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di Reginafenice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'intervista ***
Capitolo 2: *** La cena ***



Capitolo 1
*** L'intervista ***


«Dopo questa lunghissima retrospettiva sulla sua carriera non potrà più schivare la mia ultima domanda…»

«Per caso mi stai dando della vecchia, Jhonny?»

Il pubblico non mancò di appoggiarla con l'abituale repertorio di risate e applausi.

«Allora, è ancora del parere di non avere tempo per i rimpianti, signora Maisel?»

Jhonny Carson la punzecchiò dall’altra parte della scrivania del Tonight show. Era tristemente noto a tutti che dietro la patina abbagliante del suo successo si nascondesse una realtà domestica desolante. I rotocalchi erano sempre stati impietosi verso la diva che era diventata, pur non allontanandosi troppo dal tratteggiare con accurato sadismo la sfortunata serie di relazioni che si erano susseguite nel corso della sua vita privata. Si era fatta terra bruciata intorno a sé facendo in modo che la profezia di Lenny si avverasse: era diventata una donna ricca, famosa e viveva in una villa di inestimabile valore… ma tutta sola.

Midge si morse il labbro inferiore e alzò un sopracciglio, «Vuoi che ammetta di aver sbagliato qualcosa nella mia vita perfetta? E vuoi che lo faccia di fronte ai milioni di telespettatori che ci stanno seguendo? Beh, caro… credo che se ottenessi ciò che vuoi i miei avvocati vi manderebbero in bancarotta. E poi, non fingiamo che non sia mai stato un mistero.»

«Si riferisce al sensazionale divorzio tra lei e la sua manager, Susie Myerson, oppure ha qualche altro scheletro nell’armadio da rivelarci?»

«Ti prego di mostrare un pò di pietà per i miei sentimenti, Jhonny! Ho ancora la possibilità di ricavare qualche dollaro dalle mie tragedie personali, vorresti togliermi anche il piacere di una futura pubblicazione di memorie piene zeppe di rimpianti?»

Il tono indifferente che aveva usato non tradiva alcuna offesa o malinconia. Era riuscita a trasmettere chiaramente il messaggio che desiderava arrivasse: niente e nessuno poteva scalfire la corazza di cinismo che si era costruita con fatica per difendersi dall’invadenza dello sguardo altrui, sempre puntato sulla sua solitudine.

A quel punto il conduttore si alzò in piedi e le porse una mano per ringraziarla, ma prima di salutarla si rivolse direttamente in camera per concludere un patto con gli spettatori, «La prossima volta riuscirò a far confessare alla signora Maisel tutti suoi segreti. Parola di Jhonny Carson!»

Midge uscì dallo studio congedandosi dal pubblico con un lieve inchino.

Mentre lasciava che i tecnici la liberassero dal microfono, riuscì a cogliere di sfuggita l’annuncio della prossima intervista nell’anticipazione della pubblicità: Lenny Bruce sarebbe stato il prossimo ospite ad occupare la poltrona.

Per la prima volta, dopo più di dieci anni, Midge provò nuovamente qualcosa in grado di smuoverle dei sentimenti e di prenderla alla sprovvista.

Le era stato detto che le puntate venivano registrate qualche settimana prima della messa in onda dello show; perciò, sarebbe stato ingiusto accusare i responsabili di aver scelto deliberatamente di far seguire alla sua intervista quella dell’insuperato re dei comici. Non aveva ancora il potere di determinare la logistica della programmazione televisiva, ma se solo lo avesse saputo in anticipo avrebbe rinunciato senza dubbio all’invito di Carson.

Piuttosto che tornare in camerino, Midge preferì aspettare per qualche minuto nel backstage.

Voleva vederlo senza farsi cogliere in flagrante, perché non sarebbe riuscita a fingersi disinteressata sapendolo così vicino. Naturalmente, non era certa che il suo sentimento fosse corrisposto: dopo averlo quasi perso per sempre nel 1966, Midge aveva posto la parola fine alla presunzione di poterlo salvare dai suoi demoni, sebbene avesse cercato di farlo ripetutamente e nella maniera più delicata possibile, lavorando dietro le quinte attraverso la mediazione di Susie.

