Why not?

di Stateira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Trafalgar Law ***
Capitolo 2: *** Eustass Kidd ***



Capitolo 1
*** Trafalgar Law ***


PREMESSA

 

A Koorime, che ogni tanto compie gli anni e mi costringe a fare gli straordinari. Ma ne vale la pena, anzi vale ogni-fottuto-Berry-del-One-Piece.

Buon compleanno, razza di sadico pervertito del cazzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Would you choose water over wine....

Hold the wheel and drive?

 

 

Ha un cappello intollerabile. È la primissima cosa che aveva notato di lui. Il cappello. Una di quelle cose che ti fottono il cervello, che catturano tutta la tua attenzione, e mentre lui ti parla con quel suo tono mellifluo e monocorde, tu stai lì a chiederti dove diavolo avrà scovato un cappello del genere, tutto fatto di pelliccia e – Santo Roger – a macchie come il pelo di una mucca che può essere uscita soltanto da un viaggio mentale. E poi ha il coraggio di lamentarsi dei suoi indumenti intimi, eh? Almeno lui quelli li tiene nascosti.

Comunque, Trafalgar Law riserva anche degli aspetti pregevoli, un po’ come quelle vecchie monete che si fanno apprezzare più per le sbeccature che per l’oro.

Per esempio, le occhiaie.

Uno normalmente pensa che le occhiaie siano un difetto da far sparire, da nascondere in qualche modo. Che cazzo, non sono belle da vedere, le occhiaie, ti fanno sembrare malaticcio anche quando non lo sei, ti danno l’aspetto di uno che non andrà mai molto lontano nella vita. E le sue non lo sono, infatti, non sono per niente belle, però quando lui ti guarda dritto negli occhi, si caccia dentro al tuo sguardo, ti dà la precisa sensazione di essersele procurate stando sveglio per tutta la vita a fissare te.

Ti lascia senza scampo.

Oh, non c’è niente di romantico, in tutto questo, sia chiaro. Se ti ha fissato per tutto il tempo, è stato solo perché voleva darti la caccia, nient’altro. Voleva arrivare lì, dove si trova al momento, davanti a te, per poterti tagliare a metà e portarsi a casa il tuo busto squartato e gocciolante di sangue e di schifo. Ma a pensarci bene, forse a lui nemmeno piace il sangue, visto come si preoccupa di non farne scorrere, quando combatte. Preferisce i delitti perfetti, asettici, da bravo chirurgo.

 

Kidd ha capito una cosa, lungo la strada che lo aveva condotto fino a lì; una cosa importante, secondo lui: che la taglia è proporzionale ai casini che pianti su, non al tuo valore assoluto. Perciò, si guardava bene dal sottovalutare Trafalgar Law, nonostante non fosse il secondo, e nemmeno il terzo in classifica. Aveva sentito un sacco parlare di lui prima di trovarselo di fronte, ma sempre in termini quasi leggendari, di sentito dire, e l’idea che si era fatto a quel tempo era che, a prescindere da quel che avesse o non avesse combinato, lui era semplicemente diverso da tutti gli altri. La sua filosofia di vita, il suo modo di concepire la pirateria sono sregolati, mancano di una definizione precisa.

Tanto per cominciare, non ha alcuna moralità.

Che non è da poco, visto che uno come Drake lo tieni per le palle, con la questione dell’onore. A Law invece non fotte un bel niente delle più elementari regole della decenza. Magari fa finta, sì, magari ti fa il muso incazzato per farti credere di avere un amor proprio: ma vuole soltanto divertirsi un po’, tutto qui. Venderebbe sua madre senza la minima esitazione, per poter continuare a giocare al gioco che ha deciso di fare. Si diverte proprio da matti, ma da matti.

E a ben vedere, è matto. Completamente.

Una cosa Kidd gliela riconosce, sì: vuole un  bene dell’anima ai suoi uomini, anzi probabilmente la sua ciurma è l’unica forma di consesso umano di cui gli importi qualcosa. Questo fa di lui un buon capitano, se non altro. Un pazzo a piede libero, ma un buon capitano, degno del suo rispetto.

E tutto ciò, guardando solo i suoi occhi? Bah.

È perché il resto della sua faccia non ha niente che valga la pena di essere notato. A parte il sorriso sghembo, che non sembra mai sincero, probabilmente perché non lo è. Se ride di cuore, lo fa per cose di cui nessun altra persona al mondo riderebbe mai.

