Luce Nera

di Melgor
(/viewuser.php?uid=85438)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'ombra della luna ***
Capitolo 3: *** Tocco del Male ***
Capitolo 4: *** Paura del Buio ***
Capitolo 5: *** Luna Piena ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


-... buttato fuori...- pensò Laar, rialzandosi da terra e allontanandosi dalla locanda. Aveva alzato un po' troppo il gomito perfino per i gusti dell'oste, che aveva deciso di allontanarlo per non avere troppi guai con le guardie. Ma Laar non l'aveva presa troppo bene. Aveva opposto resistenza per parecchi minuti prima che riuscissero a mandarlo via con la forza. -Volevo solo bere un goccetto in compagnia... quei bastardi mi hanno rovinato tutto...- l'uomo alzò i pugni verso l'aria colpendo un nemico immaginario. Avrebbe volentieri colpito il primo passante che gli fosse arrivato a tiro, ma fortunatamente a quell'ora tarda non c'era nessuno. Irato, Laar iniziò a camminare con passo pesante, calciando ogni oggetto che trovava sulla sua via e urlando insulti verso il locandiere e sua madre, svegliando, indignato, quasi tutto il villagio, che però preferì non intimarlo a tacere: avrebbe solo contribuito a farlo infuriare di più.

Laar continuò il suo cammino di distruzione per circa un'ora. Senza accorgersene era uscito dal villaggio e aveva percorso un chilometro oltre esso, sempre continuando a sbraitare. Ma la sbronza non era ancora passata, e l'uomo continuava ad avanzare furioso. Ad un tratto urtò qualcuno. Contento di poter sfogare la propria ira, sferrò un forte pugno contro l'uomo, senza nemmeno chiedersi perché non l'avesse visto prima. Colpito dal pugno, l'uomo mugugnò leggermente, fermandosi, ma apparentemente senza aver subito alcun danno. Era vestito con una tunica nera con cappuccio, che gli copriva la testa fino agli occhi. -Dai, fammi vedere di cosa sei capace...- mugugnò Laar, sferrando un paio di pugni barcollanti all'aria. -Come desideri. Non ho alcuna fretta di proseguire...- disse l'uomo ammantato, senza nemmeno voltarsi. -Ho tutta l'eternità per compiere il mio dovere... posso benissimo...- l'uomo si piegò verso destra per schivare il colpo di Laar. La sua mano destra spuntò dalla tunica per afferrare al collo l'ubriaco. Avvicinò la testa dell'uomo, soffocante, al proprio viso. -...iniziare da te-. La mano sinistra si alzò lenta dalla tunica, andando a imporsi davanti al volto di Laar.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** L'ombra della luna ***


Erano solo tre giorni che Iwar percorreva a piedi la Via, la grande strada che collegava le metropoli di Thys fra loro, eppure gli sembrava che fosse passata un'eternità da quando aveva lasciato la propria residenza. Ormai non era più abituato ai lunghi viaggi: era passato tanto tempo da quando vagava per le terre insieme ai suoi compagni, alla ricerca di avventure che fossero degne di essere cantate dai bardi, alla ricerca del male da estirpare. Ma ormai sembrava che questo male fosse totalmente scomparso. “Meglio così infondo” pensò, riscuotendosi dai propri pensieri. Si accorse che accanto a lui camminava un altro viaggiatore. Venne colpito immediatamente immediatamente dal suo aspetto, degno di un vero e proprio “pellegrino”: gli abiti indossati alla bell'e meglio, la barbetta incolta sul mento e i capelli lunghi completamente spettinati gli davano un'aria molto trasandata. Eppure non una traccia di polvere o sporco lo intaccava. Teneva rozzamente una spada doppia a tracolla, senza preoccuparsi di metterle un qualsiasi fodero. “Un mercenario...” ipotizzò Iwar, pensando. L'altro lo guardò di sfuggita con la coda dell'occhio, per poi volgere nuovamente lo sguardo davanti a sé. Una cosa che Iwar aveva imparato sulla Via era che bisognava rispettare la riservatezza di un viaggiatore. Per questo preferì dimenticarsi del “compagno” e concentrarsi sulla via, senza accorgersi che l'altro aveva ricominciato a guardarlo sogghignando.

