John si
avvio' ad aprire la
porta in preda all'agitazione. Il giorno prima era stato il giorno
peggiore della sua vita. Cora era veramente sconvolta e lui non
riusciva a capire come mai la signora Hutton, sua madre, potesse essere
indifferente a tutto quel che era successo e a cosa stava passando sua
figlia. Cora aveva insistito affinché' John restasse con lei
anche la sera. Sua madre non disse niente, ma a quanto sembrava la
presenza di John non era molto gradita.
Adesso era appena tornato a casa dopo due giorni dalla morte
del
signor Hutton e sua madre ancora doveva tornare. Ma soprattutto non
l'aveva chiamato. Era molto turbato per questo, ma cerco' di non
pensarci troppo su, data l'allarmante frequenza con cui la madre
spariva per giorni senza che lui ne sapesse niente. Pensando questo,
apri' la porta sperando di vedere Cora che lo supplicava di tornare.
"Salve. Sono Elizabeth Boudelaire. Sei tu John..." diede una rapida
occhiata su un foglio logoro e pieno di quelli che sarebbero dovuti
essere, secondo John, dei nomi: "John Truman?"
"Si sono io." disse con il tono meno ammaliato possibile. Era una
giovane donna, capelli di uno stupendo castano chiaro e arricciati, che
incorniciavano un viso rosa e interrogativo pieno di espressione,
soprattutto grazie ai suoi occhi da gatta di un verde molto intenso e
le sue ciglia lunghissime.
"Potrei entrare? Sono la detective a cui e' stato affidato il caso
Hutton e vorrei farle qualche domanda."
John con un sorrisone la fece accomodare dentro mormorando un "ma certo
si figuri".
L'interno della casa era di arredamento essenziale tipico
degli
attici di città' e di certo non di una villetta di
periferia. Le
pareti, il pavimento e il soffitto erano di un bianco accecante, quasi
come se fossero illuminate dall'interno. Appena entrati un arco a
sinistra introduceva in un salotto completo di camino spento e di un
divano bianchissimo, di fronte al quale un enorme tavolo basso in vetro
e acciaio pitturato di bianco, secondo Elizabeth, faceva la sua bella
scena. Di fronte alla porta d'ingresso c'erano delle scale di vetro,
solidamente sorrette a mezz'aria da elementi di acciaio attaccati al
muro. Elizabeth guardava con occhi stupiti quella casa che immaginava
molto più' diversa da come se l'era aspettata. Le venne il
dubbio che ci fosse qualcun'altro a vivere con lui, dubbio alimentato
soprattutto da un attaccapanni ovviamente bianco pieno di cappotti
femminili.
Mentre veniva invitata a sedersi sul divano, si fece sfuggire la
domanda: "Sei sposato?"
"Uh... ehm... no" rispose John leggermente spiazzato. "Ehm... non
ancora..." fraintendendo lo stupore di Elizabeth. " Qui insieme a me
vive mia madre." E vedendo quei due occhi incredibili incredibilmente
spalancati dallo stupore disse frettolosamente: "Ti offro qualcosa?"
Elizabeth, che nel frattempo faceva di tutto per non contorcersi dai
crampi allo stomaco, rispose un delicato: "Si, grazie." E mentre John
stava in cucina, esultava pensando al possibile e semplice te' che le
sarebbe stato offerto. John mise il bollitore del te' sul fuoco, mentre
taglio' due generose fette di torta e si diresse in salotto con il
vassoio in mano.
"Il te' e' quasi pronto."
"Oh benissimo." Elizabeth ringrazio un improbabile dio del cibo
inventato sul momento per averle fatto trovare un cretino con tanta
buona roba nel frigo. Prendendo la torta pero' ringrazio' anche John
che commento': "Uh... prego... solo semplice xenia, nulla di
più'." Nel dire questo le sue guance si infiammarono a tal
punto
che nemmeno Elizabeth poteva fingere di non essersene accorta. Per
fortuna il fischio del bollitore lo salvo'.
"Bene tutto pronto?" chiese Elizabeth, mentre John portava due tazze di
te'.
"Si..." mormoro'.
"So che sei amico di Cora Hutton." ricontrollo' il nome sul foglio.
