Une nouvelle vie

di Selene123
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le voyage ***
Capitolo 2: *** Le rencontre ***
Capitolo 3: *** On y va ***
Capitolo 4: *** Héros (parte 1) ***
Capitolo 5: *** Héros (parte 2) ***
Capitolo 6: *** Toujours à vos ordres ***
Capitolo 7: *** Honneur, patrie, valeur, discipline ***
Capitolo 8: *** Douloureux, mais amusant ***
Capitolo 9: *** Soleil et mer ***
Capitolo 10: *** Visite officielle ***
Capitolo 11: *** Risques et situations ***
Capitolo 12: *** Oranges et citrons ***
Capitolo 13: *** Le premier retour ***
Capitolo 14: *** Sinon maintenant, quand? ***
Capitolo 15: *** Toujours mademoiselle ***
Capitolo 16: *** Avant Saint Antoine ***
Capitolo 17: *** Frégate Saint Antoine ***
Capitolo 18: *** Après Saint Antoine (parte 1) ***
Capitolo 19: *** Après Saint Antoine (parte 2) ***



Capitolo 1
*** Le voyage ***


“Intendo lasciare la Guardia Reale, Maestà. Io sono pronta ad assumere qualsiasi altro incarico, anche ad andare in Marina.” aveva detto Oscar con fermezza nella voce, sebbene le fosse costato molto, e così era stato. I soldati che per vent’anni aveva guidato guadagnandosi lo status di stupor mundi, l’eccezione, l’onda anomala in un mare placido, stavano per diventare figure sullo sfondo del suo passato. Le uniformi sempre perfette, le buone maniere, l’assoluta fedeltà in chi era stato imposto loro dopo un duello fortuito in aperta campagna tra un tenente e una ragazzina e perdonato dalla magnanimità di Sua Maestà il Re... Era grata di tutto ciò, di ogni traguardo raggiunto a discapito delle migliaia di sacrifici che si era lasciata dietro, ma bisognava proseguire. Andare avanti, accettare nuove sfide, crescere, commettere errori e correggerli. 
 
La Regina aveva accettato la sua richiesta, seppur con una certa riluttanza. La sola idea di doversi separare da chi per anni e dal primo giorno l’aveva salvata e protetta (spesso più da sé che dai pericoli del mondo), con la sua discrezione, le aveva provocato una fitta al cuore. Non aveva ricevuto nemmeno una spiegazione per ciò che a lei era parso un vero e proprio colpo di testa, ma aveva preferito non indagare. La sovrana aveva sempre considerato il suo Comandante una confidente leale, benché a parti inverse la situazione fosse differente. Non poteva che essere così, lo sapevano entrambe.  
 
Quando aveva inviato il messaggio per comunicare che Oscar François De Jarjayes dal 15 aprile non sarebbe più stata a capo delle Guardie Reali, un velo di malinconia le aveva adombrato il volto. Due decenni insieme ad una donna accanto alla quale era cresciuta, un passo indietro, che l’aveva incuriosita fin dal rocambolesco arrivo in Francia. Una donna in abiti maschili, con un nome da uomo, il temperamento e il coraggio di un guerriero, la bellezza di un eroe. Apponendo la firma sul documento di assegnazione del nuovo incarico, Maria Antonietta aveva provato un’improvvisa nostalgia. Del passato insieme e del futuro separate. A chi avrebbe confidato le pene del dover assolvere ai propri compiti ricevendo in cambio un’educata e gentile raccomandazione di non isolarsi troppo? Chi le avrebbe stretto la mano quando i pettegolezzi della corte l’avrebbero ferita ancora? Chi l’avrebbe invitata a riflettere laddove tutti gli altri la ricoprivano di sì? Chi poteva convocare a colloquio per avere notizie da Palazzo senza la necessità di allontanare i propri bambini? Era l’unica persona a cui non desse fastidio averli intorno mentre le riportava le ultime notizie da Versailles...  
 
Le mancava già, così come, si era resa conto la Regina, tutto sommato le sarebbe mancato anche il suo attendente. André l’aveva accompagnata ovunque, l’aveva aspettata fuori dalle porte delle stanze in cui non aveva il permesso di entrare e, quel giorno lontano, si era inventato il nome di un colore che l’aveva divertita al punto da adottarlo per il proprio abito. A me ricorda il colore di una pulce... Le sembrava di vedere ancora l’espressione perplessa sul volto di tutti, perfino il suo, e quella vagamente irritata della sua amica, che forse avrebbe preferito avesse taciuto anche quando l’idea era stata poi accolta con gioia. Era da tanto che non le capitava di incontrarlo, ma aveva saputo del suo incidente nel tentativo di catturare quel ladro e le era dispiaciuto molto. Sì, le sarebbe mancato anche André. 
 
*** 
 
Il viaggio verso Tolone, sede della Marina francese, benché diviso in tre tappe per non dare modo nessuno (cavalli compresi) di affaticarsi troppo, era stato sfiancante e scomodo. Per fortuna, però, stava finendo. Oscar sentiva le gambe indolenzite dal continuo rimanere seduta e lo schienale rigido come un pezzo di legno nonostante l’imbottitura. Sul sedile davanti a lei aveva appoggiato un paio di libri che rischiavano di cadere ad ogni scossone, il mantello piegato da usare in caso sentisse freddo e un fagotto bianco contenente tutto ciò che la nonna aveva ritenuto necessario per quel trasferimento sconsiderato. Di tanto in tanto si voltava, ma dalla finestrella rettangolare alle proprie spalle sorgeva solo i bauli con i propri effetti personali strettamente necessari nel breve periodo, coperti da un telo di lana spessa per non dare troppo nell’occhio.  
 
Quei quattro giorni completamente sola erano il preludio di una nuova vita verso cui correva con un un’unica aspettativa: chiudere una volta per tutte con il passato. Madamigella Oscar era una parentesi conclusa, un ricordo che si sarebbe impegnata a tenere sempre più lontano. Si erano stupiti tutti quando, a quattordici anni, le avevano affidato l’incarico di Capitano delle Guardie Reali. Una donna in uniforme? Ma ripensandoci dopo tanti anni si era resa conto che non c’era stato granché di maschile nel proprio ruolo. Non come lo intendeva lei, quantomeno. Aveva stretto amicizia, seppur sui generis, con la Regina, si era perfino innamorata ed era stata rifiutata. Tutto questo sempre e soltanto perché aveva addosso una divisa che le apriva le porte del Palazzo. Aveva sofferto, pianto, si era perfino infilata in un abito da sera così stretto da toglierle il respiro. E nonostante le mille avventure che comunque aveva vissuto e dalle quali era uscita, se non vincitrice, quantomeno salva e con qualche cicatrice qua e là sul corpo, quelle debolezze di attimi di distrazioni dal proposito di vivere come un uomo ancora la tormentavano. C’erano voluti Jeanne e la collana prima e il Cavaliere Nero dopo per instillare in lei il seme del dubbio: forse era ancora avvolta nell’ovatta, protetta da un mondo da cui era sempre stata lontana e che, con pazienza, il suo amico aveva cercato di avvicinarle.  
 
André. Il pensiero di lui la scosse all’improvviso mentre guardava la Provenza correrle accanto dietro la tendina scostata. Non si erano salutati. Non come avrebbero voluto, non come due persone dal legame tanto viscerale avrebbero dovuto. La attanagliava il ricordo di quella lite, dello strappo sia della camicia che del loro rapporto, di quel bacio che avrebbe preferito dimenticare come gli aveva detto che avrebbe fatto. Non ce l’aveva con lui, questo no, anche se ancora comprendere davvero le era impossibile. Non si era mai accorta di niente, non ci aveva neanche mai fatto attenzione e se ne dispiaceva ora. Adesso che sapeva cosa significasse abbracciare qualcuno e ricevere in cambio una stretta di mano o una pacca sulla spalla, la straziava l’idea di avergli causato tanta pena per anni. Tutta quella distanza da Parigi, rifletté con cautela, forse sarebbe servita anche a lui.  
 
Il suo viso lontano, dietro la finestra del corridoio che dava sul giardino da dove la carrozza era pronta a mettersi in marcia, aveva un’espressione seria e impenetrabile quando si era voltata per cercarlo. Le era mancato il coraggio di ritornare in casa, dirgli di avere cura di sé e non affaticare l’occhio, di prestare attenzione a tutto e non dare noie alla nonna. Non gli aveva ricordato di esercitarsi con la spada, non si era mossa dai gradini della vettura che la stava per condurre in riva al mare. Si erano osservati a distanza di sicurezza, in silenzio, e il verde del suo sguardo l’aveva trafitta più di un pugnale nonostante per metà fosse coperto dai capelli. Chiunque avesse avuto torto o ragione venti giorni prima, a meno di ventiquattro ore dalla sua partenza per la Normandia, non importava più. Perfino il pensiero di Fersen, delle sue parole e del suo addio le cominciò a sembrare offuscato al confronto con il dolore di quanto successo quella sera. Gli uomini soffrivano, a quanto pareva, ma finivano sempre per mettere lei in condizione di svantaggio: umiliandola in pubblico, prevaricandola in privato.  
 
Ciò che la spaventava di più, pensò sospirando mentre sfogliava distratta alcuni documenti di cui le importava meno di quanto avrebbe dovuto, era l’incertezza del loro prossimo incontro. Si chiedeva se lo avrebbe rivisto a casa, o se non avendo più lei da aiutare avrebbe preferito trovarsi un’altra occupazione. Anche fosse stato a palazzo, cosa gli avrebbe detto e come?  
 
Un’improvvisa distesa azzurra all’esterno della carrozza catturò l’attenzione di Oscar. In fondo alla collina, già verde e rigogliosa benché la primavera fosse iniziata da circa un mese, il mare si apriva al suo sguardo come un’apparizione divina. La superficie dell’acqua luccicava sotto i raggi del sole del mattino mentre il profumo della salsedine si intrufolava attraverso la finestra riempiendo l’interno della vettura. Era arrivata. La sua nuova vita stava davvero iniziando adesso, Tolone si avvicinava a grande velocità e un senso di adrenalina la percorse da capo a piedi. Le preoccupazioni che fino all’istante prima la turbavano – e che non sarebbero state dimenticate da un momento all’altro – si accatastarono in un angolo della mente per fare spazio alla consapevolezza che fosse tutto reale e che tornare indietro non sarebbe stato possibile. 
 
“Madamigella, tra venti minuti saremo a destinazione!” esclamò il cocchiere. Assorta in un panorama al quale non era abituata nemmeno quando raggiungeva la Normandia, Oscar ringraziò a voce alta incurante di quell’appellativo che voleva cancellare dalla testa di ogni persona che le si rivolgesse. 

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Capitolo 2
*** Le rencontre ***


Tolone era una città completamente diversa da Parigi: benché piccola, era chiara, aperta, perfino accogliente. A Oscar sembrava che splendesse più sole, che soffiasse un vento più leggero e la primavera non si mascherasse da autunno. C’erano innumerevoli colori intorno a lei, abbastanza da farle pensare che, nel caso il nuovo capitolo della sua vita non fosse andato come si augurava, almeno il benvenuto in città era disteso.
 
Ma era la stessa Francia che credeva di conoscere? Quella Francia dove la povera gente moriva di fame o per la mancanza di cure adeguate? Il posto in cui era il caso a decidere se qualcuno avrebbe vissuto degnamente o meno nonostante gli sforzi che ne definivano le giornate? La risposta le arrivò prima di potersi porre altre domande, quando alla carrozza si avvicinarono due ufficiali a cavallo in un’uniforme che lì per lì la lasciò un attimo in balia di un senso di straniamento. Erano vestiti in un elegante completo blu con decorazioni dorate e da sotto la giacca spuntavano i lembi di un gilet dello stesso rosso fuoco del suo interno e dei polsini; il capo, poi, era coperto da un tricorno nero uguale alle scarpe, che le ricordarono la prima sostanziale novità del nuovo incarico: non avrebbe dovuto più portare gli stivali. Era un dettaglio, una sciocchezza da niente rispetto al fatto che, ad esempio, si sarebbe dovuta abituare a non avere la possibilità di fare una delle sue consuete passeggiate a cavallo quando era di cattivo umore, o a dover imparare a chiamare casa un luogo che di familiare non aveva niente.
 
“Capitano Oscar François De Jarjayes?” domandò uno dei due mentre la carrozza rallentava gradualmente per permettere loro di rimanere al passo.
 
“Sono io.” rispose lei avvicinandosi alla finestra e scostando la tendina, senza mai togliere l’altra mano dall’elsa della spada nascosta dietro la porta. Sapeva che i pericoli si nascondevano ovunque, non poteva abbassare la guardia proprio in quel momento.
 
“Buongiorno, siamo i tenenti di vascello della nave a cui siete stato destinato. Abbiamo ricevuto l’ordine di scortarvi fino alla base di Tolone, ma siamo costretti a dover allungare il percorso per evitare di incontrare pericoli sulla strada principale.” spiegò l’uomo con una sicurezza e una cordialità tali da non sembrare neppure nel bel mezzo di una cavalcata.
 
Oscar annuì col capo e fece cenno di avanzare, così da permettere al cocchiere di seguirli. I due ufficiali accelerarono, superando i suoi cavalli che si diressero verso un sentiero meno battuto. Dovevano aver vissuto in mezzo al mare per troppo tempo, considerò irritata il nuovo capitano, per pensare che una strada meno in vista potesse essere più sicura… Si ripromise di non trascurare la cosa nel caso fossero arrivati tutti sani e salvi a destinazione, mentre studiava ogni angolo da entrambi i lati della carrozza come le era stato insegnato sulla terraferma. A quanto pare la sua nuova vita da uomo cominciava con una ramanzina a due sottoposti, dunque, come faceva la nonna.
 
Gli ultimi trenta minuti di viaggio trascorsero nella concitazione di un sentiero dissestato, pieno di ciottoli e rami secchi caduti che rendevano il cammino complicato. Tutto sommato, però, forse quei due avevano ragione. Era impossibile che qualcuno li ostacolasse: il fosso profondo alla destra rendeva impossibile a chiunque anche solo pensare a un agguato e gli alberi sul lato opposto della collina non avrebbero di certo aiutato molto di più.
 
Quando finalmente le porte della città apparirono alla vista, tirarono tutti un sospiro di sollievo. Ritornare sulla via principale rafforzò la prima impressione che quel luogo le aveva dato. C’era un’atmosfera opposta rispetto a Parigi: non c’era tensione nell’aria – o comunque decisamente di meno - e le persone che incontravano man mano per strada avevano espressioni più distese. I due ufficiali condussero la carrozza lungo una via che sembrava infinita e pressoché sempre dritta, finché non si fermarono in uno spiazzo aperto. I passanti si fermarono a guardare quella vettura incuriositi dallo stemma raffigurante un leone a due code con una spada levata. Un brusio generale si diffuse tra i cittadini: l’ennesimo nobile sconosciuto a cui avrebbero dovuto far fare la bella vita a proprio discapito e chissà da dove proveniva il nuovo arrivato, questa volta… I ben informati – quelli più attenti che avevano notato la scorta a cavallo – ipotizzavano che si trattasse di un ufficiale della Marina, ma non sapevano altro. Qualcuno tentò di indagare, ma i due tenenti dissuasero la folla dall’avvicinarsi: questione di sicurezza, si stava svolgendo un’operazione militare e nessuno aveva il permesso interferire.
 
All’udire quelle parole, operazione militare, un sorriso leggero comparve sul volto di Oscar. A quanto pareva l’assegnazione del nuovo incarico, così lontano (e diverso) dal precedente, doveva essere un affare di Stato veramente importante se avevano trovato necessario tenere a bada la popolazione… Si sporse appena e vide un gruppo non troppo numeroso, una trentina di persone a occhio, a qualche metro di distanza dalla carrozza. Alcuni erano bambini di varie età e un pensiero corse al ricordo lontano della piccola vittima del duca De Germain, alla pistola ancora fumante quando il proiettile l’aveva trafitta alla schiena sbalzandola a terra davanti agli occhi increduli di tutti i presenti. Era un’immagine che talvolta la tormentava, più della supplica di Rosalie alla quale, comunque, aveva avuto modo di dare un aiuto concreto.
 
“Capitano…” disse l’uomo in divisa con cui ancora non aveva avuto l’occasione di parlare. Oscar scrollò leggermente la testa come per ritornare alla realtà e rivolse poi lo sguardo verso di lui. “Capitano, siamo quasi arrivati al vostro palazzo. Sappiamo che avete viaggiato a lungo, l’equipaggio non vi aspetta prima di doman–” ma non fece in tempo a spiegare i piani decisi dalla base che l’altra lo interruppe.
 
“Preferisco incontrare i miei uomini prima. Nel tardo pomeriggio, se fosse possibile…”
 
I suoi sottoposti si lanciarono un’occhiata perplessa. Non era mai successo che un ufficiale volesse incontrare gli uomini della propria nave in anticipo – anzi, spesso tergiversavano fino all’ultimo in convenevoli con le alte cariche della Marina pur di ritardare il momento – e men che meno a fine giornata. Forse il nuovo capitano era abituato troppo bene. Alla Guardia Reale non dovevano avere a che fare con persone non tutte particolarmente piacevoli, mentre lì…
 
“Come preferite, Capitano.” concluse il secondo tenente e diede ordine di riprendere il viaggio fino alla destinazione finale.
 
La strada che portava al palazzo che l’avrebbe ospitata da quel giorno in avanti seguiva il profilo della costa, distante giusto alcune centinaia di metri. Le case, gli alberi, le persone, tutto spariva velocemente oltre la finestra rettangolare della carrozza, dietro la tendina che svolazzava al soffio del vento. A pochi passi dal mare si intravvedevano le baracche dei pescatori, piccole abitazioni in legno un po’ mal messe ma con ogni probabilità abbastanza funzionali da ospitare ancora qualcuno. Qua e là, le loro imbarcazioni puntellavano la distesa azzurra che scintillava sotto i raggi del sole ogni minuto di più. C’era una vita, da quelle parti, che Parigi a stento immaginava. Le attività intorno alla Senna non avevano la stessa intensità né lo stesso fascino, pensò Oscar rendendosi conto che, in realtà, non si era mai avventurata troppo in là. Le venne in mente, però, che l’unica volta in cui lo aveva fatto era stata riportata a casa senza sensi da André, entrambi ricoperti di contusioni dopo quella rissa alla taverna che non le aveva placato alcun tormento.
 
Sorrise pensando al suo amico. Avrebbe amato quel panorama, le vie soleggiate, gli alberi ad ogni angolo e nelle piazze, si sarebbe avventurato per la città fino a tarda sera per tornare a casa e raccontarle tutto. Lo avrebbe fatto, ne era sicura, e lei lo avrebbe ascoltato perché la sua voce allegra era diversa quando le raccontava qualcosa che lo emozionava.
 
Nel giro di dieci minuti il cocchiere attraversò i cancelli di ferro lucido di un palazzo bianco alto due piani. Il portone in legno sormontato da una cornice in pietra riccamente decorata aspettava aperto l’ingresso della sua nuova inquilina. La servitù, in parte mutuata da casa propria e in parte del luogo, era già da ore in fermento per il suo arrivo e un paio di loro, una ragazza con grembiule e cuffietta e un uomo in livrea, l’attendevano sui gradini di marmo esterni.
 
La porta della vettura si aprì e Oscar ringraziò che quel viaggio infinito fosse terminato. Non voleva più salire su una carrozza in vita sua, o almeno finché le gambe non le avessero dato il permesso di farlo senza rifiutarsi alla sola idea di passare altri minuti seduta immobile. La giovane donna sistemò la giacca nel tentativo di appiattire le pieghe, poi uscì e l’aria di quell’aprile soleggiato la investì.
 
Quando rimise i piedi a terra, affondando le suole nella ghiaia del giardino, gli ufficiali della scorta scesi di sella e alcuni membri della servitù accorsi ad incontrare il loro nuovo padrone la osservarono con aria confusa. Uno dei due tenenti controllò velocemente il messaggio inviato da Versailles, lesse il nome e poi guardò di nuovo nella sua direzione. Ciò che i suoi occhi vedevano non corrispondeva alle parole scritte sul foglio. Una donna? Il nuovo capitano di vascello arrivato da Parigi era… una donna?
 
“Buongiorno di nuovo, Capitano.” ruppe l’imbarazzo l’altro, che con un gesto rapido si portò sull’attenti, la mano destra puntata alla fronte e le gambe strette, costringendo il commilitone a fare lo stesso in fretta. “Siamo i tenenti di vascello Ferdinand De Valeaue Charles D’Audiffret. Ai vostri ordini!”
 
Oscar ricambiò il saluto militare verso entrambi, ma non riuscì contenere le labbra che si piegarono in una smorfia di irritato stupore appena invisibile. Possibile che quel cognome la perseguitasse ancora? Quanto tempo era passato dall’episodio di Saverne?
 
“Non siamo parenti, se ve lo steste chiedendo…"2 si precipitò a specificare lui, ma il suo superiore lasciò cadere la cosa nel vuoto che li separava.
 
“Se volete ancora incontrare l’equipaggio, vi faremo preparare la carr- ” provò a proseguire l’altro, ma le parole gli vennero bloccate sul nascere.
 
“Andrà benissimo se qualcuno mi accompagnerà a cavallo.” si sbrigò a dire Oscar prima che la proposta di ripetere quella tortura si riproponesse in tutta la sua scomodità. “Dovrò pur imparare la strada…” concluse lei e li congedò, superandoli e dirigendosi verso il portone.
 
I due uomini tornarono a cavallo, non senza domandarsi tra sé e sé se non fossero caduti vittima di uno scherzo. La persona con cui avevano parlato era sicuramente una donna, perfino i mozzi più giovani, dei ragazzini scappati di casa, sembravano più virili di lei, che richiamò all’improvviso la loro attenzione.
 
“La strada meno battuta” disse a voce alta per farsi sentire bene nonostante la distanza a cui erano adesso, “non date per scontato che sia più sicura. Solitamente non lo è, stamattina è stato un caso.” e li salutò alle sei e mezza, mentre loro si scusarono e ripartirono veloci per poi sparire all’angolo della via.





Note:
1) La dinastia Valois si estingue ufficialmente nel 1589 con Enrico III. Noi sappiamo che Jeanne reclama un legame di parentela con uno dei suoi discendenti, ma nella versione italiana il cognome si trasforma in Valeau (o Balò, per qualche motivo). Dopo la pubblicazione delle sue memorie, il suo nome si diffonde insieme alla sua storia ed è verosimile che i suoi omonimi si sentissero in dovere di dare spiegazioni (a maggior ragione con chi proveniva da Versailles)
2) Vedi nota 1

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Capitolo 3
*** On y va ***


Aveva voluto portare con sé la divisa di comandante della Guardia Reale, benché ufficialmente non lo fosse più. C’era Girodelle ora al suo posto e Oscar era contenta di essere stata ascoltata nell’aver fatto il suo nome. Si fidava di lui che non le aveva mai dato modo di dubitare un momento, benché il loro primo incontro non fosse stato dei migliori e forse avrebbe avuto più di un motivo per serbarle rancore. Non si era pentita un solo istante di essere stata insolente al punto di aver mancato alle parole del Re, più per una questione di orgoglio e di fedeltà verso se stessa che non per come la situazione si fosse poi evoluta in seguito. Girodelle comunque meritava di salire di grado e saperlo ora nella posizione che meritava la rasserenava. Era anche sollevata, in realtà, di non doverlo rivedere più in un certo senso. Non per lui in quanto tale, ma perché non averlo intorno significava aver voltato pagina. 
 
Quella giacca rossa, però, che per prima aveva tirato fuori dal bagaglio per riporla con cura nell’armadio, purtroppo o per fortuna, era ancora la sua seconda pelle. Un’armatura di tessuto spesso cucito a mano su misura che, nonostante l’affetto e la fedeltà, aveva fallito diverse volte dal proteggerla, anche quando era ancora di colore bianco. Non aveva potuto niente davanti alla precisione chirurgica del ramo incastrato nel braccio che l’aveva fatta sanguinare copiosamente, né contro la furia del sicario inviato da Yolande De Polignac che era quasi riuscito ad ucciderla se solo non fosse intervenuto il conte…  
 
Fersen. Di nuovo il suo cervello tornava al punto di partenza, al motivo per cui era fuggita da Parigi e ora si trovava a Tolone, a interrogare silenziosamente una divisa che ancora doveva imparare a conoscere. Dovevano ancora presentarsi, in un certo qual modo, ma il muro invisibile che la divideva dal manichino le sembrava insormontabile e il motivo era sempre lo stesso. I suoi pensieri tornavano ad affollarsi sul ricordo del loro addio, delle parole che le aveva riservato senza sapere che si trattasse di lei e quelle che aveva scelto quando invece non avrebbe voluto confrontarsi con altra donna. A giorni di distanza le pareva che la sua sincerità, per quanto nobile e necessaria, fosse stata azzardata. Era stato proprio necessario essere così diretto? Farle sapere che in una situazione diversa, se lei fosse stata diversa, allora forse… Come se non fosse, non si sentisse già abbastanza diversa… 
 
Oscar sedeva sul bordo del grande letto a baldacchino della nuova stanza, osservando il servo muto che le cameriere giunte da Parigi le avevano fatto trovare completo di ogni indumento necessario. Il silenzio della stanza si infrangeva di tanto in tanto contro il rumore dei suoi sospiri profondi. Cercava il momento giusto per alzarsi e cominciare a vestirsi dopo essersi ripresa e ricomposta dal viaggio, ma le sembrava che fosse introvabile. Eppure, non era la prima volta – anzi, era già la terza – che si sarebbe calata in un nuovo ruolo attraverso un abbigliamento vistoso ma tutto sommato comodo, che avrebbe dovuto presentare il proprio nome accanto ad un appellativo altisonante… Il diluvio di autoassoluzioni che le piovve addosso la sconcertò, ma si fece coraggio ad esaminarne anche solo qualcuna.  
 
Quando Sua Maestà l’aveva nominata capitano delle Guardie Reali, Oscar aveva quattordici anni e, benché l’avvenimento l’avesse obbligata a compiere una scelta definitiva più grande di sé sconvolgendo la casa intera per giorni e notti, una consapevolezza diversa rispetto a ora. Riconosceva l’importanza delle situazioni, talvolta gliene accordava fin troppa quando avrebbe potuto lasciar correre di più, ma le capitava ancora di lasciarsi trasportare dall’enfasi della giovane età. Quattro anni più tardi, all’ascesa di Luigi XVI e Maria Antonietta sul trono di Francia, era stata la Regina stessa a volerla comandante – il suo comandante – e se, da un lato, accettare un tale onore fosse obbligatorio, dall’altro non si era scomposta troppo perché, in fin dei conti, prima o poi il giorno del passaggio di grado sarebbe arrivato. Lo aveva vissuto come un’evoluzione di sé: era stato decisamente più traumatico scoprire quale fosse la sua vera natura…  
 
E poi non aveva mai pensato a doversi imbarcare sul serio. Tutte le nozioni che conosceva in ambito di navigazione le aveva imparate in accademia da ragazzina e poi accantonate per anni, riprendendole solo di recente quando dal comando generale le avevano fatto recapitare in Normandia volumi, fogli e documenti vari con ciò di cui un ufficiale del suo grado avrebbe dovuto occuparsi e che le era stato lasciato dal precedente. Li aveva letti anche mentre la carrozza la portava a Tolone, benché la sua mente avesse continuato a vagare un po’ ovunque.  
 
Si sentiva inadeguata al ruolo ma non voleva ammetterlo a se stessa: la Regina aveva stabilito che quell’unica alternativa possibile sarebbe stata comunque adatta a lei e Oscar non aveva osato obiettare. L’idea, però, di dover essere affiancata a un superiore – che di sicuro aveva altri progetti che non farle da tutore – per imparare a ricoprire un ruolo in cui avrebbe inizialmente seguito l’istinto invece dell’esperienza, ecco questo la metteva a disagio più di tutto il resto. In altre occasioni avrebbe sottolineato l’inutilità di avere il precettore sempre accanto, ma ora si trattava di cause di forza maggiore. Si era ripromessa di assorbire ogni singola lezione, vera o metaforica, al massimo delle proprie possibilità, di non lasciare nulla al caso, di prestare la massima attenzione al dettaglio. Come sempre, d’altronde, ma un po’ di più perché questa volta nessuno avrebbe dovuto dubitare di lei. Avrebbero prima o poi scoperto che si trattava di una donna – sempre che la scorta non lo avesse già rivelato nel frattempo – e la pazienza di sopportare gli sguardi scontenti e le insinuazioni sul proprio conto era finita. Un moto d’orgoglio si risvegliò nel suo petto: aveva tutte le carte in regola per farcela anche questa volta. Più di ogni altra.  
 
Dopo essersi alleggerita almeno un po’ del peso che la tormentava con un ultimo profondo sospiro, Oscar si alzò in piedi. Guardò fuori dalla finestra e vide le prime luci del tramonto colorare il prato verde intorno alla casa. Lo stalliere stava sellando César, arrivato il giorno prima da palazzo Jarjayes insieme all’uomo che se ne prendeva cura e che, per la prima volta, non era André. Troppe cose stavano accadendo senza di lui ma non voleva indugiare, altrimenti non sarebbe più uscita dalla propria camera. E poi, rifletté avvicinandosi alla porta per lasciar entrare una delle sue precedenti cameriere giunta per aiutarla a prepararsi, non era forse il suo obiettivo risolvere i problemi da sola? Affrontarli, prima ancora, senza la protezione di nessuno? Nella vita non c’era niente di davvero insormontabile che non avesse incontrato: non sarebbe stata una gigantesca nave a diventarlo, men che meno le persone che la popolavano. Allentò i bottoni della giacca bordeaux e accantonò i pensieri dietro una riflessione che aveva sentito chissà quando e chissà dove: non avrebbe perso niente, al massimo avrebbe imparato qualcosa.  
 
Né la cameriera né Oscar avevano dimestichezza con la nuova uniforme. Non aveva neanche fatto in tempo a provarla quando gli ultimi punti erano stati cuciti e il tutto impacchettato accuratamente, essendo stata cucita usando le misure della precedente in mancanza della diretta interessata. La giovane donna allungò una mano e toccò la stoffa blu: le sembrava un po’ più ruvida di quelle a cui era abituata, probabilmente serviva per ripararsi meglio dal vento e dalle intemperie quando si sarebbe trovata per mare.  
 
Il nuovo processo di vestizione aveva l’atmosfera di un rito di iniziazione. Sfilò i pantaloni scuri e li cambiò con quelli rossi della divisa, avendo cura di allacciare bene i bottoni lucidi al lato delle ginocchia per fermare le calze e assicurarsi che la camicia bianca rimanesse ferma dentro. Con sorpresa da parte della ragazza che l’aiutava, le fasce che dovevano avvolgerle il busto erano già al proprio posto. Oscar si era portata avanti dopo il bagno del pomeriggio: prima sarebbe tornata a farci l’abitudine dopo venti giorni senza portarle, aveva pensato, prima quella tortura si sarebbe trasformata di nuovo in una consuetudine. Le venne poi passato un lungo gilet rosso bordato di spesse cuciture dorate e per un momento le sembrò che qualcosa non quadrasse. Non era abituata a tutto ciò su cui i suoi occhi si posavano guardando il riflesso sullo specchio, forse sarebbe stato meglio tornare prima dal soggiorno in Normandia e controllare a cosa andasse incontro. Mentre le mani della cameriera spazzolavano via i pelucchi e le ultime pieghe, si distrasse per un attimo dalle perplessità immaginando la reazione di André. Avrebbe cercato di trattenere una risata divertita nonostante lei lo avrebbe guardato con il volto accigliato e poi si sarebbe prodigato nel trovare il modo più educato per dirle che… Non sapeva neanche lei a cosa somigliasse, ma il suo amico non avrebbe fallito nell’avere ragione.  
 
“Tutto bene, Madamigella?” le domandò la ragazza notando il suo indugiare.  
 
Oscar annuì col capo, poi bisbigliò: “Passami il resto, per favore…”. C’era una serietà forse eccessiva nelle sue parole, come se stessero affrontando insieme un processo davanti alla corte marziale a cui nessuna delle due si sarebbe potuta sottrarre. 
 
Indossate la giacca blu con le stesse decorazioni del gilet e le spalline dorate e le scarpe nuove con la fibbia quadrata così lucida da potercisi specchiare, Oscar diede tese la fascia bianca che le attraversava il busto in diagonale per fermarla poco sopra l’elsa della spada e appunto la spilla indicante il titolo nobiliare in modo da renderla ben visibile sul petto.  
 
Poteva andare peggio, rifletté la giovane donna mentre la cameriera apriva la porta con una timida reverenza e spariva in corridoio. Afferrò il tricorno nero e con un gesto veloce sistemò la coccarda bianca sulla sommità, poi si incamminò fuori dalla camera nel consueto passo deciso che l’accompagnava ovunque.  
 
*** 
 
Un uomo a cavallo si stagliava controluce al tramonto di quell’aprile ventoso. Il sole si stava lentamente nascondendo oltre l’orizzonte, dove il mare e il cielo si incontravano, e un velo arancione che ricopriva l’intera città. Lo stridio acuto dei gabbiani riempiva il silenzio del Mourillon1, il quartiere a est e a più stretto contatto con le acque del Mediterraneo. Gli abitanti attraversavano placidi le vie per tornare alle proprie abitazioni, godendo di quegli ultimi raggi caldi prima che la sera riportasse il freddo. Era un tardo pomeriggio tranquillo, quello, senza particolari agitazioni tra la popolazione che, di bocca in bocca, aveva fatto circolare in fretta l’arrivo di una carrozza nobiliare mai vista prima a Tolone. 
 
Confidando che si trattasse di una donna sui generis e che, in quanto tale, non avrebbe impiegato troppo tempo per prepararsi, De Valeau si presentò allo scoccare delle sei e mezza precise, quando il campanile della Torre si espresse in tutta la sua solennità. In accordo con il suo pari, aveva preferito tacere riguardo la identità di Oscar quando era tornato al porto. Sulla strada di ritorno si erano chiesti perché mai fosse toccato proprio a loro due occuparsi della faccenda ed erano giunti alla conclusione che probabilmente la punizione a priori era già quella: dover gestire una situazione scomoda e inevitabile. Se avessero sbandierato ai quattro venti la verità che avrebbero di lì a qualche ora scoperto da sé, un’ilarità generale si sarebbe levata su tutta la nave e avrebbe raggiunto perfino la base a terra. Ammiraglio, le Loro Maestà ci hanno fatto l’onore di affidarci un capitano di vascello donna… Gli ufficiali, poi, si sarebbero sentiti presi in giro dalla loro insolenza e li avrebbero puniti. 
 
L’ufficiale l’attendeva con pazienza in giardino per non doversi far annunciare un’altra volta, mentre il cavallo scalpitava nell’impazienza di non riuscire a rimanere fermo sulla ghiaia. Tirò fuori dalla tasca del gilet un orologio rotondo placcato in argento e legato ad una catenella ad anelli stretti proprio nel momento in cui, da dietro l’angolo del palazzo, il suo superiore apparve in sella al proprio animale. Bianco, ça va sans dire, elegante e perfettamente strigliato, con l’incedere di un destriero abituato agli ambienti altolocati che ospitavano i sovrani. Si stupì nel constatare che il nuovo capitano non cavalcasse all’amazzone come le signore che gli era talvolta capitato di conoscere, ma si rese anche conto che in quanto militare non avrebbe neanche potuto considerare l’ipotesi di farlo. 
 
“Buonasera, vogliate perdonare il ritardo…” si scusò Oscar. Speronò i fianchi di César il tanto che le serviva per accelerare e raggiungerlo, così da recuperare almeno qualche secondo.  
 
I due si scambiarono un saluto militare d’obbligo, benché in otto ore si fossero visti fin troppe volte perché lo ritenessero davvero ancora necessario. La forma è la sostanza, per fortuna o purtroppo, e lo sapevano fin troppo bene perché non eseguissero alla lettera la lezione che era stata impartita loro fin dall’infanzia. 
 
“Buonasera, non preoccupatevi.” rispose De Valeau dopo essersi affiancato per indicarle di seguirlo. 
 
Notò in lei un atteggiamento estremamente altero e compito mentre lo ascoltava spiegarle in cosa sarebbero consistite le presentazioni. I suoi occhi azzurri di tanto in tanto lasciavano la strada davanti a loro per incontrare quelli dell’uomo, che rimase colpito dalla fierezza del suo sguardo. Non doveva essere stato facile essere donna circondata da soli uomini e gli si strinse il cuore all’idea che la situazione stava per diventarlo ancora meno.  
 
Ascoltando le poche parole che il suo superiore dispensava a fronte delle tante che ascoltava attentamente, il tenente si rese conto all’improvviso che il suo accento parigino assomigliava a quello di una delle nuove reclute. Un giovane uomo proveniente anche lui dalla capitale sebbene nato in un piccolo paesino della campagna lassù a nord, del tutto differente dagli altri marinai. Aveva l’aspetto più pulito, il portamento più raffinato: il primo giorno, pensò, si era domandato se non avesse mentito circa la propria identità, ma poi la cosa gli era passata di mente. 
 
“Capitano, mi concedete una domanda?” le chiese De Valeau di punto in bianco, ma se ne pentì l’istante dopo aver ricevuto una risposta affermativa. Non aveva né il diritto né la confidenza per sapere altro di lei se non ciò di cui già era a conoscenza, ovvero nome e cognome. Constatò sommessamente che se si fosse trattato di un uomo, la curiosità non gli sarebbe neanche sorta. Peraltro, non avrebbe saputo come indicarle la persona in questione, non ne ricordava il nome… Scosse il capo scusandosi e proseguì. “L’Ammiraglio De Rohan2 vi attende per il passaggio di consegne al comando di terra, è tornato in città da Parigi apposta per l’occasione.” 
 
“Non mancherò di ringraziarlo per l’onore…” si intromise Oscar, che fino a quel momento aveva studiato l’interlocutore pressoché in silenzio. Il dubbio che la domanda ritirata prima di venire pronunciata potesse riguardare l’eccezionalità della propria persona le diede una sensazione di disagio. L’ennesimo tentativo inquisitorio da parte di uno sconosciuto che, rispetto ai precedenti che aveva incontrato sul proprio cammino, almeno aveva avuto la decenza di non guardarla come se fosse stata una strana creatura delle tenebre. Non in quel momento, perlomeno. Si augurò di aver frainteso, di essere solo suggestionata dalle esperienze che avevano costellato la sua vita – professionale e privata – sempre uguali a se stesse, ma difficilmente si sbagliava ormai.  
 
“La base di terra si trova a un centinaio di metri dal porto. Avrete letto le comunicazioni: i primi giorni rimarrete al comando, vi serviranno per comprendere le mansioni del vostro nuovo ruolo…” 
 
Benché il suo tono fosse calmo, Oscar non poté non percepire una punta di soddisfazione nella sua voce. Ingoiò il rospo: sapeva fin da subito che sarebbe successo, era uno dei motivi per cui aveva titubato tanto in camera prima di cambiarsi, ma sentirlo con le proprie orecchie la irritava comunque. Di tanto in tanto annuiva con la testa per fargli capire che stesse ascoltando, ciò nonostante, una parte della sua attenzione rimaneva fissa sul modo in cui le parlava più che su cosa le dicesse. 
 
“Il vascello a cui siete stat—…” De Valeau si interruppe bruscamente, colto dall’imbarazzo. Cosa avrebbe dovuto usare, il maschile o il femminile?  
 
“Proseguite, Tenente.” lo esortò il suo superiore. Era consapevole del motivo che lo aveva frenato e che avrebbe potuto risolvere in fretta, ma volle prendersi un attimo di soddisfazione personale.  
 
“Il vostro vascello sarà l’Héros, seconda nave della 6ª squadra, con un equipaggio di cinquecento uomini.” continuò lui.  
 
All’udire tutte quelle informazioni, le uniche che le interessasse ricevere, gli parve che lo sguardo le si illuminò. L’alterigia si era trasformata in fibrillazione, come se una scarica di adrenalina l’avesse percorsa lungo la schiena. In quel momento, il sottoposto si rese conto che nessun capitano precedente a lei aveva avuto la sua stessa reazione. Nessuno aveva accelerato il passo, né lo aveva guardato con le labbra leggermente inarcate in un mezzo sorriso soddisfatto. C’era uno slancio in quella donna che mai aveva osservato in anni di onorata carriera. Le sarebbe stato più che necessario, commentò tra sé e sé, una volta conosciuto l’equipaggio.  
 
“Grazie infinite per il resoconto.” gli disse Oscar. Cinquecento uomini di varia età e provenienza da gestire nello spazio ristretto di un’imbarcazione era forse più di quanto potesse sperare. Voleva mettersi alla prova? Ecco l’occasione perfetta. Non poteva scappare da lì, era sola davanti all’ignoto e ciò la emozionava come poche altre volte era successo in vita sua.  
 
*** 
 
Il tenente D’Audiffret attendeva il nuovo arrivato e la sua scorta nel piazzale interno della base navale, un edificio sormontato dalla torre con l’orologio e che si estendeva in senso orizzontale davanti al porto. L’uomo reggeva una piccola scatola rettangolare di velluto blu con entrambe le mani, ma dovette spostarla sulla sinistra nel momento in cui dovette scambiarsi il saluto militare con il capitano e il proprio pari.  
 
Com’era diversa ora che indossava l’uniforme: gli sembrava sempre un’assurdità che ci fosse una donna a ricoprire quel ruolo, ma quantomeno sapeva rispettarne l’immagine e l’aspetto. In tutto, sì, fatta eccezione per un dettaglio che per dovere ed etichetta avrebbe dovuto sistemare prima di entrare a colloquio con le alte cariche della Flotta di Levante.  
 
Oscar e De Valeau scesero da cavallo e si incamminarono insieme a lui verso il portone, affidando i cavalli a due giovani allievi di stanza. C’era un’atmosfera quasi elettrica quella sera, come se tutti condividessero la stessa adrenalina che le stava tacitamente scorrendo nelle vene. 
 
La voglia di iniziare quel capitolo della sua vita, di sporcarsi le mani e di provare di nuovo il brivido di non sapere cosa le sarebbe aspettato le allungava il passo più di quanto gli altri due non riuscissero a starle dietro, mentre le davano le ultime istruzioni su chi avrebbe incontrato e in quale ordine. 
 
Con un piede già oltre l’uscio e la mano alla fronte per salutare i soldati di guardia accanto al grande portone di legno dell’ingresso, Oscar venne all’improvviso chiamata dal secondo tenente.  
 
“Capitano, scusate…” 
 
La giovane si voltò di scatto, come se a quelle parole corrispondesse un pericolo imminente. “C’è qualche problema?” 
 
L’uomo si schiarì la voce imbarazzato, non trovava le parole adatte per darle quell’ultima raccomandazione che la sua espressione severa sembrava non voler ricevere. Mostrò, non senza una certa riluttanza, il pregiato contenitore che ancora trasportava come se la sua vita fosse dipesa dal suo contenuto. E forse, tutto sommato, un po’ lo era.  De Valeau osservò la scena in silenzio, a distanza di un paio di passi più per sicurezza personale che non per affrettarli nella direzione giusta.  
 
“Ci sarebbe un’ultima faccenda da sbrigare prima di salire dall’Ammiraglio.” 
 
“Avanti. Non sarà un ostacolo così insormontabile…” 
 
“Dovreste… È obbligatorio indossare questo…” e nel dire ciò aprì la scatola mostrando un fiocco blu già annodato al centro di un nastro dello stesso colore. “Fa parte della divisa, Capitano.”  


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Note:
1) Quartiere sud di Tolon dove sorgono la base militare e il porto. La descrizione è relativa, a maggior ragione perché all’epoca sarà stato di sicuro diverso rispetto a quanto non sia oggi. C’è molta licenza narrativa.
2) Ammiraglio e Comandante della Flotta di Levante dal dal 1784 al 1792 [https://it.wikipedia.org/wiki/Louis_Armand_Constantin_de_Rohan] 

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Capitolo 4
*** Héros (parte 1) ***


parte 1

Gli occhi di Oscar si posarono severi sul contenuto della scatola di velluto per poi tornare a quelli del tenente D’Audiffret. Lì per lì pensò che la stesse prendendo in giro, che fosse uno di quegli scherzi che sapeva riservati agli allievi appena reclutati. Più rimaneva a guardarlo porle il prezioso oggetto del contendere, però, più il sospetto che non si trattasse di un rito di iniziazione diventava una certezza. Ne indossava uno anche lui, uguale identico a quello che le offriva con un poco di malcelato timore, e quando si voltò verso De Valeau notò che si trovava nella stessa situazione.

“È necessario, dite…” affermò Oscar prima di scaricare la tensione del momento in un espiro profondo.

I due uomini annuirono col capo, quasi più dispiaciuti di lei nel dover confermare la realtà dei fatti. Si scoprirono insolitamente solidali nei suoi confronti e sì, il motivo principale era che fosse una donna. La vita in mare non era semplice, men che meno accomodante. Se avessero potuto le avrebbero consigliato di preparare i bagagli e tornare indietro, ché sua Maestà avrebbe di sicuro capito. Certo, era anche ormai loro evidente che non fosse una donna come le altre e che le bastasse un’occhiata per esprimersi. Doveva per forza essere una mosca bianca del genere femminile, o non sarebbe arrivata fino a lì anticipata dalla stima dei sovrani scritta nero su bianco e sigillata con la ceralacca.

Oscar afferrò il fiocco e chiese a De Valeau di reggerle il cappello. Accarezzò velocemente il velluto blu del nastro e lo passò sotto la lunga chioma bionda, prestando attenzione a legarla il più possibile vicino all’attaccatura sul collo. Quante volte la giovane donna aveva visto grand-mère compiere la stessa azione con le sue sorelle, prima di un ballo o di un’occasione elegante. Se l’avesse vista ora, memore di infiniti tentativi di domare il tratto somatico che più rifletteva il suo spirito libero, avrebbe per una volta ringraziato l’etichetta militare. La stoffa si annodò poi con decisione per chiudere i capelli che, nonostante le buone intenzioni, scapparono fuori ai lati a incorniciarle il viso. Il Capitano sistemò con un gesto della mano il fiocco perché stesse al centro della coda, come lo vedeva nei suoi sottoposti, e spostando un ciuffo ribelle della frangia da davanti agli occhi riprese il tricorno e fece cenno di ritornare al piano originario.

Camminare senza quel calore che le proteggeva la schiena la fece sentire all’improvviso scoperta, ma trattenne l’istinto di sciogliere tutto perché gli ordini sono ordini e la disciplina è disciplina. Lasciare crescere i capelli era stata una scelta che aveva preso molti anni prima, quando ancora era capitano delle Guardie Reali. Dopo un’infanzia passata nell’ignoranza della propria identità e una prima adolescenza nel fuggire dalla verità, Oscar aveva piano piano compreso che lottare contro l’ovvio sarebbe stato inutile e di impersonare Don Quijote nella battaglia contro i mulini a vento non aveva voglia. Non avrebbe più chiesto alla governante di prendere le forbici e tagliarli per adattare maggiormente il proprio aspetto a quello maschile, tanto più che non aveva visto mai intorno a sé un uomo con i capelli corti. E poi le piaceva la sensazione che le dava il vento che li agitava quando andava a cavallo, benché talvolta le finissero davanti agli occhi nei momenti meno opportuni e la importunassero. Li aveva lasciati crescere senza mai costringerli in ridicoli accessori, non tanto per vanità quanto per una soddisfazione personale. Era la prima volta che decideva per sé, che dava retta alla propria volontà senza intercessioni esterne; la prima volta in cui cosa fare con il proprio corpo era una questione che riguardava solo lei. Sapeva che si trattava di una sciocchezza e che ormai le vicende importanti erano già state organizzate dal padre nei primi anni di vita, ma non poteva non provare un attaccamento particolare verso quel dettaglio tanto superficiale ma evidente. Spiegava di lei più di quanto riuscissero migliaia di parole.

Ora invece aspettava in piedi davanti a una porta di legno dipinta di grigio, il cappello nuovo calato sulla fronte e un fastidioso solletico al collo. I lembi del velluto le sfioravano la pelle ad ogni movimento, provocandole un leggero ma continuo prurito. Si augurava che arrivasse in fretta il momento di tornare a palazzo, non ne poteva già più di tutti quei convenevoli che facevano passare l’etichetta e il protocollo di Versailles alla stregua di un gioco. I due tenenti l’affiancavano uno per lato, un passo indietro, in religioso silenzio. Nessuno aveva la minima intenzione di aprire bocca e infrangere la coltre di pensieri e riflessioni che, di sicuro, le stavano affollando la mente. Ricordavano bene il momento in cui erano loro gli ultimi arrivati, insieme ad altri ufficiali, e l’Ammiraglio li aveva voluti incontrare prima di prendere servizio. Chissà se fosse a conoscenza del…

All’improvviso la porta si aprì e un ometto canuto in uniforme apparve guardandoli tutti e tre dall’alto in basso da dietro un monocolo rotondo. Aveva l’aria accigliata, un po’ indispettita da ciò che vedeva. De Valeau e D’Audiffret lo stavano salutando impettiti accanto ad una persona, impegnata anch’essa nella medesima forzata cordialità, che non riusciva a decifrare. La sua figura era troppo snella e aggraziata, il portamento troppo raffinato, le mani decisamente troppo affusolate e delicate perché si trattasse di un uomo. Eppure portava una divisa, aveva una spada scintillante agganciata in vita ed era sicuro di aver letto bene sul documento, che scrutò un’altra volta per essere certo mentre quello strano sconosciuto si presentava.

“Sono il Capitano Oscar François De Jarjayes.” affermò lei in un saluto militare eseguito alla perfezione, con sicurezza e rispetto.

“Prego, entrate pure…” rispose l’ufficiale facendo segno ai tre di avanzare senza mai distogliere gli occhi dal foglio. Ci doveva essere stato un errore, forse lo stavano prendendo in giro, oppure la vista era calata troppo e non bastava quel piccolo arnese rotondo ad alleviarne gli inconvenienti. “L’Ammiraglio e il  Maggiore saranno subito qui da voi. Vado a chiamarli, con permesso.”

Oscar annuì col capo più per evitare di dare conferma ai dubbi che aveva notato sorgergli in viso incontrandola che non per dare un’autorizzazione a fare alcunché, non essendo nel suo ruolo. Osservò l’ufficiale camminare e poi sparire oltre la porta dopo aver lasciato il documento di ammissione all’incarico sulla scrivania.

Il silenzio calò pesante nell’ufficio, si sentivano solo i respiri nervosi dei presenti e il ronzare di un’ape davanti alla finestra nel tentativo di superare il vetro e fuggire via. Lo stesso che avrebbero voluto fare anche gli altri nella stanza: tutti avrebbero preferito un’esercitazione notturna pur di non affrontare la successiva ora di lungaggini verbose e inutili, ma il dovere richiedeva un po’ di noia a volte.  

Dopo un paio di minuti, l’ometto accigliato tornò insieme ad un paio di ufficiali in grande spolvero. Il primo era un personaggio dal volto particolare che Oscar ebbe l’impressione di aver già visto da qualche parte: i suoi occhi piccoli e castani, le labbra carnose, il naso allungato, le sopracciglia spesse… Doveva per forza aver già incrociato il proprio cammino con il suo, era un viso troppo particolare e poi quell’attaccatura dei capelli alta sulla fronte nonostante la parrucca grigia non era così frequente a Versailles… Anzi, uno dei motivi per cui i gentiluomini le indossavano era proprio la necessità di coprire certe incombenze maschili. Camminava con un’andatura solida ma un po’ stanca, come se i cinquantasette anni di età che portava gli pesassero sulle spalle (e sulle palpebre, sempre non del tutto aperte). Il secondo, invece, era decisamente più giovane, doveva avere giusto qualche anno più di lei. Aveva i capelli castani e l’aria di chi non necessitava di spiegazioni. Sapeva perché si trovava lì, sapeva cosa sarebbe stato detto, sapeva quanto il colloquio sarebbe durato prima di poter uscire da quella stanza e svolgere il proprio compito, benché lo avesse infastidito non poco doverlo anticipare di quattordici ore.

Un ennesimo saluto militare scosse l’immobilità dei presenti.

“Capitano Oscar François De Jarjayes, buonasera!” esclamò il più anziano invitando al riposo di tutti. “È un piacere vedervi di nuovo e un onore sapere che siete dei nostri adesso. Dovete sapere…” disse rivolgendosi agli altri sparsi in vari punti della stanza, “che a Versailles non esiste nobile di alcun rango che non conosca le gesta del nostro nuovo arrivato!”

Oscar ringraziò con un po’ di imbarazzo, tuttavia contenta di sapere che tanti sforzi e sacrifici avevano dato i loro frutti. Le sue parole le avevano acceso una mezza luce nel buio della mente alla ricerca di una risposta: a Palazzo di alti ufficiali era sempre pieno, ad ogni ora e ogni giorno, dovevano essersi incontrati lì. Eppure era impossibile che un volto tra tanti le fosse rimasto impresso così bene, pur essendo sufficientemente fisionomista…
“Suo padre, il Generale Jarjayes, è un amico di vecchia data e non appena mi è stato riferito di questo trasferimento mi sono messo all’opera per combinare un incontro e discuterne. Non vi dispiacerà se vi abbiamo scavalcato in quell’occasione, Capitano, ma purtroppo mi era stato riferito che in quei giorni eravate via…”

A quelle parole, lo sguardo di Oscar si accese come colto da un’illuminazione: certamente lo conosceva, dev’essersi recato a Palazzo Jarjayes chissà quante volte in passato! 

I due tenenti si lanciarono un’occhiata furtiva a metà fra lo stupore e la perplessità. Si conoscevano già? Versailles era così ristretta da permettere a chiunque di incontrare tutti e ricordarseli per anni? Ma soprattutto, c’era una famiglia che aveva accolto le velleità fuori dal comune di quell’eccezione alle regole del mondo senza protestare né dissuaderla? Parigi doveva essere un luogo veramente eccentrico, non c’era che dire…
“Nessun problema, Ammiraglio De Rohan.” rispose la giovane donna stringendo sotto il braccio il cappello che si era tolta appena entrata nell’ufficio. “Mio padre è la persona di cui io mi fidi di più al mondo, eravate in ottime mani.” e si lasciò scappare un mezzo sorriso all’idea che qualcuno tanto severo e rigido avesse potuto parlare di lei in modo abbastanza entusiasta da lasciare nell’Ammiraglio un’impressione così positiva. Mentalmente lo ringraziò, pensando che gli avrebbe scritto appena l’occasione si fosse presentata.

Il colloquio con il prince étranger1 durò all’incirca un’ora. Il prospetto che l’alto ufficiale le fece circa i successivi tre giorni non era molto diverso da quanto le era già stato riferito dal tenente poco prima: comprendeva la necessità di adattarsi a un ambiente completamente nuovo di cui sapeva che avesse una conoscenza relativa ma comunque sufficiente per potersi non considerare del tutto digiuna. In ogni caso, le prossime settantadue ore le sarebbero servite per colmare più lacune possibili; da lì in poi sarebbero stati l’esperienza di comandante, l’istinto e una buona dose di fortuna a guidarla. Capitano, dovete sapere che al mare non interessa quanto scaltri siamo e quante precauzioni prendiamo: se decide di portarci fuori rotta, o di affogarci con un’onda, compie il suo dovere.

Oscar ascoltava attenta, nonostante il continuo fastidio al collo dato dal nastro che legava i capelli. Sfogava la voglia di uscire da e andare a conoscere l’equipaggio stringendo con le dita il cappello che reggeva vicino alla gamba. L’idea di avere a che fare con un elemento come l’acqua, capace di essere allo stesso tempo amico e nemico, le infondeva una gran dose di adrenalina in corpo. Il mare era diverso da lei: non aveva disciplina, non gli importava se infrangendosi avrebbe distrutto una vita intera di sforzi o bagnato appena la battigia; eppure, c’era comunque qualcosa che li accomunava: incontenibili, talvolta umorali e talvolta pacifici, con un’insaziabile voglia – anzi, necessità – di essere liberi, amavano entrambi il soffio del vento e il calore del sole. Si chiese se ci fosse stato altro a parte il caso ad accompagnarla in Marina, una ragione recondita che governava l’universo, ma preferì non cercare di darsi una risposta. Aveva altro a cui pensare, non poteva distrarsi troppo.

“Capitano, io non posso assicurarvi che tutto qui andrà bene…” affermò l’Ammiraglio nel bel mezzo del discorso, come se avesse tirato fuori l’argomento da una tasca nascosta. “A parte l’incognita delle condizioni marine che diventerà presto una costante, gli uomini che troverà sulla nave non sono come i soldati della Guardia Reale.”

“Perdonate la franchezza, Ammiraglio De Rohan,” lo interruppe lei “ma se avessi voluto replicare l’esperienza passata, sarei rimasta a Versailles.”

Touché. Il Generale aveva ragione: non esisteva al mondo uomo in divisa caparbio quanto sua figlia e dal tono deciso, irremovibile di quelle parole aveva la certezza che non le avesse pronunciate tanto per ascoltare il suono della propria voce. De Rohan fu contento di sentirglielo dire: l’Héros era un vascello particolarmente difficile da gestire, in special modo perché i suoi ufficiali erano cambiati di frequente negli ultimi sei mesi e l’equipaggio, tra l’ingresso di nuove reclute e antichi malumori, era incline a minacce di ammutinamento, risse e discontinuità di ogni sorta.

Sentendo Oscar usare il femminile in risposta al maschile dell’interlocutore, gli altri presenti alla conversazione la guardarono mostrando reazioni diverse. Da un lato De Valeau e D’Audiffret ebbero la conferma definitiva di ciò che avevano già capito da soli e si lanciarono un’occhiata complice: quella donna in divisa non avrebbe avuto vita facile, è vero, ma la sicurezza con cui parlava di sé senza indugiare su chi e cosa fosse sarebbe diventata l’arma decisiva per difendersi al meglio.

Dall’altra parte, il Maggiore di vascello De Chabon2 non credette di aver afferrato bene la situazione. Che il nuovo capitano non avesse un aspetto particolarmente virile era ovvio, ma anche lui stesso, a inizio carriera, aveva una prestanza fisica ben diversa. La data di nascita che aveva letto sul documento, però, non poteva sbagliare: 25 dicembre 1755. Non era un ragazzino, aveva compiuto da alcuni mesi trentadue anni… Appena tre meno dei propri. L’Ammiraglio De Rohan, su espressa richiesta dei sovrani, stava affidando l’incarico a una donna. Il giovane uomo la squadrò dalla testa ai piedi in silenzio mentre proseguiva il colloquio con il loro superiore. Era combattuto: detestava quella sconosciuta comparsa dal nulla che lo aveva appena ingannato sulla sua identità, non tollerava che una parvenue con l’aspetto del principe azzurro lo avesse appena superato di grado senza avere alcuna esperienza di navigazione. Comandare dei damerini ben vestiti che giocano a fare i cavalieri a corte non era come solcare i mari, avere a che fare con gente inaffidabile e rozza, nel migliore dei casi sfortunati! Surclassato da una donna, che, per di più, lo aveva costretto a presentarle l’equipaggio la sera stessa dell’arrivo invece che il giorno dopo… Eppure c’era qualcosa in lei, ora che sapeva chi fosse davvero, che lo affascinava. Forse era l’eccezionalità del caso, la non consuetudine di avere davanti agli occhi un’uniforme indossata come si deve, o la sicurezza nel suo modo di esprimersi e di reggere sempre lo sguardo per non escludere nessuno dalla conversazione. Aveva vissuto per la carriera in Marina troppo a lungo perché prima o poi non giungesse l’occasione di accorgersi di altro e, purtroppo per entrambi, era toccato a lei risvegliare una parte di sé che credeva sopita nel torpore di tradizionali abitudini marinaresche. Non avevano neanche ancora avuto l’occasione di scambiare una parola che già lo sapeva: Oscar François De Jarjayes sarebbe stata la sua croce.

La voce del loro superiore lo risvegliò dai propri pensieri quando udì il suo invito a presentarsi. Si ripromise di non sembrare troppo indispettito da tutta la situazione, benché gli fosse difficile mantenere il controllo: l’orgoglio militare ferito sanguinava più di una pugnalata.

“Maggiore di vascello Jean René César de Saint-Julien de Chabon, à vos ordres!” esclamò il sottoposto mentre si prestava ad un perfetto saluto, il cinquantesimo che si scambiavano tra tutti in una sola giornata.
Oscar ricambiò e allungò un braccio per stringergli la mano. Non gli era mai capitata una presa femminile così vigorosa, soprattutto perché di solito alla donne riservava un elegante ed educato baciamano. Chissà se ne avesse mai ricevuto uno lei, se qualcuno l’avesse mai trattata come ogni sua simile, se ne fosse valsa la pena… Ritornarono entrambi al proprio posto, mentre De Rohan si lanciava nelle ultime raccomandazioni prima di avviarsi alla conclusione di quel lungo colloquio.

“Vi affido al Maggiore: ha molta più esperienza di quanto i suoi anni suggeriscano, conosce la Flotta di Levante3 meglio di chiunque altro e sono sicuro non avrete problemi di sorta insieme. Vi auguro che l’incontro con l’equipaggio sia di buon auspicio per una grande carriera in Marina, Capitano. La aspetto qui domani mattina alle otto e trenta puntuali. Buonasera!”

Il problema di dover accompagnare quella donna sull’Héros4, rifletteva De Chabon camminandole accanto dalla base di terra al porto seguiti dai due tenenti, riguardava principalmente il fatto che non appena l’equipaggio se ne fosse accorto, le avrebbe scatenato addosso i peggiori pensieri. Li conosceva, li aveva visti avvicinare il gentil sesso in ogni porto dove avessero attraccato negli ultimi anni e soprattutto aveva sentito il genere di discorsi che sapevano tirar fuori. Chiunque, anche quelli più scolarizzati e con l’albero genealogico iscritto nei registri di corte, era capace di dare il peggio di sé davanti a una gonna. Per fortuna, chi gli era stata affidata indossava i pantaloni, ma era chiaro che gli uomini fossero altri.  Sia metaforicamente che fisicamente: quelli che stava per incontrare erano maschi, spesso della peggior specie, grandi almeno il doppio di lei e forti come degli orsi. Se fossero mai arrivati a una discussione – eventualità abbastanza in programma, data almeno parte dei soggetti in causa – e si fosse accesa un po’ troppo, l’avrebbero sovrastata in un batter d’occhio. Avrebbe dovuto essere molto più scaltra di loro per sopravvivere: determinata, sveglia, sicura di sé, molto bella e affascinante non erano abbastanza da quelle parti.

Una volta fuori dall’edificio, il sole era coperto per tre quarti dall’orizzonte e colorava la città con un velo arancione intensissimo. I gabbiani stridevano nell’aria del tramonto mentre i cavalli dei cinque militari sbuffavano e nitrivano contrariati mentre gli addetti alle stalle li tenevano fermi al cenno di De Chabon che non sarebbero serviti fino al loro ritorno.

Oscar si voltò e incontrò lo sguardo un po’ smarrito di César. Doveva mancargli la campagna parigina, benché anche lì intorno di spazi verdi infiniti ce ne fossero abbastanza per sfogare le frustrazioni di entrambi a gran velocità. Lo avrebbe portato in giro, una di quelle sere, o meglio, si sarebbe fatta accompagnare dal valoroso destriero che da anni ormai la seguiva ovunque. Tranne sulla nave, lì sarebbe stato di impiccio a chiunque.

La distanza dal porto era brevissima e in meno di cinque minuti avevano raggiunto la banchina dove una lunga passerella di legno collegava la terraferma a un enorme vascello dalle vele spiegate. Lo scafo si protendeva con fierezza fuori dall'acqua, in attesa di fendere le onde con grazia e potenza. Lungo la fiancata, finestre rettangolari e oblò scolpiti permettevano al sole di filtrare, rivelando l'atmosfera calda e avvolgente del ponte. Gli intagli ornamentali che adornavano la murata conferivano al vascello un'aura di nobiltà, sottolineata dalle file parallele di cannoni che spuntavano da entrambi i lati dell’imbarcazione. Il movimento allo stesso tempo delicato ma possente delle vele accompagnava il soffio del vento, mentre in cima all'albero maestro sventolava con orgoglio la bandiera dei Borbone, testimone silenziosa dei viaggi intrapresi in nome di Sua Maestà il Re.

“Dopo di voi.” dichiarò D’Audiffret facendole strada con un cordiale gesto della mano.

Oscar lo ringraziò con un mezzo sorriso e si incamminò decisa verso il ponte superiore. Più il dislivello cresceva, più un misto di adrenalina e agitazione le scuoteva il sangue nelle vene. Si ricordò che il primo giorno da Capitano delle Guardie Reali, diciott’anni prima, non aveva provato altro che una sensazione di incertezza riguardo quella scelta: era sicura che sarebbe stata all’altezza, d’altronde lei era sempre all’altezza di tutto dopo l’accademia (e anche prima…); si era domandata solo se la sua vita sarebbe stata davvero sulla strada giusta una volta indossata l’uniforme. Aveva il mondo in mano all’epoca, ora invece sapeva solo di avere il tricorno con il fiocco bianco cucito davanti da un lato e l’elsa della spada dall’altro. Era faticoso ricominciare a quel punto, con quel vissuto, quelle vittorie e quelle sconfitte sulle spalle. Eppure, ormai era lì, stava scavalcando il dislivello che separava la nave dalla passerella di legno, si trovava su un vascello immenso e tutto sommato ne fu contenta.


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Note:
1) https://it.wikipedia.org/wiki/Prince_%C3%A9tranger
2) https://it.wikipedia.org/wiki/Jean_Ren%C3%A9_C%C3%A9sar_de_Saint-Julien_de_Chabon
3) https://it.m.wikipedia.org/wiki/Flotta_di_Levante
4) Vedi nota 3

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Capitolo 5
*** Héros (parte 2) ***


parte 2

Sparpagliati qua e là ovunque sulla nave, sia sul ponte che sottocoperta, gli uomini dell’equipaggio si dividevano tra chi si dava da fare per sistemare le ultime cose in vista dell’esercitazione del giorno dopo (i mozzi, le reclute e i marinai di più basso rango che ancora credevano nel proprio lavoro) e chi, invece, perdeva tempo seduto da qualche parte a giocare a carte o a scambiarsi la fiaschetta piena di un qualche alcolico rimediato chissà dove e chissà quando.

Nonostante fosse stato annunciato loro che il nuovo capitano sarebbe forse potuto arrivare con anticipo per conoscerli, nessuno si era scomposto più di tanto. C’era chi aveva riso a quella notizia – figuriamoci se qualcuno si prende il disturbo! – e chi non aveva mosso un muscolo preferendo continuare con la propria giornata nel via vai delle cose da fare e delle persone da incontrate per una volta che i giorni di fermo al porto sarebbero stati più del consueto. E poi c’era chi, in silenzio, aveva sentito il cuore saltare un battito e, nascosto dietro l’inedito ruolo di marinaio, si era reso conto che, finalmente, l’avrebbe rivista. Gli mancava il suono della sua voce, il suo viso concentrato e serio, il suo modo fermo di dare gli ordini. Le sarebbe servita tutta la risolutezza di cui disponeva ora che si sarebbe trovata davanti una ciurma di gente indisciplinata e scorbutica. Se Dio non l’avesse protetta abbastanza, ci avrebbe pensato lui.

“Sta arrivando il Capitano, presto!” esclamò con esagerata concitazione uno dei mozzi, un ragazzino di nome Gérard paffuto, con i capelli ricci e scuri e gli occhi di un bambino troppo cresciuto.

L’equipaggio si riunì in fretta tra il rumore dei passi pesanti sulle travi di legno e il vociare di chi cercava di riportare gli altri sul ponte. Dopo alcuni minuti di concitazione, un infinito stuolo di marinai di ogni età, provenienza, aspetto, classe sociale e grado era pronto all’incontro con il nuovo superiore. Ad una rapida occhiata sembravano più in disordine di prima, ma prestando più attenzione si poteva notare che i gruppi erano divisi, tra babordo e tribordo, per mansione e riconoscibili dalle uniformi. O meglio, dalle uniformi per chi aveva diritto ad indossarne una e dall’abbigliamento semplice e di relativa qualità, in base al ruolo che ricoprivano nell’economia del vascello.
Da babordo apparve una figura dall’incedere elegante vestita di blu e rosso, seguita da quelle di tre ufficiali a loro ben note che camminavano alle sue spalle. Man mano che si avvicinava, i lineamenti del suo volto si rendevano più chiari e definiti, almeno a chi si era sistemato verso prua. Il nuovo capitano aveva una folta chioma di capelli biondi raccolti da un fiocco blu in una cosa bassa, un paio di severi occhi azzurri capaci di gelare con un solo sguardo chiunque – i più giovani – rompesse le righe per sporgersi nella sua direzione.

Il nuovo arrivato avanzò ancora di mezzo metro, poi si fermò dove iniziavano i due gruppi in modo da averli entrambi a portata di sguardo.  Erano tante le facce che le si presentavano davanti, non avrebbe mai potuto imparare tutti i nomi corrispondenti nemmeno volendo e la cosa le dispiaceva. Ci avrebbe comunque provato, d’altronde non avevano grandi distrazioni durante il periodo di navigazione…

“Equipaggio, il mio nome è Oscar François De Jarjayes e sono il vostro nuovo Capitano di vascello!” esclamò la giovane donna a gran voce per permettere anche agli ultimi in fondo di ascoltarla, mentre esibiva un altro saluto militare contraccambiato dall’intera ciurma.

Il Maggiore De Chabon le si avvicinò e, con un gesto della mano la invitò a cominciare il giro di ricognizione. Per ogni metro che raggiungevano, l’ufficiale spendeva almeno dieci minuti a spiegarle nel dettaglio chi fossero i gruppi di naviganti che li circondavano osservando un punto indefinito davanti a sé con la mano ancora puntata alla tempia. Dopo il primo incontro con i mozzi – perlopiù persone a cui lei, in tutta sincerità, non avrebbe affidato altro che libri da leggere, data la giovane età e l’aria ingenua – i due raggiunsero il grande gruppo dei marinai. Un numero considerevole di reclute giunte da ogni parte di Francia, ma con una prevalenza di autoctoni della Provenza e della zona di Tolone, la salutava con rispetto. Sapeva che nessuno di loro era lì per spirito di avventura o per un sacro fuoco che ardeva all’idea di solcare il Mediterraneo, non era neanche il motivo per cui lei stessa era su quella nave, d’altronde… La quasi totalità di loro si era imbarcata perché la vita sulla terraferma era ormai diventata insostenibile per la povera gente e chi si arruolava lo faceva per non morire di fame, o non far morire di fame la famiglia. Erano facce di chi non aveva più niente da perdere, di chi rischiava perché almeno evitava di sprecare tempo e i pochi spicci che ancora avevano nelle peggiori taverne che trovavano sul proprio cammino. Oscar li osservava il più possibile uno a uno, riconosceva sui loro visi scavati la disperazione di un paese in rovina, della popolazione di Parigi, delle persone  riunite a discutere dei soprusi a cui erano costrette in quella chiesa dove l’aveva portata André.

Mentre il pensiero della sera in cui aveva avuto l’ennesima dimostrazione di non potersi più voltare dall’altra parte stava sovrastando la voce del Maggiore impegnato nelle presentazioni, i suoi occhi si posarono su un giovane alto in seconda fila. Era come se il ricordo si fosse materializzato davanti a lei nel momento esatto in cui le aveva attraversato la mente.

Per un istante negò. O, meglio, si rifiutò di crederci. Non era possibile, era stata chiara: non aveva più bisogno del suo aiuto, avrebbe vissuto come un uomo e, in quanto tale, il supporto di un attendente sarebbe diventato inutile e superfluo. Pur avendo immediatamente dovuto constatare che gli uomini nella vita reale erano diversi da come era stata convinta che fossero, non aveva abbandonato il proposito di cambiare percorso. Se anche l’uomo soffre per amore, se necessita di aiuto, se non è un’isola in mezzo al mare, allora lei sarebbe diventata il proprio modello di uomo e lo avrebbe fatto senza guardare in faccia nessuno. Aveva un prezzo altissimo quel cambio di rotta, anche e soprattutto in termini di persone che avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle. Tutto il suo mondo era stato un’illusione, una gabbia dorata davanti alla quale il resto si fermava. Chi lo popolava le era caro, ma aveva più di un motivo per sentire di dover farcela da sola adesso.

