Seduta su una lavatrice vecchio modello

di armony_93
(/viewuser.php?uid=34815)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Robert ***
Capitolo 2: *** Richiesta ***
Capitolo 3: *** Bugie ***
Capitolo 4: *** Arrivo ***



Capitolo 1
*** Robert ***


Mi piaci così: seduta su una lavatrice vecchio modello


Sin da quando ero piccola ho imparato molte cose dalla mia famiglia e dalle persone che mi circondano. Una di quelle nozioni che sono importanti e che mi trascinerò per il resto della mia esistenza sulle ragazze della mia generazione è questa:

le ragazze sono esseri complicati che sfruttano il più possibile i loro simili del loro stesso sesso per poter raggiungere gli scopi che si prefiggono sena badare ai mezzi e ai sacrifici che si devono compiere per raggiungerli e realizzarli.

Stranamente però c'è qualcosa che mi ronza nella testa, facendomi sentire “diversa”. Questo aggettivo negli ultimi tempi è sempre ricorrente nella mia mente e mi sento tanto sciocca perchè probabilmente tutte le adolescenti con crisi personali si sentono sotto qualche punto di vista "diverse". Per me è così, mi sento diversa. Quando cammino per il parco mi guardo attorno e una domanda mi sorge spontanea vedendo tutte quelle ragazze che mettono in mostra pezzi di pelle che di solito si tendono a nascondere "Cosa ci faccio qui?" poi ovviamente la banalità e la frenesia delle giornate mi portano a dimenticarmi ma mi stupisco di non riuscire a trovare mai una concreta risposta a questa mia domanda.

Passiamo a qualche cosa di più logico: chi sono io?
Allora per rispondere a questa domanda dovrei iniziare a narrare da molto lontano partendo dalla famosa esplosione che ha dato origine al nostro universo, attraversando varie epoche e riassumendo in breve i miliardi di anni che hanno formato il nostro meraviglioso, da notare il dolente tono sarcastico, mondo ma preferisco tralasciare e dirvi direttamente le mie più recenti origini.
Immaginatevi le classiche ragazza della mia generazione, quelle belle e facili, quelle semplici e mature, quelle introverse e quelle estroverse, quelle razionali e quelle folli, immaginatevi tutto quello che racchiude il mondo delle ragazze e che oggi è considerato “normale”.
Avete realizzato? Potete vedere e toccare quel mare di ragazze?
Perfetto…cancellate tutto dalla vostra mente perché io non sono il genere di ragazza che viene classificata come normale. A meno che una ragazza normale non sia quella ragazza che alla fine di una doccia non lascia scorrere l’acqua e con una verticale si mette sotto al getto freddo facendo si che l’acqua le scivoli dalla punta dei piedi alla testa per alcuni minuti, chiudendo gli occhi, perché quella posizione vi aiuta a riflettere e a immagazzinare tutti i pensieri. A meno che normale non sia quella ragazza che è fidanzata da più di cinque anni senza sapere cosa sia un bacio, ma bacio vero è.

Il concetto di normalità si trova accantonato alla mia foto in un vocabolario dei contrari. Eppure mi ci trovo bene nella mia stranezza, nella mia complessità troppo semplice da intuire. Sono così presa da me stessa e dai miei problemi con tutte le mie riflessioni da essermi dimenticata di svelarvi il mio nome. Mi chiamo Helen Watson e posso assicurarvi che avere a che fare con me è qualcosa di terribile.
Ho appena diciassette anni e ritengo che la vita sia una scienza troppo complicata per la sottoscritta, non capisco perché il mondo ruoti in un verso mentre io mi dirigo testarda in un altro…semplice sono io e non ho intenzione di cambiare.
Comunque il mio ragazzo si chiama Robert ed è il tipico bulletto da scuole superiori. Quello che non minaccia ma viene seguito da un orda di ragazzi che lo assecondando nelle sue ragazzate. Con me è diverso, non dico che sia l’amore che lo cambia ai miei occhi, semplicemente stronzo è, stronzo rimane, ma dato che mia madre conosce sua madre che lo bastona se viene a sapere che il suo piccolo “paperotto” in realtà è uno che ha scuola viene venerato. Tuttavia lo sopporto e lui sopporta me, non mi ha mai baciata perché attende “il momento più propizio” ma secondo me ha paura di essere il primo a darmi un bacio. Non so perché ma ci siamo ritrovati appunto per questo motivo…siamo due ragazzi diversi dal resto della massa e forse tra la folla la sua zazzera castana è risaltata di più delle altre mentre i suoi occhi azzurri mi hanno cercata, brillando quando mi hanno trovata. I miei nocciola lo hanno scrutato, etichettato, scartato ma subito rivalutato: era il tipo per me. Il mio completo opposto. Io con gli occhi nocciola e lui con quelli azzurri, i suoi capelli castani chiari e i miei tinti neri da castano scuro che erano, le sue labbra rosate piene e morbide e le mie sottili e quasi pallide, il suo corpo muscoloso e il mio insignificante smunto ma con i fianchi troppo grossi e un sedere abbondante oserei dire, con la sua presa salda quando mi abbraccia e le mie braccia sottili, la sua carnagione di un rosa caldo e la mia quasi olivastra.
Eppure ci siamo trovati e lui sta bene con me come io sto bene con lui, ci capiamo, siamo diversi insieme e nessuno di due esagera mai con l’altro.