Iwar montò le tende ai lati del piastrellato che componeva la strada appena il cielo, privo del Sole, iniziò a scurirsi. Lo imitò l'altro viaggiatore, accampandosi a pochi metri da lui, ma ciò non allarmò per niente l'anziano avventuriero: spesso gruppi di avventurieri si accampavano assieme per proteggersi meglio da un'eventuale pericolo. Era completamente buio quando ebbero finito di montare le tende, e una splendida luna illuminava il cielo. Sembrava una notte magica, eppure gli umani non avevano molto di magico: non riuscivano ad usare la magia, come invece altre creature, forse più pure di loro, potevano.
Iwar si era spogliato dei bagagli e dei pesanti abiti, e, inginocchiato a petto nudo sul proprio giaciglio, aveva iniziato a pregare. Non aveva un Dio in particolare, più che altro gli piaceva l'idea che si potesse ringraziare qualcuno per tutti beni che riceveva ogni giorno. Anche se ciò che adorava non aveva nome, ogni notte si addormentava soddisfatto, senza rimorsi. L'altro viaggiatore stava già dormendo, probabilmente: non si udiva nulla che provenisse dalla sua tenda. Iwar continuò a pregare a occhi chiusi, rassicurato dal silenzio intorno a lui. Non si accorse dello scintillio della lama che si alzava sopra la sua testa.
Il sangue uscì a fiotti dalla ferita al braccio. Fortunatamente la tenda non aveva reso possibile all'assalitore di colpire in un punto vitale. Purtroppo il dolore all'arto era fortissimo, e Iwar esitò ad alzarsi ed afferrare la propria ascia. Uscì rapidamente dalla tenda, poco prima che l'assalitore sferrasse un altro fendente alla tenda. Anche all'oscurità fu semplice per l'anziano avventuriero riconoscere il proprio avversario: gli bastò vedere i lunghi capelli disordinati per poter capire chi fosse. L'assalitore si voltò verso Iwar, brandendo la spada a due lame davanti a sé. -Lasciati uccidere- sogghignò -non ho voglia di perdere tempo-. Guizzò poi in avanti ad una velocità incredibile, tanto che Iwar scansò appena il colpo diretto al suo collo. Non poteva combattere come al solito, non sentiva quasi più il braccio dal dolore, ma tentò comunque di sferrare un colpo verso la testa dell'avversario. La lama parò il colpo facilmente, spingendo indietro l'avversario. -Tutto qui? Sei solamente un debole vecchio.- lo incalzò l'avversario, mentre sferrava due fendenti con la doppia lama. L'ascia di Iwar si frappose al colpo, e questa volta fu l'assalitore ad indietreggiare. -Di solito quando si combatte si usa annunciare il duello e il nome dello sfidante... a meno che sia peggio delle creature selvagge...- sussurrò Iwar mentre tentava di sopprimere il dolore mentalmente. -Se ci tieni... colui che ti ucciderà è Melgor.- rispose l'altro ridendo, mentre si gettava nuovamente all'attacco. Il fendente d'ascia dell'anziano avventuriero lo colse alla sprovvista, e ebbe appena il tempo di alzare la spada per parare il colpo. La forza del fendente, però, lo sbalzò all'indietro di qualche metro, facendolo quasi cadere a terra, e lasciando il tempo a Iwar di gettarglisi contro. Melgor sentì l'ascia che gli sfiorava la zazzera mentre scansava il colpo. -Non male per essere un avversario da soli mille pezzi d'oro...- sussurrò l'assalitore, sconfortato. Mosly era stato, come al solito, molto poco onesto sulla paga dell'omicidio. Distrattosi, notò solo all'ultimo momento la grossa lama dell'ascia mirare alla sua testa. Tentò di abbassarsi rapidamente per scansarlo, ma il colpo fu più veloce.
-I miei capelli!- urlò Melgor, vedendo un'abbondante ciocca della sua zazzera volare a qualche metro di distanza. Sferrò un pugno nello stomaco a Iwar, che stordì il vecchio per qualche secondo, lasciandogli il tempo di allontanarsi. -Muori!- gridò il mercenario, mentre una lunga catena chiodata, estratta da una sacca sulla cintura, sfrecciava verso il fianco nudo del vecchio avventuriero. Iwar era ancora dolorante per il colpo allo stomaco, e non poté che subire, gridando di dolore. Altri colpi seguirono, uno più violento dell'altro, mentre le urla straziate dell'uomo, impotente, rompevano il silenzio della notte. Solo quando il vecchio cadde a terra con un grido soffocato si fermò. Ormai il corpo era irriconoscibile, pieno di tagli e perforazioni da cui uscivano fiumi di sangue e la carne maciullata dalle chiodature della catena. Melgor si avvicinò al corpo, constatando soddisfatto il proprio lavoro.

Quando sorse il sole tende e cadavere erano già spariti. I viandanti non si sarebbero mai accorti delle chiazze di sangue che macchiavano rocce e erba in alcuni punti, né dell'ascia,conficcata nel terreno. Un osservatore attento avrebbe potuto notare, però, che il nuovo spaventa-passeri conficcato ad un centinaio di metri dalla strada era stranamente ricoperto di liquido rosso e mosche.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Tocco del Male ***


È strano fare delle presentazioni sulla storia a partire dal secondo capitolo, ma credo che i miei impegni giustifichino questa cosa. Prima di tutto ringrazio Pluma per il commento fatto alla storia e a Melgor (sì, si chiama così, non ti preoccupare XD). Non verrai delusa dallo svolgimento ^^. Avevo pensato inizialmente di creare Melgor solo per distruggere tutti gli stereotipi dell'eroe, ma mi sono lasciato prendere la mano.

Beh, cosa posso dire, buona lettura!

Tocco del male

Il male più sottile non è necessariamente il più grande, semplicemente quando lo si compie non ci si accorge neppure che sia un male. E per questo le radici della malvagità arrivano a toccare anche gli animi più puri e perfetti.



Non era lunga la strada per giungere a Relzan, non ci avrebbe messo più di due giorni e non aveva alcuna intenzione accelerare i tempi di marcia: dopotutto Mosly non era un tipo impaziente. In realtà il mercenario non aveva alcuna voglia di incontrare il suo committente: Mosly era un riccone spregiudicato, che usava il suo potere per spadroneggiare sui suoi possedimenti, attirando a sé decine di centinaia di nemici. Non di rado Melgor aveva avuto problemi per il solo fatto che serviva a volte come mercenario o assassino a quell'uomo. Poteva, certo, fregarsene di tutto ciò che quel pallone gonfiato faceva, ma Melgor era un tipo che odiava i contrattempi. Tuttavia il mercenario aveva bisogno di soldi, molti soldi, e l'unico motivo per cui si vedeva con quell'uomo era quello: farsi sganciare una bella borsa piena di pezzi d'oro in cambio di una con dentro una testa.

Melgor adorava viaggiare e godersi i paesaggi, forse più che combattere e uccidere: adorava osservare per strada la natura attorno a sé, sentire i versi distanti degli animali, che rispettava forse più degli uomini. A volte si sdraiava all'aria aperta per dormire, trovandolo molto più comodo e rilassante di una rumorosa locanda. Tuttavia, una cosa che odiava era il chiasso degli altri viaggiatori: chiassosi mercanti, salmodianti pellegrini, petulanti famiglie e persino qualche nobile in carrozza. Lui, inoltre, camminava sempre, quando era in viaggio, raramente accelerando al passo degli altri e subendo spesso gli insulti degli altri viaggiatori. Avrebbe voluto conficcare volentieri la spada nel fianco di tutti coloro che lo “accompagnavano” nel viaggio e proseguire da solo, ma voleva evitare di attirare l'attenzione dopo aver compiuto un omicidio. Si limitò a trattenere la scocciatura, stringendo i pugni e focalizzando l'attenzione sul paesaggio: il bosco che stava attraversando era magnifico, col sole che filtrava a chiazze sul terreno. Tuttavia, concentrato com'era sul bosco, non si accorse che i viaggiatori attorno a lui erano decisamente pochi rispetto a quelli che solitamente attraversavano la Via.

