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I fatti narrati in
questo racconto non sono mai accaduti; I nomi e cognomi dei personaggi sono
inventati e non corrispondono a realtà; I personaggi sono tutti maggiorenni in ottemperanza
alle leggi Statali; Ogni riferimento a fatti realmente accaduti o persone è
puramente casuale.
Buona lettura.
FINALMENTE... LAUREATI!!!
Soggetto e sceneggiatura di
Stefano Jevlier
Marco De Cristina
Regia di Notty
Università degli studi di Milano
Aula B
Ore 09.35 AM
-...Per cui, il diritto/dovere all'informazione è un
diritto inalienabile da parte delle due parti che interagiscono, ovvero i
giornalisti e il pubblico. Tuttavia c'è da ricordare che i giornalisti devono
rispettare alcune regole dettate dalla morale, dall'ordine pubblico e dalle
leggi stesse nel riportare gli eventi...-
In piedi accanto al telo bianco su cui erano proiettati i lucidi della sua tesi
di Laurea, Marco spiegava il suo testo alla Commissione Universitaria. Il
titolo della sua tesi era "Il diritto dovere all'informazione dal 1920 al
2009".
Vestito con una giacca nera ed una cravatta a losanghe viola (avuta in prestito
da Andrea) che faceva a cazzotti con la camicia azzurrina, appariva più alto di
almeno dieci centimetri, sebbene lui non ci facesse nemmeno caso.
Conclusa la spiegazione, si fermò un attimo. Gli occhi nascosti dai nuovi
occhiali senza la montatura corsero su per gli spalti dell'aula, gremita di
gente che peraltro nemmeno conosceva. Cercava con lo sguardo sua madre, poi la
vide in prima fila accanto ad un uomo barbuto dai capelli bianchi. Suo padre.
L'uomo lo guardava impassibile, a braccia conserte, annuendo di tanto in tanto,
come se se ne intendesse di giornalismo e comunicazione;
La madre invece si teneva le mani in grembo, guardando il figlio con aria
preoccupata, proprio come si guarderebbe un avvincente film romantico.
Per ovvi motivi, non vide tra gli spalti Andrea ed Emanuele.
"Chissà come se la starà cavando Emanuele...?"
*****
Università degli studi di Milano
Aula D
Ore 09.45
-Così... senza ombra di dubbio alcuno, possiamo affermare che ... da quando è
stata introdotta la legge numero... eeeh... scusate,
la legge ... La legge che impone il divieto di mostrare immagini implicite.. ehm scusate volevo dire esplicite.. immagini esplicite di
violenza o che comunque urterebbero la suscettibilità morale della gente, il
servizio d'informazione deve porsi di fronte a due domande principali...-
-Può bastare così, signor Ricciarelli. Grazie.-
Emanuele chinò il capo in segno di ringraziamento, sorridendo leggermente
imbarazzato. Evidentemente sapeva benissimo anche lui di aver fatto una figura
barbina parlando così, come un perfetto imbecille. I componenti della
commissione si guardarono preoccupati, mentre lui faceva correre il suo sguardo
verso gli ospiti. Riconobbe molti amici dei suoi genitori, suo nonno e sua
nonna, i suoi genitori....... e i suoi fratelli, in particolare sua sorella Graziana che si stava scompisciando dalle risate, insieme
con Francesco e i gemellini Mattia e Cristian. Digrignò i denti, arrossendo come un peperone.
Infine, i membri della commissione gli sorrisero benevoli (ad Emanuele sembrò
più un sorriso da "vieni avanti cretino", più di circostanza che altro),
ma infine si alzarono e gli tesero la mano.
Con un sorriso raggiante, Emanuele si alzò dalla sedia e strinse la mano a
tutti i presenti. Era talmente nervoso che le mani gli erano diventate
appiccicose, e infatti i membri della commissione si
pulirono di nascosto le mani su pantaloni e gonne. Per darsi un contegno,
Emanuele si sistemò il nodo alla cravatta. A quel gesto, si udì un coro di
colpi di tosse (erano in realtà risate soffocate), e quando Emanuele si girò di
scatto, sorridendo, incespicò nella sedia e cadde dal palcoscenico sul quale si
trovava. Le risate esplosero nell'auditorium, e le macchine fotografiche si
scatenarono in un tripudio di lampi e flash.
*****
Università degli studi di Milano
Aula E
Ore 10.00
Il tripudio di risate fece fare un risolino ad Andrea, che si interruppe
immediatamente. Già il Dottor Baudaffi era stizzito
quella mattina, e l'abbigliamento di Andrea non contribuiva certo a calmarlo:
si era vestito con una camicia di color rosa chiaro, una cravatta a righe
arancioni che ricordavano il giubbino d'emergenza che si indossa in caso di
incidente e una giacca nera a righe bianche, in coordinato con i pantaloni.
Semplicemente peggio di un pugno in un occhio.
-Mi parli... del cosiddetto "Editto Bulgaro", mi dica cosa si intende
con libertà di informazione e limiti imposti dalla Legge.-
Con un sorrisetto compiaciuto, Andrea annuì e si preparò alla dissertazione su
ciò che gli aveva chiesto il Dottor Baudaffi.
Intanto, sugli spalti dell'aula, il signor Giovanni Castellino osservava suo
figlio, sorridendo benevolo, con l'aria di chi è soddisfatto del proprio
figliolo, incredulo di trovarsi alla discussione della sua tesi di laurea.
-L'editto Bulgaro si riferisce ad un evento accaduto nel 2001, quando l'allora
Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, in visita alla città di Sofia in
Bulgaria, pronunciò una frase riferendosi a dei giornalisti che avevano, a sua
detta, diffamato la sua immagine. I giornalisti colpiti dal provvedimento
furono i citati Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele
Luttazzi...-
Farcì la spiegazione di notule e gesti evocativi, dando sfoggio della sua
erudizione sull'argomento, a cui aveva dedicato ben dieci pagine di spiegazione
nella sua tesi. Il dottor Baudaffi lo guardava
stupefatto, mantenendo comunque quell'espressione torva che lo
contraddistingueva. Annuiva ogni tanto, sfogliando le pagine della tesi di
Andrea; quando poi questi ebbe finito, il Dottor Baudaffi
annuì solennemente.
-Molto bene, signor Castellino. Una spiegazione davvero esauriente.-
Andrea sorrise raggiante, quasi saltava dalla sedia per la contentezza. Strette
le mani dei professori in commissione, si girò verso suo padre, strinse il
pugno e sollevò l'indice e il medio a formare una "V". (Vittoria, papà!)
Il Signor Giovanni gli sorrise, applaudendo. Accanto a
lui, si profilò l'immagine di Stefano, che gli sorrise
dolcemente. Andrea ricambiò il sorriso, mandandogli un bacio da lontano.
Erano così terminate le discussioni delle tesi dei tre ragazzi. L'ultimo a
finire fu Andrea, che uscì soltanto alle dieci e mezza, mentre Emanuele e Marco
avevano già concluso da poco. Si incontrarono tutti quanti nel largo corridoio
dell'università, sorridendo e abbracciandosi, accompagnati dai rispettivi
parenti e amici.
-Yahooo!!! Ce l'abbiamo fattaaaaa!!!!-
Urlò Andrea, abbracciando forte Marco ed Emanuele, che esclamarono in coro
"Vittoria!!!"
-Congratulazioni, figlio mio.-
Disse il Signor Castellino, e Andrea si sciolse dall'abbraccio con Marco ed
Emanuele per andare ad abbracciare il padre. Una punta di commozione lo sfiorò,
ma cercò di trattenere le lacrime. Il padre gli
sorrise benevolo come sempre, come se il suo ragazzo ora non avesse venticinque
anni, ma bensì venti di meno. Era ancora il suo bambino.
Dietro il signor Castellino comparve Stefano, raggiante di felicità. Vedendolo,
Andrea lo prese a sé e lo abbracciò insieme al padre, rubandogli un dolce bacio
sulle labbra.
Poco lontano, la madre di Marco gli accarezzava le guance e i capelli coperti
dalla corona d'alloro, mentre il padre lo teneva sottobraccio, sorridendo
orgoglioso.
-Siamo fieri di te, figliolo. Bravo, bravissimo!-
-Adesso ti dovremo chiamare Dottore!-
-Ehm sì... ma... non esagerate, per favore! heheheh!-
Risero tutti insieme, e tra le risate generali ci
furono quelle dei fratelli di Emanuele, che lo stavano canzonando per la
figuraccia raccolta.
-Whahahahah!!! Ci hai fatti
scompisciare di brutto, Ema!!!-
-Ma smettetela, idioti... che cosa ne capite voi...-
Emanuele era ancora rosso come un peperone per la vergogna, e sua sorella Graziana rincarò la dose:
-Sei l'unico che riesce ad inciampare proprio durante il giorno della sua
laurea.-
-E tu sei l'unica a non capire mai niente, sorellina... Ero nel panico più
totale, è normale che ho fatto qualche piccola gaffe....-
-Adesso basta, smettetela di torturarlo, 'sto povero figliolo. Dopotutto il
pezzo di carta se l'è preso, quindi...-
Era il padre di Emanuele, che stava incitando i figli a non ridere troppo,
sebbene stesse ridendo anche lui. Emanuele aveva sempre portato allegria in
famiglia grazie alle sue figuracce, ma il culmine l'aveva raggiunto quel
giorno, inciampando davanti alla commissione di Laurea. Un piccolo aiuto gli
venne da Marco, che gli si avvicinò e lo prese sottobraccio, strizzandogli
l'occhio.
A quel gesto, Emanuele lo prese a sé e lo abbracciò. Non erano più fidanzati un
anno, ma nonostante tutto erano ancora amici. Era stato Marco a voler
interrompere la storia. Aveva bisogno di un po' di tempo per pensare, per
capire cosa volesse veramente dalla vita. Con un po' di dolore, Emanuele aveva
acconsentito, ben sapendo che Marco non aveva altri amanti né andava a
cercarseli. Eppure ogni volta che andava in discoteca e un ragazzo cercava di
abbordarlo, lui si girava dall'altra parte e lo snobbava;
In questo senso, Marco gli aveva lasciato una ferita indelebile. Marco non era
sostituibile con il primo fighetto raccattato in pista. Marco era Marco. E
adesso erano in pausa.
Marco accompagnò quel verso con un gesto della mano, a simulare la zampata di
un gatto. Dopodiché si sorrisero e si avviarono verso il parcheggio, tutti
quanti, con le famiglie, per raggiungere il ristorante dove si sarebbe tenuto
il ricevimento.
Il pranzo era stato particolarmente luculliano. Per primo
c'erano state tagliatelle alla bolognese con ragù, tortelloni
ricotta e spinaci, gramigna panna e salsiccia. Per non parlare dei
secondi. C'era qualcosa di carne e un po' di pesce, ed era stato tutto
buonissimo. Mantenendo fede ad una sua vecchia promessa, Andrea uscì sotto il
portico del ristorante. Per espressa volontà di Marco, il ricevimento era stato
celebrato in un paesino di montagna vicino a Sondrio, da dove si potevano
vedere chiaramente le montagne svizzere. Si accomodò su una delle poltroncine,
accavallò le gambe e si preparò a mantenere fede alla sua promessa...
Dal taschino della giacca tirò fuori una bustina trasparente, tipo quelle che
usano i detective per raccogliere le prove. Al suo interno... una sigaretta.
Con molta cura la tirò fuori dall'involucro, tenendola fra l'indice e il
pollice e squadrandola con gli occhi. Si leggeva chiaramente la scritta
"Marlboro" sul fianco della sigaretta, a formare un anello proprio
sopra il filtro.
Se la passò sotto il naso, aspirando l'odore di tabacco stagionato. Quella era
stata la sua ultima sigaretta, a vent'anni: si era ripromesso di smettere di
fumare e di fumarsela una volta laureato. Si aspettava che sarebbe passato un
bel po' di tempo, prima di allora, ma invece le cose erano andate meglio del
previsto. Ragion per cui, annuì compiaciuto di sé stesso e se la ficcò in
bocca. Quando si tastò le tasche per cercare l'accendino, bestemmiò tra sé e
sé.
"Porca putt... ho dimenticato l'accendino."
Fece per alzarsi e andarne a prendere uno, quando una mano con l'accendino si
avvicinò alla sua bocca. Era Emanuele.
-Credevo che avessi smesso di fumare.- -Infatti è così.-
Emanuele gli accese la sigaretta, poi ne tirò fuori una a sua volta e se
l'accese. Andrea tirò avidamente una boccata di fumo, chiudendo gli occhi e
aspirando di piacere.
-Come vedi, anch'io ho fatto la stessa promessa. E chi
se l'aspettava che mi laureavo così in fretta?-
-Io no di certo.-
-Spiritoso...- -Ahahah! Dai, scherzo. Congratulazioni,
comunque. Con quanto ti sei laureato?- -Il minimo sindacale. Ti ho detto tutto.-
Altra risata di Andrea, che ridendo si portò la sigaretta alla bocca e fece un
altro tiro.
-Il voto universitario non conta, dicono... Conta di
più quanto riesci ad essere te stesso.-
-Forse in un altro paese. Qui in Italia i laureati non hanno tutta questa
considerazione.-
-Secondo me...-
Non fece in tempo a finire la frase che alle sue spalle comparve Marco, che lo
abbracciò da dietro e gli schioccò un bacio sulla guancia. Emanuele fece finta
di niente, ostentando sicurezza con la sigaretta in mano. Andrea sorrise.
-Ed ecco qui il nostro secchioncino.....
Ho sentito che hai preso centodieci e lode, non è vero?-
-Sì è vero! Che bello, che bello! è una sensazione
magnifica!!!-
-Dai testina, dimmi a chi hai dato il culetto e facciamo prima. Ahahah!-
Marco aprì la bocca di sorpresa, poi arrossì e tirò uno scapaccione all'amico
milanese, che ridendo lo tirò per il braccio e lo fece inciampare.
-Non ho dato il culo a nessuno, signor balengo! Ho
studiato come un mulo giapponese e questi sono i risultati!-
-Bravo, bravo... dai, adesso però facciamo una bella scommessa, vuoi? Chi trova
lavoro per primo vince un premio.-
-Che stronzata. Allora siamo tutti e tre squalificati.-
Sentenziò Ema, fumando e osservando la vista delle
montagne svizzere nel caldo di Giugno. Il pensiero di dover trovare un lavoro,
però, sembrava aver rabbuiato Marco. Senza parlare,
prese una poltroncina anche lui, mettendosi accanto ad Andrea.
-Che c'è?-
-N...Niente...-
-Dai, sputa il rospo.-
Si girò anche Ema. Capiva perfettamente quando il suo
Marcolino era preoccupato, anche se ora erano
soltanto amici... Per prima cosa, si aggiustava gli occhiali... (Marco si aggiustò gli occhiali)
...poi si sistemava i capelli perennemente sparati
dappertutto.. (Marco si passò una mano tra i capelli)
..e poi sospirava.
Eh sì, c'era qualcosa che lo turbava.
-Cosa c'è, micetto?-
Interpellato da Andrea, Marco si mise a parlare.
-Ecco... io... ho un po' paura di trovare lavoro. E se poi... noi tre ci
separassimo?-
Come se avesse sparato una cannonata sulla folla, Ema
e Andy si girarono verso di lui a bocca aperta.
-Che stronzata!!!- -Micè, ma che stai a dì? Viviamo insieme, abbiamo una
casa in tre... fra poco viè a vivere pure Stefano...
di che c'hai paura?-
Quando Emanuele era nervoso, si metteva a parlare in romanesco. Tipico. Marco
lo conosceva troppo bene. Il fatto che fosse un po' nervoso anche lui, lo
tranquillizzò un attimo, ma il semplice fatto che non si sarebbero più visti in
aula la mattina lo buttava giù di morale. Questo pensiero aveva fatto la sua
comparsa alla terzultima lezione di Aprile, quando ormai mancava poco al Grande
Giorno. Era arrivato come un pensiero innocente, quasi una domanda. Ma poi si
era fatto strada nella sua mente, acchiappandogli i neuroni e strizzandogli il
cervello tutte le volte che vedeva gli annunci di lavoro esposti nelle vetrine
delle agenzie interinali. "Coraggio venite qui e
troverete lavoro, qualcosa che vi darà denaro, che vi impegnerà otto ore al
giorno e mangerà i vostri pensieri e la vostra fantasia... Benvenuti nel mondo
degli adulti, ragazzi. Credevate di restare per sempre all'università? Vi
sbagliavate di grosso..."