Per questo quando entra nella mia lavanderia nel seminterrato e mi guarda inarcando un sopracciglio come fossi una pazza io, da seduta sulla lavatrice che si muove vorticosamente mentre sta per finire il lavaggio, lo saluto con un gesto del capo. Lui si avvicina e da buon fidanzato mi posa un bacio…sulla fronte. La morbidezza delle sue labbra mi preme una tempia e percepisco il suo corpo pulsare a qualche centimetri di distanza dal mio. Mi scanso un poco e lui si appoggia con un fianco contro la lavatrice scostandomi una ciocca di capelli e scrutando il mio viso.
Più mi chiedo perché ha scelto me e più sento che siamo fatti per stare insieme.
Del resto…non sono normale no?

Continua…

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Richiesta ***


Incontro

Robert continua con il suo ostinato silenzio e io sento che dentro di me qualche cosa scatta così lasciando che il mio corpo tremi per colpa della lavatrice decido di parlare. Muovo una mano e la poggio con fare consolatorio sulla sua spalla. Questo mio gesto scatena una reazione a catena che parte dal suo sguardo che dal terreno passa ai miei occhi, la sua mano mi stringe il polso con violenza provocandomi dolore, che comporta all’espressione del mio viso comparabile ad un foglio di carta velina rosa stropicciato.

-Che ti prende?-

Brontolo cambiando immediatamente direzione delle mie parole visto che stavo per chiedergli come fosse andata la giornata. Sento i suoi occhi penetrarmi nel profondo quando si perdono nei miei e non so per quale motivo, nonostante sia stato lui a recarmi un dolore fisico, distolgo lo sguardo colpevole di non so cosa.

-Vuoi…vuoi…passare…-

Sento la sua voce tremare tra quelle labbra morbide e come incantata alzo lo sguardo fissandole muoversi mentre un leggero tremito non riesce ad essere controllato. Le sue labbra si tendono, si contorcono cercando di sputare fuori quella frase che non riesce a dire e che io non riesco a capire, nemmeno immaginare. Ad un tratto sbuffa innervosito da se stesso, gli occhi hanno un guizzo e io riabbasso obbediente lo sguardo quando con la coda dell’occhio lo osservo chiudere gli occhi aprire leggermente la bocca e lanciare il viso indietro per disperdere l’agitazione.

Io alzò lo sguardo rassicurata dall’aria di rilassamento che improvvisamente hanno assunto i suoi severi tratti da uomo appena sbocciato ma ancora non del tutto fiorito. I suoi occhi cobalto si aprono e si puntano nuovamente nei miei, hanno un tremito, un tentennamento che subito viene cacciato via sostituito da sicurezza e anche per certi versi malizia.

-Vuoi passare le vacanze a casa mia al mare?-

Ho un leggere crollo mentre una vena inizia a pulsarmi sulla tempia: tutta quest’agitazione per chiedermi di passare l’estate con lui e la sua famiglia in una villa al mare? Robert, Robert, Robert…SE MI FAI PRENDERE ALTRI COLPI SIMILI TI CASTRO!

Urla la mia mente mentre chiudo gli occhi e mi trattengo dal riempirlo di pugni tuttavia la mia voce non si blocca dietro alle labbra e invade come un’alluvione lo spazio che divide la mia bocca dalle sue orecchie.

-Rob….tutta…tutta quest’agitazione per chiedermi di trascorrere l’estate con la tua famiglia e te?-

In quel momento il suo sguardo scatta verso di me e i suoi occhi assumono una scarica di elettricità mentre con labbra ferme e un lieve ghigno a dipingere quel viso perfetto e roseo mi risponde annientando l’istinto omicida che mi pervade in quel momento.

