrivò in cima. La stanza principale era piccola, con un unico, grande letto al centro, e una finestra triangolare alle spalle. Dal lato opposto una finestra a golfo ospitava un minuscolo tavolo e due sgabelli. Non era stata usata da nessuno da parecchi anni, e dentro era polveroso e un po’ umido, ma a lei non importava. Una casa sull’albero! Non pensava che potesse essere una cosa reale, credeva esistessero solo nei libri per bambini.

 

“Dormirò per terra, così potrai stare sul letto” annunciò Joel.

“Non dire idiozie. Abbiamo dormito per terra abbastanza, e c’è spazio per entrambi”.

“Non è appropriato per un uomo adulto stare nello stesso letto di una ragazzina”.

“Ma che cazzo dici? Che differenza fa dormire vicini per terra o su un letto?” rispose Ellie. “E poi non sono una ragazzina, ho quattordici anni e mezzo. Quasi adulta. E a nessuno frega niente di quello che è appropriato o no”.

“A me importa” borbottò Joel.

“Vecchio” lo canzonò lei, tirando fuori la lingua.

 

Sfrontata. Ostinata. Rumorosa. 

Entusiasta. 

Adorabile.

Cristo santo, questa ragazzina sarà la mia fine.

 

Ellie gli si rannicchiò addosso quella notte, e Joel dormì bene come non faceva da mesi, con lei tra le braccia.




Note: le meraviglie che fa Martina con gli acquerelli <3

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Capitolo 7
*** Mushroom ***


Sei così giovane, così innocente.

Così piena di fuoco. 

Così buffa.

 

Mi hai sempre fatto ridere, era una cosa che adoravo di te. Abbiamo riso tanto insieme, da quando ci hanno spostato nella stessa stanza. 

Ti ho notata subito, da quando hai dato un calcio nelle palle a quel coglione dell’ultimo anno, Josh, che aveva fatto cadere il pranzo ad un’altra ragazzina della tua stessa età. Non che tu gli abbia fatto granché, visto che non lo hai colpito come si deve, ma è il pensiero che conta. Hai sempre avuto fegato.

 

L’ho sempre saputo che ti piacevo. Per questo ti ho detto tutte quelle cattiverie, prima di scappare. Speravo che smettessi di pensare a me. L’ho capito quando mi sono accorta quanto mi sbirciavi mentre facevamo la doccia nei bagni della scuola. Ne sono stata certa quando sgattaiolavi nel letto di sopra con me, in inverno, e ti sentivo sospirare piano.

Lo sapevo quando ti ho sentito mentre ti toccavi, di notte, mentre pensavi che io dormissi. Mi sono chiesta se pensassi a me. Qualche volta l’ho fatto anche io, perché i tuoi respiri affannati erano così… erotici.

 

Ero venuta per dirti addio, per lasciarti un bel ricordo.

Ci siamo dette addio con un bacio, ma non ci saranno ricordi per noi. Moriremo qui. O almeno lo farà il nostro cervello.

 

Già lo sento, che sta cambiando qualcosa.
Ma non posso dormire ora, con te nuda qui abbracciata a me. 

 

MI dispiace, Ellie. 

Sarebbe stato meglio se non fossi venuta. Mi avresti dimenticata. Saremmo andate avanti con la nostra vita. Un amore a quattordici anni non dura. Nemmeno a sedici. Magari ci saremmo ritrovate, in futuro, a combattere l’una contro l’altra. Firefly contro Fedra. Sicuramente avresti vinto tu, perché sei più dura di me, più forte di me. Sei come una di quelle guerriere spaziali di quello stupido fumetto che ti piace tanto “Endure and survive”.

 

Che sciocchezza.

 

È strano, mi sento strana. Forse ho freddo.


Stai russando piano. Hai sul viso un’espressione soddisfatta, anche ora che dormi. Forse sorridi nel sonno. Forse mi stai sognando.

 

Vorrei baciarti ancora, ma non voglio svegliarti. 

 

Non voglio morire, ho solo sedici anni. 

 

Forse non sarei durata molto comunque. Un solo infetto è bastato a condannarmi… come avrei fatto lì fuori?

 

Tu ce l’avresti fatta. 

Lo hai ucciso tu.

 

Avevi uno sguardo feroce, bellissimo.


Mi dispiace Ellie, è colpa mia.


Forse devo andare via.

Mi scoppia la testa. Il Cordyceps mi sta mangiando dentro. Chissà se diventerò mai un fungo, alla fine di tutto.

 

Non voglio lasciarti, ma devo.

Non voglio morderti. Ho paura di essere ancora cosciente e di non poterlo impedire.

 

Addio, Ellie.



 

Riley si era alzata, nuda. La sua mente era annebbiata, e i vestiti non le interessavano più.

Voleva solo allontanarsi da Ellie.


Forse potrai vivere qualche ora più di me.


Aveva vagato per un po’ nel centro commerciale vuoto.

 

Il mattino stava sorgendo e c’era una luce azzurrina. Quell’ora del giorno era sempre stata la sua preferita, ma adesso non riusciva a ricordare perché. Non ricordava più nemmeno il suo nome.

 

Quella che un tempo era stata Riley aveva lanciato un urlo, mentre si strappava i capelli dalla testa.

 


Scusami.





Note: grazie, Martina <3

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Capitolo 8
*** Salty ***


Ormai erano quasi arrivati a Salt Lake City, quasi alla fine del loro viaggio, ammesso che le Fireflies fossero davvero lì. 

 

Joel non avrebbe mai creduto possibile che sarebbe venuto un tempo in cui avrebbe sentito la mancanza delle incessanti chiacchiere di Ellie, delle sue domande sul passato e del suo continuo stuzzicarlo. Il suo silenzio lo preoccupava, e lei si limitava a rispondere quando Joel le rivolgeva la parola, se non era così persa nei suoi pensieri da non ascoltarlo nemmeno. Gli eventi di Silver Lake l’avevano cambiata radicalmente, e Joel continuava a chiedersi se quel mostro l’avesse toccata, o peggio, prima che lui arrivasse. Avrebbe potuto domandarlo a lei, ma non ne aveva il coraggio. Joel avrebbe dovuto proteggerla. L’aveva delusa, e non sapeva come rimediare. 

 

Il Grande Lago Salato luccicava all’orizzonte.

 

“Joel?”.

“Hey ragazzina. Dimmi”.

“È veramente salato? Il lago dico”. Ellie stava tormentando le cinghie del suo zaino, tirandole e allentandole di continuo. 

“Si. In realtà è così salato che in acqua si galleggia meglio che nel mare”.

Ellie esitò qualche manciata di secondi.

“Possiamo andare a vedere? Prima di andare dalle Fireflies, intendo”.

 

Joel annuì.

 

La piana che li separava dalla riva del lago era costellata da pozze d’acqua bassa e banchi di sabbia incrostata di sale. Ellie aveva gli occhi spalancati per lo stupore. Tutto intorno a loro regnava una quiete pallida ed irreale.

 

“È incredibile… sembra di essere sulla luna!” aveva esclamato. 

 

Era corsa un poco più avanti e Joel l’aveva lasciata fare. Non c’era nessuno, ed era impossibile perderla di vista in quel posto. 

 

A qualche decina di metri di distanza l’aveva vista accucciarsi a guardare qualcosa per terra.

Quando Joel la raggiunse, si accorse che c’era un uccello morto. Lei aveva teso una mano e l’aveva posata sul corpo incrostato di sale in una breve carezza. 

Quando si era alzata, Joel l’aveva vista asciugarsi una lacrima con il dorso della mano. 

“Che succede, bambina?” le aveva chiesto.

“Niente. È che c’è tanta morte. Dappertutto”. 

“Ellie, la morte è una cosa naturale…” aveva iniziato lui.

“Già. Sicuro. Anche il Cordyceps è naturale. Perfino io”. Ellie aveva una voce dura, adulta. 

“Possiamo andare a nuotare?”, aggiunse poco dopo.

“Non sai nuotare ti ricordo, ragazzina”.

“Hai detto che si galleggia bene. E poi, non vorrai mica far affogare il futuro dell’umanità, dico bene?”. Il mezzo ghigno che aveva sul volto non le arrivava fino agli occhi. 

“Che faccia tosta”.

 

Ellie si era spogliata in fretta, rimanendo solo con la biancheria. Era entrata nell’acqua fino alla vita, sguazzando goffamente.

 

“Allora, mi insegni a nuotare?” urlò.

Joel la raggiunse dopo essersi tolto i vestiti, camminando lentamente.

“Non imparerai mai qui, si galleggia troppo facilmente”.

“Sei noioso. Insegnami a galleggiare allora”.

 

Lui la spinse indietro.

 

“Ecco, stai galleggiando” ridacchiò.

“Che stronzo!”.

 

Ma stava ridendo anche lei. Stavolta davvero.

Minuscole goccioline costellavano la sua pelle e le sue ciglia, e scendevano dai capelli sulle sue spalle lentigginose. Il reggiseno sportivo che portava le si era incollato addosso, fin troppo rivelatore. Ellie era bella, forte come nessun’altra. Joel non aveva mai conosciuto qualcuno come lei. Non avrebbe dovuto pensare a cose del genere, ma non riusciva in nessun modo.

 

Giocarono nell’acqua finchè il tramonto non iniziò a calare, dimentichi della loro missione.

 

Il resto dell’umanità era distante, quasi inesistente. C’erano solo Joel ed Ellie, in un mondo intero fatto di sale e di prati e di foreste, di sole e di vento, di pioggia e di nuvole. Un mondo che era pieno di morte, ma anche pieno di vita.

 

Le Fireflies potevano aspettare un altro giorno, in fondo.




Note: Guardate sempre Martina su Instagram, che fa cose bellissime!

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Capitolo 9
*** Glass ***


“Lo so come si fa a sparare!” disse Ellie, piccata.

“Sì, certo. Sai dov’è il grilletto. Ma la tua mira? Non voglio rischiare che tu mi faccia saltare le cervella solo perché pensi di saper sparare” la rimbrottò Joel, tra il burbero e il divertito. 

“I miei occhi sono meglio dei tuoi, vecchio”.

“È inutile che tiri fuori la carta della giovinezza, mocciosetta. La mira non è solo questione di vista”.

