Lemon Drops

di blackjessamine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Estate Tuttigusti+1 ***
Capitolo 2: *** Pot-pourri alla mela renetta ***



Capitolo 1
*** Estate Tuttigusti+1 ***


Estate Tuttigusti+1




 

Un’estate come un prologo.

Giornate accattivanti come frasi lapidarie, pronte a brillare e a restare impresse nella testa del lettore come la splendida promessa di un’avventura indimenticabile.

Non che Victoire fosse una lettrice poi così appassionata, ma le piaceva l’idea di pensare a quell’estate che si faceva più vicina ad ogni curva dell’Hogwarts Express come al luminoso prologo della storia che finalmente era pronta a scrivere con le sue stesse mani.

Come minimo, nel suo prologo avrebbe dovuto trovare posto un evento fuori dall’ordinario: qualcosa a cui nei prossimi vent’anni avrebbe ripensato, dicendosi che sì, lo avrebbe dovuto capire da quel viaggio in treno che quell’estate sarebbe stata il perfetto inizio del capitolo più bello della sua vita. 

E invece, a dispetto di tutto, si era ritrovata come spesso accadeva a dividere lo scompartimento con Ophelia Greenwood, di Corvonero – una media di due parole pronunciate all’ora, due colpi di tosse al minuto, tre sorrisi in cinque anni di lezione condivise e zero rilevanza nel circolo sociale costituito dagli studenti del quinto anno – e Magda Stern. Magda che, con la sua capacità di pronunciare all’incirca trecento parole in un minuto, era il contraltare perfetto di Ophelia, con cui coltivava una intensa e spesso incomprensibile amicizia sin dal primo anno. Lo stesso non si poteva dire di Victoire, che pur avendo trascorso cinque anni a dormire nel letto accanto a quello di Magda non aveva mai trovato particolarmente interessante il suo costante e inarrestabile chiacchiericcio. Del resto, il chiacchiericcio di Magda era almeno innocuo, in netto contrasto con quello delle Baddock, le due cugine che rappresentavano la restante parte del dormitorio femminile di Grifondoro, sempre pronte a spargere veleno e a istigare gli altri studenti distribuendo sapientemente mezze verità e distorcendo a loro piacere ogni pettegolezzo su cui riuscissero a mettere le mani.

Del resto, Victoire doveva ammettere che Magda e Ophelia erano quanto di più vicino lei avesse a due amiche: Magda riempiva i silenzi di Ophelia, Victoire pianificava di fare sciocchezze e Ophelia la fulminava con un sopracciglio sollevato e un lapidario un’altra cazzata, Weasley? Funzionavano, in un certo senso. Almeno a scuola, perché fuori da Hogwarts non si erano mai frequentate e probabilmente non lo avrebbero mai fatto, e a Victoire stava bene così. 

Forse avrebbe dovuto provare a interrompere l’infinito flusso di coscienza con cui Magda stava riesaminando ogni singola domanda di ogni singolo test G.U.F.O. per provare a spiegare quali fossero i suoi piani per il futuro, ma Victoire non ne aveva voglia: le stava benissimo pescare distrattamente gelatina Tuttigusti+1 dalla confezione che teneva in grembo per poi lanciarsele direttamente in bocca con una destrezza che aveva segretamente allenato per anni, accontentandosi di ascoltare passivamente il costante chiacchiericcio di Magda e scivolando talvolta in un pigro dormiveglia.

Un prologo perfetto: una protagonista mezza addormentata dall’alito all’aroma di mirtilli e caccole di Troll. 

Un best-seller assicurato.  

 

“E poi la Almond ha guardato la mia pozione e mi ha chiesto se fossi sicura che i miei coleotteri non fossero avariati, perché quando sono avariati il loro effetto si dimezza, e allora mi sono ricordata di non averli proprio messi! Quindi la Almond ha cercato di aiutarmi, no? Mi ha suggerito senza davvero suggerire, capito?”
Il lungo riesame del G.U.F.O. di Pozioni di Magda venne interrotto da un lieve bussare alla porta dello scompartimento: Victoire, che temeva l’arrivo di una o di entrambe le Baddock, ignorò completamente il suono. Magda rimase per qualche istante in silenzio a fissare la porta, come se la sola idea che su quel treno esistesse anche qualcun altro potesse lasciarla miracolosamente senza parole. Fu Ophelia  a scattare in piedi e a dischiudere appena la porta dello scompartimento per scrutare il corridoio con circospezione e decidere, dopo un’attenta valutazione, che non c’era pericolo nel lasciare entrare il visitatore inaspettato.

Una mano piccola, dita bianche e sottili sormontate da lunghe unghie dipinte di cinque diverse tonalità di rosa precedettero l’ingresso della divisa perfettamente stirata e drappeggiata con cura attorno a Dominique. Una Dominique che rivolse un sorriso indecifrabile a Victoire, per poi gettarsi su Magda e Ophelia come se le due ragazze fossero le sue più care amiche ritrovate dopo anni di assenza. 

Quel giorno Dominique aveva scelto di avvolgersi il capo in un foulard di seta argentata raccolto sulla fronte in un nodo vaporoso: una scelta estetica quantomeno bizzarra, ma del resto era Dominique quella abbonata a due riviste di moda magica e a una di moda babbana, quindi forse i turbanti sarebbero davvero stati l’ultimo grido in fatto di acconciature entro qualche mese.

 

Ascoltando sua sorella informarsi su come fossero andati gli esami delle sue amiche e partecipare con profondi cenni del capo al racconto di interrogazioni e test scritti, Victoire trattenne a stento un sorriso: a Dominique non fregava niente di Ophelia e Magda, che trovava per motivi opposti ugualmente noiose, ma sua sorella non era capace di contrariare il prossimo. Non per una particolare sensibilità d’animo, ma semplicemente perché avere attorno persone compiacenti e bendisposte nei suoi confronti le piaceva, e le rendeva più facile fare in modo che le cose seguissero un flusso a lei favorevole. 

E infatti, puntuale come la prima tazza di tè al tavolo della colazione in Sala Grande, Dominique trovò il modo di inserirsi con apparente naturalezza in una pausa di Magda, mettendo in scena un dispiacere estremamente convincente:
“Scusate, posso rubarvi mia sorella per un secondo? È per una cosa di famiglia, insomma, e preferirei parlare la sola”. 

Il sorriso di Dominique era così ampio da risultare palesemente finto, ma né Magda né Ophelia sembravano essersene accorte. Era il suo sorriso da Veela, quello che Dominique allenava sin da quando era una bambina e che quasi sempre risultava un’arma vincente, perché le persone – tutti: uomini, donne, adulti, bambini – sembravano incapaci di fare qualcosa in grado di offuscare quel sorriso. 

