Lose 'em Never Again

di SummerRestlessness
(/viewuser.php?uid=94316)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cinque ragazzi di bell'aspetto ***
Capitolo 2: *** Partenza ***
Capitolo 3: *** Nomi esotici ***
Capitolo 4: *** Una sigaretta di troppo ***
Capitolo 5: *** Le tradizioni non si infrangono ***



Capitolo 1
*** Cinque ragazzi di bell'aspetto ***


Cinque giovani di bell’aspetto

“Bene, ragazzi. Siete tutti qui? Sì, tre ragazze e due ragazzi, bene. Sapete qual è il lavoro, sapete che non è facile, sapete che appena sgarrate siete licenziati. Non si tollerano ritardi, parolacce, pause troppo lunghe o inappropriate etc…Se c’è qualcosa che non potete fare che mi è sfuggito di dirvi…beh, lo imparerete a vostre spese. Siate perspicaci. Buon lavoro!”

La manager del locale ci fece un finto sorriso e girò i tacchi, frettolosa di andarsene in qualunque altro posto, piuttosto che stare con noi ad insegnarci a fare il nostro lavoro. Per fortuna, non dovrebbe essere niente di complicato. Sei vestita di nero, hai un cartellino con il tuo nome e un auricolare e giri per il negozio di abbigliamento (uno dei più ricercati della città, a dire il vero) cercando clienti a cui vendere qualsiasi cosa o scaffali da risistemare. Ovvio, di questo si occupano altri, il personale di magazzino: tu li chiami e basta. Poi ci sono i “camerieri”, che servono vino bianco fresco e frizzante ai clienti in delicati flute di cristallo. Strano, vero? E’ quello che penso anche io, ma forse gli esperti di marketing hanno scoperto una connessione tra l’ubriachezza di un cliente alle 2 del pomeriggio e il suo essere più propenso a comperare. Insomma, qui dentro, a parte i grandi capi, noi 5 siamo le cariche più alte, quelli che fanno il lavoro meno “sporco”.

E’ comunque un lavoro di merda, non c’è che dire. Sull’annuncio dicevano “diplomati/e, massimo 25 anni, bell’aspetto e buona presenza” e quasi avevo pensato che cercassero dei modelli. Non so che ragione ci sia di mettere in un negozio di abbigliamento commessi di bell’aspetto. A me verrebbe più voglia di comprare qualcosa se mi sentissi la più bella in un negozio. D’altra parte, questo non mi è mai successo. Non che sia brutta, no, sono carina, ok. Il fatto è che c’è sempre qualcuno più affascinante di me, almeno nella mia testa. Ma sto divagando. E intanto mi sto perdendo il momento delle presentazioni con gli altri membri del mio piccolo gruppetto di privilegiati.

Le altre due ragazze stanno già parlando tra loro, il ragazzo moro (credo che si tinga i capelli, sono troppo neri per essere naturali) le guarda e dà di gomito all’altro ragazzo, un po’ più alto di lui, che ha un’aria annoiata. Mi avvicino alle ragazze, apparentemente la preda più facile. Di solito le ragazze non mi sopportano, mentre i ragazzi…beh, a loro piaccio, per un motivo o per l’altro. E intendo piaccio in modo asessuato, nel senso che mi danno semplicemente più confidenza dall’inizio, invece di squadrarmi dall’alto in basso come sta facendo una di queste due ragazze. Che poi, cosa dovrà guardare, siamo vestite tutte nello stesso modo. Forse sta cercando di misurare la mia taglia.

“42.” dico, senza rivolgermi a nessuno in particolare. I miei quattro nuovi amici smettono di parlare e la ragazza che mi squadrava mi fissa con una strana espressione. Poi scoppia a ridere.

Rido anch’io, perché sembra che lei abbia davvero afferrato i miei pensieri. Inizio già ad amarla quando dice: “Scusami, non stavo cercando di indovinare la tua taglia!” e completo la mia opera di innamoramento di lei quando aggiunge: “E’ solo che cercavo di capire se hai i miei stessi pantaloni. Se è così, devo subito andare a cambiarli!”. Scoppiamo a ridere entrambe e l’altra ragazza fa un risolino di accompagnamento che suona come il campanellino di un gatto.

“Piacere, Amanda.” dice la ragazza dei pantaloni, sorridendo. “Lena” rispondo facendo altrettanto e approfittandone per guardarla meglio. Non è questione di vanità (vediamo se è meglio di me) o di giudicare il suo aspetto. Quando conosco una persona devo avere una certa immagine nella mia mente, per poterla catalogare nel mio cervello. Come quando qualcuno mi parla di una persona che non conosco: devo sapere come si chiama, per farmi almeno un’idea di come possa essere. Insomma, Amanda ha i capelli castani un po’ più scuri dei miei che le arrivano alle spalle e tenuti di lato con una mollettina rossa. Gli occhi sono scuri e vivaci, il suo sguardo è curioso e non smette un momento di brillare di aspettativa e chissà cos’altro anche mentre stringo la mano all’altra ragazza. “Katia” è un po’ più bassa di me e più formosa, è ovviamente bionda (per la par condicio dei gusti dei clienti maschi, temo) e ha gli occhi luminosi, un po’ troppo forse. E ha la voce acuta. Ma io non giudico le persone dalla loro voce. I ragazzi forse sì. Le ragazze le giudico da come si vestono. E Katia ha una maglietta nera a maniche lunghe che le arriva appena sotto l’ombelico. Gli anni ’90 sono passati, bella.

