Time For Dancing.

di Hayley Lecter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Pensavo di aver capito tutto durante quella lezione di geografia, invece avevo già cancellato ogni cosa dalla mente,
e fissavo le nude pareti della mia stanza con il libro in mano, senza alcun interesse, quasi mi fossi incantata su di esse per studiarne la liscia e piatta forma.
Decisi che quelle pagine, quelle parole non sarebbero mai entrate a far parte della mia cultura quel giorno e così chiusi il libro e lo riposi nella libreria,
malgrado mi stessi peparando psicologicamente alla sfuriata dell'insegnante l'indomani.
Magari avrei chiesto un permesso e sarei uscita prima.
La mia mente era completamente altrove e capii che mi serviva uscire da quelle quattro mura, per respirare un pò di aria pulita e riflettere senza pressioni.
Avvertii mia madre che era seduta sul divano a guardare la tv, e lasciai alle mie spalle tutto ciò che in quella casa, in quel momento mi irritava.
Cominciai a scorrere il dito sull'ipod e la musica entrò in me, decisamente in modo migliore dell'intero capitolo che avevo da studiare.
La sciarpa a quadri verde petrolio mi copriva gran parte del viso, tenevo le mani dentro le tasche strette in pugni,
e più cercavo di distogliere lo sguardo dalla panchina poco distante da me, più i miei occhi ci ritornavano.
Improvvisamente mi bloccai.
Restavano due alternative, andarmi a sedere o continuare per la mia strada dritto per dritto. 
Non volevo evitare qualcosa che mi dava fastidio, così mi diressi verso i cancelli del parco per sfidare quella panchina tanto odiosa a muso duro.
Ad ogni passo, l'aria attorno a me sembrava farsi più pesante, e la tentazione di cambiare direzione si impossessò della mia coscienza per un attimo.
No, non ero arrivata fin lì per farmi suggestionare da una stupidissima panchina.
Mi guardai attorno, cosciente del fatto che un uomo, poco lontano da dove mi trovavo io,
portava al guinzaglio un magnifico labrador, che in quel momento era intento nell'annusare un cespuglio erboso.
Cominciai a guardare quella panchina di legno, così tanto amata, e adesso invece, odiata,
che mi venne in mente l'idea di appiccarle il fuoco e lasciarla bruciare come meritava.
Invece, dopo aver allentato la presa sul mio macabro pensiero, mi ci sedetti e restai in ascolto di quel silenzio,
che contrariamente portava messaggi, lasciava segni, mi parlava.
Tolsi dalle orecchie le cuffiette e continuai a guardare quel cane, che adesso era diventato un piccolo punto color champagne.
Fissai la ghiaia sotto alle mie consunte, nonchè vissute, Converse All Star nere,
due guerriere, combattenti, che avevano visto passarsi davanti un anno senza interruzione.
Piene di disegni, nomi, e date.
Di concerti, di giornate folli e felici.
Ma su una il mio sguardo si posò e vi restò per un bel pezzo. 25 giugno 2009.
Una macchia scura, si era impossessata del 5, così mi chinai verso la scarpa, per toglier via,
quella macchia, che nonostante le ripetute strofinate, non cedette mai.
Mi incazzai.
Pensai << vaffanculo, vaffanculo a questa scarpa, a questa data, vaffanculo mike! >> 
Mentre cercavo di rialzarmi da quella posizione, allo stesso tempo un uccello, sfrecciò a tutta velocità sopra la mia testa,
solo per pochi centimetri non mi aveva sfiorata, e cosa impressionante, cacciò un verso orribile e spaventoso,
di quelli che solo nei film si possono udire, sembrava esser salito dall'oltretomba.
Mi guardai intorno allibita, finchè lo vidi, appollaiato sul ramo di un albero accanto a me.
Non sembrava un uccello qualunque, non di città, o che comunque frequentano i parchi o le piazze.
Lo studiai bene.
Aveva la maggior parte del piumaggio grigio e diverse parti occupate da piume colorate, lucide e bellissime.
Aveva un non so che di tropicale, esotico.
Innaturale, un fenomeno del genere, in pieno inverno e assolutamente in un luogo non appropriato, trovarsi davanti un animale così.
Tornai in me, dopo aver fatto le mie personali constatazioni su quell'animale.
Portai le gambe sù, e me le strinsi con le braccia al petto, cosciente di aver fatto qualcosa di sbagliato.
Le lacrime non si fecero pregare due volte per scendere e cominciai a singhiozzare.
Afferrai l'ipod dalla tasca, le dita sicure trovarono meccanicamente la canzone, che, aveva fatto da sfondo alle mie giornate di quest'estate,
quella canzone che sentivo mia per ovvii motivi, che in un modo o nell'altro mi aveva salvata dalla solitudine. 
Le note di You Are Not Alone avevano riempito tante volte i miei vuoti, ed è per questo che non mi sentivo affatto sola, in quel momento.
Ma solamente rotta, come se una mano invisibile mi avesse asportato violentemente la voglia di vivere, di cantare, di sorridere, ma soprattutto di ballare.
Erano ormai circa 4 mesi che a scuola di ballo, nessuno mi aveva più vista entrare dal portoncino vetrato.
I poster, le foto, gli annunci attaccati sulla bacheca di legno, poi il corridoio lungo, gli spogliatoi,
e finalmente le sale da dove la musica riusciva a penetrare nei muri e portava armonia a chiunque passasse da quelle parti.
Come se fosse ieri, mi tornò in mente l'ultimo giorno, il giorno in cui tutti andavano in vacanza, e la sala al secondo piano,
era stata allestita con festoni e palloncini, lungo le pareti diversi tavoli pieni di panini, bibite e dolci, e sedie avevano preso posto.
Lo stereo urlava felice.
Assieme alle mie compagne del corso, ero occupata a fare foto e a riempirmi lo stomaco di patatine e popcorn.
Tutto era perfetto.
