An almost normal life

di Vavi_14
(/viewuser.php?uid=405550)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***
Capitolo 7: *** VII. ***



Capitolo 1
*** I. ***


I.
 





«Oh no, Sam… nonono, che hai combinato».
Due minuti. Centoventi secondi di disattenzione e il disastro era stato compiuto. Sul pavimento del bagno giacciono quattro o cinque riccioli neri ripiegati a spirale su loro stessi e accanto, l’arma del delitto: un paio di forbici da cucina con l’impugnatura gialla che proprio qualche ora prima Dean aveva usato per aprire una confezione di cereali e si era dimenticato di riporre al loro posto. Papà lo avrebbe ammazzato.
Suo fratello, invece, sta ammirando il proprio riflesso nello specchio sgangherato del bagno con un cipiglio schifosamente compiaciuto.
«No Sammy, non si fa» lo ammonisce allora il maggiore, e Sammy lo guarda, il sorriso un po' spento, perplesso, incapace di capire dove sia il problema. Dean sospira e fa sparire velocemente le forbici.
«Quelle non le devi usare da solo, capito?» gli parla lentamente, con apprensione. «Fammi vedere le mani» aggiunge poi, ispezionando attentamente ogni centimetro di pelle per trovare eventuali ferite, mentre l’altro non stacca un secondo lo sguardo da lui. Sammy ora sta iniziando a comprendere, perché Dean ha l’espressione preoccupata, come quando lui si fa male e sente dolore e ha bisogno del cerotto per guarire.
«No male» è tutto ciò che riesce a dire, accostando le braccia al petto, sottraendole dal controllo spasmodico del fratello. Lo vede sospirare e sedersi sul bordo della vasca, affranto e consapevole della lunga ramanzina che lo attenderà di lì a poco, quando papà varcherà la soglia di casa e appurerà che il suo figlio maggiore non è stato in grado di badare al più piccolo nemmeno per cinque minuti di assenza. Un po' è arrabbiato anche con Sam, perché a volte sembra che ci provi gusto a metterlo nei guai.
«Perché?» chiede soltanto, indicando col mento il disastro che Sammy ha in testa, ma non si aspetta una vera risposta. Forse il fratello non l’ha nemmeno capito.
Invece Sam alza un dito, sveglio e attento come pochi - quasi stesse aspettando quella domanda - e lo punta dritto verso il maggiore. Due fossette fanno capolino ai lati delle guance. «Sono Dee».
E allora la consapevolezza arriva assieme all’incredulità, il petto di Dean si abbassa come se ora potesse finalmente lasciar uscire l’aria, stranamente sollevato senza un plausibile motivo che spieghi il perché si senta così bene dopo aver ascoltato quell’inutile e stupida giustificazione.
Suo fratello voleva tagliarsi i capelli per assomigliare a lui.
«No, sei scemo» è la risposta che fa sentire a Sammy, ma nemmeno troppo perché la sussurra tra i denti - ci manca solo che inizi a ripetere strane parole quando c’è papà – poi lo prende in braccio con l’intenzione di sgomberare il bagno ed iniziare a pulire il luogo del delitto, e non sa di preciso cos’ha percepito suo fratello, spera di esser stato abbastanza severo da convincerlo a non farlo mai più, ma ora che è aggrappato al suo collo e non può vederlo, Dean si concede un mezzo sorriso e qualche istante di orgogliosa soddisfazione.





















__________________________

'Sera. Mi sento di dire che non so, di preciso, cosa io abbia combinato e cosa combinerò in futuro con questa raccolta. Potrebbe non avere una fine o rimanere in sospeso, trattandosi di aggiornamenti random ad ispirazione. So solo che avrei sempre voluto scrivere su questo fandom, ma il pensiero di muovere Sam e Dean in un tempo corrispondente alla serie mi spaventava - ero certa che avrei combinato un disastro - e così ne è uscita questa serie di missing moments. Diciamo che adoro i bambini e adoro i fratelli. Ma non saranno sempre piccoli, le età varieranno. In ogni caso, spero che a qualcuno possa interessare. Nel caso, vi sarei molto grata se me lo faceste sapere: un commentino è sempre gradito. Fa bene al cuore e all'autostima.
Grazie a chi ha letto fin qui.
Alla prossima, se vorrete.

Vavi

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II. ***


II.





"Cinque minuti e dovete essere in macchina".

