Don’t look back in anger

di LubaLuft
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda ***



Capitolo 1
*** Parte Prima ***


Don't look back in anger


Prima parte
 

Non ho pensato neanche una volta di aver fatto la scelta sbagliata…

Le parole di Oikawa avevano continuato a risuonare nella sua mente per tutta la durata del viaggio di ritorno dal Palazzetto dello Sport di Sendai all’Accademia Shiratorizawa.

Lo sua squadra, la più forte della prefettura - la stessa squadra che Oikawa aveva snobbato, preferendo iscriversi al liceo Aoba Johsai - era stata appena battuta dal Liceo Karasuno nella finale delle qualificazioni per il Torneo Nazionale Primaverile di Tokyo. 

Lui e i suoi compagni di squadra… battuti da coloro che erano germogliati nel cemento.

Una volta rientrati in Accademia, il coach Washijo li aveva subito spediti tutti in palestra, dove li attendeva la penitenza per la sconfitta: cento servizi ciascuno.

Wakatoshi ne aveva battuti centouno. 

L’ultimo, il più difficile, il più stancante, se lo era comminato da solo, proprio a causa di Oikawa.

… La mia carriera è solo all’inizio. Perciò ricordati di non sottovalutare quel che tu definisci “stupido orgoglio”...

Si erano fronteggiati per la prima volta alle medie. Wakatoshi se lo ricordava ancora, dall’altra parte della rete, il talentuoso alzatore della Kitagawa Daichi, il suo volto scuro, gli occhi lucidi e la smorfia piena di rabbia perché aveva perso la finale del torneo contro la sua scuola.

Al liceo, avrebbero potuto giocare nella stessa squadra ma Oikawa aveva scelto un’altra strada.

Una scelta dettata dall’orgoglio, senza dubbio - o almeno di questo si era convinto Wakatoshi - ed era proprio questa scelta poco lucida che gli aveva contestato qualche giorno prima, quando nello stesso Palazzetto di Sendai era stato il turno dell’Aoba Johsai di perdere contro i Corvi.

Wakatoshi ripensò allora al tie break contro il Karasuno, l’ultimo atto di una partita infinita consumatosi solo poche ore prima. Anche il suo orgoglio era stato messo a dura prova, quel giorno. Lui stesso non immaginava potesse essere così vulnerabile. Durante la partita, poi, c’era stato anche altro: un indugiare, finora mai sperimentato, in sentimenti di ripicca e di rivalsa che non gli erano mai appartenuti; uno scendere a un livello di confronto assolutamente infantile con Shouyou Hinata, a causa della sua caparbietà e della sua totalmente ingiustificata fiducia nelle proprie possibilità. Non aveva basi, viveva di improvvisazione eppure aveva vinto.

Avrebbe voluto schiacciarlo, distruggerlo, abbassargli la testa, e proprio lui, invece, aveva segnato l’ultimo punto. 

Una sconfitta che aveva dell’incredibile ma che Wakatoshi, con la sua proverbiale freddezza - e grazie a quei servizi in batteria - stava già iniziando in qualche modo a elaborare. Avrebbe avuto la sua rivincita contro i due primini del Karasuno, di questo era certo. Chissà dove, chissà quando ma l’avrebbe spuntata lui.

Ti farò dire che sono migliore di Oikawa, aveva esclamato Tobio Kageyama. 

Ed era appunto con Oikawa che il conto rimaneva aperto.

Appena terminata la finale lo aveva notato sugli spalti, seduto con Iwaizumi, e per un istante aveva pensato di raggiungerlo e di chiedergli di aspettarlo. Senza giri di parole gli avrebbe chiesto di parlare di ciò che era successo fra loro quel pomeriggio. Di riprendere la questione dell’orgoglio, che meritava di essere approfondita e che lui aveva declassato a una semplice ripicca.

Wakatoshi, in generale, non aveva una buona predisposizione all’empatia ma sentiva che qualcosa in lui era cambiato con quella sconfitta. Non aveva pianto come i suoi compagni di squadra ma aveva provato a mettersi proprio nei panni di Oikawa. Lo Shiratorizawa era fra le squadre più forti del Giappone, per quale motivo avevano perso? Forse aveva ragione Oikawa nel dire che una squadra, per quanto forte, non era in sé una garanzia di vittoria?

