Bugie
Infilo un piede in cucina scrutandomi
attenta attorno: non
voglio che mia madre mi scopra qui. Così sgattaiolo, appena
appurato che non ci
sia nessuno, verso il frigo e benedicendo quella santa che è
mia mamma estraggo
una pesca dal contenitore e dopo averla lavata per bene la addento
gustandone
il sapore dolce e aspro al tempo stesso.
Eppure sorpresa delle sorprese,
faccio un passo avanti e mia
madre entra con un cesto dei panni tenuto con presa esperta contro un
fianco e
inarcato un sopracciglio mentre il suo sguardo si punta sulla pesca
vedo un
ghiozzo di ira attraversarle gli occhi prima di irrompere con voce
acidula e
indignata.
-Helen ma quante volte ti ho detto
che la pesca così in giro
per casa non la devi mangiare? A volte credo che tu sia sorda o forse
dimmi
Helen, parlo una lingua sconosciuta? A me pare di parlare
l’italiano sai, mi
sembra proprio che tutti mi capiscano eccetto te! Sei una cosa
incredibile! Ho
appena lavato per terra e tu te ne vai in giro con
quella…quella cosa tra le
mani!-
Ruotò gli occhi al cielo e
avvicinandomi al lavandino le do
un altro morso e la butto. Mi ha pure fatto passare la fame adesso. Mi
giro e
appoggiate le mani e la schiena contro il bordo della mensola le
rispondo
fissando un punto vuoto della stanza.
-Mamma…era solo una pesca!-
-Certo e le hai appena dato un morso
e l’hai buttata! I miei
complimenti! Se ti vedesse tuo nonno sai quante te ne direbbe, lo sai
che
secondo lui niente va buttato e questa volta concordo con lui
perché non puoi
pretendere che…-
Bla, bla, bla…
Fissò il soffitto bianco, il mio sguardo si
corruccia un momento e poi le labbra si tendono in un sorriso. Una
macchia
gialla si nota ancora anche se sono passati anni da quel giorno. Sul
soffitto
bianco perla l’unica pecca un po’ nascosta dal
lampadario circolare spicca sul
colore chiaro anche se ad uno sguardo meno attento sfuggirebbe alla
vista.
Una mattina quando avevo solo tre
anni mia madre aveva messo
a cuocere nell’acqua le uova, per la cena, per farle sode. Io
da brava bambina
ero uscita di fuori a giocare sull’erba con il nostro
cagnolino che era piccolo
e innocente, lei mi aveva seguita fuori non volendomi lasciare sola e
con le
sue manie d’ordine avendo notato che il vialetto di casa era
ingombro di foglie
secche, aghi di pino, pigne e altra sporcizia si era armata di
rastrello e
scopa da giardino e aveva passato ore intere a pulire mentre io
giocavo, la
seguivo, rincorrevo Cookie (il cagnolino), la imitavo cercando di
essere già a
soli tre anni una brava donna di famiglia laboriosa. Quando verso la
sera prima
che mio padre rincasasse da lavoro si sentì un tonfo
provenire dalla cucina.
Mia madre si illuminò tutta di sorpresa e poi nonostante
conosco questa storia
solo perché mi è stata raccontata tante volte non
potrò mai dimenticare
l’espressione di orrore dipinta sul viso di mia madre. Corse
rapida all’interno
e quando raggiunse la cucina ritrovò le uova sparse in pezzi
per tutta la
cucina persino sul soffitto. Da quel giorno nonostante le ha provate
tutte la
macchia c’è sempre. Credo che con tutti i
detersivi, i detergenti, tutti i suoi
intrugli chimici che ci abbia elaborato sopra quel pezzo di soffitto
sia
diventato radioattivo. Sospiro quando sento che riprendo ad avere
contatto di
dove sono e con chi sono mentre il borbottio incessante di mia madre
diventa
meno ovattato e anzi si fa sempre più acuto. Abbasso lo
sguardo e me la ritrovo
davanti: quanto è passato? Pochi minuti, qualche secondo? Un
giorno? Se…magari.
Sospiro nuovamente e mi
stiracchiò le braccia sollevandole
sopra la testa e mi accorgo da alcune parole che le sue labbra carnose
stanno
pronunciando che sta parlando del dopo guerra e di mio nonno. Sorrido
di nuovo
e mi avvicino lentamente separandomi dal lavandino. Cammino leggera,
come se
volassi sulle nuvole, come se sotto i miei piedi ci fosse aria e il mio
corpo
fosse una piuma.
Mi allungo sul suo viso segnato dagli
anni ma ancora bello e
giovane di donna matura e le stampo un bacio sulla guancia emanando uno
schiocco
violento che si propaga per la cucina.
La sua voce si spegne e diventa un
borbotto di sottofondo
mentre abbassa lo sguardo e io le cingo il collo con le braccia
stringendola a
me.
Si addolcisce tra le mie braccia e
prova goffamente ad
abbracciarmi con ancora la scopa in mano. Sorride e sento che erge le
sue
ultime barriere.
-…sempre così
tu. Coccole, baci e moine pur di farti
perdonare…-
-Tanto lo so che mi perdoni!-
Sorride divertita e mi fa una rapida
linguaccia e la rivedo
bambina e sorridente. Mi piace quando sorride. Poggiò il
viso sulla sua spalla
e me la coccolo un po’ poi improvvisamente mentre me la
spupazzo meglio di un
peluche mi ricordo di Robert e della vacanza. Mi faccio forza e
stampandole un
nuovo bacio le dico tranquillamente.
