Non sono Shinichi

di 9Pepe4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il cielo è sordo ***
Capitolo 2: *** Chi sono? ***
Capitolo 3: *** Preoccupazione è un eufemismo ***
Capitolo 4: *** Questione di deconcentrazione ***
Capitolo 5: *** A un nome da una soluzione ***
Capitolo 6: *** Silenzio ***
Capitolo 7: *** Inizio delle indagini ***
Capitolo 8: *** Misao Morozumi ***
Capitolo 9: *** Sasso in testa ***



Capitolo 1
*** Il cielo è sordo ***


Non sono Shinichi

Capitolo 1 – Il cielo è sordo

Conan si appiattì contro il muro con una boccata d’aria gelida. Il vasto magazzino era denso di oscurità, un buio viscido, che pareva opprimerlo in modo particolare, sottolineando la sua situazione, evidenziando quanto era piccolo intrappolato in quel corpo da infante.
Ma anche da bambino voleva continuare ad indagare. E, nonostante gli avvertimenti di Ai, continuava ad annaspare sulla scia dei misteriosi Uomini in Nero che lo avevano costretto in quella forma. Ed era correndo dietro ad una catena di misteri che parevano aver avuto origine da loro che era arrivato a quel luogo polveroso.
Ricordando com’era andata l’ultima volta che aveva assistito ad un loro incontro aveva cercato di non usare alcun trucco. No, in quel momento voleva solo ascoltare, pregando che il suo cuore non battesse troppo forte e coprisse gli altri suoni con il suo segnale di terrore, e cercare di capire qualsiasi dettaglio in più.
«A mio parere, il moccioso non può che essere vivo…» sussurrò una voce.
Un brivido corse lungo la spina dorsale di Conan, spronando il cuore del ragazzino a battere più forte. Gin…
«Probabile, pare abbia la pellaccia dura. E solitamente, quando la gente crede che sia morto, è l’esatto contrario» mormorò la voce di Vodka.
Le mani di Conan premettero i palmi sudati contro il muro polveroso.
«Cosa pensi che farebbe, il marmocchio, se scoprisse il tutto?»
Conan non poté fare a meno di accennare un sorriso di trionfo. Certamente stavano per accennare a qualcosa che avrebbero voluto tenere segreto… E proprio mentre lui tendeva le orecchie!
Una risata roca sfregò il silenzio. «Gli verrebbe uno shock…»
Un lieve scricchiolio gli fece comprendere che uno dei due uomini si era mosso. «Per forza! Pensa un po’: credere di essere un grande Detective liceale, credere di avere una vita, la vita di Shinichi Kudo».
Le sopracciglia di Conan si inarcarono tanto da minacciare di toccarsi nel centro della fronte. Il fugace sorriso di trionfo era svanito senza lasciare traccia.
«E invece… non è Shinichi Kudo. Quella sostanza sulla quale abbiamo lavorato – senza farne parola alla cara Sherry – si è rivelata molto più soddisfacente del previsto. Voglio dire, se può indurre una persona a convincersi totalmente di essere qualcun altro…»
«In quanto a Kudo… Non c’è paura che balzi fuori a sconvolgere l’universo del piccolino. Dal momento che lo teniamo sotto chiave con così tanta cura…»
Conan era certo che ogni pelo del suo corpo si fosse drizzato in preda all’orrore più gelido. Una goccia di sudore ghiacciato gli scivolò sulla guancia accaldata. Si sentiva il corpo scosso dai brividi, ma allo stesso tempo così bollente da essere febbricitante.
Com’era possibile? Che diavolo stavano dicendo?
Una parte del tutto irrazionale di lui, una parte che sino a quel momento avrebbe negato con tutto se stesso di avere, gli faceva desiderare selvaggiamente di balzare nella stanza e urlare a quei due che quella era una bugia, che lui era Shinichi Kudo, lo era davvero! Lo era per forza…
Qualcosa lo trattenne.
Ma le orecchie gli ronzavano, e la testa gli girava.
Tre parole continuavano a stridergli in testa. Non sono Shinichi. Non sono Shinichi. Non sono Shinichi.
Iniziò a strisciare lungo il muro, attraversando le stanze polverose del magazzino, cercando di non pensare, cercando di non riflettere.
L’aria aperta lo disorientò. Si guardò attorno e iniziò ad avanzare traballando. Qualcosa gli gridava di correre, di darsela a gambe, di scappare più in fretta che poteva.
Ma non ce la faceva.
“Non sono Shinichi”.
Quelle tre parole sembravano bastare a consumare tutte le sue energie.
La sua fronte era imperlata di sudore. Si costrinse ad affrettare il passo. Quando fu abbastanza lontano, si fermò.
Si guardò attorno sentendosi vuoto come non mai.
«Non sono Shinichi» sussurrò.
Ma nemmeno il cielo pareva ascoltarlo.



Spazio autrice:
Avevo già pubblicato questa storia - a proposito, presto eliminerò l'altra versione - ma ho deciso di rivederla perché non mi convinceva.
Spero di trovare le persone che avevano seguito l'inizio e mi auguro di riuscire a portarla a termine, questa volta.
Ringrazio:
A crazycotton (anche per l'incoraggiamento nell'ultimo commento^^);
Abigail94;
LadyCroix;
Lunastortalupin;
SoSo;
Thebest90
Che avevano messo la storia tra le preferite.
Ma anche tutti quelli che avevano letto e commentato (prima o poi farò una lista di questi ultimi).
Un grazie di cuore

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Capitolo 2
*** Chi sono? ***


Capitolo 2 – Chi sono?

Il sole stava iniziando il declino verso la notte quando Conan decise di tornare a casa Mori. Si sentiva come se improvvisamente il suo corpo gli fosse estraneo. Camminava barcollando, spaesato.
Anche se ci avesse messo la buona volontà che non sentiva, non poteva credere di non essere Shinichi. Era semplicemente impossibile. Gin e Vodka dovevano aver scoperto che spiava, ed avevano deciso di tirargli uno scherzo.
Eppure, nonostante lui volesse crederlo disperatamente, sapeva che quei due non erano tipi da bluffare così. Se mai lo avessero scoperto, si sarebbero semplicemente accertati di farlo sparire per sempre dalla faccia del pianeta.
Eppure la sua mente continuava ad aggrapparsi risoluta all’ipotesi, per quanto fosse improbabile. Un giorno lui aveva bevuto un liquore, che l’aveva fatto tornare grande, anche solo per poco. E tutti lo avevano riconosciuto in quanto Shinichi. Anche Ran, che lo conosceva bene.
Se fosse stato uno scherzo, poi, quei ricordi che aveva sempre creduto di avere – che aveva sempre avuto – non sarebbero stati come sul punto di sbiadire, di essere spazzati via dalla sua mente.
Quando iniziò a salire le scale per giungere all’appartamento di Mori, si rese conto di star tremando dallo shock. Cosa era successo?
Era assurdo pensare di fornire qualcuno di falsi ricordi, no?
In quel momento dovette appoggiarsi alla ringhiera, perché improvvisamente il mondo attorno a lui parve traballare. In un momento di panico, non riuscì a ricordare il proprio cognome. Strinse gli occhi – la mascella serrata tanto forte da fargli male – e si concentrò, il sudore che gli imperlava la fronte. Pensò ad Hattori. Lui lo chiamava... Kudo.
Un sospiro di sollievo gli gonfiò il petto, uscendo dalle sue labbra.
Shinichi Kudo.
«Conan?» Una voce femminile si fece strada nella cortina dei suoi pensieri confusi.
Alzò lo sguardo. Sulla soglia di casa stava ritta Ran. Aveva i capelli scuri sciolti sulle spalle. Doveva avere appena lavorato, un grembiule azzurro le cingeva la vita. I suoi occhi scrutavano ansiosi Conan.
«Cosa ti è successo?» domandò apprensiva. «Sei pallido...»
Lui inspirò bruscamente. Non si fidava molto della propria voce. «Non... non mi sento molto bene» riuscì a balbettare infine, dopo aver deglutito un paio di volte.
La ragazza si chinò a posargli una mano sulla fronte. Lui la sentì fresca.
Dopo qualche attimo, Ran si rialzò. «Scotti» mormorò. «Devi avere la febbre. E nemmeno molto bassa».
Lui annuì confusamente. Si sentiva tutto intorpidito.
«Vai a sdraiarti sul tuo letto» consigliò Ran.
«Sì» mormorò lui, sfinito.
Ran lo prese in braccio e lo portò sino in camera. «Vado a prepararti un poco di tè» annunciò, dopo averlo sistemato sul letto.
Conan annuì, grato. Quando la ragazza fu uscita, si girò e affondò la faccia nel cuscino.
Rialzò il viso quando udì tamburellare sulla porta della stanza.
Goro lo fissava. «Esco. Ho un caso» annunciò, con aria d’importanza.
«D’accordo» biascicò Conan. Le tempie gli pulsavano.
«Non vuoi venire?» domandò esterrefatto Goro.
«No» mormorò Conan. La sola idea di alzarsi gli dava la nausea, figurarsi la possibilità di dover impegnarsi sul serio.
Il padre di Ran uscì scuotendo la testa. Ma prima borbottò chiaramente: «Tanto meglio. Di solito quel marmocchio sta sempre tra i piedi». Dopo aggiunse qualcosa sull’anormalità del mondo.
Già... anormale. Non gli andava di indagare. Non ne aveva la minima voglia.
“Forse è vero” pensò, le guance accaldate. “Forse non sono affatto Shinichi Kudo”. E quel pensiero era una lama di ghiaccio, era un macigno che gravava su di lui.
Sapeva che Shinichi si sarebbe gettato più che volentieri su qualsiasi caso. Incurante della propria salute, si sarebbe messo a pensare subito ad una serie di ipotesi che avrebbero potuto far emergere la realtà.
Ma lui non ne aveva voglia.
Di colpo, si rese conto di aver smesso di pensare a sé come Shinichi Kudo. Aveva immaginato che sarebbe stato difficile. Doloroso. E invece, si sentiva solo come se si fosse tolto un gran peso dallo stomaco.
Fu come se la mente gli si fosse schiarita di colpo. Nonostante pensare alla propria identità gli facesse percepire un senso di vuoto, cominciò a pensare con un poco di razionalità. Accettando che lui non fosse Shinichi, la cosa più immediata da fare era comunicarlo ad Ai e al professor Agasa.
Era appena giunto a quella conclusione che Ran entrò con una tazza di tè bollente. Lui la ringraziò e, mentre sorseggiava la bevanda, osservò di sottecchi la ragazza.
Era gentile e carina, con quei lunghi capelli scuri, ma non gli sembrava più così speciale e attraente. “Certo” rifletté tra sé e sé, continuando a bere, “lei piace a Shinichi, non a me”.
Ora che aveva deciso di pensare di non essere Shinichi si sentiva meglio, forse anche per merito del tè. I ricordi ambientati prima della trasformazione erano ormai confusi terribilmente, si aggrovigliavano tra loro come i fili di una matassa. In compenso, delle nuove immagini stavano emergendo al loro posto. Gli sembravano famigliari, nonostante fossero elusive e indefinite. Rammendava il pelo soffice di un coniglietto bianco.
«Senti, Ran» esordì di colpo. «Shinichi ha mai avuto un coniglio?»
Lei lo osservò perplessa. «No, non mi pare... Ma perché lo hai chiesto?»
Lui si strinse nelle spalle e sfoderò un sorriso da bambino. «Così!»
“Non sono Shinichi” rifletté. “Ma allora, chi sono?”