Ilaria, la nostra guida, il nostro punto di riferimento, la nostra insegnante, sedeva a lato della sala,
e parlava animatamente con Sean, un altro insegnante, il gioiello della "Time To Dancing School".
Si respirava un'aria chiaramente spensierata in ogni dove.
L'estate era arrivata, le scuole avevano chiuso i loro minacciosi cancelli, e orde di ragazzi si muovevano in gruppo dappertutto,
ormai liberi di girare e fare il proprio comodo, senza l'obbligo di svolgere compiti o di stare al chiuso, 
per fissare nella mente concetti, definizioni, risolvere equazioni.
Il sole invitante, la voglia di tuffarsi in piscina, di divertimento, di musica, erano palpabili all'ennesima potenza.
Ma la nostalgia di quel luogo, di quella sala, di quello specchio dove vedevo riflessa la mia immagine mentre ballavo a tempo di musica,
 fu inizialmente devastante, mano a mano che i giorni passavano ed ero cosciente
che per qualche mese avrei abbandonato tutto e tutti lì.
Tutto fu poi spazzato via da quella giornata passata a ridere ed a scherzare come non mai,
a chiedersi cosa si sarebbe fatto per le vacanze e a raccomandarsi di non perdersi di vista.
Ma perchè mai poi, c'era da raccomandarsi di farsi sentire?
Avrei sentito e continuato a vedere quelle persone.
Facevano parte della mia vita, e avrebbero fatto parte della mia lunga e spensierata vacanza.
Perchè più delle altre questa, desideravo che fosse una delle estati più belle mai passate.
Invece era solo l'inizio della fine.
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Quella domenica scelsi di svegliarmi decisamente prima di tutte le altre, visto che di solito preferivo stare comoda, nel tepore delle coperte,
aspettando che le urla di mia madre arrivassero fin qui nell'intenzione di farmi alzare.
Scesi dal letto, infilai le pantofole e rifeci il letto.
Passai in cucina, ancora insonnolita e infreddolita.
Mia madre era andata già all'attacco dei fornelli.
-Je! Come mai sei già sveglia?-
Mi domandò sgranando gli occhi, chiedendosi stupita perchè avessi rinunciato a dormire.
-Vado a trovare Ilaria e gli altri.-
Risposi stropicciandomi gli occhi ancora impastati di sonno.
Bevvi in pochi sorsi la mia tazza di latte e caffè, consumai velocemente la briosche e scappai in bagno.
Ogni mossa era una sfida tra me e il tempo che scorreva, perchè desideravo con tutto il cuore arrivare puntuale.
Puntuale almeno, per quanto riguardava me, perchè non avevo avvertito nessuno della mia visita.
-Quindi vai alla Time For Dancing?-
Chiese incredula, a voce alta dalla cucina.
-Si! E adesso scusami davvero, ma devo andare.-
Le diedi un buffetto sulla guancia e scappai via, sbattendomi la porta alle spalle.
Camminai a passi rapidi, svoltai angoli e passarono davanti a me diversi negozi e abitazioni, finchè l'insegna mi capitò proprio di fronte.
La musica si sentiva già. Restai impalata per qualche minuto, chiedendomi se veramente avevo avuto una buona idea.
Cercai di mantenere la calma, il sangue freddo, trovai un pò di coraggio ed entrai.
Il volume della musica era aumentato alle mie orecchie, mi ritrovai immersa in un'atmosfera familiare, giocosa, malinconica.
Mi resi conto di quanto effettivamente quel luogo mi fosse mancato.
Simone, il ragazzo al bancone all'entrata, mi vide e restò sorpreso.
-Ma guarda un pò chi c'è!-
Abbozzai ad un sorriso.
-Brava brava, è così che si fa? Ci lasci senza dire niente e poi ti fai viva quando ti pare?-
L'indicatore del mio senso di colpa era già salito di diverse tacche stamattina,
senza contare poi che l'ansia e il magone allo stomaco si erano annidati nella mia coscienza senza alcun permesso,
e quindi, non appena mi sentii rivolgere parole del genere, sprofondai nell'angoscia più nera.
Continuai a sorridere.
-Già, è solo che, non mi và di raccontare tutto. Se vi ho lasciato l'ho fatto per un buon motivo. Ah, approposito, c'è Ilaria?-
Simone mi sorrise gentile, e fece cenno di si con la testa, per poi indicarmi con le dita il primo piano.
-Ok, grazie, a dopo!-
Pregai per il corridoio, pregai e pregai di continuo, pregai in ascensore.
Poi quando le portiere di quest'ultimo si aprirono, le gambe non volevano mantenermi in equilibrio.
Il cuore sembrava una bomba ad orologeria. Dissi a me stessa che dovevo farlo.
Attraversai un altro corridoio, finchè sentii la sua voce squillante, provenire dalla sala n° 5.
Erano le 10.00 in punto del mattino. Ciò stava a significare che ancora una decina di minuti, e la lezione sarebbe terminata.
Aspettai paziente poggiandomi con la schiena sul muro, mentre i ricordi passavano a rassegna nella mia mente.
Quante avventure, quanto sudore avevo gettato in questi posti. Mi sembrò del tutto surreale.
La campanella suonò, il rumore di una moltitudine di passi fece da coro alle voci di ragazzi e ragazze che si stavano riversando fuori dalle sale.
Quando tutti furono fuori, sentii di nuovo la sua voce che urlava:
-Ripassate bene questi passi a casa, la prossima volta non mi dispiacerebbe andare avanti con il programma!-
Timidamente entrai. Forse non si era accorta della presenza in attesa sulla porta.
Fatto stà che saltò in aria quando mi vide.
Dapprima mi guardò, poi mi rivolse la parola, molto freddamente:
-Se sei venuta per farti perdonare, okay, non c'è problema. Però sappi che sei stata scorretta.-
Guardai in basso, mi avvicinai a lei, mentre si infilava un giubottino addosso.