Gli venne da piangere. Due lucciconi grossi come lanterne si formarono sotto i
suoi occhi, e poi sgorgarono in un pianto a dirotto.
-Sigh! Sob!!-
-Oddio.. Marco...- -Marcolino...-
Ma lui niente, piangeva e si teneva il viso con le mani, inondando di lacrime
salate le lenti degli occhiali. Preso da un istinto di tenerezza, Ema si alzò dalla poltroncina e andò ad abbracciarlo
teneramente. Poco lontano, due signore erano uscite a fumarsi una sigaretta,
parlando di mariti... osservarono la scena. Siccome sapevano che erano tre
neolaureati (li avevano visti entrare con le corone d'alloro in testa), si
guardarono in faccia annuendo di compassione, come a dire "Poveri loro...
Da adesso in poi sapranno anche loro cos'è il precariato"...
Proprio come nel film "Tutta la vita davanti"... e forse quel film
era stato uno dei fattori che aveva scatenato il germe della malinconia in
Marco.
Contrariamente alle aspettative, Andy gli tirò uno scapaccione.
-Ma che cazzo piangi, smidollato! Hai preso centodieci e lode, hai scritto
trecento pagine di tesi, hai fatto una discussione impeccabile.... DOPO ESSERTI FATTO UN MAZZO COSì,
HAI ANCORA IL CORAGGIO DI PIANGERE?? MA SII FELICE,
IDIOTA!-
Ematrovò che Andy avesse
esagerato leggermente, ma non gli disse niente... perché in fondo aveva
ragione. Allo stesso tempo però riprovava ancora quella sensazione di
protezione verso il suo ex ragazzo, stringendolo dolcemente. Represse l'impulso
di baciarlo, con la scusa che c'era troppa gente... Allora toccò ad Ema consolarlo.
-Anche se Andy ha esagerato un po'...-
(E guardò male Andrea)
-...quello che dice è vero. Non piangere, vedrai che
con la laurea che hai, troverai un bel posto di lavoro e tanti colleghi
simpatici. E poi... la sera tornerai a casa, ci saremo io, Andrea... Stefano...
Ti piace tanto stare con Stefo! Dai
coraggio, sorridi!-
Marco fece uno sforzo. Sulle sue labbra si schiuse un sorriso molto debole,
come una fiammella... Poi, Emanuele lo guardò intensamente....molto
intensamente.....così intensamente che per un attimo sembrò volesse
ipnotizzarlo.... poi....... Gli fece una linguaccia e incrociò gli occhi. Marco
prima sorrise, poi si mise a ridere come uno scemo. E Andrea con lui.
Per un momento soltanto, le loro risate sembrarono riportarli indietro... più
indietro dell'università, precisamente al liceo dove studiarono insieme, quando
ancora Ema e Marco litigavano contendendosi una
ragazza... Solo che adesso era cambiato tutto. Erano diventati amici, e insieme loro tre erano semplicemente una cosa sola.
Andrea... con i suoi ciuffi biondi e gli occhi bellissimi...
Emanuele, con i suoi capelli lunghi e la risata cristallina...
e Marco, con la sua statura bassa ma pieno di tanta gioia e dolcezza.
Amici per sempre.
A due mesi esatti dalla loro uscita dall'Università, i
ragazzi si erano concessi una lunga vacanza in Spagna. A parte i malumori di
Marco che si era dovuto sorbire Emanuele abbordato da alcuni ragazzini
spagnoli, e a parte alcuni malumori di Emanuele per lo stesso motivo di Marco,
si erano divertiti un sacco. Barcellona sembrava il posto migliore dove vivere,
e Andrea si era perdutamente innamorato di quella città. "Quanto vorrei
essere ancora single", continuava a dire ad Ema
e Marcolino (Stefano era rimasto in Italia, alle
prese con un esame di letteratura americana), che si guardavano e poi ridevano,
rispondendogli immancabilmente "Andrea, tu ami troppo Stefano!" e lui
si metteva a ridere a sua volta. Nelle sere estive si trovavano in un pub o in
discoteca e si mettevano ad osservare i bei ragazzi. Ema
e Andy avevano addirittura fatto una gara: chi riusciva a cuccarne di più.
Inutile dire che Marco si era rifiutato di partecipare, per solidarietà verso
l'amico fraterno Stefano... E alla fine, il risultato era stato sorprendente:
Emanuele aveva cuccato più ragazzi di Andrea, anche in una stessa serata.
-Per forza, hai barato!-
Stava dicendo Andrea, mentre camminavano sul lungomare della spiaggia. La
sabbia raffreddata dalla scomparsa del sole dava una bella sensazione sotto i
loro piedi. Marco cercava di seguirli, nella loro conversazione, anche se non
voleva.
-Ragazzi, ci fermiamo? sono un po' stanco.-
*****
Si erano seduti sulla sabbia della spiaggia deserta. Era un tardo pomeriggio
molto calmo, senza vento. Il tramonto era veramente suggestivo. Si poteva
vedere il sole che scendeva lentamente, ogni secondo, all'orizzonte. L'acqua
aveva preso quella strana luce che assume il mare al tramonto, e le onde che
sciabordavano sul bagnasciuga sembravano i rintocchi di una pendola capace di
portare indietro nel tempo chiunque l'ascoltasse. Questo almeno fu l'effetto
che fece su Andy, Ema e Marcolino.
Si sentirono più giovani di dieci anni, al primo anno
di liceo, quando andarono a fare la loro prima vacanza insieme, a Santa Maria
al Bagno, nella bellissima Puglia. Quanti anni erano passati? Tanti, forse
troppi. E troppo velocemente. Emanuele in mezzo, si sentì abbordato dai due
amici, che gli si appoggiarono addosso. Lui li prese fraternamente sotto
braccio, fissando il tramonto. Era un silenzio d'oro.
Il silenzio di tre amici che erano una cosa sola.
"Non dimenticherò mai quest'estate. Nemmeno se dovesse venirmi un'amnesia
improvvisa."
Disse a sé stesso Marco, mentre il lungo braccio di Ema
gli cingeva le spalle e la mano di Andrea gli toccava il fianco... Pensò a
cos'avrebbero fatto una volta tornati a Milano... Ma prontamente scacciò il
pensiero, ben sapendo che una volta lì avrebbe dovuto cominciare a cercar
lavoro, dato che l'affitto di Andrea doveva essere comunque pagato.
"Staremo a vedere... dopotutto c'è ancora tempo per pensarci...
All'incirca... due settimane."
"...Da bambino sognavo di andare a lavorare in
televisione. Sognavo di fare il presentatore dei giochi a premi... o il
giornalista... Qualsiasi cosa che mi avrebbe portato davanti alle telecamere. Adesso,
mi accontenterei anche di un posto come scrittore di testi per la TV. Chissene
frega? L'Italia non è certo un posto dove si possono coltivare i sogni... qui
in Italia si sopravvive. Si sopravvive... L'ho scoperto troppo tardi."
-Allora guardi, per il suo profilo personale... direi che abbiamo una ricerca
aperta per una posizione di adattatore testi presso un'emittente privata.-
-Che contratto è?-
L'impiegata dell'agenzia interinale era una bella ragazza. Portava un tailleur
blu e i capelli ricci e biondi erano vaporosi sulla sua testa. Gli occhi,
azzurri come l'acqua profonda, correvano su e giù per le righe dell'offerta di
lavoro appena stampata, cercando l'informazione del tipo di contratto.
-...Uhmm... è una
sostituzione di maternità per tre mesi.-
-Solo?-
-...Con possibilità di proroghe... ed eventuale
assunzione.-
Aggiunse la ragazza, con un sorriso a trentadue denti, come a dire "Se non
ti va bene attaccati al tram grazie arrivederci". Non molto convinto
dentro di sé, ma comunque bisognoso di un posto di lavoro, Andrea sorrise
ampiamente e diede il suo consenso per un colloquio conoscitivo, pensando
"Chissà, magari oggi comincio come scrittore di testi... domani potrei
anche lavorare come regista o come presentatore!"
EMANUELE
"...Quand'ero piccolo a Viterbo il mestiere
preferito era il calciatore. Sì, ci esaltavamo tutti quando vedevamo le partite
di calcio alla televisione, ma io ero l'unico ad esaltarsi per i telecronisti.
Per come riuscivano a descrivere le azioni fluidamente, per quella loro
capacità di far schizzare fuori le immagini anche quando parlavano attraverso
la radio, perché loro riuscivano a parlare bene, mentre io... Io ero
balbuziente. Lo so, non ve l'ho mai detto, ma non credo che avesse molta
importanza.
Purtroppo mia madre vedeva in me ciò che lei non era mai riuscita a diventare:
un'impiegata della pubblica amministrazione. Così, appena laureato, mi fece
fare un concorso..."
Non ci credeva. Non poteva essere vero. Seduto sulla poltrona di pelle del
Responsabile delle Risorse Umane, Emanuele sentiva un calore insopportabile. Le
mani gli sudavano proprio come cinque mesi prima, alla discussione della sua
tesi di laurea, e le sue gambe tremavano di brutto. Il responsabile delle
Risorse Umane era un uomo di circa trentacinque anni, con i capelli tagliati
corti e un sorriso benevolo di chi sta veramente bene. Era il direttore della AUSL di Como.
-Signor Ricciarelli, innanzitutto le faccio i complimenti per come è riuscito a
vincere il nostro concorso.-
-G..Grazie.-
-Suvvia, non sia timido. Lei ha ottenuto un posto di tutto rispetto, che tutti
vorrebbero!-
-Eh beh..-
Non sapeva cosa dire. Ormai il concorso l'aveva vinto, ma il colloquio lo stava
innervosendo oltremodo. Abbozzò un sorriso, al quale il Signor Valenti rispose
con un sorriso franco e cordiale, cercando in tutti i modi di mettere a suo
agio Emanuele.
Prese una cartella da cui tirò fuori il curriculum vitae di Emanuele
(debitamente redatto da Marco), e la sua scheda di valutazione del concorso.
-Davvero molto molto bene. Lei è nato a Viterbo...
Bellissima zona. Eventualmente potrà anche chiedere un trasferimento...
Ovviamente se le andrà. l'Azienda Sanitaria Locale è
dappertutto, in Italia. Non vogliamo certo che lei abbia nostalgia di casa...
dico bene???-
Valenti condì la frase con un altro sorrisone cordiale, al
quale Emanuele rispose con un convinto "Eh beh! Certamente!"
Improvvisamente però Valenti si rabbuiò.
-Purtroppo, per ragioni di organizzazione, il suo contratto iniziale sarà a
tempo determinato.- -Ah.-
-...Le farò vedere una cosa. Guardi.-
Gli mostrò un foglio di carta, battendolo con la penna. Sopra c'era scritto
"Circolare 58/BIS"
-Vorrebbe leggermi questa circolare, per favore?-
-Certo. "Si comunica alla direzione risorse umane che,
per disposizioni di organizzazione aziendale, per tutto il periodo Settembre -
Dicembre 2009 non si potranno stipulare contratti a tempo indeterminato, ma
soltanto a tempo determinato."-
Emanuele guardò Valenti, che annuì solennemente chiudendo gli occhi.
-Anche se lei ha vinto il concorso, per il momento ha diritto solo ad un tempo
determinato. In futuro, se le piacerà stare qui, se le piaceranno i suoi
colleghi, se le piacerò io.... ma soprattutto se lei
piacerà a me e se lei lavorerà bene, potrà avere un contratto a tempo
indeterminato. Che ne dice... le può interessare?-
E di nuovo quel sorriso franco e cordiale. Emanuele sorrise a sua volta,
annuendo. Sì. Gli interessava.
-Molto bene, allora!!! Dunque, qui ho una lista di
documenti che dovrebbe farci avere, e ... nel giro di quindici giorni,
incomincerà la sua avventura nella Pubblica Amministrazione. Si prenda un po'
di riposo, ne avrà bisogno.-
Si alzarono. Valenti gli strinse la mano (per poi pulirsela velocemente sui
calzoni) e lo accompagnò alla porta. Emanuele esultò dentro di sé, sebbene il
sogno di lavorare nella pubblica amministrazione fosse di sua madre e non
propriamente suo. Esultò a metà.
MARCO
"...Io ho sempre sognato di diventare uno
scrittore. Nel 1992, a
soli sette anni, scrissi il mio primo racconto. Dieci pagine. No, non mi
chiedete come s’intitolava… Non me lo ricordo più. Eppure ho scelto il liceo
classico. Eppure… mi sono laureato in Scienze della Comunicazione con
centodieci e lode. Eppure… Non sono uno scrittore. Non ancora, credo.”
L’ufficio era molto ordinato, sulle scansie c’erano un sacco di raccoglitori
colorati, e alle pareti erano appesi quadri pubblicitari. “L’unica strada è V-Services” – Diceva uno degli slogan pubblicitari, e come
sottotitolo “Il tuo partner di fiducia per le spedizioni nazionali ed internazionali”.
Il recruiter guardava il curriculum di Marco, ogni
tanto alzando un sopracciglio perplesso e annuendo di tanto in tanto. Prima di
ciò gli aveva fatto un sacco di domande, a cui Marco aveva risposto molto
tranquillamente… Era uno dei tanti colloqui che aveva fatto dopo la laurea.
Superata la fase dello sconforto, disse a sé stesso che avrebbe dovuto superare
quella paura di entrare nel mondo del lavoro, che in fondo non c’era nulla di
cui aver paura, che magari non si sarebbe mai separato dai suoi amici. Sorrise.
-Lei ha esperienza di trasporti?-
Chiese il recruiter con aria scocciata. Sicuramente
Marco era l’ennesimo aspirante che non rispondeva ai requisiti…
-Beh… no… Ma posso imparare. Ho molta buona volontà, il mio voto di laurea lo
testimonia, direi.- -Il voto di laurea nel mondo del lavoro conta meno di
un granello di polvere, signor Cristina.-
-De Cristina.-
Lo corresse Marco, abbozzando un sorriso imbarazzato. L’uomo non si curò
minimamente di chiedergli scusa, e continuò con il suo sermone.
-…All’Università si è principi finché si studia. Nel mondo del lavoro si deve
imparare a fare. Lei, cosa sa fare?-
Abbastanza scocciato da quel tono saccente del selezionatore, Marco fece
appello a ciò che sapeva fare meglio.
-Parlo tre lingue. Inglese, francese e tedesco.- -Hhmmm…-
-Sono in grado di redigere relazioni e testi.- -Hmmmm…-
-…So usare il computer.-
Il selezionatore annuiva, guardandolo negli occhi. Marco lo fissava nelle
pupille, sembrava proprio un testa a testa violento…
Gli occhi marroni di Marco guardavano in quelli del selezionatore, che l’aveva
già scocciato. Ora prendere quel lavoro era diventata una questione di
principio per Marcolino, che era davvero offeso dalle
parole di quello stronzo di selezionatore. Digrignò i denti, contraendo la
bocca in un sorriso furbetto… Se solo Andrea avesse potuto vederlo ora, avrebbe
sicuramente detto “Attenti, Marcolino sta per
incazzarsi!!!”
Avrebbe avuto quel lavoro, solo per dargliela vinta a quello stronzo che quasi
sicuramente sarebbe diventato il suo capo.
Scrivere testi. Che siano pronti per le diciotto e trenta.
Che siano veloci ma al tempo stesso ricchi di significato, non dimenticare che
devono essere letti da un giornalista vero.
-...mettiamoci al lavoro.-
Essendo stato formato, Andrea non aveva grossi problemi a scrivere le ultime
notizie prese dai siti più disparati, e condensarle in poche righe di foglio...
con una macchina per scrivere!!! "Il computer si
blocca... la macchina per scrivere invece funziona solo con un nastro e non ha
collegamenti a stampanti. Così si evita di perdere tempo." Così gli aveva
risposto il suo caporedattore, mettendolo a tacere per sempre... Unico
problema? Non aveva studiato dattilografia a macchina, ma solo a computer, e i
tasti della macchina per scrivere differivano di parecchio da quelli della
tastiera del PC, per cui gli capitava spesso di inserire una "m" al
posto di un punto interrogativo oppure altri errori dovuti alla diversa
posizione dei tasti. Con il tempo si era fatto le ossa, ma alcuni errori permanevano.