Lenny, da parte sua, non aveva mai smesso di respingere ogni invito a cambiare idea.

Ma per Midge non era mai stato quello il punto. L’unica cosa che aveva sempre voluto per lui era convincerlo a vedersi come lo vedeva lei, che non si lasciasse consumare dal cinismo del mondo. Se solo glielo avesse chiesto non avrebbe impiegato un secondo a cedergli le sue lenti rosa.

 

Il pubblico era cambiato, ad eccezione di un’anziana signora in ghingheri che stava tentando di approcciarla.

Non era in vena di fingere cortesia per lungo tempo. Pensò di liquidarla in un paio di minuti. Tuttavia, dopo aver scambiato i soliti convenevoli, la piccola donna tirò fuori tutta la sua grinta per convincerla ad ascoltarla con attenzione.

«Mio figlio mi ha sempre parlato bene di te, sai?»

Dopo aver espirato il fumo della sigaretta appena accesa, Midge replicò, «Oh cielo! Chiaramente non si tratta di uno dei miei quattro ex mariti.»

Pur non riconoscendo quel viso, percepiva qualcosa di familiare nello sguardo acuto e determinato.

«Con chi ho il piacere di parlare?»

«Sally Marr. Non ci siamo mai incontrate di persona, eppure spero che tu mi conosca almeno un pò.»

Midge fece un piccolo passo indietro, spiazzata dalla rivelazione. Non solo era finita per ritrovarsi davanti a una collega, seppure molto meno famosa di lei, ma anche alla donna che poteva vantarsi di essere la madre del miglior comico mai esistito in tutto il pianeta. Decise che sarebbe stato meglio sbarazzarsi della sigaretta e la lasciò in mano a un assistente di passaggio.

Si schiarì la voce, «Ho sentito parlare di lei, ovviamente.»

«Lenny mi aveva avvisata che avrei potuto far fatica a riconoscerti sulla base di una descrizione che risale a più di un decennio fa. Non intendo fisicamente, no. Anche perché persino per una vecchia rincoglionita come me sarebbe stato difficile dimenticare il volto di una delle più belle star della scena comica contemporanea.

Ha cercato in tutti i modi di dissuadermi dall’accompagnarlo a New York, perché era convinto che se mai ti avessi incontrata sarei potuta rimanere delusa.»

«E aveva ragione?» Ingoiò quel poco di saliva che le era rimasta con grande difficoltà.

«In parte.»

Quello fu un duro colpo per il suo orgoglio, ma decise di mascherare il dispiacere che provava portando avanti la conversazione.

«E…insomma, le cose vanno meglio per lui?»

Detestava la facilità con cui i suoi occhi diventavano lucidi ogni volta che pensava a Lenny. Il che succedeva dolorosamente spesso, doveva ammetterlo.

«È molto complicato rispondere a questa domanda, ma sì. È impegnato con il lavoro, come sempre.»

«Ottimo.»

«Ma il suo vuoto interiore non si è colmato con successo in questi anni. Lo so io come lo sa bene anche lui.»

Sally la studiò intensamente, «Hai lo stesso sguardo di rimpianto che vedo in lui quando parliamo di te. E non mi pare di averti mai vista così spaventata.»

«Ah sì? E da cosa sarei spaventata? Le sembro più terrorizzata ora di quando mi esibisco in un teatro pieno zeppo di persone? No, le assicuro che ho un bel paio di palle sotto la gonna.»

«Ascoltami figliola, dietro quella facciata di imperturbabilità che ti sei appiccicata sul viso c’è una grande paura. Sai che intendo? Non capirò mai perché abbiate scelto di non…provarci. Sì, ancora oggi che sono passati così tanti anni sono convinta che siate indispensabili alla vostra felicità reciproca. Ma siete due cazzo di conigli nella vita sentimentale!»

«Ha rinunciato allo showbiz per darsi all’organizzazione di incontri, signora Marr? Mi sembra di sentire parlare mia madre, ma senza la tipica inflessione dell’Upper West Side.»