Ah già, c’è il pizzetto. Kidd ha un grosso problema con il pizzetto di Law: lo trova mortalmente sessuale, ma non lo ammetterebbe mai, nemmeno sotto tortura. Perciò sorvoliamo su questo punto, che è molto meglio, altrimenti ecco che partono le fantasie di morderlo, tirarlo, affondarci il naso mentre passa con la lingua sulla gola e sul pomo d’Adamo.

… Merda.

E va bene, basta così, la faccia di Trafalgar Law si esaurisce qui, tanto. Ci sarebbero anche le basette, ma per quelle si riveda il problema del mento, e in generale, che diavolo ha quell’idiota nel cervello, portare i capelli così corti, a misura perfetta per passarci le dita, e poi nasconderli sotto alla pelliccia di vacca?

 

 

I'm beginning to find I

should be the one behind the wheel.

 

 

Comunque, qualsiasi cosa Law faccia, gli dà sempre l’impressione di averla già fatta almeno un milione di volte. Lui è  capace di infondere uno strano automatismo in ogni sua azione, quel genere di atteggiamento che fa venire in mente la leva militare, dove ti mettono in testa che ad ogni azione corrisponde una precisa conseguenza, che se fai questo otterrai quest’altro; poi scendi in prima linea e capisci che sono tutte stronzate, perché le cose non vanno mai come le pianifichi, mai. Ma lui sembra una spensierata eccezione alla regola. Come quella volta che era andato a prendersi Jean Bart, presente? Così, come niente fosse, come se si trattasse di ritirare un pacco. Niente di più ovvio, niente di più semplice.

D’altronde, ci sarà pure una ragione se il suo tono di voce è sempre quello, che stia chiacchierando del più e del meno o che stia sfidando a duello un Pacifista a caso. La sua voce è un velluto che esce dalla sua gola ed entra direttamente nella tua. Te la bevi, come un latte denso, una crema che ti rimane spalmata appena oltre la lingua, e continua a ricordarti il suo sapore a lungo.

Bastardo.

Sa comunicare con tutto il suo corpo, per questo non ha mai bisogno di alzare la voce. Sulle dita della mano sinistra si è tatuato le lettere D E T H, che detta così fa ridere, ma ti passa la voglia di farlo una volta che te lo trovi davanti. Ecco, è anche questo che sorprende di lui: vederlo in faccia e sapere con certezza che quello sa come si fa ad ammazzare la gente è un tutt’uno, un unico, gelido brivido.

Esaltante.

 Non è esatto dire che Kidd lo invidi, per questo aspetto del suo carattere. Lui sta bene a strillare quando gli va di strillare, a fare le cose in grande, ad arrabbiarsi, a fare molto, molto rumore. Però, c’è da dire che Law era un’acqua cheta del cazzo. Si ritorna al punto di prima, insomma, alla taglia che è più un conto spese per i danni che altro.

Ah sì, i tatuaggi. I tatuaggi sono parte integrante della sua comunicazione, lo si capisce dopo un po’ che lo si osserva. I suoi tatuaggi sono una specie di formula magica inscritta nella sua pelle, qualcosa di ancora più primitivo del sangue che gli gorgoglia nelle vene. Lo proteggono dal pericolo costante di essere normale, sono i geroglifici della sua anima, le sue stesse risate che si incarnano.

 

Oh sì, tutto di lui ride, potete starne certi. I suoi tatuaggi ridono, i suoi orecchini ridono, la sua spada ride, il suo pomo d’Adamo ride. Perché Law è stupefacente. Vede qualcosa di morbosamente bello in ciò che Kidd trova rivoltante, anzi si bea quasi di far parte di un mondo corrotto e marcio. E, a dargli retta, riesce a convincerti che anche le situazioni peggiori hanno sempre qualcosa di costruttivo. O, se non altro, sono divertenti, e divertirsi è il motivo migliore per cominciare a giocare, e l’unico per continuare la partita. Ne dice di ogni colore, sui pirati con il muso lungo, che secondo lui dovrebbero imparare dal vecchio Roger, che è morto con il sorriso sulle labbra, facendosi baciare il culo da tutti quanti.

