The Wild Ones

di LubaLuft
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Notti Selvagge ***
Capitolo 2: *** The Wild Ones ***



Capitolo 1
*** Notti Selvagge ***


Questo racconto in due capitoli si svolge durante il campo di allenamento estivo di Tokyo. Fino a un certo punto, è una storia "missing moments", poi però prende un'altra strada. I dialoghi contrassegnati da un asterisco sono ripresi dal manga, e sono pertanto non di mia proprietà e utilizzati qui solo per fini  - ehm - letterari!

 
Uno
 

“Notti Selvagge - Notti Selvagge! 

Fossi io con te 

Notti Selvagge sarebbero 

La nostra ingorda voluttà! 

Inutili - i Venti - 

A un Cuore in porto - 

Via il Compasso - 
Via la Mappa! 

Vogare nell'Eden - 

Ah, il Mare! 

Potessi soltanto ormeggiare - Stanotte - 

In Te!”

 

Kei appoggia sul comodino il libro di poesie che ha preso in prestito dalla biblioteca della scuola. Sono quasi le undici e non riesce a chiudere occhio.

Le ante della finestra della sua camera sono socchiuse, un vento fresco e leggero, pieno di grilli, si infila fra le tende e lo raggiunge, gli sfiora le guance arrossate, gli accarezza i capelli. Sotto il lenzuolo, il cuore batte veloce, il respiro è profondo, il corpo è sveglio, in allarme.

Fossi io con te 

Notti Selvagge sarebbero…

Basta solo l’immagine del suo viso, del suo sorriso sghembo, dei suoi capelli assurdi, più scuri delle piume di un corvo, più lucidi del manto di un gatto… solo questo basta a stranirlo, a rendergli difficile girarsi su un fianco e chiudere gli occhi. Domani c’è scuola, la verifica di matematica, poi gli allenamenti, poi di nuovo lo studio…

E poi, di nuovo, le parole di Emily Dickinson sul comodino, accanto ai suoi occhiali.

La nostra ingorda voluttà! 

Inutili - i Venti - 

A un Cuore in porto…

Ma lui - il porto -  non c’è, è lontano da quelle parole conturbanti e dal suo corpo, ancora acerbo, che non trova pace. Lui non può sapere che cosa abbia in testa da quella mattina, l’ostinazione dei suoi pensieri, la delusione delle sue speranze. Non può neanche lontanamente immaginare che cosa abbia significato per Kei incontrarlo, conoscerlo, come il suo sguardo sottile e magnetico abbia bucato il suo orizzonte, sfondato il suo muro.

Potessi soltanto ormeggiare

Stanotte - in Te

Kei spegne la luce, disgustato da se stesso, dal suo desiderio patetico - il primo vero desiderio della sua vita.

Ha un nome, quel desiderio: Tetsurō Kurō.

Se lo scrive sul cuore, con un dito.

 

________

 

Tetsurō osserva il paesaggio che corre. Kenma dorme sulla sua spalla, Taketora chatta con qualcuno al cellulare, il resto della squadra parlotta e il professor Nekomata ogni tanto ride di gusto, a bassa voce.

Mentre tutto scorre veloce, lungo i binari dello Shinkansen, fuori splende la luna, immobile nel cielo.

Anche Tetsurō ride, silenzioso.

Ride di se stesso e di come ci sia cascato. Ride dei chilometri che già lo separano da quei capelli biondi, da quegli occhi chiari e sfuggenti. Ride per gestire ciò che prova. Non è sufficiente. Vorrebbe tornare indietro e capire meglio che cosa gli stia succedendo. Ma Tokyo si avvicina e Sendai si allontana. 

Solamente la luna resta immobile nel cielo, come un’isola, e sulla luna c’è lui.

C’è Kei Tsukishima, il centrale silenzioso, sottile, delicato, enigmatico.

Un’isola luminosa nel mare nero della notte, come recita il suo cognome.