Trecento. Duecentonovantanove.
Le parole di papà risuonano nella testa di Dean come un timer che scorre inesorabilmente alla rovescia. Lui, al solito, aveva risposto sì signore, mentre Sam aveva fatto un saltino con le braccia alzate, annunciando che quella mattina si sarebbe preparato da solo. I vestiti li avevano scelti assieme la sera prima, quindi, si chiede innocentemente Dean, cosa diamine sarebbe potuto andare storto? “Veloce come Superman!” lo aveva incoraggiato, senza riuscire a cogliere i due pollici alzati che Sammy gli aveva fatto di rimando, perché già occupato a riempire il suo zaino e il proprio con un panino scarno preparato alla bell’e meglio dopo aver ingurgitato la colazione. Per Sammy solo formaggio e ketchup, dopotutto a quello strambo piacevano le verdure, e il ketchup doveva esserlo di certo - c’era il pomodoro, no? - mentre per sé aveva aggiunto anche mezza fetta di prosciutto: Dean Winchester senza carne era come una macchina senza carburante, praticamente inutile.
Quasi contento di aver concluso tutto in appena un minuto e mezzo, Dean sente svanire quella sensazione di vaga soddisfazione non appena suo fratello spunta sulla soglia della camera con un balzo, mimando una sbilenca posizione da supereroe. «Più veloce della luce!» dichiara orgoglioso, ma l’urlo di vittoria non arriva minimamente alle orecchie di Dean, che invece è impegnato ad osservare la maglia bianca che Sammy ha indossato al contrario, i jeans con la zip aperta che gli ciondolano da un fianco mostrando le mutandine con Batman e le scarpe infilate alla buona – almeno quelle avevano gli stretch - ma senza nemmeno l’ombra di un calzino sotto. Fa un respiro profondo, guarda l’orologio e decide che non c’è tempo per concedersene altri.
«Prendi i pantaloni della tuta blu» ordina svelto, mentre gli corre incontro e gli intima di alzare le braccia in alto per poter sfilare il maglione ed indossare la canotta sottostante dal verso giusto.
«Ma Dee» protesta il più piccolo, con la voce attutita dalla stoffa. «Avevi detto che oggi potevo mettere i jeans!»
Era vero, gli aveva promesso che per il primo giorno di scuola avrebbe potuto indossare i suoi vecchi jeans e che, essendo Sam molto più mingherlino, gli avrebbe fatto qualche buco in più alla cinta per farli calzare perfettamente, come fossero da sempre appartenuti a lui. «Mi sono sbagliato, Sammy, non ho più quella cintura». Era una bugia, ovviamente, ma non poteva dirgli che se n’era dimenticato e basta. La sera prima aveva voluto aiutare papà con alcune faccende e la storia dei pantaloni gli era completamente passata di mente non appena aveva poggiato la testa sul cuscino.
«Perché no?»
«Perché no. Prendi i pantaloni blu» gli ripete, stavolta con una punta di impazienza nella voce, mentre gli sistema la canotta in modo che non fuoriesca dal colletto del maglione. «E indossa i calzini. Poi torna qua, muoviti».
Sammy fatica a nascondere un accenno di lacrima mentre corre di nuovo in camera per obbedire alle richieste del maggiore.
Settanta secondi.
Dean si scompiglia i capelli, nervoso, ma il suo stato d’animo non migliora nemmeno quando l’altro gli si presenta davanti con il paio giusto di pantaloni, i calzini indossati dritti e perfino i lacci attacca e stacca delle scarpe ben stretti e sistemati al posto giusto, senza quell’incrocio fastidioso che piaceva tanto fare ai bambini in quel periodo; perché una guancia di Sammy è bagnata e il naso sibila quando respira, otturato dall’accenno di un pianto che il minore vorrebbe goffamente nascondere. Allora Dean gli si avvicina, stavolta con fare meno agitato, e si china alla sua altezza. Lo aiuta ad indossare il cappotto, gli avvolge la sciarpa attorno al collo e poi nasconde i ricci neri sotto un cappello di lana.
«Dee…»
Fuori faceva molto freddo, meglio uno strato di vestiti in più che uno in meno.
«Ascolta – comincia il maggiore, asciugando con il dorso della propria mano il viso del fratellino e mostrando una pazienza che non si addiceva affatto alla sua età, né tantomeno alla situazione - può darsi che abbia cercato male». Sente Sammy tirare di nuovo su col naso. «Domani lo facciamo insieme, ok? Vediamo se quella cinta si è nascosta da qualche parte». Il minore annuisce, leggermente più tranquillo, ma cerca ancora lo sguardo del fratello, perché c’è un’altra cosa che adesso lo sta tormentando e che Dean dovrebbe proprio sapere. Riprova a chiamarlo, mormorando invano, poiché l’altro ha lo sguardo perso altrove, troppo concentrato affinché non vi siano centimetri di pelle potenzialmente esposti alle temperature rigide di Febbraio. Gli ha anche rigirato le maniche del maglione, pure quello troppo grande per lui, ma abbastanza confortevole da poter essere facilmente accettato come compromesso. Lo so Sammy, è fastidioso avere tutta questa roba addosso, e so anche che l’etichetta di quella canottiera prude da morire, ma non abbiamo tempo per questo, non c’è più tempo per nulla, si ripete Dean nella mente, come se dopotutto il flebile richiamo di Sammy gli fosse arrivato e subito dopo lo avesse messo a tacere, in quanto certo che nella richiesta del minore fosse implicitamente racchiusa almeno una di quelle inutili (per quanto lecite) lamentele.
Invece, quando finalmente si decide a far leva sulle ginocchia per osservare dall’alto in basso l’opera di imbacuccamento supremo appena conclusa, le iridi gli ricadono finalmente nello sguardo colpevole e lievemente vergognoso di Sammy, che lo scruta imbarazzato da dentro il suo morbido bozzolo protettivo, ed è in quel momento che la consapevolezza di aver completamente frainteso le richieste del fratello minore travolge Dean come un fiume in piena.
Sette secondi.
«Dean… mi scappa la pipì».











 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III. ***


III.
 
 