 

Joel aveva allineato una serie di vecchi bicchieri lungo un muretto. In quel momento erano nel parcheggio di una di quelle tavole calde che si trovavano lungo le interstatali, un ristorante da pochi soldi frequentato per lo più da camionisti. Doveva essere stato un posto allegro, prima della pandemia. Ormai la sala era in rovina e un intero muro era crollato, ricoprendo di macerie alcuni dei tavoli e parte della cucina. Avevano però trovato una cassaforte con un bel po’ di munizioni, abbastanza perché Joel si rassegnasse ad insegnare ad Ellie a sparare come si deve.

 

Ellie aveva premuto il grilletto tre o quattro volte, colpendo una volta il muretto e le altre… chissà dove.

 

“Quindi, ragazzina, mi sembra di aver capito che forse oggi non ci vedi bene” la canzonò Joel.

“Stronzo. Sono almeno trenta metri!” si lamentò lei.

“Credi che un clicker non sia pericoloso, a trenta metri di distanza? O un runner? Hai più possibilità di sopravvivere se li centri in testa”.

“Tu invece non sbagli mai il bersaglio, vero?”.


Joel la guardò freddamente.

 

Sparò due colpi, in rapida successione, colpendo due bicchieri.

 

“Come cazzo hai fatto?” chiese Ellie, sbalordita.

“Vieni qui”.

 

Joel si mise dietro di lei. 

 

“Prendi la pistola con la destra, come ti ho insegnato. Metti i piedi bene, allineati col bersaglio”.

Joel le spostò i piedi con uno dei suoi, finchè non fu soddisfatto.

“Piega le ginocchia. Solo un po’. Ora allinea il mirino davanti con quello di dietro. E con il bersaglio”.

 

Ellie tirò il grilletto. Nessuno dei bicchieri si ruppe.

Lei pestò i piedi, frustrata.

 

“Come dovrei fare a ricordarmi tutte queste cose insieme, con un cazzo di clicker che mi corre incontro?”.

“Prima di tutto, non ti avevo ancora detto di premere il grilletto. Secondo, queste cose vengono col tempo. Se vivi abbastanza”.

 

Joel la sistemò di nuovo. Mani, spalle, piedi.

 

“Vedi il bersaglio?”

“Si lo vedo ma..”.

 

Lui la prese per i fianchi, stabilizzandola.

 

“Il muscoli delle braccia devono essere in azione, ma non tesi. Altrimenti ti tremeranno le mani. E poi devi respirare”.

“Se non respirassi sarei morta”.

 

Joel si chinò leggermente su di lei, passandole un braccio intorno alla vita. Le mise una mano sulla pancia, e poi le parlò da molto più vicino di quanto lei si aspettasse.

 

“Devi respirare qui” disse, premendo leggermente la mano sul suo ventre.

 

Ellie, nervosa, mancò nuovamente il bersaglio.

Joel non la lasciò andare.

Le tenne una mano sulla spalla sinistra e l’altra sulla pancia.

 

“Respira meglio”.

 

Ellie chiuse per un attimo gli occhi. Inspirò profondamente. Gettò l’aria fuori dalla bocca socchiusa.

 

“Piano con il grilletto. Pressione stabile”.

 

Era molto, molto vicino. Ellie poteva sentire il respiro di Joel solleticarle leggermente il lobo dell’orecchio. Cercò di concentrarsi. Respirò a fondo di nuovo, seguendo il movimento della mano sulla sua pancia.

 

Tirò il grilletto, trattenendo il fiato.


Un bicchiere si frantumò, sul muretto dalla parte opposta del parcheggio.




Note: Martina bella e super piena di talento fa cose meravigliose <3

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Capitolo 10
*** Mist ***


“Spore” aveva detto Joel, indicando il corridoio che si trovava davanti a loro.

Non avevano altre opzioni, si erano già fatti strada fino a quel punto uccidendo un buon numero di infetti, e non potevano tornare indietro o avrebbero perso ore intere. Era già pomeriggio inoltrato e dovevano trovare il modo di uscire da quel palazzo al più presto. Erano entrambi esausti, ma non era quello il momento di mollare: passare la notte in una stanza qualunque di quell’albergo era fuori discussione.

 

Joel prese la maschera anti spore e fece segno ad Ellie di indossare la sua. Tecnicamente lei non ne avrebbe avuto bisogno, ma Joel non si sentiva tranquillo se non la metteva anche lei, quindi Ellie non discuteva mai su questo argomento. 

 

Il passaggio in cui entrarono era piuttosto ampio, ma entrambi provarono immediatamente un senso di soffocamento. La poca luce che entrava dalle camere esposte ad ovest era pesantemente filtrata da una fitta nebbia di spore, e alcune figure appena accennate si muovevano barcollando ed emettendo grida acute alternate a versi gracchianti. Alcuni brontolii, molto più spaventosi, rimbombavano vagamente attutiti. Quel posto era un incubo umido e vischioso di spore e miceli. Sarebbero stati fortunati ad uscire indenni.

 

Ellie aveva tirato fuori la sua calibro 32 dal retro dei pantaloni, ma Joel scosse la testa. Sparare adesso sarebbe stato un suicidio. Si acquattarono sul muro in ombra, camminando curvi e in silenzio. Joel aveva una vecchia bottiglia in una mano e un’accetta nell’altra. Ellie sentiva il sudore ghiacciarsi lungo la schiena, e la maschera le prudeva sul viso. Stava facendo del suo meglio per mantenere la calma, proprio come le aveva detto Joel, ma era terrorizzata dal perderlo di vista e di rimanere sola.

 

“Se respiri troppo pesantemente la gola inizierà a bruciarti, nonostante la maschera. Puoi essere anche immune, ma devi mantenere la calma. Respira piano. Guarda dove metti i piedi. E non fare alcun rumore”.

“Come fai a non avere paura?”.

“Ho paura. Ma non la lascio vincere”.

 

Più facile a dirsi che a farsi.

 

Un clicker si stava muovendo nella loro direzione. Anche se non riuscivano a distinguerlo chiaramente nella foschia verdastra, i suoi versi e scricchiolii erano troppo vicini. Joel lanciò la bottiglia nella stanza che avevano appena superato e si appiattì sul muro, tenendo Ellie il più possibile dietro di sé con un braccio. Il clicker lanciò un urlo, e altri due si mossero nella stessa direzione, quasi contemporaneamente al primo, uscendo dall’ombra dove fino ad un attimo prima erano invisibili.

Un una manciata di secondi dopo seguì una specie di ruggito. Il pavimento tremò sotto i passi di un enorme bloater, alto più di due metri, interamente coperto da spesse placche indurite e con il cranio spaccato a metà, incrostato ovunque di Cordyceps. 

 

La mano di Joel le premeva sul petto, ed Ellie era sicura che lui potesse sentire il suo cuore battere all’impazzata. Era sicura che chiunque potesse sentirlo. Si strinse la testa tra le mani, tappandosi le orecchie, cercando di sfuggire al martellare incessante della sua stessa paura. 

 

“CORRI!” le urlò Joel, tirandola su di forza.

 

Ellie corse dietro a Joel, che durante la fuga tagliò quasi in due la testa di un clicker che gli stava sbarrando la strada, fino a che non riuscirono a chiudersi una porta tagliafuoco alle spalle. Bloccarono le due maniglie con un’asse trovata in terra. Corsero ancora, chiudendo ognuna delle porte che trovavano sul loro percorso per mettere più muri possibile tra di loro e gli infetti alle loro spalle.

 

Ripresero fiato solo una volta usciti da quell’hotel.

Si tolsero la maschera e respirarono a pieni polmoni l’aria fresca della sera. La luce non era molto diversa da quella che avevano visto appena prima di entrare nel corridoio infestato dagli infetti e dalla densa nebbia di spore. Ad Ellie erano sembrate ore.

Qualche uccello ancora cantava sulle chiome degli alberi che circondavano il palazzo. 

 

“Coraggio ragazzina. Cerchiamo un posto dove dormire”.

 

Ellie strinse le cinghie dello zaino senza rispondere, e si incamminò dietro a Joel.




Note: Se già non lo fate, correte a seguire Martina su Instagram.

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Capitolo 11
*** Flame ***


La casa sulla collina era stata occupata da una vecchia coppia, un tempo. Adesso erano entrambi morti, uno strangolato da Joel, l’altro pugnalato da Ellie. In realtà non erano più loro ormai, da quando un infetto di passaggio li aveva morsi e resi schiavi del Cordyceps. 

Erano morti insieme, e questo era più di quanto in molti possero sperare.

 

La costruzione era antica, le assi che ricoprivano le pareti esterne erano rovinate e scolorite da oltre cento anni di sole, di pioggia e di vento. Anche gli interni erano usurati e rovinati. Dalle finestre sbarrate con pezzi di legno filtrava quel tanto di luce che bastava per vedere una carta da parati sbiadita e strappata, e mobili che dovevano essere stati fuori moda da molto prima della pandemia. 

Joel l’aveva scelta come rifugio perché la casa aveva una sorta di torretta che si alzava al di sopra del secondo piano, e questo la rendeva difendibile e più sicura. Avrebbero passato lì la notte. 

 

Alla torretta si accedeva da una botola nel soffitto del piano sottostante. Delle finestre sui quattro lati solo una rimaneva intatta, le altre non avevano più nè vetri nè infissi. Il tetto era però ancora solido, così come i muri fatti di mattoni, e questo era tutto quello di cui avevano bisogno. Da un lato era stata appoggiata una pietra larga e piatta: molti fuochi erano stati accesi in quell’angolo, per molti anni. 

 

I mobili antichi bruciavano meglio di quanto avesse creduto. Gli occhi di Ellie si erano rattristati per qualche attimo quando lui aveva usato l’accetta per farli a pezzi, ma non aveva detto nulla. Anche lei sapeva che in quella casa non sarebbero serviti più a nessuno, mentre loro potevano usarli per avere un pasto caldo e una notte di riposo tranquilla. Le fiamme non erano alte perché non potevano permettersi di fare un fuoco troppo visibile, ma il fuoco metteva Ellie sempre di buonumore. E in fondo anche Joel lo preferiva, quando non era troppo rischioso.