Tetsurō lo ha osservato attentamente durante le partite infinite di quella lunga giornata di amichevoli, la prima dopo tanti anni fra il Nekoma e il Karasuno, ma è riuscito a scambiare con lui solo poche parole, mentre osservavano entrambi Inuoka e Hinata, sotto rete, che si parlavano l’uno sopra l’altro con un linguaggio comprensibile solo a loro … o forse era l’entusiasmo a rendere quel discorso apparentemente assurdo?

A differenza di Tetsurō, Kei però non aveva colto la spontaneità e la reciproca ammirazione che era scattata fra i due giocatori avversari, non aveva percepito l’adrenalina che li aveva accesi durante la sfida.

 

“Ma come cavolo parlano?”* Aveva infatti sibilato, infastidito.

“Guarda che i liceali parlano così. Forse sei tu quello strambo che dovrebbe adattarsi a loro.”*

Tetsurō era piuttosto divertito da quella intransigenza. Dopo tutto, in quella palestra, ognuno di loro era stracarico di endorfine, parlavano a braccio, a vanvera, ridevano e pensavano già alla prossima amichevole. Perché Kei non registrava nulla di tutto questo? 

“Non mi riesce troppo bene.”*

Una risposta a metà.

“Ricorda che sei giovane…”*  aveva risposto Tetsurō, che ora si chiede se quella battuta non sia suonata troppo paternalistica.

Forse sì. Un po’ si è abituato ad esserlo con Kenma, sin da quando erano bambini… ma Kei non è come Kenma, che il più delle volte fa spallucce e tira dritto: lui è più il tipo che se la prende, lo ha capito dai suoi lineamenti tesi, dal suo essere sempre un passo indietro agli altri. Isolato, annoiato … spaesato, forse, come se quella maglietta numero undici, se quella squadra una volta gloriosa non gli appartenessero davvero.

Infila gli auricolari. 

Una canzone dei Suede, The Wild Ones.

“Fra dieci minuti siamo in stazione.” dice qualcuno.

Fine della corsa.

Tetsurō lancia un bacio alla luna.

 

________

 

Mesi dopo, si rivedono a Tokyo, per il campo di allenamento intensivo.

È estate, e Kei odia il caldo.

Odia sentirsi scivolare addosso le ore appiccicose di sudore, accumulate penitenza dopo penitenza, soprattutto lo innervosisce il fatto che Tetsurō sia a un passo da lui, nel campo adiacente al suo. Lo vede saltare, murare, lanciarsi in ricezione su ogni pallone, sinuoso come un gatto. Lo vede sorridere sghembo sia ai suoi compagni di squadra che ai suoi avversari. 

Lo vede a suo agio, che è l’esatto opposto di come si sente lui. 

I loro sguardi si incontrano, di tanto in tanto, ma nulla più.

È irraggiungibile, perfetto nel suo ruolo di capitano, senpai, fratello maggiore quasi, giocatore completo da ammirare.

E Kei lo ammira, dietro le sue lenti, mentre si muove svogliato. Se potesse, farebbe altro. Gli leggerebbe quella poesia della Dickinson. No, gliela reciterebbe perché la sa a memoria, l’ha imparata per lui.

Se solo avesse il coraggio.

Tetsurō invece maledice le occasioni che non riesce a trovare per interagire con Kei. Sono tutti presi dal gioco, i campi sono sotto un fitto bombardamento di scambi, veloci, servizi al salto, chance ball. Neanche quando le loro squadre si affrontano gli riesce di rompere il ghiaccio. Il suo ghiaccio lunare.

Ma poi, la sera, accade qualcosa.

Tetsurō è nella palestra numero 3, con Keiji Akaashi e Kōtaro Bokuto. Stanno allenandosi sotto rete e lo vedono passare fuori, accanto alle porte aperte sull’afa notturna.

Tetsurō pensa che sia quella l’occasione giusta e che deve coglierla subito, al volo.