Spazio Autrice:
Un grazie per A crazycotton, Mommika, Ninny, SoSo che hanno aggiunto la storia tra le preferite. A Genio95, Hatori e Roe per averla messa tra le seguite.

Roe: Sono felice che la storia ti incuriosisca, spero continui a piacerti. E comunque è bello avere nuovi lettori!^^

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Capitolo 3
*** Preoccupazione è un eufemismo ***


Capitolo 3 – Preoccupazione è un eufemismo

«Ran, posso andare dal professore, per piacere!»
La ragazza abbassò perplessa lo sguardo su Conan, disorientata da quella richiesta. Fino a pochi momenti prima, infatti, il bambino non pareva quasi in grado di fare due passi di fila. «Sei sicuro di stare meglio?» indagò.
«Certo!» annuì con vigore Conan, impegnandosi ad apparire il più vispo possibile.
Ran lo osservò, ancora esitante. Era sempre pallido, però il velo di sudore che gli bagnava la fronte sino a poco prima pareva non esserci più. Sospirò: «E va bene. Ma copriti».
«Certo» accettò con un energico cenno d’assenso il bambino. A dimostrazione della propria buona volontà, si fece osservare mentre infilava la giacca più pesante del suo guardaroba.
Agitando vivacemente la mano indietreggiò sino alla porta, aprendola e chiudendola subito alle proprie spalle. Una volta in strada, inspirò profondamente una boccata d’aria fresca.
Si guardò attorno per qualche attimo, poi prese a correre.
Una volta giunto a casa Agasa, premette con decisione sul campanello. Non passò molto che la porta si aprì ed Ai fece capolino. Esaminò Conan dalla testa ai piedi e si coprì la bocca per mascherare uno sbadiglio. «Oh, ciao, Kudo» lo salutò.
Lui sentì una bella dose di nervosismo. «Non chiamarmi Kudo, per favore» mormorò. «Il professore è...?» domandò poi.
Lei lo scrutò con un sopracciglio alzato, scettica. «Di là» rispose, puntando il dito dietro di sé. Mentre si scostava per lasciarlo entrare, domandò: «Perché non dovrei chiamarti Kudo?»
Conan sospirò. «È una lunga storia, preferisco narrarla una volta sola» mormorò.
Giunsero all’interno del salotto e Ai si accomodò sul divano, dopo aver scrutato ancora perplessa Conan. Lui si guardò attorno, con aria un poco smarrita.
«Il professore è in bagno» chiarì Ai. «Sicuro di non volermi narrare questa grande avventura?» domandò, senza nascondere l’ironia.
Conan non parve cogliere il sarcasmo. «No, Haibara. Davvero, preferisco raccontare tutto in una volta» replicò, sinceramente.
Lei si strinse nelle spalle. «Fa’ un po’ come ti pare» borbottò, prendendo il telecomando e iniziando a fare un rapido zapping.
Conan la osservò e, per la prima volta dopo la confusione creatasi nei suoi pensieri a causa della propria identità, sentì la propria fronte distendersi. Si sentì le guance un po’ più calde del consueto. Probabilmente aveva corso un po’ troppo. Continuò a guardare Ai e quasi sorrise. Certo che aveva un bel caratterino...
Ed un bel viso...
Scosse confuso la testa, chiedendosi da dove arrivassero quei pensieri.
Fortunatamente, a salvarlo dall’imbarazzo che iniziava ad infiammargli le guance, il professore giunse in salotto.
«Shinichi!» esclamò, stupito. «È da un po’ che non ci vediamo. Hai scoperto qualcosa?» Si accomodò di fianco ad Ai. «Che hai da dirci?»
«Prima di tutto» iniziò Conan, lentamente, «di non chiamarmi Shinichi Kudo. Ora vi spiego!» si affrettò ad aggiungere, vedendo il professore aprire la bocca. Agasa la richiuse, tramutando quel movimento in una perfetta imitazione di un pesce.
«Per favore, però, non mi interrompete. Sarà più facile dire tutto insieme» precisò Conan. Guardò il professore ed Ai, che lo fissavano in attesa delle sue parole, sospirò ed iniziò a raccontare.
Ogni tanto – circa ad ogni frase – vedeva l’incredulità scolpirsi nei tratti dei suoi ascoltatori, ma nessuno lo interruppe, e lui si sentì grato per questo. Non sapeva se sarebbe riuscito a riprendere dopo un’eventuale pausa. Gli prudevano gli occhi ed aveva voglia di guardare Ai. Non sapeva perché e cercava di resistere a quell’impulso.
Quando tacque, il silenzio calò pesantemente sulla stanza. Gli sembrava quasi di poter udire il ritmico ticchettare dell’orologio da polso del professore.
Finalmente, Agasa si schiarì la voce. «Certo che è...» Indugiò per qualche istante, scrutando Conan esterrefatto. «Incredibile» concluse dopo un poco, esitante.
«Però è vero!» puntualizzò Conan. «Sì, è assurdo e pare impossibile, ma è così ed è vero». Tacque per qualche istante, cercando di spiegare la propria certezza. Cercando di narrare come i suoi ricordi parevano mescolarsi e confondersi, mentre altri ne emergevano, sempre più nitidi ad ogni istante che passava. «Lo capireste» sospirò, «se nella vostra mente ci fosse tutta la confusione che c’è nella mia». Accompagnò le ultime parole picchiandosi con decisione un dito su una tempia.
Il silenzio calò di nuovo.
Ai fu la prima a riprendersi. «Io credevo ci fosse sempre confusione nella tua testa» disse, pungente.
Nonostante il tono provocatorio della ragazzina, Conan si sentì sommergere dal sollievo, capendo che almeno lei credeva a tutto quel casino. «Ah. Ah. Ah» fece, sarcastico, osservandola. «Davvero, guarda! Io non sono Shinichi».
Lei si strinse nelle spalle. «Guarda che ti credo» precisò. Sembrava ammetterlo piuttosto a malincuore, ma quelle parole furono comunque come un sorso di una bevanda calda – quasi bollente, ma piacevole – per Conan. Sentì un senso di euforia pervaderlo, mentre iniziava a percepirsi piuttosto estasiato.
«Però il problema resta» sussurrò, una volta che riuscì a riprendersi da quelle emozioni e quindi a parlare senza sorridere come un ebete. «Dobbiamo scoprire la mia identità e anche dove si trova Shinichi». Rifletté. «Ho sentito dire dagli Uomini in Nero che lo tengono sotto chiave».
Era sicuramente impossibile non essere preoccupato per qualcuno che certamente era tenuto prigioniero da quei loschi figuri. Considerato poi che lui aveva creduto per parecchio tempo che quel qualcuno fosse se stesso, la preoccupazione diveniva un eufemismo.




Spazio dell’autrice estremamente commossa:
Okay. Io non so che dire, a parte che vi adoro! Non mi aspettavo tante recensioni, e si sa che i commenti scaldano molto piacevolmente – sono delle ottime coccole per l’ego (anche dei pugni in faccia per la modestia, ma lasciamo perdere).
Mi scuso per il ritardo, ma Internet se n’era andato, e poi me n’ero andata anche io – in montagna – e quindi non ho avuto molto tempo per aggiornamenti vari. Ora però è tutto a posto e si spera che rimanga così.

Dolcekagome: Non preoccuparti, questa volta sono decisa a non lasciar perdere questa storia... Grazie per averla messa tra i preferiti, cercherò di continuare a fare del mio meglio per esprimere i vari stati d’animo!

Ninny: Già, dev’essere tenero un coniglietto. Ora rimpiango di non averne mai avuto uno... Che sia stata la paranoia attraversata dalla mia migliore amica (il sogno di avere un coniglietto) ad avermelo fatto mettere in questa storia? Comunque sia, grazie per il commento^^

TITTIVALECHAN91: Ciao! Grazie per le due recensioni. Non preoccuparti, nonostante il ritardo dall’ultimo a questo aggiornamento ieri mi sono messa d’impegno e sono andata abbastanza avanti nella storia. Quindi il prossimo capitolo non arriverà troppo in ritardo.

Roe: Per Heiji (anche io lo adoro!) non preoccuparti. Anche se non tanto presto – purtroppo – prima o poi arriverà, sto architettando la sua comparsa. Ciao^^

Licia Troisi: In effetti per essere strano è MOLTO STRANO. Onestamente, è assurdo. Però credo che la fantasia non mi manchi (anche se spesso è parecchio contorta) quindi eccomi a scrivere questa storia. Forse avrei dovuto mettere anche “Sovrannaturale” tra le note, ma la scelta di generi non va oltre il numero di tre... Grazie mille

A Crazy Cotton: Ciao! Che piacere risentirti! Non preoccuparti per lo scorso capitolo, mi aveva fatto un piacere enorme la tua risposta all’avviso che avrei riscritto da capo la storia. Quindi aspetto la recensione a questo capitolo, eh? xD No, comunque non preoccuparti se sarà un commento più o meno lungo. Anche con solo due parole mi fai capire che ci sei e segui la storia... Grazie^^

Shinichikudo: Wow, addirittura sia tra le seguite che tra le preferite! Grazie mille! Spero di riuscire a mantenere viva la curiosità – e l’interesse, perché anche quello è importante per un lettore! Ciao

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Capitolo 4
*** Questione di deconcentrazione ***


Capitolo 4 – Questione di deconcentrazione

«Sentite, ragazzi...»
Conan sobbalzò appena, voltandosi verso il professore. La soddisfazione dovuta al fatto che Ai gli credesse e l’ansia per la sorte di Shinichi gli avevano fatto quasi dimenticare della presenza di Agasa.
Ora, sentendosi vagamente colpevole, osservò il professore, in attesa delle sue parole. L’uomo appariva preoccupato e dubbioso.
«Io ancora non capisco» borbottò. «Insomma, Ai» proseguì, guardandola, «tu hai detto che credi a Shi... a Conan. E se lui e sicuro che ciò che ci ha raccontato sia vero, allora non lo metto in discussione. Ma... Insomma, non sei tu che hai preparato la sostanza? Come potevi non essere al corrente di tutto questo?» domandò, con evidente nervosismo.
Conan si voltò verso Ai.
Lei rispose subito. «Una volta, uno degli Uomini in Nero ha voluto prelevare un campione della sostanza. Doveva far apportare alcune modifiche per il progetto, disse. Qualche giorno dopo mi comunicarono che la faccenda non aveva funzionato. Evidentemente» continuò, scoccando un’occhiata a Conan, «mentivano».
«Quindi» intervenne Conan, «con ogni possibilità io sono stato “trasformato” con quella sostanza, non con la tua».
La ragazza annuì in silenzio. Conan la guardò a lungo, assorto. Quando si rese conto di come la stava fissando, abbassò lo sguardo.
«Comunque... Stanotte io e Conan tenteremo di capirci qualcosa» affermò Ai.
«Tu e Conan» ripeté il professore, incredulo nel constatare di essere stato escluso. Ai non si scompose e si limitò ad annuire in silenzio.
Così, Agasa dovette limitarsi ad assumere l’incarico di telefonare a casa Mori, in modo da avvertire che il loro piccolo ospite occhialuto sarebbe rimasto da lui per la notte.
«Anche stanotte?» domandò la voce piuttosto apprensiva di Ran. «Ma non stava male?»
Agasa si grattò il naso. Si sentiva abbastanza imbarazzato. Il fatto di non vedere la ragazza in volto non diminuiva la sensazione di impaccio che lo assaliva quando doveva mentire, anche se indirettamente. «Be’... Mentre giocava ai miei videogiochi non sembrava molto malato». Rise nervosamente. «Ma non sono tutti così, i bambini?»
Con suo enorme sollievo, Ran non indagò oltre, limitandosi a raccomandare che a Conan non fosse permesso di restare alzato per un tempo esagerato.
Finita la telefonata, domandò: «C’è qualcosa che posso fare?», sperando in un compito degno.
Conan guardò Ai. Lei annuì. «Potresti accendere il riscaldamento del laboratorio? Ah, e procurarci un bel fascio di fogli?»
Agasa riuscì a svolgere quelle mansioni con molta dignità. Osservò come anche Conan si muoveva al comando della ragazzina... Certo che era nata per organizzare ogni cosa...