"Ehm... si. Cora."
"Oh si la conosco ormai da quindici anni. Andavamo nello stesso parco.
Abbiamo iniziato la nostra amicizia scambiandoci i giocattoli." e
ridacchio'.
"Cora non ha diciasette anni? Sapevo che si sono trasferiti qui dieci
anni fa più' o meno."
"Si. Si sono trasferiti in questa strada pero'. Prima abitavano sulla
parallela, Carnavon Avenue. Proprio qui dietro." e fece un gesto per
indicare la strada.
"Se conoscevi Cora sicuramente avrai conosciuto il signor Hutton."
disse, appuntandosi mentalmente di non fidarsi mai più'
delle
vecchie con cani scienziato che fanno rivestimenti rosa alle poltrone.
"Oh..." si agito' per un secondo. Poi riprese a parlare: "Non tanto.
Non ho mai avuto occasione di parlargli da vicino . Mi ha sempre
trattato con leggero... astio. Ma credo perché' mi ha sempre
visto come uno sprovveduto e forse come un' amicizia pericolosa per
Cora."
"Invece la moglie di Hutton?"
"Nemmeno. Conosco a malapena il suo nome. Non ha mai voluto parlare con
me."
"Invece la signora Calamy?"
"Sta scherzando? Io non ho mai davvero parlato con lei. Ha sempre detto
cose orribili su mia madre e sul mio conto. Ma ormai e' acqua passata."
"Che genere di cose?"
"Per un periodo di tempo mi ha fatto credere che mia madre fosse... lei
capisce no?" e la guardo' in modo interrogativo.
"Oh si. Si." rispose un po' spiazzata Elizabeth.
"Ecco." disse soddisfatto John.
"E suo marito?"
"Mai sentito nemmeno nominare. So che e' morto una decina di anni fa,
ricordo che partecipai ad un funerale in quel periodo, ma... ad essere
sincero solo ultimamente ho scoperto che fosse il suo quel funerale."
"Quindi non conosci quasi nessuno in questo quartiere."
"Beh... mi ha nominato le persone a cui non sono mai piaciuto, tranne
Cora ovvio. Pero' e' vero non conosco molte persone, sono molto
distratto e poco attento a cordialità' e
formalità'. Non
amano questi due difetti nelle persone."
"Tua madre invece?"
"Nemmeno, ha come sua fonte di informazioni il suo fratellastro. Lui e'
quello che qui definiscono la persona perfetta."
"Come si chiama?"
"Oh... Edward." disse John parecchio confuso.
"No. Dicevo tua madre." disse Elizabeth che aveva solo ascoltato la
prima parte della frase.
"Oh... scusami" ridacchio e rispose: "Eleanor."
"E che lavoro fa?"
"E' chirurgo plastico. E' anche cardiochirurgo, ma giudica la chirurgia
plastica più' divertente."
"Wow..." Elizabeth immaginava i figli dei dottori molto sicuri di se'.
A quanto pare non aveva sottoposto il suo pregiudizio alla
realtà'.
"Volevi fare qualche domanda anche a lei? Potresti venire quando vuoi
ma non so se la trovi. Di solito torna nei weekend ma non so
perché' non sia tornata oggi."
"Non sai come la potrei contattare?"
"Entrambi i suoi cellulari sono irragiungibili e allo studio non
rispondono. Semmai ti potrei chiamare io appena viene."
-Ah ha... Che becero espediente per avere il mio cellulare. Vuoi
fare colpo, piccolo pervertito.- penso' Elizabeth. "Oh beh non
saprei... Dovrei ritornare comunque da queste parti per qualche tempo
quindi non importa." -Beccati questo.-
"Forse ritorna domani. Comunque se vieni mercoledì' la
troverai sicuramente."
"Uhm..." disse Elizabeth con falsa indecisione. "Ci
penserò'." E
finendo la torta, si alzo' per andarsene mentre John l'accompagnava.