Sammy, quella sera, è piuttosto silenzioso. Ha due libri aperti sulle gambe e un quaderno di appunti in bilico sul bordo del letto, perciò tutto farebbe pensare che si stia preparando per un’interrogazione o un compito importante e che quindi la mancanza di loquacità sia da imputare esclusivamente a semplici preoccupazioni scolastiche. In verità, tra una riga e l’altra, Sam non manca di tenere d’occhio suo fratello maggiore; lo sta studiando dalla mattina, molto più di quanto non stia facendo con le pagine di scienze, perché Dean non fa altro che trascinarsi da una parte all’altra della stanza come un automa, si massaggia le tempie, beve, beve tantissimo e, detto sinceramente, a guardarlo in faccia non si direbbe molto dissimile ad uno zombie che cammina. Se non lo conoscesse bene e sapesse che suo fratello può dormire tre ore al giorno e reggere lo stesso ritmi di vita disumani, imputerebbe il comportamento alla mancanza di sonno. In effetti, quando si getta a peso morto sul giaciglio accanto al suo, Dean lascia andare un sospiro dal quale trapela un’innaturale stanchezza. Chiude gli occhi, probabilmente è già caduto tra le braccia di Morfeo, ma Sam nutre ancora dei dubbi, perciò scosta da sé il materiale di scuola, avvicinandosi silenziosamente. Si china lievemente su di lui ed ecco che i sospetti tramutano in certezze: il respiro del fratello è irregolare, il viso arrossato e la fronte corrugata, come a trattenere un qualche tipo di sofferenza. Proprio quando sta per toccargli la fronte e accertarsi delle sue supposizioni Dean apre un occhio e, con una debole spinta sul petto, lo fa indietreggiare di qualche centimetro.
«Ehi» biascica, voltandosi con un grugnito dal lato opposto. «Distanza».
Sam lascia andare un sospiro fatalistico. «Dean. Hai la febbre».
«Mh-hm».
«Dico sul serio».
«Ah sì? Può darsi» replica il fratello con voce poco convinta. Sembra che ogni emissione vocale gli costi una fatica immane.
«Hai la febbre alta».
«Potrebbe essere peste bubbonica. Stammi lontano».
«Non scherzare».
Adesso Sammy è davvero preoccupato. Dean non si era lasciato avvicinare per tutto il giorno ed ora capiva il perché. Stava tentando in ogni modo di nascondere il malessere, come se potesse assurdamente rimandarlo ad un secondo momento. Ma, per sua sfortuna, il corpo non funzionava a comando. Quell’idiota si era spinto fino all’orlo della massima sopportazione fin quasi a svenire, si ritrova a pensare Sam: perché doveva avere un fratello così scemo? In realtà, gli insulti nella sua testa sono solo indice di un senso d’angoscia che sta crescendo inesorabilmente. Dean stava male – molto – e loro due erano soli, dentro un motel lontano almeno tre chilometri dalla prima stramaledetta cittadina abitata.
«Ho soltanto bisogno di dormire».
Dean parla ancora, come se avesse percepito le preoccupazioni di Sam. «E di un bicchier d’acqua, per favore».
«Abbiamo dell’aspirina, vero?»
La mente del più piccolo sta rischiando di chiudersi su sé stessa ma deve cercare di restare calmo e lucido per capire quale sia la soluzione migliore.
«Acqua, Sammy».
«Ti serve un’aspirina».
Si alza come se suo fratello non avesse nemmeno parlato e inizia a frugare nelle cose di papà, tra i vestiti, nelle borse, ma ci sono solo garze e disinfettanti. Di medicinali per la febbre nemmeno l’ombra.
«Sammy…» prova ancora Dean, ma l’altro non lo fa finire.
«Non è rimasta nemmeno una dannatissima aspirina! Come cazzo è possibile!»
Suo fratello gli risponde di nuovo con un grugnito, forse normalmente sarebbe suonato come una risata piuttosto sorpresa. «Che sboccato».
Sam a quel punto inspira profondamente e apre il rubinetto del bagno per portare al fratello ciò che ha chiesto. Nel frattempo, cerca di rimettere in ordine le idee. Quando porge a Dean il bicchiere si accorge che ne sta versando metà sul copriletto, scosso com’è dai brividi di freddo. Lo aiuta a tenerlo fermo nonostante le sue proteste, poi glielo poggia sul comodino e va a recuperare una coperta extra dall’armadio.
«Non posso lasciarti qui».
Esprime quel pensiero ad alta voce, anche se è il risultato di un ragionamento che ha fatto solo nella sua testa. Normalmente avrebbe potuto camminare fino alla più vicina farmacia, ma di abbandonare suo fratello in quelle condizioni proprio non se ne parlava.
Dean, nonostante i deliri della febbre, sembra conservare un barlume di ragione e la sua risposta appare talmente coerente che, ancora una volta, pare abbia interpretato i pensieri del fratello.
«Avanti, Sammy. Un’influenza non ha mai ucciso nessuno».
«Questo non è esatto» replica Sam, lapidario.
«Dio, quanto adoro il tuo ottimismo».
«Si tratta di dati, Dean. Nel 98% dei casi è così, ma-»
«Oh no, non voglio saperlo. Non morirò, Sammy».
«Chiamo papà».
Aveva cercato di mantenere la calma, davvero, peccato che non stesse affatto funzionando. John ha lasciato loro il contatto di due cacciatori – persone fidate aveva detto – alle quali rivolgersi in caso di emergenze immediate, poiché li avrebbero raggiunti in meno di dieci minuti. Ma, a dirla tutta, Sammy non voleva avere attorno gente estranea, per quanto “fidata” fosse: lui voleva suo padre. Ci avrebbe messo anche due ore, non importava: era certo che se l’avesse chiamato con il cellulare riservato alle questioni di famiglia, spiegandogli la situazione, John sarebbe arrivato con l’occorrente necessario a guarire suo fratello. In quelle circostanze, gli mancava perfino – anzi, quasi lo invidiava -  il suo stramaledetto autocontrollo militare.
«Non farlo».
Dean blocca quella scia di riflessioni prima che possano concretizzarsi. «Si preoccuperebbe e non ce n’è motivo».
«Invece sì».
«Lasciami dormire» insiste Dean. «E vedrai che domani starò meglio».
Ma Sam non voleva che Dean dormisse. Voleva che rimanesse vigile, che gli parlasse. Voleva che papà fosse con loro. E se avesse avuto bisogno di andare in ospedale?
«Sammy, per favore».
È difficile ignorare la supplica di suo fratello. Sta per andare e recuperare il telefono, ma poi si ferma. Ancora un respiro, Sam. Pensa. Poi, finalmente, qualcosa fa luce tra il panico e le riflessioni sconclusionate: erano in un motel, dopotutto, doveva pur esserci una cassetta di pronto soccorso con qualche medicina, no? E se così non fosse stato, si sarebbe messo a bussare porta a porta. Scatta in piedi, ma prima di attuare il suo piano, si ricorda di un’altra cosa. Finalmente il cervello aveva ripreso a funzionare. Agguanta un asciugamano del bagno e lo impregna d’acqua gelata, per poi posizionarlo sulla fronte del fratello.
«Torno subito» butta lì velocemente, perché non c’è un minuto da perdere, ma Dean lo agguanta per un polso, senza dire nulla. I dolori e il freddo gli stanno ottenebrando la capacità di pensare e forse, persa Sam, anche quella di parlare. Cerca di liberarsi, ma la presa di suo fratello è salda, come se improvvisamente non volesse lasciarlo andare. «Dean, vado solo alla reception» mormora Sam. «Torno subito» ripete ancora, conciliante.
Sente l’altro alleggerire di poco la pressione. Qualche secondo di silenzio, poi Dean si arma di tutta la forza che gli è rimasta e parla: «Non… non lasciare…»
«Che?» lo incoraggia Sammy.
«Che… i Mietitori… quei figli di pu-puttana… mi portino via. A meno che… non sia… una bella ragazza. Allora…. Allora forse…».
«Idiota» sbotta il minore, svincolandosi. Onestamente, a Sam sembrava solo una scusa ridicola per coprire il gesto di poco prima. Dean doveva accettare di affidarsi a lui, per una volta, che gli piacesse o meno. In ogni caso, Sam ignora quel goffo tentativo di salvare una qualche sorta di orgogliosa reputazione per correre fuori dalla porta e recuperare il necessario nel più breve tempo possibile. Anche perché, se non fosse riuscito nell’impresa, avrebbe chiamato John come si era già preposto di fare. Al diavolo le proteste di suo fratello.
«Sammyyyyy…. Chiedi…. chiedi se hanno pure…. una…. una crostat-» è l’ultima richiesta che sente prima di chiudersi l’uscio alle spalle. Sospira, ma stavolta è di sollievo. Forse gli impacchi freddi stavano già facendo il loro effetto.
 