Eppure, eccolo di nuovo André. Testardo, cocciuto, fedele fino all’insolenza di non rispettare quanto aveva preteso da lui, ancora e sempre al suo fianco. I loro sguardi si incontrarono per la prima volta dopo venti giorni, nel silenzio reciproco. Oscar strinse il cappello con la mano, mentre un senso di frustrazione la colse all’improvviso bruciando nel petto come un fuoco ardente. Non aveva mai sopportato la sua volontaria incapacità di darle retta e, benché spesso avesse avuto ragione a fare di testa propria e fossero usciti entrambi salvi dalle situazioni peggiori grazie alla sua arbitrarietà di giudizio, non sarebbe tornata sui propri passi adesso. E non poteva neanche essere una coincidenza: a differenza sua, André un posto nel mondo lo aveva. La remota ipotesi che forse fosse lei non la sfiorò, o meglio non si fece sfiorare da essa. Schivò il pensiero con cura, non era quello che la interessava. Oscar aveva sofferto, e ancora soffriva, per via di quella sensazione di isolamento che l’accompagnava da quando aveva scoperto la verità. Non esisteva nessuno nella sua situazione, nessuno con cui confrontarsi, nessuno che la rassicurasse. Per molto tempo in quel ruolo si era adattato il suo amico, il suo attendente, un fratello di sangue diverso che, meno all’improvviso di quanto sembrasse e volesse credere, si era reimpossessato della propria identità e non aveva sentito ragione per un breve periodo di tempo che a lei era sembrato purtroppo eterno e pesava ancora su entrambi come un macigno. Si era già arresa all’idea che le mancasse e che sarebbe volentieri tornata indietro di anni pur di riavere ciò che era loro e solo loro – nonostante facesse di tutto da settimane pur di non pensarci troppo – e ora doveva nuovamente accettare di non avere in mano la situazione al completo.

Rimase con lo sguardo ancora un istante sul suo viso serio, coperto a metà dal ciuffo di capelli scuri che proteggevano l’occhio su cui si era avventato il Cavaliere Nero, mentre proseguiva il giro di conoscenza dell’equipaggio. Gli avrebbe parlato il più presto possibile, si ripromise, mentre l’ultimo paio di facce ingrigite dalla fatica di ogni giorno le passavano accanto prima di incontrare il gruppo dei figli dell’aristocrazia in cerca di cose da fare per non annoiarsi.

All’improvviso, Oscar notò che uno degli ultimi marinai semplici portava il braccio al collo e il suo viso mostrava più di una ferita non ancora cicatrizzata sul lato destro. Non le sembrava particolarmente in forma, soprattutto non nelle condizioni di prestare servizio sul vascello. Sapeva che la Marina reale fosse a corto di personale, in special modo ai livelli più bassi, ma non c’era ragione alcuna per cui si tenessero a bordo uomini da tenere a terra e curare. Per loro e per la flotta stessa.

“Come ti chiami?” gli chiese il Capitano.

“Martin, signore. Paul Martin.” rispose l’altro con un certo imbarazzo.

“Cosa ti è successo?”

“Mi sono ferito durante l’ultima esercitazione...” Tentennò: non capiva se fosse necessario spiegare l’intera vicenda o se bastasse così. Il precedente superiore non aveva dedicato nemmeno cinque minuti alla sua faccenda, ora invece c’era una persona che voleva addirittura saperne senza che lo avesse mai incontrato prima.

“Maggiore, quest’uomo non può stare qui. Finito il giro di presentazioni esigo che venga portato in infermeria alla base di terra e che ci rimanga finché non sarà di nuovo in grado di muovere il braccio.” ordinò Oscar senza voltarsi verso chi le stava a pochi passi, ma sentì la presenza di uno di loro avvicinarsi alle proprie spalle.

“Ehm… Capitano…” esordì De Valeau a bassa voce, “L’infermeria di terra è piena, c’è stata un’epidemia su una corvetta della 7ª squadra un mese fa.”

La giovane donna lo squadrò severa, incredula. Non le interessava neanche sapere che malattia fosse. Come potevano essere terminati i posti letto nell’infermeria di un corpo militare così grande come la Marina reale? Possibile che la situazione fosse già così disperata? Un principio di mal di testa cominciò a insinuarsi furtivo e non capiva se fosse per quella scomoda coda che le tirava i capelli, per l’improvvisata di André o la disorganizzazione di quel posto.

“Domani ricordatemi di firmargli il permesso di riposo, non può rimanere qui.” concluse lei, annotando mentalmente la sua espressione commossa. “Se l’infermeria non ha posto, ci saranno gli alloggi liberi degli allievi. Ovunque, purché non stia a bordo mettendo a rischio se stesso e gli altri.”

Per circa tre quarti d’ora il Maggiore De Chabon, e i tenenti De Valeau e D’Audiffret scortarono il loro Capitano avanti e indietro sul ponte del vascello, elencando una lista di nomi, cognomi e titoli nobiliari di sottoufficiali e ufficiali che le si presentavano davanti concluso il gruppo dei figli del popolo. A Oscar importava delle generalità di quelle persone nella misura in cui il grado che ricoprivano fosse rispettato e il ruolo svolto al massimo delle loro possibilità. Sapeva di non dover giudicare dalle apparenze e l’esperienza glielo aveva insegnato tante volte, eppure non poté fare a meno di pensare che molti non avessero la minima idea di dove si trovassero e che uno, al contrario, ne avesse troppa. Quando lo raggiunsero gli si fermò davanti e lo interrogò prima ancora che De Chabon potesse proferire verbo.

“Come vi chiamate?” gli domandò notando, con un certo disappunto, che la sua uniforme di guardiamarina non era del tutto in ordine come avrebbe voluto che fosse e dovuto essere.

“De Soisson. Alain De Soisson.” rispose il giovane uomo. Non doveva avere neanche trent’anni, ma dall’atteggiamento spavaldo e sicuro che mostrava era come se ne avesse avuti venti in più. Non abbassava mai lo sguardo, reggeva in silenzio quello del suo nuovo superiore con aria di rispettosa sfida. Se c’era una cosa che Versailles le aveva insegnato, poi, era saper riconoscere l’appartenenza sociale delle persone soltanto dal modo in cui si presentavano.  De Soisson: non aveva un titolo, quella particella che precedeva anche il proprio cognome le suggeriva che un tempo la sua famiglia doveva essere stata nobile. Probabilmente non gliene importava granché, non aveva l’aria di essere uno come gli altri ufficiali né di tenerci particolarmente a rimarcare le origini.

“La prossima volta pretendo che l’uniforme sia in ordine.” concluse Oscar in modo imperativo. Bisognava ripartire da zero, a quanto pareva, ricominciare da capo pregando che la ricostruzione non costasse troppo in termini di… tutto.

“Sì, signor Capitano!” Alain le aveva risposto con un tono stranamente più alto che in precedenza, come a voler sovrastare la sua benché fosse quasi impossibile data l’esiguità del loro scambio di parole.

“Abbassate la voce. Ci sento ancora bene.” lo liquidò il suo superiore prima di proseguire con gli ultimi ufficiali.

Qualsiasi cosa il guardiamarina avesse in mente, i due tenenti lo tenevano d’occhio già da tempo e quest’episodio neanche troppo fraintendibile sarebbe finito dritto nella lista dei motivi per cui lo avrebbero punito alla prima buona occasione.

Alla fine delle presentazioni, Oscar si congedò. Tutto sommato, l’avevano preparata ad aspettarsi il peggio e invece qualcosa si poteva comunque salvare. Certo, non erano le Guardie Reali, ma di sicuro erano la sfida che attendeva da tempo, quella che l’avrebbe messa alla prova come persona prima ancora che come militare. Lanciò poi un ultimo sguardo all’equipaggio, che si stagliava davanti ad un cielo quasi del tutto scuro adesso mentre il vento della sera agitava le cordate e muoveva la bandiera della famiglia Borbone in cima all’albero maestro. I suoi occhi si soffermarono un secondo di più ancora su André, silenzioso e sull’attenti in seconda fila, e su tutto ciò che gli avrebbe voluto dire, rinfacciare, ma anche il silenzio pesante con cui avrebbe voluto comunicargli la delusione di averlo scoperto lì. Non era il suo posto quello, non doveva più seguirla ovunque andasse. Se si fosse cacciato nei guai non avrebbe nemmeno più potuto salvargli la pelle, o avrebbe fatto favoritismi inaccettabili, e non poteva pensarlo in mezzo a quegli energumeni. Nella mente lo supplicò di stare lontano dalle provocazioni, per quanto potesse servirgli…

Un saluto militare condiviso da tutti segnò la conclusione di quella visita anticipata. Il Capitano si voltò con gli ufficiali e insieme si avviarono di nuovo alla passerella per scendere dal vascello e ritornare alla base di terra. La giornata stava finalmente terminando, almeno per qualcuno. Oscar non aprì bocca per tutto il tragitto nonostante i tre uomini avessero ripreso a parlare e commentare l’ora circa precedente. Di tanto in tanto rispondeva con un movimento del capo, o guardava l’interlocutore sicura di farsi capire, ma non le interessava liberarsi delle proprie impressioni con quegli sconosciuti. Non ce n’era neanche bisogno, in realtà, non era il suo compito giudicare.
Il Maggiore la chiamò un paio di volte prima di avere la sua attenzione, poi si spinse in una domanda fuori luogo che sentiva premergli troppo per trattenersi. “Credete che qualcuno… abbia capito?” domandò in tono furtivo, quasi come se le stesse rivelando di aver appena escogitato un piano infallibile per irrompere a Palazzo e rapire il Delfino.

Ci sono problemi ben più grandi dei miei connotati, su questa nave avrebbe voluto rispondergli in tutta franchezza, ma si limitò a scrollare le spalle e guardare indietro verso il vascello. Sapeva anche lei che quello era uno dei problemi e non di poco conto, ma il suo obiettivo ormai era quello di non tenere in considerazione null’altro a eccezione della ragione per cui aveva viaggiato metà settimana in carrozza da Parigi per arrivare lì.

“Capitano, volete compagnia tornando a casa?” domandò De Chabon davanti allo sguardo imbarazzato di De Valeau e D’Audiffret. Tra tutti, in sole otto ore stavano collezionando una serie di tentativi maldestri di fondere la galanteria d’obbligo con le signore e il rigore del ruolo militare da far impallidire il peggiore dei seduttori.

“Sono sicura di ricordarmi la strada, Maggiore, grazie comunque.”

***

Nel marasma di uomini in giro per il ponte, sottocoperta o addirittura pronti a scendere dalla nave per ritornare il mattino seguente, André era riuscito a ricavarsi un minimo spazio da solo sulla balaustra di babordo. Stringeva il legno con tutta la forza che aveva, come se cercasse di rimanere in piedi nel bel mezzo di una tempesta. Il mare, però, era calmo, brillava scuro sotto i raggi della luna e le stelle si riflettevano sulla superficie. Lo sguardo era lanciato lontano, a terra, seguiva l’incedere sicuro della donna che amava piegarsi appena alla fatica di un mondo nuovo a cui ancora doveva abituarsi. Gli si stringevano il cuore e lo stomaco all’idea di averle fatto un ulteriore sgarbo, di non aver rispettato ancora il suo volere, ma questa volta era per un motivo più nobile e necessario. André doveva assicurarsi che Oscar stesse bene, era fondamentale non perderla di vista, a maggior ragione adesso che sarebbe stata circondata da gente poco raccomandabile. Non poteva immaginare il momento in cui i marinai avrebbero scoperto quel segreto senza la propria presenza al suo fianco per evitarle problemi. Anche gli uomini hanno bisogno di sostegno, non impedirmi di esserlo per te…

“Amico, che fai qui da solo?” gli domandò all’improvviso Alain con una pacca sulla spalla un po’ troppo energica che lo spaventò per un attimo. “Sei appena arrivato e già vuoi buttarti? Aspetta almeno due settimane…”

“Niente di tutto ciò, Alain…” rispose André in tono mesto. Che senso avrebbe avuto gettarsi in mare? Non poteva vivere all’idea di non vedere mai più quegli occhi azzurri che lo facevano soffrire più di una coltellata nel cuore.

Il guardiamarina lo studiò un momento, poi seguì la direzione del suo sguardo e quando finalmente si girò con il corpo e abbassò la testa sospirando, la nebbia gli si diradò dalla mente. “È per quella donna?”

Il novello marinaio si stupì di sentire le sue parole. Come faceva a sapere la verità sul Capitano? L’avevano sentita tutti parlare, non aveva mai usato il femminile… Certo era che Oscar potesse passare per uomo soltanto in certi ambienti, di cui quello non faceva parte. Magari anche gli altri se n’erano accorti, ma pregò che così non fosse per paura dei pensieri che le avrebbero rivolto. Annuì sconsolato, tanto valeva dire almeno a lui la verità.

“Ma non ne vale la pena, amico! È un’altra categoria quella, non c’entra niente con noi e tu non sei poi così differente…”

“È un po’ più complicato di così.” lo interruppe l’altro, punto nell’orgoglio.

Alain non capiva e forse non voleva nemmeno farlo. Erano affaracci suoi, ricordava una conversazione che avevano avuto alla taverna settimane prima, ma i fumi dell’alcol gli avevano cancellato i punti salienti. Sapeva solo che ora stava su quella nave piena di problemi a cui si erano aggiunti la donna con i pantaloni e l’innamorato sconsolato. Ma che gente bizzarra c’era a Parigi? Tirò fuori uno stecchino di legno dalla tasca e lo portò alle labbra, intenzionato a lasciare l’amico macerare nel proprio dolore finché non avesse voluto unirsi agli altri. Non capitava tutti i momenti di rimanere al porto più giorni del solito e questo lo doveva alla sua bella. Che, doveva ammettere, lo era effettivamente, ma il loro primo incontro sarebbe potuto andare meglio e già non la sopportava.

Il vociare caotico degli uomini in procinto di scendere e perdersi chissà dove con chissà chi venne interrotto dall’arrivo di Alain. Non si capiva bene cosa si stessero dicendo, quantomeno André non riusciva a distinguere le loro parole concentrato com’era a crogiolarsi nella disperazione che nessuno sembrava cogliere davvero. Parlavano di bere, divertirsi, ma a lui non interessava. Non quella sera, almeno. Non esisteva sufficiente vino in città capace di stordirlo abbastanza in fretta e impedirgli di pensare a lei, allo strappo, al dolore che le aveva provocato e alla ferita che non si sarebbe mai del tutto rimarginata. Si passò una mano sul volto per tentare di cancellare i segni della fatica e del sole che gli cominciava a far prudere la pelle per la troppa esposizione, quando la voce dell’amico gli rimbalzò nelle orecchie in modo troppo preciso perché fosse casuale.
“Io non mi faccio beccare, caro mio.” stava rispondendo Alain ad un tizio basso e calvo che lo aveva accusato di essere stato un idiota a servire al capitano un’occasione così stupida per riprenderlo davanti a tutti. “Volevo solo darle un assaggio di cosa troverà qui…”

“Fosse solo la tua uniforme in disordine!” esclamarono i marinai in una specie di coro sgangherato.

Uno di loro, però, aveva notato quell’inflessione della voce. Perché usare il femminile per il nuovo superiore? La strategia per far desistere e trasferire anche l’ultimo arrivato era sottintendere qualcosa di losco?

“Ah, ma allora siete proprio idioti!”  li benedisse lui alzando gli occhi al cielo e, con uno sguardo rapido verso André per controllare di avere la sua attenzione, diede il colpo di grazia e alzò bene la voce. “Ma davvero non vi siete accorti che il nostro nuovo capitano è una donna?”

Il silenzio cadde all’improvviso su tutto il ponte superiore, poi una fragorosa risata scosse marinai, mozzi e sottoufficiali. Una donna soldato, certo, ma cosa aveva bevuto? Forse avrebbe fatto meglio a non uscire, era già abbastanza ubriaco!

“Ah, non mi credete?” ribatté Alain che, non pago di tutto, volle insistere ancora un po’ per il puro gusto di farlo. “André…” ma nel chiamare il suo nome l’altro si stava allontanando per non cedere alla provocazione. Quando si era arruolato, le aveva tacitamente promesso di non mettersi nei guai e voleva dimostrarsi all’altezza.

“Hey, ce l’ha con te. Sei sordo, oltre che mezzo guercio?” si intromise un ragazzo alto più o meno quanto lui, un ufficiale di bordo che non voleva accettare un affronto del genere ai danni del loro capo ufficioso. I due si trovavano faccia a faccia a distanza troppo ravvicinata perché non ci fosse nell’aria tensione a sufficienza da incendiare qualsiasi miccia.

“Lasciami passare.” gli intimò André. Non era certo un venticinquenne con la giacca comprata dai favoritismi del padre a spaventarlo. Soprattutto non quando c’erano in ballo il nome e la reputazione di Oscar. Si voltò per tornare con lo sguardo su Alain, che scuoteva la testa come davanti a due bambini capricciosi.

“Tu rispondi alla domanda. È o non è una donna?”

Un attimo ancora di silenzio portò l’attenzione di tutti sull’involontario protagonista di quella serata.

“Sì, lo è.” concluse secco, nello sgomento generale. “Ma ha decisamente più attributi di te.”

Il suo interlocutore divenne paonazzo per l’insolenza che quel marinaio senza arte né parte gli aveva gettato addosso, davanti a tutti per giunta. Benché l’istinto e le mani gli suggerissero di risolvere la questione in ben altro modo, si lasciò trascinare via da Alain che se lo portò via di peso per evitare ulteriori problemi.

André si defilò nella distrazione generale, diretto verso la branda sottocoperta. Lo avrebbero potuto insultare, stendere a terra a suon di botte, non gliene sarebbe importato assolutamente nulla. Lo avrebbe preso come un conto da saldare con il fato, che gli aveva messo accanto la persona migliore del mondo e lui le aveva mancato di rispetto in modo tremendo. Ma con il nome di lei sulle labbra nessuno si sarebbe potuto permettere di superare il limite minimo della decenza.

Quando finalmente arrivò nella cabina, si accorse di essere completamente solo. Negli ultimi sette giorni qualcuno era rimasto a bordo nonostante non fosse di guardia, ma quella sera sembrava che tutti fossero in vena di festa. Beati loro, commentò fra sé e sé mentre la scomodità della branda gli ricordò una volta di più quanto fosse comodo il letto a palazzo Jarjayes. Gli mancava terribilmente casa, sentiva una grande nostalgia di tutti quelli che ci abitavano, compreso il Generale, a cui era affezionato e che non finiva mai di ringraziare per l’enorme regalo che gli aveva fatto ad ammetterlo da bambino sotto il suo tetto. E ad avergli dato la possibilità di stare fianco a fianco per tanto tempo a sua figlia, soprattutto, ché un’altra abitazione si sarebbe trovata in qualche modo ma una persona uguale a lei avrebbero dovuto inventarla…

Steso supino a fissare il soffitto, non si accorse delle lacrime che cominciarono a solcargli la guancia destra libera dai capelli. Quante ne aveva versate e quante ne avrebbe versate ancora? Cominciava a essere stanco anche di piangere. Se avesse trovato un modo alternativo per soffrire ci si sarebbe fiondato veloce. Bere ormai gli procurava solo una gran nausea il giorno dopo, andare a cavallo era impossibile ormai, distrarsi con altre donne lo indisponeva perché nessuna era e sarebbe mai stata quella che voleva lui. Si maledisse un’altra volta tirando un pugno contro la branda, che scricchiolò pericolosamente e corse il rischio di lasciarlo a dormire a terra per il resto dei giorni.

“Non ti sarai mica offeso?” chiese all’improvviso la voce di Alain dalla porta. “Stavamo scherzando, su! E poi quello là è un buono a nulla, sta qui perché suo padre gli ha comprato il posto, lo sai anche tu, te l’ho detto…”

“Lasciami in pace, per favore.” gli rispose André senza badare a chi fosse o cosa dicesse davvero.

“Senti, per me puoi pure rimanere qui dentro a vita, tanto al momento sei scarso in tutto il resto… Però non puoi trattarmi così, ti ho evitato un sacco di pugni stasera. Cosa avrebbe detto il capitano se ti avesse visto con la faccia livida? Non sembra, ma quello picchia!”

“Che me li sarei meritati.” tirò a indovinare il marinaio triste e le sue labbra si incresparono timide in un accenno di sorriso all’idea che Oscar gli avrebbe fatto il peggior rimprovero della sua vita se lo avesse visto tumefatto. Quasi quasi gli dispiaceva non aver potuto confrontarsi con quel tizio…
 
“E pensa che le avrei dato ragione.”

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Capitolo 6
*** Toujours à vos ordres ***


“Voi frequentavate Versailles, non è vero?” chiese De Chabon con il cucchiaino da zucchero ancora in mano.

Oscar soffiò sul tè rovente e annuì. Quell’uomo aveva un modo di fare conversazione un po’ troppo invadente per i suoi gusti, ma tutto sommato lo trovava gradevole abbastanza da dargli retta anche al di fuori di ciò di cui i rispettivi ruoli imponevano loro di parlare. Pensò anche, però, che fosse una domanda superflua, sapeva perfettamente da dove venisse e che cosa facesse prima di giungere in Provenza. E anche frequentare era riduttivo. Viveva la gran parte del proprio tempo a Versailles, della reggia conosceva perfino i corridoi nascosti dietro i muri.

“Per caso conoscete Hans Axel von Fersen?”

Quando il nome del conte svedese la raggiunse, un sorso di tè le scottò le labbra. Un’espressione attonita le dipinse il volto, illuminato dai raggi del sole che entravano nell’ufficio dalla finestra aperta, mentre con lo sguardo cercava nello spazio davanti a sé qualcosa di indefinito. Allontanò la tazza e la tenne a mezz’aria sul tavolo attorno cui sedevano, sufficientemente distante da qualsiasi foglio e documento.

Lei era fuggita da Parigi, dall’incarico a corte, da Palazzo, dal proprio ambiente per via del forte sentimento non corrisposto che provava per quell’uomo. Come un fulmine a ciel sereno, eccolo tornare a capofitto nella sua vita, scuoterla ancora, colpirla come un mese prima. Credeva che gli impegni con la Marina le stessero facendo bene e negli ultimi due giorni, comunque, le premeva di più cercare il bandolo della matassa della presenza di André sulla nave… Ma le bastò sentir pronunciare quel nome, per intero, che la sensazione di vuoto tra lo stomaco e il cuore si ripresentò prepotente. Possibile che dopo quattro settimane fosse ancora al punto di partenza?

Il Maggiore si accorse di averla turbata. Benché non fosse una persona di molte parole, non era – per quanto potesse dire di conoscerla dopo solo quarantotto ore – una che indugiava troppo sulle cose da dire. Adesso invece la vedeva tergiversare in silenzio, adagiare la tazza sul piattino facendo rumore con la ceramica bianca e posare lo sguardo sul proprio con inatteso sgomento. Tentò di scusarsi, ma venne fermato prima di poter anche solo formulare una frase.

“Sì, lo conoscevo.” disse la giovane donna usando un tempo passato che in fondo stupì anche lei stessa. Però era vero, lo conosceva. Si erano detti addio tra le lacrime, non era neanche riuscita a voltarsi per guardarlo mentre le dava il colpo di grazia con il rifiuto definitivo. Non sapeva più cosa facesse né dove fosse – anche se non era difficile presumerlo… – aveva deciso di non volerlo più sapere e andava bene così. L’imperfetto era più che adatto, dopotutto. “Perché?”

“Abbiamo combattuto insieme in America.” rispose lui.

La Guerra di indipendenza americana era stata una sorta di boccata di aria fresca per Oscar, o almeno così la ricordava. Non per l’evento in sé, chiaramente, le cui notizie aveva seguito ma senza prestarci l’attenzione che avrebbero meritato. Quella rivoluzione era stata il pretesto per imporre distanza tra le due persone più pericolosamente chiacchierate di Francia, sperando che la loro situazione si placasse, ma in fondo era servito anche a lei. Lo aveva allontanato per il tempo necessario ad illudersi che fosse tutto passato, fino al momento in cui poi il conte era tornato e quella sensazione allo stomaco si era ripresentata e l’aveva spinta fino al punto di rottura.

Oscar si accorse che il flusso di pensieri l’aveva distratta dal proprio interlocutore. Cercò di riprendere il filo del discorso, allontanando con un gesto della mano il piattino con sopra la tazza da tè ancora piena a metà.

“… Durante il viaggio verso il Nuovo Mondo, il Conte Fersen mi ha raccontato di un ufficiale delle Guardie Reali che lo aveva colpito particolarmente… Aveva avuto un primo incontro rocambolesco con questa persona...”

Rocambolesco era la parola giusta, sì. Negli anni successivi si era perfino trovata a voler maledire la sera del ballo in maschera per averglielo fatto incontrare e la sciagurata idea di abbassare la guardia nei suoi confronti.

“… Ricordo che la descriveva come qualcuno di molto particolare, unico nel suo genere e intelligente. Si è soffermato a lungo fatto che fosse salpato insieme all’esercito francese proprio grazie a questo suo amico e, sebbene non sembrasse un consiglio particolarmente adatto, in realtà lo aveva salvato. Avevano stretto un bel legame in precedenza, incluso con il suo attendente che era una specie di ombra capace di seguire questa persona ovunque andasse.”

Oscar si lasciò scappare una risata sommessa tra sé e sé. Si era perfino ricordato di menzionare André e chissà se il Maggiore si sarebbe mai immaginato che quel suo aiutante tanto fedele di cui gli aveva parlato Fersen ora fosse ai loro ordini, imbarcato su una nave ormeggiata a cinque minuti da dove sedevano adesso…

“Di attendenti non ne vedo,” proseguì l’ufficiale cercando il suo sguardo, “ma per il resto sbaglio a pensare che si riferisse a voi?”

“Non sbagliate.” tagliò corto il Capitano con un’occhiata nuovamente ferma e impossibile da oltrepassare per scoprire cosa si nascondesse dietro. “Ciò nonostante, penso che non ci sia molto altro da aggiungere in merito…” e così dicendo si congedò con un plico di documenti firmati in mano, uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle.

Da quale altra crepa nei muri sarebbe uscito ancora l’uomo che voleva dimenticare? Sembrava un crudele scherzo del destino al quale, però, era adesso intenzionata a ribellarsi. Non ci sarebbe più stata, non avrebbe dato retta a niente che riguardasse Fersen.

Oscar si diresse a passo spedito verso l’ufficio dell’Ammiraglio, per il consueto resoconto del terzo e ultimo giorno di preparazione dalla base di terra. Sarebbero salpati di lì a dodici ore, tutto quello che avrebbe dovuto sapere come bagaglio minimo per non affondare subito era ormai in suo possesso. Sapeva che il loro compito principale al momento fosse scortare le navi mercantili1 nel Mediterraneo, che talvolta capitasse di imbattersi negli Inglesi o negli Spagnoli e che alla fine delle giornate avrebbe dovuto redigere un rendiconto quanto più dettagliato sul diario di bordo. Ancora non aveva avuto occasione di sfogliarlo, ma, da come gliene aveva parlato il Maggiore, doveva essere l’oggetto per cui chiunque avrebbe dato la vita.

Arrivata davanti alla porta dell’ufficio dell’Ammiraglio, Oscar si fermò e respirò profondamente, poi si fece coraggio e bussò: il Generale non aveva cresciuto un figlio codardo, men che meno una figlia che lo fosse.

Quando la porta si aprì, il segretario dell’Ammiraglio la guardò nuovamente con un’espressione sconcertata, come se non fosse ancora riuscito a darsi pace del suo essere una donna in uniforme.

“Prego, entrate pure, Capitano.” Annunciò solenne una voce alle sue spalle e l’ometto canuto si spostò per lasciarla passare, poi richiuse l’uscio con un rumore sordo.

***

“Il Capitano vuole parlarti.” disse un giovane dall’aria scocciata, come se riferire quel messaggio gli costasse una fatica immane. Era l’ultimo della serie di persone incluse in quel passaparola, c’era solo da ringraziare che la comunicazione fosse arrivata così come il primo l’aveva ricevuta…

André si voltò, non aspettandosi di trovarlo tanto vicino alle proprie spalle. Da quando il Cavaliere Nero lo aveva privato dell’uso di entrambi gli occhi, aveva qualche difficoltà a percepire le distanze e le profondità e adattare l’udito alla nuova condizione era un processo difficile ancora in divenire. Peraltro, quel ragazzo non ricordava di averlo mai visto, ma d’altronde su cinquecento persone poteva capitare di non essere in confidenza con tutti.

“Ti ringrazio. Immagino che sia alla base di terra…” continuò lui nel tentativo di essere cordiale.

Il suo interlocutore alzò le spalle e prese il suo posto accanto a Gérard e al marinaio Louis senza troppe spiegazioni. “Beh, se non lo vedi a bordo…” sbuffò infine. Avrebbe preferito rimanere a fare niente in un angolo, ma sapeva che in mancanza di qualcuno bisognava colmarne l’assenza.

Giorni prima, all’arrivo con le reclute, Alain lo aveva avvisato: nessuno avrebbe avuto tempo né voglia per le cortesie. Lo avrebbero trattato con distacco perché quelli erano i modi della gente di mare, non se la sarebbe dovuta prendere più di tanto. Era fondamentale imparare a incassare i colpi e restituirli a tempo debito. Come la sera della presentazione del nuovo superiore, anche quel pomeriggio gli avrebbe dimostrato che l’amico aveva ragione.

André si alzò e, raccogliendo il berretto dalla cassa di legno dove l’aveva appoggiato, si allontanò a passo svelto. Se Oscar voleva parlargli in privato, significava che la faccenda era seria. Provò a immaginare quale potesse essere il motivo e, vagliate diverse ipotesi, si rese conto che quella plausibile fosse una soltanto: avere delle spiegazioni. Più di tutto, però, lo agitava l’idea di essere di nuovo solo con lei, benché in una situazione inedita. Avrebbero avuto un’altra occasione per discutere di qualcosa che riguardava solo loro due, però, senza che qualcuno potesse capire o seguire. Sapeva anche, purtroppo, che non sarebbe stata una delle loro solite chiacchierate, anche con toni accesi, perché dopo quella sera nulla sarebbe più potuto essere il solito.

Passo dopo passo, con il sole di un pomeriggio di metà aprile che gli scaldava il viso, si avvicinò all’ingresso dell’edificio ripetendosi che comunque, sebbene il fantasma del torto commesso gli aleggiasse sulla testa, erano sempre loro due. O almeno, così ancora avrebbe voluto immaginarsi, nonostante tutto. Camminava per i corridoi della base con i pugni chiusi lungo i fianchi nel tentativo di controllare la sensazione di disagio che provava al ricordo dell’ultima volta in cui erano rimasti da soli. Si vergognava di aver perso il controllo e di averlo fatto proprio con lei per cui avrebbe volentieri dato la vita, di averla costretta a qualcosa che non voleva e di averle causato tanto dolore. Aveva ancora in mente il suo viso sconvolto, gli occhi stracolmi di lacrime che si riversavano sul cuscino sul quale l’aveva spinta, la camicia strappata sulla sua pelle arrossata e il brandello di stoffa tra le dita. Ogni gradino che saliva rendeva quei ricordi sempre più nitidi, le loro voci sempre più definite e il suo cuore accelerava.

Il suo sguardo cadde casualmente fuori dalla finestra delle scale, sul cortile interno, dove un ragazzo stava strigliando un cavallo bianco che si abbeverava dalla fontana vicino al muro di pietra. Si fermò avvicinandosi al corrimano e lo riconobbe in tutta la sua maestosità: César. Un lieve sorriso gli incurvò le labbra. Oscar era riuscita a portare con sé anche lui, che da anni la accompagnava ovunque, anche in quel viaggio infinito attraverso la Francia. Il giovane scosse il capo e tornò in centro alla scalinata, diretto al primo piano di un edificio che non aveva nulla a che vedere con l’eleganza di palazzo Jarjayes e men che meno la grandeur della reggia di Versailles, che tanto aveva frequentato in lungo e in largo quando era un attendente e di cui conosceva ogni angolo e ogni pettegolezzo.

André arrivò davanti alla porta di legno dipinta di grigio e attese qualche istante. Udì il suono della voce di Oscar che conversava con qualcuno e ne rimase rapito. Era decisa, ribatteva a ciò che le veniva detto con il suo tipico piglio autorevole che non lasciava spazio a fraintendimenti. In un angolo del proprio cuore se ne stupì. Nonostante l’avesse ferita e prevaricata togliendole per un attimo la libertà di muoversi, era di nuovo la persona che era sempre stata: incapace di lasciarsi intimorire da alcunché, determinata, sicura di sé. Era di nuovo tutto ciò di cui lui si era innamorato un’infinità di anni prima, non ricordava neanche più quanti con esattezza perché ogni giorno speso al suo fianco era durato allo stesso tempo un minuto e un secolo.

Non si distinguevano chiaramente tutte le parole scambiate in quella stanza, ma da ciò che riuscì a comprendere il marinaio dedusse che fosse con il Maggiore De Chabon. In altre occasioni, in un mondo in cui le cose fossero andate diversamente, non avrebbe dovuto presentarsi con tanta formalità. Non avrebbe nemmeno dovuto seguirla fino a lì, fingere davanti ai suoi compagni e agli ufficiali di non aver sofferto per anni il mal di mare e, soprattutto, di non conoscerla. Il fatto che Alain sapesse a grandi linee di quest’ultimo segreto era solo un’eccezione: nessun’altra persona doveva avere contezza di nulla. André mosse un passo in avanti e proseguì ad ascoltare la conversazione dall’altra parte della porta. I suoi superiori discutevano della partenza del mattino successivo, un evento per cui tutti fremevano e che a lui, invece, era passato di mente per un attimo. Sarebbe dovuto succedere, prima o poi…

Bussò con lo sguardo ancora basso e le voci si interruppero, poi una delle due gli diede il permesso di entrare, senza chiedere chi fosse. Con una stretta decisa André abbassò la maniglia e l’uscio si aprì su Oscar in piedi a braccia conserte, la schiena rivolta alla grande finestra che dava sul porto e gli occhi seri ad aspettarlo da lontano. La giovane donna lo studiò da capo a piedi in silenzio e un rinnovato senso di straniamento la investì di colpo. Respirava profondamente, come se averlo davanti a sé, in abiti che non gli appartenevano e in un contesto estraneo, la rendesse all’improvviso nervosa. Decise di non dar corso e lasciar perdere almeno finché non fossero stati davvero da soli, per evitare di tradirsi in presenza di una persona che non c’entrava niente.

“Marinaio Grandier, à vos ordres.” si presentò lui con un saluto militare. Benché fosse sempre stato alle dipendenze della famiglia Jarjayes, Oscar non gli aveva mai sentito pronunciare parole simili, fatto salvo le occasioni in cui voleva prenderla in giro o punzecchiarla per qualche motivo ed esagerava nei toni di reverenza nei suoi confronti. Ora, invece, faceva sul serio e tutti i pensieri che l’avevano scossa alla scoperta della sua presenza sul ponte si ripresentarono più potenti e asfissianti di due sere prima.

Il Maggiore sedeva al tavolo, la penna d’oca che scorreva veloce a piè di pagina si fermò a pochi centimetri dal foglio per dargli modo di osservare il nuovo arrivato senza distrazioni. Ricordava quella recluta, era l’unico che gli fosse rimasto impresso davvero. Era insolito che qualcuno della sua età proveniente da così lontano si arruolasse in Marina. Capitava di accogliere gente sui trent’anni che, di punto in bianco, aveva deciso di imbarcarsi, ma di solito si trattava di persone della zona che tentavano l’ultima spiaggia pur di fare qualcosa delle loro giornate. Questo, però, non poteva essere il suo caso. Per aver attraversato la Francia intera, da nord a sud, doveva aver avuto un motivo preciso e valido che esulasse dall’averne strettamente bisogno. E poi, considerò l’ufficiale guardando il modo in cui era entrato nell’ufficio e l’accortezza con cui – a differenza degli altri marinari – aveva chiuso la porta senza che nessuno glielo chiedesse, non aveva l’aria di essere uno sventurato come i suoi compagni. Anche sulla nave, le volte in cui gli era capitato di scorgerlo tra l’equipaggio, pur nella sua inesperienza aveva mantenuto un certo contegno, un’educazione che mancava quasi a tutti.

“Riposo...” affermò Oscar scostandosi dalla finestra e avvicinandosi a metà strada fra i due uomini. Le sembrava una situazione ridicola: quando mai avevano avuto bisogno di parlarsi in quei toni? Ora che doveva dargli degli ordini, trattarlo come un sottoposto e non come l’amico che era sempre stato, il muro invisibile che si era eretto tra di loro nell’ultimo periodo aveva tutta l’aria di essere diventato una fortezza inespugnabile. Considerò amaramente che la nuova vita stava cominciando con un bel carico di frustrazioni che si sarebbe volentieri evitata.

“Mi avete fatto chiamare, Capitano?” proseguì André, come se l’altro ufficiale non fosse presente. Non appena si accorse di averlo ignorato, spostò lo sguardo sul suo volto serio benché gli apparisse un po’ sfocato alla vista. Finse di niente, ormai stava diventando bravo a mantenere una certa discrezione sulle difficoltà che l’occhio destro iniziava a presentargli. Oscar, invece, era abbastanza vicina da non doversi sforzare troppo. La vedeva ed era bellissima nell’uniforme nuova, anche se gli sembrava così strano che ne indossasse una del tutto diversa dalle precedenti. Impegnò leggermente l’occhio destro per metterla meglio a fuoco e si rese conto che i suoi lunghi capelli biondi non erano più sciolti ma raccolti, come li aveva portati lui per infiniti anni ormai conclusi, e dentro di sé ne sorrise. Doveva esserne terribilmente infastidita, lo vedeva dal modo in cui di tanto in tanto raddrizzava le spalle per non cedere alla tentazione si toglierselo e liberarsi dai lembi di stoffa che le sfioravano la pelle.

“Certamente.” rispose lei annuendo con il capo, poi si rivolse all’altro nel medesimo tono autorevole: “Maggiore, potete recarvi nelle scuderie e chiedere di preparare il mio cavallo? Tra un minuto vi raggiungo.”

Quando udì quella richiesta, André trattenne l’istinto di andare a svolgere il compito da sé come sempre. Gli sembrò così strano, erano tanti i piccoli cambiamenti che accompagnavano quelli più grandi e decisivi di una nuova vita in cui lui non sarebbe dovuto più comparire e nella quale, invece, aveva deciso di rimanere comunque perché non le accadesse niente di spiacevole.

De Chabon, che aveva notato l’insolita tensione sorta al suo ingresso per essere perfetti sconosciuti, annuì e si alzò dal proprio posto, diretto verso il corridoio. Due parigini entrati in Marina, con due ruoli diversi, nello stesso periodo? Quante probabilità c’erano che capitasse? Non poté fare a meno di domandarsi se quei due non si conoscessero già da prima e se ci fosse un non detto tra loro che li aveva condotti lì, chissà come e chissà perché. Non era soltanto una questione di accento del nord a insospettirlo, ma del comune modo di parlarsi. C’era qualcosa di diverso dalla consuetudine che aleggiava nelle loro parole. Si convinse ancora di più che quel giovane alto con il volto coperto a metà dai capelli castani non fosse un poveraccio alla stregua degli altri marinai. Non sarà stato neanche nobile, ma li aveva frequentati abbastanza da averne assorbito le maniere. Con parte del corpo già in corridoio, l’ufficiale lanciò ancora un’occhiata a entrambi e salutò sparendo oltre la porta di nuovo chiusa.

“Che cosa ci fai qui?” esordì Oscar senza indugiare ulteriormente. Non c’era bisogno di tergiversare, meglio liberarsi subito di quel peso che la opprimeva da due giorni aggiungendosi agli altri mille.  “Ti ho detto che non avrei più avuto bisogno di te né del tuo aiuto. Perché devi sempre fare di testa tua?” Per un attimo tornò ragazza, quando gli si scagliava contro al minimo accenno di sfrontatezza nei propri confronti. Non era più il caso, però, adesso. Ora erano adulti, avevano alle spalle esperienze comuni e indipendenti che avevano insegnato loro a valutare le situazioni e ponderare le conseguenti reazioni. Ma era arrabbiata, delusa dalla sua testardaggine e non era all’ex attendente a cui avrebbe voluto riversare in faccia tutta la propria frustrazione. Si sarebbe rivolta a lui, ad André Grandier, alla persona.

“Mi sono arruolato.” le rispose André, per niente turbato dalla stizza che percepì nella sua voce. Sapeva di non potersi permettere di sbagliare, bisognava mantenere la calma il più possibile. “Non credo tu possa impedirmelo.”
All’udire quelle parole, l’indisposizione di Oscar nei suoi confronti da ombra diventò un fascio di luce potente. Strinse i pugni fino a che le nocche non diventarono bianche e lo guardò con un’espressione indignata che poche volte gli aveva rivolto. Poteva negarlo? No. Da più di venti giorni non le spettava più l’ultima parola sulle sue azioni né il diritto di intromettersi – cosa che peraltro non aveva neanche mai sentito di dover fare – nella sua vita. Ciò nonostante, sapeva perché si trovasse lì, casualmente arruolato come marinaio su un vascello battente bandiera di Sua Maestà, ma il conflitto tra come avrebbe voluto reagire Oscar e come avrebbe dovuto il Capitano la ammutolì. Non fece in tempo a verbalizzare quel groviglio di idee che la voce di André risuonò di nuovo nella stanza.

“Questo non è il mio posto e, a dire il vero, non è neanche il tuo.” proseguì lui serio, con il tono che adottava sempre quando la sua amica necessitava di essere scossa per aprire gli occhi sul mondo che la circondava, “ma preferisco snaturarmi e sapere che qualcuno che possa comprenderti al tuo fianco c’è.”

Oscar lo ascoltò senza proferire verbo. Ancora una volta, le aveva letto in viso tutto ciò che si rincorreva confuso nella mente. Era davvero così trasparente, molto più di quanto credesse e intendesse essere, o era André talmente bravo a destreggiarsi tra i suoi malumori e i suoi sguardi severi da aver imparato perfino a interpretare alla lettera i suoi silenzi?

Si osservarono immobili per alcuni istanti aspettando uno le mosse dell’altra, ma non arrivò nulla. In piedi in mezzo alla stanza illuminata dal sole del tardo pomeriggio di primavera, a una distanza che l’ultima volta si era rivelata disastrosa e che ora, invece, consentiva a entrambi di ristabilire una specie di contatto, qualcosa che fino a qualche tempo prima non consideravano nemmeno e che adesso si presentava come una sorta cessate il fuoco alla loro guerra fredda.

Toujours à vos ordres, Capitano.” concluse il marinaio con un saluto militare e si congedò, così come era entrato, richiudendo educatamente la porta quando fu tornato in corridoio.

“Fa’ come ti pare…” bisbigliò Oscar come se André fosse ancora lì nella stanza. Si voltò per tentare di calmarsi, riprendere il controllo di sé per uscire e raggiungere il Maggiore come gli aveva detto, provare a lasciarsi alle spalle quella conversazione da cui non aveva ricavato nulla. Non aveva avuto spiegazioni, anzi: aveva ceduto lei, non lo aveva trattenuto più di quanto lui non avesse preferito rimanere né aveva insistito; lo aveva visto andarsene senza provare a fermarlo, chiusa in un nuovo silenzio che si aggiungeva alla montagna di altri accumulati in precedenza e che sarebbero crollati, prima o poi.

***

All’ombra del porticato che copriva gli ingressi delle scuderie, il Maggiore De Chabon aspettava il suo superiore controllando che il giovanissimo stalliere non sbagliasse niente nel preparare i cavalli. Di tanto in tanto si girava in direzione della porta, ma a parte qualche allievo di passaggio per il cortile interno e i militari che smontavano dal turno di guardia, nessuno di suo interesse si profilava da quelle zone.

“Allora?” incalzò l’inserviente con fare un po’ indispettito, ma l’altro sembrava troppo concentrato sul proprio lavoro per dar retta alla sua fretta.

L’uomo rifletteva sul silenzio che era calato nell’ufficio nel momento in cui il nuovo marinaio si era presentato, subito dopo essere entrato. Era durato lo spazio di pochi istanti, sufficienti a spiegare tutto ciò che forse avrebbe preferito ignorare. Quei due si conoscevano, chissà quanto e chissà da quanto, ma probabilmente non erano più in buoni rapporti dato lo sguardo serio che il Capitano aveva non appena le era capitato di fronte. Un po’ se ne compiacque, pur non aspettandosi né pretendendo niente. Uno in meno… considerò distratto, mentre scorse il soggetto dei propri pensieri girare l’angolo dell’edificio e uscire verso i cancelli esterni a passo svelto. Non sembrava particolarmente turbato, ma nemmeno felice di essere stato a colloquio con il suo ufficiale. Gli parve più che altro concentrato su dove stesse andando: certo, doversi spostare in uno spazio nuovo con un occhio solo doveva presentargli delle difficoltà… Preferì soprassedere, d’altronde non erano altro che congetture quelle da cui si stava lasciando prendere e, anche fossero state vere, non spettava a lui intromettersi. Gli scappò una risata sommessa che lo scosse appena, chiedendosi quando fosse stata l’ultima volta in cui gli fosse importato tanto delle frequentazioni di una donna. Conosciuta un paio di giorni prima, peraltro…

Dopo un paio di minuti, i cavalli furono entrambi pronti e il ragazzo uscì nel cortile con le redini di entrambi in mano. L’ufficiale gli indicò dove legarli, vicino alla colonna di mattoni rossi, quando dalla grande porta a vetri che dava sul cortile uscì il Capitano. Gli si avvicinò senza correre ma sufficientemente veloce da non fare in tempo neanche a guardarla bene in faccia prima di salire in sella. Voleva provare a capire se le sue espressioni tradissero qualcosa, ma, da buon militare quale sicuramente era, non mostrava alcun segno che potesse riportare alla conversazione di poco prima.

“Perdonate il ritardo, mi sono dovuta trattenere più del previsto…” si scusò Oscar mentre De Chabon saliva a cavallo e insieme si avviarono verso l’uscita.

L’uomo gesticolò come a rassicurarla e considerò fra sé e sé che, in effetti, l’avrebbe aspettata anche due ore. Procedendo al passo uno accanto all’altra, i due oltrepassarono l’arco di passaggio delle carrozze e i cancelli principali senza dar troppo peso al vociare frenetico che proveniva dal porto anche a quell’ora.

Oscar si era abituata in fretta al chiasso della zona, tra la gente sempre attiva sulle banchine, gli avventori da ogni parte del mondo e i versi striduli dei gabbiani che volavano sulle loro teste. Tutto sommato, da questo punto di vista, Tolone non era poi così diversa da Parigi, dove tutti avevano qualcosa da fare (fosse pure l’ennesimo tentativo di scasso a un panettiere, o un fruttivendolo) e qualcuno da incontrare. La capitale era una città che poteva dire di conoscere, sì, ma non così bene come, si era accorta da quando ne era lontana, avrebbe voluto. L’aveva girata in lungo e in largo, si era presa a pugni in un vicolo, l’avevano aggredita e si era poi svegliata nella nuova casa di Rosalie con la testa che le faceva male e una fasciatura bianca tutt’intorno. Ciò nonostante, non riusciva davvero a pensare a Parigi come la propria città. Lei era sempre vissuta a metà strada con la reggia di Versailles, un luogo in cui, fino a pochi mesi prima della partenza per la Provenza, l’evento più pericoloso era stato l’agguato di quella povera ragazza bionda che chiedeva al mondo soltanto una tregua.

“Domani mattina,” disse il Maggiore senza accorgersi di averla risvegliata dai pensieri che le affollavano la mente, “il navigatore a bordo vi spiegherà nel dettaglio la rotta per Malta. L’abbiamo percorsa varie volte in precedenza, è un’attraversata del Mediterraneo abbastanza tranquilla.”

“Molto bene.” gli rispose Oscar accelerando un po’ il passo per allontanarsi dal centro della strada e lasciarsi superare dai passanti che aveva notato dietro di sé. Li osservò camminare per gruppi scomposti, alcuni girarono nella via sulla sinistra mentre altri proseguirono dritti lamentandosi. Nei loro discorsi ritrovò ancora Parigi, la fame per le strade, la povertà, la preoccupazione di non sapere cosa sarebbe successo dopo il riposo della notte. La figura sinuosa di un gatto saltò all’improvviso giù da un muretto e catturò la sua attenzione, mentre l’animale si insinuava tra le gambe di chi osava camminare sul suo stesso percorso per poi fermarsi dall’altro lato della strada con il muso rivolto verso il mare. “Qual è il carico della nave mercantile che dobbiamo scortare, lo sapete?” domandò lei volgendo di nuovo lo sguardo al suo sottoposto, come se quella scena per niente inusuale le avesse acceso una scintilla di sincera curiosità.

“Di tutto, Capitano. Merci, animali, persone… Perfino qualche tipo di infezione, se vuole la verità.” riprese De Chabon con il tono di chi scherza ma fino a un certo punto. Il superiore lo guardò accigliata: doveva ancora abituarsi all’idea che ammalarsi a bordo fosse una delle attività principali, così come contagiare chiunque si incontrasse una volta scesi in porto. “Ma non dovete preoccuparvi di questo,” continuò poi per infrangere la cortina di imbarazzo sorta dal non essere stato capito del tutto, “il medico di bordo non ci ha mai delusi. In ogni caso, saranno soprattutto merci quelle a cui dovremo prestare attenzione: perlopiù armi, dato che i Cavalieri di Malta2 ne hanno bisogno e l’isola non ne produce abbastanz-” ma non fece in tempo a finire il discorso che Oscar lo interruppe decisa.

“Dovremo scortare una polveriera, dunque.” La sua voce risuonava severa come quella del padre, lo stesso piglio autoritario e la stessa incredulità davanti ad un dettaglio di cui doveva essere messa al corrente ben prima della sera della vigilia. “Cosa aspettavate a riferirmelo?”

Ancora una volta, il modo di fare di un ufficiale della Marina Reale stava consolidando il dubbio che passare tutto quel tempo in mezzo alle onde li stesse rendendo inetti. Non poteva essere soltanto una questione di abitudine, di modi di operare differenti, o di necessità date dal caso. Non poteva nemmeno essere soltanto un problema legato alla mancanza di sufficiente personale adatto: lei stessa sapeva di non esserlo, eppure aveva avuto l’accortezza di chiedere.

“Se dovessero attaccarci, vi rendete conto che il carico potrebbe esplodere e con esso entrambe le navi?” domandò seccata con le redini del cavallo tese per fermarlo. L’esperienza sulla terraferma, in special modo dopo Saverne, le aveva insegnato che avere a che fare con le armi e la polvere da sparo richiedeva un’attenzione spropositata. Ogni movimento, ogni respiro andava controllato con meticolosa cautela ed era necessario sapere tutto, anche i dettagli più piccoli e insignificanti.

“Perdonate l’irriverenza, ma la vostra preoccupazione – legittima, essendo voi al primo viaggio – mi sembra eccessiva.” commentò De Chabon in tono paternalista. Non poteva che essere una donna quell’ufficiale in divisa, così bello da fare invidia a chiunque ma pieno di ritrosia per qualcosa che lui aveva già fatto e visto fare decine di volte soltanto nel precedente anno di navigazione.

Oscar inarcò il sopracciglio e lo scrutò con lo sguardo più indignato che le riuscì, di fronte al quale il sottoposto provò un brivido di timore. Gli uomini, quelli che popolavano la realtà e non le proprie aspettative, parevano avere tutti la stessa fastidiosa abitudine di volerle insegnare qualcosa, di essere a proprio agio in ogni situazione, di avere il perfetto controllo di qualsiasi evento. Negli ultimi vent’anni circa, però, la casualità l’aveva poi costretta a doversi rimboccare le maniche e risolvere lei ciò che loro avevano combinato.

“La vita militare mi ha insegnato che nelle nostre posizioni non esiste la sicurezza che una situazione conclusa bene si ripeta uguale nel futuro.” si sbrigò a chiarire il Capitano e per la mattina successiva richiese un rapporto dettagliato sull’intero carico che avrebbero dovuto scortare fino all’isola di Malta.

Il Maggiore De Chabon tentò di scusarsi, ma non appena le sue labbra si aprirono per parlare giunse alle loro spalle qualcuno di corsa. Si voltarono perplessi a guardarlo: si stava avvicinando veloce in sella a un cavallo scuro e li chiamava a gran voce, indossava una giacca con la doppia coda che volava sotto il vento di taglio ed era senza tricorno. Quando fu a pochi metri da loro, lo riconobbero.

Il tenente De Valeau li interruppe con il fiato corto, tentando di spiegarsi il meglio possibile mentre i passanti sulla via assistevano a quella scena concitata come se fosse il migliore intrattenimento della serata. “Dovete tornare sulla nave… Entrambi.”

I due superiori si scambiarono un’occhiata preoccupata, già pronti a fare dietro front e rimettersi in cammino verso il porto, poi studiarono in un momento il profilo del vascello per capire se quantomeno fosse ancora tutto intero. L’imbarcazione era ancora lì, maestosa ombra con le vele ancora serrate che si stagliava sul tramonto primaverile, e già questo pareva essere una prima timida rassicurazione.

“Cos’è successo, Tenente?” domandò l’altro uomo nel tono di chi aspetta che l’infausto destino gli arrivi addosso. Benché lei avesse ragione sull’imprevedibilità della vita militare, esistevano comunque delle costanti sulla cui periodicità avrebbe messo la mano sul fuoco. La vigilia di un viaggio di tre settimane nel Mediterraneo, un gruppo di reclute buttate in mezzo al vecchio equipaggio dopo giorni fermi al porto, un nuovo capitano… Avrebbe potuto anticipare l’annuncio del sottoposto senza neanche ascoltare la prima parola.

“È scoppiata una rissa, signore.”

***

Un pugno scagliato con la forza di cinque uomini lo colpì in faccia, l’ultimo di una serie che aveva accettato quasi senza difendersi, davanti agli occhi divertiti di un capannello di compagni che scommettevano su due piedi se sarebbe morto o soltanto svenuto entro mezz’ora. Sorprendentemente resisteva, al punto che alcuni cominciavano a stancarsi di quella lotta impari. Se le prendeva, non rispondeva alle provocazioni… A cosa serviva rimanere lì? Meglio andare in stiva a cercare di nascosto delle bottiglie di qualcosa da portare in camerata.

Quella rissa in effetti lo era stata solo per i primi minuti. Dopo poco, infatti, si era trasformata in una presa di posizione, una dimostrazione di virilità carica di risentimento e rabbia da una parte e di muta fedeltà dall’altra.
“Cosa sei andato a fare da quella donna?” gli aveva urlato Vincent, arrampicato sulla corda di una sartia che stava sistemando fino a poco prima di vederlo tornare dalla base di terra. Aveva sottolineato le ultime due parole, quella donna, come se soltanto pronunciarle con disgusto gli desse un senso di liberazione.

André, che non sempre vedeva benissimo ma che stava invece affinando la capacità di cogliere il dettaglio di ogni cosa gli venisse detta, aveva notato immediatamente il tono della sua voce. Da circa due giorni, dalla sera in cui l’equipaggio aveva scoperto la verità sul Capitano, quel ragazzo – imbarcato a gran velocità dal padre per non trovarselo più in giro a rovinargli la reputazione – cercava di indurlo a confrontarsi. Avevano un conto in sospeso, loro due, e non ci sarebbe stato ancora Alain a mettersi in mezzo e salvarlo.

“Il Capitano” aveva risposto lui sottolineando il grado di Oscar con orgoglio, perché dei suoi successi era estremamente fiero, “voleva parlarmi. Tutto qui.” e aveva proseguito per la propria strada.

Vincent era saltato giù sul ponte e aveva cominciato a sfilarsi la giacca, lasciandola ai piedi di un albero insieme a una cassa di legno e delle reti. Gli si era avvicinato fino ad arrivargli a pochi centimetri dal volto, come era già successo. “Tu hai questo brutto vizio di non rispettarmi e a me comincia a dare fastidio. Che cosa ti ha detto?” aveva insistito con tutta la spocchia che aveva trovato in corpo e la cartuccia del non-sai-chi-sono-io pronta all’uso.

André si era mosso per lasciarlo parlare da solo, deciso a non cedere, finché una presa non gli aveva stretto il braccio. Quando l’espressione stizzita della sua nuova nemesi autoeletta gli era apparsa davanti agli occhi, aveva dovuto far ricorso fino all’ultimo briciolo di pazienza per resistere alla tentazione di risolverla subito e levarsi quel ragazzino fastidioso di torno. Non si sarebbe cacciato nei guai, glielo aveva tacitamente promesso il giorno in cui aveva firmato per imbarcarsi. Lì per lì, però, con la minaccia arrogante che gli respirava addosso, aveva dovuto aggiustare quell’impegno e le chiedeva già perdono. Non si sarebbe cacciato nei guai volontariamente.

“Io credo che non siano affari tuoi.” si era limitato a replicare, stringendo i pugni in modo spontaneo come faceva sempre quando sentiva crescergli dentro il nervosismo. Vincent, che lo stava squadrando da capo a piedi, aveva notato quel suo riflesso e aveva deciso di andare a segno.

“Quello che credi tu a me non interessa. Non sei nella posizione di poter credere qualcosa che mi riguarda.” Nonostante fosse sicuro di stare per assistere a una sua reazione, una qualsiasi, quelle parole erano state accolte dal nulla, solo dal vento che soffiava leggero sul ponte e da una crescente tensione ormai palpabile nell’aria.

In men che non si dica Vincent gli si era scagliato addosso con la ferma intenzione di fargliela pagare. Nessuno gli mancava di rispetto due volte in modo tanto plateale, davanti a tutti, e irritante, senza dargli neanche la soddisfazione di rispondergli. Il ragazzo aveva il volto contratto dall'ira e, senza pensarci su troppo, aveva sollevato nuovamente il pugno con una furia incontenibile, colpendo l'aria con un movimento rapido e deciso. Il ponte del vascello oscillava sotto il peso della colluttazione tra lo scricchiolio delle assi di legno e lo sciabordio delle onde si infrangevano sullo scafo. I suoi colpi raggiungevano André in viso, nello stomaco senza incontrare resistenza. Lo scontro aveva in pochi minuti interessato tutti i presenti sulla nave, compreso Alain che si era assicurato il posto migliore in cima a una grande botte rinforzata in ferro. Un po’ gli dispiaceva non dividerli: era uno spettacolo divertente, certo, ma il suo amico le stava prendendo senza muovere un muscolo e gli pareva una lotta inutile. Ciò nonostante, se lo avesse salvato da ogni problema non avrebbe mai imparato a cavarsela da solo e non ci sarebbe stato capitano di alcun tipo, nemmeno il loro nuovo fastidioso superiore donna, in grado di tenerlo vivo a bordo.

Di tanto in tanto André alzava lo sguardo – già malconcio e ora anche pesto – verso Vincent, a pochi passi da lui per riprendere fiato, asciugandosi il sangue che scorreva dal labbro inferiore con la manica della giacca azzurra. Deciso a riaffermare la propria autorità, Vincent aveva tentato un ennesimo pugno, ancora più carico di furia. Ma un’altra volta, il suo avversario aveva resistito al colpo senza mostrare alcun segno di rivalsa. A nulla, poi, era servito l’arrivo dei due tenenti, che con i loro tentativi di dividerli non avevano fatto altro che provocare ancora di più l’unico lottatore attivo, che si era divincolato dalla loro presa per tornare alla sua vittima. A quel punto, valutata l’impossibilità di poter intervenire in altro modo, De Valeau si era precipitato a terra a cercare i superiori.

Il Capitano e il Maggiore giunsero a bordo in tutta fretta e la scena che si presentò loro davanti li lasciò senza parole. Perfino De Chabon, ormai abituato alla violenza che quegli uomini si scambiavano costantemente, si avvicinò al luogo della rissa con un certo sgomento. Il povero malcapitato si reggeva a stento al parapetto di legno, l’unica metà del viso scoperta dai capelli livida e insanguinata. Respirava a fatica e con la bocca aperta, ma non abbassava mai lo sguardo dal suo aguzzino, che stava in piedi con le nocche ricoperte del sangue di entrambi, la camicia completamente sgualcita e i pantaloni blu al ginocchio sporchi e strappati qua e là.
“Soisson, portiamolo giù dal medico di bordo!” ordinò il Maggiore, mentre faceva forza per reggere il peso quasi morto di André che tentava di rimettersi il più dritto possibile per camminare verso l’infermeria sottocoperta. Alain scese controvoglia da quel posto d’onore che si era creato e si inserì dall’altro lato, con il braccio sinistro dell’amico sulle spalle, farfugliandogli un Te lo avevo detto che non scherzava quello… mentre la breve scalinata verso i livelli inferiori della nave li inghiottiva.

Oscar seguì il trasferimento di André con sgomento trattenendo l’impulso di occuparsene lei, che tante volte in passato lo aveva ricoperto di pugni ma mai fino a renderlo pressoché irriconoscibile. Sbatté le palpebre un attimo in più, come a riprendersi dallo spettacolo terrificante che le si era concluso davanti, e si rivolse a Vincent. Il Capitano sentiva che il proverbiale sangue freddo che l’aveva sempre contraddistinta come militare le si scaldava nelle vene passo dopo passo e non sapeva se fosse per l’ingiustificata ed esagerata violenza della rissa o per il fatto che la vittima di tanta furia era André. Da quando lo aveva trovato sul ponte, si era ripromessa di non fare favoritismi. Lui sarebbe stato uno come gli altri, se avesse sbagliato lo avrebbe ripreso ed eventualmente punito come avrebbe meritato. Eppure, non riusciva a non provare un dispiacere personale, a livello viscerale, per quella crudeltà gratuita a cui il suo amico era stato sottoposto. Per un attimo il pensiero di smettere i panni che il suo ruolo le imponeva, il distacco e l’oggettività, e dar retta a ciò che sentiva Oscar la tentò. Lo scontro era un incidente già sufficientemente grave di per sé, ma l’aver coinvolto un innocente che le stava a cuore lo rendeva ai propri occhi una vigliaccheria ancora peggiore. Ringraziò silenziosa Dio per aver messo al mondo André forte e resistente, ché se si fosse trattato di un’altra di quelle persone che ora la stavano circondando in attesa della sua reazione, forse, non sarebbe più tra loro.

“Generalità e grado.” esordì Oscar, a un passo dall’aggressore. Benché l’interlocutore la superasse in altezza di diversi centimetri, i suoi grandi e sicuri occhi azzurri puntavano dritto in quelli castani del ragazzo, che la guardava con un’insopportabile aria di sfida incresciosa ed esagerata perfino per la sua giovane età.

“Marbot Vincent, ufficiale di bordo.” rispose lui e, dopo aver atteso un istante in silenzio, le impedì di prendere nuovamente la parola. “Se permettete, madamigella…”

L’insolenza di Vincent colpì il suo superiore con la forza di un tornado. Un’espressione indignata le dipinse il volto chiaro su cui gli ultimi raggi del sole riflettevano sfumature dorate. Lei lo osservava con le labbra serrate, in silenzio per evitare di dire qualcosa di sconveniente dettato dalla pancia più che dalla ragione, e i pugni stretti lungo i fianchi per scaricare la tensione su se stessa invece che su chi le stava davanti.

“L’unica cosa che io ti permetto è di tenere la bocca cucita, Marbot.” tagliò corto Oscar. “Tu adesso prendi le tue cose e scendi dalla nave. Il Tenente ti riporterà alla base di terra, dove spiegherà al Viceammiraglio tutta la situazione. Qualsiasi siano le sue conclusioni, non salperai per almeno un mese.”

D’Audiffret annuì con il capo e portò la mano tesa alla fronte, ma non riuscì ad eseguire l’ordine che il ragazzo si bloccò. Fermo sulle due gambe, il viso ancora fisso su quello del Capitano, non aveva la benché minima intenzione di seguire quanto gli era appena stato imposto.

“Non esiste donna al mondo che possa dirmi cosa fare, madamigella.” sentenziò lui con un ghigno soddisfatto, mentre un’esclamazione di stupore si levò dagli uomini che li circondavano. Per quanto anche loro, quasi tutti, non volessero riconoscere l’autorità che lei rappresentava, non erano neanche arrivati a pensare di sfidarla così apertamente dopo solo tre giorni.

Oscar non riuscì a reagire in alcun modo prima che il sottoposto, in un’ultima dimostrazione di stizza nei confronti di quella sconosciuta venuta dalla terraferma per rovinargli la festa, abbassasse leggermente il capo e sputasse sulle assi del pavimento di legno, attento a mirare a poca distanza dalle sue scarpe.

I Tenenti persero la pazienza una volta per tutte, lo afferrarono per le braccia e gliele piegarono strette dietro la schiena. Prima che lo trascinassero via, però, la giovane donna respirò profondamente serrando le palpebre un istante di più per cercare di placare il disgusto e l’offesa per quell’ennesima mancanza di rispetto nel giro di pochi minuti. Riaprì gli occhi e con un gesto rapido afferrò il pugnale che Vincent teneva in bella vista legato ai pantaloni e glielo affondò nella fibbia lucida della cintura3.  

“Ringrazia Dio che ho una buona memoria, perché avrei intenzione di lasciarti chiuso in una cella della prigione militare abbastanza da dimenticarmi che esisti.” e detto ciò il Maggiore, che aveva assistito solo in parte all’ultimo affronto mentre usciva dal corridoio, si intromise a passi lunghi per dividere i due contendenti e sparpagliare tutti gli altri spettatori a voce alta. Una vigilia di viaggio delle migliori, considerò lui spingendo il ragazzo con un gesto al centro della schiena.

***

Alla fine della scalinata che portava sottocoperta, quasi del tutto al buio, Oscar si imbatté in Alain, che usciva dalle camerate dei marinai scuotendo il capo alla sua vista. L’ufficiale si fermò un paio di scalini prima di lui con il viso costernato. Sapeva quale fosse il motivo di tanto clamore e se ne dispiaceva enormemente. Le interessava soltanto vederlo respirare, il più intero possibile, sentirlo parlare magari, essere sicura che ci fosse. Morse il labbro inferiore in modo quasi impercettibile per scaricare la tensione che lo sguardo serio del guardiamarina le trasmetteva, quasi a doversi scusare anche con lui per quanto successo.

Alain la accolse con un saluto militare abbozzato, tutto sommato non gli importava granché dei ranghi e dei ruoli in quel preciso momento. Il loro comune amico se l’era vista brutta, molto brutta, un pugno ancora e lo avrebbero dovuto spedire in ospedale con le budella fuori dal corpo. Non aveva tempo né voglia di girare intorno alla faccenda, quella donna doveva aprire gli occhi davanti alla realtà.

“Capitano, André ha rischiato grosso.” esordì senza mezzi termini, tirando fuori lo stecchino da una tasca della giacca e appoggiandosi al corrimano con un avambraccio. “Se non foste arrivata in tempo, a quest’ora staremmo a piangere un marinaio scarso senza neanche un giorno di navigazione.”

Oscar sgranò gli occhi. Non poteva dire sul serio, non era vero. Lo aveva visto rialzarsi, anche se malconcio, come poteva essere ridotto veramente così? Scese i gradini che la dividevano dall’ingresso nelle camerate uno alla volta, con la cautela che si usa quando in una stanza c’è un bambino che dorme. Si fermò davanti ad Alain, guardò il suo volto incomprensibile e duro per la sua età e si domandò silenziosa se non avesse esagerato solo per tenerle alta la guardia.

“Ascoltate,” le disse lui con un piede già sul primo scalino, “a me non interessa niente di chi siete voi due, ho già i fatti miei a cui pensare e vi assicuro che non sono pochi. Ma se un mio amico…”

Un mio amico. La mente di Oscar si fermò all’improvviso su quelle tre parole. André aveva un amico. In quel marasma generale, nei grandi cambiamenti che le loro vite stavano affrontando, non era del tutto da solo. Qualcuno c’era al suo fianco e nonostante il nodo in gola che le si formò all’idea di non essere lei, il cuore saltò un battito pensando che non brancolava del tutto nel buio in un luogo sconosciuto.

“…finisce in quelle condizioni, livido e pieno di sangue, e sul letto del dottore che lo medica ripete il nome della donna per cui è finito così, io mi aspetto che questa abbia quantomeno il coraggio di ringraziarlo.”

Oscar tornò a guardare il vuoto dentro la camerata e intravvide l’alone di una candela che illuminava un angolo sulla sinistra. Ringraziò il suo interlocutore con un gesto della mano e avanzò lentamente. Aveva il terrore di trovarlo agonizzante, di dover ripetere l’esperienza di qualche mese prima dopo l’incidente all’occhio con il Cavaliere Nero. Il legno scricchiolava sotto le suole delle scarpe, mentre sentiva la pulsazione dell’ansia martellarle nelle tempie sempre più forte man mano che entrava nella camerata. Lo cercò muta, senza chiamarlo, voleva arrivarci da sola perché era sua la responsabilità di quanto gli era successo. O almeno così sentiva che fosse la situazione.

All’improvviso udì un lamento lontano e si girò. André era seduto di spalle rispetto a lei, ricurvo e appoggiato alla branda con entrambe le mani. Cercava di respirare con calma, trattenendo i singhiozzi, per non peggiorare il dolore alle costole. Non aveva particolare contezza di cosa lo circondasse in quel momento, sentiva soltanto un dolore generale che gli impediva perfino di coricarsi.

Il peso leggero di una mano gli si poggiò su una spalla. Il giovane uomo non si mosse, non riusciva neanche ad alzare il capo più di pochi centimetri, d’altronde, ma capì immediatamente di chi si trattasse. Non poteva essere nessun’altra persona.

“Mi dispiace, André…” La voce di Oscar risuonò grave nel grande stanzone.
 
L’amico non rispose. Avrebbe dato oro per fermare il tempo in quel momento esatto, in quel preciso istante in cui la sua mano si era appoggiata su di lui dopo tanti giorni di lontananza. Voleva assorbire il calore della sua pelle, fare proprio l’affetto che un gesto tanto semplice gli trasmetteva e che gli era mancato come l’aria. E proprio nell’istante in cui una fitta al fianco destro lo scosse prepotentemente, si trovò a pensare che avrebbe voluto amarla molto meglio4.
 
Note:
1) https://www.baroque.it/societa-barocco/la-marina-militare-del-xviii-secolo.html
2) https://it.wikipedia.org/wiki/Sovrano_Militare_Ordine_di_Malta
3) La scena è tratta dall'anime, la amo molto e ho voluto riproporla adattandola al nuovo contesto
4) Citazione dal film L'eclisse di Michelangelo Antonioni (https://www.youtube.com/watch?v=DbqkVyZ_XNY)

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Capitolo 7
*** Honneur, patrie, valeur, discipline ***


Figlio mio,

I suoi occhi fissavano quelle due semplici parole seguendo le linee della calligrafia elegante e precisa del Generale. Figlio mio. Quante volte gliele aveva sentite dire, quasi più per autoconvincersi che non per chiamarla, alcune con l’orgoglio di un padre felice e altre deluso per un comportamento avventato.

quando leggerai questa lettera sarai in procinto di salpare. Come penso tu abbia già scoperto, prima della tua partenza ho avuto modo di parlare con l’Ammiraglio De Rohan, che sai essere un mio vecchio amico. Abbiamo discusso della tua decisione di lasciare la Guardia Reale e accettare l’incarico in Marina. Devo confessarti che mi sono trovato in discreto imbarazzo davanti alla sua richiesta di spiegazioni. Ancora oggi devo riceverne da te. Non ho idea del perché tu abbia voluto cambiare vita, in modo così radicale e improvviso per giunta.

Le sembrava di poter sentire il tono serio e grave della voce di suo padre ed era certa che ciò di cui parlava gli desse dolore. Proprio come se fosse stata davanti a lui seduta nel suo studio, Oscar assisteva silenziosa al dispiegarsi del suo discorso. Non aveva avuto quasi modo di incontrarlo tra l’annuncio dell’incarico e l’arrivo in Provenza e quel voglio redatto con cura maniacale era un tentativo di rimediare.