"...Per fortuna che questo è solo un mestiere
temporaneo."
Disse a sé stesso, mentre tirava via il foglio dalla Olivetti
Lettera 22 che gli avevano assegnato... In quel momento arrivò Dante, il suo
collega addetto alla nera.
-Ciao Andrea. Allora, come vanno le cose?-
-Abbastanza bene... se non fosse che continuo a sbagliare...- -Eheheh! Ci farai l'abitudine, ci sono passato anch'io.-
-Sul serio?-
-Ma certo! Che io ricordi, c'è stata soltanto una donna, passata di qui, che
riusciva a battere a macchina senza mai sbagliare. Ma lei era abbastanza
vecchia, e di computer non ne capiva niente...-
-...Proprio come noi con le macchine per scrivere.-
-Esattamente!!Eheheh!-
Gli rispose Dante, con la sua solita freschezza. Agilmente, si sedette sulla
sedia girevole, si aggiustò gli occhiali da vista sul naso e iniziò a
ticchettare parole sulla sua macchina per scrivere, un'altra Olivetti,
ma Lettera 25 (più o meno della stessa grandezza, ma adatta a scrivere
paragrafi più adatti a notizie di nera... così diceva il Caporedattore). Lo
osservò battere i tasti con violenza, come un pianista appassionato del suo
mestiere. Quando lo guardava sembrava che Dante fosse preda di un impulso
frenetico di scrivere, come un qualcuno che si libera di un peso. Nel suo caso,
il peso erano le parole nella sua testa... Chissà cosa si provava ad avere
sempre in testa morti ammazzati, cadaveri e funerali?
Se c'era un immagine perfetta del giornalista
necrofilo, stonava in tutti i punti con Dante. Un ragazzo così fresco,
intelligente, bello e impossibile ma soprattutto....
Amante della vita che scriveva della morte.
-Sai come ho iniziato a fare questo mestiere?-
Sorridendo, Andrea scese dalle nuvole dei suoi sogni su Dante e scosse la
testa.
-..Ho incominciato cercando lavoro come impiegato
contabile. Io sono laureato in economia e commercio, non certo in giornalismo
come te.-
-Ah, sul serio?-
-Sì. E allora io stavo cercando lavoro come contabile... eppure sono finito
qui.-
-Incredibile... Se non me l'avessi detto tu, non ci avrei creduto.-
Finendo di scrivere, Dante tirò fuori il foglio dal rullo della
Olivetti e pareggiò le tre pagine scritte, mettendole nella cassettina
"Outbox", ovvero le notizie che sarebbero
state lette da lì a poco nel telegiornale del tardo pomeriggio...
-La vita è molto strana. Un giorno sei uno studente di
economia e commercio che sogna di diventare un imprenditore edile (devi sapere
che ho un diploma di geometra)... poi, il giorno dopo la laurea scopri che il
mondo del lavoro in Italia non consente voli pindarici e ti va bene un lavoro
qualsiasi, anche come modesto impiegato contabile... Poi invece le cose
cambiano ancora e ti fanno fare lo scrittore di testi perché sai scrivere bene
le relazioni di bilancio e loro hanno bisogno di personale...-
Abbastanza sorpreso da quella storia, Andrea non si rispose, pensando che forse
Dante meritava di più che stare in un posto del genere...
-...Tutto sommato, mi piace... però... cioè... non era
ciò che avevo sognato, ecco tutto.-
-L'importante è che il lavoro piaccia, no?- -Eheheheh! Già. Quello sempre.-
Ridacchiarono allegramente entrambi, poi si rimisero al lavoro.
*****
AZIENDA UNITA' SANITARIA LOCALE DI COMO -
AMMINISTRAZIONE CENTRALE
Il palazzo dell'amministrazione centrale della AUSL 1
di Como era una specie di grande parallelepipedo con un cortile interno. Si
entrava da un androne scoperto dove c'era un gabbiotto della portineria (dove
il Signor Pinotti leggeva sempre la Gazzetta dello Sport),
poi si percorreva un corridoio dove c'erano gli ascensori e la scala. L'ufficio
di Emanuele era al primo piano... Al terzo corridoio sulla destra.
PIANO 1 - DIREZIONE PROCEDURE CONTRATTUALI E UFFICIO GARE
Il suo lavoro era di scrivere i testi dei concorsi, le istruzioni per espletare
le gare, e tutte le particolarità inerenti... I tempi morti erano una cosa
solita, ma per riempirgli gli avevano detto di mettere in ordine gli archivi
delle vecchie pratiche, così il più delle volte tornava a casa con i capelli
sporchi di polvere... Ah, non viveva più insieme ad Andrea, Marco e Stefano...
Adesso viveva da solo, a Como. Telefonava abbastanza spesso ai suoi amici, ma
il più delle volte se ne dimenticava... ed erano loro a telefonare a lui.
L'unica cosa che gli era rimasta di Marcolino era la sua Grande Punto, che usava per andare al
lavoro. "Appena avrò un po' più di soldi per comprarmi un'auto mia, te la
restituirò." Aveva detto a Marco, ma questi gli aveva risposto,
bonariamente "Tienila pure per tutto il tempo che ti occorre, basta solo
che non me la rovini".
Ora era parcheggiata lì fuori, ed Emanuele pensò a Marco guardandola, seduto
alla sua scrivania con una miriade di fascicoli dei quali avrebbe dovuto
prendere numero di protocollo e scriverlo su un modulo di excel
a computer...
"Che noia... Che ore sono...?"
Le dodici e trenta. Ancora una mezz'oretta e sarebbe andato a pranzo. Sentì un
rumore di passi in corridoio, poi una testa fece capolino dallo stipite della
porta, sorridente.
-Ciao Federico.-
Sorrise Emanuele al ragazzo che intanto era entrato nella stanza. Le mani
dietro la schiena a mostrare un corpo un po' sovrappeso montato su due gambe
abbastanza lunghe, quasi come le sue. Federico lavorava nel corridoio
adiacente, ovvero l'Ufficio Beni Economali.
-C..Ciao Manu. Allora, vuoi
venire a pranzo con me?-
-Certo! Dammi soltanto un minuto e ci sono, ok?-
-Va bene. Scusami... eheh.-
Annuì molto timidamente, poi si allontanò per tornarsene nel suo ufficio.
Emanuele sorrise, pensando che il suo collega era sempre molto gentile. Anche
Federico aveva vinto un concorso per lavorare lì, ma cinque anni prima, nel
2004. Con quegli occhiali dalla montatura di tartaruga e i capelli medio lunghi con una lieve spruzzata di bianco (nonostante i
suoi ventiquattro anni), ne dimostrava sicuramente il doppio, e di ciò ne
soffriva molto, e si vedeva. Soffriva anche per un'altra cosa...
-Quanto zucchero?-
-Senza zucchero per me, grazie.-
Emanuele versò tre cucchiaini di zucchero nella sua tazzina, e girò il
cucchiaio. Osservò Federico che guardava distrattamente da un'altra parte,
chiudendo gli occhi perché il caffé amaro gli faceva
veramente schifo.
-Se ti fa tanto schifo, perché non ci metti almeno un po' di zucchero?-
-Lascia perdere. Con tutto lo zucchero in eccesso che ho qui...-
...E si toccò la pancia pronunciata.
-...non penso di potermi permettere stravizzi. Sono a dieta.-
-Dieta? Ma dai, stai bene...-
Federico gli sorrise, arrossendo violentemente, e
guardandosi in grembo. Emanuele ridacchiò della sua timidezza.
-G..Grazie.-
Cambiando discorso, per non imbarazzarlo oltre, gli chiese da quanto lavorasse
lì.
-Cinque anni. Alla tenera età di diciotto anni, mio padre mi fece partecipare a
questo concorso... Inaspettatamente, lo vinsi e mi toccò di trasferirmi qui da
Lecce... un viaggio lungo quasi dodici ore.-
Sospirò, mentre Emanuele annuiva. Pensò che nel Sud Italia la situazione non era delle più allegre, e che il ragazzo doveva ritenersi
fortunato.
-Quando vado giù a trovare i miei parenti ed amici, tutti dicono che sono stato
fortunato... ma io... io non mi ritengo così fortunato.-
-Perché no?-
-Beh...-
Alzò gli occhi al cielo, come per cercare una risposta, poi si mise a
giocherellare con la tazza del caffé ormai vuota...
-...A diciotto anni volevo studiare. Invece... non ne
ho avuto la possibilità. Non ero un secchione a scuola, andavo piuttosto male,
e non sono mai riuscito a riscattarmi... Avrei voluto iniziare l'università, ma
non mi fu dato scegliere.-
-Oh...-
-Sono stato catapultato qui dalla scuola superiore. Sono dovuto crescere in
fretta, ho dovuto imparare a gestire un appartamento... Solo per un concorso...
Se tornassi indietro, prenderei mio padre per la camicia e gli imporrei di
farmi studiare... per lui ero solo un costo, ed ha fatto di tutto per buttarmi
fuori di casa.-
-Mi... Mi dispiace....-
Il viso di Federico si scurì. Anche se non piangeva, si vedeva benissimo che i
suoi occhi erano lucidi, e la sua espressione tormentata. Sapeva che era sempre
da solo, che i suoi unici scambi umani si limitavano alle mura dell'ufficio,
che la sua vita era cambiata drasticamente senza nemmeno dargli il tempo di
crescere. Ecco cos'era Federico... uno dei tanti "Ragionier
Fantozzi" moderni...
-Cosa ti sarebbe piaciuto fare, Federico?-
-Oh? ...intendi dire... all'università?-
Emanuele Annuì.
-Mi sarebbe piaciuto fare lingue. Conosco molto bene l'inglese, parlo un po' di
francese e tedesco. Sono diplomato liceo linguistico, sai?-
-Forte! Mi fai sentire qualcosa?- -Mmm.. dai, non è il caso
di...-
-Dai! Dimmi qualcosa, vediamo se io indovino che lingua è!-
Arrossendo, Federico annuì e preparò una frase in mente... che poi disse ad
alta voce al collega.
-Mein Name ist Friedrich und Arbeit
ASL Como. Mein einziger Freund istEmanueleRicciarelli.-
Parlava veramente bene il tedesco, ed Emanuele ne fu sorpreso, anche se
non sapeva bene cosa avesse detto.
-E cos'hai detto?-
-Ho detto: MI chiamo Federico e lavoro per l'ASL di
Como. Il mio unico amico è Emanuele Ricciarelli.-
E sorrise. "Il mio unico amico"... Emanuele si sentì dispiaciuto per
Federico, ma cercò di non darlo a vedere. Intanto Federico si era alzato. Erano
ormai le due, e dovevano rientrare al lavoro.
Come dimenticarsi di lui? Aveva ottenuto il posto di lavoro grazie alla sua
testardaggine, ma dopo solo un mese si era reso conto di che razza di postaccio
si era trovato. Tutta colpa del suo orgoglio di laureato con centodieci e lode.
"Avrei dovuto alzarmi e sbattere la porta, e invece...?
Appena quello mi ha provocato sul fatto della laurea, io mi sono impuntato e
gli ho detto ciò che so fare... per cosa??? Per questo
schifo di lavoro!!!"
Pensò, mentre ticchettava violentemente sulla tastiera speciale del sistema
AS-400, inserendo indirizzi, numero dei colli e peso, e poi confermando le
spedizioni con la pistola ottica che leggeva i codici a barre. Quel lavoro era
uno schifo. Si trattava di fare il data entry di tutte
le spedizioni, stando bene attenti a ciò che scrivevano sui documenti di
trasporto: se scrivevi un collo soltanto al posto di due, eri fregato; se ti
dimenticavi di inserire il contrassegno e la merce partiva gratis, eri fregato;
se osavi mandare un collo dove non doveva andare, eri fregatissimo. In un mese
Marco si era beccato più di cinque sgridate, ogni volta per errori diversi...
Ogni volta subiva stoicamente, però sentendosi terribilmente male... I suoi
capi erano due stronzi, e lui non poteva fare altro che sopportarli, tutto per
il suo maledetto orgoglio. I suoi errori erano dovuti al fatto che la sua mente
non riusciva a concentrarsi su una cosa così meccanica. La mente di Marco
viaggiava su tante frequenze, riusciva a fantasticare, a sperare... non era una
macchina come i suoi colleghi, che da anni lavoravano in quell'ufficio,
scrivendo indirizzi e colli...
Qualcuno gli toccò il braccio. Era Micaela, la sua collega anziana. Era una
donna di quarant'anni, ma ne dimostrava almeno una decina di meno... Era magra
e in forma, bionda e sempre ben vestita, desiderata da tutti....
e amata da nessuno. Marco le sorrise. Dato che non potevano parlare
apertamente, si nascosero blandamente dietro agli schermi dei terminali, mentre
gli altri colleghi nella stanza continuavano a lavorare.
-Allora? Sei pronto per la tua ora di libertà anche oggi?-
-Eheheh. Tanto domani sera saremo di nuovo qui...-
-Già...che palle.-
-Com'è andata con il ragazzo che dovevi vedere ieri?-
Micaela gli sorrise amara, ridacchiando allegramente.
-E' uno stronzo. Appena gli ho detto che volevo qualcosa di serio, non si è più
fatto vivo.-
-Ahahah! Ma dai, potevi anche dirglielo fra qualche appuntamento, che volevi
qualcosa di serio...-
-Sì... potevo... ma la verità è che lui non mi piaceva, così l'ho fatto
scappare di proposito. Ahahah!-
-Ahahahah! Sei una sagoma, Michi.-
Il rumore delle risate però giunse alle orecchie dei due capi ufficio, che
subito sbraitarono al loro indirizzo.
-MARCO E MICAELA! DOVE CAZZO VI CREDETE DI ESSERE, AL BAR???
METTETEVI SOTTO COL LAVORO, INVECE DI FARE BALDORIA! QUESTO E' UN UFFICIO, NON
UN CIRCOLO CULTURALE!! CAZZO!!!!-
Urlò violentemente, in modo che lo sentissero tutti. Dalla platea dei colleghi
salì qualche risatina divertita, mentre Marco e Micaela si rimettevano al
lavoro... Odiavano lui perché, sebbene non lo dicesse apertamente, era gay, e
odiavano lei per una storia successa tanti anni prima...
...Micaela al suo arrivo alla V-Services Spedizioni
era impiegata commerciale. Si occupava di contattare i clienti, assisterli
nella scelta dei servizi, vendere loro i migliori pacchetti per le loro
spedizioni. Era molto brava, il suo portafoglio clienti era sempre il più ricco
e corposo, tutti i clienti volevano lei, non solo perché era bella, ma anche
perché era molto intelligente. Diplomata geometra nel 1988, si era sposata con
un uomo che le aveva dato una figlia... per poi divorziare pochi anni dopo.
Libera, era entrata a far parte della V-Services, dove uno dei suoi capi le
aveva messo gli occhi addosso.
Le avances divennero sempre più assidue e frequenti da parte dell'uomo, fino al
giorno in cui il bavoso non tentò di violentarla dopo l'orario di lavoro. Lei
gli tirò uno schiaffo, e quello segnò la sua fine. In capo a pochi giorni, Micaela
fu trasferita d'urgenza all'ufficio spedizioni, con suo grandissimo dolore...
Non si sarebbe mai più ripresa, e avrebbe maledetto per sempre il posto dove
lavorava.
-Li odio, tutti quanti... e tu sai il perché.-
Disse a Marco, che annuì dispiaciuto... La osservò ancora una volta. Era una
donna forte, dopotutto... E per lavorare in quel posto, ci voleva una forza da
Ercole.
L'avrebbe mai capito, Marcolino?
Quella mattina Emanuele era arrivato in ritardo di ben dieci minuti. Per la
fretta di scendere dall'auto e andare a timbrare il badge, si era dimenticato
la marcia inserita con il motore acceso, e così appena il suo piede sinistro si
era sollevato di scatto dalla frizione, la Grande Punto aveva
fatto un balzo in avanti, ruggendo poderosamente per poi spegnersi una volta
urtato l'ostacolo: un panettone di cemento che delimitava l'accesso al cortile
esterno degli uffici, che le aveva distrutto un fanalino fendinebbia e
graffiato un po' la parte destra del paraurti anteriore. Emanuele si mise le
mani nei capelli una volta constatato il danno.
"Se Marco vede come gli ho ridotto la macchina, è la volta buona che mi
uccide..."