-Lo so e mi dispiace, tanto, forse anche troppo. Sai bene perchè ho lasciato tutto.-
La guardai intensamente. Ricambiò subito e nel frattempo emise un sospiro.
-E ti sembra questo il modo di affrontare le cose? Avresti dovuto continuare! Ti pare che io sono stata meglio di te?
Cavolo, no! Era il mio mito! Ma ho continuato a lottare, non tanto per me, quanto per lui.
Lui non avrebbe voluto che tu smettessi di ballare.-
Una sensazione, simile all'abbandono si fece largo tra le mie viscere, ma rimasi impassibile e la ricacciai dentro.
-Mi sono completamente persa, quando ero a casa ho anche provato a fare qualche passo,
ma sono riuscita a sbagliare anche le cose più semplici. Io.. io ho bisogno di te, Ila.
Sei la mia migliore amica, condividevamo tutto. E so, che avrei dovuto chiederti aiuto quando mi serviva, ma non l'ho fatto, non so perchè.
Adesso voglio solo ricominciare.-
Ilaria mi carezzò la guancia, poi mi abbracciò forte.
Mi sentii nuovamente dentro quella famiglia, dentro quel calore, inevitabilmente dentro quella sala che per me, aveva significato vita.
Mi sussurrò all'orecchio quanto in realtà io fossi mancata a tutti lì, in particolare a lei.
-Cosa vuoi fare allora? Te la senti di ritornare?-
Mi chiese subito dopo esserci sciolte dal nostro abbraccio.
Ci pensai sù un attimo, poi ribattei che si, sarei tornata, avrei fatto tutto quanto c'era da fare per recuperare,
avrei dato animo e corpo, gettato il sangue e anche più.
Mi rispose con un grande sorriso, e i suoi occhi color nocciola divennero subito decisi ad emanare vigore e forza.
-Bene, allora sappi che per recuperare tutto quello che non hai fatto, dovrai venire quà tre volte la settimana.
Dobbiamo ripassare tutte le basi, le cose più semplici e riprendere da dove avevamo lasciato.
E se ce la fai, riuscirò ad inserirti nel saggio che abbiamo in primavera.-
Mi sentivo pronta, più che mai a riprendermi ciò che mi era stato strappato via.
Mi sentii sollevata, felice. Ogni tassello cominciava a ritornare al suo posto.
-Di che saggio si tratta?-
Ero curiosa, volevo ritornare, una nuova scossa di euforia mi attraversò la schiena con un brivido.
Tornai finalmente In, volevo giocarmi tutto e quel saggio avrebbe per me significato la svolta dell'anno.
Perchè l'avrei fatto per Michael, gli avrei dimostrato così che tutto quello che aveva fatto per me e che faceva ancora, aveva un senso.
-Dobbiamo gareggiare con diverse scuole, alla fine una su tutte vincerà. Ognuna porterà una canzone su cui inventare una propria coreografia.
Abbiamo 5 mesi di tempo per prepararne una al meglio. E sai, stavo pensando a Smooth Criminal.-
Mi illuminai d'immenso. Non potevo desiderare di meglio.
La mia canzone preferita, avrei ballato su quelle note, su quella voce, su quel ritmo che tanto mi piaceva.
L'abbracciai forte ancora una volta, la ringraziai e le ribadii che avrei mantenuto la promessa.
Qualcosa di nuovo attendeva me, alle porte. Quel saggio avrebbe significato pena e fatica. Ma ne valeva la pena.
Ce l'avrei fatta.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


La campanella finalmente emise il suo avviso definitivo,
la professoressa di Italiano restò ostinata seduta davanti alla cattedra urlandoci contro con tutta la voce che aveva,
le ultime parole sui Promessi Sposi, la lezione del giorno, ma il rumore delle sedie che grattavano sul pavimento la sovrastò,
così si arrese e i passi veloci dei ragazzi che si riunivano nei corridoi per uscire dalle classi prese il sopravvento.
Mi feci largo fra gli studenti accalcati in un unico blocco davanti ai gradini,
scesi le scale e cercai di uscire dall'istituto più velocemente di quanto la folla e le mie gambe mi permettevano.
Mi lanciai in avanti e corsi fino alla fermata dell'autobus che per pure fortuna, era appena arrivato.
Salii sul mezzo con ancora il fiatone e mi sedetti in attesa, fremendo, guardando ripetutamente l'orologio.
Erano le 14.10 e mi restavano ancora tre quarti d'ora per arrivare a casa,
lanciare lo zaino dove capitava come un sacco di patate,
ingurgitare qualsiasi cosa mia madre avesse amorevolmente cucinato per me, per poi salire in camera,
preparare il borsone e scappare nuovamente fuori.
Feci esattamente in questo modo.
Alle 15.00 ero già davanti alla "Time For Dancing", e mi apprestai ad entrare, tutta sudata.
Simone, impegnato a parlare al telefono, allontanò la cornetta dall'orecchio,
mi guardò stralunato, sorridendomi come sempre, e mi disse:
-Toh! Qual buon vento?! Non dirmi che sei ritornata?!-
Io, elettrizzata com'ero e presa dall'emozione, ricambiai il sorriso, che in quel momento mi arrivò fino alle orecchie,
e risposi molto orgogliosamente.
-Si, sono tornata! Magnifico no? Ora però devo andare Ila mi aspetta!-
Lo lasciai lì a trafficare con le sue telefonate e aprii la porta dello spogliatoio dove mi cambiai,
infilai una t-shirt, un paio di fusò e scarpe da ginnastica rigorosamente pulite.
Salii le scale, senza mai fermarmi fino all'aula 2.
Da fuori si poteva ben udire la musica che ne usciva, e la parlantina squillante di Ila,
che incoraggiava e rimproverava qualcuno di impegnarsi di più:
-Ma insomma, Laura! Muovi quel bacino! Voglio che tu muova quel maledetto posteriore! Cosa ti sei mangiata un manico di scopa?!-
Scoppiai a ridere a quell'affermazione.
Ila era sempre stata precisa e sarcastica al punto giusto.