Ciò nonostante, o forse per questo, ammiro il coraggio che hai avuto nel rimanere fedele al tuo proposito anche davanti a una prospettiva a te estranea. All’Ammiraglio, infatti, ho assicurato che mio figlio sarebbe stato il miglior Capitano di vascello che l’Héros abbia mai avuto. So di non sbagliarmi, ma tu impegnati, come ti è stato insegnato, a dimostrare che riuscirai a fare che di più.

Buona fortuna,
tuo padre.

La lettera tornò sul piano della scrivania con estrema delicatezza. Comprendeva la sua reazione, era naturale: un genitore si preoccupa per i colpi di testa dei propri figli, o di quelli che reputa tali. Ma la sua non era una pazzia, era una necessità, e vedere che, alla fine, l’uomo che l’aveva cresciuta ad una vita di disciplina e rigore si stava fidando di lei a dispetto dei ragionevoli dubbi la commuoveva. Gli avrebbe risposto, prima di andare a dormire.

Un sospiro profondo riecheggiò nella camera da letto dove la cameriera le aveva preparato la tinozza per il bagno, prima di lasciare i panni per asciugarsi, la spazzola e la camicia da notte sulla cassapanca davanti al letto e defilarsi in corridoio. Quanto avrebbe dato Oscar per avere l’aiuto della nonna in quel momento, come quando era bambina! Sentire il calore dei suoi gesti talvolta un po’ spicci e le parole di rimprovero per quell’avventura pericolosa che stava per intraprendere. Invece aveva chiesto di fare da sola, ché grand-mère comunque non c’era e non sarebbe stato uguale. E poi, dal giorno successivo per tre settimane, avrebbe dovuto arrangiarsi come poteva, pregando che il suo corpo non la tradisse…

Si sedette nell’acqua e scivolò lenta con la schiena lunga il bordo di ceramica liscio, gli indumenti accuratamente riposti dove li aveva trovati al mattino. Il suo sguardo passò in rassegna la grande stanza in cui le sembrava di essere ancora estranea, come d’altronde nell’intera casa. Tre giorni erano troppo pochi, soprattutto a fronte dei circa ventino che avrebbe trascorso lontana. Osservò, però, che la nuova camera non era così diversa da quella che aveva lasciato. C’erano il letto a baldacchino, la libreria, una grande finestra sul giardino, uno specchio a figura intera appeso alla parete accanto alla porta. Gliel’avevano arredata il più possibile simile alla propria a palazzo, eppure le pareva vuota, senza anima. Non c’erano ricordi lì dentro, il calore di una vita trascorsa e delle persone che l’attraversavano. Dov’era Nanny che andava a rassettare ogni mattina? Dov’era la sedia che Rosalie era solita spostare sempre un po’ più a destra perché finiva sulle frange del tappeto?

E dov’era André? Di lui, per fortuna o purtroppo, sapeva. Nella camerata sottocoperta di una nave che sarebbe partita in poche ore, malmenato e dolorante. Se fosse stata fredda e lucida come la sera delle presentazioni, lo avrebbe mandato all’infermeria di terra per ricevere le cure adatte e poi agli alloggi. Come era successo con… non ricordava il nome di quel poveretto con il braccio al collo e un po’ le seccò. Il pensiero, però, tornò rapido all’amico e allo stato in cui lo avevano ridotto i pugni di Vincent Marbot. Non era riuscita a dirgli altro, solo un Mi dispiace, sentito, sì, ma esiguo davanti a ciò a cui aveva resistito. Soprattutto, non aveva avuto il coraggio – ora che lo sapeva di nuovo lì accanto – di allontanarlo ancora. Se gli fosse accaduto altro in sua assenza non se lo sarebbe perdonata. André doveva rimanere a bordo anche a costo di potersi rendere utile meno dei compagni. E poi si sarebbe ripreso in fretta, lo conosceva, a uno a uno i lividi e le contusioni sarebbero spariti…

Una tristezza invisibile la investì mentre passava la spugna tiepida sulla pelle per lavare via la frustrazione e il fallimento che si sentiva addosso. Era arrivata al momento giusto, è vero, ma comunque troppo tardi. Ormai il danno era fatto. Alain aveva ragione, le sue parole le pendevano sulla testa come la spada di Damocle.

A quest’ora staremmo a piangere… Lei lo stava già piangendo, a modo suo, piangeva quello che erano stati e quello che erano diventati nell’ultimo periodo.

A me non interessa niente di chi siete voi dueChi erano, poi?

Sul letto del dottore che lo medica ripete il nome della donna per cui è finito così… Lo aveva fatto davvero, l’aveva davvero chiamata, nonostante tutto? Certo che lo aveva fatto, lo sapeva benissimo, ma voleva illudersi che quelle parole fossero state solo un’esagerazione per provocarla.

Io mi aspetto che questa abbia quantomeno il coraggio di ringraziarlo… Non era andata in quel modo, non l’aveva ringraziato. Gli aveva appoggiato una mano sulla spalla, sicuramente dolorante, e gli aveva esternato il proprio dispiacere. Non aveva avuto le forze di andare oltre.

La cicatrice lasciata sul braccio dal ramo dopo l’incidente a cavallo con l’allora Delfina le ricordò che André non si era limitato a quello. L’aveva vegliata per giorni fino a che i loro occhi non si erano incontrati di nuovo. Oscar, però, considerò per l’ennesima volta che non poteva permettersi un lusso del genere. Non poteva dar corso ai propri affetti, anche se avrebbe voluto.

Cercò di distrarsi dalla sorte toccata ad André e, muovendo le gambe con lentezza, osservò l’acqua agitarsi all’interno della tinozza. Rimase a fissare quell’azione tanto quotidiana e comune con le braccia appoggiate in modo da lasciar sporgere i gomiti, senza accorgersi di star bagnando il pavimento intorno. Fuori dalla finestra ormai il buio aveva inghiottito ogni cosa. Si riusciva a scorgere soltanto il riflesso dei lampadari del salotto dietro le grandi vetrate che davano sul giardino. L’aspettava una vista altrettanto scura dall’oblò della propria cabina: il cielo, le stelle, a volte la luna e altre le nuvole. Niente prati, però, niente alberi, solo un’infinita distesa di acqua. Poco prima di scoprire della rissa, era giunta alla conclusione che sarebbe stata una bella sfida resistere alla tentazione di fare quattro passi in più, andare a cavallo, rimanere da sola… Poi la situazione era precipitata e il brivido dell’esperienza nuova si era trasformato nello spettacolo di una prigione galleggiante.

Certo, almeno avrebbe potuto prendere una boccata d’aria fresca più di una volta al giorno, a differenza di quel ragazzo. Vincent Marbot… Quanti anni avrà avuto? Poco più di venti, pensò Oscar uscendo dalla tinozza e afferrando uno de grossi teli per avvolgerselo addosso. Così giovane e già tanto violento? Il cognome, poi, non le era sconosciuto. La famiglia Marbot era piuttosto conosciuta a Parigi1 e, se effettivamente ne faceva parte, suo padre non sarebbe stato contento. Il Viceammiraglio lo avrebbe rimandato a casa prima ancora di finire il periodo di punizione, con ogni probabilità.

Seduta sulla poltrona e ancora avvolta nel telo, Oscar guardava le impronte che aveva lasciato sul pavimento. Il viso si distese timidamente in un sorriso all’idea che la nonna l’avrebbe rimproverata se avesse visto l’acqua sparsa per la stanza. La mente, però, tornò subito a poche ore prima, alla ciliegina sulla torta dell’offesa che era stato quell’ultimo gesto di Vincent. Essere derisa e sminuita in quanto donna era all’ordine del giorno ormai, seppur con fastidio, ma che avesse osato sputare… Nemmeno nelle giornate peggiori le sarebbe passato per la testa di comportarsi così. Certo, davanti alla freddezza con cui il Duca De Germain aveva sparato al piccolo Pierre avrebbe voluto vendicarlo seduta stante, ma André l’aveva presa per le spalle e ricondotta in carrozza con la solita prontezza di spirito. Ringraziò che l’onta si fosse consumata alle sue spalle e non avesse dovuto recuperare le poche energie che gli erano rimaste per difenderla. Benché gliene sarebbe stata grata, nella pratica la sua reazione l’avrebbe costretta a punire anche lui e la cosa non le avrebbe fatto piacere.

Un brivido la svegliò dai propri pensieri, obbligandola a vestirsi e prepararsi per la notte. Faceva ancora un po’ freddo a quell’ora e il camino era troppo lontano per scaldarla a sufficienza da tergiversare. Allungò il braccio e afferrò la chemise bianca di cotone, la indossò in fretta e cominciò a passare il panno sui capelli per asciugarli. Assaporò piano la comodità di quei gesti, poi si mise a pettinarsi lasciando che le setole morbide le attraversassero le ciocche per dividerle e ordinarle.

Quando le sembrò di essere pronta posò tutto di nuovo sulla cassapanca e si diresse alla scrivania. Doveva rispondere alla lettera del padre, ma le parole si rincorrevano nella mente. Non gli avrebbe mai raccontato di quelle prime difficoltà, a maggior ragione perché si aspettava di incontrarne altre, con ogni probabilità anche peggiori, e avrebbe rischiato di apparire spaventata ai suoi occhi. Non lo era, anzi. Era contrariata, quello sì, delusa per non aver cominciato con il piede giusto, ma anche queste cose se le sarebbe tenuta per sé. La situazione sarebbe migliorata, prima o poi…

Caro padre,
vi ringrazio per il vostro augurio di buona fortuna. Ce ne servirà, come sempre. Questi primi giorni mi sono già stati di grande aiuto. Sapete meglio di me che ogni nuovo incarico richiede pazienza e determinazione, qualità per le quali non vi dimostrerò mai abbastanza riconoscenza. Guardo all’imminente partenza con la consapevolezza che tornerò con più esperienza, non mi spaventa la prospettiva di rimanere distante da tutto per tanto tempo. Quando e se mi troverò in difficoltà, penserò alle parole di cui avete riempito la mia infanzia e saprò come comportarmi.
Perdonatemi se non vi ho reso partecipe delle mie decisioni prima di prenderle, mettendovi così in imbarazzo con l’Ammiraglio, ma alcune scelte vanno fatte in autonomia.
Vi mando un saluto, con la preghiera di estenderlo anche al resto della famiglia.
Vostra Oscar

Rimase un secondo di più a guardare la firma. Vostra. Femminile singolare. Era fuggita dalla vecchia vita per abbracciarne una più consona alla propria idea di uomo, per ritornare a quel periodo in cui era convinta e sicura di essere un maschio, eppure si firmava all’opposto. Aveva cercato le parole giuste per non doverle declinare, erano anni ormai che aveva smesso di dar corso al modo di esprimersi del padre anche davanti a lui: se fosse tornata sui propri passi gli avrebbe dovuto dare una spiegazione in più.

La punta della piuma d’oca con cui scriveva si riappoggiò leggera sul foglio di carta. Non era certa di voler aggiungere quel post-scriptum, sapeva che suo padre era già al corrente della notizia più di quanto non lo fosse stata lei fino a due giorni prima. Decise di inserirlo comunque, era pur sempre parte della famiglia a suo modo.

Post-Scriptum: André si è imbarcato sulla mia nave. Non so se sia stata una decisione vostra per tenerlo al mio fianco o totalmente sua2, ma avvisate la nonna che se la cava.

Chiuse infine la lettera e la inserì in una busta che intestò e infilò nella tasca della giacca. Il giorno dopo, prima di salire a bordo, l’avrebbe affidata a qualcuno perché la recapitasse a Parigi. 

Terminata anche quell’ultima, piacevole incombenza, Oscar lasciò la scrivania e si mise finalmente a letto. Non aveva sonno, l’adrenalina per l’imminente viaggio si stava di nuovo intrufolando dentro di lei a dispetto di quanto ancora bruciasse il ricordo di alcune ore prima. Buttarsi a capofitto nelle cose, specialmente in quelle difficili, era il solo modo che conosceva per superare le delusioni, o quantomeno affrontarle a testa alta. Quegli uomini non le avrebbero garantito una vita facile, ne era consapevole e, anzi, era perfino contenta della prospettiva ricca di ostacoli e imprevisti che l’attendeva. Avrebbe accettato qualsiasi prova le avessero imposto, giurando su se stessa che ce l’avrebbe fatta. L’avrebbero rispettata, avrebbero riconosciuto in lei una persona autorevole prima che una donna, avesse anche dovuto portarli dall’altra parte della Terra.

Piano piano sentì la necessità di chiudere gli occhi, la stanchezza della giornata le scivolò addosso come un lenzuolo e l’addormentò. Per qualche ora, il mondo poteva aspettare.

***

All’alba del nuovo giorno, il porto di Tolone già brulicava di gente di ogni nazionalità e diretta in ogni angolo del mondo. Un groviglio di volti, lingue e progetti si mescolava concitato mentre altri camminavano tra le banchine in cerca di chissà chi e chissà cosa. Il sole sorgeva in lontananza tingendo di rosa tutto ciò che sfiorava e i gabbani scuotevano il sonno della città, incurante delle attività portuali.

I pescatori erano stati i primi a svegliarsi per raggiungere i luoghi migliori al largo della costa. Era una corsa alla sopravvivenza, bisognava battere sul tempo la natura e farsi trovare preparati. Tolone aveva ritmi strani, ogni quartiere apriva timidamente le persiane e scostava le tende a orari differenti, ma il ronzio degli avventori di piazze e vie rimaneva costante quasi tutto il giorno.

La prime crepe alla pacatezza di un’atmosfera ancora in bilico tra la veglia e il sonno si manifestarono con l’arrivo di alcuni uomini in divisa che attraversavano gli ultimi cento metri di terra lastricata. Portavano con sé sacche di tela stracolme, alcuni parlavano a voce alta tra di loro, altri importunavano le poche donne che si aggiravano nella zona e quelli dotati di un minimo di buone maniere salutavano con educazione le proprie accompagnatrici, sicuri di dimenticarle e di essere dimenticati nel giro di un paio d’ore. I sottoufficiali dell’Héros e i marinai dell’equipaggio chiamati a salpare ritornavano alla nave senza particolari cerimonie, ad eccezione dei passanti che auguravano loro buona fortuna. Erano tutti abituati a quel via vai di gente vestita in modo bizzarro che, quando partiva, lasciava dietro di sé una sensazione di sollievo tra gli abitanti. Per un po’ non avrebbero causato noie.

A una ventina di metri dal porto, Alain camminava a passo regolare con la propria sacca in spalle, salutando questo o quel volto conosciuto con la consueta nonchalance. Teneva il cappello sotto al braccio, non gli piaceva farsi vedere con quel ridicolo tricorno che aveva sempre odiato. Gli era capitato perfino di essere punito per non averlo indossato durante una rivista o in presenza di un suo superiore, ma la faccenda non lo aveva particolarmente scosso. Erano altri i problemi al mondo…

Accanto a lui, una ragazza dal viso pulito che i marinai si affrettavano a salutare, incuranti delle minacce di ricevere un pugno da parte del guardiamarina, lo accompagnava con un’espressione impensierita ma sorridente. Ad uno sguardo esterno, nessuno li avrebbe dati per parenti. Eppure, erano addirittura fratelli. Diane era una giovane a cui tutti si affezionavano solo a conoscerla: la sua bontà d’animo traspariva da ogni parola, si comportava come la migliore delle gentildonne in presenza di chiunque e faceva del proprio meglio per non pesare troppo sulla famiglia. Aiutava come e quando poteva, si prendeva cura della madre e della casa e si teneva lontana dai guai, ché ne aveva già avuti abbastanza…

“Non era necessario che venissi anche tu fino a qui.” le disse Alain aiutandola a scendere un gradino sconnesso.

La ragazza alzò le spalle con una breve risata cristallina. Le faceva piacere accompagnarlo alla partenza, vederlo salpare nella sua uniforme blu e rossa le dava l’impressione che fosse una specie di eroe in procinto di salvare il mondo. E poi era affascinata da quel frenetico muoversi di persone che andavano chissà dove e passavano per caso davanti a lei. Quella mattina rimase soprattutto colpita dall’arrivo di un ufficiale in sella a un cavallo bianco, una persona che non ricordava di aver mai incontrato. Per un momento si dimenticò del fratello e osservò il cavaliere sconosciuto, la sua figura esile ed elegante, i suoi capelli raccolti da un nastro di colore scuro e gli occhi azzurri concentrati. Si faceva avanti verso un capannello di gente che lo aspettava a pochi metri da loro. Subito dietro, altri tre militari lo seguivano con il medesimo incedere sicuro. Scesero a terra, affidarono gli animali a chi la giovane individuò essere gli stallieri e rimasero a parlare alcuni minuti.

“È il tuo nuovo capitano?” domandò Diane, curiosa di sapere chi fosse la persona al centro dell’attenzione. Nel dirlo, però, si lasciò scappare un tono di voce più alto di quanto intendesse, portando l’ufficiale a voltarsi per capire chi stesse parlando.

Com’era bello, pensò lei un po’ in imbarazzo per averlo involontariamente disturbato. Non assomigliava a nessun superiore che il fratello le avesse mai indicato: era affascinante, parlava senza sovrapporsi agli interlocutori e ascoltava con attenzione. Sembrava uscito da una fiaba che la loro madre raccontava sempre quando era bambina, prima di andare a dormire.

Non appena si accorse di Alain e della sua accompagnatrice, il Capitano si congedò per un attimo dagli uomini con cui stava conversando. Benché non avessero avuto il migliore degli inizi, loro due, sapevano di avere almeno una buona ragione per provare a rimediare.

“Buongiorno, Capitano.” esordì lui con il solito saluto militare un po’ vago delle occasioni non importanti.

Oscar ricambiò con un cenno del capo e un educato sorriso a labbra chiuse. Ricordavano ancora entrambi la conversazione della sera prima, ma fingevano di non pensarci per evitare di rovinare il tentativo di distendere i rapporti.

“Lasciate che vi presenti mia sorella, Diane.” proseguì il giovane senza troppi indugi ma orgoglioso di poter vantare una persona tanto gentile al proprio fianco. La ragazza fece un piccolo inchino come il fratello le aveva insegnato: i suoi ufficiali erano tutti nobili, gente che tutti fingevano di considerare migliore, bisognava mostrare rispetto anche se solo di facciata.

“Il piacere di conoscervi è mio.” replicò il Capitano e, quando l’altra si illuminò in un’espressione di grata cordialità, notò sul suo volto lo stesso candore di Rosalie. Dovevano avere più o meno la stessa età, o addirittura la ragazza che aveva davanti era ancora più giovane. Per un momento si interrogò su cosa stesse facendo il suo vento di primavera3, se avesse saputo del cambiamento di vita e città, ma la voce distante di uno dei sottoposti la riportò al presente.

La campana della nave cominciò a suonare con grande foga. L’ora di salpare era giunta, non avrebbero più fatto ritorno tra quelle sponde per i successivi ventuno giorni. Oscar si congedò da Diane e, di ritorno alla banchina, udì distrattamente il saluto dei due fratelli alle proprie spalle. La sorprese un’improvvisa stretta al cuore. Le dimostrazioni di affetto, nonostante la tenerezza che esprimevano, spesso la mettevano in difficoltà. Ne aveva ricevute poche da bambina, di sicuro meno delle (e dalle) sorelle, e una volta cresciuta le percepiva come una barriera che le persone coinvolte ergevano intorno per tenerla al di fuori. La giovane donna aveva però imparato a interpretare i gesti di chi la circondava e ne aveva scoperto molto di calore umano, benché faticasse a lasciarcisi andare davvero. Sentì l’istinto invitarla a girarsi un’ultima volta e sbirciare per un istante un affetto in cui era estranea. Li vide scambiarsi un abbraccio che mai si sarebbe aspettata da quel ragazzone tutto d’un pezzo la cui sorellina si stringeva a lui sorridendo. Oscar tornò con il viso rivolto nella direzione verso cui era diretta, leggermente imbarazzata per essersi intromessa anche senza venire notata, mentre il vento le soffiava i ciuffi di capelli della frangia lontano dagli occhi.

***

L'ancora che teneva l'Héros fermo al porto si levò lentamente dalle acque del Mediterraneo con uno stridore pesante alle sette e quindici minuti precisi. La pesante catena si avvolgeva intorno al tamburo e l'ormeggio ricoperto di alghe emerse centimetro dopo centimetro tra gli spruzzi di schiuma salata e le gocce che brillavano sulla sua superficie.

Sul ponte, il Maggiore De Chabon e i due Tenenti De Valeau e D’Audiffret, con il loro sguardo esperto e la voce ferma, ordinavano l'inizio delle manovre per salpare. Un brulicare di attività si diffuse tra i membri dell'equipaggio: marinai e sottufficiali, coordinati come i musicisti di un'orchestra, issavano le vele, sistemavano le cime e facevano gli ultimi controlli prima di lasciare il molo. Il Capitano Oscar François De Jarjayes, con il cappello nero adornato dal fiocco bianco calato sulla fronte e l’aria concentrata, camminava con passo deciso verso la prua della nave in direzione del ponte del castello di prora4. Aveva studiato con attenzione il rituale5 con cui stavano per congedarsi dalla città e confidava nelle capacità dell’intera ciurma, graduata o meno, affinché tutto andasse per il meglio. Conosceva ogni passaggio, ogni movimento, così come era al corrente della grande scaramanzia che circolava tra la gente di mare. Non poteva in alcun modo sbagliare, stava già rischiando abbastanza ad essere una donna in procinto di salpare6. Salì la breve scalinata di legno fingendo di ignorare il cuore che pareva volerle fuggire dal petto, lo sguardo leggermente abbassato per non inciampare sulle assi un po’ sconnesse e una mano sull’elsa della spada che portava legata in vita.

La nave iniziò a dondolare leggermente, impaziente di abbandonare la quiete del porto. Le vele, tese e pronte, si gonfiarono leggermente al tocco del vento mattutino. Marinai, sottoufficiali e ufficiali si disposero in file parallele, le une davanti alle altre, sul ponte di coperta7, mentre gli occhi degli avventori a terra osservavano quella scena senza fiatare, come a non volerli disturbare anche solo con un respiro fuori posto. Quando il vascello, alla stregua di un gigante risvegliato, cominciò a muoversi con un cigolio maestoso scivolando sull'acqua e con grazia insperata date le grandi dimensioni dell’imbarcazione, Oscar si mise sull’attenti tenendo la città alle proprie spalle. Avvicinò la mano tesa alla fronte e tutti gli uomini ai suoi ordini eseguirono il medesimo saluto militare.

Honneur, patrie, valeur, discipline!” Per la prima volta il Capitano enunciò il motto della Marine Royalea voce chiara, il suo suono giunse alle sue orecchie netto, preciso, con solennità. Si rese conto che la sua vita aveva seguito da sempre quelle quattro parole soltanto pronunciandole tutte insieme, scandite lettera per lettera. L’equipaggio le ripeté all’unisono, come si fosse trattato di un unico corpo, e un colpo a salve infranse fragorosamente il silenzio che circondava la nave.

Oscar osservò quegli uomini, disposti su due file ordinate, e per un attimo ebbe fatica a credere quanto fosse successo la sera precedente. Lanciò uno sguardo alla propria sinistra e, nonostante la distanza, riconobbe la figura un po’ malconcia di André. Quel senso di frustrazione con cui era andata a dormire tornò per un istante: se lui non fosse stato testardo e non l’avesse seguita a ogni costo, se lei fosse stata razionale e lo avesse rimandato a terra, se Alain non le avesse sbattuto in faccia la realtà dei fatti… Si voltò verso la città, non aveva intenzione avere davanti agli occhi i motivi di tanto rimuginare che l’avrebbe distratta, e mentre il vento gonfiava piano le vele la investì con il profumo della salsedine che le volava tra i capelli. L’ultima figura su cui si concentrò prima che diventasse sempre più piccola era quella di Diane, nel suo bell’abito rosa, che salutava con un gesto della mano nella speranza che raggiungesse direttamente il fratello. Il Capitano sorrise distratta, avrebbe portato lei ad Alain il suo messaggio. In quel momento, la nave si liberò definitivamente dalla presa della baia. Il porto, con le sue case colorate e i suoi moli affollati, si allontanò lentamente.

Note:
1) https://it.wikipedia.org/wiki/Famiglia_Marbot
2) Nel manga, André viene mandato alla Guardia Nazionale dal Generale Jarjayes per controllare la figlia 
3) "Vento di primavera" è il modo in cui Oscar definisce Rosalie in tutte le versioni (manga e anime), ad eccezione dell'adattamento animato italiano 
4) Tutti i riferimenti alle parti della nave sono spiegati qui:
 
5) Inventato da me
6) Nei secoli passati le donne non erano ammesse a bordo perché si riteneva portassero sfortuna, uno dei tanti motivi per cui, ad esempio, erano pochissime le donne pirata. Qui si tratta di una flotta reale, le donne non potevano esserci per tutti quei motivi che sappiamo 
7) Vedi nota 4
8) Il motto della Marina francese è lo stesso dai tempi dell'Ancien Régime (https://fr.wikipedia.org/wiki/Marine_nationale_(France))

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Capitolo 8
*** Douloureux, mais amusant ***


(Perdonate la lunghezza infinita del capitolo, ma mi sono accorta che dividendolo perdeva di presa nella lettura)
(Tutti i riferimenti alla nave sono nelle note del capitolo precedente)

 

18 aprile 1788 

Giornale di bordo 

La piuma d’oca si fermò all’inizio della pagina rigida ingiallita dalla salsedine. Ogni sera, il Capitano di vascello era tenuto a redigere un rapporto il più dettagliato possibile di ciò che era avvenuto sulla nave durante il giorno. La candela accesa dentro la lampada di metallo e vetro ossidato rischiarava a sufficienza il perimetro della scrivania su cui Oscar era ricurva per concludere i propri doveri prima di poter andare a dormire. Tra i movimenti della nave sulla cresta dell’onda a cui ancora doveva abituarsi, la stanchezza e il freddo della sera che si intrufolava dagli spifferi e tra le intercapedini del legno, la mano faticava a trovare il momento esatto in cui tornare sul foglio e la testa si distraeva in continuazione. Però doveva farlo: era il ruolo a chiederglielo e lei non avrebbe mai ignorato alcun compito, nemmeno il più banale o il più noioso. 

Alle ore sette e quindici minuti, il vascello Héros battente bandiera di Sua Maestà il Re di Francia Luigi XVI è salpato dal porto di Tolone diretto a La Valletta, capitale dell’Isola di Malta. Il corrente viaggio è volto al servizio di scorta di una nave mercantile recante a bordo, oltre al proprio equipaggio, settanta passeggeri civili, dieci cavalli e un carico di armi e polvere da sparo destinato all’arsenale dei Cavalieri di Malta. 

Oscar sbuffò. I resoconti erano sempre stati una palla al piede per lei, così lanciata all’azione o, tutt’al più, all’ozio spassionato. La burocrazia, lo stilare in bella forma e grafia ogni cosa accaduta nelle precedenti ventiquattro ore era un’incombenza fastidiosa. Reggendo con la mano sinistra la lampada che stava per cadere sulla scrivania a causa del mare che cominciava a ingrossarsi, spostò lo sguardo sulle carte davanti al diario. Un sacco di fogli incredibilmente importanti e inutili: elenchi, permessi, nomi che non si sarebbe mai ricordata, vecchi messaggi lasciati da chi ricopriva il suo ruolo prima di lei. Sotto a tutto, una mappa del Mediterraneo redatta a mano mostrava le meraviglie di una piccola parte di mondo che avrebbe imparato a conoscere meglio. Seguì il profilo della costa francese come quando era bambina e proseguì verso destra, scendendo lungo la penisola degli stati italiani, superò lo Stretto e la Sicilia e si fermò su quel piccolo punto di terra a metà strada con l’Africa. 

Per un attimo si alienò da ciò che avrebbe dovuto fare, dall’ambiente e dalle circostanze, e rimase a riflettere su quanto avesse studiato la storia di tutti quei luoghi ma quanto poco, in realtà, li conoscesse. Un ricordo vecchio di mille anni le attraversò la mente. Da bambini lei e André si erano ripromessi che un giorno, da grandi, avrebbero girato il mondo alla ricerca di tutti i tesori di cui avevano letto nei libri della biblioteca del Generale. Il cuore si strinse, non sapeva se dalla tenerezza del progetto o dalla consapevolezza che le cose fossero andate diversamente.  

Il rumore delle nocche sul legno della porta la risvegliò dai pensieri. Riportò le pagine ingiallite davanti a sé, la piuma d’oca che scaricava l’inchiostro in eccesso sul bordo del calamaio, e diede il permesso di entrare. 

“Guardiamarina De Soisson, à vos ordres!” esclamò il nuovo arrivato con un saluto militare quasi degno di essere chiamato tale, una volta entrato nella grande cabina.  

Oscar lo guardò e trattenne l’istinto di alzarlo da terra soltanto perché non aveva troppo tempo da dedicargli, nonostante lo avesse fatto chiamare lei. Era in disordine, ovviamente senza cappello con sé ma con il suo solito stecchino di legno nella mano lasciata lungo il fianco. Il suo superiore scosse la testa e tornò a guardare la pagina quasi totalmente vuota, poi parlò. 

“Toglimi un dubbio…” fece in tono grave per esprimere tutta la sua contrarietà oltre che autorevolezza. Aveva deciso comunque di dargli del tu, di propria sponte: a differenza degli altri sottoufficiali, con quel guardiamarina aveva scoperto di avere qualcosa in più in comune che la sola presenza sull’Héros; tanto valeva tentare di essere un po’ più a proprio agio… “Come mai ho trovato quattro rapporti su di te risalenti all’ultimo mese mezzo?” 

Alain passò una mano sul collo, come a voler mostrare di provare una fatica immane solo al dover pensare a quegli episodi, poi si giustificò con una mezza risata soddisfatta.  

“Vorrei potervi dire ho fatto del mio meglio per non finire nei guai e che, anzi, questi vengono a cercare me, ma non sarebbe la verità.” 

Oscar lo guardò con un’espressione stupita dipinta sul volto e gli occhi azzurri sgranati. Faceva dell’ironia? C’erano tutti gli estremi per spedirlo nelle prigioni della nave e lui scherzava! L’ufficiale fece un respiro profondo per cercare un briciolo di pazienza nascosta chissà dove in fondo al cuore e provò a proseguire con la richiesta di spiegazioni. 

“Ho letto che il Capitano che mi ha preceduta aveva già disposto della tua punizione, è così?” 

Alain annuì, ora improvvisamente serio. 

“Cos’è successo?” 

“Quell’infam—” esordì luì nel racconto, ma non appena notò il viso oltraggiato dalle proprie parole cercò di minimizzare e cercare il modo giusto per equilibrarsi. “Quell’uomo, sempre che si possa definire tale… ha importunato mia sorella. Vedete, io ho dovuto spaccargli la faccia.”1  

Il suo superiore rimase a fissarlo con un’espressione attonita. Poteva comprendere la sua reazione, era più che legittima d’altronde sebbene riservata a un ufficiale. Lei, per meno, aveva affrontato la favorita del Re a viso aperto, come avrebbe potuto biasimarlo davvero?  

“E le altre volte, invece?” proseguì il Capitano rimettendo la piuma accanto al calamaio.  

“Qualche zuffa, qualche insulto a chi lo meritava…” tergiversò l’altro con un gesto della mano che voleva sminuire l’importanza di faccende passate ormai risolte e scordate. Si mise a ridere, però, al ricordo del suo guaio preferito, il primo della lista, il migliore, quello che avrebbe raccontato ai nipoti con estremo orgoglio perché comunque un uomo non è degno di ritenersi tale se non ama provare il brivido del rischio. “Ce ne sarebbe un altro, Capitano, ma forse è meglio che voi non lo sappiate e comunque sono già stato punito. Purtroppo…” e nel dirlo sospirò divertito. 

Oscar si sentì in bilico tra il voler approfondire e il fidarsi delle sue parole. Decise, un po’ perplessa, di lasciar perdere e tornare indietro col discorso per sviare i pensieri da cosa potesse nascondersi dietro quel mistero.  

“Nei giorni passati avrei dovuto procedere anche con la tua ultima punizione, firmare per cambiarti di mansione e abbassarti di grado, ma ho preferito conoscere la situazione anche da te. Non credo lo farò2, in tutta onestà, ma tu datti un contegno.”  

“Signor sì, signore!” rispose il guardiamarina in tono ironico, sempre con lo stecchino tra le labbra.  

Nonostante l’invito a uscire e tornare con gli altri, Alain non si mosse dal proprio posto. Rimase in quella cabina ricoperta di una boiserie pomposa, si guardò un po’ intorno mentre l’ufficiale riprendeva la piuma dal portapenna e la intingeva nel calamaio. Oscar si ripeté, non aveva più altro da dirgli, e la sua insistenza cominciò a irritarla.  

“Capitano, posso chiedervi una cosa?” le domandò lui a un passo dal tavolo.  

Si prendeva troppe libertà e troppa confidenza, constatò amaramente la giovane donna, ma se aveva altro di cui parlare era giusto ascoltarlo. Rialzò gli occhi sul suo volto ironico, ormai stava capendo suo malgrado che cosa significasse, e attese che l’interlocutore si liberasse dei dubbi che a quanto pareva lo attanagliavano al punto di non potersi trattenere.  

“Ma perché voi non avete un attendente?” 

All’udire le sue parole, Oscar si irrigidì e fermò la piuma a mezz’aria. André gli aveva detto qualcosa, o ci era arrivato da solo? Di sicuro non poteva esserselo sognato, né essere una semplice coincidenza. Che cosa gli importava, poi? Perché tanta curiosità? Fino alla sera prima l’accusava di essere una senza coraggio e ora cercava di conoscerla…  

“Non penso di averne bisogno,” gli rispose in tono autorevole, “posso cavarmela da sola. Sono stata addestrata a farlo.” 

Addestrata. Che parola impegnativa per definire l’educazione di una famiglia! Possibile che l’avessero addestrata invece di crescerla? In effetti, riflettè Alain, si trattava pur sempre di una donna soldato di Sua Maestà, soltanto così sarebbe potuta venir su… Si strinse nelle spalle, intenzionato a insistere finché non gli fosse chiara la situazione. 

“Ce l’hanno tutti gli ufficiali, anche quei tre che vi corr—” ma non fece in tempo a terminare che Oscar lo interruppe per togliersi dall’impiccio di dover proseguire con l’interrogatorio.  

“Io credo che tu non debba ricevere spiegazioni di alcun tipo circa le mie abitudini.” e, nel dire ciò, si alzò, lo superò sfiorandogli la manica della giacca con la propria e gli aprì la porta. “Il resto dell’equipaggio ha bisogno di te, Soisson.”  

Con un saluto militare un po’ più convinto, sicuro e soddisfatto di essere stato sull’orlo di darle modo di manifestare l’irritazione, il giovane si congedò, non senza, però, prendersi il diritto dell’ultima parola. “Il nostro amico,” indicò col pollice un punto indefinito alle proprie spalle, “è un osso duro, eh. Ho visto gente in fin di vita per molto meno. Arrivederci, Capitano!” 

Il sottoufficiale era già a metà del piccolo corridoio che portava alle scale per tornare al ponte di coperta quando si sentì chiamare un’altra volta.  

“Stamattina, quando la nave è salpata…” aggiunse il Capitano dalla soglia della cabina, con una punta di imbarazzo per essersi messa in mezzo – ancora, pensò – al rapporto tra un fratello e una sorella, “ho visto Diane sul molo, ti mandava il suo saluto.”, poi tornò dentro e richiuse l’uscio.  

Alain sorrise. Quando mai un suo superiore era stato tanto gentile da riferirgli una cortesia simile? Non si sarebbe ricreduto su di lei, una nobildonna in uniforme venuta dal cielo in mezzo agli ultimi, non sarebbe caduto nella trappola, ma provò un leggero senso di gratitudine per la sua accortezza. 

Una volta rientrata, Oscar si appoggiò per un istante con la schiena sulla porta. La domanda del suo sottoposto aveva colpito uno dei tanti nervi scoperti. Nel tentativo di essere un uomo e di vivere come un uomo, non stava tenendo in considerazione la realtà dei fatti (un’altra volta!): gli uomini hanno un attendente.3 Adesso non era più diversa soltanto in quanto donna, ma anche perché era un ufficiale senza attendente. E non serviva che André lo dicesse in giro, era evidente: il Maggiore e i Tenenti avevano quasi sempre al proprio fianco tre giovani ben vestiti che li aiutavano, lei no. Giorno dopo giorno, dal viaggio in Normandia, si era abituata all’idea prima e alla messa in pratica dopo. Non essere sempre sorretta in qualsiasi cosa le dava un senso di indipendenza tutto nuovo, inedito. Perfino piacevole, a tratti. Le mancava la presenza di un amico, quello sì, un fratello di sangue diverso, un confidente, qualcuno a cui rivolgere l’ennesimo cattivo umore e di cui ridere per una buffonata.  

Sospirò per cacciare via i pensieri e schivare quelli che l’avrebbero costretta ad ammettere con se stessa più di quanto avrebbe voluto e tornò alla scrivania. C’era un resoconto da redigere, ora, non poteva perdere altro tempo. 

*** 
18 aprile 1788 

Giornale di bordo 

Alle ore sette e quindici minuti, il vascello Héros battente bandiera di Sua Maestà il Re di Francia Luigi XVI è salpato dal porto di Tolone diretto a La Valletta, capitale dell’Isola di Malta. Il corrente viaggio è volto al servizio di scorta di una nave mercantile francese recante a bordo, oltre al proprio equipaggio, settanta passeggeri civili, dieci cavalli e un carico di armi e polvere da sparo destinato all’arsenale dei Cavalieri di Malta. 

Siamo diretti a sud-est con una velocità media di sei nodi4 e il vento a favore. Benché al momento della redazione di queste pagine il mare si stia ingrossando, durante le scorse ore il tempo è stato clemente. Secondo il navigatore di bordo, in queste condizioni il viaggio della durata stimata di cinque giorni dovrebbe proseguire nel tempo stabilito. Ci si aspetta che avvenga. Le riserve di cibo e acqua sono state stivate in numero sufficiente per una settimana, se dovessero esserci imprevisti bisognerà razionarle.  

Il primo giorno di navigazione, nel totale, è proceduto senza particolari problemi. L’equipaggio ha accolto le reclute e i nuovi marinai superando le difficoltà delle ore precedenti alla partenza. Tutt’ora non si segnalano incidenti. 

*** 
 

20 aprile 1788 

Giornale di bordo 

Alle undici e venti minuti del mattino, parte dell’equipaggio dell’Héros ha tentato l’ammutinamento.  

“Come sarebbe a dire si rifiutano di eseguire gli ordini?” domandò Oscar a voce alta. Scattò immediatamente in piedi e la sedia strisciò contro il pavimento di legno con un rumore stridulo. Tutti i presenti si guardarono in volto increduli. Erano resistiti due giorni quegli uomini senza creare problemi. Quarantotto ore troppo calme per essere reali. 

Il Tenente D’Audiffret deglutì con fare nervoso. Vedeva nei suoi occhi una luce a lui ancora sconosciuta, sembrava sul punto di esplodere e la situazione fuori dalla porta era già sufficientemente preoccupante di per sé. “Probabilmente si stavano preparando da quando siamo salpati, o forse addirittura da dopo le presentazioni…”   

Dei cinquecento uomini che formavano la ciurma dell’Héros, all’incirca centocinquanta sbraitavano gli uni contro gli altri come impazziti. Alcuni di loro brandivano delle armi, chi le spade e chi i fucili o le pistole, la restante parte inveiva contro chi non volesse seguirli e mandava minacce in ogni dove sicura di non mancare un qualche bersaglio. Le loro parole erano confuse, si aggrovigliavano le une sulle altre e spesso si interrompevano per via di qualche rissa scoppiata all’improvviso. Era uno spettacolo agghiacciante, pareva che avessero perso la capacità di stare al mondo. Urlavano un solo nome, accompagnato da epiteti che conoscevano tutti fin troppo bene, volevano una persona e una persona soltanto davanti a loro anche a costo di andarsela a prendere con la forza. Qualcuno, in effetti, ci provava, ma il Tenente De Valeau e altri sottoufficiali ancora fedeli riuscivano a intercettarli prima che la situazione degenerasse definitivamente. Le grida si levavano potenti dal ponte di coperta della nave, talmente forti da sembrare il doppio. Di tanto in tanto si udivano dei colpi sordi che facevano calare il silenzio per alcuni secondi: c’era già chi sparava verso il cielo, bisognava agire in fretta. 

Il Maggiore si allontanò in tutta fretta dal tavolo, irritato come mai in vita sua. Aveva avuto esperienza di almeno due tentativi ammutinamenti soltanto negli ultimi sei mesi, ma quantomeno in precedenza gli insorti avevano delle motivazioni. La Marina Reale navigava in pessime acque da tempo immemore, le condizioni di vita e lavoro dei suoi uomini andavano peggiorando giorno dopo giorno. Le insurrezioni sulla nave, solitamente, avevano luogo durante il viaggio di ritorno, quando le scorte di viveri cominciavano a scarseggiare a causa del pessimo rifornimento effettuato al porto da cui erano partiti. Capitava con una certa regolarità ormai e la cosa non veniva più tollerata. Ciò, però, era quanto accaduto le volte prima. Ora, invece, erano in mare soltanto da due giorni e la situazione a bordo pareva ancora nella norma. Non c’era nulla fuori posto, tranne quelle centocinquanta persone sul piede di guerra che valevano per mille. L’ufficiale camminava a larghe falcate borbottando qualcosa di incomprensibile, poi spalancò la porta con un gesto che la fece sbattere contro la parete della stanza di navigazione. Uscì di fretta senza dare spiegazioni, lo sguardo dritto davanti a sé e l’attenzione talmente catalizzata da quanto stava succedendo da non rendersi nemmeno conto che il timoniere gli stesse parlando. Scese al castello di quarto e si fermò davanti alla balaustra, stringendola con una mano. Li osservava con disgusto: aveva compreso che le ragioni di quel pericoloso trambusto risiedevano in qualcosa di irrimediabile rispetto al passato. Quando il marinaio a capo dell’ammutinamento si accorse della sua presenza, ricominciò con gli insulti e le minacce.  

“Cosa volete questa volta?” domandò a gran voce De Chabon per farsi udire bene da tutti. Sapeva che tirarla per le lunghe e provare a dissuaderli non sarebbe servito a niente. L’unica strategia era andare dritto al nocciolo della questione.  

“Che una donna non ci dia ordini, perché noi non li accettiamo.” rispose l’altro incitato dai compagni a non perdere più tempo e far prigioniero l’ufficiale con cui stava trattando.  

“Avete realizzato dopo due giorni che avreste dovuto seguire le direttive di una donna, che bravi…” 

Davanti al sarcasmo della sua osservazione calò il silenzio, che si infranse soltanto sotto il rumore di passi sulle assi di legno alle spalle del Maggiore.  

“Credo di potermene occupare io, grazie.” si inserì la terza persona, tanto chiamata dagli ammutinati come cani con la bava alla bocca fino a pochi minuti prima. Alcuni la indicavano per attirare l’attenzione di chi ancora era concentrato sull’uomo in divisa, i suoi predecessori non ci avevano messo la faccia con così tanta solerzia prima ancora di essere messi con le spalle al muro e obbligati. 

Non aveva dubitato un minuto di essere l’oggetto dei loro malumori dal momento esatto in cui il Tenente era giunto nella stanza di navigazione per dare l’infausta notizia. Per quale altro motivo avrebbero dovuto ribellarsi dopo solo quarantotto ore di navigazione, se non l’oltraggio di essere guidati da un capitano donna? Ingenuamente (davvero troppo, per qualcuno con la guardia sempre così alta come lei), aveva creduto che allontanando con prontezza il primo a dare segni di insofferenza tutti gli altri avrebbero abbandonato ogni velleità di insurrezione. Invece non aveva tenuto in considerazione la storia problematica di quel vascello e la sua tendenza alla creatività recidiva: dava spesso e volentieri grattacapi ai suoi ufficiali, ma di volta in volta di natura diversa. Questa, poi, gliel’aveva servita su un piatto d’argento, non potevano proprio lasciarsela scappare. 

Oscar camminava a testa alta, i pugni chiusi lungo i fianchi, intenzionata a non cedere neanche di un millimetro dalla propria posizione. Scese la prima rampa di scale fino ad arrivare al castello di quarto, che attraversò davanti agli occhi stupiti dei sottoposti che erano rimasti alle sue spalle. Il Maggiore fece per trattenerla, ma un gesto lo fermò prima ancora di allontanarsi dalla balaustra. Se era lei che volevano, lei avrebbero avuto.  

“Eccomi.” disse in tono deciso ma senza scomporsi. I ribelli non mossero un muscolo, avvolti da un silenzio carico di tensione. “Pensavo mi aveste chiamata. Cos’è, avete perso la lingua?” proseguì e una punta di sarcasmo si trasformò nella scintilla che accese una miccia piuttosto corta.  

Il capo degli ammutinati si chiamava Guy ed era un energumeno alto e massiccio, famoso tra l’equipaggio per essere una testa calda capace di collezionare più punizioni di chiunque. Il suo viso scottato da innumerevoli soli era pieno di cicatrici e il suo naso schiacciato rimandava a infinite scazzottate chissà dove con chissà chi. Era un tipo pericoloso che a bordo non sarebbe mai salito se non avesse avuto quella nave come ultima spiaggia per limitare i danni che le sue frequenti ire causavano sulla terraferma. Poche erano le persone che osavano contraddirlo e, a quanto pareva, il nuovo superiore era una di loro. Non le avrebbe perdonato un simile atteggiamento: davanti a lui c’era una donna che giocava col fuoco, non un ufficiale. 

Madamigella,” e sottolineò quella parola con tutto lo sdegno che aveva in corpo, “non prendiamo ordini da voi. Neanche da quei tre cani che vi seguono ovunque andiate, se volete saperlo. Siamo uomini, noi.” 

Il Capitano gli stava a un palmo dal volto e teneva gli occhi fissi nei suoi, senza perdere mai il contatto visivo. Sentiva il respiro pesante del marinaio sulla pelle, ma non si sarebbe mai allontanata da lì. Non gli avrebbe concesso neanche la soddisfazione dell’essere ripugnata da lui.  

“E cosa vorreste fare? Sentiamo.” gli chiese e all’improvviso tutto ciò che li circondava scomparve. C’erano solo loro due, era una questione personale che voleva chiudere il prima possibile.  

“Oltre a essere donna, siete anche un po’ stupida. Non mi sorprendo.” Guy non aveva troppo tempo da perdere con le presentazioni: prima l’avrebbe provocata abbastanza da farla reagire, prima avrebbe messo fine a quella situazione ridicola e inconcepibile.  

La mano destra di Oscar afferrò l’elsa della spada e la strinse, frenando l’istinto di estrarla del tutto e trapassarlo da parte a parte. Sapeva che una sola mossa fuori posto avrebbe scatenato l’ira dei compagni ribelli. Respirava lentamente mentre cercava di controllare l’adrenalina che spingeva perché la liberasse in qualche modo. 

Dall’altra parte del ponte, immobile accanto a un paio di mozzi inermi, André la guardava in totale silenzio ancora coperto di lividi. Avrebbe voluto correre a salvarla da lì, ma non poteva. Si sentì con le mani legate e in cuor proprio pregava che la situazione non precipitasse troppo in fretta. Non le avrebbe mai voltato le spalle, neanche lì, a un passo da affondare o finire prigioniero dei suoi stessi compagni di viaggio. L’unico pensiero che lo confortava un po’ era il fatto che la conoscesse troppo bene per non riuscire a decifrare il suo incomprensibile silenzio e la calma apparente che lo racchiudeva. Dentro la sua mente ogni decisione aveva almeno tre motivi e tre piani alternativi, a maggior ragione se si trattava di scontrarsi con qualcuno. André credeva in lei e nelle sue capacità, ma non poté fare a meno di provare un brivido di terrore alla prospettiva di vederla soccombere a causa di quel gigante senza scrupoli. 

Accanto a lui, i due ragazzi bisbigliavano terrorizzati: quanto ci avrebbe messo per farla fuori? E cosa ne sarebbe stato di loro e di tutti gli altri? Li zittì a voce bassa e continuò a guardare lo scontro che ancora rimaneva sospeso nella tensione.  

All’improvviso, delle voci si levarono concitate. Tre degli ammutinati erano riusciti ad allontanarsi indisturbati dal gruppo, forti della distrazione che il loro capo aveva creato. Con assoluta sincronia di intenzioni, due uomini si avventarono sui Tenenti mentre l’ultimo corse alle spalle del timoniere e lo immobilizzò prima di legarlo per evitare che riuscisse a riprendere il controllo della nave. Un altro, ben nascosto dietro la scala del castello di quarto, bloccò il Maggiore per le braccia e gli puntò la pistola alla schiena. 

Guy sogghignò. Ora che tutti avevano distolto l’attenzione concentrandosi sui primi ostaggi, la situazione era finalmente nelle proprie mani.  

“È stato fin troppo semplice.” ridacchiò in faccia al Capitano con paternalismo, il cui ultimo intento era anche solo accarezzare l’ipotesi che fosse già tutto finito. “Vedete, madamigella, è come vi ho detto: siete un po’ stupida.” poi il suo tono mutò in un secondo, diventando più fermo e grave: “Ora consegnatevi e la finiamo qui.” 

Oscar non mosse un muscolo, nemmeno quando vide la canna della sua arma puntata verso di lei, ma lo studiò da capo a piedi nel suo consueto atteggiamento di sfida, una calma apparente che covava un’esplosione sotto le ceneri. Non si scompose neanche nel momento in cui percepì la presenza di qualcuno alle proprie spalle. Altri ammutinati si erano staccati dal gruppo, circondandola. Un soffio di vento le fece volare i capelli davanti agli occhi, ma li ignorò: non aveva bisogno di vedere ogni centimetro della faccia di quell’energumeno per sapere che la ripugnava.  
 

Inaspettatamente, ci pensò proprio l’uomo a spostarglieli e per il motivo esattamente opposto: non voleva alcun ostacolo tra i propri occhi e il volto della donna a cui l’avrebbe fatta pagare soltanto per aver osato mettersi in mezzo a una faccenda che non la riguardava. Il suo superiore rinnegato istintivamente si scostò per non lasciare che la toccasse e finì con la schiena contro le pistole dei due ribelli che la aspettavano dietro.  

I ricordi di Oscar volarono alla trappola che le era stata tesa al Palais Royal, ai giorni trascorsi nella cella e alla fuga che André l’aveva aiutata a compiere nel migliore dei modi. Deglutì e pregò in silenzio che l’amico non facesse pazzie, che rimanesse al suo posto ovunque fosse – di sicuro troppo lontano perché i loro sguardi potessero incrociarsi – e non peggiorasse le cose. Non muoverti da dove sei gli ripeteva mentalmente. Aveva già perso un occhio, non c’era assolutamente bisogno di fare lo stesso con la vita. In altre occasioni sarebbe saltato al collo di chi la circondava, ma ora no, ora non avrebbe potuto né dovuto e si sarebbe immolata all’istante se fosse servito anche solo per non metterlo in mezzo e risolversela da sola. 

“Sembra che non abbiate altre alternative…” le intimò l’uomo alle proprie spalle in un tono strano, quasi allusivo, che le diede un brivido di orrore. Non era solo il controllo del vascello che volevano, dunque, e neanche la soddisfazione di sollevarla dall’incarico. Loro volevano lei, volevano il suo corpo perché solo quello consideravano della donna davanti ai loro occhi. “Vi conviene arrendervi ora prima che sia troppo tardi.” e nel sentenziarle il destino spostò l’arma e si strinse lei cingendola in vita.  

Oscar sentiva distintamente il suo respiro addosso e per un breve momento chiuse gli occhi. Bisognava mantenere la calma nonostante il cuore battesse al punto di uscire dal petto, ragionare in fretta e non lasciarsi prendere dal panico. Per quanto ne sapeva, c’erano ancora più di trecento persone dalla propria parte. O almeno così sperava. E poi non poteva soccombere in quel modo, dopo meno di una settimana per giunta. Che morte era? Che fine ingloriosa avrebbe fatto l’unico erede del Generale Jarjayes se avesse ceduto prima ancora di difendersi?  

Un silenzio pesante e carico di tensione calò di nuovo sul ponte della nave. Bastava un solo respiro per far bruciare l’ultimo esilissimo tratto di quella miccia invisibile eppure tanto pericolosa. Con un cenno del capo, Guy diede ordine ai suoi uomini più distanti di portare i primi ostaggi nella stanza di navigazione e chiuderceli dentro. I tre non erano ancora arrivati a destinazione, però, che il capo degli ammutinati sparò nella loro direzione colpendone uno alla spalla. I presenti si voltarono a guardare da lontano De Valeau, che urlò non appena la pallottola lo colpì al braccio e per poco non finì con la faccia a terra sotto la spinta del suo aguzzino. Tutti videro quella scena tranne il Capitano, che venne costretta a tenere il viso rivolto in avanti dalla mano libera di chi la premeva contro di sé con sempre maggior insistenza.  

A quel punto, Oscar decise di rompere il silenzio. “Questa sarebbe una prova di virilità? Sparare a un ostaggio con le mani legate?” chiese con estrema decisione, poi continuò a provocarli. “Siete meno uomini di me, signori.” 
 

Quando il suono di quelle sei parole arrivò alle orecchie dei diretti interessati, la presa alle braccia si fece ancora più stretta, la pistola le venne nuovamente puntata davanti al petto e il respiro di tutti le si riversò addosso con disgusto.  

L’equipaggio intero non riuscì a credere a ciò che aveva appena sentito. Gli insorti si scambiarono sguardi stupiti: era fatta, quella donna aveva tirato la corda per l’ultima volta e non aveva idea di cosa le sarebbe aspettato adesso. Tutto sommato, aveva ragione Guy a definirla stupida, si era appena scavata la fossa da sola. I fedeli al comando, invece, cominciarono a recitare mentalmente le ultime preghiere implorando Dio di avere clemenza di loro.  

Poi c’era André, che nonostante la distanza e il muro di gente riusciva a vederla in modo piuttosto nitido. Lasciatosi scivolare addosso l’incredulità iniziale, notò un movimento strano dietro la schiena di Oscar e che non sembrava affatto colpita dalla reazione. Socchiuse gli occhi per mettere a fuoco la scena che si dispiegava davanti a sé e scoprì le sue mani cercare qualcosa tentando di essere discreta e insospettabile. Fingeva di volersi liberare. Un impercettibile sorriso gli curvò le labbra. Era nata per stare in mezzo al pericolo, il suo cuore non conosceva prospettive migliori per battere se non quelle dello strapiombo sulla fine. Lui la guardava e pensava che, davvero, una così avrebbero dovuto inventarla. Il suo prolungato silenzio doveva avere una ragione, non era mai stata una incapace di raccogliere le provocazioni. Anzi, a volte se lo fosse stata si sarebbe risparmiata diversi guai. Ma ora no, ora c’era in ballo la vita di più di trecento uomini e sapeva di non potersi sbilanciare.  

“Come avete detto?” chiese Guy digrignando i denti con astio. 

Oscar sogghignò e il sopracciglio destro si inarcò, segno che il piano stava procedendo in modo corretto. “Dite a me che sono stupida, ma mi pare di capire che voi siate sordi…”  

In quell’esatto momento, quando il pugno dell’insorto alla propria sinistra si stava chiudendo per colpirla, la giovane donna riuscì a strappare un coltello dalla cintura dell’uomo che ancora la stringeva e lo conficcò con estrema rapidità a uno nella coscia e all’altro nello stomaco. I due cominciarono a contorcersi per il dolore di quell’attacco inaspettato mentre il sangue fuoriusciva senza soluzione di continuità.  

La concitazione del momento e le urla dei feriti che imprecavano contro di lei, mentre la restante parte degli ammutinati attese un secondo di più per capire cosa stesse accadendo, le diedero la possibilità di liberarsi e avvicinarsi ancora di più alla canna dell’arma di Guy. Era ancora calda dallo sparo, lo sentì nell’istante in cui si fermò e la punta della pistola affondò leggermente nella giacca blu della divisa. Si accorse dal rumore dei passi sulle assi di legno che lo scontro corpo a corpo era a un passo dall’esplodere, ma non diede ordini. Era una faccenda personale, solo per un altro paio di minuti.  

“Mi hai fatto perdere troppo tempo e troppa pazienza, donna.” e nel dire ciò con disgusto spostò il dito sul grilletto. 

Alcuni serrarono gli occhi per non vedere la fine inevitabile a cui, come una pazza, si stava offrendo. Nessuno capiva dove stesse andando a parare, perfino André si scoprì stupito e spaventato da un gesto tanto inconsulto e assolutamente non da lei. Sentì lo stomaco rivoltarsi e l’istinto di correre a salvarla impossessarsi di lui, ma le gambe glielo impedirono. Rimase immobile, i pugni serrati lungo i fianchi, e si ripeté che se il Capitano si stava comportando da sconsiderata doveva per forza esserci un motivo che esulasse da un’improvvisa follia.  

Oscar abbassò per una frazione di secondo lo sguardo e lo riportò poi sul volto di Guy, profondamente irritato dal mezzo sorriso che vedeva su quel volto che avrebbe volentieri sfregiato a mani nude.  

“Ti diverte sapere di stare per morire?” le domandò furioso.  

La giovane donna riprese a scrutarlo in silenzio, infastidita dalle urla di dolore che i due a terra le rivolgevano insieme ad uno sproposito di insulti. Attese ancora, infilando il pugnale sporco di sangue nella tasca esterna della giacca, poi parlò: “Spara.”  

L’energumeno, paonazzo, non se lo fece ripetere. Non vedeva l’ora di assistere allo spettacolo che attendeva da giorni, la vittoria su quella stupida aristocratica invadente sarebbe stata un premio incredibile per lui.  

Gli uomini trattennero il respiro, tutti, indistintamente.  

L’aria si fece pesante e poi un secondo dopo rarefatta. Il vento gonfiava le vele con un rumore sordo, irregolare, lo stridio dei gabbiani si librava sopra le loro teste. 

La mano ferma, la pistola a contatto con il corpo che voleva vincere, profanare, distruggere, gli occhi iniettati di sangue.  

Il dito sul grilletto.  

La pressione. 

Il colpo. 

Il silenzio. 

Un altro colpo. 

Un altro silenzio. 

Un terzo e ultimo sparo. 

Ancora il silenzio. 

La repentina concitazione di scarpe sul legno pronte a scattare. 

Lo stupore generale. 

Il rumore frusciante del metallo di una spada che veniva sfoderata sotto i raggi del sole.  

“Non permettetevi mai più di mettere in dubbio l’autorità di Oscar François De Jarjayes.”  

La voce ferma, determinata e autoritaria del Capitano di vascello riecheggiò alta lungo l’intero ponte di coperta dell’Héros. Tutti, senza distinguo, dovevano ascoltare bene le sue parole. I suoi grandi occhi azzurri erano ora di ghiaccio, così freddo da provocare bruciore in chi lo tocca. Gli stava adesso a un metro di stanza, con il braccio destro testo e la punta della spada sulla gola del capo degli ammutinati obbligandolo a reclinare la testa all’indietro. Gli uomini che prima giacevano ai suoi piedi avevano raccolto un po’ di energia quando avevano visto la pistola di Guy mancare il secondo colpo e si erano dileguati dietro a due casse di legno, lontani da loro. Aveva esaurito i proiettili dopo lo sparo al Tenente e Oscar se ne era accorta dal modo in cui la mano dell’insorto si era alleggerita, anche se quasi impercettibilmente. Un’arma carica è più pesante di una vuota, lo sapeva bene lei. Per questo aveva voluto tacere prima e provocarli dopo. Le strategie d’azione, d’altronde, erano una sua specialità fin dai tempi dell’accademia militare. 

“Ascoltatemi bene tutti, adesso.” sentenziò Oscar concedendo all’equipaggio un briciolo di attenzione e a voce alta. “Se l’idea di prendere ordini da una donna vi disturba al punto di non potermi nemmeno più pensare viva, io so vendere molto cara la pelle… E con me, sono certa, gli uomini che vorranno rimanermi fedeli. A voi la scelta.”  

Nessuno rispose, ma distingueva con chiarezza assoluta quali tra gli sguardi che la fissavano esterrefatti fossero quelli che la immaginavano già alla mercé dei peggiori istinti maschili.  

“Allora? Non avete più niente da dire?” continuò lei e insistette con cautela nell’affondare di pochissimi millimetri la punta della spada nella gola dello sventurato troppo coraggioso.  

C’era un’ultima cosa da fare a quel punto: la tensione era ingestibile ormai, era evidente che bisognasse agire per concludere. Per riuscirci, era necessario fidarsi dell’equipaggio e buttarsi alla cieca.  

“Parlo agli uomini che intendono rimanere al mio comando, ora…” affermò, non senza il retropensiero che potessero tradirla tutti adesso.  

“Tu non farai un bel niente, cagna della regina!5” la interruppe un tizio visibilmente alterato dalle conseguenze di infiniti litri di alcol e pestaggi subiti in vita propria con un balzo nella sua direzione, ma non fece in tempo a raggiungerla per aggredirla che due marinai l’avevano afferrato per le spalle e spinto a terra per riempirlo di pugni. 

“Rompete le righe, forza!” esclamò Oscar e in men che non si dica scoppiò una feroce lotta all’ultimo sangue.  

I centocinquanta ammutinati erano riconoscibili, soprattutto perché Guy si circondava di loro da diverso tempo e anche i nuovi arrivati avevano capito chi fossero. Benché fossero in evidente svantaggio numerico, sapevano difendersi e attaccare con la furia di un esercito intero. Nessuno veniva risparmiato, tutti erano inclusi in quello scontro decisivo per la supremazia del vascello e per il riconoscimento del suo legittimo Capitano.  

Oscar aveva prontamente abbassato la spada nel momento successivo all’ordine di cominciare la lotta e per evitare che Guy riprendesse terreno a proprio discapito gli si era gettata addosso colpendogli il volto con l’elsa pesante della spada. Per istinto di sopravvivenza al colpo subito, l’uomo si era piegato in avanti e l’ufficiale ne approfittò per infierire su di lui.  

Non voleva concentrarsi su altri, il suo unico obiettivo era chi aveva osato sfidarla e tradirla con l’intenzione di distruggerla finché non l’avesse avuta vinta. Riuscì in tutta fretta a rimettere la spada nel fodero prima di cominciare a sferzargli una serie di calci e pugni agilissimi, precisi benché sapesse che la propria forza era relativa rispetto alla sua. Proprio per questo fece di tutto per schivarlo, confonderlo, metterlo in difficoltà: un colpo solo e le avrebbe distrutto ogni singolo organo interno.  

Quando Guy le sembrò inerme a sufficienza da non poterle più rispondere, Oscar corse via svelta in direzione della stanza di navigazione. C’erano quattro ostaggi lì dentro, di cui uno ferito, non aveva tempo da perdere. Si divincolò tra gli uomini in lotta, si difese da chi provava ad attaccarla usando la spada ancora nel fodero per allontanarli e ferirli, finché non arrivò davanti alla porta. 

Aprì l’uscio con un calcio – sapeva che avrebbe dovuto sfondarlo – e trovò le persone che cercava con le mani legate tra di loro e poi ancora allo schienale delle sedie su cui erano stati spinti. Oscar si accovacciò senza mai perdere il controllo di cosa stesse succedendo fuori e usò il pugnale che aveva ancora in tasca per tagliare le corde e liberarli. Si avvicinò a De Valeau, prestò attenzione a non muoverlo troppo per evitare di peggiorare la ferita sanguinante.  

“C’è un… fazzoletto in tasca… nella giacca…” si sforzò a dire il Tenente, ma nello sforzo di parlare credette di star esalando l’ultimo respiro.  

“Silenzio, per Dio!” lo rimproverò il suo superiore, che estrasse un quadrato di stoffa bianca e glielo strinse attorno al punto in cui il braccio era stato colpito dal proiettile. “D’Audiffret, voi rimanere qui insiem—” ma non riuscì a concludere l’ordine che l’ombra di un ennesimo uomo si fermò davanti alla porta.  

Si voltarono tutti verso il nuovo arrivato, che con aria minacciosa li stava squadrando per decidere su chi abbattersi per primo. Non fece in tempo a scegliere che un colpo di arma da fuoco invase la stanza e il suo corpo venne scaraventato a terra da un proiettile alla gamba. Il Maggiore corse fuori e lo trascinò per un braccio, imprecando perfino in lingue sconosciute fino a che non raggiunse la scala in legno e lo lasciò rotolare giù con un calcio.  

Il caos della battaglia rendeva difficile dire con precisione chi stesse colpendo chi, ma proseguirono tutti fiduciosi che lo avrebbero capito prima o poi. Oscar e il timoniere uscirono sul castello di quarto per ritornare ai propri posti, ma proprio in quel momento la nave cominciò a virare di netto verso babordo6. L’uomo che aveva preso il controllo del vascello, come da piano di Guy, si avvicinava pericolosamente alla nave mercantile che dovevano scortare. La manovra doveva servire come ultima spiaggia, quando la situazione era ormai disperata per gli ammutinati e non restava altro che compiere una mossa: colpire il carico esplosivo e far saltare in aria tutto.  

Capitano e timoniere si guardarono in faccia sconvolti, dovevano impedire che ciò accadesse. L’uomo corse alle spalle dell’usurpatore e intraprese una lotta corpo a corpo che inevitabilmente fece sbandare l’imbarcazione più volte. Oscar, invece, spinta da una scarica di adrenalina si diresse più veloce che poté verso i cannoni di babordo per impedire a chiunque di avvicinarsi.  

Nel tragitto afferrò un paio di sottoufficiali che riconobbe essere tra i fedeli e spiegò rapida il da farsi, ma sapeva che non erano abbastanza. Bisognava rimediare. Saltò giù da una balaustra e quando atterrò si accorse della presenza di André a pochi passi da lei. Non le servì neanche parlare. Con un gesto deciso gli indicò gli ultimi portelli dell’artigliere e l’amico annuì, poi prese Alain per un braccio così da evitargli un calcio che gli sarebbe di certo arrivato nello stomaco e insieme raggiunsero la postazione. Poco importava che non tutti i cannoni fossero coperti da un ribelle pronto a far bruciare la miccia, era innanzitutto una questione di difesa degli avamposti. 

Uno solo, in effetti, era riuscito a raggiungere il primo oblò abbastanza vicino all’altra nave. Guy. Nonostante fosse allo stremo delle forze, l’energumeno era riuscito a farsi portare una lampada con una candela accesa da uno dei sequestratori dei tre ufficiali. Le ferite e i colpi che la sua acerrima nemica gli aveva inferto avevano rallentato di molto i suoi riflessi e solo in quel momento era riuscito a reggersi in piedi abbastanza a lungo da poter accendere la miccia e inserirla nel cannone.  

Oscar arrivò mentre l’uomo provava ad infilare il pezzetto di corda nello sportellino di vetro e ferro arrugginito, ma la mano tremava e gli rendeva l’impresa impossibile. Estrasse un’altra volta la spada e corse alle sue spalle, mentre la nave ondeggiava ben di più del mare che la ospitava. Scattò in avanti e con una spinta fece volare giù dalla balaustra la loro condanna a morte, che finì giù nell’acqua e si spense in un tonfo leggero.  

Guy, spada di nuovo alla gola e spalle al muro, alzò le braccia in segno di arresa. Gridò ai propri uomini di seguirlo. Non c’era più niente da tentare, avevano perso.  

All’improvviso, un colpo sparato con meticolosa precisione dalla pistola di Oscar puntata alle proprie spalle ma verso l’alto per essere sicura di attirare l’attenzione senza colpire nessuno. 
 

*** 

Dopo più di un’ora e mezza dall’inizio degli scontri corpo a corpo e con diversi feriti alle spalle, l’Héros riemerse sano e salvo dalla furia che lo aveva inghiottito nella tarda mattinata. I centocinquanta uomini che avevano provato ad ammutinarsi e prendere il controllo della nave, una volta arresi, vennero condotti alle prigioni del vascello da ufficiali e sottoufficiali che erano rimasti fedeli al comando. Il Capitano li seguiva a distanza, ancora con il fiato corto, mentre il sangue dalle ferite sulle nocche le scorreva lungo le dita.  

Non riusciva a essere contenta. Non c’era niente di cui andare fiera. Un quinto del suo equipaggio (un numero esiguo, una minoranza solo a parole) aveva creato un precedente: ora chiunque avrebbe davvero potuto mettere in questione la sua autorità apertamente e non era affatto una certezza che, in tal caso, sarebbe riuscita ad averla vinta di nuovo. Avrebbe combattuto fino all’ultimo respiro, come sempre, ma si sarebbe dovuta affidare su chi la circondava più di quanto avrebbe voluto e fatto in altre condizioni. 

Oscar osservava gli arrestati sparire a due a due in fila indiana nel corridoio delle scale, con le mani legate strette dietro la schiena, ignorando gli sguardi feroci che alcuni le rivolgevano e gli sputi sul pavimento. Non si era mai aspettata un letto di rose, anzi: non lo avrebbe neanche voluto. Ma l’agguato che le avevano teso non la riguardava in esclusiva e questo la infastidiva più di ogni altra cosa. Se fosse capitolata, avrebbe perso la faccia e l’onore davanti a tutti gli uomini, a quel punto in serio e grave pericolo perché lei non era riuscita ad affermare la propria autorità.  

Si lasciò andare a un sospiro stanco e, voltandosi, vide il Tenente d’Audiffret sostenere De Valeau e il Maggiore aiutare alcuni feriti a reggersi in piedi, tutti diretti all’infermeria. Anche loro due erano malconci – chiunque nel suo campo visivo lo era, in realtà – ma si davano da fare per mettere fine a quella faccenda. Di tanto in tanto, i mozzi più giovani le si avvicinavano con gli abiti completamente sdruciti e gli occhi pesti e la superavano per recarsi chissà dove. Uno di loro, un ragazzino con la carnagione olivastra, la faccia gonfia e i pantaloni macchiati, la chiamò a voce bassa. Non avrà avuto più di quindici anni e, dal modo dimesso in cui le si presentò davanti, era evidente che si vergognasse di non essere stato più pronto nella lotta.  

“Capitano...” bisbigliò imbarazzato, fermo a un paio di passi dal suo superiore, che gli si avvicinò con il busto il tanto per poterlo ascoltare continuando a seguire le operazioni di arresto. “Sono Philippe. Vorrei ringraziarvi.” 

Oscar spostò lo sguardo su di lui. Vide meglio le ferite sul suo viso: il naso rotto, un labbro aperto, gli zigomi arrossati… Le fece una gran tenerezza, ma si impose di rimanere impassibile. “Per cosa?”  

“È stato divertente.” rispose lui con un candore inaspettato e un rivolo di sangue gli gocciolò dalla bocca. “Doloroso, ma divertente.” 

Oscar sorrise leggermente guardando in basso e si ricordò che anche lei, alla sua età, andava a cercare le situazioni pericolose per sentirsi viva. O lo avrebbe fatto, insomma, se le responsabilità del suo incarico nella Guardia Reale non le avessero imposto di rimanere integra il più possibile. Gli passò il fazzoletto di stoffa che teneva in tasca, senza aggiungere altro, poi il ragazzino zoppicò via, in direzione di un uomo che lo chiamava a gran voce con un secchio in mano.  

Un metro più indietro, alle loro spalle, André aveva assistito a quello scambio di cortesie mentre aiutava il povero Gérard a sedersi sulla base del sostegno in legno di uno dei cannoni per pulirgli come meglio poteva una ferita sulla fronte prima di portarlo dal medico di bordo. Spostava gli occhi su di lei con l’accortezza di non essere notato, mentre il mozzo si lamentava del dolore. La vide assorta nei pensieri, quasi immobile nel mezzo del ponte di coperta, e si sentì sprofondare all’idea di non poterla sostenere come aveva sempre fatto e rassicurare come avrebbe voluto. Era stata incredibile, il suo sangue freddo aveva salvato più di trecento persone nel bel mezzo del Mediterraneo. Un forte senso di orgoglio lo colpì: andava fiero anche soltanto di conoscere il nome di una donna tanto coraggiosa, così consapevole di sé e delle proprie capacità da non avere paura neanche delle avversità più grandi. Per la prima volta da anni, chissà quanti, e per un solo momento, non era l’uomo innamorato a provare quelle sensazioni, ma l’amico fraterno che le era stato accanto una vita intera e l’aveva vista diventare una bellissima e fortissima farfalla. Non sarebbe sopravvissuta solo alcune settimane o pochi mesi, lei. Avrebbe continuato a volare, così elegante, ancora all’infinito. 