Si scambia uno sguardo eloquente con Kōtaro, che però nasconde ragioni completamente diverse da quelle che crede di afferrare il suo amico del Fukurodani. 

Si lancia.

“Ehi tu… un secondo… Quattrocchi del Karasuno!”*

Kei si volta verso di loro.

Tetsurō continua

“Puoi venire a murare?”*

Kei vorrebbe, ma è stanco di quella giornata, di quella bolgia di giocatori ognuno dei quali sembra avere una vera ragione per sudare, correre e agitarsi, a differenza di lui. Poco prima ha detto anche di no a Yamaguchi, che voleva tirare qualche servizio, figurarsi ora finire a murare quello strano e talentuoso Bokuto… e ovviamente, avere lui intorno.

Non vuole essere messo alla prova.

Non vuole sentirsi un fallimento totale.

Non vuole entrare in quella palestra, sebbene senta forte e chiaro di volerlo con tutto se stesso.

“E poi, se tu sei un centrale, faresti meglio ad allenarti nel murare, no?”*

La voce di Tetsurō è insidiosa come il suo sorriso sghembo, tagliente come i suoi occhi. Afferra, artiglia quasi quel minuscolo brandello di amor proprio che Kei conserva da qualche parte. Afferra anche la sua voglia di stargli accanto, che cresce esponenziale a ogni secondo che passa.

Iniziano a giocare ma Kōtaro lo affonda quasi subito. Dopotutto, il suo amico è fra i primi spiker della pallavolo giovanile giapponese, è una gioiosa quanto rumorosa macchina da guerra.

Kei arranca, eppure Tetsurō coglie una nota di fastidio nelle sue risposte e nei suoi sguardi. Qualcosa di piccato emerge dal suo Mare della Tranquillità. Buon segno, può cercare un’occasione.

“Allora proviamo con un muro a due!”*  Propone con finta nonchalance, quando in realtà prova solo un desiderio irresistibile di averlo accanto a sé.

Kei lo guarda sfidare l’amico. Non avrebbe mai osato chiederglielo, di murare con lui. È confuso all’idea di giocare accanto a Tetsurō, ma tant’è: sente il suo odore, la sua maglietta che sa di detersivo e sudore, sente la testa girargli, vede le sue lunghe, bellissime mani e sa che può solo fare peggio di quanto ha fatto finora con i suoi muri ridicoli. Sente che se ne pentirà amaramente. Ma resta lì accanto a lui.

“Conto su di te, Quattrocchi, cerca di bloccare l’attacco!”*

Iniziano e subito Tetsurō riesce a fermare Kōtaro con un muro perfetto.

Kōtaro allora fa quello che fa di solito: la dice, esattamente come la pensa.

“Ecco, come immaginavo! Sei bravo a leggere ma il tuo muro è deboluccio…”*

Kei abbassa lo sguardo. In quel momento, Tetsurō sente che c’è in gioco qualcosa di più importante della cotta che si è preso per lui, sente che il biondo mingherlino che tanto lo turba è a un passo dal mollare tutto. Capisce che bisogna defibrillarlo e decide di rischiare. Non va compatito, va scosso.

Ci va giù pesante:

“Se continui con queste stupidaggini il piccoletto ti passerà avanti e si prenderà il tuo posto.”*

Ed ecco Kei che riceve da lui quella pallonata senza battere ciglio. Anzi, sorride mentre batte in ritirata.

“Beh, c’è poco da fare, no? Io e Hinata abbiamo abilità completamente diverse!”*

Arrivano altri del Nekoma e Kei finalmente se ne va, alludendo al fatto che, con tutti quei giocatori a disposizione, di lui non hanno sicuramente più bisogno.

Tetsurō vorrebbe rimangiarsi parte delle parole che gli ha detto, poter tornare indietro e sceglierne altre, ma è troppo tardi. Kōtaro e Akaashi gli dicono chiaro e tondo che secondo loro il Quattrocchi si è offeso.