Arrivò a Relzan due giorni dopo, di sera, come aveva previsto. Il sole era quasi tramontato, ma la città accendeva già le prime luci. Melgor aveva potuto intravedere la città già la notte prima, ad una distanza considerevole: Relzan era enorme, una SpazzaCielo, come si usavano chiamare le grandi città: le luci che si accendevano di notte erano talmente tante che il cielo appariva spoglio di stelle, e durante le festività più importanti anche la luna diventava più fioca. Melgor odiava profondamente le SpazzaCielo: anche stando a chilometri di distanza era impossibile vedere il firmamento. Mosly viveva lì, circondato dal lusso più sfrenato, orchestrando la politica del luogo spregiudicatamente. Melgor sospirò, mentre varcava le porte dell'enorme città avvolta dal caos, facendosi largo nella folla che riempiva le vie.

Mosly era un tipo discreto, ma incontrava il mercenario sempre nello stesso vicolo di periferia, per niente camuffato. Nessuno, comunque, avrebbe mai avuto il coraggio di colpirlo apertamente: anche se fosse stato ucciso il suo esercito personale si sarebbe vendicato su tutta la periferia. Melgor odiava quel luogo: ingrigito dagli alti camini del castello, era popolato solo da coloro che non potevano permettersi un'abitazione migliore. Il mercenario odiava quella gente: il loro odioso sguardo chiedeva pietà quando ti incrociava, una richiesta insopportabile. Anche quella volta attraversò quel bordello senza degnare di uno sguardo quegli uomini distrutti dentro e fuori, giungendo presto nel vicolo dove lo attendeva Mosly. Lo riconobbe immediatamente, tra il grigiore delle pareti delle due case che formavano il vicolo: un uomo tozzo, la cui pancia poteva essere benissimo più grande della sua altezza effettiva. Una barbetta nera gli cresceva sul mento, ma il resto del volto era privo di peli. Le vesti pregiate e lo sguardo autorevole sembravano mostrare uno di quei saggi consiglieri che a volte affiancano i re nelle loro decisioni, ma in realtà nascondevano solo un animo forse più malvagio di quello di Melgor. Il mercenario alzò un braccio, in segno di saluto, avvicinandosi all'uomo, che sorrise soddisfatto. -Hai portato la testa?- chiese, impaziente di vedere la buona riuscita del lavoro. Melgor in tutta risposta gli lanciò il sacco fra le braccia. Il nobile si limitò a tastarlo, per poi lanciare via disgustato il contenitore. Melgor ridacchiò. Per quanto facesse tanto il duro, quel grassone non aveva nemmeno il fegato di tenere in mano una testa umana. Mosly si ricompose, ridacchiando soddisfatto. -Ottimo, come al solito. Spero che tu abbia occultato bene il cadavere, non vorrei avere problemi...- sussurrò il nobile, mentre afferrava un sacchetto tintinnante e faceva per porgerlo al mercenario. D'un tratto, però, lo tirò indietro. -Che ne dici di accettare un altro incarico? Una decina di contadini rivoltosi ultimamente mi hanno dato problemi... non so se mi spiego...-. Melgor stette in silenzio, aspettando che il committente aggiungesse la parte più importante. -Settemila pezzi d'oro. Più di tre volte quello che ti ho pagato per questo-. Il mercenario continuò a tacere, meditando sull'offerta. I soldi gli facevano comodo, molto comodo. E dieci contadini non erano per nulla un problema: in dieci minuti avrebbe potuto comodamente sterminarli. -No.- disse Melgor, le labbra tese. -Voglio prendermi una pausa-. La risposta colse di sorpresa Mosly. Il mercenario non aveva mai rifiutato un suo lavoro. -Non scherzare, Melgor. Non è div...- -Non è uno scherzo.- lo interruppe Melgor -Non ho intenzione di svolgere il tuo compito, ho bisogno di riposo dopo tutto il mio girovagare-. In realtà Melgor voleva semplicemente no eseguire più omicidi per Mosly. La sua voce, però, era tesa, e al nobile non servì un grande ingegno per capire che stesse mentendo. Il suo volto si fece lentamente rosso dalla rabbia. Come si poteva permettere un bastardo assassino come lui di insultarlo? -Se non esegui questo compito- sibilò a denti stretti – allora non ti pagherò nemmeno quello che hai eseguito-. Melgor strinse i pugni. La tentazione era forte, ma se gliela dava vinta ora sarebbe dovuto sottostare a lui per parecchio tempo. -Allora tienteli i tuoi cazzo di soldi!- disse, l'adrenalina alle stelle, mentre si allontanava dal nobile infuriato. Mosly non poteva accettare tutto ciò. Lasciarsi calpestare da uno come lui, che era solo uno dei suoi tanti cagnolini da caccia che inviava ad uccidere i propri nemici... non poteva permetterlo. -Sì, vattene pure Melgor. Ci sono decine di sicari che vogliono prendere il tuo posto!- urlò il nobile, la voce quasi strozzata. Melgor continuò a camminare, senza ascoltarlo. -Tu sei sostituibile, sei una formica che io posso schiacciare con una sola mano!- continuò Mosly, la rabbia che saliva dall'indifferenza del mercenario. Melgor era arrivato quasi alla fine del vicolo senza degnarlo di uno sguardo. -Sì, vattene pure! Tu non sei nulla, se non un gran figlio di puttan...-. Melgor si era voltato, la mano destra tesa in avanti. -Taci- sussurrò. Ma Mosly non poté udire le sue parole. Il coltello lanciato dal mercenario lo aveva colpito in gola, ed il corpo si era accasciato per terra in un lago di sangue.