Dopo l’ennesima protesta di Gérard, André lo fece rialzare in piedi per accompagnarlo giù in infermeria sostenendolo con un braccio attorno alla schiena. Le passarono dietro le spalle e, poco prima di superarla, lui si fermò un momento per osservare la sua espressione ancora attonita e accigliata.  

“Siamo tutti vivi, Capitano.” e proseguì per la propria strada senza aspettare una risposta.  

Oscar si girò con un secondo di ritardo, quando loro erano già avviati e fermarli sarebbe inutile. Non riuscì a rilassare l’espressione in cui il suo viso si era piegato, ma quelle parole le fecero piacere. O forse era sentirle dire da lui, magari addirittura le due cose insieme… Non erano molto lontani, forse se avesse parlato l’avrebbe sentita, ma le frasi si bloccavano in gola. Non l’aveva protetta come se fosse una bambina, le aveva lasciato lo spazio e la possibilità di farsi valere da sola anche a costo di sopportare insulti e ingiurie. Le era stato accanto, sì, ma insieme agli altri, senza pretendere favoritismi. Gliene era grata, ma faticava a verbalizzarlo. Poi, d’un tratto, udì la propria voce elaborare qualcosa in un tono che forse André sarebbe anche riuscito a sentire nonostante la distanza. 

“Ora che i lividi stavano guarendo…” ma lui non le rispose, non si voltò neanche, sparì nel corridoio che portava ai ponti inferiori insieme a Gérard che accanto a lui sembrava un fratello ancora piccolo e tozzo.  

*** 

Fino all’ora di andare a dormire e lasciare posto all’equipaggio del turno di notte, tutti si sarebbero congratulati con lei per il resto della giornata. Chiunque incontrasse, anche solo per caso e di sfuggita, le tendeva la mano per stringere la sua e poter dire di aver scambiato due parole con un soldato vero, con gli attributi, mica come i suoi predecessori… A Oscar tante dimostrazioni di stima, per quanto facessero molto piacere, procuravano anche un po’ di imbarazzo. D’altronde, seppur pericoloso, era un rischio che sapeva avrebbe potuto correre ogni giorno da che aveva indossato una divisa, diciotto anni prima. Constatò amaramente che aver avuto a che fare con un ribelle, Nicholas De La Motte, era stato soltanto un caso fortuito. Chiunque avrebbe potuto mostrare fastidio per la sua presenza tra armi e cavalli e non era mai successo solo perché i nobili – quelli che il titolo non se lo erano comprato – avevano troppa paura che il sovrano di turno, re o regina che fosse, ne avrebbe avuto a male.  

Aveva dato sempre per scontato, poi, di essersi guadagnata con impegno tutto ciò che aveva ottenuto e, in effetti, era così. Quante montagne insormontabili aveva superato lei, che per anni aveva convissuto con un’identità diversa da quella reale e poi con quel paio di personalità ingombranti aveva proseguito faticando a trovare un equilibrio? Tante, impossibile contarle. Ora, dopo aver giurato e spergiurato tre settimane prima che avrebbe vissuto come un uomo vero, affrontato le sfide degli uomini e in definitiva sarebbe stata un uomo, essere stata costretta – ancora una volta, sì, ma in maniera diversa e con un risultato ben differente e, a suo modo, anche edificante – a guardare la realtà dritta in faccia le aveva aperto gli occhi. Aveva vinto in qualità di donna. Essere riuscita a fronteggiare e poi controllare l’ammutinamento fino alla resa dei ribelli era solo in parte la vittoria del Capitano, del soldato, del militare in carriera. Era, prima di tutto, la vittoria di una donna su centocinquanta uomini che volevano sbarazzarsi di lei senza mezzi termini. Loro non avevano sfidato il Capitano in quanto tale, ma il Capitano in quanto donna. Le volte precedenti, il problema era legato alle pessime condizioni di sopravvivenza a bordo, ma questa no.  

Era mai successo che la Guardia Reale l’avesse spinta fuori dalla propria zona di conforto, avesse levato il velo di omertà che lei stessa aveva posato su certe questioni e ne fosse uscita migliore? Al massimo l’aveva spinta tra le braccia di chi, col senno di poi, avrebbe dovuto tenere a distanza di sicurezza… Si sentiva ora, invece, come se avesse cavato un piccolo ragno dal buco. Ce ne saranno stati altri mille lì dentro, ma uno, uno solo, era stata capace di portarlo alla luce. Le famose sfide di cui andava parlando quella sera di tre settimane prima non erano come le avrebbe immaginate allora, ma c’erano ed erano impegnative. 

Una volta ripresasi dalla concitazione e dall’adrenalina che ancora le scorreva in corpo e assicuratasi che le operazioni di riorganizzazione del vascello stessero procedendo nel modo giusto, sotto gli occhi attenti dei suoi migliori sottoposti, Oscar decise che necessitava di un po’ di tempo per sé. In piedi accanto al tavolo al centro della stanza di navigazione, si congedò dal gruppo di uomini con cui stava parlando con la scusa di aver bisogno di una medicazione alla mano, ma in cuor proprio sentiva solo di non voler vedere nessuno, o meno persone possibile. Camminava sospirando, senza neanche dare troppo peso alle parole di chi incrociava sulla via verso il ponte inferiore. Ringraziava, pregando le stessero effettivamente dicendo qualcosa per cui servisse una risposta simile, ma non badò a intrattenersi troppo. Aveva la testa ormai per altri lidi. 

Quando arrivò davanti alla porta chiusa dell’infermeria, udì i lamenti dei feriti e per un attimo pensò di tornare indietro per non disturbare. Le nocche insanguinate, dopotutto, non erano tanto gravi: c’era chi stava ben peggio. Aveva già il busto in direzione del corridoio nel momento in cui l’uscio si aprì; lei istintivamente si voltò e guardò verso dove proveniva lo scricchiolio del ferro arrugginito delle cerniere inchiodate all’imposta.  

“Oh, scusa—” fece per esclamare André con il solito tono colloquiale che ancora non era riuscito a perdere, perlomeno mentre erano entrambi sulla nave e circondati da gente. Si corresse mascherando l’imbarazzo con un tentativo di schiarire la voce. “Stavate entrando, Capitano?” 

Oscar tentennò un attimo vedendo quanto fosse affollata la stanza: non ne valeva davvero la pena, meglio lasciare la priorità a quei poveretti ammaccati come delle mele… Ringraziò per averle tenuto la porta aperta e lo invitò ad andare, rivolgendosi poi al medico.  

“Quando avete finito con loro passate nella mia cabina, per piacere.” 

L’uomo annuì col capo e il secondo dopo era già di nuovo ricurvo sulla spalla di un marinaio che si divincolava alla stregua di un bambino al contatto con gli strumenti del dottore. 

L’ufficiale fece per richiudere l’ingresso della stanza e solo in quel momento si rese conto che l’amico era rimasto lì, una mano sulle assi di legno per tenere aperto l’uscio con il braccio e la schiena appoggiata al muro esterno in corridoio. Sentì l’istinto di sorridergli per ringraziarlo, ma non sapeva bene per cosa: per l’educazione di un gesto che le aveva offerto spontaneamente, per averla aspettata o per aver rispettato la necessità di cavarsela da sola pur essendole rimasto a fianco?  

Quando finalmente rimasero da soli, proseguirono un paio di metri in un silenzio imbarazzato, uno accanto all’altra, poi lui abbassò lo sguardo e vide meglio la sua mano. Frenò rapido il tentativo di afferrarla e controllare l’entità della ferita: aveva giurato su Dio che non l’avrebbe più toccata senza il suo permesso. 

“Ti fa molto male?” le chiese preoccupato.  

Oscar riemerse dai propri pensieri e scosse il capo. “Dà solo un po’ fastidio, tutto qui…” Si sentiva in colpa a tagliare corto proprio con chi invece un tempo le avrebbe saputo dare un consiglio giusto, ma non era più il caso. Non in quel momento, almeno. 

“Devi lavare la ferita, o rischi—” 

“… che peggiori.” lo interruppe lei esattamente come aveva sempre fatto, senza neanche rifletterci. “Lo so, grazie.” e benché le scappò un tono vagamente sgradevole, la sua reale intenzione era soltanto quella di rassicurarlo che non fosse successo niente di grave. 

Per l’ennesima volta in tanti anni, André fece finta di niente e, raggiunte le rampe di scale che portavano in due direzioni opposte, la salutò. Sarebbe tornato a prua, alla camerata per controllare che i superstiti già visitati fossero ancora interi tra una lamentela e l’altra, mentre Oscar avrebbe aspettato il medico nella propria cabina, da sola. E si sarebbe lavata le mani, avrebbe tolto il sangue ormai secco e la polvere ed evitato il rischio che peggiorasse.  

*** 

Ci fece caso quando l’acqua del catino che si era fatta portare le sfiorò la pelle aperta e sentì il bruciore pungerla. Non distolse l’attenzione derubricando il fatto a normale amministrazione alla vista delle macchie di sangue lungo le dita che sparivano con un poco più di insistenza nello sfregarle via. Si concentrò sulla temperatura tiepida del liquido trasparente, ma non si fece domande sulla quantità di tempo che aveva passato nella botte da cui l’avevano preso; confidò nel fatto che la nave fosse stata rifornita da un generico poco e ringraziò che almeno ci fosse.  

Quando tirò fuori le mani dal recipiente e le appoggiò su un panno bianco, si accorse che le ferite si stavano riaprendo con il continuo movimento. La stoffa si macchiò qua e là, ma non sembrava che la situazione fosse come poco prima.  

Una volta sicura di essere asciutta, Oscar controllò di aver chiuso la porta e si sedette sul letto con la schiena appoggiata al muro. Le voci dell’equipaggio tornato finalmente alla calma le arrivavano distanti ma un po’ si indispettì comunque che non esistesse mai un momento di totale silenzio. Perfino il rumore regolare del mare, che per alcuni era diventato ormai una sorta di ninna nanna con cui la natura si prendeva cura dei propri ospiti, suonava come un’intrusione. Non poteva farci niente, però, e in ogni caso per quel giorno aveva già dato abbastanza. Che nessuno si mettesse in mente nulla, o la traversata del Mediterraneo l’avrebbe condotta lei in solitaria e tutti gli altri sarebbero finiti nelle prigioni insieme agli ammutinati!  

Piano piano percepì la calma reimpossessarsi dei suoi muscoli, fino a quel momento ancora contratti e tesi. Slegò le braccia conserte e le lasciò scivolare sulle gambe con i palmi delle mani rivolti verso l’alto. All’improvviso si sentì sciocca per aver creduto, nei due giorni precedenti, di essere arrivata stanca alla sera. Non era nulla in confronto a come stava adesso, sapendo peraltro che mancavano ancora diverse ore prima di poter andare a dormire… 

Considerò per un momento l’ipotesi di scrivere una lettera al padre da spedirgli una volta giunta a destinazione, anche solo per impiegare il tempo ed elaborare, ma scartò l’idea subito dopo. Certe cose vanno raccontate dal vivo, a maggior ragione perché così ne era uscita: viva. E poi non era il caso di avvisarlo di tutto, non aveva più otto anni... Sempre che le gesta di quella mattina non si diffondessero da sole, come purtroppo sapeva che sarebbe potuto benissimo accadere. L’imbarazzo di dover ammettere di aver perso il controllo dei propri uomini eguagliava (o forse addirittura superava) la soddisfazione di averli rimessi in riga. Fece un bel respiro profondo e tornò a prestare attenzione alla ferita che bruciava di nuovo senza però guardarla davvero. La sua mente si perdeva qua e là, quando il rumore di un pugno leggero ma deciso alla porta la ridestò. 

“Avanti!” esclamò il Capitano fingendo di non essere stata avvolta dalle insicurezze fino al secondo prima e si rimise in piedi.  

Il dottore si palesò in tutta fretta, aveva ancora dei pazienti da visitare nelle brande ma anche il loro superiore necessitava di un aiuto. Oscar gli mostrò il dorso della mano e quella dell’uomo gliela strinse con il fare un po’ spiccio di chi è pieno si lavoro. Come faceva la nonna, d’altronde. Il pensiero di Nanny la fece sorridere impercettibilmente e le gonfiò il cuore di calore: quanto si sarebbe arrabbiata con quei sovversivi se ci fosse stata lei al suo posto!  

“Potreste avvertire un po’ di dolore nei prossimi giorni quando dovrete scrivere o stringere la presa in generale…” sentenziò il medico avvolgendo palmo e dorso con una benda pulita, poi afferrò l’altro braccio e controllò che non ci fosse da intervenire anche lì. Si domandò come fosse possibile che un militare avesse delle mani così poco rovinate: da ciò che era successo, non gli sembrava proprio quel tipo di aristocratico che si vanta di un grado senza sporcarsi. Notò soltanto alcuni tagli, non troppo profondi e ormai asciutti, che tamponò velocemente prima di raccogliere i propri strumenti disposti con ordine sulla scrivania e congedarsi. 

La porta si chiuse e Oscar tornò sola. Si guardò intorno un po’ spaesata, spostando i capelli da davanti agli occhi. La stanchezza era tornata a farsi sentire, ma non volle darci troppo peso. Realizzò però che non era tanto il suo corpo a chiederle una tregua, ma la mente7. Faticava a tenere traccia dei percorsi dei pensieri che finivano per scontrarsi gli uni contro gli altri. Era o non era soddisfatta di quel primo risultato? E non era più importante l’esito delle ragioni che avevano scatenato l’inferno? E chi aveva vinto, il Capitano o la donna? Avrebbe volentieri delegato qualcuno di risolvere quelle questioni, se avesse potuto.  

Con due passi si avvicinò alla maniglia, aprì l’uscio e si diresse dove aveva lasciato i sottoposti. Non sarebbe servito a niente rimanere lì, se non a peggiorare la confusione.  

*** 

“Capitano…” una voce familiare la chiamò da metà del ponte. Era sera ormai, gli uomini del turno di notte stavano prendendo ognuno il proprio posto mentre l’oscurità che li avvolgeva era costellata di tantissime stelle e da lontano le luci della nave mercantile si scorgevano dai vetri degli oblò. 

L’ufficiale si girò e lo vide camminare spedito, con la giacca della divisa chiusa soltanto dal bottone centrale. Alain le si fermò a meno di mezzo metro così da poterla guardare negli occhi senza problemi. Si impegnò in un saluto militare decente: dopotutto, quella volta, lo meritava.  

“C’è qualche problema?” gli chiese nella speranza che non ce ne fossero più almeno per un paio d’ore ancora e lo invitò al riposo. 

Il guardiamarina scosse il capo con un mezzo sorriso. Meno di una settimana tra di loro e già aveva capito che con quell’equipaggio la tranquillità non era di casa. “Perdonate l’irriverenza, ma siete certa di essere una donna?” 

Quella domanda la irrigidì e il suo sguardo lo gelò in un istante. Se non fosse stato per la fasciatura alla mano, gli avrebbe riservato la stessa sorte che aveva concesso lui al precedente Capitano. Si limitò a fissarlo dritto negli occhi, con enorme astio e in bilico sul punto di non ritorno delle reazioni, in attesa di capire dove volesse andare a parare quell’insolente. 

“Voi vi offendete con troppa facilità, Capitano. Non avrei bisogno di altro per avere una risposta.” continuò lui divertito dal suo silenzio oltraggiato, “Sapete perché ve lo chiedo?” 

“Fossi in te non tirerei la cor—” provò a riprenderlo, ma Alain fu più veloce e la precedette. 

“Non era mai capitato che una di voi ci salvasse. Tutt’al più ci mettete nei guai.” Le sue parole suonavano esattamente come voleva che facessero: irrispettose e canzonatorie. “Intendiamoci, in altre situazioni non mi avreste trovato al vostro fianco, voi siete una nobile… Ma questa volta ne andava della nostra pellaccia, diamine! Ho solo questa!” 

“Se non vuoi che te la levi con le mie mani, Soisson, torna dai tuoi compagni e preparati per il turno di guardia.”  

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Note:
1) Tratto dal manga
2) Ancora, tratto dal manga: Oscar non punisce i soldati della Guardia nazionale, convinta che non si debba mettere freno all'animo delle persone
3) Ringrazio Mareggiata nelle note a un capitolo precedente per avermi dato l'ispirazione per questa piccola parte. All'epoca gli uomini nobili avevano un attendente, tanto più che lo stesso concetto di virilità era diverso dal nostro e un aiuto non li avrebbe resi più "deboli"; il fatto che Oscar non ne voglia più, ad un certo punto della storia, è un controsenso del canon ma lo accettiamo comunque
4) Ho fatto i calcoli precisi usando il simulatore di navigazione su Google e le formule per trovare le distanze e il tempo. O meglio, li ha fatti un'anima buona insieme a me perché la mia discalculia galoppa ;)
5) Cagna della regina è il modo in cui Oscar viene chiamata (da Alain? non ricordo) nell'ultima parte del manga
6) La parte sinistra della nave
7) Nel 1788 la consapevolezza di avere la mente e il corpo come entità separate non c'era (o non c'era come intendiamo noi), ma non c'erano neanche donne nell'esercito eppure... 

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Capitolo 9
*** Soleil et mer ***


I giorni di navigazione successivi allo scampato ammutinamento si erano rivelati decisamente più tranquilli. Benché la mancanza di centocinquanta uomini si sentisse e l’equipaggio intero – ufficiali inclusi – dovesse darsi da fare il doppio per mantenere l’efficienza della nave, la situazione non era mai degenerata. Qualche lite, di tanto in tanto, ma nulla che richiedesse un intervento diretto di grande sforzo. Tutt’al più bisognava dividere i contendenti, senza mediare perché la maggior parte delle persone a bordo non aveva la pazienza di trovare una soluzione civile; un compito di cui generalmente si occupava il Maggiore, ormai in grado di distinguere a occhi chiusi quali fossero le teste calde da prendere per il collo e trascinare via promettendo una dura punizione per i coinvolti. Le dimostrazioni di gratitudine nei confronti del Capitano per averli salvati – e, incidentalmente, per aver dato loro la possibilità di menare le mani con somma soddisfazione – avevano però presto lasciato di nuovo spazio a una (adesso rispettosa) diffidenza nei suoi confronti. Salutavano per primi il loro superiore quando la incontravano, trovavano il tempo per presentarsi con le uniformi e l’abbigliamento in uno stato decente e ciò bastava per esprimere quanto fosse mutato il loro atteggiamento verso di lei. A Oscar tutto sommato andava bene così e, quando usciva sul ponte in momenti pacifici come quello, sapeva di potersi fidare della loro calma.

“Da quanto navigate?” La domanda le scappò spontanea. Non era solita chiedere della vita delle persone, eppure quell’uomo quieto, con la barba folta e grigia, il berretto rosso calato su una chioma ispida dalla salsedine, le ispirava un’innata fiducia e invece sapeva giusto il suo nome.

“Quarantatré anni.”

Soppesò la risposta dell’uomo che aveva accanto. Quarantatré anni. Una vita intera, dieci in più di quanti ne avesse passati lei al mondo. Si girò a osservare il suo volto bruciato da un sole che lo invecchiava ogni giorno di più e le parve una cartina geografica, con tutte quelle rughe e quelle macchie scure.

“Mi sono imbarcato”, proseguì lui stranamente in vena di confidenze, “quando ero un ragazzino. Ne avevo appena compiuti quindici e la terraferma non voleva saperne di accettarmi.”

Il Capitano abbassò lo sguardo e corrugò la fronte. Non capiva cosa intendesse, ma le sembrò di peccare di invadenza se avesse indagato oltre. Erano entrambi in piedi appoggiati alla balaustra e rivolti verso lo spettacolo perfettamente organizzato della ciurma che si spostava frenetica da una parte all’altra del ponte.

Il nostromo colse le perplessità del suo silenzio e sbuffò in una breve risata sommessa, prima di estraniarsi un attimo dalla conversazione per dare indicazioni a un guardiamarina che, da prua, lo chiamava a gran voce. “È probabile che quando siete nata io già fossi per mare…” disse tornando all’interlocutrice.

Oscar sorrise con una punta di imbarazzo, annuendo. “È così.” e appoggiò la mano sulla corda di una sartia che le correva accanto. Con un gesto l’uomo la dissuase dal rimanere in quella posizione: doveva ancora abituarsi all’idea che, per quanto maestosa e perfetta, la nave fosse anche un meccanismo delicato e pericoloso nel quale ogni singolo ingranaggio era incastrato al millimetro. Mosse le labbra per giustificarsi, ma lui era già tornato al loro discorso.

“Sapete, ne ho incontrate di persone in quasi mezzo secolo e sono stati davvero rari i casi di menti lucide e sangue freddo come i vostri. Insieme, per giunta.”

“Ho fatto solo il mio dovere, monsieur Marius…” minimizzò il Capitano, ma dovette subito scusarsi per aver dimenticato che non erano necessarie troppe cortesie nel parlargli. “Era una responsabilità mia, non solo in—”

Le parole si fermarono all’improvviso, non voleva lasciarsi andare a confessioni private. Stava superando un limite che si era autoimposta tanti anni prima e che aveva spostato un po’ più vicino giorno dopo giorno. Perché mai avrebbe dovuto confidarsi con uno sconosciuto – un sottoposto, per giunta! – a proposito di un fatto tanto personale che la tormentava? Forse proprio perché non si erano mai incontrati prima che lei giungesse in Provenza, non sapevano niente l’uno dell’altra e non avrebbero potuto giudicarsi a vicenda.

Oscar respirò piano e il profumo dell’aria di mare la investì. Alzò gli occhi e si accorse che il vento quel giorno soffiava più impetuoso tra le vele gonfie e maestose nell’azzurro del cielo terso. Le voci dell’equipaggio riempivano il silenzio che era calato tra i due, entrambi di poche parole ma con una spiccata intelligenza emotiva tenuta a bada (a volte invano) per evitare di soffrire troppo.

Il nostromo si voltò verso la sconfinata distesa di acqua che scintillava sotto i raggi del sole e li circondava senza soluzione di continuità. Faceva caldo quel pomeriggio e si domandò come riuscisse il suo superiore a resistere dentro una divisa ben più impegnativa della propria. Il Capitano era ancora di spalle, guardava chissà dove davanti a sé e di tanto in tanto asciugava la fronte con il polso, il primo lembo di pelle non coperto dalla fasciatura alla mano.

“A Parigi fa più fresco ad aprile, immagino…” commentò Marius senza togliere gli occhi dal Mediterraneo. “Oggi poi non c’è neanche una nuvola.”

La giovane donna non raccolse l’invito a proseguire, si limitò ad annuire. Esporsi, anche se per poco e senza in realtà rivelare alcunché di compromettente, l’aveva messa a disagio. Si trincerò nel consueto silenzio e dietro l’espressione austera, le maschere che usava per proteggersi dal mondo esterno.

“Sapete, io non credo e non ho mai creduto alle sciocchezze che vanno dicendo tutti riguardo le donne.” se ne uscì l’uomo in modo inaspettato, al punto di risvegliare Oscar dai propri pensieri.

Lì per lì rimase stranita e un leggero fastidio la punse dentro: doveva essere l’unico argomento di conversazione sulla nave ancora a lungo, quello? Volle comunque concedergli il beneficio del dubbio, d’altronde comprendeva la buona fede delle sue intenzioni.

“Non dubito che ci sia qualcuna incapace, ma vi assicuro che di uomini inetti è pieno il mondo.”

Il Capitano sorrise appena, il tanto perché l’interlocutore capisse che lo stava ascoltando con attenzione.

“Ne avrete incontrati anche voi…”

“Sì.” Fin troppi, aggiunse tra sé e sé e si impegnò a non elencarli per evitare di riportare a galla ricordi spiacevoli.

“Ebbene, io tre giorni fa ho avuto prova di grande abilità, di scaltrezza e coraggio proprio da parte di una donna. Nessun uomo al comando dell’Héros, a mia memoria, si è mai comportato con il vostro stesso zelo. Ci avete messo la faccia subito e quando avete vinto vi siete premurata di richiedere che gli ammutinati venissero medicati e nutriti nelle prigioni, come tutti gli altri.”

Oscar pesava le sue parole senza battere ciglio, si permise solo di sospirare in risposta per non interromperlo.

“Non contenta, state anche mostrando attenzione per la vita a bordo, siete sempre disponibile per il vostro equipaggio e avete perfino preteso di non avere favoritismi durante i pasti.” disse l’uomo insolitamente a lungo e la sua voce raggiunse il cuore del suo superiore prima della testa. “Quelli sono così, di nuovo scontrosi perché altrimenti passerebbero da rammolliti sentimentali!”

“Mai mi aspetterei il contrario, onestamente. Né lo vorrei.” ribatté lei in tono secco.

“Benissimo, allora.” e nel concludere infilò una mano in tasca alla ricerca di qualcosa che pareva essersi volatilizzata nel nulla. “I problemi ci saranno sempre, a prescindere da chi o cosa voi siate. Non ritenevi personalmente responsabile degli eventi che regolano il mondo.”

Marius venne scosso da un colpo di tosse e tirò fuori dalla tasca una scatolina metallica ossidata, la aprì e ne estrasse del tabacco che cominciò a masticare piano. La sua voce, fino a pochi istanti prima rassicurante, si fece più grave. “Si sarebbero ammutinati comunque prima o poi, non fingete di non saperlo.”

Oscar lo guardò con un’espressione a metà fra l’attonito e il sorpreso, ma non reagì. Se si fosse trattato di un qualsiasi altro sottoposto lo avrebbe gettato in mare senza neanche doversi sporcare le mani: le sarebbero bastate quattro parole e l’uomo si sarebbe ritrovato a fare compagnia ai pesci. Marius, però, forse complice la differenza anagrafica, le dava l’impressione di trovarsi davanti a uno che sarebbe potuto essere il padre poco loquace ma premuroso che il Generale non era mai stato… Rimase a osservarlo congedarsi e andare via, tra il suono delle onde che si infrangevano sullo scafo e i gabbiani nel cielo.

Si voltò per un momento e osservò la distesa di azzurro che si spiegava davanti ai suoi occhi. Le parole dell’uomo riecheggiavano nella sua testa con insistenza, mentre l’intensità di quelle sfumature di blu le faceva riconsiderare i paesaggi della Normandia che tanto amava. Considerò che la sua proverbiale fretta di avere sotto controllo ogni dettaglio dal primo momento, per una volta, doveva portare pazienza.

D’un tratto, la voce di una sentinella si levò potente dalla coffa1. Con il cannocchiale puntato a sud-est, il giovane si sporse dalla balaustra in legno e tese il braccio nella stessa direzione.

“Capitano!” gridò con un entusiasmo che incuriosì in fretta l’intero equipaggio. “Capitano, ho avvistato i delfini!”2

I più esperti tirarono un sospiro di sollievo, alcuni si abbracciarono perfino all’udire quelle parole.

Oscar guardò verso la direzione indicata: dalla superficie dell’acqua saltarono due esemplari adulti e, poco dietro di loro, un cucciolo che cercava di rimanere al passo con qualche difficoltà. Al contatto con i raggi del sole, la pelle bagnata degli animali appariva luminosa, quasi cangiante. Nel reimmergersi in mare nuotavano con assoluta grazia, incuranti della presenza delle due navi a non troppa distanza da loro. Guidata dall’istinto, il Capitano prese a cercare con lo sguardo in ogni angolo del ponte, ma non trovò ciò che voleva. Si rassegnò, tornando a quello spettacolo così nuovo e stranamente emozionante a suo modo, quando avvertì la presenza di qualcuno alle proprie spalle.

“Capitano,” esordì una voce entusiasta ma calma a lei familiare, “secondo il navigatore siamo in dirittura d’arrivo. Mancano all’incirca tre ore.”

La giovane donna annuì per ringraziare e quando si decise a guardare chi fosse – come se non lo sapesse già! – realizzò che André correva ancora da lei senza doverlo chiamare, come aveva sempre fatto. In un angolo nascosto del cuore non aveva smesso di provare la stessa euforia di quando erano bambini in giro per il bosco intorno a palazzo Jarjayes, felici anche solo di esserci nelle rispettive giornate.

“A Parigi certe cose non si vedono, eh?” si intromise Alain per spezzare l’imbarazzo del loro silenzio, dando un irruente colpo sulla spalla ancora dolorante dell’amico.

***

Alle sette e mezza di martedì 22 aprile, l’Héros giunse al porto di La Valletta. Il bel tempo che li aveva accompagnati fino al pomeriggio si era protratto oltre e offriva ora un cielo gradualmente più blu man mano che ci si allontanava dal sole, ormai quasi del tutto nascosto sotto la linea dell’orizzonte. In un angolo, già alto ma ancora semitrasparente, si scorgeva uno spicchio di luna pronta a risplendere all’arrivo delle tenebre. Un vento tiepido soffiava tra le chiome degli alberi che affioravano oltre le mura cinquecentesche ai cui lati gli abitanti camminavano senza scomporsi dei nuovi arrivati. A passo lento e maestoso, il vascello si avvicinava cauto al molo per dare inizio alle manovre di attracco. I marinai, in perfetta sincronia, impiegavano tutte le loro energie per ammainare le vele e gettare l’ancora in mare tra il rumore metallico della pesante catena e le voci concitate della ciurma al lavoro. Si udì un fragore, seguito da uno scroscio improvviso. Il legno dello scafo sfiorò il muretto del molo: l’Héros concluse finalmente il suo viaggio.

Quando la lunga passerella di legno venne calata dal ponte e raggiunse la pietra della banchina, il Capitano, il Maggiore e i due Tenenti di vascello scesero a terra uno alla volta in fila indiana. Ad aspettarli, tre carrozze di mogano decorate con dettagli dorati e lo stemma dei Borbone affisso sotto la finestra. All’esterno, un uomo in un elegante completo verde scuro studiava i loro volti che si avvicinavano seri, circondato da un paio di valletti. Il segretario personale dell’ambasciatore francese a Malta era stato nominato responsabile dell’accoglienza dei tre ufficiali e di gestire e organizzare l’ospitalità per l’intera durata della loro permanenza: undici giorni. Ricevimenti, incontri diplomatici, impegni di varia natura o semplicemente un po’ di riposo in vista del ritorno in Francia. Erano stati preparati anche dei cavalli, per permettere loro di spostarsi in città ed essere indipendenti.

Quando le suole delle sue scarpe toccarono la pietra chiara della banchina, Oscar provò la spontanea necessità di tirare un sospiro di sollievo. La terraferma si estendeva davanti a lei, solida e potente, ma diversa da quanto si era lasciata alle spalle una settimana prima. La luce dorata del tramonto si stagliava sui muri della città, rendendo ancora più intenso l’ocra dei loro mattoni. Abitazioni, chiese, ogni costruzione si ergeva tra le salite e le discese di un’area piccola ma molto popolata. Le lingue si mescolavano le une con le altre ancora di più che nel resto dei porti, sembrava che il mondo intero si fosse concentrato sulle rive di un’isola sperduta a sud del Mediterraneo, al centro di realtà di cui si spingeva ad assimilare abitudini, parole, gesti.

La figura di una donna di corsa a pochi passi da sé riportò Oscar al presente. Cercò i propri sottoposti, che la raggiunsero dopo pochi istanti. Il Tenente D’Audiffret alzò un braccio per indicare le tre carrozze sulla strada mentre gli attendenti trasportavano i bauli con gli effetti personali dei loro padroni. Si incamminarono tutti e quattro nella stessa direzione, osservando quella scena gremita di gente in movimento e scalinate consumate dal tempo.

“Capitano,” la chiamò il Maggiore, che le si affiancò in un passo, “mi sono permesso di chiedere a uno dei marinai di recuperare il vostro baule della cabina…”

In realtà, era stato l’altro, di sua spontanea volontà, a offrirsi quando mancavano meno di dieci miglia dalla costa e – in assenza del Capitano, altrove a svolgere il proprio lavoro – ancora rimaneva il problema di come spostare quel bagaglio senza che lo dovesse fare da sola. Lui, che ascoltava a poca distanza dai superiori, si era reso disponibile, essendo peraltro ormai noto a quasi tutti che loro due si conoscessero. De Chabon aveva accettato e poi delegato al proprio attendente ulteriori spiegazioni sul da farsi. Un dettaglio, questo, che omise di riferire, preferendo assumersi oneri e onori (qualsiasi fossero in misura maggiore).

André li superò, ultimo della fila dietro i tre giovani in livrea che raggiunsero i valletti del segretario dell’ambasciatore. Tutti entrarono poi nella prima carrozza, quella meno sfarzosa, e partirono senza aspettare gli altri ospiti.
Oscar fece appena in tempo ad accorgersi di lui e non era neanche certa che si trattasse dell’amico finché non lo vide entrare nella vettura. Scorse il suo viso coperto per metà dai capelli, il braccio appoggiato alla finestra e si accorse che stava sorridendo per qualcosa che gli avevano detto. Non aveva mai capito come fosse possibile che riuscisse a entrare in confidenza con chiunque in poco tempo, ma – come dopo aver scoperto della sua amicizia con Alain – si rallegrò di quel suo talento: almeno non sarebbe mai rimasto davvero solo.

Dopo una breve attraversata del porto, i quattro ufficiali raggiunsero le carrozze. L’uomo vestito di verde li salutò e, quando li ebbe vicini a sufficienza, rimase stupito da chi gli si stava fermando davanti e dalle condizioni in cui versavano. Uno dei due Tenenti camminava col braccio al collo e la giacca appoggiata sulle spalle mentre l’altro sfoggiava uno zigomo tumefatto; il Maggiore, invece, mostrava con una certa fierezza lividi sulla fronte e ferite di varia entità sul resto del volto, incluso il naso rotto. Il Capitano appariva in uno stato decisamente migliore: i capelli coprivano segni ed escoriazioni sul viso – tutto sommato uguale alla partenza – e l’unico difetto nell’aspetto era la mano destra fasciata. Alle loro spalle, un’orda di marinai e mozzi che si sparpagliavano a voce alta mostrava contusioni non dissimili dalle loro; così anche i sottoufficiali, che scortavano una lunga fila di uomini con le mani legate dietro la schiena spingendoli perché si sbrigassero ad avanzare.

“Buonasera, monsieur Denis.” esordì De Chabon in tono cordiale.

Le numerose volte in cui aveva raggiunto Malta con la nave gli avevano dato l’opportunità di conoscere piuttosto bene quell’uomo dalle apparenze un po’ bizzarre che sapeva di poter ormai considerare un amico. Spettava a lui, dunque, fare le presentazioni e spiegare il motivo per cui erano tutti un po’ malconci.

Il segretario parlava un ottimo francese, benché il suo accento fosse ormai mescolato con quello del luogo. Non era maltese di nascita, ma viveva sull’isola da talmente tanti anni da considerarsi tale. Portava i capelli corti e un paio di occhiali tondi, era alto e magro e dava l’impressione di trovarsi a disagio negli abiti che indossava. Era abituato a indumenti meno impegnativi fuori dall’orario in cui lavorava all’ambasciata, ma in casi come quello d’obbligo l’eleganza.

“Permettetemi di presentarvi il nostro nuovo Capitano,” continuò l’ufficiale con orgoglio nella voce, tanto che i sottoposti cominciarono a guardarlo straniti, “Oscar François De Jarjayes. Lui è il signor Denis Durand, segretario personale dell’ambasciatore.”

Il signor Denis la salutò con un cenno del capo e le riservò uno sguardo inquisitorio che lei seppe riconoscere in un istante. Oscar ricambiò la cortesia ad alta voce e gli strinse la mano, ma non sciolse i suoi dubbi: non era affare suo scoprire la verità, soprattutto non in quel momento.

“Venite da Parigi?” le domandò l’uomo facendosi seguire verso le carrozze. Ai Tenenti era riservata la vettura di destra, gli altri avrebbero raggiunto la destinazione con la prima a sinistra.

Il Capitano annuì. Non aveva mai realizzato di avere un accento particolare fino all’arrivo in Provenza. Era come se cambiare località avesse sbloccato una porta a lei sconosciuta da cui tutti ora passavano chiedendosi cosa ci fosse dietro.

“Ci sono stato diverse volte, insieme all’ambasciatore… Una città enorme, ma mai dispersiva quanto la reggia di Versailles.”

“Il Palazzo sa creare confusione, sì.” rispose lei e si schiarì la voce nel tentativo di suggerire un cambio di argomento a chiunque volesse cogliere il messaggio.

Il Maggiore osservava il suo profilo e si accorse della sua espressione contrariata, così decise di intervenire. “Come dicevo al Capitano durante il viaggio, sappiamo che monsieur De Suffren3 ha dimostrato particolare interesse nel volerci incontrare e approfondire la sua conoscenza nei prossimi giorni.”

Era vero, glielo aveva detto. Da questo punto di vista l’ufficiale era un tipo in gamba e rispettava a dovere il compito di darle una mano ad ambientarsi nel nuovo ruolo. Non mancava mai di riportarle ogni cosa succedesse in sua assenza e le aveva spiegato nel dettaglio in cosa sarebbero consistiti gli undici giorni di stanza a La Valletta. Era contenta di avere accanto una persona così esperta ed efficiente.

Il signor Durand si distrasse dalla perplessità che quel nuovo capitano gli trasmetteva e tornò al presente. “Monsieur è entusiasta di quanto l’Ammiraglio De Rohan gli ha comunicato prima del vostro arrivo. Ha riletto la missiva ben due volte! Non poteva crederci che finalmente l’Héros avesse al comando qualcuno capace di svolgere il proprio dovere, anche se in altri campi. A proposito, cosa diavolo vi è successo?”

L’improvviso cambio di registro nel suo linguaggio stupì Oscar, incredula dalla velocità con cui si fosse preso tanta confidenza.

De Chabon la anticipò con fare divertito un po’ fuori luogo: “Ci sono stati incidenti di percorso, ma Sua Maestà la Regina ha avuto l’accortezza di mandarci la persona giusta per affrontarli nel migliore dei modi.”

“Ho fatto soltanto ciò che ho ritenuto più giusto…” tagliò corto lei.

Il segretario studiava i due interlocutori e le loro reazioni, convinto che ci fosse qualcosa che non andasse. Perché uno stava evidentemente tessendo le lodi dell’altro che, al contrario, minimizzava con fastidio? Un dubbio più forte lo assalì, ma si convinse che non fosse possibile e proseguì nella conversazione. “In ogni caso, mi pare che l’euforia dell’ambasciatore sia giustificata se le vostre parole corrispondono al vero.”

Il tragitto dal porto all’ambasciata francese a Malta si districava per le vie del centro della capitale, tra curve strette e salite alla fine delle quali si scorgeva sempre il mare. Il palazzo in cui avrebbero trascorso i successivi undici giorni era un edificio a pianta circolare immerso del verde di un giardino già rigoglioso e ricco di piante colorate. Al centro, tra il cancello e la porta d’ingresso principale, una fontana spruzzava in aria zampilli d’acqua che, in dimensione decisamente ridotta, non avevano nulla da invidiare alla precisione artistica di Versailles. Il perimetro del piccolo spazio florale era percorso di colonne bianche levigate, che intervallavano la luce delle torce da muro sulla parete esterna a illuminare la strada accentuando l’atmosfera vagamente orientaleggiante che aleggiava un po’ ovunque.

Gli ospiti arrivarono a destinazione quando la carrozza con i bagagli era già stata svuotata e gli uomini incaricati di portarli nelle stanze avevano imboccato i corridoi interni del palazzo con rapidità. Il primo a uscire da una delle vetture più decorate fu il signor Denis, che invitò i quattro nuovi arrivati con un gesto ad affrettarsi. Non c’era tempo da perdere, l’incontro con l’ambasciatore si avvicinava minuto dopo minuto e loro erano, per i suoi gusti, sinceramente impresentabili.

Allungando il passo, spiegò ad ognuno in quale camera avrebbero trovato gli effetti personali e i piani della serata. Avevano mezz’ora per prepararsi e poi scendere nel salone dei ricevimenti al pianoterra; lì monsieur De Suffren li avrebbe raggiunti e, dopo una breve conversazione, sarebbe potuta iniziare la cena di gala. Il segretario aveva cominciato con l’elencare una lista di ospiti illustri ma, non appena notò gli occhi chiari del Capitano spostarsi sull’orologio della torre, si interruppe per commentare divertito: “Vi accorgerete in fretta che quaggiù i ritmi sono più distesi…”

L’altra gli sorrise appena, il giusto per non sembrargli maleducata. In cuor proprio, non gliene importava granché della cena, degli invitati né dei tempi lunghi. A questi ultimi si sarebbe adattata, come d’altronde le avevano insegnato, quanto ai primi avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco e resistito. Era lei a seguire Versailles in ogni sua forma o Versailles a darle la caccia ovunque andasse?

La camera destinata a Oscar si trovava sullo stesso piano di quella del Tenente De Valeau. Camminavano una accanto all’altro senza dirsi niente di particolare, la minima conversazione per non finire nel silenzio imbarazzante. Lui, oltre che in debito, si sentiva piccolo rispetto alla statura morale di chi – ora se ne vergognava – aveva inizialmente sottovalutato. I primi giorni si autoassolveva dicendosi che non era colpa sua, non aveva mai preso in considerazione che l’ipotesi che una donna potesse essere così… così. Da che le avrebbero dovuto dare una mano ad ambientarsi, erano diventati dipendenti dal miracolo che aveva compiuto!

Sentendo le loro voci in corridoio, l’attendente gli aprì la porta della camera e aspettò che l’uomo entrasse per aiutarlo a prepararsi in vista della cena imminente. Prima di seguirlo, il Tenente rimase un attimo sull’uscio a guardare il suo superiore allontanarsi verso il fondo del corridoio.

“Capitano…” la chiamò lui d’un tratto.

Oscar si voltò e lo vide alzare appena il braccio legato al collo. De Valeau la ringraziò, senza alzare troppo la voce, e lei annuì in risposta.

***

André che usciva da una stanza a lei destinata era qualcosa di talmente ordinario che in un primo istante non ci aveva nemmeno dato troppo peso. Ma averlo a pochi passi da sé pieno di ferite, vestito di bianco e azzurro e tra le porte di un’ambasciata lontana da casa, ecco quello le dava un senso di straniamento – l’ennesimo che lo riguardava – che si sommava a quanto le sembrasse assurdo che le desse del voi e le rivolgesse il saluto militare. Scacciò l’istinto di chiedergli di smetterla con quella farsa e di tornare a Parigi, ché tanto sarebbe rimasto comunque perché in una cosa con gli anni era peggiorato: la testardaggine. Non lo avrebbe mai convinto ad andarsene, tanto valeva evitare di ripresentargli l’argomento.

“Il baule è a posto.” le disse con un sorriso, pronto per essere congedato dal suo superiore.

“Grazie mille, puoi andare.” concluse Oscar dando una rapida occhiata dentro la camera. Il suo bagaglio era appoggiato contro il bordo del letto, esattamente come glielo sistemava sempre lui dopo un viaggio.

Il Capitano si voltò e fece il suo nome, ben sicura delle proprie azioni questa volta. Lo vide girarsi, in mezzo al corridoio, e aspettare qualsiasi cosa volesse aggiungere alla loro brevissima conversazione. Una parola in più, una soltanto, lo avrebbe reso il più felice del mondo.

“Va tutto bene?”

Il marinaio annuì. Bene, ora che tu lo vuoi sapere pensò, ma limitò l’entusiasmo. “Ho visto giorni peggiori. Tu?”

“Anche io.”

Si sentirono entrambi stupidi a parlarsi in quel modo, come se non si fossero mai incontrati prima della Provenza. C’era però ancora dell’irrisolto fra loro e, forse, perfino dell’irrisolvibile se avessero continuato con mezze frasi o silenzi interrotti dagli altri. Rimanevano quindi ogni volta in bilico sul nulla, in un equilibrio precario che avrebbero perso al primo alito di vento.

“Torno in nave…” Non sapeva neanche perché glielo avesse detto, forse pensava che ci potesse essere una remota ipotesi in cui avrebbe avuto necessità di sapere dove trovarlo… Oppure la forza dell’abitudine che ancora li teneva legati nonostante provassero ad allontanarsi. Quale che fosse il motivo, glielo riferì e lei registrò l’informazione. “Buonanotte.”

“Buonanotte.” Ancora una volta le scappò involontariamente una freddezza nei modi che non avrebbe voluto riservargli.

Entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle, appoggiandoci la schiena contro. Osservò rapidamente la camera, così elegante nei toni pastello delle pareti color sabbia e bianche, l’arredamento marrone scuro e le lenzuola candide. La luce del candelabro sul tavolino davanti al letto rischiarava l’ambiente a sufficienza da poterlo vedere in ogni angolo senza spostarsi da dov’era. Scorgere di sfuggita la caraffa e la tinozza nella salle de bain le ricordò che era tardi e in meno di mezz’ora sarebbe dovuta tornare giù e non avrebbe potuto inventarsi una scusa.

Dovette fare in fretta e da sola, ma alle otto e mezza Oscar era pronta e in dirittura d’arrivo nella sala dei ricevimenti al pianoterra. Camminava a passo deciso verso una di quelle occasioni in cui erano obbligatorie soltanto due cose: se stessa e l’alta uniforme. La prima era riuscita a portarla a destinazione puntuale, la seconda la indossava e le pareva stranamente più comoda di quanto ricordasse la precedente. Forse perché non l’aveva dovuta scomodare dall’armadio per fare da diversivo a qualcuno e vedere l’uomo che amava fuggire via da tutto.

La divisa da cerimonia4 che le era stata confezionata a mano aveva sostanziali differenze rispetto a quella da indossare in servizio, ma tutto sommato non era come portare qualcosa di completamente diverso. La giacca e il gilet erano delle medesime tinte, blu e rosso, ma i decori dorati più ricchi; i pantaloni erano adesso bianchi e le scarpe con la fibbia avevano lasciato il posto a un paio di stivali di cuoio neri perfettamente lucidati. Lo aveva fatto da sé quella sera, come le aveva insegnato André tantissimi anni prima un giorno in cui si annoiava e voleva passare del tempo insieme anche se lui era occupato.

In fondo all’ultima rampa di scale, a poca distanza dall’ingresso in sala, i due Tenenti conversavano forse da un paio di minuti di qualcosa in un dialetto del sud della Francia che li accomunava. Non glielo aveva mai sentito usare in precedenza e si convinse che dovesse essere un’abitudine solo loro, tanto più che lo abbandonarono nel momento esatto in cui la video scendere gli ultimi gradini. Si lanciarono un’occhiata sorpresa nel notare come fosse bella in alta uniforme, anche senza portare il tricorno sul capo, e li sopraffece il pensiero congiunto che se ogni donna fosse stata capace di dar giustizia a quegli indumenti maschili, il Re avrebbe dovuto permettere l’arruolamento femminile in fretta. La salutarono sull’attenti entrambi quando si avvicinò a loro e le indicarono la strada per proseguire insieme.

All’interno della sala, un gruppetto di sei persone disquisiva dei più vari argomenti seduti su imponenti divani roccocò rossi e dorati, disposti intorno a un tavolino di legno pregiato scuro. Il Maggiore sembrava essere in particolare confidenza con i due sconosciuti accomodati accanto a lui. Non indossavano una divisa, ma sulla giacca erano ben in vista delle mostrine militari in ricordo di vecchie vittorie in giro per il mondo. Davanti a loro, tre donne in eleganti abiti da sera scambiavano quattro chiacchiere; la signora più vicina al bracciolo, la più anziana, di tanto in tanto agitava un ventaglio con le piume. Sull’unica poltrona singola della stanza, un uomo all’apparenza alto, decisamente fuori forma e avanti con gli anni ascoltava con interesse la conversazione con lo sguardo attento del giocatore di scacchi. In piedi lì accanto, monsieur Denis leggeva il quadrante di un orologio da taschino d’argento che rifletteva la luce delle candele. Quando si accorse degli ultimi arrivati varcare la soglia, il suo viso asciutto si illuminò e si affrettò a procedere con gli onori di casa.

Gli uomini sul divano si voltarono per guardare chi fosse arrivato, prima di alzarsi per salutare. Soltanto il nobile sulla poltrona rimase al proprio posto, ma li accolse con un ampio gesto delle braccia per poi mettersi in piedi con fatica aiutato dal signor Durand.

“Finalmente ci incontriamo, Capitano!” esclamò, sincero nell’entusiasmo che comunicavano le sue parole.

I tre ufficiali gli offrirono il loro miglior saluto sull’attenti, poi Oscar si sporse per stringergli la mano. Lo aveva immaginato più compito, più pieno del proprio ruolo invece l’ambasciatore Pierre André De Suffren De Saint-Tropez5 pareva volerla mettere a suo agio. Si era anche figurata che portasse diversamente i cinquantanove anni che aveva, ma in effetti una vita in giro a combattere per i mari non doveva essere semplice da sostenere.

Entrato in giovane età nella Marina Reale, l’uomo aveva ottenuto particolare fama per i suoi successi in occasione delle operazioni dell'Oceano Indiano durante le guerre coloniali tra Francia e Gran Bretagna e durante la Guerra d’indipendenza americana. I suoi innumerevoli successi gli avevano garantito la stima e la fiducia di Sua Maestà che, oltre a nominarlo balì6 per i suoi eccezionali servizi nel Mediterraneo, lo aveva mandato a Malta in qualità di rappresentante dello Stato francese7.

“È un onore conoscervi, Viceammiraglio.” gli rispose lei che, insieme ai sottoposti, si accomodò sul divano di fronte alla poltrona, oltre il tavolino.

Le signore presero a studiare con aria perplessa il nuovo arrivato con i capelli biondi e i lineamenti delicati che con un rapido movimento delle dita spostò la frangia da davanti agli occhi e, insieme ad essa, l’attenzione dalle tre nobili.

“Devo ammettere che vi invidio, sapete?” fece l’uomo guardandola dritta in viso, in un tono che voleva sembrare sia serio che ironico. “Non avete idea di quanto darei per poter avere di nuovo l’occasione di salpare per la prima volta… ed essere ancora giovane come voi!”

Tutti risero della sua uscita, mentre Oscar mostrava cortesia con un sorriso di circostanza. Lanciò un’occhiata di lato a D’Audiffret e lo vide reagire nel suo stesso modo. Cercò rapida qualcosa per rispondere, ma l’ambasciatore si reinserì nel discorso senza che lei potesse formulare la frase.

“Abbiamo il piacere di accogliere il nuovo Capitano di vascello dell’Héros, Oscar François De Jarjayes. Non ci crederete, signori, ma finalmente quella nave riceve ordini da una persona capace!”, poi tornò a rivolgersi a lei: “Il Maggiore, poco fa, ci stava raccontando dell’incidente che avete affrontato durante la traversata…”

Oscar abbassò lo sguardo sulla fasciatura. Dopo giorni, passato lo scompiglio iniziale e più sicura di avere sotto controllo la situazione a bordo, cominciava ad averne abbastanza di quel ricordo. “Può capitare, immagino. L’importante è che si sia risolto ̶"

“Troppa modestia, Capitano!” la interruppe lui che non avrebbe desistito finché la sua interlocutrice non avesse ceduto ad una sola prova di autocompiacimento. “Dove si trovano adesso gli ammutinati?”

“Come mi ha suggerito anche il Maggiore non appena è tornata la calma, ho firmato perché venissero condotti nelle prigioni in città. È molto più sicuro che stiano lì fino al ritorno.”

***

I sottoufficiali l’avevano maledetta in ogni modo, creativo o meno, quando avevano ricevuto l’ordine di scortare i centocinquanta ribelli dalla nave al carcere. I loro piani, infatti, prevedevano tutto fuorché svolgere il proprio dovere una volta attraccati. Il più oltraggiato era, senza ombra di dubbio, Alain, che non l’aveva affrontata vis-à-vis solo perché sapeva di essere nel torto e, comunque, non aveva più avuto modo di incrociarla a bordo, dato che spesso gli era toccato il turno di guardia alle prigioni8 e quelle rare volte in cui il Capitano scendeva lui non c’era. Ma glielo avrebbe fatto sapere eccome che era una guastafeste! Come tutte le donne, d’altronde, anche quelle che gli avrebbero rubato nelle peggiori locande della città per colpa sua. Per fortuna, si era consolato mentre le chiavi dei secondini giravano nella serratura arrugginite, era in grado di intrattenersi in mille altri modi, per così dire, e il giorno dopo si sarebbe probabilmente svegliato chissà dove, con chissà chi e solo un vago ricordo del rancore che il suo superiore gli aveva causato…

In mezzo a un gruppetto di altri militari che gridavano e si spingevano tra le vie intorno al porto di La Valletta, Alain lasciava che i suoi piedi lo conducessero nel posto migliore ignorando le proteste dei commilitoni che avrebbero accettato anche la prima ragazza che passava da quelle parti e l’acqua delle fognature se fosse stata diluita con l’alcol. Nel tentativo di placare gli animi ricordava loro che non li aveva mai delusi lui, che aveva fiuto per certe cose e che non ne valeva la pena ammassarsi dove si erano già rifugiati tutti gli altri marinai. Non ci sarebbe stato più nulla per loro! Masticava lo stecchino di legno mentre col labiale leggeva i nomi scritti sulla pietra accanto alle porte. Sembrava che cercasse qualcosa nello specifico e, all’ennesimo rifiuto di fermarsi, le proteste crebbero.

“Brutti deficienti, io voglio farvi trattare da signori e voi mi ringraziate così!” si difese il guardiamarina con un braccio appoggiato a un vaso di gerani sul davanzale di una finestra al pianoterra di un edificio bianco. “Comunque siamo arrivati, se la cosa ancora vi interessa…” e nel dire ciò si voltò per raggiungere la porta della taverna.

A due passi dalla soglia di un luogo in cui contavano tutti di perdere cognizione di sé e del resto del mondo, Alain si bloccò di colpo e scoppiò a ridere alla vista dell’ultima persona che si aspettava proprio .

“Ma guarda un po’ chi abbiamo qui!” esclamò a voce alta attirando l’attenzione degli altri compagni, spazientiti dalla quantità di tempo che stavano perdendo a causa sua.

André si fermò al colpo della mano dell’amico sul braccio. Non lo aveva riconosciuto prima perché da lontano iniziava ad avere problemi a vedere bene i volti, ma soprattutto perché era finito in una via più buia e anche da vicino faticava a distinguerli a dovere. Salutò e in men che non si dica l’altro gli buttò un braccio al collo per trascinarlo con sé.

“Hai capito il parigino? Non ti facevo tipo da questo genere di posti.” Gli fece l’occhiolino per sottintendere qualcosa che dava erroneamente per scontato l’amico avesse compreso. “Ma d’altronde ti ho pescato in una taverna, la prima volta e pure quelle dopo, di che mi stupisco…”

“Stavo solo passando di qui e pure per caso.” lo corresse André mentre il resto del gruppo spariva oltre la porta lasciando che il vociare molesto all’interno li raggiungesse in strada.

“Dai, ti offro da bere io!” Alain provava a convincerlo in ogni modo, arrivò perfino a tirarlo con sé verso l’uscio e per un istante sembrò cedere. “Sei più simpatico da ubriaco, specialmente se non ti lagni per quella là.”

André si fece scivolare di dosso il modo in cui la donna che gli creava tanto tormento era appena stata chiamata – ormai si era rassegnato – e ringraziò per il complimento che gli era stato dedicato dal profondo del cuore. Si liberò dalla stretta e tornò in centro alla strada, con le mani in tasca e senza dar retta alle proteste di Alain. “Ne abbiamo di tempo, dai, facciamo un’altra sera.”

“Se domani non mi segui, io giuro su Dio che ti pesto così tanto che rimpiangerai Marbot.”

Il militare entrò nella locanda si annunciò come se ne fosse il sovrano assoluto. Il tono eccessivo con cui si presentò attrasse l’amico, che osservò le sue gesta dall’esterno più per intrattenimento personale che non per cambiare idea. Lo vide, benché un po’ sfocato, che elargiva grandi pacche sulle spalle perfino degli sconosciuti. Gli ci vollero non pochi sforzi per far capire all’uomo dietro al bancone che cosa volesse, poi gli gettò delle monete e mostrò qualcosa che aveva estratto dalla tasca; quando il locandiere comprese gli indicò – dall’esterno era difficile capire con precisione – verso sinistra. Alain annuì per poi scomparire oltre una fila di tavoli e il muro.

Il marinaio scosse la testa sorridendo, in procinto di tornare alla nave (o almeno provarci), quando la voce del compagno di viaggio richiamò ancora la sua attenzione. Alzò il capo e si accorse che proveniva dalla finestra aperta al primo piano. La luce di una candela rischiarava tenue la stanza, ma dalla via si riuscivano a scorgere soltanto i suoni e le ombre sul soffitto. Non aveva bisogno di vedere – né avrebbe voluto, in realtà – nulla di più per sapere che Alain non fosse andato lì per passare il tempo da solo e si sentì anche un po’ idiota a rimanere ad ascoltare. Si accorse di una seconda voce, ma il rumore di una carrozza più avanti nella via la coprì. Le due ombre parevano vicine ma non unite e questo stranì André: non gli pareva che l’amico fosse uno che tergiversava poco in certe occasioni. Quando finalmente tornò il silenzio, la conversazione nella camera si fece di nuovo più chiara: stavano discutendo di qualcosa avvenuta in precedenza. Soltanto in quel momento, però, realizzò che… stavano parlano in francese entrambi. Quante probabilità c’erano che trovasse una cameriera capace di comunicare nella loro lingua, dall’altra parte del Mediterraneo? Ascoltò meglio e un timbro a lui conosciuto lo raggiunse lasciandolo incredulo. Era…? Non poteva essere, ricordava di aver salutato quella persona in ambasciata prima di uscire… Non avrebbe mai detto che un tipo grande e grosso come Alain potesse avere un debole per... Allora la Marina Reale non era poi così diversa dalla vita a Versailles!

Non gli ci volle molto a collegare ciò che aveva appena scoperto e il misterioso nonché leggendario motivo della punizione che Alain aveva ricevuto un mese e mezzo prima e di cui ancora molti raccontavano senza, ovviamente, scendere nei dettagli. Certo, avrebbe preferito scoprirlo in altri modi, ma tant’è. Si allontanò scuotendo la testa con un sorriso sarcastico in volto. Gli avrebbe offerto da bere la sera dopo, non c’era alcun dubbio, per averlo un po’ distratto dai pensieri che gli gravavano sul cuore.

***

“Che ci fai qui, ragazzo?” domandò il nostromo appena rientrato a bordo. “Dovresti essere insieme agli altri a passare il tempo…”

André, ancora sovrappensiero, riemerse dal flusso di idee che gli affollavano la mente ancora con il sorriso. “Oh, non preoccupatevi, ce n’è stato modo...”

L’uomo lo guardò perplesso ma si fidò. Aveva l’aria da buono, non poteva aver fatto danni in giro. O almeno, così voleva credere e pertanto non approfondì oltre. Si sedette su una botte vicino alla porta degli alloggi sotto il castello di prua7 e cominciò a fumare da una pipa intagliata a mano. Non riusciva a togliere lo sguardo da quel giovane. Quasi tutti i suoi compagni erano chissà dove in compagnia del peggior alcol e delle donne che potevano permettersi e chi ancora era sulla nave o non era uscito dall’infermeria dopo giorni, o una di quelle fanciulle se le era portate a bordo ed era meglio di non disturbare. Niente di nuovo, le consuetudini della gente di mare. Un gruppo variegato di persone, naturalmente, di cui però il parigino che gli camminava di fronte avanti e indietro sul ponte per riordinare il caos lasciato dall’equipaggio evidentemente non faceva parte.

“Hai scordato una bottiglia…” Scosse la testa quando lo vide voltarsi alla ricerca di qualcosa che non c’era. “Lascia stare, non ero serio."

Il marinaio riprese la sua attività, ma per un attimo si distrasse, inciampò su un asse sconnesso e per poco non cadde di faccia sul pavimento. Troppo buio per andare in giro tranquillamente in un posto che ancora non conosceva abbastanza da potersi permettere delle leggerezze.

“Ci vedi bene, figliolo?” La voce di Marius lo riportò al presente.

“Sì, certo, mi sono distratto.”

André si avvicinò con cautela a dove si trovava l’altro e gli si sedette davanti, sul pavimento.

Uno sbuffo di fumo uscì dalla bocca del nostromo coprendola per metà. “Come ti chiami?” gli domandò senza troppi complimenti. Quando l’altro si presentò, nome e cognome, alzò gli occhi al cielo e lo rimproverò per l’eccesso di formalità con bonaria fermezza. Non tollerava troppe cerimonie, erano inutili e superficiali.

Il giovane si strinse nelle spalle un po’ imbarazzato. Non gli era mai capitato di essere sgridato per la troppa educazione; anzi, la nonna gli recriminava di non esserlo abbastanza, ma lei aveva dei canoni troppo rigidi e difficili da rispettare in cui il nipote avrebbe faticato a rientrare a prescindere.

“Cosa ti è successo all’occhio?”

Un sospiro profondo rispose meglio di mille parole. Nessuno ancora si era veramente soffermato sulla questione, avevano tutti troppo a cui pensare e André aveva sempre evitato spiegazioni. Rimaneva sul vago, semmai, e tanto bastava per togliersi dall’impiccio. Marius, però, si vedeva anche senza metterlo bene a fuoco che non era né un impiccione né uno che giudicava con cattiveria. Aveva a cuore gli uomini che lavoravano sull’Héros, graduati o meno, e se si interessava delle loro condizioni era perché era nella sua natura farlo; a volte i modi potevano non lasciarlo intendere, ma era così.

“Penso non ci sia abbastanza tempo a questo mondo per…” tentennò. C’era qualcosa nello sguardo serio e concentrato del nostromo che gli trasmetteva allo stesso tempo fiducia e soggezione. Rifiutò la fiaschetta di metallo che gli venne porta e tolse il berretto dalla tasca posteriore per sedersi meglio.

“Non vi smentite mai, voi giovani.” sentenziò il suo interlocutore, “Correreste sulla luna per la donna che amate.”

André si stupì dell’accuratezza con cui sembrava avergli letto nel pensiero. L’espressione sorpresa lo tradì più del silenzio, ma non aveva tanto senso negare a quel punto.

“Mi auguro ne sia valsa la pena.”

“Sì.” e lo disse con una sicurezza inaspettata, come se fosse la più grande verità mai proferita, il nuovo Vangelo, la risoluzione a ogni guerra.

“Allora tanta malinconia è inutile. Ti osservo da giorni…” proseguì l’uomo con finta disattenzione alle sue reazioni.

Il marinaio appoggiò un braccio sul ginocchio e si schiarì la voce nervosamente. Avrebbe preferito troncare quella conversazione se proprio non fosse stato possibile cambiare discorso, ma c’era qualcosa in Marius che lo tratteneva. Lo conosceva appena, eppure gli avrebbe raccontato ogni istante della propria vita, di sicuro più lucidamente di quanto non avesse fatto con Alain appena giunto a Tolone…8 E anche se cominciava a non poterne più di tenere tutto per sé – o al massimo buttare fuori i problemi sul taccuino che si portava ovunque, non senza timore che glielo leggessero – era frenato dall’idea che ascoltarsi formulare le stesse frasi ad alta voce con il cervello non annebbiato dai fumi dell’alcol. Non voleva renderli ancora più reali di quanto già non fossero.

“… e non hai nulla da spartire con gli altri. Ne sono passati di tuoi simili che fuggivano dalle pene d’amore, li riconosco all’istante.”

“Ah sì? Come sono?” gli domandò il marinaio, incuriosito.

“Diversi da te.” sentenziò Marius senza lasciare spazio ad altre interpretazioni. “Ce l’hai scritto in faccia che tu non stai scappando, ma la stai seguendo.”

Calò nuovamente il silenzio fra i due e, mentre quello sul pavimento si alzava per rientrare negli alloggi, il più anziano gli afferrò un polso e lo fermò. André lo guardò perplesso, poi ricordò le sue parole – i passatempi della gente di mare e i motivi per cui non si scendeva dalla nave – e gli fu tutto più chiaro. A quel punto evitò perfino di chiedersi quanto avrebbe dovuto aspettare ancora. Si mise ai piedi della botte su cui sedeva il suo nuovo padre confessore e appoggiò la schiena alla parete di legno.

“Cosa facevi a Parigi?” Il nostromo,

che non lo aveva più davanti a sé, gli parlava ora senza cercare più il suo viso coperto per metà.

“L’attendente, monsieur…” lo disse piano, come se avesse voluto aggiungere qualcosa che invece tenne per sé.

“Niente formalità.” ripeté spazientito l’uomo. “Immagino sia per questo che hai portato il bagaglio del Capitano all’ambasciata…”

“Qualcuno doveva pur farlo e poi è sempre stata una responsabilità mi—” André si interruppe. Quelle parole gli uscirono spontanee, non si rese neanche conto di pronunciarle finché il suono della sua stessa voce non gli tornò indietro.

La preoccupazione di essersi rivelato raggiunse l’uomo senza dargli modo di fraintendere e confermando ciò che aveva immaginato dal primissimo incontro, quando l’Héros era ancorato al porto di Tolone e mancavano diversi giorni all’arrivo del nuovo capitano.9 Un giovane uomo di Parigi che si imbarca nello stesso periodo del loro prossimo superiore, anche lei della capitale? Il suo intuito non sbagliava mai e ne aveva appena avuto l’ennesima prova. “Siete proprio uguali, tu e il Capitano: stesso attaccamento alle formalità, stesso modo di farvi carico delle responsabilità vostre e degli altri… Usate anche le stesse parole! Nemmeno se vi impegnaste davvero non lo dareste a vedere.”

Quell’aggettivo rimbombò fragoroso nella testa del marinaio. Uguali. No, non lo erano in nulla loro due. Lei era luce: brillante, potentissima, accecante. Dava valore al mondo. Mentre lui… Beh, lui sapeva di non esserlo e tanto bastava. Il senso di colpa tornò a bruciare insidioso da sotto una coltre di ceneri evidentemente non spente.
“Vi assicuro che non è così.” concluse rassegnato André. “Non potrà mai essere così.”

***
Sotto il sole caldo di Malta, i giorni erano tornati a rincorrersi senza grandi sconvolgimenti come la maggior parte di quelli che aveva trascorso alla Guardia Reale. La distanza da casa, la solitudine calma e comunque costellata da una manciata di volti a lei conosciuti, le strade color ocra di La Valletta che si univano dritte verso il mare all’orizzonte, le palme che spuntavano dall’alto delle mura, le persone che si animavano in conversazioni condotte in una lingua a lei estranea… Tutto ciò che quel viaggio inaspettatamente piacevole – benché lungo – le riservava mattina dopo mattina, sera dopo sera, notte dopo notte, era il motivo per cui i giorni trascorsi a Versailles avevano adesso il sapore di un ricordo lontano, di un’esperienza differente che non rinnegava ma non cercava neppure.

Anche gli impegni di ufficiale della Marina Reale, i giri di ispezione per controllare che sulla nave ancorata al porto la situazione fosse sotto controllo, l’equipaggio che ogni volta trovava sempre un po’ disfatto ma presente, le riunioni con il Maggiore e i Tenenti, i colloqui con l’ambasciatore e l’incontro, in un pomeriggio nuvoloso di inizio maggio10, con i delegati dell’Ordine dei Cavalieri di Malta. Tante chiacchiere per i suoi gusti, per una persona cresciuta all’azione, ma perfino quelle la convincevano che la Regina avesse scelto bene per lei.

La mattina del terzultimo giorno, il 2 maggio, non era nel turno di controllo delle operazioni di preparazione dell’Héros (iniziate proprio davanti ai suoi occhi ventiquattro ore prima e destinate a protrarsi fino al pomeriggio dopo11), ma, nonostante ciò, Oscar volle essere presente. Non che non si fidasse, anzi: era proprio perché sapeva che chiunque lì fosse più preparato di lei che si presentava anche quando non avrebbe dovuto, perché voleva imparare. Studiava il modo in cui il nostromo dirigeva lo spostamento di casse di legno destinate alla stiva e di grandi botti riempite d’acqua che sarebbero finite nella riserva accanto al magazzino, guardava i gesti di tutti coloro che sostituivano ciò che l’incuria, il tempo o le liti avevano distrutto o reso comunque irreparabile e si stupì dell’assoluta naturalezza con cui perfino i nuovi arrivati parevano a proprio agio con i compiti che erano stati affidati. Anche André, che si mischiava nella folla di uomini con i pantaloni bianchi e la giacca blu ma, a differenza loro, indossava sempre quell’irritante berretto rosso.

Verso le undici, Oscar decise di riaffidare il comando al Maggiore: aveva già abusato della sua pazienza e delle sue ore di servizio, non c’era bisogno di perseverare. E poi doveva andare. Niente di grave, assicurò lei, c’erano delle generiche questioni da risolvere che l’avrebbero tenuta lontana dal porto, ma sarebbe tornata in tempo per iniziare il proprio turno.

Non troppo convinto della vaghezza delle sue parole ma tutto sommato tranquillo dato che non era necessario giustificarsi visto che non ci sarebbe dovuta neanche essere lì in quel momento, De Chabon le diede la sua parola che non si sarebbe dovuta preoccupare di nulla.

Salendo in sella a quel cavallo che non era César né gli somigliava ma se la cavava come lui egregiamente nelle mansioni che gli venivano imposte, il Capitano sentì un’euforia innocente che si scontrava con il suo atteggiamento così autoritario, l’espressione sempre severa, ma soprattutto con il ricordo dell’ultima volta in cui aveva lasciato il comando dei propri uomini a qualcun altro per andare a fare qualcosa che nessuno doveva sapere perché l’idea era nata nella sua testa e lì doveva rimanere finché non fosse stata pronta.

Quando il suo superiore scomparve nella folla dopo aver imboccato la strada che costeggiava le mura di cinta davanti al porto, il Maggiore fece chiamare uno di marinai continuando a leggere insieme a Marius certi fogli scritti fitti con l’inchiostro nero. Dopo un paio di minuti, un giovane più alto di lui gli si presentò davanti con un saluto militare e domandò se avesse bisogno di qualcosa.

“Poco fa il Capitano è sceso dalla nave, ma non ha detto a fare cosa né dove. Vai a controllare, con discrezione, che non la perdiamo proprio a due giorni dalla partenza.” L’ufficiale pareva sinceramente preoccupato dietro il distacco di facciata delle sue parole. Pur trattandosi di una persona assennata e forte, addestrata come e più del migliore dei soldati, si trattava comunque di una donna che si aggirava da sola in una città che non conosceva e per di più tra le strade di un porto. Non esistevano ore sicure da quelle parti, nemmeno per una che aveva nella spada il prolungamento del braccio destro. E non era neanche una questione di considerarla una bambina indifesa da proteggere – o almeno così lui si autoconvinceva – semplicemente non potevano permettersi che all’arma migliore del loro arsenale accadesse qualcosa a pochissimi giorni dal viaggio.

Il marinaio diede risposta affermativa nonostante gli sembrasse una richiesta un po’ fuori luogo, ma gli ordini sono ordini e accettò quel compito affrettandosi verso la passerella tra le proteste fini a se stesse di alcuni compagni che calmò con un gesto della mano.

“Ehm… Grandier…” lo chiamò il Maggiore all’ultimo, con un piede sul legno inclinato verso la banchina.

André si voltò di scatto e osservò l’altro indicargli sulla sinistra la direzione in cui l’aveva vista andare.

Gli ci volle un po’ per esserle sufficientemente vicino da riconoscerla tra la gente – non che ci fossero molte bionde a cavallo per le vie di La Valletta… – ma quando la trovò a una cinquantina di metri dall’angolo dove aveva appena girato si tranquillizzò. C’era una sfumatura nella voce del Maggiore che gli aveva messo il leggero dubbio si trattasse davvero di qualcosa di troppo strano anche per lei e, pertanto, di sicuro pericoloso. Ciò nonostante, si sentiva un po’ stupido e non riusciva a dire se fosse per quello berretto che era costretto a indossare (e che tolse immediatamente appena se ne ricordò) o, più probabile, perché aveva dovuto dar retta alle ansie di uno che Oscar non la conosceva proprio dato che non le lasciava neanche lo spazio di agire senza giustificazioni. Era fatta così lei: non sempre aveva voglia di spiegarsi e questo non significava necessariamente che si stesse tuffando in un qualche guaio.