Il laboratorio, con l’avanzare della notte, si era oscurato sempre più. Ora l’unica luce era quella proveniente dallo schermo del computer acceso, quella originata dalla lampada da tavolo posata accanto all’elaboratore elettronico e quella causata dalla torcia elettrica con la quale Conan stava giocherellando senza sosta.
La spense. La accese di nuovo. La spense. La riaccese...
«La vuoi piantare?» chiese Ai, secca.
«Non so che fare» obbiettò lui, spegnendo per l’ennesima volta la pila. «Avevi detto che ne avremmo parlato, ma continui a fare ricerche per conto tuo, senza degnarmi della minima attenzione».
Lei lo scrutò torva, posando le braccia sui fogli pieni di schizzi e parole affrettate poggiati sulla scrivania. Lui la fissò di rimando, facendo dondolare i piedi, seduto su una sedia troppo alta per la sua versione infantile. In un modo un bel po’ immaturo, accese la torcia.
Ai lo fulminò con un’ultima occhiata e tornò a concentrarsi sul computer, pigiando furiosamente – e in rapida successione – sulla tastiera.
Conan sospirò e spense definitivamente la torcia. Tentennò per qualche attimo. «Senti, Haibara» iniziò, «tu hai idea di come possano avermi dato quegli strani ricordi?»
Lei scrollò le spalle. Lo fissò, accigliata. «Sto cercando di capirlo» affermò. «E forse ci riuscirei anche, se tu la smettessi di disturbarmi». Tornò con serietà adulta ai propri appunti cartacei, scrivendo nuove parole che andarono ad intricarsi alle lettere aggrovigliate delle precedenti.
Conan posò la torcia ed osservò la ragazzina scrivere. Pensò che era davvero carina, con le ciocche castano ramato che le ricadevano un poco sugli occhi. Anche il gesto rapido e preciso della sua mano per cacciarli indietro aveva un che di speciale. Osservò come si mordeva appena il labbro, gli occhi luminosi puntati sulla carta già graffiata da una rete di inchiostro.
Dopo qualche istante saltò giù silenziosamente dalla sedia e si avvicinò ad Ai. Rifletté che lei, nonostante il viso arrotondato dalla pinguedine infantile, aveva comunque un fascino decisamente maturo. Dopo un po’, Ai si voltò bruscamente, sentendo il fiato del ragazzino sulla propria guancia. «Che c’è?» domandò senza troppi preamboli. Si sentiva stranamente nervosa. Lo guardò finché lui non si fece un gesto confuso ed alzò le spalle.
Cercò di guardare da qualche altra parte senza dare l’impressione di averlo fatto perché si sentiva imbarazzata. Respirò profondamente, riuscendo ad acquistare il solito distacco. O almeno, lo sperava. Per un momento, osservò i capelli mori e arruffati di Conan. Quando se ne rese conto, distolse in tutta fretta lo sguardo.
Accidenti. Solitamente non le capitava di sentirsi così confusa in presenza di Kudo... No, di Conan.
La faccenda le parve peggiorare quando un pensiero improvviso la colpì. Se lui non era Shinichi, allora non era nemmeno innamorato di Ran... Lo cacciò. Già. Ma se lui non era Shinichi... A lei piaceva chi era?
“Be’” rifletté, cercando di non pensarci senza riuscirci, “ma dopotutto io non ho mai conosciuto Shinichi. Ho conosciuto solo Conan, ed è lui che mi è... piaciuto”. Scosse la testa per cacciare quelle parole mentali.
«Ehi!» esclamò, in tono irritato, rivolta a Conan. «Smettila di fissarmi così, mi deconcentri!» Ma le sue guance erano improvvisamente calde. “Smettila di fissarmi così, mi metti in imbarazzo”.
Lui indietreggiò di un passo contato. «Ti chiedo scusa» disse, sorridendo con una punta di sarcasmo.
Ai scosse i capelli. Decise di ignorarlo. Purtroppo però, era molto più facile a dirsi, che a farsi.
Conan si sistemò gli occhiali tanto grandi tanto inutile. Poggiò la mano da bambino sullo schienale della sedia, sorridendo senza ironia. «A me piacerebbe stare qui» affermò, sincero. «Ma se non ti va posso andare più lontano».
Ai esitò. Dopotutto, non avrebbe significato nulla se lo avesse invitato a restare. Anche se era certa di non volerlo ammettere, le piaceva sentire dietro sé la presenza di Conan, sbalzi di temperatura corporea a parte. Le piaceva udire la voce di lui, la rassicurava.
Eppure...
«Va’ lontano. Non mi piace avere qualcuno alle spalle intento a sbirciare i miei appunti» disse.
Conan obbedì senza protestare.
Ai tornò ai propri appunti. In realtà, lo aveva allontanato in modo da potersi concentrare davvero sul problema. Non avrebbe certo risolto nulla, continuando a sbirciare con la coda dell’occhio il profilo del ragazzo. Sospirò, si sistemò una ciocca che le cadeva sul viso, e riprese a scrivere.




Spazio autrice:
Rieccomi. Un poco triste per la tragica dipartita di quindici euro, scomparsi drammaticamente in seguito all'acquisto di qualche numero di "Detective Conan", ma tutto sommato in salute e asociale come sempre. Esaurite le stupidaggini, passo a ringraziare tutti quelli che continuano a seguire la storia:

Roe: Per adesso di Shinichi non c’è traccia... Sono felice che ti sia piaciuto anche lo scorso capitolo, grazie^^

Ninny: Be’, sai che ti dico? Anche io approvo il coniglietto! Ovviamente è il dettaglio più importante di tutta la storia xD E certo, Ai non può fare a meno dell’ironia ^^ Ciao

Abigail94: Hehe. Hehe cosa? Hehe che ti sapeva a briga recensire di più? No, dai, fa lo stesso... In questa versione mi sono impegnata di più. Ecco. Questo coniglio è bianco, ma Trebor è sempre con noi e... sì. Qualcosa del genere. Comunque – in ogni modo – in ogni caso – sicuramente – certamente – tuttavia – in qualunque modo – in qualsiasi modo... Ti ho dato una mano con la lista di parole. Poi torno a leggere tutti i manga che mi hai prestato e quelli che ho comprato (Dio. Mio. Che. Infarto. Quindici euro che se ne vanno così. ç_ç).

TITTIVALECHAN91: In questo capitolo ho cercato di aumentare il concentrato di AixConan, spero solo di non aver sconfinato nello sdolcinato o nel banale. Spero di non aver fatto tanto tardi...

A crazycotton: Wow, già stata al mare? Io parto il 12. Per la Francia. Comunque... Sono felice di averti fatta contenta, così come mi fa piacere che anche questa nuova versione ti appassioni. Quindi al prossimo aggiornamento!

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Capitolo 5
*** A un nome da una soluzione ***