"Grazie di tutto. Torta & co." ringrazio' Elizabeth e quel
grazie
non era uguale a quello rivolto alla vedova il giorno precedente. Era
stata sincera per la prima volta da quando aveva messo piede in quel
maledetto quartiere. Tuttavia manco' di dirgli che parlare con un tizio
dalle guance rosse dall'imbarazzo che ti guarda manco fossi una diva
non era molto piacevole. Per lei. "Ad ogni modo mi piace molto la tua
casa. Ci abiterei se potessi." disse maliziosamente Elizabeth.
John stava per dichiararle tutto il suo amore per lei e dato che c'era
voleva chiederle di sposarlo, ma per fortuna per lui fu abbastanza
intelligente da mormorare un "...grazie..."
"Allora alla prossima. Ciao!!" e scese le scale di corsa. Se fosse
rimasta, quel tizio le avrebbe giurato amore eterno.
Come capitava spesso in quel periodo pioveva a dirotto. E questo era
insolito dato che a meta' Giugno si aspetta il primo vero sole
dell'anno. Correndo sul viale bagnato senza ombrello, Elizabeth si rese
conto di aver perso l'ultimo pullman della mattina. Aveva perso un
sacco
di tempo a casa di quello smidollato e per di più' quella
torta le
aveva fatto venire più' fame. Non sarebbe riuscita a tornare
a casa
senza bagnarsi da capo a piedi e quindi opto' per disperazione un
pranzo fuori. Per sua fortuna all'inizio del viale vi era un
ristorante. E per un colpo di fortuna ancora più' grande era
uno dei
migliori in città'. Lo trovo' subito, anche se non spiccava
di
originalità' in mezzo a tutte quelle villette. Tuttavia le
porte di
vetro dorate e i grandi finestroni attraverso cui si vedevano tende
rosse e tavoli tradivano il vero ruolo di quell'edificio. Entro' dentro
zuppa e si guardo' intorno. Stava bagnando la moquette rossa dell'atrio
mentre un maitre da dietro un banco di noce la guardava in modo
interrogativo.
"Posso esserle di aiuto?" disse il maitre con rigidità'.
"Si. Vorrei mangiare, se non le spiace." Come risposta era un po' acida
ma parve che il maitre non fu affatto colpito. Si avvio' nella sala e
entro' in una porta con due battenti. Molto probabilmente la cucina.
Ritorno' dopo cinque minuti dicendo: "Mi segua."
Lo segui' fino ad un tavolo vicino la finestra.
"Oh che posto privilegiato!" disse senza controllarsi. Stava dando i
numeri e il maitre se ne era accorto.
"Scusi si sente bene?" chiese impassibile.
"Si alla perfezione.Signor..." guardo' la targhetta del nome. "Signor
Andrew...?" Le venne un deja-vu: aveva già' sentito quel
nome. Prese il
foglio dei nomi e controllo'. "Lei quindi e' Peter Andrew?"
"Si. E' successo qualcosa?"
"No, niente." e si lascio' cadere sulla sedia senza aspettare che Mr.
maitre dell'anno la facesse accomodare.
"Allora..." disse cacciando dal nulla un taccuino completo di penna.
"Cosa le porto?"
"Uhm..." diede una rapida occhiata al menu', invece di sviscerarlo come
era suo solito. Aveva troppa fame. "Uhm... prendero' gli asparagi e il
carpaccio di tonno grazie."
"Qualcos'altro?" domando' il maitre.
"No nient'altro." Era ora di sfoderare le sue armi di donna. "Adesso
che ci penso... le andrebbe di farmi compagnia? Dopotutto e' un po'
presto per le coppiette di fidanzatini."
Peter si guardo' con circospezione. "Ma si... Dopotutto e' cosi' noioso
parlare con la mia chef."
Erano le 3:00. E quasi un minuto. La pioggia del giorno prima non aveva
smesso di cadere e Elizabeth la sentiva oltre i vetri. Ma il suono che
ascoltava con molta più' attenzione era il respiro di Edward
accanto a
lei.
"Dio quanto sei..." sussurro' lasciando la frase incompleta, mentre gli
accarezzava i capelli dorati sparsi sul cuscino bianco. Era incantata e
lo osservava come se fosse stato una creatura vista per la prima volta
solo da lei, mentre il suo petto si alzava e si abbassava, si alzava e
si abbassava in un movimento che la ipnotizzava.