E infatti fu proprio Ophelia ad alzarsi in piedi, la fronte leggermente corrugata, e a esclamare con un vigore del tutto estraneo al suo abituale modo di fare:

“Ma naturalmente! Ne approfitterei per andare in bagno… tu vieni, Magda?”
Victoire alzò gli occhi al cielo: non sapeva mai se essere divertita o esasperata dal fatto che tutti ritenessero Dominique una creatura dotata di straordinaria gentilezza ed empatia quando, in realtà, la maggior parte delle volte la sua era solo pigrizia astutamente mascherata.

“Non vogliamo sfrattarvi dal vostro scompartimento. Usciamo noi, voi restate pure. Proteggete le mie Tuttigusti a costo della vita”, si inserì Victoire, prendendo la mano della sorella e trascinandola verso la porta dello scompartimento: Victoire poteva anche non dispensare sorrisi grandi come la luna a chiunque, ma non era nella sua natura – checché ne dicessero i molti critici della sua scarsa accondiscendenza – buttare fuori da uno scompartimento le sue amiche solo perché sua sorella non voleva farsi ascoltare da loro.

“Allora? Quale sarebbe questa questione di famiglia?”
Dominique gettò uno sguardo al gruppo di studenti dell’ultimo anno che se ne stavano a confabulare in fondo al corridoio, le teste chine e vicine, probabilmente intenti ad architettare qualcosa di non del tutto lecito.

“Non qui, aiutami a trovare uno scompartimento vuoto!”
Le dita di Dominique avevano cominciato a correre insistentemente al foulard che si era legata sul capo, continuando a controllare che il nodo tenesse. 

“Hai combinato qualcosa?”
“Non ho combinato niente”.

Il sorriso di Dominique sarebbe stato in grado di rassicurare anche la preside McGrannitt, ma Victoire, forse a causa dei geni Veela che scorrevano anche nelle sue vene, o forse semplicemente perché aveva condiviso la stanza con sua sorella da quando Dominique era ancora una ranocchietta urlante, era completamente immune a quel tipo di sorrisi. 

“Hai combinato qualcosa di grosso, tu!”
Ma Dominique la ignorò completamente, socchiudendo uno scompartimento dopo l’altro e dispensando sorrisi e piccoli convenevoli a chiunque: sembrava che sua sorella, in tre anni a Hogwarts, si fosse presa la briga di imparare il nome di tutti gli studenti e si fosse fatta un punto d’onore quello di salutare chiunque per nome. 

E Victoire non era nemmeno sicura di aver parlato direttamente con tutti gli studenti del suo anno, nonostante cinque anni di lezioni condivise.

Alla fine, quando ormai Victoire temeva che avrebbero dovuto spodestare il macchinista per avere livelli di privacy che soddisfacessero sua sorella, Dominique aprì la porta dell’ennesimo scompartimento e finalmente si voltò a farle un cenno esultante, invitandola ad entrare.

 

***

 

Un’estate come un epilogo.

Un tempo preso a prestito, il prolungarsi di qualcosa che tutti sanno essere già finito ma che nessuno è pronto a lasciare andare.

Teddy sperava che quell’estate, non ancora cominciata, potesse durare per sempre e conservare il sapore di un capitolo della sua vita che ancora non si era concluso, ma che già sentiva come un ricordo lontano.

Non sapeva quale fosse il modo migliore per vivere l’ultimo viaggio sull’Hogwarts Express della sua vita: forse la chiave stava tutta nella definizione di vivere. Smettere di ripetersi che quello era il suo ultimo viaggio sul treno, smettere di dirsi che avrebbe dovuto viverlo in modo intenso, costruendosi dei ricordi a cui poter tornare in futuro, e semplicemente lasciare che le cose fluissero in maniera naturale. 

Avrebbe dovuto farlo, ma non ci riusciva. 

Era impossibile farlo, non quando Evie Hamilton continuava a ripetere che dovevano tutti promettere che non sarebbe cambiato niente e che lei, Bruce Marshall, Andrew Scout e Teddy avrebbero continuato ad essere amici e non permettere alla vita di cambiare il loro legame.
Ma il loro legame era già cambiato. E avrebbe continuato a farlo, inesorabilmente, ora che non sarebbero più stati solo i quattro Tassorosso, quello strano scherzo del destino per cui al loro primo anno la loro Casa si era ritrovata con un bassissimo numero di nuovi studenti e la povera Evie addirittura si era ritrovata sola in un dormitorio tutto per lei. Per anni erano stati inseparabili, grandi amici oltre che semplici compagni di Casa. 

E non c'erano promesse forti abbastanza da assicurare loro che quell'amicizia sarebbe sopravvissuta senza cambiare neanche di una virgola al Grand Tour che Andrew voleva intraprendere prima di essere costretto a cercare una carriera davvero di suo interesse, o al negozio di Creature Magiche della famiglia di Evie in cui lei avrebbe cominciato un apprendistato già la settimana seguente o al seminario per aspiranti Spezzaincantesimi della Gringott a cui Bruce era stato ammesso. 

Per non parlare poi dei piani di Teddy per il futuro,  cosa a cui lui non aveva la minima intenzione di pensare, non fino a che non fossero arrivati i risultati dei M.A.G.O. che, chissà, forse sarebbero stati abbastanza scadenti da prendere  una decisione al posto suo.

Eppure Evie sembrava intenzionata ad alternare lacrime a momenti di entusiasmo in cui cercava di dipingere loro un futuro irreale fatto di amicizie in grado a resistere a qualsiasi cosa. 


Era stato quindi con un misto di senso di colpa e gratitudine che aveva accolto il frenetico bussare alla porta dello scompartimento da parte di Jordan Summer, la collega Caposcuola di Grifondoro, che lo aveva raggiunto per cercare aiuto nel sedare un torneo di Sparaschiocco sfuggito di mano a dei Corvonero del secondo anno che avevano cercato di modificare gli effetti esplosivi delle carte intossicando di denso fumo verdognolo un intero vagone.

Jordan, i capelli stretti in una crocchia che cercava di imitare la severità di quella della preside McGrannitt aveva provato inutilmente a riportare l’ordine, ma era servito a poco. Era una ragazza responsabile e studiosa, probabilmente la migliore in ogni corso, ma era assolutamente incapace di tenere testa agli altri studenti, e così, ogni volta che si trovavano a condividere la ronda, era Teddy a dover prendere in mano la situazione, spesso adottando tattiche intimidatorie non del tutto coerenti con il suo ruolo da Caposcuola.
In questo caso però non c’era stato bisogno di trasformare in tentacoli i piedi di nessuno, era stato sufficiente lanciare pochi Incantesimi della Pastoia ben piazzati per fermare i giocatori irriducibili e poi concentrarsi su quel pestilenziale fumo verde per riportare l’ordine nello scompartimento.

“Grazie, Teddy. Mi mancherà non farmi aiutare da te a rimettere in riga i nani malefici”.

