Non sono Shinichi di 9Pepe4 (/viewuser.php?uid=55513)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il cielo è sordo ***
Capitolo 2: *** Chi sono? ***
Capitolo 3: *** Preoccupazione è un eufemismo ***
Capitolo 4: *** Questione di deconcentrazione ***
Capitolo 5: *** A un nome da una soluzione ***
Capitolo 6: *** Silenzio ***
Capitolo 7: *** Inizio delle indagini ***
Capitolo 8: *** Misao Morozumi ***
Capitolo 9: *** Sasso in testa ***
Capitolo 1 *** Il cielo è sordo ***
Non sono
Shinichi
Capitolo
1 – Il cielo è sordo
Conan si appiattì contro il muro con una boccata
d’aria gelida. Il vasto magazzino era denso di
oscurità, un buio viscido, che pareva opprimerlo in modo
particolare, sottolineando la sua situazione, evidenziando quanto era
piccolo intrappolato in quel corpo da infante.
Ma anche da bambino voleva continuare ad indagare. E, nonostante gli
avvertimenti di Ai, continuava ad annaspare sulla scia dei misteriosi
Uomini in Nero che lo avevano costretto in quella forma. Ed era
correndo dietro ad una catena di misteri che parevano aver avuto
origine da loro che era arrivato a quel luogo polveroso.
Ricordando com’era andata l’ultima volta che aveva
assistito ad un loro incontro aveva cercato di non usare alcun trucco.
No, in quel momento voleva solo ascoltare, pregando che il suo cuore
non battesse troppo forte e coprisse gli altri suoni con il suo segnale
di terrore, e cercare di capire qualsiasi dettaglio in più.
«A mio parere, il moccioso non può che essere
vivo…» sussurrò una voce.
Un brivido corse lungo la spina dorsale di Conan, spronando il cuore
del ragazzino a battere più forte. Gin…
«Probabile, pare abbia la pellaccia dura. E solitamente,
quando la gente crede che sia morto, è l’esatto
contrario» mormorò la voce di Vodka.
Le mani di Conan premettero i palmi sudati contro il muro polveroso.
«Cosa pensi che farebbe, il marmocchio, se scoprisse il
tutto?»
Conan non poté fare a meno di accennare un sorriso di
trionfo. Certamente stavano per accennare a qualcosa che avrebbero
voluto tenere segreto… E proprio mentre lui tendeva le
orecchie!
Una risata roca sfregò il silenzio. «Gli verrebbe
uno shock…»
Un lieve scricchiolio gli fece comprendere che uno dei due uomini si
era mosso. «Per forza! Pensa un po’: credere di
essere un grande Detective liceale, credere di avere una vita, la vita
di Shinichi Kudo».
Le sopracciglia di Conan si inarcarono tanto da minacciare di toccarsi
nel centro della fronte. Il fugace sorriso di trionfo era svanito senza
lasciare traccia.
«E invece… non è Shinichi Kudo. Quella
sostanza sulla quale abbiamo lavorato – senza farne parola
alla cara Sherry – si è rivelata molto
più soddisfacente del previsto. Voglio dire, se
può indurre una persona a convincersi totalmente di essere
qualcun altro…»
«In quanto a Kudo… Non c’è
paura che balzi fuori a sconvolgere l’universo del piccolino.
Dal momento che lo teniamo sotto chiave con così tanta
cura…»
Conan era certo che ogni pelo del suo corpo si fosse drizzato in preda
all’orrore più gelido. Una goccia di sudore
ghiacciato gli scivolò sulla guancia accaldata. Si sentiva
il corpo scosso dai brividi, ma allo stesso tempo così
bollente da essere febbricitante.
Com’era possibile? Che diavolo stavano dicendo?
Una parte del tutto irrazionale di lui, una parte che sino a quel
momento avrebbe negato con tutto se stesso di avere, gli faceva
desiderare selvaggiamente di balzare nella stanza e urlare a quei due
che quella era una bugia, che lui era Shinichi Kudo, lo era davvero! Lo
era per forza…
Qualcosa lo trattenne.
Ma le orecchie gli ronzavano, e la testa gli girava.
Tre parole continuavano a stridergli in testa. Non sono Shinichi. Non
sono Shinichi. Non sono Shinichi.
Iniziò a strisciare lungo il muro, attraversando le stanze
polverose del magazzino, cercando di non pensare, cercando di non
riflettere.
L’aria aperta lo disorientò. Si guardò
attorno e iniziò ad avanzare traballando. Qualcosa gli
gridava di correre, di darsela a gambe, di scappare più in
fretta che poteva.
Ma non ce la faceva.
“Non sono Shinichi”.
Quelle tre parole sembravano bastare a consumare tutte le sue energie.
La sua fronte era imperlata di sudore. Si costrinse ad affrettare il
passo. Quando fu abbastanza lontano, si fermò.
Si guardò attorno sentendosi vuoto come non mai.
«Non sono Shinichi» sussurrò.
Ma nemmeno il cielo pareva ascoltarlo.
Spazio autrice:
Avevo già pubblicato questa storia - a proposito, presto
eliminerò l'altra versione - ma ho deciso di rivederla
perché non mi convinceva.
Spero di trovare le persone che avevano seguito l'inizio e mi auguro di
riuscire a portarla a termine, questa volta.
Ringrazio:
A crazycotton (anche per l'incoraggiamento nell'ultimo commento^^);
Abigail94;
LadyCroix;
Lunastortalupin;
SoSo;
Thebest90
Che avevano messo la storia tra le preferite.
Ma anche tutti quelli che avevano letto e commentato (prima o poi
farò una lista di questi ultimi).
Un grazie di cuore
|
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Capitolo 2 *** Chi sono? ***
Capitolo 2 – Chi sono?
Il sole stava iniziando il declino verso la notte
quando Conan decise
di tornare a casa Mori. Si sentiva come se improvvisamente il suo corpo
gli fosse estraneo. Camminava barcollando, spaesato.
Anche se
ci avesse messo la buona volontà che non sentiva,
non poteva credere di non essere Shinichi. Era semplicemente
impossibile. Gin e Vodka dovevano aver scoperto che spiava, ed avevano
deciso di tirargli uno scherzo.
Eppure,
nonostante lui volesse crederlo disperatamente, sapeva che quei
due non erano tipi da bluffare così. Se mai lo avessero
scoperto, si sarebbero semplicemente accertati di farlo sparire per
sempre dalla faccia del pianeta.
Eppure la
sua mente continuava ad aggrapparsi risoluta
all’ipotesi, per quanto fosse improbabile. Un giorno lui
aveva bevuto un liquore, che l’aveva fatto tornare grande,
anche solo per poco. E tutti lo avevano riconosciuto in quanto
Shinichi. Anche Ran, che lo conosceva bene.
Se fosse
stato uno scherzo, poi, quei ricordi che aveva sempre creduto
di avere – che aveva sempre avuto – non sarebbero
stati come sul punto di sbiadire, di essere spazzati via dalla sua
mente.
Quando
iniziò a salire le scale per giungere
all’appartamento di Mori, si rese conto di star tremando
dallo shock. Cosa era successo?
Era
assurdo pensare di fornire qualcuno di falsi ricordi, no?
In quel
momento dovette appoggiarsi alla ringhiera, perché
improvvisamente il mondo attorno a lui parve traballare. In un momento
di panico, non
riuscì a ricordare il proprio cognome.
Strinse gli occhi – la mascella serrata tanto forte da fargli
male – e si concentrò, il sudore che gli imperlava
la fronte. Pensò ad Hattori. Lui lo chiamava... Kudo.
Un
sospiro di sollievo gli gonfiò il petto, uscendo dalle
sue labbra.
Shinichi
Kudo.
«Conan?»
Una voce femminile si fece strada nella
cortina dei suoi pensieri confusi.
Alzò
lo sguardo. Sulla soglia di casa stava ritta Ran. Aveva
i capelli scuri sciolti sulle spalle. Doveva avere appena lavorato, un
grembiule azzurro le cingeva la vita. I suoi occhi scrutavano ansiosi
Conan.
«Cosa
ti è successo?» domandò
apprensiva. «Sei pallido...»
Lui
inspirò bruscamente. Non si fidava molto della propria
voce. «Non... non mi sento molto bene»
riuscì a balbettare infine, dopo aver deglutito un paio di
volte.
La
ragazza si chinò a posargli una mano sulla fronte. Lui la
sentì fresca.
Dopo
qualche attimo, Ran si rialzò.
«Scotti» mormorò. «Devi avere
la febbre. E nemmeno molto bassa».
Lui
annuì confusamente. Si sentiva tutto intorpidito.
«Vai
a sdraiarti sul tuo letto»
consigliò Ran.
«Sì»
mormorò lui, sfinito.
Ran lo
prese in braccio e lo portò sino in camera.
«Vado a prepararti un poco di tè»
annunciò, dopo averlo sistemato sul letto.
Conan
annuì, grato. Quando la ragazza fu uscita, si
girò e affondò la faccia nel cuscino.
Rialzò
il viso quando udì tamburellare sulla
porta della stanza.
Goro lo
fissava. «Esco. Ho un caso»
annunciò, con aria d’importanza.
«D’accordo»
biascicò Conan. Le
tempie gli pulsavano.
«Non
vuoi venire?» domandò esterrefatto
Goro.
«No»
mormorò Conan. La sola idea di
alzarsi gli dava la nausea, figurarsi la possibilità di
dover impegnarsi sul serio.
Il padre
di Ran uscì scuotendo la testa. Ma prima
borbottò chiaramente: «Tanto meglio. Di solito
quel marmocchio sta sempre tra i piedi». Dopo aggiunse
qualcosa sull’anormalità del mondo.
Già...
anormale. Non gli andava di indagare. Non ne aveva la
minima voglia.
“Forse
è vero” pensò, le
guance accaldate. “Forse non sono affatto Shinichi
Kudo”. E quel pensiero era una lama di ghiaccio, era un
macigno che gravava su di lui.
Sapeva
che Shinichi si sarebbe gettato più che volentieri su
qualsiasi caso. Incurante della propria salute, si sarebbe messo a
pensare subito ad una serie di ipotesi che avrebbero potuto far
emergere la realtà.
Ma lui
non ne aveva voglia.
Di colpo,
si rese conto di aver smesso di pensare a sé come
Shinichi Kudo. Aveva immaginato che sarebbe stato difficile. Doloroso.
E invece, si sentiva solo come se si fosse tolto un gran peso dallo
stomaco.
Fu come
se la mente gli si fosse schiarita di colpo. Nonostante pensare
alla propria identità gli facesse percepire un senso di
vuoto, cominciò a pensare con un poco di
razionalità. Accettando che lui non fosse Shinichi, la cosa
più immediata da fare era comunicarlo ad Ai e al professor
Agasa.
Era
appena giunto a quella conclusione che Ran entrò con una
tazza di tè bollente. Lui la ringraziò e, mentre
sorseggiava la bevanda, osservò di sottecchi la ragazza.
Era
gentile e carina, con quei lunghi capelli scuri, ma non gli
sembrava più così speciale e attraente.
“Certo” rifletté tra sé e
sé, continuando a bere, “lei piace a Shinichi, non
a me”.
Ora che
aveva deciso di pensare di non essere Shinichi si sentiva
meglio, forse anche per merito del tè. I ricordi ambientati
prima della trasformazione erano ormai confusi terribilmente, si
aggrovigliavano tra loro come i fili di una matassa. In compenso, delle
nuove immagini stavano emergendo al loro posto. Gli sembravano
famigliari, nonostante fossero elusive e indefinite. Rammendava il pelo
soffice di un coniglietto bianco.
«Senti,
Ran» esordì di colpo.
«Shinichi ha mai avuto un coniglio?»
Lei lo
osservò perplessa. «No, non mi pare... Ma
perché lo hai chiesto?»