_______________________

Visto che stamattina mi sono svegliata con la febbre, mi sembrava in tema pubblicare questo capitolo. Spero che il vostro week end dell'Immacolata stia andando decisamente meglio del mio.
Un saluto e un grande ringraziamento a chi sta seguendo la raccolta e a chi si è fermato a recensire. Mi fa davvero tanto piacere.
Qui ho immaginato che Sam e Dean potessero avere all'incirca 12 e 16 anni.
A presto,

Vavi

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV. ***


IV.




«Sto uscendo!»

Una dichiarazione che segna la prima giornata veramente libera dopo tanto tempo. Niente gite improvvise a bordo dell’Impala, niente questioni di vita o di morte appese sul filo delle sue ricerche col portatile o su quello della lama di Dean; solo un normalissimo pomeriggio di studio con alcuni compagni del corso di storia, una lunga e tranquilla traversata in autobus e l’odore delle pagine dei libri su per le narici fino a quando la stanchezza gli fosse lacrimata giù dagli occhi, assieme alla noia. Due emozioni stranamente piacevoli, quasi agognate e benvenute: quelle della vita di un liceale qualsiasi. Per un attimo Sam è tentato dal portare con sé anche la tracolla col computer, poi si allunga di poco e la ripone su una mensola – lontana da ogni indesiderata tentazione - afferra il cappotto e fa per varcare la soglia, ma un richiamo del fratello stronca tutto il suo desiderio di svignarsela il prima possibile. Non che gli dispiaccia stare con Dean, ma non avrebbe permesso che il programma fosse saltato: era la sua unica, stupida e monotona giornata di studio e, fosse anche cascato l’intero Paradiso giù dal cielo, lui ci sarebbe andato. Quindi, prima metteva piede fuori da quel motel, più possibilità aveva di evitare ostacoli sul cammino. Suo fratello, però, sembrava pensarla diversamente.
«Vieni qui».
«Dean – esordisce, con tutta la calma del mondo – sono in ritardo per-»
«Allora sbrigati».
Sta per dirgli di no. Sta per ribadirgli che sarebbe dovuto già uscire e che qualsiasi cosa sia, può anche rimandare a più tardi. Invece si lascia sfuggire un sospiro, uno solo, e raggiunge l’altro al tavolino del soggiorno. Sente qualcosa crescergli dentro, un’ansia poco piacevole, ma cerca di metterla subito a tacere. Avrebbe trascorso il pomeriggio sui libri, si ripete febbrilmente come un mantra, a qualunque dannatissimo costo. Non avrebbe ceduto a nessun tipo di richiesta, supplica o ricatto. Non questa volta.
«Sei più alto di me».
Dean si è alzato e lo sta squadrando da sotto in su con fare risentito.
Sam prova a riprendersi dal flusso di pensieri cercando una replica sensata, ma il tentativo fallisce: cosa avrebbe dovuto rispondere, esattamente? Non era nemmeno una domanda.
«Da quando sei più alto di me?»
Il minore serra le labbra e le riapre, stavolta intenzionato a dire qualcosa. Purtroppo tutto ciò che riesce ad ottenere è un allibito: «Che?»
«Mi hai sentito».
Sam è certo di avere un’espressione sconcertata spiaccicata sul volto. Quindi suo fratello non aveva un caso da sottoporgli? Non c’era nessuna persona in pericolo di vita che lo avrebbe fatto sentire un perfetto schifo dopo appena cinque minuti di studio, ma che andava dicendo, dopo massimo dieci passi lontano da casa, costringendolo a dare buca con una scusa idiota per correre ad aiutare Dean? Insomma, gli aveva intimato di avvicinarsi come se dovesse parlargli di una questione mortalmente delicata e poi si era semplicemente lamentato per i due centimetri di vantaggio che aveva perso nell’ultimo anno.
«Io... ma che ne so» sbotta alla fine, quasi esasperato da quanto la realtà cozzasse così violentemente con i film mentali che si era fatto, ma in verità è sollevato che sia solo un’altra assurda paturnia di suo fratello. Anzi, ora che ci pensa, ne è quasi divertito. «È un problema?» decide quindi di rincarare, ostentando finta indifferenza.
«Certo che è un problema!»
Ovviamente, suo fratello era finito dritto dritto nella provocazione. Come sempre. «Sono il maggiore, dovrei essere io il più alto».
Questa poi. Chissà perché “essere il maggiore” rappresentava il motivo, la giustificazione, l’alibi e infine il deterrente perfetto applicabile a qualunque tipo di situazione. Sam si era sempre chiesto se, in fondo, non fosse possibile adattare la stessa versatilità all’essere il minore. Rimuginandoci un po' su, ne avrebbe probabilmente tirato fuori una scusa altrettanto flessibile e funzionante.
«Che logica incontrovertibile» commenta ironico, ma l’altro non demorde.
«Stai crescendo troppo».
Dean fa un passo indietro, come se la stazza di Sam fosse aumentata ancora e lo stesse destabilizzando.
Il minore non riesce a fare a meno di sorridere. «Ok». Affermativo. Meglio assecondare.
«Dico davvero. Mangi solo cibo verde, come diamine è possibile?»
Sammy alza le spalle, le fossette ancora bene in vista. Non era vero, la gamma di colori nel suo piano nutrizionale appariva piuttosto variegata, ma sarebbe stato inutile affrontare quel discorso. «Forse è proprio perché mangio solo cibo verde?»
Dean si blocca, considerando seriamente quell’ipotesi per un nanosecondo, poi sventola la mano, come per spazzarla via da sé.
«Vuoi che faccia qualcosa in proposito? Non so, parlare con uno specialista della crescita?»
«Ah, sparisci» lo liquida a quel punto Dean dandogli una spintarella e Sammy sorride soddisfatto per aver avuto la meglio. Aveva sempre la risposta pronta ed era certo che Dean, ora, si sentisse un perfetto idiota ad aver sollevato la questione. Quando abbassa la maniglia della porta, il minore ha ancora un ghigno divertito sul volto.
«Ti vengo a prendere, stronzetto?»
Una normale persona, dall’esterno, avrebbe forse pensato che Sam non se lo meritasse un fratello così. Dopotutto stava per piantarlo in asso in favore di un gruppo di studio, e ciononostante, Dean gli aveva comunque offerto un’alternativa allettante per il ritorno.
«Dean…ehm…»
«No, certo che no. Torni da solo. Dimenticavo l’età della vergogna».
«L’età di che?»
«Vattene, dai».
Sam evita appena in tempo un cuscino rigido e polveroso che suo fratello gli ha scagliato contro sperando di centrare il bersaglio.
«Passo da Biggerson’s, al ritorno?»
Con l’uscio mezzo chiuso – misure di sicurezza anti lancio – Sam non può affermarlo con certezza, eppure giurerebbe che anche Dean, ora, stia sorridendo.
«Per me il solito. Ricordati la crostata. E niente insalate sul mio tavolo».
Il minore alza le spalle. «Hanno l’hamburger vegetale».
«Roba demoniaca, ci scommetto».
«Ne prendo due. Contiene ottimi nutrienti che favoriscono la crescita».
«Razza di -»
Ma l’insulto si perde nel tonfo della porta sbattuta.