-Merda...- sussurrò Melgor, avvicinandosi al cadavere. Non avrebbe voluto colpirlo, gli sarebbe bastato sfiorargli il collo con la lama dello stiletto per zittirlo dallo spavento, ma la rabbia gli aveva giocato un brutto scherzo. Non che provasse una qualche forma di rimorso, ma se qualcuno lo avesse visto col cadavere avrebbe sicuramente avuto problemi. E dover uccidere i testimoni sarebbe stata una gran rottura. Il mercenario si morse le labbra, indeciso sul da farsi. Fortunatamente nessuno era ancora venuto a controllare, ma le urla ingiuriose che Mosly aveva lanciato poco prima potevano attirare alcuni scomodi individui. Il luogo non era neppure adatto per nasconderci il corpo. Indubbiamente sarebbe stato utile rendere invisibile quel dannato cadavere con un incantesimo, ma a quanto pareva gli uomini non erano capaci di usare nessun incantesimo. Doveva ancora capire quale fosse il motivo di ciò, se ce n'era uno... Melgor decise allora di estrarre la spada bilame: se non poteva occultare il cadavere, allora lo avrebbe reso irriconoscibile: le morti dei barboni e omicidi vari erano comuni a Relzan, e un cadavere sfigurato in un vicolo non avrebbe di certo attirato più di tanto l'attenzione. Prima di iniziare il lavoro si assicurò di vuotare le tasche della vittima: non poteva certo permettere che le giovani donne piangessero per una perdita virtualmente inesistente, o che qualcuno beneficiasse della sua morte prendendo in prestito suoi oggetti. Li avrebbe custoditi lui, con lo stesso amore con cui si era preso la sua vita.



Infilò il cucchiaio nella ciotola di minestra e la mescolò lentamente, alzandone di tanto in tanto i pezzi di lardo che erano sul fondo, preso dalla noia più assoluta. Avrebbe voluto colpire il barista o uno di quei nerboruti avventori che stavano parlando dall'altra parte del locale, tanto per divertirsi, ma si rese conto che se lo avesse fatto sarebbero arrivate inevitabilmente le guardie. E poi chi aveva voglia di farle fuori tutte? Decise che era meglio pensare alla zuppa di lardo prima che si raffreddasse e concentrarsi su altro. Tolse il cucchiaio dal piatto e ne ingurgitò metà del contenuto bollente in un sorso, mentre tentava di ascoltare la conversazione dei vicini. Dopotutto non c'era niente di meglio da fare.

-...tutti morti.- disse quello più vicino a Melgor. Era agitato, al contrario dell'altro uomo, che sembrava, sebbene sorpreso, perfettamente composto. -Cosa?- sussurrò l'altro. -Erano tutti morti. Sono accorse più di cento guardie per ricercare eventuali superstiti, ma tutto quello che sono riuscite a trovare erano...- deglutì leggermente -...cadaveri straziati-. Melgor non potè trattenere un sorriso. Quanto adorava i lieto fine. -Saranno cazzate...- disse l'altro, ripresosi dallo stupore iniziale -non posso credere che un villaggio intero sia andato distrutto in una notte...- -Non il villaggio, solo gli abitanti.- lo corresse l'altro -Solo gli abitanti erano morti. Io credo che qualcuno abbia usato la magia, che sia una vendetta degli elfi.- L'altro scosse la testa, scettico. -Gli elfi non esistono. Non più, almeno. Sono stati sterminati più di duemila anni...- Melgor smise di ascoltare. Non perché non gli interessasse (quello era un fatto secondario, almeno), ma perché qualcuno aveva varcato la soglia della locanda. Il mercenario digrignò i denti quando vide lo stemma della casata di Mosly cucita sui loro abiti e lo sguardo che gli stavano rivolgendo.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Paura del Buio ***


E questo è il fatidico 4° capitolo della mia FF! Non so perché sia fatidico, ma quando l'ho scritto ho subito pensato che fosse fatidico. Poi mi sono ricordato che devo smettere di bere cicuta a colazione.

A parte le cazzate, devo rispondere alla domanda di Pluma. In effetti Melgor è fighissimo (ma credo che nessuno abbia niente da ridire XD) e per crearlo mi sono ispirato dai soldati di ventura medievali. Non escludo di aver copiato alcuni tratti dei raminghi di Tolkien (dopotutto adoro Tolkien *_*). Per scoprire il motivo specifico per cui Melgor si comporta così dovrai ancora aspettare...;-)

Paura del buio



Nell'oscurità si celano le nostre paure più profonde, più recondite, più pericolose. Perché?

Semplicemente perché non le vediamo.



Melgor sorrise nervoso mentre gli otto uomini si avvicinavano a lui, anch'essi sorridendo. Era abbastanza evidente che non erano venuti per una visita di piacere, soprattutto dal fatto che tutti portavano stretta fra le dita una spada. Il gruppo si accostò al tavolo di Melgor, circondandolo, senza perdere il minaccioso sorriso che avevano dipinto sui volti. -Ehi, Melgor! Cosa ci racconti di bello?- chiese strafottente lo sgherro al fianco di Melgor, mentre con un braccio tentava di rovesciargli addosso la ciotola con la zuppa. Il mercenario afferrò prontamente il braccio dell'uomo e lo torse con forza prima che potesse colpire il piatto. Lo sgherro non riuscì a trattenere un urlo. -Mollalo...- lo intimò l'uomo davanti a Melgor, estraendo la spada fino a metà. Il mercenario mollò il braccio e prese la ciotola con la zuppa prima che qualcuno potesse tentare di rovesciarla di nuovo. -Che ci fai qui, Louis? Non dovresti essere a leccare le chiappe di Mos...-. Lo sgherro dietro di lui lo colpì con un pugno sulla nuca, costringendolo a tacere. Il mercenario strinse i denti, sopprimendo il desiderio di cavargli gli occhi: anche se sarebbe stato decisamente rilassante, gli uomini di Mosly erano ben addestrati, e, sebbene singolarmente non potessero competere contro di lui, otto erano decisamente un pericolo da evitare. Louis rise, una risata talmente falsa che non ingannò nessuno, nemmeno gli avventori più ingenui che, dopo l'urlo lanciato dallo sgherro, si erano messi a guardare la scena. -Sempre spiritoso, il nostro caro mercenario! Ma non serve essere scontrosi, a noi basta una semplice, brevissima informazione...-. S'interruppe, come se volesse mettere tensione fra un pezzo di frase e l'altra, ma Melgor aveva già capito dove volesse arrivare. -Perché hai ucciso Mosly?-