Lui si
strinse nelle spalle e sfoderò un sorriso da bambino.
«Così!»
“Non
sono Shinichi” rifletté.
“Ma allora, chi sono?”
Spazio Autrice:
Un grazie per A crazycotton, Mommika, Ninny, SoSo che hanno aggiunto la
storia tra le preferite. A Genio95, Hatori e Roe per averla messa tra
le seguite.
Roe: Sono felice che la storia ti incuriosisca, spero continui a
piacerti. E comunque è bello avere nuovi lettori!^^
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Capitolo 3 *** Preoccupazione è un eufemismo ***
Capitolo 3 – Preoccupazione è
un eufemismo
«Ran, posso andare dal professore, per
piacere!»
La
ragazza abbassò perplessa lo sguardo su Conan,
disorientata da quella richiesta. Fino a pochi momenti prima, infatti,
il bambino non pareva quasi in grado di fare due passi di fila.
«Sei sicuro di stare meglio?» indagò.
«Certo!»
annuì con vigore Conan,
impegnandosi ad apparire il più vispo possibile.
Ran lo
osservò, ancora esitante. Era sempre pallido,
però il velo di sudore che gli bagnava la fronte sino a poco
prima pareva non esserci più. Sospirò:
«E va bene. Ma copriti».
«Certo»
accettò con un energico cenno
d’assenso il bambino. A dimostrazione della propria buona
volontà, si fece osservare mentre infilava la giacca
più pesante del suo guardaroba.
Agitando
vivacemente la mano indietreggiò sino alla porta,
aprendola e chiudendola subito alle proprie spalle. Una volta in
strada, inspirò profondamente una boccata d’aria
fresca.
Si
guardò attorno per qualche attimo, poi prese a correre.
Una volta
giunto a casa Agasa, premette con decisione sul campanello.
Non passò molto che la porta si aprì ed Ai fece
capolino. Esaminò Conan dalla testa ai piedi e si
coprì la bocca per mascherare uno sbadiglio. «Oh,
ciao, Kudo» lo salutò.
Lui
sentì una bella dose di nervosismo. «Non
chiamarmi Kudo, per favore» mormorò. «Il
professore è...?» domandò poi.
Lei lo
scrutò con un sopracciglio alzato, scettica.
«Di là» rispose, puntando il dito dietro
di sé. Mentre si scostava per lasciarlo entrare,
domandò: «Perché non dovrei chiamarti
Kudo?»
Conan
sospirò. «È una lunga storia,
preferisco narrarla una volta sola» mormorò.
Giunsero
all’interno del salotto e Ai si accomodò
sul divano, dopo aver scrutato ancora perplessa Conan. Lui si
guardò attorno, con aria un poco smarrita.
«Il
professore è in bagno»
chiarì Ai. «Sicuro di non volermi narrare questa
grande avventura?» domandò, senza nascondere
l’ironia.
Conan non
parve cogliere il sarcasmo. «No, Haibara. Davvero,
preferisco raccontare tutto in una volta» replicò,
sinceramente.
Lei si
strinse nelle spalle. «Fa’ un po’
come ti pare» borbottò, prendendo il telecomando e
iniziando a fare un rapido zapping.
Conan la
osservò e, per la prima volta dopo la confusione
creatasi nei suoi pensieri a causa della propria identità,
sentì la propria fronte distendersi. Si sentì le
guance un po’ più calde del consueto.
Probabilmente aveva corso un po’ troppo. Continuò
a guardare Ai e quasi sorrise. Certo che aveva un bel caratterino...
Ed un bel
viso...
Scosse
confuso la testa, chiedendosi da dove arrivassero quei pensieri.
Fortunatamente,
a salvarlo dall’imbarazzo che iniziava ad
infiammargli le guance, il professore giunse in salotto.
«Shinichi!»
esclamò, stupito.
«È da un po’ che non ci vediamo. Hai
scoperto qualcosa?» Si accomodò di fianco ad Ai.
«Che hai da dirci?»
«Prima
di tutto» iniziò Conan,
lentamente, «di non chiamarmi Shinichi Kudo. Ora vi
spiego!» si affrettò ad aggiungere, vedendo il
professore aprire la bocca. Agasa la richiuse, tramutando quel
movimento in una perfetta imitazione di un pesce.
«Per
favore, però, non mi interrompete.
Sarà più facile dire tutto insieme»
precisò Conan. Guardò il professore ed Ai, che lo
fissavano in attesa delle sue parole, sospirò ed
iniziò a raccontare.
Ogni
tanto – circa ad ogni frase – vedeva
l’incredulità scolpirsi nei tratti dei suoi
ascoltatori, ma nessuno lo interruppe, e lui si sentì grato
per questo. Non sapeva se sarebbe riuscito a riprendere dopo
un’eventuale pausa. Gli prudevano gli occhi ed aveva voglia
di guardare Ai. Non sapeva perché e cercava di resistere a
quell’impulso.
Quando
tacque, il silenzio calò pesantemente sulla stanza.
Gli sembrava quasi di poter udire il ritmico ticchettare
dell’orologio da polso del professore.
Finalmente,
Agasa si schiarì la voce. «Certo che
è...» Indugiò per qualche istante,
scrutando Conan esterrefatto. «Incredibile»
concluse dopo un poco, esitante.
«Però
è vero!»
puntualizzò Conan. «Sì, è
assurdo e pare impossibile, ma è così ed
è vero». Tacque per qualche istante, cercando di
spiegare la propria certezza. Cercando di narrare come i suoi ricordi
parevano mescolarsi e confondersi, mentre altri ne emergevano, sempre
più nitidi ad ogni istante che passava. «Lo
capireste» sospirò, «se nella vostra
mente ci fosse tutta la confusione che c’è nella
mia». Accompagnò le ultime parole picchiandosi con
decisione un dito su una tempia.
Il
silenzio calò di nuovo.
Ai fu la
prima a riprendersi. «Io credevo ci fosse sempre
confusione nella tua testa» disse, pungente.
Nonostante
il tono provocatorio della ragazzina, Conan si
sentì sommergere dal sollievo, capendo che almeno lei
credeva a tutto quel casino. «Ah. Ah. Ah» fece,
sarcastico, osservandola. «Davvero, guarda! Io non sono
Shinichi».
Lei si
strinse nelle spalle. «Guarda che ti credo»
precisò. Sembrava ammetterlo piuttosto a malincuore, ma
quelle parole furono comunque come un sorso di una bevanda calda
– quasi bollente, ma piacevole – per Conan.
Sentì un senso di euforia pervaderlo, mentre iniziava a
percepirsi piuttosto estasiato.
«Però
il problema resta»
sussurrò, una volta che riuscì a riprendersi da
quelle emozioni e quindi a parlare senza sorridere come un ebete.
«Dobbiamo scoprire la mia identità e anche dove si
trova Shinichi». Rifletté. «Ho sentito
dire dagli Uomini in Nero che lo tengono sotto chiave».
Era
sicuramente impossibile non essere preoccupato per qualcuno che
certamente era tenuto prigioniero da quei loschi figuri. Considerato
poi che lui aveva creduto per parecchio tempo che quel qualcuno fosse
se stesso, la preoccupazione diveniva un eufemismo.
Spazio dell’autrice
estremamente commossa:
Okay. Io non so che dire, a parte che vi adoro! Non mi aspettavo tante
recensioni, e si sa che i commenti scaldano molto piacevolmente
– sono delle ottime coccole per l’ego (anche dei
pugni in faccia per la modestia, ma lasciamo perdere).
Mi scuso per il ritardo, ma Internet se n’era andato, e poi
me n’ero andata anche io – in montagna –
e quindi non ho avuto molto tempo per aggiornamenti vari. Ora
però è tutto a posto e si spera che rimanga
così.
Dolcekagome: Non preoccuparti, questa volta sono
decisa a non lasciar
perdere questa storia... Grazie per averla messa tra i preferiti,
cercherò di continuare a fare del mio meglio per esprimere i
vari stati d’animo!
Ninny: Già, dev’essere tenero
un coniglietto. Ora
rimpiango di non averne mai avuto uno... Che sia stata la paranoia
attraversata dalla mia migliore amica (il sogno di avere un
coniglietto) ad avermelo fatto mettere in questa storia? Comunque sia,
grazie per il commento^^
TITTIVALECHAN91: Ciao! Grazie per le due recensioni.
Non preoccuparti,
nonostante il ritardo dall’ultimo a questo aggiornamento ieri
mi sono messa d’impegno e sono andata abbastanza avanti nella
storia. Quindi il prossimo capitolo non arriverà troppo in
ritardo.
Roe: Per Heiji (anche io lo adoro!) non
preoccuparti. Anche se non
tanto presto – purtroppo – prima o poi
arriverà, sto architettando la sua comparsa. Ciao^^
Licia Troisi: In effetti per essere strano
è MOLTO STRANO.
Onestamente, è assurdo. Però credo che la
fantasia non mi manchi (anche se spesso è parecchio
contorta) quindi eccomi a scrivere questa storia. Forse avrei dovuto
mettere anche “Sovrannaturale” tra le note, ma la
scelta di generi non va oltre il numero di tre... Grazie mille
A Crazy Cotton: Ciao! Che piacere risentirti! Non
preoccuparti per lo
scorso capitolo, mi aveva fatto un piacere enorme la tua risposta
all’avviso che avrei riscritto da capo la storia. Quindi
aspetto la recensione a questo capitolo, eh? xD No, comunque non
preoccuparti se sarà un commento più o meno
lungo. Anche con solo due parole mi fai capire che ci sei e segui la
storia... Grazie^^
Shinichikudo: Wow, addirittura sia tra le seguite
che tra le preferite!
Grazie mille! Spero di riuscire a mantenere viva la
curiosità – e l’interesse,
perché anche quello è importante per un lettore!
Ciao
|
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Capitolo 4 *** Questione di deconcentrazione ***
Capitolo 4 – Questione di deconcentrazione
«Sentite, ragazzi...»
Conan
sobbalzò appena, voltandosi verso il professore. La
soddisfazione dovuta al fatto che Ai gli credesse e l’ansia
per la sorte di Shinichi gli avevano fatto quasi dimenticare della
presenza di Agasa.
Ora,
sentendosi vagamente colpevole, osservò il professore,
in attesa delle sue parole. L’uomo appariva preoccupato e
dubbioso.
«Io
ancora non capisco» borbottò.
«Insomma, Ai» proseguì, guardandola,
«tu hai detto che credi a Shi... a Conan. E se lui e sicuro
che ciò che ci ha raccontato sia vero, allora non lo metto
in discussione. Ma... Insomma, non sei tu che hai preparato la
sostanza? Come potevi non essere al corrente di tutto
questo?» domandò, con evidente nervosismo.
Conan si
voltò verso Ai.
Lei
rispose subito. «Una volta, uno degli Uomini in Nero ha
voluto prelevare un campione della sostanza. Doveva far apportare
alcune modifiche per il progetto, disse. Qualche giorno dopo mi
comunicarono che la faccenda non aveva funzionato.
Evidentemente» continuò, scoccando
un’occhiata a Conan, «mentivano».
«Quindi»
intervenne Conan, «con ogni
possibilità io sono stato “trasformato”
con quella sostanza, non con la tua».
La
ragazza annuì in silenzio. Conan la guardò a
lungo, assorto. Quando si rese conto di come la stava fissando,
abbassò lo sguardo.
«Comunque...
Stanotte io e Conan tenteremo di capirci
qualcosa» affermò Ai.
«Tu
e Conan» ripeté il professore,
incredulo nel constatare di essere stato escluso. Ai non si scompose e
si limitò ad annuire in silenzio.
Così,
Agasa dovette limitarsi ad assumere
l’incarico di telefonare a casa Mori, in modo da avvertire
che il loro piccolo ospite occhialuto sarebbe rimasto da lui per la
notte.