Capitolo 5 – A un nome da una soluzione

«No. Non ci siamo proprio». Ai, seccata, accartocciò il foglio che aveva davanti e lo lanciò con rapidità dietro di sé.
Conan protestò accoratamente quando quella palla di carta lo colpì alla nuca. «Ehi!» si lamentò.
Ai si voltò all’istante verso di lui, recuperando in un attimo la solita calma. «Bene» affermò, in tono pratico. «Stavo cercando di capire come devono aver manomesso la sostanza, ma... Ho capito che in questo modo otterrò o poco o niente». Arricciò le labbra e si alzò in piedi. Si avvicinò a Conan.
Lui trasalì vistosamente. «Che... che cosa c’è?» farfugliò.
Lei si sistemò con noncuranza un ciuffo di capelli, poi lo fissò seria negli occhi. «Senti... Conan, prova a ricordare qualcosa. Qualsiasi cosa».
Lui deglutì, mentre sentiva il sangue salire alle guance. Si grattò imbarazzato la nuca.
«Insomma» lo spronò Ai, «qualsiasi cosa andrà bene. Dopotutto sono i tuoi ricordi, non puoi aver dimenticato ogni cosa!»
«Ehm...» Conan si schiarì la voce. «Una cosa ci sarebbe» disse, incerto.
Lei gli fece cenno di continuare.
«Va bene proprio tutto tutto?» chiese Conan, nervosamente.
Lei si sentì leggermente esasperata. Annuì. A quel gesto, il ragazzino prese fiato e comunicò senza pause: «Ho avuto un coniglio per qualche tempo».
Ai spalancò gli occhi. Quando si riprese – rapidamente – alzò un sopracciglio. «Okay. Be’, Conan, credevo avresti capito che “tutto” non significava così “tutto”».
Lui rise nervosamente, ancora imbarazzato.
«Comunque... Un coniglio. Sarebbe un buon inizio, se solo non ci fossero così tante persone in grado di vantarsi di averne avuto uno come animale di compagnia».
Le ore passarono, scandite dall’orologio. Non riuscirono ad arrivare ad alcuna conclusione, tanto più che Conan, nonostante si spremesse le meningi, non riusciva proprio a ricordare qualcosa di diverso. La loro consultazione si concluse con l’intervento di Agasa, che li spronò a dormire un po’.
Avrebbero continuato il giorno successivo, se solo Ran non fosse giunta a prendere il bambino occhialuto. Sia Ai che Conan si sentivano piuttosto delusi e frustrati.
Quando si videro più tardi, poi, non ebbero possibilità di riprendere la discussione sull’identità autentica di Conan. Infatti i Detective Boys vollero coinvolgerli a tutti i costi in un giro di attenta esplorazione.
“Macché esplorazione” pensò Conan, un po’ irritato. Si sentiva profondamente insoddisfatto al pensiero che gli sforzi suoi e di Ai non avessero dato alcun frutto. Osservò gli scaffali attorno a sé, soffermandosi seccato su una scatola di biscotti al cioccolato. “Cosa ci sia da esplorare al supermercato, proprio non lo capisco”. Fissò Haibara sorridere ad un racconto concitato di Ayumi, dopodiché sospirò. Scrollando le spalle, si lasciò coinvolgere dalle discussioni di Genta.
Tornò a casa di malavoglia, pressato da un forte senso di insoddisfazione. Tentò di dormire un poco per troncare sul nascere il mal di testa che minacciava di travolgerlo. Non riuscì a chiudere occhio e decise di andare in salotto. E, mentre allungava la mano verso l’interruttore strofinando un piede contro l’altra gamba, provò una sensazione di ripetizione.
«Dejà vu» mormorò fra sé e sé, emozionato. Sforzò la mente. Il ricordo era elusivo. Era come tentare di afferrare dell’acqua... Scivolava via, senza lasciarsi stringere minimamente.
Chiuse gli occhi con più forza. “Andiamo” pensò, a denti stretti.
Gli sembrò di ricordare qualcosa... Era stata una giornata piovosa... Sì. Lui si era teso a spegnere la luce, ma poi non lo aveva fatto, perché...
Perché cosa?
Era entrata... Si afferrò la testa con entrambe le mani, mordendosi un labbro. Chi? Non lo ricordava, ma era certo che si trattasse di una donna. Riusciva quasi a rievocare la voce di lei, a vedere le sue labbra scarlatte, accuratamente truccate.
Avevano parlato, ma i dettagli gli sfuggivano. E poi...
Tentò di non concentrarsi troppo sul ricordo, cercando di lasciare che si sviluppasse da sé. E di colpo gli parve quasi di udire la propria voce mentre chiedeva, seccato... “Avanti, dimmi cosa c’entro con Yukiko Fujimine”.
Conan strinse la mascella così forte che i denti gli dolsero. E la donna cosa aveva risposto, accidenti?! Aveva riso. Si era alzata e gli aveva posato un dito sulle labbra.
Aveva esclamato qualcosa, divertita. Quanta curiosità, ecco quali erano state le sue parole. Poi era rimasta in silenzio per qualche attimo. Sì, e dopo... Dopo aveva affermato che se lui voleva davvero sapere cosa c’entrava con quell’attrice, doveva rivolgersi a...
«Accidenti!» imprecò Conan, frustrato. Sforzò il ricordo, senza ottenere nulla. Forse era Isao qualcosa? No, non era Isao. Tokozumi, di cognome? Scosse la testa fra sé e sé, irritato contro se stesso.
Dopo un po’ scelse di lasciar perdere. Non ricavava niente, se non l’indispettirsi contro sé per il fatto di non rammendare nulla di più. Si concentrò sulle informazioni acquisite. A quanto pareva, quindi, lui aveva qualcosa a che fare con la madre di Kudo, la madre che per tanto tempo aveva creduto fosse la propria.
Accidenti, però! Un nome, un solo nome, e avrebbe potuto scoprire qualcosa! Del resto, rifletté, accigliato, andava sempre così. Al culmine della soluzione del mistero si scopriva di non avere tutti gli indizi necessari.
“Almeno ho capito qualcosa” si disse. “Devo riferirlo ad Ai!” decise, uscendo in corridoio. Si diresse da Ran, correndo, e sfoderò il suo miglior sorriso ingenuo e infantile. «Senti, Ran» disse, sforzandosi di apparire entusiasta, «posso tornare dal professore? Aveva un gioco bellissimo!»
Lei lo guardò con una punta di rammarico, dispiaciuta. «Mi spiace, Conan» sospirò, «ma papà è diventato paranoico».
«Come paranoico?» domandò lui. E, per solidificare la sua facciata da bambino, aggiunse: «Come i tizi dei film?»
Ran replicò: «Ieri non è riuscito a concludere la soluzione del caso».
“Ti pareva” commentò fra sé e sé Conan. Aveva voglia di alzare gli occhi al cielo, ma sapeva che non sarebbe stato molto coerente con il carattere da bimbo innocente che doveva mantenere. «E quindi?» chiese, sgranando gli occhi.
«Quindi teme che se alcuni giornalisti incontrassero me o te per strada ci tempesterebbero di domande sino a farci affermare che lui è un buono a nulla».
Conan non si trattenne più. Alzò gli occhi al cielo. Era un peccato per il bimbo innocente, ma la storia che era frullata in testa a Kogoro era davvero troppo inverosimile.
«Ha detto» continuò Ran, esasperata a propria volta, «che se vogliamo andare da qualche parte dobbiamo metterci d’accordo e scegliere la stessa meta. In modo che lui possa accompagnarci».
Si chinò verso il bambino. «Ma se vuoi proprio giocare ancora, per me va bene venire dal professore. È simpatico e inoltre dalla finestra si vede la casa di...» Si interruppe, arrossendo sino alla radice dei capelli, improvvisamente convinta di aver parlato troppo.
“Di Shinichi” concluse mentalmente Conan. Gli dispiaceva per Ran. Ora che sentiva con chiarezza di non essere lui quello che provava qualcosa per lei, capiva nitidamente che lei era innamorata di Shinichi. E se prima lui era certo, almeno, che la persona amata le fosse vicino – in quanto pensava di essere lui Shinichi – ora non aveva la più pallida idea di dove si trovasse il detective liceale. Sperò che gli Uomini in Nero non gli avessero fatto del male.
Dopo aver creduto di essere Kudo per tutto quel tempo, si trovava inevitabilmente a provare simpatia e attaccamento verso di lui.
Dal momento che non sapeva se sarebbe stato conveniente discutere della propria identità con Ran e suo padre nei paraggi, tanto più che lei si sarebbe aspettata di vederlo correre dai videogiochi, disse alla ragazza che era lo stesso.
Tornò in camera. Prese il cellulare e digitò in fretta un numero. Gli rispose la voce assonnata del professore: probabilmente l’uomo stava schiacciando un pisolino quando era stato svegliato dal telefono. «Pronto?»
«Pronto, professore, sono Conan! Potresti passarmi Haibara?»
«Certo» bofonchiò Agasa, un po’ smarrito a causa del risveglio improvviso. Si allontanò udibilmente dall’apparecchio telefonico e Conan rimase in attesa, con il cuore che batteva impaziente.
E finalmente la voce famigliare di Ai si fece udire. «Che succede, Conan? Hai scoperto qualcosa?»
«Penso proprio di sì» replicò lui. Chiuse la porta e, a bassa voce, iniziò a raccontarle quanto si era ricordato.
Ai lo interruppe. «Chi era quella donna?» domandò.
«Non so. Ho sforzato le meningi, ma non ricordo affatto chi sia» rispose Conan, impaziente di proseguire il racconto.
«Quindi» concluse un po’ di tempo dopo, «ho scoperto di avere qualcosa a che fare con la madre di Shinichi». Ai non replicò, immersa in un silenzio carico di riflessione.
Conan spostò il proprio peso da un piede all’altro. «La donna» disse, dopo aver cacciato l’esitazione. «Mi ha detto anche chi avrei dovuto contattare per sapere della mia relazione con Yukiko, ma non riesco proprio a ricordarmi quel nome». Si batté una mano sulla fronte.
«Tipico» osservò dopo qualche istante Ai. «L’elemento più importante è quello che manca più spesso». Conan non poté che concordare. Dopo qualche istante di silenzio, lei decise: «Senti, tu cerca di ricordare e fammi sapere al più presto».
«D’accordo» sussurrò Conan, in tono piatto. «Ciao» sospirò poi, rassegnato.
«Ciao» replicò Ai, interrompendo la chiamata.
E Conan si sedette sul letto, pensieroso, tentando di ricordare.






Spazio autrice:
E così eccomi di nuovo. Spero l’attesa non sia stata troppo lunga.

A crazy cotton: Già. Il povero professore è stato escluso al primo colpo. Be’, si spera che prima di diventare molto ma molto pucci Ai e Conan tornino grandi, giusto? (Non chiedere da dove è uscita questa). Anch’io c’ero già stata in Francia, e sono felice di ritornarci^^ Ah, e grazie anche per aver commentato la drabble su Shinichi e Ran...

TITTIVALECHAN91: Ai è fredda solo in superficie, in realtà. Sotto è davvero dolce, almeno secondo come la vedo io. Conan sa essere un bravo bambino innamorato, ma la sua imbranataggine rovina un po’ l’atmosfera (concordo. Proprio un tonno è). Prima o poi il capitolo arriva, ma le vacanze hanno un influsso estremamente impigrente su di me. Alla prossima, dunque! Ciao^^

Ninny: Coniglietto per tutti i secoli e oltre, ecco. Sono felice che Ai sia stata apprezzata^^ Tenterò di darmi una mossa ad aggiornare, okay? Anche se fra poco – be’, il 12 – parto per la Francia, e tornerò il 22... Grazie per aver anche commentato la mia drabble. Sono contenta di aver espresso ciò che pensi che potrebbe dire Ran...^^ Grazie mille^^

Shinichikudo: Sono contenta che ti piaccia. Non preoccuparti se non riesci sempre a commentare, d’altra parte anch’io non sono sempre libera. Quindi ti capisco^^ Ciao