«La signora Marr è mio figlio. Chiamami pure Sally, se non ti dispiace.»

«E da quando lei e suo figlio vi rubate le battute? Questa cosa mi è del tutto nuova.»

Sally alzò le spalle sorridendo, «Ha preso dalla migliore.»

Colse perfettamente l’ironia dietro quelle parole.

La trasmissione avrebbe ripreso di lì a poco e gli autori intimavano loro di far silenzio. Adesso che anche Lenny doveva trovarsi nei paraggi, Midge si sentì esposta.

Quando Carson lo annunciò non poté fare a meno di trasformarsi in un coniglio, rintanandosi con la coda tra le gambe nel suo camerino.

 

 

Una volta varcata la soglia di quel covo sicuro fu un dettaglio che prima non aveva notato a catturare completamente la sua attenzione. Sul tavolo illuminato dai fari erano stati disposti dei cesti ricolmi di arance e una busta di carta sigillata che Midge andò subito a scartare. Di omaggi da parte degli ammiratori ne aveva ricevuti tra i più vari, ma mai nessuno aveva pensato di regalarle un trionfo di arance così lucide da potercisi specchiare. Non poteva essere una coincidenza.

Si riprese dalla corsa riempiendosi un bicchiere d’acqua che mandò giù mentre leggeva la familiare grafia. Con una mano sul cuore cercava invano di rallentare i battiti causati dall’emozione:

“Cara Upper West Side,

spero tu sappia che recentemente la lista delle mie richieste da “diva” ha toccato il fondo ed è stato solo per merito tuo. La mia reputazione non è mai stata peggiore di così! Se non mi credi chiedi pure a tutti i fruttivendoli di Los Angeles. Credo di aver creato un bel problema per molti di quegli insopportabili genitori salutisti che abitano nel mio quartiere. Ma che vuoi farci, c’est la vie!

È stata Susie a farmi la soffiata, in un caldo pomeriggio trascorso insieme a Santa Monica. Tra un surf e l’altro non abbiamo mai smesso di interessarci a te, se proprio vuoi saperlo.

Ma voglio che tu sappia anche che, per quanto mi riguarda, né le arance né il sole della California e neppure la fastidiosa vicinanza del signor Disney sono bastati a farmi dimenticare le gioie che ho provato nell’East Coast. Solo Kitty è riuscita a rendermi felice quanto lo sono stato con te, sotto la pioggia e la neve delle nostre serate newyorkesi. Forse ho preteso l’impossibile sperando di potervi avere entrambe nella mia vita. In un modo o nell’altro mi manca sempre qualcosa…

Come ti dissi un pò di tempo fa, ho mantenuto la parola e ho affittato diverse nuvole sperando di avvertire meno la tua assenza.

Ho aspettato che piovesse per sentirmi finalmente triste, ma non ha piovuto.

Sapevo che non mi avresti lasciato da solo sotto l’acquazzone.

Sei sempre stata la mia ragione preferita per cui essere triste.

 

La tua Eva,

 

L.B.”

 

Midge infilò una mano nella scollatura dell’abito per pescare il biglietto che portava con sé dal 1961, ovvero dalla sera in cui tutto era cambiato sotto la luce dei riflettori del programma di Gordon Ford.

Prese di scatto un rossetto e scrisse sul retro della busta l’indirizzo della sua dimora milionaria; poi, ci inserì dentro la sua “fortuna” separandosene a malincuore con un bacio.

Sgattaiolò fuori dalla stanza verso il camerino del signor Bruce e fece passare il messaggio sotto la porta. Ticchettando rapidamente con le scarpe in direzione dello studio, fece rotolare un’arancia fino a raggiungere i piedi della poltrona sulla quale Lenny era seduto per poter richiamare la sua attenzione. Un minuto dopo si dileguò nell’oscurità delle sue pupille dilatate, come se fosse stata soltanto un’allucinazione.

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Capitolo 2
*** La cena ***


L’ospite molto speciale, che la signora Maisel attendeva per quella sera, non tardò ad arrivare.