L ’alzatore era però andato via poco prima della premiazione. Se non altro, Wakatoshi avrebbe potuto dargli ragione:una squadra forte non poteva fare da sola la differenza.

Nonostante fosse ormai esausto, con il centunesimo servizio la palla aveva percorso la solita traiettoria assassina, descrivendo un angolo acuto e atterrando a un centimetro dalla linea di fondo. 

Un ace perfetto che aveva risvegliato tutti i suoi compagni di squadra tramortiti dalla fatica e dalla delusione: Goshiki rapito e invidioso, Tendō solo rapito, e Ojira - il solido, affidabile Ojira - sorridente ma ancora con gli occhi lucidi.

Alcuni di loro, come Tendō, avrebbero presto salutato il liceo e la pallavolo. Altri avrebbero proseguito, dopo aver metabolizzato la sconfitta. L’addio al Paradiso, per usare le parole di Satori, poteva trasformarsi in un arrivederci, per chi ci avesse creduto ancora, e per Wakatoshi non si trattava di una questione di fede ma di impegno e dedizione totale. Era per questo che non aveva dubbi sulla rivincita che prima o poi si sarebbe preso contro i due corvi.

Anche la sua carriera era agli inizi, come quella di Oikawa.

Quel confronto rimasto irrisolto ora gli pesava però più della stanchezza.


****


Quel dannato Ushiwaka potrebbe anche fare una faccia più dispiaciuta…

Almeno quanto lo era stata la sua il giorno della sconfitta contro il suo kohai, Tobio. No, proprio non ci stava a essere l’unico a cui rodeva. Anche Ushijima doveva passarci, necessariamente, quell’aquila spiumata finalmente caduta dalle nuvole. Ma chi si credeva di essere, ormai da una vita?

Era passato diverso tempo da quando le qualificazioni si erano chiuse, e il Karasuno era ormai arrivato a Tokyo. Quella mattina, Iwaizumi, Kunimi, Kindaichi e Kyotani si trovavano a scuola a guardare insieme la partita fra i Corvi e l’Inarizaki. 

Lui si era rifiutato, a causa del suo stupido orgoglio, probabilmente.

Un po’ era per quello ma, soprattutto, non voleva assistere ai colpi di genio di Tobio.

Sei proprio uno stronzo, aveva sentenziato Iwachan. 

Sì, lo era.

Iniziò a correre per il parco. Con gli auricolari, il freddo, la musica giusta e la curiosità che se lo mangiava.

Ogni tanto gli arrivava qualche messaggio di Hajime, che quanto a stronzaggine non scherzava neanche lui

Hai smesso di scappare? Guardati la partita!!

No! Manco morto, si ripeteva tenendo il ritmo. Ma poi, quando ormai era abbastanza senza fiato, si fermò e tirò fuori il cellulare. 

Eccoli in campo, incredibilmente aveva beccato un match point per l’Inarizaki annullato dal Karasuno.

Un’alzata di Tobio a Tanaka.

Perfetta.

Tanaka a segno sulla parallela.

Tobio che congiungeva le mani. Tobio che alzava come si doveva alzare, Tobio che scalava la montagna.

Era troppo per il suo orgoglio e sì, faceva dannatamente freddo. Si strappò gli auricolari dalle orecchie e riprese a correre.

Verso Wakatoshi Ushijima.

Correva anche lui.

Improvvisamente, nonostante il gelo e l’aria biancastra, nevosa, che li circondava, Tooru avvertì una sensazione strana, calda, come se fossero tornati indietro alla luce del tramonto di quel pomeriggio in cui si erano affrontati.

Orgoglio. Appunto.

La rabbia di Tooru, nonostante i suoi modi cordiali che la stemperavano e la nascondevano, veniva in realtà da molto lontano. Dalla consapevolezza delle classe e della bravura di Tobio, a voler essere sinceri, e il solo fatto di avere appena assistito a una sua prodezza in una partita importante come quella contro l’Inarizaki e la presenza di Ushijima che gli stava venendo incontro riaccesero la scintilla in quell’aria di neve imminente che stava soffocando il parco.