Melgor si passò una mano sul mento, continuando a sorridere con nervosismo. “Non pensare agli occhi...” si ripeté mentalmente. -Divertente...- disse poi, con una voce che pareva essere tranquilla -perché credete che io abbia ucciso Mosly?-. Louis ridacchiò. -Mi deludi Melgor! Non hai mai pensato che Lord Mosly non si fidasse per niente di te?- la mise lì come se fosse qualcosa di ovvio. E in effetti era vero: più volte il grassone aveva mostrato espressamente di non fidarsi del mercenario. -Pensava che lo avresti assassinato presto per prendergli soldi, e quindi ci aveva ordinato di sorvegliarti per poi ucciderti non appena avessi svolto l'ultimo compito che voleva assegnarti... tuttavia hai agito prima che fossimo pronti ad assali...-. Non riuscì a finire la frase. Un'estremità della spada doppia di Melgor lo aveva trafitto al collo da parte a parte, senza nemmeno lasciargli il tempo di accorgersene. Ecco. Non aveva pensato agli occhi. Attorno a loro si levarono delle grida terrorizzate, e la gente cominciò ad ammassarsi contro l'uscita o i muri, per tentare di non venire coinvolta nello scontro che sarebbe seguito.

Melgor estrasse la spada dal collo di Louis con disinvoltura e si allontanò dal tavolo rapidamente, mentre gli altri sette uomini si riprendevano dallo sgomento. -Ok, confesso. Ho ucciso Mosly e gli altri otto idioti dei suoi sgherri che erano venuti ad uccidermi!- ghignò il mercenario. I sette uomini sfoderarono le loro spade e si gettarono contro il mercenario.

Melgor riuscì a schivare la carica degli avversari, portandosi rapidamente fuori dalla loro portata; ma bastarono pochi secondi prima che gli scagnozzi lo circondassero. Sebbene Melgor fosse estremamente veloce e abile nel difendersi, ben presto la pioggia di colpi divenne insostenibile per lui. Dopo ogni parata tentava di contrattaccare, ma facendo ciò si scopriva troppo. Riuscì ad infilzare la spada nel ventre di un avversario al costo di una lieve ferita sul braccio destro. Ma, decapitando un secondo sgherro, sentì una lama conficcarglisi nel fianco e venire estratta rapidamente. Strinse i denti, trattenendo un urlo. Il sangue iniziò a sgorgare copioso dalla ferita, sporcando totalmente i pantaloni. La vista di Melgor iniziò ad annebbiarsi, e non riuscì a reagire quando uno spinto lo costrinse a terra.

Il mercenario tentò di strisciare via, di liberarsi dalla cerchia che avevano formato attorno a lui, ma un piede lo colpì violentemente sulla schiena, inchiodandolo al terreno. -Dove scappi, verme?!-. La spada dello sgherro si alzò, pronta menare il colpo di grazia su Melgor. Ma qualcosa lo distrasse. Le porte della locanda si aprirono, sbattendo violentemente, e una figura entrò nel locale ormai devastato dalla battaglia: un uomo vestito con un'ampia tunica, le cui maniche erano tanto larghe e lunghe da coprirgli le mani. La sua testa era coperta da un cappuccio molto grande, tanto che era impossibile vederlo in volto.

Melgor si voltò a fatica per vedere ciò che succedeva, e vedendo quella figura, un brivido gli attraversò la schiena. -Salve.- disse l'ammantato, con una voce cavernosa, che esprimeva un lieve compiacimento -O, meglio...- tese un braccio, e la lunga manica scivolò via, mostrando una mano ossuta, dalle dita sottili e scarne. L'uomo che sovrastava Melgor ebbe improvvisamente un sussulto. Melgor si voltò soltanto per vedere il corpo dello sgherro iniziare a sanguinare, mentre le sue urla strazianti riempivano l'aria. Era come se la sua carne si lacerasse da sola, come se i suoi muscoli si riducessero in poltiglia per loro volontà. Le urla cessarono solamente quando il corpo cadde a terra, di fianco al mercenario, che, per niente inorridito, a differenza degli sgherri, notò che il cadavere era irriconoscibile. -...addio.- terminò la figura.

Gli uomini gli si gettarono immediatamente contro, dimenticandosi di Melgor, che nel frattempo tentava di rialzarsi. Ma l'ammantato schivò i colpi facilmente. -Pensate davvero che le spade possano ferirmi?- li schernì. Ma gli uomini lo ignorarono. Le lame non riusciva nemmeno ad avvicinarsi al corpo dell'uomo: sembravano quasi scivolare sull'aria quando si trovavano a pochi centimetri dalla sua carne. Melgor, rialzatosi, non ci mise molto a capire cosa fosse. “Magia...” sussurrò, comprimendosi la ferita al fianco, che non smetteva di sanguinare.