-Non ho mai detto che ci sarebbe stata la mia famiglia…-

Una frase che fa si che la mia mano diventi inerme tra la sua stretta sempre più ferrea. Non ho nemmeno la forza di balbettare che lui pensa a spiegarmi tutto togliendomi da quello stato confusionale che sto iniziando a provare.

-Ti ho solo chiesto se vuoi passare l’intere vacanze, ovvero tre mesi, con me a casa dei miei al mare. Non ho alluso a nessun parente, ne familiari al seguito. Io e te a casa dei miei. Da soli.-

Quando sottolinea con uno sguardo ancora più intenso le ultime due paroline avverto un brivido percorrermi la schiena e mi sento tremare leggermente le gambe che sono sospese mentre la lucina della lavatrice pulsa per avvertire me e Robert che ha finito la centrifuga e che i panni sono pronti per essere stesi.

Termine adeguato: stesa.

È  così che mi sento. Le sue parole hanno sortito l’effetto di un pugno in faccia che mi ha rotto qualche dente e mi ha provocato un dolore atroce al naso probabilmente rompendomelo. Sospiro pesantemente, chiudo gli occhi e porto le mani davanti al viso unendole perfettamente piatte e lineari come per pregare. Il labbro inferiore mi trema e la mia colonna vertebrale sembra gelatina mentre trovo il coraggio per aprire un occhio e scrutare il viso di Robert ad un palmo dal mio.

Il suo sguardo è imperturbabile e il suo corpo pietra: la mano che mi teneva saldamente il polso è ancora sospesa nonostante il mio arto sia sgusciato via dalla sua presa da qualche minuto, gli occhi immobili fissi su di me, le labbra morbide leggermente dischiuse per far passare l’aria necessaria a che lui possa respirare e quindi vivere.

Rimaniamo ancora immobili quando un sonoro sibilo proviene dalla mia lavatrice che essendosi accorta che la tattica della lucina che lampeggia non ha comportato nessuna conseguenza ha deciso di chiamare allegramente con la sua metallica voce mia madre al piano di sopra.

Io e Robert ancora perfettamente paragonabili a due statue di pietra udiamo i passi di mia madre attraversare il salone, giungere sopra le nostre teste e intraprendere le scale. Dopo pochi istanti la sua gioviale figura compare sulla soglia scrutando prima la lavatrice giallognola per la vecchiaia, poi Robert pietrificato e infine una me marmorea alquanto sconcertata. Sbuffa e dopo pochi passi si china con un cesto tra le mani. Sento le sue mani spostarmi una gamba mentre io ancora immobile con le mani giunte e un occhio che scruta attento a carpire ogni emozione dal viso inespressivo di Robert.

Dopo un po’ di movimento e rumore mia madre si rialza con un sospiro di fatica. si allontana e si ferma sulla porta lanciandoci uno sguardo curioso e confuso. Scuote la testa e brontola salendo le scale e lasciandoci soli.

-Helen chiudi lo sportelletto della lavatrice! Che gioventù…passare del tempo seduta su una lavatrice…bah…-

Robert si sveglia dal suo momento di statua e compare un taglio sul suo viso che dovrebbe essere un sorriso mentre come diamanti i suoi denti brillano colpiti dalla luce flebile che penetra dalla finestra. Una mano mi cinge delicata la vita e l’altra la imita mentre si posiziona davanti a me tra le mie gambe aperte e penzolanti dalla lavatrice su cui sono appollaiata. Poggia il mento e le labbra sulle mie mani ancora giunte a preghiera e con una lieve pressione seguita da una risatina le scioglie e così mi trovo ad accarezzare le sue guance leggermente ruvide causa: barba delle cinque del pomeriggio.

L’unica perla di saggezza che il mio cervello riesce a far uscire dalle mie labbra è:

-Barbone…-

Lui ridacchia e avvicina il suo viso al mio. I muscoli della mia schiena si tendono quando le sue labbra piene si posano sulla mia guancia con dolcezza scivolando poi sul nasino e scendono sull’altra guancia. Ok, fino a qui ci sono, ma ora? Ti basta scendere Robert…devi solo scendere di poco e trovi le labbra!

Ma lui si separa e mi fissa intensamente negli occhi mormorando.