«Anche
stanotte?» domandò la voce
piuttosto apprensiva di Ran. «Ma non stava male?»
Agasa si
grattò il naso. Si sentiva abbastanza imbarazzato.
Il fatto di non vedere la ragazza in volto non diminuiva la sensazione
di impaccio che lo assaliva quando doveva mentire, anche se
indirettamente. «Be’... Mentre giocava ai miei
videogiochi non sembrava molto malato». Rise nervosamente.
«Ma non sono tutti così, i bambini?»
Con suo
enorme sollievo, Ran non indagò oltre, limitandosi a
raccomandare che a Conan non fosse permesso di restare alzato per un
tempo esagerato.
Finita la
telefonata, domandò:
«C’è qualcosa che posso
fare?», sperando in un compito degno.
Conan
guardò Ai. Lei annuì. «Potresti
accendere il riscaldamento del laboratorio? Ah, e procurarci un bel
fascio di fogli?»
Agasa
riuscì a svolgere quelle mansioni con molta
dignità. Osservò come anche Conan si muoveva al
comando della ragazzina... Certo che era nata per organizzare ogni
cosa...
Il
laboratorio, con l’avanzare della notte, si era oscurato
sempre più. Ora l’unica luce era quella
proveniente dallo schermo del computer acceso, quella originata dalla
lampada da tavolo posata accanto all’elaboratore elettronico
e quella causata dalla torcia elettrica con la quale Conan stava
giocherellando senza sosta.
La
spense. La accese di nuovo. La spense. La riaccese...
«La
vuoi piantare?» chiese Ai, secca.
«Non
so che fare» obbiettò lui,
spegnendo per l’ennesima volta la pila. «Avevi
detto che ne avremmo parlato, ma continui a fare ricerche per conto
tuo, senza degnarmi della minima attenzione».
Lei lo
scrutò torva, posando le braccia sui fogli pieni di
schizzi e parole affrettate poggiati sulla scrivania. Lui la
fissò di rimando, facendo dondolare i piedi, seduto su una
sedia troppo alta per la sua versione infantile. In un modo un bel
po’ immaturo, accese la torcia.
Ai lo
fulminò con un’ultima occhiata e
tornò a concentrarsi sul computer, pigiando furiosamente
– e in rapida successione – sulla tastiera.
Conan
sospirò e spense definitivamente la torcia.
Tentennò per qualche attimo. «Senti,
Haibara» iniziò, «tu hai idea di come
possano avermi dato quegli strani ricordi?»
Lei
scrollò le spalle. Lo fissò, accigliata.
«Sto cercando di capirlo» affermò.
«E forse ci riuscirei anche, se tu la smettessi di
disturbarmi». Tornò con serietà adulta
ai propri appunti cartacei, scrivendo nuove parole che andarono ad
intricarsi alle lettere aggrovigliate delle precedenti.
Conan
posò la torcia ed osservò la ragazzina
scrivere. Pensò che era davvero carina, con le ciocche
castano ramato che le ricadevano un poco sugli occhi. Anche il gesto
rapido e preciso della sua mano per cacciarli indietro aveva un che di
speciale. Osservò come si mordeva appena il labbro, gli
occhi luminosi puntati sulla carta già graffiata da una rete
di inchiostro.
Dopo
qualche istante saltò giù silenziosamente
dalla sedia e si avvicinò ad Ai. Rifletté che
lei, nonostante il viso arrotondato dalla pinguedine infantile, aveva
comunque un fascino decisamente maturo. Dopo un po’, Ai si
voltò bruscamente, sentendo il fiato del ragazzino sulla
propria guancia. «Che c’è?»
domandò senza troppi preamboli. Si sentiva stranamente
nervosa. Lo guardò finché lui non si fece un
gesto confuso ed alzò le spalle.
Cercò
di guardare da qualche altra parte senza dare
l’impressione di averlo fatto perché si sentiva
imbarazzata. Respirò profondamente, riuscendo ad acquistare
il solito distacco. O almeno, lo sperava. Per un momento,
osservò i capelli mori e arruffati di Conan. Quando se ne
rese conto, distolse in tutta fretta lo sguardo.
Accidenti.
Solitamente non le capitava di sentirsi così
confusa in presenza di Kudo... No, di Conan.
La
faccenda le parve peggiorare quando un pensiero improvviso la
colpì. Se lui non era Shinichi, allora non era nemmeno
innamorato di Ran... Lo cacciò. Già. Ma se lui
non era Shinichi... A lei piaceva chi era?
“Be’”
rifletté, cercando di
non pensarci senza riuscirci, “ma dopotutto io non ho mai
conosciuto Shinichi. Ho conosciuto solo Conan, ed è lui che
mi è... piaciuto”. Scosse la testa per cacciare
quelle parole mentali.
«Ehi!»
esclamò, in tono irritato,
rivolta a Conan. «Smettila di fissarmi così, mi
deconcentri!» Ma le sue guance erano improvvisamente calde.
“Smettila di fissarmi così, mi metti in
imbarazzo”.
Lui
indietreggiò di un passo contato. «Ti chiedo
scusa» disse, sorridendo con una punta di sarcasmo.
Ai scosse
i capelli. Decise di ignorarlo. Purtroppo però,
era molto più facile a dirsi, che a
farsi.
Conan si
sistemò gli occhiali tanto grandi tanto inutile.
Poggiò la mano da bambino sullo schienale della sedia,
sorridendo senza ironia. «A me piacerebbe stare
qui» affermò, sincero. «Ma se non ti va
posso andare più lontano».
Ai
esitò. Dopotutto, non avrebbe significato nulla se lo
avesse invitato a restare. Anche se era certa di non volerlo ammettere,
le piaceva sentire dietro sé la presenza di Conan, sbalzi di
temperatura corporea a parte. Le piaceva udire la voce di lui, la
rassicurava.
Eppure...
«Va’
lontano. Non mi piace avere qualcuno alle
spalle intento a sbirciare i miei appunti» disse.
Conan
obbedì senza protestare.
Ai
tornò ai propri appunti. In realtà, lo aveva
allontanato in modo da potersi concentrare davvero sul problema. Non
avrebbe certo risolto nulla, continuando a sbirciare con la coda
dell’occhio il profilo del ragazzo. Sospirò, si
sistemò una ciocca che le cadeva sul viso, e riprese a
scrivere.
Spazio autrice:
Rieccomi. Un poco triste per la tragica dipartita di quindici
euro, scomparsi drammaticamente in seguito all'acquisto di qualche
numero di "Detective Conan", ma tutto sommato in salute e asociale come
sempre. Esaurite le stupidaggini, passo a ringraziare tutti quelli che
continuano a seguire la storia:
Roe: Per adesso di Shinichi non
c’è traccia...
Sono felice che ti sia piaciuto anche lo scorso capitolo, grazie^^
Ninny: Be’, sai che ti dico? Anche io
approvo il coniglietto!
Ovviamente è il dettaglio più importante di tutta
la storia xD E certo, Ai non può fare a meno
dell’ironia ^^ Ciao
Abigail94: Hehe. Hehe cosa? Hehe che ti sapeva a
briga recensire di
più? No, dai, fa lo stesso... In questa versione mi sono
impegnata di più. Ecco. Questo coniglio è bianco,
ma Trebor è sempre con noi e... sì. Qualcosa del
genere. Comunque – in ogni modo – in ogni caso
– sicuramente – certamente – tuttavia
– in qualunque modo – in qualsiasi modo... Ti ho
dato una mano con la lista di parole. Poi torno a leggere tutti i manga
che mi hai prestato e quelli che ho comprato (Dio. Mio. Che. Infarto.
Quindici euro che se ne vanno così.
ç_ç).
TITTIVALECHAN91: In questo capitolo ho cercato di
aumentare il
concentrato di AixConan, spero solo di non aver sconfinato nello
sdolcinato o nel banale. Spero di non aver fatto tanto tardi...
A crazycotton: Wow, già stata al mare? Io
parto il 12. Per
la Francia. Comunque... Sono felice di averti fatta contenta,
così come mi fa piacere che anche questa nuova versione ti
appassioni. Quindi al prossimo aggiornamento!
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Capitolo 5 *** A un nome da una soluzione ***
Capitolo 5 – A un nome da una soluzione
«No. Non ci siamo proprio». Ai,
seccata,
accartocciò il foglio che aveva davanti e lo
lanciò con rapidità dietro di sé.
Conan
protestò accoratamente quando quella palla di carta lo
colpì alla nuca. «Ehi!» si
lamentò.
Ai si
voltò all’istante verso di lui, recuperando
in un attimo la solita calma. «Bene»
affermò, in tono pratico. «Stavo cercando di
capire come devono aver manomesso la sostanza, ma... Ho capito che in
questo modo otterrò o poco o niente».
Arricciò le labbra e si alzò in piedi. Si
avvicinò a Conan.
Lui
trasalì vistosamente. «Che... che cosa
c’è?» farfugliò.
Lei si
sistemò con noncuranza un ciuffo di capelli, poi lo
fissò seria negli occhi. «Senti... Conan, prova a
ricordare qualcosa. Qualsiasi cosa».
Lui
deglutì, mentre sentiva il sangue salire alle guance. Si
grattò imbarazzato la nuca.
«Insomma»
lo spronò Ai,
«qualsiasi cosa andrà bene. Dopotutto sono i tuoi
ricordi, non puoi aver dimenticato ogni cosa!»
«Ehm...»
Conan si schiarì la voce.
«Una cosa ci sarebbe» disse, incerto.
Lei gli
fece cenno di continuare.
«Va
bene proprio tutto tutto?» chiese Conan,
nervosamente.
Lei si
sentì leggermente esasperata. Annuì. A
quel gesto, il ragazzino prese fiato e comunicò senza pause:
«Ho avuto un coniglio per qualche tempo».
Ai
spalancò gli occhi. Quando si riprese –
rapidamente – alzò un sopracciglio.
«Okay. Be’, Conan, credevo avresti capito che
“tutto” non significava così
“tutto”».
Lui rise
nervosamente, ancora imbarazzato.
«Comunque...
Un coniglio. Sarebbe un buon inizio, se solo non
ci fossero così tante persone in grado di vantarsi di averne
avuto uno come animale di compagnia».
Le ore
passarono, scandite dall’orologio. Non riuscirono ad
arrivare ad alcuna conclusione, tanto più che Conan,
nonostante si spremesse le meningi, non riusciva proprio a ricordare
qualcosa di diverso. La loro consultazione si concluse con
l’intervento di Agasa, che li spronò a dormire un
po’.
Avrebbero
continuato il giorno successivo, se solo Ran non fosse giunta
a prendere il bambino occhialuto. Sia Ai che Conan si sentivano
piuttosto delusi e frustrati.
Quando si
videro più tardi, poi, non ebbero
possibilità di riprendere la discussione
sull’identità autentica di Conan. Infatti i
Detective Boys vollero coinvolgerli a tutti i costi in un giro di
attenta esplorazione.
“Macché
esplorazione” pensò
Conan, un po’ irritato. Si sentiva profondamente
insoddisfatto al pensiero che gli sforzi suoi e di Ai non avessero dato
alcun frutto. Osservò gli scaffali attorno a sé,
soffermandosi seccato su una scatola di biscotti al cioccolato.
“Cosa ci sia da esplorare al supermercato, proprio non lo
capisco”. Fissò Haibara sorridere ad un racconto
concitato di Ayumi, dopodiché sospirò. Scrollando
le spalle, si lasciò coinvolgere dalle discussioni di Genta.
Tornò
a casa di malavoglia, pressato da un forte senso di
insoddisfazione. Tentò di dormire un poco per troncare sul
nascere il mal di testa che minacciava di travolgerlo. Non
riuscì a chiudere occhio e decise di andare in salotto. E,
mentre allungava la mano verso l’interruttore strofinando un
piede contro l’altra gamba, provò una sensazione
di ripetizione.