 

Ellie si era tolta le scarpe umide d’erba bagnata e le aveva aperte per farle asciugare bene. Aveva sfilato anche i calzini, e ora tendeva i piedi nudi verso le fiamme calde, stiracchiando le gambe.

 

“Joel, perché non ti levi le scarpe anche tu?”.

“È sempre meglio tenerle, non si sa…”

“Ma cosa” lo interruppe lei, “Sei letteralmente seduto col culo sull’unico ingresso che c’è. Chi cazzo vuoi che si arrampichi per arrivare fin qui?”.

“Ragazzina, sono io l’adulto qui. So io cosa è meglio” rispose, burbero.

“Pff” sbuffò lei. Poi emise un sospiro soddisfatto, volutamente esagerato. Dopo un attimo ruotò le gambe verso Joel, seduto accanto a lei, e gli sventolò un piede davanti alla faccia, muovendo le dita “Fai come ti pare, ma non sai cosa ti perdi”.

 

Joel la afferrò al volo, tirandola verso di sè.

“Puzzi, ragazzina”.

“Senti chi parla. Sono due giorni che dico che dovremmo fare il bucato” lo rimbeccò lei.

“Quel torrente che abbiamo passato poco prima di arrivare qui” brontolò Joel. “Potremmo fare domani il bucato, e riposarci. È un buon posto alla fine”.

Ellie gli sorrise, luminosa. Era chiaro che ci avesse sperato nel momento in cui erano arrivati. Lo guardò con gli occhi scintillanti e Joel si sentì come messo a nudo. 

 

Le lasciò andare la caviglia e le scostò le gambe. 

“Spostati, mocciosetta”.

“Vecchio. Nemmeno riesci più a sfilarti le scarpe. Ti aiuto”.

 

Ellie tirò via gli stivali ed i calzini a Joel e li sistemò con cura davanti al fuoco accanto alle sue converse. A Joel sembrarono minuscole viste così accanto ai suoi scarponcini. Ed Ellie era così… devota. Così gentile, così desiderosa di compiacere, nei suoi modi goffi, adolescenziali.

 

È così giovane… troppo giovane.

 

Joel scosse la testa, scacciando via i pensieri.



Quella notte avrebbero riposato bene. Non importava altro







Notes: Martina è piena di Meraviglie su Instagram <3


 

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Capitolo 12
*** Fight ***


“Non mi piace qui.”

Ellie aveva visto Joel voltarsi verso destra, e poi lui l’aveva spinta oltre il vecchio guardrail, cadendole addosso di peso. 

“Ma che cazzo…?” aveva esalato Ellie, semi schiacciata sotto il peso di Joel.

 

Un proiettile aveva colpito l’asfalto screpolato esattamente dove si trovavano loro solo un attimo prima. 

 

“Fa silenzio” le aveva intimato. Poi l’aveva trascinata dietro il cespuglio più vicino.

 

“Hey, amico!!” qualcuno stava urlando dal sovrappasso.

Ellie vide un bagliore metallico tra i blocchi di cemento che bordavano l’interstatale. Probabilmente era quello che aveva attirato lo sguardo di Joel.

 

“Lasciaci la donna, e forse ti faremo andare via sulle tue gambe”.

“Sì, anche se te la sei già scopata a noi non interessa”.

 

Risate.

 

“Vaffanculo!” urlò di rimando Ellie.

 

Un altro colpo di proiettile fischiò sopra le loro teste.

 

“Sta zitta, Ellie!” sibilò Joel.

“Quelle teste di cazzo hanno detto…”

“Ho sentito. Ora stai zitta e ascolta.”

“Ma Joel…”

“Ellie, vuoi stare zitta un attimo? Dobbiamo arrivargli alle spalle. Io devo arrivargli alle spalle.”

“No Joel non ti lascio andare solo…”

“Tu devi restare qui e coprirmi, hai capito? Prendi questa” le spinse tra le mani la sua 9mm. 


Ellie guardò sbalordita le due pistole. Aveva due pistole. La sua .32 e la 9mm di Joel.

 

“Non sparare mai due colpi insieme. Spara con una, poi con l’altra. Guadagnami del tempo, hai capito ragazzina?”

Ellie annuì.

Joel la guardò per un istante, poi annuì anche lui.

 

“Dai, amico vogliamo solo farci un giro con lei!” aveva gridato nuovamente uno degli uomini.

 

Ellie si sporse appena, e sparò il primo colpo nella direzione di quella voce. 

Joel iniziò a correre.

 

Lei sparò altri due colpi.

 

Joel era ormai fuori dal suo campo visivo, ma Ellie era concentrata a cercare di far fuori quelle teste di cazzo nascoste sul sovrappasso.

 

“Figli di puttana!” urlò lei “Venite qui a prendermi se avete il coraggio!” 

 

C’erano macchine sparse ovunque, sia sulla strada asfaltata che stavano percorrendo prima di essere attaccati, sia sulle due collinette ai lati, dove le giunzioni in salita portavano al sovrappasso. Ellie aveva visto qualcuno muoversi tra le carcasse delle auto, e non aveva intenzione di restare ferma come un topo in trappola. Sentì degli altri colpi, un’arma diversa probabilmente, e non da quel lato. Doveva sbrigarsi, Joel poteva avere bisogno di aiuto.

Respirò a fondo una, due volte. 

Si alzò con una pistola per mano e sparò nella direzione in cui aveva visto del movimento, e poi corse dalla parte opposta, risalendo il pendio più velocemente possibile. Era più ripido di quanto pensasse, e le sue Converse non facevano presa quanto avrebbe sperato. 

 

“Quella puttana mi ha preso” aveva esclamato una voce.

“Puta, ti faremo a pezzi hai capito?”

 

Lei si voltò e, come al rallentatore, vide uno dei banditi puntare un fucile verso di lei e fare fuoco. Ellie fece forza sulle braccia per issarsi sopra il margine del sovrappasso. Solitamente era Joel a spingerla quando doveva arrampicarsi, ma era così carica di adrenalina che riuscì comunque a farcela. Il proiettile la mancò di meno di mezzo metro. 

Corse a nascondersi dietro la carcassa di un furgone, ansimando per lo sforzo. 

 

Pensa Ellie, pensa!

 

Si spostò rapidamente in modo da avere la visuale migliore possibile del punto di accesso. I due uomini raggiunsero in fretta il punto dove si era arrampicata, ma non appena uno dei due si affacciò Ellie puntò entrambe le pistole, sparandogli in faccia due colpi a bruciapelo. Sangue e materia cerebrale le schizzarono addosso, imbrattandole il viso e i vestiti, e l’uomo ricadde all’indietro, fuori dalla sua vista.

 

“Jesucristo, Andres!! Maledetta puttana, ti farò pentire di quello che hai fatto!” urlò l’altro.

 

Ellie si allontanò china, sgattaiolando tra un’auto e l’altra, inorridita dal modo in cui il volto di quell’uomo si era squarciato di fronte a lei. Si appoggiò con la schiena per qualche secondo, respirando pesantemente e cercando di calmarsi. Sentiva la gola chiudersi e le orecchie ronzare, e per un attimo pensò di essere sul punto di svenire. Alle sue spalle, Joel stava combattendo un’altra battaglia. Lo aveva visto con la coda dell’occhio, a qualche decina di metri da lei, corpo a corpo con qualcuno. 

 

Non posso svenire, o sono morta. Coraggio gambe, non fatemi scherzi proprio adesso. Joel ha bisogno di me.

 

Stava per muoversi verso di lui, quando una mano l’agguantò per la maglietta, trascinandola oltre il cofano a cui era appoggiata. Sbattè violentemente la testa in terra, restando stordita per un attimo. L’altro uomo le fu addosso in un attimo, urlandole qualcosa in una lingua che lei non conosceva.

 

“Puta de mierda, te voy a matar!”

 

Ellie aveva perso entrambe le pistole, e brancolava con le dita sull’asfalto nella speranza di riuscire a trovarne almeno una.

Senza nemmeno rendersene conto, la sua mano destra era volata alla tasca posteriore dove teneva il coltello di sua madre, e lo aveva affondato nella coscia dell’uomo un attimo dopo. Quello lanciò un urlo, che gli morì in gola un attimo dopo quando Joel lo centrò in faccia con una sbarra di ferro. Lo colpì altre due, tre volte, e la testa si ridusse a una poltiglia rossastra che andò a chiazzare la pavimentazione crepata.

 

“Ragazzina, stai bene?”.

 

Joel si inginocchiò accanto a lei. Aveva uno zigomo spaccato e le nocche arrossate.

Ellie era ancora stesa a terra, con gli occhi spalancati e le dita contratte.

 

“Ellie. Tutto bene? Sei ferita?” disse lui, con una voce più dolce del solito. 

 

Lei scosse la testa.

 

“Sto bene”.

 

“Ce la fai ad alzarti?”

 

Non aveva voglia di alzarsi. Non poteva riposare ancora cinque minuti? Due minuti. Due minuti erano un tempo giusto, se li era meritati. 

 

“Sì”

“Coraggio allora. Non possiamo restare qui”.

 

Lui la aiutò ad alzarsi, tirandola su per una mano.

 

Recuperarono le armi e gli zaini, e si incamminarono allontanandosi dall’interstatale.

 

“Joel, come facevi a sapere che era un’imboscata?”.

“Troppe auto sparse, quasi messe ad arte. E poi te l’ho già detto. Sono già stato in questa situazione molte volte. Da entrambe le parti”.

 

Spero che tu non abbia mai ucciso ragazzini come me, Joel. Lo spero tanto.







Note: durante il mese di Giugno continuerò questa raccolta, con sei nuovi prompt, che pubblicherò ogni cinque giorni. Martina (https://www.instagram.com/martina_huni/ o https://www.instagram.com/martina_a_duck/
) questa volta non dipingerà, almeno però ora, ma proverò quando riesco a fare qualcosa io! Nel frattempo però questi sono i prompt di Giugno!

 

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Capitolo 13
*** Leaves ***


Ellie adorava i giorni in cui si fermavano a fare il bucato, in cui controllavano e pulivano le armi, facevano l’inventario del cibo che avevano ancora da parte, e soprattutto in cui facevano il bagno. Non c’era mai tempo, durante i lunghi giorni di cammino, per lavarsi in modo più approfondito che una semplice sciacquata del viso di primo mattino, sempre che avessero acqua a sufficienza.