Lo sa anche lui, e capisce che nel caso di Kei non si tratta solo di insicurezza ma di una errata percezione delle sue possibilità.

È curioso, Tetsurō, vorrebbe scavargli nella testa e nel cuore, capire perché fa così. Capire da dove viene e dove va, stemperare la nebbia che lo circonda. È l’unico che non dice una parola, l’unico di cui non riesce a immaginare nulla. Soprattutto, vorrebbe stringerlo fra le braccia per evitare che fugga via dal suo mondo, dal loro mondo: il campo. 

Va in ansia, Tetsurō, ma non lo lascia trasparire. Forse il biondo deve sbollire. 

Fuori della palestra intanto brilla la luna, isolata nel suo mare nero.

 

________

 

Kei dorme male.

Sono tutti stanchi morti, e lui lo è anche di più ma si rigira senza pace nel suo futon. È come se gli mancasse l’aria, lì al buio.

Le parole di Tetsurō lo hanno colpito e affondato. Ha perfettamente ragione a considerarlo una nullità prossima a essere scalzata dal piccoletto. 

Non sa se è più l’orgoglio a fargli male o il cuore.

Ma tanto manca poco alla fine di tutto quello strazio, manca poco e Kei finirà sicuramente sulla panchina del Karasuno.

In panchina, prima o poi ci finiscono tutti. A cosa serve tutto quello sfoggio di forza, tenacia, entusiasmo? Lui ha ben chiaro cosa è accaduto a suo fratello Akiteru, sa che cosa si prova a illudersi di essere qualcuno e poi ritrovarsi a non essere nessuno.

Soprattutto, se Tetsurō pensa che sia un perdente, allora deve essere vero… perché in fondo lo pensa anche lui di se stesso. 

La giornata è mediocre, rallentata, e quando Kōtaro gli offre di allenarsi di nuovo con loro, Kei se la dà a gambe.

Tetsurō lo ha osservato a lungo. Non avendo il coraggio di riprendere il discorso della sera prima, decide di scusarsi con lui per interposta persona, tramite Daichi Sawamura, da capitano a capitano. Si scalda per la prossima amichevole, proprio con il Karasuno.

Kei non si fa illusioni. L’incontro con il Nekoma è il solito disastro e perdono 25 a 16. La serata procede da schifo, finché Yamaguchi non lo affronta. Lo chiama patetico e ha ragione ma Tadashi, nonostante i suoi trascorsi difficili alle elementari, quando la cattiveria degli altri ragazzini si era scatenata contro la sua debolezza, non può farsi davvero un’idea del peso che il suo cuore continua a sorreggere. Non può capire quanto Kei si senta a disagio in mezzo a quella calca di giocatori, quanto Tetsurō lo faccia, inconsapevolmente, sentire solo.

Ma poi scatta qualcosa, quando Tadashi parla di orgoglio. Scatta l’analisi, e Kei è un campione di analisi. Kei ama la sistematica, la filogenesi dei comportamenti, vuole andare a fondo, vedere che cos’è che rende tutti così forsennati dietro a una palla. Cosa li riempie di orgoglio e contemporaneamente li svuota della propria rabbia.

Senza pensarci oltre, arriva di nuovo alla palestra numero 3. 

Tetsurō lo vede arrivare e improvvisamente è più leggero. Vede la sua espressione decisa, sicura, sa che è venuto  da loro perché deve imparare ad andare oltre.

E allora, quale insegnante migliore di Kōtaro? Lascia fare tutto a lui, al suo entusiasmo e alla sua spontaneità. Tetsurō osserva Kei e lo ammira mentre ascolta il suo amico e la tensione finalmente lo abbandona, lo addolcisce. Quegli zigomi delicati, la bocca sottile, la pelle diafana, gli occhi color oro dietro le lenti, tutto della sua fisionomia si rilassa.

E poi, come per magia, Tetsurō se lo trova accanto. Il brutto scambio che hanno avuto sembra superato.