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Capitolo 6
*** Silenzio ***


Capitolo 6 – Silenzio

Era assurdo. No. Era più che assurdo. Era più che strambo, più che ridicolo. Era da matti, da pazzi da legare, da pericolosi psicopatici.
Eppure era così.
Conan non riusciva a ricordare nessun’altro sprazzo di dialogo, non riusciva certo a rievocare il nome che gli sarebbe stato così utile, ma ricordava perfettamente la sensazione di tranquillità quando, seduto sul divano, prendeva in grembo il proprio animaletto. Rammendava il peso caldo del coniglietto gravargli in modo piacevole sul petto. Quasi sentiva sotto le dita il pelo morbido del cucciolo.
Si batté la mano sulla fronte. Strizzò gli occhi e scosse la testa. In un gesto esasperato, si sistemò gli occhiali sul naso. Accidenti! Concentrarsi su quei dettagli non lo avrebbe di certo aiutato!
Sforzò la mente sul ricordo della donna che parlava. Si premette le mani sulle orecchie, chiuse gli occhi, storse il naso, sempre pensando intensamente a lei. L’unico dettaglio che ricavò fu la neanche tanto ferma certezza che la donna avesse i capelli biondi.
Figurarsi se riusciva a rammendare quel nome che l’avrebbe aiutato davvero con il problema della sua vera identità.
Provò a concentrarsi maggiormente. In fondo, se si impegnava, i ricordi avrebbero potuto incastrarsi come pezzi di un puzzle: confusi se presi singolarmente ma chiarissimi nel loro insieme. Si sforzò, ma in quel momento un’immagine gli balenò alla mente.
Rivide Haibara, seduta alla scrivania, immersa in calcoli a lui quasi totalmente incomprensibili, e per un attimo ricordarla gli piacque. Scosse la testa. “Non ricorderò certo un bel niente se nella testa ho solo lei!” si rimproverò, infastidito. “Anzi, se voglio rivederla farei meglio ad arrivare a capo di qualcosa, in modo da avere una scusa valida”.
L’istante dopo si meravigliò della sua stessa riflessione. Era come se il rammendare qualche dettaglio in più non fosse più associato alla soluzione del mistero sulla propria identità... Stava quasi diventando una scusa per poter vedere Ai.
Si diede dello scemo, sentendosi in colpa per Shinichi. La sua identità, si disse, non serviva solo a lui, ma anche ad avere indizi sul detective liceale che aveva creduto di essere.
Perciò provò di nuovo a concentrarsi, ma ogni ragionamento capitolava sempre al pensiero di Ai: alla sua apparente durezza, che, una volta, scalfita, si dissolveva in una fragilità incredibile. Sempre più confuso – non capiva come avesse fatto Shinichi a risolvere i propri casi tempo prima, quando doveva essere distratto da Ran – si premette le mani sulle guance e cercò di vagliare meglio quei ricordi aggrovigliati.
Ma solo quando, ormai rassegnato, chinò la testa sul cuscino, il nome aleggiò nella sua mente chiaro e preciso. Avrebbe saputo indicare con precisione il tono con cui la donna lo aveva pronunciato.
«Misao Morozumi» sussurrò. Sobbalzò talmente bruscamente da rischiare una caduta dal letto; annaspò alla ricerca del cellulare e, quando lo ebbe preso, gli cadde di mano due volte per la fretta e l’agitazione. Finalmente, imprecando contro di sé, riuscì a comporre il numero giusto.
Con la voce fremente per l’emozione, comunicò tutto ad Haibara.
«Bene» affermò Ai alla fine del breve resoconto di Conan. «Andrò a informarmi al riguardo di questo Misao Morozumi».
Il ragazzino si riscosse. Prima di potersi frenare, esclamò: «Ehi, e io?!» Aveva appena aperto bocca che desiderò non averlo mai fatto, rendendosi conto di quanto fossero infantili quelle parole.
«Se non sbaglio tu non puoi uscire di casa, giusto?» domandò Ai, diplomatica.
Conan sospirò. Sia per la delusione di non poterla incontrare, sia per la vergogna ancora viva della figuraccia appena fatta. «Già» mormorò.
«Allora non appena scopro qualcosa ti chiamo. Ciao, Ku... Conan» lo salutò. Lui rispose al saluto e rimase con il cellulare attaccato all’orecchiò sino a quando non udì il suono del segnale assente. Si sedette, sbuffando appena, sul letto. Immaginò Haibara infilare una giacca e indossare quel suo cappello con la visiera, calcandoselo bene sui capelli ramati. Si figurò il saluto che la ragazzina avrebbe rivolto al professore, magari aggiungendo qualche spiegazione su quel che Conan era riuscito a ricordare. Per finire, delineò mentalmente l’uscita di casa di lei. A quel punto, però, non seppe che altro immaginare. Per quanto ci pensasse, doveva ammettere che non aveva idea di come Haibara intendesse organizzare la propria ricerca.
«Maledetto mal di testa» borbottò tra sé, imprecando contro le tempie pulsanti che gli impedivano di pensare chiaramente. Era lampante che dormire sarebbe stata una mossa intelligente; peccato che fosse altrettanto ovvio che, nello stato d’ansia in cui si ritrovava, non sarebbe riuscito ad azzardare nemmeno un timido pisolino.
Si arrese e si avvicinò alla pila di libri appartenenti a Kudo. “Be’, un po’ anche a me” pensò. “In fondo, li ho comprati io quando pensavo di essere lui”. Li sbirciò. Lo sapeva, ma rimase un po’ deluso lo stesso: erano tutti romanzi gialli. Ne sfogliò uno di malavoglia.
In quell’istante gli venne in mente una cosa. Una volta, la madre di Kudo gli aveva detto, prendendolo per il figlio, che le sembrava che Ai fosse innamorata di lui. A quel tempo non ci aveva dato peso, scettico ed incredulo, ed aveva lasciato perdere subito.
In quel momento il suo cuore palpitò emozionato, mentre il dubbio si faceva strada nella sua mente. E se Yukiko avesse avuto ragione? Se Haibara fosse stata innamorata di lui?
E, mentre parte del suo entusiasmo improvviso si smorzava, si pose la domanda che gli premeva davvero. Sempre che Ai fosse innamorata, era stata conquistata da lui come Shinichi o semplicemente come Conan?
Preferiva la destrezza che aveva dimostrato a risolvere i casi grazie alla falsa memoria di Shinichi o la premura che aveva avuto solo perché era lui?
Incerto su quale fosse la vera ragione, rimase a riflettere al riguardo per molto tempo. Quando poi Ran lo chiamò per la merenda, trasalì, riemergendo da quelle riflessioni.
“Forse lei mi può dare una risposta” si disse, raggiungendola in cucina.
Dopo qualche istante, tra un morso del tramezzino che teneva saldo tra le mani e l’altro, esordì in tono innocente: «Senti, Ran...»
La ragazza si voltò a guardarlo, interrogativa. «Sì?»
«Cosa ti piace di più di Shinichi?»
Lei si allarmò. «Non è che ti ha chiesto lui di chiederlo?» domandò, ansiosa.
«No» replicò Conan. «Davvero, lo giuro».
Lei annuì. Si interruppe e si concentrò sulla domanda. «Cosa mi piace di Shinichi...» ripeté, pensosa. Arrossì e per un poco non rispose. «Be’» disse dopo qualche istante, «quando risolve un caso è... Carino». Dal tono esitante dell’ultima parola Conan fu certo che avrebbe voluto dire “affascinante”. «Inoltre è bravo e... premuroso». Si girò di scatto, portando con grande maestria il discorso sulla scuola di Conan.
Lui rispose alle domande in modo distratto, sfoderando di tanto in tanto un sorriso infantile. Dentro sé, rifletteva su quanto appreso.
In conclusione, non riusciva a ricavarne niente. Con i tratti sbiaditi della memoria di Shinichi e quelli più chiari del ricordo di quanto era accaduto dal giorno in cui era stato rimpicciolito, avrebbe anche potuto risolvere un caso. Forse non con la sicurezza del detective liceale, ma con un po’ di impegno non sarebbe stato un grandissimo problema.
Purtroppo Shinichi non aveva mai capito molto di sentimenti, così come non ne capiva lui in quel momento.
Ritornò in camera con gli stessi dubbi di quando era andato in cucina. Quando il cellulare prese a trillare con insistenza, sobbalzò sulla sedia e tese rapido le mani verso l’apparecchio. «Pronto?»
«Sono io» replicò la voce famigliare di Haibara. «Ho scoperto chi è il nostro uomo e cos’ha a che fare con la madre di Kudo».
Il ragazzino deglutì. «E...?»
La risposta arrivò in breve: «È un medico. E a quanto pare ha seguito Yukiko durante la gravidanza». Sebbene avesse parlato con apparente tranquillità, Conan si sentì agitato e ansioso.
«Ma... Cosa può significare questo?» domandò, sentendosi improvvisamente molto nervoso.
Lei rimase in silenzio per qualche attimo. «Non lo so» rispose infine. «Non sei tu il grande detective?»
«No» la contraddisse Conan, «il grande detective è Shinichi». E, nonostante la situazione, non poté fare a meno di sentirsi un po’ irritato per il fatto che lei avesse ricordato il ragazzo.
«Domani. Vediamoci e discutiamone» concluse Haibara. «Ciao».
«Ciao, Ai» mormorò lui. Solo dopo aver pronunciato l’ultimo suono rammendò che lei aveva accordato il permesso di chiamarla per nome soltanto ad Ayumi. Per un attimo si aspettò una frase di scherno. Al contrario, dall’altra parte del filo il silenzio si tese e si prolungò.
Dopodiché, sempre in silenzio, Haibara interruppe la chiamata.



Spazio autrice:
Scusate per il ritardo, ma tra le vacanze in Francia, i parenti e i compiti delle vacanze (maledetti!) non riuscivo a scrivere niente.

Ninny: Già, Shinichi è sempre di mezzo, ma poveraccio, non ne ha nemmeno tutta la colpa! Forse è Conan che dovrebbe smetterla di paragonarsi a lui ogni santo secondo! ^_-

TITTIVALECHAN91: Be’, sono felice di averti incuriosita^^ In effetti impigrirsi durante le vacanze non dev’essere una cosa rara... Dopotutto esistono per quello! (o no? O_o). Grazie!

A crazycotton: Come vedi, anche in questo capitolo è comparso il sacro coniglietto U_ù Non può proprio mancare, dal momento che è il fulcro dell’intera storia. Grazie per i complimenti, sono contenta che ti incuriosisca... *-*

Licia Troisi: Non ti preoccupare per l’assenza, sono felice che tu sia tornata a recensire e di non averti delusa con le nuove novità del racconto^^

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Capitolo 7
*** Inizio delle indagini ***