Ti rimproverava, ma con la giusta dose di umorismo, per non farti buttare giù e divertirti allo stesso tempo.
Approfittai di quei minuti, diventati preziosi per me, per riprendere fiato e un andamento del respiro decente.
Mi misi a sedere sui sedili davanti alla porta, e aspettai che tutti furono fuori.
Il puzzo di sudore si era dilagato e storsi un pò il naso quando entrai in aula.
Infatti nel frattempo, Ila stava spruzzando un pò di deodorante per ambienti dove capitava.
-Ehi! Sei già qui? Comunque non dire nulla a nessuno del deodorante,
ma sono obbligata a farlo! Sembrava di essere in una camera a gas!-
Lo ripose velocemente nel suo borsone accanto allo stereo e intanto avevo già posato il mio.
-Si, voglio cominciare subito!-
Mi sfregai le mani, avvertendo dei piccoli brividi,
mentre la pelle d'oca si diffondeva sulle braccia e poi sulle gambe, con un'unica ondata.
Faceva un pò freddino, ma mi sarei riscaldata ballando.
-Bene! Questo è lo spirito giusto! Adesso.. parliamo di noi.
A giugno avevamo lasciato la lezione a metà, perchè era tempo di vacanza, poi quando tu hai lasciato qui abbiam continuato con il programma.
Per le prime settimane, come ti ho già detto al telefono giorni fa, dovrai metterti al paro con gli altri, per questo ho preferito farti lavorare da sola.
In questo modo potrai concentrarti al massimo e recuperare. Domande?-
Avevo annuito ad ogni parola, ma non c'era assolutamente nulla da chiedere.
Così la pregai di accendere quel benedetto stereo e cominciare.
Aveva il viso disteso, e gli si leggeva sull'espressione che aveva che era felice,
di questa mia volontà, di questa mia voglia, di questo mio fuoco.
Restai per due ore chiusa con lei in quella stanza, ci misi tutta la buona volontà e l'intenzione che avevo in corpo.
Il cuore palpitava gioioso, riuscivo a sentire tutti i battiti, il sudore scorreva su di me,
 il respiro si faceva irregolare, ma non importava.
Non mi importava di essere stanca, di avere il fiatone.
Ero cosciente solo di una cosa.
Il mio corpo era cosciente solo di una cosa: continuare a ballare.
Sembravo una macchina che non sapeva il significato della parola "fermarsi".
Seguii religiosamente le sue spiegazioni e passi.
A lezione terminata ammisi a me stessa di essere sfinita, ma tremendamente soddisfatta del lavoro che avevo fatto.
Ilaria era raggiante.
Finalmente ero rientrata, avevo rimesso a fuoco i miei obiettivi.
La salutai con un bacio sulla guancia e la ringraziai.
Uscii da quell'edificio senza alcuna preoccupazione, avevo scaricato ogni pensiero negativo, avevo di nuovo uno scopo.
Semplicemente, avvertii la dolce e maledettamente rara, emozione della f e l i c i t à.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Innanzitutto voglio ringraziare chiunque abbia posato gli occhi sopra questa fanfiction, davvero grazie di cuore. Poi un altro ringraziamento và ovviamente a chi ha postato un commento. Sono pronta ad aggiornare nuovamente questa storia, con un lungo e corposo capitolo, quindi ENJOY IT! ;D

Aprii la porta di casa tutta sudata, la facci sconvolta, i capelli al vento.
Ilaria era felice, io completamente sudigiri, la vita riprendeva a sorridermi.
Passai in rassegna al settimino del salotto, strapieno di soprammobili che mia madre tanto venerava e raggiunsi lanciandomi in un salto,
la cucina, per prendere un sorso d'acqua. Mentre bevevo, trovai sul tavolo un biglietto.
"Sono andata a fre la spesa."
Mia madre aveva lasciato la nostra amata dimora per fre scorta dei viveri necessari a riempirci lo stomaco.
Tornai nuovamente in salotto, pigiai il tasto dello stereo e tanto ero euforica, che fa i cd nel mobile a muro, scelsi "Bad".
Lo sparai a tutto volume, infischiandomene altamente dei vicini, che in un modo o nell'altro,
seppur brontolando, avrebbero di certo capito che un mio nuovo inizio era senz'altro da festeggiare.
Peccato che ne erano inconsapevoli.
Ogni nota, ogni pausa o acuto della sua voce entrò in me, fluidamente,
senza farmi male, come se stessi facendo l'amore per la prima volta.
Comincia a menar l'aria, con colpi decisi delle gambe, un punto impreciso,
le braccia persero il controllo e mentre la prima canzone del disco mi facilitava la situazione,
provai una felicità talmente forte che mi gettai all'indietro ed eseguii un Moonwalk perfetto.
Sorpresa di me stessa, fermai ogni mio singolo muscolo.
Un brivido mi attraversò in pieno la schiena, scelsi di rimanere impalata,
al centro del salotto, con il viso grondante di sudore e le guancie rosse.
Un rumore metallico, mi fece ritornare sulla Terra, quell'attimo di assoluto smarrimento.
Strano, perchè ero sola in casa, e mia madre nn era tipo da appostarsi dietro una porta per farmi uno scherzo.
Salii le scale ancora più perplessa, perchè sembrava provenire dal piano superiore.
Il corridoio era completamente al buio, quindi accesi la luce.
Ebbi un fremito.
E se dei ladri si fossero appostati vicino casa nostra per spiarci e cogliere il momento opportuno,
in attesa che mia madre uscisse, per entrare di soppiatto dalla finestra e sgozzarmi, per poi saccheggiare l'intera casa?
Scrollai la testa e smontai quel film che mi si era sviluppato senza alcun avviso,
in una qualche pellicola nascosta nel mio cervello.
Decisamente avevo guardato troppa tv l'altra sera.
Spostai leggermente con un dito la porta della camera matrimoniale,
con uno scatto premetti l'interruttore della luce,
ma rimasi completamente illesa da qualsiasi attacco del mio immaginario ladro.
