NaClO

di Fedora
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Initium atque nex. ***
Capitolo 2: *** Simulatio atque corpus ***
Capitolo 3: *** Xenia atque Roma ***
Capitolo 4: *** Matris filaeque solitudo ***
Capitolo 5: *** memories in the rain ***
Capitolo 6: *** Amicitia atque oblivio ***
Capitolo 7: *** Italicus acetus ***
Capitolo 8: *** Neces atque terminus ***



Capitolo 1
*** Initium atque nex. ***


A Victoria e Dalia
senza le quali ne' le ore di matematica
ne' Elizabeth sarebbero le stesse.
Grazie.



John sentiva che quel giorno non era come tutti gli altri.
Si vantava con gli amici al bar di essere un sensitivo, uno che vede i fantasmi, uno che non teme nulla.Veniva spesso assecondato, anche se tutti sapevano che era coraggioso quanto un gatto che si guardava allo specchio per la prima volta. E quel giorno si sentiva proprio cosi'.
Le nuvole formavano una cappa asfissiante, quasi come se ci fosse stato un incendio e, nonostante le previsioni annunciavano allegramente il bel tempo, si sentivano in lontananza tuoni.
BRRRRRM!
John fece un salto di venti centimetri, facendo cadere le buste della spesa e disperdendone il contenuto per tutto il viale. Una vecchietta di passaggio lo osservava con un misto di tenerezza e compassione mentre lo aiutava a mettere dentro le buste di carta  il resto della spesa. Nel quartiere lo conoscevano tutti. Il signor Bottomley lo considerava uno sfaticato e un perdigiorno, la vedova Calamy lo trattava sempre con gentilezza anche se lo disprezzava molto, il signore e la signora Gresham lo guardavano con sospetto e circospezione,tuttavia essi non dimostravano il loro disprezzo vistosamente, al contrario del signor Hutton. Quest'ultimo non sopportava proprio la sua presenza nel quartiere, ritenendola "inquinante e degradante" per il pacifico viale Chesapeake, dove John stava finendo di raccogliere le bottiglie esplose di acqua gassata, mentre osservava ansiosamente la casa di fronte. Li' si trovava la sua dolce Cora, la ragazza di cui era innamorato e per la quale era solamente un amico, ma anche il signor Hutton.
Per lui era un avaro, meschino uomo d'affari, troppo impegnato a far quadrare i conti piuttosto che dare attenzioni alla figlia ormai adolescente. Anche se Cora dava l'apparenza di una ragazza "tosta" e forte, in grado di spezzarti un braccio solo per un semplice accenno alla sua insolita collana di opali o al suo abbigliamento tendente al gothic, era in realta' una ragazza fragile e per certi versi debole. Solo con il suo amico John riusciva ad aprirsi del tutto. Lui era il suo faro e il suo punto di riferimento, checche' ne dicesse il padre.
John mormarava un grazie alla vecchietta, mentre lei annuiva di rimando. John era parecchio imbarazzato e dalle tende bianche poteva intravedere la nuca pelata del signor Hutton e da un'altra casa la signora Bottomley che innaffiava con troppa acqua i tulipani sulla sua veranda. Odiava essere osservato.
Procedette verso il viale e controllo' l'ora. Erano le 19:30. Avrebbe dovuto sbrigarsi o avrebbe perso l'appuntamento. Percorse velocemente il viale, inciampando tre volte nei lacci e nelle crepe, finche' non giunse a casa. Apri' la porta e mormoro' " Ciao...!". Nessuna risposta. Sua madre Eleanor sara' uscita con qualche altro potenziale "padre"...

Usci' di casa verso le 20:00 e si diresse verso casa Hutton. Suono' il campanello una debole prima volta e fu accolto subito dal dolce sorriso di Cora.
" Ciao John! Sei in anticipo! Non ti avevo detto alle 20:15?"
Si senti' esclamare dalla cucina:"Un uomo non in orario non e' un vero uomo!!"
"Zitto papa'!" Cora era l'unica che poteva trattare piuttosto male il padre. Quest'ultimo si scioglieva come burro sul fuoco quando la sua piccola bambina veniva da lui e si pentiva sempre di non dare lei le attenzioni che meritava. Nonostante cio' con gli altri era scorbutico e duro come il ghiaccio, era odiato perfino da sua moglie, che continuava a stare con lui per motivi economici, mentre all'amore ci pensava l'affascinante insegnante di scherma ogni weekend.
Il signor Hutton mugugnava qualcosa mentre si avvicinava ai due ragazzi, ma non disse nulla in presenza di sua figlia. Appena lei ando' in camera con un "Arrivo subito! Aspetta che finisca di prepararmi!", suo padre comincio' a borbottare piu' forte sul sospetto (ed inesistente) odore di John fino a dire ad alta voce: "Secondo me chi puzza cosi'... Deve essere per forza un alcolista! Beve tanto e non conclude niente!" La moglie lo senti' e, rivolgendo gli occhi al cielo, bevve tutto in un sorso il whiskey che aveva nel bicchiere. Lo odiava. Uh quanto odiava quell'uomo. Aveva distrutto i suoi sogni per il futuro quando aveva vent'anni, dandole quella figlia viziata e superficiale, e adesso che ne aveva quarantacinque di anni voleva fargliela pagare. Si servi' un altro bicchiere abbondante e, ridendo senza farsi vedere, pensava a quanto fosse idiota il marito, che in venticinque anni di matrimonio non aveva mai capito che l'unica alcolista era lei. Cora scese dalle scale con uno strano vestito piuttosto lungo per i suoi standard con uno scialle di lana nera che le copriva le spalle bianche. John adorava quel suo candore che risaltava sui suoi vestiti neri abituali, i capelli rossi e profumati che ondeggiavano appena lei si muoveva, quel suo corpo sottile ed esile che nascondeva una forza piuttosto insolita in una ragazza.
"Scusa se ti ho fatto aspettare. Ero indecisa su cosa mettermi." La signora Hutton sbuffo' e bevve ancora.
"Ciao! Io torno verso le 2:30... Non aspettatemi."
"Non sara' un po' troppo tardi coniglietto?" disse il signor Hutton;
Cora ci penso' un po' su e disse: "Nah... e poi la scuola e' finita no? Voglio festeggiare!"
"Va bene ma non tornare troppo tardi"
-E che lo dici a fare?- Fay Hutton sbuffo' troppo.
Tony Hutton la senti' e disse: "Qualcosa non va tesoro?"
"Oh no...niente!" e, sorseggiando il whiskey, guardava sottecchi il marito. Il signor Hutton sussurro' alla figlia:"La mamma ultimamente non la vedo molto in forma..." Fay a stento tratteneva le risate e fini' di bere.
"Uhm... Ok... Allora ciao papa'..." e gli diede un bacio sulla guancia. "Ciao mamma!" La signora Hutton grugni un semplice "humpf", mentre John augurava buona sera e salutava. Uscirono e si diressero verso il viale.
"Secondo me mamma odia papa'..." disse Cora ad un certo punto, sovrappensiero.
John la guardo' con occhi sbarrati: "D...Dici sul serio?"
"Mah...non so... me lo sento."
"Non... non dire sciocchezze!" e inizio' a solleticarle la pancia. Ridendo, si avviarono verso la citta' illuminata dalle luci della sera. John sentiva ancora quella brutta sensazione di prima. E non aveva tutti i torti.

Cora apri' la porta di casa lentamente. Si libero' dai coriandoli della festa e snebbio' la mente dall'alcool. Erano le 3:40.
-Ho fatto tardi...Cavolo!-
Entro' e si tolse le scarpe.Anche se erano quasi le quattro del mattino, era troppo tranquillo. Non sentiva il padre che russava, ne' la madre che si girava e si rigirava nel letto. Era tutto troppo silenzioso. Ma non ci fece tanto caso. Ando' in bagno e si lavo' i denti per eliminare l'acido sapore della birra e soprattutto l'odore. Si svesti' ed entro' nel suo piccolo angolo di paradiso. Indosso' la delicata sottoveste di seta rosa pallido che lei usava come pigiama ed entro' nel letto, addormentandosi. Alle 5:30 si sveglio'.
Aveva voglia di latte.
Percorse il lungo corridoio fino al pianerottolo, scese le scale e giro' macchinamente a sinistra verso la cucina. Entro' ma non accese la luce. Nonostante fosse un mattino di giugno, era buio pesto e Cora inciampo' in qualcosa di morbido. Ma pensando che fosse il gatto Pat, lo ignoro'. Apri' il frigo e la debole luce illumino' un foglio attaccato ad un magnete sul frigo. Cora lo prese e lo lesse alla luce del frigo.


Il telefono squillava ininterrottamente, svegliando Elizabeth.
 Il venerdi' era sacro per lei. Era il suo giorno libero che diamine! E la chiamavano alle 7:30 del  mattino.
Si divincolo' dalle coperte e rispose con un pigro: "Elizabeth Atkinson. Chi parla?"
La voce squillante di Victoria la fece sobbalzare. "E' mezz'ora che sto cercando di chiamarti!! Abbi almeno la decenza di rispondere!"  
"Stavo dormendo" Fece un sonoro sbadiglio. "E poi non ho forse risposto?"
"Si quando sono rimasta per secoli ad ascoltare tutu"
"Bando alle ciance." Si era ripresa completamente. "Che vuoi?"
"C'e' stato un suicidio in Cesapeake Avenue"
Elizabeth trattenne a stento le risate. "Cesapeake?!?!"
La voce di Victoria si fece offesa ed esclamo': " Mica l'ho dato io il nome?!? Muoviti a venire prima che Dalia e la sua squadra levino tutto e tu non puoi vedere con i tuoi occhi quello che ti piace tanto."
"I cadaveri?"
"Esattamente"
"Arrivo"
"Subito!!"
"...Va beeeeeene..." e abbasso' la cornetta.
Era da un po' che non si lavorava su un caso interessante e Elizabeth non vedeva l'ora di vedere questo come era.
Arrivo' 40 minuti dopo. Victoria la guardava furiosa.
"Non fare tanto la pignola... alla fine sono arriva...a...aa...ta" disse sbadigliando.
"Io ti odio."
"Per questo non siamo migliori amiche ma migliori nemiche non credi?"
Sulla bocca di Victoria baleno' un mezzo sorriso, ma si riprese subito. "Vai a vedere subito!"
Elizabeth si diresse dentro la casa. Omini in tuta bianca giravano per casa, mentre una ragazza dai capelli rossi con occhi gonfi di pianto abbracciava un gatto, mentre un ragazzo biondo e piuttosto alto la consolava. I due erano sul divano, mentre su una poltrona era seduta una signora sulla quarantina, piuttosto altezzosa e piuttosto brilla che osservava con circospezione la ragazza e gli omini bianchi. Elizabeth oltrepasso' la scena e ando' in cucina. Li' una ragazza con un fermaglio verde a forma di farfalla e in tuta bianca faceva le foto al cadavere.
-Un uomo grasso...bleah... sulla cinquantina... come tutti ha la capoccia pelata e un coltello ficcato... ah che noia- E sbuffo'.
Dalia la senti' ed esclamo' "Ehi ciao! Era molto in forma eh?"
"Gia'..."  
"Allora?" chiese Elizabeth.
"Maschio..."
"Questo lo vedo"
"52 anni..."
-Urra' ci ho azzeccato-
" Di nome Tony Hutton. Anche se lavorava ancora, era come se fosse stato in  pensione dato che lavorava solo due giorni la settimana. Una vita molto sedentaria e fatta di cibi non molto sani si faceva consegnare il pasto da un fast food..."
"E tu dagli una dieta...no?"
"Ah-ha" replico' sarcastica Dalia."Glielo consegnava un certo Peter Andrew..." Si fermo' e poi disse "Il problema comunque e' scoprire come e' morto"
"Con una coltellata no?"
"Eh gia' perche' da oggi se ti fanno un taglio superficiale al braccio muori nel giro di 2 minuti... no e' morto per qualcos'altro ma a me sembra in salute... Dovra' vedere Vic con l'autopsia... speriamo che scopra qualcosa..."
"Mah... i suicidi ne sanno una piu' del diavolo quando si tratta di morire"
"Elizabeth! Non dovresti dire certe cose!" esclamo' scandalizzata Dalia.
"Dopo una vita fatta di cadaveri ci fai l'abitudine e non ci pensi piu' che sono morti... Pensi che sono ancora vivi..."
Si diresse verso il salotto lasciando Dalia tra i suoi pensieri. Adesso la ragazza con i capelli rossi stava accoccolata con la testa appoggiata sulle gambe del ragazzo. La signora invece aveva lo stesso sguardo di prima. Una folla di curiosi si era affollata davanti i nastri gialli della polizia mentre qualche agente li respingeva con il solito: "Non c'e' niente da vedere gente!"
-Non e' vero...Bisogna vedere tante cose...questa famiglia...questa casa...questi vicini... Non mi piacciono per niente.... C'e' qualcosa di strano...-


Woah... ci ho messo 4 ore per scrivere questo capitolo... e non e' niente di eccezionale! E' un capitolo di introduzione piu' che la vera storia quindi andrebbe letto con attenzione... ho lasciato trapelare troppe cose secondo me pero'. Accidenti! Grazie in anticipo per i buoni commenti e le buone recensioni. A morte chi mi giudica male!!! (Scherzo...oppure no?)

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Capitolo 2
*** Simulatio atque corpus ***


"Sappi cogliere l'oppportunita' "
L'avessi saputo prima...


< Ding Dong >
"Arrivo!"
La signora Calamy apri' la porta molto lentamente e per poco non moriva di infarto.
Quello che si ritrovo' davanti era una donna molto alta vista dai suoi modesti  e scarsi 160 cm, con un cappotto rosso e una folta chioma di capelli castani frustata dal vento estivo.
"Posso entrare? Le vorrei fare qualche domanda." disse con voce dolce.
"Oh..." La vedova si riscosse dallo sbigottimento precedente e l'accolse con un: "Certo si accomodi!"
Le fece strada fino al salotto, dove un labrador si stiracchiava sul tappeto. Quando Elizabeth poso' gli occhi sul cane, la vedove le spiego' che avere un gatto al posto di un cane "faceva un po' troppo vecchia rimbambita", per dirla con le sue parole. Elizabeth si sedette su una morbida poltrona di raso rosa, guardando la vedova con occhi spalancati dallo stupore.
"Le piace?" disse indicando la poltrona: " I rivestimenti li faccio tutti io. Sono una donna sola... devo trovare qualcosa da fare oltre a Newton."
"Newton?" Elizabeth stava cercando di convincersi che quella donna fosse con tutte le rotelle a posto.
"Si, ha capito bene." Sul volto di Elizabeth si dipinse un'espressione di disappunto, ma a quanto pare la donna non se ne accorse, perche' continuo': " L'ho chiamato come lo scienziato... dopotutto anche io lo sono" Fece un sorrisetto complice e una strizzatina d'occhio: " E' il mio piccolo tributo per lui."
Lo stupore di Elizabeth questa volta non passo' inosservato.
"Tutto bene cara?"
"Oh si... Alla perfezione!" si sbrigo' a rispondere lei.
La donna la guardo' con sospetto. Forse anche lei cercava di convincersi che andava tutto bene in Elizabeth. Quest'ultima stava cominciando a spazientirsi. Andare in giro a fare domande non era il suo forte, se poi si aggiungeva quel quartiere e quel caso senza soluzione apparente era veramante dura mantenere l'auto controllo. Soprattutto il quartiere era la goccia che faceva trabboccare il vaso. La periferia e in particolare Chesapeake Avenue era un agglomerato di villette abitate da rispettabili cittadini nella finzione, nella realta' era un agglomerato di pettegolezzi e falsita' che si spacciavano per innocenti chiacchiere tra vicine. Elizabeth non avrebbe mai voluto desiderare di abitare in un luogo del genere.
Mentre rimuginava su queste cose, la vedova  aveva abbandonato ogni remore su di lei e aveva iniziato a cincischiare su qualche pettegolezzo fresco della mattinata. Nonostante il suo gia' menzionato disappunto, Elizabeth continuava a sorridere in modo cordiale e molto raro in lei.
"...e cosi' ho detto a Marie..."
"Scusi...?"
"... e quindi lei mi disse che...."
"Ma lei conosceva il signor Hutton?"
"... Eleanor era una poco di b...  Come cara?" disse la vecchia stizzita per l'interruzione e leggermente turbata.
Elizabeth avverti' il suo turbamento e se avesse continuato a buttare domande come se niente fosse non avrebbe ottenuto niente. Tuttavia se voleva sapere qualcosa, non poteva farsi fermare da una vedova rincitrullita. Era tutta la mattinata e buana parte del primo pomeriggio che era andata di casa in casa a fare domande. Tutti non le avevano detto nulla di particolare, ma prima che gli dicessero una piccola informazione avevano parlato per ore e adesso la pazienza di Elizabeth era giunta al limite.
"Signora Calamy lei conosceva la vittima?"
"Altroche'! Eravamo vicini di casa come non l'avrei potuto conoscere?" Le brillarono gli occhi: " Che persona squisita che era! Era un po' austero e diffidente ma amava la sua famiglia ed era benevolo con tutti."
"Lo conosceva bene?"
"Oh bene quanto si conoscono due vicini di casa."
-Risposta ambigua...- penso' Elizabeth. Non era il caso di andare oltre soprattutto perche' i vicini che aveva incontrato erano tutti d'accordo sul fatto che Hutton non era per niente "benevolo" o "amante della famiglia". -Qui qualcosa puzza.-
"Quindi vi vedevate spesso?"
"Uhm non so... se vedersi ogni mattina per qualche minuto era spesso allora si."
Elizabeth si fermo' a pensare ma i suoi pensieri furono interrotti dalla vocetta squillante della vedova: "Del te'?" Elizabeth sobbalzo'. Si accorse della tazza di te' quando stava quasi per versarselo addosso, mentre la vedova le porgeva la tazza.
"Un' ultima domanda..."
"Certo cara."
"Quando e' morto suo marito?" la guardava intensamente. La vedova distolse lo sguardo e rispose:
"Piu' o meno dieci anni fa... un anno dopo che Tony e famiglia si trasferirono in questo quartiere."
-Ottimo.- "Uhm... grazie per il te' era delizioso."
"Prego...Vuole dei pasticcini?" disse frettolosamente la vedova porgendole un vassoio pieno di muffin con la glassa identica al colore delle poltrone.
"No, grazie. Ho pranzato da poco."
La vedova la accompagno' alla porta. "Non esitare a tornare! Devi assaggiare i miei pasticcini!" Una piccola nota di isteria coloro' la frase. Elizabeth la avverti' ma non ne diede segno, borbottando un "Arrivederla." mentre si avventurava nel ventoso ed insolitamente gelido pomeriggio estivo.