Lo guardò con ostilità ma l’altro non sembrava irritato nel vederlo. 

Non lo aveva mai visto sorridere, e la smorfia che aveva in faccia era indubbiamente un accenno di sorriso.

A Tooru l’inaspettato non piaceva. Come con le battute flottanti in salto, non gli piacevano le traiettorie strane e quel sorriso era inaspettato e strano. Erano ormai vicinissimi e tentò di passare oltre con un cenno della mano ma la abbassò subito.

Lui si era fermato e lo fissava.

No, Ushiwaka non fissava. Inchiodava.

Come le sue dannate parallele.

Tooru allora prese fiato, e si fermò anche lui, piegandosi in avanti e appoggiando le mani sulle cosce.

Il battito del suo cuore però non decelerava.

Sollevò la testa.

“Cos’è, non te la guardi, la partita? Ti brucia ancora?”

“Non mi brucia quanto te.. però un po’ sì.”

“Il freddo Ushiwaka che accusa la sconfitta…”

“Un’esperienza come un’altra. Utile, anche.”

“Washijo deve avervi strigliato bene, dopo.”

“Cento servizi. Io centouno.”

Tooru chiuse gli occhi con un sorrisetto ironico.

“Vuoi sempre primeggiare.”

Anche Wakatoshi indossava gli auricolari e aveva ascoltato la partita fino a quel momento.

“Ha vinto il Karasuno.” Disse con un tono neutro. Una voce perfetta per il telegiornale, pensò Tooru ghignando dentro di sé.

“Bah! E chi se ne frega.” Esclamò allora.

Wakatoshi aprì la bocca come per ribattere ma restò in silenzio.

Comprese che se Oikawa si era fermato a scambiare due parole con lui era stato solo per una mera forma di cortesia non spontanea. Si era rimesso infatti a correre sul posto, saltando da un piede all’altro.

Non era certo il momento di riparlare di scelte e di orgoglio.

“Allora ti saluto.” Gli disse, ma Oikawa inaspettatamente lo fermò.

“Aspetta. Stai andando verso l’uscita?… vengo anche io. Facciamo un pezzo insieme.”

“Ok.”

Ripresero a correre. Ushijima lo precedeva di poco. Aveva più massa muscolare di lui e un passo più lungo. 

Di punto in bianco, senza un motivo scatenante, Tooru si trovò a pensare che, con indosso la stessa divisa, potevano sembrare due compagni di squadra che si allenavano insieme. Super asso e alzatore. Primo attore e regista.

Nonostante Ushijima fosse più veloce, a Tooru sembrava voler aggiustare il passo al suo. Lo stesso Tooru, con un certo fastidio, si accorse quasi inconsapevolmente di accelerare o rallentare per stargli sempre alla stessa distanza.

Che diavolo! Non erano compagni di squadra, erano rivali! 

Arrivati all’uscita del parco, qualche fiocco di neve iniziò a cadere.

Si fermarono.

Wakatoshi lo osservò. Oikawa aveva lo sguardo teso, nervoso.

Rinunciò definitivamente a rispolverare i vecchi screzi. Le parole scambiate con lui erano state tutto sommato tranquille e civili. 

“Allora… in bocca al lupo per il diploma.” Disse alla fine.

“Anche a te.”

Non avrebbero piu parlato del Karasuno, di Hinata e Kageyama.

Era poi così importante?



 

****


Wakatoshi uscì dalla stazione adiacente la Palestra Centrale di Tokyo, nella quale il Karasuno stava per giocare contro il Nekoma.

Aveva rivisto a casa la partita fra i corvi e l’Inarizaki e un’azione lo aveva colpito fra tutte: il bagher di Hinata, che aveva evitato un punto quasi certo per gli avversari.