Jordan indugiava sulla soglia del suo scompartimento, un sorriso timido sulle labbra solitamente atteggiate in un’espressione austera che la faceva sembrare molto più vecchia dei suoi diciotto anni.

“Avrai intorno molti nani malefici da rimettere in riga?”
Jordan si strinse nelle spalle.

“Non so. Prima o poi spero di sì, perché mi piacerebbe tornare a Hogwarts e stare dall’altra parte della cattedra, ma immagino dovrò prima fare un po’ di esperienza”.

Teddy annuì: Jordan sarebbe stata un’ottima insegnante, se solo avesse imparato a tenere davvero testa agli studenti. Cosa che al momento sembrava pura utopia, ma Teddy non era il tipo di persona da pronunciare ad alta voce verità scomode, se non vi era costretto.

“Posso sempre prestarti qualche nano Weasley-Potter, se vuoi fare esperienza”.

Jordan si era scontrata abbastanza spesso con l’incoscienza di Jamie Potter, che al suo primo anno aveva già accumulato un numero di punti sottratti capaci di onorare appieno gli uomini da cui aveva preso il nome, al punto che la ragazza rabbrividì di terrore autentico.

“Grazie, ma credo che declinerò l’offerta. Uno mi è bastato e avanzato”. 

Il che era piuttosto ingiusto, perché il resto del clan Weasley-Potter non era così tanto agitato. O almeno, non sempre.

Jordan aprì la porta dello scompartimento, balzando però all’indietro quando un ehi indignato rivelò che qualcuno, nel frattempo, si era impossessato del suo posto.

La soglia fu presto riempita dall’alta figura di una ragazza infilata in una maglia di un paio di taglie troppo grande. Una treccia spettinata non riusciva a trattenere i suoi capelli di un bel biondo dorato, e le sue sopracciglia inarcate le davano al viso un aspetto decisamente indispettito. 

Victoire Weasley, quasi volesse affermare con una sola occhiataccia che sì, decisamente Jordan non poteva avere voglia di avere a che fare con i membri della famiglia Weasley-Potter, si esibì nel suo miglior tono stizzito:

“Lo scompartimento è occupato, Summer, scusaci”.

“Ma questo era il mio scompartimento!”

“È tutto a posto?”, provò a intervenire Teddy, guadagnandosi un’occhiata a fronte aggrottata da parte di Victoire. 

“Teddy?”
Oltre la spalla di Victoire comparve il profilo di Dominique, un profilo così perfetto da risultare inconfondibile anche quando la ragazzina si stringeva con foga uno scialle attorno alla testa, cercando di aggiustarne i lembi. Dominique osservò Teddy, poi Jordan, poi diede un colpetto al fianco della sorella, costringendola a spostarsi dalla porta.

“Scusaci, Jordan, non volevamo rubarti lo scompartimento, pensavamo fosse vuoto…”
“Senti, ce lo lasci ancora per cinque minuti?”, la interruppe brusca Victoire. Dominique le diede un altro colpetto, e le due sorelle si fissarono per un attimo negli occhi, le fronti aggrottate in una serie di piccoli movimenti, increspature e distensioni che Teddy non era mai stato in grado di decifrare e che, invece, per loro erano una lingua perfettamente intelligibile. 

Alla fine Victoire dovette arrendersi, perché rientrò nello scompartimento e si lasciò cadere sul sedile accanto al finestrino. 

Dominique sorrise, mettendo in mostra una dentatura a dir poco perfetta, e si rivolse a Jordan e a Teddy con gli occhi venati di un pizzico di implorazione:
“Scusaci ancora, Jordan, ma non è che saresti così gentile da aiutarmi? Ho avuto un… una specie di incidente, e magari tu che sei la studentessa migliore della scuola puoi aiutarmi”.

Teddy finse di non vedere gli occhi platealmente alzati al cielo di Victoire, ma a stento trattenne una risata: Dominique era così sfacciata nelle sue adulazioni che prima o poi avrebbe trovato una parolaccia come risposta.
Ma Jordan si limitò ad arrossire e chiudersi alle spalle la porta dello scompartimento, mormorando qualcosa a proposito del fatto che era ancora Caposcuola, almeno per qualche ora, e quindi sì, certamente avrebbe aiutato una studentessa più giovane in difficoltà. 

Teddy dovette fissarsi con estrema attenzione la punta sporca delle scarpe da ginnastica, perché se avesse incrociato ancora una volta lo sguardo di Victoire e le sue smorfie, non sarebbe mai stato in grado di trattenere una risata. 

La povera Jordan era decisamente senza speranza. 

“Ecco, io… vi faccio vedere”. 

Dominique, con uno svolazzo elegante, si scoprì il capo. La cascata di morbide ciocche che scese a coprirle le spalle e a sfiorarle i fianchi non era più composta dai suoi luminosi capelli biondi. Al loro posto, voluminose onde di un pallido ma inequivocabile rosa ondeggiavano piano ad ogni sobbalzo del treno, catturando la luce delle lampade e riflettendola in vibranti riflessi di puro argento. 

Teddy doveva ammettere che le stavano piuttosto bene – e del resto, non credeva esistesse al mondo qualcosa in grado di stare male addosso a Dominique – ma era chiaro che Dominique non poteva presentarsi a sua madre conciata in quel modo, non se voleva evitare di scatenare una lite lunga e tediosa. Ed era risaputo che la sorella sempre intenta a cercare lo scontro era Victoire, non Dominique, che invece preferiva gli strumenti della persuasione.

“Chi è stato a ridurti così?”
Gli occhi di Jordan erano ridotti a una fessura, proprio come accadeva ogni volta che la ragazza subodorava qualche scontro fra studenti. Era entrata in piena modalità da Caposcuola, cosa che, quando gli studenti indisciplinati erano lontani, le veniva peraltro piuttosto bene.

“È stata la mia maschera per capelli…”, rispose evasiva Dominique, passandosi distrattamente le dita fra chioma.

“Hai idea di chi possa averti sabotato la maschera?”
“Ma nessuno!”
Gli occhi di Jordan si strinsero ancora di più, e Teddy avrebbe potuto giurare di essere in grado di vedere gli ingranaggi del suo cervello muoversi piano, mentre la ragazza rifletteva sulle parole giuste da scegliere.
“Non devi aver paura di denunciare chi ti ha preso di mira, sai?”
Questa volta, Teddy non riuscì a trattenersi: i suoi occhi scivolarono in quelli di Victoire, che erano socchiusi in un moto di esasperazione. Per quanto Dominique e Victoire potessero apparire superficialmente diverse, chiunque pensasse che una delle due sorelle Weasley potesse essere intimorita dalle angherie di un compagno di Casa sarebbe stato sicuramente un pessimo insegnante, in quanto totalmente incapace di comprendere le dinamiche dei ragazzi.