"Vic!"
Diede un altro calcio alla porta. L'aveva chiamata mentre stava in Chesapeake, immersa nei suoi pensieri, di fretta e furia e le aveva detto di andare al suo obitorio immediatamente. E cosi' si era precipitata inutilmente davanti alla porta di un deposito di cadaveri senza un anima viva ad aprirle la porta.
"VIC!"
Pigio' piu' volte il campanello e mando' una scarica di pugni sulla porta.
Nessuna risposta.
Penso' ad un mucchio di cose contemporaneamente ma una era peggio dell'altra e percio' busso' di nuovo alla porta.
"Vic! Vic!"
Una voce da dietro disse: "Hey! Cos'e' tutto 'sto baccano?!? Elly?"
"Vic!"
"Non fare casino che ci sono i vicini e i ragazzi che dormono!"
Elizabeth sospiro' di sollievo. Si vergogno' di aver pensato quelle cose e una leggera sfumatura rossa le coloro' le guance.
"Quando la smetterai di pensarmi morta tutte le volte che esco e rientro tardi?"
"Maledetta..." digrigno' i denti.
Victoria rise: "Mai quanto te..." Aveva mani e braccia piene di buste e indossava una camicia con le maniche corte a sbuffo e una gonna a tubino viola, perfettamente cordinata con le scarpe e gli orecchini in tinta.
"Ma come ti sei vestita oggi?! Sembri uscita da "Ritorno al futuro"..."
"Mi sono convertita allo stile vintage... sembri sconcertata." rise ancora mentre apriva la porta.
"Nah... e' solo un po' diverso dal solito completo da rave party tutto qua."
"Uh come sei spiritosa!" ed apri' la porta.
Davanti a loro c'era un atrio che molto spesso ospitava molti poliziotti e qualche sporadico parente. Era tutto bianco crema con la moquette rossa e le poltroncine dello stesso colore. L'unica porta che c'era era parallela alla porta di ingresso e si mimetizzava con il muro. Al lato destro vi erano delle scale a chiocciola anch'esse bianco crema.
"Ma cosa sono tutte queste buste?"
"Acquisti busta paga!" e si avvio' verso le scale.
L'edificio dava l'impressione sul davanti di una piccola villetta monofamiliare a due piani, ma in realta' sul retro era molto piu' grande. Il piano terra era stato ingrandito per necessita' di spazio, mentre il piano superiore era la casa di Victoria.
"E chi sono i ragazzi?" urlo' Elizabeth.
"Non urlare!" Victoria scese le scale. "I miei pazienti cadaveri."
"Uh... allora meglio non fare troppo casino..."
Si diressero verso la porta bianca e un lungo corridoio dalle pareti verde salvia illuminate da lampade al neon sul soffitto e dalle molte porte di freddo acciaio si apri' davanti a loro.
"Hai scelto davvero un brutto colore per queste pareti..." commento' Elizabeth.
"Uhm... stavo pensando di cambiarlo ma non ho tempo. Ultimamente arriva troppo lavoro e poi non so davvero di che colore farle, ho scarsa fantasia."
Entrarono nella seconda porta di sinistra. La lunghezza del corridoio dava l'impressione che la villetta si fosse dilatata come se fosse una casa delle favole.
La stanza in cui entrarono era dello stesso colore dell'atrio. Sulla sinistra vi erano tre file da quattro cassetti ciascuna contenenti molto probabilmente cadaveri. Su un cassetto semi aperto vi era l'etichetta "T.H.". Quest'ultimo scrutava le due con occhi vuoti su un letto di acciaio, mentre dietro il vento che penetrava dalla finestra faceva muovere le tendine color crema a fiori rosa. Vicino alla lastra di acciaio vi era un tavolo a rotelle con vari attrezzi del mestiere e... una Hello Kitty di peluche?!?
Prima che Elizabeth potesse dire qualsiasi cosa, Victoria prese il peluche e lo ficco' in un cassetto accanto ad un certo "A.T."
"Che...."
"L'hopresopervederecosacimettevanodentro!!" disse tutto d'un fiato.
"Mi sa che e' parecchio esaurita la ragazza, nevvero?" disse con tono complice facendo l'occhiolino ad Hutton. Non aveva paura dei corpi senza vita ne' aveva quella specie di rispetto scaramantico che si deve ai morti. Secondo lei bisognava temere piu' i vivi che i morti, soprattutto perche' sono i vivi  ad ucciderti.
Victoria sbuffo': "Ti odio quando fai cosi'. Comunque... Non sono riuscita a capire se sia morto di arresto cardiaco naturale o gli e' stato provocato dal sangue che ha perso. Le ferite che riporta sono piuttosto profonde ma non al punto da morire dissanguato. Il suicidio e' escluso, checche' ne dica la lattera trovata dalla figlia sul frigo. Sono restia a pensare che abbia ingerito o che gli abbiano fatto ingerire qualcosa, dato che le uniche cose che vi sono nello stomaco sono la cena e nel sangue non ho trovato niente. Ma forse Dalia riuscira' a trovare qualcosa, semmai anche sapere perche' aveva quel coltello in mano tanto per dirne una."
"Non puo' essere che sia morto per cause naturali?" disse Elizabeth facendo cenno al pallone aerostatico che era la pancia di Hutton.
"No... Sapevo che andava in palestra..."
"Oh-ho!" disse strizzando l'occhio al cadavere.
"Dacci un taglio. Stavo dicendo... andava in palestra e percorreva il viale i corsa anche una quarantina di volte al giorno."
"Uh-ho"
"Ad ogni modo non mangiava sano e questo fa crollare tutte le mie supposizioni. Si faceva consegnare pranzo e cena a casa da un fast food, mentre la colazione la faceva a casa di una sua vicina, qualcosa Cal..."
"Calamy..."
"Si esatto Calamy! La moglie mi ha detto che non mangiava a casa perche' lei non cucinava bene. Era molto vaga la signora... Hutton intendo.Era piuttosto brilla quando le ho parlato. Ha cincischiato qualcosa su il mio lavoro e sulla mia resonsabilita' di donna di stare in casa, poi si e' messa a parlare del marito senza che io dicessi niente. O si e' scolata una bottiglia per disperazione o tutte le bottiglie per abitudine."
"Alla fine che devo ascoltare e' sempre quella ragazzina, la madre e quel tipo sul divano brutto con la ragazzina."
Elizabeth si diresse verso la porta e canticchio' un saluto a Victoria e a Hutton chiudendo la porta dietro di se'. Victoria scosse la testa. -Non cambiera' mai...-

Percorreva Chesapeake Av. la mattina dopo, barcollando e avvinghiata dalle morse allo stomaco per la fame. Il giorno prima se l'era spassata un po' troppo e aveva deciso di non mangiare poche ore prima per non appesantirsi. Ora era piegata in due mentre era arrivata a fine viale e saliva le scale della casa meno vezzosa di tutto il quartiere.
< Ding Dong >



E anche il secondo capitolo e' finito. Ho voluto usare una ciclicita'. Mi sembrava carino e poi se lo fanno tutti perche' io no?
A dirla tutta il cappotto rosso di Elly e' un trench , ma dato che non so come si scrive (Ho scritto bene?) ho scritto cappotto. Che tra l'altro possiedo e adoro. Elizabeth sta iniziando a somigliarmi sempre di piu'... e io che volevo fosse la mia nemesi! La cosa di "Ritorno al futuro" mi e' venuta in un attimo di pazzia mentre me lo stavo guardando... e perche' mi seccava scrivere "Sembri uscita da una macchina del tempo" : e' scontato, brutto, cattivo, iperusato e banale mentre io sto cercando di essere ...hem...o...hem...ri...hem...gin...hem hem...ale. Avevo intenzione di descrivere il cadavere e quindi il signor Hutton ma mi pareva superfluo descrivere un personaggio che mai si rivedra' e di cui forse si parlera'. Ho preferito aggiungere Hello Kitty, che aggiunge quel tocco... come dire... glam (hahaha) che questo gatto ha la facolta' di aggiungere ad ogni cosa sia abbinato. Come no.
Vic odia questo gatto sboccato (ovvero senza bocca, non volgare) nella realta', ma l'ho voluta prendere in giro facendole amare questo gatto nella mia assurda fan fic che di fan non ha niente (gia' l'ho detto?). Sicuramente Vic lo squarterebbe vivo... se fosse vivo.
A proposito di vivi morti e moribondi. Quello che ho scritto in proposito e' quello che penso e che un po' tutti mi criticano, ma sai che cosa. Dicano cio' che vogliono, io la penso come mi pare. Oddio sembro una di quelle bamboline stilose che dicono a cani e porci "io non sono ma nessuno e' come me".
Se avrete notato la totale assenza di accenti e l'uso un po' troppo sconsiderato di accenti significa non solo che state attenti ma anche che la mia tastiera polacca non ha gli accenti. Mi scuso inoltre per tutti gli accenti tramutati in apostrofi mancati a qualche terza persona singolare del passato remoto. Un minuto di silenzio per questi validi portatori di correttezza grammaticale.
Piccolo extra : Abbigliamento e dintorni.
Elizabeth odia i fronzoli quindi predilige uno stile minimal anche se a volte si lasca andare allo stile harajuku e a quel cappotto rosso che di minimal non ha un bel niente.
Victoria e' ossessionata dagli abbinamenti di colore e ama i vestiti particolari ma non troppo. Dalia invece ama il verde che e' predominante nel suo armadio. Cora sprofonda nel goth-punk e veste spesso di nero. Quando non indossa il nero i colori saranno o rosso sangue o viola tendente al nero. John non bada all'abbigliamento anche se preferisce pantaloni e t-shirt mooolto larghi. La vedova Calamy sembra uscita dal tardo settecento insieme a Newton (lo scienziato non il cane!). Mrs. Hutton indossa tailleur di colori chiari che la fanno sembrare una manager o una hostess. Dipende dai punti di vista. Peter (il tizio delle consegne) indossa molto spesso la divisa del fast food e uno smocking. Chissa' percheeee'? Non ve lo dico altrimanti vi darei un motivo in piu' per non seguire questa mediocre esibizione di ignoranza. Voi provate a scoprirlo e forse non sarete in errore.

Have a nice day. Stay tuned. (Se non vi va... Sayonara!)
 

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Capitolo 3
*** Xenia atque Roma ***


"L'amore arriva quando
meno te lo aspetti.
Ricordalo."
Non era meglio ricordare la mia morte.
Almeno era più' semplice.


John si avvio' ad aprire la porta in preda all'agitazione. Il giorno prima era stato il giorno peggiore della sua vita. Cora era veramente sconvolta e lui non riusciva a capire come mai la signora Hutton, sua madre, potesse essere indifferente a tutto quel che era successo e a cosa stava passando sua figlia. Cora aveva insistito affinché' John restasse con lei anche la sera. Sua madre non disse niente, ma a quanto sembrava la presenza di John non era molto gradita.
Adesso era appena tornato a casa dopo due giorni  dalla morte del signor Hutton e sua madre ancora doveva tornare. Ma soprattutto non l'aveva chiamato. Era molto turbato per questo, ma cerco' di non pensarci troppo su, data l'allarmante frequenza con cui la madre spariva per giorni senza che lui ne sapesse niente. Pensando questo, apri' la porta sperando di vedere Cora che lo supplicava di tornare.
"Salve. Sono Elizabeth Boudelaire. Sei tu John..." diede una rapida occhiata su un foglio logoro e pieno di quelli che sarebbero dovuti essere, secondo John, dei nomi: "John Truman?"
"Si sono io." disse con il tono meno ammaliato possibile. Era una giovane donna, capelli di uno stupendo castano chiaro e arricciati, che incorniciavano un viso rosa e interrogativo pieno di espressione, soprattutto grazie ai suoi occhi da gatta di un verde molto intenso e le sue ciglia lunghissime.
"Potrei entrare? Sono la detective a cui e' stato affidato il caso Hutton e vorrei farle qualche domanda."
John con un sorrisone la fece accomodare dentro mormorando un "ma certo si figuri".
L'interno della casa era di arredamento essenziale tipico degli attici di città' e di certo non di una villetta di periferia. Le pareti, il pavimento e il soffitto erano di un bianco accecante, quasi come se fossero illuminate dall'interno. Appena entrati un arco a sinistra introduceva in un salotto completo di camino spento e di un divano bianchissimo, di fronte al quale un enorme tavolo basso in vetro e acciaio pitturato di bianco, secondo Elizabeth, faceva la sua bella scena. Di fronte alla porta d'ingresso c'erano delle scale di vetro, solidamente sorrette a mezz'aria da elementi di acciaio attaccati al muro. Elizabeth guardava con occhi stupiti quella casa che immaginava molto più' diversa da come se l'era aspettata. Le venne il dubbio che ci fosse qualcun'altro a vivere con lui, dubbio alimentato soprattutto da un attaccapanni ovviamente bianco pieno di cappotti femminili.
Mentre veniva invitata a sedersi sul divano, si fece sfuggire la domanda: "Sei sposato?"
"Uh... ehm... no" rispose John leggermente spiazzato. "Ehm... non ancora..." fraintendendo lo stupore di Elizabeth. " Qui insieme a me vive mia madre." E vedendo quei due occhi incredibili incredibilmente spalancati dallo stupore disse frettolosamente: "Ti offro qualcosa?"
Elizabeth, che nel frattempo faceva di tutto per non contorcersi dai crampi allo stomaco, rispose un delicato: "Si, grazie." E mentre John stava in cucina, esultava pensando al possibile e semplice te' che le sarebbe stato offerto. John mise il bollitore del te' sul fuoco, mentre taglio' due generose fette di torta e si diresse in salotto con il vassoio in mano.
"Il te' e' quasi pronto."
"Oh benissimo." Elizabeth ringrazio un improbabile dio del cibo inventato sul momento per averle fatto trovare un cretino con tanta buona roba nel frigo. Prendendo la torta pero' ringrazio' anche John che commento': "Uh... prego... solo semplice xenia, nulla di più'." Nel dire questo le sue guance si infiammarono a tal punto che nemmeno Elizabeth poteva fingere di non essersene accorta. Per fortuna il fischio del bollitore lo salvo'.
"Bene tutto pronto?" chiese Elizabeth, mentre John portava due tazze di te'.
"Si..." mormoro'.
"So che sei amico di Cora Hutton." ricontrollo' il nome sul foglio. "Ehm... si. Cora."
"Oh si la conosco ormai da quindici anni. Andavamo nello stesso parco. Abbiamo iniziato la nostra amicizia scambiandoci i giocattoli." e ridacchio'.
"Cora non ha diciasette anni? Sapevo che si sono trasferiti qui dieci anni fa più' o meno."
"Si. Si sono trasferiti in questa strada pero'. Prima abitavano sulla parallela, Carnavon Avenue. Proprio qui dietro." e fece un gesto per indicare la strada.
"Se conoscevi Cora sicuramente avrai conosciuto il signor Hutton." disse, appuntandosi mentalmente di non fidarsi mai più' delle vecchie con cani scienziato che fanno rivestimenti rosa alle poltrone.
"Oh..." si agito' per un secondo. Poi riprese a parlare: "Non tanto. Non ho mai avuto occasione di parlargli da vicino . Mi ha sempre trattato con leggero... astio. Ma credo perché' mi ha sempre visto come uno sprovveduto e forse come un' amicizia pericolosa per Cora."
"Invece la moglie di Hutton?"
"Nemmeno. Conosco a malapena il suo nome. Non ha mai voluto parlare con me."
"Invece la signora Calamy?"
"Sta scherzando? Io non ho mai davvero parlato con lei. Ha sempre detto cose orribili su mia madre e sul mio conto. Ma ormai e' acqua passata."
"Che genere di cose?"
"Per un periodo di tempo mi ha fatto credere che mia madre fosse... lei capisce no?" e la guardo' in modo interrogativo.
"Oh si. Si." rispose un po' spiazzata Elizabeth.
"Ecco." disse soddisfatto John.
"E suo marito?"
"Mai sentito nemmeno nominare. So che e' morto una decina di anni fa, ricordo che partecipai ad un funerale in quel periodo, ma... ad essere sincero solo ultimamente ho scoperto che fosse il suo quel funerale."
"Quindi non conosci quasi nessuno in questo quartiere."
"Beh... mi ha nominato le persone a cui non sono mai piaciuto, tranne Cora ovvio. Pero' e' vero non conosco molte persone, sono molto distratto e poco attento a cordialità' e formalità'. Non amano questi due difetti nelle persone."
"Tua madre invece?"
"Nemmeno, ha come sua fonte di informazioni il suo fratellastro. Lui e' quello che qui definiscono la persona perfetta."
"Come si chiama?"
"Oh... Edward." disse John parecchio confuso.
"No. Dicevo tua madre." disse Elizabeth che aveva solo ascoltato la prima parte della frase.
"Oh... scusami" ridacchio e rispose: "Eleanor."
"E che lavoro fa?"
"E' chirurgo plastico. E' anche cardiochirurgo, ma giudica la chirurgia plastica più' divertente."
"Wow..." Elizabeth immaginava i figli dei dottori molto sicuri di se'. A quanto pare non aveva sottoposto il suo pregiudizio alla realtà'.
"Volevi fare qualche domanda anche a lei? Potresti venire quando vuoi ma non so se la trovi. Di solito torna nei weekend ma non so perché' non sia tornata oggi."
"Non sai come la potrei contattare?"
"Entrambi i suoi cellulari sono irragiungibili e allo studio non rispondono. Semmai ti potrei chiamare io appena viene."
-Ah ha... Che becero espediente per avere il mio cellulare. Vuoi fare colpo, piccolo pervertito.- penso' Elizabeth. "Oh beh non saprei... Dovrei ritornare comunque da queste parti per qualche tempo quindi non  importa." -Beccati questo.-
"Forse ritorna domani. Comunque se vieni mercoledì' la troverai sicuramente."
"Uhm..." disse Elizabeth con falsa indecisione. "Ci penserò'." E finendo la torta, si alzo' per andarsene mentre John l'accompagnava.
"Grazie di tutto. Torta & co." ringrazio' Elizabeth e quel grazie non era uguale a quello rivolto alla vedova il giorno precedente. Era stata sincera per la prima volta da quando aveva messo piede in quel maledetto quartiere. Tuttavia manco' di dirgli che parlare con un tizio dalle guance rosse dall'imbarazzo che ti guarda manco fossi una diva non era molto piacevole. Per lei. "Ad ogni modo mi piace molto la tua casa. Ci abiterei se potessi." disse maliziosamente Elizabeth.
John stava per dichiararle tutto il suo amore per lei e dato che c'era voleva chiederle di sposarlo, ma per fortuna per lui fu abbastanza intelligente da mormorare un "...grazie..."
"Allora alla prossima. Ciao!!" e scese le scale di corsa. Se fosse rimasta, quel tizio le avrebbe giurato amore eterno.