André si sedette sotto due palme piantate vicine, un po’ nascosto tra i tronchi, e la osservò imboccare una via in salita spostando lo sguardo oltre la propria spalla. Non si mosse da lì. Aspettò di vederla sparire, poi tornò con il viso rivolto in avanti e si intrattenne alla vista di due bambini che inseguivano un gabbiano che spiccava il volo e un cane, poco dietro di loro, intento ad abbaiare al nulla. Quando fu sicuro di averle dato abbastanza vantaggio, si rialzò spolverando i pantaloni e si diresse in una strada diversa da quella in cui l’aveva vista andare. Non si sarebbe mai messo a spiarla, men che meno a seguirla: mai lo aveva né lo avrebbe fatto. Se il suo superiore credeva di poterla controllare, non aveva capito affatto chi fosse Oscar François De Jarjayes.

Mentre attraversava quei vicoli su e giù per infiniti gradini di pietra rovinata dal tempo e da milioni di passi, la memoria gli suggerì più e più volte che quelle zone lui le avesse già incrociate sul suo cammino. La prima sera in cui aveva vagato senza meta tra l’ambasciata e il porto ed era finito per scoprire il segreto di Alain, del quale aveva accettato l’invito a bere – quasi ogni sera, in effetti, quando l’amico non doveva stare di guardia ai prigionieri di loro responsabilità12 – ma non avevano mai avuto modo di essere loro due da soli e non gli sembrava educato parlare di un… grande amore come il suo davanti a tutti. Confidò nelle occasioni future, al massimo se lo sarebbe tenuto per sé.

Guidato dall’istinto, André lasciò che i piedi lo facessero svoltare senza un perché verso destra. Pochi passi e si fermò di nuovo. Ringraziò che per una volta fosse lì con la luce del sole e che la vista quel giorno non gli desse particolari problemi, perché la trovò lì per caso, a metà della via, con il viso rivolto in alto, prima da un lato e poi dall’altro, gli occhi che cercavano di catturare quanto più riuscissero ad abbracciare in un solo sguardo e l’aria che ricordava averle visto addosso un’infinità di anni prima, quando ancora non aveva responsabilità di alcun tipo e viveva la sua già assurda ma almeno tranquilla vita di ragazzina. Teneva la giacca in mano, aveva sciolto i capelli e il cavallo era stato legato all’angolo opposto della via vicino all’abbeveratoio di pietra scavato nel muro.

Il marinaio si appoggiò con una spalla al muro dell’edificio alla sua destra, incrociò le braccia e non mosse un passo in avanti. Rimase immobile a guardarla, come incantato, perché non era suo diritto correre da lei e fermarla. Si diede dello stupido un’altra volta per aver dato corso anche solo per un minuto alle preoccupazioni del Maggiore.

Oscar camminava nella sua direzione, ma sembrava troppo distratta da tutto ciò che la circondava per accorgersi della sua presenza. Era un mondo che l’affascinava, così diverso da quello da cui proveniva, luminoso, pieno di vita che non si scontrava a ogni angolo con la paura di arrivare al giorno dopo. Passo dopo passo, posando lo sguardo ora sulle cascate verdi completamente fiorite di un balcone di ferro, ora su una data rossa incisa su un grosso mattone chiaro vicino a una finestra, si accorse di quanta realtà le fosse corsa attorno mentre lei rimaneva nella gabbia dorata della capitale francese.

D’un tratto si fermò e cominciò a osservare una serie di libri disposti un po’ a caso su un lungo tavolo di legno dipinto di verde scolorito e dall’altra parte della vetrina. C’era qualcosa, però, poco più in alto della sua fronte, che l’attirava maggiormente. Da lontano André non riuscì a capire, così attese che entrasse nell’edificio e si avvicinò senza fretta e senza oltrepassare un limite che si era autoimposto, ben prima della porta dentro cui era sparita. La sentiva parlare con un uomo che, in tono decisamente alto ed entusiasta, dava sfoggio dei rudimenti di francese di cui era in possesso per poter capire gli eventuali clienti e farsi comprendere senza grandi problemi. Il giovane si impose di non ascoltare perché non erano affari suoi, ma non poté fare a meno di notare che la voce di lei era leggera, divertita e, quando ringraziò e salutò, lo fece con una delicata educazione che sapeva avere con gli estranei solo quando non aveva alcun pensiero a tormentarla.

Prima che l’amica uscisse ancora in strada, André indietreggiò il giusto per poter fingere di passare di lì e incrociarla per caso. Quando Oscar, un libro prontamente nascosto nella giacca e un grande foglio spesso arrotolato in mano, si accorse di lui – essendo nella direzione in cui voleva andare – si bloccò all’istante e sul suo volto tornò a campeggiare l’espressione accigliata che precedeva i rimproveri.

“Mi stai seguendo—” gli disse secca, senza far capire se fosse una domanda o un’affermazione.

“Sto eseguendo gli ordini, in realtà.” la corresse l’amico indossando la maschera più seria che gli capitò di trovare nel proprio repertorio.

“Non mi pare di aver dato un simile ordine, André.” Oscar ricominciò a camminare, diretta dove già aveva intenzione di andare ma questa volta distratta e risentita dalla sua presenza. Teneva stretto ciò che aveva appena comprato in quel negozio disordinato per custodire almeno qualcosa del tempo che si era voluta prendere per sé.

“Non erano tuoi ordini, infatti.” Nel puntualizzare, André si rese conto di aver insistito più di quanto intendesse. Tentò di recuperare e chiederle scusa, ma lei aveva già distolto l’attenzione su altro.

Non gli era mai successo di non ricevere alcuna reazione, anche non nell’immediato, e ciò gli dispiacque. Cominciò a convincersi di aver ormai irrimediabilmente perso tutto quello che avevano e che le parole del nostromo, qualche sera prima, fossero davvero le meno vicine alla realtà, in suo sfavore. Abbassò leggermente il capo e schiarì la voce, ma non aveva niente da aggiungere.

Arrivati all’incrocio, la giovane si fermò. Percepiva chiaro lo scontro fra la parte di sé che non voleva mandarlo via – perché anche se inaspettato, era comunque l’unica persona con cui avrebbe condiviso il rispettivo mutismo – e quella che chiedeva di rimanere da sola ancora un po’ prima di ritornare alla routine.

“Mi porteresti queste cose all’ambasciata, per favore?” gli chiese arrivando a un compromesso con se stessa. Allungò il rotolo di carta spessa e il libro, poi indossò di nuovo la giacca. Lo udì risponderle senza alcuna altra inflessione nella voce se non decisione perché era stato il suo superiore ad avergli fatto quella richiesta e non
oté esimersi dal sentirsi ancora più schiacciata contro muro invisibile che li divideva. Le sembrava sempre più insormontabile, per qualche motivo che non riusciva a decifrare e, per questo, si irrigidiva nelle proprie posizioni.

Quando ormai vedeva soltanto il retro della giacca azzurra di André13 allontanarsi in direzione del porto, Oscar provò l’istinto di volerlo chiamare di nuovo e, subito dopo, la spinta a lasciar perdere. Aveva nostalgia dei momenti in cui essere fuori casa con André significava essere insieme, eppure adesso parevano così inaccessibili le ragioni di tanta spensieratezza. Ritornò sui propri passi per riprendere il cavallo e mettersi in marcia verso l’ambasciata: monsieur De Suffren l’aspettava, non poteva permettersi di tardare.

Una volta in sella, distratta dal pensiero di ricordarsi la strada per arrivare fino a lì e ripeterla al contrario, la giovane donna si accorse troppo tardi di aver consegnato all’amico una cosa che lui non avrebbe assolutamente dovuto avere sotto gli occhi. Colpì la fronte con il palmo della mano e accelerò, ma nella sua mente ripeteva quanto poco fosse stata accorta nella fretta di trovare una soluzione a quell’incontro non richiesto.
Una preoccupazione, quella di Oscar, che però si infranse davanti allo stoicismo di André nel non impicciarsi ulteriormente; si sarebbe stupita anche lei se lo avesse visto, berretto in testa e passo sicuro, tornare indietro senza nemmeno dare un’occhiata al prezioso carico. Lo reggeva fra le mani riservandogli un valore speciale e riuscì a vincere la naturale curiosità di scoprire di cosa si trattasse soltanto al pensiero che l’aveva contrariata già abbastanza per quel giorno.

Camminava spedito con la sua solita capacità di destreggiarsi senza perdersi tra le vie, che a lui, ovunque si trovasse, raramente parevano aggrovigliate e incomprensibili. Un senso dell’orientamento invidiabile aveva avuto modo di sottolineare un giorno il Generale quando era un bambino giunto a palazzo da poche settimane e già sapeva muoversi tra le camere e i corridoi della grande abitazione. Giunse finalmente a destinazione e svolse il suo compito, lasciando i due oggetti sulla scrivania e chiudendosi la porta della stanza alle spalle prima di rimettersi in cammino verso la nave.

***

“Grandier, hai fatto quello che ti ho chiesto?” domandò il Maggiore non appena incrociò sul ponte di coperta il suo sottoposto. Era scuro in volto e nonostante la risposta affermativa gli parve contrariato. “È tutto a posto?”

“Certo, signore. Nessun problema…” rispose André con l’intento di lasciare il discorso sospeso, nella speranza che l’uomo cogliesse il suo disappunto.
L’ufficiale lo studiò da capo a piedi, in silenzio, perfettamente consapevole della strategia che stava mettendo in atto e, per questo, deciso a schivarla. Lo rimandò insieme agli altri marinai con un gesto della mano, senza aggiungere altro, e si ricordò di quanto fosse stato sciocco, quel tardo pomeriggio di metà aprile, ad aver creduto che fra il Capitano e quel giovane parigino non ci fosse più nulla da recuperare e che lui fosse solo uno in meno14 da cui difendersi.

Note:
1) Descrizione di un vascello
2) https://siviaggia.it/viaggi/dove-incontrare-i-delfini-nel-mediterraneo/156376/
3) https://it.wikipedia.org/wiki/Pierre_Andr%C3%A9_de_Suffren_de_Saint_Tropez
4) Purtroppo non ho trovato immagini esaustive dell'alta uniforme della Marina Reale, ma basandomi sui ritratti degli ufficiali e sulle mie conoscenze sono giunta alla conclusione descritta nel capitolo (e poi così mi sembrava più bella). Se avete notizie migliori, scrivetemele!
5) Vedi nota 3
6) Treccani: Grado altissimo in taluni ordini cavallereschi e religiosi, tra cui in partic. l’Ordine di Malta.
7) Vedi nota 3
8) Ammetto di non sapere esattamente i compiti del suo ruolo né di avere cercato, semplicemente perché mi serviva una licenza poetica per evitare il buco di trama
9) QUI abbiamo un buco di trama di cui mi sono accorta soltanto quando scrivevo. Nel primo capitolo dico che André vede Oscar partire e lei poi se lo ritrova già sulla nave. La distanza tra Parigi e Tolone nel 1788 non era percorribile in meno di tre/quattro giorni in carrozza (contando che i cavalli necessitavano di riposarsi e non solo loro), pertanto qualcosa non quadrava. Risolvo subito, in un modo un po' macchinoso ma almeno sistemo il problema: nel mese in cui Oscar sta in Normandia, André si reca a Tolone per cominciare le pratiche per imbarcarsi come marinaio e lì conosce Alain. Prima che Oscar parta per la Provenza lui torna a palazzo, la vede andare e poi parte anche lui subito dopo per arrivare in tempo. Ha senso? No. Mi interessa? No, il buco di trama deve restare così :)
10) Cronologia del viaggio (ho fatto i conti con il calendario):
- 18 APRILE 1788 H 7:15: partenza
- 21 giorni: durata totale prevista viaggio Tolone-La Valletta/La Valletta-Tolone
- 5 giorni: durata viaggio di andata
- 20 APRILE 1788: rischio ammutinamento
- 22 APRILE 1788 (sera): arrivo a Malta
- 23 APRILE - 3 MAGGIO: periodo di permanenza a Malta
- 4 MAGGIO 1788 (mattino): partenza da Malta
- 5+1 giorni: durata viaggio di ritorno (ritardo un giorno per una cosa che scopriremo poi)
- 10 MAGGIO 1788 (pomeriggio): ritorno a Tolone
11) Vedi nota 11
12) Vedi nota 8
13) Illustrazione divisa marinaio francese del XVIII secolo 14) Vedi capitolo 5

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Capitolo 10
*** Visite officielle ***


alcuni dialoghi sono tratti dall'anime perché erano troppo belli per poter essere cambiati o tolti


10 maggio 1788 

Giornale di bordo 

Alle cinque del pomeriggio in data odierna, il vascello Héros battente bandiera di Sua Maestà il Re di Francia Luigi XVI e salpato dal porto di La Valletta è rientrato al porto di Tolone. La traversata del Mediterraneo è stata effettuata in sei giorni, invece dei cinque previsti dal navigatore di bordo prima della partenza. Le condizioni meteorologiche avverse, al largo della Corsica, hanno reso necessaria una sosta presso Ajaccio tanto per la nostra nave quanto per l’equipaggio da noi scortato affinché l’ultimo tratto potesse essere percorso in sicurezza. Nel corso del temporale il vascello ha subito qualche danno di non grave entità, ma non si segnalano problemi strutturali rilevanti.  

Mentre le prime gocce di pioggia si erano trasformate in una tempesta scrosciante, l’equipaggio si era prodigato in ogni modo per mettere in sicurezza la nave. L'acqua, inzuppando le vele, aggiungeva un ulteriore peso, ma era necessario ridurle per impedire che la furia del vento rendesse irreparabili i danni già presenti e per stabilizzare l'imbarcazione. Con grande prontezza, gli uomini si affannavano a fissare con cura ogni carico a bordo. Cannoni, attrezzature e provviste venivano legati saldamente, assicurando che nulla potesse muoversi liberamente e diventare così un pericolo per tutti. Chiunque non fosse necessario sul ponte di coperta tentava di evitare l'albero maestro, che durante il temporale poteva attirare i fulmini. Chi ne aveva l’occasione si dirigeva il prima possibile verso i livelli inferiori per ridurre il rischio di essere colpito da un fulmine, mentre altri coprivano l’alta struttura con dei panni umidi di lino o canapa così da impedire la formazione di scariche elettriche.  

“Capitano!” aveva urlato il timoniere con quanta più forza avesse trovato per sovrastare il rumore dei tuoni che squarciavano il cielo grigio e delle onde. Nemmeno lui, dalla sua postazione privilegiata, riusciva a vedere più in là di qualche metro davanti a sé: bisognava trovare una soluzione in fretta. 

“Cambiamo rotta! Possiamo solo dirigerci verso la Corsica!” gli aveva risposto Oscar uscendo dalla stanza dove il navigatore le aveva appena dato quell’unica via di uscita dal temporale.  

Sprezzante di qualsiasi pericolo, poi, era corsa dagli ufficiali di guardia, divisi tra la copertura del ponte di comando1 e i presidi dell’albero maestro, e con loro era rimasta per dirigere le operazioni che avrebbero portato in salvo il vascello. Ai segnalatori era stato dato ordine di avvisare la nave scortata di seguire l’Héros e il suono continuo e martellante di una campana in bronzo si era liberato nell’aria carica di tensione per indicare l’improvviso cambio di programma.  

Le era sembrato di non avere modo di respirare, tutte le sue energie erano concentrate nell’arrivare al porto il più integri possibile. La pioggia rendeva pressoché indistinguibile tutto ciò che aveva difronte, obbligandola di tanto in tanto ad allontanarsi dalla tettoia per poter avere una visione migliore della situazione. Era complicato riuscire a valutare costantemente in che stato si trovasse la nave: le uniche cose che riusciva a distinguere bene era il rumore delle porte che dividevano il ponte superiore da corridoi e rampe di scale che portavano di sotto sbattute senza sosta dal vento che soffiava feroce sollevando gli schizzi delle onde.  

Per dieci ore2 il temporale aveva messo alla prova la sua capacità di rimanere fredda e razionale, molto più di quanto non avesse mai dovuto dimostrare a se stessa prima che agli altri. Poi, dopo essersi lasciati alle spalle le nubi più scure e i tuoni, il porto di Ajaccio era apparso come un’oasi del deserto e uno dopo l’altro tutti i membri dell’equipaggio erano tornati ai propri posti sul ponte di coperta tirando un sospiro di sollievo. Il Capitano si era prodigata in fretta a far issare al quartiermastro il pavillon de détresse, la bandiera nera con un cerchio bianco in centro3 per segnalare l’emergenza, e soltanto una volta incontrati i membri dell’autorità portuale si era convinta di essere ancora viva e vegeta.  

Una volta raggiunta la costa della Provenza, le prime operazioni di sbarco hanno visto il trasferimento alle prigioni della città dei centocinquanta uomini ammutinati nel corso della traversata verso sud-est, in attesa che il Tribunale militare si pronunci sulla loro condanna a seguito del processo. Ad eccezione di alcune proteste da parte dei ribelli presto sedate, tutto si è svolto secondo quanto pianificato.  

La lunga fila di uomini con le mani legate dietro la schiena aveva attirato l’attenzione dei presenti al porto più del ritorno stesso della nave, un evento generalmente accolto con grande interesse da chi si trovava, di proposito o meno, in prossimità delle banchine. Un bisbigliare generale si era levato tra le persone, alcune delle quali avevano ipotizzato le più diverse spiegazioni circa la ragione di una simile misura di precauzione. Non accadeva da tempo che ormeggiasse un’imbarcazione che portava dei prigionieri a bordo, forse ci si erano scontrati durante il viaggio… Qualsiasi fosse il motivo, la situazione doveva essere seria per scomodare chiunque avesse un grado rilevante e fare spazio tra la gente e non permettere di avvicinarsi. Il Tenente De Valeau si prodigava a disperdere chiunque ancora intralciasse il cammino, a capo della fila. Di tanto in tanto qualcuno provava a lamentarsi, ma presto veniva fatto tacere dal primo graduato che avesse intorno. In coda al gruppo, Capitano e Maggiore controllavano che tutto procedesse secondo i piani, entrambi sollevati all’idea di poter finalmente mettere un punto a quella faccenda.  

All’improvviso, due uomini con ferite e fasciature sparse un po’ ovunque, cominciarono a spingere ai propri lati creando per alcuni minuti caos tra i ribelli. Alcuni tentavano il tutto per tutto, ma la fuga veniva presto intercettata e impedita dai militari, ma la maggior parte di loro si limitava a gridare improperi agli ufficiali rei di aver bloccato le loro mire di sovversive. Uno, poi, voltando il viso, si era accorto della presenza di quella donna che non erano riusciti ad ammansire neanche davanti alle armi – o forse proprio per questo! – e le si era rivolto senza alcuna remora.   

“Cagna della Regina! Te la faremo pagare!” 

L’ammutinato aveva appena fatto in tempo a finire l’insulto che De Chabon gli si era avventato contro, afferrandolo per il collo. Sul suo braccio, però, si era presto posata la mano di Oscar che, senza scomporsi, gli aveva impedito di giustiziarlo seduta stante sulla pubblica piazza. 

“Evitiamo le prove di virilità, Maggiore. Ci penserà il tribunale militare.” e, come se niente fosse successo, aveva invitato tutti a camminare più veloce per liberare la strada.  

Nel mese che ci divide dal prossimo viaggio si conta di reintegrare il numero totale dell’equipaggio: per mantenere la propria efficienza un vascello come l’Héros non può navigare con un totale di sole trecentocinquanta persone a bordo, le medesime che nei venti giorni precedenti hanno avuto modo di dimostrare lealtà e rispetto verso il ruolo che ricoprono loro stessi, i compagni e i superiori. Si auspica che trenta giorni siano sufficienti per introdurre uomini di uguale valore. Da parte propria, gli ufficiali al comando della nave si impegnano fin da ora a garantire le giuste condizioni perché ciò avvenga.  

*** 

Il letto della sua nuova casa le pareva il più morbido e confortevole del mondo dopo gli ultimi giorni di navigazione. Così immobile e fisso sul pavimento, le procurava quasi un senso di vertigine se prestava attenzione al fatto che non ci fosse l’ondeggiare del mare sotto i piedi e che per sedersi sopra il materasso e poi affondare di schiena nelle coperte profumate di pulito non aveva dovuto dare prova di equilibrismo camminando con ogni muscolo contratto per seguire il movimento del mare e non cadere con la faccia contro il legno. Era una sensazione bellissima essere ben salda a terra, aprire la finestra e vedere che il blu era distante e per raggiungerlo con lo sguardo bisognava oltrepassare il grande giardino verde, gli alberi, le strade e le case intorno.  

Però le era piaciuto quel primo viaggio in vascello, non lo avrebbe mai dimenticato. Aveva amato in special modo l’illusione che il vento soffiasse sul suo viso anche aria di libertà, quella stessa che credeva di aver respirato soltanto lanciando César al galoppo sulle rive della Senna e invece trovava anche lì, sul ponte della sua nave.  

Oscar fissava il soffitto della propria camera incurante del tempo che passava, dell’acqua calda che si raffreddava nella tinozza per il bagno – un bagno vero, non come gli espedienti a cui era costretta a bordo! – e perfino della cena che le stavano preparando e che aveva chiesto di portare su nelle sue stanze ché da sola in sala da pranzo significava esclusivamente ricordarsi che non aveva compagnia di alcun tipo.  

Accanto a lei, una busta bianca ancora sigillata con la ceralacca rossa si confondeva tra le pieghe del rimbocco del lenzuolo e la coperta adesso stropicciata. La giovane se ne ricordò soltanto quando mosse una mano e si sentì pungere delicatamente. La cameriera che gliel’aveva portata, una donna che lavorava a palazzo Jarjayes da anni ormai e che aveva voluto con sé anche in Provenza perché sapeva di potersi fidare di lei in mancanza della nonna, aveva specificato che l’aspettava da un paio di giorni, forse tre, tra la corrispondenza. Riconosceva il timbro sulla cera indurita così come avrebbe saputo individuare fra mille la grafia precisa che campeggiava sul lato chiuso della busta. Si decise ad aprirla, non fosse altro perché le serviva una motivazione per uscire dall’indolenza e alzarsi. Quando ebbe finalmente il foglio fra le mani sgranò gli occhi per un istante nell’apprendere ciò che le veniva comunicato. D’un tratto sentì tutta la stanchezza del viaggio crollarle addosso implacabile e benché le parole scritte nero su bianco non le dessero notizie catastrofiche, non poté fare a meno di lasciarsi condizionare da un’irrazionale e inusuale frustrazione che la rigettò indietro allo stremo delle forze. 

Non aveva mai sopportato la necessità che qualcuno volesse assicurarsi che ciò che era in mano sua stesse procedendo nel migliore dei modi. Non lo tollerava da bambina, quando effettivamente aveva bisogno che ci fossero adulti intorno a lei a impedirle di fare di testa propria, e, nel tempo, era cresciuta detestando quelle improvvisate alla Guardia Reale che venivano spacciate per altro e invece erano proprio modi per controllare che tutto fosse in ordine. Da quando aveva messo piede a Versailles in veste di ufficiale, infatti, di tanto in tanto e ogni volta per ragioni differenti, capitava che ci fosse qualcuno che si presentava annunciato all’ultimo minuto e quel qualcuno di solito era il Generale. Non che non si fidasse delle capacità straordinarie del figlio, nato, cresciuto e addestrato per essere il degno erede di una dinastia di militari di altissimo livello. Anzi: era perché voleva osservare con i propri occhi la sua bravura e tastare con mano (magari durante una chiacchierata con Girodelle) che passava dalla piazza d’armi, o bussava alla porta del suo ufficio alla reggia e metteva alla prova le proprie abilità di investigatore. Difficilmente trovava qualcosa che non andasse ed era così che si aspettava di trovare la Guardia Reale: perfetta e sempre pronta a tutte le evenienze. Era anche un incentivo al proprio orgoglio (di padre e di generale) di cui non poteva fare a meno e il figlio sopportava senza protestare perché la disciplina era sempre stata l’unica sua ancora di salvezza nella vita (e perché con quell’uomo non ci si poteva permettere di fiatare).  

Il Generale, responsabile dei rifornimenti di armi per l’esercito, aveva ricevuto l’ordine di scortare di persona insieme ai propri soldati un carico di fucili per il reggimento di stanza al confine sud-orientale. Un viaggio lungo, sì, ma necessario a evitare di ripetere l’esperienza imposta loro dal Cavaliere Nero pochi mesi prima. Le finanze di Sua Maestà non vertevano nelle migliori condizioni – tutto il contrario! – e pertanto era stato ritenuto fondamentale prevenire l’eventuale danno invece che risolverlo più tardi. Così, cogliendo l’occasione, aveva già chiesto un permesso di mezza giornata per poter recarsi a Tolone e incontrare il nuovo Capitano di vascello dell’Héros che, accidentalmente, portava il suo stesso cognome. Da militare esperto quale era, sapeva che adesso non poteva più presentarsi senza preavviso: nella migliore delle ipotesi non l’avrebbe trovata alla base di terra, nella peggiore non sarebbe stata neanche in Francia. Aveva quindi deciso di organizzare quella visita, ricordando vagamente ciò che gli aveva riferito in una breve lettera spedita dall’ambasciata a Malta circa i suoi futuri impegni4 

Un evento del genere, pur non essendo ospite in veste ufficiale ma, per così dire, personale, non avrebbe potuto essere accolto con una cordiale stretta di mano e tanta cortesia. Lo sapeva bene il Generale, altrimenti non avrebbe comunicato il giorno dell’arrivo, e lo sapeva bene anche Oscar, che si rese conto che mancavano solo settantadue ore. Troppe poche perché i propri uomini, tutti, fossero pronti come pretendeva lei e perché la cerimonia di accoglienza venisse preparata a dovere. Non c’era tempo da perdere, si disse rialzandosi per aprire la porta alla cameriera che bussò, e mentalmente si proiettava alla mattina dopo.  

Mentre girava la forchetta nel piatto alla ricerca di un pezzo di carne che le ridesse fame, continuava a leggere quella data: 15 maggio. Un mese esatto dall’inizio della sua nuova vita, un tempo sufficiente per poter confermare con relativa tranquillità che di quella vecchia non rimpiangeva davvero nulla. 

*** 

Il Tenente D’Audiffret era appena giunto alla base di terra quando lo colse l’impressione che la quiete della mattina si sarebbe presto infranta contro qualcosa che fiutava nell’aria pur non sapendo ancora di cosa si trattasse. Quattro settimane gli erano state sufficienti per imparare che ogni giorno con il nuovo capitano equivaleva a doversi preparare a tutto, perché, a differenza dei suoi predecessori, Oscar François De Jarjayes non dava nulla per scontato e pretendeva il massimo da chiunque. Il militare tolse i guanti bianchi di cotone leggero e li appoggiò sulla scrivania al centro dell’ufficio che condivideva con De Valeau, in licenza per potersi rimettere dalla ferita al braccio che ancora necessitava di cure e riposo. Scostò piano la sedia e cominciò a compilare dei documenti che gli erano stati lasciati accanto al calamaio. 

Non ci volle molto perché la relativa tranquillità del piano si incrinasse sotto il rumore di passi in fondo al corridoio che si avvicinavano rapidi. L’uomo li ignorò finché gli fu possibile, benché un impercettibile sorriso gli increspasse le labbra pensando alla precisione con cui l’istinto gli aveva suggerito l’avvenire. La piuma d’oca scorreva veloce sui fogli, uno dopo l’altro, mentre lui tendeva l’orecchio per capire quanto mancasse al dispiegarsi del destino di quel giorno e alla scoperta dell’entità dell’eventuale danno.  

Quando bussò alla porta socchiusa e il Tenente diede il permesso di entrare, il Capitano si presentò con un’espressione seria in volto – più del consueto – e un foglio in mano. L’uomo le riservò un saluto sull’attenti prontamente ricambiato e chiuse l’uscio alle sue spalle. 

“Tenente, quanto impiegate di solito per preparare una cerimonia di accoglienza a bordo?” domandò Oscar con la stessa serietà con cui quarantotto ore prima aveva imposto al timoniere di cambiare rotta verso il porto di Ajaccio se non avessero voluto soccombere alla pioggia torrenziale. 

Il sottoposto rifletté un momento riordinando i documenti sulla scrivania. Di tutte le cose che si sarebbe aspettato da lei, quella era di certo l’ultima. Immaginò che nella lettera piegata ancora in mano ci fosse il motivo di tanta curiosità per un avvenimento che accadeva sempre più di rado. L’Héros, con il suo passato problematico, non era una nave per cui le alte cariche smaniassero per salirci o farla visitare a chicchessia. L’ultima volta, un paio d’anni prima, erano stati necessari un preavviso di un mese e prove quotidiane a fine giornata5 per raggiungere un risultato accettabile.  

“Dipende.” L’ufficiale non volle rivelare troppo per non farla incappare in facili illusioni o delusioni di prima mattina, ma la fermezza con cui lo guardava dritto negli occhi gli diede l’impressione che dovevano trovarsi con le spalle al muro. 

“È possibile riuscirci in quattro giorni… a partire da oggi?” La richiesta suonò come un invito a percorrere la distanza dalla Terra alla Luna a piedi e scatenò un breve moto d’ilarità nell’uomo che, però, corresse subito il tiro non appena l’altra inarcò il sopracciglio. Non il momento giusto per alleggerire l’atmosfera… 

“Capitano, se voi sapete fare miracoli io ve ne affiderei volentieri la responsabilità.” le rispose lui tra il serio e l’ironico. “Occorre però ricordarvi che nessuno ha più avuto interesse nel venire a farci visita e—” 

“Qualcuno c’è e non possiamo esimerci.”  

Il Tenente aprì il foglio che gli era stati allungato e lo lesse velocemente. Spostò più volte lo sguardo tra la sua interlocutrice e il contenuto scritto in nero senza alcuna espressione in viso. Richiuse con una mano la lettera e gliela restituì, adesso al corrente della situazione. “L’equipaggio mancherà di diversi uomini ancora per una settimana e mezza almeno, la nave necessita di riparazioni, anche se di lieve entità, e bisogna studiare il protocollo. Se la portiamo a casa, possiamo andare dicendo di saper camminare sulle acque.” concluse l’uomo e cominciò a cercare nella libreria alle proprie spalle tra i volumi rilegati in stoffa blu.  

“Non dobbiamo portarla a casa, dobbiamo riuscirci. È diverso.” Il tono piccato con cui lo redarguì tradì un orgoglio di figlia che fino a quel momento non gli era mai capitato di sentire da lei. Il Capitano ora parlava anche in virtù del ruolo che ricopriva nell’economia della famiglia e che, a quanto pareva, sembrava premerle non poco.   

Passando l’indice sulla costa dei libri, l’uomo ne estrasse uno con infiniti cordini in stoffa tra le pagine e lo posò sulla scrivania con un tonfo. Spolverò in fretta la copertina e lo aprì, rivelando all’interno una serie di protocolli di varia lunghezza in ordine cronologico. Dopo aver sfogliato in fretta, fermò la mano e spostò il volume per permettere al suo superiore di leggere.  

“Credo che questo possa fare al caso nostro.” affermò lui in tono risolutivo, “Risale a qualche anno fa, ma gli ufficiali di protocollo possono adattarlo.” 

I passi di qualcuno che attraversava il corridoio catturò l’attenzione di Oscar per un istante, il tempo necessario per decidere il da farsi. “E sia… Ma deve essere pronto entro oggi e voglio essere tenuta al corrente di tutto. Riferite voi anche al Maggiore e ai sottoufficiali, al resto dell’equipaggio penso io.” concluse lei e se ne andò dall’ufficio lasciandosi alle spalle il saluto del Tenente, pronto a eseguire il proprio compito anche senza che gli venissero dati ordini precisi.  

Il Capitano si diresse a passo rapido verso le scuderie. Il cantiere navale era in fondo al porto*, troppo distante per arrivarci a piedi senza perdere tempo prezioso. Gli uomini andavano avvisato in prima persona del cambio di programma improvviso, anche a costo di dover essere schernita davanti a tutti. Quella visita era l’ultima cosa che avrebbe voluto dover organizzare nel breve periodo, ma aveva chiesto di poter affrontare più sfide e l’universo pareva averla ascoltata.  

Quando César fu pronto, Oscar salì in sella e proprio da sotto l’arco in mattoni che divideva il cortile interno dall’ingresso una voce la chiamò. Si voltò e vide Alain avvicinarsi e salutarla. Gli sembrò strano che se ne andasse così presto, proprio lei che ormai aveva capito essere capace di rimanere in piedi giorno e notte pur di assolvere ai propri compiti, così non poté esimersi dal chiedere spiegazioni. 

“Ci sarà una visita alla nave tra quattro giorni.” tagliò corto lei e gli indicò di seguirla. Conosceva la sua influenza sui marinai, sarebbe potuto essere di aiuto averlo con sé anche e, anzi, specialmente se non si fosse messo in testa di aprire bocca. 

Alla notizia il suo interlocutore rise, procurandole non poco fastidio. Com’era possibile contenere tanta insolenza in un corpo solo? Era così che si sentiva suo padre quando aveva disobbedito agli ordini del Re? No, impossibile, lei aveva delle valide ragioni, Alain invece era solo intenzionato a provocarla. Lo gelò con lo sguardo finché non le fu di nuovo accanto il più serio possibile.  

“Ma chi verrebbe mai da noi? La flotta è grande e nessuno avrebbe motivo di interessarsi alla nostra nave. Tanto più che ora necessita di manutenzione, dov—” Come fece per alzare le spalle, però, notò il viso del suo superiore di nuovo verso di sé. 

“Alte cariche.” L’ufficiale non aveva né tempo né voglia di rivelare il motivo di tanta solerzia, era un imprevisto che andava affrontato, senza troppe discussioni.  

Il guardiamarina si lasciò scappare un’esclamazione perplessa. La sua reazione tradiva un’impossibilità di comprendere l’intera situazione che non poteva essere messa in ombra dalla sua consueta noncuranza. Lo riguardava purtroppo, più di quanto avrebbe voluto, e perciò si trovò obbligato ad approfondire, suo malgrado. “Quattro giorni, poi… Siete sicura, Capitano?” 

Oscar perse la pazienza e tirò le redini di César, che si fermò a metà strada intralciando la strada ad alcuni uomini che passavano dal porto.  

“Io ve lo dico:” sentenziò lui, “giusto il nostro amico si farà andare bene questa sceneggiata, perché è abituato a dar retta a voi nobili, e forse qualche mozzo… Quelli sono ragazzini, diamine! Se volete procedete, ma a vostro rischio e pericolo.” 

Il Capitano alzò gli occhi al cielo e proseguì, nella vana speranza che l’altro imitasse il suo esempio e tacesse. Ci mise un attimo, invece, a riprendere il discorso con quel suo tono canzonatorio che ormai le procurava solo mal di testa:  

“Io vorrei sapere perché dovete sempre immischiarvi in faccende più grandi di voi.” 

César venne portato a tagliargli la strada senza preavviso. Una parola, una di più, e Alain sarebbe finito in cella insieme a Vincent ringraziando anche per non averlo dovuto raggiungere prima.  

Oscar sapeva che il sottoposto aveva ragione e, se fosse dipeso da lei, l’intera faccenda sarebbe stata risolta con una molto più informale e familiare visita a palazzo. Tanto più che, il 15 maggio, non sarebbe dovuta andare alla base di terra prima del pomeriggio, ma ormai i piani erano cambiati. Suo padre, il Generale Jarjayes, era prima di tutto un alto ufficiale delle Guardie Reali e anteponeva la forma e il rigore a qualsiasi cosa – perfino a salutare la figlia – e lei non ne poteva niente. 

Ripetendosi queste parole, Oscar scese da cavallo ed entrò nel cantiere navale accompagnata dal guardiamarina. Si diressero verso il loro vascello, ormeggiato all’ultima banchina di lavoro. Il sole spuntava da dietro le nuvole grigie in modo da costringere chi fosse controluce a coprirsi gli occhi. Tutto intorno, voci di uomini impegnati nelle più diverse mansioni gridavano alternati ai rumori degli strumenti necessari alla riparazione delle navi.  

Quando il primo marinaio li avvistò e richiamò poi l’attenzione dei compagni, si innescò un effetto domino per cui tutti, in brevissimo tempo, furono chi alla balaustra del ponte di coperta e chi giù sulla banchina. C’era molta confusione quella mattina, era difficile riuscire a capirsi a distanza; pertanto, era importante che i più vicini all’ufficiale comprendessero bene per poi riferire correttamente agli altri.  

“Vengo a comunicarvi che proprio stamattina c’è stato un cambio di programma.” esordì Oscar con i pugni chiusi lungo i fianchi nel tentativo di farsi forza da sola più per la notizia da dare che non per il modo in cui le avrebbero risposto gli altri. “Il 15 maggio ci sarà una visita ufficiale—” ma non fece in tempo a terminare il discorso che un vociare indistinto si levò dal gruppo intorno a loro due, mentre Alain non provava neanche a nascondere la soddisfazione di aver avuto ragione.  

Le si avvicinò cauto con il viso, dietro la spalla destra, ma lei alzò una mano davanti ai suoi occhi e stroncò sul nascere il suo Ve lo avevo detto pronto all’uso. 

Il Capitano schiarì la voce e la alzò, ormai il dado era tratto. “Abbiamo quattro giorni—” 

“Va bene, sono già tre!” esclamò qualcuno, al quale un altro rispose che ne sarebbe rimasto uno se non l’avessero lasciata finire e scatenò così l’ilarità generale.  

“… Quattro giorni per prepararci.” riprese dopo aver offerto il più gelido degli sguardi, “Gli ufficiali di protocollo sono già al lavoro e per fine giornata avremo un piano dettagliato. Vi voglio tutti domani mattina all’alba e al tramonto nella piazza d’armi6 dietro al cortile intero della base di terra. Non tardate per nessun motivo.”  

Il tono con cui impartiva quegli ordini suonava come una condanna a morte. Se li avesse mandati al patibolo sarebbe sembrata meno definitiva, forse, ma quegli uomini dovevano seguirla, senza troppe spiegazioni.  

Un marinaio che aveva ascoltato tutto sporgendosi dalla balaustra all’improvviso attirò la sua attenzione mentre piegava insieme ad un compagno uno spesso telo color sabbia, “Di grazia, potremmo sapere chi ha deciso di farci questo onore? Avrei un paio di cose da riferire…”  

Di nuovo si alzò una risata collettiva e Alain osservava la scena soddisfatto alle spalle del suo superiore, per una volta senza masticare il suo stecchino ma solo perché sapeva che lì dentro ogni movimento era pericoloso.  

“Alte cariche.” ripeté Oscar: quelle due parole erano diventate la sua personale ancora di salvezza.  

“E potevano impicciarsi degli affaracci loro, le alte cariche!” concluse l’altro, al quale l’ufficiale riservò il peggiore dei rimproveri e, nel chiedergli le generalità, gli prefigurò una punizione esemplare per il successivo mese.  

Quando si voltò per tornare indietro, la giovane donna si accorse dell’atteggiamento spavaldo di Alain. Lo scrutò dall’alto in basso con l’aria di chi non gliel’avrebbe fatta passare liscia tanto facilmente e insieme, in silenzio, ripresero a camminare.  

D’un tratto, una voce sempre più vicina la chiamò ancora. Immaginò di dover risolvere qualche problema imminente, o respingere altre proteste infantili; invece, trovò André che le correva incontro con una corda spessa mezza arrotolata intorno alla mano destra. 

“Hai bisogno di qualcosa?” gli domandò, per la prima volta da settimane grata che fosse lui a fare il proprio nome e non chiunque altro. 

“Potrei sapere chi sarà l’ospite?” e glielo disse a voce bassa, per non permettere a nessuno di sentire. 

“Mio padre, André.” Il suo tono era maledettamente serio e grave, come si trattasse di un segreto di Stato. 

Il volto del marinaio si dipinse di un’espressione sorpresa. Da quanto tempo non lo vedeva? Da inizio aprile, quando era partito poche ore da palazzo Jarjayes per la Provenza a seguito dei giorni che gli erano stati necessari, settimane prima, per potersi informare sull’imbarco e su quello che sarebbe stato il suo nuovo ruolo. Ora erano chiare la spiegazione sommaria e le sue reazioni così tanto ferme e decise, più del solito. André salutò e lasciò che Oscar tornasse dove l’altro l’aspettava, ma non poté esimersi dal temere che quando tutti lo avessero scoperto, l’atmosfera a bordo si sarebbe scaldata.  

*** 

La mattina del 15 maggio, a pochi minuti dalle undici, una carrozza blasonata e trainata da due cavalli si fermò davanti ai cancelli della base di terra, a un passo dal porto. Il cielo minacciava pioggia da ore ormai, ma sembrava non aver intenzione di cedere. Un vento leggero soffiava dal mare, trasportando il gracidio dei gabbiani e lo sciabordio delle onde fino sulla costa. 

Quando il lacchè aprì la porta, dalla vettura scesero un ufficiale della Guardia Reale e un uomo in divisa evidentemente più anziano, composto ed elegante in virtù delle rughe che gli segnavano il volto. Si guardarono intorno per un istante, mentre la carrozza veniva trasferita nelle scuderie della base di terra, insieme a cavalli dei militari di stanza in città.  

Che luogo tanto diverso e affascinante, pensarono loro mentre una piccola folla di curiosi cominciava a radunarsi attorno al molo per capire chi fosse giunto di tanto prestigioso. Il porto era animato dalle consuete attività quotidiane, uno spettacolo di operosità che raramente si trovava a Parigi lontano dalle attività intorno alla Senna! Si voltarono tenendo il mare alle proprie spalle e all’unisono si incamminarono verso l’ingresso. Sarebbero rimasti poco più di tre ore: il viaggio dal confine dove erano di stanza per la consegna del carico di armi a Tolone non era breve né senza pericoli e avrebbero dovuto impiegarci altrettanto tempo per tornare.  

Chiusa nel proprio ufficio da che era arrivata al mattino presto, il Capitano riordinava con cura maniacale la stanza che la sera prima, dopo le prove per la cerimonia di accoglienza, aveva lasciato in disordine secondo i suoi canoni per la frustrazione che gli uomini dell’equipaggio le stavano procurando da giorni. Era consapevole che si stessero impegnando nel rovinarle i piani per divertirsi a suo discapito. In un’altra occasione avrebbe accettato la sfida all’istante, ora invece pregava in un’illuminazione, o anche in un miracolo. Tre giorni (e mezzo) di esercitazioni mattino e sera che loro erano riluttanti a seguire fino alla fine; a niente valevano i rimproveri e le minacce di punizione: l’attenzione scemava dopo mezz’ora. Il peggiore di tutti era Alain, che una sera era stato perfino preso per il bavero della giacca dal Maggiore e quasi scaraventato a terra per le chiacchiere eccessive ad alta voce che seguitava ad esporre. Il giorno dopo non aveva ceduto alla rabbia per decenza verso se stessa e per orgoglio – e perché era troppo stanca anche per quello, al punto che nel breve tragitto verso casa l’incedere regolare di César le aveva dato ancora più sonno di quanto già non ne avesse – ma se avesse potuto li avrebbe rispediti tutti a casa fino alla fine dei loro giorni. Così, in un impeto di disciplina e rigore per compensare a ciò che i suoi uomini non sembravano avere, quella mattina raccoglieva tutto per dare senso alle pile di fogli, mappe e quant’altro la carta possa ospitare, tentando di equilibrare fretta e precisione. Nessuno degli ospiti sarebbe entrato lì dentro, era vero, ma non poteva fare a meno di pensare che tutto dovesse trovarsi in ordine anche dietro una porta chiusa.  

Quando fu soddisfatta del risultato, Oscar afferrò il tricorno appoggiato sulla sedia e andò via di gran lena, nonostante il pavimento fosse fin troppo liscio e lucido. Nella fretta, si accorse a metà corridoio di aver perso il fiocco che le legava i capelli. Un’imprecazione altrimenti proibita le sibilò dalle labbra mentre si voltava e raccoglieva il nastro da terra per sistemarlo nuovamente dove avrebbe sempre dovuto rimanere. Si precipitò giù dalle scale con la spada che sbatteva contro la gamba sinistra, la mano senza copricapo d’ordinanza che scivolava veloci sul corrimano in marmo. Scese infine l’ultimo gradino che la torre si era appena quietata e il grande orologio della torre richiamò con un rumore sordo il suo udito. Le undici.  Da dietro la vetrata della porta, vide in lontananza gli ospiti scendere dalla carrozza. Espirò un paio di volte, sistemò la giacca e si fece aprire il grande uscio di vetro e ferro battuto.  

I due uomini da Parigi si fermarono davanti ai cancelli dell’ingresso, dove altrettanti militari li attendevano con alle spalle un lungo tappeto blu. Sull’attenti e con la mano destra tesa alla fronte – quantomeno chi riusciva – tutti si salutarono impettiti per poi passare a meno rigorose ma pur sempre formali strette da uomini veri quali sapevano di essere e presentarsi l’un l’altro. Attorno a loro, gli allievi scelti in fretta in rappresentanza dell’accademia nautica rimanevano con il petto in fuori e il mento in alto mentre i sei ufficiali si scambiavano cortesie.  

“Cos’è successo al vostro braccio, Tenente?” domandò il più anziano del gruppo indicando la fasciatura che ancora portava.  

“Oh, un incidente che sarebbe potuto andare molto peggio se non fosse stato per il Capitano.” Il povero De Valeau era stato richiamato in fretta dalla licenza per malattia con la promessa di poter recuperare i giorni in un generico futuro, ma era fondamentale anche il suo aiuto e non aveva potuto rifiutarsi.  

L’uomo con i capelli grigi si illuminò in volto. Non tanto per la ferita – di cui avrebbe sicuramente chiesto anche alla diretta interessata – ma perché quelle parole erano oro per lui, la medaglia al valore di una vita, il traguardo raggiunto dopo anni di fatica.  

Camminando sul tappeto blu a passo regolare, Oscar osservava i cinque conversare. Il saluto militare già pronto benché fossero ancora a un metro da lei venne ricambiato dal loro senza troppe cerimonie, che spettarono invece alle cortesie più “personali”. 

“È un piacere rivederti, mon fils!” esclamò il Generale riservando all’erede un sorriso e una pacca sulla spalla. Un gesto inaudito e fin troppo affettuoso, constatò la figlia pur condividendo la felicità di ritrovarlo in salute.  

Dopo un mese di lontananza le parve di vedere suo padre per la prima volta invecchiato. Un processo di cui era stata testimone tanto quanto lui aveva assistito alla sua crescita, qualcosa di costante che si era protratta nel tempo e che solo ora si era accorta che accadesse. Gli sorrise e fece strada a tutti, ospiti e sottoposti, per entrare nell’edificio. La mente si concentrò sul qui e ora, decisa come non mai a procedere per gradi, passo dopo passo come gli ufficiali di protocollo avevano stabilito quattro giorni prima senza lasciarsi condizionare dal pensiero che i propri uomini non erano pronti come avrebbe desiderato.  

Il più adatto ed esperto nell’accoglienza era senza dubbio il Maggiore, orgoglioso di aver ricevuto dal suo superiore l’incarico di fare strada ai nuovi arrivati tra i corridoi della base di terra. L’uomo spiegava con grande sicurezza tutta la gloriosa storia di quel luogo, svelava l’identità e le gesta dei volti raffigurati nei dipinti appesi alle pareti e indicava i riconoscimenti guadagnati in battaglia dai tanti valorosi rappresentanti della Marina Reale francese. Oscar ascoltava in silenzio, non era abituata a interrompere discorsi in cui gli altri dimostravano maggiore dimestichezza e, soprattutto, studiava le reazioni delle persone intorno a sé. Il Generale partecipava interessato – o quantomeno dava a intendere di esserlo benché il suo obiettivo primario fosse arrivare al momento del colloquio da solo con la figlia – e così il Comandante Girodelle, che di tanto in tanto spostava lo sguardo sulla figura del Capitano di vascello, elegante nella nuova divisa che mai avrebbe immaginato di vederla indossata da lei. 

Oscar non ci fece subito caso, era troppo concentrata su tutto il resto perché un dettaglio che non dipendeva da lei potesse catturare la sua attenzione. Se ne accorse nel momento in cui, per un istante, aveva guardato fuori dalla finestra al passaggio di una nuvola più scura e solo a quel punto lo aveva notato, perché lui era tornato in fretta – come scoperto – verso dove gli altri parlavano non appena c’era stato un breve contatto visivo. Le parve un comportamento strano, non da lui per quanto potesse dire di conoscerlo, ma pensò anche che non le fosse estraneo il modo in cui la guardava. Era il medesimo spesso adottato dal Maggiore e a cui non dava volontariamente peso perché non riteneva che fosse importante. Non era insistente e nemmeno poi fastidioso, però c’era, era diverso da quello dei Tenenti, ad esempio, che aveva perso di accondiscendenza dopo poche ore dal loro incontro per guadagnarci in rispetto, e men che meno aveva nulla in comune con la diffidenza dell’equipaggio. Era uno sguardo che tradiva un po’ troppo di personale per i suoi gusti e, pertanto, la irrigidiva.  

Arrivati finalmente al balcone principale dell’edificio, un allievo in divisa aprì la grande porta finestra e il gruppo uscì. Si fermarono a un passo dalla balaustra di marmo, nel punto esatto in cui l’occhio si perdeva all’orizzonte e catturava l’intero porto. Il Tenente De Valeau proseguì nella presentazione delle navi militari ancorate vicino alle banchine e di quelle in viaggio. Spese una ventina di minuti nel descrivere tutto ciò che sapeva, perché il ruolo lo richiedeva e non avrebbe mai voluto sfigurare, mentre il Comandante Girodelle ascoltava un po’ distratto dalla poca distanza che divideva il Capitano e il Maggiore.  

“Se volete seguirci, procederemo con la visita del vascello.” concluse Oscar che, con un gesto del braccio, indicò la via per il corridoio e li guidò fuori.  

La sua voce riportò l’ex sottoposto al presente, ricordandogli che erano lì per altro e che, ancora per un tempo indefinito, avrebbe dovuto mantenere il segreto. Non spettava a lui rivelarlo, non sarebbe stato nemmeno giusto d’altronde.  

Una volta attraversata la strada che li divideva dal porto, il Capitano prese in mano le redini della situazione a testa alta com’era solita fare quando doveva affrontare qualcosa che la preoccupava. Nessun segno di incertezza sul suo viso mentre camminava a passo sicuro sulla passerella seguita dagli altri cinque uomini e appariva davanti ad una scena che le pareva francamente impossibile. 

Sul ponte di coperta dell’Héros, miracolosamente uscito cantiere navale in breve tempo e perfetto come non lo era da anni, due lunghe file di uomini in ordine di mansione e grado aspettavano il gruppo, tutti sull’attenti. Quando anche l’ultimo militare fu a bordo, venne ricambiato il saluto e il quartiermastro12, tirando verso il basso una doppia corda, issò la bandiera bianca con il giglio delle Guardie Reali che si muoveva al soffio irregolare del vento; subito sotto, la croce bianca simbolo di San Luigi su sfondo blu della Marina Reale. Di sottecchi, D’Audiffret riuscì a scambiarsi una rapida occhiata con il suo superiore: non si sentivano ancora sufficientemente sicuri per tirare un sospiro di sollievo, ma il primo passo era andato a buon fine almeno. 

Una volta che i due vessilli furono ben visibili sulla cima dell’albero maestro, l’equipaggio di preparò per la partenza. Era stata prevista, infatti, una breve navigazione di rappresentanza; niente di troppo impegnativo, se non fosse stato per le difficoltà nel far capire all’equipaggio, nei giorni precedenti, che, anche se sarebbero rientrati in porto dopo solo un’ora e mezza, avrebbero dovuto seguire il protocollo con la consueta serietà. Il Capitano lasciò i due ospiti, nascondendo lo stupore nel vedere tutti già ai propri posti, per dirigersi verso il ponte del castello di prora.  

Il Generale osservava ogni singolo movimento che la figlia compiva con l’interesse di un uomo di armi davanti ad una situazione a lui sconosciuta e, quando la vide lassù sull’attenti, le spalle rivolte alla città e il vento che le soffiava sul volto agitandole i capelli, davanti a trecentocinquanta uomini che rispondevano ai suoi ordini, provò un moto di orgoglio e commozione. Che ce la stesse facendo davvero?  

Con le quattro parole di rito7 scandite a voce alta che segnavano il momento della partenza, l’ancora venne infine levata e l’Héros salpò.  

Arrivò il momento della visita guidata, subito a poche miglia dal porto ossia quando, secondo gli ufficiali di protocollo, l’efficienza e l’organizzazione della nave sarebbero state maggiormente in vista essendo tutti all’opera. I due ospiti vennero condotti attraverso il cuore pulsante della nave, dal ponte di comando ai livelli inferiori, con nuove spiegazioni sulla sua storia e tecnologia che l’aveva portata a solcare i mari per conto di Sua Maestà. Mentre il mare si infrangeva sullo scafo, gli ufficiali parlavano con orgoglio della complessità delle operazioni quotidiane e la dedizione profonda verso il vascello.  

Al termine, Oscar accompagnò il padre nella propria cabina. Sarebbe dovuto arrivare quel momento, al quale lui tanto guardava dal minuto in cui era salito in carrozza quattro ore e mezza prima. C’era una questione importante di cui discutere con la figlia, gli ci volevano tempo e tranquillità per affrontarlo. Soprattutto, era necessario fare affidamento sulle migliori abilità di persuasione che avesse a disposizione perché la situazione era delicata.  

Entrarono nella grande stanza ricoperta di boiserie e il Generale si accomodò, come indicatogli, al posto solitamente occupato dall’erede, che avvicinò una sedia per potergli essere vicina. Non si trovavano faccia a faccia, senza nessuno intorno a interromperli, da molte settimane ormai, forse addirittura mesi e se entrambe le parti non mancavano di cose da dirsi, esisteva in effetti una discreta differenza tra i modi e il tenore con cui le avrebbero esposte.  

“Una cerimonia di accoglienza delle migliori, non posso che congratularmi con te, Oscar.” esordì il Generale guardando dritta negli occhi la figlia. Gli sembrava di potersi specchiare nell’azzurro di quegli occhi così fieri e simili ai propri e di rivedere se stesso alla sua età.  

Lei ringraziò e frenò la tentazione anche solo di pensare che la sua sorpresa di assistere a tanta attenzione e cura era stata ben maggiore. Si appuntò mentalmente che a fine giornata sarebbe tornata a parlargliene nonostante si fossero comportati come bambini nei giorni precedenti e proseguì con la conversazione per perdere tempo.  

“Trecentocinquanta uomini su un vascello come l’Héros, con un ufficiale ferito tra l’altro, mi sembrano pochi però. È successo qualcosa?” 

Oscar cercò di mascherare l’istinto di sviare il discorso per l’indisposizione che le dava essere in mezzo a un’analisi severa da parte del militare e non del genitore. I due ruoli si confondevano di continuo, si rincorrevano ed era difficile capire quale parlasse e quale aspettasse in un angolo. La maggior parte delle volte erano entrambi ad avere l’ultima parola ed erano dannatamente incisivi, taglienti, decisi. Proprio come in quel momento. 

La risposta che avrebbe voluto offrirgli si spense prima ancora di raggiungere la gola, perché se avesse davvero trovato modo di liberarsi si sarebbe sentita schiacciata dal suo giudizio e no, non poteva né voleva che accadesse. Adesso la sua carriera dipendeva soltanto da se stessa, errori e conquiste, vittorie e sconfitte. Provò ad aggiustare il tiro, senza mentirgli. “La nave ha avuto modo di provare il proprio valore.” 

“Non girarci intorno.” tagliò corto l’uomo in tono autoritario.  

“Ammutinamento.” 

Nell’udire quella parola, il Generale cambio del tutto espressione. Sgranò gli occhi e il viso si tese in un’espressione contratta. “Quanti?” 

“Centocinquanta. Il resto dell’equipaggio mi è rimasto fedele, è stata una lotta dura ma nessuno è stato sacrificato.” mantenne il punto lei.  

Lo sguardo di suo padre scese istintivamente sulle mani che teneva sopra i braccioli della sedia. Notò delle cicatrici sul dorso della destra e per un momento provò un senso come di calore: ogni ferita in battaglia è la prova di uno scontro affrontato con sprezzo del pericolo. Aveva cresciuto un valoroso soldato, ne andava fiero.  

Nonostante ciò, però, non poteva più lasciare che continuasse a essere in mezzo al pericolo. Soprattutto perché quello in Marina era vero pericolo e lei, pur con le sue grandi capacità, non poteva rischiare così tanto. Senza saperlo gli stava offrendo sul piatto d’argento l’occasione giusta per andare al motivo reale della visita. Prima che potesse parlare, però, la figlia riprese il discorso con una leggerezza nella voce che gli pareva francamente assurda: 

“Questi ostacoli sono uno stimolo per me.” e poi, con un mezzo sorriso sulle labbra, aggiunse: “È più interessante che comandare la Guardia Reale, lì non c’erano mai problemi.” 

La mano del Generale si strinse in un pugno tremante sul piano della scrivania e i suoi occhi parvero velarsi lievemente di lacrime. La figlia si stupì di tale reazione, così inusuale per lui, abituato a nascondere certe emozioni. Per la prima volta il militare stava cedendo il passo al genitore. 

“Perdonami, Oscar.” disse lui, costernato. “Perdona tuo padre. Solo adesso ho capito di aver sbagliato allevandoti come un maschio… Mi sento molto in colpa.” 

Le sue parole la commossero. Rimase un istante in silenzio a raccoglierle una per una, come i petali di un fiore sfogliato. Non le fu troppo difficile capire che la ragione di tutta quella fretta di incontrarla era racchiusa lì, nella mano serrata accanto al giornale di bordo. Provò un inusuale senso di tenerezza per un uomo che, rifletté, aveva soltanto agito come coscienza gli suggeriva per il bene della famiglia. Forse giusto e sbagliato non esistevano nemmeno e voleva che lo sapesse. 

“Non disperatevi. L’educazione tipicamente maschile che mi avete impartito non mi ha certo fatto dimenticare che sono una donna. Infatti, l’uniforme che indosso non mi ha impedito di innamorarmi di un uomo…” Lo disse quasi casualmente, come se la cosa non la riguardasse più, il tono leggero che non si scompose nemmeno difronte allo sguardo sorpreso del genitore. “Penso di dovervi ringraziare per avermi allevata come un figlio. In questo modo mi avete permesso di svolgere mansioni che non sono alla portata delle altre donne. 

Il Generale restò un momento in silenzio davanti alla tranquilla compostezza con cui sua figlia minore dimostrava consapevolezza. Di sé, delle ragioni che governano il mondo, delle sue simili… Ma non poteva fare a meno di pensare che le avesse sottratto troppo nella vita e che forse… forse anche quel sentimento appena confessato era un ricordo passato per colpa sua. Allontanò con un movimento discreto la sedia e appoggiò i gomiti sulla scrivania, coprendo in parte il volto con le mani. 

Oscar non lo guardava più. In realtà, non lo aveva mai fatto da quando lui aveva aperto un angolo del cuore e si era mostrato fragile. Non voleva imbarazzarlo di più, comprendeva la fatica di spingersi fino a quel punto. E poi lei stessa, seppur con l’animo sollevato, si era esposta più di quanto non avrebbe mai pensato di permettersi con suo padre. 

“Sì, Oscar, ma ti ho impedito di provare le gioie che rallegrano tutte le altre donne. A questo punto dovresti toglierti l’uniforme e vivere come una donna, gustare così tutte quelle cose che io ti ho impedito di avere per un mio assurdo capriccio.” poi addolcì il tono, per contenere le emozioni che rischiavano di prendere il sopravvento. “Ora ti prego di non dimenticare che sei una ragazza, una ragazza molto bella. Voglio… Voglio che tu sia finalmente felice, Oscar.” 

Ripeteva il nome della figlia come un intercalare, come il punto fermo di un discorso per cui non era davvero così pronto. Era incredibilmente sincero nel pronunciare quell’ultima frase: voleva la sua felicità e perché l’avesse doveva rimanere in vita. Troppi pericoli, troppe contraddizioni, troppe verità taciute. Ora bisognava porre rimedio.  

D’un tratto, il braccio di Oscar si allungò verso di lui e gli porse qualcosa. La guardò perplesso, scostando per un attimo il velo di eccezione che copriva la loro conversazione, poi afferrò l’oggetto lasciato sulla scrivania. Era un grande foglio di carta spessa, arrotolato e chiuso da un nastro rosso scuro. Sentiva le mani tremargli nell’aprirlo, era tanto che non riceveva un regalo da lei. Non ne aveva mai voluti, in realtà, gli bastava che imparasse a farsi valere per il soldato che sapeva albergare dentro il suo spirito. 

Sfiorò i bordi e, pian piano che li allargava, davanti ai suoi occhi apparve una mappa disegnata a mano nelle sfumature di marrone. A piè di pagina, in maiuscolo, tre parole: Gżira ta’ Malta. 

“Ho pensato subito a voi quando l’ho vista.” La voce del Capitano non aveva mai perso la leggerezza con cui gli aveva parlato fino a poco prima, ma il suo sguardo era di nuovo sul suo volto. 

“Ti ringrazio, è un pensiero molto toccante. La incornicerò, insieme alle altre in biblioteca.” Dopo un breve sorriso sincero, però, il discorso tornò a dove era cominciato, perché c’era un’ultima cosa che doveva sapere. “Oscar, io ho deciso di accettare la richiesta del giovane Conte Girodelle di prenderti in sposa.” 

Oscar si irrigidì, il volto teso e le dita di nuovo strette ai braccioli della sedia. Deglutì per mandare giù quelle parole che non aveva né avrebbe mai pronunciato, ma che le riempirono la testa in un secondo. Sentì un fastidio pungerla dentro: un’altra decisione imposta, un’altra piega data alla sua vita senza che le venisse chiesto nulla e, per di più, dopo essersi dimostrato tanto dispiaciuto per il capriccio egoista. 

“Padre, vi invito a non—” 

La sua fermezza si infranse contro il rumore di qualcuno che bussò alla porta. L’orologio sul ripiano più alto sella piccola libreria avvertiva che ormai era tempo di salutarsi, ma entrambi, per motivi diversi, avrebbero voluto continuare quella conversazione il prima possibile. 

Il Capitano si alzò per aprire. In corridoio, fermi a un passo dalla soglia, Alain e André aspettavano i due militari per avvisarli che la nave aveva attraccato ed era tutto pronto per scendere. Oscar ringraziò mentre suo padre si avvicinava. Finalmente poteva salutare quel giovane che era cresciuto in casa sua come attendente e ora ritrovava marinaio imbarcato su un vascello. Lei li osservava scambiarsi due parole da conoscenti di vecchissima data domandandosi se l’amico avesse sentito qualcosa e, in cuor proprio, pregò davvero di no. Lanciò un’ultima occhiata al guardiamarina: tolto lo stupore di vederlo bene da vicino per la prima volta come si confà al suo ruolo, il viso pareva imperscrutabile.  

*** 

“Da quanto tempo conoscete il Capitano?” aveva domandato il Maggiore a Girodelle quando i rispettivi superiori si erano assentati per il colloquio privato. 

“Diciotto anni. Madamig—” Il Comandante della Guardia Reale si era interrotto bruscamente, distratto dal pensiero di cosa stessero dicendo padre e figlia in quel preciso istante. “Il Capitano ha ricevuto l’incarico da Sua Maestà Luigi XV. Ero in lizza per lo stesso ruolo, ma il sovrano ha preferito scegliere lei: lo meritava, dopo tutto.” 

Lì per lì, De Chabon aveva alzato impercettibilmente le spalle in un gesto sconsolato – doveva essere una consuetudine di quella donna finire in mezzo ai piedi di ufficiali in dirittura d’arrivo – ma il modo in cui aveva concluso gli era parso sospetto. “Dopo tutto?” 

“Non un grande onore per me, già Tenente, essere battuto con la spada da una ragazzina, in un bosco per giunta, ma bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare.” 

L’altro non lo seguiva bene, lì appoggiati alla balaustra mentre la nave viaggiava placida poco al largo del porto e intorno a loro la ciurma si dimostrava capace e preparata. Un duello in un bosco? Forse non gli era andata troppo male ad essersela “solo” trovata davanti di punto in bianco nell’ufficio dell’Ammiraglio. 

Girodelle aveva sorriso di quel ricordo, così determinante per la propria vita. 

La conversazione si era dissolta nel silenzio finché non erano stati riassorbiti dalle parole dell’equipaggio e degli altri graduati a bordo, ma il Maggiore non aveva perso l’occasione di notare il mezzo sorriso con cui il Comandante si era riferito a Oscar e, soprattutto, l’errore che gli era sfuggito poco prima. Forse, mettendolo alla prova… 

“Non ha mai parlato di voi…” Aveva gettato l’amo con finta casualità, per studiarlo. 

L’altro militare aveva alzato lo sguardo davanti a sé senza cercare il suo. Cosa avrebbe dovuto fare con quell’informazione? La conosceva, era un comportamento del tutto da lei. Aveva tossito per schiarire la voce, in attesa di capire dove avesse voluto andare a parare, ma non era accaduto niente. Il sospetto che un altro traguardo avesse un ostacolo sulla via aveva però cominciato a insinuarsi più nel profondo dopo quell’affermazione, memore del modo di fare che l’ufficiale aveva avuto nei confronti della donna finché il gruppo era ancora unito. 

“È una persona molto riservata.” considerò Girodelle millantando un tono sicuro, quasi che ci fosse una reale e personale confidenza con l’oggetto del loro discorso. 

Durante l’incontro di benvenuto, mentre tutto l’equipaggio salutava gli ospiti in fila sull’attenti, non lo aveva notato, ma un guizzo gli aveva attraversato gli occhi quando André era passato a pochi metri da lui. Non si era mai chiesto che fine avesse fatto dopo l’addio di Oscar alla Guardia Reale, né gli era interessato. Ora che lo sapeva lì, però, un moto di stizza lo aveva colpito. 

“Quel marinaio…” aveva detto, d’un tratto simpatizzante, “C’è da molto?”  

“Chi, Grandier? Da aprile.”  

I due si erano finalmente guardati in volto, uniti dallo stesso pensiero. I miseri tentativi di dare il via a uno scambio di schermaglie per provare la propria virilità in una giostra per l’attenzione di madamigella si erano scontrati con la presenza di un giovane in giacca blu, figlio del popolo, che, a quanto pareva, dava filo da torcere ai rampolli più nobili solo esistendo. 

*** 

Una vigorosa stretta di mano tra due militari in carriera, tra uomini sicuri di sé. 

Il viso serio, concentrato sull’ultimo saluto sull’attenti, composto e formale. 

Le divise perfette, spille e decorazioni che brillavano alla luce tenue dei raggi del sole che trapelavano timidi dalle nuvole. Eppure stava per piovere… 

Un lacchè aprì la porta della carrozza e il più giovane dei due ospiti si congedò, convinto di essere seguito dall’altro. Il più anziano, invece, era ancora fermo in direzione del porto, davanti alla giovane donna. 

Anche agli ultimi tre ufficiali fu chiaro che fosse il momento di fare un passo indietro. Erano questioni personali a quel punto. 

“Portate un saluto a tutta la famiglia, inclusa la nonna.” 

L’uomo comprendeva la gravità del tono della figlia, ma voleva che anche lei capisse le sue motivazioni. 

“Sarà fatto. Ne riparleremo più avanti, ti scriverò non appena saremo di ritorno a Parigi.”  

Lei aveva già preso la propria decisione. Non se ne sarebbe fatto niente, che a loro piacesse o meno. Non si sarebbe sposata tanto presto e di sicuro non con qualcuno scelto da altri.  

“Arrivederci, padre. Buon viaggio.” 

“Abbi cura di te, Oscar.” 

__

Note:
1) 
Copertura o tettoia presente sul ponte di comando 
2) Ho fatto il conto con il simulatore di navigazione, è una tempistica verosimile
3) Non trovo l'immagine, ma posso confermare che si chiamasse così e fosse di quel colore
4) Questa ff ha un problema di tempistiche, lo so, ma voi non fateci caso
5) Questa cosa delle prove dopo la giornata mi è rimasta in mente dal racconto dell'organizzazione del funerale della Regina Elisabetta, ecco a cosa serve essere una royal watcher
6) Do per scontato che ogni edificio che ospiti militari abbia una piazza d'armi, o qualcosa di simile
7) Honneur, patrie, valeur, descipline

 

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Capitolo 11
*** Risques et situations ***


Un paio di gocce caddero sulla strada, preludio a una pioggia scrosciante che si abbatté incessante sulla città. Il Tenente De Valeau chiamò l’attenzione del suo superiore, apparentemente incurante dell’acqua che si insinuava fin sotto la divisa mentre lo sguardo rimaneva nella direzione verso cui gli ospiti erano spariti in fondo alla strada. Lei si girò e vide i sottoposti coprirsi come potevano alzando la giacca sulla testa.

“Signori, grazie di tutto. Credo sia giusto parlare con l’equipaggio.”

La pioggia le bagnava completamente i capelli, appiccicandoli alla pelle. Si diressero veloci alla nave, che oscillava sulle onde del mare mosso nonostante fosse ben ancorata. La passerella si muoveva, ma con un passo sicuro era possibile attraversarla senza troppi problemi.

Gli uomini dell’Héros accolsero i quattro ufficiali sull’attenti, ognuno dov’era, e si stupirono nel constatare che non avevano intenzione di passare dal ponte per andare poi altrove.

“Volevo ringraziarvi, avete svolto i vostri compiti nel migliore dei modi.”

Dall’altra parte il silenzio in cui si insinuava il rumore delle gocce pesanti che cadevano sul legno del pavimento e sulla stoffa spessa delle vele. L’equipaggio la guardava con occhi chi perplessi e chi stupiti dalla cortesia che quella donna stava offrendo. Alla maggior parte di loro, tutto sommato, non interessava e se avevano cambiato atteggiamento nei confronti della visita era solo per autoconservazione.

Le onde cominciavano ad essere più intense, Oscar appoggiò una mano alla balaustra scivolosa per non perdere l’equilibrio. Non se ne accorse, ma a pochi passi da lei André la ascoltava cercando di mascherare dietro un’espressione il più neutra possibile un groviglio di sentimenti contrastanti che lo tormentavano più del solito.

“Questa sera siete liberi.” concluse lei per poi andarsene dopo un ultimo saluto, l’uniforme attaccata al corpo come una seconda pelle e i suoi sottoposti ad anticiparla sulla passerella. Udiva il vociare allegro dall’imbarcazione e il suo viso si rilassò: era costata una fatica a tutti i coinvolti quella visita, ora che era finita poteva respirare.

L’annuncio era giunto alle orecchie di Alain come la notizia migliore della sua vita, dopo la nascita di Diane. Scese dalla cassa su cui si era seduto e corse incontro al suo amico per obbligarlo ad andare a bere con lui e gli altri. André non rispose sulle prime ma poi si lasciò convincere, almeno per interrompere il flusso di entusiasmo che l’altro gli riversava addosso accompagnato da un pugno sul braccio. Oltre a questo, però, lo spinse ad accettare l’offerta anche l’insistenza con cui Philippe pretendeva di unirsi a loro: lo disturbava l’idea che un ragazzino si immischiasse in situazioni più grandi di lui, almeno così lo avrebbe tenuto d’occhio.

***

A nulla serviva portarselo dietro per evitare che facesse danni, perché Philippe se li andava a cercare di proposito. Non gli importava se si trovasse davanti un energumeno due volte più grande o se fosse buio pesto in strada. Quando era in vena di cacciarsi nei guai lui ci si tuffava di testa. Di corsa. E così sarebbe successo anche quella sera, che gli altri, però, non avevano intenzione di passare a fare da balia al marmocchio.

Nel giudizio dei suoi quindici anni e dell’inesistente physique du rôle per sopravvivere a bordo, Alain si domandava cos’avesse mai da affogare nell’alcol, che André tentava di limitargli per evitare che esagerasse. Niente, o forse tutto, ma l’importante era prendersi a pugni con qualcuno, ché una rissa se non uccide fortifica e lui ne aveva un disperato bisogno per imparare a stare al mondo. Infatti, non appena un vociare concitato si levò dalla via, Philippe corse fuori a dar prova di grande incoscienza.