 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V. ***


V.




Sam scruta con circospezione il volto addormentato di suo fratello.
È sera e sono fermi in un’ala di sosta. John sta leggendo il giornale sul sedile anteriore: sembra che cerchi qualcosa, forse l’indirizzo del prossimo motel nel quale soggiorneranno. Vorrebbe dirgli che ha fame, ma è certo che il suo stomaco abbia già parlato per lui più dello stretto necessario, e che se John non li ha ancora portati in qualche posto a sfamarsi, ci dovrà essere sicuramente un valido motivo. Torna quindi a studiare il respiro di Dean; manca solo il rivolo di saliva a confermare, ma pare proprio che suo fratello sia completamente andato.
Solleva un dito, esitando solo un poco, intenzionato a mettere in atto il suo piano: dovrà essere deciso e preciso, altrimenti rischierà di farsi scoprire. Potrebbe tappargli il naso, ma sulla lingua è più fastidioso. Basta che non vomiti però.
L’ultima volta che Dean ci aveva provato, lui aveva appena mangiato un panino e non era stato per niente divertente sentire il bolo tornare su per l’esofago.
A quel punto l’indice scatta fulmineo con l’intenzione di provocare un brusco ed indesiderato risveglio, ma prima che possa effettivamente procurare quell’odioso senso di nausea in gola, Sam si ritrova con il dito intrappolato tra le fauci del fratello, incapace di portare a termine la missione e perfino di liberarsi.
«Ahia! Mollami!» si ritrova a berciare dopo aver cacciato un urlo di protesta. L’eco acuto della propria voce riempie l’abitacolo, provocando un sussulto contrariato in John.
Dean biascica qualcosa tra i denti, molto somigliante ad un non ci penso proprio, così Sam è costretto a ricorrere all’arma segreta: il solletico sul fianco destro, proprio lì dove Dean non riesce a sopportarlo. Ma anche stavolta il fratello ne anticipa le mosse e così Sam si ritrova con entrambe le mani bloccate.
La fedele Impala asseconda i loro giocosi combattimenti, molleggiando leggera, ma ancora una volta è John a non gradire tutto quel trambusto. «La volete piantare?»
Il maggiore si raddrizza all’istante, punto sul vivo dalla voce del padre, e Sammy vede sfumare gradualmente il sorriso del fratello mentre, come sempre, risponde anche per lui: «Scusaci papà».
Si rannicchia un poco, sollevato del fatto che ha almeno avuto indietro il suo indice, anche se marchiato con l’impronta di quattro bei denti. «Mi stavi bloccando la circolazione del sangue» sussurra mesto guardando Dean di traverso, mentre John gira la chiave per mettere in moto l’auto.
Dean fa una smorfia. «Hai sette anni, che ne sai di come circola il sangue?»
Sette e mezzo, pensa risentito. Il dito gli fa male davvero, ma Sam non vuole fare sempre la parte del piagnucolone, perciò gira la testa dall’altro lato e tenta di accettare quell’ennesima amara sconfitta.
«Fa’ vedere».
In fondo poteva anche essergli caduto, in quei cinque minuti che Dean aveva lasciato trascorrere prima di premurarsi del danno provocato, quindi anche Sam si concede qualche istante per ignorare deliberatamente la richiesta, dopodiché fa per mostrare la mano al maggiore.
«Vuoi che ti ci dia il bacio della guarigione?» rincara a quel punto Dean, peccato che di lì a poco veda sollevarsi nella propria direzione, al posto della falange di Sam che poco prima aveva addentato, solo un simpatico ed inaspettato dito medio.
«Stronzetto» sibila con un ghigno, scuotendo la testa.
Sammy fa un sorriso sbieco «Idiota».














 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** VI. ***


 
VI.