A cosa pensi quando ricevi?, gli aveva chiesto proprio Hinata durante il ritiro destinato ai migliori giocatori del primo anno, voluto dal coach Washijo. A nulla, aveva risposto Wakatoshi. Hinata allora lo aveva guardato come lo guardava a volte anche Tendō: come una specie di extraterrestre. 

Wakatoshi, in generale, non riusciva a comprendere la causa di tanto stupore nei suoi confronti, lui era uno diretto, che parlava poco e chiaro. Quando toccava a lui ricevere, lo faceva e basta, a cosa avrebbe dovuto pensare se non a far arrivare la palla a Shirabu?

Era un tipo pragmatico e così quella mattina, quando si accorse che in fila per entrare nella Palestra c’era anche Tooru Oikawa, pensò fosse naturale avvicinarsi a lui e richiamare la sua attenzione posandogli due dita sulla spalla. 

Erano lì entrambi, del resto, e cosa si faceva di solito quando ci si incontrava con qualcuno che si conosceva? Ci si salutava. 

A quel tocco Oikawa si voltò e sembrò sorpreso di trovarlo lì.

Tooru in realtà non era tanto sorpreso del fatto che Ushijima fosse a Tokyo a vedere la partita, quanto del fatto che si fosse fatto avanti nella fila per fargli registrare la sua presenza fra gli spettatori.

Un conto era incrociarsi per caso al parco sullo stesso sentiero, un altro era andare diretto da lui quando poteva tranquillamente evitarlo.

Ma non era un tipo solitario? E soprattutto, loro due non erano esattamente amici.

Si accorse che non aveva nulla da dirgli però forse… ma sì, avrebbero potuto gufare insieme contro il Karasuno, lui contro il Re del Campo e Ushijima contro il piccoletto! In fin dei conti, Tooru era contento che in quel momento ci fosse lui e non Iwachan, perché Iwachan gli avrebbe dato dello stronzo tutte le volte che lo avesse visto gioire per gli errori di Tobio.

E lui voleva vedere Tobio in difficoltà senza Hajime fra i piedi.

Perciò gli disse “Ti prendo un posto?” senza neanche dirgli ciao. 

Ushijima rispose “Va bene.” con il suo vocione. Se lo portava appresso dalle medie, anche allora sembrava già un liceale.

Lo vide tornare indietro, per riprendere diligentemente la fila. Giapponese fino al midollo.

Poco dopo, erano seduti l’uno accanto all’altro.

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Capitolo 2
*** Parte Seconda ***


Seconda Parte
 

All’inizio non si erano scambiati molte parole. Qualche battuta sulle formazioni, a malapena. 

Il Karasuno serviva per primo, con Kageyama.

Wakatoshi scoccò un’occhiata in tralice a Oikawa durante quel servizio, che fu potente e preciso. Kageyama si era scaldato bene.

“Non ricordo di averci mai giocato, ai tempi delle medie” disse allora.

“Certo che no!!... Era un primino!” sbottò Oikawa. “Piuttosto” cambiando discorso “Chibichan-pelo-di-carota è in netto miglioramento, non trovi?…” sibilò in tono allusivo.

“È presto per dirlo.” Rispose Ushijima con calma.

Sì, come no, pensò Tooru. Fai il possibile per nasconderlo ma ti rode, mio caro super asso!

Ma Wakatoshi in realtà era calmo. Seduto sugli spalti con un atleta d’eccellenza come Oikawa, seguiva una partita ben giocata e sapeva che sul quel terreno comune avrebbero potuto confrontarsi in maniera intelligente. 

Erano entrambi catturati dall’incontro, e lentamente il loro dialogo si faceva più strutturato sebbene distaccato, ed era incentrato totalmente sugli scambi lunghi, insistenti fra entrambe le formazioni, determinate a tenere la palla in gioco. 

Non gli sfuggiva però la tensione di fondo in Oikawa, era la stessa tensione che aveva notato in lui durante quella breve corsa al parco.

Che sotto sotto ce l’avesse ancora con lui? Tanto valeva chiederglielo con schiettezza, una volta per tutte.

“Tooru. Sei ancora irritato per quella nostra discussione…? Se è così, me ne rammarico.”