Il solito esagitato.
Incapace di valutare rischi e situazioni.
Hai visto mai che mette su un po’ di braccia e il vento non lo porta via.

André ascoltava le conversazioni altrui distrattamente, fissando il contenuto del bicchiere ondeggiare al minimo movimento. Parlavano tutti a voce alta nonostante fossero vicini e questo gli causava un fastidioso principio di mal di testa che l’alcol di certo non alleviava. Di tanto in tanto rialzava il busto per distendere i muscoli della schiena incurvati, si guardava intorno ma le figure lontane si sfocavano subito. Non sapeva bene di che cosa si stesse chiacchierando intorno a lui, ma sembravano tutti presi finché l’attenzione non veniva richiamata dalle cameriere e uno a uno sparivano appresso alle loro gonne. Si sentiva fuori luogo, però era lì e tanto valeva rimanerci.

Quando finalmente si decise a bere un altro sorso, rischiò di soffocare per colpa di una sonora pacca datagli da Alain proprio al centro della schiena, tra le scapole. Tossì davanti alla risata un po’ alticcia dell’amico. Erano rimasti solo loro due al bancone, eppure il rumore nella locanda era ancora forte e rimbombava nelle orecchie.

“Allora, parisien, tu che ti intendi di quelle sceneggiate: siamo stati bravi oggi?” Non gli importava davvero saperlo, ma serviva una scusa per farlo parlare.

Il marinaio annuì e posò il bicchiere davanti a sé. “Bravissimi…”

“Allora dovresti essere contento, scusa. Noi ti facciamo fare bella figura con quella là e tu tieni il muso.”

André alzò lo sguardo sull’altro, improvvisò un sorriso posticcio e tornò a guardare un punto imprecisato nel legno su cui poggiava gli avambracci.

Alain iniziava a spazientirsi. Non era possibile che stesse così male per una donna quando ce n’erano milioni magari più interessate – e interessanti – di lei. “Tu sei tutto scemo. La smetti di andare dietro a una che pare ci faccia un favore ogni volta che ci parla? Ma chi se ne importa, dai!”

L’amico sospirò, l’altro alzò gli occhi al cielo ma non riuscì a proseguire l’invettiva contro il Capitano che un rumore sordo alla porta li obbligò a voltarsi prima che l’uscio si spalancò sotto il peso di qualcuno che ci era rovinato addosso. Lasciarono delle monete sul bancone e corsero a controllare chi fosse, benché entrambi sapessero che una sola persona potesse franare così come un fesso davanti a tutti.

Philippe emetteva dei lamenti indistinti mentre provava a puntare le mani e i piedi a terra, ma ricadeva puntualmente con la schiena sulla strada. I due lo sollevarono per le braccia e lo riportarono fuori, richiudendo la porta. Aveva smesso di piovere, ma il vento continuava a soffiare freddo e deciso. La via era tornata buia e deserta, sembrava che il ragazzino in quella situazione disastrosa ci fosse finito da solo per magia. Aveva di nuovo il labbro spaccato, gli indumenti sporchi e biascicava promesse di vendetta verso il nulla che sapevano di vino molto più di quando era uscito dalla locanda. Accanto al muro, un paio di bottiglie vuote e i cocci di una terza che ancora doveva essere piena quando l’avevano rotta.

Alain gli mollò uno schiaffo, un po’ per svegliarlo ma più che altro come ricompensa per essersi ridotto in quel modo. Il colpo gli rovesciò la faccia dal lato opposto, ma non reagì. Dalla bocca storta uscì solo un suono incomprensibile, prova che almeno era ancora cosciente del dolore.

Il guardiamarina finse di rivolgersi ad André, irritato: “Vedi cosa succede a dar retta ai marmocchi? Ora ce lo dobbiamo sopportare noi e sperare che si ricordi dove abita!”

Philippe farfugliò una via che gli parve di sapere essere nei dintorni di casa sua. Non vicinissima, a essere sinceri, ma lì per strada non poteva rimanere.

Insieme lo alzarono e, con fatica, lo rimisero sulle sue gambe molli mentre i conati gli impedivano di rispondere alle domande. Non trovava alcuna pietà da parte di Alain, che lo minacciava di finirlo all’istante se si fosse azzardato a rovinargli la divisa – ci teneva ad avere lui l’esclusiva – e lo incitava a spicciarsi perché pur essendo maggio era tutto fuorché calda quella sera. André, dal canto proprio, aiutava a sorreggerlo senza infierire, anche se la tentazione di unirsi al rimprovero c’era.

Camminarono tra le vie buie e deserte della città per diversi minuti, con grande fastidio di chi ci abitava che veniva svegliato dal pianto del ragazzino, incapace perfino di stare in piedi da solo per sfogare la necessità fisica di rimettere ogni tre metri.

“Vorrei sapere con che faccia ti presenterai domani mattina, Philippe! Ci sarà da ridere!” ma le parole di Alain lo spinsero ancora più nello sconforto, al punto che il marinaio lo redarguì con uno sguardo severo.

“Ti ho deluso, André?” chiese il ragazzino in un breve istante di semi lucidità. “Tu non volevi… Io ho bevuto lo stesso… Ti ho deluso…”

Il suo viso olivastro di solito allegro e sveglio si era trasformato in un campo di battaglia. Gonfio, tumefatto, rigato dalle lacrime e sporco. Suo padre gli avrebbe di certo dato il resto una volta tornato a casa! Philippe passò il tragitto implorando perdono, sosteneva che non sarebbe mai più successo, che aveva imparato e che non era poi così divertente. Finiva sempre per prendersele, lui, ed era stanco.

D’un tratto, le forze lo abbandonarono e le gambe gli cedettero del tutto. I suoi accompagnatori, avvolti dal vento e dal buio, si guardarono costernati. Non valeva nemmeno la pena provare a sorreggerlo, sarebbero rimasti lì per sempre. Il guardiamarina se ne lavò le mani, non voleva assolutamente che gli vomitasse addosso. Con un respiro profondo un po’ irritato, André se lo caricò tra le braccia e tutti e tre proseguirono una piazza con alcune panchine. Quando lo sdraiarono per fargli prendere aria, Philippe ricominciò con i mea culpa e gli atti di dolore.

“Cosa penserà di me il Capitano?” La voce era rotta dal pianto ma fin troppo forte per l’ora che era.

“Che sei un deficiente. Sempre che sappia ancora che esisti…”

Quell’ultima osservazione Alain la rivolse al ragazzo solo a parole, perché il suo sguardo era fisso su André, che si irrigidì e abbassò leggermente il capo.

L’avevano udita entrambi la notizia del matrimonio e sebbene Soisson lì per lì non avesse dato peso a cosa si stessero riferendo padre e figlia nella cabina, per il marinaio era stato l’ennesimo pugno nello stomaco che incassava su quella nave e nella vita in generale. Era ovvio, era naturale che prima o poi il momento sarebbe giunto. Oscar doveva sposarsi, perché nonostante tutto lei rimaneva una donna, nobile per giunta, e avrebbe avuto necessità di un marito per poter rispettare i progetti originali del padre: essere l’erede della famiglia Jarjayes. E averne di propri, possibilmente maschi ça va sans dire. Nulla di ciò prevedeva la sua presenza, anzi: sarebbe dovuto sparire. Ma la sua vita senza Oscar non esisteva, non era mai esistita e non voleva immaginarla!

Alain sogghignò soddisfatto di aver cominciato a colpire nel punto giusto per farlo reagire, ma decise di non sprecare le cartucce tutte subito. La notte era ancora lunga, in special modo appresso a quel moccioso, di occasioni ce n’erano per farlo ragionare.

“Glielo dici tu che non volevo?” Philippe si mise a supplicare il giovane che lo trasportava per mezza città con la stessa innocenza di chi viene pescato con le dita nella marmellata, ma non muoveva tenerezza a nessuno ormai. Forse un po’ di umana pietà, date le condizioni in cui versava.

“Ha fin troppe cose da dirle, non ti ci mettere anche tu!” lo sgridò il sottoufficiale.

André taceva, guardava davanti a sé cercando di non cadere né di sbattere da nessuna parte, ma mente e cuore erano altrove. Tra i tanti che le si sarebbero potuti proporre, poi, proprio Girodelle era capitato! Il meno adatto, considerava lui, uno che avrebbe preteso di cambiarla, le avrebbe tarpato le ali per costringerla a diventare ciò che non era né voleva essere. Beh, anche tutti gli altri lo avrebbero fatto…

Girato l’angolo della via in fondo a dove abitava, Philippe si mosse e rischiò di cadere. Lo riacchiapparono in tempo perché non finisse di schiena sulla strada bagnata, poi André pensò di caricarselo su una spalla come un tappeto arrotolato e correndo il rischio che a causa della pancia schiacciata gli vomitasse addosso sul serio. Proseguirono cento metri in salita mentre il ragazzino si lamentava ad alta voce e chiedeva di scendere. Agitava il corpo come un’anguilla, ma non potevano lasciarlo andare da solo. Sulla destra, dalla parete di una casetta minuscola incastrata fra altre due simili, una porta si aprì e la luce di una candela consumata a metà li colpì. Un uomo robusto in camicia e pantaloni apparve dall’abitazione, visibilmente preoccupato. Riconobbe l’abbigliamento dei due sconosciuti e si fece avanti.

“È mio figlio quello?”

Alain alzò le spalle e appoggiò una mano sulla schiena del prezioso carico. “Non si direbbe… Se voi siete monsieur Florin, però, allora lui è vostro figlio.”

I quattro rientrarono e il tepore dell’interno li abbracciò all’istante. Il padre del ragazzo indicò una specie di branda mezza rotta, a due passi da tutto il resto della casa. Una donna di età indefinita li aiutò a sistemarlo il meglio possibile sul letto. Era costernata per il disturbo che Philippe aveva causato loro, ringraziava talmente tanto che le poche parole a sua disposizione perdevano di significato e diventavano lettere cosparse di lacrime.

I due compagni di viaggio si guardarono esterrefatti. Non tanto perché i genitori del ragazzo fossero comprensibilmente scossi dalle condizioni in cui versava, quanto per l’aura di santità di cui li stavano ricoprendo per essersi comportati come coscienza comandava.

André si avvicinò alla donna e la accompagnò alla prima sedia che gli capitò sott’occhio. Era evidente che la vista del figlio la stesse sconvolgendo e non voleva che rimanesse in piedi. Per fortuna non aveva assistito allo scontro sulla nave… Il giovane le offrì il proprio fazzoletto e si accovacciò al suo fianco per tranquillizzarla, mentre alle loro spalle la voce di Alain non smetteva di rimproverare – il meno duramente che potesse – il ragazzo che continuava a lamentarsi.

“Non è successo nulla di grave, non preoccupatevi.” Le parlava stringendole una mano perché sapesse che non c’era davvero di che disperarsi. Era stato uno stupido, ma era ancora vivo e contava solo questo.

Diede uno sguardo alla casa: minuscola, poverissima, abitata da due poveri genitori che forse non avrebbero neanche voluto che il figlio andasse per mare, ma i soldi servivano e quello era un modo onesto per racimolarne un po’. Non c’era quasi niente lì dentro, il minimo indispensabile per poterci vivere e, senza lanciarsi in esagerati esercizi mentali, non era difficile immaginare che per loro Philippe era l’unico a renderla accogliente. Quello stupido idiota, come lo apostrofava il guardiamarina col permesso del padre intenti a cambiargli gli abiti.

“Guarda cosa mi costringi a fare, dannazione!” Alain glielo stava ripetendo da diversi minuti, ma il tono era chiaramente diretto anche all’amico che perdeva tempo a consolare la donna invece di aiutarlo.

“Il Capitano Oscar… cosa dirà domani…” Philippe si incaponiva su quel pensiero, l’unico davvero lucido che gli attraversasse la mente.

“Senti,” concluse l’altro senza più pazienza di dargli retta ora che aveva addosso indumenti un po’ meno sporchi, “me ne basta uno ossessionato.” e salutò marito e moglie seguito dal marinaio.

***

Alain sputò a terra, vicino al muro di una casa diroccata all’angolo con uno slargo alberato. Tastò la giacca e si accorse di aver perso qualcosa con una sonora bestemmia. Per una volta che un superiore si dimostrava benevolo nei loro confronti, lui doveva mettersi a recuperare mocciosi ubriachi picchiati da chissà chi…

Almeno c’era André a condividere la stessa sorte. Certo, se fosse stato un po’ più brillo e meno disperato sarebbe stato meglio, ma poteva adattarsi. Più o meno. Il problema principale era che, pur nel suo strazio d’amore che ancora faticava a comprendere e riassumere di volta in volta, l’amico era una persona che avrebbe sempre voluto avere nella propria vita. Era simpatico, di buon cuore, aiutava chiunque ne avesse bisogno e sapeva farsi valere nelle risse. C’era voluta la bionda con velleità da soldato per portarli a conoscersi! La stessa persona che riempiva la maggior parte dei loro discorsi, anche quando non veniva nominata direttamente, perché nella testa dell’altro lei aveva messo radici chissà quanti secoli prima. Anche lì, in quel momento, sapeva che la stava pensando mentre il vento della notte si stava placando e le parole della conversazione ascoltata per sbaglio ritornavano come schiaffi sul viso.

Camminavano fianco a fianco, di tanto in tanto un po’ più profondo degli altri, le mani in tasca per tenerle calde. Alain non aveva gran voglia di sentirlo lagnarsi ancora e André non aveva intenzione di parlarne, ma entrambi sentivano che quella tensione tra loro li stava comunque portando ad affrontare l’argomento.

“Sarebbe capitato, prima o poi.” Esordì il sottoufficiale in uno slancio di tatto e compassione.

“Grazie…”

“A me è sembrato che stesse rifiutando, comunque.”

“Se il Generale ha già accettato non si torna indietro!”

Conosceva molto bene quell’uomo, tanto magnanimo da accettare un orfano in casa propria per metterlo accanto alla figlia quanto irremovibile nelle sue decisioni. Era fatta e lui non l’avrebbe più vista.

Si sedettero su un muretto dietro un albero e lasciarono che il silenzio tornasse per qualche secondo tra di loro. André strinse la presa sui mattoni grigi, per sfogare la rabbia che sentiva crescergli di minuto in minuto all’idea che ancora una volta la vita di Oscar era nelle mani del padre. Il giovane avrebbe anche accettato di non suscitare mai in lei alcun sentimento fino alla fine dei loro giorni, non poteva di certo obbligarla, ma non che lei non fosse libera.

“Quel Conte… come si chiama, non mi importa… Non va neanche bene per il Capitano!” Alain aveva ripreso il suo tono canzonatorio, voleva sdrammatizzare e far sorridere l’amico perché ne aveva già abbastanza di quell’atmosfera cupa e pesante.

“È nobile, basta questo.”

“Può pure essere il Re, ma lo riconosco quando lo vedo uno che non è in grado d—” Si interruppe giusto in tempo per evitare di dire troppo, ma non abbastanza in fretta da non suscitare istintiva curiosità.

André indugiò sull’amico. Per un attimo mise da parte il suo cruccio e lo guardò stranito. Si stava… tradendo? Certo, sapeva il suo segreto e non sarebbe stata una rivelazione tanto sconvolgente, ma l’altro non aveva idea… “Qualsiasi cosa sia o non sia in grado di fare, ormai ha ricevuto il permesso.”

A quelle parole Alain si risentì, come se il fatto che l’amico stava definitivamente gettando la spugna ed era pronto a crogiolarsi nel dolore eterno fosse un torto personale che non voleva tollerare.

“E tu non fai niente, stai qui a frignare!” Si era messo in piedi davanti al marinaio e aveva alzato la voce, incurante dell’ora tarda e delle persone che dormivano (o almeno ci provavano) nelle abitazioni intorno a loro.

“Cosa dovrei fare? Non sono nobile e sai perfettamente che il mondo funziona così.”

“Molto meglio lasciare che uno qualsiasi la porti via dalla sua vita solo perché ha il sangue blu, hai ragione!”

Non aveva intenzione di fermarsi davanti a niente, neanche al modo in cui André stava abbandonando la conversazione alzandosi dal muretto e proseguendo per la propria strada.

Alain lo seguì e, dopo avergli afferrato un polso per obbligarlo a voltarsi, gli si parò davanti al viso con l’indice puntato sul suo petto.

“Tu ti devi dare una svegliata.” La sua voce era tornata bassa, il tono era grave e quasi sibillino. La mano dal polso salì poco più in alto, ad afferrare il braccio e stringerlo.

“Non impicciarti.” rispose secco l’altro.

“Ma ce l’hai mai avuto un amico, maledizione? Io mi preoccupo per te, perc—"

“Sì, ce l’avevo, ma l’ho ferita ed è comprensibile che mi voglia lontano! E poi non mi ama, quindi cosa dovrei fare, me lo spieghi?”

Alain alzò gli occhi al cielo e sbuffò, poi, ancora con le dita strette attorno all’avambraccio dell’amico, lo prese con sé per farsi seguire. Alle richieste di spiegazioni lui non rispondeva, continuava a camminare con lo sguardo fisso, sbuffando di tanto in tanto e attraversando una serie di strade minuscole in salita.

Dopo alcuni minuti i due si fermarono. Davanti a loro, un’abitazione di modeste dimensioni, ancora bagnata dalla pioggia, gli infissi chiusi e un portavasi di ferro vuoto agganciato fuori dalla finestra.

“È casa tua.” sentenziò André scocciato.

Lo so che è casa mia. Non è questo il punto.”

L’amico lo guardava perplesso, ma almeno era riuscito a liberarsi dalla sua presa, prima che la sua mano lo spingesse di nuovo, sulla schiena questa volta, per proseguire ancora pochi metri.

Dopo aver superato l’angolo a sinistra, si trovarono davanti a uno scorcio di città visto dall’alto1. Subito sotto di loro, abbastanza vicino da poter distinguere piuttosto bene cosa ci fosse nel giardino, una grande casa circondata da alberi e un prato verde fiorito. Era un palazzo nobiliare come molti, non c’era nulla che lo rendesse particolarmente riconoscibile ad una prima occhiata.

“Cosa stiamo guardando?” domandò André. Era stanco, voleva solo andare a dormire e finire quella giornata che pareva non concludersi mai.

“È casa sua.” Sentenziò Alain accanto a lui, ma dando le spalle all’abitazione, mentre l’amico sgranò l’occhio e deglutì. Sospirò profondamente e alzò gli occhi per osservare con finto disinteresse il cielo. Gli costava non poco doverglielo dire, ma non aveva senso tacergli ancora la verità. Almeno parte di essa. “L’ho scoperto al ritorno da Malta. Il giardino si vede anche dalla finestra,” e indicò le persiane alle sue spalle, “e quando è a palazzo resta sveglia fino a tardi. Capita che esca, se ne stia lì seduta sulla panchina accanto a quell’albero – a fare cosa non so né mi interessa – ma è sempre sola. Anche Diane me lo ha confermato. Hai capito cosa voglio dirti?”

André annuì e gli parve che la sua voce fosse, chissà perché, leggermente increspata da una qualche emozione. Oscar non aveva nessuno con cui passare il tempo, anche in silenzio ma quantomeno in compagnia di qualcuno che le stesse accanto. Gli si spezzò il cuore in altri mille minuscoli frammenti, la poteva figurare davanti a sé l’immagine che gli era stata descritta… Ma lui non poteva portarla via da quella nuova solitudine, era causa sua se ci era finita e si sentì un idiota, ancora più del solito, perché aveva giurato di non farle mai più del male e invece ora scopriva che le conseguenze del suo gesto erano tante e una di quelle gliel’aveva appena raccontata il proprio amico. Le stava facendo del male, sì, anche se non più fisicamente. Sarebbe corso a palazzo seduta stante, avrebbe bussato al portone e salito le scale con il fiatone per presentarsi davanti a camera sua e svegliarla, come quando erano bambini e volevano continuare a parlare anche di notte perché le ore spese insieme di giorno non erano abbastanza per loro. E adesso? Cosa rimaneva adesso? Solo il senso di colpa e il vuoto. Conversazioni imbarazzate, silenzi, ordini accettati con la formalità di un voi che non era mai appartenuto loro. Una lacrima gli rigò la guancia destra, i pugni si strinsero nelle tasche pronti a colpire se stesso per tutto.

“Hai ancora intenzione di stare qui a fare niente?” riprese Alain, che ora era appoggiato con la schiena alla porta di legno e lo guardava di spalle. “A guardarla mentre qualcuno se la porta via, se la cosa effettivamente riesce ad andare in porto?  E se non dovesse, vorresti restare fermo impalato a risponderle sissignore, quando lei passa il suo tempo così? Dai, vieni dentro ora.”

Il giovane si voltò verso di lui, perplesso. Lo aspettavano agli alloggi dei marinai, non c’era bisogno di ospitarlo e poi riusciva a vedere ancora bene per rientrare nonostante il buio. L’amico, però, era irremovibile:

“A quest’ora non ti fanno più entrare, stupido. Non è mica la reggia dove vivevate lassù che entravate e uscivate a ogni ora. Per te un posto si trova qui.”

“Ti ringrazio,” gli disse André con una mano sulla sua spalla, “anche se quando parli così sembri mia nonna…”
“Santa donna!” 

Alain si richiuse la porta dietro le spalle una volta entrati in casa, cercando di fare meno rumore possibile. Gli dispiaceva aver dovuto aprire gli occhi all’amico in quel modo, averci dovuto discutere e portarlo là, ma prima fosse stato al corrente di tutto e prima si sarebbe deciso a fare qualcosa, qualsiasi cosa. Poteva stare certo che ne aveva anche per quell’altra, eccome se gliene avrebbe dette quando si sarebbe presentata l’occasione giusta, infischiandosene dei gradi, della gerarchia, della poca confidenza e dei ruoli. Non gliene importava nemmeno della proposta di matrimonio – solo quel damerino impettito pieno di sé poteva chiederla in sposa ufficialmente, ma certo! – era giusto che sapesse come stavano le cose. Poi avrebbe potuto scegliere se comportarsi con decenza o continuare a fare il favore a tutti di degnarli della sua presenza, ma intanto lui avrebbe agito con coscienza. Ma non potevano restarsene a Parigi questi due, invece di piombarmi tra capo e collo così? Non lo avrebbe mai ammesso, ma cominciava ad affezionarsi.

***

Il Capitano giunse sulla nave con la sua solita decisa puntualità: avevano le esercitazioni al largo quella mattina, non poteva permettere che perdessero tempo in sciocchezze. Già dalla banchina, però, aveva capito che a bordo ci fossero dei problemi. Le era sembrato strano udire la voce del Maggiore fin da giù: per quanto di carattere, non era uno così tanto irascibile da farsi riconoscere anche a distanza. Sospirò frettolosa, meglio affrontare subito certe questioni invece di portarsele dietro tutto il giorno.

Oscar arrivò sul ponte di coperta che nessuno si accorse di lei, finché alcuni uomini alla sua sinistra non si misero sull'attenti e tutti gli altri presto li emularono. Continuò per la propria strada, verso babordo, dove aveva visto la fonte di tanto caos abbattersi sulla tranquillità mattutina dell'imbarcazione (o almeno, quella che credeva esserci).

"Maggiore, cosa sta succ—" Da che aveva esordito con il fare distaccato ma serio di quando c'erano problemi non troppo urgenti si dovette interrompere. La scena che le si presentò difronte la lasciò senza parole.

"Capitano, stamattina si è presentato in queste condizioni pietose. È inammissibile!" De Chabon gli alzò la casacca dalla spalla con due dita, disgustato. Non era la prima volta che qualcuno tornasse al vascello dopo aver bevuto, ma almeno erano stati abbastanza accorti per dissimulare. Lui, invece, aveva avuto l'ardire di salire a bordo come se lo avessero appena pescato dal fondo di un fiume.

Il ragazzo teneva gli occhi bassi, mortificato. Si vergognava di se stesso, di mostrare la faccia olivastra ingloriosamente rovinata dai pugni, gli indumenti sporchi e lisi... Se avesse potuto sarebbe sparito all'istante anche senza chiedere permesso. Scomparire nel nulla e salvare il salvabile.

Per evitargli un’umiliazione ancora peggiore, Oscar decise che non fosse il caso di risolvere la questione lì sul ponte, davanti a tutti già (come minimo) con la presa in giro sulle labbra. Gli fece cenno con una mano di dirigersi verso la cabina, invitando in tono deciso il resto dell’equipaggio a tornare alle proprie mansioni perché sarebbe stata una mattinata lunga. Imboccò le scale e poi il corridoio, tenendosi il malcapitato davanti per non perderlo mai di vista.

Non appena furono a destinazione, il Capitano posò il cappello su una sedia e chiuse la porta con un colpo secco. Respirava lentamente mentre studiava il viso del ragazzino, aveva bisogno di qualche secondo per capire ma soprattutto per placare le prime reazioni istintive.

"Pretendo che tu mi dia delle spiegazioni."

Quando l’ufficiale finalmente si espresse, Philippe venne preso dallo stesso sconforto della sera prima e ricominciò, questa volta in silenzio, a piangere. I singhiozzi trattenuti gli provocavano dolore ovunque, faticava a inspirare e doveva per forza tenere le labbra aperte per farlo.

"Ti ordino di rispondermi." lo incalzò lei.

"Io... Ecco, io..." poi sbuffò, benché gli riuscisse difficile pure quello.

Credeva di essere davanti a un bivio: ricevere una punizione per aver detto la verità o per aver mentito? Entrambi i casi lo avrebbero come minimo tenuto lontano dalla nave almeno quindici giorni – forse anche di più! – e sarebbe stato davvero un problema riferirlo a casa. I suoi genitori si fidavano di lui e del suo prezioso aiuto, non poteva deluderli così. E poi… poi c’era quell’altro fatto, quell’altra ragione che rendeva la situazione ancora più complicata e pesante… Nascose le mani dietro la schiena, chiudendo le dita tra di loro, il capo chino e nessuna parola nell’aria.

Oscar si avvicinò ancora in un paio di passi e gli si piantò davanti, dieci centimetri più alta di lui, obbligandolo a guardarla in quegli occhi che ora lo spaventavano ancora di più.  Gli ordini non si rifiutano e lui stava infrangendo da otto ore qualsiasi regola gli venisse in mente. Si sentì gelare il sangue nelle vene dal ghiaccio di quello sguardo severo, serio all'inverosimile, ora non più autorevole bensì autoritario. Il pensiero di averle dato un dispiacere si dissolse nella paura reale che ora gli avrebbe riservato le terribili punizioni corporali di cui aveva tanto sentito parlare dagli altri uomini. Ma lui avrebbe voluto risponderle, le avrebbe davvero detto tutto! Era il terrore a paralizzarlo.
Il Capitano strinse i pugni lungo i fianchi per scaricare la tensione e percepì le unghie nei palmi delle mani. Non gli avrebbe torto un capello – d'altronde ci aveva già pensato qualcun altro a conciarlo per le feste e bastava così – ma non poteva permettere che mancasse di rispetto a se stesso e a tutti in questo modo. Lo vedeva paonazzo dalla paura, con le lacrime che gli rigavano il viso tra le croste delle ferite e i singhiozzi trattenuti. Di tanto in tanto provava ad abbassare lo sguardo perché non riusciva a reggere quello del suo superiore, ma l’idea di contraddirla gli ricordava che avrebbe solo peggiorato le cose.

"Hai un minuto per deciderti a spiegarmi cosa diavolo ti è successo, altrimenti sarò costretta a mandarti in punizione adesso."

Mentre gli dava l'ultimatum si ripeteva che i ragazzini non dovrebbero stare in un posto di adulti dove questi ultimi stessi spesso faticano a rimanere ligi alle regole, che avrebbe dovuto essere da qualche parte con gente della sua età, fare cose che gli si addicevano di più e non giocare col fuoco quando non era neanche capace di reggere una candela.

Philippe seguitava a non risponderle. La prospettiva di essere mandato in cella era forse più rosea di rivelare, tra le cose, di non essere stato all'altezza di qualcosa che chiunque intorno a lui si sarebbe scrollato di dosso in un secondo. Le tempie avevano ripreso a pulsare e un vago senso di nausea lo colpì ancora.

"Quanto hai bevuto, ragazzino?"

Non le ci era voluto molto per capirlo, bastava essere in sua presenza, neanche troppo vicino, per accorgersene. Lei poi conosceva le conseguenze del troppo alcol, ma negli anni aveva imparato a dissimularle e disfarsene bene, senza contare – si disse in un istante di riflessione – che ciò che aveva sempre avuto a disposizione era ben diverso da quanto potesse aver trovato lui in una taverna qualsiasi.

D’un tratto cambiò tattica, tanto non ne cavava niente ad aspettare una risposta diretta. "Da quanti ti sei fatto picchiare, si può sapere?"

La domanda, questa volta, colpì nel segno. Un moto d'orgoglio balenò sul viso livido del suo interlocutore muto, che si riaccese all’improvviso per difendere il proprio nome dall’insinuazione di debolezza che gli pareva di aver colto nelle sue parole.

"Non mi sono fatto picchiare, io! Mi sono battuto con onore, Capitano Oscar. Due contro uno non è giusto, ma anche voi siete in minoranza con noi e l’avete sempre vinta!”

In quel preciso momento la giovane donna si sentì cadere le braccia. Non poteva dire sul serio, stava scherzando! Avrebbe riso, davvero, purché le desse modo di capire che era una battuta e non, come sospettava, la verità.

"Ma cosa stai farneticando?” gli urlò come se quel verbo appartenesse ai vocabolari di entrambi, “Philippe, non puoi andare in giro a provocare la gente se sei da solo e ubriaco!"

Mentre gli parlava, però, si accorse che il suo volto stava impallidendo e il naso cominciava sanguinare. Non poteva tenerlo ancora lì, tirandogli fuori le cose con le pinze per scoprirne di ridicole, quando l’altro stava male. Lo afferrò quindi per un braccio e lo portò di corsa fuori dalla cabina, reggendolo perché rimanesse in piedi fino all'infermeria di bordo. O almeno questi sarebbero stati i piani, perché il ragazzino si contrasse in una fitta allo stomaco e dovette fermarsi poco prima delle scale, appoggiato al muro con una mano.

"Di nuovo...!" commentò Alain, mandato insieme ad André per controllare che cosa succedesse, nel vederli accanto alla parete.

"Cosa significa di nuovo, scusa?"

Loro sapevano e non avevano detto niente? E chi altro a questo punto peccava di omertà?

Il marinaio prese il ragazzino tra le braccia un'altra volta e replicò l’esperienza di qualche ora prima, nonostante avesse i muscoli ancora un po’ indolenziti.

"Se André e io non lo avessimo riportato a casa, sarebbe ancora per strada probabilmente." Le parlava col fiato corto, un po' per la concitazione del momento e un po' perché non si capacitava della sua domanda.

"Ma si può sapere cos'avete fatto? E poi perché lui era con voi?" Non era più irritata adesso, o meglio: non era soltanto irritata. Era anche preoccupata, sapendo che stava così male da tutto quel tempo.

"Direi che se non ci fossimo stati gli sarebbe andata peggio, non trovate?"

"Ha quindici anni, non può ridursi così! Sarò obbligata a tenerlo a terra e mancano ancor—"

Alain allungò il passo per superali entrambi e arrivare alla porta dell'infermeria per primo. "In caso non ve ne foste accorta, è stato costretto a salire a bordo anche stamattina. Non ha la fortuna di potersi permettere di stare male. Aprite gli occhi, Capitano, lui deve lavorare. Non è nobile.”

La verità, benché le fosse già chiarissima senza spiegazioni, la punse con violenza comunque. Le persone, nel mondo reale di quella Francia che si stava sgretolando sotto i loro piedi, erano obbligate a fare di tutto in qualsiasi condizione pur di sopravvivere. Non avevano neanche il diritto alle cose banali e stupide, a una giornata di respiro dopo aver fatto il diavolo a quattro fuori da una locanda, senza il pensiero che alla propria famiglia sarebbe mancato poi di che mangiare perché la licenza per un solo giorno non era pagata. Si sentì impotente, con le mani legate: cosa doveva fare? A cosa doveva dare la priorità?  Voleva dire che anche quel Paul Martin che aveva mandato agli alloggi durante le presentazioni era stato messo in difficoltà? Pareva che ogni mossa stesse diventando pericolosa per la sopravvivenza di qualcuno e ciò la spaventava.

Oscar entrò nella stanza subito dopo gli altri tre e si fermò a pochi centimetri dalla parete. Non voleva disturbare, ma c’era un suo sottoposto lì ed era giusto rimanergli accanto il più possibile.

"Mi dispiace..." andava dicendo Philippe cercando il volto dell'ufficiale oltre le spalle del dottore.

"Cosa volevi provare e a chi?" Il Capitano gli parlava in tono serio, ma più calma. Le sofferenze che il poverino stava passando non le erano indifferenti. Al contrario, se avesse potuto gli avrebbe davvero chiesto di rimanere a casa per un po', però le parole di Alain erano vere: non poteva permettersi di stare male, aveva bisogno di lavorare anche in quelle condizioni e nonostante la sua età.

Il ragazzino tacque ancora. Cos'aveva di così segreto da non poter rivelare a nessuno e in nessuna occasione?

Accanto alla branda in centro alla cabina, André la guardava scuro in volto, un'espressione torva che non poteva essere dovuta soltanto alla situazione in cui si erano trovati. Quando i loro occhi si incontravano pareva che trattenesse l'istinto di lasciare scorrere il flusso di pensieri che erano a un passo dall'esplodergli dentro. Ritornava poi subito a Philippe con brevi e secchi rimproveri per non complicare il lavoro del dottore, ma un briciolo della sua attenzione rimaneva sempre su di lei e l'atmosfera stava diventando tesa.

Il medico la invitò a uscire perché doveva continuare la visita, ma non appena fu in corridoio la porta venne bloccata dietro di lei da Alain, che la affiancò per parlarle da solo.

"Capitano, io non so in che altro modo dirvelo e fidatevi che vorrei evitarmelo, ma non riesco proprio a capire cosa ci trovino in voi."

Oscar lo squadrò dall’alto in basso più volte: non era sicura di aver afferrato bene l’esatto significato delle sue parole. O meglio, aveva capito, ma non poteva credere che le fossero state rivolte da un sottoposto, in un modo tanto diretto e senza vergogna per giunta.

"Ignorate Philippe che è un povero idiota: a quindici anni tutte ci sembrano l'unica al mondo… Avete notato come vi guardava il nostro amico?"

Lei posò più volte lo sguardo prima sul suo interlocutore poi sulla porta ormai chiusa. Annuì. Certo che lo aveva fatto, conosceva i suoi modi per esprimere le emozioni. Intuiva che ne avesse molte, tutte taciute, la maggior parte rivolte a chi da tanto tempo lo teneva nell’ombra e che, soltanto ora, si accorgeva di cominciare a non poter più ignorare il grande dispiacere che la cosa le provocava. Ciò nonostante, non erano né il luogo né il momento giusto per affrontare una questione che, in ogni caso, riguardava solo loro due.

"E secondo voi perché lo fa?” insistette il sottoufficiale fingendo di non aver afferrato il significato del suo silenzio, poi il suo tono si fece più grave: "Abbiamo inavvertitamente ascoltato ciò che ha detto vostro padre ieri. Voi vi sposerete e lui vi guarderà andarvene via.”

Le parole del guardiamarina lasciarono Oscar incapace di ribattere. Guardava oltre la sua spalla come se fosse capace di attraversare il legno e vedere oltre, scorgere il viso di un uomo distrutto da una prospettiva che lei stessa rigettava. La situazione si stava complicando fino al punto di non riuscire a capire come gestirla nel modo più consono, senza dover ferire per forza qualcuno, di chiunque si trattasse.

La porta improvvisamente si aprì e comparve il medico, diretto chissà dove a prendere qualcosa di cui aveva bisogno, lasciando scoperto l’interno della cabina. Il Capitano guardò dentro e subito si concentrò su André – seduto su una branda poco distante da quella dove si trovava il ragazzino ora fasciato – con il capo chino e le braccia appoggiate alle ginocchia. Purtroppo sapeva a cosa stesse pensando, ma si sentiva immobilizzata dalla consapevolezza stessa di essere causa di tanto dolore. Per la prima volta in vita sua, non aveva la minima idea di come aiutarlo. Che facesse un passo avanti verso di lui o uno indietro, sapeva di sbagliare: in entrambi i casi ci avrebbe rimesso qualcosa. Restare ferma, però, era anche peggio perché significava ignorare il dolore di qualcuno a cui ancora teneva più di chiunque altro al mondo. Rimase a fissarlo come obbligata da una forza invisibile, appoggiando una mano allo stipite in legno.

André si era accorto della sua presenza, ma evitava di rivolgerle anche solo una rapida occhiata. Non era mai capitato che non volesse guardarla, era sempre stata la sua fonte di luce. Ora, invece, gli pareva di essere troppo vicino a quel sole, troppo caldo per la cera delle ali che si era costruito per raggiungerlo spingendosi oltre il limite. Ciò che più gli dava dolore era sapere di essere condannato a diventare un ricordo nella mente di una persona con cui ne aveva creati per una vita intera. Rialzò la testa soltanto quando arrivò da lontano la voce del medico che chiedeva di raggiungerlo con il ragazzo, ma Alain anticipò tutti e portò fuori Philippe.

“Bene, allora vi lascio soli.” concluse uscendo dalla cabina senza chiudersi dietro la porta.

Oscar e André si trovarono di nuovo da soli, con un migliaio di cose da dirsi e nessuna sufficientemente coraggiosa da prendere la via ed esporsi. Finalmente, però, i loro occhi si incontrarono, sebbene fosse difficile sostenere lo sguardo senza spostarlo altrove. Si sentivano come se non avessero più i mezzi per affrontare un malinteso perché quelli che avevano a disposizione fossero improvvisamente inutili e inservibili. Dov’era finita la confidenza? La capacità di tornare uno nella vita dell’altra senza la necessità di bussare? Si era schiantata contro il muro delle reciproche posizioni, giuste o sbagliate che fossero.

Il silenzio veniva interrotto soltanto dal rumore di passi sulle assi del pavimento sopra le loro teste e, dalla fretta con cui le persone si muovevano, sembrava che fossero già tutti all’opera. André decise quindi che non c’era più tempo da perdere fermo lì e si alzò dalla branda, chiese sottovoce permesso e salutò Oscar prima di varcare la soglia per ritornare sul ponte. Lei lo seguì con lo sguardo; quando le fu accanto si spostò leggermente per lasciarlo uscire. D’un tratto, però, lo chiamò. Avvenne d’istinto, ma con una rinnovata compostezza: quella che la contraddistingueva e che nessuno tranne lui comprendeva.

“André, io sono convinta che non mi sposerò tanto presto.” e lo superò senza aggiungere altro, fingendo distacco, perché il senso del dovere che la guidava da sempre le ricordava che il suo posto era un altro.

***

La corrispondenza era diventata l’ultima delle incombenze di cui si occupava, intorno all’ora di cena. Nelle settimane aveva notato che gli altri ufficiali, al contrario suo, se ricevevano qualcosa mentre erano in servizio non aspettavano la fine della giornata per scoprire di cosa si trattasse. I loro attendenti prendevano le lettere e le riconsegnavano ai destinatari non appena gli impegni concedessero anche solo dieci minuti di respiro. Lei, che all’assenza di qualcuno che l’aiutasse anche nelle piccole cose si stava ormai abituando, metteva le buste nella tasca della giacca e lì le dimenticava fino a sera. Non aveva altro tempo durante la giornata né, in tutta onestà, la voglia di distrarsi con ciò che di mesto arrivava direttamente da Versailles. Le notizie sulla corte quasi deserta, i malumori della nobiltà nei confronti di una Regina distante, la situazione sempre più disastrosa a Parigi… Ogni singolo fatto che le veniva riferito da Rosalie, dalla nonna o dal padre le restituiva un quadro ancora più triste e desolante di quello che aveva lasciato. Benché si trovasse ora in un posto un po’ meno calpestato dalle sciagure che affliggevano la capitale, sapeva che era questione di poche settimane perché i tumulti dilagassero con capillarità in tutto il Paese. Non aveva neanche avuto bisogno di arrivare a tanto per avere conferma dei disagi che viveva la popolazione da quelle parti. Anzi, forse proprio perché distante dal centro nevralgico della Francia, le difficoltà esistenti parevano ingrandirsi perché non arrivavano al Re. Lo vedeva sui volti della gente che incontrava nel tragitto tra il palazzo e il porto, o sul lungomare, sulle espressioni contrariate dei pescatori attorno alle baracche che troppe cose non andavano. Pregava sempre che la situazione non precipitasse e che i furti ai negozi di alimenti che avevano preso piede nell’ultimo periodo non si espandessero in qualcosa di più serio e problematico.

Quelle notizie si facevano strada nella mente di Oscar alla luce del tramonto, ogni sera più tardi della precedente, al tavolino bianco sul balcone della sua camera o giù in giardino, seduta sulla panchina accanto alla grande quercia. Le leggeva con cura, anche se spesso si ripetevano da punti di vista diversi, e poi con calma rispondeva. Si prendeva il tempo per trovare le parole giuste, come sempre, ma soprattutto per metterle nero su bianco senza dividere la propria attenzione con tutto il resto che la circondava: cose, persone, ambienti. Erano gli unici momenti in cui frenesia che guidava il suo mondo si placava e tutto tornava ad una velocità normale.

Sì, però… C’era quel senso di solitudine che l’avvolgeva come un mantello quando aspettava in silenzio che le parole prendessero forma per tuffarsi nella carta, le ore passassero e la stanchezza la accompagnasse di nuovo in camera per poi farla addormentare subito. Se si fosse addentrata troppo nei pensieri, sotto le coperte, avrebbe finito per non chiudere occhio e lo sapeva. Così rimaneva a contemplare se stessa e lo stato d’animo in cui si trovava – fogli in mano o senza niente – realizzando che era spesso stata da sola ma mai davvero sola. Almeno fino a un paio di mesi prima. André, più ancora della propria famiglia o della nonna, c’era anche quando non era presente. C’era quando avevano passato il tempo separati negli anni in accademia militare, c’era durante i colloqui con la Regina a cui lui non poteva prendere parte, c’era perfino quando capitava qualche incidente che non avrebbe potuto evitarle anche se avesse voluto con tutto se stesso. E non le aveva mai rivelato niente, non si era mai espresso finché tutto non si era irrimediabilmente incrinato. Così come stava succedendo di nuovo.

Seduta al tavolino in centro al balcone, Oscar si incurvò sulla carta della lettera per Girodelle pensando, con un velo di ironia, che non aveva mai considerato l’ipotesi di dover scrivere a qualcuno per rifiutare la sua proposta di matrimonio. Doveva peraltro essere la prima della famiglia, dato che le sorelle avevano tutte eseguito gli ordini del padre diligentemente e, molto più giovani di quanto fosse lei, erano uscite di casa per sposarsi. Era una situazione imbarazzante, acuita dal fatto che non aveva altri modi per dirglielo di persona e, pertanto, si sentiva anche un po’ vigliacca a non poter declinare di persona l’offerta e i sentimenti che gli ispirava. Sarebbe stato meglio dirglielo direttamente, quantomeno per non avere un peso sulla coscienza, ma non avrebbe mai fatto in tempo a raggiungerlo al confine dove stanziava insieme al regimento del Generale e poi tornare indietro. Ci aveva pensato per un attimo, ma il suo pragmatismo l’aveva frenata.

Era stata necessaria una buona mezz’ora, ma alla fine ce l’aveva fatta. Aspettando che l’inchiostro si asciugasse, pensava che, tra le ragioni per cui reputava quella vicenda una follia, c’era di sicuro il fatto che il suo promesso sposo fosse un uomo a cui dava ordini fino a poco tempo prima. Le venne da ridere mentre piegava il foglio e lo inseriva con cautela nella busta indirizzata a suo palazzo di Parigi. Lo stesso che no, non sarebbe mai diventato anche casa propria e non si sarebbe mai lasciata convincere né intenerire da nessuno.

Venne poi il momento di concludere ciò che aveva lasciato in sospeso con il Generale e su questo non ebbe alcuna titubanza. Poche righe, ché non servivano tante pagine per spiegare chiaramente quale fosse la propria opinione a riguardo.

Padre,
Vi invito fermamente a non concedere la mia mano al giovane Conte De Girodelle perché non intendo sposare nessuno.

E men che meno qualcuno scelto da altri, avrebbe voluto aggiungere ma si trattenne, perché il tono era già sufficientemente aspro di per sé e l’argomento spinoso. Non poteva tirare troppo la corda.
Chiuse anche la seconda busta, scrisse l’indirizzo e la lasciò sul piano del tavolo come se avesse gettato una carta dal mazzo. Prese un respiro profondo e, guardandosi intorno, notò in lontananza una finestra aperta e la luce di alcune candele accese. Non aveva mai fatto caso alle abitazioni delle vie adiacenti, soprattutto quelle alla fine della salita coperta dagli alberi in giardino. Considerò l’ipotesi di imparare a conoscere la sua nuova città appena gli impegni gliel’avrebbero permesso: possibile che avesse soltanto visto la strada che la portava al porto e il mare? Non era da lei e si promise di recuperare l’abitudine alle lunghe cavalcate, seppure da sola, pur di non annoiarsi ancora in casa.

 Note:
1) La geografia della città non ricalca quella vera, ma ho quest'idea in testa da che ho iniziato a scrivere il primo capitolo e non volevo rinunciarci
 

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Capitolo 12
*** Oranges et citrons ***


Tu ti devi dare una svegliata. Non aveva smesso di riecheggiargli nella mente quella frase gettata in faccia la notte dopo la visita del Generale. Era vero: aveva speso troppo tempo a contemplare il proprio dolore e ormai gli era chiaro che non avrebbe giovato a nessuno, di sicuro non a lui e men che meno per risolvere ciò che erano diventati.

E dire che glielo aveva ricordato, il pomeriggio prima della partenza! Preferisco snaturarmi e sapere che qualcuno che possa comprenderti al tuo fianco c’è. Aveva capito il suo bisogno di fare da sola, di prendere in mano le situazioni e gestirle da sé, ma nel lasciarle lo spazio che meritava di avere aveva involontariamente perso di vista la rotta. Per non perdere Oscar non bastava essere nello stesso posto in cui era lei, fosse anche in mezzo al mare, e nemmeno eseguire gli ordini che impartiva. Per quello c’erano già altre cinquecento persone e lui non voleva essere diverso ai suoi occhi solo perché soffriva.

Così, giorno dopo giorno, André aveva deciso di uscire dall'indolenza della tristezza di un sentimento complicato perché c'era qualcosa, anzi qualcuno di più importante. Un passo alla volta, nella discrezione che lo contraddistingueva, il giovane aveva preso meglio le misure tra loro due ed era uscito dal guscio.

Non si limitava più a fare solo ciò che gli veniva chiesto, ma le riservava accortezze che gli altri non notavano neanche ma di cui Oscar si rendeva conto. La costruzione di nuovo equilibrio sostenuto da gesti semplici, gentilezze quotidiane sconosciute da quelle parti che li avevano portati a riavvicinarsi un po’, a parlarsi ogni giorno di più benché ancora fosse difficile dirsi tutto. I tre colpi quando bussava per farle capire che non poteva essere nessun altro, la porta tenuta aperta incontrandola in corridoio, il chiederle se potesse fare qualcosa per lei se si trovavano insieme durante i turni di notte (con un grande sforzo della vista al buio)... Aveva imparato a riconoscere e cogliere le occasioni, non aspettare che quella giusta cadesse dal cielo perché da sola non sarebbe arrivata. Una presenza costante ma non invadente la sua, che la lasciava libera di agire ed eventualmente di sbagliare ma non mancava mai di guardarle le spalle.

Su un vascello in cui le singole realtà di tante persone si incastravano le une sulle altre – a volte unendosi ma più spesso scontrandosi e sovrapponendosi – per Oscar avere qualcuno come André che sapesse di cosa potesse avere bisogno era una boccata d’aria fresca. Come quel pomeriggio di giugno, quando una scintilla di relativa importanza era esplosa e aveva distratto per un attimo tutti dal fuoco che covava sotto la cenere e la nave era tornata nel caos. La voce del matrimonio del Capitano, a differenza di quanto sarebbe accaduto a corte, non era circolata. I due spettatori involontari l’avevano tenuta per sé e almeno uno dei due dimenticata in fretta, ma la mente di tutti era comunque concentrata su altro. Poco dopo la partenza, infatti, alcuni membri dell’equipaggio da più tempo a bordo avevano cominciato a lamentare una stanchezza sempre più acuta ed un malessere tale da avere dei mancamenti durante le loro consuete attività, al punto che il medico aveva preferito tenerli sotto controllo, chi in infermeria e chi negli alloggi a prua, per osservarne il decorso. Il diffondersi del problema aveva occupato i pensieri di chiunque, perché l’ipotesi di dover eventualmente isolare una buona parte dell’equipaggio e forse l’intera nave, che stava ancora affrontando il viaggio di andata, pareva essere concreta e nessuno avrebbe voluto.

La tensione generale che si avvertiva nell’aria sembrava non preoccupare solo Philippe, che se ne nutriva soltanto per dare adito al proprio risentimento e giustificare l’atteggiamento scontroso e le risposte piccate. A nulla servivano i richiami da parte dei superiori e le continue minacce di far cadere sulla sua testa quella spada di Damocle che pendeva da metà maggio. Lui fingeva di calmarsi per un po’ e poi ricominciava, finché non gli si era presentata l’occasione per superare il limite1

“Sei stanco, Philippe?” gli aveva chiesto Oscar con il tono di chi è pronto ad alzarlo da terra senza toccarlo, trovandolo seduto sotto l’albero maestro a prendere il sole.

Se ne stava mani in mano da un paio d’ore a guardare il mare, incurante di chi lo continuava a chiamare, mentre il vento gli scompigliava i capelli. Le vele ondeggiavano pesanti sopra di lui facendogli ombra sul viso, che sembrava ancora più cupo di quanto già non fosse. Aspettava proprio lei e sapeva che l’unico modo per attirare la sua attenzione era perdere tempo.

Un moto di coraggio lo aveva percorso. “In realtà, sì.”

“Non sei qui per riposarti, alzati.”

“No.”

La fermezza della sua risposta l’aveva sorpresa, ma più ancora la tranquillità con cui si accomodava meglio al pavimento. Il ragazzino puntava gli occhi in quelli dell’ufficiale con aria di sfida e incrociava le braccia al petto, avendo l’accortezza che si notasse la provocazione. 

La regola non scritta che era stata imposta per Philippe era evitare le punizioni corporali o troppo rigide. A detta del Capitano e contro l’opinione degli altri responsabili, la violenza non gli sarebbe servita a niente e non valeva assolutamente la pena usarla per insegnare qualcosa a una persona così giovane. Per questo a ogni sua mancanza contava fino a dieci prima di reagire in modo troppo precipitoso, ma quel pomeriggio era a stento arrivata a cinque.

“Chi ti ha detto che era una domanda la mia?”

Philippe aveva alzato le spalle, mentre Oscar aveva preso a camminare nella sua direzione con passo deciso. Lo avrebbe fatto tornare in piedi, volente o nolente, perché sulla sua nave nessuno poteva permettersi il lusso di oziare. A maggior ragione in un momento in cui sempre di più erano impossibilitati a svolgere il proprio compito.

“Muoviti.” Una sola parola, ferma a sufficienza da gelare chi li stava ascoltando.

Nell’estremo tentativo di salvargli la faccia – letteralmente e metaforicamente – alcuni compagni avevano iniziato a incalzarlo, alcuni solo a voce altri provando ad alzarlo per le braccia.

Alle spalle, il Capitano aveva sentito avvicinarsi un paio dei propri uomini insieme ad altri dietro di loro. Un rapido Permettete? da una voce familiare l'aveva superata sulla sinistra e lei aveva annuito, perché davanti alla testardaggine del ragazzino la sua sola autorità evidentemente non serviva. André aveva un ascendente sul giovane ribelle, lo avevano compreso tutti ormai, tanto valeva lasciarlo provare. Un ennesimo ultimatum si levò sul ponte: cinque minuti per portarlo nella sua cabina, non aveva altro tempo da perdere.

Quando l’aveva vista allontanarsi, Philippe si era alzato sbuffando. Il suo viso era scontroso, più del solito nell’ultimo periodo. Inaspettatamente, però, invece di seguirla, si era avviato dal lato opposto.

“Non è il momento per peggiorare la situazione, fai come ti ha detto.” gli aveva intimato André in tono ragionevole ma deciso dopo averlo fermato per una spalla.

La calma di chi aveva considerato un amico fino a quel momento lo irritava, più dell’espressione severa con cui Alain lo guardava a pochi passi da loro. “Io non ti voglio più ascoltare, non stai mai dalla mia parte e la difendi sempre quella.”

Lo aveva sentito Oscar, seppur lontana, e girandosi era tornata sui propri passi. “Non sei un bambino, se vuoi rimanere qui devi imparare a rispettare chi ti sta intorno!”

“Sennò cosa succede?” Sapeva di aver già oltrepassato di molto il limite, tanto valeva proseguire e non guardarsi indietro. André lo aveva scosso per fargli capire che doveva seguirla, ma lui si era solo liberato dalla presa.

“Non sfidarmi.”

“Altrimenti?”

Un’espressione oltraggiata e severa era apparsa sul viso del suo superiore, sempre più vicina e ormai al culmine della sopportazione. Stava per emettere la sua sentenza definitiva senza processo, quando uno schiaffo di Alain sulla nuca lo aveva sbilanciato contro di lei.

“Scusate, Capitano, ma con questo le parole non servono.” aveva spiegato il guardiamarina senza neanche rivolgere uno sguardo alla sua vittima.

“Non era necessario, sono in grado di gestire un ragazzino. Voi tre in cabina, tutti gli altri tornino ai propri posti immediatamente!”

Con un gesto rapido aveva indicato loro la strada verso il corridoio per poi seguirli, scura in volto, mentre tutto intorno gli ingranaggi immaginari che tenevano la nave sulla rotta riprendevano a girare sul filo sottilissimo di un equilibrio precario.

***

La discussione in cabina non aveva sortito lo stesso effetto di maggio. Il ragazzino parlava in un modo che neanche credeva di poter esprimere. Aveva sdegno, rabbia, frustrazione e nessuna intenzione di nasconderli. Non tollerava più il peso di essere trattato come un moccioso. Soprattutto, non sopportava che lo facesse proprio lei. Gli era capitata tra capo e collo all’improvviso e lui se ne stava lì, come l’idiota che sapeva di essere perché il mondo femminile gli era pressoché sconosciuto e la sola con cui interagiva era anche l’unica che non avrebbe dovuto considerare in termini diversi dall’essere il suo superiore. Non aveva potuto impedire a se stesso di sbattere la faccia contro il muro, però, nemmeno volendo; era successo tutto da un momento all’altro e ogni giorno si sentiva un po’ più arrabbiato e triste. Oscar, da parte propria, non si arrendeva. Con chiunque altro avrebbe tagliato corto e preso la via della punizione senza pensarci due volte, ma Philippe era giovanissimo e non le andava di infrangere la regola che lei stessa aveva voluto. Una cosa era certa: nessun altro ragazzino sarebbe dovuto salire a bordo della sua nave, aveva già abbastanza a cui pensare con gli adulti.

“Finirai in cella di rigore finché non torneremo e poi ci resterai anche una volta tornati a terra.” ma mentre glielo riferiva si chiedeva se non l’avrebbe presa come un’occasione per oziare ancora. “E sappi che non starai con le mani in mano!”

Philippe aveva alzato gli occhi al cielo. “Capitano, posso chiedervi una cosa?” domandò lui, insolente.

“No.”

“Che senso ha rispettare i vostri ordini se come siete arrivata adesso ve ne andrete? Come pensate che possa sentirmi io?”

All’improvviso era calato il gelo nella stanza, solo i passi di chi camminava sul ponte di coperta infrangevano il silenzio. Il ragazzo si era d’un tratto reso conto di aver rivelato troppo. Aveva stretto i pugni fino a che le nocche non erano diventate bianche e morso il labbro per scaricare la tensione. Alain lo guardava con imbarazzo fuori dal comune per poi lanciare un’occhiata ad André, che aveva ricambiato e poi mosso un passo verso Philippe per prevenire che facesse pazzie per uscire da quella situazione.

Da parte propria, Oscar lo fissava seria, imperscrutabile nella staticità di un’espressione che non prospettava niente di buono. Non le ci volle molto per fermarglisi a un palmo di distanza, forse meno, squadrandolo dall’alto in basso, e lasciare che il proprio viso parlasse prima di lei.

“Nessuno se ne andrà. Men che meno io.” Non aveva specificato altro, aveva intuito in che argomento fossero finiti. “Soisson, portalo giù e poi chiama i tuoi superiori.”

In men che non si dica il guardiamarina era sparito in corridoio insieme al mozzo, lasciando gli altri due soli in cabina. Quando erano diventati affari di rilevanza comune gli obblighi a cui il padre voleva sottoporla? E poi perché dovevano interferire nelle relazioni con l’equipaggio? Bisognava risolvere la situazione e André l’avrebbe forse potuta aiutare almeno a capire.

“Cosa sta succedendo, si può sapere?” gli aveva domandato lei irritata, chiudendo la porta.

“Philippe ha inavvertitamente sentito quello che hai detto in corridoio, fuori dall'infermeria.”

“Non difenderlo, per piacere.”

“Aspetta, ascoltami. Ovviamente ha frainteso, ha capito che ti saresti sposata presto. Ci tiene a te e non vuole che tu te ne vada, per questo si comporta così.”

“Come lo sai tu?” Oscar pareva essersi un po’ calmata nonostante l’assurdità della spiegazione.

“Me lo ha confidato la scorsa settimana, è scontroso anche noi e gli ho voluto parlare. Non ha sentito ragioni.”

Prima ancora che la conversazione fosse arrivata al termine, qualcuno aveva bussato e la porta si era aperta senza aspettare il permesso. Il Maggiore e i due Tenenti erano rimasti sulla soglia sull’attenti, ma stranamente trafelati e ansiosi di parlarle. Quando avevano ricevuto l’invito al riposo si erano presentati in cabina e le si erano rivolti senza troppi giri di parole, come se ci fosse stata solo Oscar nella stanza.

“Capitano, abbiamo un problema.”

***

Il viceammiraglio Trogoff De Kerlessy2 detestava l’Héros. Dava solo problemi e se avesse potuto avrebbe ordinato lo smantellamento della nave e la ridistribuzione dell’equipaggio immediatamente. Ne aveva abbastanza di ricevere dispacci e resoconti nefasti firmati dai suoi ufficiali, i loro giornali di bordo erano un gioco al massacro. Lo avrebbe di certo riferito a Sua Maestà uno di quei giorni, se l’Ammiraglio De Rohan avesse continuato a non dargli retta.

Riteneva di aver fatto bene a non riporre grandi speranze neanche nel nuovo capitano. Infatti, se la trovava nell’ufficio, in piedi davanti alla scrivania, per l’ennesima volta. Quel luglio3 era già rovente di suo, non aveva la minima intenzione di passare il resto del mattino a interrogarla e chiederle di conto circa un vascello che avrebbe affondato lui stesso a mani nude.

Sospirò sconsolato quando si sedette e la guardò da capo a piedi prima di rivolgerle la parola. “Capitano, a causa delle notizie che mi riportate ogni volta io temo di non sopportarvi più. Con rispetto, s’intende...”

“Posso capirlo e me ne dispiaccio. Vi assicuro che ne farei volentieri a meno, ma conoscete meglio di me i rischi che si corrono per mare.”

L’uomo le fece cenno di lasciar perdere i convenevoli. “Andate al sodo. Di cosa si tratta?”

“Un membro dell’equipaggio ha rifiutato di eseguire gli ordini ed è stato mandato in cella di rigore. Tutt’ora si trova lì.”

Un lamento indistinto in risposta, niente di più.

Lei proseguì:

“Molti altri invece si sono sentiti male a pochi giorni dalla partenza, il medico di bordo se ne è occupato fin dal momento in cui la stanchezza che lamentavano è peggiorata e non sono mai scesi dalla nave. Mi è stato riferito che da mesi, da prima del mio arrivo, le condizioni di salute dell’equipaggio sono altalenanti, come d’altronde la loro alimentazione…”

Oscar gli parlava ignorando volontariamente l’impazienza che l’interlocutore dimostrava nel desiderare sentirla congedarsi. Lui percepì un’ombra di disappunto piccato nelle sue parole, come se l’altra gli stesse sottolineando apposta la criticità della situazione. Si impose di non cogliere, però, e continuò ad ascoltare ciò che gli veniva riferito.

“Si tratta di coloro che erano a bordo da più tempo. Sono stati colpiti dallo scorbuto.”

Il viceammiraglio alzò le mani e poi le lasciò cadere sui braccioli della sedia. Ovviamente! Mai che compissero una traversata senza intoppi! Non gli importava che si notasse il disappunto, era stanco di quella situazione. Però doveva approfondire, per ruolo più che per interesse, e si sistemò appoggiandosi allo schienale imbottito.

“Da quando sono stati tenuti sotto controllo i sintomi, avete detto?”

“Dal momento in cui i casi cominciavano a diventare troppi per essere derubricati a mero affaticamento. La comparsa di alcune lesioni gengivali, a volte sanguinanti, ha allertato sufficientemente il medico di bordo indirizzandolo così verso la diagnosi.”

“Voglio augurarmi che vi siate procurati per tempo sufficienti scorte di agrumi.”

Il Capitano annuì, anche se un po’ contrariata. Non c’era davvero bisogno di parlarle con tanta sufficienza, non aveva chiamato lei il problema!

“Quanti sono gli uomini fermi, dunque?”

“Poco meno della metà.”

Trogoff De Kerlessy la guardò sconcertato. Un numero che si avvicinava alle duecentocinquanta persone impossibilitato a salpare, tutte in una volta sola. Non potevano continuare così, tanto più che nessun’altra nave era ferma a lungo per offrire sostituti… C’era solo una soluzione. Mai le donne per mare, pensò.

“Per il prossimo mese metterò il vascello a riposo, Capitano. L’equipaggio rimanente verrà smistato, chi vorrà potrà prendersi qualche giorno di licenza pagata. Quanto a voi, vi dovrete occupare di riorganizzare tutto… entro mercoledì, essendo oggi lunedì. Poi, se vorrete, avrete diritto alla licenza. Pretendo un resoconto dettagliato per quel giorno, firmato e datato. Se dovesse ripresentarsi una situazione critica in futuro, sarà obbligato a compiere una scelta drastica.”

“Ovvero?”

“Il disarmo, Capitano. Ora potete andare.”

Oscar lo salutò sull’attenti e tornò in corridoio, chiuse la porta e si incamminò veloce al piano dove sapeva di trovare gli ufficiali. Non le era neanche stata data la possibilità di rispondere. Aveva dovuto accettare la decisione senza poter far capire che la fosse sotto controllo più di quanto potesse sembrare, che cominciavano ad esserci perfino segnali di miglioramento nei primi ad aver mostrato i sintomi e che il riposo forzato della nave non sarebbe servito ad ammansire gli dèi.

Salì un gradino dopo l’altro come se con le suole delle scarpe potesse schiacciare tutti i motivi di frustrazione che l’attanagliavano. Salutava con un veloce cenno del capo chiunque le capitasse di incontrare, per educazione, ma non guardava davvero nessuno.

Arrivò davanti alla porta dell’ufficio dei Tenenti, bussò e l’aprì. I due uomini si alzarono in un saluto militare, ma si accorsero subito dalla sua espressione accigliata che il motivo della sua presenza non sarebbe stato indolore. Non anticipò loro niente, però, come succedeva quando le notizie si prospettavano poco gradevoli. Si fece poi seguire nella stanza dove sapeva avrebbe trovato il Maggiore e lo raggiunsero. Non appena furono tutti e quattro insieme, Oscar si schiarì la voce e li guardò dritti negli occhi.

“Il Viceammiraglio ha preteso un mese di fermo per la nave. Bisogna riorganizzare tutto entro mercoledì, ma vorrei consegnargli il resoconto prima: martedì sera al massimo.”

I suoi sottoposti rimasero in silenzio. Nemmeno nei momenti peggiori il comando aveva preso una decisione tanto drastica…

“Chiunque voglia” proseguì lei comprendendo la loro perplessità, “potrà chiedere giorni di licenza. Noi compresi, ma non prima di aver risolto quest’ultima faccenda.”

Il Maggiore si avvicinò alla scrivania, prese da un cassetto un plico di fogli legato da un cordino verde e glielo porse. “Per fortuna qui si conserva tutto, Capitano. Questi sono i resoconti delle precedenti ridistribuzioni dell’equipaggio, se li prendiamo come riferimento risparmiamo tempo.”

Si misero immediatamente al lavoro, consapevoli che non avrebbero terminato tanto presto e che si sarebbero dovuti interrompere almeno per andare a riferire agli uomini il loro destino per le successive quattro settimane e, incidentalmente, tornare a casa.

Non piaceva a nessuno dei quattro aver ricevuto quell’ordine eccessivo e benché non se lo dicessero apertamente era chiaro che condividessero tutti lo stesso fastidio nel dover sottostare a una decisione impossibile aggirare per non peggiorare la propria posizione. Quando parlava, nella voce del Capitano si percepiva la sottile increspatura dell’insofferenza di sapere di essere stata presa come capro espiatorio, una pedina in un gioco da cui il Viceammiraglio avrebbe voluto uscire trionfante e migliore agli occhi delle alte cariche. Fermare una nave della flotta sottintendeva problemi strutturali insolvibili in altri modi, l’ultima spiaggia prima del disarmo definitivo. Quell’uomo sembrava non volere altro: l’Héros aveva troppi precedenti perché Sua Maestà volesse continuare ad essere rappresentato da esso e lui non avrebbe perso l’occasione per sollevare il Re dalla preoccupazione. Chissà da quanto tempo il Viceammiraglio aspettava un’occasione del genere…

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Note:
1) L'intera scena della discussione è ispirata alla fanfiction Jours de gloire (efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4023334&i=1)
2) https://en.m.wikipedia.org/wiki/Jean-Honor%C3%A9_de_Trogoff_de_Kerlessy
3) Il tempo in questa ff è relativo, un po' come nell'anime, ma non avevo cuore di fermarmi troppo sulle settimane prima e preferivo andare ai momenti importanti

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Capitolo 13
*** Le premier retour ***


Il bussare alla porta interruppe il silenzio della stanza illuminata dal sole di metà mattina. Oscar non alzò neanche il capo dai fogli, diede il permesso di entrare continuando a scrivere finché non sentì dei passi fermarsi in mezzo all’ufficio dopo aver chiuso l’uscio ed esibire un saluto sull’attenti.

“Hai bisogno di qualcosa, André?” domandò lei, ancora seduta alla scrivania.

“Sono appena arrivate queste per te.”

Il marinaio allungò due buste bianche chiuse da timbri di ceralacca rossa e gliele porse. La vide alzarsi dalla sedia e avvicinarglisi per prenderle.

“Immagino voglia anche tu qualche giorno di licenza.” gli domandò mentre studiava la grafia sulle due missive.

La prima recava il giglio reale che, insieme alla particolare inclinazione delle parole scritte in inchiostro nero, le suggeriva come provenienza la reggia di Versailles. La seconda, invece, era inequivocabilmente stata spedita da casa sua. Aprì quest’ultima riponendo l’altra in tasca: non era la mano del Generale quella che aveva intestato la busta e la cosa la stupì.

“No, in realtà no. Credo te l’abbiano già chiesta in tanti.” rispose André ritornando sui propri passi.

Aveva già quasi raggiunto la porta per congedarsi quando la sua attenzione venne catturata dal rumore di un oggetto di vetro che cadde due volte alle proprie spalle, sulla scrivania prima e poi a terra. Si voltò di scatto e vide il calamaio rotto in mille pezzi annegati in una piccola pozza di colore scuro. Subito accanto, Oscar stringeva con una mano il piano della scrivania dove prima era appoggiato il contenitore per l’inchiostro e l’altra, tremante, reggeva il foglio datato un paio di settimane prima.

“Devo tornare a Parigi.” rivelò lei con gli occhi colmi di lacrime persi nella sua direzione.  

André le tornò accanto in tutta fretta e raccolse la lettera che gli stava porgendo perché potesse leggere e assicurarle di non essersi sognata quella notizia. Scorse velocemente la manciata di righe nere, attonito: la nonna – era certo avesse scritto lei, ne riconosceva il tratto – riferiva che il Generale era stato colpito da un uomo armato durante un viaggio in carrozza con Bouillé e che, nonostante la distanza ravvicinata con la vittima, la pallottola non gli era stata fatale.
Oscar rimase immobile.

Non riusciva a proferire verbo, a pensare a nulla che non fosse l’incubo improvviso di sapere che il proprio padre sarebbe potuto morire in quell’agguato e che non era accaduto soltanto per un caso fortuito. Era ferito, ma poteva essere curato a casa e necessitava di riposo. La consapevolezza che la situazione fosse sotto controllo coincise la netta sensazione che l’adrenalina stesse scemando. Percepì la forza nelle gambe venirle meno e dovette sedersi nel primo posto che le capitò per non cadere, sul bordo della scrivania. Abbassò la testa e si coprì il viso con le mani, lasciando che un pianto esplodesse a dirotto. I singhiozzi la scuotevano e il fiato si spezzò nel petto in sussulti continui. Si accorse poi di un movimento accanto sé. André le stava porgendo un fazzoletto appena estratto dalla tasca e la guardava con un’espressione tranquilla che da sempre le riusciva ad infondere calma. Le sorrideva perfino e Oscar d’un tratto realizzò che non avrebbe voluto altri in quel momento di sconforto, nemmeno la sola compagnia di se stessa.

“Grazie, André.” gli disse con la voce rotta e il fazzoletto stretto nella mano. “Ti ringrazio.”

Benché si ripetesse che doveva rientrare, Oscar sembrava tentennare su qualcosa. Se fosse accaduto con una distanza minore, sarebbe corsa da sola al capezzale del padre. Ora, però, la situazione era diversa e lei si sentiva impossibilitata a fare alcunché di decisivo, schiacciata dall’improvvisa notizia.

Il fermo imposto dal Viceammiraglio, alla fine, si sarebbe rivelato utile. Non dovendo salpare, il Capitano avrebbe chiesto per sé i giorni di licenza necessari per tornare a casa. Restare in città con la mente che correva a Parigi non le avrebbe permesso di rimanere concentrata, tanto valeva concludere quell’ultimo obbligo sceso dall’alto e poi mettersi in carrozza.

André intercettò le sue preoccupazioni mentre lei si asciugava le lacrime con il suo fazzoletto.

Vedrai che andrà tutto bene.”

Il tono familiare con cui le si rivolse era sorto spontaneo nella sua voce perché vederla soffrire non lasciava spazio ad altro che non fosse educata apprensione.

Oscar, da parte propria, non rifiutò la sua presenza né le sue parole. Anzi: se ne servì per mettere un freno al pianto e rientrare nel ruolo composto del Capitano. Ringraziava che lui comprendesse ancora le sue difficoltà e non si fosse lasciato fermare dall’impossibilità di rivelare quanto le fosse necessario non rimanere da sola in un momento simile.

“Preferirei che mi accompagnassi.” si trovò a dire, ancora con il fazzoletto in mano, spostandosi appena dalla scrivania.

La notizia aveva colpito parte del muro invisibile che li divideva e che nelle ultime settimane si era indebolito un po’ in alcuni punti, pur rimanendo tutto sommato al proprio posto. La nebbia si stava piano piano diradando silenziosa e si cominciava a rivedere l’orizzonte.

Accorgendosi di essere uscita di nuovo dai limiti del ruolo, la giovane provò a recuperare la compostezza e aggiustò il tiro. “Firmo per la tua licenza.”

Sarebbe servita una ventina di giorni in totale. Tanti, troppi per entrambi nonostante il fermo, ma non c’era altra soluzione.

André annuì con un cenno del capo e si affrettò ad abbassarsi per anticiparla, già sul punto di accovacciarsi per raccogliere dal pavimento ciò che aveva inavvertitamente fatto cadere poco prima. Si premurò di controllare che non si fosse fatta male con il vetro, ma il peggio pareva essere solo dell’inchiostro sulle dita e sui palmi.