-Pensaci…sono pronto ad invitare tutte le tue amiche pur di farti venire…-

Le mie guance assumono colore e senza pensare ad altro le mani sulle sue guance scivolano sul collo, poi sulle spalle e lì si aggrappano. Chino il viso arresa e lo poso contro il suo petto che è un fascio di muscoli. Devo preparare la valigia, devo andarmi a comprare dei costumi, cosa molto ardua dato che non vado a comprarmi un costume dall’età di cinque anni e non so da dove iniziare, devo riflettere su com’è sentire la sabbia sotto i piedi e il sapore dell’acqua del mare e devo inventarmi una balla abbastanza credibile che permetta a me una vacanza rilassante e….romantica (provo un mare di brividi al suono di quella parola accostato a Robert…noi non siamo mai stati romantici…) e a mia madre la certezza che sua figlia non si trovi sola in casa con un bullo diciottenne che non l’ha baciata per ben cinque anni, anche se lei sentirebbe solo le parole “sola - in - casa - con - bullo - diciottenne”. Tutto questo in meno di quanto?

-Fra quanto dovremmo andare?-

-Due o tre giorni…con calma, quando vuoi, abbiamo un’intera estate!-

Mi dice improvvisamente illuminato quando nota nella mia domanda la consapevolezza di un’accettazione. Respiro, allora si può fare. Sorrido e come solo rare volte accade poso le mie labbra sulle sue. Un contatto rapido e breve giusto per non turbarlo troppo. Ridacchio quando mi sorride e mi chiedo se troverà il coraggio in “un’intera estate” di baciarmi come Dio comanda.

 

Continua…

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Bugie ***


Bugie

Infilo un piede in cucina scrutandomi attenta attorno: non voglio che mia madre mi scopra qui. Così sgattaiolo, appena appurato che non ci sia nessuno, verso il frigo e benedicendo quella santa che è mia mamma estraggo una pesca dal contenitore e dopo averla lavata per bene la addento gustandone il sapore dolce e aspro al tempo stesso.

Eppure sorpresa delle sorprese, faccio un passo avanti e mia madre entra con un cesto dei panni tenuto con presa esperta contro un fianco e inarcato un sopracciglio mentre il suo sguardo si punta sulla pesca vedo un ghiozzo di ira attraversarle gli occhi prima di irrompere con voce acidula e indignata.

-Helen ma quante volte ti ho detto che la pesca così in giro per casa non la devi mangiare? A volte credo che tu sia sorda o forse dimmi Helen, parlo una lingua sconosciuta? A me pare di parlare l’italiano sai, mi sembra proprio che tutti mi capiscano eccetto te! Sei una cosa incredibile! Ho appena lavato per terra e tu te ne vai in giro con quella…quella cosa tra le mani!-

Ruotò gli occhi al cielo e avvicinandomi al lavandino le do un altro morso e la butto. Mi ha pure fatto passare la fame adesso. Mi giro e appoggiate le mani e la schiena contro il bordo della mensola le rispondo fissando un punto vuoto della stanza.

-Mamma…era solo una pesca!-

-Certo e le hai appena dato un morso e l’hai buttata! I miei complimenti! Se ti vedesse tuo nonno sai quante te ne direbbe, lo sai che secondo lui niente va buttato e questa volta concordo con lui perché non puoi pretendere che…-

Bla, bla, bla… Fissò il soffitto bianco, il mio sguardo si corruccia un momento e poi le labbra si tendono in un sorriso. Una macchia gialla si nota ancora anche se sono passati anni da quel giorno. Sul soffitto bianco perla l’unica pecca un po’ nascosta dal lampadario circolare spicca sul colore chiaro anche se ad uno sguardo meno attento sfuggirebbe alla vista.

Una mattina quando avevo solo tre anni mia madre aveva messo a cuocere nell’acqua le uova, per la cena, per farle sode. Io da brava bambina ero uscita di fuori a giocare sull’erba con il nostro cagnolino che era piccolo e innocente, lei mi aveva seguita fuori non volendomi lasciare sola e con le sue manie d’ordine avendo notato che il vialetto di casa era ingombro di foglie secche, aghi di pino, pigne e altra sporcizia si era armata di rastrello e scopa da giardino e aveva passato ore intere a pulire mentre io giocavo, la seguivo, rincorrevo Cookie (il cagnolino), la imitavo cercando di essere già a soli tre anni una brava donna di famiglia laboriosa. Quando verso la sera prima che mio padre rincasasse da lavoro si sentì un tonfo provenire dalla cucina. Mia madre si illuminò tutta di sorpresa e poi nonostante conosco questa storia solo perché mi è stata raccontata tante volte non potrò mai dimenticare l’espressione di orrore dipinta sul viso di mia madre. Corse rapida all’interno e quando raggiunse la cucina ritrovò le uova sparse in pezzi per tutta la cucina persino sul soffitto. Da quel giorno nonostante le ha provate tutte la macchia c’è sempre. Credo che con tutti i detersivi, i detergenti, tutti i suoi intrugli chimici che ci abbia elaborato sopra quel pezzo di soffitto sia diventato radioattivo. Sospiro quando sento che riprendo ad avere contatto di dove sono e con chi sono mentre il borbottio incessante di mia madre diventa meno ovattato e anzi si fa sempre più acuto. Abbasso lo sguardo e me la ritrovo davanti: quanto è passato? Pochi minuti, qualche secondo? Un giorno? Se…magari.