Il combattimento tra gli sgherri e l'ammantato continuava sempre in situazione di stallo: per quanto gli uomini continuassero ad agitare le spade contro l'avversario, esso non veniva nemmeno ferito di striscio. E, sebbene continuasse a schivare, non sembrava stancarsi. Anzi, mentre si spostava, sembrava che intonasse una litania a bassa voce, una lamentosa preghiera rivolta ad un qualche dio sconosciuto. Al termine del canto la figura si bloccò dov'era. I quattro uomini gli si gettarono addosso senza esitare, ma lui non si mosse nemmeno in quel momento. -Sapete, io non ho fretta, di solito...- la sua voce risuonò calma, con un tono che sembrava stesse spiegando qualcosa ad un bambino. Gli sgherri si fermarono improvvisamente, lasciando a terra le spade. -...ma voi mi state prendendo decisamente troppo tempo.- Non fecero nemmeno tempo ad urlare: il loro corpo esplose in una massa informe di sangue e carne, che schizzò su tutte le pareti della locanda, investendo anche Melgor, che borbottò qualcosa riguardo ai propri vestiti sporchi. Quando l'ammantato si voltò, il mercenario aveva già raccolto la spada a due mani. -Beh, complimenti. Pulisci tu questo porcaio?-. La ferita al fianco sanguinava ancora, e nel complesso Melgor era molto debole. Ma non aveva intenzione di arrendersi a quel buffone mascherato.

-Mi spiace, ma credo che la tua ora sia giunta.- disse la figura. Melgor sghignazzò, smettendo solo per e fitte che gli venivano al ventre. -Davvero?- lo canzonò con voce sommessa -E quale orologio guasto avrebbe deciso questa mia ipotetica “fine”?-. Si gettò contro l'ammantato, sferrando un poderoso colpo con una lama della sua spada. Ma, com'era successo anche per gli sgherri, la lama scivolò via dal corpo dell'ammantato a pochi centimetri dal suo corpo. Una bestemmia uscì dalle labbra del guerriero. -Io.- sussurrò monosillabico la figura, senza però reagire all'attacco. Melgor sferrò rapidamente un colpo con entrambe le lame della sua spada doppia, ma vide anch'essi fendere l'aria senza alcun risultato, mentre la figura indietreggiava lentamente. -Sei ancora convinto che abbia sbagliato?- pronunciò calmo l'ammantato. Melgor tentò di ghignare, ma ciò che venne fuori fu un sorriso quasi sofferente. -No, non credo che tu abbia sbagliato. Almeno riguardo l'ora. Ma hai certamente confuso la persona che deve morire...-. Melgor si scagliò di nuovo all'attacco, mentre l'ammantato tendeva lentamente una mano. Il mercenario afferrò la spada doppia saldamente, ignorando il dolore lancinante al fianco, e colpì con tutta la propria forza verso l'ammantato. Sentì che la lama aveva colpito qualcosa, ma prima che potesse solamente compiacersene sentì un dolore insopportabile prendergli l'intero corpo. Fu come sbalzato all'indietro, mentre sentiva la pelle strapparsi, il sangue bollire nelle vene, il cuore sussultare come impazzito. Non riusciva nemmeno ad urlare, come se i polmoni fossero stati svuotati di tutta l'aria che potevano contenere. Ma il mercenario non avrebbe urlato nemmeno se ne avesse avuta la possibilità, tanto era lo stupore che provava. Con la spada, prima, aveva colpito il cappuccio dell'ammantato, abbassandoglielo. E ora che gli guardava il volto, lo sgomento più grande era quello di vedere che era umano.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Luna Piena ***


Cosa accadrà a Melgor, apparentemente ucciso dall'oscuro ammantato? Riuscirà a sopravvivere? Ma sopratutto, riuscirò a sopportare i commenti di mia cugina? XD

No, scherzo,. Ringrazio molto la mia carimerrima cuginetta per aver letto e commentato il mio scritto.

E, da parte di un mio amico, ho il piacere di presentarvi  il magnifico banner di luce nera (ridotto per motivi di pesantezza). Enjoy it!

Image and video hosting by TinyPic

Luna


Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,/ Silenziosa luna?/ Sorgi la sera, e vai,/ contemplando i deserti; indi ti posi./ Ancor non sei tu paga/ Di riandare i sempiterni calli?/ Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga/ Di mirar queste valli?/

-Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia





Nessuno aveva approvato la sua decisione. Soprattutto la madre, che aveva tentato di convincerla fino all'ultimo istante, perfino quando lei si trovava già sulla porta di casa pronta ad andarsene, forse per sempre. -Madre,- gli aveva detto, tentando di non essere sopraffatta dalla tristezza -ormai qui viviamo nella miseria. I nobili hanno in mano tutto il potere, e se ne infischiano dei nostri bisogni, tassandoci sempre di più solo per poter stendere i loro grassi culi su sedie d'oro. Non voglio più restare qui. Andrò a cercare soldi e fortuna in un altro luogo, anche per strada, ma che non sia questa dannata SpazzaCielo!-. Aveva trattenuto le lacrime e la voce non gli era tremata, ma alla vista delle lacrime dell'anziana madre non era riuscita a trattenere la tristezza. -Tornerò.- aveva sussurrato, la voce spezzata, mentre si allontanava dalla casa in cui aveva vissuto per diciassette anni.

Ora era poco distante da Relzan, la poteva vedere chiaramente, sebbene la luce del sole di metà mattina le splendesse negli occhi. Un fiume di emozioni la travolse, vedendo quel paesaggio, e si lasciò trasportare, come inebriata, finché una voce alle sue spalle la distolse. -Lady Selene, dovremmo proseguire. Ci prodigheremo ad arrivare a Relzan prima di mezzogiorno-. La ragazza annuì, sospirando debolmente. Era stata pagata bene per scortare quei mercanti alla SpazzaCielo insieme ad altri avventurieri, e dopotutto erano anni che voleva andare a trovare i propri genitori. Non era il caso di lasciarsi emozionare a qualche chilometro da casa: fra poche ore avrebbe potuto riabbracciare tutta la sua famiglia.