 

Il torrente in cui avevano lavato i panni era gelido, ma Ellie non aveva protestato fino a che non si era dovuta immergere completamente per grattare via lo sporco di una settimana. 

 

“È gelido!! Joel, dobbiamo per forza immergerci completamente?” si era lamentata lei.

 

Joel dava le spalle al torrente e teneva in braccio il fucile. Facevano sempre a turni, in modo che qualcuno restasse sempre di vedetta.

 

“Sta zitta e lavati, ragazzina. Se non parli sono sicuro che risparmierai le energie” aveva risposto, senza voltarsi.

“Ma è davvero troppo freddo! Mi congelerò i piedi e tu dovrai portarmi sulle spalle fino a Jackson, perché li perderò. L’ibernazione è un problema reale, sai”.

“Allora infilaci subito la testa, congelata dovresti smettere di parlare, immagino”.

“Che stronzo! Vediamo quando dovrai lavarti tu, se ti piacerà avere le palle di ghiaccio. Magari ci darò un colpetto e ti cadranno, e si romperanno in tanti piccoli pezzetti”.

“Piantala”.

 

Ellie si rassegnò e si immerse del tutto. Essere nuda così vicino a Joel era una sensazione elettrizzante, anche se sapeva che lui non si sarebbe voltato. Forse. O forse no? Comunque le piaceva immaginarlo. Magari avrebbe potuto sbirciare solo un attimo. 

 

Tutti i maschi amano vedere una ragazza nuda, giusto? Anche se magrolina e piatta come me. Accidenti, come vorrei avere le tette. 

 

Ellie si accovacciò su una pietra e si strofinò addosso il sapone. Aveva ancora un po’ di shampoo, rubato in un hotel in cui avevano passato una notte ormai… settimane prima? Era difficile tenere il conto. Si sciacquò rabbrividendo, ma stando attenta a togliere tutta la schiuma. Detestava quando le rimaneva addosso il sapone, perché la pelle le prudeva e le sembrava di non essersi mai davvero lavata. 

 

Aveva conservato come sempre degli shorts e una canottiera sportivi, che usava solo per il giorno del bucato. Li infilò e corse verso Joel a piedi nudi. 

 

Joel avrebbe voluto che lei fosse più vestita. Non era facile ignorare quanto sembrasse praticamente adulta, se poteva vedere le forme del suo corpo. Acerbo di sicuro, ma era scattante, forte, agile. Con i capelli bagnati, gli occhi scintillanti di chissà quale pensiero malizioso e con le gambe e le braccia nude assomigliava a una ninfa, giovane e piena di vita. 

 

Il seno piccolo che tanto preoccupava Ellie era la parte di lei che Joel cercava di evitare del tutto di guardare: più di ogni altra cosa, era quello che la rendeva inequivocabilmente una donna. 

 

Cristo, Ellie. Perché non sei più grande di un paio d’anni? O più piccola. Sarebbe molto più facile in entrambi i casi. 

 

“Ti do il cambio” aveva detto lei, semplicemente. 

Ellie prendeva sempre sul serio i suoi doveri quando si trattava di fare da sentinella, o quando doveva coprirlo mentre entravano in un posto al chiuso. Era ansiosa di fare al meglio ogni compito che Joel le assegnava, e di dimostrarsi una valido aiutante. 

 

Joel le lasciò il fucile e andò al ruscello.

 

Ellie aveva camminato fischiettando per un po’, tenendo gli occhi fissi a cercare qualunque tipo di movimento. Joel non era riuscito a riconoscere il motivetto, anche se suonava familiare in qualche modo.

 

“Hey Joel? Come vanno le palle?”.

“Non sono sicuro che siano più al loro posto, l’acqua è ghiacciata”.

 

Ellie scoppiò in una risata argentina e spontanea, un suono che, volente o nolente, era rinfrancante anche per Joel. Quella ragazzina era davvero piena di sorprese, e benchè spesso non gli desse tregua con le sue continue domande sul suo passato, costringendolo a volte ad andare con la mente in posti che avrebbe preferito dimenticare, comunque lo manteneva più vivo di quanto non fosse stato da lunghissimo tempo. Per anni, dopo lo scoppio della pandemia, Joel era stato tenuto in vita solo dalla presenza di Tommy e la preoccupazione di sopravvivere, nonostante tutto. Adesso che quella ragazzina era entrata nella sua vita si rendeva conto di quanto fosse diverso. Ellie lo stuzzicava, lo prendeva in giro, era infinitamente curiosa ma allo stesso tempo era piena di risorse, forte, pronta ad imparare e desiderosa di aiutare. Non era certo un’adolescente qualunque. 

 

Si era rivestito anche lui, con dei pantaloni di una vecchia tuta sbiadita e una maglietta che un tempo doveva essere stata nera. 

 

Aveva iniziato a soffiare un po’ di vento. I vestiti stesi ad asciugare sull’erba si sarebbero asciugati in fretta. Meglio così.

 

“Possiamo stenderci un po’ sull’erba, sotto agli alberi?”.

“Fallo pure. Io mi siederò a pulire le armi. Ricordati, tieni sempre una pistola a portata di mano”.

“Come sempre, Joel”.

 

Ellie era stesa a pancia in su, a guardare il vento che passava tra le foglie degli alberi. Si muovevano pigramente, lasciando filtrare una luce tinta di verde, e chiazze di sole che tremolavano appena. Joel aveva posizionato il fucile e il revolver su di una pietra piatta, e aveva iniziato a smontarli. Aveva lavorato per un po’ in silenzio, godendo del vento tiepido di quella mattina di fine ottobre.

 

“Joel?”

“Mh-mh?” aveva mugugnato, in risposta. 

“Puoi guardare una cosa?”.

“Sto lavorando, ragazzina”.

“Solo un attimo”.

 

Joel sospirò. Non sarebbe riuscito a finire di fare nulla se non le avesse dato retta, perché lei avrebbe iniziato a parlare e non gli avrebbe dato tregua. Tanto valeva togliersi il pensiero.

Si voltò verso di lei, ancora sdraiata a guardare con il naso in sù. Il sole le carezzava le guance lentigginose, e sembrava una creatura dei boschi forse ancor più di prima.

 

Indicò le fronde con un dito.

“Hai visto? Le corone degli alberi non si toccano”.

“E con questo?”.

“Perché non si toccano? Ci hai mai pensato?”

“Non ne ho idea. Probabilmente i rami a contatto si spezzano”.

“Nooo Joel! Che noia! E se invece le chiome fossero timide?”.

 

Joel ridacchiò, poi si andò a sedere accanto a lei.

 

“Ma che ti salta in mente… Gli alberi non possono…”

“Non lo puoi sapere! Non hai mai parlato con un albero”.

“Nemmeno tu se è per questo”.

“Mettiti giù e guarda bene. Non ce n’è uno che intrecci i rami con un altro albero”.

 

Joel accomodò la testa sulle dita incrociate, e vagò per qualche istante con lo sguardo verso le fronde degli alberi.

 

“Hai ragione, sono proprio tutti separati” concesse.

“Hai visto? Sono alberi timidi”.

 

Lui sorrise, senza rispondere.


Gli alberi, dall’alto, guardarono i due umani stesi ai loro piedi, vicini ma senza sfiorarsi.





Note: pubblico con un giorno d'anticipo sulla tabella di marcia perché oggi su IG c'è il #TLOUfanartfriday e sarebbe bellissimo se mi ripubblicassero il mio disegno!!

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Capitolo 14
*** Wreck ***


“Questa è una pessima idea Joel”.

“Mi hai seguito fin qui, per fermarmi dovresti ammazzarmi, ed entrambi sappiamo che non lo farai”.

 

Tommy era appoggiato al cofano del pickup con cui erano arrivati ad Austin. Erano passati oltre dieci anni dallo scoppio della pandemia, e quella era la prima volta che scendevano così a sud. Il codryceps negli ambienti caldi cresceva più rapidamente, e di pari passo il numero degli infetti. Non era stato facile arrivare.

 

Joel imbracciava un fucile a pompa, ed aveva uno sguardo freddo e determinato che Tommy conosceva fin troppo bene. Non sarebbe riuscito a dissuaderlo, ma doveva provarci ugualmente. 

 

“Avrei dovuto stordirti e legarti quando eravamo ancora a Chicago”.

“Ma non lo hai fatto, quindi ora non lamentarti, fratellino”. La voce di Joel aveva assunto una sfumatura pericolosa, nonostante le parole fossero quasi gentili.

“Joel, ma perchè cazzo devi farti del male da solo…”

 

Joel scattò verso Tommy, e lo schiaccò sul cofano premendogli con il fucile di traverso sul petto. 

 

“Non hai capito. Non puoi impedirmelo, fosse l’ultima cosa che faccio al mondo” ringhiò.

 

Tommy si liberò con uno spintone.

 

“Allora vai e ammazzati, testa di cazzo”.

 

Joel guardò verso Tommy come se lui non fosse nemmeno lì. Non rispose e girò le spalle, per poi allontanarsi col fucile in mano. 


Quegli anni avevano cambiato Austin in modo radicale. Nonostante ci avesse vissuto a lungo, era passato quasi altrettanto tempo da quando se ne era andato, e la città aveva subito pesantemente i primi anni della pandemia. Era stata bombardata, e in Texas c’era stata una sorta di guerra civile, tra quello che restava del governo e le milizie secondarie che erano nate in quel periodo. E poi, le guerre che si erano combattute tra esseri umani e infetti. All’inizio c’erano stati solo i runner, orde intere, enormi, terrificanti. Gli era capitato una volta di vederne una, mentre si era nascosto insieme a Tommy e al suo gruppo sul tetto di un palazzo. Gli aveva ricordato l’invasione di locuste dei primi anni 90, quando era ancora un bambino, che aveva totalmente distrutto un intero raccolto in poche ore. Nemmeno il fuoco riusciva a fermarli. Nemmeno migliaia di litri di napalm. Continuavano a correre, calpestando i morti, scalando mucchi di corpi bruciati, alla ricerca di qualcun altro da infettare. 