Sono così snob. Magari Katia è la ragazza più dolce e simpatica del pianeta e diventerà la mia migliore amica. Forse se brucia quella maglietta. Che ha anche una macchia di sugo mi sembra di vedere…ah no, era la luce.

Sono talmente impegnata a fissare la macchia-non macchia che non mi accorgo che si sono avvicinati i due ragazzi. Dopo averci ovviamente commentate da lontano, fanno il loro ingresso trionfale. L’amico tinto non ha solo i capelli brillanti, ma anche i modi: si presenta con un sorrisone a mille denti prima alla sottoscritta e poi alle altre dicendo il suo nome con voce suadente. Per poco, al terzo “Matt” ripetuto con la stessa intonazione non scoppio a ridere. Amanda invece, scoppia per davvero. Questa ragazza mi preoccupa. Forse legge nel pensiero. Matt la guarda un po’ ridere e poi perde la sua compostezza e quasi ridendo anche lui le chiede: “Oh, cosa ridi?”. Mentre Amanda tenta di imitarlo tra una risata e l’altra, io mi ritrovo davanti l’ultimo del gruppo.

Ed è bello. Ma d’altra parte siamo tutti “di bell’aspetto” qui, no?

No, no. Bello in un modo…intimo. Da morire. Ok, non è la parola adatta. Bello di una bellezza che sai che non tutti la possono cogliere e che molti non lo faranno, ma che se la vedi…ti fa quasi male fisicamente. Mi fa male, con quei suoi occhi azzurri fissi nei miei, ancora troppo seri. E mi fa ancora più male quando prende la mia mano che avevo lasciato inerte lì nelle vicinanze e la stringe. E sorride, finalmente. E sta per dirmi il suo nome ma ritorna serio, quasi preoccupato, e mi chiede “Stai bene?” perché evidentemente devo avere sulla faccia qualcosa di simile alla goccina sulla fronte dei manga e tra poco inizierò anche a perdere sangue dal naso. Riesco a sorridergli e a sbiascicare qualcosa che sembra il mio nome, al che lui, un po’ rassicurato, fa un mezzo sorriso e passa alla prossima mano da stringere.

Ok, faccio in fretta ad innamorarmi. Negli ultimi cinque minuti ho conosciuto quattro persone (di bell’aspetto e) divise equamente per sesso e mi sono innamorata di due di queste quattro. Il 50%. Mi sembra una buona media, per iniziare. E uso la parola “innamorare” con leggerezza. Prendo tutto con leggerezza, ora. Anche questo lavoro. Ed è esattamente il modo sbagliato di prendere questo lavoro, se ho capito bene quello che ha detto la tizia importante. Beh, pazienza.

Non è che mi sia proprio innamorata, è un modo di dire. Per quanto riguarda Amanda, beh, sono etero. E per quanto riguarda…

Questo è un altro mio problema. Sono leggerissimamente svampita. O forse “lui” tra tutta la storia goccina-et-sangue-dal-naso si è dimenticato di dirmi il suo nome. Sta di fatto che non lo so. Ma non è così importante, non sono mica così innamorata da volere sapere come si chiama. Prima o poi lo scoprirò.

Nel frattempo Amanda sta chissà perchè dando manate poco femminili sulla spalla del ragazzo senza nome ed io mi sono di nuovo persa un momento di possibile socializzazione con i miei nuovi compagni di viaggio perché stavo vagando con la mente.

Momento finito, è ora di lavorare. Tutti si salutano e si augurano buon lavoro e io mi unisco al coretto. L’innominato mi guarda come se fossi verde e avessi le antenne. Ok, ho dato una prima impressione da babba, ma questo non vuol dire che non sia capace di comportarmi da persona civile. Oh.

Ci disperdiamo tutti in direzioni opposte, ma Amanda finge solamente di disperdersi: in realtà mi prende a braccetto e inizia a camminare con me. “Bei pantaloni, dicevamo.” e ride come se avesse detto la cosa più divertente del mondo. Ma lo fa in un modo che ti fa venire voglia di ridere con lei e quindi le faccio un sorriso divertito.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Partenza ***


Partenza

“Allora, cosa ne dici degli altri?” mi chiede a bruciapelo non appena siamo a distanza di sicurezza e sembra che qui si sia già formato un club esclusivo: noi due e “gli altri”. Le rispondo “Penso che dovremmo stare alla larga dalle voci che sussurrano e dalla foresta, almeno all’inizio.”. Annuisce e sorride con fare da complottatrice: “Lost, eh? Bello, sisi.”.

Per i pochi che non lo sapessero, Lost è un telefilm su un’isola deserta che si scopre a poco a poco non essere affatto deserta…e altre mille cose. E’ un po’ da sfigati, nel senso che ti devi appassionare e ricordare tantissimi particolari, tutti intrecciati in qualche modo, ma dal successo che ha avuto direi che ci sono un bel po’ di sfigati in giro. Comunque, io sorrido e annuisco con la testa. Poi mi lancio nella mia prima frase che non sembri tirata fuori a caso: “Mmh, Katia mi sembra simpatica. E anche Matt.”. Tralascio il Ragazzo senza nome perché spero sia lei a dirmi come si chiama. “Si, uhm, Katia…” fa lei come se fosse una sommelier che assaggia un vino “Si, Katia è ok…è…bionda, beh. Matt è simpatico…” sorride “…se la tira un po’! Hai sentito com’era impostato all’inizio? Poi però si è sciolto ed è stato carino…Anche a dirci che il suo vero nome è Mattia…!”. Rido. Ecco cosa mi ero persa, l’impostatissimo Matt è in realtà il simpatico Mattia. Che altro, mentre annaspavo alla ricerca del mio nome per poterlo dire a…? “Lorenzo poi…” ricomincia lei.