Tooru si stava mangiando con gli occhi le alzate di quello psicopatico di Tobio e lì per lì non fece caso a ciò che dicesse Ushijima, ma quando udì la sua voce profonda e impostata che lo chiamava per nome, si voltò lentamente verso di lui.

“Scusa?…”

“Ti ho chiesto se sei ancora irritato con me, per quella discussione dopo la vostra sconfitta contro il Karasuno.”

Tooru si fermò a registrare le sue parole e di nuovo ritornò alla luce calda di quel pomeriggio di delusioni cocenti. 

Il maledetto Ushiwaka, con cui stava guardando una partita intensa e si stava tutto sommato divertendo, aveva voglia di tornare nel passato per tirarne fuori cose sepolte e lui non se lo aspettava.

Un’altra flottante in salto che non sapeva dove sarebbe andata a cadere. 

C’era però qualcosa di diverso nella sua voce: era sempre incredibilmente dura e quasi monocorde ma allo stesso tempo era calda e profonda. Una voce che non chiudeva la conversazione ma la apriva. Le frustrazioni di Tooru, chiamate nuovamente in causa in quella maniera così inaspettata, si riaffacciarono nitide nella sua coscienza ma senza il peso e l’amarezza che avevano avuto fino a quel momento. Se ne rese conto perché in quell’istante esatto gli era anche arrivato alle orecchie il fischio finale dell’arbitro, a sancire la vittoria del primo set da parte del Nekoma, e il fatto stesso che il Karasuno fosse in svantaggio non lo stava riempiendo di acida soddisfazione come avrebbe desiderato.

Lo interessava relativamente.

Don’t look back in anger. Come la canzone.

Non ricordare con rabbia.

“No.” Rispose allora senza tentennare. “È acqua passata.”

Ushijima annuì e tornò a concentrarsi sulla partita. Anche Tooru, sebbene con un po’ di fatica. Il ragazzo dei miracoli che aveva accanto e con il quale aveva corso al parco tutto a un tratto gli apparve sotto una nuova luce.

La flottante alla fine era arrivata sui suoi polsi e ora ne fissava la parabola, alta.

Perfetta per un’alzata.


****

 

Il Karasuno aveva sconfitto il Nekoma.

“Ritorni a Sendai?” Chiese Tooru mentre scendevano dalle tribune verso l’uscita.

“No. Mi fermo a Tokyo per guardare tutte le partite, fino alla finale. La mia famiglia ha un appartamento a Ginza, dormo lì.”

“E come fai con le lezioni?”

“Sei uno studente atleta anche tu, sai che puoi pianificare le interrogazioni.” Rispose Ushijima.

“Sì, ma io non sono a disposizione della nazionale giapponese come te...” Replicò Tooru piccato.

Rieccola, la linea di confine fra di loro. 

Wakatoshi notò lo scarto di Oikawa, umorale come sempre. Era il momento giusto. 

“Io sono onorato di aver avuto quella possibilità. Tuttavia, ho intenzione di crescere indipendentemente dalla nazionale, voglio confrontarmi in una squadra con i più forti giocatori del Giappone. Anche con quelli più orgogliosi.

Tornò a osservarlo, curioso di capire se quelle parole avessero avuto qualche effetto su di lui ma furono distratti da alcune voci concitate che si avvicinavano.

“Ushiwaka!! È Ushiwaka!”

Furono circondati da un gruppo di ragazzine con penne e quaderni.

“Ushijima-san! Per favore, un autografo!”

“Una foto!…”

Le giovani fissate con la pallavolo lo accerchiarono e Ushijima, senza mostrare né fastidio né apprezzamento firmò autografi e scattò foto.

Tooru osservava la scena divertito e un po’ invidioso di quel bel ragazzone con l’espressione da duro che attirava l’attenzione nonostante non giocasse - tanto per cambiare. Lui, che era abituato alle ragazzine bercianti che gli portavano i dolcetti fin nella palestra del Seijo, con Iwachan che rosicava come un castoro, in quel momento restava in disparte, evidentemente non era popolare nel Kantō come a Myagi, e soprattutto non aveva mai ancora indossato la maglia 🇯🇵 JAPAN per cui poteva benissimo essere un perfetto sconosciuto.