 

La città ora sembrava deserta, almeno lo erano le strade di periferia in cui stava camminando. Aveva percorso le vie di quella zona migliaia di volte, eppure adesso era tutto diverso. Di tanto in tanto riconosceva qualcosa: un’insegna, il nome di una strada, qualche palazzo miracolosamente rimasto più o meno inalterato. Quando arrivò nelle vicinanze di quella che era stata la sua casa, Joel si rese conto di avere il cuore in gola e le orecchie che gli ronzavano. Il portico era ancora in piedi. Almeno una parte. Non c’era più la panca a dondolo, nè la campana a vento. La porta era stata divelta. Faceva fatica a respirare. Dovette appoggiarsi per un attimo ad una delle colonnine del patio per riprendere fiato. 

 

Strinse le mani sul fucile. In quel momento era forse l’unica cosa a cui sentiva di potersi aggrappare. Uccidere per non essere ucciso era stato il suo unico credo per tutto quel tempo. 

Varcò la soglia come se fosse ubriaco, il passo incerto, la testa che gli girava. Non c’era rimasto molto dentro. Le finestre erano in pezzi, a partire dalla prima che aveva rotto il loro vicino di casa la sera stessa in cui erano scappati. La notte in cui Sarah era morta. C’era ancora il vecchio divano di pelle. Joel passò la mano su uno dei braccioli. Era bruciato da un lato, e la pelle screpolata e strappata. Sarah ci aveva passato così tante serate accanto a lui a giocare con la Playstation. Uno di quei giochi da bambina, quando era piccola, a cui lui si era stranamente appassionato. Ci aveva giocato anche Tommy con lei, quando non era in giro a correre dietro a questa o a quella ragazza. 

 

Le stanze erano vuote. C’era robaccia ammucchiata in qualche angolo. Macerie. Vestiti vecchi, ammuffiti. Forse alcuni pezzi di libri. 

 

Joel passò in rassegna la cucina, quasi meccanicamente. Non c’era nulla di utile, a parte un paio di forbici arrugginite che non erano mai state sue.

 

Ma stava procrastinando. Sapeva dove voleva andare. Sapeva il prezzo che avrebbe pagato. Ma doveva farlo. 

Era solo un piano. Le scale gli sembrarono molte, molte di più. 

 

Aveva il respiro pesante e affannato, come se avesse corso a lungo.

 

Quella che era stata la sua stanza era subito accanto alle scale. La moquette non aveva più quel bel colore azzurro chiaro che aveva scelto quando era venuto a vivere lì, con Sarah ancora piccola. Era rancida, umida di chissà quale infiltrazione. Ma non era quello che gli interessava. Sul fondo del corridoio, a sinistra, c’era la stanza di Sarah. La porta era socchiusa. 

Joel poggiò la mano sulla maniglia, e per un attimo gli sembrò di sentire qualche accordo di chitarra.

 

My brown-eyed girl

You, my brown-eyed girl

Do you remember when we used to sing?


L’ultima canzone che le stava insegnando. 

Sarah, la sua bambina. Con gli occhi grandi e pieni di vita. 

 

La stanza non era la stessa. Era rimasto il letto, ma non c’era più traccia di lei. Non c’erano più i suoi poster. Lo stereo che aveva amato. I suoi CD. Non c’era più il suo odore. 

Non c’era più nulla. 

 

Ormai quella casa era solo una carcassa. Ossa a nudo di quello che era stato un organismo vivente. Relitto di quella che era stata la loro vita. 

 

Joel cadde in ginocchio sul pavimento. Lasciò andare il fucile e si rannicchiò da un lato.

 

Non c’era più nulla. Era sparito tutto.

 

Dei suoi ricordi cosa restava? 

Quella volta che era caduta e si era sbucciata il ginocchio, ma aveva voluto giocare lo stesso la partita. Quell’estate che aveva deciso di tagliare i capelli “perché così lunghi sono da bambina”. Quando tornava a casa da lavoro e cercava di stare sveglio perché non voleva perdere il poco tempo che poteva passare con lei. Quando da piccola veniva a dormire con lui se c’era un temporale. Lei non c’era più. Ormai le sue ossa sarebbero state spazzate via, nel prato dove era stata uccisa. Sarebbe stata polvere, come quella che ricopriva ogni cosa lì dentro. Lei non c’era più. Così l’anima di Joel.

Joel stesso era il relitto di se stesso. Dove c’era Sarah un tempo, ora i ricordi sbiadivano. E lui non riusciva più a ricordare la sua voce. 

 

Si rannicchiò ancora più strettamente.

 

Non sarebbe dovuto venire. Non aveva trovato niente altro che polvere. Polvere e dolore. 

 

Sarebbe stato meglio se fosse riuscito ad uccidersi quella sera stessa, era pronto, eppure non lo aveva fatto. 

Forse ora era il momento giusto.

 

Ma Joel aveva dimenticato dove aveva lasciato il fucile. Non riusciva a vederlo, tra le lacrime.

Rimase così, vicino al letto che era stato di Sarah, e che non era pù di nessuno da chissà quanto tempo.

 

Tommy lo trovò così, dopo qualche ora.

 

Lo tirò su di peso, e lo portò fino al pickup, guidandolo come se fosse cieco. Joel aveva camminato meccanicamente, con gli occhi vuoti e arrossati. Il viaggio di ritorno verso nord fu lungo e silenzioso.
Non ne parlarono mai più.

 

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Capitolo 15
*** Hidden ***


Cos’era che stava pensando?

Non riusciva a ricordarselo in quel momento. Forse stava sognando. 

Si sentì scuotere e comprimere il petto.

 

“Ellie!”

 

Joel? Che voleva Joel? Stava dormendo così bene. Voleva dormire ancora. 

 

“Ragazzina, mi senti?”.

 

Ellie si mosse debolmente e poi tossì dell’acqua fuori dalla bocca. Joel la rovesciò di lato, e lei sputò ancora. Aveva freddo e le pulsava la testa. 

 

“Joel” gracchiò lei, senza aprire gli occhi. Le bruciava la gola.

 

“Ragazzina, mi hai spaventato a morte”. La voce di Joel le sembrò vicinissima, più profonda del solito, e le passò attraverso il corpo come un riverbero. Si rese conto di avere la testa appoggiata al suo torace e che Joel la stava tenendo con un braccio stretta a lui. Per un attimo si sentì pervasa da una sensazione di sicurezza, qualcosa che le era capitato raramente da quando aveva memoria. 

 

“Stai bene?” le chiese di nuovo. 

 

Quando aprì gli occhi, la prima cosa che notò fu che la ruga che Joel aveva tra le sopracciglia era molto più pronunciata del solito. Subito dopo i suoi occhi, che la guardavano con un’espressione preoccupata che non gli aveva mai visto. 

 

“Che cosa è successo?” domandò lei, con un filo di voce. I suoi vestiti erano fradici, così come quelli di Joel. 

“Sei caduta, non ti ricordi? Sei scivolata, hai battuto la testa sul ponte e sei caduta in acqua. Ti ho recuperata quasi subito, ma eri svenuta e quindi hai bevuto un po’. Hai smesso di respirare, mi hai fatto prendere un bello spavento”.

 

Spavento. Allora ci tieni? Non ero solo un bagaglio?

 

Si ricordava il ponticello, quello sì. Ellie aveva pensato che quello fosse un luogo davvero romantico. C’era un laghetto, e lei aveva insistito per attraversarlo invece che aggirarlo. Perderemmo tempo! Coraggio vecchio, andiamo! A quanto pare aveva fatto la scelta sbagliata. Si sentì incredibilmente stupida, e arrossì per l’imbarazzo.

 

“Scusami” disse, girando il viso per sfuggire al suo sguardo. 

Joel le scostò delicatamente i capelli dalla ferita che aveva sulla tempia, per controllare quanto fosse profonda. Ellie poteva vederlo con la coda dell’occhio scrutare con attenzione la sua pelle. Era molto, molto vicino, e lei si sentì avvampare ancor più di prima.

 

“Hai un bel taglio, ma non penso ci siano schegge. Non muoverti, laverò meglio la ferita”.

 

Ellie restò sdraiata sulla piccola spiaggia limosa che bordava il lago. Joel si era allontanato a prendere dallo zaino dell’acqua pulita, e lei guardò la sua figura solida e mascolina. Aveva le maniche della camicia a scacchi arrotolate sugli avambracci muscolosi, e i pantaloni che gli fasciavano le gambe, così bagnati, erano incollati al suo corpo. Non aveva fatto molto caso fino a quel momento, quanto lui fosse così… bello? Sexy? Aveva sempre avuto quegli avambracci? E da quando le interessavano gli avambracci di qualcuno? 

In realtà non era proprio la prima volta che ci pensava. Non alle sue braccia, ma a lui, in generale. Il giorno prima, quando le aveva insegnato come prendere bene la mira in quel parcheggio… qualcosa era cambiato. Almeno per lei. E oggi le era sembrato così spaventato. Era una sensazione totalmente nuova, quella di avere qualcuno che si preoccupasse per lei. La faceva sentire calda. 

 

Riley forse si era preoccupata per lei. Ma le sembrava così lontana, ormai. 

Riley era nel passato. E lei doveva guardare al futuro. 

 

Ho bisogno di te, Joel. Non mollarmi, dopo che avremo trovato le fireflies, ok? 

Vorrei che tu avessi bisogno di me. Vorrei che potessi vedermi come un’amica. Una compagna? Anche solo un braccio destro, se mai ti servisse. Ma non mollarmi. Non ho nessun altro. E non voglio nessun altro. 

 

Joel tornò con la borraccia e sciacquò accuratamente il taglio che aveva sulla tempia. Ellie lo aveva visto uccidere infetti ed altri uomini a mani nude, e non si sarebbe mai aspettata una tale delicatezza da parte sua. 

 

“Per oggi abbiamo fatto abbastanza strada. Dormiremo qui”. 

“Joel, posso camminare, davvero. È solo un taglio…”

“No ragazzina. Hai sbattuto la testa, e questo è comunque un buon posto. Stendiamo i vestiti bagnati prima che cali il tramonto, ok?”

“Ok Joel”.

 

Qualche ora dopo erano entrambi sdraiati accanto al fuoco che andava spegnendosi. Avevano mangiato roba in scatola, niente di speciale, ma quello che contava era avere la pancia piena.