Come capitava spesso in quel periodo pioveva a dirotto. E questo era insolito dato che a meta' Giugno si aspetta il primo vero sole dell'anno. Correndo sul viale bagnato senza ombrello, Elizabeth si rese conto di aver perso l'ultimo pullman della mattina. Aveva perso un sacco di tempo a casa di quello smidollato e per di più' quella torta le aveva fatto venire più' fame. Non sarebbe riuscita a tornare a casa senza bagnarsi da capo a piedi e quindi opto' per disperazione un pranzo fuori. Per sua fortuna all'inizio del viale vi era un ristorante. E per un colpo di fortuna ancora più' grande era uno dei migliori in città'. Lo trovo' subito, anche se non spiccava di originalità' in mezzo a tutte quelle villette. Tuttavia le porte di vetro dorate e i grandi finestroni attraverso cui si vedevano tende rosse e tavoli tradivano il vero ruolo di quell'edificio. Entro' dentro zuppa e si guardo' intorno. Stava bagnando la moquette rossa dell'atrio mentre un maitre da dietro un banco di noce la guardava in modo interrogativo.
"Posso esserle di aiuto?" disse il maitre con rigidità'.
"Si. Vorrei mangiare, se non le spiace." Come risposta era un po' acida ma parve che il maitre non fu affatto colpito. Si avvio' nella sala e entro' in una porta con due battenti. Molto probabilmente la cucina. Ritorno' dopo cinque minuti dicendo: "Mi segua."
Lo segui' fino ad un tavolo vicino la finestra.  
"Oh che posto privilegiato!" disse senza controllarsi. Stava dando i numeri e il maitre se ne era accorto.
"Scusi si sente bene?" chiese impassibile.
"Si alla perfezione.Signor..." guardo' la targhetta del nome. "Signor Andrew...?" Le venne un deja-vu: aveva già' sentito quel nome. Prese il foglio dei nomi e controllo'. "Lei quindi e' Peter Andrew?"
"Si. E' successo qualcosa?"
"No, niente." e si lascio' cadere sulla sedia senza aspettare che Mr. maitre dell'anno la facesse accomodare.
"Allora..." disse cacciando dal nulla un taccuino completo di penna. "Cosa le porto?"
"Uhm..." diede una rapida occhiata al menu', invece di sviscerarlo come era suo solito. Aveva troppa fame. "Uhm... prendero' gli asparagi e il carpaccio di tonno grazie."
"Qualcos'altro?" domando' il maitre.
"No nient'altro." Era ora di sfoderare le sue armi di donna. "Adesso che ci penso... le andrebbe di farmi compagnia? Dopotutto e' un po' presto per le coppiette di fidanzatini."
Peter si guardo' con circospezione. "Ma si... Dopotutto e' cosi' noioso parlare con la mia chef."


Erano le 3:00. E quasi un minuto. La pioggia del giorno prima non aveva smesso di cadere e Elizabeth la sentiva oltre i vetri. Ma il suono che ascoltava con molta più' attenzione era il respiro di Edward accanto a lei.
"Dio quanto sei..." sussurro' lasciando la frase incompleta, mentre gli accarezzava i capelli dorati sparsi sul cuscino bianco. Era incantata e lo osservava come se fosse stato una creatura vista per la prima volta solo da lei, mentre il suo petto si alzava e si abbassava, si alzava e si abbassava in un movimento che la ipnotizzava.
Alla fine, parlando davanti carpaccio, asparagi e molte, forse troppe, bottiglie di vino, Elizabeth aveva scoperto che il nome Peter Andrew del ragazzo delle consegne era uno pseudonimo. Il suo nome era Edward Leeford e, a quanto le diceva, si era rifugiato con questo falso nome dai riccastri dell'alta società' tanto cari a suo padre. Ma soprattutto non era quello spocchioso, antipatico e rigido maitre che le era parso. Anzi era tutto l'opposto: un' Elizabeth Boudelaire al maschile. E anche se era troppo presto per dirlo (dopotutto erano circa nove ore che si conoscevano), sentiva di aver avuto un colpo di fulmine.
"Certe cose accadono a chi non ci crede." borbotto' Elizabeth.
"Che dici?" Edward apri' gli occhi e la guardo'.
"Allora eri sveglio. Maledetto..."
"Mi stavi osservando come una donna dei telefilm perdutamente innamorata?"
"Si..." rispose Elizabeth leggermente urtata. "Avrei dovuto prevederlo che te ne saresti accorto. Le donne dei telefilm perdutamente innamorate fanno le peggiori figure con i loro amanti. Che puntualmente le colgono in flagrante."
"E' il vostro destino donne dei telefilm perdutamente innamorate." Si rizzo' a sedere. Elizabeth lo guardava con occhi cupi. Edward le accarezzo' la testa e le sussurro' all'orecchio: "A che pensi mia donna perdutamente innamorata?"
"Alla mia sfortuna." disse ridacchiando, mentre lui le faceva il solletico all'orecchio con la lingua. "E comunque non sono una donna perdutamente innamorata."
Si allontano' da lei. "Ah si?" chiese in falso tono irato.
"Già'." Affermo' in tono di sfida. Non era un'esperta in relazioni amorose, quindi affidava tutto al caso.
"Pensa alla mia sfortuna" disse, cogliendo la sfida: "Mi ritrovo nel letto con una ex squarta morti che ho conosciuto nel mio ristorante grazie alla sua faccia tosta e che non mi ama nemmeno."
Gli lancio' in faccia un cuscino. "Ma fammi il piacere!" Giocarono a cuscinate, finché' lei non crollo' esausta sul letto. Era come se si conoscessero da secoli. Lui cadde vicino a lei e si mise a giocare con i suoi ricci.
Era inutile mentire, non pensarci, ignorare... smentire. Si era innamorata di quel maledetto riccastro.
Si avvicino' al suo orecchio, mentre lui la guardava interrogativo, e disse: "Suki desu."
La guardo' per un attimo. Sapeva che non aveva capito se lo sentiva non poteva essere cosi' perfetto per lei.
"Anch'io."

L'aveva capito. Aveva capito cosa gli aveva detto.
Era proprio l'uomo per lei.



Ja-Ja-Jaaaan. Questo e' il mio terzo capitolo. *Pubblico festante applaude.*
Ho impiegato più' tempo per scrivere l'ultima parte che per i tre quarti del resto del capitolo a causa della tastiera, che surriscaldandosi ha invertito i tasti. Quindi ho passato una buona mezz'ora a capire quali fossero i tasti giusti e per memorizzarli. Il resto ve lo lascio immaginare... sigh!
Una delle tante piccole curiosità' e' costituita dal cognome di Elizabeth (per i disattenti Boudelaire). L'ho preso dal libro (o saga per dir si voglia) "Una serie di sfortunati eventi", che lessi quando ero molto piccola e che ho ritrovato qualche giorno fa mentre frugavo chissà' dove alla ricerca di una tastiera. Non l'ho trovata, ma ho capito come funziona il tasto ortografia che mi ha permesso di aggiungere accenti laddove la terza pers. sing. del passato remoto non coincidesse con la prima pers. sing. del presente, ovviamente senza accento, e qualche parola tipo città. *Festeggia alla grande insieme al pubblico.*
La Xenia di cui parla John e' il principio di ospitalità che gli antichi greci dovevano nei confronti della persona che ospitavano in casa propria. Era un legame che si instaurava tra chi ospitava e colui che veniva ospitato e durava per sempre. Piccolo esempio per rendere meglio l'idea: se tu venivi ospitato da Tizio e poi dopo qualche anno il nipote di Tizio ti chiede ospitalità, tu gliela devi. Allo stesso modo Il nipote di Tizio deve l'ospitalità a tuo nipote, pro nipote, pro- pro nipote... in un circolo infinito. Questa cosa mi ha stupito parecchio, soprattutto perché ne venni a conoscenza in un periodo carico di xenofobia.
Come avrete notato, lo pseudonimo sa troppo di finto ed in effetti mi ha lasciato piuttosto insoddisfatta come scusa. Tuttavia lasciare a quel personaggio il nome di Peter mi ricordava troppo Heidi e mi sapeva di squallido. Non che abbia qualcosa contro Heidi, ma... dare a un ragazzo delle consegne un nome di un pecoraro va bene più o meno, ma lasciarlo ad un maitre non mi andava. L'idea di aggiungere un partner per il cuore solitario di Elly e' stata un'idea di Vic... Voleva facessi qualcosa lemon o yaoi, ma sinceramente mi seccava molto inserire sporcellate nella mi fic. Se ne avete voglia potete sempre andare nell'angolo ricerca scegliere il genere "Erotico" e come avvertimento "Yaoi" o "Lemon" e leggete il brano che vi accattiva di più. Insulti e roba varia so che non ce ne staranno dato che questa fic non la legge nessuno, ma se mai ce ne saranno sono sempre i benvenuti. Devo farmi le ossa nel mondo senza pietà delle fanfic.
Passando alle cose serie ho voluto tralasciare ogni cosa e farvi immaginare, che e' molto peggio. Muhahahaha. Inoltre... no, Santa Maria Vergine, no e so che ve lo state chiedendo, il nome di Edward non l'ho preso da Twilight, anche se sembra che abbia scopiazzato dato che Elizabeth e' infatuata del suo Edward almeno quanto Bella sia infatuata del suo (Si, l'ho letto e allora? Ho visto anche i due film che sono usciti, ma per conoscere il nemico bisogna fingersi dalla sua parte e poi, zac! trafiggerlo con battutacce sulla trama). Ho detto ciò' per dimostrare un bel niente. Mi ritiro in clausura.
Il mio uomo (hahaha) ideale si dovrebbe chiamare Edward (come nome mi fa impazzire) o un qualsiasi altro nome giapponese (pretendo troppo?), dovrebbe essere uguale a me ma in qualche modo anche diverso in modo che non ci annoieremo mai l'uno dell'altra, ne' troppo appiccicoso ne' distaccato, senza pici pici ed altre ipocrisie ma un rapporto senza queste e sincero (io credo proprio di si). Semmai mi tradirà', non lo ucciderò' con la mia motosega, ma cercherà' di capire perché' lo abbia fatto.
Secondo me e' per questo che non trovo nessuno di interessante. Alla mia eta' sono tutti cosi' spensierati e scavezzacollo, fatti per il famoso "una botta e via"(in tutti i senzi pozzibbili). Questi miei quindici anni, tra qualche giorno sedici, non me li sto proprio godendo. Forse sarà' la mia assoluta ignoranza in campo amoroso. Chissà.
Have a nice day.

P.S. Come avrete notato Roma non viene proprio menzionata nel capitolo. Questo perché secondo un'antica leggenda cinese...? no romana! il vero nome di Roma sarebbe Amor, ovvero amore in latino e Roma al contrario. Non volevo mettere Amor o addirittura Amore... vi avrebbe dato delle aspettative e io cerco di non mettere troppe informazioni sul capitolo nel titolo (per questo  metto in latino il nome del capitolo... per occultarli, ma anche per chi volesse sapere che cosa vogliono dire vanno sul dizionario latino a cercare le parole... viva la conoscenza!). Ah a proposito... e' XenIa co l'accento sulla "i", non XEnia all'italiana... e nemmeno Xena.

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Capitolo 4
*** Matris filaeque solitudo ***


"Perdere qualcosa non e' mai bello.
Mai."



La pioggia del giorno prima aveva continuato a cadere per tutto il giorno prima e anche quel giorno aveva piovuto. Ma oramai aveva finito da un pezzo. Guardava fuori dalla finestra seduta sul pavimento, mentre si stringeva nella coperta e teneva in mano una tazza di te'. Stava bevendo del te' per qualche assurda ragione... Lei odiava il te'... Ma pensava a tutt'altro. Suo padre era morto e sua madre andava avanti come se non fosse successo niente. Aveva già pensato che fosse uno stratagemma per non cadere in depressione, ma era troppo poco triste per essere una vedova da pochi giorni. Ogni giorno che passava sentiva di odiarla di più per questo suo menefreghismo e sapeva che lei odiava lei... sperava che almeno amasse suo padre. Invece sua madre non era scossa. Non piangeva. Ne' parlava. Ne' viveva. Semplicemente... respirava contro la sua volontà. Non poteva sopportarlo. Il suo respiro si condensava sulla finestra, mentre del vapore che usciva dalla tazza le saliva alle narici. Sbatte' la tazza a terra, mentre sentiva che la sua anima si rompeva in mille pezzi come quella tazza. Scoppio' in un pianto disperato per l'ennesima volta in quei giorni . Per tutti era un viscido bastardo, ma per lei era quello che aveva di più caro e prezioso.

Guardo' fuori dalla finestra osservando il cielo dubbiosa, mentre sorseggiava del te'. Non era abituata alle piogge di fine stagione e nemmeno alle morti improvvise. Aveva pensato, aveva sognato, aveva sperato molte volte alla morte di suo marito, ma non aveva mai pensato che lui avrebbe lasciato questo mondo prima di lei. Guardava nella sua tazza adesso: la tazza le rimandava il riflesso di una donna dai capelli castano scuro e dai grandi occhi grigi entrambi spenti e soprattutto stanca. Stanca di vivere. Aveva cercato di dare un senso alla sua vita che non fosse assumere le occupazioni di una brava moglie e madre. Senza occupazioni se non quella di vivere. Senza ragione se non la speranza che lui sarebbe presto morto. O viceversa. Poso' la tazza sul ripiano di marmo, avviandosi verso le scale. Sentiva quella stupida mocciosa piangere per l'ennesima volta. Se non fosse morta sua figlia, sarebbe morta lei.

< Toc! Toc! Toc! >

L'assenza di campanello in quella casa fece arrabbiare Elizabeth più di quanto non lo fosse già. Ritornare alla sua vita normale attuale fatta di dolcetti, pettegolezzi e giardini curatissimi le sembrava uno strazio. Il giorno prima aveva passato una fantastica giornata con Ed: picnic sull'erba verde della campagna anche se sotto la pioggia, ma che importava? Ma come ogni cosa era finita ricordandole che aveva ancora del lavoro da fare. Era veramente uno strazio.

Si fermo' sul primo scalino, girando la testa  di scatto. Qualcuno aveva suonato e con molto disappunto constato' che era lei. Quella donna dai capelli assurdi, di altezza altrettanto assurda in una donna con quell'assurdo e ridicolo coso rosso. Era lei quella che pochi giorni fa si aggirava nella sua casa come se invece fosse stata sua. Senti' bussare ancora.

< Toc! Toc! >

Respiro' a fondo per non perdere la calma e sfondare la porta a calci. Quella stupida neo-vedova la voleva veramente far uscire fuori dai gangheri. Per non essere volgari.

Era riluttante ad aprire, ma doveva farlo.

Perse la pazienza e carico' il calcio.

"Buon pomeriggio! Si e' persa? Le posso essere di aiuto?" sorrideva in modo disgustoso e parlava in modo altrettanto disgustoso. Un po' eccessivo anche per Fay Hutton.
"Oh, salve!" Elizabeth adotto' quello stesso tono. Non era tanto difficile dopotutto. "Stavo cercando... Cora... e...." Controllo' i nomi sul foglio. Era una frana a ricordarsi i nomi di persone potenzialmente sgradevoli. "Si Cora Hutton e Fa..." Il nome sul foglio non riusciva a leggerlo. "Fa...nny?"
"No. Sono Fay, Fay Hutton." aveva abbandonato per un attimo quel tono. Come se avesse detto una cosa orribile, si copri la bocca scandalizzata. "Oh... scusami cara. Vuoi entrare?" e la fece accomodare.
"E lei deve essere...?" disse mentre si avviavano nel salotto.
"Elizabeth Boudelaire, piacere."Dicendo questo, le tese la mano e se la strinsero.
"E per quale motivo e' qui?" Nascose la mano che le aveva stretto. -Uh, come siamo tese.- constato' Elizabeth.
"A dire la verità sono qui per l'omicidio di suo marito, signora."
La guardo' con occhi spalancati, dopodiché sussurro': "E' stato ucciso...?"
"Si, stiamo seguendo questa pista." disse con poca enfasi, quasi annoiata. "Sono qui per farle qualche domanda, se non le spiace naturalmente." -E sarà meglio che non ti spiaccia.-
"Prego. Si accomodi." disse conducendola verso il salotto. Elizabeth si sedette mentre la vedova diceva:
"Le offro qualcosa? Te'? Caffè? Limonata? Forse preferisce questa, dopotutto anche se piove non significa che fa per forza freddo. Ma il suo cappotto dice il contrario eh?"
"A dirla tutta non e' molto pesante. Comunque del te' va benissimo."
"Bene."