Sospiro nuovamente e mi stiracchiò le braccia sollevandole sopra la testa e mi accorgo da alcune parole che le sue labbra carnose stanno pronunciando che sta parlando del dopo guerra e di mio nonno. Sorrido di nuovo e mi avvicino lentamente separandomi dal lavandino. Cammino leggera, come se volassi sulle nuvole, come se sotto i miei piedi ci fosse aria e il mio corpo fosse una piuma.

Mi allungo sul suo viso segnato dagli anni ma ancora bello e giovane di donna matura e le stampo un bacio sulla guancia emanando uno schiocco violento che si propaga per la cucina.

La sua voce si spegne e diventa un borbotto di sottofondo mentre abbassa lo sguardo e io le cingo il collo con le braccia stringendola a me.

Si addolcisce tra le mie braccia e prova goffamente ad abbracciarmi con ancora la scopa in mano. Sorride e sento che erge le sue ultime barriere.

-…sempre così tu. Coccole, baci e moine pur di farti perdonare…-

-Tanto lo so che mi perdoni!-

Sorride divertita e mi fa una rapida linguaccia e la rivedo bambina e sorridente. Mi piace quando sorride. Poggiò il viso sulla sua spalla e me la coccolo un po’ poi improvvisamente mentre me la spupazzo meglio di un peluche mi ricordo di Robert e della vacanza. Mi faccio forza e stampandole un nuovo bacio le dico tranquillamente.

-Mamy quest’estate voglio andare al mare con Robert.-

Si irrigidisce e le sue mani cadono inermi sui fianchi. Ne prendo una e me la riappoggio attorno alla vita come mi stava abbracciando prima e incrocio silenziosamente le dita continuando rapidamente.

-Andiamo a casa sua al mare dove c’è la zia e lo zio ovviamente. Ci ospitano.-

La percepisco, sento i suoi dubbi, vaglia l’idea e poi da sfogo alle sue domande a mitraglia da me tanto temute.

-Zia e zio? I nomi?-

Seziono la mia memoria e mi ricordo alcuni nomi degli zii di Robert che mi ha descritto dalle foto. La casa appartiene seriamente agli zii ma non ricordo i nomi…dannazione! Vuole farmi crollare subito! Però ricordo le foto… Una coppia mi è rimasta particolarmente impressa, un uomo e una donna abbracciati dall’aria sbarazzina e spensierata. Marco e…. e…. Cristina per la miseria!

-Marco e Cristina!-

-Mmh…quante stanze da letto nella casa?-

Furba la donna qui, subito al sodo, mostra le sue paure per mettermi in difficoltà. Alzo le spalle indifferente e le dico sorridendo rassicurante.

-Tante, una matrimoniale e altre singole.-

-Spiegami la vostra idea.-

Dice incrociando le braccia e scrutandomi intensamente negli occhi. Odio quando fa così, sembra che voglia leggermi dentro e scrutarmi l’anima nel profondo. Prendo coraggio e parlo tranquillamente.

-Dato che gli zii vivono lì c’è tutto il necessario. Uno di questi giorni pensavo di partire se mi accompagnate, certo la strada è un po’ lunga ma scommetto che non vuoi che io salga in macchina con Robert anche perché sarebbe l’unico modo per potermi accompagnare oltre voi. Però dicono che non c’è l’autostrada è un paesino piccolo aldilà delle colline dove poco più in la ci sono le coste che vanno a strapiombo sul mare. Si insomma qualche ora di macchina e un po’ di curve cosa vuoi che sia?-

Sorrido affabile e vedo il pallore sul viso di mia madre. Lei soffre irrimediabilmente la macchina e se non è autostrada si è sempre rifiutata di salire sulla macchina. Il suo stomaco è molto debole e diciamo che ho fatto leva su questo punto. Sta tremando l’idea di accompagnarmi la terrorizza e il pensiero di mandare mio padre da solo la infastidisce. Rabbrividisce e dice con voce distaccata e leggermente innervosita.