Ma il bastardo non ha nessuna intenzione di crepare, con o senza sorriso. È perfettamente padrone del suo tempo, quanto lo è dello spazio della sua Room, si muove con una sicurezza che dev’essere alla base del suo atteggiamento dinoccolato che lo fa sembrare a prima vista il primo povero stronzo che passa di lì. E invece, porco cazzo, entrare nella sua Room è come entrare in un fottuto circo dove – indovina un po’ – il leone è fuori dalla gabbia, e tiene la frusta fra le fauci. Beh, il suo modo di combattere parla di lui abbastanza da non aver bisogno di presentazioni. Chiamarlo “Chirurgo della morte” è fin troppo banale. Solo perché fa a pezzi la gente? Oh, per favore, sa fare molto, molto di peggio. Fa paura dirlo, ma non fa pensare ad una specie di dio? Un dio in miniatura di un mondo in miniatura, un dio che quando meno te lo aspetti ti prende e ti rivolta come più preferisce. Non si riesce a capire quale sia il limite del suo potere, là dentro: se corrisponde ad un qualche limite morale, allora beh, siamo tutti fottuti. Come, del resto, siamo tutti fottuti anche nella grande Room che è il mondo, con il suo bravo burattinaio che tagliuzza, sposta, rovescia, stravolge. Trafalgar Law questo l’ha capito, e si limita a metterlo in scena ogni volta che combatte, ecco tutto.

 

Gli aveva offerto il suo dito medio in segno di amicizia, quel grandissimo figlio di puttana. Dio, se ci ripensa gli viene ancora di tutto. Lo aveva gentilmente invitato ad infilarsi il suo lungo dito tatuato nel culo, e a divertircisi. Senza averlo mai visto, senza sapere come fosse fatto, come avrebbe potuto reagire, l’aveva fatto e basta, soltanto, probabilmente, perché si era sentito il suo sguardo addosso. Dieci minuti dopo, come niente fosse, avevano combattuto fianco a fianco, ed era andato tutto liscio come l’olio, peggio che conoscersi da una vita; ma è così che funziona fra i fuorilegge, quelli che hanno un minimo di cervello, almeno.

… Beh, cazzo, forse non è proprio così. Essere due fuorilegge braccati dai Marines è una situazione che ti dà una bella mano a dimenticare le divergenze e i medi alzati, d’accordo, ma passare da questo a provare la sensazione che soltanto combattendo con lui hai qualche chance di uscire vivo da quel grosso macello non è immediato.

Ci era mancato poco che partissero i Kiss a suonare “Forever” – sempre siano lodati – per chiudere a dovere il quadro di loro due che si maciullavano i pugni in allegria contro il corpo di acciaio del Pacifista.

Che, Professor Vegapunk, poi… Pacifista di che cosa? Cioè, che cosa di preciso dovrebbero pacificare, questi tritacarne colossali?

Di sicuro, non Trafalgar Law.

E non lui.

 

 

Whatever tomorrow brings I'll be there

with open arms and open eyes.

 

 

Trafalgar Law è, in fin dei conti, il gemello cattivo che gli sorride con finta innocenza dalla parte storta dello specchio.

Perché non dovrebbe piacergli?

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Allora. La prossima parte sarà speculare a questa, e non fatevi illusioni, perché assieme a Room e a Kiss fa tutto brodo per ciò che verrà. Anzi, mi azzardo ad anticipare che con queste tre fic ho già messo in tavola le carte che intendo giocarmi. Ah, vi anticipo. Il titolo sarà tremendo. Koorime lo sa e sta cercando in ogni modo di farmi cambiare idea.

 

Informazione di servizio per tutti quelli che seguono “Novela”. Siccome avevo urgenza di pubblicare questa storia qui, dato che è per una ricorrenza, ho preferito posticipare di uno o due giorni la pubblicazione dell’ultimo capitolo, quindi niente paura, che domani arriverà.

 

*EDIT* scusate, ho dimenticato i credits per il testo della canzone citata! È “Drive” degli Incubus.

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Capitolo 2
*** Eustass Kidd ***


If I could fly

 

 

 

If I could fly

Like the king of the sky…

 

 

Eustass Kidd dà l’idea di essere uno brutto, sporco e cattivo.

Niente di più sbagliato, a parte per l’ultima, forse. Può sembrare brutto alla prima occhiata, ma già alla seconda la sua faccia diventa impossibile da dimenticare. Non sono solo le sue mani ad essere magnetiche, questo è sicuro. È capace di sorridere in modo totalmente sanguinario e orgasmico, arrivando ben più in alto degli occhi, come una grossa lince.