“Devi far affluire tutta la tua forza nelle dita. In questo modo eviterai di far schizzare via la palla…”*

È un piacere sottile farsi ascoltare da lui, essere inquadrato dai suoi occhi chiari. Tetsurō vorrebbe spingerlo via e farsi ascoltare ancora ma fuori, da solo con lui. C’è altro che è urgente da dire, c’è altro che vorrebbe fare e che non vuole più solo immaginare.

La serata però scorre via, il sudore si asciuga, le strade si separano. Domani è di nuovo l’ultimo giorno, e Kei ripartirà…


(Continua...)

 

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Capitolo 2
*** The Wild Ones ***


Due




Ehi… giovani corvi!...Vi va di farvi un giro?”

Più tardi, Yamamoto si affaccia sulla porta dello stanzone nel quale giacciono tutti stremati sui futon. Tutti tranne uno, Tanaka, che si alza in piedi.

Gli occhi di Kei, confusi e annebbiati dalla stanchezza e dalla miopia, mettono a fuoco con difficoltà… eppure, anche senza lenti, alle spalle di Yamamoto vedono una figura appoggiata con indolenza allo stipite della porta.

Ma come fa ad avere tutta quella resistenza?

“Allora? Battete la fiacca? Ma non volevate vedere lo Skytree?”
“Ehi, city boy, non mi provocare…” esclama Tanaka ma già ride e si infila nuovamente i pantaloni della tuta. Nishinoya lo segue a ruota.

“E voi, primini…?”
Kei si agita pur rimanendo impassibile. Potrebbe chiederlo solo a Tadashi, che però già dorme. La strana coppia di bislacchi è ancora in palestra, evidentemente vogliono morirci.

No, non ha altri amici, lì dentro, con cui uscire. Però vuole uscire.

“Ehi, Quattrocchi… sei dei nostri?”

La voce di Tetsurō è un sussurro, in realtà, e lo sente da lontano. Non l’ha mai percepita così, slegata dalle attività di quel campo di allenamento. Una voce nuova che gli dà i brividi nonostante i trenta gradi.

Anche Kei si alza e si riveste, tentando di ignorare le facce sorprese di chi ha intorno. Fuori è notte e lui naviga a vista e lì vicino c’è il porto di cui parla quella maledetta poesia.

Tetsurō è tranquillo. Durante la cena ha riflettuto a lungo: è vero, sono diversi, vivono in due posti diversi, hanno idee diverse sulla pallavolo e un modo diverso di affrontare le frustrazioni che derivano dall’esporsi e dal mettersi in gioco. Quella sera però Kei ha fatto un piccolo passo avanti, forse anche grazie a lui. Anche Tetsurō, allora, fa un passo avanti.

“Lo Skytree è a un’ora e mezza abbondante da qui. Direi che possiamo accontentarci di un giro a Saitama…”  Lo guarda fisso mentre lo dice, mentre già si accontenta di quello che sarà.

Tanaka non nasconde la propria delusione ma tempo cinque minuti già si è preso sottobraccio Taketora e Yuu e avanza fuori dal cortile della scuola, alla conquista della periferia.

Dietro di loro, ci sono solo Tetsurō e Kei, più lenti e silenziosi.

Fuori la luna è immensa e Tetsurō ha quasi paura di guardarla. Improvvisamente è scarico, non ha più adrenalina mentre gli cammina accanto. Sta pensando a come attaccare un discorso qualsiasi ma il silenzio dura poco perché sulla strada ci sono già Kōtaro, Keiji, qualcuno dell’Ubugawa e c’è anche Kenma, appoggiato a un palo della luce con il viso illuminato dallo schermo di un videogioco.

Non sono più soli.

I ragazzi si incuneano fra loro, li allontanano. Kei finisce fra le grinfie di Kōtaro, Tetsurō ride mentre Tanaka e Nishinoya prendono in giro la timidezza di Taketora con le ragazze.