“Nessuno l’ha presa di mira, ma mia sorella è così scema da aver pensato che l’ultimo giorno di scuola fosse il momento ideale per fare uno dei suoi esperimenti idioti. Ha aggiunto una Pozione Colorante alla sua maschera, e ora non riesce più a togliere l’effetto”, intervenne irritata Victoire, che evidentemente non vedeva l’ora di risolvere la situazione.

“E ha funzionato perfettamente! I miei capelli sono bellissimi, e sono esattamente del colore che volevo!”

Dominique non riusciva a distogliere lo sguardo dai propri capelli.

“Sì, certo, tutto perfetto, peccato che il tuo piano fosse far durare il colore un solo lavaggio, o sbaglio?”
Il battibecco proseguì per un po’: Teddy si divertiva sempre molto a vedere le sorelle bisticciare, ma mancava davvero poco al loro arrivo a Londra, e lui sospettava che entrambe preferissero ristabilire il naturale biondume della situazione prima che Fleur potesse vedere la figlia minore conciata in quel modo.

“Hai ancora un po’ di quella maschera?” domandò Teddy, pensieroso: se davvero ai M.A.G.O. di Pozioni era riuscito a identificare correttamente gli ingredienti di un veleno complesso e a creare un antidoto efficace in due ore – e a giudicare dal sorriso smagliante che la professoressa Almond gli aveva regalato quando aveva consegnato il suo lavoro, doveva avercela fatta –  forse poteva anche trovare un antidoto a un pasticcio cosmetico combinato da una tredicenne.
Dopo che Dominique ebbe posato sul suo palmo un barattolino ancora umido pieno di una vischiosa sostanza verdastra, Teddy si rivolse risoluto a Jordan:
“Nel tuo baule hai il tuo calderone e gli ingredienti di Pozioni, giusto?”
E, al suo cenno affermativo, Teddy si sfilò la bacchetta da dietro l’orecchio, pronto a concentrarsi sul compito che aveva davanti.

 

Trascorrere le ultime ore del suo ultimo viaggio sull’Hogwarts Express seduto per terra ad annusare la brodaglia che sobbolliva sul calderone di Jordan Summer, mentre le sorelle Weasley fissavano ogni sua mossa con sguardo indagatore: decisamente non era quello l’epilogo che si sarebbe aspettato.

Eppure, per qualche indecifrabile motivo, non riusciva a smettere di sorridere.





 

 


 

Note: 

È una follia iniziare a scrivere ora una nuova long? Sì.

La porterò a termine? Eh. Io lo spero, ma non prometto nulla.

Questa storia ha le sue radici in un’idea che risale al 2018 (se qualcuno fosse in questi lidi dai tempi di “A riveder le stelle” e, cosa del tutto improbabile, si ricordasse dei tatuaggi di Teddy, ebbene sì, parlo proprio di quello), ma non sono mai riuscita a svilupparla come avrei voluto. Però per anni l’idea è sempre rimasta lì, e periodicamente tornava a stuzzicarmi.

In realtà, ultimamente sto riflettendo molto sulla nuova generazione in generale, e quello che vorrei davvero è scrivere qualcosa di molto più ampio respiro (a livello di lunghezza, ma anche di tematiche trattate e “ampiezza” del focus), ma al momento non credo di averne le energie. Però, chissà, magari cominciare ad accostarmi a questo nuovo contesto mi aiuterà a schiarirmi le idee e a prepare il terreno per eventualmente una storia più ampia e incisiva.

Intanto, ringrazio chiunque abbia dato una possibilità a questo primo capitolo, e metto subito le mani avanti dicendo che, purtroppo, gli aggiornamenti saranno poco frequenti, quindi se da subito sapete di avere problemi con le storie aggiornate molto lentamente, vi consiglio di scendere dalla nave prima che l’irritazione vi travolga.

 

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Capitolo 2
*** Pot-pourri alla mela renetta ***


Pot-pourri alla mela renetta




 

La ruga sulla fronte di Molly era un cratere profondo: la sua bacchetta si muoveva senza sosta, dirigendo con fare imperioso un piccolo esercito di pentole e padelle, dando ordini spietati ai coltelli impegnati a sbucciare le patate e regolando con precisione fuochi e soffritti. 

Arthur si soffermò sulla soglia della cucina, travolto dalla consueta ondata di emozioni contrastanti che provava ogni volta che la Tana tornava ad essere davvero una tana sovraffollata, un rifugio per la loro famiglia sempre più numerosa: le riunioni di famiglia erano diventate eventi di sempre più complessa organizzazione e gestione, perché il numero di nipoti cresceva di anno in anno, i figli avevano vite e lavori in cui era difficile trovare posto e lo spazio sembrava non bastare mai. Eppure, quelle occasioni fatte di caos, di una Molly stremata ai fornelli (e del tutto incapace di accettare l’aiuto di chicchessia, salvo poi lamentarsi di dover fare sempre tutto da sola), i pianti nervosi dei bambini, le liti, le risate, le assenze che continuavano a fare male come una ferita aperta, tutto continuava a rimandare a un gioco di specchi fatto di contrasti. Di ciò che un tempo era e che ora non era più, di cuccioli di mago che un tempo dipendevano da loro in tutto e per tutto e che ormai camminavano per il mondo sulle proprie gambe.
 

“Caro, non stare lì impalato a guardarmi! Ho sentito chiacchierare in salotto, è arrivato qualcun altro?”
Molly gli lanciò uno sguardo da sopra la spalla, il viso paonazzo.

“Era Hermione, è arrivata direttamente dal Ministero”.
“Oh, povera cara… lavora troppo, l’ho sempre – Freddie, no! Gli gnomi restano nel campo!”
Un colpo di bacchetta rivolto verso la finestra fu presto seguito da un urletto e dalla risata sguaiata di Hugo e Louis, accompagnata dal borbottare irritato di Freddie. 

“Quindi, ricapitolando, chi manca?”
Arthur socchiuse gli occhi, cercando di mettere a fuoco tutti i membri della sua famiglia che, in vari momenti del pomeriggio, erano arrivati alla Tana: Hugo e Rose erano lì da quella mattina, lasciati di corsa da un Ron affannato e in ritardo per l’apertura del negozio. Freddie e la piccola Roxie erano arrivati dopo pranzo con Angelina, la quale si era coraggiosamente offerta di aiutare Molly a preparare la cena salvo poi crollare addormentata sul dondolo che da qualche anno era stato installato nel giardino della Tana. C’era poi stato un momento concitato in cui Percy, Harry e Ginny erano arrivati con Molly, Jamie e i piccoli dritti dritti da King’s Cross, con tanto di bauli e un numero infinito di chiacchiere e racconti sul loro primo anno a Hogwarts da parte dei più grandi. Alla fine erano arrivati anche Bill e Louis, dunque…

“Mancano solo Fleur e le ragazze. Louis ha detto qualcosa sul naso di Victoire, ma francamente non ho capito bene. Saranno qui a momenti, comunque”.