«Dejà
vu» mormorò fra
sé e sé, emozionato. Sforzò la mente.
Il ricordo era elusivo. Era come tentare di afferrare
dell’acqua... Scivolava via, senza lasciarsi stringere
minimamente.
Chiuse
gli occhi con più forza.
“Andiamo” pensò, a denti stretti.
Gli
sembrò di ricordare qualcosa... Era stata una giornata
piovosa... Sì. Lui si era teso a spegnere la luce, ma poi
non lo aveva fatto, perché...
Perché
cosa?
Era
entrata... Si afferrò la testa con entrambe le mani,
mordendosi un labbro. Chi? Non lo ricordava, ma era certo che si
trattasse di una donna. Riusciva quasi a rievocare la voce di lei, a
vedere le sue labbra scarlatte, accuratamente truccate.
Avevano
parlato, ma i dettagli gli sfuggivano. E poi...
Tentò
di non concentrarsi troppo sul ricordo, cercando di
lasciare che si sviluppasse da sé. E di colpo gli parve
quasi di udire la propria voce mentre chiedeva, seccato...
“Avanti, dimmi cosa c’entro con Yukiko
Fujimine”.
Conan
strinse la mascella così forte che i denti gli
dolsero. E la donna cosa aveva risposto, accidenti?! Aveva riso. Si era
alzata e gli aveva posato un dito sulle labbra.
Aveva
esclamato qualcosa, divertita. Quanta curiosità, ecco
quali erano state le sue parole. Poi era rimasta in silenzio per
qualche attimo. Sì, e dopo... Dopo aveva affermato che se
lui voleva davvero sapere cosa c’entrava con
quell’attrice, doveva rivolgersi a...
«Accidenti!»
imprecò Conan, frustrato.
Sforzò il ricordo, senza ottenere nulla. Forse era Isao
qualcosa? No, non era Isao. Tokozumi, di cognome? Scosse la testa fra
sé e sé, irritato contro se stesso.
Dopo un
po’ scelse di lasciar perdere. Non ricavava niente,
se non l’indispettirsi contro sé per il fatto di
non rammendare nulla di più. Si concentrò sulle
informazioni acquisite. A quanto pareva, quindi, lui aveva qualcosa a
che fare con la madre di Kudo, la madre che per tanto tempo aveva
creduto fosse la propria.
Accidenti,
però! Un nome, un solo nome, e avrebbe potuto
scoprire qualcosa! Del resto, rifletté, accigliato, andava
sempre così. Al culmine della soluzione del mistero si
scopriva di non avere tutti gli indizi necessari.
“Almeno
ho capito qualcosa” si disse.
“Devo riferirlo ad Ai!” decise, uscendo in
corridoio. Si diresse da Ran, correndo, e sfoderò il suo
miglior sorriso ingenuo e infantile. «Senti, Ran»
disse, sforzandosi di apparire entusiasta, «posso tornare dal
professore? Aveva un gioco bellissimo!»
Lei lo
guardò con una punta di rammarico, dispiaciuta.
«Mi spiace, Conan» sospirò,
«ma papà è diventato
paranoico».
«Come
paranoico?» domandò lui. E, per
solidificare la sua facciata da bambino, aggiunse: «Come i
tizi dei film?»
Ran
replicò: «Ieri non è riuscito a
concludere la soluzione del caso».
“Ti
pareva” commentò fra sé e
sé Conan. Aveva voglia di alzare gli occhi al cielo, ma
sapeva che non sarebbe stato molto coerente con il carattere da bimbo
innocente che doveva mantenere. «E quindi?» chiese,
sgranando gli occhi.
«Quindi
teme che se alcuni giornalisti incontrassero me o te
per strada ci tempesterebbero di domande sino a farci affermare che lui
è un buono a nulla».
Conan non
si trattenne più. Alzò gli occhi al
cielo. Era un peccato per il bimbo innocente, ma la storia che era
frullata in testa a Kogoro era davvero troppo inverosimile.
«Ha
detto» continuò Ran, esasperata a
propria volta, «che se vogliamo andare da qualche parte
dobbiamo metterci d’accordo e scegliere la stessa meta. In
modo che lui possa accompagnarci».
Si
chinò verso il bambino. «Ma se vuoi proprio
giocare ancora, per me va bene venire dal professore. È
simpatico e inoltre dalla finestra si vede la casa di...» Si
interruppe, arrossendo sino alla radice dei capelli, improvvisamente
convinta di aver parlato troppo.
“Di
Shinichi” concluse mentalmente Conan. Gli
dispiaceva per Ran. Ora che sentiva con chiarezza di non essere lui
quello che provava qualcosa per lei, capiva nitidamente che lei era
innamorata di Shinichi. E se prima lui era certo, almeno, che la
persona amata le fosse vicino – in quanto pensava di essere
lui Shinichi – ora non aveva la più pallida idea
di dove si trovasse il detective liceale. Sperò che gli
Uomini in Nero non gli avessero fatto del male.
Dopo aver
creduto di essere Kudo per tutto quel tempo, si trovava
inevitabilmente a provare simpatia e attaccamento verso di lui.
Dal
momento che non sapeva se sarebbe stato conveniente discutere della
propria identità con Ran e suo padre nei paraggi, tanto
più che lei si sarebbe aspettata di vederlo correre dai
videogiochi, disse alla ragazza che era lo stesso.
Tornò
in camera. Prese il cellulare e digitò in
fretta un numero. Gli rispose la voce assonnata del professore:
probabilmente l’uomo stava schiacciando un pisolino quando
era stato svegliato dal telefono. «Pronto?»
«Pronto,
professore, sono Conan! Potresti passarmi
Haibara?»
«Certo»
bofonchiò Agasa, un
po’ smarrito a causa del risveglio improvviso. Si
allontanò udibilmente dall’apparecchio telefonico
e Conan rimase in attesa, con il cuore che batteva impaziente.
E
finalmente la voce famigliare di Ai si fece udire. «Che
succede, Conan? Hai scoperto qualcosa?»
«Penso
proprio di sì» replicò
lui. Chiuse la porta e, a bassa voce, iniziò a raccontarle
quanto si era ricordato.
Ai lo
interruppe. «Chi era quella donna?»
domandò.
«Non
so. Ho sforzato le meningi, ma non ricordo affatto chi
sia» rispose Conan, impaziente di proseguire il racconto.
«Quindi»
concluse un po’ di tempo dopo,
«ho scoperto di avere qualcosa a che fare con la madre di
Shinichi». Ai non replicò, immersa in un silenzio
carico di riflessione.
Conan
spostò il proprio peso da un piede
all’altro. «La donna» disse, dopo aver
cacciato l’esitazione. «Mi ha detto anche chi avrei
dovuto contattare per sapere della mia relazione con Yukiko, ma non
riesco proprio a ricordarmi quel nome». Si batté
una mano sulla fronte.
«Tipico»
osservò dopo qualche istante
Ai. «L’elemento più importante
è quello che manca più spesso». Conan
non poté che concordare. Dopo qualche istante di silenzio,
lei decise: «Senti, tu cerca di ricordare e fammi sapere al
più presto».
«D’accordo»
sussurrò Conan, in
tono piatto. «Ciao» sospirò poi,
rassegnato.
«Ciao»
replicò Ai, interrompendo la
chiamata.
E Conan
si sedette sul letto, pensieroso, tentando di ricordare.
Spazio
autrice:
E così eccomi di nuovo. Spero l’attesa non sia
stata troppo lunga.
A crazy cotton:
Già. Il povero professore è stato
escluso al primo colpo. Be’, si spera che prima di diventare
molto ma molto pucci Ai e Conan tornino grandi, giusto? (Non chiedere
da dove è uscita questa). Anch’io c’ero
già stata in Francia, e sono felice di ritornarci^^ Ah, e
grazie anche per aver commentato la drabble su Shinichi e Ran...
TITTIVALECHAN91:
Ai è fredda solo in superficie, in
realtà. Sotto è davvero dolce, almeno secondo
come la vedo io. Conan sa essere un bravo bambino innamorato, ma la sua
imbranataggine rovina un po’ l’atmosfera (concordo.
Proprio un tonno è). Prima o poi il capitolo arriva, ma le
vacanze hanno un influsso estremamente impigrente su di me. Alla
prossima, dunque! Ciao^^
Ninny: Coniglietto
per tutti i secoli e oltre, ecco. Sono felice che Ai
sia stata apprezzata^^ Tenterò di darmi una mossa ad
aggiornare, okay? Anche se fra poco – be’, il 12
– parto per la Francia, e tornerò il 22... Grazie
per aver anche commentato la mia drabble. Sono contenta di aver
espresso ciò che pensi che potrebbe dire Ran...^^ Grazie
mille^^
Shinichikudo:
Sono contenta che ti piaccia. Non preoccuparti se non
riesci sempre a commentare, d’altra parte anch’io
non sono sempre libera. Quindi ti capisco^^ Ciao
|
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Capitolo 6 *** Silenzio ***
Capitolo 6 – Silenzio
Era assurdo. No. Era più che assurdo.
Era più che
strambo, più che ridicolo. Era da matti, da pazzi da legare,
da pericolosi psicopatici.
Eppure
era così.
Conan non
riusciva a ricordare nessun’altro sprazzo di
dialogo, non riusciva certo a rievocare il nome che gli sarebbe stato
così utile, ma ricordava perfettamente la sensazione di
tranquillità quando, seduto sul divano, prendeva in grembo
il proprio animaletto. Rammendava il peso caldo del coniglietto
gravargli in modo piacevole sul petto. Quasi sentiva sotto le dita il
pelo morbido del cucciolo.
Si
batté la mano sulla fronte. Strizzò gli occhi
e scosse la testa. In un gesto esasperato, si sistemò gli
occhiali sul naso. Accidenti! Concentrarsi su quei dettagli non lo
avrebbe di certo aiutato!
Sforzò
la mente sul ricordo della donna che parlava. Si
premette le mani sulle orecchie, chiuse gli occhi, storse il naso,
sempre pensando intensamente a lei. L’unico dettaglio che
ricavò fu la neanche tanto ferma certezza che la donna
avesse i capelli biondi.
Figurarsi
se riusciva a rammendare quel nome che l’avrebbe
aiutato davvero con il problema della sua vera identità.
Provò
a concentrarsi maggiormente. In fondo, se si
impegnava, i ricordi avrebbero potuto incastrarsi come pezzi di un
puzzle: confusi se presi singolarmente ma chiarissimi nel loro insieme.
Si sforzò, ma in quel momento un’immagine gli
balenò alla mente.
Rivide
Haibara, seduta alla scrivania, immersa in calcoli a lui quasi
totalmente incomprensibili, e per un attimo ricordarla gli piacque.
Scosse la testa. “Non ricorderò certo un bel
niente se nella testa ho solo lei!” si rimproverò,
infastidito. “Anzi, se voglio rivederla farei meglio ad
arrivare a capo di qualcosa, in modo da avere una scusa
valida”.
L’istante
dopo si meravigliò della sua stessa
riflessione. Era come se il rammendare qualche dettaglio in
più non fosse più associato alla soluzione del
mistero sulla propria identità... Stava quasi diventando una
scusa per poter vedere Ai.
Si diede
dello scemo, sentendosi in colpa per Shinichi. La sua
identità, si disse, non serviva solo a lui, ma anche ad
avere indizi sul detective liceale che aveva creduto di essere.
Perciò
provò di nuovo a concentrarsi, ma ogni
ragionamento capitolava sempre al pensiero di Ai: alla sua apparente
durezza, che, una volta, scalfita, si dissolveva in una
fragilità incredibile. Sempre più confuso
– non capiva come avesse fatto Shinichi a risolvere i propri
casi tempo prima, quando doveva essere distratto da Ran – si
premette le mani sulle guance e cercò di vagliare meglio
quei ricordi aggrovigliati.