Quando rimasero di nuovo soli, Tooru non poté fare a meno di commentare con un “Però, ne hai di ammiratrici… occhio che ti seguono fino a casa.” e un fischio eloquente a coronamento di quella frase buttata lì.

Ma lui lo guardò serio: "Non mi interessano.”

Tooru rimase in silenzio, poi fece spallucce e replicò

“Mica te le devi sposare…”

“Non mi interessano e basta. Firmo autografi perché devo, ma non mi interessano le attenzioni delle ragazze. Loro non mi… piacciono.”

Wakatoshi si accorse che Tooru aveva socchiuso le labbra in un’espressione sorpresa e si pentì dei suoi sempre così alti standard di chiarezza: era uscito dai confini del suo vissuto privato e lo aveva fatto quasi senza accorgersene. 

Forse perché era lui a stargli di fronte? 

La pallavolo riempiva tutte le sue giornate e non avendo una vera e propria famiglia, con un padre all’estero e una madre che vedeva pochissimo, o amici che poteva definire tali, con l’eccezione forse di Tendō, Wakatoshi si era abituato a frequentare solo scuola, palestra ed eventi sportivi. La domanda se gli piacessero le ragazze se l’era posta già da tempo e la risposta finora era stata poco. Si era chiesto anche se gli piacessero i ragazzi e la risposta in quel caso era stata che non lo sapeva

In quel momento, però, aveva capito che il poco era diventato un no e che quel non lo sapeva era pericolosamente in bilico, come una palla sul filo della rete.

Distolse lo sguardo da quelle iridi color nocciola che era abituato a vedere strizzate in sguardi rabbiosi, derisori e che ora avevano una luce diversa, insolita, che non aveva mai visto su quel volto.

 

E Tooru, infatti, era meravigliato.

Tooru che avrebbe volentieri spedito fra le braccia di Iwachan e Matsukawa tutte le ragazzine che gli venivano appresso. Tooru che si guardava allo specchio e giorno dopo giorno si riconosceva per ciò che era, per ciò che la sua natura voleva che fosse. Non era stato un percorso facile ma neanche impossibile, soprattutto lo stava vivendo con naturalezza. 

Tuttavia, la sua naturalezza ora lasciava spazio a una tremenda curiosità davanti allo sguardo imbarazzato che per un nanosecondo Ushijima gli aveva permesso di cogliere nei suoi occhi verdi. Era stato solo un attimo, e anche Tooru si forzò a fare finta di nulla ma la conversazione fra di loro cessò di colpo, come due giocatori che si arrestano ai confini di una zona di conflitto e lasciano cadere la palla.

Tooru agì allora per mero impulso. Improvvisò perché il cervello gli diceva di prenderla come una scommessa al buio, con una posta di cui non conosceva il valore.

“Io resto per la notte a casa di mia sorella. Dovrei ripartire nella mattinata … Ma forse mi fermo anche domani.” Riuscì a concludere.

“Okay.” Rispose Ushijima.

Tooru, finora, era stato quello che lo aveva invitato a correre e quello che gli aveva preso un posto accanto al suo in tribuna. 

Ora sentiva anche il bisogno di chiedergli se voleva vedere insieme a lui la partita dell’indomani. 

Del resto, aveva appena deciso di restare a Tokyo quando in realtà sarebbe dovuto rientrare a casa e prepararsi per la verifica di scienze naturali.

Ma l’altro scattò prima. “Okay.” Rilanciò Ushijima. “Ti do il mio cellulare. Se decidi di rimanere, chiamami. Se ti va vediamo insieme la prossima partita.”

“D’accordo. Ci vediamo domani qui, sul piazzale.”

 

Quella stessa sera, Wakatoshi uscì a fare una corsetta intorno all’isolato.  

Aveva l’impressione che vedere la partita del Karasuno con Oikawa ne avesse amplificato la godibilità. I suoi commenti sulle alzate di Kegeyama e Kozume erano precisi e analitici, mostrava una capacità di visione che lo rendeva davvero un giocatore completo. Non gli serviva una squadra forte, era lui che poteva renderla tale.