Rovistai l'armadio, controllai sotto il letto, dietro la porta, ma niente.
Scannerizzai per bene anche il bagno, nella cabina della dccia, persino nello sgabuzzino.
Infine rimase solo la mia camera da ribaltare sotto-sopra.
Ma anche questa era vuota.
Forse era stata soltanto una mia impressione,
magari era scivolato un piccione sul tetto e io mi ero allarmata per nulla.
Lo stereo era ancora acceso.
Scesi le scale, tranquillizzata da quel timore che si era dissolto,
e che aveva sollevato solo un grosso polverone nella mia mente già troppo contorta ed esaltata.
Sussultai quando una serratura scattò, ma era soltanto la figura della mia cara mamma,
che si faceva largo con le buste piene della spesa, spingengo con la gamba la porta e chiedendomi di aiutarla.
A cena, mio padre non ci fece l'onore di raccontare la solita giornata tip che aveva trascorso in ufficio,
non proferì parola, il suo innaturale silenzio accompagnò il risucchio che la sua bocca emetteva a ogni sorseggio dal cucchiaio,
del brodo caldo che mia madre aveva cucinato per lui.
Ero ormai ritornata alla "Time For Dancing", certo.
E per me avrebbe significato la deconcentrazione dallo studio, l'abbandono dei doveri a casa,
che dovevo svolgere necessariamente ogni giorno senza eccezioni, secondo lui.
Questo ci aveva portato a prolungate discussioni nel salotto.
La mamma sapeva che quella scuola di ballo, per me era molto importante, lei sapeva quanto io ci tenessi,
sebbene fosse stata nociva e mi avesse allontanata da casa, ed era consapevole che io l'avrei frequentata comunque,
che loro fossero volenti o nolenti, per questo cercò di mantenersi sulla mia difensiva, cosa che raramente accadeva.
Mio padre, ala fine si ritrovò schiacciato e mise il broncio, ostinato a lasciarci cuocere nel nostro brodo,
finchè non avessimo filato verso la sua direzione, e tutto sarebbe tornato normale.
Sfortunatamente, se credeva di essere testardo, io e mia madre lo eravamo dieci volte di più.
Io avrei continuato il mio corso di ballo, ma lui avrebbe tenuto il muso, e in cambio,
non avrei dovuto chiedergli di accompagnarmici quando non ce l'avrei fatta,
non avrei dovuto raccontargli nulla delle mie esperienza extra-scolastiche.
Dopo aver sparecchiato, misi a mollo i piatti nell'acqua saponata, nel lavandino, e cominciai a strofinarli con la spugna.
La mamma, stava spazzando in terra, mentre mio padre, si sistemò in salotto, a guardare la tv.
Tutta quella tensione, quel silenzio era durato fino ad oggi, e avrebbe continato a gravare su di noi.
Quando ogni piatto f riposto nella dispensa, e la cucina tornò immacolata, mi diressi verso il salotto.
Avevo una morsa nllo stomaco, avrei preferito morire piuttosto che pregare qualcuno, ho sempre avuto un certo orgoglio.
Adesso però, la posta in gioco era alta, e non potevo permettere che il rapporto con mio padre andasse a rotoli,
così cercai di approcciare, di attaccare discorso, in modo molto semplice, come se nulla fosse accaduto.
- Vuoi un pò di caffè, papà?-
Questa era la domanda che gli porgevo ogni sera, prima di dargli il bacio della buonanotte.
Ebbene, anche stavolta feci la stessa identica domanda, dopo già un bel pezzo che non gli e la rivolgevo, con un tono speranzoso.
Niente, niente di niente.
Non che mi fossi aspettata un sorriso a trentadue denti, ma ci rimasi comunque male, abbastanza da essere scossa dalla rabbia.
Tutto quello che volevo, era spegnere quel maledetto televisore, sul quale invece, era concentratissimo.
E lo feci.
Afferrai il telecomando dal divano, e lo spensi.
Rimase nella stessa posizione, ma evidentemente colpito, aggrottò la fronte.
- Papà, lo vuoi un pò di caffè, o no? -
Sospirò intensamente, dentro di lui, stava avendo luogo una lotta interiore.
Di sicuro, stava cercando di decidere se restar zitto, oppure scagliarmisi contro.
Optò per la prima.
Impassibile, si reimpossessò del telecomando e riaccese la tv,
la sintonizzò sul suo programma sportivo preferito delle 22.00 e quella fu la fine della nostra conversazione.
- Buonanotte anche a te. -
Salii le scale, in preda alla collera, e trovai mia madre a letto, da sola, con la lampada sul comodino accesa,
e il libro che aveva tanto desiderato, ora fra le mani.
Entrai, le diedi un bacio sulla fronte e proprio quando stavo per andarmene, mi afferrò per il polso.
-Stà tranquilla, prima o poi cederà. Adesso vai a fare la doccia, e poi a letto, sarai stanca. -
Affondò nuovamente la testa sul cuscino, e prese ad immergersi una seconda volta nella lettura.
Sciacquai via tutto il sudore, la stanchezza,a soprattutto l'irritazione, ne box doccia.
Misi il pigiama e mi infilai sotto le coperte.
Un nuovo giorno attendeva me, e sperai, che le ore passassero in fretta per poter uscire di casa,
andare a scuola sarebbe stato di gran sollievo.
 
***
L'ultima ora giungeva al termine, e io mi ero sorbita una straziante lezione di algebra.
La lancetta dei minuti dell'orologio, al mio polso, sembrava essersi congelata, e il tempo scorreva lentamente, troppo lentamente.
Quando riuscii finalmente ad uscire, ripetei il mio solito tran-tran.
Non feci in tempo ad entrare a casa, che ero già fuori el'autobus non si fece attendere molto.
Alla TFD passai inosservata, tutti erano stati messi al corrente del mio ritorno.