Charlie non sarebbe tornato dalla Romania prima di agosto, mentre Percy, come ormai accadeva fin troppo spesso, aveva accampato una scusa poco credibile sul lavoro di Audrey per giustificare l’assenza della moglie, dunque davvero c’erano quasi tutti. 

“Bene, allora fammi un piacere, caro, raduna i bambini e fatti aiutare a preparare la tavola, per cortesia”. 

“Agli ordini. Qui in cucina è tutto sotto controllo?”
Molly annuì: Arthur, del resto, non aveva dubbi che tutto sarebbe stato perfetto. Al netto del pianto di Louis che cercava di rifiutarsi di mangiare i fagiolini, delle liti che sicuramente sarebbero scoppiate tra i più piccoli e da tutti i piccoli grandi problemi che forse erano semplicemente inevitabili quando si riuniva un così ampio numero di maghi e streghe non ancora del tutto capaci di controllare la propria magia, naturalmente.

 

***

 

Lily sentiva in petto una sensazione che non sapeva ben definire, ma che di certo non avrebbe annoverato fra quelle proprio super-iper-belle

Aveva aspettato per tanto tempo quella sera: la cena con tutti i parenti come a Natale, ma sotto le lucine dorate che danzavano attorno alla tavola allestita in giardino. Adorava le feste organizzate d’estate a casa dei nonni: la Tana era uno dei luoghi in cui passava la maggior parte delle sue giornate, dal momento che mamma e papà lavoravano tutto il giorno, e lei conosceva ogni angolo della casa sghemba, conosceva ogni pianta del giardino – presto sperava di ottenere il permesso di esplorare da sola anche la campagna nei dintorni, ma a quanto pareva otto anni meno un mese non erano abbastanza per nonna Molly, neanche fosse una marmocchia come Hugo, o, peggio, Fred e Louis – e si sentiva a buon diritto un po’ più abitante della casa di altri cugini che, invece, andavano a trovare i nonni solamente qualche domenica pomeriggio. 

E poi c’erano le giornate in cui tutta la famiglia al completo si ritrovava, e allora la Tana diventava un’altra cosa. Piena fino a scoppiare, con le voci che rimbombavano, tutti gli zii che perdevano il mantello o il berretto e i cugini che per sbaglio o per scherzo si scambiavano le sciarpe. Nonna Molly vietava a tutti l’accesso alla cucina, e se era estate e anche bel tempo, cacciava direttamente tutti in giardino per non disturbarla mentre cucinava la cena. 

Il nonno, fin dalla mattina, armeggiava con tavoli e sedie – le sedie non erano mai abbastanza – e poi cominciava a trafficare con tutte le luci incantate che aveva nascosto nel ripostiglio (quasi tutti fili di luci di Natale babbane che lui aveva modificato perché si accendessero anche senza corrente, perché fluttuassero in aria e cambiassero colore e intensità a seconda di quale canzone si decidesse di cantar loro). Il giardino diventava qualcosa di nuovo, sempre lo stesso posto familiare in cui Lily si sentiva a casa e al tempo stesso un luogo sospeso in un’atmosfera irreale, che rendeva speciale e magica ogni cosa. 

La sua festa preferita, neanche a dirlo, era il 31 luglio: si festeggiava il compleanno di suo papà e, soprattutto, si festeggiava anche il compleanno di Lily, e Lily era fierissima di quella coincidenza che aveva un che di magico. Nessuno, né i suoi fratelli e nemmeno qualcuno dei suoi cugini, poteva vantare un compleanno così speciale. E per un po’ era stata fermamente convinta che quella fosse anche la festa preferita di nonna Molly,  il che era un chiaro indizio del fatto che Lily potesse considerarsi fra i nipoti preferiti della nonna.

Quella sera, però, un po’ della magia della festa era stata rovinata dal fatto che per lei, naturalmente, non ci fosse neanche un regalo. E che tutti – ma proprio tutti, mamma, papà, i nonni e anche il resto degli zii – sembrassero interessati solo a Jamie e Molly, a Hogwarts, alle lezioni, agli amici che si erano fatti. E Jamie e Molly erano stati felicissimi di mettersi al centro dell’attenzione e, soprattutto, di trattare il resto dei cugini più piccoli come se ormai tra di loro ci fosse un abisso immenso.

Insopportabili.

Ma ancor più insopportabile era stata Rose che, offesa per il modo in cui Jamie e soprattutto Molly l’avevano trattata, aveva cominciato a girare per il giardino con il naso all’aria, dando risposte antipatiche e facendo finta di essere anche lei a conoscenza di cose che i più piccoli non potevano neanche immaginare e si era categoricamente rifiutata di giocare assieme a Lily (cosa che accadeva sempre più spesso, ormai). 

Poi Lily, Hugo e Freddie si erano dedicati ad una agguerritissima partita di Pluffa Avvelenata mentre Molly e Lucy giocavano dall’altra parte del giardino con Roxie e il suo cagnolino di pezza. Le due sorelle si erano distratte, Roxie si era buttata in mezzo ai giocatori di Pluffa Avvelenata ed era stata travolta dalla corsa di Hugo, era caduta e si era guadagnata un brutto taglio sul mento che le aveva imbrattato di sangue il vestito e le aveva strappato degli strilli da Ippogrifo imbizzarrito. Se i grandi fossero stati intelligenti come dicevano sempre di essere, avrebbero sgridato Molly e Lucy, perché erano loro le più grandi e perché erano loro ad aver insistito per giocare con Roxie e poi si erano distratte. E invece no, ovviamente quelli che erano stati sgridati a dovere erano stati Hugo perché troppo maldestro, Freddie perché in quanto fratello maggiore era sempre e comunque responsabile delle ferite della sorellina, e Lily perché sì, perché a Pluffa Avvelenata non si gioca vicino alla tavola. 

Ma loro avevano rotto Roxie, non un piatto. 

E ovviamente Molly e Lucy non potevano essere sgridate, perché Lucy, poverina, era intoccabile, e bla, bla, bla…

 

Come se non bastasse, zia Fleur era arrivata quasi in ritardo, arrabbiatissima con Dominique e soprattutto con Victoire. Il che non era una novità, ma Lily aveva trovato almeno interessante la ragione del contendere: a quanto pareva, a Hogwarts Victoire si era fatta bucare il naso da un compagno di scuola, e lo aveva fatto con un Incantesimo Irrichiudibile o qualcosa del genere. La colpa di Dominique era stata quella di aver saputo di quel buco per mesi e non aver mai pensato di scrivere una lettera a casa. L’entusiasmo di Lily per quella novità si era però spento presto: si era avvicinata alla cugina più grande piena di curiosità, sperando di scoprire una terza narice in mezzo alla sua faccia, e invece il buco era solo un forellino grande come una capocchia di spillo, ed era riempito da un cerchietto d’argento piccino piccino.
Tanto rumore per nulla, insomma.