In questo, era a suo avviso più completo di Kageyama, nonostante percepisse da parte sua nei confronti del kohai una rivalità ai limiti dell’insano. Erano i caratteri a essere diversi, semplicemente, e laddove Kageyama poteva sfruttare se necessario una maggiore freddezza e compostezza, Oikawa dava il meglio quando c’era da scaldare gli animi anche in maniera forse un po’ teatrale.

Avrebbe davvero voluto schiacciare su una sua alzata. Una sola.

Mentre rifletteva su come l’avrebbe schiacciata, il cellulare vibrò.

 

Ciao. Scusami ma ho cambiato idea. Riparto domani nella mattinata. Tooru

Registrò il suo numero come Tooru. Non ne conosceva altri.

Riprese a correre.

Il centounesimo servizio.

Un chilometro in più, poi si fermò.

Okay, rispose.



****


 

Tooru aveva visto le spunte blu ma una qualsivoglia risposta tardava ad arrivare.

Poi, dopo dieci minuti abbondanti

 

Okay

 

Cos’è, Ushijima aveva perso la sua insistenza?

Va bene, non era uno che insisteva, ma almeno un ciao

Un saluto

Era un caso di anempatia patologica!

E lui perché se la dava a gambe? Per orgoglio? Perché ne aveva troppo a disposizione per ammettere che quella serie di circostanze fortuite, incontri inaspettati e conversazioni con lui quasi normali gli avevano provocato una reazione imprevista?

Forse sì.

Dannato Ushiwaka!

Prese il telefono e creò un nuovo contatto proprio come dannato Ushiwaka. Ma poi il telefono vibrò.

 

(dannato Ushiwaka)
Mi dispiace

 

Fu allora che iniziò una conversazione ai limiti dell’assurdo. 

 

E perché?

 

(dannato Ushiwaka)
Perché non dovrebbe dispiacermi?

 

       Non mi sembri il tipo che si dispiace per qualcosa.
     Quando hai perso con il piccoletto avrei voluto vederti piangere e disperarti, e invece…

 

(dannato Ushiwaka)
Io invece avrei voluto parlarti, proprio quella sera

 

Per dirmi cosa? Per darmi ragione, forse? Beh, in effetti avevi appena perso con una squadra scomparsa per anni dai radar! 

 

Ushijima tacque.

Tooru si lasciò cadere sul divano con una risata divertita. Ace!!

Però modificò il nome del suo contatto in Wakatoshi

 

(Wakatoshi)
Se ci tieni ti do ragione ora

(Wakatoshi)
“Squadra forte” è un’espressione che in sé non vuol dire nulla

 

(Wakatoshi)
Tu però 

 

(Wakatoshi)
… sta scrivendo…

 

Tooru attese, ma lui smise di scrivere. Contò mentalmente fino a sessanta, poi rispose in batteria 

Io cosa

Allora?

Rispondimi!

 

Dèi, ci volevano le tenaglie per tirargli fuori le parole!

 

(Wakatoshi)
Tu fai la differenza 
E io

 

(Wakatoshi)
… sta scrivendo…

E tu?

****


A Wakatoshi sembrava di sentire la sua bella voce, ostinata e ironica.

 

(Tooru)
E tu?

 

E io vorrei giocare con te anche una volta sola.

Era questo che Wakatoshi

voleva dirgli, ma la semplicità del concetto era in realtà solo apparente. 

Non era solo giocare. Non gli sarebbe bastato, probabilmente.

Le nebbie si diradavano, dopo quel pomeriggio tranquillo, lungo, pieno di chiacchiere interessanti, intelligenti. 

Oikawa era questo.

Tooru era questo.

 

Perché riparti? Gli scrisse, invece

 

(Tooru)
Saranno anche fatti miei, no? 
Ma se proprio ci tieni a saperlo… non lo so nemmeno io

 

In che senso non lo sai?