Prendendo il bollitore e riempiendolo d'acqua, pensava a come mai il veleno non ci fosse mai proprio quando serviva. Posiziono' il bollitore sul fuoco e butto' un'occhiata al salotto.

Aveva la testa fra le nuvole e non poteva permetterselo. Fissava un quadro particolarmente brutto. O forse appariva solo a lei brutto. Scosse la testa con foga.

La fissava con enorme interesse. Non poteva essere quello che era. Era troppo... Il fischio del bollitore la riscosse dai suoi pensieri. Prese le due tazze, verso' l'acqua e si diresse in salotto.

"Eccoci qua." esclamo'. Voleva proprio vedere dove voleva andare a parare questa.
"Grazie." disse, prendendo la tazza.
"Bene..." Stava per dire qualcosa quando...
"Lei amava suo marito?" Diretta, fin troppo. Ma il tono con cui l'aveva domandato aveva un che di innocente.
"Oh... beh... si... certo... e' ovvio no?" Era stata spiazzata da quella domanda.
-Invece no.- "Sua figlia quanti anni ha?"
"Credo diciasette."
"Quanti anni avevate quando l'avuta?"
"Ventotto." La prima domanda a cui rispondeva con sicurezza.
"E quando invece si e' sposata?"
"Io ne avevo da poco venti."
"E si e' sposata per quale motivo?"
"Stavo aspettando un bambino."
"E cosa e' successo?"
"Lo persi. Anzi mori' a sette mesi." Le si appannarono gli occhi per le lacrime, ma non le colo' nemmeno una. Anche se aveva amato molto quel figlio.
"Perché'?"
"Era piccolo e di salute cagionevole. Si ammalo'... e questo successe." Singhiozzo' ma non pianse.
Non era vera una cosa del genere. Sembrava una scusa.
"Lei sta coprendo suo marito, non e' vero Fay?"
"Lo uccise. Non so perché', ma lo fece. Non potevo fare niente. Potevo solo guardare come...." e le cadde una lacrima: " come lo uccise."
"Ha ucciso lei suo marito?"
"Ho pensato molte volte di farlo, ma non ho mai provato."
"Perché?"
"Come perché? Era mio marito. Gli avevo giurato eterna fedeltà."

Non credeva che quella donna fosse stata sempre fedele a Hutton e nemmeno che non avesse mai provato ad ucciderlo almeno una volta. Aveva visto tante mogli angosciate per il marito morto al punto da strapparsi i capelli per la disperazione. Lei invece restava composta e dritta, senza versare una lacrima per suo marito. Ma soprattutto non era "Gli ho giurato" ma "Gli avevo giurato".

Non l'avrebbe mai capito. Mai, mai, mai...

"Lei ha provato ad ucciderlo."

Si rese conto che non era una domanda, ma una schiacciante verità.

"Si lo feci. Ventisette anni fa. Per paura sbagliai le dosi. Passo' tutto per un semplice avvelenamento da cibo, ma lui capi che avevo cercato di ucciderlo."
"E perciò si faceva consegnare il cibo."
Fay la osservo' intensamente. Sembrava che stesse pensando.
"Grazie per il te', era ottimo."
"Oh si... prego." L'aveva colta di nuovo di sorpresa.
"Vorrei parlare con sua figlia. E' possibile?"
"Si, certo. Secondo piano. Seconda porta a sinistra."
"Mi accompagna?"
"No. Secondo piano. Seconda porta a sinistra.
"Allora si vede che dovrò fare da sola."
Attraverso' il salotto sotto gli occhi di quella vedova. Sali' le scale di legno scricchiolanti, con passo pesante attutito dalla moquette rossa. Giro' a sinistra e busso' alla seconda porta, piena di poster dove capeggiava la scritta "DO NOT ENTER" a lettere cubitali su una lavagnetta.

La tazza rotta era ancora li', mentre il te' scorreva nelle venature del parquet. Il suo respiro formava nuvolette e guardando fuori di nuovo si asciugo' l'ultima lacrima. Vede quella strana donna con quel cappotto rosso e sente bussare alla porta. Sua madre non apre, forse sta in cucina... Adesso ha aperto e dice qualcosa con quel suo solito parlare. Qualcuno entra e parla con lo stesso tono zuccheroso della madre. A lei non piaceva quel tono, ancora più del te'. Sentiva parlare, poi dei passi e dopo quasi cinque minuti il fischio del bollitore. Altri passi e toni zuccherosi. Parlavano, ma non riusciva a sentire che dicevano e ebbe la conferma che quella con cui parlava la madre era quella tizia dal cappotto rosso, perché se fosse stata un'amica avrebbero cianciato ad alta voce. Parlarono per più di venti minuti finché non senti' passi sulle scale. Non stava andando da lei, non si preoccupava. Sentiva passi nel corridoio, passi davanti la sua porta e qualcuno che bussava.
"Chi e'?" domando'.
"Sono Elizabeth. Un'amica di mamma. Posso farti qualche domanda?"
Cora si alzo' e apri' la porta. Elizabeth entro' senza tante cerimonie.
 "Comunque dillo che non sei un'amica di mamma ma un agente. E poi dovresti saperlo che le amiche di mai madre non sono interessate a me, avresti dovuto usare un'altra scusa."
"Accidenti! Sono stata scoperta. Pero' non sono un'agente." La osservo'. Aveva occhi rossi e gonfi, avvolta in una coperta nera e con una faccia cadaverica. A quanto pare a qualcuno era mancato Hutton.
"Spara."
"Chi credi sia stato ad uccidere tuo padre?"

Era fin troppo ovvi che le avrebbe chiesto questo e lei si era preparata questa risposta dal momento preciso in cui ha scoperto il cadavere di suo padre.

"Mia madre. O la vedova Calamy."

Quella vecchia non era quello che sembrava e Elizabeth aveva sbagliato di grosso fidandosi di lei.



Quello che avete letto e' il capitolo quattro. Meglio renderlo chiaro. Non sia mai qualcuno crede che sia il quinto o addirittura il sesto... meglio essere cri-stal-li-ni!
Ok... ho fatto uno schifo di battuta.
Per questo capitolo ho sperimentato una diversa angolazione, perché una cosa deve essere vista da vari punti. Dite grazie a "L'attimo fuggente" e al mio professore di latino e greco che ci ha fatto alzare  in piedi sui banchi. Tuttavia non e' solo per questo. Fay diventa un personaggio sempre più complesso man mano che scrivo. In questo capitolo sembra che sia tutto li', ma credo di no. All'inizio la volevo fare ubriacona e rompiballe (scusate i termini) e soprattutto l'assassina. Ma ci ho pensato su e non mi piaceva, quindi volevo modificare il primo capitolo e farla diventare la cameriera, solo che sarebbe stato offensivo per tutte le cameriere e soprattutto avrebbe ripreso quel pregiudizio di ogni omicidio "E' stato il maggiordomo!" o la cameriera che e' la stessa cosa. A dirla tutta non so nemmeno io chi sia veramnte Fay, ma forse lo capirò più avanti... lo spero! Forse faro' un flashback o qualcosa del genere... o qualcos altro....
Se la lettura vi sembra difficile tenete presente che non ci saranno mai due pensieri di Fay o di Elizabeth o di Cora di seguito, o almeno ci sarà quello che dicono o che fanno.
Cora non mi piace tanto. E' il tipo di diciassettenne che non vorrei mai essere, ma ho dato spazio ai suoi pensieri. Applauso prego!
L'idea dell'avvelenamento mi e' venuta mentre scrivevo tipo illuminazione. Una figata assurda. Wow... Ok la smetto.
Sto dando poco spazio agli altri personaggi tipo Vic, Dalia (la tizia all'inizio vicino Hutton con la farfalla verde) o Edward, ma viene prima il lavoro, poi lo svago, poi le manette per l'assassino e forse l'acido solforico. Muhahahahaha!
Questo fatto delle citazioni all'inizio di ogni capitolo fa tanto Bleach (Il cui autore mette citazioni all'inizio di ogni volume)... le mie pero' non sono citazioni. Sono cose che mi vengono in mente alla fine del capitolo. Eh già, sembrava che le scrivessi all'inizio ed invece no! Che malvagità'! Mi scuso per il ritardo con cui ho pubblicato questo capitolo ma... non ho uno schema preciso. Quando mi capita il pc in mano scrivo. Quindi mai.
Have a nice day!
\
P.S. Dato che il titolo richiede una piccola conoscenza di latino vi dico la traduzione: la solitudine di madre e figlia. Sa tanto di cosa catastrofica ma... mi sembra il più appropriato tra quelli che ho pensato...  Forse stavolta ho esagerato con la carica drammatica, mah... non so.

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Capitolo 5
*** memories in the rain ***


"I ricordi sono quanto più caro un essere umano
possa mai possedere."


Pioveva da tanto, non le piaceva. In piedi davanti la vetrata osservava le piccole gocce che si depositavano sul vetro della vetrata nella sala riservata alla sposa. Era incredula del fatto che di li a poco sarebbe diventata la sposa di quell'uomo ed era incinta per di più! Lui non lo sapeva, certo, ma aveva qualche dubbio a riguardo. Si accarezzava il ventre come per ascoltare il piccolo cuoricino attraverso la vestaglia di lana bianca, mentre i capelli castano scuro ondeggiavano ad ogni suo piccolo movimento. Lo sapeva che era troppo presto, comunque. Nonostante fosse la persona più agitata in tutto il quartiere, pensava al suo piccolo figlio e alla sua vita futura. Era giovane, era bella e sarebbe diventata presto madre. Lo avrebbe chiamato John; sentiva che sarebbe stato maschio e poi quel nome le piaceva da matti. Persa in quei pensieri e con la mente a vent'anni dopo, non si accorse della sua migliore amica che stava per entrare. Rosalie vide gli occhi vuoti di Fay e si avvio' con passo deciso verso di lei.
"Hey! Torre di controllo a Fay! Mi ricevi?"
Si riscosse all'improvviso. Come al solito aveva assunto la sua solita aria trasognata e il suo solito sorriso stampato in faccia perennemente. Si scuso' timidamente con Rosalie, mentre quest'ultima chiamo' le damigelle e aiutarono Fay nella sua metamorfosi. Nel giro di cinquanta minuti Fay non era più la solita ragazzina dall'aria persa. Era una donna. Una donna che stava per sposarsi. In un attimo, tutto quello a cui non aveva pensato, le preoccupazioni, i timori, le paure tipiche in una giovane sposa le crollarono addosso come una valanga. Non pensava più a John, ne' alla pioggia che cadeva, ne' al vestito. Pensava a Tony e all'enorme sbaglio che stava facendo nel sposarlo. Non le piaceva ed era più grande di lei, anche se di soli sette anni. Non poteva sposarlo e non voleva. Ma doveva. Di nuovo con occhi persi chissà dove, Fay fu spinta da Rosalie verso le porte che davano verso l'altare. Tormentava il suo bouquet di rose rosse con le mani fasciate da i lunghi guanti, mentre petali scivolavano sull'ampia gonna di taffetà bianco. Rosalie le diede un buffetto sulle mani e le scosto' dal bouquet.
"Non essere cosi' agitata. In fondo il matrimonio e' una pura formalità." le sibilo Rosalie.
"Si, hai ragione tu..." borbotto' Fay.
L'agitazione che la opprimeva si fece sentire ancora di più quando la musica dentro inizio' e le damigelle si diressero verso l'altare. In quel momento si sentiva costretta dentro il suo corpetto, stava per scoppiare e voleva fuggire via, ma non lo fece. Sua madre contava molto su di lei e su quel matrimonio, le aveva sempre dato delusioni e non l'avrebbe delusa proprio oggi. Le aveva promesso che sarebbe stata responsabile. Le aveva promesso che non avrebbe fatto nulla di sconsiderato. Le aveva promesso che sarebbe andata all'altare a testa alta. E poi le scarpe le facevano un male cane. Come poteva pretendere di fuggire?
"Ci siamo." mormoro' eccitata Rosalie.
Fay fece un respiro profondo. Cosa sarebbe potuto accadere poi di tanto brutto? In fondo poteva divorziare e poi lei conosceva Tony. Non era cattivo. Inoltre ci sarebbe stato sempre suo figlio al suo fianco. Sarebbe andato tutto bene.
Le porte si aprirono, mentre si diffuse nella sala la marcia nuziale di Wagner. Oltrepasso' quella soglia lasciandosi alle spalle la sua adolescenza e accogliendo a braccia aperte la nuova eta.
"Sarai un bambino bellissimo." mormoro'.
Sorridendo, si diresse a piccoli passi verso suo marito.

Osservo' il cielo plumbeo, sperando che quel giorno piovesse. Un timido raggio di sole la colpi' in faccia, mentre una lacrima di cristallo le scese lungo la guancia. Il suo piccolo bambino. Il suo angioletto dai ricci biondi era morto. Era morto per colpa sua. Di quell'orribile uomo e della sua scarsa pazienza. Non l'avrebbe mai perdonato per questo. Lo odiava e presto l'avrebbe pagata. Ma un pensiero peggiore si insinuo' nella sua mente. Non avrebbe mai più rivisto suo figlio. Non ci poteva credere. Cadde sul pavimento e pianse tutte le lacrime che aveva.

Quel giorno era accaduta una cosa stranissima. Mentre passeggiava sul vialetto fiorito, aveva visto un bambino simile a lui. Aveva i ricci biondi e correva vicino la madre. Sentiva la sua vocetta cristallina che rideva entusiasta e urlava che la passeggiata al parco era stata bellissimissima, saltellando intorno la madre. Sembrava che avesse tre anni, proprio come suo figlio se fosse stato vivo.  Seguendoli, scopri' che abitavano nell'angolo che univa Carnavon Avenue a Chesapeake Avenue. Abitavano nella casa color crema. Le piaceva quel colore e anche quella donna. Sarebbe andata da lei quel pomeriggio e sarebbe diventata sua amica, aveva deciso.

Quella donna era odiosa! Quel pomeriggio proprio come aveva pensato era andata da lei con una torta di mele e della marmellata di more, esibendo un sorriso disponibile e cortese. E lei le aveva chiuso la porta in faccia! Andò' da Rosalie, che abitava nello stesso viale, Chesapeake Avenue. Parlarono tutto il pomeriggio di quella donnaccia, quella Eleanor, e scopri' che era una donna in carriera, che lavorava. Provo' un moto di invidia tale che porto' ad odiare quella donna ancora di più. Non era diversa dalle altre e allora perché lavorava? Perché non restava a casa con suo figlio, a pulire e a spettegolare con le altre? Non lo sopportava.

Un passero si poso' sull'albero vicino. Era di nuovo incinta. Per colpa sua e solo sua quell'uomo non era morto. Per la sua scarsa attenzione e determinazione lui era ancora vivo. Per pochissimo non era morto. E adesso la teneva d'occhio. Non aveva fatto sapere nulla a nessuno di quello che era accaduto. Avevano detto a tutti che era stato male per del cibo avariato. Non era un granché come scusa, molti parlavano, ma l'importante era che almeno la maggior parte credesse a quella farsa. Erano diventati complici, ma senza i privilegi che un rapporto come quello comportava. Non erano più affiatati, ne' era cambiato qualcosa.Era come un usignolo in gabbia. E proprio come un usignolo che dopo un lungo periodo in cattività non canta più, anche lei col tempo aveva perso la sua spensieratezza. Tutto quello che era quando era una ragazzina se ne era andato insieme al suo bambino. Lui credeva fosse contenta di essere di nuovo incinta, ma l'unico davvero felice era lui. Lui e Rosalie. Li odiava entrambi e anche la bambina dentro di se. Era sicura che era una bambina. Papa e zia Rosalie già la chiamavano per nome: Cora di qua Cora di la. Ma nessuno badava a lei. Era solo un contenitore che avrebbe protetto la loro pupilla fino alla nascita. Poi sarebbe pure potuta morire. Il passero spicco' il volo facendo vibrare il rametto dove si era posato.Quanto avrebbe voluto spiccare il volo come quell'uccello.

La mocciosa aveva sette anni. Quel giorno era il suo compleanno e era stranamente compiaciuta. Aveva visto giusto: quello schifoso la riempiva di regali e  lei, sua moglie, non esisteva. Esisteva Cora, la piccola Cora, il mio piccolo coniglietto e bla bla bla. Aveva anche smesso di parlare con Rosalie da un pezzo. Era diventata fredda nei suoi riguardi, distaccata. Proprio quello che ci si aspettava dalla signora Calamy. E cosi' senza marito, senza una figlia decente e senza amiche, si era trovata da sola. L'unico che la teneva in vita era il figlio di quella donnaccia. Aveva quindici anni e i ricci biondi erano rimasti, cosi' come il verde dei suoi occhi. Lo osservava spesso: tutte le volte che passava davanti casa Hutton inciampava in una crepa del marciapiede, mentre i suoi occhi fissavano il vuoto e ascoltava musica, muovendo la testa a ritmo. Lo guardava sempre con tenerezza e affetto, pensando a come fosse simile a lei alla stessa eta. In quel momento il campanello la riscosse dai pensieri. Le amichette della mocciosa erano arrivate. Esibì il suo sorriso più gelido e si preparo' ad accoglierle felicemente.