Midge si era cambiata con una vestaglia turchina e dei pantaloni di seta dello stesso colore. Entrò nella stanza frusciando con lo strascico piumato della giacca. Era il suo luogo preferito di tutta la casa, quello che assomigliava di più al suo appartamento nell’Upper West Side. Soltanto lì poteva concedersi il privilegio di sentirsi circondata dall’amore, dalle risate e dai ricordi della giovane donna che era stata.

Quando le dissero che Lenny, dopo aver fatto un giro, aveva deciso di accomodarsi lì dentro non ne fu affatto sorpresa.

«Ti starai chiedendo se n’è valsa la pena, dopotutto. Non è così?»

Nella sua voce stanca si percepiva un impercettibile fremito.

Quando Lenny si voltò per guardarla aveva gli occhi rossi di pianto e la sigaretta ancora spenta nella mano. Sembrava imbarazzato. Si era fermato di fronte alla bacheca che custodiva, come delle istantanee, la maggior parte dei momenti più salienti della sua vita professionale e personale. Al centro campeggiava il programma della sua serata alla Carnegie Hall: l’ospite d’onore tra i notevoli successi di una vita, il comico reietto che aveva avuto l’immensa fortuna di incontrarla nel retro di una macchina della polizia il giorno dello Yom Kippur. Come poteva un atto del genere non commuoverlo profondamente?

Midge notò quanto Lenny si sforzasse di resistere all’ondata emotiva che aveva preso possesso di lui. Preferì quindi occuparsi dei cocktails, giusto per recuperare un pò di lucidità.

«Ed eccoti qui di fronte a me, dopo quasi un’eternità. A quanto pare dovresti rivedere la tua posizione sui benefici della frutta. Le arance fanno davvero miracoli!»

Si riprese immediatamente al suono della sua risata. Midge sentì una vampata di calore riscaldarle il cuore prima ancora di aver consumato il whisky. Non si rese conto di quanto fosse stato facile tornare a provare certe sensazioni insieme a lui.

«Non ti bastava il mio feticcio? Vedo che ti sei presa molta cura di lui in questi anni.»

Dopo un suo segnale si accovacciò in un angolo del divano, lasciandole tutto lo spazio di cui aveva bisogno.

«Ah, ti riferisci a quel tipo lì? Mhmm, mi sa che preferisco ancora l’originale. Se lo conosci potresti presentarmelo?»

«Se solo si mantenesse bene come immagini. Non è mica Dorian Grey, sai?»

Sogghignò, «Sul serio Lenny, come stai?»

«A dire il vero, mi sento un pò sopraffatto da tutto questo rosa.»

«Beh, mi sembra giusto ricambiarti con la stessa moneta. Hai dimenticato l’effetto che ha avuto su di me tutto quel blu che ci circondava nel tuo albergo?»

Lenny osservò la sfumatura della veste che indossava Midge. Assunse un tono giocoso fingendosi sicuro di sé.

«Vari indizi mi confermano che la mia influenza su di te non è ancora scomparsa. Chiaramente, nessuno dei due è bravo a nasconderlo.»

Se non fosse stato per qualche inevitabile ruga e qualche nuovo capello bianco, niente avrebbe potuto convincerla che la tensione percepita nel mezzo metro che li separava potesse essere diversa da quella di quasi un ventennio fa. Era colpita dall’intramontabile vigore della loro sintonia sessuale e intellettuale. Quindi, abbandonò l’atteggiamento difensivo che aveva assunto nella postura e si sciolse completamente, lasciando che Lenny le si avvicinasse di più.

«Per rispondere alla tua domanda di prima: non ho mai avuto alcun dubbio che ne sarebbe valsa la pena.»

Midge annuì consapevole.

«Persino quando facevo fatica a risalire dal fondo, una voce dentro di me mi spingeva a non mollare, perché prima o poi tutto quel dimenarsi nel fumo nero avrebbe trovato un senso, capisci? Nel più ampio schema delle cose.»

«La felicità non rientra in questo schema, vero?»