Lorenzo, certo. Non ci sarei mai arrivata. Non avevo colto neanche una sillaba, chessò, un “re” o un più significativo “zo”. So solo che ora come ora vorrei tanto chiamarmi Lucia.

“Lorenzoooooo…” ripete Amanda allungando la “o” finale per indicare che è indecisa “…non so.” conclude. Arriccia la bocca, non è soddisfatta. “E’ strano.” le dico io per aiutarla, sentendomi una completa idiota. Lei annuisce ma sembra che cerchi nell’aria qualcosa in più “Sì, è vero, mi ha dato la mano in un modo distratto, non so. O annoiato. Mah. Comunque cambiando argomento…” e inizia a spiegarmi come pensa che dovremmo disporci nel negozio. In teoria per ora dovremmo solo fare un giro di perlustrazione, visto che non ci sono ancora clienti e l’apertura è tra mezz’ora. Quindi ci posizioniamo dove c’è un bancone per mostrare gli abiti alle clienti (le donne ovviamente sono nel reparto donna) e iniziamo a parlare e a immaginare come sarà lavorare qui. Intanto ci raggiunge anche Katia che, alla domanda di Amanda “Visto qualcosa di interessante?” risponde “Ho già tipo speso con l’immaginazione il mio prossimo stipendio qui dentro.” e mi diventa istantaneamente più simpatica. E attenzione perché non ho detto che mi sono innamorata.

Continuiamo a divagare su argomenti a caso, finché non mancano pochi minuti all’apertura e anche i “camerieri” hanno posizionato qualche bicchiere di vino sui tavolini vicino ai camerini di prova. Amanda, appena prima che si aprano le porte automatiche che riverseranno su di noi i primi clienti mattinieri, afferra tre bicchieri e ne porge uno a me e uno a Katia. Poi ci guarda negli occhi e beve il suo spumante alla goccia. Seguo il suo esempio subito e mi metto a ridere mentre anche Katia svuota il suo bicchiere con una smorfia. Poi dice: “Domani questo lo correggiamo.” e io sento che è già nato un rituale. Ci mettiamo gli auricolari e si parte.

Dopo due signore sui 50 anni che “pensavano” di avere la taglia 42 e invece avevano la 46 sono già stufa di questo lavoro. I clienti di questo negozio sono perlopiù abbastanza ricchi, quindi abbastanza snob. E far notare ad una signora abbastanza ricca e abbastanza snob che una 42 non le entrerà nemmeno se si cospargesse di quintali di burro (bleah.) non è appropriato. Le porti quindi una 42, poi una 44 ed infine una 46 che però “il colore che voleva in questa taglia è in ordinazione, abbiamo solo il nero”. E lei quasi si offende perché nel frattempo ha provato 2 vestiti, si è resa conto di non essere più una ragazzina e poi lei quel vestito lo voleva proprio rosso. E tu annuisci e prometti che il vestito rosso taglia 46 arriverà presto, dopo essertene accertata tramite aggeggino posto nel tuo orecchio. E poi preghi che lei non ti chieda di riprovare la 42. Mi sto quasi nascondendo dai clienti che si aggirano per il negozio quando sbatto contro qualcosa.

“Ops…” mi giro e c’è il Ragazzo Senza Nome. RSN. O Lorenzo, giusto? Perfetto.

“Ehi.” dice lui con una voce un po’ roca.

C’è un problema. Sì, un altro: mi innamoro spesso dei ragazzi per la loro voce, specialmente per quelle voci roche e basse e del tipo “ho fatto le ore piccole e ho passato la serata… urlando.”. Ora sì che sono fregata.

Ridacchia (ovviamente di me) e indicando in alto dice: “Vuoi cambiare reparto?”. Io alzo la testa e vedo sopra di noi l’insegna con scritto “Uomo”. Ri-ops. Sorrido incerta, poi guardo una signora che si dirige proprio verso di me con aria minacciosa: “Oddio, forse dovrei.” Sorride anche lui: “Non credo. Io sto scappando da quel tizio con la camicia verde pisello e il maglioncino azzurro.” e mi fa un cenno con la testa “Ha deciso che vuole un pantalone ocra ma nessuno dei nostri pantaloni è abbastanza ocra per lui.” Sbuffa e mi sorride di nuovo. “Allora mi sa che per stavolta lascio!” gli dico io avendo evidentemente perso tutta la mia sagacia e ritorno mesta nella mia metà di negozio, giusto in tempo per farmi catturare da una nuova cliente, giovane, magra e carina. Si cambia stile, finalmente? Cerco di non sbuffare mentre mi dice che ha bisogno di un regalo per sua zia e mi dirigo con lei verso gli scaffali.

A fine giornata, a pochi minuti dalla chiusura, mi siedo un attimo a riposare sui divanetti color crema vicino ai camerini. Mi massaggio le caviglie: forse non è stata una grande idea mettere tacchi 12 il primo giorno. Però mi fanno sentire più professionale. Chissà se si possono mettere anche di altri colori, oltre che neri. Sono piegata su me stessa facendo questi pensieri di alta filosofia quando un paio di decolletè rosse si avvicinano alla mia visuale quasi rasoterra. Mi rialzo e Amanda si siede accanto a me: sì ai tacchi colorati, dunque. Strano che non avessi notato i suoi, prima.