Aprì gli occhi lentamente, accorgendosi di essere ancora vivo. Sentiva il proprio corpo sdraiato sulle assi di legno del pavimento della locanda, e percepiva chiaramente l'odore acre del sangue che lo circondava. Si rialzò, e la cosa gli fu incredibilmente facile, e non provò alcun dolore mentre lo faceva. Si controllò il fianco, lasciandosi scappare una bestemmia. La ferita non c'era più. Sulla pelle non c'era nemmeno la cicatrice, e si poteva pensare che fosse stato colpito in quel punto solo per l'abito strappato e completamente sporco di sangue. Si avviò verso l'uscita, innervosito, bestemmiando ogni volta che pestava uno dei pezzi di carne maciullati degli scagnozzi che erano per terra.

-Che... che cazzo è questa roba?- disse uno degli uomini della scorta, indicando i due corpi martoriati ai due lati della grande porta della SpazzaCielo. I cavalli si erano imbizzarriti a quella vista, e i mercanti avevano impiegato parecchi minuti per riportarli alla tranquillità. -Sembrano... corpi.- rispose Selene, avvicinandosi alla poltiglia di carne e sangue. Il sangue sembrava essere uscito violentemente dai pori della pelle dei due malcapitati, tanto forte da squarciarli completamente. L'unica cosa che avevano di umano quei cadaveri era l'espressione di dolore e paura che avevano dipinta sul volto -Chi... cosa può aver causato questo?- chiese balbettando inorridito agli avventurieri uno dei mercanti -Esistono creature talmente mostruose?- . Ma tutti scossero la testa. -No, le creature più terribili a cui ci è dato sapere sono gli strige... ma questa è opera di magia elfica...-.

Melgor aveva avuto un attimo di smarrimento quando era uscito dalla locanda. Ma tutti avrebbero un attimo di smarrimento, vedendo sparsi per le strade i corpi devastati di centinaia di persone. Le strade erano ricoperte del sangue delle vittime, ormai rappreso, e un forte odore di ferro aleggiava nell'aria. -Beh, almeno un miglioramento c'è stato...- disse ridacchiando fra se e sé il mercenario, guardando la scia di morte che aveva davanti. Si avviò verso l'uscita, scostando a calci i cadaveri che gli bloccavano il passaggio. Era troppo infuriato per evitarli semplicemente. Quel dannato ammantato l'avrebbe pagata cara per averlo lasciato morente nella locanda. Ma soprattutto per averlo curato di tutte le ferite dopo che aveva perso i sensi.

-È... orribile...- disse uno dei mercanti, la mano sulla bocca. Anche gli avventurieri erano sgomenti davanti a quello spettacolo: ogni passo nelle vie di quella città significava vedere centinaia di cadaveri. Selene tratteneva il fiato e le lacrime, tentando di convincersi che i suoi genitori dovevano essere ancora vivi. Ma non riusciva a credere alle proprie parole: più corpi e sangue scorrevano davanti ai suoi occhi, più la speranza si affievoliva. -Qui non c'è nessuno.- disse uno degli uomini, uscendo da una casa. Gli altri avventurieri stavano perlustrando ogni edificio alla ricerca di superstiti, tentando di rimanere impassibili davanti a quell'atroce spettacolo. I mercanti, d'altro canto, avevano già dato di stomaco, e pregavano gli avventurieri di sbrigarsi.

-Chi sei?-. Melgor aggrottò la fronte. Era arrivato a neanche un centinaio di metri dalle porte della città, e davanti a lui era spuntato quell'uomo, che, sgomento, gli aveva chiesto chi fosse. -Se non te lo volessi dire? Cazzo, ho fretta! Lasciami passare!- gridò, irritato, dirigendosi verso le porte. Ma l'altro sguainò la spada. -Chi sei?- ripetè l'uomo, per nulla intimorito. Melgor non rispose, continuando a camminare. L'uomo gli si parò di nuovo davanti. -Se non mi dici chi sei, giuro che t...-. Melgor aveva estratto la spada ad una velocità incredibile e l'aveva infilzata con forza attraverso il corpetto di cuoio dell'uomo. -Ho detto che ho fretta!- gridò furioso il mercenario, scagliando via il corpo boccheggiante dell'avventuriero con un calcio.

L'urlo aveva messo subito in allarme Selene, che aveva estratto la sua sciabola ed era subito corsa nella direzione in cui proveniva il suono. Ma arrivò in tempo solo per vedere Melgor atterrare con un calcio l'uomo, dal cui petto fuoriusciva un fiume di sangue. Lo sgomento iniziale della ragazza dai capelli neri venne sostituito rapidamente dalla rabbia. -Chi cazzo sei tu?- urlò a Melgor, stringendo forte lo stocco. Il mercenario la guardò male. Quella domanda stava venendo ripetuta un po' troppe volte quel giorno. -Lasciami passare o farai la fine del tuo fidanzatino.- ruggì Melgor, indicando l'uomo, che ancora rantolava morente. Selene strinse i denti. -Allora sei tu che hai ucciso tutti, qui...- sussurrò, la voce carica di pura ira. Il mercenario inarcò un sopracciglio. -Io... cosa?- tentò di chiedere, irritato, senza però riuscire a finire la frase: la lama sottile della sciabola sfrecciò verso il suo cuore rapidamente.

Melgor deviò il colpo facilmente con una delle lame della spada, contrattaccando immediatamente con l'altra. Si sorprese vedendo l'agilità della ragazza, che scansò il colpo facilmente. Era furiosa, lo si vedeva dagli occhi, ma sembrava che ogni suo attacco fosse calcolato al millimetro. Le spade di entrambi fendevano l'aria ad una rapidità impressionante, e ogni volta che si incrociavano il clangore riempiva l'aria per qualche secondo. Melgor sorrise, dimenticando per qualche secondo di essere infuriato: finalmente avrebbe potuto ammazzare qualcuno che non fossero solo sgherri incompetenti o vecchi avventurieri artritici.