***

Seduti uno davanti all’altra negli angoli opposti della carrozza, Oscar e André guardavano oltre le piccole finestre rettangolari le campagne francesi allontanarsi veloci attorno a loro. Era la prima volta in tanti mesi che intraprendevano un viaggio così lungo da soli e non era di certo come una delle loro solite navigazioni. Se da un lato, infatti, entrambi erano sollevati all’idea di non avere tra di loro rigide gerarchie né cinquecento persone intorno, dall’altro avrebbero preferito delegare qualcuno della responsabilità di mettersi a proprio agio.

“Penso che ci fermeremo alcune volte nel tragitto.” disse Oscar interrompendo il flusso dei propri pensieri come si trattasse di una conversazione a voce alta.

Gli parlava un po’ distante, appoggiata allo schienale del sedile e con gli occhi adesso bassi oltre la punta degli stivali. Non avrebbe potuto garantire di essere di grande compagnia, almeno non ancora, e apprezzava il modo in cui l’amico rispettava la necessità di non riempire a tutti i costi il silenzio.

André spostò lo sguardo sul suo e annuì, poi tornò a studiare le case e i paesini che in lontananza. Il suo pensiero non poté non rimanere alla compagna di viaggio. Era splendida nei suoi abiti di tutti i giorni e senza quel fiocco nero che le imprigionava i capelli, ora finalmente liberi di muoversi. La vedeva assorta, in silenzio, e avrebbe voluto alleggerirla dalle preoccupazioni che le corrugavano leggermente la fronte.

Le parole inviate dalla nonna erano chiare: il Generale si sarebbe ripreso. Oscar se le ripeteva all’infinito ogni qualvolta si insinuava in lei l’immagine del padre colpito da una pallottola e il successivo precipitare di una situazione che, le avevano invece assicurato, non era affatto tanto drammatica. Il destino aveva voluto che si salvasse. Non solo: stava bene. Si ricordava poi che un militare fosse sempre esposto a certi pericoli, in barba a quel sì però che pareva non volerle dare tregua: quando le era divenuto chiaro in cosa consistesse il suo ruolo, aveva messo in conto, seppur con tristezza, che potesse essere ferito o addirittura cadere in battaglia. Ma così, seduto in carrozza e per sbaglio, era una possibilità che non aveva preso in considerazione.
Oscar alzò per un attimo gli occhi e tornò su André, con il viso rivolto verso la piccola finestra della carrozza e una mano a reggere il capo. Ebbe un attimo di esitazione nel rendersi conto davvero che, nonostante tutto, c’era, a dispetto della distanza percepita, dei fraintendimenti, del continuo frapporsi di cose, situazioni, persone. Ammise a se stessa che fino a non molto tempo prima un viaggio come quello, da soli e per diversi giorni attraverso la Francia intera, non sarebbe capitato. Era un passo avanti, il primo di cui lei avesse avuto reale contezza in quanto tale in una serie di tanti altri che aveva notato ma di cui aveva soprattutto apprezzato la naturalezza con cui si erano verificati.

Gli sorrise appena quando André si accorse che lo stava guardando e tornò subito su stessa, a frugare in una tasca della giacca.

“Hai perso qualcosa?” le domandò lui.

“No, non ti preoccupare…” Oscar tirò fuori una lettera aperta e da lì un foglio bianco accuratamente piegato, ma nonostante i suoi occhi scorressero tra le righe ordinate e precise, non fu il suo contenuto al centro delle proprie parole: “Vorrei trovare un modo per evitare che quel ragazzino si metta nei guai senza che la sua famiglia ne risenta.”

André corrugò per un attimo la fronte. Non si aspettava di tornare in argomento, non dopo tante settimane da che era stato affrontato e men che meno da un momento all’altro.

“Lui vuole restare sulla nave. È felice quando può rendersi utile a bordo, parla come se non ci fosse gioia più grande… E probabilmente è così.”

Lei sospirò e rispose come se le parole dell’amico fossero scivolate già oltre. “Ha quindici anni ed è circondato da gente più grande di lui. Peraltro, non nego di aver dubitato che quella sia la sua vera età…”

“Cosa intendi dire?”

“Come si comporta… Ho avuto il dubbio che fosse più piccolo e avesse mentito sull’età per potersi imbarcare e aiutare i genitori a sopravvivere.”

Un nuovo silenzio, meno imbarazzato e più sospeso, calò per qualche istante tra di loro. Il marinaio non aveva mai preso in considerazione l’ipotesi che Philippe si facesse passare per un quindicenne senza esserlo. Gli era sempre sembrato alto e, soprattutto, umorale e scostante abbastanza da poter avere quell’età e, considerate le condizioni in cui stava crescendo, comprendeva perché fosse tanto smilzo. Rifletté poi per un attimo sul fatto che, qualsiasi fosse la verità, quando loro mettevano piede a Versailles già da qualche tempo, lui veniva al mondo.

“Puoi chiedere al Nostromo, è un uomo parecchio informato…”

Marius era una persona che tutti stimavano, per un motivo o per l’altro, ma che per entrambi, anche se non potevano saperlo, rappresentava anche una fonte di verità un po’ troppo accurate. Parlare con lui era come osservare se stessi da fuori e loro non avrebbero voluto.

“Proverò.” disse Oscar richiudendo la lettera per rimetterla nella busta e poi in tasca.

André osservò i suoi movimenti – sempre gli stessi da che avesse memoria – uno per uno e si sentì più leggero nel costatare che poteva rivederli da vicino quei gesti e ne riconosceva la familiarità. “In ogni caso, Philippe deve lavorare. Tolone è più piccola di Parigi, ma anche lì la gente muore di fame e chiunque abbia un mezzo per sostentarsi se lo tiene stretto.”

“È proprio per questo che mi sento con le mani legate. Dipende direttamente da me la sua permanenza tra noi.1

“Ha solo bisogno di un’altra possibilità.”

“Sarei disposta a offrirgliene anche di più se non sapessi che si diverte a prendere le pessime abitudini di persone ben più grandi di lui.”

“Ti assicuro che non si diverte.” Sembrava piuttosto sicuro delle proprie parole, come se sottintendesse un trascorso a lei sconosciuto.

Oscar riportò lo sguardo su André, indecisa se voler approfondire quel capitolo o meno. La sua perplessità, però, si scontrò con il discorso dell’altro, che proseguì.

“Vuole attirare l’attenzione.” La tua attenzione avrebbe voluto dirle, ma evitò, ché quel terreno era ancora troppo scivoloso. “Non ha che la nave oltre casa sua e posso assicurarti che è come se non avesse alternative. Cerca un posto nel mondo che sia suo.”

L’altra non rispose. La cosa da fare, la cosa giusta, in quel caso non sembrava esistere. C’era la cosa meno peggio che, forse, corrispondeva a lasciare tutto così com’era.  

***

Il viaggio trascorse tranquillo nei quattro giorni che la carrozza impiegò per lasciare Tolone e raggiungere Parigi. Un mattino, poche ore dopo la partenza, André si era sentito sufficientemente coraggioso da iniziare lui la conversazione avendo notato che il volto di Oscar aveva un’espressione più rilassata dei giorni precedenti.

“Si vede che abbiamo lasciato la Provenza, eh?”

“Manca il mare…” e in effetti la nostalgia della distesa blu che scintillava sotto i raggi del sole era tanta, sorprendentemente.

Quando arrivarono alle porte di Parigi, tutto cambiò. L’atmosfera estiva si era di colpo chiusa nel grigio di una città che pareva febbricitante. Il cocchiere annunciò a voce alta che avrebbero cambiato direzione e sarebbero passati per un’altra strada. Bisognava evitare il più possibile di attraversare la periferia e i piccoli foborghi della capitale. I due passeggeri si guardarono sicuri di aver compreso l’uno i pensieri dell’altra e attesero di scorgere una via, un palazzo, una chiesa di loro conoscenza. Era davvero peggiorata tanto la situazione in così poco tempo? A ogni angolo c’era un questuante in più, un bambino che piangeva per la fame tra le braccia sfinite della madre, un cane randagio deperito che abbaiava al nulla.

“È assurdo che ci siano persone costrette a tutto questo…” commentò Oscar incrociando fugacemente lo sguardo con un ragazzino smunto con un minuscolo pezzo di pane in mano preso chissà dove e pagato chissà quanto (sempre che avesse potuto farlo…).

“Questo è solo ciò che viene a galla.” le rispose André in tono grave, “Sott’acqua c’è molto di più e molto peggio.”

L’amica annuì. Non c’era nulla da aggiungere, era tutto sufficientemente esaustivo di per sé. La Francia correva a gran velocità verso il baratro e Parigi sembrava ancora più vicina, a un solo passo dal disastro.

La carrozza superò indenne il confine della città e, seguendo da lontano il corso della Senna, si addentrò di nuovo nella campagna in direzione di palazzo Jarjayes. C’era il sole quel pomeriggio, ma era come se una spessa coltre di nuvole invisibili impedissero ai raggi di scaldare. Cosa stava diventando casa loro?

Arrivarono dopo venti minuti davanti ai cancelli della proprietà e non dovettero addentrarsi molto per notare la presenza di un’altra vettura che veniva portata nelle scuderie. Avvicinandosi al palazzo, si udirono distinte le voci degli stallieri che si riferivano al dottor Lassonne.

Oscar strinse la mano al bordo del sedile. Aveva cercato di distrarsi nei giorni precedenti e in parte era riuscita nell’impresa. Ora, però, il vero motivo di quel viaggio tornava ad essere ben visibile ai suoi occhi e alla sua mente e nulla poteva allontanarla dai se fosse che l’avevano condotta fino a lì. Ciò che più la preoccupava era la tendenza del padre a minimizzare tutto ciò che lo riguardasse, da sempre. Lo avrebbe potuto fare anche questa volta, sapendo che la figlia era lontana.

André di riflesso la bloccò quando la vide allungarsi verso la maniglia. “Sarà qui solo per controllare che vada tutto bene, non preoccuparti.”

Non appena ebbero la sicurezza di non essere più in movimento, Oscar aprì la porta della carrozza e si precipitò giù, mentre l’amico aiutava un domestico a portare dentro i bagagli.

Corse veloce attraverso l’ingresso, le cameriere si spostavano indaffarate avanti e indietro per le stanze al piano terra. Volò su per la scalinata di marmo, due gradini alla volta, il fiato corto e l’adrenalina in corpo che dava loro l’impressione di non sentire la fatica. Attraversò il corridoio di sinistra, ma davanti alla camera del Generale dovette fermarsi.

La nonna ebbe un sussulto nel vedere la sua bambina di nuovo a casa. Immaginava che la lettera di risposta fosse ancora in viaggio e non si era impensierita troppo. Il suo viso si illuminò e gli occhi sembravano lucidi di commozione nel riaverla lì dopo tante settimane. Le diede un caloroso bentornato, ma Oscar non diede troppa retta ai convenevoli.

“Come sta mio padre?”

“La sua vita non è in pericolo, te l’ho scritto!” esclamò allegra l’anziana signora con le mani giunte davanti a sé e il sorriso sulle labbra. “Il dottore lo sta visitando, potrai entrare quando avrà finito. Sarà stato un lungo viaggio, devi riposarti anche tu…”
La donna diede in fretta ordine alle altre cameriere di preparare la merenda nel salottino che dava sul giardino e obbligò la nuova arrivata a non protestare, riaccompagnandola giù dalle scale. Si lanciò in infiniti amorevoli rimproveri perché ai suoi occhi l’altra era troppo magra, troppo stanca, troppo tutto e intendeva porre rimedio ad ogni mancanza della vita a bordo in una volta sola.

Oscar non riusciva a dare risposte alle domande che le venivano poste perché ne riceveva altrettante, miste a considerazioni di ogni sorta sull’inappropriatezza dell’incarico. Una giovane come te in mezzo a certi figuri! Devi stare molto attenta, lo sai cosa si dice della gente di mare! A nulla serviva ricordarle che se la Regina aveva scelto quella destinazione, lo aveva fatto consapevole dei rischi e delle capacità della sua fidata amica di affrontarli. La nonna, però, non sembrava intenzionata a cedere.

La valanga di parole d’un tratto s’interruppe e la giovane alzò preoccupata lo sguardo dalla frutta che le era stata servita. Marie si era messa a osservare qualcosa fuori dalla finestra, alla sua destra. Oscar si sporse il tanto per vedere meglio e scoprì cosa stesse attirando la sua attenzione. Le diede il permesso di uscire e tornò con gli occhi sul piatto, come a uscire da una situazione che non la riguardava fino in fondo. Sorrise, però, quando nella stanza arrivò distante la voce della signora che prima salutò André abbracciandolo commossa e subito dopo cominciò a sgridarlo.

“Non mi scrivi mai se non lo faccio prima io!” gli disse.

“C’è molto da fare, nonna—” provò a ribattere lui, ma uno schiaffo gli volò sul braccio così rapido che si domandò se lei avesse fatto pratica in sua assenza.

Dal salottino Oscar non poté del tutto estraniarsi dalla loro conversazione né ignorare quella sensazione di calore che le ricordava di essere davvero a casa adesso.

Sulla scala, i passi lenti di qualcuno richiamarono la sua attenzione. Si voltò e vide la figura del dottor Lassonne avvicinarsi, probabilmente in cerca della governante. Decise di andargli incontro, sicura che dalla sua viva voce avrebbe avuto un quadro della situazione preciso.

“Madamigella Oscar, quanto tempo!” esordì l’uomo quando la riconobbe.

“Buongiorno dottore, sono rientrata non appena mi è giunta notizia di mio padre. Come sta? Siate sincero.”

Il medico scosse la testa con un sorriso tirato ma onesto. “È normale che vi preoccupiate per lui, ma posso confermare ciò che sono sicuro vi sia stato già riferito. Il Generale è un osso duro e la ferita sta guarendo bene. Bisogna dargli tempo, ma si rimetterà presto. Ora potete raggiungerlo, io conosco la strada…”

Si salutarono, poi Oscar lo guardò allontanarsi e uscire. Tornò al piano superiore con il cuore un po’ più leggero ma non del tutto tranquillo. Lo sarebbe stata soltanto quando avrebbe potuto parlare al Generale e vederlo in forma con i propri occhi.

Bussò alla porta e l’aprì lentamente, per non disturbare. La luce entrava dalla finestra aperta rischiarando l’intera camera e suo padre era lì, seduto a letto ad appoggiarsi meglio la giacca sulle spalle e con una fasciatura nuova ben visibile dalla camicia aperta per metà. L’uomo voltò il capo e quasi non trovò le parole tanto era lo stupore di trovarsi la figlia davanti senza alcun preavviso. Pronunciò il suo nome in un’esclamazione un po’ affaticata ma decisa che tradì un’insolita emozione.

“Buongiorno, padre. Spero di non disturbarvi. Sono corsa qui non appena—”

“Non era necessario. Voglio sperare che tu non abbia sprecato dei giorni di licenza per questo motivo.”

“Non dovete preoccuparvi.” Oscar glissò sulla spiegazione: non era né il momento né il caso di parlargli delle ultime vicende della sua nave.

“Avrei preferito accoglierti diversamente…” L’uomo la guardava parlandole lento, ma non aveva perso lo spirito.

“Siete vivo e vegeto, è il meglio che potessi chiedere. Mi dispiace molto per quanto accaduto.”

“Credo che quell’uomo fosse convinto che il Generale Bouillé fossi io.” Lo disse in tono divertito, quasi che si trattasse di un simpatico fraintendimento.

“Vi prometto che farò prendere l’uomo che vi ha colpito.” Lo avrebbe fatto lei stessa, se fosse stato ancora di sua competenza. “Giuro, padre, farò l’impossibile.”

“Oscar, se lo fai per me ti dico che io sarei più felice di accompagnarti all’altare con l’abito bianco, piuttosto.”

La giovane, presa alla sprovvista, tacque. Sperava che l’argomento si fosse chiuso settimane prima, invece a quanto pare il Generale non voleva arrendersi. Tipico di lui, pensò.

L’uomo aveva saputo della lettera che lei aveva inviato a Girodelle e avrebbe gradito che ne discutessero vis-à-vis nella speranza che potesse magari cambiare idea (ed evitare di passare per codarda). Comprendeva di averla sorpresa a maggio, ma ora erano passati due mesi e l’idea di sposarsi doveva esserle già sufficientemente familiare per cominciare ad accettarla.

La porta si aprì lentamente e il suono della porcellana che ondeggiava sul vassoio d’argento attirò l’attenzione di Oscar. Ascoltò il rumore dei passi sul pavimento lucido e si accorse di chi fosse entrato.

Mentre il padre seguitava a parlarle per convincerla, offrendole addirittura la possibilità di scegliere un altro potenziale marito, magari in occasione di un ballo organizzato in suo onore2, lei non poté non pensare che André stesse ascoltando. Non si era girata a guardarlo, tanto più che sapeva non lo avrebbe visto reagire in alcun modo in quel momento, ma le dispiaceva comunque per quel fraintendimento.

D’un tratto il Generale si sporse verso di lui con aria serena e lo salutò. André si voltò posando il vassoio sul piano del mobile alla propria sinistra, ricambiò la gentilezza e attese l’ordine che stava per arrivare.

“Devi assolutamente accompagnarla a casa del Capitano Girodelle domani.”

Non aveva senso quella richiesta, non di primo acchito quantomeno. Si era accorto che entrambi la ritenessero assurda a giudicare dalla sorpresa sul volto dei due giovani e dal modo in cui la figlia si era voltata per guardare il suo ex attendente e l’altro aveva pronunciato un sì signore convinto ma non troppo. Il Generale era certo che sapesse andarci da sola, così come lo era del fatto che sarebbe stata capace di non andarci proprio, o di adattare la situazione alla volontà del momento. Era sempre stata così, da che era bambina, ma ora gli premeva che si rendesse conto che un’altra vita era possibile e necessaria… E qualcuno doveva controllare che non si rifiutasse né scappasse. Era un indomito spirito libero il suo unico erede, ma ora c’era bisogno che seguisse le sue istruzioni.

Quando Oscar uscì dalla camera del padre si ritrovò sola in corridoio. André era già tornato di sotto da alcuni minuti – le sembrava di sentirlo parlare da una qualche stanza al piano terra – e nessun’altra cameriera passava di lì. Si appoggiò delicatamente alla porta per non fare rumore. Un respiro profondo conquistò il suo petto. Sebbene fosse finalmente sollevata dopo aver visto che suo padre stava bene, lo era un po’ meno di sapere che ci fosse ancora quella scomoda questione in sospeso. Una cosa era certa: non si sarebbe sposata; e la prima persona a cui sentiva di doverlo ribadire era André, ma necessitava che fossero soli.
 
Rientrò in camera e cominciò a cercare dentro la giacca. Tirò fuori la busta bianca già aperta, il sigillo di ceralacca spezzato in due ricomponeva ancora il giglio reale. Sfilò il foglio e ne rilesse il contenuto per la terza volta. Si soffermò sulle ultime parole: Vi attendo con ansia non appena troverete il tempo per ritornare a Parigi. In fondo, sopra al post-scriptum, una firma precisa, inclinata sulla destra, senza sbavature. Marie Antoinette.

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Note:
1) Il personale di bordo dipendeva direttamente dal Capitano
2) Che qui non apparirà, vi avviso

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Capitolo 14
*** Sinon maintenant, quand? ***


Tre colpi sul legno scuro della porta. Il permesso di entrare anticipò l’apertura dell’uscio, che lasciò i raggi del sole di luglio che filtravano dalla finestra allungarsi nel corridoio.

“Oscar, sono venuto a chiederti a che ora vuoi an—” ma André si dovette interrompere non appena la vide. “In divisa?”

“Perdonami, non te l’ho detto, ma ho ricevuto una lettera da parte di Sua Maestà la Regina: diceva di volermi incontrare non appena fossi tornata.”

“Capisco…” fece lui dubbioso. “In tal caso ti accompagnerò a Versailles, preparo la carrozza.”

“No, non preoccuparti. Ci andrò da sola.”

Oscar rimase a osservare la sua espressione divenire più seria. Nonostante tutto, preferiva che lui non fosse nei paraggi mentre provava a mettere fine a quella storia. Fece per uscire infilando con attenzione le mani nei guanti di cotone leggero e si fermò sulla soglia, occhi negli occhi con l’amico. Se non ora, quando?

“Non accetterò la decisione di mio padre.” gli riferì con il tono delle scelte definitive.

“Non preoccuparti...”

Lei si stupì della sua reazione che non tradiva ora alcun sentimento a parte un’ombra di perplessità, più dovuta al cambio di programma. Si lasciò scivolare addosso quella sensazione e proseguì nell’elencargli i propri impegni nelle ore successive.

André le camminava accanto e ascoltava le sue parole, registrandole una per una. Come quando era il suo attendente e doveva sapere dove andare a cercarla se avesse avuto bisogno, ma più ancora come quando la loro amicizia era l’unica cosa che contasse davvero.

“Vado a sellarti il cavallo?” le chiese mentre le apriva il portone dell’ingresso principale.

“Ho già chiesto io, grazie.” e uscì.

Oscar restò un istante ferma ai piedi delle scale, con le suole affondate nella ghiaia e il sole in faccia. Ripensò al modo in cui si era dimostrato tranquillo alle proprie parole e la indisponeva non capire cosa gli fosse passato per la testa. Non più dell’idea di dover per forza riaprire l’argomento matrimonio, certo, ma abbastanza da avere la tentazione lontana di tornare indietro a domandarglielo.

André sapeva di non avere motivo di dubitare del fatto che la sua opinione in merito era rimasta la stessa. C’era stato male quando aveva scoperto la notizia, ma dal momento in cui quel Non mi sposerò tanto presto gli venne reso esplicito si era fidato della sua intenzione ferrea a mantenere la parola. Essersi premurata di dirglielo di nuovo, però, gli aveva scaldato il cuore: non pensava di essere in diritto di ricevere spiegazioni circa una vita in cui lui era stato incluso per altri motivi. Lei gliene aveva fornite, invece, due volte addirittura, perché se c’era una cosa di Oscar François De Jarjayes per cui avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco era la correttezza.

Sulla strada per la reggia le parve di rivivere un déjà-vu infinito, un po’ amaro, ma all’invito della Regina non avrebbe potuto negarsi. Cavalcò sulla via che aveva seguito per quasi vent’anni e ci ritrovò le stesse identiche cose di sempre: i contadini ricurvi sulla terra stagliarsi sul cielo azzurro dietro di loro, gli alberi carichi di foglie verdi, qualche lepre che saltava tra l’erba alta. Era tutto uguale a sempre, eppure non le sembrava più che ci fosse la stessa sensazione di familiarità di un tempo. Metro dopo metro, stava diventando soltanto un sentiero conosciuto. Nulla di più.

I cancelli di Versailles si aprirono davanti e continuò fino a destinazione senza fermarsi. Evitò la piazza d’armi e tutti i luoghi che sapeva frequentati dalla Guardia Reale, non aveva la minima intenzione si affrontare la questione ora. Le ci vollero diversi minuti, ma finalmente i giardini fioriti, profumatissimi, curati al millimetro si aprirono davanti ai suoi occhi e il Petit Trianon apparve, candido, in fondo al paesaggio.

Il palazzo dove Sua Maestà si era ritirata per fuggire dalla vita di corte non ammetteva soltanto due cose: l’etichetta e gli ospiti indesiderati. Non c’era spazio per parole di convenienza o fastidiosi passamani di fazzoletti o bicchieri. Tra quelle mura illuminate da grandi vetrate, la Regina ignorava il mondo che la reclamava e dedicava ogni attenzione a se stessa e ai figli. Per questo motivo, quando il valletto deputato all’accoglienza velocemente lesse l’invito porto dall’ex Capitano della Guardia Reale rimase stupito. Oscar camminò sui suoi stessi passi fino a una porta bianca. L’uomo bussò e, una volta dentro, annunciò la nuova arrivata per lasciarla passare.

“Madamigella, siete tornata!” urlò una voce sottile e squillante mentre l’uscio si richiudeva.

Da una grande portafinestra al centro della stanza, una bambina bionda in abito pastello fece capolino e le corse incontro suscitando preoccupazione nella cameriera perché non cadesse.

Madame Royale, come siete cresciuta!” le rispose Oscar con un gesto di riverenza interrotto da un abbraccio inaspettato.

Maria Teresa aveva nove anni e mezzo e per tutta la vita almeno una volta alla settimana aveva potuto passare del tempo con quell’ufficiale con la giacca piena di decori che non capiva ma da cui era sempre stata affascinata. Ora, invece, indossava degli abiti mai visti prima – tutto quel blu e oro lei non li conosceva proprio… – e i suoi bellissimi capelli biondi che ricordava liberi sulle spalle erano legati in un fiocco nero. La piccola si fece prendere per mano e seguire verso una balconata illuminata dal sole, mentre preannunciava la grande felicità della madre e dei fratellini.

Accomodata su una sedia di vimini bianca sorretta da un alto schienale, Sua Maestà guardava con infinita tenerezza i due bambini seduti dall’altra parte del tavolo. Il più grande era biondo come lei, aveva la stessa fronte alta e i medesimi occhi azzurri e grandi. Una coperta leggera ricamata di azzurro gli copriva le gambe distese sul poggiapiedi davanti a sé. Al suo fianco, il fratello più piccolo tirava calci all’aria non riuscendo in alcun modo a toccare il pavimento con le scarpe. I due si distrassero dalla loro conversazione quando videro la madre voltarsi verso la finestra e alzarsi nel suo elegante abito giallo chiaro bordato di bianco e blu.

“Madamigella Oscar, siete tornata davvero!” esclamò la Regina al colmo della felicità.

Si alzò ad accogliere la nuova ospite, che la salutò con un profondo inchino. Erano passati cinque mesi dall’ultima volta in cui si erano incontrate e a entrambe pareva che fossero trascorsi allo stesso tempo un secolo e un minuto.  

In uno slancio di confidenza Maria Antonietta le appoggiò una mano sulla manica della giacca blu e la strinse leggermente in un gesto di affetto. Si stupì nell’osservare che c’era già qualcosa di diverso in lei, dettagli che forse soltanto un occhio a cui quel volto era tanto familiare poteva notare. Il sole del Mediterraneo le aveva schiarito i capelli già biondi, il suo viso era un poco più scuro: non tanto, ma non ricordava che avesse mai avuto le guance rosate.

Oscar salutò i Principi con le medesime accortezze riservate alla loro madre e sorrise dell’espressione incerta con cui Louis Charles la studiava. Sembrava che avesse un sentore di chi fosse quella persona in uniforme, ma non riusciva davvero a comprendere benché tutti intorno a lui paressero contenti del suo arrivo. Si accodò all’entusiasmo con un secondo di ritardo, mentre il fratello maggiore Joseph allungava un braccio per farsi stringere la mano.

“Devo ammettere di essere stata in pensiero per voi in questi mesi, sapete?” disse Maria Antonietta non appena i tre bambini vennero accompagnati nella stanza dei giochi.

“Me ne dispiaccio, Maestà. L’ultima cosa che vorrei è darvi preoccupazioni.” Oscar apprezzava da sempre l’interesse che la sovrana mostrava nei suoi confronti benché un po’ la imbarazzasse.

“Non sono mai stata su una nave. Non per viaggi lunghi, quantomeno. Ne ho letto, però, e ho sempre invidiato quella sensazione di libertà di cui tanto si è scritto che si vive per mare. È così, madamigella Oscar? Ci si sente davvero liberi laggiù?”

Il Capitano annuì, poi fece un lungo respiro profondo. Stava provando… nostalgia per la vita sul vascello, ora che era stata obbligata alla terraferma per un mese?

“Mi piacerebbe venire a trovarvi un giorno... Vorrei visitare la vostra nave e se chiedete a Joseph sono certa che anche lui farebbe di tutto per esserci!” D’un tratto si fece più seria e abbassò la voce, come se l’incantesimo di quelle fantasticherie da letteratura di viaggio si fosse spezzato. “Di tutto, sì…

“Come sta il Principe?”

“Lo avete visto anche voi: pare star bene al momento, ma chissà cosa succederà tra due ore, un giorno, tre settimane.”

Restarono in silenzio per alcuni minuti, ad ascoltare il canto dei passeri tra le fronde degli alberi e il frinire delle cicale in lontananza. Nell’ultimo anno Maria Antonietta era cambiata molto, non solo come regina ma soprattutto come donna. Quando, a giugno dell’anno prima, la piccola Sofia era stata portata via dalla tubercolosi a soli undici mesi1, Sua Maestà ne aveva sofferto a lungo e l’intensità di quel dolore pareva essersi acuita nei mesi con l’aggravarsi delle condizioni di salute del Delfino. Dopo circa dodici mesi da quel 19 giugno la situazione nella famiglia reale non era cambiata e la stessa donna si svegliava al mattino pregando Dio che le ore in compagnia del suo primo figlio maschio non si esaurissero in fretta. Oscar studiò seria il viso della Regina e lo trovò davvero cambiato: la bellezza regale tramandatale dagli Imperatori d’Austria si era tramutata in un dignitoso dolore, lo sguardo era profondo e disincantato.

“Madamigella Oscar,” disse Maria Antonietta uscendo per un attimo dai propri pensieri e invitando l’amica di tanti anni a sedersi al tavolo, “la corte mi detesta ogni giorno di più.”

“Me ne rammarico molto, Maestà.”

“Oh, non dovete.” la interruppe la sovrana mentre si appoggiava allo schienale. “Vedete, da quando mi sono trasferita al Petit Trianon insieme ai miei figli, ciò che viene detto di me è ininfluente. A Palazzo o dovunque. Scommetto che perfino dove siete voi saranno arrivate voci su di me, o ne avranno inventate...”

Oscar non rispose, ma non poteva negare che per quel poco che aveva girato per la città spesso l’argomento di conversazione e di disturbo tra la gente era proprio lei, Madame Deficit. Non poteva neanche garantire che sulla sua stessa nave non se ne parlasse, anche se più probabilmente lì se la prendevano con il Re essendo responsabile delle loro condizioni di vita e di lavoro. Già che c’erano, però…

“Siete molto cara a volermi proteggere,” proseguì l’altra in una risata sommessa, “ma vi assicuro che ci sono problemi nella mia vita al momento che mi spingono altrove con la mente.”

Tutto intorno a loro si estendeva un immenso giardino, una distesa di verde di ogni sfumatura e profumo ognuno dei quali personalmente scelto da quella donna che ora sembrava disinteressata perfino al motivo per cui l’avessero presa da Vienna e portata a Parigi diciassette anni prima. All’improvviso, però, animata da un pensiero sereno, cambiò leggermente tono della voce.

“Maria Teresa e Joseph parlano spesso di voi, sapete? Soprattutto a Louis Charles che è ancora piccolo… Quando hanno saputo che vi stavo scrivendo hanno insistito perché aggiungessi anche i loro nomi nel post-scriptum. Mi auguro di non avervi arrecato troppo disturbo nel farvi venire fino a qui.”

Il Capitano abbassò lo sguardo e sorrise a labbra chiuse, onorata di tanta premura e affetto da parte loro. “Nessun disturbo, Maestà.”

“Sarà stato un viaggio molto lungo, immagino…”

“Meno di una settimana.”

Maria Antonietta azzardò una considerazione che riteneva lei stessa impertinente, ma senza sperarci troppo. “E siete tornata da sola?”

“No,” rispose Oscar senza tradire alcuna emozione, “non ho viaggiato da sola.”

La Regina intuì di che fosse l’ombra apparsa nel discorso – o almeno così credeva – ma non il motivo per cui non lo nominasse. Decise di non forzare la mano e proseguì: “Madamigella Oscar, io debbo conoscere la verità.”

Il tono con cui la donna era tornata a parlare con la propria interlocutrice era serio adesso. Erano mesi che aveva necessità di sapere, non accettava che l’unica persona di cui si fosse mai fidata a corte e a cui volesse bene sinceramente se ne fosse andata senza darle spiegazioni. Capitava spesso che il regal umore mutasse repentino nell’ultimo anno. Lo ricordava bene Oscar, che infatti non si scompose e accettò di ascoltare ciò che quasi non aveva neanche bisogno di sentirsi dire.

“Quando mi avete chiesto di assegnarvi un altro ruolo mi avete detto che non avreste potuto rivelarvi il motivo… Sono passati quattro mesi ormai, necessito di spiegazioni.”

L’altra guardò il tavolo bianco davanti a sé, alla ricerca di un modo per non restare il silenzio ma nemmeno scoprire quella sua passata fragilità.

“Ci sono delle scelte che bisogna compiere per se stessi, anche se agli occhi delle persone intorno a noi possono sembrare incomprensibili, Maestà. La mia è stata una di quelle.”

“Ciò significa che non tornerete a Versailles…” indagò la sovrana.

“Gli uomini di cui sono capitano adesso sono in Provenza, Madame.”

“… E che non vi sposerete, dunque.”

Oscar tornò a osservare la propria interlocutrice. Come… Come era arrivata la notizia anche a lei? La risposta corse subito in soccorso: per sposarsi due nobili necessitano del permesso reale e, con ogni probabilità, Girodelle ne aveva già fatto parola con il sovrano (cosa, questa, che peggiorava la sua posizione in tutta la vicenda).

“No, Maestà.”

Maria Antonietta non provò a convincerla. Madamigella Oscar era grande abbastanza da non aver bisogno di qualcuno che le facesse cambiare idea. Certo, se il matrimonio ci fosse stato lei sarebbe potuta tornare a Parigi e, magari, figurare tra i pochissimi ospiti fissi al Petit Trianon… Ma non sarebbe successo e aveva ormai capito che quella che le mancava così tanto era anche una persona testarda e sicura di sé. La Regina sospirò e rivolse lo sguardo in direzione della porta dove sapeva fossero i figli, ricordando quanto fosse caparbia anche lei in ogni decisione prima che loro nascessero e riflettendo su come ora bastasse una loro parola per tornare sui propri passi se necessario.

Si allontanarono dal balcone e raggiunsero la stanza dove due bambini giocavano mentre il terzo li guardava un po’ annoiato dal proprio letto. Joseph non poteva condurre la stessa vita dei fratelli e ciò causava molto dolore ai genitori, che cercavano ogni espediente pur di dargli una parvenza di intrattenimento e quotidianità. Quando vide le due donne varcare la soglia, il suo viso si illuminò e allungò le braccia mostrando un grande libro che si era fatto portare da una delle cameriere.

“Madamigella Oscar, mi raccontate dei vostri viaggi?” domandò il piccolo e la guardò avvicinarsi al letto con l’impazienza dei suoi sette anni.

Le porse il volume aperto su un’illustrazione colorata dell’Europa e ascoltò interessato ogni sua parola. Seguiva con passione i percorsi che lei gli indicava sulla mappa e aspettava che finisse per soddisfare tutte le curiosità che gli passavano per la testa. Lo avevano raggiunto anche i due fratelli, benché Louis Charles faticasse a mantenere l’attenzione: quell’ufficiale biondo di cui aveva un vaghissimo ricordo aveva una spilla sulla giacca che gli interessava di più.

Quando la visita finì e il portone le si richiuse dietro la schiena, Oscar si diresse a riprendere il proprio cavallo e si lasciò andare a un lungo respiro profondo. Alzò gli occhi e si accorse che dietro una finestra Maria Teresa la salutava con la mano. Ricambiò con un mezzo sorriso e poi girò l’angolo. Il sole stava tramontando all’orizzonte e i giardini di Versailles si tingevano di arancione. Era partita da casa con la ferma convinzione che il momento più difficile sarebbe stato un altro, quello che si apprestava ad affrontare, ma la verità si era rivelata ben diversa. Si può accettare un rifiuto – lei, d’altronde, lo aveva fatto e ne era incredibilmente sopravvissuta, a modo suo – ma non le sofferenze di un bambino. Era sempre stata particolarmente sensibile ai dolori dei più piccoli, ma conoscerne di persona uno sofferente, averlo visto nascere e crescere e, prima ancora, essere diventata adulta lei stessa insieme a sua madre rendeva il dispiacere ancora più grande.

Cavalcava persa nei pensieri, ripercorreva la conversazione con la Regina e si rese conto che una sensazione a lei purtroppo ormai familiare si stava riproponendo in tutta la sua ambiguità. Alla scomparsa della Principessa Sofia si era sentita quasi fuori luogo nel ritenersi in diritto di mostrarsi tanto colpita dall’avvenimento, come se stare male per quella vicenda le avesse dato l’impressione di intromettersi nell’immensa perdita di una madre e un padre. Lo aveva nascosto a dovere quel dolore, celato e camuffato tra le pieghe di altre sofferenze che riguardavano solo se stessa.

All’improvviso, una voce la distrasse impedendole di proseguire nell’elaborazione delle proprie riflessioni.
 
“Buonasera, Madamigella Oscar. È un piacere rivedervi da queste parti.”

---
Note:
1) Nella storia originale Riyoko Ikeda non la inserisce, ma Maria Antonietta e Luigi XVI hanno avuto una quarta figlia, la principessa Sofia Elena, morta a undici mesi un anno prima del fratello ( https://it.wikipedia.org/wiki/Sofia_Elena_Beatrice_di_Borbone-Francia )

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Capitolo 15
*** Toujours mademoiselle ***


Il Capitano Girodelle aveva saputo che l’oggetto dei propri desideri si trovava a Versailles da una voce che era girata in fretta tra i giardini e i corridoi della reggia. Qualcuno l’aveva vista dirigersi al Petit Trianon: indossava una strana divisa ed era evidente che cercasse di evitare i posti dove avrebbe potuto incontrare qualcuno in quel caldo tardo pomeriggio di luglio.

Alla notizia aveva avuto un sussulto. Osc— Madamigella Oscar era tornata a corte? Custodiva la lettera che aveva ricevuto dopo l’incontro a Tolone come se non contenesse un doloroso rifiuto. C’era la sua calligrafia sul foglio, asciutta ed elegante, era stata firmata dalla sua mano, sfiorata dalle sue dita. Era un pezzo di lei, infinitesimale ma suo. E ora era lì, di nuovo a pochi metri da lui, a fare cosa non sapeva.

Finite le ore in cui era richiesta la sua presenza con la Guardia Reale, Girodelle era uscito da Palazzo con l’immagine fissa di Oscar splendida nella nuova uniforme e la speranza di poterla vedere, se proprio incontrarla non fosse stato possibile. Era andato a recuperare il cavallo alle scuderie passando dal corridoio interno, come era solito fare da che era ancora Tenente, e dopo pochi minuti era già sulla via dei cancelli, oltre la piazza d’armi. Fu lì che la trovò.

Aveva fatto in modo di farsi trovare, in realtà. Dei tanti angoli del proprio carattere che negli anni si erano smussati, specialmente nei confronti degli altri più che di se stessa, uno solo era rimasto uguale: l’orgoglio. Se quella faccenda fosse stata gestita meglio – magari portandola alla luce quando tutti fossero stati in luoghi meno distanti – se ne sarebbe risentita un po’ meno. Era per quello che aveva lasciato che fosse l’istinto a guidarla all’uscita, perché di attenderlo apposta non aveva la minima intenzione.

Udì la voce del Capitano della Guardia Reale chiamare il suo nome e si voltò. Tirò le redini per fermare il cavallo e lo fece muovere per togliersi dalla direzione in cui puntava il sole. Sempre uguale a come lo aveva incontrato a maggio, compiaciuto della propria persona e apparentemente non scalfito dal primo rifiuto – anzi! – Victor le si avvicinava con i suoi modi cavallereschi un po’ manierati e lei si convinse di avere una ragione in più per declinare l’invito.

“Buonasera, Madamigella Oscar. Che sorpresa incontrarvi qui.”

Abbozzò un tono cordiale: “Buonasera, Capitano.”

Accettò di essere accompagnata da lui almeno fino all’uscita, ma la strada verso il cancello non le era mai sembrata così lunga come in quel momento, mentre ascoltava il suo interlocutore sperticarsi in dichiarazioni d’amore leziose seppur sentite. Proprio perché conscia di stare ascoltando parole sincere, decise di mettere da parte l’indisposizione che le aveva creato essere stata l’ultima a venire a conoscenza di tutto. Non era necessario infierire più di tanto.

“Essere nobile porta con sé molte responsabilità, ma se non lo fossi vorrei poter anche solo essere al vostro servizio.”

Parole sincere, sì, ma incaute.

Oscar rialzò lo sguardo e lo puntò su di lui, tirando le redini del cavallo. “In quanto nobili, non abbiamo diritto di parlare in questi termini della servitù. Né voi né io." Fu grata che quella pessima uscita fosse capitata in dirittura d’arrivo, per una volta il tempismo non gli era mancato. “Da qui posso proseguire da sola, arrivederci.”1

***

Il tempo di tornare a casa e il sole era quasi del tutto tramontato. Oscar percorse il vialetto coperto di ghiaia che portava alle scuderie certa che finalmente quel noioso capitolo fosse concluso e che se qualcuno si fosse azzardato a riaprirlo non avrebbe mantenuto la stessa compostezza, né portato così tanta pazienza. Si sforzò di accantonare la conversazione con il suo ex sottoposto e ritornò per un minuto al Petit Trianon: per salutare la Regina e i suoi tre bambini lei era andata fino a lì, oltre che per fare visita al Generale.

Si guardò intorno e vide le persiane della camera dove riposava il padre ancora aperte. Dall’altra parte, la figura rotonda della nonna pareva scrutare il panorama alla ricerca di qualcosa, o più probabilmente di qualcuno. La giovane affrettò il passo e riportò il cavallo dentro le scuderie. Superò il portone di legno e non si accorse che era già spalancato da qualcuno che teneva aperta l’anta di destra. Lasciò che l’animale sbuffasse anche per lei e lo accompagnò come sempre oltre il suo cancelletto perché qualcuno se ne occupasse. Non fece caso al rumore di passi sulla paglia dietro di lei quasi, ma trasalì appena quando si sentì chiamare.

“Perdonami, non volevo spaventarti!” le disse André quando finalmente Oscar si voltò.

La giovane lo rassicurò e si allontanò per lasciargli spazio. Non se ne andò, però. Rimase vicina al muro, indecisa se dirgli qualcosa ché magari a pronunciarli ad alta voce certi pensieri diventano meno asfissianti.

“La Regina Maria Antonietta è sempre più isolata. Sostiene che nulla di ciò che viene detto o scritto su di lei possa tangerla in alcun modo.”

André le lanciò un’occhiata di sbieco mentre strigliava la criniera del cavallo simile a César ma che non era affatto César. La ascoltava e, per la prima volta in vita sua, percepì reale sconsolatezza nelle sue parole rivolte alla sovrana.

“Bisogna capirla:” fece lui con cautela, “ciò che è successo l’anno scorso e le condizioni di salute del Delfino occupano la maggior parte dei suoi pensieri…”

La giovane concordò a bocca chiusa.

Capire.

Solo chi ha figli può capire certe cose! aveva sentito ripetere centinaia volte in vita sua e ora si chiedeva se veramente fosse necessario essere nella situazione per non biasimare il dolore di una madre.

“Dunque?” domandò André, in attesa di una risposta a qualcosa che lei non aveva ascoltato.

Dunque…?”

“Come sta il Principe Joseph?”

“Ce la mette tutta per non abbattersi.”

Nessun bambino dovrebbe soffrire, in alcun modo. Nobile o meno, ricco o povero. Non è giusto.

André sorrise alla forza che quel bambino malato stava dimostrando di avere da che era davvero piccolo e riportò il cavallo al proprio posto. Si pulì le mani sullo straccio che trovò accanto al rastrello per il fieno e la guardò. Le leggeva in viso un velo di sconsolatezza che non avrebbe mai ammesso, così si tenne quel pensiero per sé.

“Hai bisogno di altro?” si trovò d’un tratto a chiederle, vedendo che la conversazione non portava da nessuna parte e si stava avvicinando l’ora della cena per entrambi. Rimasero distanti, come a proteggersi dall’eventualità di un attacco frontale che non ci sarebbe mai stato ma, benché lo sapessero, preferivano prevenire i danni.

Lei attese un istante. “No, non preoccuparti.” gli rispose e lo salutò per tornare in casa.

Era ormai già quasi fuori sull’uscio, quando d’un tratto si sentì chiamare. Si voltò e André era ancora dove lo aveva lasciato, dall’altra parte delle scuderie.

“Ci fidiamo tutti di te a bordo.” affermò lui mentre si avvicinava di un paio di passi.

“Grazie.” e gli sorrise abbassando appena lo sguardo.

Lui non aveva mai smesso di saper leggere tra le righe, negli spazi silenziosi tra le sue parole e sebbene Oscar avesse creduto di poterne fare a meno perché non ne aveva bisogno, un angolo del suo cuore aveva ripreso a reclamare un po’ di umana comprensione.

***

Quando, il giorno dopo, al Generale venne riferito di come la figlia avesse preso in mano la situazione per metterci un punto, con sorpresa anche di se stesso non si arrabbiò. Aveva cresciuto Oscar in modo che sapesse dar voce alla propria coscienza da sola un giorno. Quel giorno era arrivato, che senso aveva forzarla al contrario adesso che lo aveva fatto? Obbligarla a cambiare strada solo perché quella che stava percorrendo presentava grandi ostacoli non l’avrebbe resa felice. Andava peraltro anche contro tutto ciò che le aveva insegnato: per evitare a lei di passare da codarda che rifiuta le proposte per iscritto era finito lui per fare la figura dell’ipocrita.

Doveva cedere. Per la prima volta in vita sua si trovò obbligato ad alzare bandiera bianca nei confronti della figlia e ad ammettere che non c’era nulla da fare. Era stata una scommessa la sua. Si era sentito ripetere più e più volte che era una follia e lui ci aveva creduto. Anche a costo di passare per il pazzo e l’erede per la stramba della corte. Come poteva pretendere che l’anomalia rientrasse adesso?

---
Note:
1) Il dialogo è tradotto in italiano dalla versione originale giapponese

P.S.: Il capitolo è molto breve, ma i prossimi compenseranno!
 

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Capitolo 16
*** Avant Saint Antoine ***


Dopo un paio di settimane a Parigi, il ritorno in Provenza sembrava avere un sapore dolceamaro1. Non potevano certo negare non avrebbero sentito la mancanza di casa, ma quando Tolone era tornata all’orizzonte avevano tirato un sospiro di sollievo. Per essere arrivati vivi e vegeti dopo aver attraversato il Paese con il rischio di essere attaccati da qualcuno, innanzitutto; poi perché avrebbero potuto ricominciare e, ognuno per sua parte impegnarsi al massimo perché la prospettiva funesta del disarmo si allontanasse. Si erano ormai così abituati alla nuova città, alla vita divisa tra il porto e la navigazione che nonostante ne fossero stati lontani avevano entrambi mantenuto i medesimi ritmi.

André era tornato in nave il tardo pomeriggio stesso e, seppure qualcuno ancora mancasse, gli era apparso tutto come lo aveva lasciato. Caotico, perlopiù. Non si era aspettato grandi festeggiamenti e difatti non ce n’erano stati, ma come a ogni ritorno si erano dimostrati contenti di riavere due braccia in più sul vascello. Una sola persona non aveva incontrato appena rimesso piede a bordo, ma le parole con cui aveva ricevuto risposte alle proprie domande erano state esaustive: È sparito laggiù un’ora fa… Il tono volutamente aveva e non aveva inteso: un’aggiunta sufficiente. Nessuno sapeva e tutti sapevano.

Quando il sole stava cominciando a tramontare, André si era accorto che qualcuno in uniforme si stava avvicinando alla nave, uscendo da un vicolo poco lontano. Lo aveva riconosciuto soltanto arrivato sulla banchina – le mani sui fianchi e il mento alzato – intento a studiare chi fosse di nuovo a bordo e chi ancora mancasse.

“Avevi detto qualche giorno!” aveva esclamato Alain quando finalmente aveva visto l’amico mentre scendeva dalla passerella. “Come ci sei andato? A piedi?”

I due si erano salutati con una pacca sulla spalla, come se fossero passati secoli dall’ultima volta in cui avevano parlato. André non si era stupito di trovarlo come se avesse dormito sotto un ponte, quanto piuttosto del fatto che si fosse di nuovo allontanato durante il servizio perché in mancanza del Capitano lui aveva ripreso a fare un po’ come gli pareva.

***

Il viaggio del riscatto della reputazione dell’Héros e del suo Capitano era stato programmato per il 13 agosto. I giorni precedenti tutto era stato preparato al dettaglio, l’equipaggio aveva avuto il tempo di tornare al completo e pareva che nulla fosse stato lasciato al caso. Le direttive erano state chiare: dopo la visita nelle regioni del Sud, il principe Aldelos e la sua famiglia sarebbero tornati in Spagna via mare. Un tragitto relativamente breve ma importante che, però, aveva sollevato qualche perplessità in molti. Perché mai una nave francese dovrebbe fare loro da scorta? Tanto più che avrebbero potuto raggiungere la patria via terra2… Gli ordini dal comando erano stati categorici: dopo i rischi che avrebbero potuto correre nella capitale, il Ministro degli Esteri aveva imposto che fosse la Marine Royale ad occuparsi del rientro. Come gesto di distensione tra i due Paesi, i cui rapporti, specialmente nel Nuovo Mondo, non erano idilliaci.

Il mattino della partenza il cielo era limpido e il sole batteva caldo sul porto. Come ogni giorno da che era tornata da Parigi, Oscar salì a bordo prima di tutti gli ufficiali (e dell’orario in cui si sarebbe dovuta presentare). Cominciò il giro di ricognizione accanto al Nostromo e si assicurò che ogni cosa fosse al proprio posto e ogni membro dell’equipaggio pronto per qualsiasi eventualità. Il navigatore le illustrò la rotta, non mancando di segnalare che da tempo capitava che al largo della Spagna i pirati non si lasciassero scappare alcuna occasione buona per attaccare. Nel suo essere pragmatica, il Capitano riferì di voler ripartire il prima possibile dal porto di Barcellona, comunque non dopo la sera stessa di arrivo nel caso le condizioni di viaggio avessero consentito di rispettare le tempistiche previste.

Il rumore delle assi di legno che scricchiolavano sotto le scarpe e le urla dell’equipaggio ormai le erano familiari: qualcuno di corsa da una parte all'altra della nave anche senza un particolare motivo urgente c’era sempre. Ci si era talmente abituata che, a meno che non l'avessero fatto il suo nome, dava quasi per scontato che non stesse succedendo niente che richiedesse la sua massima attenzione.

Aprì la porta che separava il ponte di coperta dalle scale e un cigolio sospetto la costrinse ad alzare lo sguardo per assicurarsi che non le rimanesse in mano qualcosa, quando la chiamarono.

“Bentornata!” la salutò sull’attenti Alain.

Oscar ricambiò sicura che non si sarebbero scambiati altri convenevoli, ma a quanto pareva il suo sottoposto era in vena di farle perdere un po’ di tempo quella mattina.

Il guardiamarina si sporse alla propria sinistra e afferrò la spalla di qualcuno che dava loro la schiena, concentrato a fare altro con delle corde.

“Non si saluta più adesso?” domandò al mozzo in tono ironico. “Avete visto, Capitano? Qualche settimana in cella di rigore e il nostro Philippe adesso è alto come voi!”

Il ragazzino salutò imbarazzato, mentre il compagno di viaggio gli lasciava cinque dita sulla schiena in segno di scherno facendolo barcollare.

“Mi auguro tu abbia capito.” gli disse l’ufficiale.

“Certo, Capitano Oscar.”

Le bastarono quelle poche parole perché si stupisse di un altro cambiamento in lui. La sua voce era diversa, un po’ più profonda di quanto non ricordasse. Non si aspettava di trovarlo davvero così cresciuto – neanche ci aveva pensato in realtà – e ciò la fece sorridere.

Si avvicinò di un passo e allungò una mano. “Mi aspetto che ti comporti come un uomo, adesso.”

Philippe la strinse, il suo volto era allegro. “Certamente.”

Oscar lo guardò soddisfatta di sentire sincerità in lui. Ogni segnale di giusta ripartenza era ben accolto e quello di certo lo era.

“Eh, vi assicuro che già lo fa!” si intromise Alain, a braccia incrociate e appoggiato a una cassa di legno.

Il ragazzino provò a protestare per zittirlo, ma l’altro proseguì nel rivelare il suo segreto giusto per indispettirlo.

“Ormai vi ha dimenticata…”

“Taci!”

“Il suo cuore appartiene a un’altra…” e se ne andò con un saluto veloce e portando con sé il mozzo, visibilmente imbarazzato.

Il Capitano rimase un secondo di più dov’era a guardarli allontanarsi. Era perplessa ma allo stesso tempo divertita da quella conversazione. Le sembrava che fossero un po’ tutti diversi, forse avevano solo una gran voglia di partire, e pregò che non si rovinassero l’umore tanto in fretta.

Riprese la strada per la cabina, scendendo la rampa di scale alla sua destra e procedette verso la porta in fondo al corridoio.

C’era elettricità nell’aria quella mattina, gli uomini andavano e venivano da ogni parte, spuntavano da tutte le porte e si perdevano in altrettante. Non le ci volle molto, però, a rendersi conto che qualcuno alle sue spalle si stesse a dirigendo apposta nella sua direzione.

Si voltò e Philippe era di nuovo davanti a lei, le mani in tasca e lo sguardo basso. Sembrava voler nascondere qualcosa, o meglio mostrarla ma senza darlo troppo a vedere in modo che ci arrivasse da sola e non dovesse dirglielo apertamente.

"C'è qualche problema?" gli chiese. Benché quel ragazzino le muovesse una tenerezza provata in precedenza solo per Rosalie, non aveva molto tempo da dedicargli.

Il mozzo balbettò una risposta negativa e venne gentilmente rimandato dall'equipaggio, ma rimase lì fermo. Si decise a farsi coraggio. “Volevo chiedervi scusa.”

Oscar tornò a guardarlo, non era certa di aver capito.

“Per… Per quello che è successo il mese passato… Ecco, non dovevo comportarmi così.”

“È molto maturo da parte tua, bravo.”

Lui le sorrise soddisfatto. Non era stato facile, ma la punizione gli aveva insegnato a non tirare più la corda e aveva intenzione di non deluderla più.

Si guardarono in silenzio alcuni istanti poi le si rivolse ancora, sempre più rosso in viso. Cos'era che lo spingeva a volersi affidare a lei che era il suo Capitano, il suo superiore, che con tutti (o quasi) si comportava in modo educato ma pur sempre distaccato e autorevole? Perché sentiva di potersi fidare tanto di quella donna soldato? Forse perché li portava in giro per il Mediterraneo mettendo il bene di tutti prima di ogni cosa, perché pretendeva tanto e riusciva a ottenere ciò che voleva, o forse perché era… lei, l'unica donna a bordo anche se talvolta pareva più forte e coraggiosa di molti uomini.

Philippe si schiarì la voce lasciandone uscire un filo, il giusto per poter essere udito.

"Che resti tra noi due…"

"Va bene, ma tu devi sbrigarti." cercò di mettergli fretta lei per arrivare al nocciolo della questione.

Il ragazzino annuì, ma non appena provò a spiegarsi la voce del Maggiore alle sue spalle attirò l’attenzione di entrambi. Avevano bisogno di lei in stanza di navigazione prima di partire, non potevano attendere che finisse qualsiasi cosa dovesse fare. Non era allarmato, ma la fretta che tradiva la sua richiesta non concedeva di tergiversare in altro.

"Torna al tuo posto e quando avrai un po’ di tempo, cerca André. Puoi fidarti di lui come di me, d’altronde ho saputo che è tuo amico. Digli che ti ho mandato io." concluse Oscar e lo salutò.

L’Héros finalmente salpò, dopo un mese fermo al porto di Tolone, solcando le acque del Mediterraneo accanto alla nave del Principe Aldelos. La città sparì dagli occhi in poche ore e si addentrarono al largo, senza problemi. Riponevano tutti grandi speranze in quel breve viaggio, forse anche troppe: ne andava della posizione di ognuno, perché un equipaggio ben rodato difficilmente si vuole smembrare una volta per sempre.

Il vascello viaggiava come una macchina perfettamente rodata. Se era vero che per mare bisognava affidarsi ai segni del destino come ai calcoli, quel rinnovato equilibrio sembrava essere di buon auspicio. Nonostante le nuvole che piano piano stavano coprendo il cielo sempre di più di miglio in miglio.

"André, dice il Capitano che posso fidarmi di te come di lei." esordì Philippe che colse alla sprovvista il marinaio, impegnato in altro sul castello di quarto.

Si sentiva più a proprio agio con lui, indubbiamente, anche se forse aveva voluto rivolgersi prima al loro superiore perché voleva anche dimostrarglielo che ormai era cambiato davvero.

"Sì, puoi fidarti, siamo amici tu e io.” Finse di essere risentito da quella domanda, preludio di qualcosa di importante. “C'è qualche problema?"

Quelle parole. Le stesse, identiche, che gli erano state dette dal Capitano. Rimase un istante in silenzio a contemplare la coincidenza, benché in cuor proprio sapesse che non lo era. Non era uno sprovveduto, aveva capito fin da subito che quei due fossero diversi da tutti gli altri e stranamente simili fra di loro. Gli era sembrato che ci fosse qualcosa nel modo in cui André capiva senza troppe spiegazioni cosa Oscar chiedesse quando si riferiva a tutto l'equipaggio.

"Devo scrivere una cosa... Puoi aiutarmi? Il Capitano non aveva tempo prima di partire, non so...”

André accettò e tirò fuori una matita rettangolare3 che teneva sempre in tasca, poi lo accompagnò vicino a una grande cassa di legno. Philippe parve avere qualche difficoltà che si palesarono quando tirò fuori un foglio di carta stropicciato.

Sembrava intimorito. Erano passati secoli dall'ultima volta in cui aveva effettivamente scritto qualcosa che non fosse il proprio nome e anche quello gli dava problemi. Una o due L? Doppia P?

"A chi la indirizziamo?" domandò il marinaio per rompere il ghiaccio, ma il ragazzino rimase muto a guardare prima lui e poi il foglio; aggiustò il tiro, allora, per semplificare la faccenda. "Per chi è?"

"Oh! È per… per…"

"Ti vergogni?" chiese André ridendo davanti al suo viso di nuovo rosso di imbarazzo, "Giuro che non dico niente a nessuno, ma a qualcuno dovremo mandarla!"

"Ehm... Lasciamo stare, non importa, grazie comunque."

Davanti a quella resa spontanea, però, André si rifiutò di cedere. Essendo il ragazzino più basso di lui, lo afferrò però una spalla senza alcuna difficoltà e lo riportò al suo posto in un gesto. Non esisteva al mondo che si facesse fermare dal senso del pudore solo perché non poteva scrivere da sé una lettera.

Allo stesso tempo, però, non potevano perdere altro tempo così e la faccenda si prevedeva lunga. Riprese la matita, piegò il foglio e glielo riconsegnò con l'obbligo di rivedersi sul ponte la sera stessa. Diede una rapida occhiata al cielo e cambiò idea: meglio incontrarsi sotto la copertura del ponte, di sicuro sarebbe venuto a piovere. Ormai aveva capito come interpretare le condizioni del cielo, benché lo vedesse un po’ sfocato.

Non ci volle molto, infatti, perché il tempo peggiorasse. Una pioggia dapprima leggera che si fece poi più pesante nel pomeriggio e obbligò entrambe le imbarcazioni a cambiare la tabella di marcia. Dal giorno e mezzo previsto per raggiungere la Spagna, ne misero in conto almeno due. Nessuno voleva rischiare nulla, ne andava della sopravvivenza dell’Héros tanto quanto della linea di successione al trono spagnolo.

Alla sera, puntuale dopo la cena (anzi, un po’ in anticipo), il mozzo aspettava al riparo dall’acqua che scrosciava. Era agitato, pensava a cosa avrebbe voluto scrivere con precisione, se ne sarebbe stato in grado… Sbuffò, ma quando vide il Capitano insieme ai due Tenenti attraversare il ponte si rialzò per salutare.

“Cosa ci fai qui a quest’ora, ragazzo?” gli domandò D’Audiffret interrompendo il cammino di tutti e tre.

Philippe balbettò una risposta confusa, ma presto arrivò l’aiuto.

“È colpa mia, signore.” lo interruppe André, mentre correva a fianco del ragazzino.

Gli sorrise appena Oscar: si ricordò in quel momento della richiesta che le aveva fatto al mattino e di come lei gli avesse consigliato di rivolgersi al loro comune amico. Cavò tutti dall’impiccio con un rapido Va bene così, possono rimanere e riprese la via verso la stanza di navigazione dove erano diretti.

Mozzo e marinaio si sedettero sul pavimento, il foglio sulle assi di legno ancora asciutte piegato perché non si bucasse sotto la pressione della matita. Il più giovane si sdraiò poi a pancia in giù, per essere più comodo anche se ancora non era molto convinto di come fare.

André cercò un modo per non metterlo in ulteriore difficoltà. Sapeva cosa significasse trovarsi in svantaggio rispetto a qualcuno, non voleva che si chiudesse. "Philippe, lasciamo perdere il nome, d'accordo? Dovrai però iniziare a dirle qualcosa... Lei sa leggere?"

Il ragazzino si illuminò. Il solo pensiero di lei lo imbarazzava per quanto gli piacesse averla sempre in mente.

"Oh sì, sa leggere. Sa leggere bene e sa anche scrivere! A volte dice parole che io non conosco e allora me le spiega, ma è gentile." C’era molta tenerezza nella sua voce, qualcosa che non era mai trasparito prima.

"E dimmi, ti manca quando siamo in viaggio?"

"Sì, molto."

"Scriviglielo!" esclamò il marinaio e gli indicò il punto sul foglio dove cominciare.

Insieme riuscirono a tirare fuori una prima frase di senso compiuto un po' storta ma quantomeno leggibile e questo sembrò a entrambi un grande passo avanti. Il foglio non si era neanche bucato!

"La penserai spesso, immagino..."

Philippe annuì imbarazzato. “Sempre”, poi nascose metà del volto nel palmo di una mano.

“Beh, diciamole anche questo.”

“No, scherzi? Dice che se mi distraggo troppo poi finisco nei guai un’altra volta e io non voglio.”

Un attimo di silenzio, André lo guardava occupato a trovare una soluzione tenendo la testa appoggiata alla mano.

“Tienitela stretta, Philippe.” Gli venne spontaneo dargli quel consiglio, anche se d’improvviso si sentì come gli anziani che di tanto in tanto incontrava tra le strade di Parigi e gli davano pareri non richiesti.

L’altro alzò gli occhi perplesso. Non era mica sua intenzione farla scappare via tanto presto! “Sì, certo…”

“Mi pare che sia più giudiziosa di te e ne hai un gran bisogno, fidati…”

Il mozzo, ormai a proprio agio con il suo insegnante, si lasciò finalmente andare alla confessione che tanto gli premeva nel petto.

"Voglio dirle che un giorno la sposerò, André."

Il marinaio rimase ammutolito davanti alla sicurezza di quel quindicenne illuminato dalla flebile luce della lampada appesa alla copertura per rischiarare il foglio. Il suo cuore si scaldò a quelle parole così sincere e sentite e lasciate libere con un candore che nemmeno ricordava di aver udito nell'ultimo periodo. Gli passò una mano sulla testa e gli sorrise. Com'era bello avere quell'età! Avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare a quei momenti e riviverli all'istante, uno per uno, senza tralasciare niente. Emozioni grandi e incomprensibili, stati di apatia, sciocchezze dette per il gusto di sapere come suonano.

"Scriviglielo come l'hai detto adesso." lo esortò con atteggiamento fraterno, perché conosceva la sensazione di tenersi tutto dentro pur volendo darci forma e significato e non voleva che anche lui soffrisse.

"E come l'ho detto?"

"Hai la testa dura! Scrivi: Voglio che tu sappia..."

"Voglio che tu... Che tu?"

"Sappia. Voglio che tu sappia che un giorno ti sposerò..."

Il suo cuore saltò un battito nel suggerire quelle parole. Le aveva pensate, eccome se le aveva pensate. Tante, troppe volte. Anche prima di quella sera – soprattutto prima di quella sera! – pur sapendo bene come stessero le cose e ben conscio che anche nella remota ipotesi in cui lei lo avrebbe ricambiato non sarebbe mai potuto accadere assolutamente nulla.

Philippe ci impiegò più del previsto per scrivere tutto e quando era giunto all’ultimo punto, l’altro fece un’aggiunta:

"Se me lo permetterai." poi André si spiegò, davanti al suo viso dubbioso: "Mi auguro tu non voglia obbligarla!"

"Oh no, ci mancherebbe!" e tornò alla lettera, sofferta ma finalmente terminata. La rilesse con una certa soddisfazione nella voce e quando la piegò, fece in modo che anche l'interlocutore vedesse dove fosse: tasca sinistra posteriore dei pantaloni, l'unica con un bottone.

"Bravo, Philippe. Sarà contenta di riceverla!" Le parole di André lo imbarazzarono, ma era felice di essere riuscito a scrivere quelle poche righe che gli giravano confuse nella testa da quando erano salpati.

"Gliela darò dicendole di aprirla solo quando sarà a casa sua, senza di me." proseguì il ragazzino in uno slancio in più di confidenza, "Tu però promettimi una cosa..." C'era una serietà nella sua voce quasi preoccupante che fino a quel momento non era mai venuta a galla in nessuna conversazione.

"Sentiamo."

"Se dovesse succedermi qualcosa, tu... o il Capitano Oscar... ecco... Vorrei che gliela portaste... È molto bella, è bionda, ha gli occhi verdi e le lentiggini—"

"Te lo prometto," lo interruppe il marinaio per non dover ascoltare altre parole strazianti, "ma tu non pensare più cose del genere."

***

I calcoli rifatti in base alle condizioni metereologiche avverse vennero rispettati. Un totale di due giorni di viaggio, ma il porto di Barcellona finalmente li accolse. Il principe Aldelos e la sua famiglia ringraziarono pubblicamente in nome del popolo spagnolo gli ufficiali francesi e con loro tutto il Paese che li aveva ospitati. Vi rimasero dodici ore, il tempo di rifornire il vascello con tutto ciò di cui c’era necessità.

Nonostante la pioggia incessante, non sembravano esserci particolari problemi che impedissero un ritorno in Francia in breve tempo. Pareva che le nuvole si spostassero insieme a loro e già che non si erano attirati un’altra tempesta sembrava l’unico motivo di calma. Cominciava a serpeggiare un po’ in tutti l’impressione che sarebbe arrivato l’ostacolo vero, prima o poi. Quello che avrebbe deciso le sorti dell’Héros e del suo equipaggio. La prova definitiva. Il fiuto della gente di mare per certe questioni era proverbiale.

Bastava aspettare. Il pomeriggio stesso del primo giorno del viaggio di ritorno, per la precisione.

Era iniziato tutto con l’indisposizione del Capitano, prima vittima dell’indebolito causato dal restare esposta troppo a lungo al nubifragio senza coprirsi. Se n'era accorto subito il medico quando l’aveva incrociata lungo le scale a poche ore dalla partenza e l'aveva obbligata a farsi visitare perché il suo pallore non lo convinceva. Quell’uomo aveva un occhio di riguardo nei suoi confronti: non perché fosse una donna e scorgesse una maggior debolezza; ma perché senza di lei sarebbero colati a picco un quantitativo di volte ormai grottesco e bisognava preservarla in ogni modo. Volente o nolente. Per questo le aveva imposto il riposo almeno fino al mattino dopo, perché la febbre non doveva in alcun modo salire.

Bastò un movimento brusco della nave seguito da un tonfo profondo poco distante di un oggetto pesante franato a peso morto nell'acqua, però, perché Oscar si svegliasse di soprassalto.

Ormai seduta sul letto, la giovane provò a guardare fuori dall'oblò ma tutto ciò che riuscì a vedere furono un'ombra scura e gli schizzi sul vetro. Un nuovo rumore, poi un fischio che pareva infinito e di nuovo un tonfo, questa volta dalla parte opposta. Lo scricchiolio del legno, i passi concitati, delle voci animate e... sconosciute? Non erano i suoi uomini a parlare – perlomeno non solo loro – e ciò la insospettì ancora di più. Per tanti che fossero, ormai aveva capito in che modo comunicassero e quelle urla non parevano affatto di nessuno membro dell'equipaggio.

Oscar stropicciò gli occhi per schiarire la vista e capire se non stesse ancora dormendo. Sentiva allo stesso tempo di avere caldo e freddo, la camicia e il gilet erano sudati sulla schiena e non aveva la giacca. Provò a fare mente locale, ma un altro movimento improvviso della nave la spinse quasi giù sul pavimento, costringendola a reggersi al bordo del letto.

Si alzò di corsa, infilò di fretta l'indumento mancante e afferrò la spada e la pistola sicura che almeno una delle due le sarebbero state necessarie. C'era qualcosa di assolutamente strano in tutta quell'agitazione che proveniva dal ponte di coperta che non le piaceva per niente. Maledisse quel risposo forzato: qualsiasi cosa stesse accadendo, non poteva lasciare che se la cavassero da soli. E se fosse stata presente fin da subito, sarebbe stato meglio.

Era ancora a metà della cabina che dal corridoio udì delle voci e di nuovo dei colpi, questa volta ravvicinati e contro le pareti, come se qualcuno ci venisse spinto contro con forza. All'improvviso la porta si spalancò e Oscar si trovò a terra uno degli ultimi arrivati a bordo con il naso spaccato da un pugno e un coltello stretto in una mano. Non lo conosceva bene, si era aggiunto nel mese di fermo insieme ad altri e le erano stati presentati poco prima di salpare da Tolone.

"Eccovi qui!" esordì l'uomo una volta in piedi, con un ghigno disgustoso dipinto in faccia. Si avvicinava sempre di più, costringendola a indietreggiare passo dopo passo.

Oscar impugnò meglio l'elsa e puntò l'arma verso di lui. "Cosa volete?"

D'un tratto il nuovo arrivato si fermò, senza mostrare paura della spada rivolta dritta alla propria gola. Anzi, la scansò con un gesto violento, tante volte quante lei tornava, finché non riuscì ad afferrarle il polso.

Dal corridoio, la voce di Alain ovattata da un colpo alla bocca gridava tra un respiro mozzato e l'altro: "Capitano, è un traditore! Ci hanno abbordato!"

Quello scoppiò a ridere e strinse ancora di più la presa, obbligando la propria vittima a lasciar cadere la spada. La spinse verso di sé incurante delle proteste e la squadrò da capo a piedi, come se ci fosse qualcosa che non lo convinceva del tutto.

"Che razza di capitano che siete! Ve ne state qui nascosta a lasciare che uccidiamo prima i vostri uomini!" Rise di nuovo e in quel momento a Oscar parve di essere finita nelle mani del diavolo. "Meglio per noi! Ci metteremo di meno a—"


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Note:
1) Come nell'anime, anche qui il tempo è relativo. Ormai lo avrete capito! :)
2) Sorprendentemente (ho fatto il calcolo), ci si mette di meno facendo l'ultimo tratto in nave.
3) Ho fatto una breve ricerca e pare che all'epoca le matite di grafite fossero rettangolari.

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Capitolo 17
*** Frégate Saint Antoine ***


L’uomo non fece in tempo a decretare il destino della nave che due mani gli si avventarono addosso e lo afferrarono per le spalle per rovesciarlo a terra, di nuovo sul pavimento del corridoio.

"Fuori di qui!" gli urlò André mentre lo rialzava schivando i suoi colpi e lo spingeva verso Alain che riprendeva la lotta, intenzionato a serrarlo dentro una qualche cabina vuota e impedirgli di uscire.

"Oscar, stai bene?" domandò il marinaio. Si abbassò per recuperare la spada e restituirla in fretta alla proprietaria, incredula.

Lei annuì e si precipitò fuori. "Cosa sta succedendo?"

"È come ha detto Alain: ci sono dei traditori e ci hanno abbordato. Una nave di predoni—"

Una nave di predoni. L’aveva avvisata il navigatore che erano stati segnalati pirati al largo della Spagna, come aveva fatto a non pensarci?

Un altro colpo sopra le loro teste, forte come un tuono, e uno squarcio li interruppe. André si gettò su Oscar per proteggerla dal soffitto che temeva venisse giù del tutto, mentre Alain bloccava con un pezzo di legno la porta del ripostiglio dove era stato chiuso il ribelle.

"Dobbiamo sbrigarci, o quelli ci ammazzano tutti!" esclamò lui facendo strada agli altri due.