Si fermano in una izakaya poco distante e prendono da mangiare e da bere, rigorosamente analcolici perché l’indomani ci sono altre partite.

Finiscono sui gradoni di un teatro all’aperto, in un parco tutto cemento e piste da pattinaggio e skate.

Kei si è portato appresso le cuffie. Sa che probabilmente è fuori luogo ed è scortese indossarle ma ha esaurito gli argomenti di conversazione. La pallavolo alla fine gli interessa poco ed è purtroppo l’unico minimo comune multiplo fra di loro – gusti personali, passioni, abitudini… a che serve tirarli fuori e discuterne? 

E poi arriva lui, scende i gradoni e gli si siede accanto.

Il cuore di Kei si risveglia e ricomincia a correre. Non sa se mollare tutti e correre via anche lui.

“Ehi Quattrocchi… mica male l’idea di portarsi della musica appresso! Non so tu come faccia a sopportarli, ma i tuoi senpai del secondo anno insieme a Taketora sono assordanti!...”
“Sono d’accordo con te.”
“Che musica ascolti?”

Senza aspettare una risposta, Tetsurō allunga una mano verso il suo Ipod. Kei lo lascia fare e arrossisce al buio perché toccare la sua musica è come toccare lui.

Il moro scorre le playlist con il dito e sembra apprezzare.

“Però… bella questa… e anche loro, sono pazzeschi dal vivo. Li ho visti l’anno scorso…”
“Ah. Quelli come loro da noi non vengono…” risponde Kei con un tono deluso e rassegnato. 

“Questi invece ce li ho anche io, e su vinile, pensa…”

Parlano di musica, a lungo, e Kei improvvisamente non prova più alcun senso di inadeguatezza. Sente l’irrefrenabile voglia di allungare una mano e infilarla nei suoi capelli neri e con l’altra sfiorargli il viso. Sente, desidera, manda giù saliva perché ha la gola secca, ha sete e gliela provocano le sue labbra così vicine.

“Senti ma hai un abbonamento a questa piattaforma?”
“Sì.”
“Allora… posso?...”

Kei annuisce e osserva al buio lo schermo luminoso fra le mani di Tetsurō. Lo osserva mentre cerca una canzone e gliela scarica. Non gli dice nulla, però. Chiude l’applicazione e gli sorride. 

I ragazzi si alzano dai gradoni, ormai è piuttosto tardi. 

“Andiamo.” Dice il moro restituendogli l’iPod e dandogli un colpetto sulla spalla.

 

________


Più tardi, Kei non riesce a dormire nonostante sia sfinito.

Non osa prendere in mano l’iPod. Se gli deve passare, sa che quella canzone, qualunque essa sia, può solo infierire sulla sua situazione.

È innamorato, non è solo attratto. 

Quel poco che hanno vissuto insieme sul campo, le sue parole di sfida e poi quelle di incoraggiamento… ha fatto più Tetsurō per lui che settimane di allenamento. E poi le parole scambiate al parco, gli sguardi pieni di interesse, le gambe che si sfioravano.

Vorrebbe cambiare città, liceo, squadra, vita. 

La canzone ascolterà domani, sulla via del ritorno.

 

No, non ce la fa, la mette subito. The Wild Ones, dei Suede


“C'è una canzone che suona alla radio,
alta nel cielo tra le onde dello show del mattino
E mentre il disco suona, un'ancora di salvezza scivola via
E mentre apro le serrande della mia mente, confido che tu resterai qui
 
Oh, e se resti, caccerò via lontano i campi sferzati dalla pioggia
Splenderemo come il mattino e peccheremo sotto la luce del sole
Oh se resti
Oggi saremo i selvaggi che corrono insieme ai cani
 
C'è una canzone che risuona da dietro la parete
Tutto quello che vediamo e a cui crediamo è il DJ, ed i debiti si dissolvono
Ed è un peccato che l'aereo parta in questa giornata di sole
Perché il mio tatuaggio sanguinerà su di te ed il nome sbiadirà
 
Oh, e se resti, caccerò via lontano i campi sferzati dalla pioggia
Splenderemo come il mattino e peccheremo sotto la luce del sole
Oh se resti
Oggi saremo i selvaggi che corrono insieme ai cani”

Si è accorto di essere rimasto immobile, senza fiato. 