Restò lì un bel po' di minuti, crogiolandosi su come poteva fare per riparare
alla cazzata, finché lo sguardo non gli cadde sull'orologio del cellulare: Le nove venticinque.
-Cazzoooo!!!! Meglio che mi sbrigo, altrimenti mi
becco la solita lavata di capo da quell'imbecille di Valenti!-
Correndo con le sue gambe lunghe, fece i gradini tre a tre, per arrivare più in
fretta. Giunto alla macchinetta, erano ormai le nove e mezzo. Mezz'ora di
ritardo rispetto all'orario.
"Che palle... adesso mi toccherà stare qui per mezz'ora dopo le
cinque."
Proprio in quel momento, passò Valenti, il responsabile del Personale, che lo
squadrò torvo. Si guardarono per un istante, ma ad Emanuele sembrò durare un
secolo. Ma cosa andava a pensare??? Si riscosse dai
suoi pensieri così immediatamente che il suo corpo sussultò. Lui, un gigante di
un metro e novanta, che si faceva guardare male da un omuncolo rachitico di
poco più di un metro e settanta...? Siamo seri.
Velocemente, sgattaiolò nel corridoio, entrando nel suo ufficio, dove Margherita
lo stava aspettando con delle nuove pratiche da archiviare.
*****
Quel giorno non era andato a pranzo con Federico, dato che per tutta la mattina
era stato impegnato con l'ufficio inventario (aveva sentito dire che un
computer era sfuggito al censimento, e Federico, essendo il responsabile dei
beni materiali dell'azienda, doveva trovarlo a tutti i costi, anche quello di
saltare il pranzo)... Adesso Federico era lì di fronte a lui, alla tavola
rotonda della sala riunioni. Argomenti all'ordine del giorno:
Qualità del servizio amministrativo, gestione contenziosi, recupero crediti e
ragguaglio del personale sulle nuove misure della recente legge
"antifannulloni". In poche parole, una lavata di capo collettiva.
-...Stando quindi alle ultime rilevazioni, abbiamo che
il servizio sta leggermente scadendo. Ho saputo che recentemente sono state
inviate ben trenta cartelle di mancato pagamento a dei pazienti che avevano già
pagato... Un portatile regolarmente inventariato è addirittura scomparso... e
alcuni di voi, cosa fanno? ...Se la prendono comoda!-
La signora che aveva parlato batté una mano su un plico di fogli estratto dalla
macchinetta marcatempo. I ritardi dei dipendenti. Si chiamava Innocenza Bonafé ed era la responsabile degli uffici amministrativi.
Una rompiscatole buona soltanto a rimproverare tutti e ad attenersi
scrupolosamente a leggi e regolamenti. I suoi sottoposti erano tutti delle
macchine, prima che delle persone. Ciascuno aveva una sua mansione all'interno
degli uffici e tutto doveva funzionare meglio di un'azienda giapponese. Quello
era l'unico anno che le cose andavano un po' male, ma lei era sicura che con il
suo metodo tutto avrebbe funzionato meglio. Un po'
tutti si sentirono umiliati da tale comportamento. Emanuele vide la sua collega
Margherita che si metteva le mani in grembo e si torturava gli anelli, poi vide
altri due o tre (di cui non ricordava il nome) che guardavano dappertutto,
cercando appiglio al loro imbarazzo... e vide Federico che contraeva la bocca,
tenendo le mani sotto il tavolo, gli occhi lucidi. Non avrebbe saputo dire se
fosse arrabbiato oppure in stato di vergogna... Il suo volto era paonazzo, e la
morbida zazzera di capelli castani mostrava un bel po' di fili argentei che
luccicavano alla luce delle lampade sul soffitto. Pronunciando la frase del
"Portatile scomparso", Emanuele capì che era un chiaro riferimento a
lui, il responsabile dei beni inventariati. Infatti...
-...Signor Federico, l'abbiamo poi ritrovato, quel
portatile?-
Prontamente, Federico rispose
-...A dire la verità non era mai sparito.-
-Ah sì? E dov'era, mi dica, dov'era?-
-Beh... è sempre stato nel suo ufficio, Dottoressa Bonafé.-
Il silenzio che si creò era imbarazzante. La dottoressa Bonafé
sbiancò di colpo, mentre dai colleghi si udì un piccolo coro di risatine
mascherate da colpi di tosse.
-Signor Federico, lei è il responsabile dei beni inventariabili, per cui è
pregato di fare più attenzione in futuro.-
-Sì dottoressa.-
E annuì, prendendosi la sgridata.
-Lo stesso vale per tutti gli altri. Voglio che gli
uffici funzionino in modo ottimale, in linea con le disposizioni di legge. La
riunione termina qui, fino a nuova convocazione.-
*****
-Stronza cretina puttana deficiente chi cazzo si crede di essere noi qui
facciamo del nostro meglio e quella non fa altro che romperci i coglioni non la
sopporto la odio la odio la odio-
-Dai su, Fede... ormai è passato.-
Federico ed Emanuele stavano scendendo le scale per tornare ai loro uffici;
Federico era piuttosto alterato dalla sgridata che si era preso, ed Emanuele
cercava di consolarlo come poteva.
-Se la prende sempre con me. Spariscono i computer? E' colpa di Federico.
All'ufficio recupero crediti inviano le cartelle sbagliate? E' di nuovo colpa
di Federico. Nei cessi ci sono le piattole?? E di chi
è la colpa??-
-Di Federico?-
-No!!! Cazzo!!! Quella se la prende con me solo perché sono il più giovane qui
dentro, perché su quella fottuta carta d'identità c'è scritto "nato nel
1985"!!!-
"1985? Avrei detto 1945!"
Emanuele represse l'istinto di ridere a quella battutaccia che gli suggerì il
cervello, poi improvvisamente...
-Emanuele!!!-
Mise un piede in fallo, e ruzzolò giù per le scale, slogandosi la caviglia e
battendo la testa su un gradino. Le ultime cose che vide furono la figura di
Federico che accorreva, e insieme a lui altri due che si chinavano (uno di
quelli gli sembrò che fosse Valenti - e infatti lo
era, come gli avrebbe confermato dopo Federico)... Poi perse i sensi.
*****
Intanto, a Milano, Marco se ne stava seduto sul divano a leggere.
-Ahi!-
All'improvviso Marco lasciò cadere il libro che stava leggendo, scosso da un
sussulto simile ad una scossa elettrica. Qualcosa non andava, ma non sapeva
esattamente cosa.
-Cos'hai,Marcolino?-
Gli chiese Stefano, che era comparso dalla porta che dava sul corridoio della
zona notte. Portava gli occhiali da vista sui capelli rossicci, ed era ancora
in pigiama (nonostante fosse pomeriggio inoltrato)... Portava una maglietta
rosa con l'immagine di HelloKitty
stampata e un paio di pantaloni sportivi ADIDAS bianchi.
-N...niente. Ho avuto solo un sussulto.-
-Oh, c'è qualcuno che sta male?-
-Speriamo di no!-
Il volto di Marco era adesso allarmato, e il suo sguardo correva di qua e di
là. Lentamente, Stefano gli si sedette accanto sedendosi sui calcagni, e gli
accarezzò le guance... Poi Stefano gli si accoccolò ancora più vicino, e
cingendogli le spalle con un abbraccio, lo baciò sulla fronte.
-Sei preoccupato per Ema, non è vero?-
-Sì... Penso che... un po' sia anche colpa mia, se lui adesso lavori a Como.-
-Ma no dai... Avevi bisogno di un periodo di pausa, e gliel'hai chiesto. E' del
tutto normale, non hai da rimproverarti nulla.. E poi
lo sai anche tu che è stata sua madre a costringerlo a partecipare a quel
concorso. Quell'arpia...-
-Già... mia "suocera" è una vera rompiscatole... già Emanuele non la
sopporta... figurarsi io.-
-Normale. Senti, ma non puoi fargli una telefonata?-
Marco guardò l'orologio a muro. Segnava le quattro e venti.
-Non posso... è ancora al lavoro. Se lo chiamo ora, sicuramente troverò il
cellulare spento...-
-Capito. Vuoi una tisana? Ce ne facciamo una?-
-Beh... forse...-
Voltando lo sguardo, Marco si accorse che le labbra di Stefano e le sue erano
vicinissime. Poteva sentire chiaramente il profumo di vaniglia che emanava la
bocca del francese... Stefano guardava negli occhi castano chiarissimo di
Marco... "Occhi color gianduiotto piemontese",
come li chiamava Andrea... E per un attimo ne fu rapito. Più o meno come lo era
Marco dagli occhi verde acqua di Stefano.
Entrambi chiusero gli occhi, come gli ingranaggi di un orologio in sincronia
perfetta...
...Poi, magicamente...
...Le loro labbra si unirono in un lungo,
intensissimo, appassionato.... dolce bacio.
abbracciati, caddero sul divano, abbarbicati l'uno
all'altro...Marco sopra e Stefano sotto. Si baciarono e baciarono, per un tempo
che ad entrambi parve indefinito... Stefano che offriva la sua bocca a Marco,
che lo abbracciava forte e lo baciava appassionatamente, quasi come se fosse
preda di un istinto da sempre represso... E Marco... che dava sfogo
all'emozione del momento, forse anche lui guidato da un qualche istinto
inconscio....
Lentamente, Stefano incominciò a sbottonare la camicia di Marco, partendo dal
collo. Prima che Marco se ne accorgesse, Stefano aveva già raggiunto l'inguine,
e stava lavorando sulla cintura del ragazzo.
-...Oh mio dio...-
Stefano s'irrigidì sotto di lui.
-M...Marco...?- -Stefano..?-
Lui non disse niente... si limitò a guardarlo negli occhi, con un'espressione
interrogativa. Per un attimo lo guardò anche lui, poi farfugliò qualcosa tipo
"sono le cinque, devo andare a lavorare...",
si alzò dal divano, si riabbottonò la camicia e se la rimise nei pantaloni...
Mentre Stefano lo osservava.
-...Ci... ci vediamo dopo.-
-...A dopo.-
Si salutarono, entrambi rossi come peperoni e con il
cuore a mille battiti al minuto. Poi Marco uscì dall'appartamento, e Stefano
chiuse gli occhi, abbandonandosi al morbido divano.
Il messaggio registrato della risponderia automatica della ASL di Como
ripeteva "ASL Como - I nostri operatori sono momentaneamente occupati
Il messaggio registrato della risponderia
automatica della ASL di Como ripeteva "ASL Como -
I nostri operatori sono momentaneamente occupati. Vi preghiamo di rimanere in
attesa, per non perdere la priorità acquisita. Grazie."
mentre una melodia -la "Serenissima" dei Rondò Veneziano- suonava in
sottofondo. Dopo aver provato invano sul cellulare di Ema, aveva fatto il numero diretto del suo ufficio, che lui
stesso gli aveva comunicato (nonostante fosse proibito dare in giro i numeri di
telefono degli uffici amministrativi), ma dopo i primi due squilli era partita
la risponderia. Allarmato, Marco mise via il
cellulare, passandosi una mano tra i capelli e massaggiandosi le tempie. Dopo quello che aveva fatto con Stefano, gli era venuto un mal di
testa feroce... Ora era nel bagno dei maschi, già da cinque minuti... Si
sciacquò la faccia e respirò a fondo, cercando di calmarsi. Ma perché? Perché
era successo??? Si torturava il cervello con quei
quesiti, e il mal di testa aumentava esponenzialmente... in più, non riusciva a
contattare Emanuele.
Già, lo chiamo... e poi.... cosa gli dico...?
"Ehi ciao Ema, lo sai che ho limonato per tre
quarti d'ora con Stefano e lui ci è anche stato?" ...Figurati.
Come minimo prenderebbe la macchina e tornerebbe di filato qui a Milano ... No no, lasciamo stare che è meglio.
Decise che quell'evento accaduto con Stefano sarebbe stato un incidente. Solo
un incidente, niente di più. Stefano era il ragazzo di Andrea, suo migliore
amico fin da quando erano bambini... giammai avrebbe potuto soffiarglielo
oppure utilizzarlo per sopperire alla mancanza (tra l'altro voluta) di
Emanuele. Questo No, questo mai. Se voleva avere qualcuno, poteva trovarsi un
partner in una discoteca, ma non doveva assolutamente infastidire Stefano...
...Però ammetti che ti è piaciuto. Sì dai, non
essere ipocrita anche con te stesso. Hai rotto con Ema
perché ti stava stretto un fidanzato fisso alla benemerita età di ventiquattro
anni, e adesso vai a rovinare una coppia perfetta che sta insieme da quasi tre
anni? Da uno a dieci, quanto ci hai goduto pensando di fare un dispetto ad
Andrea, perché lui è così bello, così carino così figo
che riesce sempre a rimorchiare e tu gli hai limonato
il fidanzato?
No, non aveva senso un discorso del genere. Se l'aveva fatto sicuramente c'era
un motivo, ma non era certo una qualche ripicca verso Andrea... La verità era
che Stefano si era trovato lì e lui non aveva potuto farci niente... Solo un
incidente, ecco tutto.
Ah sì? La sua ricostruzione non mi convince, Mr. De Cristina... Il delitto
compiuto ha tutta l'aria di un delitto perfetto. Io ho già capito il movente...
e lei?
-Oh no... no, no, no, no.... Non può essere.-
*****
A dieci chilometri di distanza, nell'appartamento dei ragazzi, Stefano guardava
la televisione senza interesse, pensando e ripensando a quello che era successo
con Marco. Fin da quando si erano conosciuti, quando lui ancora era una testa
calda, il giovane piemontese amico del suo ragazzo non lo attirava più di
tanto... Anzi, se voleva essere franco, pensava che fosse uno sfigato. Poi
però, con il tempo, avevano iniziato a parlarsi, scoprendo che anche Marco
parlava francese, scoprendo che in lui c'era un ragazzo colto e disinteressato,
bello dentro prima che fuori. E così, a sua insaputa, era cresciuto quel
sentimento arcano, culminato poche ore prima su quello stesso divano dove lui
sedeva ora, seduto sui calcagni e con i piedi addormentati.
...E'... è stato .... bellissimo. Non posso credere
che l'abbia fatto. Mi ha baciato così bene...
Gongolava, ascoltando stralci di discorsi che trasmetteva la televisione
(Barbara D'Urso che parlava a Pomeriggio Cinque), e passandosi le mani sul
collo, dove Marco non l'aveva baciato. Sospirò. Stava aspettando che Marco
tornasse.
...Ah sì? E come mai questa attesa, Signor Jevlier? Stai forse aspettando il tuo amante? Lascia
perdere, prima di ficcarti in un qualche guaio con Andrea...
Però anche Andrea poteva essere un po' più presente. In un mese che si era
trasferito, non si era fatto sentire più di una o due volte al telefono, sempre
impegnato a scrivere i testi dei telegiornali regionali. Ma perché non si
decideva a mollare quello stupido lavoro? Non era ben pagato, era a tempo
determinato... e soprattutto, non era un trampolino di lancio per il mondo
dello spettacolo come lui credeva. In questo si meritava le corna... E Marco
era proprio la persona giusta con cui mettergliele, pensò Stefano con una punta
di malizia.
*****
"Si sta svegliando" ... udì Emanuele, una voce ovattata che sembrava
provenire da lontanissimo. Socchiuse gli occhi, per poi chiuderli di nuovo. Gli
succedeva sempre quando doveva svegliarsi. Socchiudeva gli occhi, poi li
richiudeva sperando di fuggire ad una lezione o una giornata di lavoro
(recentemente)...
Quando una mano lo schiaffeggiò gentilmente, si trovò di fronte il facciotto paffuto di Federico che lo fissava preoccupato, e
un ragazzo biondo con gli occhialini vestito da infermiere.
-Dove...?-
-Siamo in infermeria, Manu. Sei
caduto dalle scale, e poi sei svenuto.- -Ahio... effettivamente... ho un bel mal di testa.-
Si sentiva la testa pesante, e gli faceva abbastanza male. L'infermiere, un
ragazzo giovane di circa vent'anni, lo bloccò gentilmente.
-Stia fermo, per favore. Ha preso una brutta botta, è meglio che si riposi.-
-Ah. Va bene.- -Giulio, io vado fuori. Rispediscimelo appena ritieni
che sia pronto, ok?-
Disse Federico all'infermiere. Questi gli sorrise cordiale, rivelando un
apparecchio metallico sui denti. Mentre i due si parlavano, vide il cartellino
applicato al camice del ragazzo. Accanto ad una foto sbiadita, sotto il codice
a barre identificativo della matricola c'era scritto: "YuliyThymoshenko - Infermiere ASL".