Ma solo
quando, ormai rassegnato, chinò la testa sul
cuscino, il nome aleggiò nella sua mente chiaro e preciso.
Avrebbe saputo indicare con precisione il tono con cui la donna lo
aveva pronunciato.
«Misao
Morozumi» sussurrò.
Sobbalzò talmente bruscamente da rischiare una caduta dal
letto; annaspò alla ricerca del cellulare e, quando lo ebbe
preso, gli cadde di mano due volte per la fretta e
l’agitazione. Finalmente, imprecando contro di sé,
riuscì a comporre il numero giusto.
Con la
voce fremente per l’emozione, comunicò
tutto ad Haibara.
«Bene»
affermò Ai alla fine del breve
resoconto di Conan. «Andrò a informarmi al
riguardo di questo Misao Morozumi».
Il
ragazzino si riscosse. Prima di potersi frenare, esclamò:
«Ehi, e io?!» Aveva appena aperto bocca che
desiderò non averlo mai fatto, rendendosi conto di quanto
fossero infantili quelle parole.
«Se
non sbaglio tu non puoi uscire di casa,
giusto?» domandò Ai, diplomatica.
Conan
sospirò. Sia per la delusione di non poterla
incontrare, sia per la vergogna ancora viva della figuraccia appena
fatta. «Già» mormorò.
«Allora
non appena scopro qualcosa ti chiamo. Ciao, Ku...
Conan» lo salutò. Lui rispose al saluto e rimase
con il cellulare attaccato all’orecchiò sino a
quando non udì il suono del segnale assente. Si sedette,
sbuffando appena, sul letto. Immaginò Haibara infilare una
giacca e indossare quel suo cappello con la visiera, calcandoselo bene
sui capelli ramati. Si figurò il saluto che la ragazzina
avrebbe rivolto al professore, magari aggiungendo qualche spiegazione
su quel che Conan era riuscito a ricordare. Per finire,
delineò mentalmente l’uscita di casa di lei. A
quel punto, però, non seppe che altro immaginare. Per quanto
ci pensasse, doveva ammettere che non aveva idea di come Haibara
intendesse organizzare la propria ricerca.
«Maledetto
mal di testa» borbottò tra
sé, imprecando contro le tempie pulsanti che gli impedivano
di pensare chiaramente. Era lampante che dormire sarebbe stata una
mossa intelligente; peccato che fosse altrettanto ovvio che, nello
stato d’ansia in cui si ritrovava, non sarebbe riuscito ad
azzardare nemmeno un timido pisolino.
Si arrese
e si avvicinò alla pila di libri appartenenti a
Kudo. “Be’, un po’ anche a me”
pensò. “In fondo, li ho comprati io quando pensavo
di essere lui”. Li sbirciò. Lo sapeva, ma rimase
un po’ deluso lo stesso: erano tutti romanzi gialli. Ne
sfogliò uno di malavoglia.
In
quell’istante gli venne in mente una cosa. Una volta, la
madre di Kudo gli aveva detto, prendendolo per il figlio, che le
sembrava che Ai fosse innamorata di lui. A quel tempo non ci aveva dato
peso, scettico ed incredulo, ed aveva lasciato perdere subito.
In quel
momento il suo cuore palpitò emozionato, mentre il
dubbio si faceva strada nella sua mente. E se Yukiko avesse avuto
ragione? Se Haibara fosse stata innamorata di lui?
E, mentre
parte del suo entusiasmo improvviso si smorzava, si pose la
domanda che gli premeva davvero. Sempre che Ai fosse innamorata, era
stata conquistata da lui come Shinichi o semplicemente come Conan?
Preferiva
la destrezza che aveva dimostrato a risolvere i casi grazie
alla falsa memoria di Shinichi o la premura che aveva avuto solo
perché era lui?
Incerto
su quale fosse la vera ragione, rimase a riflettere al riguardo
per molto tempo. Quando poi Ran lo chiamò per la merenda,
trasalì, riemergendo da quelle riflessioni.
“Forse
lei mi può dare una risposta” si
disse, raggiungendola in cucina.
Dopo
qualche istante, tra un morso del tramezzino che teneva saldo tra
le mani e l’altro, esordì in tono innocente:
«Senti, Ran...»
La
ragazza si voltò a guardarlo, interrogativa.
«Sì?»
«Cosa
ti piace di più di Shinichi?»
Lei si
allarmò. «Non è che ti ha
chiesto lui di chiederlo?» domandò, ansiosa.
«No»
replicò Conan. «Davvero,
lo giuro».
Lei
annuì. Si interruppe e si concentrò sulla
domanda. «Cosa mi piace di Shinichi...»
ripeté, pensosa. Arrossì e per un poco non
rispose. «Be’» disse dopo qualche
istante, «quando risolve un caso è...
Carino». Dal tono esitante dell’ultima parola Conan
fu certo che avrebbe voluto dire “affascinante”.
«Inoltre è bravo e... premuroso». Si
girò di scatto, portando con grande maestria il discorso
sulla scuola di Conan.
Lui
rispose alle domande in modo distratto, sfoderando di tanto in
tanto un sorriso infantile. Dentro sé, rifletteva su quanto
appreso.
In
conclusione, non riusciva a ricavarne niente. Con i tratti sbiaditi
della memoria di Shinichi e quelli più chiari del ricordo di
quanto era accaduto dal giorno in cui era stato rimpicciolito, avrebbe
anche potuto risolvere un caso. Forse non con la sicurezza del
detective liceale, ma con un po’ di impegno non sarebbe stato
un grandissimo problema.
Purtroppo
Shinichi non aveva mai capito molto di sentimenti,
così come non ne capiva lui in quel momento.
Ritornò
in camera con gli stessi dubbi di quando era andato
in cucina. Quando il cellulare prese a trillare con insistenza,
sobbalzò sulla sedia e tese rapido le mani verso
l’apparecchio. «Pronto?»
«Sono
io» replicò la voce famigliare di
Haibara. «Ho scoperto chi è il nostro uomo e
cos’ha a che fare con la madre di Kudo».
Il
ragazzino deglutì. «E...?»
La
risposta arrivò in breve: «È un
medico. E a quanto pare ha seguito Yukiko durante la
gravidanza». Sebbene avesse parlato con apparente
tranquillità, Conan si sentì agitato e ansioso.
«Ma...
Cosa può significare questo?»
domandò, sentendosi improvvisamente molto nervoso.
Lei
rimase in silenzio per qualche attimo. «Non lo
so» rispose infine. «Non sei tu il grande
detective?»
«No»
la contraddisse Conan, «il grande
detective è Shinichi». E, nonostante la
situazione, non poté fare a meno di sentirsi un
po’ irritato per il fatto che lei avesse ricordato il ragazzo.
«Domani.
Vediamoci e discutiamone» concluse
Haibara. «Ciao».
«Ciao,
Ai» mormorò lui. Solo dopo aver
pronunciato l’ultimo suono rammendò che lei aveva
accordato il permesso di chiamarla per nome soltanto ad Ayumi. Per un
attimo si aspettò una frase di scherno. Al contrario,
dall’altra parte del filo il silenzio si tese e si
prolungò.
Dopodiché,
sempre in silenzio, Haibara interruppe la
chiamata.
Spazio autrice:
Scusate per il ritardo, ma tra le vacanze in Francia, i parenti e i
compiti delle vacanze (maledetti!) non riuscivo a scrivere niente.
Ninny: Già, Shinichi è sempre
di mezzo, ma
poveraccio, non ne ha nemmeno tutta la colpa! Forse è Conan
che dovrebbe smetterla di paragonarsi a lui ogni santo secondo! ^_-
TITTIVALECHAN91: Be’, sono felice di
averti incuriosita^^ In
effetti impigrirsi durante le vacanze non dev’essere una cosa
rara... Dopotutto esistono per quello! (o no? O_o). Grazie!
A crazycotton: Come vedi, anche in questo capitolo
è
comparso il sacro coniglietto U_ù Non può proprio
mancare, dal momento che è il fulcro dell’intera
storia. Grazie per i complimenti, sono contenta che ti incuriosisca...
*-*
Licia Troisi: Non ti preoccupare per
l’assenza, sono felice
che tu sia tornata a recensire e di non averti delusa con le nuove
novità del racconto^^
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Capitolo 7 *** Inizio delle indagini ***
Capitolo 7 – Inizio delle indagini
Conan non avrebbe saputo in seguito dire per quanto
tempo rimase
immobile, l’orecchio incollato al ricevitore che recepiva il
tu tuu
della telefonata giunta al termine.
Osava a
malapena respirare, quasi il suono che sentiva fosse
impossibile da disturbare. Abbassò il cellulare e lo spense.
Per qualche attimo rimase a fissare il telefonino, chiedendosi a cosa
fosse dovuta la reazione che Ai aveva avuto dopo essere stata chiamata
per nome. Si era forse sentita infastidita? O imbarazzata?
Per tutto
il resto della serata si tormentò con quelle
domande. Quando infine si abbandonò tra le coperte e si
lasciò scivolare nel sonno, fece un sogno che sarebbe
svanito con la luce dell’alba.
Era fermo
sulla riva di quello che sembrava un lago. Ma era il mare. Lo
sapeva, nel modo strano e bizzarro in cui si conoscono le
caratteristiche dei propri sogni. Correva sulla sabbia e si fermava a
raccogliere un sassolino.
Lo
gettava in acqua e lo guardava andare a fondo. Poi udiva una voce
chiamarlo, e si voltava. Si ritrovava davanti Ai, ma non l’Ai
bambina. L’Ai ragazza, Shiho Miyano.
La
guardava, e lei guardava lui, per poi inclinare la testa e mormorare
qualcosa.
Conan si
svegliò di soprassalto. Per un attimo si
guardò attorno confuso, certo di aver sentito il suono
dell’acqua che scorreva... Il rullio delle onde... Scosse la
testa. Non era importante, comunque. Balzò giù
dal letto e corse in salotto.
Kogoro
stava sfogliando un giornale.
Conan
azzardò un’occhiata e subito distolse lo
sguardo, allibito. “Non ci credo” pensò.
“Ha tenuto l’ultimo articolo che è stato
scritto su di lui... E lo legge con quel sorrisetto soddisfatto sulle
labbra!”
Si
voltò verso Ran, la quale stava spingendo la scopa tra
due mobili.
«Ehi,
Ran» iniziò, prendendo fiato.
La
ragazza si voltò a guardarlo.
«Conan!» esclamò sorpresa.
«Sei già in piedi?»
Lui
annuì frenetico. Sfoderò un sorriso enorme e
allargò le braccia. «Il dottore mi ha chiamato per
dirmi che ha un gioco nuovissimo!» disse, con veemenza. Il
viso atteggiato ad un’espressione che comunicava la totale
convinzione che i videogiochi creati da Agasa fossero il massimo in
assoluto.
Ran si
sistemò distrattamente una ciocca di capelli bruni
che le era caduta davanti agli occhi. «Ci vuoi andare, oggi
pomeriggio?»
Il
sorriso di Conan tremò. «Oggi
pomeriggio?»
ripeté. Improvvisamente
sentì un gran brutto presentimento. «Oggi non
c’è la scuola, Ran».
«Lo
so» replicò lei. «Ma Ayumi
ti ha invitato a casa sua. Te ne sei scordato?»
Conan
rifletté. O se l’era scordato davvero o non
aveva prestato veramente attenzione all’invito della bambina.
Fissò Ran, avvilito. «Sì?»
domandò, nella debole speranza di aver frainteso. Magari in
realtà Ayumi gli aveva telefonato oggi per invitarlo.
Ma la
festa, forse, era per un altro giorno.
«Certo»
disse Ran. «Ha detto che ci
saranno anche Mitsuhiko e Genta. Ai no, perché ha non ho
capito quale impegno».