Lenny alzò le spalle, «Dipende da come la vedi. Puoi fingere di non essere mai stata felice? Se dovessi rivedere la tua vita cambiando prospettiva, penseresti davvero che quella che hai avuto prima di diventare la signora Maisel era la felicità? Se ami ciò che fai è perché ami il modo in cui ti fa sentire, non come fa sentire gli altri. E io, senza nessuna presunzione, sono certo che tu sia stata felice persino qualche minuto fa, anche se forse in un modo diverso dal solito.»

«Ma quanto sei diventato saggio!»

«Nah, è solo merito della mia chioma canuta.»

Midge gli spostò un ricciolo ribelle dalla fronte, «Lo escludo. Non tutti i saggi sono così sexy. Vedi i miei rabbini per esempio…»

Le prese la mano e la portò alle labbra. Prima di baciarla disse, «Qualcuno mi ha riferito che sei stata tu a promuovere a destra e a manca la petizione per il mio rilascio dopo l’arresto al Cafe Au Go Go nel ’64. Sei andata alla ricerca dei migliori avvocati che potessero difendermi in tribunale e hai supplicato Susie di darmi una mano ogni volta che poteva.»

Midge iniziò a massaggiargli la testa, beneficiando della sensazione di avere i suoi capelli brizzolati tra le dita. Lui non smise neanche per un attimo di guardarla negli occhi.

«Non sono mai stata brava a tollerare le ingiustizie. Una volta, per difendere una ragazza dalle grinfie di uno stronzo, mi sono fatta arrestare per pirateria nel bel mezzo del fiume Hudson! Non credo siano in molti a poter vantare un tale onore.»

«Sono tante le cose che non so...»

«Non preoccuparti. Ho fatto una lista di tutto quello che ti sei perso.»

«Eri così sicura che sarei tornato?»

Midge distolse lo sguardo, «Non te ne sei mai andato veramente.»

Calò il silenzio.

«Scommetto che conservi delle battute scoppiettanti su un certo Philip Roth e il suo proverbiale senso dell’umorismo.»

Cercò di sdrammatizzare, pur avendo il cuore diviso in tanti piccoli pezzi. Sapere che Midge aveva cercato l'amore in qualcun altro non lo aveva mai sorpreso, ma non poteva fingere di non aver sofferto tutte le volte che lo aveva scoperto dalla tv oppure, ancor peggio, da quella chiacchierona di sua madre.

«C’è stato un tempo in cui pensavo di non avere il diritto di infierire su di lui, sai dopo la fuga dall’altare. Tecnicamente, non sono nemmeno riuscita ad affrontarlo di persona. Ci ha pensato Susie per me. Ma poi mi sono ricordata chi sono: una comica, non un’attrice. Da allora non smetto di parlare della banana che ho mangiato nella suite dell’hotel mentre Philip era sull’altare.»

«Ne ho sentito parlare. Susie mi ha raccontato delle storie esilaranti sulle Hawaii.»

«Non ho alcuna idea di cosa ti abbia potuto riferire. Sono sempre stata una brava ragazza ebrea, almeno fino a quando qualcuno di mia conoscenza non ha pensato di corrompermi senza alcuna pietà. Ben prima del nostro passionale rendez-vous nella sua stanza molto turchina.»

Cercò di capire quale fosse la sua reazione, guardandolo solo con la coda dell’occhio. Un ricordo condiviso in due e segreto a tutti, perché troppo intimo per essere esposto sulla pubblica piazza. Senza mettersi d’accordo, avevano protetto la loro bolla magica dalla profanazione degli sguardi indiscreti e delle calunnie.

«Ma sì, la sua parte preferita è sempre stata quella in cui le confessavo di essere ancora innamorata di Joel. La mia crisi isterica prematrimoniale ha prodotto un monologo sul vero amore che chiunque avrebbe trovato divertente in quel momento, tranne me. Come ho potuto pensare che Joel potesse farmi ridere? Se tornassi indietro mi direi di non illudermi. Abbandona la ricerca, piccola Midge! Quello che cercavi non è più disponibile per te.»

«Sarà per questo che hai smesso di ridere. Sono anni che non lo fai più neanche durante i tuoi spettacoli.»

«Hai prestato molta attenzione a me in questi anni, non è così?»

Lenny scoppiò a ridere, «Perché questo ti sorprende ancora così tanto?»