-Infondo mi fido di te… scommetto che non farai nulla che possa spaventarmi insomma…hai diciassette anni e non mi hai mai dato motivo di ritirare la mia fiducia eccetto qualche sporadico caso. Poi Robert è un ragazzo molto responsabile, attento ai particolari. Voglio dire all’esame della patente non ha fatto nemmeno un errore alla teoria e alla pratica è da quando era piccino che suo padre gli insegnava come guidare…non è forse così?-

Annuisco decisa e anche falsamente sorpresa poi faccio un passo avanti e le chiedo con una risatina divertita.

-Che stai cercando di dire mamma?-

-Che…che puoi andare anche con Robert. Ma ad una condizione.-

Inarco un sopracciglio e la guardo intensamente negli occhi.

-Spara!-

-Che mi chiami ogni 15 minuti per dirmi dove siete.-

La vedo sogghignare e ho un sobbalzo. Non posso diamine! Non andiamo in macchina ma in moto ma di certo non potevo dirlo a mia madre. Sospiro di rabbia e dico fingendomi indignata.

-E per fortuna che ti fidavi di me! Quando sarà necessario ti chiamerò!-

-Ogni mezz’ora!-

Supplica leggermente incavolata. Gemo di sofferenza e parlo con voce tagliente.

-Ogni due ore, tanto sono solo tre o quattro ore di tragitto.-

-Ogni ora!-

Geme pestando un  piede a terra di rabbia come una bimba piccola. Io la imitò e mi impunto in preda alla preoccupazione di non uscire vincitrice da questo gioco rischioso.

-Ogni due ore! Ultima offerta!-

-Accettiamo!-

Irrompe mio padre entrando in cucina e lanciando uno sguardo a mia madre che si volta sorpresa verso di lui.

-Papy!-

-Richard!-

-Oh andiamo cara, Helen ci ha sempre dimostrato una certa maturità e un’evidente sincerità! Ha diciassette anni credo che posa benissimo affrontare il suo primo viaggio in macchina da sola!-

Sorriso con gli occhi quasi lucidi di commozione. Il mio papy che si fida di me. Sono commossa ma provo una fitta di senso di colpa. Gli sto mentendo ma non mi lascerebbero andare. Infondo non conto di fare nulla di sconsiderato da sola con Robert eccetto qualche bacio magari….più profondo e passionale. E va bene…un po’ spero magari che vada anche oltre ma non è il mio pensiero primario. Il mio pensiero primario è un bacio! Non chiedo altro!

Qualche minuto dopo esco trionfante da casa con un sorriso che va da una parte all’altra del viso e salto sulla mia bicicletta con una risatina gioiosa. Inizio a pedalare rapidamente e sento il vento che mi sfregia il viso. Dopo poche e sofferte pedalate sono a casa di Robert e scendo saltando giù. Mollo la bici e corro al campanello con il fiatone.

 

Continua…

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Arrivo ***


Chiudo gli occhi e stringo la presa sulla vita di Robert avvertendo strani brividi caldi sulla schiena. Se penso che sono su una moto, sulla sua moto, avvinghiata a lui con il casco che mi rovina l’acconciatura. No, non è vero … non me ne sbatte niente, ma sognavo da una vita di fare l’ochetta. Sorrido mentre avverto la schiena possente del mio ragazzo tendersi non appena affrontiamo una curva a tutta velocità. Avrei voglia di gridare, di urlare per l’adrenalina che mi corre in corpo. So che può sembrare sciocco ma mi emoziona andare in moto, mi fa sentire libera, mi fa venire voglia di andare più veloce. Ma al tempo stesso … mi rendo conto che sarebbe sciocco rischiare la vita per pochi attimi.

Mi stringo con più forza e sorrido se possibile di più promettendomi di fare un giro uno di questi giorni senza casco, solo per sentire che effetto fa il vento tra i capelli. Mi sento volare mentre il cuore mi balza in gola all’ennesima curva.