“Com’è andata?” chiede e io mi volto verso di lei e alzo le spalle “Niente male.”
Lei mi guarda e scoppia a ridere “Che schifo, eh?”.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Nomi esotici ***


Nomi esotici

È passato qualche giorno dal nostro primo incontro e ormai il lavoro è diventato routine: non fare tardi, scambia due parole con le clienti, ridi, fai ridere, dì sempre che hanno ragione e che stanno bene, qualunque cosa indossino. Gli altri sono simpatici: di Amanda mi ero già innamorata il primo giorno e continuo con la mia prima impressione, Katia mi sorprende di tanto in tanto, non è male, Matt fa ridere quando lascia da parte la sua aria da fighetto e Lorenzo…beh, lui è simpatico. Mi sforzo di non pensare niente più di questo, perché lui ride e scherza con tutti e quindi anche con me…Ma mi sembra sempre che sia più freddo con me che con gli altri. Lo fa per non darmi false illusioni, ovvio. E non è la mia poca stima di me a parlare. Ha notato che io sono molto più distratta del solito quando c’è lui nei paraggi e quindi si comporta di conseguenza. Tra l’altro credo gli piaccia Katia, perché la guarda e le parla spesso in un modo strano.

­­Non mi sembra proprio il suo tipo, comunque. Solo perché non sono bionda, lo ammetto. Non è nemmeno così stupida, per essere bionda. Io sono decisamente più stordita di lei…e sono sempre stata castana. Forse dovrò rivedere la mia teoria sul colore dei capelli. O forse dovrei semplicemente farmi bionda, chissà, sarà un segno del destino che mi dice “Non vedi quanto sei distratta, quante cose fai cadere, contro quante cose sbatti? E non ti sei ancora tinta?!?”. Credo di aver dato abbastanza sfogo ai miei pregiudizi altamente infondati sulle bionde. E’ solo che io vorrei, ma non posso.

È proprio vero, a volte quando penso a Lore finisco a dire/pensare cose senza senso. Da quando poi siamo abbastanza in confidenza da permettermi di abbreviare il suo nome, ci penso più spesso. Nella mia testa questo fatto mi permette di pensare a lui anche se non mi chiamo Lucia. Prima era blasfemo, quasi.

Comunque, siamo qui seduti in un locale, noi cinque. Abbiamo deciso che non ci vedevamo abbastanza (8 ore al giorno sono effettivamente circa solo la metà di quelle che passo da sveglia in una giornata) e quindi Amanda ha organizzato questa uscita serale, subito dopo il lavoro. Non che mi annoi, Matt è seduto di fianco a me e parla a raffica da un po’ e io riesco a ridere ogni volta al momento giusto e tutto sommato mi sto anche divertendo. Lore si è prontamente seduto dal lato opposto al mio, ma non è stata una grande idea, perché ora ogni volta che alzo gli occhi ce l’ho esattamente di fronte. E lui ogni volta sposta lo sguardo. Così, casualmente. Quindi ho deciso che questo è il tavolo più interessante del mondo, e lo fisso con insistenza, tanto che mi meraviglio quasi che non abbia ancora preso fuoco.

Finalmente arrivano i nostri drink e brindiamo al nostro nuovo fantastico lavoro (e per tutti, tranne che forse per Katia, è un brindisi ironico) e prima ancora che gli altri abbiano posato i loro bicchieri sul tavolo io ho già bevuto metà del contenuto del mio bicchiere.

Non dovrei dirlo, ma l’alcool mi piace: tira fuori lati della mia personalità che altrimenti non uscirebbero mai. È bello essere diversi, almeno per qualche ora. Amanda mi guarda con gli occhi sbarrati e poi mi dice ridendo: “Hai qualcosa da dimenticare?!?” e io scoppio a ridere con lei, di gusto. Mentre ancora ridiamo, mi giro verso gli altri ma il mio sguardo viene bloccato: Lore mi guarda, ora, e quando incontro i suoi occhi non li abbassa più come prima, ma rimane a fissarmi. E c’è qualcosa di nuovo, qualcosa gli passa per la mente ora, ma è indecifrabile e mi gira già la testa per l’alcool e non voglio capire cosa pensa. Voglio solo continuare a ridere, così. E allora dico: “Ragazzi, ma non vi sembra che i nostri badge siano un po’ tristi?” dico tirando fuori il mio. “Intendo, guarda anche il tuo, Matt” e glielo prendo dalla tasca della giacca elegante che porta per lavorare “…tu non ti chiami Mattia.” Gli faccio l’occhiolino e riprendo con voce suadente da venditrice di detersivi “Tu sei…Matt…”. Tutti scoppiano a ridere e Matt si riprende il suo badge e con una biro cancella le ultime due lettere dal suo nome. Poi mi guarda soddisfatto. Amanda gli ruba la biro ed estrae minacciosa il suo badge. Katia esclama: “Mandy!” e Amanda la fulmina scherzosamente con lo sguardo: “No no, Mandy mai…! È troppo da…sciocchina!”. Ci mettiamo a discutere di come si dovrebbe chiamare Amanda e ognuno propone la sua idea e in un attimo creiamo un caos assurdo. Siamo solo cinque, ma siamo piuttosto rumorosi. Poi Lore se ne esce con “Amy?” e tutti ci zittiamo. Io la guardo e annuisco: “Amy!” ed è così che ricomincia il casino. Ma io non sento più tanto perché Lore mi sta sorridendo, per la prima volta in tutta la serata.