Ilaria, era rimasta sbalordita dai miei miglioramente in così pochi giorni,
e quando si accorse che avevo rimontato anche la fatica, ed ero pronta a fare il doppio del lavoro da lei richiesto,
decise di reinserirmi nel gruppo di ragazze con cui avevo sempre ballato.
Attraversai i corridoi, e salii le scale.
L'appuntamento era stato prefissato nella solita sala, così dopo essermi cambiata, feci il mio ingresso.
Mi fu difficile riconoscere qualcuno, visto che la massa di ragazze davanti a me mi avevano offuscato la vista.
L'orda di amiche che avevo lasciato in questa scuola, mi accolsero a braccia aperte, fui sommersa.
Dopo averle salutate tutte, e la folla attorno a me si diradò,
mi resi conto di una presenza estranea fra di noi, che non avevo mai notato fino ad oggi.
Jacqueline era alta, snella, dal corpo perfetto.
I ricci capelli neri li tenva raccolti in una coda,
qualche boccolo ea sfuggito alla morsa dell'elastico e adesso le ricadeva sulle spalle.
Aveva il viso roseo, la pelle morbida.
Al momento si stava occupando di fare stretching alla sbarra.
Teneva gli occhi fissi sulla gamba, che teneva ben stesa, e nel frattempo sussurrava qualcosa per me incomprensibile.
Prima che rivolgessi mezza parola alla nuova ragazza, Ilaria mi bruciò sul tempo.
Mi salutò con affetto, e me la presentò.
-Jacqueline è un nuovo acquisto della TFD, ma sopattutto del nostro corso.
E' qui già da una settimana, e viene da una delle più prestigiose scuole di ballo francesi.
E' nel tuo interesse, come in quello di tutte noi, farla sentire ben accolta e a casa.
Con questo non voglio dire che la vizierò come una pupa in fasce.
Mi rendo conto però, che il distacco da una scuola di ballo come la sua,
deve essere stato difficile per lei, quindi miraccomando.
Lei conosce già il nostro programma, e dato che sei arrivata esattamente dove siamo arrivate noi,
oggi comincieremo una nuova lezione. A Jacqueline, basterà starci dietro. Se la cava molto bene da sola. -
Strinsi la mano alla nuova arrivata, sorpresa ed euforica di aver accolto un'altra persona nel gruppo.
- E' un vero piacere, Jacqueline, io sono Jessica.-
Ricambiò la stretta, e mi rispose con un dolce accento francese, sfoggiando un grande sorriso.
- Il mio piacere è mio, Jessique.-
Ilaria attaccò la musica e seguimmo le sue mosse per ben due ore,
fino a che, parte della nuova lezione era già entrata a far parte di noi.
Mi resi conto, osservandola allo specchio, che Jacqueline non sapeva solo muoversi,
ma riusciva a starci dietro senza sforzo.
Il suo corpo era sinuoso ed ogni movimento, veniva svolto con vigore e leggerezza allo stesso tempo.
Ila, asciugandosi le gocce di sudore dalla fronte, spense lo stereo e ci deliziò com'era d'abitudine,
con l'ultimo annuncio di fine giornata.
- Bene, com'è chiaro a tutte, almeno a chi ha avuto modo di notarlo, Jacqueline è un passo avanti rispetto a noi,
sia per stile, che per equilibrio e tecnica.
Adesso, non mi resta che annunciarle del saggio, almeno in poche parole, a cui abbiamo deciso di partecipare.
Quest'esibizione prevede la partecipazione di più scuole di ballo, che si sfideranno tra loro, una soltanto vincerà.
Non c'è bisogno che vi dica che dovrete sudare, se volete arrivare al primo posto.
Ma prima dello stile, della coreografia, bisogna credere in sè stessi, è quella la chiave del successo.
Poi verrà tutto il resto.. a me non servono dei burattini sul palco, ma al contrario, delle pantere,
delle leonesse combattive e fiere, voglio che non vi perdiate mai d'animo.. e se dovesse finir male, pazienza,
ma intanto potremmo ben dire di averci provato! Ora tutte a casa, svelte!-
La campanella suonò puntuale, e tutte si affrettarono ad uscire dalla sala.
Jacqueline si spostò leggiadra verso la porta, e ci salutò con la mano.
- Au-revoir! -
Io invece, approfittai per passare un pò di tempo in intimità con Ilaria.
- Non vai a casa? -
Mi chiese, sorridendomi.
- Non ancora. Ma alla fine, Smooth Criminal sarà la base musicale della nostra coreografia? -
Ilaria annuì, sorseggiando dalla bottiglia il suo Gatorade.
- Sono rimasta colpita. Sei riuscita a recuperare tutto in pochi giorni, è soprendente.
Non dimostravi una grinta del genere, neanche l'anno scorso.
E' questo lo spirito che voglio, per il saggio. Non tanto per sventolare la coppa, ed essere arrivate prime..
ma soprattutto per dimostrare di cosa siamo fatte.. perchè noi non ci muoviamo come forsenate dentro una sala.
Il ballo è libertà, Jè. Anche per Mike, il ballo oltre ad essere una passione, era una valvola di sfogo, era uno specchio.
Sulla danza, lui ci s specchiava e ci riversava dentro tutto, tutto quello che provava.
E' proprio quella, la libertà che io intendo. Ciò che hai dentro, tiralo fuori ballando. -
Le sue parole, infondarono in me i principi, che avevano fatto di lei, una delle insegnanti più rinomate anche all'infuori della TFD.
Capii che avrei dovuto lottare, che non avrei dovuto arrendermi.
Che qualunque cosa fosse accaduta, l'avremmo condivisa, specialmente con Michael.
Ed io ero pronta a starle dietro, avevamo un obiettivo, che non era gloria, ma libertà.
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


Aggiorno dopo tanto tempo questa storia.. e quindi mi scuso per il ritardo, ma penso che sia giustificabile il fatto che la scuola mi sta prosciugando..