Una canzone che parla di un’ancora, che scivola via tra le onde. 

Lui che cerca un porto. 

Lui che non parte, che rimane.

Potessi soltanto ormeggiare - Stanotte! - in Te

 

Kei non vede più nulla, nel buio è tutto smisurato, profondo, meravigliosamente confuso.

Però, se fosse tutto un gioco? 

È crudele il pensiero che Tetsurō possa volersi prendere gioco di lui - come potrebbe solo pensare di piacergli? Sono come il giorno e la notte, lui è popolare e pieno di amici e interessi mentre Kei presta il suo tempo a uno sport che non apprezza come dovrebbe. Ma è molto più crudele l’idea che quella canzone non significhi in realtà nulla, che sia una bella canzone, niente di più, fra le mille che gli piacciono.

Si alza e si riveste, di dormire non se ne parla.
 

Tetsurō è fuori, sul prato. Sdraiato a prendere le stelle, come amava fare da piccolo sul terrazzino di casa sua.

Quella canzone è stata un colpo di testa ben camuffato, a cui fino all’ultimo momento ha tentato di resistere. Non sa se Kei l’ha ascoltata, se ha capito qualcosa. Non crede che possa accadere così, dal nulla. Il mondo è pieno di schermi, maschere, incute timore se si è giovani. Anche Tetsurō è giovane, inesperto, intimorito da ciò che prova, ma lo prova e gli piace disperatamente.

E poi sente dei passi avvicinarsi, alle sue spalle.

Si tira su, si volta.

Kei, con la sua maglietta bianca, brilla quasi sotto la luna. Sembra ancora più fragile di quanto non appaia alla luce del sole. È l’isola luminosa che lo ha incantato.

Tetsurō invece è ancora più scuro nella sua t-shirt nera, si notano solo i pantaloncini rossi. Kei sente una corrente che lo spinge verso di lui. È una barca pronta all’abbrivio. Il porto nella notte. La notte selvaggia.

 

Non c’è nessuno a parte loro due, l’edificio della scuola è una fila di occhi spenti e addormentati.

Si guardano, si avvicinano. Non ci sono abbastanza secondi a separarli, non fanno in tempo a cercare le parole per riempirli.

Kei si lascia prendere, abbandona il suo viso nelle mani di Tetsurō, la bocca sulla sua. Non ha mai dato un bacio a nessuno eppure con lui sa perfettamente come si fa, sa che può e deve sentire il suo sapore, incatenare il respiro al suo. Sa che le braccia possono allungarsi, le mani afferrare e sfiorare, lo sa mentre Tetsurō fa la stessa cosa. Sa che può bruciare tutto, che le notti possono essere selvagge anche per lui.

Dietro un albero, può lasciarsi spingere giù, sentire l’erba umida fra i capelli e i grilli accesi ovunque. Può fare spazio e cercare spazio, arrivare fin dove si può arrivare a poche ore dalla sua partenza. Può cercare e trovare i suoi occhi al buio, dirgli che gli sembra di impazzire, che non sa come fare. 

Sentire la sua pelle e offrirgli la propria.

Chiudere gli occhi sotto di lui, sentire il cuore che deborda, respirare forte mentre lo tocca e si lascia toccare.

Annuire stravolto quando lui gli dice in affanno che troveranno il momento giusto per fare tutto, per farlo bene, e che quello è solo l’inizio.

E poi, nel suo orecchio, riversare le parole di quella poesia mentre lui lo stringe forte.