Concordiamo che Katia si debba chiamare Kate (scelta ovvia, senza opposizioni da parte sua) e poi passiamo al mio nome, che a detta di Amanda, scusate, Amy, è già troppo esotico e quindi va cambiato decisamente. Matt mi guarda malizioso e poi dice: “Secondo me…Lucy.”. Sbarro gli occhi e riesco a dire solo: “…cosa?”. Lui mi sorride, di un sorriso che sa troppe cose e mi dice: “Lucy, sai, come Lucia…” ma non fa in tempo a dire altro, perché lo interrompo ed esclamo: “Certo, bella spiegazione! Comunque mi piace, ha anche la stessa iniziale di Lena, quindi…Lucy sia…” e lancio un’occhiataccia minatoria a Matt che trattiene a stento le risate. Ma come avrà fatto a sapere cosa mi passava per la mente…? …ah…Amanda… Poi, avendo ormai preso la parola mi sento in dovere di aggiungere, rivolta a Lore: “Manchi solo tu…”.

Ho pronunciato la parola “tu” miliardi di volte nella mia vita. Ma mai, giuro, mai, l’ho pronunciata (involontariamente per giunta) con una voce così… tenera. Dolce. Indifesa. Non c’è altro modo per dirlo, quel “tu” era una vera e propria dichiarazione. E lui deve essersene accorto, perché mi fissa quasi a bocca aperta da quelli che sembrano anni e invece credo siano pochi secondi. Devono essersi accorti anche gli altri della morbidezza sospetta di quel mio “tu”, perché Amanda, in chiara funzione “scialuppa di salvataggio” interviene spezzando l’atmosfera: “Già, Lore…e a te che nome diamo?”

Sto ancora un po’ nella mia bolla di sapone dalla quale le voci degli altri mi arrivano ma sono come ovattate e nella quale posso pensare un po’ senza troppe interferenze. In questo caso, dopo una figura del genere, quel “tu” uscito da chissà dove, chissà perché, voglio solo non parlare per un po’ e ascoltare solo i miei pensieri. Sarò diventata bordeaux… lui di sicuro lo è diventato… l’ho visto con i miei occhi arrossire… ma ora non lo guarderò più in faccia né mi rivolgerò più a lui. Oh.

Saggia decisione, davvero matura.

Esco dalla bolla mentre gli altri stanno ancora decidendo il suo nome. Mantengo il mio proposito di non guardarlo per circa due secondi. Ma solo perché è impossibile farlo, è seduto proprio di fronte a me! Lo vedo un paio di volte, nel mezzo della discussione, guardarmi preoccupato. Cosa sarà mai, mi piaci un po’, ok, non c’è bisogno di essere così prevenuti! Io non ti piaccio, va bene, si è capito, l’hanno capito tutti, non è che ne morirò!

Amanda interrompe i miei pensieri ed esclama: “La cosa più naturale sarebbe… Laurence… no?” e sorride agli altri che sembrano in procinto di scoppiare a ridere di nuovo. Lore dice: “No. Non scherziamo…” e poi aggiunge, come un bambino: “A me piace il mio nome.”.

Oh, anche a me. Però è stata una mia idea cambiarli, almeno sui badge. Katia scuote la testa: “Eh no, lo abbiamo fatto tutti, tocca anche a te!” e gli sorride e io penso che, ovvio che la trova carina se gli fa quei sorrisi con quegli occhioni da bambola. Ovvio che gli piaccia lei. Io il massimo che ho fatto per affascinarlo è stato… sbattergli contro.

Matt sbuffa e propone la sua: “Io ti vedo molto…James. Sai, tipo maggiordomo…un po’ rigido, un po’…assassino…!”. Ricominciano le risate a cui mi unisco anch’io perché questa è davvero bella, James gli si addice davvero, quindi esclamo: “Io sottoscrivo!” e per fortuna riesco a non guardare Lore, ma sono sicura che mi abbia lanciato un’occhiataccia. Sono fiera di me, sto ricominciando ad essere padrona di me stessa. Lore dopo le risate riesce a dire con poco entusiasmo: “…James?” e fa una smorfia. E non sono più padrona di me stessa, di nuovo. Amanda gli risponde: “Guarda che James è il nome di tanti bellissimi…bellissimi…attori, no?” e notando (da una sua gomitata) che si sta arrampicando sugli specchi suggerisco: “Ma sì, tantissimi…C’è quello che ha fatto…ehm…come si chiama…ma sì, James…” Amanda mi guarda sorridendo e per incoraggiarmi ripete: “James…” e io completo l’opera, dicendo il primo nome a caso che mi viene. Non so nemmeno se sia un attore. Non so nemmeno se esista. “Sì, certo, James McAvoy. No?” scoppiamo a ridere di nuovo perché evidentemente nessuno sa chi sia e io me lo sono inventato di sana pianta.

 

 

 

 

 

N.D.Summer

Il prossimo capitolo l'ho già scritto, si chiamerà "Una sigaretta di troppo", ecco un assaggino:

"Non capisco più niente, non capisco cosa stia succedendo e non capisco perché mi stia per baciare. Ma è così.

E poi succede."

Fatemi sapere se vi piace come si stanno mettendo le cose, se vi intriga lo spoilerino, se vi sta simpatica Lena, se vi sta simpatico Lore (muahahahh), insomma...commentateeeeeeee! XD

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Una sigaretta di troppo ***


Una sigaretta di troppo



Poco dopo, i ragazzi sono usciti a fumare una sigaretta e dopo due chiacchiere con le ragazze decido che ho bisogno di aria (lo ammetto, durante le due chiacchiere ho visto più volte Amanda e Katia sdoppiarsi) e che una sigaretta non sarebbe male. Non fumo, di solito, ma una sigaretta ogni tanto mi piace. Mi piace proprio il sapore e credo che chi invece fuma troppo ormai non lo faccia più perché gli piace ma per abitudine (e ovviamente per la nicotina, ok) e che non puoi goderti davvero un’abitudine. Beh, forse un’altra abitudine sì, ma questa no. Quindi mi alzo e scusandomi esco dal locale.