 
John ha appena attaccato il telefono. Dean è occupato ad aggiustare un vecchio modellino di aeroplano da guerra che Sammy ha fatto cadere a terra qualche ora prima, ma nessun cambiamento d’espressione sul volto del genitore è sfuggito al suo controllo; quando papà contrae a quel modo la mascella, irrigidendosi, è segno che di lì a poco lascerà il motel per andare a caccia. Dean ha capito che sta seguendo uno schema, delle tracce, e forse c’è in gioco qualcosa di grosso, eppure John non gli dice mai più dello stretto necessario, anche quando gli permette di aiutarlo.
«Ti ci vuole ancora tanto?» domanda Sammy, lanciando un’occhiata al povero aeroplano. Forse, se si impegnasse, potrebbe ripararlo anche da solo, ma suo fratello ci impiega molto meno e quel tempo risparmiato può usarlo per finire i compiti di matematica. Ultimamente sono più difficili del previsto e cambiare scuola così spesso non è certo d’aiuto nel capire gli argomenti.
«Ho quasi finito» mormora Dean, lo sguardo perso altrove, le gambe già pronte a scattare in piedi non appena riceverà un cenno da John. Lo vede trafficare mentre schiaffa in una sacca qualche camicia di ricambio e a quel punto anche gli occhi di Sammy sono rivolti al padre, tristemente consci del significato di tutto quel trambusto; aveva pensato di chiedere a papà un aiuto per i calcoli, ma è chiaro che John, al momento, ha altre priorità ben più significative di dieci espressioni da risolvere per il giorno dopo.
«Da’ qua, fa niente, lo tengo così» mormora un po' mogio, ma Dean si desta all’improvviso, fermando la mano del fratello prima che possa riappropriarsi del modellino.
«Ehi» gli risponde, stranito. «Ti ho detto che ho quasi finito. Non puoi aspettare? Hai impegni improrogabili per il prossimo minuto e mezzo?»
Sam sbuffa senza fare troppo caso al tono sarcastico di Dean. Sono le nove di sera e sul quaderno lo aspettano un mucchio di esercizi, ha rotto l’unico oggetto più simile ad un giocattolo che abbia mai posseduto e probabilmente, di lì a poco, sia John che suo fratello gli chiederanno di prendere baracca e burattini e lo molleranno da qualche strambo conoscente per andare a salvare il mondo.
Poteva andare peggio di così?
In realtà però, sembra che John Winchester sia di tutt’altro avviso.
«Ragazzi» esordisce, prima che Sam possa andarsi a rintanare in qualche libro - anche perché in una stanza di pochi metri quadri, sarebbe stato molto difficile farlo altrove. «Starò via poco. Due, tre giorni al massimo. Ho chiesto a Tacker di venire a darvi un’occhiata quando può, vi porterà la spesa. Chiamate lui se avete bisogno, ma niente telefonate inutili. Dean, Sammy è sotto la tua-»
«No».
La risposta del maggiore viene accolta dal padre con un impercettibile sopracciglio alzato. Il silenzio che piomba sui tre membri della famiglia nel momento successivo al rifiuto di suo fratello fa quasi rabbrividire Sam.
«No?» ripete John, e anche Sammy spera, a quel punto, di aver sentito male.
L’esitazione di Dean è quasi impercettibile. «Io vengo con te, papà. Me lo avevi promesso».
«Non questa volta» taglia corto John, e il tono è proprio quello che sancisce l’impossibilità di avanzare qualsiasi tipo d’argomentazione contraria. Sam sta ancora osservando l’aeroplano: Dean lo tiene talmente stretto che teme possa farlo esplodere in mille pezzi da un momento all’altro. A quel punto sì che non sarà più recuperabile.
«Bobby ha detto che può portare Sam a fare due tiri al campo».
Bobby distava quasi tre ore di macchina dalla città; il che, considerando quanti chilometri era solita macinare l’Impala giornalmente, non doveva rappresentare un impedimento così significativo, visto che si trattava dell’incolumità e del benessere di Sam.
Avevano viaggiato lungo distanze maggiori per molto meno.
«Davvero?!» esclama allora il più piccolo alla rivelazione del fratello, con un rinnovato luccichio negli occhi ed estremamente sorpreso che la conversazione stia prendendo una piega favorevole per lui.
La replica di John è veloce ad arrivare. «Sam è sotto la tua responsabilità».
Dean sospira. «Lo so, sto solo-»
«Stai delegando».
«Voglio andare da Bobby!»
La parte razionale di Sam, quella che ogni tanto – per cause di forza maggiore - si dimentica di avere solo dieci anni, sa che dovrebbe proprio stare zitto, ma diamine: un pomeriggio di baseball con Bobby? E quando mai gli sarebbe ricapitata una simile occasione!
Questa volta è l’irremovibilità di John a vacillare un poco. Per qualche strano motivo, quando Sam apriva bocca, le carte in tavola potevano esser rimescolate. Sfortunatamente per il minore, non era questo il caso. «La decisione è già stata presa».
Dean si alza in piedi facendo pressione sulla superficie del tavolo. La sedia stride in modo poco elegante: Sammy sa che non è un buon segno.
«Non c’entra niente Sam, vero? Qual è il vero problema?»
Di solito Dean è sempre molto accondiscendente con papà. Il fatto che stia insistendo può voler dire solo che si tratta di qualcosa di estremamente importante per lui, più del timore di deludere John.
«Io posso stare con lo zio Bobby».
Ecco, a quel punto Sam vorrebbe non averlo mai detto, ma che ci può fare? Se serve a sostenere suo fratello e a fargli avere un biglietto gratis per una giornata diversa dal solito, perché non tentare il tutto e per tutto.
«Smettila».
Il rimproverò, però, non proviene dalle labbra di John come si aspettava: è Dean a guardarlo con severità. Sam, sul momento, ha difficoltà a cogliere che si tratta di un invito a non assecondarlo per evitare di indispettire papà anche nei suoi confronti, perciò risponde al fratello con un cipiglio imbronciato.
«Smettetela tutti e due».
Entrambi i figli si voltano al richiamo del padre. «Dean, dopodomani hai un compito in classe. Ho parlato con la tua professoressa. Mi ha detto che ti ha chiamato tre volte e non eri mai preparato. Sono due settimane che siamo fermi in questa città, hai avuto abbastanza tempo per studiare».
«Cosa?»
Il volto del maggiore è talmente stralunato da piegarsi in una smorfia.
«Sto parlando del tuo rendimento scolastico».
«Che diavolo c’entra adesso?»
«Ne abbiamo già discusso. Ho chiuso un occhio più volte. Adesso basta».
Dean lascia vagare lo sguardo altrove, trattenendo la collera in un sospiro; ha un autocontrollo spaventoso, per avere quattordici anni. Ma ha anche ereditato il temperamento di John, che a volte è davvero problematico da tenere a bada. Era vero, ne avevano parlato, ma a suo padre non era mai importato molto dei voti che prendeva a scuola, o almeno, questa era stata la sua impressione; da quando aveva il permesso di aiutarlo nella caccia, Dean si era sempre concentrato su quello, e gli era parso che suo padre avesse apprezzato. Da dove usciva, adesso, tutta quella premura nei confronti della sua istruzione? Che fosse una scusa o meno, non poteva accettare una giustificazione – dal suo punto di vista – così ridicola.
«Mi stai scaricando qui per un cazzo di complito in classe?»
«Linguaggio».
«Mi prendi in giro, papà?»
Sam ha capito da un pezzo che non ha più potere di intervenire in quella conversazione. Spera solo che Dean e papà non alzino la voce e vengano richiamati dagli ospiti della stanza accanto, com’era successo non molto tempo addietro. In quei momenti, Sam desiderava ardentemente potersi trovare in un altro luogo, possibilmente distante da entrambi.
«Per te badare a tuo fratello significa essere scaricato?»
«Non… non mettere in mezzo Sam».
La voce di Dean vacilla, quasi rabbiosa. John sa benissimo di aver lasciato una responsabilità enorme sulle spalle del figlio nell’esatto momento in cui gli ha chiesto di salvare suo fratello dalle fiamme, dieci anni addietro, e di averla alimentata nel corso del tempo con inutili vessazioni nonostante Dean non gliene abbia mai dato ragione. Probabilmente ha tenuto d’occhio Sam più di quanto John, da genitore, sia mai riuscito a fare, e di questo ne è tanto orgoglioso quanto distrutto. Non ha nessun motivo, dunque, per rinfacciarglielo: è una mossa bassa, subdola e profondamente ingiusta. Significa che non ha altro di meglio da dire, e questo fa infuriare Dean ancora di più, perché tanto sa che ovunque sia la ragione, sarà comunque lui ad avere la peggio.
Sammy, dal canto suo, deve trattenersi nel ribadire che non si offenderebbe affatto se decidessero di “scaricarlo” dallo zio. Opta per mordersi la lingua, giusto in caso decida di tradirlo di nuovo.
«Sarà meglio che tu abbia preso almeno una sufficienza, Dean, per quando sarò di ritorno. Non mi sembra di chiedere tanto».
Il ringhio sommesso del maggiore è un segno di chiara sconfitta, così come il mormorio a denti stretti che ne segue: «Sì, signore».
John rivolge lo sguardo all’altro figlio. «Sammy, mi raccomando. Fai il bravo e ascolta sempre tuo fratello» aggiunge con il timbro lievemente più morbido, prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle senza ulteriori saluti.