Dovette prendere a pugni un paio di altri sconosciuti assetati del loro sangue prima di raggiungere il ponte di coperta. Si affacciarono su un vero e proprio campo di battaglia.

Sparsi ovunque sulla nave c’erano uomini che lottavano per la supremazia dell’imbarcazione, molti dei quali illecitamente. Tra gente che incrociava le spade e altri che si arrangiavano come potevano con le proprie mani, sul pavimento c’era chi si contorceva per le ferite e i calci e, da una parte e dall’altra, si cominciavano a contare i primi morti.

Un pugnale sfrecciò veloce e si piantò nello stipite sinistro della porta nell'esatto momento in cui il Capitano si affacciò dalla scala per uscire sul ponte. Lo spostamento della piccola arma nell'aria mosse leggermente i capelli sul suo viso, ora impassibile.

Davanti a lei lo scenario era ancora peggiore di quanto avesse potuto scorgere nel tragitto dalla cabina a lì. Alcuni membri dell'equipaggio stavano dando man forte ai predoni, il timoniere era stato sostituito da un altro uomo e una seconda nave – più piccola ma non meno fornita del necessario per attaccare e difendersi – viaggiava legata al vascello, unito ad esso anche da una lunga passerella di legno. Una delle vele dell’albero di trinchetto1, poi, aveva un enorme buco al centro causato da una palla di cannone e costringeva la nave a rallentare.

"Finalmente vi conosco!" affermò qualcuno da sinistra.

Oscar si voltò e vide una figura alta, snella, con i capelli corvini e l'abbigliamento trasandato avvicinarsi a lei, mentre intorno a loro infuriava l’inferno. Anche Alain e André vennero coinvolti, mentre la persona a capo della spedizione la faceva indietreggiare di nuovo nel corridoio e la pioggia non pareva voler cessare.

Alla cintura portava altri pugnali simili a quello che il Capitano aveva fatto giusto in tempo a sfilare dal legno e una spada. Lo guardò, poi tornò su quel volto chiaro abbronzato dal sole e lo infilò nella tasca della giacca.

"Quello è mio." e richiuse il passaggio alle sue spalle con un colpo secco. Non voleva disturbo. Rimasero nella penombra, rischiarata soltanto dalla luce proveniente dagli oblò delle stanze ancora aperte.

"Se lo rivolete, presentatevi e lasciate andare i miei uomini." provò a tagliare corto Oscar, ma subito si accorse che da dietro una porta alla sua sinistra c’era ancora al ribelle che cercava di buttarla giù.

L'aria sembrava irrespirabile talmente alta era la tensione. Il Capitano osservò meglio la solitudine in cui era finita e deglutì inorridita difronte ad un secondo tradimento di una parte dell'equipaggio, questa volta evidentemente pianificato meglio e chissà da quanto tempo. La nave per un istante sbandò e con essa anche loro due, che si sorressero contro le pareti per non cadere.

"Non credo il mio nome sia di vostra utilità. Ciò che conta è che voi sappiate che io non cedo nulla di mio a nessuno. Che sia uno stupido pugnale o il mare. È chiaro?"

"Il mare, dite? Il mare non è di n—" Oscar si interruppe nella protesta alle assurdità che aveva appena sentito, come colta da un'illuminazione. "Voi... Voi siete una donna!"

"Siete sveglia, Capitano!" rispose l'altra, che vedendo la propria nemesi ancora appoggiata con il braccio sul muro si impose su di lei e la costrinse con la schiena contro il muro. Nel tentativo di avvicinare una mano alla sua guancia, però, venne spostata con un gesto brusco. Si indispettì di quella reazione: "Ora consegnatevi, non ho voglia di perdere tempo."

Oscar si lasciò scappare una mezza risata di disappunto. "E perché dovrei? Il mare non è vostro e nemmeno mio, ci stiamo entrambe.”


"Non c'è affatto posto per entrambe, Capitano Oscar François De Jarjayes..."

I suoi occhi azzurri si sgranarono su quelli castani della rivale e un'espressione di furiosa indignazione ridiede colore al suo volto pallido.

Si studiarono quel tanto che fu necessario per comprendere perfettamente che, se avessero potuto, l’avrebbero risolta all’istante. Non c’era spazio, però, e soprattutto c’era un codice d’onore che in ogni caso andava rispettato sia da una parte che dall’altra e loro lo conoscevano e seguivano a dovere. Per scopi differenti.

"So tutto di questa nave. E di voi. Avete presente gli uomini che sono saliti a bordo mentre non c’eravate?" disse picchiato il palmo della mano contro la porta che resisteva ai colpi dall’altra parte. "Sono mesi che ho informatori tra loro e non solo: prima ancora c’erano quegli idioti che hanno tentato l'ammutinamento mesi fa.” poi commento: “Dio, che imbecilli!”

"Se non volete fare la stessa fine, dovrete essere voi a consegnarvi. Al soldo di chi siete?”

"Un'altra cosa che non vi deve interessare."

La sconosciuta le si avvicinò di più, viso contro viso alla medesima altezza, e provò a riprendersi il proprio pugnale anche se una mano continuava a impedirglielo.

"Vi ho detto che è mio.”

"Anche questo vascello è mio."

"Vorrà dire che dovrò uccidervi."

"Ci hanno già provato in tanti e nessuno ci è mai riuscito. Chi vi assicura di essere la persona giusta?"

Nel pronunciare quelle parole Oscar ebbe un moto di orgoglio. Aveva scampato più volte la morte lei di chiunque conoscesse, non temeva quell'ennesima prova nonostante fosse in svantaggio.

"Dato che vi piace tirarla per le lunghe, direi che l'unico modo per risolverla è un duello."

"Mi sfidate senza neanche presentarvi, mademoiselle, non è corretto." puntualizzò l'ufficiale.

L'altra sbuffò. "Milady. Non voglio avere più nulla a che fare con voi francesi." poi fece cenno a un tizio alla sua sinistra e impugnò la spada. "Se vinco io mi prendo la nave e voi sarete mia prigioniera mentre gli altri saranno obbligati a servirci: abbiamo bisogno di rinforzi all'equipaggio anche noi. Al contrario, io libero tutti e vi lascerò tornare a terra. Sarebbe comunque una mezza soddisfazione per me: vorrei proprio vedere la faccia del Viceammiraglio quando scoprirà che il Capitano dell'Héros gli ha servito sul piatto d'argento l'occasione per il disarmo.”

La sua risata soddisfatta mise Oscar davanti a un'ipotesi che non si aspettava. Quell'uomo aveva messo bene in chiaro la propria posizione nei suoi confronti, ma era davvero disposto ad arrivare a tanto pur di non avere più i problemi del vascello tra i piedi?

"Trogoff De Kerlessy vi ha mandato sulla nostra rotta, è così?" glielo domandò con rabbia composta, perché sapeva che, se avesse perso la razionalità, ci avrebbe rimesso.

"Cosa non avete capito di non voglio avere più nulla a che fare con voi francesi?" Alzò gli occhi al cielo spazientita e sfilò un altro pugnale dalla cintura. Guardò scontrosa la donna davanti a sé e senza cambiare espressione piantò la piccola arma nel legno accanto al suo volto. "Io so tutto ciò che vi riguarda e che mi interessa. So che il Viceammiraglio vuole questa... questa cosa distrutta, tanto quanto il Re d'Inghilterra desidera che la flotta francese si indebolisca. I motivi sono diversi, naturalmente. Uno vuole un guadagno personale sulla vostra pelle, l'altro non sa nemmeno che esistiate e gli interessa solo vedere il nemico indebolirsi."

"Il Re d'Inghilterra..." ripeté l'altra perplessa tra sé e sé.

"Si dà il caso che Re Giorgio mi paghi meglio di quanto non farebbe Luigi XVI... Beh, non lui dato che è matto2, ma chi per lui sa ricompensarmi a dovere."

Oscar percepì un rumore a poca distanza da sé, lo scricchiolio delle cerniere della porta che si aprì. Si sentì chiamare da André tra le urla e i colpi e capì al volo. Fece un gesto con la mano per chiedere di calmarsi e Milady non mancò di notarlo.
"Avete anche l'angelo custode, un vero onore!" commentò lei sarcastica, poi tornò seria: "Accettate il duello o devo dare ordine di affondare questo vecchio relitto con tutti voi sopra? Fate il vostro gioco."

Il Capitano respirò profondamente. Non aveva alternative, la vita dei suoi uomini valeva più di qualsiasi altra cosa al mondo. Offrì la mano. "E sia."

Una stretta vigorosa sigillò l'impegno. Lì, nel corridoio sottocoperta.

Le lame fischiarono nell’incrocio e un sibilo tagliente attraversò la penombra. Oscar si mosse istintivamente, schivando di poco un fendente improvviso. Milady emergeva come un predatore, il suo sorriso la sfidava mentre brandiva la spada con una destrezza acquisita negli scontri più disparati.

Poi, con un movimento repentino, la donna pirata riuscì a spingere la sua avversaria indietro, facendola inciampare su un asse sconnesso. Fece forza con la spada, mentre Oscar lottava per rialzarsi. Non appena si presentò il momento giusto, Milady la rispinse a terra e corse verso la porta.

Nonostante la febbre che saliva, Oscar si rimise in piedi con rabbia, determinata a non lasciarla fuggire. Con passo deciso corse lungo il corridoio, sovrastata dai passi dei suoi uomini che si precipitavano in ogni angolo della nave per vendere cara la pelle. Il suono di lame e pugni che si scontravano risuonava sempre più forte mentre il Capitano riusciva ad afferrare la sua rivale per una spalla e bloccarla contro la parete accanto all’uscio aperto.

“Non c’è onore a scappare da un duello.” le intimò l’ufficiale.

L’altra la studiò, cercando di respingere a sua volta la pressione della sua spada. Si accorse che aveva gli occhi lucidi e la fronte sudata; sfiorò casualmente la sua mano e la percepì rovente. Guardò le labbra e le vide arrossate e screpolate. Si stupì nel constatare quanta resistenza avesse per duellare con la febbre alta.

“Non c’è nemmeno onore a vincere contro chi sta male…” la provocò.

“Io sto benissimo, mademoiselle.”

Era vero. Da che aveva memoria, era l’adrenalina a tenerla in piedi nei momenti di difficoltà. Esattamente come quello.

L’appellativo francese, mademoiselle, fece andare Milady su tutte le furie e tra i denti glielo ripeté che non doveva in alcun modo chiamarla così. Invece di cedere alla violenza dello scontro che stava crescendo, decise di prenderla alla sprovvista.

Senza pensarci due volte, abbassò la propria arma e si avvicinò al volto dell’ufficiale e premette le labbra contro le sue.

Oscar contrasse ogni muscolo per l’improvvisata e si allontanò, tirandole uno schiaffo in pieno volto con la mano sinistra. Passò la manica della giacca sulla bocca e puntò di nuovo la spada al volto della rivale.

“Non vi dovete permettere!”

“Perché? È già esclusiva di qualcuno?”

Milady le rise in faccia nonostante la punta della lama fosse ormai a pochi millimetri dalla sua gola.

Un rumore possente catturò l'attenzione delle duellanti, che spostarono entrambe lo sguardo per guardare cosa stesse accadendo a metà del corridoio.

La porta che da molti minuti ormai subiva un gran numero di forti colpi venne sfondata e finì in pezzi sul pavimento. Il traditore chiuso nello stanzino da Alain era riuscito a liberarsi e correva a gran velocità verso il Capitano.

All’improvviso però si fermò e finì a terra in una pozza di sangue. La mira infallibile di Milady le aveva permesso di lanciargli uno dei suoi pugnali dritto nello stomaco, uccidendolo.

“Non pensate che io vi abbia salvata. Al contrario, vi sto condannando a morte: per mano mia e solo mia.”

Le due donne a quel punto proseguirono nello scontro, nessuna delle due intenzionata a concedere neanche un centimetro all'altra. Si decisero a uscire sul ponte, però, che seppur caotico e fradicio di pioggia, non le obbligava allo spazio ristretto del corridoio.

Finirono anche loro in mezzo alla bolgia, circondate da uomini che vendevano cara la pelle ogni istante di più. Per un momento il Capitano riuscì a gettare un’occhiata alla fregata abbordata al vascello e notò delle mani battere su uno degli oblò.

Fece in tempo a dare un solo ordine: “Non affondate la nave!”

Gli uomini ai cannoni si voltarono perplessi nell’agitazione del momento caotico.

“Se non attacchiamo ci affonderanno loro!” obiettò il Maggiore, liberatosi di un paio di pirati.

“Hanno degli ostaggi, non affondate la nave!”

La lotta ricominciò senza tregua, entrambe determinati a non cedere. Oscar, con la sua precisione, cercava di trovare un varco nelle difese della sua avversaria, mentre Milady continuava a sferrare colpi agili e potenti.

D’un tratto, un rumore dall’alto catturò l'attenzione delle duellanti, che alzarono entrambe lo sguardo per guardare cosa stesse accadendo sopra le loro teste nonostante fossero ancora nel mezzo di un braccio di ferro serratissimo con le loro spade incrociate.

La balaustra di legno del castello di quarto si piegò sotto il peso di due uomini troppo presi dallo scontro per far caso a dove fossero finiti. Un pezzo di legno si sgretolò, ma il resto rimase ancora al suo posto benché in equilibrio molto precario.

"Se ci cade addosso ci saranno due equipaggi senza capitano." commentò sarcastica Milady, poi alzò la voce per essere udita da tutti: "Il mio saprà cavarsela da solo e non avrà pietà del vostro!"

Le due donne proseguirono nello scontro, nessuna delle due intenzionata a concedere neanche un centimetro all'altra. D’altronde, non c’era lo spazio per potersi allontanare troppo.

All’improvviso, la condanna definitiva. Al pirata venne in soccorso un suo compagno, che si precipitò addosso a un rivale della nave francese ancora vicino al legno pericolante.

La balaustra non resse il peso dei tre uomini e cedette, provocandone la caduta. Oscar se ne accorse appena in tempo e tentò l'impossibile. Afferrò il braccio libero della rivale per tirarla verso di sé poi lontano dove sapeva non sarebbero state colpite. Mentre la spingeva per evitare a entrambe di rimanere schiacciate, però, scivolò sulle assi di legno e ci cadde sopra strisciando l'intero fianco sinistro e la spalla.

Sentì il dolore del colpo confondersi con il bruciore dell'abrasione scoperta dalla stoffa dell'uniforme e della camicia ormai lacerate. Provò ad alzarsi, ma il peso di uno stivale sul braccio la obbligò a rimanere a terra.

"Encomiabile il vostro gesto, ma non aveva più senso consegnarvi subito?" la provocò Milady, che le puntò la spada sotto il mento per impedirle di protestare.

"Sono una persona corretta, io."

"Che ora è nelle mie mani." puntualizzò l'altra, caustica: "Il Capitano Jarjayes ha perso e da questo momento siete prigioniera mia e solo io posso decidere della vostra sorte."

Milady, nell'annunciarle la condanna, era rimasta in piedi e china sul volto della rivale. Oscar ne approfittò e senza farsi notare infilò la mano nella tasca sinistra per afferrare il pugnale.

Attese immobile, il tanto per regolare il respiro affannato, poi al momento giusto estrasse rapidissima l'arma e ferì l'altra di taglio su una gamba costringendola a cadere e liberarla.

Con uno scatto recuperò la spada e la strinse più forte che poté per non che le scivolasse.

Milady si diresse a passo svelto, di nuovo in piedi anche se dolorante e con i pantaloni macchiati di sangue.

Si puntarono di nuovo le armi addosso e senza neanche doverlo annunciare ricominciarono il duello. Entrambe affaticate, una per la febbre e l’altra per la ferita, ripresero lo scontro senza esclusione di colpi.

Nonostante gli sforzi, però, la temperatura alta del corpo pareva essere una buona alleata per la rivale, che passo dopo passo riuscì a far indietreggiare Oscar il tanto per metterla alle strette. Benché la scena gli fosse un po’ lontana, André riuscì a vederla in difficoltà. Si liberò da chi aveva intorno e provò a raggiungerla, ma qualcuno lo anticipò.

Philippe si gettò addosso a Milady e la buttò a terra, prima di essere afferrato da un tizio grosso il doppio di lui. Il marinaio giunse in tempo per mettersi in mezzo tra le due donne e impedire a quella a terra di recuperare la spada caduta sul pavimento.

All'improvviso, però, lei diede un ordine inaspettato. Urlò qualcosa in inglese e alle loro spalle un pirata lo afferrò per immobilizzare il giovane e tappargli la bocca, mentre un secondo uomo obbligava il Capitano con la schiena al muro.

Milady rise flebilmente di nuovo davanti a ciò che lei stessa definì sarcastica un bel quadretto familiare. Tutto intorno l’inferno continuava a dispiegarsi violento. Nonostante la forza di commentare ciò che vedeva, non riusciva ad alzarsi. Il colpo alla schiena contro le assi di legno del pavimento era stato molto forte e la ferita alla gamba continuava a sanguinare. Lasciò a discrezione dei due pirati cosa fare dei suoi ostaggi.

Ancora schiacciata tra la parete e l’energumeno, Oscar con la coda dell'occhio notò che l'uomo che aveva bloccato André lo strattonò e quasi lo buttò a terra. Urlò il suo nome e lui le risposte dimenandosi, prima che lo sconosciuto lo stringesse di più e provasse a portarlo via chissà dove.

"Lui resta qui." sentenziò la donna a terra e guardò. "Vi faccio una nuova proposta, Capitano."

"Non toccatelo!" gridò l'altra, tentando di liberarsi dalla presa.

"Oh certo, non lo tocco... se voi vi consegnate."

Oscar allentò gradualmente la resistenza, incredula. Vide l’amico scuotere la testa e cercare di farle capire senza parlare che non doveva farlo questo sacrificio per lui, a un passo dall’essere trascinato verso la balaustra di tribordo.

André sentì la mano che premeva sulla bocca allontanarsi dopo un cenno di Milady e tentò di intercedere.

"Salvare un marinaio è inutile!"

"Cosa?" fece la loro persecutrice, interdetta. Cercava di rialzarsi, anche se a tentoni.

"Imprigionate il capitano di una nave ma salvate uno che non conta niente? A cosa vi serve?"

"Taci!" gli urlò Oscar. Il pirata la zittì con un sono schiaffo su una guancia.

Il modo in cui la situazione stava cambiando le impedì di sfruttarla a proprio favore. Se fosse successo qualcosa ad André, anche il graffio più piccolo, non se lo sarebbe mai perdonata.

Milady li guardò entrambi un paio di volte con un mezzo sorriso in volto. Ora, quantomeno, era in ginocchio.

Il giovane si impuntò. "Ferma! È molto meglio avere lei sana e salva."

Il Capitano approfittò della distrazione causata dall’uscita del marinaio e atterrò l’uomo con una ginocchiata nello stomaco. Tentò l’impossibile un’altra volta. Si gettò addosso all’altra donna e le puntò il pugnale alla schiena, tenendola ferma. L’altra sentì un brivido attraversarle la spina dorsale per il gesto inaspettato. Come aveva fatto ad essere così veloce?

"Consegnate cintura e pistola." le intimò alle spalle. Teneva gli occhi azzurri fissi sull'energumeno che ancora serrava le braccia al suo amico.

Milady fece un gesto con le mani, come a darle il permesso di sbrigarsela da sé. Le armi finirono a terra in un secondo.

"Come diavolo avete fatto? Dannazione a voi!" sibilò.

La risposta però non riuscì a raggiungerla. Un ennesimo predone si era avventato su loro due, schiacciandole.

André non aveva fatto in tempo ad avvertirla. Quell’uomo aveva spinto sia lui che il suo aguzzino da un lato ed erano caduti su altra gente, in mezzo al marasma; quando aveva urlato a Oscar di fare attenzione era già troppo tardi.

Il vento infuriava e le due navi procedevano scostanti in mezzo al mare, tra le onde e la pioggia scrosciante. Da una parte feriti e caduti non si contavano neanche più talmente era dirompente la violenza. Dall’altra, c’erano ancora delle persone che tentavano di attirare l’attenzione di qualcuno, segregati dentro un’imbarcazione, la frégate Saint Antoine che prometteva morte e distruzione.

Non c’era più controllo sull’Héros. Pareva ormai un tutti contro tutti senza soluzione di continuità. Ma quantomeno i cannoni seguivano il dubbioso ordine del suo Capitano: sparavano ovunque, ma non affondavano il nemico. I pirati sembravano ormai a un passo dalla vittoria, nonostante la loro guida fosse ancora distesa sul legno fradicio e, sopra di lei, la sua rivale venisse sollevata per essere gettata di nuovo contro la parete del castello di quarto. Serrò gli occhi e strinse i denti, una reazione spontanea all’imminente urto doloroso.

Finì effettivamente contro un muro, ma non quello che credeva. Si era sentita trasportare altrove e quando riaprì le palpebre non si trovava più sul ponte. Era di nuovo sottocoperta, in uno stanzino con la porta divelta. Era immersa nell’ombra, però: qualcuno doveva aver chiuso la porta del corridoio. C’erano alcuni corpi inermi a terra, immersi nel sangue.

“Capitano, state bene?”

Oscar provò a cercare di capire chi le stesse parlando. I rumori della lotta sopra le loro teste rimbombavano tanto quanto il temporale.

“Capitano? STATE BENE?”

Era una voce maschile.

Si strofinò gli occhi, tutto di lei tremava. Aveva caldissimo e freddissimo allo stesso tempo, le era difficile trovare la minima concentrazione per rispondere. Poi un pensiero le rischiarò all’improvviso il buio in cui la sua mente cominciava a sprofondare.

“André!” esclamò terrorizzata. Lo aveva visto con la coda dell’occhio gettato lontano da dov’erano il secondo prima di essere schiacciata a terra. “Dov’è André? D… Devo andare da lui!” Tossì violentemente, come se fosse ancora vittima del peso che l’aveva sovrastata.

“Dovete restare qui, Capitano!” rispose l’altro, che la sorresse mentre sopra di loro un frastuono fece tremare il soffitto.

La giovane non voleva sentire ragioni.

“André è in pericolo!” Si sbracciò per provare a liberarsi e tornare sul ponte, proseguendo nella protesta. “Il mio André! Il mio André è in pericolo!”

“Il… Il mio André?”

Oscar si rese conto. Di chi aveva davanti e di cosa aveva appena detto. Socchiuse le labbra, ma la voce non le uscì. Per quello che poté, strinse tra le dita la stoffa delle maniche dell’uomo, attonita.

Provò a ripetere ciò che aveva appena detto, neanche lei sicura di cosa stesse realmente accadendo. “Il mio…”

L’altro provò a cercare il suo sguardo nell’ombra. Percepì la presa sulla propria giacca farsi sempre più leggera e il suo respiro affannoso.
“Ma certo…” replicò lui in uno slancio di accondiscendenza: aveva compreso cosa stesse succedendo. “Vado… Vado io a salvarlo, non preoccupatevi.”
Nel momento esatto in cui lui pronunciò quelle parole, però, Oscar si sentì sopraffare dalla fatica e dalla febbre. Istintivamente chiuse di nuovo gli occhi. Tutto divenne ancora più buio, le voci lontane e indistinte. Svenne, scivolando contro la parete.

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Note:
1) Albero posto sul castello di prua (nella parte anteriore della nave)
2) Re Giorgio III è famoso (anche) per la sua infermità mentale, probabilmente conseguente della porfiria
 

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Capitolo 18
*** Après Saint Antoine (parte 1) ***


 
Si svegliò confusa.

Intorno a lei era tutto sfocato, la stanza si muoveva. Socchiuse le palpebre, lentamente. I raggi di un timido sole che entravano dall’oblò le davano fastidio. Provò a fare un respiro profondo, ma una fitta le percorse il torace. Passò una mano sul volto, per tentare di capire almeno se fosse viva, e sentì di avere la pelle coperta di ferite che bruciavano ancora. Scoprì di avere una fasciatura alla fronte, inoltre.

Non capiva dove fosse, non ricordava nulla. Non aveva particolare memoria di niente, solo qualche immagine qua e là che le procurava un gran mal di testa. Doveva essere finita in mezzo a una colluttazione piuttosto violenta e poi svenuta a un certo punto, ma non prima di aver parlato con qualcuno – forse addirittura urlato! – non poteva giurarci... Aveva la febbre, di questo era sicura, ma qualcosa l’aveva portata fuori dalla cabina. I volti e le urla di uomini sconosciuti a bordo le cominciavano a fare capolino tra i pensieri. Possibile fossero stati attaccati da dei predoni? Sì, qualcosa di simile.

Non riuscire a completare a dovere il mosaico degli ultimi eventi, però, la seccava terribilmente, al punto di credere di non essere più in grado di distinguere fra sogno e realtà.

Si guardò intorno come poté dal letto dell'infermeria e notò la presenza di almeno una ventina di uomini, tutti storditi dal laudano. Alcuni erano adagiati in due sullo stesso letto: dovevano essere più di venti. Si sforzò ancora di ricordare e le sembrò che l’ultima volta che era vigile non fosse lì e nemmeno nella propria cabina.

Provò a muoversi, ma ogni muscolo le doleva. Non aveva la forza neanche per lamentarsi, anche se il senso del pudore e la proverbiale resistenza glielo avrebbero impedito in ogni caso.

Voltò solo il viso e trasalì appena. Lo vide lì, al suo fianco. André dormiva nella branda accanto, fasciato e medicato ovunque i suoi occhi riuscissero a guardare, con un braccio legato al collo e gli ennesimi lividi. Il cuore ricominciò a batterle forte, lo stomaco si strinse e le mani tremarono. Aveva rischiato di perderlo, questo lo ricordava bene. Purtroppo. Per un momento pensò di averlo sognato, che fosse soltanto uno dei tanti incubi che le capitavano spesso e che la preoccupazione fosse eccessiva. Poi, però, ebbe finalmente contezza di dove fossero e la realtà la svegliò del tutto.

Oscar si girò piano su un fianco, nonostante il corpo provasse a impedirglielo, e lo osservò investita da una sensazione sconosciuta (o che forse nei mesi aveva dimenticato). Si concentrò su di lui, immerso in un sonno profondo di cui avrà avuto bisogno da chissà quanto. Lo guardò in silenzio, come non l’aveva mai guardato. Così intensamente che prese perfino il ritmo del suo respiro e ora inspiravano ed espiravano all'unisono. Come per istinto e come un tempo, quel tempo che adesso voleva riportare indietro e vivere in maniera diversa.

Le tempie pulsarono all'improvviso quando un ricordo ben preciso le rischiarò il buio in cui verteva.

Il mio André.

Lo aveva chiamato così davanti al Maggiore, dopo che quest’ultimo era riuscito a portarla via dallo scontro diretto. Doveva aver protestato, se un poco si conosceva. Era una questione di onore, sì, ma… Il suo André da solo a rischiare la pelle non lo avrebbe mai lasciato di propria sponte.

Chiamò quel nome senza emettere un suono: mosse soltanto le labbra senza far vibrare le corde vocali. Lo ripeté più volte, sicura che lui la riuscisse ad ascoltare anche da addormentato.

D’un tratto, però, si stranì. Sentiva il bisogno di toccarlo, di sfiorare la sua pelle per un istante, uno solo, perché la necessità di avere una prova in più del fatto che era vivo era più forte perfino del dolore e della distanza. Oscar allungò piano il braccio e poi si sporse leggermente per provare a raggiungerlo. Aprì la mano destra, distese l'indice, ma si accorse che in quelle condizioni non ci sarebbe mai arrivata.

Quando si rese conto che alcuni cominciavano a dare segni di ripresa quantomeno di coscienza si ritrasse, rimanendo però sdraiata su un fianco. Non riusciva a distogliere lo sguardo: seguì il suo profilo, millimetro dopo millimetro, come se fosse la prima volta invece dell'ennesima.

Vide le cicatrici – chissà quante lasciate da lei e quante nuove – i capelli ribelli che ricadevano sulla pelle ora abbronzata, le ciglia lunghe, le labbra leggermente aperte per respirare e si accorse, poi, con grande sorpresa, che sul naso e sulle guance erano apparse delle lentiggini. Non le aveva mai notate prima di quel momento e l'idea di non avergli mai dato l'attenzione che meritava l'afferrò per il collo e la strattonò.

Da quanto tempo covava dentro di sé quel sentimento che ora riconosceva in tutta la sua intensità? E da quanto tempo lo ignorava? Provò a ripercorrere al contrario il filo rosso della sua vita e si vide sempre accanto a lui, da che aveva memoria, che fosse fisicamente presente o solo col pensiero. C'era quando a Versailles camminava da sola per i corridoi, quando era a colloquio con la Regina e perfino quando Fersen la metteva in difficoltà con se stessa. André era con lei anche quando se ne era allontanata per stare da sola, in Normandia, prima di partire per la Provenza e non aveva idea che se lo sarebbe ritrovato sulla nave.

Allora quale era la tessera mancante nel mosaico della loro esistenza insieme? Quella che ora le faceva tremare i polsi perché credeva di aver sbagliato tutto, di aver sprecato un sacco di tempo ed energie che avrebbe potuto dedicargli senza darlo per scontato?

Un colpo di tosse la costrinse a ritornare supina, ma gli occhi si spostarono inevitabilmente su quell'uomo che lei aveva conosciuto bambino e percepì distinto il calore di una lacrima rigarle il viso e scendere lungo una tempia. Avrebbe voluto chiedergli scusa, perché ancora una volta lui si era trovato in pericolo a causa sua, ma riuscì a stento a pronunciarne il nome con un filo di voce, bassissima, che rimase per sé. Erano circondati da troppe persone, benché addormentate o ancora stordite, e anche se fossero stati soli le sarebbe mancato comunque il coraggio per ammettere a se stessa che quello che provava era valido. Ed era bello, perché sincero.

Quando fu sicura che anche l'ultimo dei presenti voltato nella sua direzione avesse di nuovo girato le spalle, Oscar allungò ancora il braccio, ma questa volta si fermò prima e appoggiò la mano sul bordo della branda. Non voleva correre il rischio di svegliarlo né di disturbarlo, era sicura che si fosse battuto con onore anche mentre lei era svenuta e che avesse difeso il vascello al massimo delle sue forze anche se lei non aveva assistito a tutto. Era stata riportata sottocoperta appena in tempo per non essere presa davvero come ostaggio o addirittura uccisa, ma non aveva dubbi sul suo coraggio.

Lo sciabordio delle onde che entrava nell'infermeria dall'oblò aperto risuonava all'interno della grande stanza gremita di gente, come una ninna nanna offerta dalla natura per calmare gli animi agitati dei sopravvissuti. Sentì la stanchezza avvicinarsi un'altra volta e chiuderle gli occhi, ma il braccio restò lì, allungato verso la branda a poca distanza dalla propria e la mano a sfiorare quel marinaio che le dormiva accanto ignaro della dolcissima tempesta che le stava provocando nel cuore.

Quando si risvegliò, il Capitano scoprì che lui non c'era più. Quasi tutti erano spariti, in realtà. Soltanto i feriti più gravi erano ancora in infermeria, gli altri più sani e capaci di camminare sulle proprie gambe avevano lasciato il posto a chi ne avrebbe necessitato di più. O almeno così si spiegò Oscar dopo un brevissimo momento di panico, tra il sonno e la ragione, in cui scenari catastrofici le avevano attraversato la mente ingannandola sui motivi della sparizione di André. E anche di tutti gli altri, ma di André in particolare. Si alzò di scatto per sedersi, ma prese male le misure e finì per sbattere la testa contro la branda di sopra con un lamento strozzato.

"Capitano!" esclamò il dottore voltandosi mentre somministrava qualcosa a un ragazzo in pantaloni bianchi, "Avete la testa dura ma non mettetela alla prova!"

La giovane donna si mise in piedi – una mano sul capo per massaggiare dove aveva appena preso il colpo e l'altra sul letto dove ricordava di aver visto André – e si accorse di essere in camicia e gilet. Si guardò intorno, ma la giacca sembrava scomparsa. Non sapeva perché non l'avesse addosso come sempre, ma da qualche parte doveva pur essere.

"Vi avevo detto di rimanere nella vostra cabina, ma non mi avete dato retta e siete svenuta." se ne uscì il medico come se avesse intercettato le sue domande e la situazione fosse stata davvero così semplice.

"Ora sto bene. Credo che lascerò il posto a chi ne ha bisogno..." concluse lei mentre si avviava alla porta sostenendosi in ciò che le capitava.

Uscì in corridoio e piano piano i suoi occhi si abituarono al disastro che si manifestava ogni metro più reale. Porte divelte, pezzi di legno ovunque, macchie di sangue sparse sul pavimento e non solo. C’erano perfino delle armi abbandonate, perlopiù spade, e qualche scarpa. Non era la sua nave quella. Non era nemmeno un campo di battaglia. Era lo spettro di una sconfitta personale, anche se, apparentemente, ne erano comunque usciti vincitori. Chissà come…

Attraversò la soglia per recarsi sul ponte e per la prima volta in vita sua pensò che forse non avrebbe voluto accertarsi di ciò che era successo. Rimanere nell’ignoranza le avrebbe risparmiato la più cocente delle delusioni.

Il vascello si reggeva in piedi per miracolo, ancora abbordato dalla fregata a babordo. La vela dell’albero di trinchetto squarciata dalla palla di cannone era la cosa più a posto su cui i suoi occhi si posarono. Si guardò intorno, agghiacciata. Non si sarebbe mai perdonata un disastro del genere.

Si sentì persa in se stessa. Ogni passo era pesante, cauto a non pestare un asse dissestato e non sprofondare sottocoperta. Studiò con attenzione tutto e tutti ed era come camminare in un cimitero lugubre, nonostante il sole che tramontava all’orizzonte tra le nuvole che si diradavano.

Chi restava dell’equipaggio si aggirava per il ponte in cerca di qualcosa da salvare, da sistemare alla bene e meglio pur di non rimanere con le mani in mano. La salutavano, sollevati che almeno lei fosse ancora viva.

Oscar fermò un sottoufficiale che le passava accanto. Non era da capitano dover chiedere cosa fosse accaduto sulla propria nave, ma ormai il danno era fatto.

“Cos’è accaduto dopo…?”

Non sapeva neanche lei dopo cosa. Dopo essere svenuta? Dopo essere sparita e non averli aiutati fino in fondo?

Dopo. Punto.

“Capitano, vi siete risparmiata il peggio.” fece il suo sottoposto e si congedò, chiamato da qualcuno alle sue spalle.

Oscar proseguì, alla ricerca qualcosa o qualcuno che le indicasse la risoluzione ai propri dubbi. Ma nessuno pareva in vena di parlare e niente a posto per suggerire altro che violenza.

Cosa c’era di peggio rispetto a ciò a cui aveva assistito?

Istintivamente si diresse agli alloggi dell’equipaggio, ma non le fu necessario scendere per avere maggiori spiegazioni. Incrociò sulla strada il Maggiore, conciato non troppo meglio di lei, e si salutarono.

“Sono felice di sapervi in forze, Capitano.” esordì l’uomo cercando di ignorare come fosse andata la loro ultima conversazione.

“Credo di dovervi ringraziare.” rispose Oscar, “Avete salvato la nave.”

De Chabon si mise per un attimo sull’attenti. “Dovere. Consideratelo un modo per ricambiare ciò che fate per noi.”

“Non—”

“E poi non è solo merito mio. Voi ci aiutate nelle esercitazioni, ci avete indicato la presenza degli ostaggi e insieme a quel veliero che vedete a tribordo siamo ancora qui a parlare.”

L’uomo indicò una grande imbarcazione che li scortava, rapida e intatta. Era dipinta di un nero intenso e le vele bianche spiccavano sul cielo arancione.

Oscar provò a capire che bandiera battesse, ma erano un po’ troppo distanti perché la riconoscesse. I colori le sembravano noti, ma il male alla testa le affaticava la vista impedendole di distinguerli meglio.

“Chi sono?”

Il Maggiore si schiarì la voce. “Sono maltesi. Ci hanno notati nonostante le bandiere di pericolo non fossero issate. Capirete anche voi anche non ci sia stato possibile— “

“Va bene così.” concluse lei nel tono meno scontroso che le riuscì. Avrebbero avuto tempo più tardi per sviscerare l’argomento.

Si congedarono, nelle direzioni opposte. Dopo pochi passi, però, l’altro ufficiale si girò per chiamarla.

“È negli alloggi.”

Oscar lo guardò perplessa. Non era sicura di afferrare le sue parole; o meglio, faticava a capire se il contesto in cui doveva inserirle fosse quello giusto.

“Grandier. Lo trovate negli alloggi.” e la salutò a più tardi nella stanza di navigazione, o qualunque cosa ne fosse rimasta.

Ebbe la conferma di aver avuto la giusta intuizione. Aveva immagini confuse di qualche ore prima, ma sapeva che sul momento non aveva capito chi l’avesse portata sottocoperta. Ricordava cosa avesse detto, ma le fu chiaro grazie alle sue parole a chi si fosse rivolta.

Si fece coraggio, un po’ per affrontare la desolazione che la circondava e un po’ per ciò che la stava aspettando.



La accompagnò un sottoposto che incontrò sulle scale. Era stato lui a insistere, nonostante lei avesse assicurato che non ce n’era bisogno: non poteva garantire che i suoi compagni fossero presentabili. La fece attendere fuori dalla porta per avvisarli del suo arrivo e dall’interno, insieme ai lamenti indistinti, si udì un trambusto di persone che si muovevano.

Quando finalmente riuscì ad entrare, Oscar osservò l’intero stanzone. La luce del tramonto filtrava dagli oblò aperti, ma era comunque uno spazio piuttosto scuro. L’atmosfera e l’umore generale, d’altronde, non aiutavano. Li guardò a uno a uno i volti di chi era stato mandato a riposare dopo essere stato medicato.  Gli altri, se potevano, si davano da fare dove ci fosse bisogno: pressoché ovunque.

La colpì anche la consapevolezza che molti di quei letti adesso vuoti non sarebbero stati più riempiti dalle medesime persone. Non avrebbe saputo dire quanti fossero – non ancora quantomeno – ma anche uno solo era troppo. Teneva in conto che nel loro mondo ci fossero grandi rischi, ma nonostante i tanti anni circondata dalle armi era ancora difficile farseli scivolare addosso quando diventavano realtà.

I superstiti la accolsero, benché malconci, sull’attenti, come potevano. Li invitò al riposo, non le interessava il decoro in quel momento. Preferiva che rimanessero interi e non si sforzassero troppo.

“Sono venuta a controllare in quali condizioni versaste.” Non sapeva neanche che cosa volesse dire loro. Le parole più banali che potesse pensare le uscirono dalle labbra spontaneamente, per infrangere il silenzio imbarazzante.

Si sentiva gli occhi puntati addosso ma non ne comprendeva le intenzioni. Poteva essere risentimento, o frustrazione, o rabbia… Potevano avercela con lei e non li avrebbe biasimati più di tanto.

“Avete rischiato molto grosso e perso molti compagni, molti amici…”

“Capitano.” la interruppe qualcuno dal fondo della stanza. Il suo tono era grave, il volto duro e livido. “Capitano, per la maggior parte di noi questa non è la prima volta. Saliamo a bordo accettando il nostro destino, perché non ci sono alternative a terra.” Alain
si lasciò scappare una mezza risata mesta. “Anche se è la prima volta che qualcuno si preoccupa di chi è rimasto, in effetti…”

Provò a ribattere: “Mi sembra il minimo.”

“Non per tutti. Anzi, per quasi nessuno. Però, perdonate la franchezza, anche se apprezziamo il vostro interesse e quello che fate, non credo che al momento abbiamo tanto da dirvi.”

Oscar comprese. In altre occasioni non si sarebbe neanche dovuta sporcare le mani per chiudere tutti in cella di rigore a oltranza, ma… Avevano ragione, anche se uno solo di loro aveva parlato.

Diede un’ultima occhiata in giro e lo vide accanto alla sua branda. Come si reggesse in piedi era un mistero: lo era sempre stato, in realtà, perché anche quando era lei a conciarlo male André non si dava per vinto. Ora, però, dopo aver rischiato così tanto... Provò una stretta al cuore ancora più intensa e si trovò a dover stringere i pugni dietro la schiena per non mostrarsi in difficoltà.

Era meglio andare, dopotutto. Loro non volevano vederla né parlarle e non c’erano tante scuse per pretendere che si mantenesse il rigore della gerarchia in quella situazione. Dovette arrendersi all’evidenza di non potersi imporre. Ci avrebbero pensato il giorno dopo.

Si scusò e lasciò gli alloggi, dopo averli salutati.

Tornò sui propri passi, camminando lungo il corridoio ossessionata da pensieri contrastanti. Provava a preoccuparsi per tutti in egual misura, ma solo André occupava il posto al centro delle sue paure.

“Oscar!”

Si fermò a pochi passi dalle scale, già appoggiata al corrimano un po’ traballante. L’amico le si avvicinò piano, a fatica, ma la raggiunse infine e lei si disse che non voleva parlare con altri, in effetti, se non con lui.

“Come stai? Sei pallida.”

“Meglio, grazie. Credo di avere ancora un po’ di febbre, ma passerà… Tu piuttosto?”

André sospirò e alzò il braccio fasciato come poté. - Non mi è andata troppo male, alla fine. Il peggio è solo un braccio rotto.

Oscar ascoltava le sue parole e le conservava una per una, come le fossero necessarie per respirare. La sua voce, così gentile e profonda, era ciò di cui aveva bisogno. Gli occhi tornarono sul suo viso, in penombra, alla ricerca di quei minuscoli dettagli sulla sua pelle che aveva scoperto poco prima.

“Vuoi che ti accompagni in cabina?”

Ci rifletté su, anche se per la verità la risposta le era già ben chiara. Ciò nonostante, preferì rifiutare la sua offerta. Non voleva che si stancasse troppo.

Dopo aver indugiato entrambi su un ultimo saluto, le loro strade si divisero.

André rientrò negli alloggi, dove ormai più nessuno dormiva e si stupì nel constatare che stavano ancora parlando di lei ma non nei termini che si sarebbe aspettato. Parevano, chi più e chi meno, comprensivi nei suoi riguardi. Qualcuno sollevò un lecito dubbio: una volta informato il comando di terra, ci sarebbe davvero stato il disarmo dell’Héros? Avrebbero dovuto davvero dire addio alla loro casa da diversi anni? Dividersi gli uni dagli altri e chissà se si sarebbero più trovati tutti insieme – militari, marinai, mozzi e chi altro – a solcare il mar Mediterraneo? E anche quella donna, quell’assurdo capitano i cui sforzi nei mesi avevano dato i frutti sperati. Se non erano stati fatti prigionieri tutti subito, se qualche superstite c’era era grazie alle interminabili ore di esercitazioni a cui li sottoponeva da che era arrivata.

Alain si avvicinò ad André, senza farsi notare troppo. Si appoggiò con la schiena al suo stesso muro e gli parlò a bassa voce, per non essere udito dagli altri.

“Se dovesse esserci il disarmo e il Capitano venisse mandata su un’altra nave…”

“La seguirei, Alain.” replicò l’amico, senza distogliere lo sguardo dal gruppo. - Come ho sempre fatto.

Sentì una fitta al braccio, ma non si lamentò. Si strinse nelle spalle e ascoltò la conversazione intorno a loro.

Il guardiamarina prese a osservarlo con costernazione. Doveva esserne veramente molto innamorato, oppure completamente pazzo, per essere certo di voler cambiare vita ancora una volta per lei.

Evitò di porlo davanti all’ipotesi che sapeva essere la più caldeggiata dal comando di terra, sarebbe stato inutile. Avrebbe detto addio alla Marina Reale in cinque minuti se l’avessero congedata, anche solo per tenerle compagnia in attesa di trovarsi da fare.

Molto innamorato, o completamente pazzo. Forse entrambe le cose.



Oscar trovò finalmente la giacca. Appoggiata al tavolo della propria cabina, un po’ stropicciata e logora ma tutto sommato intatta. Era comunque piazzata meglio di quanto non si sentisse lei stessa. La indossò di nuovo, con somma fatica, e si domandò fin dove l’avrebbe sostenuta il corpo se avesse continuato a spingersi così tanto oltre il limite. Quella, però, era la sua vita da che ne aveva memoria e non l’avrebbe scambiata con null’altro. Trovò il nastro nero in una tasca e solo in quel momento si accorse di avere i capelli sciolti. Guardò il pezzo di stoffa e lo ripose dove lo aveva trovato. Non era una priorità in quel momento.

Nel trambusto generale, per quale motivo c'era ancora quella strana sensazione di vuoto, lì sopra allo stomaco, che bruciava nel petto e si insinuava in ogni fibra del suo corpo? Lei voleva restare da sola, dannazione, da sola per riflettere sugli errori che aveva commesso! No. Voleva restare da sola con André. Non c'era altra cosa al mondo che volesse di più che non stare in sua compagnia. In silenzio, immobili, ma insieme. Oscar aveva preferito rientrare in cabina senza André accanto e l'altro non aveva insistito per rispettare i suoi spazi e i rispettivi ruoli, ma si trovò ad ammettere che i suoi spazi lo vedevano incluso da sempre.

Qualcuno bussò alla porta, interrompendo il flusso di coscienza. Quando ebbe il permesso di entrare si materializzò con l'aspetto dei suoi ufficiali. Li aveva fatti chiamare da chi aveva incrociato sul ponte, nel tragitto di ritorno dagli alloggi. Preferiva parlarci lì, dove c’erano più spazio e meno danni. In effetti, pareva che quasi nessuno si fosse avventurato fin laggiù.

I volti di quei tre uomini ricoperti di ferite e lividi erano resi ancora più scuri da espressioni costernate e dismesse, come se le sgradevoli notizie che dovevano darle li toccassero personalmente. O toccassero lei. Oscar li guardava immobile, appoggiata allo schienale della sedia, e prima ancora di sapere cosa avessero da dire aveva già capito il contenuto di quei fogli che tenevano in mano.

"Abbiamo—" esordì il Maggiore, la voce grave e contrita, perfino a disagio nonostante fosse un compito che aveva purtroppo dovuto svolgere altre volte.

"Quanti sono?" lo interruppe il Capitano senza mezzi termini. Li invitò a sedersi, per parlarne meglio, e quando si accomodarono vide meglio in che condizioni versassero. Pietose, come prevedibile.

"L’elenco che vedete su questi documenti non è esaustivo.” proseguì De Valeau, “Non possiamo averne ancora certezza, alcuni saranno finiti in mare…”

“Ebbene?”

“Abbiamo perso metà equipaggio, Capitano. Uomo più, uomo meno.”

Metà equipaggio.

"Perlopiù marinai, essendo i più numerosi a bordo..." ma a quelle parole Oscar serrò la mente come per istinto.

André. Lui sarebbe potuto essere in quelle liste e non c’era soltanto perché il destino non aveva voluto mettercelo. Eppure la sola ipotesi le procurava un dolore lancinante al cuore. Gli ufficiali però proseguirono, dando un quadro generale delle conseguenze dello scontro.

Il loro superiore ascoltava senza proferire verbo, incapace di spiegarsi come fosse stato possibile perdere tutte quelle persone e averne altrettante ferite nonostante le esercitazioni a cui tutti prendevano parte con attenzione.

La voce nella sua mente ripeteva che sarebbe dovuta uscire prima dalla cabina anche se stava male, che era stata una leggerezza seguire il consiglio del medico nonostante la febbre perché i suoi uomini avevano bisogno di lei e ora duecentocinquanta vite erano state gettate nel vento perché aveva pensato al proprio bene invece che a quello della nave.

"Capitano, vi debbiamo dire un'altra cosa." provò a riferirle D’Audiffret lasciando il foglio sulla scrivania, benché lo vedesse da solo che era come parlare a un muro.

Dal fondo del corridoio si sentirono dei passi avvicinarsi e poi interrompere il cammino dopo pochi istanti.

"Prego..." lo esortò il suo superiore. Non c'era bisogno di tanta attesa, aveva imparato che le notizie vanno date immediatamente per attutire il troppo dolore che avrebbero provocato.

"Capitano, nell'elenco delle vittime troverete anche..." Era difficile perfino per gente navigata come loro, uomini di mare che non si lasciavano toccare da nulla e da nessuno, ma dovevano farlo. "C'è anche Philippe."

La sorpresa si palesò attonita sul viso di Oscar in tutta la sua tristezza. Philippe. Il più giovane degli uomini a bordo, lui che a stento poteva essere considerato un uomo, che non avrà avuto neanche di che farsi la barba, il ragazzino sempre pronto all'avventura che si era divertito durante l'ammutinamento, che aveva bisogno del suo aiuto per scrivere...

Percepì chiaramente il cuore frantumarsi e una morsa allo stomaco contorcerla fino a toglierle il fiato. Quindici anni. La mente volò a Charlotte, al piccolo Pierre a cui ora si aggiungeva anche Philippe, uniti nella drammatica sorte di non poter diventare grandi.

Respirò profondamente, come impossibilitata a fare altro. Forse le stava salendo di nuovo la febbre o forse era il contraccolpo della notizia, ma sentì improvvisante caldo e subito dopo un brivido freddo. Passò una mano sulla fronte madida di sudore, oltre i capelli. Era calato il silenzio nella cabina, poi De Chabon riprese con un filo di voce:

"Non andate nella stiva, Capitano. Ne abbiamo sistemati alcuni là dentro, molti altri sono sulla nave maltese. Non andate a controllare, fidatevi. In special modo—" la frase venne bruscamente abbandonata lì, per non dar corso alle emozioni che avrebbero preso il sopravvento.

"Cosa gli hanno fatto?" domandò Oscar nell'incoscienza del momento difficile.

"Non volete saperlo."

"Sono il vostro superiore, dovete dirmelo." La sua voce non aveva alcuna inflessione, pronunciava le singole sillabe come se non provenissero nemmeno dal proprio corpo.

Quindici anni. Aveva una fidanzata a terra. Ora lo doveva riportare a casa con il cuore immobile nel petto, sempre che lo avesse ancora.

"Prima di ucciderlo lo hanno massacrato di botte, infine è stato freddato con un colpo di pistola in pieno volto. Sono arrivato in tempo per evitare che lo gettassero in acqua, ma forse..."

"Basta così." concluse lei e si diresse fuori a passi lunghi senza aggiungere altro, con la spada ancora nel fodero raccolta dal mobile accanto alla porta all'ultimo.

Percorse il corridoio accecata dalla frustrazione, la stessa che l'aveva investita non appena il dottor Lassonne aveva constato la perdita dell'occhio sinistro ad André. Ma questa volta non si trattava di Bernard Châtelet, non era di un uomo che rubava ai ricchi per dare ai poveri che voleva vedere il volto per avere vendetta per il proprio amico più che giustizia. Pretendeva di avere tra le mani la faccia del criminale che aveva ordinato di stroncare la vita ai suoi uomini, compreso un ragazzino.

Passo dopo passo, l'ira cresceva al punto che chiunque se la trovasse davanti si spostava rapidamente senza neanche il bisogno di ricevere la richiesta. Imboccò la rampa di scale che conduceva ai livelli inferiori della nave, il Maggiore da lontano provava a chiamarla ma sembrava diventata sorda.

Quando arrivò all'ultimo gradino, però, fu costretta a fermarsi. L’uomo l’aveva raggiunta e, in uno slancio di eccessiva confidenza, le aveva messo una mano sulla spalla per obbligarla a prestargli attenzione. Benché la rabbia fosse tanta, un briciolo di razionalità riuscì a vincere.

"Dove volete di andare, Capitano?" domandò lui, ora davanti al suo superiore per sbarrarle la strada. Erano diversi mesi che non si permetteva più di parlarle con tanta fermezza e gravità nella voce, ma non c'era altro modo per trattarla in quel momento. L'avrebbe anche portata via di peso, se fosse stato necessario pur di non lasciarla sporcarsi le mani in quel modo.

"A risolvere ciò che avrei dovuto fare io se non fossi stata così debole da svenire mentre voi avevate bisogno di me!" gli urlò Oscar, che della compostezza del Capitano stava perdendo traccia.

"Pensate che andare a uccidere quella gente possa cambiare le cose? Al massimo mettereste la firma sulla fine della vostra carriera militare. Non ne vale la pena.”

L’altra distese gradualmente i muscoli tesi e abbassò le braccia lungo i fianchi. Aveva dimenticato di essere sul filo del rasoio. La spada di Damocle ora pendeva sulla sua testa.

Il Maggiore provò a farla ragionare ancora, per quanto ne valesse. “Se sono davvero al soldo del Re d’Inghilterra, è probabile che li rivorrà indietro. Ci sarà uno scambio di prigionieri, prima o poi, e sapete che i rapporti tra le due nazioni sono tesi.”

“Uno scambio di prigionieri, dite?”

Tutta quella situazione la stava confondendo. Per un attimo ebbe il dubbio di essere in un incubo. Era un soldato esperto, come poteva non seguire a pieno il suo discorso?

“Sono corsari, Maggiore. Se ne troverà altri!”

“Fidatevi di me. Perdonate la sincerità, ma questa volta non potete fare di testa vostra. Ogni sovrano ha bisogno di occasioni del genere.”

"Spostatevi, per favore. È un ordine.”

L’ufficiale si fece di lato per lasciarla passare, ma lei, sorprendentemente, non proseguì molto. Riprese a guardarlo dal corridoio. Doveva dargli fiducia, era l’unica soluzione: aveva un’esperienza diversa, sapeva ciò di cui parlava. A modo proprio, avrebbe seguito il suo consiglio.

“Faremo così:” esordì Oscar, definitiva “adesso voi tre mi accompagnerete nelle prigioni. Porteremo quella donna nella mia cabina, voglio interrogarla. Da sola. Voi rimarrete fuori, per sicurezza.

I due tenenti, nel frattempo, li avevano raggiunti e ascoltavano il da farsi con attenzione. C’era un po’ troppa tensione nell’aria per sbagliare qualcosa. Annuirono convinti.

“Quanto ai loro ostaggi, chi sono?”

Prese di nuovo parola De Chabon. “Sono tre uomini, una donna e tre bambini maschi. Sono spagnoli. La loro nave è stata affondata da quei pirati.”

“Dove si trovano?”

“Li abbiamo sistemati nelle nostre cabine, ma credo si trovino in infermeria adesso…”

Il Capitano soppesò quelle parole. Una soluzione valida ma troppo di fortuna. “Intendo parlare anche con loro, quando avrò finito. Farò sistemare la donna e i bambini nella mia cabina. C’è sufficiente spazio per tutti1.” Si voltò di scatto. “Ora andiamo.”

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Note: 
1) Come potete vedere in questo post, la cabina del capitano era un luogo davvero grande e c'era spazio a sufficienza per ospitare qualcuno.

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Capitolo 19
*** Après Saint Antoine (parte 2) ***


La porta delle prigioni si aprì con un colpo. La luce della lampada a olio appesa al muro opposto alle celle rischiava appena lo stanzone, proiettando ombre lunghe sui volti di chi erano riusciti a portare lì dentro. Il posto peggiore dell’intera nave, più ancora della stiva e lì c’erano perfino i topi.

I quattro ufficiali si avvicinarono alle sbarre, dall’altra parte un folto gruppo di gente impossibilitata a muoversi più di qualche centimetro da pesanti catene di ferro arrugginito.

“Vi facevo meno codarda, Capitano.” esordì Milady in tono sfacciato, “Mi avevano parlato tanto del vostro coraggio, invece siete sparita. Però mi avete fatto medicare la ferita causata da voi.”

“Come già vi ho detto, sono una persona corretta io.”

L’altra alzò gli occhi al cielo, obbligando Oscar ad avvicinarsi ancora. Afferrò una sbarra con la mano e la guardò meglio. Era ridotta davvero male, ma pareva tutta intera a eccezione della vistosa fasciatura alla gamba.

“Quanto onore, allora…” le rispose sarcastica.

“Adesso voi mi seguirete, abbiamo di che parlare.”

Il Capitano fece un cenno e uno dei sottoufficiali di guardia girò le chiavi nella serratura. Il secondo prelevò il capo dei pirati e la portò fuori, tenendola per un braccio.

Il gruppo attraversò il corridoio e salì le scale, diretto alla grande cabina. Dentro, la prigioniera venne fatta accomodare con le mani legate dietro lo schienale della sedia. Quando tutti gli uomini uscirono, le due donne rimasero da sole.

Un attimo di silenzio infranto solo dal vento che soffiava contro il vetro dell’oblò in fondo. Milady prese a guardarsi intorno, l’aria scocciata e qualche livido sulla fronte.

“Il vostro angelo custode non c’è? Che peccato.” chiese, stupita della sola presenza della rivale che guardò di sottecchi per studiarne la reazione.

“Il mio…”

Il mio André. La mente le ripropose quelle tre parole. All’improvviso, senza che lei lo volesse. E il caso volle che, comunque, fossero anche quello a cui si riferiva l’altra.

“No. È con me che dovete parlare.”

Il capo dei pirati scosse la testa al suo breve tentennamento. “Dio mio, per piacere! Se non rispondeste chiaramente alla descrizione che i miei informatori mi hanno fatto di voi, penserei di aver sbagliato persona! Mi parete meno sveglia di quanto mi abbiano detto…”

Oscar le si avvicinò a passo veloce, come una furia. Si fermò a un palmo da lei e la squadrò dall’alto in basso. Si sentì punta dal suo tono sarcastico. D’un tratto si ritrovava a provare rabbia se qualcuno si prendeva gioco di ciò che provava. E che, chissà come, quella sconosciuta aveva intuito al volo.

Le impose di fare silenzio con forza sufficiente che la sentirono perfino nel corridoio. Si guardavano in cagnesco con la stessa acredine con cui avevano duellato ore prima.

"Mi auguro non vi siate messa in testa davvero che vi abbiamo abbordati solo perché ero gelosa della presenza di un'altra donna in mare." riprese Milady senza girarci intorno. "A me non interessa niente della vostra persona. Ci sono tante di noi sulle navi, che ci crediate o meno.1"

"Perché tutta questa fatica, dunque?" chiede Oscar con il preciso intento di provocarla.

"Perché avete una cosa che io non ho e che desidero molto. Beh… diverse cose…”

Il suo sguardo parve attraversato da un lampo improvviso e un mezzo sorriso ironico le increspò le labbra.

Il Capitano fece per scostare leggermente la giacca e stringere il pugno come se avesse ancora la spada con sé. L’aveva appoggiata sul mobile in ingresso, per allontanarsi dalla tentazione di usarla davvero nel caso avesse perso definitivamente la pazienza.

L'altra notò il suo riflesso spontaneo. "Il vostro… amico aveva ragione, non me ne sarei fatta di niente di un marinaio in più a bordo. Io necessito di qualcuno con gli attributi e, soprattutto, con una testa che lavora bene. Voi mi pare facciate al caso mio. O almeno, mi pareva fino a poco fa."

"Mademoiselle,” lo disse apposta in francese, per rispondere alla sua sfacciataggine, “permettetemi ma questa obiezione spetterebbe a me. Chi ha lanciato il proprio equipaggio all’arrembaggio per venire poi imprigionati siete stata voi. Comunque non avrei mai accettato di lasciare la mia divisa per seguirvi. Piuttosto la morte.”

Milady sbuffò scontenta. "Se mi slegate, vi faccio un applauso per il senso dell’onore… Non sono stupida! Io non volevo né voi né la vostra stupida uniforme. Io volevo qualcosa che vi appartiene."

"Ossia?"

"Le mappe di navigazione e le rotte delle navi mercantili a cui siete assegnati di scorta.”

Oscar meditò sulle sue parole. La sua prigioniera proseguì a spiegare, mentre lei prese a camminare avanti e indietro per la cabina, con le mani dietro la schiena.

“Vi ricordo che sono un pirata. Vivo di questo. Ma se non so dove sono diretti i carichi devo affidarmi per forza alla sorte e non sempre incrociamo le giuste imbarcazioni. È divertente prendere a pugni la gente, ma non basta.”

Il Capitano si voltò. Ormai era a diversi passi di distanza. Quella versione dei fatti le bastava e avanzava. Tornò indietro, la superò senza aggiungere altro e afferrò la maniglia della porta.

Prima che l’aprisse, però, Milady la chiamò di nuovo. “Immagino che ci condanneranno a morte.”

Oscar non rispose, si limitò a guardarla.

“Ebbene, se così dovesse essere, voglio che sappiate che mi avete dato più filo da torcere voi che tutti gli uomini che ho incontrato in vita mia.”

“Dovrei esserne lusingata, forse?”

Il pirata alzò le spalle quel tanto che poté. “Fate come credete. Ma c’è un’ultima cosa che vorrei dirvi.”

“Avete un minuto.”

“Voi e quel marinaio. Non so come abbiate fatto, se vi leggete nella mente o cosa… Io ho visto due persone evitarsi la morte pressoché certa improvvisando. Mi è bastato per sapere che se vi fate scappare questa occasione darete conferma a quanto ho cominciato a pensare di voi poco fa.”

Il Capitano spalancò l’uscio, non una parola in merito alle sue. Gli ufficiali nel corridoio entrarono per riprendere la prigioniera, che se ne andò lanciandole un’ultima occhiata prima di sparire nel buio delle scale.

Benché avrebbe preferito davvero rimanere da sola e darsi un attimo di tregua perché la febbre stava di nuovo salendo, non poteva perdere altro tempo. Era sua responsabilità la presenza sul vascello degli ostaggi tratti in salvo, bisognava incontrarli. Tanto più che alcuni di loro sarebbero stati spostati lì dentro ed era necessario quantomeno avvisarli.

Oscar chiese ai sottoposti di accompagnarli in cabina il prima possibile e di rimanere anche loro, che di sicuro ne sapevano più di lei. Li attese con la porta aperta seduta sul divanetto, quello che percorreva l’intera parete più lunga della stanza2, guardando un punto imprecisato sul pavimento. I pensieri si rincorrevano nella testa, non riusciva a rimanere concentrata. Sapeva soltanto che avrebbe accettato qualsiasi conseguenza le sarebbe spettata. Poi tutto il resto andava da sé.

Alzò lo sguardo e si accorse di un’ombra singola che si stava avvicinando. Ne riconosceva i passi, il movimento riflesso sulle assi di legno. Quando vide André apparire sulla soglia, gli diede il permesso di entrare prima ancora che lui parlasse. Se lo trovò di nuovo davanti, poco più lontano di prima ma vicino a sufficienza da chiedersi come avesse fatto, fino a quel giorno, a dare per scontato la sua presenza al proprio fianco. Aveva in mano qualcosa, ma lì per lì non ci diede importanza. Si osservarono in silenzio per un attimo, cercando di capire chi stesse peggio: una bella gara.

“Ti ricordi, l’altro giorno, quando Philippe voleva farsi aiutare?”

Oscar annuì. Certo che la ricordava, le era dispiaciuto non aver avuto tempo ma sapeva di averlo lasciato in ottime mani.

"Aveva urgenza di scrivere una cosa, ma non sapeva come.” e le porse un foglio di carta piegato in quattro. Era totalmente sgualcito, ma a giudicare da cos’era successo poteva considerarsi un miracolo che non fosse stato perso.

L’amica si alzò e lo aprì. Lesse veloce ciò che ne rimaneva. Poche frasi storte, in parte cancellate dall’acqua. Ma il contenuto era comprensibile. Sgranò gli occhi e li puntò su di lui.

"Mi ha fatto promettere che l'avremmo portata noi alla sua fidanzata."

"Noi? Tu e… io?" ripeté lei incredula. Gli restituì il foglio, ma sentiva le mani tremare.

“Sì. Come vedi, avrebbe voluto sposarla, un giorno."

La conversazione si interruppe quando gli ufficiali tornarono, insieme agli ospiti. Non aveva più senso considerarli ostaggi: lì tra di loro non sarebbe successo nulla.

Il Capitano li lasciò entrare, ma fermò André dal defilarsi e uscire con un gesto della mano sul braccio. Non le era strettamente necessario averlo lì in quel momento, ma avrebbe potuto riferire tutto agli altri.

Il gruppo di spagnoli venne accompagnato al tavolo. Qualcuno mancava, se i conti erano giusti e le informazioni che le erano state date corrette. La donna e i tre bambini erano ancora in infermeria, il più piccolo di loro stava male.

"Sono Oscar François De Jarjayes, Capitano della Marina Reale francese. Sarà mia cura riportarvi a terra, ma purtroppo non possiamo tornare in Spagna adesso. Voi ci capite?”

Un uomo sulla cinquantina d’anni, con un completo marrone, prese parola. Gli ci vollero alcuni minuti per adattare i pensieri alle parole, ma più che altro alla lingua in cui comunicarle.

“Dovete perdonarci, son los primeros que nos hablan a parte quei maledetti...! In ogni caso, a parte los niños, possiamo parlarci.”

"Da quanto eravate chiusi dentro quella fregata?" chiese il Capitano, benché temesse la risposta.

"Cinco días. Abbastanza perché al piccolo Tomás venisse la febbre." rispose un altro, più giovane, con delle ferite sulle mani.

Poco alla volta, non senza incidenti di traduzione, i tre nuovi arrivati riuscirono a ricostruire quanto accaduto. Erano salpati da Palma di Maiorca su una nave mercantile insieme ad altri otto passeggeri, caduti insieme alla maggior parte dell’equipaggio durante l’attacco. Gli altri erano stati gettati in mare. Servivano degli ostaggi, però, e il caso ha voluto che i predoni scegliessero loro.

Nello stanzone in cui erano stati chiusi c’erano muffa e infiltrazioni d’acqua tra le assi del legno e soltanto quel piccolo oblò da cui erano stati trovati faceva entrare la luce. Non avevano mangiato che scarti lasciati dai pirati. La loro salute ne aveva risentito non poco, soprattutto tra i più piccoli.

Sarebbe dovuto essere un semplice viaggio verso il continente, ma si era trasformato in un incubo.

Gli altri cinque li ascoltavano attenti. Era stata una catena di coincidenze fortunatissime, nella sfortuna generale, a far incrociare le loro strade e a permettere che fossero lì per parlarne. Bisognava dar loro la possibilità di riprendersi nei due giorni di viaggio rimanenti, il tanto che bastava per poterli presentare poi al comando di terra.

“Quando arriveremo,” riferì Oscar prima di congedarli, “sarà necessario accompagnarvi dal Viceammiraglio. In quanto superstiti dei nostri prigionieri, la vostra parola servirà per confermare il nostro resoconto. Ora potete andare, grazie.”

A una a una le persone presero la via d’uscita e sparirono nel corridoio. Rimase solo André, ancora una volta fermato da lei, per concludere il discorso. Si trattava di una questione tra loro due, era giusto concluderla senza che potessero essere ascoltati. Anche per Philippe, perché era un segreto che voleva condividere con nessun altro ad eccezione del suo amico e del loro superiore.

“Tu sai a chi dobbiamo consegnare quella lettera?” gli domandò Oscar socchiudendo la porta.

“Purtroppo no. Non ha voluto dirmi il suo nome3.”

“Ti avrà detto qualcosa su di lei almeno…?”

André scosse la testa. “Nulla. So solo che sa leggere e scrivere.”

Sospirarono all’unisono. Era un’informazione inutile. A ogni ritorno, peraltro, il porto era pieno di ragazze anche in età per poter essere quella giusta: non potevano affidarsi al momento futuro. Occorreva un’altra soluzione, perché loro erano soliti mantenere le promesse e di certo non avrebbero mancato proprio l’ultima del più giovane dell’equipaggio.

Al Capitano venne un’idea che poteva risolvere il problema. Se ben ricordava, prima di partire e della conversazione con Philippe, c’era qualcuno sul ponte insieme a loro.

“Alain dovrebbe conoscerla, o almeno sapere chi sia. Va’ da lui e chiedigli di più: magari ne scopriamo di più.”

L’altro accettò l’ordine e se ne andò. Sulla porta, per metà già sul corridoio, si sentì ricordare di non affaticarsi troppo. Guardò Oscar, che lo invitò ad andare con un gesto della mano.

Non appena fu sola, richiuse l’uscio e vi si appoggiò con la schiena. Fece un profondo respiro, estraniandosi da ciò che la circondava. Se ne avesse avuto le forze lo avrebbe salvato lei il suo André. Strinse i pugni sul legno e si disse che sebbene certe cose non si possono gestire o rifiutare, lei decideva lì, su due piedi, di accettare ciò che le stava accadendo, senza esserne ostile. Per lui ne valeva la pena, se lo sentiva.



La convivenza con gli ospiti ebbe il pregio di risollevare un po’ l’umore della nave. In un modo o nell’altro sarebbero comunque dovuti ritornare alla normalità, almeno fino all’attracco a Tolone. Si fece sera e le lampade a olio vennero accese un po’ ovunque a bordo. Ciò nonostante, l’atmosfera era comunque ancora piuttosto tetra. Il mare intorno a loro sembrava essersi placato e anche il vento soffiava di meno.

Dalle cucine riuscirono perfino a servire qualcosa che assomigliava a una cena per i superstiti di quelle ore complicate. Gli ufficiali la consumarono nella cabina del capitano, come era consuetudine, insieme al gruppo di spagnoli. Parlarono, cercarono di conoscersi un po’ meglio per spezzare l’imbarazzo della situazione. Una conversazione sui generis in cui tre non comprendevano gli altri e una li ascoltava in silenzio, intervenendo solo se chiamata in causa. Il Capitano non dava mai pareri non richiesti, in generale, neanche in acque più calme. Quella sera nello specifico, però, non era di compagnia comunque e, per quanto si sforzasse, rimaneva sulle sue. Ciò nonostante, le sembrò di capire che il peggio fosse passato anche per i sette non più tanto sconosciuti. Dal canto proprio, loro compresero di non dover insistere. Quanto si erano detti in precedenza e il modo in cui si era comportata erano sufficienti per comprendere che tipo di persona fosse e gliene erano grati.

Dopo un paio d’ore, la stanza si liberò dagli uomini. Regnò di nuovo il silenzio, rischiarato soltanto dal bisbigliare fitto in un’altra lingua vicino al letto della seconda cuccetta.

“Perdonate…” disse Donna Isabel coprendo uno dei due bambini più grandi. Madre e figli erano stati trasferiti nell’alloggio supplementare per l’ospite. Nonostante fossero un po’ allo stretto, quantomeno potevano essere più a proprio agio.

Oscar si voltò ad ascoltarla, seduta alla scrivania per compilare il giornale di bordo. Si chiedeva come fosse riuscita a mantenere la calma per tutti quei giorni in una situazione come la loro. Non si erano scambiate molte parole nelle ore precedenti, neanche durante il pasto, ma le era sembrata già inverosimilmente tranquilla.

“Come ci avete trovati? Había confusión, era praticamente impossibile vederci…”

Il Capitano posò la piuma e sospirò. “Madame, è mio compito essere vigile. Vi consiglio di andare a dormire, adesso. Si è fatto tardi.”

L’altra annuì, ma si permise un’ultima parola. “Vorrei ringraziarvi per tutto. Se non fosse stato per voi non so dove saremmo…” poi alleggerì il tono, si fece più serena: “E per lo spazio che ci state dando. Es más respetable estar aquí con usted, non trovate?”

Isabel sapeva chi fosse l’ufficiale da quando le era stato comunicato che avrebbero cambiato cabina. Andava spiegato, a prescindere dal fatto che la diretta interessata non lo avesse detto esplicitamente. Aveva pensato che fosse una strana casualità quella in cui erano finiti: attaccati da una donna pirata, salvati da una donna soldato. Doveva esserci un significato recondito, secondo il suo modo di pensare, ma ancora non l’aveva trovato.

Oscar comprese ciò che intendeva dire. Era stata la sua esatta intenzione, d’altronde. Si fidava del proprio equipaggio, almeno quando era a bordo ed era responsabilità sua. Ammetteva anche, però, che non tutte fossero abituate ad essere circondate da uomini e condivideva volentieri parte del proprio spazio con lei se ciò significava maggiore tranquillità.

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Note:
1) Per maggiori informazioni: qui
2) Sempre qui per sapere come fosse una cabina del capitano all'epoca
3) A causa di un mio errore (mi sono letetralmente dimenticata così ho scritto in precedenza e non sono andata a rileggere) avevo dimenticato di aver rivelato il nome. Ebbene, per chi l'avesse letto, scordatevelo e fate finta di scoprirlo più avanti (anche perché l'ho cancellato dove l'avevo scritto). In caso contrario, lo scoprirete davvero nei prossimi capitoli.

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