Fuori ci sono altri ragazzi e ragazze che non conosco e poco più in là vedo Matt in piedi davanti a Lore, che invece sta seduto su un muretto basso. Parlano. Chissà cosa dicono, penso mentre mi avvicino. A volte darei non so cosa per sentire cosa dicono i ragazzi. Di me, delle altre, di tutto.

Questa volta poi, per saperlo, darei anche di più di “non so cosa”.

Arrivo vicino a Matt e sorrido, dicendo: “Scusate, ragazzi estranei che ho appena incontrato, avete per caso una sigaretta?”. Matt mi regge il gioco e dice: “Sì, bellezza. Sei nuova di qui? Non ti ho mai vista in giro…” e intanto finge di guardarmi il fondoschiena, mentre Lore ride del suo tono di voce da macho. “Sì, infatti lavoro da 8 anni in quel negozio là. Per mantenere mia figlia di 11 anni, sai. Lavoro con due imbecilli, tra l’altro.” dico io e mentre Lore ride sempre di più Matt replica: “Sì, ne ho sentito parlare…Saranno anche due imbecilli ma ho sentito che uno è fighissimo e che l’altro ha un enorme c…”. “Matt!!!” urlo io con finto sdegno per impedirgli di finire la frase e lui fa l’offeso: “Ma io stavo dicendo che l’altro ha un cane grandissimo. Un sanbernardo.” Finisce la frase serio e poi scoppiamo tutti e tre a ridere. Poi, inaspettatamente, Matt annuncia: “Bene, io rientro che fa freddo…e poi voi non mi capite.” sorride ammiccante e se ne va. Lore non sembra sconcertato quanto me e gli grida dietro: “Spero che tu sia quello con il sanbernardo!” e io mi siedo sul muretto accanto a lui e, senza pensare, gli chiedo: “Ah, e così pensi di essere fighissimo…!” e rido. Lui, con aria altezzosa mi risponde: “Ovvio, non è forse così?” e poi ridiamo insieme.

Sì, è così, maledizione.

Quando smettiamo lui, dopo avermi finalmente dato la sigaretta che avevo chiesto, e che Matt ha evitato di darmi con tanta destrezza, tira fuori il cellulare. Io non capisco ma lo lascio fare, godendomi la sua compagnia silenziosa e la sua sigaretta della mia marca preferita mentre lui smanetta sui tasti. Dopo poco esclama: “Ah!” e si gira stupito verso di me: “Guarda qui”. Mi porge il suo cellulare, che evidentemente si collega anche ad internet e vedo una pagina del browser con la foto di un uomo e di fianco un testo che sembra una biografia. Scorro in alto e leggo che quella pagina è dedicata a…James McAvoy!

Lo guardo trattenendomi a stento e gli dico: “Ah, quindi dubitavi di me??”. Scoppiamo a ridere e io sono brilla e forse per questo la cosa mi sembra così divertente. O forse è che siamo qui, soli, io e lui. Quindi rido e ogni tanto tra le risate ci guardiamo e io sbiascico qualcosa tipo “L’hai cercato sul cellulare” e lui “Esiste davvero” e dev’essere ubriaco anche lui perché a poco a poco smettiamo di ridere e il mio viso è così vicino al suo e lui si avvicina ancora di più o forse sono io o forse è l’alcool o magari è la Terra che in questo momento ha sbandato e ha rallentato un attimo per farci avvicinare. Non capisco più niente, non capisco cosa stia succedendo e non capisco perché mi stia per baciare. Ma è così.

E poi succede.

Lui si alza dal muretto e senza dire una parola, se ne va.

Niente bacio, niente “Beh, io entro.”, niente di niente.

E ora penserà che pensavo che mi stesse per baciare e che volessi essere baciata da lui.

E invece era solo la Terra che ha fatto una frenata in extremis per evitare qualche asteroide.

E poi io lo volevo baciare.

Ok, ora lui se n’è andato e io sono qui sola, a prendere freddo: non sarebbe forse ovvio rientrare? È che i miei muscoli non vogliono proprio muoversi, non vogliono proprio lasciarmi scendere da questo muretto e rientrare nel locale. Sono sempre stati dei muscoli pigri, ma in questo caso non c’entra. In questo caso sono rimasti shockati.

Respiro, forse mi ero dimenticata di farlo e non mi arrivava più ossigeno al cervello e quindi straparlavo…ehm, strapensavo. Quindi mi sforzo di respirare e va tutto meglio, riesco quasi a muovermi. Sono ancora a testa china che cerco di muovere almeno un dito della mano appoggiata al muretto, quando qualcuno mi parla.

“Ehi.”

Alzo la testa e squadro colui che ha parlato, considerando che se posso muovere la testa evidentemente posso anche camminare e che forse mi serve solo qualcuno che mi dia una spinta per farmi cadere giù da quel muretto maledetto. Comunque, il ragazzo che mi sta davanti, berretto multicolor calato sul viso, sta aspettando da me un segno di vita da qualche secondo di troppo. Dò una rapida occhiata all’ingresso del locale e vedo Lore, fermo vicino alla porta ma ancora all’esterno. Non capisco cosa sta facendo, ma decido di lasciar perdere. Guardo negli occhi Berretto e sibilo un “Si?” appena percettibile.