Il signor Calamy era morto. Ma qualcosa la lasciava restia a pensare che fosse di morte naturale. Era noioso e austero, ma almeno simpatico. Cioè più simpatico di quella balena che si ritrovava di fianco, fasciata in un completo nero e che piangeva come un forsennato, mentre la mocciosa in braccio a lui singhiozzava. Piangevano solo loro due insieme a Rosalie, o vedova Calamy. Al funerale c'era tutto il quartiere. Anche quel ragazzino, di cui finalmente sapeva il nome, e sua madre. La sua bellissima madre. Ma come faceva? Aveva la sua stessa eta, ma la sua bellezza non era sfiorita, non era infelice, non era patetica. l'invidia e la rabbia la avvolsero completamente e inizio' a piangere anche lei. Di disperazione.

Stava in piedi davanti la vetrata di casa, mentre osservava la pioggia. Quella strana donna, Elizabeth, e la mocciosa stavano ancora parlando. Parlare del suo bambino l'aveva fatta tornare indietro, ai momenti felici con lui. A quei sette mesi, duri ma meravigliosi. A quando lo vide per la prima volta, a quando doveva cambiarlo, a quando lo coccolava. Lo amava tanto e penso' a quanto e' sbagliato pensare che prima o poi tutto si aggiusta. A quanto e' sbagliato prendersela con il destino, il caso o il futuro che diventa presente. Era solo colpa sua. Sua e di nessun'altro. Ma ormai, troppo tardi, l'aveva imparato. Mai fidarsi di nessuno solo di te stessa. Mai contare su nessuno e su niente. Solo su di te e sulle tue scarpe, anche se ti fanno male.


Stava a casa. Come previsto la ragazzina non le aveva detto niente. Si era messa ad accusare la madre, a rimpiangere il padre, a piangere. Ma non aveva detto nulla di interessante. Tolto il cappotto rosso, si butto' sul letto come in attesa di qualcosa. Voleva chiamare Edward, ma non poteva. Stava sprecando tempo e non poteva permetterselo. Per tutto il tempo trascorso a consolare quella ragazzina, aveva pensato a Edward e a cosa stesse facendo in quel momento. Se anche lui consolava ragazzine o stava parlando con la sua chef Narumi. Vedeva in lei una possibile rivale. Dopotutto lei conosceva Edward meglio e non le piaceva. Uno squillo improvviso la riscosse dalle sue pene d'amore e si diede un buffetto sulla guancia. Stava precipitando nel grottesco e non andava bene.
"Elizabeth Boudelaire. Chi parla?" Aveva assunto un tono professionale, che la fece illudere anche solo un momento che non si stava rammollendo del tutto.
"Sono Edward. Posso parlare con l'altra parte, quella meno segretaria?" A quelle parole stava si sciolse come neve al sole. Dimentico' ogni cosa.
"Edward!" cadde dal letto. Il rumore sordo della caduta fu attutito da un "Non mi aspettavo una tua chiamata!"
"Ah ecco la mia Elizabeth. Bentornata." disse in tono scherzoso.
"Cretino..." borbotto' assumendo un broncio molto infantile.
"Parlando di cose serie... Lo so. Ti avevo promesso che ci saremmo visti domani, ma non resistevo senza di te. Ti voglio vedere."
"Cosi' mi fai sciogliere tutto il trucco..."
Fece un versetto di disgusto. "Chissà che bello spettacolo..."
"Faccio finta di non averti sentito, mio piccolo mr maitre dalle unghie con french."
"Cosi mi offendi... Allora come ti e' andata mia piccola miss investigatrice dal trucco sciolto?"
"Allora vuoi la guerra... Che ne dici di parlarne davanti a un bel piatto di asparagi? Narumi li fa veramente buoni."
"Come fai a mangiare quei bastoncini verdi senza sapore?"
"Mistero..."
"Dovrei aspettarti qui dato che tu da brava donna indipendente rifiuteresti anche una limousine arancione."
"Hai detto giusto. Aspettami li' Bobby."
"Ah... che tempi! Adesso la tua donna ti insulta e ti viene anche a prendere."
"Smettila di dire cosi' sembri un vecchio con la dentiera."
"Va bene... Dirò' a Narumi di fare altri... asparagi." disse. "Bleah." aggiunse.
"Non capisci niente..."
-Accidenti me ne sono proprio innamorata... Diamine!"


This is the awesome fifth chapter. Yahooooo!
Alla fine Cora non ha detto niente. Fuh Fuh sono un genio del male! Come avevo pensato e scritto nel capitolo precedente ho fatto un flashback. Sembra un filler, adesso che lo sto rileggendo ma prestate attenzione e forse capirete molto di più che un semplice accento mancato. L'ultimo dialogo tra Elly e Ed mi sa tanto di squallido. E' uno scambio di battute e offese leggere banalissimo ma l'ho voluto mettere per sottolineare la stranezza della loro relazione, che si basa su una comunanza di interessi e non su qualcos'altro. Ahimè mi dispiace comunicarlo ma Elizabeth si e' davvero innamorata di quel succhia sangue (hahaha ho fatto la battuta! hahahaha). Voglio rendere chiaro comunque che io non mi getterei mai cosi' facilmente e docilmente nelle braccia di un uomo. Lo so sono petulante ma e' meglio rendere chiare certe cose. Se poi non vi siete posti questo quesito perché non ve ne frega proprio allora e' un altro paio di maniche.
Riprendendo il discorso di prima, nel capitolo ho cercato di usare sempre meno subordinate per sottolineare il decadimento morale di Fay. E naturalmente ho cercato di aggiungere mano mano sempre più rabbia e frustrazione. Solo quando parla di John (dai su avrete capito che John e' il tizio dai capelli biondi) ho cercato di ammorbidire il tutto. Se non vi e' parso ditelo... Non abbiate paura di esprimere le vostre idee!
Il titolo del capitolo ląho preso da... Bleach indovinato! Il terzo takobon si chiama memories in the rain (takobon significa volume... ignoranti!) e secondo me non e' molto appropriato ma mi piace e quindi l'ho messo. Se poi mi viene un titolo migliore lo cambierò.
Have a nice day.

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Piccolo ma piccolo angolo a parte dal commento o come diamine lo devo chiamare.

EmilyDoyle: Davvero hai letto la mia mail? Wow! Non ci posso credere... credevo l'avessi buttata. Mamma mia che ottimista che sono neh? Sono felice che per te il mistero si infittisca, perché per me si sta dirigendo verso l'oblio... Crisi creativa, lo dimostra quel dialogo tra cosa e coso. Non mi piace tanto... Dimmi se ti piace il capitolo. E' molto importante per me il tuo giudizio! Sayonara onnanoko!
P.S. Dio santo davvero sono la prima a capire il perché del nick? Come fanno a non conoscere il santissimo Doyluccio? Sigh!
   

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Capitolo 6
*** Amicitia atque oblivio ***


Ringrazio tutti quelli che nel leggere questo capitolo sono tra i 105 lettori del mio primo capitolo. Grazie.

"Friendship is the better thing"
Sembra una frase da cioccolatini.




Dalia si sistemò la farfalla sulla testa, imprecando contro quest'ultima, che si ostinava a non mantenerle i capelli color nocciola. Era una spilla di scarso valore e avrebbe avuto vita breve se Dalia non l'avesse trattata con molta cura. Dopotutto era un regalo da parte sua... Si perse in quei pensieri, come solito, mentre esaminava alcuni campioni. Si era trascinata il lavoro per ben sei giorni. Non era da lei, ma aveva altre preoccupazioni e non poteva, secondo lei, sprecare il suo prezioso tempo a esaminare resti. Ma era il suo lavoro, così dopo una litigata tra il suo subconscio responsabile e quello... diciamo non responsabile si mise al lavoro di malavoglia, dedicandosi alla rassegna in esame delle impronte, del coltello, dei ritrovamenti... Normalmente avrebbe impiegato molto più tempo, ma in un giorno e un'intera mattina iniziata alle 4:00 della mattina, ma finita alle tre del pomeriggio, finì tutto quello che c'era da esaminare, con sua enorme sorpresa a dir la verità. Felice per la sua capacità di essersi divincolata da quella situazione spinosa e per la sua bravura nell'essere stata veloce ed accurata, si precipitò a chiamare Elizabeth. Provò a chiamarla per dieci volte di seguito senza ricevere risposta. Dopo altre cinque chiamate, la sua preoccupazione veniva manifestata con un crescente nervosismo che la portava a insultare la sua farfalla, che nel frattempo non migliorava la situazione. Alla ventisettesima chiamata rinunciò all'impresa di chiamare e anche alla farfalla che in un impeto di leggera isteria mise da parte su un tavolo dicendole di essere in punizione, quasi come fosse stata una bambina cattiva. Per tutto il pomeriggio sfogò la sua rabbia su un gatto di pezza, tagliuzzandolo con un bisturi (rubato) di Vic e estraendo l'imbottitura con una pinza una volta sterile di Elly. La pinza le ricordò il motivo del suo comportamento ansiogeno che la riportò indietro allo stato di preoccupazione e agitazione della quindicesima chiamata. Chiamò un altra decina di volte senza una risposta ma con una voce femminile molto cordiale che le ricordava ogni volta che il numero da lei chiamato non era disponibile. Stringendo il gatto di pezza fra le braccia parlava con la farfalla e il microscopio dei suoi problemi di ansia, mentre si pensava tra sé e sé di essere troppo ansiosa. Alle 19:34 qualcuno bussò alla porta. Un turbinio di emozioni si impadronì di Dalia: dapprima sorpresa della visita un po' tarda; poi preoccupata di chi potesse essere; poi sollevata dato che se mai fosse stato qualcuno di malvagio non avrebbe bussato e chiesto cordialmente di poter rubare la tv; poi si sentì imbarazzata per il suo pigiama con le paperelle gialle; ancora una volta sollevata pensando che fosse Elizabeth; poi felice perché se sapeva bussare al campanello non le era successo niente e poi furiosa perché se non le era successo niente per quale assurdo motivo non aveva risposto alla trentina di chiamate che le aveva fatto?!?, il tutto in dieci secondi, il tempo di andare alla porta a grandi passi. Aprì la porta e esibendo la faccia più arrabbiata che potesse avere accolse quella che credeva fosse Elizabeth.
"Elizabeth! Avresti potuto rispondere alle mie chiamate! Lo sai quante volte ti ho chiamato?!? Stavo per chiamarti una trentanovesima volta, ma mi pareva eccessivo. Dopotutto le chiamate ai cellulari costano e io non ho una tariffa adeguata e tu non puoi permetterti di non rispondere al telefono! Hai un lavoro pericoloso e se succede qualcosa? Come lo faremo a sapere io, Vic e gli altri? Eh? Chissà quando scopriremo il tuo cadavere oppure va a finire che non ti ritroviamo più e poi come faremo? E poi..."
Victoria, presa alla sprovvista, non sapeva cosa dire e non osava interromperla, guardandola con occhi spalancati.
"Ma soprattutto dovresti mangiare perché..." alzò lo sguardo verso la donna che le stava davanti e cacciò un urlo. Victoria dal canto suo restava impassibile.
"Quando vorresti dirmi che non sei Elizabeth?" disse con voce stridula, tipica di una crisi isterica. Non era mai stata così ansiosa, ma stava passando un brutto periodo e non "riusciva a connettere" detto con le sue parole.
"Beh credevo che tra me e Elly ci fosse una sostanziale differenza. Lei non ti avrebbe mai lasciato cianciare così a lungo. Io ti ho lasciato parlare e poi non mi avresti fatto parlare. Quando attacchi a parlare e stai nervosa non c'è verso di farti smettere."
Dalia si accorse del tono piatto e disse: "Che succede? Che hai?"
"Niente. A dir la verità ho il tuo stesso problema."
"Hai un amore non corrisposto? Sono la persona peggiore a cui rivolgerti. C'è una tizia che fa consulenze amorose qui dietro. Se vuoi ti posso consolare con una bella tazza di cioccolata, tanta panna e qualche gattino che ho nel giardino. Devi vedere come sono carini sono...."
Victoria la guardava con gli occhi spalancati di prima. "Hem...Hem..."
"...ci sono dei bar in Giappone... oh!" e si mise una mano sulla fronte. "Ho ricominciato a sproloquiare scusa..." disse abbassando gli occhi un po' vergognata.
"No... non sono problemi d'amore comunque... Non trovo Elizabeth. L'ho chiamata a casa, sul cellulare. Ho chiamato persino tutta Chesapeake Avenue per sapere se stava in casa di qualcuno e non poteva rispondere al telefono. Niente. Non si trova." Le si rabbuiarono gli occhi.
"Allora abbiamo lo stesso problema."
Stettero in silenzio l'una a testa bassa, apparentemente incuriosita dallo zerbino, l'altra in piedi sulla soglia che aspettava e guardava il cielo nero.
"Vuoi entrare? Dai faccio il tè ai mirtilli e ho anche un altro pigiama con le paperelle se vuoi dormire." disse Dalia interrompendo il filo di pensieri di Victoria.
"Ok... Ma solo perché mi piacciono i mirtilli e le paperelle gialle."
"Gna gna! Sull'altro le paperelle sono rosa!" L'intento di Dalia era palese e Victoria l'aveva capito, ma la fece fare invece di mandare tutto a rotoli.
Entrarono dentro, in quello che doveva essere un mega atrio ma che in realtà era il salotto. Scesero le scale e Victoria si accomodò su una sedia davanti al tavolo mentre Dalia sistemava sul fuoco il bollitore. Dopo qualche minuto il silenzio fu rotto da un fischio e dal rumore di una tazza rotta, seguito dalle imprecazioni di Dalia. Il tempo passava lentamente e il silenzio opprimente veniva rotto sporadicamente da un sospiro a volte di noia altre volte di attesa e da qualche futile tentativo di conversazione. Alle 2:30 Dalia decise di andare a dormire e fu seguita a ruota da Victoria. Lasciate a loro stesse nell'oscurità dei loro pensieri, Dalia giurò di aver sentito un singhiozzo soffocato.