-Va bene, Fede.-
Emanuele distolse lo sguardo dalla porta quando Federico ne uscì, per poi
riportarlo su "Giulio", che gli sorrise di
nuovo.
-Non è un buon modo di cominciare, questo. Sei qui da
appena un mese e già cadi dalle scale? Eheheh!-
-Beh, mi dispiace... la prossima volta farò del mio meglio per cadere dopo
cinque mesi, d'accordo?- -Ahahah! Lo sai che non sei il primo? Anche Federico
cadde dalle scale, quando entrò a lavorare qui.-
-Davvero?-
-Sì. Poverino, aveva appena ventun anni, io ero
appena arrivato qui... Era caduto mentre consultava
dei tabulati inventariali...- -Ah.-
-Quelle scale sono maledette.. basta un po' di disattenzione e finisci lungo
disteso con un trauma cranico. Sono troppo alte, bisogna farci attenzione...-
-Grazie per l'avvertimento, d'ora in poi le percorrerò molto cautamente.-
-Mi faresti un favore. Non amo vedere la gente che si infortuna. E tu ti sei
infortunato abbastanza, direi.-
L'infermiere gli indicò la caviglia fasciata. Emanuele la guardò sorpreso.
Effettivamente si sentiva il piede un po' gonfio.
-Te la sei slogata, mio caro Emanuele. E ti sei fatto anche un bel bernoccolo.
Ti ho medicato un po', ma dovrai stare una settimana a riposo.-
-Uh... Cavolo.- -Federico si è offerto di aiutarti durante la tua
degenza. Verrà a casa tua dopo l'orario di lavoro, e ti aiuterà come può. Sa
che sei da solo, e non vuole abbandonarti.-
"Che gentilezza" pensò Emanuele, poi Giulio gli
sorrise.
-Eh già... è un ragazzo molto generoso.-
Gli disse, come se gli avesse letto nel pensiero. Improvvisamente, gli venne in
mente che Marco avrebbe provato a chiamarlo, e sicuramente se gli avesse
raccontato della caviglia, si sarebbe preoccupato. Decise di non dirgli nulla,
almeno fino a quando non si fosse rimesso. Per il weekend avrebbe trovato una
scusa per non scendere a Milano... Non avrebbero certo sofferto la sua
mancanza.
-Bene. Direi che ora puoi andare. Ti farò avere la tua scheda di malattia a
mezzo Federico.-
Gentilmente, Yuliy lo accompagnò alla porta, dove
fuori Federico lo aspettava.
*****
-E' un bravo ragazzo. Lo conosco da parecchio tempo... Qualche volta vado a
trovarlo, specialmente quando mi mandano a fare gli inventari dei nuovi
acquisti.-
L'auto di Federico era una Lancia K station wagon ben tenuta fuori, ma
disordinata da morire dentro. Si vedeva che Federico non aveva mai tempo per
metterla in ordine. C'erano fogli dappertutto, depliant, pagine di giornale e
attestati di transito dei caselli autostradali... sicuramente un residuo di
quando andava a trovare i parenti in Puglia. In compenso al disordine, l'auto
olezzava di un fresco sapore di pino silvestre.
Ora Federico stava accompagnando Emanuele a casa, dato che abitavano abbastanza
vicini. "Mi è sembrato che ti guardasse con occhio interessato",
avrebbe voluto dire Emanuele al collega, ma si zittì. Dopotutto, non sapeva se
a Federico piacessero i ragazzi come piacevano a lui... Decise di cambiare
discorso.
-Sei sicuro che non ti crea problemi, darmi una mano?-
-Figurati. Nessun problema, solo piacere. Anzi, spero solo che a te non dia
fastidio.-
-Scherzi? E' un doppio piacere anche per me!-
Sorrise, mentre Federico cambiava marcia e poi rimetteva la mano destra sul
volante. Guidava molto tranquillamente, ma nei suoi gesti c'era molta
metodicità. Più o meno la stessa che metteva nel lavoro. Si chiese che tipo di
pensieri aveva in testa ogni giorno. Si divertiva? Pensava all'amore, al
sesso...? Era etero? Era gay? Salvo le rivelazioni di
quel giorno a pranzo, Federico non aveva parlato molto di sé... Ad un occhio
superficiale poteva apparire sovrappeso e poco interessante, ma bastava
parlarci per scoprire che invece era un ragazzo che aveva viaggiato molto, a
cui piaceva l'arte e la cultura e che detestava come l'Italia era gestita.
-Sai che Yuliy ha un debole per te?-
-....Eh?-
Emanuele si toccò la bocca, incredulo di ciò che aveva
appena detto. Federico lo guardò stranito, con le mani sul volante mentre erano
fermi ad un semaforo rosso.
-Cos'hai detto?-
-Io? No, niente...-
-Hai detto qualcosa a proposito di Giulio.-
-Eh? Ah! Eheheh! No, stavo solo dicendo che sembra
molto amico con te.-
-Già.. così sembra.-
Federico aveva mangiato la foglia. Intanto, il semaforo era diventato verde, e
l'appartamento di Emanuele era giusto alla destra.
Il messaggio registrato della risponderia automatica della ASL di Como
ripeteva "ASL Como - I nostri operatori sono momentaneamente occupati
Quella dannata Olivetti era davvero dura, e se non c'era il
flaconcino d'olio per farla scorrere un po', diventava praticamente
ingestibile.
-Ahio!-
-Cosa c'è, Andrea?-
Dante smise di scrivere, per andare a vedere cos'era successo ad Andrea. Il
ragazzo si teneva la mano e si succhiava le prime tre dita, che sanguinavano
dalle unghie.
-Quella cazzo di macchina per scrivere si inceppa sempre e io mi flagello le
dita quando mi scappano in mezzo ai tasti.-
-Vieni, ci mettiamo su un po' di penicillina.-
La cassetta del pronto soccorso era giusto nel bagno dei maschi. Ci andarono
insieme, e Dante lo medicò come poteva.
-Sai che stanno facendo una selezione per un anchor man?-
-Davvero???-
-Sì mio caro. Se volessi.. potresti iscriverti anche tu.-
Dante gli sorrise benevolo, spiegandogli i dettagli.
-Stanno cercando qualcuno che parli molto lentamente. Ma davvero lentamente,
perché sarà un TG che andrà in onda la mattina.-
Per Andrea fu come una calda carezza sulla guancia, dopo tante ore spese a
flagellarsi le dita su quella macchina infernale. Avrebbe partecipato
senz'altro al concorso, e una volta alla poltrona dell'anchorman avrebbe
sicuramente ringraziato Dante, il suo benefattore... Al colmo della gioia,
dimenticò perfino il dolore alle dita, troppo impegnato a fare progetti per il
futuro. Anche se era una televisione locale, chi se ne importava? Era pur
sempre una televisione, e a lui piaceva farsi vedere, farsi sentire parlare. Il
fatto che il futuro anchorman avrebbe dovuto parlare lentamente non lo
insospettì minimamente. Tornato a casa, alle dieci di sera, guardò il
cellulare. Non c'era nemmeno una chiamata di Stefano, ma non se ne curò più di
tanto... Ormai per lui importava soltanto quel futuro lavoro di anchor man.
Poco prima del suo trasferimento, avevano litigato, lui e Stefano.
-Non fai che pensare a te stesso! E' questo il ragazzo che sei diventato?!?-
-Non è vero che penso solo a me stesso! Se fosse così, credi che ti avrei
ospitato qui?? Questa è casa mia, ricordatelo!!!-
-Ah così saremmo qui solo perché lo vuoi tu, vero? Solo perché ogni tanto hai
bisogno di un buco dove ficcare la tua erezione ogni tanto, Vero????
Rispondi!!!-
Digrignando i denti, Andrea prese la valigia e la sbatté violentemente sul
pavimento, mentre Stefano non guardava.
-Ascoltami bene.... Non devo dire a TE perché me ne vado, e sicuramente se vado
via è per assicurare anche a te una merda di futuro. Adesso sono laureato, ho
da lavorare. E NON POSSO LAVORARE CON DELLA GENTE COME VOI CHE MI STA ATTACCATA
AI COGLIONI COME DELLE ZECCHE!!! Mi sono spiegato???-
Disse, con tono sibilante. Stefano tacque, sentendo imminente un attacco di
pianto. Non annuì, solo si allontanò senza rivolgergli alcuna parola. Andrea se
ne dispiacque, ma solo per una minima parte. Ultimamente, Stefano era diventato
un po' stressante... E lui aveva bisogno di stare da solo.
"Consideralo pure come un periodo di pausa, se ti fa piacere."
Pensò Andrea, con una punta di fastidio, rimettendo tutto in valigia.
Se ne andò senza salutare nessuno (Marco era al lavoro, si erano già salutati
quella mattina), mentre Stefano nell'altra stanza piangeva bagnando il cuscino.
Ora, a distanza di quasi un mese, seduto sul divano con il cellulare in mano,
decise di non chiamarlo. Non ancora. L'avrebbe chiamato solo una volta ottenuto
il posto di anchorman, per fargli una sorpresa.
*****
A molti chilometri di distanza, Federico ed Emanuele erano seduti sul divano a
guardare "Striscia la notizia", ridendo come matti alle battute di
Ezio ed Enzo. Poco dopo si sarebbero visti un bel film, scelto da Emanuele in
mezzo a tanti che Federico gli aveva portato: "Natale sul Nilo".
Insieme a loro, c'era il gatto di Federico, Goriot, un bel certosino dal pelo
grigio fumo (si era messo d'accordo perché Emanuele glielo accudisse durante la
degenza), che ora se ne stava pacioso e tranquillo in grembo ad Emanuele, che
lo stava viziando di grattini.
-Vacci piano, altrimenti quando guarirai sarà dura convincerlo a venire fuori
da qui. E' un viziatone di coccole, quante gliene fai, tante più ne vuole.-
-Tranquillo, cercherò di mantenermi stabile...-
Così dicendo, si chinò sul gatto e gli baciò la testa, mentre quello ronfava di
fusa a quello sconosciuto che lo coccolava quasi più del suo padroncino.
-Quanti anni ha?-
Federico ci pensò su.
-Uhm... l'ho trovato circa due anni dopo che sono venuto a vivere qui. Dovrebbe
avere tre anni.-
-E' molto affettuoso.-
-Già... L'ho trovato che era poco più che un neonato. Se ne stava accucciato
sotto le ruote della mia auto, e meno male che l'ho sentito miagolare,
altrimenti quella mattina l'avrei ucciso involontariamente. Sembrava...
sembrava uno schizzo a matita, con quel pelo grigio.-
-E poi è molto tranquillo.-
-Ah su questo non ci piove. Ti farà morire di noia, tanto è tranquillo. Se ne
starà tutto il giorno nella sua cesta e non ti darà alcun fastidio. Trovamelo,
un gatto che non fa danni quando non ci sei. Eheheh!-
Ridacchiarono entrambi, poi Federico si lanciò nella spiegazione del perché il
gatto portasse il nome "Goriot". Emanuele pensò che gli avesse letto
nei pensieri. Si stava giusto chiedendo come mai il gatto portasse un nome così
strano.
-...Non è un nome strano, è il nome del protagonista di un romanzo di Honoré de
Balzac, "Papà Goriot". In questo romanzo il protagonista è un anziano
signore che vive in una squallida pensione parigina, che ama le sue figlie in
modo patologico, e per accontentarle si priva di tutti i risparmi di una vita.
Per questo vive alla pensione Vauquer.-
-Oh, forse... forse ne ho sentito parlare, di questo romanzo... Ma non ricordo
in che occasione. Che genere è?-
-Beh, è una storia molto triste... Non finisce bene.-
-Come finisce?-
-Il povero papà Goriot muore solo e ignorato dalle due figlie, che andavano a
trovarlo solo quando avevano bisogno di soldi.-
-Oh... Ma... perché ti piace così tanto questo romanzo?-
-Uhm... soprattutto perché mi piace il protagonista, il signor Goriot. Lui è un
padre come dovrebbero essere tutti i padri... affettuoso, generoso... Non come
il padre che ho io... che mi ha scacciato di casa, senza darmi nemmeno la
possibilità di crescere.-
Emanuele fece un mezzo sorriso.
-Tante volte è bene mandare via i figli da casa... gli uccelli adulti fanno
così con i loro piccoli. Li buttano fuori dal nido finché non imparano a volare
con le loro ali... A sopravvivere.-
-Già... in fondo, siamo fatti per sopravvivere. L'ho imparato fin troppo
presto.-
-Sei troppo scuro, Fede. Pensa al lato positivo, non hai nessuno che ti dice
cosa devi fare e come, puoi pulire casa quando ti pare e piace, e poi puoi
spendere i tuoi soldi come vuoi.-
-Sarà...-
Emanuele aveva tentato di edulcorare la pillola, ma soltanto Federico sapeva
quant'era stata amara la vita con lui... Talmente amara che una pillola non
sarebbe bastata ad estirparne il veleno.
Sospirò, pensando alla sua situazione personale... Nel suo caso, lui era stato
"allontanato" di casa dal padre, anche se in modo non troppo
brusco... però faceva male lo stesso. In quel romanzo, Federico ci aveva
trovato il padre amorevole che non aveva mai avuto, sostituito da uno che alla
prima occasione buona l'aveva mandato a Como, a lavorare e vivere da solo. Ogni
volta che pensava a quel romanzo, si commuoveva... cercò di non pensarci, ma
Emanuele si accorse che Federico era sempre un po' turbato quando parlava del
padre. Più o meno come lui lo era quando pensava a sua madre, quella
rompiscatole di sua madre. Anche lui era stato mandato a forza a fare il
concorso, e anche se non era preparato, l'aveva passato ugualmente... quando
c'era gente che provava e riprovava ma non riusciva mai ad entrare. Per
consolarlo. gli disse soltanto "avvicinati" sottovoce, e Federico
acconsentì. Quando fu vicino, Emanuele gli cinse la spalla con un braccio e gli
strizzò l'occhio, per poi sorridergli amichevole. Dopo un'iniziale rigidità,
Federico si sciolse e poggiò la fronte sulla spalla di Emanuele, incredulo di
tanta confidenza... Prima d'ora nessuno l'aveva ascoltato come faceva Emanuele,
e mai nessuno gli avrebbe offerto il suo conforto prima d'ora. Si sentiva bene.
Emanuele era come un fratello maggiore.
Passarono il resto della serata in silenzio, ridacchiando ogni tanto, ma
comunque abbracciati. Finché Federico non si addormentò sulla spalla di
Emanuele.
*****
Micaela guardò l'orologio al polso sinistro, tenendo la tazzina del caffé nella
mano destra. Le lancette dell'orologio segnavano le dieci. Le ultime spedizioni
erano partite solo mezz'ora prima, e lei si stava concedendo una pausa prima di
andarsene a casa. Come ogni venerdì, attendeva che sua figlia la chiamasse, da
Miami, negli Stati Uniti. Sorseggiò il caffé, guardando trasognata attraverso
la finestra. Il giardino esterno della V-Services era curato minuziosamente,
senza la minima ombra di imperfezione. Giardinieri professionisti andavano lì
ogni due settimane, e chiunque osava gettare soltanto una cicca di sigaretta
oppure la carta di un chewing-gum, si beccava un rimprovero verbale il giorno
dopo. Alla V-Services le finestre avevano occhi e i muri avevano orecchie.
Quanti anni erano che stava lì? Facciamo due conti. Il prossimo Giugno avrebbe
compiuto Quarant'anni, era divorziata da dieci, aveva una figlia di vent'anni
che inseguiva il sogno di diventare una stilista negli Stati Uniti... Uomini?
Quanti ne voleva. Tutti stronzi? Sì, purtroppo... Uomini che la volevano
soltanto per la sua avvenenza, per soddisfare i loro capricci, i loro pruriti
di una notte. Notte che la guardava attraverso la finestra. Quella luna era
veramente bellissima, e lei in quel momento avrebbe voluto tornare indietro nel
tempo, a vent'anni prima, quando con il suo primo marito, in una notte
indimenticabile, aveva concepito Sara... L'unica persona che le fosse rimasta
nella sua vita...