Il pugno lo colse alla sprovvista. Aveva appena parato una stoccata e si preparava a contrattaccare, quando vide il braccio della ragazza proiettarsi rapidamente contro il suo volto. Lo schivò per un soffio, notando poi che la mano era cinta con un guanto d'arme da cui spuntavano numerosi e appuntiti spuntoni. -Simpatica...- sussurrò ironico Melgor, indietreggiando rapidamente. -Beh, cosa aspetti, principessina?- chiese sarcastico poi, fingendo impazienza -Non chiami la tua scorta? Non hai paura?-. Selene strinse i denti, stringendo lo stocco fino a che le nocche non sbiancarono. -Che cazzo di coraggio hai per sfottermi dopo aver ucciso un'intera città?!- urlò, caricando Melgor per sferrargli un pugno in faccia col guanto d'arme. Ma colpì solo l'aria. -Confesso che adoro uccidere.- disse una voce alle spalle di Selene, che si voltò subito -Ma non pensi che una città sia un po' troppo in una notte?-. La ragazza digrignò i denti, resasi conto della velocità di quell'uomo. -Hai usato degli incantesimi per ucciderli!-. Melgor ghignò, mentre schivava nuovamente il pugno e si portava alle spalle della ragazza in qualche istante. -Non pensi che ti avrei già uccisa, se fossi capace di un tale incantesimo? Devo dire che sarebbe molto più rilassante che ficcarti un pugnale in gola...-. La mano del mercenario scagliò con forza uno stiletto dall'astuccio che aveva in vita. Selene riuscì a voltarsi in tempo per respingerlo con il dorso della mano protetta. -Piantala di giustificarti!- gridò, spazientita, gettandosi di nuovo contro Melgor. Il mercenario si mise una mano sulla fronte, sospirando. Odiava quando erano così arrabbiati che si facevano colpire quasi apposta. Gli toglievano tutto il gusto di un'uccisione teatrale.

-Che cazzo succede qui?!-. Il mercenario quasi si fece colpire, distratto da quell'urlo. Erano arrivati in cinque, a circa cento metri dai duellanti. Due di essi erano, però, chiaramente non combattenti: se ne stavano rintanati alle spalle dei tre più massicci, e tremavano come foglie. -È lui!- gridò Selene, indicando Melgor -Ha ucciso tutti gli abitanti della città e ha colpito Ionmund al petto!-. Gli avventurieri impallidirono, ed estrassero le loro armi dal fodero, pronti a fronteggiare il mercenario, che, sotto sotto, non chiedeva altro. -Ci penso io a lui!- gridò ancora Selene -Prendete il corpo di Ionmund e andatevene! Se non vi raggiungo entro un'ora, sapete che fare!-. I cinque uomini la guardarono stupita, tentando di replicare, ma bastò un'occhiata furiosa della ragazza per convincerli ad andarsene.

-Commovente...- sputò disgustato Melgor -Fare l'eroe non ha mai portato nulla a nessuno!-. Caricò Selene ad una velocità impressionante, sferrandole un poderoso calcio nello stomaco e atterrandola. Con un calcio le allontanò la spada dalla mano, e le punto un piede sul corpetto di cuoio che portava al petto, costringendola a terra. -Fare l'eroe non porterà niente neppure a te!- sussurrò, ansimando stordita dal colpo -Se non torno dai miei compagni con la tua testa, metteranno su di te una taglia così grande che non potrai nemmeno respirare in pace!-. Melgor le puntò la lama doppia sulla gola, accarezzando leggermente l'osso del collo della ragazza con la punta della lama. -Piantala.- disse, ghignando -Colui che ha distrutto totalmente Relzan verrà ucciso per mano del sottoscritto. Ovviamente dopo aver finito te. Ma non illuderti che sia per vendicare qualcuno. Semplicemente mi stanno molto sul cazzo le persone che vanno in giro vestite di nero, lanciano magie che uccidono all'istante e sono umane-. Selene rise, e la lama le punzecchiò il collo. -Davvero tu pensi che io possa credere che non sei tu ad aver ucciso tutti, ma un uomo che lancia incantesimi?-. Melgor scosse la testa, continuando a passare la lama lungo il collo della ragazza. -E io cosa sarei, allora? Vedi orecchie a punta? Vedi le sfarfallose ali dei folletti?- disse sarcastico, tirandosi un orecchio. Gli occhi di Selene si caricarono dubbio. -Ma non preoccuparti cara, avrai una risposta a tutte le domande!- continuò il mercenario, alzando lentamente la lama della spada doppia -Potrai chiedere a quel vecchio barbuto... come o chiamate... a sì. Potrai chiederlo a Satana-. La lama pendeva sopra la gola della ragazza, oscillando minacciosamente. -Un ultimo desiderio?- chiese Melgor, ironico. -Sì.- rispose Selene, tranquilla -Fammi venire con te-.

-Eh?- esclamò il mercenario, sinceramente sorpreso -Prima mi insulti, tenti di uccidermi, mi incolpi di qualcosa che non ho fatto, e poi chiedi di unirti a me? Viva la coerenza-. La mano non si era mossa, e la lama puntava ancora alla gola della ragazza. Selene chiuse gli occhi, attendendo il dolore della spada che la trafiggeva. -E in che modo potresti essermi utile, se io accettassi la tua offerta?- chiese Melgor, ghignando nel vedere la rassegnazione alla morte della ragazza che, colta alla sprovvista dalla domanda, impiegò una decina di secondi prima di rispondere. -Potrei aiutarti nei combattimenti, aiutarti ad uccidere quell'uomo. Insomma, farti da compagna...-. Melgor la interruppe scuotendo la testa. -Si presuppone che i “compagni” abbiano lo stesso livello di abilità. Ma questo non è decisamente il nostro caso-. La spada venne rapidamente rinfoderata, e il piede tolto dal petto di Selene. -Tu sarai mia allieva!- sghignazzò il mercenario. -Ah,- aggiunse, appena la ragazza raccolse lo stocco -non tentare di attaccarmi. Non farebbe bene alla tua salute-.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=425056