Conan si
accigliò appena. Certo che Haibara era occupata!
Era occupata a scoprire la sua
identità. Non avrebbe dovuto
partecipare anche lui alla soluzione di quel mistero?
«Mi
vado a preparare» cedette, con un sorriso molto
tirato.
Ayumi fu
felicissima di vederlo arrivare. Gli saltò al
collo, abbracciandolo stretto, senza prestare attenzione alle
espressioni appena contrariate di Mitsuhiko e Genta.
Gli
chiesero se qualcuno aveva avanzato richieste perché i
Detective Boys svolgessero qualche indagine. Al suo distratto diniego
borbottarono qualcosa chiaramente delusi. Poi Mitsuhiko propose di
giocare a Monopoli.
Conan
accettò. Gli sembrava una maniera abbastanza
ragionevole per passare un po’ di tempo.
Più
tardi rimpianse la propria decisione.
Ayumi
continuava a sorridergli e a complimentarsi con lui ad ogni
saggia mossa – per lei,
tutte le mosse del ragazzino erano
sagge. Genta tirava avanti proteste inaudite ogni volta che doveva
pagare. Infine, Mitsuhiko si prodigava in speculazioni, riguardanti
figurine dei personaggi famosi e fumetti appena letti – ad
ogni quartiere.
L’ora
della merenda fu abbastanza gradita. Genta parlava a
bocca piena e masticava in modo piuttosto rumoroso, ma Conan non gli
prestò attenzione.
Quando
ebbero finito di mangiare, Mitsuhiko, pulendosi la bocca con il
tovagliolo, avanzò la proposta di andare a fare un giro nel
Parco. I bambini accolsero l’idea con molto entusiasmo.
Conan
sospirò e li seguì giù per le
scale, ma quando furono usciti dall’abitazione di Ayumi,
decise di non poter perdere altro tempo. «Sentite, ragazzi,
io non vengo. Mi sono fatto male alla caviglia»
inventò.
Ayumi lo
guardò ansiosa e dispiaciuta. «Se vuoi ti
accompagno a casa» disse. «Così ti
faccio anche da infermiera se ti fa troppo male».
«Meglio
di no» si affrettò a dire Conan.
Alzò uno sguardo rapido al cielo ed aggiunse: «Non
vorrei che tu perdessi questa bella giornata».
Lei
sorrise. «Sei così gentile, Conan!»
esclamò.
Lui
sorrise di rimando, poi guardò i bambini allontanarsi,
aspettando – con un filo di impazienza – che Ayumi
smettesse di voltarsi ogni secondo per controllare la sua posizione.
“Da
come è corrucciata”
pensò, “pare convinta che io possa cadere svenuto
da un momento all’altro”. Nonostante
l’impazienza, non poté fare a meno di sorridere a
quel pensiero.
Ancora
qualche istante, ed i Detective Boys scomparvero dalla sua
vista. Conan si voltò ed iniziò a correre in
direzione della casa del professor Agasa.
Suonò
impaziente il campanello. Venne ad aprire Ai. Il
ragazzino notò, con un certo imbarazzo, che lei indossava
ancora il pigiama. La ragazza lo fissò per un momento con
espressione indecifrabile, poi disse: «Aspetta qui, tu, io
vado a vestirmi».
Conan
annuì sollevato ed entrò in casa.
Ai non ci
mise molto, ed entro poco era pronta a parlare con lui.
«Hai
scoperto qualcosa?» domandò Conan,
sentendosi un po’ sulle spine.
Lei
scosse la testa.
Il
ragazzino si sentì un poco deluso, ma cacciò
rapidamente quel sentimento. «Per
curiosità» esordì, «come hai
fatto a scoprire chi fosse Misao Morozumi?»
«Semplice»
replicò Ai, pragmatica.
«Ho telefonato a tutti i Morozumi dell’elenco
telefonico».
Conan
rimase di stucco per un momento, poi chinò la testa
imbarazzato. Si era scervellato in così tanti modi sui
metodi che lei avrebbe potuto usare per trovare l’uomo.
Eppure quel metodo così semplice non gli era proprio venuto
in mente. Si sentiva le guance bollenti.
«Ha
risposto sua nipote» continuò
intanto Ai, «si è messa a consigliarmi suo zio
come dottore... E ha citato il fatto che lui era stato ginecologo di
un’attrice famosa. Ma questo» sospirò,
scrollando le spalle «è stato un tremendo colpo di
fortuna».
Conan si
incitò a cogliere la palla al balzo e a farle un
complimento, dicendole che la fortuna non c’entrava, e che
era lei ad essere stata brava. Con sommo imbarazzo – ormai
avrebbero potuto usare le sue guance per cuocere delle uova –
non replicò nulla. E ormai il momento era passato.
«Allora,
sei pronto?» domandò Ai,
facendolo cadere dalle nuvole dell’autocompatimento.
Conan
annuì. «Andiamo a trovare il dottor
Morozumi» sospirò.
Spazio
autrice:
Buondì! Scusate il ritardo, ma con la montagna di mezzo ho
avuto un po’ di problemi a lavorare per questo nuovo
capitolo. Dunque... Chi ha già letto la storia sa che nel
prossimo capitolo si chiariranno un po’ di cose. E ne
succederà una interessante. Okay, non dico altro.
Licia Troisi:
Mmm, effettivamente Conan ormai dovrebbe essersi accorto
della sua “tonnaggine”. O forse no,
perché per essere tonno, lo è un bel
po’ ^_- Per sapere sul dottore non dovrai aspettare molto,
non preoccuparti, solo il prossimo capitolo (che spero di riuscire a
pubblicare al più presto). Grazie per il commento!^^
TITTIVALECHAN91:
Uhm, sono fiera di annunciare che stamattina ho dato
un’interruzione alla mia pigrizia continuata e sono andata da
mio zio per fare fisica (heeelp!). Comunque, mi sembra che
ciò non c’entri molto con la storia (una deduzione
degna di Shinichi, questa!). Non ti scoraggiare. Come ho già
detto, il prossimo capitolo risolverà qualcosa...
Be’, alla prossima, allora!
Roe: E
quando il nome comparve alla mente di Conan, un urlo di giubilo
giunse da ogni parte del mondo... Eh be’, era proprio ora!
Questo capitolo era un po’ una pausa alle indagini, diciamo
così. Spero non sia stato noioso e non ti abbia fatto venir
voglia di sbattere qualcosa contro lo schermo del computer. Grazie
davvero ^0^
A Crazycotton:
Buongiorno! (Evvai! Il coniglietto! *_*). Sono contenta
che ti sia piaciuto quel silenzio da parte di Ai... A me è
piaciuto quando mi è venuta l’idea di scrivere, e
sono felice di non essere stata la sola ad averlo apprezzato. Si sa, se
qualche scritto è apprezzato solo dall’autrice,
non è che la cosa sia molto conveniente... Al seguito^^
Ninny: Eh,
già. Qua Conan se non trova cento problemi al
giorno se li inventa. Mah, sarà che in effetti –
poveraccio – qualche motivo ce l’ha per avere
qualche complesso, sarà che io, con la mia passione per i
personaggi traumatizzati, non posso fare a meno di dipingerlo un
po’ inquieto... Comunque sia, il risultato è
questo! ^^ Cercherò di aggiornare il prima possibile!
BabyYuki:
Ciao! Sono contentissima che questa storia ti piaccia!
Riguardo all’originalità, ero più o
meno sicura di aver fatto un lavoro “strano”
– non tutti raggiungono il mio livello di pazzia, per fortuna
– ma riguardo a quanto fosse capace di coinvolgere i
lettori... Be’, riguardo a quello, qualche dubbio viene
sempre! Quindi sono stata felicissima nel leggere che lo trovi
“avvincente” ^o^ Allora alla prossima! (Grazie
ancora per il commento. Oltre a farmi molto piacere – come ho
già detto – mi ha spronata a mettermi al lavoro
per questo capitolo!).
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Capitolo 8 *** Misao Morozumi ***
Capitolo 8 – Misao Morozumi
Conan fissava i propri piedi che, comodi nel loro
paio di scarpe, si
muovevano lenti, misurati.
Non gli
sembrava vero.
Ogni
cosa, in quella faccenda, non gli appariva reale, partendo da se
stesso. Un ragazzo rimpicciolito a bambino delle elementari, un giovane
che per lungo tempo aveva pensato di essere qualcun altro, acquisendo i
ricordi di questi... Sembrava quasi il materiale per una storia di
fantascienza.
Il
ragazzino sospirò mentre una folata d’aria gli
passava tra i capelli bruni. Alzò lo sguardo, soffermandolo
poi sul profilo di Ai.
Lei
fissava la strada davanti a sé, con una
tranquillità disarmante. Una calma che Conan non riusciva a
comprendere, una calma che lui non sapeva se definire vera o una
semplice copertura per le sue vere emozioni.
I capelli
castani ramati della ragazzina erano appena arruffati dal
vento, il viso lievemente arrossato.
Lei,
almeno lei, in tutta quella confusione, gli sembrava vera.
Lei era concreta, era la
realtà in tutto quel disordine.
Di colpo,
Conan la sentì straordinariamente vicina. E al
contempo percepì il desiderio di prenderla per mano, di
sentire la sua pelle calda contro la propria... Con il respiro appena
affannato, chinò gli occhi sull’asfalto.
Il cuore
gli batteva più velocemente del consueto.
Finalmente
giunsero all’abitazione dove si trovava lo studio
medico del dottor Morozumi. Il sole si rifletteva con precisione con la
targa di metallo con la dicitura “Misao Morozumi –
Medico”, facendo socchiudere per un momento gli occhi a Conan.
Ai
alzò la mano e suonò il citofono. Un momento
dopo la porta si aprì con uno scatto.
I due
bambini entrarono. Percorsero la scala in silenzio, a passi
lenti, sino a giungere sul giusto pianerottolo. Quindi, titubanti,
entrarono nella sala d’attesa dello studio medico.
Dall’interno
di questo provenivano due voci, attutite dal
muro. Conan e Ai si sedettero sulle sedie gialle del salottino, in
attesa. Cercando di calmare almeno un poco il proprio nervosismo, Conan
si concentrò sulle voci che udivano.
Uno,
più squillante, quello che di fatto si sentiva con
maggior chiarezza, sembrava appartenere ad una donna. Il secondo aveva
un timbro più profondo, pacato, pensoso. Si sentiva appena,
ma Conan ebbe un lieve brivido. “Dottor Morozumi...”
Ai
sfogliava soprapensiero una rivista.
Infine la
porta si aprì, e ne uscì una donna.
Aveva corti capelli ondulati e castani. Indossava una borsetta
scarlatta ed un abito rosso che saltavano subito agli occhi. Poi,
dietro di lei, fece capolino un uomo robusto, dai capelli neri che
ormai viravano al grigio, un pensoso sguardo nocciola e labbra sottili.
Quando la
signora uscì, il dottore si rivolse ai bambini.
«Posso fare qualcosa per voi?» domandò,
con la perplessità evidente nella voce.
Conan si
alzò e disse, pronto, con uno studiato tono
infantile: «Sì. La mamma aveva preso un
appuntamento, ma non trova più il foglietto sul quale
l’ha segnato...»
Ai
sospirò. «Perché l’hai
preso per giocarci e l’hai perso»
mormorò, senza alzare gli occhi dalla rivista.
Da una
parte Conan l’ammirò perché era
stata pronta a ricevere la palla al balzo, dall’altra si
sentì un po’ imbarazzato... Perché il
comportamento di lei non era esattamente quello di una bambina di circa
sette anni.
«Non
è vero!» esclamò, per
non lasciar cadere l’argomento. «Sei
bugiarda!» aggiunse, ostentando un broncio arrabbiato.
«E
invece ho ragione» affermò Ai,
alzando finalmente gli occhi e mettendo da parte il giornale.