 

ꕥꕥ
 
Ciao a voi, care personcine, e grazie di essere giunte fin qui. Questo sarà, probabilmente, l'ultimo aggiornamento prima del nuovo anno: ci tenevo, dunque, a farvi gli auguri ed a ringraziare chi sta seguendo questa storia. Una menzione speciale per chi si è fermato a recensire: sappiate che siete importanti.
Detto questo, vi saluto e vi abbraccio!
A presto.

Vavi

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VII. ***


VII.




«Questo cosa sarebbe?»
Sam non fa neanche in tempo a lasciar cadere il proprio zaino a terra, perché la domanda lo pietrifica sull’uscio della camera. Attende qualche secondo osservando suo fratello, col fiato sospeso: come diamine aveva fatto a trovarlo nel doppio cassetto? Certo, non si poteva dire che avesse costruito un sistema di sicurezza a prova di bomba, ma pensava che avrebbe tenuto testa almeno all’arguzia di Dean. Invece, come sempre, suo fratello viaggiava su un binario parallelo ad una velocità nettamente superiore. Comunque, Sam era previdente, e nei giorni precedenti aveva pensato almeno ad una decina di scuse plausibili per giustificare un’improbabile situazione d’emergenza; peccato che ora, a guardare Dean negli occhi, con quel dannato biglietto tra le mani e l’aria di chi ha appena colto qualcuno sul luogo del reato, a Sam non sembra credibile nemmeno una. Così agisce senza pensare, perché ormai il danno è fatto e tanto vale lottare fino all’ultimo, perciò fa cozzare lo zaino contro il pavimento e si fionda verso il maggiore per riprendere ciò che è suo. Ovviamente, Dean alza l’oggetto della contesa in modo che Sam non possa arrivarci. Può ancora permetterselo, anche se la crescita in altezza del minore sembra preannunciare programmi diversi per il futuro.
«Ridammelo, avanti».
La lotta è impari, eppure Sammy non demorde.
«Chiudi quella porta prima che torni papà e decida di raccontargli cosa stavi organizzando».
Sam sbuffa, esasperato. «Non stavo organizzando niente, Dean. Rendimi il biglietto e ti spiegherò».
«Fallo ora o giuro che lo strappo e non ascolterò nemmeno una parola di quello che hai da dire».
Lo sguardo di fuoco che Dean riceve non lo fa smuovere nemmeno di un millimetro dalle sue intenzioni. La rabbia di un adolescente era niente al confronto di ciò che avrebbe dovuto affrontare se non avesse scoperto in tempo la bravata di Sam. Suo fratello capisce che non c’è alternativa e quindi, di mala voglia, obbedisce. Dean sorvola sul tonfo sordo e melodrammatico con cui Sam ha chiuso la porta e si siede sul letto, aspettando che l’altro faccia lo stesso.
«Come lo hai avuto?»
Una volta, quando Sammy era nel torto, Dean doveva recuperare il suo sguardo chissà dove. Adesso invece quell’ingrato lo guarda dritto negli occhi, senza nemmeno un briciolo di colpevolezza a renderlo insicuro. Avrebbe difeso le sue ragioni ad ogni costo, pure con una ghigliottina a pendergli sulla testa. Che razza di testardo.
«Me lo ha dato un compagno a scuola».
«Lo hai pagato?»
«È un regalo».
«Sicuro» replica il maggiore, senza demordere. «E pensavi di andarci?»
«Dean, è solo un concerto».
«A quindici chilometri da qui! Come diavolo credevi di arrivarci? Sgattaiolando fuori casa nel cuore della notte per poi salire sul primo dannato autobus che trovavi? O magari di farti una passeggiata al chiaro di luna?»
Il silenzio di Sam non fa altro che confermargli quanto l’idea del minore non fosse poi troppo distante da ciò che aveva appena detto. Dean rimane ad osservarlo sperando in una smentita.
«Senti, avrei rimediato un passaggio, va bene? Sarei arrivato a casa del mio amico e da lì-»
«Cosa pensavi di raccontare a papà? Sentiamo. Genio del male».
«Non... non pensavo di dirglielo».
«Certo che no».
Perché non c’era alcuna possibilità che papà lasciasse andare suo figlio minore con degli sconosciuti, per giunta ad un evento mondano nel quale avere il controllo sulla situazione era pressoché impossibile.
«E a me pensavi di dirlo, di questa tua fuga alla Ethan Hunt?»
Qualche secondo di esitazione basta per confermare le convinzioni del maggiore.
«Dean, sarei stato via solo tre ore. Al mio ritorno avrei trovato papà con la testa sul tavolino dopo aver tracannato l’ennesima bottiglia».
«Attento a quello che dici».
«Sai che è così! Papà ultimamente ci saluta a stento, o non lo hai notato? Potrei andarmene per una settimana e nemmeno se ne accorgerebbe».