Capitolo 7 – Inizio delle indagini

Conan non avrebbe saputo in seguito dire per quanto tempo rimase immobile, l’orecchio incollato al ricevitore che recepiva il tu tuu della telefonata giunta al termine.
Osava a malapena respirare, quasi il suono che sentiva fosse impossibile da disturbare. Abbassò il cellulare e lo spense. Per qualche attimo rimase a fissare il telefonino, chiedendosi a cosa fosse dovuta la reazione che Ai aveva avuto dopo essere stata chiamata per nome. Si era forse sentita infastidita? O imbarazzata?
Per tutto il resto della serata si tormentò con quelle domande. Quando infine si abbandonò tra le coperte e si lasciò scivolare nel sonno, fece un sogno che sarebbe svanito con la luce dell’alba.
Era fermo sulla riva di quello che sembrava un lago. Ma era il mare. Lo sapeva, nel modo strano e bizzarro in cui si conoscono le caratteristiche dei propri sogni. Correva sulla sabbia e si fermava a raccogliere un sassolino.
Lo gettava in acqua e lo guardava andare a fondo. Poi udiva una voce chiamarlo, e si voltava. Si ritrovava davanti Ai, ma non l’Ai bambina. L’Ai ragazza, Shiho Miyano.
La guardava, e lei guardava lui, per poi inclinare la testa e mormorare qualcosa.
Conan si svegliò di soprassalto. Per un attimo si guardò attorno confuso, certo di aver sentito il suono dell’acqua che scorreva... Il rullio delle onde... Scosse la testa. Non era importante, comunque. Balzò giù dal letto e corse in salotto.
Kogoro stava sfogliando un giornale.
Conan azzardò un’occhiata e subito distolse lo sguardo, allibito. “Non ci credo” pensò. “Ha tenuto l’ultimo articolo che è stato scritto su di lui... E lo legge con quel sorrisetto soddisfatto sulle labbra!”
Si voltò verso Ran, la quale stava spingendo la scopa tra due mobili.
«Ehi, Ran» iniziò, prendendo fiato.
La ragazza si voltò a guardarlo. «Conan!» esclamò sorpresa. «Sei già in piedi?»
Lui annuì frenetico. Sfoderò un sorriso enorme e allargò le braccia. «Il dottore mi ha chiamato per dirmi che ha un gioco nuovissimo!» disse, con veemenza. Il viso atteggiato ad un’espressione che comunicava la totale convinzione che i videogiochi creati da Agasa fossero il massimo in assoluto.
Ran si sistemò distrattamente una ciocca di capelli bruni che le era caduta davanti agli occhi. «Ci vuoi andare, oggi pomeriggio?»
Il sorriso di Conan tremò. «Oggi pomeriggio?» ripeté. Improvvisamente sentì un gran brutto presentimento. «Oggi non c’è la scuola, Ran».
«Lo so» replicò lei. «Ma Ayumi ti ha invitato a casa sua. Te ne sei scordato?»
Conan rifletté. O se l’era scordato davvero o non aveva prestato veramente attenzione all’invito della bambina. Fissò Ran, avvilito. «Sì?» domandò, nella debole speranza di aver frainteso. Magari in realtà Ayumi gli aveva telefonato oggi per invitarlo. Ma la festa, forse, era per un altro giorno.
«Certo» disse Ran. «Ha detto che ci saranno anche Mitsuhiko e Genta. Ai no, perché ha non ho capito quale impegno».
Conan si accigliò appena. Certo che Haibara era occupata! Era occupata a scoprire la sua identità. Non avrebbe dovuto partecipare anche lui alla soluzione di quel mistero?
«Mi vado a preparare» cedette, con un sorriso molto tirato.
Ayumi fu felicissima di vederlo arrivare. Gli saltò al collo, abbracciandolo stretto, senza prestare attenzione alle espressioni appena contrariate di Mitsuhiko e Genta.
Gli chiesero se qualcuno aveva avanzato richieste perché i Detective Boys svolgessero qualche indagine. Al suo distratto diniego borbottarono qualcosa chiaramente delusi. Poi Mitsuhiko propose di giocare a Monopoli.
Conan accettò. Gli sembrava una maniera abbastanza ragionevole per passare un po’ di tempo.
Più tardi rimpianse la propria decisione.
Ayumi continuava a sorridergli e a complimentarsi con lui ad ogni saggia mossa – per lei, tutte le mosse del ragazzino erano sagge. Genta tirava avanti proteste inaudite ogni volta che doveva pagare. Infine, Mitsuhiko si prodigava in speculazioni, riguardanti figurine dei personaggi famosi e fumetti appena letti – ad ogni quartiere.
L’ora della merenda fu abbastanza gradita. Genta parlava a bocca piena e masticava in modo piuttosto rumoroso, ma Conan non gli prestò attenzione.
Quando ebbero finito di mangiare, Mitsuhiko, pulendosi la bocca con il tovagliolo, avanzò la proposta di andare a fare un giro nel Parco. I bambini accolsero l’idea con molto entusiasmo.
Conan sospirò e li seguì giù per le scale, ma quando furono usciti dall’abitazione di Ayumi, decise di non poter perdere altro tempo. «Sentite, ragazzi, io non vengo. Mi sono fatto male alla caviglia» inventò.
Ayumi lo guardò ansiosa e dispiaciuta. «Se vuoi ti accompagno a casa» disse. «Così ti faccio anche da infermiera se ti fa troppo male».
«Meglio di no» si affrettò a dire Conan. Alzò uno sguardo rapido al cielo ed aggiunse: «Non vorrei che tu perdessi questa bella giornata».
Lei sorrise. «Sei così gentile, Conan!» esclamò.
Lui sorrise di rimando, poi guardò i bambini allontanarsi, aspettando – con un filo di impazienza – che Ayumi smettesse di voltarsi ogni secondo per controllare la sua posizione.
“Da come è corrucciata” pensò, “pare convinta che io possa cadere svenuto da un momento all’altro”. Nonostante l’impazienza, non poté fare a meno di sorridere a quel pensiero.
Ancora qualche istante, ed i Detective Boys scomparvero dalla sua vista. Conan si voltò ed iniziò a correre in direzione della casa del professor Agasa.
Suonò impaziente il campanello. Venne ad aprire Ai. Il ragazzino notò, con un certo imbarazzo, che lei indossava ancora il pigiama. La ragazza lo fissò per un momento con espressione indecifrabile, poi disse: «Aspetta qui, tu, io vado a vestirmi».
Conan annuì sollevato ed entrò in casa.
Ai non ci mise molto, ed entro poco era pronta a parlare con lui.
«Hai scoperto qualcosa?» domandò Conan, sentendosi un po’ sulle spine.
Lei scosse la testa.
Il ragazzino si sentì un poco deluso, ma cacciò rapidamente quel sentimento. «Per curiosità» esordì, «come hai fatto a scoprire chi fosse Misao Morozumi?»
«Semplice» replicò Ai, pragmatica. «Ho telefonato a tutti i Morozumi dell’elenco telefonico».
Conan rimase di stucco per un momento, poi chinò la testa imbarazzato. Si era scervellato in così tanti modi sui metodi che lei avrebbe potuto usare per trovare l’uomo. Eppure quel metodo così semplice non gli era proprio venuto in mente. Si sentiva le guance bollenti.
«Ha risposto sua nipote» continuò intanto Ai, «si è messa a consigliarmi suo zio come dottore... E ha citato il fatto che lui era stato ginecologo di un’attrice famosa. Ma questo» sospirò, scrollando le spalle «è stato un tremendo colpo di fortuna».
Conan si incitò a cogliere la palla al balzo e a farle un complimento, dicendole che la fortuna non c’entrava, e che era lei ad essere stata brava. Con sommo imbarazzo – ormai avrebbero potuto usare le sue guance per cuocere delle uova – non replicò nulla. E ormai il momento era passato.
«Allora, sei pronto?» domandò Ai, facendolo cadere dalle nuvole dell’autocompatimento.
Conan annuì. «Andiamo a trovare il dottor Morozumi» sospirò.


Spazio autrice:
Buondì! Scusate il ritardo, ma con la montagna di mezzo ho avuto un po’ di problemi a lavorare per questo nuovo capitolo. Dunque... Chi ha già letto la storia sa che nel prossimo capitolo si chiariranno un po’ di cose. E ne succederà una interessante. Okay, non dico altro.

Licia Troisi: Mmm, effettivamente Conan ormai dovrebbe essersi accorto della sua “tonnaggine”. O forse no, perché per essere tonno, lo è un bel po’ ^_- Per sapere sul dottore non dovrai aspettare molto, non preoccuparti, solo il prossimo capitolo (che spero di riuscire a pubblicare al più presto). Grazie per il commento!^^

TITTIVALECHAN91: Uhm, sono fiera di annunciare che stamattina ho dato un’interruzione alla mia pigrizia continuata e sono andata da mio zio per fare fisica (heeelp!). Comunque, mi sembra che ciò non c’entri molto con la storia (una deduzione degna di Shinichi, questa!). Non ti scoraggiare. Come ho già detto, il prossimo capitolo risolverà qualcosa... Be’, alla prossima, allora!

Roe: E quando il nome comparve alla mente di Conan, un urlo di giubilo giunse da ogni parte del mondo... Eh be’, era proprio ora! Questo capitolo era un po’ una pausa alle indagini, diciamo così. Spero non sia stato noioso e non ti abbia fatto venir voglia di sbattere qualcosa contro lo schermo del computer. Grazie davvero ^0^

A Crazycotton: Buongiorno! (Evvai! Il coniglietto! *_*). Sono contenta che ti sia piaciuto quel silenzio da parte di Ai... A me è piaciuto quando mi è venuta l’idea di scrivere, e sono felice di non essere stata la sola ad averlo apprezzato. Si sa, se qualche scritto è apprezzato solo dall’autrice, non è che la cosa sia molto conveniente... Al seguito^^

Ninny: Eh, già. Qua Conan se non trova cento problemi al giorno se li inventa. Mah, sarà che in effetti – poveraccio – qualche motivo ce l’ha per avere qualche complesso, sarà che io, con la mia passione per i personaggi traumatizzati, non posso fare a meno di dipingerlo un po’ inquieto... Comunque sia, il risultato è questo! ^^ Cercherò di aggiornare il prima possibile!

BabyYuki: Ciao! Sono contentissima che questa storia ti piaccia! Riguardo all’originalità, ero più o meno sicura di aver fatto un lavoro “strano” – non tutti raggiungono il mio livello di pazzia, per fortuna – ma riguardo a quanto fosse capace di coinvolgere i lettori... Be’, riguardo a quello, qualche dubbio viene sempre! Quindi sono stata felicissima nel leggere che lo trovi “avvincente” ^o^ Allora alla prossima! (Grazie ancora per il commento. Oltre a farmi molto piacere – come ho già detto – mi ha spronata a mettermi al lavoro per questo capitolo!).

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Capitolo 8
*** Misao Morozumi ***