“Quando è iniziata… per te ?” Chiede dopo Kei, curioso.
“Dopo la prima amichevole. Poi ti ho rivisto, durante il ritiro breve e ho provato a riordinare i pensieri ma ho capito che questa cosa che avevo per te poteva solo peggiorare.” Tetsurō sorride al buio, sfiorandogli i capelli.

“Anche per me è iniziata in quel momento...”

“E poi, quando in questi giorni ho temuto che volessi mollare la pallavolo… ecco, credo che questa cosa abbia accelerato tutto.” 

Kei sospira, ha poco da dire, in realtà, sulla pallavolo. L’ha messa fra parentesi.

“A me è andata peggio che a te… io non sono abituato a… sperare. E a crederci.”

Tetsurō sorride e lo bacia di nuovo, a lungo, con determinazione.

“Ci credi, ora?… Kei, per quanto riguarda la pallavolo…non sprecare tutto.”

Kei sorride al buio. Un sorriso amaro, in verità.

“Datti tempo, questo sì… ma non sprecarlo.”

“Ci proverò…”

 

È quasi l’alba quando decidono di rientrare.

O almeno ci provano, si tirano su dal prato per finire di nuovo giù e sono di nuovo mani e brividi sotto le magliette. 

Poi Tetsurō, il più grande, torna a essere abbastanza lucido per entrambi. Si scrollano di dosso i fili d’erba e prendendosi per mano, rientrano alla base.

Il giorno dopo, tanto per cambiare, Kei ha lo stomaco chiuso. È esterrefatto, immerso nel suo mondo, apparentemente impermeabile. 

Glielo ha detto, a Tetsurō, che non avrebbe fatto trapelare nulla, si sarebbe comportato come al solito specie con quei fastidiosi, curiosi e inopportuni compagni di squadra. 

Si sono però scambiati i cellulari e fra una partita e l’altra si mandano dei messaggi che leggono avidamente. Sono parole che scaldano e fanno arrossire. 

Tetsurō è estasiato da ciò che legge, Kei sceglie le parole con cura per trasmettergli ciò che prova per lui, è delicato come una carezza nonostante quelle mani che, se ben aperte, potrebbero murare chiunque.

Le mani bianche che si è sentito addosso anche quando si è infilato nel futon per dormire un paio d’ore.

Tetsurō, invece, non può fare a meno di essere più diretto nell’esprimere ciò che desidera, e come, e si diverte a vederlo arrossire a distanza.

C’è solo un momento, durante la mattinata, dopo l’ultima partita contro il Fukurodani, in cui si materializzano un corridoio vuoto e uno stanzino, in un angolo fuori mano del pianterreno. 

Lì dentro è diverso dalla sera prima - non c’è erba umida ma spigoli e pareti e c’è meno tempo, ma il poco che c’è è tutto loro. 

Sono giovani e non hanno esperienza di come si possa dominare il desiderio, che in loro è già intrecciato all’ inevitabile distacco, è già puro come la nostalgia che da quella sera proveranno l’uno per l’altro.

Dopo un bacio infinito, Kei riesce a staccarsi dalle labbra di Tetsurō ma solo per prenderlo in giro.

 

“La canzone dice peccheremo sotto la luce del sole, non in uno stanzino buio accanto alla mensa…”

“Shhh… tanto oggi c’è la grigliata e si mangia fuori…”

“Che cosa vuoi fare…?” Chiede Kei tagliandosi su quegli occhi sottili come lame. 

“Quello che posso per ricordare il più possibile. Per sognarti meglio. Ricordi? La nostra ingorda voluttà!

Gli toglie la maglietta.

Kei sente un bacio scivolargli giù lungo il collo, le labbra insistono e bruciano, nel punto morbido fra lo sterno e la clavicola. 

 


La sera, a casa, mentre si spoglia, vede quel bacio tatuato, il bacio della canzone. Non scolorirà.

Sorride. Sotto sotto, crede che la pallavolo non sia poi tanto male.

È il caso di darle un’altra possibilità.

(Fine)


 

 

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