Ma zia Fleur non era d’accordo, e continuava a riferire frasi gelide in francese alle figlie per poi rivolgersi al resto degli zii in inglese, cercando approvazione. L’unica a darle corda però era nonna Molly, che continuava a sospirare cose come: 

“Tesoro, avevi un così bel visino, perché ti sei ridotta così?”
Oppure: 

“Cosa penserà la gente quando ti vedrà conciata così?”
E anche:
“Cosa farai quando non troverai un lavoro per colpa di quell’anello da mucca?”
Victoire aveva accolto ogni parola della nonna e di sua mamma senza mai rispondere, limitandosi a lanciare occhiate arrabbiate a destra e a sinistra, a scuotere le spalle come se niente le importasse davvero e a piantare con gesti arrabbiati la forchetta in mezzo all’arrosto della nonna.

Lily avrebbe voluto intervenire e rassicurare Victoire che, secondo lei, quell’anellino le stava comunque molto bene, anche se una terza narice sarebbe stata più interessante.
Per fortuna non lo fece, perché a intervenire fu invece proprio la sua mamma, con aria scocciata:
“Oh, insomma, mamma, cosa vuoi che dica la gente?  Niente, che deve dire! E un lavoro si trova anche con un piercing, cosa credi!”

Nonna Molly strinse le labbra in un gesto tipico che significava non sono d’accordo e prima o poi ve lo ripeterò, ma tacque. Chi invece non tacque fu di nuovo Ginny, che si rivolse invece a zio Bill (che stranamente non aveva mai preso parte alla discussione, né per sgridare le figlie, né per mostrarsi in disaccordo con zia Fleur) e gli puntò contro un dito accusatorio:
“Del resto, non mi pare che tu abbia mai avuto problemi a trovare lavoro con i capelli lunghi e il dente di maride all’orecchio, né che tu” – e questa volta si girò verso zia Fleur – “abbia avuto qualcosa da ridire su quell’orecchino, quando lo hai conosciuto”.

Lily ridacchiò piano, il naso nascosto nel bicchiere di succo di zucca: aveva visto qualche foto di zio Bill da giovane, con l’orecchino e soprattutto i capelli lunghi, e trovava ancora incredibile che il ragazzo di quella foto fosse la stessa persona di zio Bill, che i capelli non solo non li aveva lunghi, ma non li aveva proprio più.

Inaspettatamente, zia Fleur non si arrabbiò anche con la mamma, ma il suo viso severo si sciolse in un sorriso che la rese ancor più bella di quanto non fosse. E poi rovinò tutto lanciando a zio Bill uno sguardo tutto zuccheroso. Che schifo guardare un maschio così. 

 

Improvvisamente, la serata migliorò.

Non solo perché nonna Molly con un colpo di bacchetta fece sparire i piatti sporchi e vuoti – e anche quelli pieni, per la gioia di Louis e della sua avversione per i fagiolini – annunciando che era arrivato il momento della torta, ma anche perché quell’annuncio arrivò in contemporanea a due punte di bacchetta illuminate alla periferia del giardino. 

Tutti erano così impegnati a fare cose da adulti (i genitori e gli zii) e da bambini piccoli (Hugo e Freddie e Louis) che Lily fu certa di essere stata la prima ad accorgersene, e così, vedendo la mamma impegnata a chiacchierare fitto fitto con zia Angelina e papà impegnato a ridere assieme a zio Ron e zia Hermione, lei riuscì a scivolare giù dalla sedia e a trotterellare verso le luci che, nel frattempo, si facevano sempre più vicine, permettendole di distinguere il profilo elegante di Andromeda Tonks e della persona preferita di Lily: Teddy Lupin.

 

***

 

Victoire aveva trattenuto a malapena il malumore per tutta la sera, ma non era stupida: sapeva di aver già tirato fin troppo la corda, e sapeva che ogni sua azione sopra le righe avrebbe solo peggiorato la sua situazione. Forse, se quella sera e nei giorni seguenti si fosse mostrata abbastanza ragionevole, papà avrebbe deciso di perorare la sua causa, e lei se la sarebbe cavata con una pena ridotta. Fare scenate davanti a tutti gli zii invece avrebbe cementato ancora di più la rabbia della mamma, e allora non ci sarebbe stato nulla a cui appellarsi. 

Fu quindi soffocando un moto di rabbia che prima si offrì di aiutare la nonna a rimettere in ordine la cucina (in realtà dovette solo starsene ferma mentre la nonna agitava la bacchetta, ascoltando ancora una volta un’infinita litania contro il suo piercing), e poi, di sua spontanea iniziativa, raggiunse il tavolino basso attorno a cui erano assiepati i cugini più piccoli. Rubò la sedia a Louis, sollevandolo di peso, ma si fece perdonare sistemandosi il fratello sulle ginocchia. Si aspettava che lui avrebbe protestato, ma con sua grande sorpresa il bambino le si abbandonò contro come quando era piccolino. Be’, del resto era ormai abbastanza tardi – Roxie era crollata da un pezzo in braccio a zio George – e sospettava che, nonostante tutto, durante l’anno scolastico lui avesse sentito la sua mancanza.

I bambini non le dedicarono molte attenzioni, impegnati com’erano in gridolini e risate, gli occhioni fissi sulle mani di Teddy che, con una pazienza che Victoire non avrebbe trovato nemmeno dopo aver trascorso sette anni in un monastero buddhista a meditare, ascoltava ogni richiesta dei bambini trasformando le loro idee buffe in ancor più buffi disegni.

Il tavolo era ricoperto di Pennarelli a Luminosità Illimitata, una delle ultime creazioni di zio George – pennarelli con inchiostro fluorescente che smetteva di brillare solo se si faceva il solletico al tappo – e di fogli pieni di maiali con le ali, caricature degli zii, cacche di colori vivaci e graziose principesse a cui la mano di un bambino aveva aggiunto denti storti e corna da ariete.

“Adesso fai zio Harry ma con i vestiti di tua nonna Andromeda!”
La richiesta di Hugo strappò una risata sguaiata a Freddie e a Louis (e anche Victoire fece fatica a trattenere una risata, pensando alle lunghe, elaborate ed eleganti vesti da strega che la nonna di Teddy era solita indossare) e un grido indignato da parte di Lily.

“No, semmai i vestiti da femmina te li metti tu, Hugo!”
“Io i vestiti da femmina non me li metto, e neanche zio Harry! È solo per il disegno, stupida!”