“Come va, bella?” fa lui, in pieno stile 16 anni-fighetto-senza cervello. Odio quando la gente mi chiama “bella”, è così viscido. O sessista, qualunquista forse, non so. Comunque non mi piace e non è perché io sia chissà chi. Vorrei non rispondergli e andarmene, ma ancora non riesco tanto a muovermi e finirei per fare la spavalda e poi cadere lì per terra davanti o addirittura addosso a lui. No, no. E poi non me la sento proprio di fare la snob altezzosa in questo momento, quindi rinuncio e mi rassegno a sorbirmi tutti i “bella” che lo sbarbatello ha in serbo per me. “Uhm, bene…?” è quello che riesco a rispondere. Tutto sommato anche la mezza interrogativa che sottointende un “scusa, ci conosciamo o vuoi qualcosa?” può andare bene, in questo caso. Anche se non credo che lui abbia colto questa sottigliezza, perché risponde: “Sono contento. Non è che avresti una sigaretta? Magari ce la fumiamo insieme, vedo che sei sola…”. Non faccio in tempo neanche a pensare cosa rispondere che una voce dietro il tipo dice: “Non è sola.”, al che lui si gira verso la voce e subito dice “Ah, scusa amico…”. Poi si volta verso di me mentre se ne sta andando, mi sorride e mi fa un mezzo inchino; mentre se ne va passa accanto al ragazzo che ha parlato e lo sento sussurrare: “Complimenti…” e quello gli dice solo: “Sparisci, và.”.

Sempre più stordita tra alcool e cose varie che sono successe negli ultimi minuti, cerco di mettere a fuoco l’immagine del ragazzo che ha parlato. Vabbè, è lui. Lore. Figurarsi.

Si avvicina senza parlare e mi tende una mano. Se fossi certa di non cadere appena appoggiati i piedi per terra, rifiuterei sdegnosamente la sua mano. Quindi, la prendo e scendo dal muretto, finalmente. Penso che ora Lore lascerà immediatamente la mia mano, invece la tiene nella sua finché non arriviamo all’ingresso. Dopo, ovviamente, la lascia con una mossa esperta e disinvolta per aprirmi la porta e lasciarmi entrare prima di lui. Davvero di classe, non c’è che dire.

Il resto della serata va come vanno di solito queste cose: si ride, si scherza e non si fa troppo tardi. E soprattutto il ragazzo che ti piace, dopo averti quasi baciata, non ti rivolge più la parola fino alla buonanotte. Anzi, non parla più tanto neanche con gli altri, come se ci fosse bisogno di essere più taciturno del solito.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Le tradizioni non si infrangono ***


Le tradizioni non si infrangono



Sono passati pochi giorni dalla nostra uscita tutti insieme e la vita e il lavoro continuano come al solito; Amanda mi “piace” sempre più, gli altri sono ok… tranne Lore che continua ad evitarmi. Forse pensa che se mi dicesse qualcosa in più di “Ciao” e “Buona serata” gli salterei addosso. Sei bello, sì, ma ancora non sono impazzita, santo cielo.

La nostra tradizione del bicchiere di spumante prima dell’apertura si è ormai consolidata, ma oggi, a metà mattinata mi ritrovo a pensare che ci sono giornate in cui bisognerebbe moltiplicare tradizioni del genere.

In poche ore ho avuto moltissime clienti e quasi tutte erano insopportabili. So che con l’alcool non si risolve niente, ma quei bicchieri sul bancone con dentro quel liquido fresco e frizzante sono troppo invitanti. Mi guardo attorno per accertarmi che non ci sia nessuno nei paraggi. A parte qualche cliente distratto il campo è libero: afferro un bicchiere e butto giù il suo contenuto in un sorso.

Faccio appena in tempo a togliermelo dalle labbra che da un angolo abbastanza vicino spunta Rachele, la manager, nonché responsabile del negozio. Istintivamente nascondo il bicchiere dietro la schiena e proprio in quel momento lei mi vede e si avvicina con uno dei suoi sorrisi falsi. Sono completamente nel panico, sono troppo lontana dal bancone per appoggiarci sopra il bicchiere e comunque lei mi sta guardando, quindi si accorgerebbe di ogni mia mossa. Quando mi saluta, ormai vicinissima, ho ancora il braccio dietro la schiena. E lo sguardo impietrito. “Ciao, Leda. Leda giusto?” mi dice velocemente, come se volesse liquidare la questione e passare a qualcosa di più importante del mio stupido nome. Annuisco. Leda va benissimo, in questo momento mi andrebbe bene anche Roberto, purché lei non mi scopra.

Prima di continuare, c’è bisogno di una piccola spiegazione. Rachele odia e disprezza più o meno tutti i commessi del negozio, ma se dovessi dire chi di noi odia di più…beh, sicuramente me. Non so perché, ma quando parla con me ha sempre un tono saccente ed uno sguardo di sufficienza che mi mettono a disagio più di quanto non lo sia di solito. Con gli altri si limita a farli sentire male, con me cerca di farmi sentire uno schifo. Ho già detto che sto spesso antipatica alle ragazze. Beh, Rachele non è più una ragazza, ma faccio lo stesso effetto anche a lei. Non c’è bisogno di dirvi chi sia la sua “preferita”, quella che strapazza di meno, insomma. D’altra parte, Rachele è bionda, e ho detto tutto.