«Ah!
Chi fa la spia non è figlio di Maria, non
è figlio di Gesù, quando...»
«Ma
se sono una bugiarda non ho fatto la spia! Visto? Hai
detto da solo che hai perso il foglietto!»
Il
dottore li osservava allibito. «Ehm, bambini...»
provò a dire.
«Balle,
balle, stai raccontando balle!»
strepitò Conan.
A quel
punto, Morozumi li fece entrare nello studio. Immediatamente i
due interruppero la commedia, accomodandosi dalla scrivania.
Il medico
si abbassò a rovistare in un cassetto. Prese
un’agenda e la aprì sul piano del tavolo davanti a
sé. «Il nome di vostra madre?»
domandò.
«La
mamma è la mamma» rispose Conan,
risoluto. Mentre si atteggiava a bambino capriccioso, la sua mente
lavorava frenetica. Se solo fosse riuscito ad allontanare il medico
avrebbe potuto cercare un’ipotetica cartella riguardante
Yukiko...
Ai lo
osservava sorpresa, evidentemente pensando che la recita fosse un
po’ troppo pesante... I suoi occhi chiedevano: “E
adesso?”
Il
dottore incrociò le mani e pose nuovamente la domanda,
stavolta ad Ai. Conan ne approfittò: intercettò
lo sguardo di lei e sillabò in silenzio:
“Allontanalo”.
Un guizzo
di comprensione attraversò gli occhi della
ragazzina. Di punto in bianco, prese a gridare, disperata:
«Voglio la mamma! Mi manca tanto! Ho paura! Non voglio stare
sola!»
Il
dottore la fissò, a dir poco sbigottito. Si
alzò e le andò vicino. «Ehi,
piccola» disse, tentando di calmarla.
Ai
continuava a strillare. Poi inspirò e domandò,
con una voce che le venne tremula al punto giusto, prima di scoppiare
in un pianto a dirotto: «Posso telefonare alla mia
mamma?»
Il
dottore replicò, appena imbarazzato: «Oh, ma
certo, vieni». Fece cenno ad una stanza adiacente.
«Di là ho il telefono».
Scoccò
un’occhiata a Conan, il quale sedeva
tranquillo sulla poltrona. Poi, con un sospiro, condusse fuori Ai.
Non
appena fu scomparso il ragazzino scattò verso i
cassetti, aprendoli in fretta. Fortunatamente il medico era un tipo
ordinato ed erano tutte in ordine alfabetico. Per doppia fortuna,
conservava tutte le cartelle dei pazienti passati.
Dopo
qualche sbaglio indotto principalmente dall’agitazione,
Conan riuscì a tirare fuori quella di Yukiko. La scorse
velocemente. Sentiva ancora i singhiozzi inconsolabili di Ai, quindi
doveva avere ancora un po’ di tempo.
Finalmente
giunse ad una pagina che si rivelò quella che gli
occorreva. Ma ciò che lesse gli gelò il sangue
nelle vene e minacciò di bloccargli il respiro. Rilesse
molte volte, sentendosi stordito, ma infine dovette ammettere che
c’era scritto proprio quello. Con un brivido, rimise la
cartella al suo posto.
Si
alzò e chiuse i cassetti.
Appena in
tempo per vedere rientrare Ai ed il dottor Morozumi. La
bambina sembrava perfettamente rasserenata. «Sai?»
esclamò, allegra. «La mamma ha detto che abbiamo
sbagliato dottore! Ha detto anche che dobbiamo andare giù
che lei passa a prenderci!»
Lui la
osservò inebetito. «Bene»
riuscì a dire, distrattamente.
La
ragazzina lo osservò preoccupata, notando il suo colorito
improvvisamente pallido. Gli occhi di Conan sembravano focalizzati su
qualcosa di lontano, persi in un’altro mondo.
Il
bambino non volle fare parola ad Ai di ciò che aveva
scoperto, e rimase immerso in un silenzio meditativo lungo tutto il
viaggio sino a casa del professor Agasa.
Quando
furono davanti all’abitazione del professore si
fermò. Sospirò e guardò Ai.
«Allora?»
domandò lei, un po’
inquietata dal comportamento del ragazzino.
«Allora»
replicò lui, con voce che
suonò incredibilmente stanca, soprattutto considerato il suo
aspetto da bambino delle elementari, «io... Io sono il
fratello gemello di Shinichi». Tacque un attimo, fissando
assorto un punto indefinito del cielo sopra la spalla di Ai.
«E
quindi?» lo incoraggiò lei. La
rivelazione l’aveva meravigliata, ma non capiva come mai il
ragazzino sembrasse tanto sconvolto.
Conan
deglutì, prima di parlare. «Quindi, secondo
la cartella...» Trasse un respiro profondo. «Sono
morto il giorno dopo il parto».
Ai rimase
interdetta. Non seppe cosa dire. Poi, per alleviare
l’atmosfera, agì d’impulso, facendo una
cosa che in un’altra circostanza non avrebbe mai fatto. O
forse sì, ma solo a patto di ricevere qualcosa in cambio.
Cercando
di assumere la migliore espressione scherzosa, tese la mano al
ragazzino. «Piacere!» esclamò.
«Shiho».
Lui la
fissò stranito per qualche attimo, poi tese la mano
ad afferrare debolmente quella calda di lei. Quindi, muovendo le labbra
– che gli parevano improvvisamente asciutte e screpolate
– sussurrò: «Piacere, Takeshi».
Osò
alzare gli occhi verso quelli di lei, ed improvvisamente
il cuore accelerò i battiti in maniera spropositata, quasi
fosse intenzionato ad uscirgli dalle costole.
Non
sentiva più nulla. Ogni rumore del traffico in
lontananza, degli uccelli che, rincorrendosi in volo sugli alberi,
cinguettavano, sembrava essere svanito, soffocato da quello lieve del
respiro di Ai.
Senza
pensarci, senza ragionare, avvicinò le labbra a quelle
della ragazza.
All’ultimo
secondo lei ritrasse il viso, voltandolo di lato
– i suoi capelli castano ramato si mossero in
un’onda di riflessi – e Conan, Takeshi, si
trovò a baciarle la guancia, calda e liscia.
Le sue
labbra si soffermarono per un attimo sulla sua pelle morbida,
poi si rese conto di quanto stava facendo. Allontanò
bruscamente il viso, quasi il calore di lei lo avesse improvvisamente
scottato.
Indietreggiò,
mentre Ai, immobile, lo osservava ad occhi
spalancati, poi si voltò ed iniziò a correre.
Mentre
fuggiva, gli sembrò di udire una voce nella testa.
Una voce
che forse era la propria, o quella beffarda
dell’immaginazione.
Benvenuto, Takeshi Kudo.
Spazio
autrice:
Buongiorno a tutti! Scusate la pausa, ma, dato che il mio cervellino
bacato ha le dimensioni di una nocciolina, ho tante storie in ballo, e
ho lavorato un po’ su quelle.
Allora, che dite del colpo di scena? Anzi, dei colpi di scena. Ho
approfittato del fatto di essere impegnata in una “nuova
versione” di questa storia per poter estendere un
po’ la sequenza del bacio, spero di non avervi delusi...
Eh, povero Conan/Takeshi che sia, se continuo a torturarlo
così a momenti non saprà proprio più
che pesci pigliare.
Licia Troisi: Ed ecco la vera identità di
Conan, spero non
abbia deluso! E spero che la tua opinione di questa storia –
che diventi sempre più bella ^///^ – non sia stata
cambiata proprio da questo capitolo che, diciamocelo, è un
capitolo anche abbastanza importante.
TITTIVALECHAN91: Sì, siamo riusciti a
scoprire qualcosa. E
nemmeno una cosa di poco conto, non trovi? Sono felice che tu non abbia
disprezzato la mia decisione di mandare ancora un poco la cosiddetta
“ora della verità”. Secondo me il giallo
è il genere più difficile, infatti questo
racconto non è che sia proprio un giallo, anche se i misteri
non mancheranno. Alla prossima!
Kessi: Ciao! Che bello trovarti^^ Uhm, devo dirti
che non sono certa di
aver visto la puntata a cui ti riferisci – anche
perché io più che guardare l’anime
leggo il manga – ma potrei non ricordarmene. Comunque...
Penso non sia questo il punto della questione (o sì? O_o).
Sono felice che ti piaccia ritrovarmi, dal momento che, come ho
già scritto, a me ha fatto molto piacere ritrovare il tuo
nome in una recensione. Per finire: no, nel manga (e
nell’anime), Shinichi e Conan sono la stessa persona. Che
Conan sia qualcun’altro è frutto della mia mente
ammattita ^_- Grazie mille! Baci
BabyYuki: Be’, che dirti, se non, prima di
tutto, grazie?!
Come ho preannunciato sì, si sono svelati un po’
di misteri – o forse l’identità di Conan
ne ha aggiunti altri? – ma spero di non aver comunque fatto
svanire la voglia di seguire questa ff. (Ed ecco qualcuno che si
preoccupa per Shinichi... Be’, hai ragione, in fondo non lo
vediamo da tempo. E se calcoliamo che è scomparso da quando
Conan è stato trovato in casa di Agasa, la faccenda si fa
alquanto preoccupante). Baci.
|
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Capitolo 9 *** Sasso in testa ***
Capitolo
9 – Sasso in testa
Conan corse.
Corse
sino a quando le gambe non iniziarono a dolergli, fino a quando i
muscoli non iniziarono a protestare, fino a quando il cuore prese a
battere tanto forte da sembrare sul punto di scoppiare.
Si
sentiva tremendamente confuso. Avrebbe voluto non aver provato a
raggiungere le labbra di Ai, eppure, quando le aveva viste
così morbide, appena schiuse nel respiro sorpreso... Non
aveva saputo trattenersi.
Forse
l’aver finalmente scoperto la propria
identità gli aveva dato alla testa, considerò,
senza smettere di correre. Pensò alla reazione di Ai e
rifletté che era stata più che giusta. Lui si era
a dir poco comportato da cretino.
Si disse
che doveva scusarsi con la ragazza, ma allo stesso tempo non
sapeva se sarebbe mai tornato indietro.
Perché
tutto ciò che in quell’istante
gli sembrava importante era continuare a correre, a fuggire, in modo da
mettere tra sé e la realtà il maggior spazio
possibile, in maniera di allontanarsi dagli occhi pietrificati di Ai.
Le
proteste delle gambe, originate dallo sforzo a cui le stava
sottoponendo, si acuirono, ma lui le ignorò e non
rallentò minimamente l’andatura.
Dopo
qualche tempo, però, il respiro affannato e i muscoli
indolenziti si allearono e lo fecero rallentare considerevolmente.
Ansimò e cercò di riprendere un ritmo
respiratorio decente, quindi si sforzò, allo stesso tempo,
di non pensare ad Ai. Se solo la ragazzina gli saltava in mente,
infatti, ogni suo sforzo di tranquillizzare il proprio cuore risultava
vano.
A fatica,
tentò di riflettere su qualcosa che non fosse
l’espressione di Shiho dopo che lui aveva cercato di
baciarla. Iniziò a camminare per evitare che i muscoli gli
si irrigidissero troppo e si riempissero di acido lattico.
Per un
poco seguì il marciapiede, poi entrò in un
piccolo parco.
La ghiaia
del vialetto scricchiolava sotto le sue scarpe, ma lui ne
sentiva a malapena il rumore, così come a stento vedeva gli
alberi, le altalene e i cespugli, così come avvertiva
scarsamente il vento che gli arruffava un poco i capelli.
Giunse ad
una panchina e, con un sospiro, vi si sedette. Era tra due
abeti, e per un momento li osservò, assente. Non riusciva a
rilassarsi, nonostante la sua posizione fosse ora più comoda.