Il sole penetrava attraverso le tende rosse, colorando la stanza di un inquietante rosso cremisi. Sentiva il respiro regolare di qualcuno che stava dormendo dietro di lei, ma non sapeva bene chi fosse. Aprì gli occhi e si mise a sedere al bordo del letto, stiracchiandosi. Si accorse di avere addosso non il solito pigiama ma una leggerissima veste di seta di colore rosato e nient'altro. Aveva un forte mal di testa ed era talmente forte da ricordare a malapena come si chiamasse. Si alzò diretta verso una meta imprecisa. Non conosceva quella casa, ma aveva diversi deja-vu come se ci fosse già entrata in quella casa. Riuscì a trovare il salotto e vide,sotto una montagna di cuscini, la tracolla della sua borsetta. Afferrò la catena e aprì la borsa di vernice arancione. Prese il telefono per vedere l'ora e la prima cosa che pensò, dopo aver visto quante chiamate aveva non risposte aveva, fu un semplice -Wow...-  Non osava pensare quali macchinazioni avessero fatto le sue amiche su di lei: trucidata, violentata e sgozzata, scappata via in Lapponia insieme a un gruppo di husky... ridacchiò a quest'ultima alternativa molto più piacevole e meno probabile delle altre e si lasciò cadere sui cuscini. Pensò a un mucchio di cose, ma non riusciva a ricordare cosa mai fosse accaduto il giorno prima. Ricontrollò l'ora e di malavoglia si alzò da quel comodo giaciglio. Ripercorse gli sterminati corridoi di prima all'inverso e si ritrovò di nuovo in quella stanza avvolta da un'oscurità particolare, nonostante fossero solo le 10:45 del mattino. Pensò che se aveva dormito in quella stanza e se si era cambiata di abito proprio lì, i suoi vestiti si dovevano trovare in qualche posto da quelle parti. Non osò accendere la luce o aprire le tende, per timore di svegliare l'essere che respirava dietro di lei. Trovò diversi vestiti femminili e un ingombrante vestito da sposa ma niente che le ricordasse quello che aveva indossato il giorno prima. Alla fine optò per un vestirlo arancione che aveva catturato la sua attenzione e per delle scarpe che le andavano bene. Le pareva strano tutto ciò, ma non ci badò molto. Vestendosi velocemente, senza farsi sentire da chi dormiva, si diresse verso la porta e buttò una rapida occhiata nel letto. Il tipo dentro il letto somigliava tanto a Edward, ma non era lui. Lo osservò intensamente senza riuscire a ricordare e lui, quasi come se ne fosse accorto, borbottò qualcosa e si rigirò nel letto. Rinunciò a ricordare chi fosse e perché dormiva con lei e cercò una via di uscita da da quel dedalo di corridoi. Alla fine trovò la cucina e la porta sul retro e senza tanti se o ma uscì fuori nella frizzante aria di giugno.
Si ritrovò in un giardino recintato e ora che guardava meglio oltre la recinzione di metallo, stava proprio nel centro della città. Girò intorno la casa e trovò il cancello di entrata che dava direttamente sulla strada.Vide un taxi e lo prese al volo senza riflettere su dove si trovasse precisamente e disse al tassista l'indirizzo dove abitava Dalia.
Arrivarono a destinazione dopo un paio d'ore. Elizabeth era consapevole del fatto che il taxi era il mezzo di trasporto proibito, ma la sua era una necessità, data la scarsa conoscenza della zona in cui si era trovata a dormire con un tizio sconosciuto.
-Sto diventando lentamente una meretrice.- pensò pagando un conto salato ad un allegro tassista, che cambiò subito espressione trasformandola in uno sguardo eloquente appena Elizabeth disse a denti stretti: "Truffatore...", forse inconsapevole del fatto di indossare un vestito che costava il quadruplo della tariffa di un viaggio in taxi di due ore. Il tassista indugiò un altro po' e poi andò via, molto probabilmente intimorito dallo sguardo inceneritore di Elizabeth. Si diresse quindi verso il cancello del giardino di Dalia, indugiando un po' su un cespuglio di more e sull'albero di mele, anche se entrambi avevano frutti acerbi. Ridendo come una bambina salì gli scalini che portavano alla porta della casa. Suonò il campanello. Una voce all'interno disse:
"Se sei Elizabeth di' le tue preghiere!"
"No, sono il postino." ridacchiò per l'ovvietà della scusa.
"Ah... scusi... ora apro." disse la voce all'interno.
Elizabeth non poteva credere che fosse così ingenua. Mentre ridacchiava, la porta si aprì e accadde tutto nel giro di due secondi: Elizabeth chiuse gli occhi per un secondo, mentre Dalia apriva la porta, alzava una padella e la sbatté sulla testa di Elizabeth.
"Ahio! Che diamine!"
"Ben ti sta!"disse Dalia, con un camice bianco indosso e una padella in mano, mentre sventolava in aria la mano libera, in un parossismo di rabbia. "Così uno: impari a non rispondere al telefono" e alzò un dito. "Due: a non farci preoccupare." e alzò un secondo dito. "E tre: a non essere disponibile sempre e dovunque, come dovresti." alzò il terzo dito e sventolò le tre dita davanti il naso di Elizabeth, che in quel momento si manteneva la testa tra le lacrime.
"Si, ma perché? Perché una padella?" sfregandosi la testa dolorante.
"Per puro sfizio. Avevo voglia di darti in testa qualcosa, ma non ho trovato niente di idoneo."
"Si, perché una padella in testa è più che idonea..." disse Elizabeth a denti stretti, appena Dalia si girò, entrando in casa.
"Guarda che ti sento!" canticchiò, saltellando."Dai su entra!"
La casa di Dalia aveva qualcosa di impressionante. Si sviluppava su cinque livelli, di cui uno interrato che le serviva da laboratorio e una mansarda proprio sotto il tetto che la usava come una soffitta, ma che in realtà era una mansarda. L'atrio in cui si accedeva si trovava al secondo piano ed era un salotto, in fondo alla sala vi erano delle scale, le quali scendevano per raggiungere la cucina e il laboratorio, mentre quelle che salivano portavano verso le stanze da letto e la mansarda. Proprio perché ogni piano era adibito ad una certa funzione, non vi erano muri né porte, tranne per i bagni, mentre vi era abbondanza di vetrate e finestroni che davano direttamente sul giardino e sulla campagna che circondava la casa, dando così l'impressione di non stare rinchiusi. Scesero nel piano inferiore e si trovarono di fronte ad una porta di vetro che faceva intravedere lo spazio bianco in cui si sarebbero presto immerse. Dalia aveva creato proprio l'atmosfera da laboratorio delle spie del cinema, dipingendo le pareti e scegliendo attrezzature perfettamente bianche, corredando il tutto con tubi di luce bianca che correvano lungo il soffitto e luci blu sotto i pensili bianchi che circondavano la stanza. Era enorme e spesso veniva usata anche da i membri della squadra di Dalia.
"Ieri comunque ho cercato di chiamarti perché ho finito di esaminare le prove."
"E allora?"
Dalia prese da un pensile una scatola di acciaio rivestita di bianco. Su un lato della scatola, risaltava un adesivo giallo, sul quale era scritto: "Hutton's evidence". Aprì la scarola e ne estrasse alcuni fogli.
"Premetto di aver perquisito tutta la casa, senza tralasciare niente, e di aver esaminato tutto." disse fiera Dalia, con aria di sfida, e vedendo che Elizabeth non aveva di che obiettare, continuò: "Le uniche prove concrete trovate sono le macchie di sangue trovate sul pavimento, macchie di candeggina, una mezza impronte trovata sulla vetrata della cucina e il coltello trovato nella mano di Hutton. Le macchie di sangue, nonostante le abbiano cancellate, io credo con la candeggina di cui sono state trovate alcune macchie, si vedevano chiaramente: Il sangue non era schizzato né c'era una macchia estesa, quindi si elimina la possibilità che l'assassino abbia usato il coltello per uccidere Hutton, ma invece erano piccole macchie sparse,naturalmente di Hutton, che formano un percorso dalla porta che porta al salotto fino a dove è stato trovato il corpo..."
"Quindi l'hanno ucciso lì davanti, gli hanno procurato le ferite con il coltello, lo hanno portato al centro della cucina e poi gli hanno messo il coltello in mano?"
"Si, se fosse opera di un assassino. Se fosse stata opera sua, forse è morto qualche centimetro più tardi. Il coltello non ha impronte..." prese una busta ermeticamente chiusa con dentro un coltello. "Come vedi è pulito ed è senza impronte. Era comunque un coltello da cucina, che faceva parte di un set in bella mostra sul bancone della cucina. A quanto ho visto e notato ne mancava uno. Inoltre ho trovato ancora tracce di candeggina sulla lama e un po' sul manico in quantità maggiore, rispetto al pavimento, hanno fatto un lavoro migliore dato che le macchie di sangue sono quasi scomparse." Indugiò per posare il coltello nella scatola e poi riprese: "L'impronta trovata sulla vetrata non corrisponde a nessuno dei membri della casa, né all'amico della figlia, John Truman, né alla vedova a quanto si dice amica della vittima, Rosalie Calamy. Molto probabile che sia della madre dell'amico della figlia, o di suo fratello ma non riesco a capire perché mai si dovessero trovare lì quel giorno."
"Come e perché spettano a me, tu hai fatto un bel lavoro ad ogni modo." dicendo questo gli occhi le caddero nella scatola. Un foglio, una lettera anzi spiccava tra le altre prove. Elizabeth allungò la mano per prenderla, mentre Dalia metteva a posto i fogli in una cartella e scriveva all'esterno di questa "Hutton"
"E questa cos'è?"


 Il sesto capitolo è finitooooooooooooo! Credo sia la prima volta che finisco un capitolo con leggera "suspance". credo che già altre volte l'abbia lasciato appeso come il primo (ma era poca), il quarto (ma chissene frega di quello che dice Cora) e qualcun'altro. Ma dopotutto sono pochi quindi è un discorso che non ha ragione d'esistere. Avrei voluto scrivere "Questo è il magnifico sesto capitolo" in giapponese ma il mio stupido frasario non ha la parola "capitolo". ma dopotutto cosa posso pretendere da un piccolo frasario, la cui sezione più lunga dopo quella "grammatica" è "amore e sesso" la dice lunga. Vabbè...
Stavolta mi è parso di essere molto molto troppo descrittiva. Colpa di Dickens, Mishima e poco Yoshimoto... Già dopo aver finito Agatha Christie, Doyluccio e qualche sconosciuto autore di gialli, mi sono gettata negli autori classici e negli autori giapponesi. Non mi ammazzate *si ripara la testa dalle pietrate*. La prima parte del capitolo l'ho dedicata al rapporto e alla personalità di quelle che dovrebbero essere protagonista e co-protagonista della storia. Anche se oggi che ho riletto tutti i capitoli che ho scritto tutti quanti sono definiti abbastanza bene, tranne Edward e Tony: il primo perché... cavoli miei! e il secondo perché non c'è bisogno di approfondire la personalità di un morto... dopotutto per questo l'ho fatto schiattare... muhahahaha!
La farfalla di Dalia è un regalo di... random! Scegliete voi: è un regalo di Elly, Vic, entrambe, del padre, della madre, del cugino del portinaio amico di Peppe, il figlio di Gennaro e Concetta, la tua zia di ottavo grado... te la ricordi no? Very, very random. Se siete romanticone/i (non discriminiamo i pochi maschi qui dentro) potreste pensare che sia del fidanzato/marito morto prematuramente e causa di una malattia/di un assassino e perciò tiene quella farfalla cara cara. fate voi. Viva la libertà.
L'amnesia di Elizabeth non so a cosa è dovuta. Credo a una sbronza con Edward e la sua allegra combriccola. Ma non credo. Non vi allarmate per il tizio che le sta vicino mentre dorme vestita di niente praticamente: è il fratello di Edward che si chiama Jasper, un altro fratello bruno Emmet, una sorella Alice e Rosalie... Rosalie già ci sta... e suo padre si chiama Carlisle e sua madre Esme... ma allora manca solo Bella! Va bene la smetto di fare la scema... si chiama David e il nome mi è venuto in mente ora, perché fa la pubblicità di "Matricole e Meteore" e sotto ci sta la canzone di David Bowie... Daviduccio :Q___
Una buona notizia: ho abbandonato il pc in polacco e ho avuto in regalo un mini pc con gli accenti (yahooo) che posso portare ovunque e ovunque potrò scrivere appena mi viene in mente qualcosa. Siete felici?
Sopra ho scritto "di' " perchè così si scrive. L'apostrofo indica un'elisione che sta per "dici", non sono ignoranta... con la a perché sono femmina.
Have a nice evening. Or day. Or tomorrow.
Choose for yourselves.

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EmilyDoyleeeeeeeeeeeeeeee! Accidenti lo sapevo di non essere stata chiara... Il pampino è nato ma muore quando ha sette mesi. Cioè ti vorrei dire di più, ma... spero tu abbia capito che almeno non è colpa di Fay, che si ubriaca (ha iniziato dopo due anni dalla nascita di Cora). Tony è un viscido schifoso chiattone bastardo ma non picchiava Fay... un po' di dignità morale e di decenza sempre morale la voglio dare ai miei personaggi che siano bastardi o povere vittime. Né ha cercato di uccidere Fay, altrimenti sarebbe morta già da un pezzo. L'aborto lo escluderei per gli stessi motivi per cui non ho fatto picchiare Fay da Tony. Non lo giudico una scelta che un essere umano possa fare con coscienza, con tutto il cinismo che mi pervade che mi porta a dire "Ah è morto. Poverino." con tutta l'enfasi che si può mostrare davanti ad un muro bianco.
Si è creata un'atmosfera pesante... eh? Scusami per aver messo questo capitolo in ritardo ma solo adesso (mercoledì 27 gennaio 2010 alle 17:55) mi rendo conto di aver messo il sesto capitolo per finta... e pensare che non volevo mettere il settimo finchè tu non mi dicessi come ti pareva il sesto... Bah... sono proprio un'ingrippata. Grazie ancora per leggermi :D

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Capitolo 7
*** Italicus acetus ***


"Essere diverso, ossia non essere qualcos'altro,
non significa non esistere".