Poi, non è sporco, è solo molto, molto truccato. Non c’è niente da fare, senza rossetto non mette il suo grazioso nasino fuori dalla cabina, come ogni buona signorina rispettabile. Per quel che ne sa lui, il trucco da guerra è sempre stato in uso durante tutta la storia dell’uomo, ma Eustass non ha un modo da truccarsi che si possa definire “da guerra”. C’è qualcosa di profondamente estetico nel suo uniformare con meticolosità l’incarnato del viso, nel suo stendere sulle labbra un rossetto denso e scuro, nel marcare gli occhi con del nero. Anche questo lo rende bello in modo grottesco ed irresistibile, il suo amore per una cosa così femminile come il trucco che impatta con la sua faccia irrimediabilmente spigolosa e sgraziata, e riesce in qualche modo a compiere il miracolo alchemico. Ma forse l’effetto è dovuto a quella pelliccia putrida che si ostina a portare. Ha le sue buone ragioni, e lui le conosce, e non perde occasione per riderci un po’ su.

Per quanto riguarda il cattivo, la questione potrebbe diventare lunga. Innanzitutto, è necessario chiarire che cosa si intenda per “cattivo”. Se cattivo è un personaggio che se ne va in giro a far saltare in aria case e scuole, portandosi dietro uno che si è guadagnato il soprannome di “Massacratore”, allora sì, effettivamente Kidd è un po’ cattivello. Per quanto lo riguarda, cattivo è chi non ha uno scopo, chi non ha idee da difendere, chi non ha passioni che gli animino gli occhi e guidino il suo braccio. A volte per i sogni bisogna morire, ma altre volte bisogna uccidere, e chissà perché i primi diventano martiri, i secondi assassini. In questo senso, lui riesce ad essere l’eroe del suo tempo che aspira tanto ad incarnare. Più o meno.

 

Eustass è suo.

Quel santoroger di culo da infarto che si ritrova è suo. Gli occhiacci da arpia, i suoi denti affilati, le unghie laccate, i suoi capelli incasinati e rossi come una bella mela matura, tutto, tutto quanto di lui è suo. E più sgomita, più non si rende conto che vorrebbe farlo prigioniero solo per il gusto di vederlo dimenarsi e ruggire in una gabbia. Kidd gli mette in corpo una brama di possesso che lo scuote fino a fargli quasi perdere la calma. Quasi. Di solito, riesce a fare in modo che il primo a perderla sia lui. Perché Eustass è una specie di miccia tesa in pieno deserto, che prende fuoco per un nonnulla, e poi riuscire a spegnerla è un’impresa. Si incendia per le cose più disparate, di solito con la complicità di un bicchiere di troppo, o di meno; si può arrivare a litigare con lui anche su cose del tutto inutili, cose su cui magari si è d’accordo, perché basta un nonnulla perché si senta provocato e cominci a scoprire i denti e ad abbaiare. Ma il meglio di sé lo dà quando ci si butta sulle ideologie, quando lo si stuzzica circa le questioni grosse, quelle che vanno con la maiuscola, quando gli si chiede di giustificare le sue efferatezze.

 

È che lui ci crede così tanto, in quel che fa, che non si può proprio evitare di divertirsi un po’ a saggiare i confini instabili e pericolosi del suo cinismo. Cercare di parlare con lui di un qualche argomento impegnato è in assoluto il modo più divertente di perdere una scommessa. Si può tentare quanto si vuole, ma non c’è modo di entrare nella sua testa. Non la si apre, neanche cercando di fracassargliela su una roccia come una noce di cocco, ma in compenso basta avvicinarsi un po’ a lui per sentire i ronzii, i battiti, le melodie delle idee che la abitano, ed essere un po’ partecipi della grandiosità di ciò che riesce a concepire.

Eustass, a modo suo, è un filosofo.

Ha davvero un suo qualche diavolo di codice etico. Secondo cui donne e bambini non meritano di vivere tanto quanto gli uomini, gli innocenti quanto i colpevoli, i derelitti quanto gli infami, i gatti quanto i topi. È un codice molto democratico, il suo, ecco tutto.