Osservò
con aria distratta un uccellino che si era posato
sul vialetto e becchettava in terra, intento in
quell’occupazione.
Si
appoggiò pesantemente allo schienale della panca, tenendo
gli occhi socchiusi rivolti verso il cielo. Gli parve di ricordare
qualcosa, ma era poco più dell’ultimo anelito di
profumo che rimane nell’aria prima che il vento lo trascini
via interamente, spazzandolo lontano.
Forse il
brusio leggero di qualche persona. No, molte persone che
schiamazzavano, allegre e impazienti.
Nell’angolo,
la figura – sbiadita nella sua mente
– della donna che aveva visto nel suo ricordo precedente.
«Ehi,
bambino! Bambino!»
Takeshi
aprì gli occhi di colpo, riemergendo dal ricordo con
un sussulto. Concentrato com’era sulle immagini che tentava
di ripescare confusamente dalla propria memoria, non si era reso conto
dell’avvicinarsi di un uomo. Lo fissò, scordando
per un momento il proprio aspetto da bambino delle elementari.
Se ne
rammendò quando lo sconosciuto sorrise come a volerlo
rassicurare. Aveva il mento ruvido di una corta barba scura, i capelli
del medesimo colore erano corti e arruffati, mentre gli occhi scuri lo
guardavano amichevolmente. «Ti sei perso?» chiese
con gentilezza.
Conan
scosse la testa lentamente, poi riguadagnò abbastanza
animo da esclamare: «No, signore! Abito nella casa
là davanti, vede?» proseguì entusiasta,
indicando con decisione una delle abitazioni vicine al parco.
L’uomo
sorrise davanti alla sua euforia. «Bene, mi
sembri un giovanotto che sa il fatto suo» affermò.
Conan
sorrise, cercando di apparire sia convincente che fiero del
complimento.
L’uomo
alzò lo sguardo al cielo che iniziava a
scurirsi, forse preannunciando un temporale. «Ora,
però, sarà meglio che torni a casa, prima di
bagnarti. Sembra che ci sia una tempesta in arrivo».
Takeshi
annuì frenetico. «Sì, signore!
Grazie, signore!» aggiunse allegramente, per consolidare la
propria apparenza di bambino. Conan era così,
pensò, mentre balzava dalla panchina. Bisognava chiedersi
cosa avrebbe fatto un bimbo allegro e spensierato come lui, ed
adattarsi alla parte. Era un po’ come inventare il
personaggio di un film.
Si
allontanò in fretta. Finse di dirigersi verso una delle
case indicate in precedenza ma, quando fu sicuro che l’uomo
non lo potesse più vedere, svoltò in
un’altra via.
Non
andò a casa del professor Agasa. Nonostante si
disprezzasse per quello, non aveva abbastanza fegato per tornare da Ai
e tentare di capire cosa avesse provato la ragazza quando si era resa
conto che lui aveva cercato di baciarla.
Andò
invece da Mori.
Ran gli
si precipitò addosso non appena lo sentì
entrare. «Conan!» esclamò.
«Avresti potuto dire che dopo aver giocato con Ayumi saresti
andato dal professore e per di più avresti pranzato
là! Ti rendi conto quanto mi hai fatto
preoccupare?!»
«Pranzato
dal professore?» ripeté
Takeshi. Un momento dopo si morse la lingua.
Per sua
fortuna, la ragazza non notò la sua sorpresa.
«Ho chiamato a casa di Ayumi e mi hanno detto che te
n’eri andato, poi ho telefonato al professore, che mi ha
detto che eri là e che ti saresti fermato a
mangiare» spiegò severamente, le mani sui fianchi.
Conan
annuì. Ai doveva aver raccontato tutto al professore,
e questi era giunto alla conclusione che lui aveva bisogno di un
po’ di tempo per sfogarsi e ragionare. Quindi aveva detto a
Ran che si sarebbe fermato a mangiare da lui, in modo da dargli un
po’ di tempo.
Nonostante
avesse saltato il pranzo, non aveva fame.
Il
pomeriggio piovve. Le gocce batterono con insistenza sulle finestre
serrate, poi, pian piano, si fecero meno insistenti e frequenti,
finché il temporale non si fece meno convinto.
All’ora di cena non pioveva più, ma
l’asfalto bagnato e ingombro di pozzanghere ricordava ai
passanti la pioggia appena caduta.
Conan
mangiò malvolentieri, sforzandosi in modo tremendo per
poter fingere di essere il bambino entusiasta che aveva recitato per
tutto il tempo.
Andò
a letto presto, troppo presto, ma non riusciva a
chiudere occhio. Fissava assorto il soffitto, ascoltando le voci
provenienti dalla televisione che Kogoro guardava. Poi, un altro suono
si unì a quel vociare. Si alzò, in ascolto. Era
secco, insistente.
Che
avesse riniziato a piovere? No. Era diverso.
Quando
capì di cosa si trattava, saltò
giù dal letto e corse a spalancare la finestra. Sporse
subito fuori il viso, e l’ennesimo sassolino destinato ai
vetri gli colpì la nuca.
«Haibara?!»
esclamò, incredulo, quando
riconobbe la ragazzina. Si massaggiò distrattamente la
testa, basito. Ai che tirava sassi alla sua finestra?! Era assurdo.
«Sei... sei proprio tu?!» domandò,
sbigottito.
Lei
sospirò, chiaramente seccata dalla domanda.
«Immagino sia un quesito più che legittimo, dal
momento che hai appena scoperto di essere il fratello gemello di colui
che credevi di essere, ma penso anche che sia una perdita di tempo.
Trova una scusa per farmi entrare, così possiamo discutere
in pace». Meditò un istante. «Sempre che
tu non voglia sentirti urlare ciò che ho da
dirti...»
Bene, ora
la riconosceva un po’ meglio. Stessa ironia, se non
altro. Stesso senso pratico.
Ritirò
la testa ed indossò in tutta fretta una
felpa e dei pantaloni, quindi uscì dalla propria stanza, con
foga. «Ran!» esclamò. «Ai
è venuta a portarmi un gioco che avevo scordato dal
professore. Può salire, vero?»
La
ragazza annuì, dopo aver scoccato
un’occhiataccia nella direzione in cui suo padre faceva gli
occhi languidi ad un’attrice sullo schermo. «Se
vuoi può restare un po’» aggiunse, prima
di dirigersi verso Kogoro con un’espressione che prometteva
guai.
Conan
schizzò via, pensando distrattamente “Povero
vecchio”.
Andò
ad aprire ad Ai, quindi loro due entrarono nella stanza
dove dormiva Conan. Il ragazzino si sentiva a disagio, ma quando lei
alzò gli occhi capì con sollievo che non
intendeva parlare del bacio.
«Sei
sconvolto?»
Takeshi
trattenne a malapena un sorriso, nonostante la situazione.
Schietta la ragazza.
Abbassò
lo sguardo e lo rialzò, pensando alla
domanda. «Non so» rispose infine, scrollando le
spalle. Gli tornarono in mente le parole su quel documento, quelle
parole che decretavano la sua morte, nere e definitive sul foglio
bianco. Deglutì. «Forse un
po’...» ammise. «Non riesco a capire come
io possa essere qua. Se sono Takeshi Kudo... E io sento di esserlo,
dovrei essere morto...»
Ai scosse
la testa. «Veramente è
elementare» obbiettò, guardandolo. Lui
ricambiò lo sguardo, stupito e, allo stesso tempo,
speranzoso. «Non è detto che Takeshi Kudo sia
morto» continuò la ragazzina, sottolineando il
nome e il cognome. «Quel che sappiamo è che i
dottori pensano che sia morto. Per me è così.
Cosa credevi, di essere una specie di cadavere riesumato?»
concluse, azzardando una battuta per alleggerire l’atmosfera.
Takeshi
rise, sollevato. Non aveva pensato direttamente quel che Ai
aveva espresso come una frase ironica, ma c’era andato
pericolosamente vicino. Si rese conto che una parte di lui,
più che concentrarsi e chiedersi se temeva di essere
qualcosa di innaturale, si era domandato se Ai l’avrebbe
visto in quel modo.
Ma,
finalmente, sapeva che non era così, e non
poté evitare di tirare un sospiro di sollievo.
Spazio Autrice:
Aaaaaaaah! Sono terrorizzata. Da adesso in poi non ho più
capitoli da restaurare. Dovrò mettermi a scrivere con un
impegno mooolto serio. Da ora ci saranno solo capitoli assolutamente
inediti, spero non deludano.
Mi scuso per il ritardo, ma a scuola sono già iniziate le
interrogazioni. Oltretutto ho un orario definitivo a dir poco schifoso.
Latino è sempre alle ultime ore. Come si fa ad avere latino
alla quinta e alla sesta ora senza morirne?! E poi storia e scienze
sono sempre insieme. E, ovviamente, si è interrogati, su
quelle due materie.
Va be’.
Kessi: Sono felice che tu abbia apprezzato questa
mia idea pazza. Come
vedi, la faccenda della morte dopo il parto si spiega –
almeno in parte. Parto... parte... Be’, il gioco di parole
non è stato intenzionale xD Mi hai dato una bella
soddisfazione scrivendo di aver apprezzato la parte finale con quei
due^^ Grazie mille.
Sherry: Ciao, sono felice che ti piaccia questa
storia. Dato che per
scrivere il finale dello scorso capitolo avevo un po’
tentennato – a suo tempo – sono contenta che ti sia
piaciuta la reazione di Ai. Penso non sarebbe stato da lei, nonostante
Conan le piaccia, accettare quel bacio, soprattutto considerato che
aveva scoperto da poco che in realtà il ragazzino era una
persona del tutto diversa. Spero di non essere peggiorata con questo
capitolo – e mi scuso per il ritardo.
TITTIVALECHAN91: Per continuare ho continuato... In
quanto al presto,
purtroppo non ci metterei la mano sul fuoco. Spero nel frattempo di non
averti messo troppa voglia di mangiarti le mani o di venire a prendermi
a calci.
Licia Troisi: Be’, sono felice che
apprezzi il nome
Takeshi... Credo mi sia balenato in mente mentre leggevo un qualcosa su
un certo doppiatore originale di non ricordo quale anime... (sono stata
chiarissima, vero? xD). Però, ovviamente hai ragione, il
nome Conan non può assolutamente essere battuto... Che
questo sia un bene o un male, direi che è difficile da
capire...
Charliotta: Grazie per il complimento^^ In quanto ad
Ai, per come la
vedo io è ancora un po’ confusa, perché
– come sappiamo – le piace Conan, ma la notizia che
lui è tutta un’altra persona la spiazza un
po’, nonostante di certo non lo ammetterebbe mai (...o
sì?). Ma non ti preoccupare, il rapporto tra lei e
Conan/Takeshi avrà modo di essere esplorato a fondo.
Roe: Non preoccuparti. La storia, per continuare,
continuerà, anche se forse a volte a rilento (ma
perché, dico io, devo andare a scuola?! Perché?!
Scusa, sto impazzendo). Ti ringrazio per i complimenti. Non
preoccuparti se non sempre riesci a commentare, io sono la prima che a
problemi nel recensire in modo costante. Ci si sente.
Kuchiki_girl: Hai ragione, scusa. Non ti ho certo
lasciata nel momento
migliore >_> Io, per evitare che accadano di nuovo queste
cose, proporrei di vietare la scuola, ma non so quanti mi darebbero
retta (nessuno). Okay, dopo questa frase probabilmente indice della mia
pazzia, cercherò di rispondere meglio alla tua recensione.
Dunque: wow. Devo ammettere che non avevo mai considerato
“geniale” la mia mente. Di solito la definisco
“malata” “matta”
“pazza”, o con aggettivi simili. Però,
wow, mi ha fatto piacere che tu la consideri tale ^///^ xD Prometto che
cercherò di aggiornare in meno tempo la prossima volta.
Baci^^
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