 

“Hey Joel?” la voce di Ellie suonò leggermente incerta nel buio.

“Dimmi”. Sarà spaventata, forse, è normale dopo quello che le è successo.

“Hai detto che ho smesso di respirare.”

“Per un po’, sì”.

“Mi hai fatto la respirazione bocca a bocca?”

 

Joel rimase per un attimo in silenzio. Poi rispose con un tono quasi oltraggiato.

“Ragazzina, hai sbattuto la testa e dici sciocchezze” disse, con tono definitivo, sperando che lei lasciasse cadere l’argomento.

 

“Non si sa mai con voi maschi, una ragazza giovane come me…”

“Ellie, chiudi la bocca e dormi.”

“Non avevi detto che era pericoloso dormire dopo aver sbattuto la testa?”

“Forse ti servirebbe un’altra botta in testa, mi pare che l’effetto sia durato troppo poco”

 

Ellie ridacchiò.

 

“Sicuro che non l’hai fatto? Non ho mai baciato un uomo e…”

“Ellie, se non la pianti ti sculaccerò così forte che starai sveglia per forza e passerai la notte in piedi, perchè non potrai nemmeno poggiare il culo a terra.”

“Lo sapevo, siete tutti così, voi vecchi pervertiti!”

“Chiudi. Quella. Cazzo. Di. Bocca. E dormi.”

“Ok, ok. Non si può nemmeno scherzare.”

 

Ellie si girò di spalle.

 

Accidenti, speravo davvero che lo avesse fatto. Anche se forse meglio di no, perché non me lo ricorderei. Cristo, probabilmente mi ucciderebbe se sapesse quello che penso. Non glielo dirò mai, meglio che lo tenga nascosto. Sarà un segreto. In fondo, posso anche sognare un po’.

 

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Capitolo 16
*** Chest ***


“Che significa questo posto? Hot springs?” Ellie aveva puntato il dito sulla cartina.

“Esattamente quello che c’è scritto”.

“Nel senso che l’acqua è calda? Com’è possibile?” aveva chiesto, sbalordita.

“Se c’è una sorgente calda significa che da qualche parte c’è un vulcano, o qualcosa del genere”. 

 

Joel non era mai stato particolarmente interessato a questo tipo di cose, e non ne aveva avuto nemmeno il tempo. Per Ellie invece era tutto un mistero da scoprire. Poteva vederla già vibrare di curiosità e desiderio.

 

“Possiamo andarci?”.

“Ci porterebbe un paio di giorni fuori strada Ellie, non possiamo…”

“Non ho mai visto una cosa del genete Joel, per favore…” aveva iniziato ad aggiungere note di tristezza alla sua voce, fino ad arrivare ad un quasi drammatico “Non puoi negare un bagno caldo ad una povera orfanella… non ti chiederò mai più niente, lo prometto…”

“Non fare promesse che non puoi mantenere, ragazzina”.

“Però ci andremo, vero?”. 

 

Ellie lo guardò con una tale certezza incrollabile che Joel non se la sentì di dirle di no. Alzò gli occhi al cielo. Quella ragazzina era davvero impossibile, non riusciva a tenerla a bada. 

Ma in fondo l’idea di fare un bagno caldo, ora che era arrivato l’autunno, non dispiaceva nemmeno a lui, anche se si guardò bene dal dirlo. 

 

Ellie non aveva mai camminato così veloce come lungo quei venti chilometri che li separavano da Hot Springs. Quasi non avevano fatto pause, e lei era chiaramente carica di energia.

 

La cittadina sembrava deserta: uno dei tanti posti che erano stati abbandonati in seguito allo scoppio della pandemia. Lungo la strada una serie di fast food ancora pubblicizzavano questo o quel cibo. Le abitazioni, per la maggior parte a uno o al massimo due piani, dovevano essere state graziose e curate. Sembrava essere rimasto quasi tutto in qualche modo intoccato: le persone erano andate via, semplicemente, e avevano lasciato alle spalle tutto quello che erano. 

 

Ellie e Joel risalirono il fiumicello lungo un sentiero che costeggiava la sponda sinistra, fino a un’ampio slargo dove erano rimasti abbandonati vecchi veicoli. Un clicker solitario vagava tra le auto, lanciando patetiche urla in cerca di una preda. Joel lo uccise con una freccia, senza fare il minimo rumore.  

 

All’imbocco di una stradina secondaria c’era un muricciolo con un cartello di legno, con su inciso un simbolo con un sole e dell’acqua, su cui era scritto “Moccasin Springs”.

Joel le indicò di fare silenzio. Si avvicinarono rapidamente, camminando curvi. La struttura era stata già depredata, ma in quel momento avevano abbastanza cibo e munizioni per non preoccuparsene troppo. Magari avrebbero cercato al ritorno nei vari fast food lungo la strada. 

Un’altro clicker, che vagava per le stanze che dovevano essere state ristrutturate elegantemente prima della pandemia, cadde con una freccia infissa nell’occhio destro. 

 

Uscirono sul retro, in una specie di cortile interno. Sulla destra doveva esserci stata un’altra costruzione, totalmente crollata. Poco più avanti, circondate da muretti in pietra, una serie di vasche comunicanti, colme d’acqua. Nella prima l’acqua probabilmente arrivava direttamente dalla sorgente termale, tramite alcuni bocchettoni chiusi da griglie. Nelle altre l’acqua scorreva tramite piccole aperture o cascatelle. Anche se i muretti erano in parte crollati e si vedevano dei detriti negli angoli delle piscine, l’acqua sembrava pulita. Evidentemente il sistema di drenaggio funzionava ancora, e l’acqua defluiva poi lentamente nel fiume più a valle. 

 

Non si vedevano altri infetti in giro, nè si sentiva alcun rumore tranne il gorgoglio dell’acqua. 

 

Ellie corse in avanti per sentire la temperatura dell’acqua, e quando infilò la mano rise deliziata.

 

“È calda DAVVERO Joel!”.

“Che ti aspettavi da un posto che si chiama Hot Springs?” ridacchiò lui in risposta.

“Non lo so, non pensavo così calda. Non ho mai fatto un bagno davvero caldo”.

“Vai pure, piccoletta”.

“Nooo Joel! Hai visto che non c’è nessuno! Vieni anche tu!”.

“Ellie, non è sicuro…”

“Metti le armi sul bordo della piscina. Gli infetti non nuotano, giusto?”.


Joel sospirò. 

 

Ellie aveva scelto la seconda vasca, che sembrava meno profonda e aveva delle scalette per scendere, mentre Joel si avviò verso la prima. 

 

Ellie si guardò per un attimo intorno, prima di spogliarsi. Non voleva che Joel la guardasse, ovviamente, ma di lui non c’era l’ombra. Rasserenata, e forse un po’ delusa, si tolse i vestiti, li piegò accuratamente da un lato e si immerse nell’acqua, con un sospiro di piacere e un formicolio che le passò attraverso tutto il corpo. Probabilmente quello era il posto più bello del mondo. Sicuramente. Sguazzò un po’ nell’acqua, stando ben attenta a rimanere dove toccava. Il fondo non era uniforme come si sarebbe aspettata, ma fatto di roccia lisciata da migliaia di anni di erosione. Milioni di anni, magari. 

Si strofinò bene per pulirsi dallo sporco, e per un po’ cercò solo di godersi la sensazione dell’acqua calda. Poi iniziò a pensare.

 

Joel non aveva detto una parola, da quando era sceso nella vasca accanto alla sua. Stava bene? Stava facendo il bagno anche lui?

 

“Joel? Allora è stata una buona idea venire qui?” chiese, ad alta voce.

“Devo darti ragione questa volta, ragazzina. Non facevo un bagno caldo da così tanto tempo che mi ero quasi dimenticato cosa volesse dire”.

“Dai, un milione di anni fa, quando eri giovane, ne avrai fatti a migliaia”.

“Certo, prima della pandemia. Ma anche a Boston non era così facile”.

“Io alla scuola della FEDRA avevo solo docce, ed erano appena tiepide solo in inverno. In estate erano sempre gelate” disse, e per un attimo rabbrividì al ricordo. 

 

Poi, di punto in bianco, l’immagine di Joel con i vestiti fradici e incollati al corpo le tornò in mente. Sarebbe stato così male sbirciare com’era lì dietro? Solo un attimo. In fondo che differenza poteva esserci tra vestiti bagnati e pelle bagnata senza vestiti? Ellie storse la bocca. Davvero era così curiosa? Joel era… beh, Joel. E sì, lei era proprio così curiosa. Terribilmente, orribilmente cuiosa. E nervosa. Non riusciva a stare ferma, e non riusciva a non guardare nella direzione della vasca dove si trovava lui. Nudo. 

 

N-U-D-O.

 

Non avrebbe dovuto nemmeno pensarci.

Infatti scelse di non pensare e di agire, quindi si avvicinò silenziosamente verso il piccolo tunnel che collegava le due piscine, stando ben attenta a non farsi vedere. Se lui se ne fosse accorto non avrebbe potuto svicolare, e non ci sarebbe stato scherzo che avrebbe tenuto, ma la tentazione era troppo forte. 

 

Si addossò al muretto, e, un centimetro alla volta, si sporse per sbirciare.

 

Joel era di spalle, e in quel punto della piscina l’acqua gli arrivava alla vita. La schiena si curvava dolcemente verso il basso, dove si intravedeva appena il sedere.

 

CULO DI FUORI!

 

Ellie guizzò indietro, per ripararsi dietro al muro, cercando di calmare il battito del cuore. Joel era assolutamente, totalmente nudo a pochi passi da lei. 

 

Accidenti, che bella schiena. È così… larga. Io sono un fuscello in confronto. Accidenti a te Joel!

Cristo santo, che faccio adesso? 

Ok, non resisto. Una sbirciatina piccola. Un secondo soltanto.

 

Ed eccolo. Joel era vicino al bordo della vasca, sotto ad una delle cascatelle. Aveva gli occhi chiusi, e aveva tirato indietro le braccia per sciacquarsi i capelli. A torso nudo, con l’acqua che gli sfiorava l’ombelico. Aveva una striscia di peli scuri che segnavano la parte centrale dello stomaco, e poi sul petto, ampio e muscoloso. La pelle era segnata da numerose cicatrici, segno di un passato sulla strada. Era veramente, veramente sexy. E forte. Ellie rimase totalmente incantata per qualche attimo. Si chiese come sarebbe stato essere abbracciata da un uomo così. Da Joel.