“Non darmi della stupida! Tu sei stupido!”
“Se io sono stupido, tu sei stupidissima!”
“E tu sei stupidissimissimo!”
Victoire sapeva che quei battibecchi, soprattutto quando l’ora in cui i cugini andavano a dormire abitualmente era passata da un pezzo, avrebbero potuto continuare all’infinito. La sua reazione istintiva sarebbe stata quella di urlare a tutti di tapparsi la bocca, ma si trattenne. Perché sua madre poteva anche essere seduta al tavolo degli adulti, impegnatissima a parlare fittamente con Andromeda, ma era certa che avrebbe sentito quelle parole anche se fosse stata dall’altra parte della Manica.

Fu Teddy, invece, a sedare la lite: con la bacchetta disegnò nell’aria un cerchio di scintille dorate, attirando l’attenzione dei bambini e riducendoli a un silenzio imbambolato.

“Facciamo così: se mi promettete di fare i bravi, ognuno di voi può chiedermi un ultimo disegno, ma stavolta ve ne faccio uno speciale”. 

Agitò con fare allusivo la bacchetta, e i bambini capirono al volo. 

“Però non dovete urlare, perché io ho bisogno di concentrarmi, ok?”
I bambini annuirono, e anche Louis, che ormai era un peso quasi morto in braccio a Victoire, si riscosse, sedendo dritto sulle sue ginocchia.

“Bene. Lucy, che disegno vorresti?”
Ci fu un mormorio di protesta, perché ognuno dei bambini voleva essere il primo – Victoire diede una pacca a metà tra il consolatorio e l’ammonizione al ginocchio di Louis, sussurrandogli di avere pazienza – ma di nuovo fu Teddy a riportare tranquillità al tavolo, asserendo con voce contraffatta e pomposa che è l'arte a scegliere, non l'artista e strappando risatine ammirate a tutti.

Lucy domandò un cavallo e Teddy, senza mai abbandonare quella voce pomposa, cominciò a disegnare.

"Lady Lucy desidera un cavallo, e un cavallo è quello che avrà!"

Le sue dita si muovevano veloci, tracciando con sicurezza i contorni di un cavallo disegnato con tratti cartooneschi, ma estremamente riconoscibili. Quando il cavallo fu pronto, Teddy fece comparire un paio di forbici, ritagliò la figurina, affidò le forbici alla custodia di Victoire e poi, con un complicato movimento di bacchetta e un incantesimo che Victoire non conosceva, diede vita al disegno. Vita forse non era il termine giusto: il cavallo non emetteva suoni, e i suoi movimenti non erano articolati e complessi come quelli dei quadri magici a cui erano abituati, ma la sua coda di carta si agitava ritmicamente e ogni manciata di secondi le zampe anteriori si impennavano.

Lucy prese il disegno con evidente piacere, lo conservò nel palmo della mano e rimase a osservarlo, ammirata.

Fu poi il turno di Hugo, che dapprima chiese un'altra cacca ma poi, rendendosi conto che le cacche hanno la tendenza a restare immobili, cambiò idea e domandò un suo ritratto con la divisa dei Tiri Vispi Weasley. Il risultato fu un piccolo Hugo vestito di magenta che estraeva conigli blu da un cappello a punta da mago, e il bambino in visibilio corse a mostrarlo alla mamma.

Poi venne una Lily vestita da principessa che faceva eleganti riverenze perdendo la corona, un Freddie con la divisa delle Holyhead Harpies (alla faccia dei maschi che non volevano vestirsi da femmine) impegnato in un perfetto lancio di Pluffa.

Louis chiese di essere ritratto come Capitano dei Cannoni di Chudley, fu accusato di poca originalità e Victoire dovette sussurrargli all'orecchio che l'arancione gli stava molto bene per scongiurare una crisi di pianto.

Lucy chiese timidamente di poter avere anche lei un ritratto con un tutù da ballerina, gli altri bambini protestarono perché così Lucy avrebbe avuto due disegni magici e di nuovo Teddy distrasse tutti disegnando sé stesso con la veste più elaborata di sua nonna.

Alla fine, Freddie chiese di poter avere una versione cartacea del cagnolino di pezza di Roxie, per regalarlo la mattina dopo alla sorellina – Victoire sospettava che Roxie, a due anni non ancora compiuti, avrebbe apprezzato il regalo di suo fratello solo per la facilità con cui poteva finire masticato, ma non volle scoraggiare quella rara dimostrazione di affetto – e solo allora i bambini acconsentirono a correre a mostrare ai genitori i disegni di Teddy, sancendo così che la serata era pronta per volgere al termine.

“Lady Victoria come desidera essere ritratta?”
Victoire rise davanti alla voce contraffatta di Teddy e per una volta non protestò davanti alla storpiatura del suo nome a cui Teddy si ostinava, poi afferrò uno dei fogli che era stato abbandonato sul tavolo, scrutandolo con attenzione. 

“Ma a me in realtà piaceva l’idea della cacca di Hugo. Non è che sai anche far profumare i tuoi disegni? Perché una bella cacca turchese che profuma di rose di zucchero e violette candite non sarebbe male”.

Teddy aggiunse un paio di occhioni color ciclamino alla cacca, con tanto di lunghe ciglia sbatacchianti.

“Purtroppo no, i profumi mi mancano. Magari però potremmo chiedere una mano a tua sorella, mi sembra portata per sperimentare con le pozioni”.

Victoire ripensò con un misto di irritazione e sollievo al modo in cui Teddy aveva trovato un antidoto per i capelli rosa di Dominique: se sua madre aveva dato di matto per uno stupido, minuscolo piercing di una figlia ormai sedicenne, probabilmente sarebbe svenuta vedendo la chioma di Dominique.

“Mmh. Sicuro di voler appestare tutto il paese con l’odore di violetta? Domi non ha il senso della misura, nel caso ti fosse sfuggito”.

Teddy si strinse nelle spalle, e poi si fece immediatamente più serio:
“Mi sembra che tua mamma sia arrabbiata. Il mio antidoto non ha funzionato?”
Victoire gettò un’occhiata a Dominique, tutta presa a chiacchierare con Molly e Rose. Da quando era scesa dal treno, era stata attentissima a non sciogliere lo stretto chignon in cui aveva arrotolato i capelli davanti ai suoi genitori, così da nascondere le poche ciocche vicino alla nuca che avevano conservato un vago riflesso rosa.
“Ha funzionato, ha funzionato, è solo che…” mormorò Victoire, per poi interrompersi quando Teddy strizzò gli occhi nel gesto tipico che annunciava un cambio di connotati. Improvvisamente, sulle spalle del ragazzo piovvero cascate di vaporose onde che, anche alla scarsa luce del giardino, erano inequivocabilmente rosa.

“Meno male, era tutta la sera che sognavo di poter fare questo”.

Be’, i capelli di Teddy non erano lucidi e setosi come quelli di Dominique, ma erano certamente un’ottima imitazione.
“Quanto sei scemo”.
“E tu sei scemissima”, fece lui, facendo il verso ai bambini, per poi tornare a tracciare rapide righe con il pennarello nero su un foglio pulito. 