-Un soldino per i tuoi pensieri.-
La donna si girò, vedendo la figura alta un metro e settanta di Marco, che le
sorrideva. Lei gli disse "Ciao cucciolo.", e lui le si avvicinò,
imitandola mentre osservava fuori dalla finestra.
-C'è una bella luna, stasera.-
-Già... è... è semplicemente stupenda. Da bambina credevo che brillasse di luce
propria, rompevo l'anima a mio padre ogni santa notte, pregandolo di
prendermene un pezzo... avrei voluto metterlo nella mia stanza da letto, perché
mi alleviasse la paura del buio.-
-Ambiziosa, eh?-
-Sempre. Alla fine mio padre mi fregò. Riuscì davvero a prendere un pezzo di
luna.-
-Davvero?!?-
-Sì, incollò un pezzo rotondo di carta velina su una specie di lampadina da
muro... Eheheh!-
-Eheheh! Furbo, tuo padre.-
Marco rise insieme alla collega, che scosse la testa e sospirò, sorridendo...
-Poi sono cresciuta... e raccontando la storia del pezzo di Luna a mio marito,
rimasi fregata.-
-Cosa? Che vuoi dire...?-
Micaela sorrise furbetta a Marco.
-Voglio dire che io e mio marito... facemmo l'amore. E da lì nacque mia figlia
Sara. Ti piacerebbe, lo sai?-
Marco arrossì. Micaela sapeva che era gay, ma ogni tanto lo stuzzicava.
-Eheheheheheh! Oh, Marco, Marcolino mio... sei così dolce quando arrossisci.-
-Faccio del mio meglio, Michi. Eheheheh!-
-Eheheh. Che mattacchione sei.-
-Hai una foto di tua figlia?-
-Uhm... sì, dovrei averne una.-
Su un tavolo lì accanto c'era la sua borsetta. Da essa, Micaela estrasse un
portamonete. Lo aprì, e da lì tirò fuori la fotografia di una ragazza bionda e
con gli occhi azzurri, che sorrideva all'obiettivo. Marco la guardò
attentamente, e annuì di apprezzamento.
-Sembra... sembra la tua fotocopia. E'... è semplicemente bellissima.-
-Grazie. Sei gentile.-
-E' la verità. E anche tu sei bellissima, Michi.-
Quel complimento fu una stilettata al cuore. Mai nessuno le aveva detto che era
bellissima senza un secondo fine... Sorrise, ma contemporaneamente si sentì
frustrata dalla stupidità degli uomini che aveva incontrato prima d'ora...
Uomini che usavano i complimenti come arma per ottenere qualunque cosa. Micaela
lo guardò, e prendendo tutto il coraggio che aveva a disposizione, gli
sussurrò:
-Se avessimo la stessa età... e tu fossi etero... adesso.... ti avrei
sicuramente baciato, cucciolo.-
Marco arrossì violentemente, pensando che era piuttosto pericoloso fare
complimenti alle donne, quindi le sorrise... la prese dolcemente a sé e
l'abbracciò. Lei si unì a lui, abbracciandolo teneramente. Restarono in quella
posizione per ben due minuti, fino a che un trillo li fece trasalire entrambi.
Il cellulare di Micaela.
Sul display, un numero dal prefisso internazionale. Sara la stava chiamando.
Il messaggio registrato della risponderia automatica della ASL di Como
ripeteva "ASL Como - I nostri operatori sono momentaneamente occupati
Ore 23.30.
L'appartamento era immerso nel silenzio tipico della sera. Silenziosamente,
Marco cercò di raggiungere la sua stanza per non svegliare Stefano, ma si
fermò. Il suo stomaco brontolava dalla fame.
"Ci mancava anche questa... uffa."
Aprì il frigorifero, che fece una luce abbagliante. Grazie al cielo il cibo non
mancava in quella casa. C'era solo l'imbarazzo della scelta: Mozzarella,
insalata, bistecche di cavallo, cioccolato, un po' di affettati, qualche
lattina di birra, del vino. Marco fu attirato in particolare da quest'ultimo.
Prese in mano la bottiglia, piena fino all'orlo. L'etichetta diceva "Nero
D'Avola - IGT Siracusa" - Non ricordava di averla comprata. Raramente
nella sua vita aveva bevuto del vino, e le poche volte si era beccato delle sbronze
impareggiabili. Rimise a posto la bottiglia come se fosse stata una bomba
atomica, e optò per una bistecca di cavallo.
"Al sangue, prego... come disse il Conte Dracula alla trattoria. Ahahahah!"
Ridacchiò Marco, mentre metteva a cuocere la bistecchina nella padella. In
pochi minuti fu cotta. Appena si sedette a mangiarla, entrò Stefano... Era
vestito esattamente come l'aveva lasciato, con il pigiama di HelloKitty e i pantaloni della
tuta. Gli sorrise dolcemente.
-Vedo che hai trovato le bistecche di cavallo che ho comprato oggi.-
-Già... Molto buone.-
-Sapevo che saresti tornato affamato...-
Marco sorrise, benché si sentisse stranamente irrequieto. Entrambi sapevano
benissimo cos'avevano fatto nel pomeriggio; l'unica differenza era che Marco era
ancora in carreggiata, mentre Stefano semrbava essere
partito per il mondo dei sogni, obliterando un biglietto anche per Marco. E ciò
che fece dopo, confermò i suoi timori: Stefano prese fuori dal frigo la
bottiglia di "Nero" che lui stesso poco prima aveva posato. Guardò
Stefano, che gli sorrise dolcemente.
-...Su quella ci sta bene un bel Nero D'Avola. Fidati di me. Sono anni che vivo
in Italia, ho imparato ad accostare i cibi a...-
-...Il vino mi fa ubriacare, Stefo.-
-Mi piace quando mi chiami Stefo. Coraggio, un
bicchierino!-
-Ma...-
-Dai! Uno solo, non chiedo tanto.-
Gliene aveva già versato tre dita nel bicchiere, e Marco si arrese a tanta
insistenza. Se gli andava bene, si sarebbe solo addormentato senza ulteriori
conseguenze... Contemporaneamente, anche Stefano se ne versò un bicchiere.
-Che serata oggi. Quei capi che ho sono davvero degli stronzi.-
-Ti hanno rotto le palle, eh? Allora bevici sopra. L'alcool è sempre un buon
rimedio.-
-Ehm.. eheh. Ho parlato anche con la mia collega
Micaela. Te ne ho parlato, vero? Mi ha fatto vedere una foto di sua figlia...
molto carina.-
Era teso come una corda di violino. Cercava di posticipare il più possibile il
momento in cui l'alcool gli sarebbe entrato in corpo, parlando di cavolate
sperando che Stefano si annoiasse il più in fretta possibile...
-E.. e poi ... un imbecille in tram mi ha quasi fatto perdere gli occhiali con
una gomitata. Ce n'è di gente stronza in giro, vero??-
Sudava freddo. Non doveva non doveva non doveva lasciarsi prendere da Stefano.
Lui era in astinenza e in leggera crisi con Andrea, mentre Marco... non era in
crisi, erano soltanto in un periodo di pausa amichevole. Non aveva bisogno di
limonare un'altra volta Stefano!!!
...Invece Stefano ne voleva ancora. Mentre mangiava (tenendo la forchetta con
una mano così tremante che sembrava un martello pneumatico), avvertì un
qualcosa di freddo toccargli l'inguine.
Trasalì spaventato, facendo un balzo sulla sedia che per poco non andava a
picchiare il soffitto con il cranio, poi si rese conto che era stato Stefano a
posargli il piede in mezzo alle gambe, per stuzzicarlo. Il francese rise di
gusto, mentre Marco era rosso peperone. Rise anche lui.
-Eheheh! Dov'ero rimasto?-
Involontariamente, prese il bicchiere pieno di vino e lo bevve, guardando
Stefano negli occhi, affinché non facesse altri scherzetti maliziosi. Il
liquido gli andò allo stomaco direttamente, tutto in un'unica soluzione. Quando
Marco lo sentì bruciargli lo stomaco, si accorse di aver preso il bicchiere
sbagliato.......
-Cin-Cin, Marco.-
Bevve anche Stefano, e intanto Marco era già quasi partito. Prese la bottiglia
e si versò un altro bicchiere, ridacchiando...
-Sei uno stronzo... Ahahah! Adesso... Ad...adesso
v...Voglio vedere se mi ub...ubriaco sul serio, anche
stavolta... hic!-
Stefano rise, sapendo di averlo ormai in suo potere. Bevve anche lui, fecero
numerosi brindisi, finché la bottiglia non finì. Alzandosi, per poco Marco non
crollò a terra. Stavano ridendo come due scemi, e per giunta di cose cretine.
Stefano cantava la marsigliese e Marco cantava canzonacce in dialetto
piemontese, uno faceva una domanda e l'altro rispondeva ruttando... insomma,
erano uno più ubriaco dell'altro.
Zoppicarono per il corridoio, ed entrarono in camera di Marco. Lì c'erano tutti
i suoi poster di Dragon Ball, i disegni fatti da Emanuele, incorniciati a
dovere, alcune foto che li ritraevano tutti e quattro a Gardaland...
e un poster grande così di Robert Pattinson.
Ridendo, Stefanò inciampò sul letto di Marco, mentre
quello faceva l'imitazione di Elvis Presley che suonava la chitarra... Così
facendo, cadde proprio accanto a Stefano, ridendo...
-Ahhhahahahahah! Aaaaaahhhh che sballo, ragazzi.-
-Ahahahah! one for the moneyyy ... two for the shoooww! hahahha!-
Poi Stefano andò a cavalcioni di Marco, massaggiandogli il magro
torace...
-Hmmm.... Che c'è? hahahah!- -Ahahah... Niente, voglio solo... vederti il petto.-
-Accomodati... PffffttT...hahhahaha!!!-
Ridacchiarono ancora un po', poi le risate si spensero... Stefano sorrise,
sbottonando lentamente la camicia di Marco... Intanto Marco stava carezzando il
sedere di Stefano, guardandolo negli occhi... In quegli anni Marco si era un
po' formato, rispetto a cinque anni fa... Era sempre basso, ma se non altro il
suo corpo era maturato. Lentamente, Stefano gli liberò gli occhi dagli occhiali
senza la montatura, posandoli sul comodino... Marco incrociò gli occhi verdi di
Stefano... che si tolse la maglietta di HelloKitty, mettendo in mostra il suo torace bianchissimo e
costellato di lentiggini. Le mani di Marco passarono a carezzare quel torace
liscio come il marmo, mentre Stefano faceva lo stesso. Poi, come due calamite,
Stefano si abbassò e Marco alzò di poco la testa, fino ad incontrare le labbra
di Stefano in un altro dolcissimo bacio.
Se in quel momento la mente di entrambi fosse stata abbastanza lucida da capire
cosa stavano facendo, si sarebbero visti sul letto di Marco, lui sopra e
Stefano sotto, oppure sdraiati su un fianco, al centro del letto...... a baciarsi,
accarezzarsi, abbracciarsi... scambiarsi effusioni innocenti, entrambi denudati
da ogni cosa, eccetto per i pochi tatuaggi di Stefano e il bracciale di
Marco... i baci di Marco erano timidi, dolci... mentre Stefano era talmente
appassionato che ogni tanto Marco doveva prendere un attimo di respiro per non
soffocare. Stefano gli sorrideva, e Marco ricambiava... Restarono lì a giocare
per quasi tre ore, fino a che Marco non si addormentò, e Stefano con lui...
Sognavano l'uno dell'altro, in luoghi differenti, e si baciavano nel sonno.
*****
Ore 03.39.
-hah!!! Stef....!-
Si svegliò di soprassalto, madido di sudore. Il letto su cui dormiva era
singolo, e l'appartamento dove abitava era solitario. C'era soltanto lui.
Andrea e il suo sogno. Ansimò per tre minuti, prima di rendersi conto che era
tutto un sogno, che lui non era tornato all'appartamento e li aveva visti
baciarsi, era tutto un sogno. "Non lasciamoci ingannare dalla
realtà", avrebbe detto Giorgio Gaber. Rise.
"Che sogno del cavolo. Stefano.. e Marco... che fanno l'amore. Ehehe. Semplicemente .... ridicolo."
Però quel sogno bastò a fargli riconsiderare come si era comportato quel giorno
con Stefano... gli aveva urlato contro, senza ritegno... Perché? Solo perché
voleva andare a vivere il più vicino possibile al suo lavoro? Che merdata. Avrebbe potuto benissimo restare dov'era, senza
lasciarli soli entrambi... Non che non si fidasse di Marco... Tra tutte le
persone che conosceva, Marco era sicuramente il più affidabile, che giammai
l'avrebbe tradito... E avrebbe sicuramente guardato al suo Stefano con un
occhio di riguardo. Erano come fratelli, loro...
"E sicuramente ora staranno dicendo che sono uno stronzo... Cazzo. Certe
volte sono proprio un imbecille... Mi comporto ancora come se avessi dodici
anni..."
si lasciò andare sotto le coperte, pensando e ripensando a Stefano... e al
concorso per anchor-man. L'avrebbe passato o no? Si
sarebbe fatto avanti nel mondo dello spettacolo?
*****
Ore 04.20.
Il suono di un'ambulanza bastò a svegliare Federico, che dormiva beatamente da
quattro ore, più o meno da quando era tornato da casa di Emanuele. Erano
passati tre giorni da quando Emanuele si era infortunato, e gli venne in mente
una cosa.
"Quando mi infortunai io, dovetti cavarmela da solo... Una settimana
d'inferno. Giulio... Yuliy.. si era offerto di
aiutarmi, ma io ... l'ho respinto... Perché? Perché sono stato così
cocciuto...? In fondo voleva solo essere gentile. Tutto per il mio maledetto
orgoglio. Ma a chi volevo dimostrare qualcosa...? Che premio volevo
ricevere...?"
Per la prima volta in cinque anni si scoprì a chiedersi qualcosa di più su Yuliy. Che cosa sapeva di lui, oltre al fatto che era un
infermiere, che lavorava alla ASL in caso di infortuni dei dipendenti, che era
l'assistente personale dell'eterno assente Dottor Zamberletti?
Niente. Un bel niente. Un accidenti di niente.
Il suo cognome... Thymoshenko... era russo? O forse
Moldavo? Oppure ancora bulgaro?
Quel che era certo, è che il ragazzo meritava qualche attenzione in più... solo
per il fatto che si era offerto di aiutare Federico, e che lui si era rifiutato
strenuamente.
Per tanti anni, a cominciare dalle scuole elementari, Federico aveva sempre
avuto problemi con il suo corpo. I compagni lo prendevano in giro perché era un
po' sovrappeso, e lui se ne dispiaceva... Lo escludevano, gli facevano gli
scherzi più crudeli. Questo l'aveva portato a non fidarsi di nessuno, a contare
soltanto su se stesso. Passava i pomeriggi a studiare... nelle materie comuni
era un disastro, ma nelle lingue straniere era semplicemente un portento.
"Forse là fuori, fuori dall'Italia, c'è qualcuno che mi capisce, e se
imparo la lingua, forse un giorno potrò andarmene..." pensava, mentre
studiava. Intanto il suo corpo si alzava... ma non dimagriva. Come nella
canzone di Fabrizio De André Passano gli anni, i mesi... e se li conti,
anche i minuti, è triste trovarsi adulti... senza essere cresciuti.
Lui era cresciuto, ma la pancia restava.
"Ci hanno insegnato ad odiare il nostro corpo se ha qualche chilo di
troppo... non hanno pensato ad insegnarci di amare il prossimo... Per questo, Yuliy, quel giorno ti ho respinto. Ma se me ne darai la
possibilità, rimedierò. Non so come, ma lo farò."
Si avvolse nelle calde coperte, chiudendo gli occhi per riprendere sonno di
nuovo...
*****
Ore 05.52
YuliyThymoshenko era nato
a Yaroslav (una città a Nord-est di Mosca), il
diciotto Maggio del 1983. Figlio di un medico russo che operava a Roma, si era
laureato alla Sapienza in scienze infermieristiche nel 2003, e lo stesso anno
aveva vinto il suo primo concorso alla ASL di Como... Tuttora studiava per
riuscire a diventare medico, e nel frattempo faceva pratica infermieristica. I
primi giorni del suo mandato furono quantomeno tranquilli. Si trattava soltanto
di supportare l'ufficio personale nella stesura dei rapporti periodici sulla
salute del personale, visite di routine, varie ed eventuali. Verso la metà del
2004 aveva pensato di lasciare Como e tornare a Roma, per studiare soltanto...