Comunque ecco qui, un nuovo capitolo! Hope you like it! =D
 
Fuori, era già buio, il cielo stava diventando molto rapidamente di un nero pece.
Feci una sintesi veloce di quello che era accaduto oggi,
mentre camminavo su per il marciapiede e raggiungevo la mia abitazione, e le novità,
le parole di Ilaria, e l’arrivo di una nuova ragazza tra noi,
mi fecero intendere che infondo, non mi stava andando così male,
perlomeno per ciò che non riguardava la vita sotto il mio tetto.
Entrata in casa, non persi tempo, feci una doccia lampo e afferrai il libro di italiano dalla scrivania,
con la speranza, che il nuovo argomento avesse fatto breccia nel mio cervello.  
Lessi e rilessi quei paragrafi almeno una decina di volte, ma più ci provavo, più la mia mente faticava a memorizzare il tutto.
Magari, avrei riprovato più tardi.
Scesi giù, in salotto.
Mio padre non era ancora tornato, la mamma invece, si dava da fare in cucina.
Il grembiule stretto in vita e le mani che operavano tra le pentole, e la roba da mangiare.
- Vuoi che ti dia una mano? -
Lei alzò lo sguardo, fece cenno di si con la testa, e io volai verso i fornelli, per accorrere in suo aiuto.
Affettai i pomodori, le mozzarelle e il pane, su suo ordine.
Da quando la comunicazione con mio padre si era interrotta, cercava di rifarsi in cucina, preparando tutti i suoi piatti preferiti.
- Com’è andata a scuola di ballo? -
Almeno, mi supportava e provai un grande moto di affetto verso di lei.
- Bene, tutto bene.. Ilaria è contenta di me, perché sono riuscita a recuperare tutto in poco tempo,
ormai sono ritornata con il mio gruppo. Da oggi, dovremo concentrarci sul saggio…
Ah, e poi c’è anche una ragazza fra noi, sai? E’ bravissima.. si muove bene, ed è francese.
Scommetto che supererà tutte noi, in un attimo! -
Le raccontai, sparpagliando un po’ di sale, sulle bruschette.
- Per quanto possa essere brava quella ragazza, sarai sempre tu la migliore per me. -
Avvertii le lacrime salire, gli occhi bruciare e un gran bisogno di abbracciarla,
forse era quello che cercavamo entrambe, un po’ di affetto e di calore.
Le sorrisi spontanea.
- Grazie mamma. -
Nel frattempo la porta di casa venne aperta e richiusa con un tonfo,
e mio padre si apprestò ad entrare, mantenendo il suo solito distacco.
A tavola, mangiò tutto e non contento fece anche il bis.
- Ti dispiace se, stasera lascio la cucina a te? Dovrei finire di studiare…-
Mia madre acconsentì, salii le scale e restai tutta la serata con il libro di italiano squarciato a metà sulle ginocchia,
poggiata con le spalle al muro, sul letto, mentre i poster di Michael alle pareti fissavano la mia figura,
intenta a farsi strada tra le pagine del sapere.
La mattina del giorno dopo mi svegliai finalmente, qualche ora più tardi.
Il tanto atteso week-end era arrivato, e io non vedevo l’ora di uscire,
ed andare da qualche parte, che non fosse la scuola o casa mia.
Mi preparai in bagno e trovai il tavolo della cucina colmo di cornetti, briosche e biscotti.
Mia madre oltre a mio padre, voleva viziare anche me.
Lui era già uscito, credo che fosse andato a giocare a golf, con il suo migliore amico.
Lei, come era suo solito, si stava occupando della nostra dimora, e correva di qua e di là,
rimettendo a posto gli oggetti sparsi, pulendo i vetri, spolverando i mobili.
Consumai la mia colazione, rimisi a posto ogni cosa e come pegno l’aiutai nella sua impresa di terminare le pulizie in tempo,
per poter usufruire di un po’ di libertà.
Mi ero già sentita con Elisa, telefonicamente un paio di giorni prima,
e per oggi avevamo deciso di stare tutto il giorno insieme.
Tornai di sopra per prendere la borsa, e mentre facevo le scale,
sentii un boato provenire dalla sala da pranzo.
Sbarrai gli occhi, colta di sorpresa, ma mi resi subito conto,
che mia madre aveva inserito un cd nello stereo e aveva alzato il volume al massimo.
E quel cd, era proprio il nostro preferito, Bad.
La voce di Mike, la musica di sottofondo, il ritmo, le fecero perdere la testa,
e con la scopa in mano prese a danzare per le stanze.
Ad entrambe, faceva lo stesso identico effetto.
Balzai giù dai gradini, e la raggiunsi in camera da letto, dove cominciai a dimenarmi,
riproducendo la stessa coreografia del video di quella canzone, “The way you make me feel” per la precisione.
Certo che era strano e del tutto innaturale, un episodio del genere in casa mia,
perché qui la serietà era sovrana, e tutto si fondava sulla realtà delle cose e i sogni appartenevano agli stupidi.
Le regole di mio padre, facevano riferimento a me e mia madre, che al suo contrario,
seguivamo molto le nostre emozioni, eravamo due spiriti liberi e tendevamo all’essere sopraffatte da tutti i sogni che avevamo,
perché noi di sogni ne avevamo tanti, e volevamo raggiungerli.
 Uscii di casa, così contenta, che per strada continuai a sorridere e le persone, si chiedevano se fossi sana di mente, guardandomi storto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
      

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


Dopo aver aspettato un quarto d'ora, il bus arrivò sbuffando fumo grigio dalla minuscola canna fumaria.
Salii e andai a sedermi.
Misi l'ipod su riproduzione casuale e la musica partì a palla.
Non sò quanti battiti avesse effettivamente compiuto il mio cuore per tutta la durata della canzone,
sono comunque sicura che per quanto sangue mi pompasse nelle vene
e per ogni respiro emesso sentivo di esserne parte integrante.
Accadeva ogni volta che l'ascoltavo, esattamente come la prima.