Comunque, impietrita come sono (e come mi capita spesso di essere, ultimamente), inizio a sorbirmi una delle sue ramanzine a caso su come vadano trattate le clienti, non perché io abbia fatto qualcosa di male, ma semplicemente perché lei vorrebbe che io sbagliassi. Sto quasi per estrarre da dietro la schiena il bicchiere che sto nascondendo, solo per la voglia che ho di spaccarlo in testa a lei, quando sento un fruscio dietro di me e una mano delicata sulla mia che prende il bicchiere e lo porta via con sé. Giro un attimo lo sguardo e Lorenzo, che con nonchalance è passato dietro di me togliendomi di mano il bicchiere, mi fa l’occhiolino. Sorrido ed ora ascolto quell’arpia di Rachele. Con le farfalle nello stomaco.

Finita la tortura, Rachele alza i tacchi e se ne va ed io le faccio una linguaccia alle spalle, da vera persona matura. Sono quasi euforica, non so perché. Beh, Lore mi ha salvato da una situazione che rischiava di diventare… direi spiacevole, ma è un eufemismo. Sono sollevata, quindi; ma il fatto che sia stato proprio lui a salvarmi, questo dà un’altra luce alla cosa. Lui è il mio principe azzurro che sul suo destriero bianco è venuto a salvarmi dalla strega cattiva. E bionda.

Ok, Lena, stai davvero esagerando. Basta spumante alle 11 di mattina.

Vedo Matt poco distante e trotterello felice verso di lui che mi guarda sorpreso ed esclama: “Ehi! Cosa ti succede?”. Il che mi fa pensare che il pensiero che possa solamente essere una persona allegra non gli è neanche passato per la mente. Comunque, sfodero il mio migliore tono drammatico, preso in prestito dalla collezione di Amanda, e gli rispondo: “Maaaaaaaaaaaaa, tu non sai! Rachele…mi stava sgamando con un bicchiere in mano…” faccio una pausa per far montare la suspense e poi esclamo: “…vuoto!” e sorrido. Lui mi guarda sempre più sorpreso: “Ma no!” e io inizio a raccontargli di come Lore sia passato per salvarmi.

 Alla fine del mio racconto mi guarda annuendo e io gli chiedo: “Cosa…?”. “E secondo te lui era lì per caso…?” mi chiede. Rimango un attimo interdetta e poi rispondo: “Beh, sì, passava di lì, mi ha visto in difficoltà e…”. “Tsk tsk.” mi interrompe lui “Voi donne non capite proprio niente.”

Sbarro gli occhi ed esclamo: “Eh? Cosa vuoi dire?”. Lui mi guarda con aria di sufficienza e inizia: “Anche l’altra sera, fuori dal locale con quel tizio di cui mi hai raccontato… anche quello è stato un caso? Un po’ troppi casi, no?”. Lo guardo smarrita. Se non sono state coincidenze, allora…

Niente, devo essere proprio una donna, perché ancora non ci arrivo. Il mio sguardo perso deve essere eloquente, perché Matt continua: “Lui è sempre presente quando ti serve aiuto perché… controlla sempre se ti serve aiuto. Ti cerca sempre con lo sguardo, si assicura sempre che tu sia a posto. E oltretutto sa che disastro sei.”

Fingo di essere offesa dalla sua affermazione: “Ah, grazie.”. Ma non convinco nemmeno me stessa.

Senza fare caso a me, Matt continua: “Dai, si vede che gli piaci. Anche qui in negozio, ogni volta che lo vedo sta guardando te o cercando te. Questa non è una coincidenza, te l’assicuro.”.

Rimango a bocca aperta. Diciamo pure spalancata in modo poco signorile.

Questo spiegherebbe… No, questo non spiegherebbe proprio niente.

“Non si comporta come se gli piacessi. Anzi, sembra sempre che mi debba allontanare perché pensa di piacermi. Mentre io non gli piaccio. Non vuole illudermi, insomma.”

“Ah! Hai detto che lui non pensa di piacerti… non che SA che ti piace. Tutti gli altri se ne sono accorti. Beh, almeno io e Amy. Ma lui…ha troppa poca stima di sè per pensarlo.”

Cerco di fare una risata malefica e sarcastica al tempo stesso:

“Ahahah, certo, poca autostima, Lore…ahahha!”.

Matt mi guarda come se fossi pazza. Forse la risata malefica era troppo, così cerco di rimediare: “Oh, eppure sembra come ti dico io! Io pensavo che mi stesse per baciare quella sera, fuori dal locale. Ne sarei convinta al 100% se non dubitassi un po’ per via del fattore autostima-sotto-i-piedi che mi contraddistingue. Non riesco a convincermi che ad uno come lui possa piacere una come me. E infatti non mi ha baciata. Ta-dah! Prova lampante che non gli piaccio.”

“Uhm, è vero che sarebbe un po’ contorto.” ammette finalmente lui, aggiungendo perplesso: ”Rimane però il fatto che con te è protettivo all’estremo… e con le altre no… neanche con Kate…”

“Forse sa che io sono un caso…un tantino disperato e vuole giocare al supereroe.”

“Allora ammetti di essere un danno???” mi chiede lui malizioso.

“Non mi stai risolvendo niente, sai, Matt?” dico e gli sorrido. Lui alza le spalle e senza dire altro se ne va.

Ora sì che sono confusa. Dopo poco Matt si gira e mi dice: “Vai a parlargli, allora…” e scappa dalla mia visuale prima che io possa ricominciare a rompergli.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=481591