Midge lo guardò come se gli stesse scrutando l’anima. Scosse la testa e si abbandonò sul divano, persa nei suoi pensieri. Lenny le accarezzò le gambe timidamente. C’era qualcosa di familiare nella facilità con cui Midge aveva deciso di stenderle sul suo grembo: la malinconica amarezza dei gesti negati dalle loro scelte.

«A furia di guardare indietro si rischia di non vedere quello che c’è davanti.»

«Volevo soltanto qualcuno che mi facesse ridere a colazione…»

Lenny prese il bicchiere vuoto che Midge teneva ancora in mano e lo appoggiò sul tavolino di fronte. Poi, frugò nella tasca della giacca per tirarne fuori un oggetto che le apparteneva. Aspettò che Midge si sedesse e le porse la busta di carta in cui si trovava il biglietto della fortuna.

«Non ti aspetterai di essere l’unica collezionista di anticaglie, vero? Ogni notte insonne che ho trascorso a disintossicarmi, ho ascoltato i vinili delle tue esibizioni per trovare… un po' di pace. Mi consolava sentire la voce di una persona in gamba che ce l’aveva fatta. Un’amica molto speciale che mi ha fatto girare la testa dalla prima volta che l’ho vista.»

«Quando mi hai vista indossare il mio corsetto da palco?»

«No, quando ti ho vista brillare talmente forte da accendere in me una scintilla che pensavo si stesse estinguendo. Da quando hai risvegliato la mia attività cerebrale grazie al tuo acume. Da quando la tua presenza mi ha fatto sentire completo, anche se solo per un paio d’ore. Da quando ho smesso di farmi la guerra per non spezzarti il cuore.»

Midge si voltò a guardarlo completamente ammaliata dalla sua dichiarazione.

«Dipende ancora una volta dai punti di vista. Non abbiamo avuto tutto, Lenny.»

«Non è mai stato questo lo scopo del gioco, Midge. Tu sei riuscita a trovare la tua voce e a farla ascoltare. È questo il più grande successo.»

Aveva un tono così calmo e sicuro che Midge non provò neanche a contestarlo.

«Ti andrebbe di cenare con me stasera? Ho ordinato una montagna di cibo cinese e non mi va di ingozzarmi tutta sola.»

«Vuoi dirmi che finalmente è arrivato il mio turno?»

Capì subito a cosa si riferiva. La profezia che le aveva fatto alla fine della loro cena romantica si era avverata molto prima di quanto pensasse. Ora toccava a lei offrirgli la cena dal cinese. Midge aveva temuto che l’occasione giusta per mantenere la sua promessa non sarebbe mai arrivata. Il debito che aveva nei suoi confronti non si sarebbe estinto nemmeno con un banchetto di tre giorni, ma l’importante era dimostragli che non aveva dimenticato neanche una parola di quello che le era stato detto nel corso della loro fin troppo breve frequentazione. Ogni suo insegnamento era stato una spinta verso il futuro per fare meglio, per vivere meglio.

«Non preoccuparti, ti riconsegnerò tutto intero a tua madre. Lo prometto.»

Lenny nascose il ghigno dietro la mano: un’adorabile abitudine che non aveva ancora perso.

«Quindi, vorresti liberarti di me al nostro nuovo primo appuntamento?»

«Chi ti ha detto che è un appuntamento?»

«I tuoi grandi occhi espressivi e l’eccitazione del tuo corpo.»

Nel frattempo, Midge si avvicinò a lui e gli posò una mano sul ginocchio per poi salire con delicatezza verso la coscia.

«Attento, signor Bruce. Così mi farai perdere la testa…»

Lenny, mantenendo il contatto visivo con le sue labbra, sussurrò, «Potrebbe succedere più di una volta, ti avverto.»

«Lo ricordo molto bene.»

Midge lo prese per la cravatta e lo baciò così appassionatamente da farlo ricadere sulla schiena, sui soffici cuscini del suo divano color crema. Quando riprese fiato gli accarezzò il mento auspicandosi di riuscire a soddisfarlo ancora prima dell’antipasto.

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