Come ogni filosofo, si prende un sacco sul serio, il buon Eustass. Si crede il cancro che mangerà dall’interno il tessuto vecchio e soffocato di adipe putrefatto di questa società. Ma non ce la farà, perché tutto imploderà prima che lui abbia il tempo di fare alcunché di realmente memorabile, e chissà se saprà mai farsene una ragione. Il mondo ti sciupa, ti scaraventa sulle prime pagine dei giornali solo perché poi la tua fotografia possa essere ripiegata e usata per tenere fermi i tavolini traballanti di qualche vecchio ufficio di falliti. Questo vale per tutti, militari e pirati.

I militari e i pirati sono così uguali. La legge e l’illegalità sono così uguali, perché sono sempre uguali a sé stesse. I militari obbediscono agli ordini dall’alba dei tempi, dall’alba dei tempi svolgono sempre le stesse azioni, hanno sempre la stessa funzione, si comportano sempre nello stesso modo. E per i pirati vale lo stesso, sottostanno ad una sorta di istinto primordiale che li spinge, quasi li costringe ad essere agli antipodi della legge. Kidd va su tutte le furie quando si sente paragonato agli altri, ma deve far pace con l’idea di non aver inventato niente di nuovo, di essere ancora uno fra i tanti. Anche se difficilmente ce la farà. Perché o ti chiami Gol. D. Roger o niente. E invece lui si chiama Eustass Kidd, e aspira a nient’altro, in fin dei conti, che ad entrare nelle favole per bambini, quelle che a suo tempo hanno spinto lui a salpare. 

Sicuramente, si farà ammazzare prima di lui, perché non sa aspettare, e nemmeno pianificare un’azione con la dose di razionalità che servirebbe. Oppure gli sopravvivrà, perché il suo modo di fare da vichingo lo rende mille volte più versatile di quanto non sia lui.

 

 

If I could fly

See the world through my eyes…

 

 

Il metallo.

Oh, tutto di lui è metallo. Il fatto che il suo potere consista, tecnicamente, nel creare un campo magnetico tale da attirarlo è solo un trascurabile dettaglio. Uno che ha l’anima di metallo come lui resiste a tutto, affronta l’inferno pronto a sciogliersi e poi ricomporsi, non ha paura di nulla, non ha paura soprattutto quando dovrebbe averne. Ah sì, ha anche un maledetto orgoglio di ferro, qualcuno ci ha fatto caso? La sua voce imponente, le sue erre grattate sul palato, è tutto un coacervo di pezzi di metallo buttati alla rinfusa in una discarica di rhum, sogni e parolacce. Ecco, sì, gli piace il rhum. Gli piace che il suo alito sappia di rhum a tutte le ore, e siccome lo ama così tanto riesce a fare in modo che non sia per niente sciatto, anzi. Il rhum nella sua bocca ha l’effetto che avrebbe una goccia di assenzio sulla lingua di una bellissima donna in abito rosso.

Ma, tornando al metallo, si va inevitabilmente a finire sulla musica. Ve l’aspettavate, eh, una parentesi sulla questione? Ebbene, ha i suoi gusti musicali, perché dopotutto è un ragazzo estroso, e per mare a volte ci si annoia da impazzire; ma ci dovrebbe essere un limite a tutto, che diavolo; e invece no, lui e i suoi Kiss, se potesse se li farebbe tutti e quattro. E la cosa lo infastidisce un pochino, a volte. Non è banale gelosia, essere geloso di quattro pagliacci truccati da Drag Queen sarebbe offensivo della sua intelligenza: è invidia, la sua, per una passione così viscerale ed intensa, nel suo essere insensata. È la manifestazione più folkloristica della predisposizione naturale di Kidd all’eccesso, che contagia inevitabilmente anche chi gli sta attorno, riempiendoli di un’inspiegabile smania di fare, di dire, di urlare, di essere liberi, che è propria della filosofia del criminale.

 

I suoi sono un esempio eloquente. Lui e la sua ciurma sembrano un branco di debosciati reduci da una vacanza troppo lunga in qualcuna di quelle isole un po’ ambigue, brulicanti di ideali e di prostituzione, dove tutto si fa e poco si dice. Kidd, nella fattispecie, fa la parte di quello che ha provato tutto ciò che di illegale ha da offrirgli la vita. Però, funzionano bene, lo deve ammettere: i suoi hanno cieca fiducia in lui, e si permettono persino di darsi pensiero per lui, segno questo che sono consapevoli che il loro capitano ha bisogno di loro. Piuttosto ovvio, basta guardarlo in faccia, Kidd, per capire che ha un bisogno disperato di qualche essere umano che lo gestisca.