Non sò nemmeno se questo avesse a che fare o no con la melodia, con la sua voce,
ma in ogni parte del mio corpo rimbombava incessantemente, non avrei mai smesso di amare 'Smooth Criminal'.
Soprattutto adesso stava acquistando terreno, perchè in vista del saggio,
non potevo fare altro che ascoltarla sempre, ovunque andassi, con chiunque.
Annie are you okay?
Are you okay, Annie?
Cantai silenziosamente, con il labiale.
Mi accade ancora oggi, che ascoltando la musica io senta la necessità di muovermi,
 in qualsiasi situazione mi trovi.
Che sia un gamba che mi dondola, o delle dita che tamburellano sul tavolo,
non ha importanza, tutto stà nel doverlo fare.
E' un impulso irrefrenabile che non ho mai saputo sopprimere e spesso,
da molte persone ho ricevuto esclamazioni del tipo:
- Stai ferma, mi stai mettendo ansia! -
Io non contenta, continuavo e magari, aumentavo la velocità del tamburellio o del movimento.
Non sono mai stata ferma, mai, e quella canzone mi comunicava proprio questo.
Movimento, inafferrabilità.
Nel frattempo, scrollai la testa e tornai in piedi, perchè tra due fermate, sarei dovuta scendere.
Mi strinsi nel cappottino, e riposi l'ipod in borsa,
poi afferrai il cellulare e trovai sullo schermo una chiamata persa. Eli.
Mi sporsi dal marciapiede e girandomi da una parte all'altra,
riuscii ad individuare un chioma di lunghi capelli lisci.
Era seduta sullo scalino di un negozio con la saracinesca completamente abbassata,
aveva le cuffie alle orecchie e guardava meccanicamente il cellulare.
Mi sentii in colpa per averla fatta attendere, e le andai incontro porgendole tutte le mie scuse.
Ma Elisa non era persona da serbare rancore, e mentre la imploravo di perdonarmi,
mi sorrise e mi gettò le braccia al collo, felice di vedermi.
Non potei fare altro che imitarla, e dopo esserci sciolte da quell'abbraccio, ci perdemmo in una lunga chiacchierata.
Le raccontai proprio ogni minimo particolare di quella settimana, pesante, ma soddisfacente.
Le descrissi con gioia che alla TFD erano contenti di riavermi,
che fra l'altro era arrivata una nuova ragazza nel nostro gruppo,
e che stavamo cominciando a prepararci per il saggio, e noi avremmo ballato 'Smooth Criminal'.
Restò di sasso dopo avermi sentito pronunciare queste parole.
La perdita di Michael era stato un duro colpo per entrambe, forse per lei ancor di più,
e non dimenticherò mai il modo in cui ci siamo crogiolate nelle stesse lacrime,
e nello stesso dolore ci siamo consolate assieme.
Le dissi del distacco di mio padre,
dell'inaspettato appoggio di mia madre nei miei confronti, e degli ultimi voti ottenuti.
Poi venne il suo turno.
Il tutto terminò quando il nostro stomaco cominciò a borbottare,
e così visto che si trovava ad un centinaio di metri da noi,
optammo per andare a mangiare un panino da Mc Donald.
La mia dieta non prevedeva alimenti di questo tipo,
perchè avevo sempre voluto tenermi in ottima forma e prestare attenzione alla linea,
soprattutto per rendere bene nel ballo, ma non potei fare a meno di affondarvi i denti.
Ogni tanto andare fuori dalle righe, non era poi così male.
Quest'uscita, si tramutò in un gioioso ritrovo,
in cui entrambe non ci preoccupammo di stare a pensare cosa bisognava studiare per i prossimi giorni,
arrivai a dimenticarmi anche della TFD, di Ilaria, della gente.
Riuscimmo solo a ridere istericamente, per quel signore che aveva un'aria buffa,
oppure perchè una donna più giù era scivolata per terra e le buste della spesa si erano lacerate,
lasciando rotolare tutte le mele.
Ogni cosa impossibile e inimmaginabile sembrava accadere in quei momenti, appositamente per noi.
Dopo aver girato per il centro della città, lasciai Elisa al capolinea degli autobus,
mentre io presi la metro e dopo qualche fermata mi misi a sedere su un muretto,
 in attesa del bus che mi avrebbe riportata a casa.
Quando varcai la soglia della mia dimora, trovai la mamma stravaccata sul divano,
intenta a fare zapping alla tv, senza trovare niente che catturasse il suo interesse.
- Oh, ben tornata! -
Mi rivolse un sorriso, poi mi stampò un bacio sulla fronte,
 e cominciò a bombardarmi di domande sulla giornata di oggi.
Le feci un piccolo riassunto, poi salii a due a due gli scalini che conducevano in camera mia,
gettai la borsa dove capitava e mi distesi sul letto,
rimuginando su quanto avessi riso fino a poche ore fa,
su quante piccole cose ci si poteva costruire qualcosa di grandioso.
Perciò mi tornò alla mente Mike, il mio Mike.
E rimasi a contemplare la sua immagine sulle mie pareti, ricordandomi di ciò che per lui era stato, raggiungere un obiettivo.
Bisognava lavorare sodo, impegnarsi, lottare, mettercela tutta, proprio immedesimandomi in lui,
ripetei insistentemente che se volevo un risultato avrei dovuto faticare, sudare per ottenerlo.
Proprio come lui si era impegnato nella lavorazione di 'Thriller'.
Voleva che fosse l'album più venduto di tutti i tempi, e così è stato.
Sebbene la stanchezza, le botte di sonno tra una registrazione e l'altra e la fatica,
lo avevano portato a tanti sacrifici, alla fine era stato profumatamente ripagato.
L'idea di dover ricominciare tutto la mattina seguente, di seguirela stessa monotona routine, non mi allettava, ma pensai a lui.
E bastò a farmi tornare lo spirito, per dire a me stessa:
- Ok, sono a pronta a partire. -

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