Capitolo 8 – Misao Morozumi

Conan fissava i propri piedi che, comodi nel loro paio di scarpe, si muovevano lenti, misurati.
Non gli sembrava vero.
Ogni cosa, in quella faccenda, non gli appariva reale, partendo da se stesso. Un ragazzo rimpicciolito a bambino delle elementari, un giovane che per lungo tempo aveva pensato di essere qualcun altro, acquisendo i ricordi di questi... Sembrava quasi il materiale per una storia di fantascienza.
Il ragazzino sospirò mentre una folata d’aria gli passava tra i capelli bruni. Alzò lo sguardo, soffermandolo poi sul profilo di Ai.
Lei fissava la strada davanti a sé, con una tranquillità disarmante. Una calma che Conan non riusciva a comprendere, una calma che lui non sapeva se definire vera o una semplice copertura per le sue vere emozioni.
I capelli castani ramati della ragazzina erano appena arruffati dal vento, il viso lievemente arrossato.
Lei, almeno lei, in tutta quella confusione, gli sembrava vera.
Lei era concreta, era la realtà in tutto quel disordine.
Di colpo, Conan la sentì straordinariamente vicina. E al contempo percepì il desiderio di prenderla per mano, di sentire la sua pelle calda contro la propria... Con il respiro appena affannato, chinò gli occhi sull’asfalto.
Il cuore gli batteva più velocemente del consueto.
Finalmente giunsero all’abitazione dove si trovava lo studio medico del dottor Morozumi. Il sole si rifletteva con precisione con la targa di metallo con la dicitura “Misao Morozumi – Medico”, facendo socchiudere per un momento gli occhi a Conan.
Ai alzò la mano e suonò il citofono. Un momento dopo la porta si aprì con uno scatto.
I due bambini entrarono. Percorsero la scala in silenzio, a passi lenti, sino a giungere sul giusto pianerottolo. Quindi, titubanti, entrarono nella sala d’attesa dello studio medico.
Dall’interno di questo provenivano due voci, attutite dal muro. Conan e Ai si sedettero sulle sedie gialle del salottino, in attesa. Cercando di calmare almeno un poco il proprio nervosismo, Conan si concentrò sulle voci che udivano.
Uno, più squillante, quello che di fatto si sentiva con maggior chiarezza, sembrava appartenere ad una donna. Il secondo aveva un timbro più profondo, pacato, pensoso. Si sentiva appena, ma Conan ebbe un lieve brivido. “Dottor Morozumi...”
Ai sfogliava soprapensiero una rivista.
Infine la porta si aprì, e ne uscì una donna. Aveva corti capelli ondulati e castani. Indossava una borsetta scarlatta ed un abito rosso che saltavano subito agli occhi. Poi, dietro di lei, fece capolino un uomo robusto, dai capelli neri che ormai viravano al grigio, un pensoso sguardo nocciola e labbra sottili.
Quando la signora uscì, il dottore si rivolse ai bambini. «Posso fare qualcosa per voi?» domandò, con la perplessità evidente nella voce.
Conan si alzò e disse, pronto, con uno studiato tono infantile: «Sì. La mamma aveva preso un appuntamento, ma non trova più il foglietto sul quale l’ha segnato...»
Ai sospirò. «Perché l’hai preso per giocarci e l’hai perso» mormorò, senza alzare gli occhi dalla rivista.
Da una parte Conan l’ammirò perché era stata pronta a ricevere la palla al balzo, dall’altra si sentì un po’ imbarazzato... Perché il comportamento di lei non era esattamente quello di una bambina di circa sette anni.
«Non è vero!» esclamò, per non lasciar cadere l’argomento. «Sei bugiarda!» aggiunse, ostentando un broncio arrabbiato.
«E invece ho ragione» affermò Ai, alzando finalmente gli occhi e mettendo da parte il giornale.
«Ah! Chi fa la spia non è figlio di Maria, non è figlio di Gesù, quando...»
«Ma se sono una bugiarda non ho fatto la spia! Visto? Hai detto da solo che hai perso il foglietto!»
Il dottore li osservava allibito. «Ehm, bambini...» provò a dire.
«Balle, balle, stai raccontando balle!» strepitò Conan.
A quel punto, Morozumi li fece entrare nello studio. Immediatamente i due interruppero la commedia, accomodandosi dalla scrivania.
Il medico si abbassò a rovistare in un cassetto. Prese un’agenda e la aprì sul piano del tavolo davanti a sé. «Il nome di vostra madre?» domandò.
«La mamma è la mamma» rispose Conan, risoluto. Mentre si atteggiava a bambino capriccioso, la sua mente lavorava frenetica. Se solo fosse riuscito ad allontanare il medico avrebbe potuto cercare un’ipotetica cartella riguardante Yukiko...
Ai lo osservava sorpresa, evidentemente pensando che la recita fosse un po’ troppo pesante... I suoi occhi chiedevano: “E adesso?”
Il dottore incrociò le mani e pose nuovamente la domanda, stavolta ad Ai. Conan ne approfittò: intercettò lo sguardo di lei e sillabò in silenzio: “Allontanalo”.
Un guizzo di comprensione attraversò gli occhi della ragazzina. Di punto in bianco, prese a gridare, disperata: «Voglio la mamma! Mi manca tanto! Ho paura! Non voglio stare sola!»
Il dottore la fissò, a dir poco sbigottito. Si alzò e le andò vicino. «Ehi, piccola» disse, tentando di calmarla.
Ai continuava a strillare. Poi inspirò e domandò, con una voce che le venne tremula al punto giusto, prima di scoppiare in un pianto a dirotto: «Posso telefonare alla mia mamma?»
Il dottore replicò, appena imbarazzato: «Oh, ma certo, vieni». Fece cenno ad una stanza adiacente. «Di là ho il telefono».
Scoccò un’occhiata a Conan, il quale sedeva tranquillo sulla poltrona. Poi, con un sospiro, condusse fuori Ai.
Non appena fu scomparso il ragazzino scattò verso i cassetti, aprendoli in fretta. Fortunatamente il medico era un tipo ordinato ed erano tutte in ordine alfabetico. Per doppia fortuna, conservava tutte le cartelle dei pazienti passati.
Dopo qualche sbaglio indotto principalmente dall’agitazione, Conan riuscì a tirare fuori quella di Yukiko. La scorse velocemente. Sentiva ancora i singhiozzi inconsolabili di Ai, quindi doveva avere ancora un po’ di tempo.
Finalmente giunse ad una pagina che si rivelò quella che gli occorreva. Ma ciò che lesse gli gelò il sangue nelle vene e minacciò di bloccargli il respiro. Rilesse molte volte, sentendosi stordito, ma infine dovette ammettere che c’era scritto proprio quello. Con un brivido, rimise la cartella al suo posto.
Si alzò e chiuse i cassetti.
Appena in tempo per vedere rientrare Ai ed il dottor Morozumi. La bambina sembrava perfettamente rasserenata. «Sai?» esclamò, allegra. «La mamma ha detto che abbiamo sbagliato dottore! Ha detto anche che dobbiamo andare giù che lei passa a prenderci!»
Lui la osservò inebetito. «Bene» riuscì a dire, distrattamente.
La ragazzina lo osservò preoccupata, notando il suo colorito improvvisamente pallido. Gli occhi di Conan sembravano focalizzati su qualcosa di lontano, persi in un’altro mondo.
Il bambino non volle fare parola ad Ai di ciò che aveva scoperto, e rimase immerso in un silenzio meditativo lungo tutto il viaggio sino a casa del professor Agasa.
Quando furono davanti all’abitazione del professore si fermò. Sospirò e guardò Ai.
«Allora?» domandò lei, un po’ inquietata dal comportamento del ragazzino.
«Allora» replicò lui, con voce che suonò incredibilmente stanca, soprattutto considerato il suo aspetto da bambino delle elementari, «io... Io sono il fratello gemello di Shinichi». Tacque un attimo, fissando assorto un punto indefinito del cielo sopra la spalla di Ai.
«E quindi?» lo incoraggiò lei. La rivelazione l’aveva meravigliata, ma non capiva come mai il ragazzino sembrasse tanto sconvolto.
Conan deglutì, prima di parlare. «Quindi, secondo la cartella...» Trasse un respiro profondo. «Sono morto il giorno dopo il parto».
Ai rimase interdetta. Non seppe cosa dire. Poi, per alleviare l’atmosfera, agì d’impulso, facendo una cosa che in un’altra circostanza non avrebbe mai fatto. O forse sì, ma solo a patto di ricevere qualcosa in cambio.
Cercando di assumere la migliore espressione scherzosa, tese la mano al ragazzino. «Piacere!» esclamò. «Shiho».
Lui la fissò stranito per qualche attimo, poi tese la mano ad afferrare debolmente quella calda di lei. Quindi, muovendo le labbra – che gli parevano improvvisamente asciutte e screpolate – sussurrò: «Piacere, Takeshi».
Osò alzare gli occhi verso quelli di lei, ed improvvisamente il cuore accelerò i battiti in maniera spropositata, quasi fosse intenzionato ad uscirgli dalle costole.
Non sentiva più nulla. Ogni rumore del traffico in lontananza, degli uccelli che, rincorrendosi in volo sugli alberi, cinguettavano, sembrava essere svanito, soffocato da quello lieve del respiro di Ai.
Senza pensarci, senza ragionare, avvicinò le labbra a quelle della ragazza.
All’ultimo secondo lei ritrasse il viso, voltandolo di lato – i suoi capelli castano ramato si mossero in un’onda di riflessi – e Conan, Takeshi, si trovò a baciarle la guancia, calda e liscia.
Le sue labbra si soffermarono per un attimo sulla sua pelle morbida, poi si rese conto di quanto stava facendo. Allontanò bruscamente il viso, quasi il calore di lei lo avesse improvvisamente scottato.
Indietreggiò, mentre Ai, immobile, lo osservava ad occhi spalancati, poi si voltò ed iniziò a correre.
Mentre fuggiva, gli sembrò di udire una voce nella testa.
Una voce che forse era la propria, o quella beffarda dell’immaginazione.
Benvenuto, Takeshi Kudo.


Spazio autrice:
Buongiorno a tutti! Scusate la pausa, ma, dato che il mio cervellino bacato ha le dimensioni di una nocciolina, ho tante storie in ballo, e ho lavorato un po’ su quelle.
Allora, che dite del colpo di scena? Anzi, dei colpi di scena. Ho approfittato del fatto di essere impegnata in una “nuova versione” di questa storia per poter estendere un po’ la sequenza del bacio, spero di non avervi delusi...
Eh, povero Conan/Takeshi che sia, se continuo a torturarlo così a momenti non saprà proprio più che pesci pigliare.

Licia Troisi: Ed ecco la vera identità di Conan, spero non abbia deluso! E spero che la tua opinione di questa storia – che diventi sempre più bella ^///^ – non sia stata cambiata proprio da questo capitolo che, diciamocelo, è un capitolo anche abbastanza importante.

TITTIVALECHAN91: Sì, siamo riusciti a scoprire qualcosa. E nemmeno una cosa di poco conto, non trovi? Sono felice che tu non abbia disprezzato la mia decisione di mandare ancora un poco la cosiddetta “ora della verità”. Secondo me il giallo è il genere più difficile, infatti questo racconto non è che sia proprio un giallo, anche se i misteri non mancheranno. Alla prossima!

Kessi: Ciao! Che bello trovarti^^ Uhm, devo dirti che non sono certa di aver visto la puntata a cui ti riferisci – anche perché io più che guardare l’anime leggo il manga – ma potrei non ricordarmene. Comunque... Penso non sia questo il punto della questione (o sì? O_o). Sono felice che ti piaccia ritrovarmi, dal momento che, come ho già scritto, a me ha fatto molto piacere ritrovare il tuo nome in una recensione. Per finire: no, nel manga (e nell’anime), Shinichi e Conan sono la stessa persona. Che Conan sia qualcun’altro è frutto della mia mente ammattita ^_- Grazie mille! Baci

BabyYuki: Be’, che dirti, se non, prima di tutto, grazie?! Come ho preannunciato sì, si sono svelati un po’ di misteri – o forse l’identità di Conan ne ha aggiunti altri? – ma spero di non aver comunque fatto svanire la voglia di seguire questa ff. (Ed ecco qualcuno che si preoccupa per Shinichi... Be’, hai ragione, in fondo non lo vediamo da tempo. E se calcoliamo che è scomparso da quando Conan è stato trovato in casa di Agasa, la faccenda si fa alquanto preoccupante). Baci.

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Capitolo 9
*** Sasso in testa ***