Poi la sua decisione fu rimandata, e rimandata, e rimandata... finché non venne
quel giorno, quel fatidico giorno di Ottobre 2004.
Era una giornata piovosa, tipica autunnale. Lui era sull'autobus alla volta
dell'ospedale, e mentre entrava nell'androne, notò un ragazzotto paffuto appoggiato
allo sportello una station wagon grigia, che parlava con il signor Pinotti, l'addetto alla portineria... Non era un ragazzo
granché interessante, anzi sembrava un anonimo impiegato... eppure... Lo fissò.
Teneva le braccia conserte sul petto, ridendo e annuendo quando il portinaio
parlava, e ogni tanto muoveva le labbra e si aggiustava gli occhiali sul naso.
Lo fissò per lunghi istanti, fino a che le sirene di un'ambulanza non lo
riportarono alla realtà. Il ragazzo era sparito.
Chissà chi gli ricordava, quale persona della sua vita aveva preso forma nella
sua mente fino a fargli vedere quel ragazzo. L'avrebbe mai rivisto?
Sì.
Lo rivide.
Qualche settimana dopo, nello studio medico della palazzina amministrativa, con
una caviglia slogata gonfia come un pallone.
-Grazie.-
-Prego. Vedo che... sei nuovo di qui, non hai ancora il cartellino?-
-No, non ancora... Yul.. Yulì?- -Yuliy. Ma se ti è più semplice, chiamami Giulio.-
-Bene, e tu se ti è più semplice... chiamami pure Federico.-
E sorrise, rivivendo nel sonno quel giorno di cinque anni prima.
*****
Ore 6.10
Sul comodino c'era una piccola fotografia formato 16 x 20, che ritraeva una
donna, un uomo e una bambina seduti sugli scalini di una chiesa, o forse di un
palazzo. L'uomo si chiamava Vincenzo, la donna Micaela... la bambina Sara.
Guardò quella foto come ogni mattina, pensando che adesso sua figlia stesse
dormendo della grossa. A quell'ora, a Miami era mezzanotte.
Invece, era la stessa ora a Città della Pieve, dove Vincenzo era andato a
vivere con la sua nuova compagna di vita. Dieci minuti dopo le sei. Mattino
presto, come a Milano.
"Ci sono notti in cui non riesco a dormire. E mi sveglio, senza sapere
bene nemmeno come mi chiamo. Poi tutto diventa chiaro, quando allungo la mano e
vedo che non c'è nessuno accanto a me... non c'è nessuno a dirmi di dormire,
Micaela, che è stato soltanto un brutto sogno... non c'è nessuno che mi sveglia
dicendo Mamma, potresti accompagnarmi a scuola domani? ...Ci sono giorni in cui
vorrei soltanto sparire, non essere mai nata, perché nella mia vita ho fatto
troppi errori... Ho sbagliato tante volte ormai, che lo so già.. che oggi
quasi certamente sto sbagliando su di te.. Come cantava Ornella Vanoni...
Prima di tutto, di innamorarmi. No, Sara, figlia mia... non puoi dirmi che
sbaglio a dire certe cose. Tua mamma comincia ad avere un'età... E a quell'età
si inizia a diventare più saggi, si comincia a guardare indietro e fare i primi
bilanci... E quando ti ritrovi sola, senza un uomo che ti dica che sei bella
perché lo pensa veramente e non perché ti vuole solo portare a letto... Quando
dall'oggi al domani ti ritrovi con una figlia lontana migliaia di chilometri
dal tuo abbraccio, quando intorno a te hai soltanto dei capi ufficio stronzi,
ed un lavoro che odi.... Allora... è normale dire che qualcosa nella tua vita
non è andato molto bene..."
-Per contro, ci sono notti in cui sogno. E faccio sogni bellissimi, dove ci sei
tu... dove hai di nuovo un papà... dove siamo insieme tutti e tre, e tutti e
tre siamo felici.-
Sorridendo debole, stancamente, carezzò il viso della bambina nella fotografia,
osservandola ancora un attimo, prima di dirle "Buonanotte" e
ritornare a dormire ancora per qualche ora.
*****
Ore 08.25
Meeeooow.
Emanuele si svegliò al miagolare di Goriot, che se ne
stava seduto sulle zampe e richiamava l'attenzione del gigante dalle gambe
lunghe con cui abitava ora. Aprì gli occhi piano, abituandoli alla penombra
della stanza da letto... poi vide Goriot che agitava
la coda a destra e a sinistra guardandolo, come a dire "Allora capo, dov'è
la mia colazione?" - A confermare ciò, un altro "Miao".
-Sì, sì ho capito... adesso mi alzo, Goriò.-
Insieme al gatto, Federico gli aveva portato un paio di stampelle. Era riuscito
a fregarle dall'ospedale, scalandole dall'inventario con un trucco contabile
che Emanuele non volle nemmeno sapere. Sapeva soltanto che se scoprivano che
Federico aveva rubato materiale ospedaliero, gli avrebbero fatto un culo come
un secchio. Il pensiero lo fece ridere, e si domandò sulle possibili
conseguenze del suo infortunio sul lavoro. Si interrogò sul se fosse stato
veramente così goffo davanti al responsabile del personale... Valenti l'aveva
soccorso insieme a Federico, ma la figura di merda l'aveva fatta comunque. E
adesso...? Avrebbe perso quel lavoro, in futuro? L'avrebbero trasferito ad un
piano più basso? Stampellando per il corridoio, con il gatto al
seguito, Emanuele raggiunse la cucina. Lì Federico aveva piazzato tre ciotole:
Una rossa per i croccantini (o altri cibi solidi), un'altra di colore blu per
il latte ("Goriot adora bere il latte alla
mattina, se non glielo metti tu, verrà a romperti le palle mentre stai facendo
il qualunque sogno più bello della tua vita... fai conto di avere un nobile
parigino ospite a casa tua." Gli aveva detto Federico ridacchiando,
sottolineando così che il gatto era molto esigente) e infine una bianca per
l'acqua ("Non so nemmeno io come, ma questo micio riconosce i colori. Se
trova il latte nel contenitore bianco, potrai anche pregarlo in tutte le lingue
del mondo che non lo berrà. Se trova i cibi solidi nel contenitore azzurro,
sarai costretto a travasarglieli in quello rosso, perché altrimenti lui non
mangerà. Mi ci è voluto un anno per capire che associa la forma e la
consistenza dei cibi con i colori delle ciotole... è un gatto astuto, mi sembra
di avere a che fare con una fidanzata esigente!")
Chinandosi per quanto la caviglia slogata glielo consentiva, digrignando i
denti per smorzare il dolore, Emanuele versò il latte nella ciotola azzurra, e
il gatto andò subito ad imbiancarsi il musetto con il prezioso liquido. Il
ragazzo si sedette, e incrociò le gambe, osservando il felino.
-Il tuo padrone conosce a menadito i numeri di matricola e posizione
inventariale di ogni cazzata che c'è nell'ospedale, mentre tu fai il preciso
sui colori delle ciotole. Com'è che se dice....? Dio li fa e poi li accoppia?
Anche. Ma io direi che tutti e due c'avreste bisogno di farvi vedere. Da uno
psicologo. Da uno bravo.-
A quella frase, il gatto miagolò una volta. Indeciso se prenderlo come un
ringraziamento, Emanuele rincarò la dose mentre si versava po' di latte anche
lui, a cui aggiunse un po' di caffé avanzato la sera
prima.
-Seh, seh... Hai capito
bene. Lui da uno psicologo umano, e te dal primo gatto psicologo che incontri. Eheheh!-
Un altro "miao". Poi il gatto si avvicinò ai piedi di Emanuele e vi
posò sopra le zampine, guardandolo con quegli occhi giallo ambra.
-La colazione era di Vostro gradimento, Messere?-
Miaaaao. Emanuele sorrise a quel nuovo ringraziamento,
quando Goriot gli si arrampicò sui jeans e si
accoccolò direttamente in grembo, richiedendogli coccole. Con le mani iniziò a
fargli i grattini e quello si mise a ronfare di fusa.
-Sei proprio un gattino viziato... Ma è difficile non volerti bene.-
E restò lì, seduto in cucina, a fare le coccole al gatto del suo amico...
Cercando un modo per far passare il tempo a disposizione prima delle cinque del
pomeriggio, ora in cui sarebbe arrivato Federico a tenergli compagnia.
Il messaggio registrato della risponderia automatica della ASL di Como
ripeteva "ASL Como - I nostri operatori sono momentaneamente occupati
Uno. due. tre.
quattro.
***Chi vive in baracca, chi suda il salario
chi ama l'amore e i sogni di gloria
chi ruba pensioni, chi ha scarsa memoria
Chi mangia una volta, chi tira al bersaglio
chi vuole l'aumento, chi gioca a Sanremo
chi porta gli occhiali, chi va sotto un treno
Chi ama la zia chi va a Porta Pia
chi trova scontato, chi come ha trovato
ma il cielo è seeeempre più bluuuu
uh uhuhuhuhuh...
ma il cielo è seeeempre più bluuuu
uh uhuhuhuhuh...
ma il cielo è seeeempre più bluuuu
uh uhuhuhuhuh...***
Con la musica di R101 sparata a palla nelle orecchie, Andrea fischiettava
mentre aspettava il metrò che lo portava al lavoro. Con le mani in tasca,
canticchiava di tanto in tanto il ritornello della popolare canzone ripresa da
Giusy Ferreri, originariamente scritta dal defunto Rino Gaetano... Oggi era il
grande giorno. Avrebbe fatto il provino per diventare anchor
man. Aveva chiesto un permesso di un'oretta per andare lì, e si era messo tutto
in tiro. Giacca e cravatta, capelli ordinatissimi... e si era addirittura tolto
gli orecchini. Era bellissimo come al solito, e forse ancor di più. Incrociò il
suo sguardo riflesso in uno dei monitor pubblicitari...
"Non sei solo bellissimo... stai per diventare anchor
man."
E sorrise, sicuro di sé stesso più che mai. Intanto, la canzone andava
avanti...
*****
Alle sette e cinque minuti Federico era già fuori di casa. Talmente abituato ad
avere Goriot fra i piedi come ogni santa mattina da
tre anni a quella parte, aveva tirato tardi cercando di capire dove fosse,
salvo poi ricordarsi che il gatto era temporaneamente ospite dell'infortunato
Emanuele.
***...Chi è assunto alla Zecca, chi ha fatto
cilecca
chi ha crisi interiori, chi scava nei cuori
chi legge la mano, chi regna sovrano
chi suda, chi lotta, chi mangia una volta
chi gli manca la casa, chi vive da solo
chi prende assai poco, chi gioca col fuoco
chi vive in Calabria, chi vive d'amore
chi ha fatto la guerra, chi prende i sessanta
chi arriva agli ottanta, chi muore al lavoro nanananananananana
Ma il cielo è sempre più blu uh uh,
uh uh,
ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh,
ma il cielo è sempre più blu...***
Ora era fermo ad un semaforo, pensando che con tutto quel traffico, sarebbe
riuscito ad arrivare dieci minuti in ritardo, se gli fosse andata bene... E poi
pensò a quella montagna di pratiche da evadere, telefonate da fare, documenti
da portare in archivio. Ma il bello era che tutto quello non lo toccava
minimamente. Guidava tranquillo, come se niente fosse... Percorreva la strada
che ormai conosceva come le sue tasche, una strada che per cinque anni aveva
percorso ogni mattina - Ecco Federico che prende la prima a destra, poi mette
la freccia - cambia la marcia e aumenta la velocità, raggiunge un altro
semaforo e si ferma. Trenta secondi e riparte, ed eccoci qua signore e signori,
siamo arrivati all'Ospedale. Ora non resta altro che girare a sinistra e
prendere per gli uffici.
Arrivato lì, parcheggiò la
Lancia nel suo posto assegnato (per evitare perdite di tempo,
i parcheggi erano assegnati a seconda dell'ufficio a cui l'impiegato
apparteneva). Da lì, poteva vedere attraverso il parabrezza l'imponente
parallelepipedo finestrato che era l'amministrazione centrale. Il potente
motore diesel della K ronfava sommessamente, e lui aveva ancora il piede sulla
frizione. Guardò il parallelepipedo. Il parallelepipedo guardò lui.
Avanti Fede... che aspetti a scendere da quel veicolo e venire a toccarmi la
fessura con la tua tessera magnetica? Io ti sto aspettando...
Federico ebbe un sussulto di spavento, al pensiero di quella dannata macchina
marcatempo che gli avanzava proposte oscene di “timbrare il cartellino”.
All'improvviso sentì ancora più pesanti quei cinque
anni trascorsi troppo in fretta, proprio come la canzone che stava finendo in
quel momento.
***Chi è assicurato, chi è stato multato
chi possiede ed è avuto, chi va in farmacia
chi è morto di invidia o di gelosia
chi ha torto o ragione,chi è Napoleone
chi grida "al ladro!", chi ha l'antifurto
chi ha fatto un bel quadro, chi scrive sui muri... ***
Mise una mano sulla leva del cambio, e ingranò la retromarcia. Sul quadro
strumenti, apparve una "R" che segnalava la marcia inserita. Guardò
l'orario. 7.50. Dieci minuti.
"Basterebbe soltanto che io sollevassi il piede dalla
frizione e facessi dietrofront. Poi da lì... tornare a casa, fare le
valigie, andare all'aeroporto e partire senza mai più tornare... Un viaggio
lungo una vita intorno al mondo, senza pensieri... senza più nulla di cui aver
paura..."
Lentamente il suo piede sinistro alleggerì la spinta sul pedale della frizione,
e la macchina iniziò lentamente ad indietreggiare....
***...chi reagisce d'istinto, chi ha perso, chi ha vinto
chi mangia una volta,chi vuole l'aumento
chi cambia la barca felice e contento
chi come ha trovato,chi tutto sommato
chi sogna i milioni, chi gioca d'azzardo
chi parte per Beirut e ha in tasca un miliardo ***
Giusy Ferreri sembrava addirittura incitarlo dalla radio. Sembrava
dirgli "fallo, Federico... fallo e non te ne pentirai. Hai ancora
tutta la vita davanti, e la parte che non ti è stata imposta da tuo padre, puoi
gestirtela a tuo piacimento. Vuoi andare a trovarti una ragazza? Vai. Vuoi
forse trovarti un ragazzo? Vai. Basta che tu vada, e tutto
andrà bene."
Per contro, la sua parte razionale, si mise a strillare all'impazzata nella sua
mente.
"Oh sì, certo! Dai pure retta
alla tua parte Hippy, stupido idiota! Ti avverto solo che se fai dietrofront,
la prima cosa che ti becchi è una denuncia per abbandono del posto di lavoro;
Senza contare che se oggi che decidi di andare a rinfrescarti il pisello e
dall'ospedale sparisce un computer o un macchinario, la prima persona che
incolperanno, indovina chi sarà...? Bravo, vedo che
hai capito. Quindi ingrana la prima, spegni il motore ed entra in quel cazzo di
ufficio!!!!!!!"
***chi è stato multato, chi odia i terroni
chi canta Prévert, chi copia Baglioni
chi fa il contadino, chi ha fatto la spia
chi è morto d'invidia o di gelosia
chi legge la mano, chi vende amuleti
chi scrive poesie, chi tira le reti
chi mangia patate, chi beve un bicchiere
chi solo ogni tanto, chi tutte le sere nanananananananana
Ma il cielo è sempre più blu uh uh,
uh uh,
ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh, uh uh..***
Digrignando i denti, rabbioso, frustrato e incazzato con sé stesso, ingranò la
prima, accelerò paurosamente e rimise a posto l'auto, mentre la canzone finiva.
Poi tolse velocemente le chiavi dal blocchetto d'accensione, e chiuse gli occhi
per un momento, massaggiandosi le tempie. La testa gli faceva leggermente male.
Mentre era in quello stato di trance, sentì bussare al suo finestrino. Trasalì.
Due file di denti con un apparecchio e un paio di occhi azzurri, semicoperti da
un ciuffo biondo, gli sorrisero.