Alla fine, parlando davanti carpaccio, asparagi e molte, forse troppe,
bottiglie di vino, Elizabeth aveva scoperto che il nome Peter Andrew
del ragazzo delle consegne era uno pseudonimo. Il suo nome era Edward
Leeford e, a quanto le diceva, si era rifugiato con questo falso nome
dai riccastri dell'alta società' tanto cari a suo padre. Ma
soprattutto
non era quello spocchioso, antipatico e rigido maitre che le era parso.
Anzi era tutto l'opposto: un' Elizabeth Boudelaire al maschile. E anche
se era troppo presto per dirlo (dopotutto erano circa nove ore che si
conoscevano), sentiva di aver avuto un colpo di fulmine.
"Certe cose accadono a chi non ci crede." borbotto' Elizabeth.
"Che dici?" Edward apri' gli occhi e la guardo'.
"Allora eri sveglio. Maledetto..."
"Mi stavi osservando come una donna dei telefilm perdutamente
innamorata?"
"Si..." rispose Elizabeth leggermente urtata. "Avrei dovuto prevederlo
che te ne saresti accorto. Le donne dei telefilm perdutamente
innamorate fanno le peggiori figure con i loro amanti. Che puntualmente
le colgono in flagrante."
"E' il vostro destino donne dei telefilm perdutamente innamorate." Si
rizzo' a sedere. Elizabeth lo guardava con occhi cupi. Edward le
accarezzo' la testa e le sussurro' all'orecchio: "A che pensi mia donna
perdutamente innamorata?"
"Alla mia sfortuna." disse ridacchiando, mentre lui le faceva il
solletico all'orecchio con la lingua. "E comunque non sono una donna
perdutamente innamorata."
Si allontano' da lei. "Ah si?" chiese in falso tono irato.
"Già'." Affermo' in tono di sfida. Non era un'esperta in
relazioni amorose, quindi affidava tutto al caso.
"Pensa alla mia sfortuna" disse, cogliendo la sfida: "Mi ritrovo nel
letto con una ex squarta morti che ho conosciuto nel mio ristorante
grazie alla sua faccia tosta e che non mi ama nemmeno."
Gli lancio' in faccia un cuscino. "Ma fammi il piacere!" Giocarono a
cuscinate, finché' lei non crollo' esausta sul letto. Era
come se si
conoscessero da secoli. Lui cadde vicino a lei e si mise a giocare con
i suoi ricci.
Era inutile mentire, non pensarci, ignorare... smentire. Si era
innamorata di quel maledetto riccastro.
Si avvicino' al suo orecchio, mentre lui la guardava interrogativo, e
disse: "Suki desu."
La guardo' per un attimo. Sapeva che non aveva capito se lo sentiva non
poteva essere cosi' perfetto per lei.
"Anch'io."
L'aveva capito. Aveva capito cosa gli aveva detto.
Era proprio l'uomo per lei.
Ja-Ja-Jaaaan. Questo e' il mio terzo capitolo. *Pubblico festante
applaude.*
Ho impiegato più' tempo per scrivere l'ultima parte che per
i tre quarti del resto del capitolo a causa della tastiera, che
surriscaldandosi ha invertito i tasti. Quindi ho passato una buona
mezz'ora a capire quali fossero i tasti giusti e per memorizzarli. Il
resto ve lo lascio immaginare... sigh!
Una delle tante piccole curiosità' e' costituita dal cognome
di Elizabeth (per i disattenti Boudelaire). L'ho preso dal libro (o
saga per dir si voglia) "Una serie di sfortunati eventi", che lessi
quando ero molto piccola e che ho ritrovato qualche giorno fa mentre
frugavo chissà' dove alla ricerca di una tastiera. Non l'ho
trovata, ma ho capito come funziona il tasto ortografia che mi ha
permesso di aggiungere accenti laddove la terza pers. sing. del passato
remoto non coincidesse con la prima pers. sing. del presente,
ovviamente senza accento, e qualche parola tipo città.