 

Poi si tirò indietro. Non voleva essere scoperta, e aveva già abbastanza immagini a cui ripensare, casomai le servissero. Scivolò più lontano, verso il bordo opposto, respirando a fondo. Doveva darsi una calmata, prima di parlarci di nuovo. 

 

Non si era accorta che Joel l’aveva notata quando si era nascosta la prima volta, e che aveva scelto di fare finta di nulla.
Era solo curiosità adolescenziale, giusto?

 

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Capitolo 17
*** Wild ***


Il Walmart che avevano trovato all'incrocio tra l’Interstatele 25 e la Route 26 faceva parte di un grosso centro commerciale, e si era rivelato una specie di miniera d’oro. Sembrava essere rimasto praticamente intoccato e c’erano ancora scaffali con parecchio cibo in scatola. Probabilmente il posto era stato chiuso nei primi giorni della pandemia, una grossa fortuna per loro. La grossa saracinesca che avevano dovuto sollevare - che Joel aveva sollevato - per entrare doveva essere stato un deterrente per altri cacciatori. Oltre a una buona dose di carne e delle pesche sciroppate, Ellie era riuscita anche a trovare una piccola scorta di sapone e prodotti femminili: li aveva mostrati a Joel con un certo orgoglio, ricevendo in risposta un soltanto un vago grugnito.

 

Guastafeste.

 

Si erano poi spostati nella sezione dove un tempo vendevano armi: non rimaneva molto, ma riuscirono comunque a trovare delle munizioni compatibili. Inoltre, dietro al bancone c’era un tavolaccio con una serie di strumenti e pezzi di ricambio, che Joel stava studiando per capire come sistemare al meglio le armi che già avevano.

 

“È incredibile che un tempo si poteva andare in un posto del genere e prendere tutto quello che si voleva, senza dover pensare a niente”.

 

Ellie era rimasta un po’ più avanti a gironzolare nelle corsie.

 

“Resta a vista d’occhio, ragazzina. Comunque non era certo gratis. Servivano i soldi per questa roba”.

“Sì, certo. Però lo stesso…”

 

Per lei il pensiero di un mondo in cui bastava allungare la mano per avere qualunque cosa si desiderasse era ancor più fantascientifico dei fumetti che tanto amava.

 

Joel non le rispose, e lavorò per un po’ sulle pistole, per poi passare a controllare il fucile.

 

“Ellie, prendi una manciata di frecce, non ne abbiamo più molte”.

“Quali?”.

“Quelle che ti sembrano migliori” le disse. 

 

Poteva permettersi di lasciarla scegliere almeno quelle, e lei era sempre felice quando Joel la lasciava fare di testa sua. Ellie corse fino al cesto dov’erano infilate un buon numero di frecce, ed inizò a passarle in rassegna con uno sguardo serio e concentrato. 

 

Un cigolio metallico echeggiò per il negozio, rompendo il silenzio.

 

“Ellie, nasconditi” sibilò Joel. Lei sgranò gli occhi e sparì dalla sua vista.

 

Cinque uomini entrarono vociando, passando al di sotto della saracinesca da cui erano entrati anche lui ed Ellie. Sperò di non aver lasciato tracce troppo evidenti del loro passaggio. 

 

Non sono pochi, ma spero che non sappiano ancora che siamo qui.

 

Non aveva visto altre vie d’uscita a parte quella che si trovava tra lui e i suoi avversari. Doveva proteggere Ellie: non c’era tempo da perdere. 

Imbracciò il fucile, puntandolo verso il più in vista dei cinque, respirò a fondo e trattenne il fiato, poi tirò il grilletto. L’uomo cadde gorgogliando a terra con un proiettile nella gola. Morì quasi immediatamente, soffocato dal proprio sangue.

Gli altri corsero a coprirsi, urlando.

 

“Ti faremo a pezzi, figlio di puttana!”.

 

Joel sapeva di non poter rimanere fermo perchè lo avrebbero individuato più facilmente, anche se si trovava nel punto che offriva maggior protezione. Scivolò verso una fila di scaffali sulla sua sinistra, camminando chino per non farsi vedere. Un paio di colpi arrivarono verso la sua direzione, ma nessuno abbastanza vicino da colpirlo.

 

Improvvisamente si sentì un altro rumore, come se qualcuno battesse con i pugni su un pannello metallico. Grida inarticolate arrivarono attutite da dietro una parete. 

 

“Infetti!” sentì urlare. 

 

Dovevano essere riusciti ad entrare da una porta secondaria che non aveva notato. 

Da dove si trovava Joel non riuscì a vedere quanti fossero. Di sicuro almeno un paio di runner e un clicker, a giudicare dai versi che facevano. 

 

Sono stato un idiota. Mi sono lasciato abbagliare dalla quantità di roba che abbiamo trovato e non ho controllato bene il posto. Abbiamo corso un pericolo enorme.

 

Joel pregò in un dio in cui non credeva che tenesse al sicuro Ellie. Poi si preparò ad attaccare.

 

Gli infetti si avventarono sugli uomini, mentre quelli cercavano di tenerli a bada con pistole e spranghe: non gli sarebbero bastate a lungo. Joel ghignò, perché quei mostri stavano facendo almeno una parte del suo lavoro: almeno due uomini stati fatti a pezzi. Su di loro erano chini un runner e due stalker che non aveva notato prima. Quei bastardi erano silenziosi, e molto più pericolosi dei runner o dei clicker, perché sembravano essere più intelligenti di entrambi. Non attaccavano mai alla cieca, ma si nascondevano e cercavano di stanarti.

Joel accese una molotov e la lanciò al centro del gruppetto: quelli iniziarono ad urlare, poi caddero, uno dopo l’altro, in una massa bruciacchiata che emanava un odore nauseabondo, anche a quella distanza. Era stato un tiro fortunato, ma non sarebbe stato sufficiente. Aveva ancora del lavoro da fare. Quasi distrattamente si rese conto che non c’era traccia della seconda bottiglia Molotov che era sicuro fosse nel suo zaino. 

 

Se non aveva fatto male i conti gli restavano almeno altri quattro avversari.

Vide uno degli uomini riuscire ad uccidere un runner, scaricandogli addosso un caricatore intero. Joel lo aggirò, correndo chino attraverso le corsie. Sugli scaffali c’erano avena e cereali per la colazione, esattamente come in quel giorno in cui aveva corso spingendo il carrello con Sarah sul sediolino dentro a un supermercato come quello. Lei rideva così tanto che aveva continuato fino a farsi riprendere dal direttore del negozio. 

 

Per un secondo dovette chiudere gli occhi per liberarsi da quella visione.

Riuscì ad arrivare alle spalle dell’uomo che stava cercando di ricaricare la pistola. Joel lo prese alle spalle e gli puntò il revolver alla testa. Quello lanciò un urlo, preso di sorpresa. Un clicker si voltò verso di loro, e si avvicinò lanciando urla stridule e muovendo le braccia con gli artigli tesi. L’uomo cercò di divincolarsi, invano, e Joel lo lasciò andare giusto in tempo perché il clicker si avventasse su di lui, dilaniandolo. Pochi secondi dopo, Joel sparò due colpi in testa al mostro, e lo finì con uno dei suoi coltelli improvvisati, piantandoglielo nel collo.

 

Il suo corpo era pieno di adrenalina e in quel momento non sentiva nè dolore nè stanchezza, ma allo stesso tempo sentiva di avere il respiro pesante e il cuore che pompava velocemente. Ed era preoccupato per Ellie. Non l’aveva più vista da quando le aveva detto di nascondersi. 

 

Era rimasto solo un altro uomo. Doveva ucciderlo e trovarla. Non l’avrebbe persa.

 

Il revolver era scarico, e Joel imbracciò il fucile a pompa. 

 

Tra le corsie del Walmart era calato di nuovo il silenzio. Forse l’ultimo runner era rientrato in quella sorta di trance per cui a volte si trovavano a dondolarsi chini su se stessi, mugugnando ripetutamente gli stessi versi bassi ed insistenti. L’ultimo uomo rimasto non doveva essere uno stupido, e non sarebbe stato facile stanarlo. Joel allungò una mano a prendere un barattolo dallo scaffale di fronte a lui e lo lanciò in un lungo arco. Sentì il rumore del vetro frantumarsi sul pavimento, ma niente altro. 

 

La luce all’interno del supermercato filtrava da tre finestroni sul soffitto, ma a parte nella zona direttamente al di sotto di essi, il resto dei corridoi erano in penombra. Joel si muoveva accucciato, evitando le aree illuminate, in silenzio. Gli sembrò di vedere Ellie con la coda dell’occhio, ma fu un momento così breve che non ne poteva essere sicuro. Pregò che fosse vero e che non le fosse successo nulla, e si avviò in quella direzione. 

 

“Ellie” sibilò, sperando che lo sentisse.

 

Si immobilizzò quando sentì la canna di una pistola sulla sua nuca. Era ancora calda.

 

“Calma, amico. Non deve per forza finire così”.

“Stai zitto, figlio di puttana, e poggia quel fucile. Hai fatto fuori quattro di noi, e credi di poter andartene via sulle tue gambe?”

“Tecnicamente, solo due. Al resto hanno pensato gli infetti”.

“Stai zitto, stronzo”. Aveva il fiato pesante, e Joel poteva sentirlo sul suo collo.

“Ti sparerò alle gambe e poi stanerò quella ragazzina che ho visto nascosta qui in giro. È la tua donna? Vedrai che ti dimenticherà presto…”

“Figlio di puttana, se provi a toccarla…”

 

L’uomo gli diede un colpo sulla tempia con il calcio della pistola, e Joel cadde in ginocchio. Per qualche attimo la vista gli si oscurò del tutto. Sentì un altro colpo, nelle costole stavolta. E un altro sul viso. Poi perse coscienza.

 

Joel rinvenne, mentre l’uomo biondo e tarchiato che lo aveva colpito gli dava un ceffone sul viso. Aveva le braccia immobilizzate dietro la schiena, e le costole doloranti. Faceva fatica a respirare. Probabilmente lo aveva preso a calci mentre era svenuto. 