Solo quando sento che la moto rallenta inizio a rendermi conto dell’odore di mare che mi investe improvvisamente mentre la salsedine impregna l’aria. Avverto tutto fermarsi sotto di me e con un mezzo sospiro, tra il sollevato e il triste mi libero dalla morsa del casco mettendomi a testa in giù e scuotendo i capelli sperando con una risatina che esca fuori la criniera da leone così da farla vedere a Robert. Quando mi rialzo avverto i capelli ricadere lenti attorno al viso e con un mezzo sorriso attendo che Robert si volti verso di me. Lo fa dopo pochi istanti e il mio sorriso si spegne immediatamente in corrispondenza al suo che si apre come un taglio lento e gustato sul suo viso.

Mi accorgo improvvisamente, con l’aumentare delle mie palpitazioni che è dannatamente bello. Il sole sembra concentrato su di lui mentre tiene il casco sotto al braccio premuto contro il corpo e con gli occhiali da sole che ha appena inforcato sembra un divo del cinema. Il corpo possente e quella barbetta che mi fa venire voglia di saltargli addosso. Scuoto la testa riprendendomi e sento i capelli che mi si schiaffano in viso con prepotenza e mi domando se sono un decimo attraente come è lui in questo momento.

Poi però mi ricordo della criniera e mi maledico. Abbasso lo sguardo e mi imbroncio stranita: cosa mi prende? Avverto il rumore di passi, ma sono troppo concentrata a mandarmi a cagare che mi accorgo della sua mano tra i miei capelli solo quando mi strattona con un po’ di forza facendomi concentrare sui suoi occhi che, grazie al sole che lo colpisce da dietro, nonostante gli occhiali da sole, riesco benissimo a vedere. Mi fissa intensamente, con un sorriso a un miliardo di denti.

Io ricambio incerta, dubbiosa per la prima volta del mio aspetto fisico in quel momento. Così quando lui mi bacia sulla fronte e piega le ginocchia iniziando a slacciare i bagagli dalla moto io mi

fiondo con lo sguardo oltre la sua testa verso lo specchietto.

Fisso i miei occhi nocciola leggermente lucidi e mi maledico.

Fisso le mie guance arrossate per l’emozione e mi stramaledico.

Fisso i miei capelli mossi e scomposti e mi megamaledico.

Fisso le labbra screpolate dal caldo e mi ultramaledico.

Sento tossicchiare e mi riprendo abbassando lo sguardo. Notò che Robert mi sta fissando divertito dal basso mentre mi porge un borsone. Io sbuffo facendo l’indifferente e afferrati gli occhiali da sole dalla mia borsetta li indosso cercando di coprire i miei occhi lucidi e le guance arrossate, visto che i miei occhiali sono più grossi del mio viso tra poco (per quanto mi sono costati ho dovuto fare da schiava a mia madre per un anno intero. Che giorni di sofferenza che erano quelli.).

Mi do una sistemata alla maglia lisciandola con le mani e completamente indifferente a Robert che ridacchiando continua ostinato a porgermi il borsone mi ravvivo i capelli con una mano decidendo tra me e me di cambiare colore non appena torno da queste vacanze.

Poi dopo che mi sono data una sistemata rivolgo uno sguardo a Robert e vedendolo con cipiglio severo e una falsa espressione scocciata dipinta sul viso, sorridendo perfida afferro il borsone e tentenno leggermente per poi issarmelo in spalla e voltandomi finalmente verso il paesaggio.

-Sei forzuta eh?-

Ignoro la frecciatina stronza e poco delicata di Robert che si carica un nuovo borsone in spalla perché sono troppo presa a godermi con espressione sconvolta quella distesa di … roba giallognola che riconosco essere sabbia. Poi una lunga e rumorosa linea azzurra costellata di piccole striscette bianche che scompaiono e riappaiono sempre in posti diversi. Mi mordo indecorosamente un labbro per l’emozione. Non sono mai stata al mare negli ultimi dodici anni. L’ultima volta avevo solo cinque anni e ricordo a malapena le corse in giro per il bagnasciuga completamente nuda, con la patatina al vento, grazie alla mia amata mammina.

Robert pare riprendersi dall’eccesso di stronzaggine che l’ha colto da quando mi ha dato il borsone e sento il suo sguardo su di me.

Provò un brivido e sento gli occhi lucidi per altri motivi: è bellissimo.

Il mare è bellissimo, Robert è bellissimo, questo posto è bellissimo, il periodo è bellissimo, quello che sento è bellissimo, il vento è bellissimo.

Mi riprendo da questo momento “la-ragazza-di-città-che-ama-tutto-e-si-commuove-per-ogni-capperata-solo-perché-lei-non-ha-mai-visto-nulla-di-simile” decisamente patetico e spingo gli occhiali più su chinandomi e afferrando il borsone che mi era semi-scivolato dalle mani e stava per finire a terra. Si lo ammetto, sto cercando di riacquistare un po’ di dignità davanti a Robert che mi ha vista in un momento di estrema … debolezza.