(Tooru)
… sta scrivendo…

(Tooru)
Forse perché fondamentalmente tu mi fai incazzare più di Tobio

 

Ce l’aveva ancora con lui, allora

 

Okay

(Tooru)
Okay un cazzo

Tooru, scusa ma non capisco

(Tooru)
Scusami
Di solito sono più affabile con le persone che non conosco bene 
 

Non mi conosci?

(Tooru)
Beh alla fine io e te siamo quasi due estranei


Dall’altra parte dello schermo, Tooru attese il benservito. Che non arrivò.

 

(Wakatoshi)
Perché ti faccio incazzare più di Kageyama?

 

Si passò una mano sugli occhi. Doveva trasmettere un concetto semplice: Perché sei sicuro di te. Sempre

Ma non si trattava solo di quello: Tooru era quello insicuro, che provava strane sensazioni solo al suono della sua voce profonda, e ora anche davanti a quella conversazione silenziosa.

Era lui che, ora lo capiva meglio, se avesse potuto avrebbe continuato a correre con Wakatoshi Ushijima in quel parco all’infinito, o visto con lui decine di partite di pallavolo solo per scommettere sulla velocità di un servizio o su un out, o sul tipo di veloce dopo una ricezione sporca.

Solo per stargli accanto.

Comunque, scrisse quella frase e attese.

 

(Wakatoshi)
E tu? Tu non ti senti sicuro di te? 


In questo momento, no.

 

(Wakatoshi)
Chi ti dice che io lo sia? Dopo il diploma lascerò la squadra nella quale milito da una vita

 

(Wakatoshi)

La squadra con la quale ho giocato contro di te tutti questi anni
Potrebbe non accadere più
Ma soprattutto 

(Wakatoshi)
Potrei non riuscire a giocare mai con te

Tooru si stupì della piega della conversazione, di come stesse precipitando tutto, di se stesso e di ciò che stava per dire.

 

E che cos’altro vorresti fare con me?

 

Ecco che l’aveva detto.

Attese.

Sperò.

 

(Wakatoshi)
Non sono bravo con le parole



****


 

Era così che ci si metteva davvero a nudo?

Parlandone semplicemente?

Erano partiti dalle frustrazioni accumulate a causa di una sconfitta inflitta loro dalla stessa squadra e che, alla fine, consideravano entrambi meritata: del resto, nella pallavolo vinceva chi teneva la palla in gioco, non chi la usava come un attrezzo per esaltare le evoluzioni del proprio io.

Così, quando Tooru bussò alla porta di Wakatoshi e lui lo fece entrare, entrambi si accorsero di non riuscire più a ricordare il passato con rabbia. 

Per quanto li riguardava, anche il loro personale torneo parallelo era finito quel giorno, con l’ultimo set vinto dai corvi. Avevano entrambi lasciato cadere il rancore e avevano entrambi guadagnato un punto.

Quando furono l’uno di fronte all’altro, si lasciarono andare all’attrazione, che l’inesperienza di entrambi non faceva che aumentare rendendola ancora più irresistibile.

Nell’affollata e rumorosa Ginza per la prima volta potevano spogliarsi a vicenda e meravigliarsi di quanto fosse bello toccare l’altro.

Per la prima volta, la prima in assoluto per entrambi.

Forse non si sarebbero mai più affrontati, forse non avrebbero mai indossato la stessa divisa ma ciò che stavano per condividere andava oltre la perfezione dei corpi allenati che avevano ammirato in silenzio per anni, l’uno nell’altro. Andava oltre parole che ora suonavano inutili come orgoglio, rabbia, invidia, messe da parte a favore di altre. 

Sussurrate, gridate, scambiate, assaporate.

 

****

“E ora?” Chiese l’indomani Tooru, sdraiato accanto a lui. Una domanda piena di altre domande, tante tutte insieme.

Una fra tutte: perché il dannato Ushiwaka era così bello?

Wakatoshi aprì gli occhi e lo guardò, come se avesse pronta la risposta a tutto.

“Ora andiamo a vedere la partita.” Rispose lui.

Tooru sorrise.

La risposta più naturale che potesse dargli.

Chissà perché, se l’aspettava.


Fine

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