Dopo giorni e giorni di pioggia continua e martellante, che aveva accompagnato gli abitanti di Chesapeake Avenue per quasi dieci giorni, il sole rispuntò timidamente tra le nuvole grige e restituì, seppur in parte, il sorriso a Cora. Si aggirava per la casa come il fantasma del buonumore, mentre Fay la osservava con circospezione. Dopotutto il cambiamento era stato repentino: solo il giorno prima era restata tutto il tempo rinchiusa in camera, piagnucolando e dormendo.Aveva cominciato a parlare ed ad uscire e un giorno parlò persino con sua madre. Parlarono di argomenti banali, senza nominare il padre, poiché secondo Cora avrebbe fatto male ad entrambe. Fay, dal canto suo, cominciò una nuova vita e ad essere meno pungente con la figlia, pensando che ora che era andato via per sempre poteva lasciarsi indietro il passato. Il vicinato, vedendo madre e figlia più unite del solito, iniziò a sospettare qualcosa, alcuni addirittura dicevano che avessero ucciso il marito, che fossero complici, ed altre strane voci che arrivarono alle orecchie di Elizabeth. Non avendo ancora finito gli interrogatori in giro per la periferia, scoprì moltissime cose, molto interessanti per una casalinga, che viveva la vita come se fosse in un film, ma non per Elizabeth. Si trovava spesso a dover dire di non far parte di nessuna squadra anticrimine, né di dire a profusione "Elementare", né di essere una spia dai modi bruschi, anche se molte persone avevano di che protestare su quest'ultimo punto. Mentre le sopracitate casalinghe le narravano le notizie fresche di giornata, non prive di una certa comicità, Elizabeth pensava al giorno prima. Dopo che Dalia le illustrò  i dati raccolti, le raccontò della sera precedente e della preoccupazione sua e di Victoria. Elizabeth appena aveva saputo ciò che aveva provocato, si precipitò dall'amica, che a dispetto di ogni più rosea previsione, che prevedeva una strigliata o uno squartamento, a seconda dei casi, la accolse in casa sua come se niente fosse. Passarono il resto della giornata a fare compere e a ridere come bambine, sembrando alle commesse e a qualche intimorito cliente povere decerebrate dal portafogli generoso. Il fatto che Victoria non le avesse detto niente mise in uno stato di agitazione Elizabeth, del tutto particolare il lei, che era abituata a far scorrere via le proprie emozioni e preoccupazioni come se fossero acqua. Quel giorno tuttavia dopo averci pensato molto, arrivò alla conclusione che non le avesse detto nulla proprio per non farle pesare addosso la propria preoccupazione. Elizabeth si sentiva responsabile. E sentirsi responsabile era molto peggio di uno squartamento.
Quel giorno, però, avrebbe finito tutte le persone da interrogare e decise di dedicare il primo pomeriggio ad una piacevole visita alla vedova Calamy, per mettere in luce alcune cose, le quali, semmai fossero restate oscure, le avrebbero dato un posto d'onore nella lista dei sospetti. Nella lista secondo Dalia sarebbero dovuti entrare anche la madre di John, ma non aveva ancora sentito la sua versione dei fatti, e il fratello di questa, di cui Dalia aveva raccolto le impronte, ma sia di nome che di volto restava ignoto.Elizabeth non sapeva da dove cominciare per scoprire la sua identità e procedeva su Chesapeake Avenue senza meta col naso all'insù, pensando ad una possibile pista o a qualcosa che i vicini della signora Truman si erano fatti sfuggire. Sicuramente però il cognome Truman era del marito, quindi il suo vero cognome qual'era? Il filo dei suoi pensieri fu interrotto da uno squillo che la fece sobbalzare in uno strano modo, simile ad un attacco improvviso di singhiozzo. Dopo essersi accertata che non fosse la sua immaginazione, ma il cellulare, accettò la chiamata.Data l'esperienza di due giorni prima, aveva sempre la suoneria al volume massimo. Non voleva che si preoccupassero per lei. Non lo meritava.
"Pronto. Sono Elizabeth Boudelaire."
"P...Pronto?" -Oddio no... ti prego... tutti ma non lui.- "Pronto Elizabeth? Sono io John!"
"Ciao John!" disse con voce di miele."Come hai avuto il mio numero?"
"Ehm... non so se te lo posso dire... me lo ha dato Peter..."
"Come lo conosci?" Era sorpresa e una vena di isteria le colorava la voce.
"Mamma lo conosce... A proposito! Mi stavo dimenticando il motivo per cui ti ho chiamata. Mamma è a casa quindi se le vuoi chiedere qualcosa... Cioè se vuoi venire la trovi. Io non sono a casa, ma proprio ora ho saputo che è tornata. Sicuramente la trovi."
"Oh John grazie!" -Ti ammazzo...- "Sono proprio nei pressi di casa tua, non potevi scegliere momento migliore!" Se fosse stato possibile tramutare le sue parole in dolci e zucchero, sarebbe morta all'istante.
"Ok... forse ci becchiamo..."
"Sicuramente... allora a dopo!"
"A dopo."
Elizabeth gli chiuse il telefono in faccia. Ribolliva di rabbia: come al solito non era riuscita a dire le cose come stavano, ma soprattutto non riusciva a capire come mai Edward non le aveva detto di conoscere la madre di John. Gli aveva parlato mille volte del caso che stava seguendo, ma non le aveva mai detto niente. Accecata dall'ira si diresse a passi più grandi della prima volta verso quella casa per la seconda volta. Salì per la seconda volta le scale bianche e suonò per la seconda volta il campanello. Una voce all'interno disse, ma praticamente cantò, un "Arrivooo!" e una donna aprì la porta. Elizabeth non poteva credere ai propri occhi: non aveva mai guardato le altre donne con invidia, ma questa donna avrebbe scatenato l'invidia di Miss Universo, se per qualche assurdo motivo non fosse stata lei. Aveva lunghi capelli biondi e luminosi, come le pareti della sua casa e, proprio come quelle, sembrava che avessero luce propria. Indossava un corto vestitino nero senza maniche e a collo alto, che contrastava con la sua pelle candida e perfetta e con il resto della casa. Nonostante fosse sulla quarantina non dimostrava affatto i suoi reali anni: sembrava una ragazzina, forse anche per la sua modesta altezza. I suoi occhi grigi con una sfumatura verde la guardavano interrogativa.
"Posso fare qualcosa per lei?" aveva l'accento italiano e la erre francese, il tutto rendeva il suo inglese molto stravagante.
"Ehm..." Era rimasta senza parole per un attimo. "Sono Elizabeth Boudelaire." le tese la mano.
"Piacere, Eleanor Truman."
"Sono venuta qui per farle alcune domande sul caso Hutton."
"Ah... Per Tony? Che disgrazia..." Quest'ultima parola in italiano spiazzò definitivamente Elizabeth, che la guardava in modo strano, senza ritegno. "Ma dopotutto si era fatto davvero molti nemici. Avrebbe dovuto essere più cauto..." A causa della erre Elizabeth non riusciva a seguire bene le sue parole.
"Come mai?" chiese con curiosità. Stava diventando una di loro, una casalinga avida di notizie e pettegolezzi. -Oddio...-
"Si accomodi prego..." disse Eleanor, allontandosi dalla porta e facendole segno di entrare con la mano.
Entrò in casa avendo l'impressione che fosse cambiato qualcosa. Guardava con occhi spalancati, muovendo la testa per osservare meglio.
"Non sei mai venuta qui? John mi aveva detto di si." le chiese la padrona di casa.
"Si, ma le scale mi sorprendono sempre..." mentì Elizabeth con voce ammaliata.
Si accomodarono sul divano bianco. Elizabeth sperava con tutto il cuore, a differenza dell'ultima volta, che Eleanor non le offrisse nulla. In ogni casa in cui era andata quella mattina, tutti le avevano offerto qualcosa. Ad Elizabeth sembrava fosse maleducato entrare in casa altrui e rifiutare i loro evidenti sforzi di apparente ospitalità, quindi accettò ogni cosa le venisse offerta tra pasticcini, bevande, torte, biscotti, caramelle e quant'altro. Tuttavia sapeva che le sue speranze fossero vane. I suoi pensieri furono interrotti dalla voce di Eleanor.
"Non ti offro niente, spero tu non ti offenda. Ti ho visto andare su e giù per questo viale... Immagino quante cose ti abbiano offerto le mie vicine..." e ridacchiò.
Elizabeth la guardò stupita, così così stupita che Eleanor lo interpretò in modo errato: "O vuoi della crostata di more?"
"Oh... No, grazie... Siete la prima che si preoccupa veramente del mio stomaco. Tutte le casalinghe con cui ho parlato non mi hanno mai dato del tu e tutte mi hanno offerto tutto il loro frigo..."
"Non sono una casalinga... forse per questo..."
"Si, forse per questo."
"Nel quartiere mi hanno sempre visto come una presenza... inquinante, credo che sia il termine adatto." sospirò.
"Conosceva il signor Hutton?"
"Per niente. Non gli ho mai parlato. Appena mi trasferii qui venne la moglie, ma la cacciai via in modo brusco. Mi pento ancora di non averla trattata bene, ma allora ero ancora molto giovane e fresca di divorzio. Ero da sola e con un figlio in un quartiere, la cui fama di "quartiere dei pettegolezzi" teneva lontano molte persone.Vedendo quindi una delle maggiori "pettegolatrici" del quartiere con un sorriso sulle labbra con tanto di torta e marmellata, giudicai quell'atto di ipocrisia e non come segno di disponibilità."
"Quindi non aveva mai visto il marito?"
"Rare volte e per di più di sfuggita. L'unica volta in cui lo vidi per più di dieci secondi fu ad un funerale." e sospirò. "Andai lì solo per scusarmi e parlare con la signora Hutton, ma non ebbi abbastanza coraggio per parlarle. Rimasi a fissarla per tutto il tempo cercando le parole adatte. Lei invece guardava John in modo piuttosto strano, con curiosità. Pensai subito al peggio e feci in modo di non farglielo più vedere, ma poi giudicai il mio agire some una scusa per farmi notare da lei. Pensavo che se non lo vedeva, sarebbe venuta qui per vederlo." e vedendo gli occhi confusi di Elizabeth, aggiunse: "Si vede che ero proprio giovane ed ingenua!" e scoppiò in una fragorosa risata. Elizabeth fece una risatina nervosa: era piuttosto a disagio con lei e non sapeva spiegarselo.
"Conosce la vedova Calamy, quindi, per essere andata al funerale di suo marito..."
"Non la conosco bene, come Tony e la signora Hutton. Dopo che la signora Hutton venne qui da me, la vedova Calamy sparse notizie su di me per tutto il quartiere molto cattive a dir la verità: dato che avevo un figlio piccolo e che non fossi sposata, diceva fossi una prostituta arricchita che si era dovuta ritirare a causa del figlio o roba del genere.Dissero addirittura che John fosse stato adottato." Ridacchiò. "E questa volta non gli diedi torto."
"C...cosa?" disse Elizabeth, colta alla sprovvista. "Lo avete adottato?"
"Si. Lo trovammo in un orfanotrofio di una città vicina. Era piccolissimo, tra i sette e gli otto mesi. Lo avevano abbandonato proprio davanti all'entrata."
"Quindi per una volta ha avuto ragione..."
"Oh beh... non si può dire che non avesse avuto ragione pure altre volte. Non è sempre vero che i pettegolezzi sono cose inventate, come le leggende c'è sempre un fondo di verità. Basta sapere quanto sono affidabili le fonti."
"In che senso?" Elizabeth era confusa. I pettegolezzi nascondono un fondo di verità?
"Come tu avrai imparato in questi giorni, la maggior parte delle volte i pettegolezzi non sono altro che frutto di invidie farneticazioni di donne senza occupazione, se non quella di godere dell'infelicità del prossimo o del diverso. Tuttavia la voce che girava al tempo della morte di Robert Calamy, attribuita alla moglie con la complicità di Tony Hutton, era giudicata da molti vera.  Prima ancora si diceva che i due avessero una relazione, più tardi che ce l'avesse La moglie di Hutton. Qualche anno prima della morte di Robert, la signora Hutton e l'allora signora Calamy, litigarono per poi non parlarsi mai più. Entrambe erano compagne inseparabili al liceo e il loro duo femminile era reso più interessante dalla presenza maschile di Tony. Andavano ovunque senza separarsi mai; il loro rapporto iniziò a raffreddarsi quando Tony annunciò il matrimonio con la sua futura moglie. I genitori di lei acconsentirono, all'oscuro del fatto che lei fosse incinta. Di chi non si sapeva e non si sa tutt'ora; il bambino nacque dopo otto mesi dal matrimonio e fu liquidato dicendo che fosse prematuro. Ebbe vita breve però e morì a sette mesi. La signora Hutton diede la colpa a Tony e tentò di avvelenarlo; ci riuscì ma non del tutto. Dissero a tutti che Tony subì un avvelenamento da cibo. La vedova Calamy non disse nulla e anzi appoggiò la scusa dei due. "
"La signora Hutton mi aveva detto il tentato omicidio. Ma che ne fosse a conoscenza anche la vedova..."
"Non lo sapeva e non lo sa tutt'ora." la interruppe Eleanor."La vedova e Tony erano davvero amanti. Questo spiega pure come mai da che erano inseparabili si sono allontanati. A dirla tutta la vedova Calamy avrebbe dovuto sposare Tony, ma a quanto si dice entrambi erano interessati al patrimonio della signora Hutton in quanto figlia del conte e della contessa. Non so di cosa... La signora Hutton inseguiva la vedova Calamy, che invece era infatuata se non innamorata di quell'uomo affascinante." e vedendo lo sguardo incredulo di Elizabeth aggiunse: "Se non era un bel vedere adesso non significa che quando era più giovane non fosse affascinante..." ridacchiò e riprese: "La vedova Calamy non sapeva che Tony avesse proposto il matrimonio alla signora Hutton per i suoi soldi. Quest'ultima era innamorata di un ragazzo biondo, a quanto si dice vero padre del bambino che poi nacque. Sposò Tony per nascondere la sua gravidanza che per altro."
"Quindi la signora Hutton e il signor Hutton si sposarono entrambi per convenienza. E lui mantenne in vita la relazione con la signora Calamy sicuramente assicurandole che faceva tutto parte di un piano.Data la difficoltà per gli incontri di nascosto con il suo amato, la signora Calamy diventa la vedova Calamy, ma questo succede dopo che gli sposini si trasferiscano. Prima la signora Hutton e Il signor Hutton si sposano e nasce il bambino..." rimase sovrappensiero mentre Eleanor la guardava. Si riscosse."Come si chiamava il figlio della signora Hutton?"
"Credo... Jack...no..." ci pensò su."Un nome con la j...ah già come ho fatto a scordarlo. John, come mio figlio."
"Come fa a sapere queste cose senza frequentare nessuno?"
"Te l'ho detto. Bisogna avere fonti affidabili ed io modestamente ho il mio giornale di gossip personale. Mio fratello" aggiunse vedendo la curiosità di Elizabeth. "Mio fratello ha un ristorante e grazie a questo riesce a sapere molte cose... soprattutto quando i clienti sono ubriachi!" e rise di nuovo fragorosamente.
Elizabeth stava per svenire. "Grazie, sopratutto per il tè non offerto..."
"Di niente." disse con una dolcezza dimenticata da Elizabeth in quei giorni fatti di ringraziamenti isterici.
Eleanor l'accompagnò alla porta e notò l'agitazione di Elizabeth, ma non le disse niente finché non fu all'ultimo gradino.
"Sei troppo sincera. Non sopravviveresti nemmeno una settimana in questo quartiere."
"Non capisco..." e non intendeva il significato delle parole della donna.
Eleanor le sorrise e chiuse la porta. Elizabeth ripercorse il viale più confusa che mai.

"Devi essere più cauto... ho cercato di farle credere che sia stata la moglie."
"Scusami, ma non so come comportarmi. Non mi sono mai trovato in una situazione del genere."
"Sii più cauto e smettila di lamentarti."

Elizabeth era in agitazione. Le informazioni raccolte, la scoperta del fratello di Eleanor, il suo essere incauta, tutto la faceva pensare, mentre si avviava al ristorante di Chesapeake Avenue. Ora che ci pensava, proprio il giorno in cui andò per la prima volta a casa di Eleanor fu quando conobbe Edward. Una goccia le rigò il viso, ma l'asciugò prima che raggiungesse l'altezza del naso. Si sentiva presa in giro e non lo poteva accettarlo. Raggiunse la fine del vicolo ed entrò dentro sbattendo le porte. I primi clienti  della sera la guardavano scandalizzati , mentre Edward la guardava interrogativo e nel contempo le sorrideva dolcemente. Elizabeth lo incenerì con lo sguardo, mentre si avvicinava a lui, e lo prese per la collottola, trascinandolo fin dentro la cucina, sbattendo di nuovo le porte, sotto gli occhi sempre più scandalizzati dei presenti.
"Narumi fuori." disse Elizabeth, guardando intensamente Edward. La cuoca non se lo fece ripetere due volte, precipitandosi dentro la sala.
"Che..." la guardava più interrogativo di prima. Elizabeth non lo sopportava.
"Te lo dico io cosa succede. Tu" e gli puntò un dito contro. "Tu hai avuto il coraggio di mentire a me. Io che mi sono fidata ciecamente di te"
"Ma c..."
"Come, dici? Non dicendomi di avere una sorella tanto per cominciare."
"Non mi sembrava i..." sembrava avesse capito.
"Importante? Io ti ho affidato tutto, ti ho raccontato ogni cosa di me, chissà quante volte ti avrò parlato del figlio di tua sorella, ti ho dato fiducia e ti ho dato..."
non riusciva a dirlo. Varie gocce le rigarono per la seconda volta il viso. "Io ti ho dato il mio cuore"sussurrò "e tu..." lo lasciò andare e si diresse verso le porte.
Edward le prese il braccio, fermandola e l'abbracciò. Elizabeth si appoggiò a lui, piangendo come non aveva mai fatto in tutta la sua vita.
"Scusami, ti prego. Scusami. Sono stato un idiota."le sussurrò in un orecchio e la baciò. Elizabeth si lasciò andare completamente nelle sue braccia, mentre la sua camicetta scivolava via.


Finalmente, l'ho finito. Yuppi-du! *Foche fanno quel verso inscrivibile*
Prima di passare al sodo devo dare un annuncio: non odio le casalinghe, ma odio gli inciuci (spetteguless, gossip o come cavolo li chiamate). E ora le cose importanti...
Con questo capitolo avete visto Elizabeth in tutte le salse. Vi dirò: questa storia l'avevo già scritta precedentemente e mi avevano criticato la mancanza di un profilo ben definito di Elizabeth. Così mentre il capitolo sette ( tra l'altro ultimo perché il mio pc si ruppe e non sono potuta andare avanti) doveva finire con Elizabeth che di allontanava dalla casa di Eleanor, ho modificato un po' il dialogo con lei, Eleanor  ride di più, è diversa da come era all'inizio  e ho mostrato quanto sia veramente innamorata di Eddino mio (xD) e quanto si incavola quando si gioca con lei. Forse la sua reazione può essere giudicata un po' eccessiva, dopotutto non dire di avere una sorella è sorvolare e non mentire. Tuttavia se avete letto con attenzione e non alla "saint frasau" ( "san frasò" per chi di pronuncia francese non capisce un H come me... anche se non credo sia un modo di dire francese e non credo si scriva così) avrà notato che Eleanor dice: "Mio fratello...etc... riesce a sapere molte cose... sopratutto quando i clienti sono ubriachi!"  Ho usato questa frase per delineare ancora meglio Elizabeth: sin dall'inizio è una donna per certi versi forte, si vede anche dal fatto che non si scompone davanti a niente, nemmeno davanti ad un cadavere nudo e grasso(io caccerei un urlo... bleah!). L'episodio dell'ultima parte del capitolo mostra come in realtà lei sia piuttosto debole... proprio come me (accidenti!).
A dire la verità io farei proprio come lei: lo umilierei davanti a tutti e poi lo ridurrei una pezza. Tuttavia non "me lo farei" mai in una cucina: è scomodo e antigienico.E sicuramente l'acciaio freddo dei ripiani, la gente in sala che origlia, Narumi che dice "Zitti!"... tutto questo provocherebbe non pochi problemi.
 Ma volevo mettere un po' di amore... anzi sarei andata pure più in fondo, arrivando al momento clou. Però avrei dovuto mettere la storia tra gli avvertimenti "Lemon" e mettere l'arancione, tutto sto casino per un solo capitolo... mi scoccia sapere che poi lo leggeranno solo perché c'è scritto "Lemon" e se proprio vi interessa faccio un capitolo a parte alla fine della storia. A proposito di fine della storia... Wow sono al settimo capitolo! Io volevo accorciare rispetto alla prima volta, invece ho allungato di brutto. Secondo il "progetto" iniziale non avevo previsto nessun risvolto amoroso, Fay era una zia Petunia (quella di Harry Potter... dai che la conoscete tutti!), Eleanor una meretrice, Peter ... rimaneva Peter, Elizabeth schiattava ( ma forse non tutto è perduto ancora! Muhahahaha) e il tutto finiva in tre, massimo quattro capitoli. A dire la verità volevo fare una One-shot, ma... non è cosa mia e lo dimostrano i commenti lunghi quanto il capitolo. Se vi chiedete se Eleanor sia...si è italiana. Nata in Italia (a Napoli... tenn' o cor' napulitan'), cresciuta in Francia, trasferitasi in Gran Bretagna per lavoro ci è rimasta (non mi dite che non l'avevate capito che si svolgeva lì... che diamine mica può essere... chessò un altro paese... piove sempre... oddio adesso che ci penso l'unico luogo dove piove un sacco, dopo la costa occidentale di Honshu, è proprio Forchette... Forks per chi non ha capito la sottile ironia). Edward invece è stato mandato sin da piccolo in un collegio in Gran Bretagna. Frato e sora si sono visti negli anni dopo il liceo. Vabbè ma chissenefrega!
Il fatto che ho detto all'inizio, ovvero l' "Elementare a profusione" non è una dimostrazione di disprezzo. Avevo bisogno di simboli dell'investigazione riconosciuti da tutti e ho preso CSI, il mio piccolo e caro Olmi e qualche film di spie. Quindi ribadisco: dire "Elementare" a profusione è fiko! Lo è ancora di più se hai un amico stupidottero di nome Watson, ma questa è un'altra storia...
Nel frattempo che scrivo ci sto ripensando al "sesso in cucina" e molto probabilmente se non piacerà alla mia fan (Emily... sempre nel mio cuore!), mi sa che lo modifico... Hmmm...
La frase del capitolo è di Melisso (filosofo greco) non mia, ha ispirato Eleanor ed è la mia filosofia di vita, anche se secondo me Melisso intendeva altro.
Se siete curiosi di leggere i capitoli ciofeca, li ho ancora nella chiavetta (USB), e se riceverò l'ok da qualcuno io li metterò alla fine, come il capitolo della ... Hem Hem... cu...hem...ci....hem...na....! Che tosse oggi!
  
Have a Kitchen Se...ops... nice day!

P.S. Per chi mi segue con attenzione forse importerà sapere che i capitoli li aggiornerò d'ora in poi con un po' più di ritardo(forse) e molto probabilmente faranno più schifo degli altri, dato che come ho detto non sono mai andata oltre il settimo capitolo... non so quanti saranno ma (ancora) molto probabilmente, anzi sicuro, non più di dieci... respirate e gioite!
P.P.S. Nel capitolo precedente, quando Dalia parla a quella che crede Elly, dice: "... sai che in Giappone...", mi riferivo ai Cat Cafè. Lo sapete che in Giappone ci sono dei bar dove affitti un gattino cucciolo mentre sorseggi tè verde?

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EmilyDoyle: wow non hai capito chi sta nel letto? fiu! Io credevo fosse facile da capire... ti dirò, ho sempre paura di aver detto qualcosa di troppo! E sono ancora più sollevata nel sapere che non hai ancora scoperto chi sarà... questa volta mi è venuto tutto lunghissimo. Spero non ti sia annoiata a leggere questo capitolo. L'8 non so quando lo metterò... ancora lo devo finire e ancora devo decidere cosa metterci... è tutto così complicato!

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Capitolo 8
*** Neces atque terminus ***



"Sapevo che lo avresti fatto.
Sei troppo sentimentale."