Inizio a camminare spedita verso il cancello di legno bianco di una carinissima villetta che ammiro da dietro gli occhiali essere la casa dove passerò le vacanze estive con una strana agitazione mista gioia che mi scombussola le membra. Sento però all’improvviso la mano calda di Robert avvolgermi il polso e mi blocco senza voltarmi. Solo quando con una leggera pressione mi libera dal peso del borsone mi volto leggermente confusa e lo vedo gettare a terra entrambi i borsoni con un gesto secco della mano. Inarco un sopracciglio posandomi le mani sui fianchi e battendo un piede a terra protestando con un neutrale e divertito.

-C’è roba fragile lì dent …-

Ma non termino che subito le sue mani afferrano entrambi i miei polsi e con uno strattone mi attira a se facendomi avvampare mentre le palpitazioni aumentano di botto, tanto che inizio a temere un infarto, o forse un ictus … che poi misà che è la stessa cosa …

Mi guarda negli occhi così intensamente che questa volta ne sono sicura: vuole baciarmi. Immerge una mano tra i miei capelli e con l’altra mi priva degli occhiali, giusto da farmi rendere conto che lui se li è già tirati su in testa. Rabbrividisco e sorrido, lui ricambia il sorriso e in breve ritrovo le mie labbra a pochi millimetri dalle sue. Sento il suo respiro caldo e come poche e rare altre volte le sue morbide e calde labbra si posano sulle mie mentre le mie mani si poggiano sulle sue spalle spingendo più vicini i visi. Dischiudo tremante le labbra quando e il suo respiro mi penetra in gola scivolando lento e invadendomi il corpo …

-Scusate? Scusate ma la moto qui è vostra?-

Il contatto si interrompe prima che qualsiasi altra cosa possa accadere e mi sento vuota, privata da ogni respiro. Ci era mancato così poco questa volta. Sento la presa di Robert farsi irritata su di me mentre il suo collo muscoloso è teso e il suo viso girato verso colui che ha parlato.

Un anziano vecchietto ci guarda brandendo un bastone con uno strano sorrisetto furbetto. Robert si placa: non può picchiare un vecchietto. Tantomeno se con un espressione così simpatica e dolce.

Eppure io non lo imito, non mi avvicino, perché con la delusione che ho in corpo sarei in grado di disintegrare anche una roccia. Afferro il borsone a terra e mentre sento la voce di Robert e quella del vecchietto alle mie spalle infilo le chiavi, che mi ha consegnato prima di partire Robert, nella toppa e spalanco la porta rapidamente scagliando al suolo il borsone e con passi veloci perlustro casa, senza gustarmi i particolari, senza vedere realmente quello che ho davanti. Apro l’ultima porta dopo aver sceso una rampa di ripide scale di legno e mi ritrovo in cantina dove c’è un mobile coperto da un telo impolverato. Sospetto cosa può essere e ne ho bisogno.

Prendo il telo con entrambe le mani e lo tiro via alzando un polverone che mi fa lacrimare gli occhi già pieni di lacrime ma questa volta le lacrime dopo le prime due dovute alla polvere iniziano a scendere più rapide e per altri motivi. Per colmare la delusione. Sotto i miei occhi il bianco di una vecchia lavatrice si riflette sotto la luce che entra dalla finestra interrata. Sorrido rassicurata, sentendomi un po’ a casa e afferro la mia maglietta accartocciandola e buttandola dentro la lavatrice. Mentre lo faccio sorrido: mi hanno sempre detto che non sono normale. E sono sicura che hanno ragione. Alzo lo sguardo verso i detersivi, ne prendo uno dove vedo disegnati tanti capi colorati e ne verso uno nello sportelletto apposito. Richiudo e premo un pulsante dopo aver controllato che la spina è collegata. Non appena parte il lavaggio soddisfatta con un balzo mi siedo sopra alla lavatrice con indosso solo jeans e reggiseno e incrocio le gambe chiudendo gli occhi che hanno smesso di piangere.

Ora mi sento a casa e mi rendo conto di aver pianto per una cretinata.

Sento i passi di Robert al piano superiore e sorrido.

La mia vacanza inizia un viaggio in moto, un bacio mancato, un sorridente vecchietto e una lavatrice vecchia in funzione.







Continua…


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=373184