Capitolo 9 – Sasso in testa

Conan corse.
Corse sino a quando le gambe non iniziarono a dolergli, fino a quando i muscoli non iniziarono a protestare, fino a quando il cuore prese a battere tanto forte da sembrare sul punto di scoppiare.
Si sentiva tremendamente confuso. Avrebbe voluto non aver provato a raggiungere le labbra di Ai, eppure, quando le aveva viste così morbide, appena schiuse nel respiro sorpreso... Non aveva saputo trattenersi.
Forse l’aver finalmente scoperto la propria identità gli aveva dato alla testa, considerò, senza smettere di correre. Pensò alla reazione di Ai e rifletté che era stata più che giusta. Lui si era a dir poco comportato da cretino.
Si disse che doveva scusarsi con la ragazza, ma allo stesso tempo non sapeva se sarebbe mai tornato indietro.
Perché tutto ciò che in quell’istante gli sembrava importante era continuare a correre, a fuggire, in modo da mettere tra sé e la realtà il maggior spazio possibile, in maniera di allontanarsi dagli occhi pietrificati di Ai.
Le proteste delle gambe, originate dallo sforzo a cui le stava sottoponendo, si acuirono, ma lui le ignorò e non rallentò minimamente l’andatura.
Dopo qualche tempo, però, il respiro affannato e i muscoli indolenziti si allearono e lo fecero rallentare considerevolmente. Ansimò e cercò di riprendere un ritmo respiratorio decente, quindi si sforzò, allo stesso tempo, di non pensare ad Ai. Se solo la ragazzina gli saltava in mente, infatti, ogni suo sforzo di tranquillizzare il proprio cuore risultava vano.
A fatica, tentò di riflettere su qualcosa che non fosse l’espressione di Shiho dopo che lui aveva cercato di baciarla. Iniziò a camminare per evitare che i muscoli gli si irrigidissero troppo e si riempissero di acido lattico.
Per un poco seguì il marciapiede, poi entrò in un piccolo parco.
La ghiaia del vialetto scricchiolava sotto le sue scarpe, ma lui ne sentiva a malapena il rumore, così come a stento vedeva gli alberi, le altalene e i cespugli, così come avvertiva scarsamente il vento che gli arruffava un poco i capelli.
Giunse ad una panchina e, con un sospiro, vi si sedette. Era tra due abeti, e per un momento li osservò, assente. Non riusciva a rilassarsi, nonostante la sua posizione fosse ora più comoda.
Osservò con aria distratta un uccellino che si era posato sul vialetto e becchettava in terra, intento in quell’occupazione.
Si appoggiò pesantemente allo schienale della panca, tenendo gli occhi socchiusi rivolti verso il cielo. Gli parve di ricordare qualcosa, ma era poco più dell’ultimo anelito di profumo che rimane nell’aria prima che il vento lo trascini via interamente, spazzandolo lontano.
Forse il brusio leggero di qualche persona. No, molte persone che schiamazzavano, allegre e impazienti.
Nell’angolo, la figura – sbiadita nella sua mente – della donna che aveva visto nel suo ricordo precedente.
«Ehi, bambino! Bambino!»
Takeshi aprì gli occhi di colpo, riemergendo dal ricordo con un sussulto. Concentrato com’era sulle immagini che tentava di ripescare confusamente dalla propria memoria, non si era reso conto dell’avvicinarsi di un uomo. Lo fissò, scordando per un momento il proprio aspetto da bambino delle elementari.
Se ne rammendò quando lo sconosciuto sorrise come a volerlo rassicurare. Aveva il mento ruvido di una corta barba scura, i capelli del medesimo colore erano corti e arruffati, mentre gli occhi scuri lo guardavano amichevolmente. «Ti sei perso?» chiese con gentilezza.
Conan scosse la testa lentamente, poi riguadagnò abbastanza animo da esclamare: «No, signore! Abito nella casa là davanti, vede?» proseguì entusiasta, indicando con decisione una delle abitazioni vicine al parco.
L’uomo sorrise davanti alla sua euforia. «Bene, mi sembri un giovanotto che sa il fatto suo» affermò.
Conan sorrise, cercando di apparire sia convincente che fiero del complimento.
L’uomo alzò lo sguardo al cielo che iniziava a scurirsi, forse preannunciando un temporale. «Ora, però, sarà meglio che torni a casa, prima di bagnarti. Sembra che ci sia una tempesta in arrivo».
Takeshi annuì frenetico. «Sì, signore! Grazie, signore!» aggiunse allegramente, per consolidare la propria apparenza di bambino. Conan era così, pensò, mentre balzava dalla panchina. Bisognava chiedersi cosa avrebbe fatto un bimbo allegro e spensierato come lui, ed adattarsi alla parte. Era un po’ come inventare il personaggio di un film.
Si allontanò in fretta. Finse di dirigersi verso una delle case indicate in precedenza ma, quando fu sicuro che l’uomo non lo potesse più vedere, svoltò in un’altra via.
Non andò a casa del professor Agasa. Nonostante si disprezzasse per quello, non aveva abbastanza fegato per tornare da Ai e tentare di capire cosa avesse provato la ragazza quando si era resa conto che lui aveva cercato di baciarla.
Andò invece da Mori.
Ran gli si precipitò addosso non appena lo sentì entrare. «Conan!» esclamò. «Avresti potuto dire che dopo aver giocato con Ayumi saresti andato dal professore e per di più avresti pranzato là! Ti rendi conto quanto mi hai fatto preoccupare?!»
«Pranzato dal professore?» ripeté Takeshi. Un momento dopo si morse la lingua.
Per sua fortuna, la ragazza non notò la sua sorpresa. «Ho chiamato a casa di Ayumi e mi hanno detto che te n’eri andato, poi ho telefonato al professore, che mi ha detto che eri là e che ti saresti fermato a mangiare» spiegò severamente, le mani sui fianchi.
Conan annuì. Ai doveva aver raccontato tutto al professore, e questi era giunto alla conclusione che lui aveva bisogno di un po’ di tempo per sfogarsi e ragionare. Quindi aveva detto a Ran che si sarebbe fermato a mangiare da lui, in modo da dargli un po’ di tempo.
Nonostante avesse saltato il pranzo, non aveva fame.
Il pomeriggio piovve. Le gocce batterono con insistenza sulle finestre serrate, poi, pian piano, si fecero meno insistenti e frequenti, finché il temporale non si fece meno convinto. All’ora di cena non pioveva più, ma l’asfalto bagnato e ingombro di pozzanghere ricordava ai passanti la pioggia appena caduta.
Conan mangiò malvolentieri, sforzandosi in modo tremendo per poter fingere di essere il bambino entusiasta che aveva recitato per tutto il tempo.
Andò a letto presto, troppo presto, ma non riusciva a chiudere occhio. Fissava assorto il soffitto, ascoltando le voci provenienti dalla televisione che Kogoro guardava. Poi, un altro suono si unì a quel vociare. Si alzò, in ascolto. Era secco, insistente.
Che avesse riniziato a piovere? No. Era diverso.
Quando capì di cosa si trattava, saltò giù dal letto e corse a spalancare la finestra. Sporse subito fuori il viso, e l’ennesimo sassolino destinato ai vetri gli colpì la nuca.
«Haibara?!» esclamò, incredulo, quando riconobbe la ragazzina. Si massaggiò distrattamente la testa, basito. Ai che tirava sassi alla sua finestra?! Era assurdo. «Sei... sei proprio tu?!» domandò, sbigottito.
Lei sospirò, chiaramente seccata dalla domanda. «Immagino sia un quesito più che legittimo, dal momento che hai appena scoperto di essere il fratello gemello di colui che credevi di essere, ma penso anche che sia una perdita di tempo. Trova una scusa per farmi entrare, così possiamo discutere in pace». Meditò un istante. «Sempre che tu non voglia sentirti urlare ciò che ho da dirti...»
Bene, ora la riconosceva un po’ meglio. Stessa ironia, se non altro. Stesso senso pratico.
Ritirò la testa ed indossò in tutta fretta una felpa e dei pantaloni, quindi uscì dalla propria stanza, con foga. «Ran!» esclamò. «Ai è venuta a portarmi un gioco che avevo scordato dal professore. Può salire, vero?»
La ragazza annuì, dopo aver scoccato un’occhiataccia nella direzione in cui suo padre faceva gli occhi languidi ad un’attrice sullo schermo. «Se vuoi può restare un po’» aggiunse, prima di dirigersi verso Kogoro con un’espressione che prometteva guai.
Conan schizzò via, pensando distrattamente “Povero vecchio”.
Andò ad aprire ad Ai, quindi loro due entrarono nella stanza dove dormiva Conan. Il ragazzino si sentiva a disagio, ma quando lei alzò gli occhi capì con sollievo che non intendeva parlare del bacio.
«Sei sconvolto?»
Takeshi trattenne a malapena un sorriso, nonostante la situazione. Schietta la ragazza.
Abbassò lo sguardo e lo rialzò, pensando alla domanda. «Non so» rispose infine, scrollando le spalle. Gli tornarono in mente le parole su quel documento, quelle parole che decretavano la sua morte, nere e definitive sul foglio bianco. Deglutì. «Forse un po’...» ammise. «Non riesco a capire come io possa essere qua. Se sono Takeshi Kudo... E io sento di esserlo, dovrei essere morto...»
Ai scosse la testa. «Veramente è elementare» obbiettò, guardandolo. Lui ricambiò lo sguardo, stupito e, allo stesso tempo, speranzoso. «Non è detto che Takeshi Kudo sia morto» continuò la ragazzina, sottolineando il nome e il cognome. «Quel che sappiamo è che i dottori pensano che sia morto. Per me è così. Cosa credevi, di essere una specie di cadavere riesumato?» concluse, azzardando una battuta per alleggerire l’atmosfera.
Takeshi rise, sollevato. Non aveva pensato direttamente quel che Ai aveva espresso come una frase ironica, ma c’era andato pericolosamente vicino. Si rese conto che una parte di lui, più che concentrarsi e chiedersi se temeva di essere qualcosa di innaturale, si era domandato se Ai l’avrebbe visto in quel modo.
Ma, finalmente, sapeva che non era così, e non poté evitare di tirare un sospiro di sollievo.




Spazio Autrice:
Aaaaaaaah! Sono terrorizzata. Da adesso in poi non ho più capitoli da restaurare. Dovrò mettermi a scrivere con un impegno mooolto serio. Da ora ci saranno solo capitoli assolutamente inediti, spero non deludano.
Mi scuso per il ritardo, ma a scuola sono già iniziate le interrogazioni. Oltretutto ho un orario definitivo a dir poco schifoso. Latino è sempre alle ultime ore. Come si fa ad avere latino alla quinta e alla sesta ora senza morirne?! E poi storia e scienze sono sempre insieme. E, ovviamente, si è interrogati, su quelle due materie.
Va be’.

Kessi: Sono felice che tu abbia apprezzato questa mia idea pazza. Come vedi, la faccenda della morte dopo il parto si spiega – almeno in parte. Parto... parte... Be’, il gioco di parole non è stato intenzionale xD Mi hai dato una bella soddisfazione scrivendo di aver apprezzato la parte finale con quei due^^ Grazie mille.

Sherry: Ciao, sono felice che ti piaccia questa storia. Dato che per scrivere il finale dello scorso capitolo avevo un po’ tentennato – a suo tempo – sono contenta che ti sia piaciuta la reazione di Ai. Penso non sarebbe stato da lei, nonostante Conan le piaccia, accettare quel bacio, soprattutto considerato che aveva scoperto da poco che in realtà il ragazzino era una persona del tutto diversa. Spero di non essere peggiorata con questo capitolo – e mi scuso per il ritardo.

TITTIVALECHAN91: Per continuare ho continuato... In quanto al presto, purtroppo non ci metterei la mano sul fuoco. Spero nel frattempo di non averti messo troppa voglia di mangiarti le mani o di venire a prendermi a calci.

Licia Troisi: Be’, sono felice che apprezzi il nome Takeshi... Credo mi sia balenato in mente mentre leggevo un qualcosa su un certo doppiatore originale di non ricordo quale anime... (sono stata chiarissima, vero? xD). Però, ovviamente hai ragione, il nome Conan non può assolutamente essere battuto... Che questo sia un bene o un male, direi che è difficile da capire...

Charliotta: Grazie per il complimento^^ In quanto ad Ai, per come la vedo io è ancora un po’ confusa, perché – come sappiamo – le piace Conan, ma la notizia che lui è tutta un’altra persona la spiazza un po’, nonostante di certo non lo ammetterebbe mai (...o sì?). Ma non ti preoccupare, il rapporto tra lei e Conan/Takeshi avrà modo di essere esplorato a fondo.

Roe: Non preoccuparti. La storia, per continuare, continuerà, anche se forse a volte a rilento (ma perché, dico io, devo andare a scuola?! Perché?! Scusa, sto impazzendo). Ti ringrazio per i complimenti. Non preoccuparti se non sempre riesci a commentare, io sono la prima che a problemi nel recensire in modo costante. Ci si sente.

Kuchiki_girl: Hai ragione, scusa. Non ti ho certo lasciata nel momento migliore >_> Io, per evitare che accadano di nuovo queste cose, proporrei di vietare la scuola, ma non so quanti mi darebbero retta (nessuno). Okay, dopo questa frase probabilmente indice della mia pazzia, cercherò di rispondere meglio alla tua recensione. Dunque: wow. Devo ammettere che non avevo mai considerato “geniale” la mia mente. Di solito la definisco “malata” “matta” “pazza”, o con aggettivi simili. Però, wow, mi ha fatto piacere che tu la consideri tale ^///^ xD Prometto che cercherò di aggiornare in meno tempo la prossima volta. Baci^^

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