Si risvegliò dopo una dormita lunghissima, rigirandosi nel letto.
Il giorno prima aveva proprio perso la testa: dopo essere stata nel ristorante di Edward per mezz'ora, quest'ultimo decise di chiuderlo prima, con molto disappunto di Narumi e degli altri clienti e di riaccompagnarla a casa. Durante il tragitto, Elizabeth mormorò qualcosa in proposito alle sue chiavi, forse di aver dimenticato le sue chiavi a casa di Dalia e poi, per quanto le riguardava, scivolò tutto nel buio. Si risvegliò nella stessa stanza in cui si ritrovò quando vide quel tizio sconosciuto che dormiva vicino a lei. Rimise a fuoco il giorno prima, pensando a quanto fosse stata stupida e patetica. Si gettò di nuovo nel cuscino morbido e ripensò a quello che era accaduto nelle ultime due settimane, così dense di avvenimenti che sarebbero bastati per una vita... breve ma intensa. Scivolò in un breve sonno e si risvegliò a causa di un tintinnio. Quelli del tipo di ferro che sbatte contro il vetro. Si mosse con uno sbadiglio e si mise seduta, tenendo sempre gli occhi chiusi.
"Ciao".
Aprì gli occhi e si ritrovò davanti Edward. Non riusciva a capire.
"Buo... Buongiorno..." sbadigliò e si toccò i capelli più confusa che mai.
"Buongiorno anche a te". e le diede un bacio sulla guancia. Si scostò e continuò: "Anche se sarebbe più corretto dire Buon pomeriggio... Sono le tre." aveva in mano un bicchiere pieno d'acqua e mescolava con un cucchiaino.
"Ho dormito così tanto?" Era veramente stupita, non le era mai accaduto.
"Si. Comunque potresti abbassare di poco la suoneria del tuo cellulare. Ha fatto spaventare tutti quanti." ridacchiò e riprese: "Dovevi vedere la povera Katherine... ma tu non la conosci vero? Ha chiamato la tua amica Dalia: era parecchio preoccupata, soprattutto perché ho risposto io. Mi ha accusato di averti ucciso e di averti tagliato a pezzi e nascosta chissà dove. Non le avevi detto di me?"
Elizabeth scosse la testa, senza dire niente e tenendo gli occhi bassi.
"Non importa" e sospirò. "Le ho detto chi ero e si è scusata molto imbarazzata. Mi ha riferito comunque che Victoria, non so chi sia, ha raccolto tutti i dati del caso e mi ha detto anche che, testuali parole, la pagherai per non averle detto niente".
Elizabeth rise imbarazzata, mentre Edward le porse il bicchiere.
"Cos'è?" chiese, mentre beveva.
"Acqua e sale". 
Elizabeth sgranò gli occhi, pensando a un mucchio di cose contemporaneamente nel giro di due secondi, il tempo che si concesse Edward di fissarla negli occhi e di riderle in faccia.
"Volevo solo testare la tua prontezza di riflessi." disse tra le lacrime. "Dovresti vedere la tua espressione ora..."
Elizabeth lo guardò contrariata, cambiando immediatamente espressione. Edward diventò più serio e disse: "Dovresti avere più cura di te stessa. Ieri non stavi affatto bene. Cosa hai fatto? Ti sei fatta un bagno in un lago gelato sotto la pioggia? Fino a due ore fa avevi ancora la febbre."
"Non so." Fece un ampio respiro e disse: "Non ricordo quasi nulla di ieri. Non so nemmeno come ho fatto a trovarmi qui." e aggiunse: "Questa è casa tua?"
"Si. Ma tu sei già stata qui".
"Come mai tutte le volte che vengo qui, non ricordo mai come ci sono finita?"
"Hai la memoria corta, allora."
Elizabeth poggiò il bicchiere sul comodino vicino il letto e si ributtò per la seconda volta sui cuscini. Dopo qualche minuto ruppe il silenzio.
"Ma, allora, chi era quello che dormiva con me?"
"Mio fratello... a dire la verità questa sarebbe la sua stanza..."
"Dovrei tornare a casa... Ma credo di aver lasciato le mie chiavi di casa da qualche parte". Diceva questo, ma in realtà pensava a tutt'altro. Pensava di nuovo al giorno prima: lentamente riaffioravano nuovi ricordi , che la facevano pensare sempre di più. Edward la osservava: mentre lei guardava il vuoto, dentro di lui si muovevano vorticosamente domande e pensieri, ma più la guardava e più non sapeva cosa dirle. Si riscossero quasi contemporaneamente dai loro pensieri. Elizabeth mosse la testa e sbadigliò ancora.
"Devo proprio andare allora... è così tardi. Grazie per il tuo aiuto, ma ieri non doveva andare a finire in quel modo." Proprio in quel momento, le riaffioravano i ricordi subito dopo che uscì dalla casa di Eleanor, quando stava nel ristorante. Edward le accarezzò la guancia.
"Credi sia stato uno sbaglio perdonarmi?" aveva capito subito cosa la turbava.
"No..." Appoggiò la testa sulla sua mano. "Solo che..." Ora le accarezzava i capelli e li odorava. "Solo che?"
"Niente" e lo baciò. Non sapeva resistere.

Si trovava appena fuori la casa di Victoria. Il tempo nuvoloso incombeva su Elizabeth, che si sentiva sopraffatta da tutta quella massa di nuvole grigie, che creavano quella cappa asfissiante che si era già manifestata due settimane prima, all'inizio dell'estate e l'inizio di tutto. Aveva in mano alcuni dati, che l'amica aveva scrupolosamente raccolto unendo le varie confessioni delle varie persone del quartiere, o "piacevoli discussioni", come era solita definirle Elizabeth, le prove raccolte da Dalia e i risultati dell'autopsia. Elizabeth guardava indecisa la busta gialla che conteneva questi dati davanti la porta della casa di Victoria, non sapendo bene cosa aspettarsi. Assalita dai dubbi, se aprire dopo la busta e scoprire così cose che le erano sfuggite e molto probabilmente l'assassino davanti quella porta bianca oppure contemplarne il contenuto con calma. Preferì quest'ultima ipotesi e di non aprirla subito, prolungando tuttavia così il suo senso di  inquietudine, e si diresse sempre più agitata verso casa.
Scelse il percorso più lungo, anche se la casa di Victoria distava molto dalla sua casa: attraverso il parco con tutti i rumori del primo pomeriggio, con tutti i bambini che con le loro grida di gioia scatenavano le ire delle madri e lo sconcerto dei passanti; tra gli alberi silenziosi e pieni di fogliame verde, nei quali si nascondeva qualche passero timido che fischiettava e qualche animaletto raro da vedere; nelle strade affollate di gente, ognuno intento a badare ai propri complicati affari; tra le vetrine dei negozi, sfavillanti e meravigliose che attiravano curiosi; vedendo questi spettacoli quotidiani con l'occhio estraneo di chi non si sente partecipe di quello che accade intorno a sé. Ebbe modo di ripensare a tutto quello che era successo e pensò bene che se proprio doveva finire, era meglio se tutti coloro coinvolti in quella faccenda fossero presenti insieme per districare il filo che legava le loro vite. Si ritrovò in un baleno davanti casa, senza sapere come era finita lì. Aprì la porta di casa e si gettò sul divano, strappando la busta senza danneggiarne il contenuto. Osservò i fogli nelle sue mani e iniziò a leggerli.
Dopo aver finito di leggere, posò i fogli su un tavolino. Anche se già intuiva cosa poteva essere scritto in quella busta, non voleva pensarci. Tuttavia nel momento in cui finì di leggerli tutto le parve chiaro, in quel preciso istante tutto le sembrò semplice, anzi di semplice soluzione. Pensò di essere stata troppo impulsiva e avrebbe dovuto essere più cauta, ma ormai l'aspettava solo la fine.

Alla sua destra c'era sua madre che girava la testa nervosamente a destra e a sinistra. Dall'altro lato la madre di John. Era la prima volta che la vedeva e credeva fosse più... più... più somigliante a John. Quest'ultimo si trovava distante due sedie dalla madre, credeva avessero litigato, e tra di loro vi era la vedova Calamy.
Ed eccoli lì, tutti insieme, controvoglia, ingannati da un invito ad una festa fasullo, inviato giorni prima molto probabilmente da quella donna dal cappotto rosso. Cora non ricordava bene come si chiamasse. Ricordava una Eli, ma il resto era nell'oscurità. Pensava a un possibile nome che iniziasse per "Eli", senza la minima preoccupazione, sensazione che invece predominava sulle altre e stava asfissiando il resto dei presenti come un gas nocivo. La vedova Calamy tormentava un fazzoletto di stoffa verde acqua ricamato; la signora Hutton fissava punti qualsiasi nella stanza per molto tempo, per poi cambiare subito punto da fissare,nervosamente; la signorina Truman si girava i pollici e osservava le proprie mani, pensando che nessuno avrebbe mai avuto delle mani più belle; John semplicemente bagnava la camicia che indossava, senza fare niente, guardando il vuoto, apparentemente.
Rimasero lì a pensare ai propri scheletri nell'armadio, al forno acceso, alle magnolie bruciate dal sole, alle proprie vite, ad ogni cosa prima che John si alzasse con la testa obliqua. Rispetto alle altre era lontano dalla porta d'ingresso, ma vicino alla cucina. Erano stati invitati al ristorante alla fine dei due viali, Chesapeake Avenue e Carnavon Avenue, uno dei migliori della città, se non il migliore tra tutti. Ragionando si può anche capire perché quella donna scelse quel ristorante. Una scelta che puntava, con molta malizia, alla gola delle vittime, che cogliendo al volo l'opportunità di mangiare bene e, sopratutto, gratis, quindi a sbafo, sarebbero caduti immediatamente nella trappola, non curandosi di vedere chi fosse invitato. Era un piano semplice ma con qualche possibile inconveniente che non valutava, ad esempio, l'orgoglio e l'ego smisurato delle casalinghe, come la vedova Calamy, che tendono a vantarsi anche per una scopa nuova. Ma la donna dai capelli ricci sapeva bene che la signora Hutton e la signorina Truman non parlavano con le vicine e la vedova Calamy aveva ben altre cose a cui pensare, dato che precedentemente la strana donna le aveva comunicato di essere l'indiziata numero uno per il caso Hutton. Ora però ci si stava chiedendo perché quella donna non era ancora arrivata. E nel pensare John, dalla sua postazione privilegiata, abbassò gli occhi e notò che la moquette vicino alla porta della cucina era più scura rispetto alle altre parti. Si alzò, quindi, tenendo la testa obliqua, come un bambino curioso, in un atteggiamento di strana curiosità. Guardò attraverso i vetri rotondi delle porte in noce, non vedendo niente, mentre le donne lo guardavano, con una curiosità diversa dalla sua, quasi febbrile. Cora si avvicinò a John. John si girò e senza dire una parola posò una mano sullo sportello in noce, mentre la vedova Calamy stava facendo un grande sforzo di volontà non parlando. Indugiò ancora un po' con la mano, non sapendone il motivo, finché decise di averne abbastanza e spinse. Una strana sensazione, un brivido che gli partiva dal basso della colonna vertebrale fino alla nuca, facendolo tremare e sudare freddo, lo aveva fermato. Cora lo guardava immobile finché non afferrò il braccio del giovane, non permettendogli di aprire la porta. Aveva anche lei quella stessa sensazione, di sbagliato, di un qualcosa che non andava. Perché Elizabeth (si era ricordata il nome) si era data tanta pena per raccoglierli tutti insieme in modo da ottenere tutti dalla stessa persona risposte che non avrebbero mai avuto? C'era qualcosa che non andava. Mentre lo comunicava sottovoce, abbassò lo sguardo e notò anche lei la macchia sulla moquette. Si accovacciò senza dir niente e toccò la macchia. Strusciò la mano sopra, notando che era bagnata disse:
"E' solo un po' d'acqua..." e poi ricolta a John: " Sicuramente verrà. Stanne certo."
Si alzò e un urlo squarciò quella strana atmosfera di silenzio forzato. Cora, quasi per istinto, che per intenzione, si portò una mano alla bocca e allora si accorse che era rossa. Di un rosso strano, che difficilmente si può trovare uguale, e la mano era proprio quella che aveva appoggiato sulla moquette. Alzò lo sguardo e vide gli occhi di tutti spalancati: chi dalla paura, chi dallo stupore, chi dall'orrore ma tutti spalancati. Ci fu un attimo in cui tutti si guardarono negli occhi e capirono esattamente cosa c'era dietro la porta di noce. Rimasero a fissarsi per avere una conferma dagli altri, confortandosi a vicenda in un gioco silenzioso in cui solo gli occhi giocavano. Cora distolse lo sguardo da tutti, guardandosi la mano ancora una volta, il sangue rappreso sui polpastrelli e nell'arco tra il pollice e l'indice, nelle linee bugiarde del palmo e nelle giunture delle falangi. Strinse quella mano in un pugno e lo diede proprio in mezzo allo spiraglio tra le due porte di noce, che si spalancarono l'una sbattendo contro il muro, l'altra contro qualcosa di morbido.
Cora emise un gemito e crollò sulla moquette rossa come il sangue caduto da quel collo bianco, lo stesso sangue che aveva colorato di cremisi le mattonelle bianche dell'ampia cucina, riempiendo ogni angolo. A quel rosso puro, innocente, si aggiungeva, contaminandolo, un rosso più scuro che sgorgava da polsi tagliati di un uomo. Entrambi erano a poca distanza, l'uomo stringeva la mano della donna e il viso era rivolto verso di lei, lei che restava impassibile a quel tocco, le guance senza colore, gli occhi cerchiati di un verde malsano, le palpebre costrette a chiudersi, per non imprimere nella mente di colui che fece quel gesto ignobile gli occhi senza vita dei morti. Nonostante giacessero entrambi in un lago rosso, l'uomo viveva ancora, un flebile respiro riempiva il silenzio che si era impossessato della sala.
La signorina Truman, dopo un lungo attimo di sbalordimento, si precipitò verso il fratello, non potendo credere ai propri occhi. Si avvicinò al suo viso, per sentire il respiro affannoso di Edward. In un soffio le disse: "Mi dispiace. Non potevo vivere pensando per sempre a lei." Disse le ultime sue parole chiudendo gli occhi. Eleanor gli posò due dita sul collo. Niente. Oramai era finita, lo sapeva.
"Sapevo che lo avresti fatto. Sei troppo sentimentale."  gli sussurrò. Sapeva sin dal primo momento che l'idea folle del figliastro di aiutare il vecchio a tirare le cuoia era fallimentare sin dal primo momento. Nonostante John avesse preso tutte le precauzioni che poteva prendere. Era il delitto perfetto, come tutti i delitti lo sono prima che una persona qualsiasi non lo smascherasse. Il piano era di logorare lentamente la vita di Tony, come aveva fatto lui molto tempo prima alla madre di John. E modo c'era ed era anche piuttosto elementare: aggiungere della candeggina ai suoi pasti, lo avrebbe condotto ad una morte senza tracce apparenti. Senza lasciare tracce nel corpo. Era il piano perfetto.
Ma oramai era finita.



Eccoci qui alla fine... *scende una lacrimuccia* Che tristezzaaaaa! T_T Veramente... Devo lasciare tutti i quattordici che hanno visto il mio settimo capitolo... e che non hanno voluto lasciare commenti... hem hem... e Emily.
Bene, bene, bene. Arriviamo al sodo, che già sento chi si è affezionato ad Elizabeth o peggio a Edward urlare "PERCHÉ?!?!" e io vi dico il "PERCHÉ?!?!": Ogni errore si paga e Elly l'ha pagato con la vita, per essersi fidata di quel tizio...Hem Hem! Mentre Eddino è schiattato perché tanto cattivo non era e, piccolo, amava tanto Elizabeth, ma ha fatto una cosa un po' alla Nerone uccidendo la donna amata e poi dire "Oddio che ho fatto?". Solo che Neroncino non si è ucciso. Vabbè... Non stiamo facendo lezioni di storia romana, ecco.
Per chi non l'avesse capito quel bravo ragazzo ha tranciato la giugulare della nostra eroina e si è tagliato non le vene, attenzione, ma le arterie! Naturalmente ci sarà chi dice "Ma è impossibile!" ma niente è impossibile. Ci vuole un'abilità a fare una cosa del genere, ma con tutti i coltelli che si trovano in una cucina si può fare un gran bel lavoro... non tanto bello, credo...
Non ci crederete mai ma l'idea della storia è venuta ad una mia amica per colpa di Nonciclopedia... ora mi butterete i cuppitielli appresso (per chi non è di Napoli, come moi,significa che mi butterete i cocci dietro), dato che di ogni cosa che vedo/leggo/sento/a volte assaggio ne voglio sapere di più, ma anche fare ironia, leggo la pagina in proposito sia su Wikipedia che su Nonciclopedia. In un lontano giorno ventoso di settembre avevo appena iniziato a leggere Bleach (un manga) e ho voluto vedere cosa dicessero sulla Nonci. Nel secondo paragrafo ironizzavano sul fatto che questo manga inebetisse talmente tanto i lettori, che è come se questi ultimi assumesse ogni volta a piccole dosi della candeggina, uccidendo il loro cervello, facendo paragone con quello che realmente succede ad una persona se assume tale sostanza. Ed ecco tutto. Semmai ne farò un libro, metà dei guadagni (esigui, sicuro) andrà a Nonciclopedia e alla mia amica che leggendo questa cosa ha esclamato: "Wow! Sarebbe bello se qualcuno ne facesse un giallo!" Anzi, metà a Nonciclopedia e metà alla mia amica, io ho solo elaborato (molto male).
Questa è la pazza storia dell'idea di NaClO (formula chimica della candeggina, scrivere Bleach avrei violato copyright e un sacco di fungirl mi avrebbero detto che non ci azzecca niente con Bleach. E non lo potevo  nemmeno chiamare Candeggina... sul serio, chi l'avrebbe letto?)
Grazie a voi quattordici che leggendo il penultimo capitolo mi avete confermato che dopotutto sta storia non fa tanto schifo. E ancora un grazie speciale ad Emily Doyle che mi ha dato la forza di non abbandonare la storia. Grazie a tutti!
I wish for you all nice days for ever.

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