*Festeggia alla grande insieme al pubblico.*
La Xenia di cui parla John e' il principio di ospitalità che
gli antichi greci dovevano nei confronti della persona che ospitavano
in casa propria. Era un legame che si instaurava tra chi ospitava e
colui che veniva ospitato e durava per sempre. Piccolo esempio per
rendere meglio l'idea: se tu venivi ospitato da Tizio e poi dopo
qualche anno il nipote di Tizio ti chiede ospitalità, tu
gliela devi. Allo stesso modo Il nipote di Tizio deve
l'ospitalità a tuo nipote, pro nipote, pro- pro nipote... in
un circolo infinito. Questa cosa mi ha stupito parecchio, soprattutto
perché ne venni a conoscenza in un periodo carico di
xenofobia.
Come avrete notato, lo pseudonimo sa troppo di finto ed in effetti mi
ha lasciato piuttosto insoddisfatta come scusa. Tuttavia lasciare a
quel personaggio il nome di Peter mi ricordava troppo Heidi e mi sapeva
di squallido. Non che abbia qualcosa contro Heidi, ma... dare a un
ragazzo delle consegne un nome di un pecoraro va bene più o
meno, ma lasciarlo ad un maitre non mi andava. L'idea di aggiungere un
partner per il cuore solitario di Elly e' stata un'idea di Vic...
Voleva facessi qualcosa lemon o yaoi, ma sinceramente mi seccava molto
inserire sporcellate nella mi fic. Se ne avete voglia potete sempre
andare nell'angolo ricerca scegliere il genere "Erotico" e come
avvertimento "Yaoi" o "Lemon" e leggete il brano che vi accattiva di
più. Insulti e roba varia so che non ce ne staranno dato che
questa fic non la legge nessuno, ma se mai ce ne saranno sono sempre i
benvenuti. Devo farmi le ossa nel mondo senza pietà delle
fanfic.
Passando alle cose serie ho voluto tralasciare ogni cosa e farvi
immaginare, che e' molto peggio. Muhahahaha. Inoltre... no,
Santa Maria Vergine, no e so che ve lo state chiedendo, il nome di
Edward non l'ho preso da Twilight, anche se sembra che abbia
scopiazzato dato che Elizabeth e' infatuata del suo Edward almeno
quanto Bella sia infatuata del suo (Si, l'ho letto e allora? Ho visto
anche i due film che sono usciti, ma per conoscere il nemico bisogna
fingersi dalla sua parte e poi, zac! trafiggerlo con battutacce sulla
trama). Ho detto ciò' per dimostrare un bel niente. Mi
ritiro in clausura.
Il mio uomo (hahaha) ideale si dovrebbe chiamare Edward (come nome mi
fa impazzire) o un qualsiasi altro nome giapponese (pretendo troppo?),
dovrebbe essere uguale a me ma in qualche modo anche diverso in modo
che non ci annoieremo mai l'uno dell'altra, ne' troppo appiccicoso ne'
distaccato, senza pici pici ed altre ipocrisie ma un rapporto senza
queste e sincero (io credo proprio di si). Semmai mi
tradirà', non lo ucciderò' con la mia motosega,
ma cercherà' di capire perché' lo abbia fatto.
Secondo me e' per questo che non trovo nessuno di interessante. Alla
mia eta' sono tutti cosi' spensierati e scavezzacollo, fatti per il
famoso "una botta e via"(in tutti i senzi pozzibbili). Questi miei
quindici anni, tra qualche giorno sedici, non me li sto proprio
godendo. Forse sarà' la mia assoluta ignoranza in campo
amoroso. Chissà.
Have a nice day.
P.S. Come avrete notato
Roma non viene proprio menzionata nel capitolo. Questo
perché secondo un'antica leggenda cinese...? no romana! il
vero nome di Roma sarebbe Amor, ovvero amore in latino e Roma al
contrario. Non volevo mettere Amor o addirittura Amore... vi avrebbe
dato delle aspettative e io cerco di non mettere troppe informazioni
sul capitolo nel titolo (per questo metto in latino il nome
del capitolo... per occultarli, ma anche per chi volesse sapere che
cosa vogliono dire vanno sul dizionario latino a cercare le parole...
viva la conoscenza!). Ah a proposito... e' XenIa co l'accento sulla
"i", non XEnia all'italiana... e nemmeno Xena.