 

“Quella troietta è sparita. Ti ha mollato qui, amico. Forse non era poi così tanto affezionata a te, dico bene?”.

“Vaffanculo”.

“Ma magari la troverò. Quando le farò assaggiare il mio cazzo si dimenticherà di te, tranquillo. E mi prenderò anche cura della sua fichetta”.

“Vai a farti fottere, pezzo di merda”.

“No no, non hai capito. Sono io che fotterò lei. E magari anche te, che ne dici?”.

 

L’uomo gli si avvicinò con un ghigno, mentre Joel cercava di divincolarsi. Non lo avrebbe permesso. Non glielo avrebbe lasciato fare.

La corda con cui aveva legati i polsi tagliò a fondo nella carne nel suo tentativo di liberarsi.

 

Sentì uno strillo provenire alle spalle dell’uomo. Un attimo dopo, un rumore di vetri rotti, e lui avvampò. Cadde a terra a meno di un metro da lui, urlando e contorcendosi, mentre il fuoco gli correva addosso incollando i vestiti alla carne, i capelli un’unica fiammata luminosa, che scioglieva la carne e gli tirava gli occhi impazziti fuori dalle orbite. Ancora alcuni movimenti a scatti delle gambe, e poi più nulla.

 

Poco più indietro, c’era Ellie.

Aveva gli occhi sgranati in un’espressione di orrore. Aveva del sangue sul viso e sulla maglietta. Il coltello in mano. Poi gli sorrise. Selvaggia. Fiera. Bellissima.

 

“Ti ho salvato il culo stavolta, eh?” disse lei, con le mani sui fianchi e le gambe larghe, ben piantate. 

 

Sfrontata. 

 

“A quanto pare sì, ragazzina. Ora sbrigati a slegarmi, ci dovrebbe essere un altro runner in giro”.

“L’ho fatto fuori io, tranquillo”.

 

Joel la guardò, scuotendo la testa. Era un’incosciente, ma coraggiosa. Molto più matura e più forte dei suoi quattordici anni. 

 

Lei si avvicinò per liberargli i polsi. Stava armeggiando con il coltello dietro alla sua schiena, quando si fermò, per un attimo, e lo guardò negli occhi. Poi socchiuse le palpebre e gli baciò la bocca. Un bacio casto, a labbra chiuse. Morbide, dolci, inesperte. Joel mosse appena le sue, rispondendo al bacio, suo malgrado, a dispetto di tutto. Un bacio da adolescente alle prime armi, eppure un brivido gli passò attraverso il corpo, una sorta di riverbero, un tremito che gli si accumulò nel basso ventre, scaldandolo come non gli succedeva da anni.

 

Lei si staccò poco dopo e lo guardò ancora: aveva gli occhi liquidi e scintillanti di vita, pieni di adrenalina e di eccitazione per quello che era appena successo. Aveva le guance e il naso arrossati, e le labbra erano socchiuse in un sorriso tra il timido e il soddisfatto.

 

“Sei davvero una selvaggia”. 

 

Lei ghinò, allargando il sorriso.

 

“Ora che ne dici di liberarmi e di levare le tende?”.

 

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Capitolo 18
*** Sleep ***


Joel, oggi sono riuscita a prendere un paio di scoiattoli. Non sono capace di scuoiarli bene come fai tu, quindi se ci sarà qualche pelo nella zuppa ce la faremo andar bene lo stesso, giusto? Non mi piace uccidere gli scoiattoli, e nemmeno i conigli. Ma ho sempre fame, e la verdura in scatola non basta. E tu dovresti mangiare di più o non guarirai mai. Ho bisogno di te.

Faccio quello che devo. Controllo la neve per vedere se qualcuno è passato nei dintorni della casa. Cammino sempre sulle mie stesse impronte, così posso accorgermi se c’è stato qualcun altro. Callus è bravissimo, e non sono caduta nemmeno una volta. Sciolgo la neve e la faccio bollire per avere sempre acqua pulita. Non la mangio mai anche se ho sete, perché una volta mi hai detto che fa male. Metto le trappole, esco solo quando c’è luce e la visibilità è buona. 

Sto facendo tutto per bene, lo giuro.

 

Ellie è china sul fornelletto, e rimesta nel pentolino con il cucchiaio del suo set da campeggio con la bandiera americana sul dorso delle posate. Lo ha trovato Joel in un negozio di articoli sportivi, poco dopo aver lasciato Pittsburgh, e glielo ha regalato. Ellie lo adora. Non solo perché è utilissimo, ma anche perché nessuno le ha mai fatto un regalo prima, a parte il pupazzo del gattino azzurro che le avevano dato le suore dell’orfanatrofio quando era ancora bambina. E poi Joel ne ha uno quasi uguale al suo. Ellie lo pulisce sempre alla perfezione, quello e la gavetta che fa parte del set: ha tutta l’intenzione di farlo durare per sempre.

 

Si volta verso Joel, che dorme coperto dal sacco a pelo su un vecchio materasso mezzo ammuffito. Joel dorme quasi sempre. Ha la febbre, ed Ellie ha recuperato solo qualche compressa di aspirina, che però non gliel’ha ancora fatta passare. La ferita che ha sulla pancia non ha un bell’aspetto, e anche se l’ha lavata bene con acqua e bicarbonato e l’ha chiusa con dei punti, Ellie sa che probabilmente dovrebbe prendere degli antibiotici. Purtroppo in quello schifo di paese in cui si sono rifugiati non è ancora riuscita a trovarne. 

 

Domani troverò delle medicine che ti aiutino, Joel.  

Le case qui intorno sono state già ripulite, ma domani andrò più lontano, devo ancora devo guardare in un sacco di posti. 

Vedrai, andrà tutto bene.

 

Ellie gli carezza la fronte. È calda.

Lui grugnisce e muove la testa di lato con un piccolo scatto, scostandosi dalle sue dita. 

 

“Ma vaffanculo Joel, io ti carezzo e tu ti scosti. Sto cercando di essere gentile” mormora lei.

 

Si gira e si rivolge a Callus, che sonnecchia in piedi a qualche passo da loro.

“Sei un migliore amico di lui, Callus. Domani ti troverò delle mele. Usciremo di nuovo insieme e andremo a cercarle, ok?”.

Callus in risposta nitrisce piano, quasi solo uno sbuffo. È un suono dolce, morbido, che la conforta un po’. E dio solo sa quanto ne ha bisogno.

 

Stava andando tutto così bene. Sei venuto con me Joel, non mi hai mollato a Tommy. Hai scelto di stare con me. È vero, non avevamo trovato le Fireflies all’Università, ma eravamo sulla strada giusta. Eravamo insieme. 

E ora invece siamo qui, in questo garage gelido, ed io sono spaventata a morte. Ho bisogno che tu ti riprenda. Non ce la posso fare da sola.

 

Ti prenderei a schiaffi, se servisse a qualcosa. 

Vorrei prendere a schiaffi la tua stupida faccia da affascinante uomo di mezza età. Sei bello anche ora che stai male e dormi quasi tutto il tempo. Mi piace il tuo naso, e mi piace la tua bocca. Era morbida quando l’ho baciata. Adesso hai le labbra screpolate. Vorrei riuscire a farti bere di più, ma non riesco quasi mai a svegliarti. E se non ti svegliassi mai più? E se un giorno tornassi qui e ti trovassi morto? Cosa farei? Come potrei andare avanti?

 

Cristo, ti ammazzo io se muori. Non ti azzardare.

 

Ellie torna a mescolare la zuppa. È quasi pronto. 

 

“Ti devi svegliare, Joel” lo scuote piano.

Lui non risponde.

Lo scuote ancora, delicatamente. 

 

Scherza, quando dice che lo prenderebbe a schiaffi. In realtà è terrorizzata dal pensiero di fargli male o di poter peggiorare le sue condizioni. Le ci è voluto tutto il coraggio che aveva per trattare la ferita. Joel l’aveva guardata fissa, con le sopracciglia aggrottate e senza parlare, mentre prima lei gli aveva lavato la ferita, e poi quando con le pinzette gli aveva tolto un milione di schegge dalla carne aperta e pulsante. Aveva stretto gli occhi solo quando Ellie aveva ricucito i bordi slabbrati della ferita. A lei erano tremate le mani, ma aveva respirato a fondo e si era costretta a lavorare più in fretta e accuratamente possibile, cercando di non fargli male. Almeno non più male di quanto già ne avesse. Aveva fatto del suo meglio, considerando le scarse conoscenze che aveva. Ora doveva solo trovare degli antibiotici. 

Lo avrebbe salvato, a tutti i costi.

 

Ellie gli tira su la testa per fargli scendere una sorsata di zuppa tra le labbra semi aperte. Riesce a fargli sorbire una mezza porzione, perfino con qualche pezzo di carne, che ha tagliato in pezzi piccolissimi. Glieli da tutti. Al cibo per se stessa penserà più tardi, che Joel ne ha più bisogno di lei.

 

Per un attimo lui sembra tornare cosciente. La guarda con un’intensità che la spaventa, e lei vorrebbe dirgli qualche sciocchezza per alleggerire la tensione che sente crescergli dentro. Joel la guarda senza parlare. Ha gli occhi tristi, buoni, sofferenti. Ellie vorrebbe dirgli qualcosa di sciocco. E poi vorrebbe baciarlo ancora. Abbracciarlo. Dirgli che andrà tutto bene. Vorrebbe consolarlo, guarirlo, dargli un pezzo della sua pancia per salvarlo. Se lo strapperebbe da dosso per lui, ma non sa come fare. Lui le stringe una mano grande e callosa intorno alle sue, molto più minute e delicate. Stanno così qualche minuto, in silenzio. 

 

Lui lascia lentamente la presa. Si è addormentato di nuovo.

 

Ellie lo guarda ancora.

 

Andrà tutto bene Joel, vedrai.

Domani andrà meglio. Domani troverò gli antibiotici. Domani caccerò ancora, e porterò a casa tanto cibo buono. Tu mangerai e starai meglio. Vedrai. 

Ti salverai. Ti salverò.

Staremo di nuovo insieme.

 

Staremo insieme per sempre.

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