-Mamy quest’estate voglio
andare al mare con Robert.-
Si irrigidisce e le sue mani cadono
inermi sui fianchi. Ne
prendo una e me la riappoggio attorno alla vita come mi stava
abbracciando
prima e incrocio silenziosamente le dita continuando rapidamente.
-Andiamo a casa sua al mare dove
c’è la zia e lo zio
ovviamente. Ci ospitano.-
La percepisco, sento i suoi dubbi,
vaglia l’idea e poi da
sfogo alle sue domande a mitraglia da me tanto temute.
-Zia e zio? I nomi?-
Seziono la mia memoria e mi ricordo
alcuni nomi degli zii di
Robert che mi ha descritto dalle foto. La casa appartiene seriamente
agli zii
ma non ricordo i nomi…dannazione! Vuole farmi crollare
subito! Però ricordo le
foto… Una coppia mi è rimasta particolarmente
impressa, un uomo e una donna
abbracciati dall’aria sbarazzina e spensierata. Marco
e…. e…. Cristina per la
miseria!
-Marco e Cristina!-
-Mmh…quante stanze da
letto nella casa?-
Furba la donna qui, subito al sodo,
mostra le sue paure per
mettermi in difficoltà. Alzo le spalle indifferente e le
dico sorridendo
rassicurante.
-Tante, una matrimoniale e altre
singole.-
-Spiegami la vostra idea.-
Dice incrociando le braccia e
scrutandomi intensamente negli
occhi. Odio quando fa così, sembra che voglia leggermi
dentro e scrutarmi
l’anima nel profondo. Prendo coraggio e parlo tranquillamente.
-Dato che gli zii vivono
lì c’è tutto il necessario. Uno di
questi giorni pensavo di partire se mi accompagnate, certo la strada
è un po’
lunga ma scommetto che non vuoi che io salga in macchina con Robert
anche
perché sarebbe l’unico modo per potermi
accompagnare oltre voi. Però dicono che
non c’è l’autostrada è un
paesino piccolo aldilà delle colline dove poco
più in
la ci sono le coste che vanno a strapiombo sul mare. Si insomma qualche
ora di
macchina e un po’ di curve cosa vuoi che sia?-
Sorrido affabile e vedo il pallore
sul viso di mia madre.
Lei soffre irrimediabilmente la macchina e se non è
autostrada si è sempre
rifiutata di salire sulla macchina. Il suo stomaco è molto
debole e diciamo che
ho fatto leva su questo punto. Sta tremando l’idea di
accompagnarmi la
terrorizza e il pensiero di mandare mio padre da solo la infastidisce.
Rabbrividisce
e dice con voce distaccata e leggermente innervosita.
-Infondo mi fido di te…
scommetto che non farai nulla che
possa spaventarmi insomma…hai diciassette anni e non mi hai
mai dato motivo di
ritirare la mia fiducia eccetto qualche sporadico caso. Poi Robert
è un ragazzo
molto responsabile, attento ai particolari. Voglio dire
all’esame della patente
non ha fatto nemmeno un errore alla teoria e alla pratica è
da quando era
piccino che suo padre gli insegnava come guidare…non
è forse così?-
Annuisco decisa e anche falsamente
sorpresa poi faccio un
passo avanti e le chiedo con una risatina divertita.
-Che stai cercando di dire mamma?-
-Che…che puoi andare anche
con Robert. Ma ad una
condizione.-
Inarco un sopracciglio e la guardo
intensamente negli occhi.
-Spara!-
-Che mi chiami ogni 15 minuti per
dirmi dove siete.-
La vedo sogghignare e ho un sobbalzo.
Non posso diamine! Non
andiamo in macchina ma in moto ma di certo non potevo dirlo a mia
madre.
Sospiro di rabbia e dico fingendomi indignata.
-E per fortuna che ti fidavi di me!
Quando sarà necessario
ti chiamerò!-
-Ogni mezz’ora!-
Supplica leggermente incavolata. Gemo
di sofferenza e parlo
con voce tagliente.
-Ogni due ore, tanto sono solo tre o
quattro ore di
tragitto.-
-Ogni ora!-
Geme pestando un
piede a terra di rabbia come una bimba piccola. Io la
imitò e mi impunto
in preda alla preoccupazione di non uscire vincitrice da questo gioco
rischioso.
-Ogni due ore! Ultima offerta!-
-Accettiamo!-
Irrompe mio padre entrando in cucina
e lanciando uno sguardo
a mia madre che si volta sorpresa verso di lui.
-Papy!-
-Richard!-
-Oh andiamo cara, Helen ci ha sempre
dimostrato una certa maturità
e un’evidente sincerità! Ha diciassette anni credo
che posa benissimo
affrontare il suo primo viaggio in macchina da sola!-
Sorriso con gli occhi quasi lucidi di
commozione. Il mio
papy che si fida di me. Sono commossa ma provo una fitta di senso di
colpa. Gli
sto mentendo ma non mi lascerebbero andare. Infondo non conto di fare
nulla di
sconsiderato da sola con Robert eccetto qualche bacio
magari….più profondo e
passionale. E va bene…un po’ spero magari che vada
anche oltre ma non è il mio
pensiero primario. Il mio pensiero primario è un bacio! Non
chiedo altro!
Qualche minuto dopo esco trionfante
da casa con un sorriso
che va da una parte all’altra del viso e salto sulla mia
bicicletta con una
risatina gioiosa. Inizio a pedalare rapidamente e sento il vento che mi
sfregia
il viso. Dopo poche e sofferte pedalate sono a casa di Robert e scendo
saltando
giù. Mollo la bici e corro al campanello con il fiatone.
Continua…
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