Killer è deputato a questo ruolo. Anzi, ci si è votato. Osservandoli, Law si è fatto l’idea che debbano essere amici d’infanzia. Oppure che Killer gli debba un grosso, grosso favore. Tipo la vita, cose del genere. Sembra la sua balia, o peggio ancora l’amichetta del cuore, o – no, ok, ok, è solo che è geloso marcio di Killer perché forse, forse, conosce dei lati di Kidd che a lui sono ancora oscuri, e questo lo manda in bestia.

Ha seguito le sue avventure fin dalle prime volte in cui il suo nome aveva cominciato ad apparire sui giornali. Con un certo orgoglio, può affermare di averlo visto conquistarsi prima qualche sparuto trafiletto nella cronaca locale, poi degli articoli un po’ più seri, diciamo in terza o quarta pagina, fino a scalare la vetta dei titoli di testa, quelli sontuosi, a caratteri cubitali. Chissà come deve aver gongolato a leggere gli editoriali che proclamavano, indignati, che tutta questa violenza da parte sua non è umana.

Ah no?

 

No, non si stancherà mai di Kidd. Di guardare Kidd, di regalarsi lunghi momenti di assoluta contemplazione silenziosa mentre lui parla, proclama, fa, mette in atto, invoca il mare perché gli sia testimone. Perché Kidd è metallo, ma è anche mare, ed è fuoco, e un sacco di altre cose che lottano e si mangiano l’un l’altra. Il risultato è qualcosa di totalmente irragionevole, ma coerente, reale, quasi sentimentale. Per lui Law prova un rispetto riservato a pochi, quelli che hanno l’aristocrazia dentro all’anima e che ti permettono di giocare con loro, perché, fondamentalmente, conoscono i propri difetti meglio di qualsiasi altro osservatore, e invece che viverli male, o invece che trasformarli in pregi, ne hanno fatto dei vessilli da sventolare assieme al Jolly Roger in mare aperto, mentre si spingono ancora un po’ più in là dei confini concessi. È così che si entra nella leggenda, oppure si muore senza fama e senza gloria.

Eustass è fatto così, e se si prova a fermarlo, beh…

 

 

I could ravage my jail

If I could fly

 

 

Eustass Kidd è, in fin dei conti, il gemello appassionato che non si vergogna abbastanza dei suoi sogni per nasconderseli sotto al cappello.

Perché non dovrebbe piacergli?

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Ed ecco la seconda parte di questo dolce, adorabile, tenero dittico. Awn, quanto si amano, non trovate? Grondano puccioseria, davvero. Beh, se Kidd era sboccato e molto estremo, nei suoi giudizi, Law ha un tono più pacato, ma non è che ci vada tanto per il sottile. Ecco, il gioco di incastri a cui volevo arrivare era questo, una doppia spirale, in cui loro due si descrivono a vicenda, ma poi è la descrizione dell’altro, associata al tono della propria, a completare il quadro.

Mi sono spiegata?

No, vero? çOç

*se ne vah*

 

Stavolta non mi dimentico i credits, oh! La canzone citata è “If I Could Fly” degli Helloween.

 

Lillajada: mi fa piacere che tu sia d’accordo. In effetti alcune riflessioni sono molto lanciate, ma del resto è Kidd, la sua testa funziona un po’ come vuole. U_U

 

Red Queen: Gh, in effetti non l’avevo detto perché sarebbe stata una sorpresina di compleanno. *con fare magheggione*. Ecco il seguito, con ulteriori citazioni dotte – più o meno – spero che ti piaccia anche questo!

 

Kymyit: XD se usassi termini educati credo che Kidd si offenderebbe molto. Sono contenta che ti piaccia! *O*. guarda, sul cappello d Law io cerco di fare meno pensieri possibili, onde evitare spaventosi viaggi mentali. Ma temo che non ci sia scampo!

 

Koorime: Ha. U_U Le citazioni dotte sono sempre le benvenute. Le recensioni onomatopeiche anche. Un Gah è per sempre, come i diamanti. Oh no, certo che li amiamo, e loro si amano, ed è tutto un tripudio di amore, e… ok, no, non esattamente. Ma il pizzetto e le basette non c’entrano niente, no no. Oh no, smettila di insinuare abilità poetiche di Law, mi vuoi uccidere?

 

 

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