«Smettila o giuro che ti dò un pugno in faccia».
Sam non aveva bisogno che Dean gli spiegasse lo stato d’animo in cui verteva il padre. Il tutto faceva schifo, ed era peggio del solito, e forse non esisteva alcuna giustificazione accettabile, ma di certo John non stava bene e Sam lo sapeva. Vedeva la sofferenza di papà, così come quella di suo fratello. Le vedeva e soffriva anche lui, ma poi si arrabbiava, perché anche se ci era dentro quanto loro, una cosa non la si doveva accettare e basta solo perché riguardava la famiglia, non se era pericolosa, stupida e dannatamente suicida. Più cresceva e più Sam faticava a vedere un futuro davanti a sé; tutto sfumava, grigio nel nero, e lui si sentiva dannatamente vuoto e solo come non mai.
Dean, d’altro canto, sa benissimo che suo fratello ha ragione, per quanto le sue parole siano state dure e ingiustamente crude. Vivere accanto a John, ultimamente, è diventato impossibile. Ma se lo lasciassero da solo, papà impazzirebbe. Non ha nessun altro su cui fare affidamento. Loro tre hanno sempre contato gli uni sugli altri e questa è l’unica cosa che li fa stare ancora in equilibrio sul filo della vita – della sopravvivenza -  l’unica ragione per cui valga davvero la pena rinunciare a tutto il resto.
«Volevo solo… sentirmi parte di qualcosa. Qualcosa di normale, Dean. Per una volta».
Sam parla dopo un silenzio tra i due che pare interminabile.
«La normalità è un concetto relativo».
Il minore espira lentamente. «Sai cosa intendo».
In quel momento il rumore delle chiavi nella serratura annuncia che la conversazione, in qualche modo, deve giungere al termine. Dean fa leva sulle ginocchia e si piazza davanti a Sam, al centro della stanza. La sua voce, ora, è molto più bassa.
«Adesso ascoltami bene. Anche se avessi voluto coprirti e accompagnarti a questo stramaledetto concerto -» inizia, e Sam lo guarda ancora da sotto in su, ma stavolta c’è una nota di vergogna nella sua espressione. Nemmeno ci aveva pensato, a quell’ipotesi. Perché non ci aveva pensato? «-non sarebbe stato possibile, poichè giovedì prossimo andremo da Bobby, ben lontani dal luogo della tua agognata serata brava. Papà me lo ha detto ieri sera. Volevo che fosse una sorpresa per te, ma dato che sembri avere altri programmi, è il caso che tu lo sappia».
«Da Bobby?»
«Due settimane di stop dalla caccia, forse di più. Solo io e te».
«Papà non rimane?»
«No» mormora Dean, aguzzando le orecchie per captare i movimenti di John, all’ingresso. «Lui continua».
«Ma Dean-»
«Lo so» lo ferma subito il maggiore, un sospiro incastrato nel petto, quasi facesse fatica ad uscire. «Proverò a parlarci, anche se servirà a poco. Se potessi non dover combattere con i desideri di rivalsa di un adolescente ribelle nel frattempo, sarebbe davvero splendido».
Sam, finalmente, gli tira via il biglietto dalle mani. Dean lo lascia fare, perché vede che lo sguardo di suo fratello è cambiato.
«Che dici, possiamo rivenderlo?» gli domanda, mentre lo sta riponendo nello zaino.
«Lo restituirò e basta».
«I regali non si restituiscono, è scortese».
Sam replica con un sopracciglio alzato. «Venderli per guadagnarci, invece, è un atto di grande cortesia».
«Dipende da quale punto di vista».
Dean sta per aprire la porta, ma si blocca con la mano sulla maniglia. A volte vorrebbe condividere con suo fratello molto più di quello che lascia trapelare, più di una discussione tra maggiore e minore in cui sa che, in un modo o nell’altro, avrà sempre la meglio anche in caso non abbia ragione; Sam meriterebbe di sapere il vero perché di alcune scelte, è abbastanza grande per capire qual è la natura delle responsabilità che gravano sulle spalle del maggiore, ma alla fine non sarebbe giusto, si rimprovera Dean, rovinare quel poco che di normale resta nella vita di Sam con pesi superflui.  
«Comunque, l’avrei capito se si fosse trattato di una ragazza» aggiunge, prima di lasciare la stanza. «Ma Sammy…» continua, facendo seguire quel richiamo canzonatorio da un’espressione disgustata. Il minore evita di guardarlo, immaginando come si sarebbe conclusa la frase. «…Il concerto di Celine Dion? Seriamente?»
Sam chiude lo zaino con un gesto netto e vorrebbe sembrare arrabbiato, ma in realtà riesce a stento a nascondere l’imbarazzo.
«Sta zitto».


 


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4069372