“Mia mamma si è arrabbiata per il mio piercing”, precisò allora Victoire, sentendo una smorfia di rabbia e delusione deformarle il viso. La discussione era stata come sempre esagerata, con sua madre arroccata nelle proprie posizioni e totalmente incapace di distaccarsene, nemmeno davanti all’evidenza che, tutto sommato, era solo un piercing. Per niente diverso, nella sostanza, dai buchi alle orecchie che aveva regalato sia a lei che a Dominique quando entrambe avevano compiuto sette anni. Non cambiava niente fra l’anellino d’argento che ora portava al naso e i cuoricini d’oro che aveva portato alle orecchie da bambina. Niente, se non qualche stupida convenzione sociale che forse poteva avere un valore trent’anni prima, ma non certo ora.

“E io sono in punizione per tutta l’estate”, aggiunse.

Sempre che papà non decida di farle cambiare idea, aggiunse mentalmente, pur consapevole che almeno una settimana di punizione l’avrebbe comunque dovuta scontare.

“Cosa devi fare?”
“Stare qui tutti i giorni e aiutare i nonni a star dietro a Hugo, Rose, i Potter e mio fratello. Il tutto senza vedere neanche l’ombra di uno zellino, perché altrimenti sarebbe un lavoro e non una punizione”. 

Victoire fissò Teddy con un’espressione abbastanza cupa da scongiurare ogni sua obiezione: lo sapeva fin troppo bene che per Teddy quella non era una punizione così terrificante, ma lei non era Teddy. Lei non si divertiva a dare corda ai bambini quando avrebbe potuto fare tutt’altro, lei davanti ai capricci aveva solo voglia di mettersi a urlare più forte, lei detestava impastare biscotti con la nonna.

“Be’, dai, se i tuoi lavorano tutta l’estate, ci sarà almeno anche Dominique qui, no?”
Certo, ci fosse stata la sorella con cui condividere l’estate in compagnia dei cugini, la cosa sarebbe stata lievemente meno insopportabile.

“Certo. Però poi andrà una settimana in Irlanda con la Baston, poi è invitata quattro giorni nella casa in Italia dei Walker, e poi andrà in campeggio con le sorelle Blackwood, quindi non sarà praticamente mai a casa”.

Victoire sapeva di suonare amara nelle sue considerazioni, e sapeva che un orecchio inesperto avrebbe potuto scambiare la sua amarezza per invidia. E invece no: era sinceramente felice che Dominique avesse una vita sociale tanto ricca e attiva, ma non poteva fare a meno di pensare che comunque la sua estate lei, punizione o no, l’avrebbe vissuta nell’orizzonte ristretto della famiglia, perché non c’era nessuno dei suoi compagni di scuola con cui avrebbe mai potuto pensare di incontrarsi. 

“Che fregatura… però pagherei galeoni sonanti per vedere Dominique alle prese con i bagni di un campeggio”. 

Lei e Teddy si scambiarono uno sguardo complice: Dominique poteva anche impegnarsi per risultare accomodante con chiunque, ma la mancanza di comodità tirava fuori il peggio di lei. 

“Comunque”, aggiunse Victoire, divertita dall’idea di Dominique intenta a disporre i suoi sette flaconi di indispensabili per il bagno sulle sponde fangose di un fiume, “quando sei stufo di studiare per il test in Accademia, puoi sempre fare un salto qui. Ai nonni fa solo piacere, ai nani pure, e a me fa piacere imboscarmi mentre ai nani ci pensi tu”. 

Teddy annuì, ma Victoire ebbe la sensazione, guardando il suo viso contratto, che non fosse affatto felice della sua proposta.

“Era una battuta, eh, non sei obbligato a venire”.

Victoire non avrebbe augurato neanche al suo peggior nemico un pomeriggio in compagnia di mini-Potter e mini-Weasley annoiati, ma Teddy di solito, inspiegabilmente, adorava quelle situazioni. Non glielo avrebbe mai proposto, altrimenti.
Oh, be’, forse l’aver raggiunto la maggiore età sia nel mondo magico che in quello babbano l’avevano fatto rinsavire, e finalmente era pronto ad ammettere che un pomeriggio con i parenti sopra i settant’anni e sotto i nove era una specie di tortura che nessuno meritava davvero.

“Ma no, un salto lo faccio anche, se ho tempo”.

Victoire sbuffò.

“Se non hai tempo perché dopo aver studiato un po' devi vedere i tuoi amici mi sta pure bene, ma se non hai tempo perché dopo aver studiato devi studiare ancora, sappi che la prima cosa che farò da maggiorenne sarà scaricarti addosso tutte le fatture che ho imparato. E sono tante, per la cronaca".

Teddy sorrise, un sorriso appena tirato, a cui Victoire non avrebbe creduto neanche se fosse riuscito a controllare i suoi capelli, che invece, come sempre quando era nervoso,  diventarono corti, ispidi e scuri.

Lo fissò a lungo con un sopracciglio inarcato, aspettando la sua spiegazione, ma la spiegazione non venne. 

Teddy continuò a disegnare, in silenzio, e Victoire, dopo qualche minuto, si alzò di scatto. Non era nelle sue abitudini costringere a parlare qualcuno che non aveva la minima voglia di farlo.

Tornò a passi rapidi verso il tavolo dei grandi, che chiacchieravano pigri rimandando il momento di chiamare a raccolta i bambini e preparare la spedizione verso le rispettive case.

Stava per sedere accanto a sua madre, per nulla pronta a fingere pentimento per il suo comportamento sconsiderato, quando qualcosa le urtò leggermente la spalla: era un aeroplanino di carta, che emanava un lieve bagliore turchino.

Lo dispiegò, e si ritrovò a fissare uno schizzo della Tana vista dal giardino. Attorno alla casa erano assiepati un numero infinito di marmocchi – molti di più di tutti i suoi cugini messi assieme – e, appollaiata in cima al tetto, c'era una figurina furiosa in cui si riconobbe subito.

Una figurina intenta a lanciare minuscole cacche colorate munite di occhi sugli infanti assalitori.

Attorno a ogni cacca, la grafia spigolosa di Teddy aveva disegnato piccole nuvolette con battute come Io profumo di ananas candito, e Io so di pot-pourri alla mela renetta.

Victoire scosse la testa, ficcandosi il disegno nella tasca dei jeans.

Qualche volta, Teddy sapeva essere proprio scemissimissimo.




 

 


 

Note:

Giuro che ho finito di parlare di cacca (spero), ma la mia modesta esperienza mi dice che è impossibile riunire più di un essere umano sotto i nove anni e aspettarsi che non si parli almeno una volta di bisogni corporei.

Grazie a chiunque abbia letto: giuro anche che prima o poi la trama vera e propria ingranerà, ma anche in questo capitolo sono presenti elementi importanti per sviluppare il resto della storia, anche se non sembra.

A presto!

 

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