-Yuliy...-
-Buongiorno, Federico.-
Lui scese dall'auto, e chiuse lo sportello. Avrebbe voluto dirgli che era
contento di vederlo, ma non riuscì a proferire parola. La testa gli faceva
male. Si toccò la tempia, strizzando gli occhi in una smorfia di dolore.
-Uhmf...-
-Fede? Cos'hai?-
chiese l'infermiere, toccandogli la testa e
gentilmente avvicinandolo a sé. Lui s'irrigidì, e Yuliy
si ritrasse, contraendo le sue labbra in un leggero broncio di dispiacere.
-N..non lo so, forse un po' di mal di testa.-
Mormorando un "oh", visibilmente preoccupato, Yuliy
prese gentilmente il braccio di Federico, e lo accompagnò.
-Vieni con me in infermeria. Ti darò qualcosa che ti aiuterà.-
Stranamente, si sentì sollevato da quella persona. YuliyThymoshenko, sempre lo stesso infermiere,
ma gentile come sempre. Questa volta non lo respinse bruscamente. Si
sarebbe lasciato portare in infermeria tranquillo e pacioso,
senza protestare. Yuliy si sentiva al settimo cielo. Sottobraccio al
suo Fede, anche se solo per pochi metri...
"Sembriamo due fidanzatini."
Pensò, mentre lentamente si avviava con lui verso la porta a vetro offuscato
dell'infermeria.
Il messaggio registrato della risponderia automatica della ASL di Como
ripeteva "ASL Como - I nostri operatori sono momentaneamente occupati
Gli studi televisivi erano appena dietro l'angolo, appena
usciti dalla bocca del Metrò. Saltellando, Andrea raggiunse il cancello
d'entrata, salutò gioviale il portinaio (che non lo degnò neanche di un saluto,
troppo immerso nella lettura di un libro), poi percorse il lungo tratto
asfaltato che portava all'ingresso, dove salutò la guardia giurata all'entrata,
e varcata la porta a doppio battente, si fermò al banco della reception. Lì,
bella come il sole, c'era Silvana, la receptionist del turno di mattina. Era
una bella ragazza bionda e molto gentile, che aveva un debole segreto per
Andrea, non sapendo che il ragazzo fosse omosessuale più che convinto e però
frenandosi sempre perché era fidanzata.
-Ciao bellissima, come vanno le cose?-
-Buongiorno, Andrea! Benissimo, direi... e tu? Sei pronto?-
-Prontissimo! Dov'è che si fanno i provini?-
-Al terzo piano, dove c'è lo studio di registrazione.-
-Grazie mille! Vado!-
Trotterellando, prese le scale, salendole con leggerezza... quindi prese il
corridoio a destra del terzo piano, e si mise ad aspettare davanti alla porta
chiusa.
*****
-Il prossimo.- -Uff... che palle... questi sono uno peggio
dell'altro... Ma si può sapere chi ce li fornisce?-
-che lavoro di merda...-
Dopo un centinaio di candidati, distribuiti in una settimana, i selezionatori
erano particolarmente esausti. Vedere ogni giorno un candidato era una rottura
di scatole, specialmente se il candidato in questione non sapeva tenere viva la
loro attenzione. Erano in tre: Uno era un grassone che portava un paio di
occhialini troppo piccoli, che si aggiustava sempre la cravatta; Un'altra era
una donna ossuta e dal volto cereo, con le labbra imbrattate di uno
sgargiantissimo rossetto, che se fosse stata ad una corrida, il toro l'avrebbe
incornata; l'ultimo era un vecchietto con la barba, vestito come un professore,
con una giacca spigata ed un farfallino color azzurrino ambulatorio.
-Questo che arriva è l'ultimo?- -Uhmm... no... mi pare che sia il penultimo.-
-Che palle...-
Disse il grassone per ultimo, tastandosi l'enorme addome, affamato. La donna
pensò di aver voglia di una sigaretta, però l'ultimo candidato era già entrato,
accompagnato da un assistente di scena. Andrea entrò sicuro di sé, sorridente e
tranquillo. I tre lo squadrarono, torvi. Senza lasciarsi intimidire, lui salutò
educatamente.
-Salve. Sono qui per il provino.-
-Bene, allora vada a sedersi lì e ci legga le notizie sul foglio.-
Andrea obbedì, si sedette ed incominciò, come gli aveva suggerito Dante.
Lentamente...
-Buongiorno.. telespettatori... e benvenuti a
questa... edizione del Telegiornale. Apriamo con una... notizia...-
-Stop. Grazie così, è sufficiente.-
-Ma... non ho ancora letto la prima notizia.-
Protestò Andrea, ma quelli non gli diedero retta.
-Le faremo sapere. Arrivederla.-
Incredibile notare come la sua espressione cambiò, da lucente ad umbratile. Il
suo viso in quel momento era come un cielo d’estate, prima riscaldato dal sole
e poi improvvisamente rannuvolato. Si alzò lentamente dalla sedia, e non
capendo bene dove avesse sbagliato, si diresse verso la porta. Lì fuori, c’era
Dante, che senza nemmeno salutarlo, entrò dopo di lui. Andrea si girò, e da
dietro vide il suo provino.
Se la cavò benissimo, tanto che i selezionatori gli dissero subito che era
assunto. Quello fu come una mazzata nei testicoli per Andrea, che digrignò i
denti e sbatté la porta. Dalla sala registrazioni, Dante pensò “Ti ho fregato, povero imbecille”.
A grandi falcate, Andrea percorse il corridoio del terzo piano. Lì incontrò
Marika, una delle colleghe della redazione.
-Ehi ciao Andrea, dov’è che vai così in ghingheri?-
-Al mio funerale.-
interdetta, la ragazza pensò bene di non chiedere
oltre.
Arrivato al piano terra, percorse velocemente l’atrio senza nemmeno salutare
Silvana (che in quel momento era impegnata a parlare al telefono), per poco non
sbatté la porta sul naso alla guardia giurata e tirò un calcio alla sbarra, che
vibrò, beccandosi un impropero da parte del portinaio
che stava nel gabbiotto.
Salito sul Metrò, si diresse a casa. Lì, entrò e si buttò sul letto, piangendo
a dirotto. Aveva imparato la prima lezione fondamentale del mondo del lavoro,
una lezione che non si impara in nessun corso di laurea: Mai fidarsi delle
soffiate dei colleghi.
*****
Appena svegli dopo la loro notte, Stefano e Marco si stavano rivestendo. Si
erano detti soltanto “Buongiorno”, e nient’altro. Ad un certo punto, fu Stefano
a rompere il silenzio.
-Allora? Cosa fai oggi, torni a cena?-
-Uhm.. No. Ho un appuntamento con la mia collega Micaela. Me l’ha chiesto ieri.-
-Ah, capisco… Io sarò all’Università.-
-Bene.-
-Marco..?-
-Sì…?-
Marco si stava mettendo i pantaloni. Stefano notò che nonostante l’altezza, era
molto carino. Era uno di quei classici ragazzi che se li vedi normalmente
possono apparire insignificanti, ma una volta tolti i vestiti, si trasformano
in angeli. Arrossì lievemente.
-Ti… ti è piaciuto, questa notte?-
-Considerato che non abbiamo fatto nulla di carnale… Direi di sì.-
Ridacchiarono entrambi, insieme. Poi Marco, mentre si infilava la camicia,
parlò.
-Tu sei fidanzato con Andrea.-
-Sì, ma… lui mi ha urtato.-
Lentamente, Marco si avvicinò a Stefano, e gli posò una mano sulla guancia.
-Stefano… non è andando a letto con me che risolverai
il tuo problema. Anzi, magari ti verranno anche dei sensi di colpa. Ora ti dico
io cosa fare. Lasciamo che questo episodio finisca così. Eravamo entrambi
ubriachi, e … come due amici che si vogliono bene, abbiamo fatto quello che
abbiamo fatto… Però… Sappi che non ha certo risolto la situazione. Mi capisci?-
Stefano fece di sì con la testa, sospirando… Quand’era stata l’ultima volta che
Andrea si era comportato così dolcemente? Anzi… chi era stato l’ultimo uomo su
questa terra a comportarsi dolcemente con lui? Pensò che Emanuele fosse
fortunato ad avere un ragazzo così al suo fianco.
-Sei… sei molto saggio, Marco.-
-Anche tu, quando vuoi. Eheheh!-
-Va bene… allora… magari telefonerò ad Andrea, più tardi…-
-Bravo, fai così.-
Fece per andarsene, ma sulla soglia della porta, si fermò di nuovo. Marco si
era seduto sul letto e si stava infilando i calzini.
-Marco?-
-Dimmi.-
-Sai che… Ecco… non avevo mai fatto l’amore così. Tutti quelli che mi hanno
portato a letto volevano sentire l’orgasmo… invece tu… Mi hai coccolato…
Grazie. Era da tempo che non lo facevo più… Mi sono sentito tornare bambino per
un attimo.-
Incerto su che cosa rispondere, a Marco tornò in mente quando da piccolo
dormiva abbracciato ad Andrea per delle notti intere, anche durante il periodo
delle scuole medie, quando l’amico gli confessò di essere omosessuale. Per
Marco, reduce della separazione dei suoi genitori, avere un amico così
affettuoso che l’aveva sempre protetto anche dai bulli della scuola, era sempre
stato un tesoro. Però col tempo e con le circostanze, i momenti di coccole si erano
parecchio ridotti… Ed era felice di averlo rifatto con Stefano dopo così tanti
anni.
-Anche io, Stefano… anche io.-
Sospirando, Stefano salutò ed uscì dalla stanza, chiudendo la porta. Rimasto
solo, Marco lo udì che usciva dicendo “Ci vediamo più tardi, forse!!!” e chiudeva la porta.
Più tardi, Marco sarebbe uscito per comprare un regalo a Micaela.
*****
-Oggi??? Ma sei sicura???-
-Sì signore. Questo Professor Malaguti ha telefonato chiedendo di visitare
l’azienda. E’ un inviato dell’Ispettorato del Ministero del Lavoro.-
-Cazzo…-
-Sono desolata. Ha detto che siamo tenuti a fargli vedere come lavoriamo.-
-Ha dato degli orari?-
-No signore. Ha detto che sarebbe stato qui nella giornata di oggi.-
-Capisco. Vai pure.-
Il dottor Freschi era il capo filiale della V-Services
Trasporti. Per anni aveva fatto il commerciale, vendendo piani spedizioni anche
a chi non faceva mai consegne. Con un po’ di anni d’esperienza era riuscito a
baciare le chiappe più in alto nella gerarchia ed era diventato capo filiale.
Per colpa di una donna, una sua sottoposta di quando era capo commerciale
interno, aveva rischiato il licenziamento, ma essendo stato più astuto, era
riuscito a far degradare immediatamente la donna e a mandarla nell’ufficio
spedizioni, a copiare numeri ed indirizzi su un videoterminale. Non ricordava
nemmeno il nome, di quella sciagurata che aveva avuto l’ardire di
schiaffeggiarlo… Ma poco importava.
Ora era in ballo la salute della filiale. Se l’ispettorato del lavoro avesse
visto come si comportavano gli impiegati, era finita. Non c’era nemmeno tempo
di diramare un annuncio, che sicuramente sarebbe stato preso male… Cercò di
pensare a tutte le probabili persone che potevano mandare lì una disgrazia del
genere. Non gli venne in mente nessun nome, o forse gliene vennero in mente
tanti… Se si fosse tenuto un sondaggio d’opinioni tra gli impiegati della V-Services, e se quel sondaggio fosse finito in mano
all’Ispettorato del Lavoro, l’azienda sarebbe finita sui giornali come la
peggiore azienda in relazione alla felicità dei propri lavoratori.
“Se becco chi cazzo è stato a mandare un ispettore del lavoro
qui, così inaspettatamente… giuro che me la paga. Me
la paga cara.”
Pensò Freschi, appoggiandosi ai braccioli della comoda poltrona e asciugandosi
le perline di sudore che gli colavano dalla fronte.
Il messaggio registrato della risponderia automatica della ASL di Como
ripeteva "ASL Como - I nostri operatori sono momentaneamente occupati
"Interroghiamo... interroghiamo....
Tu. Vieni qui."
"..."
"Su, dai non essere timido. Non dirmi che non hai
studiato nemmeno oggi?? Vai a posto. E portami il diario."
"Ahahahah!!"
...Immagini confuse, irreali...
"Mangi troppo e studi poco!" "Non è vero... smettetela di prendermi in giro!
Cattivi!! Cattivi!!!"
...Come in un cinema all'aperto, che proiettava il
film più spaventoso: La sua vita.
"Uscire con te...?Ma ti sei
mai visto allo specchio?" "E tu questa me la chiami pagella? Devi
ringraziare soltanto che sai bene le lingue, per il resto fai schifo..." "Ma quando cresci? Non vedo l'ora di vedere che
cosa diventerai da grande... E farmi quattro risate."
...E proprio come un film finisce, anche la sua
dissertazione onirica stava per finire.
"Congratulazioni, signor Mantelli. Lei è assunto
presso questo ufficio, lavorerà all'Ufficio Beni Economali,
sotto la guida del dottor Vigliotti."
"Come ti chiami?"
"Federico Mantelli."
"Oh, bene bene...
benvenuto figliolo. Io sono il dottor Giuseppe Vigliotti,
ti aiuterò a gestire al meglio il posto che diventerà tuo. Non sarà difficile,
ti basterà un po' di memoria e... un pizzico di fantasia, ed imparerai tutto
ciò che so."
"G...grazie, dottor Vigliotti." "Ah, ah, ah! Lascia perdere il dottore e chiamami
pure Beppe." "eheheh! Va bene, Beppe."
"Al lavoro!"
...In vita, l'avevano sempre deriso, finché lui non
si riebbe, quando il Padre Padrone lo esiliò a Como, con un concorso pubblico
per impiegato amministrativo Categoria C...
Il sonno era stato lungo ed ininterrotto, fino al momento in cui Federico sentì
la sua mano addormentata formicolargli. Aprì gli occhi lentamente, e si ritrovò
nel suo ufficio. Si rimise a sedere composto sulla poltrona, si strofinò gli
occhi e si aggiustò gli occhiali, che a causa della prolungata permanenza sul
duro cuscino di noce della sua scrivania, gli avevano leggermente lacerato il
naso. La porta era chiusa, per fortuna. Pensò a chissà quanti
suoi colleghi dormivano in orario d'ufficio, e provò vergogna per
essersi addormentato anche lui... Oltre alla vergogna, provò anche un senso di
tristezza, un inspiegabile groppo in gola che gli era venuto... Bevve un
bicchiere d'acqua dalla bottiglia che teneva vicino alla scrivania, accanto al
computer... Ricordare la sua vita gli faceva sempre male... Cercava di fuggire
dai ricordi immergendosi nel lavoro, ma ogni tanto questi tornavano, sotto
forma di brutti sogni...
-Non dare loro ascolto, figliolo... sono solo sogni, niente di più.-
La voce era quella del Dottor Vigliotti, o
"Beppe", come si faceva chiamare... Ma non era possibile che fosse
lui. Era morto da tre anni... Federico buttò lo sguardo verso la sua scrivania.
Era deserta, e sopra non c'erano molti oggetti, solo un set da tavolo, due
penne e il vecchio telefono a disco. Gli venne da piangere. Oltre ad Emanuele e
Yuliy, il dottor Beppe era stato una specie di nonno
clemente con lui... gli aveva insegnato come diventare custode di tutte i beni
dell'ospedale e gli aveva restituito un pizzico di fiducia in sé stesso...
Restò a guardare la scrivania, e lo vide lì, con l'immancabile giacca con le
toppe sui gomiti, il gilet marrone e il farfallino verde scuro... Intento a
compilare registri... a contattare fornitori, a fare battute al telefono con
tutti. Una specie di comico vestito da professore.
Quando Federico ebbe la notizia che si era spento in una notte a causa di un'infarto, si sentì come se gli
fosse morto un parente. Avrebbe compiuto sessantotto anni a Marzo, ma
evidentemente anche il buon Dio lassù aveva bisogno di un così gioviale inventarista. Ma forse, il buon Dio aveva voluto
accontentarlo...
-Ti voglio confessare un segreto, figliolo...-
"Figliolo". Lo chiamava sempre così, qualche volta facendolo
vergognare, ma il più delle volte lusingandolo.
-Cosa, Beppe?-
-Vedi... ho una paura matta di andare in pensione. Sai perché?-
-Perché?-
-Andare in pensione è un modo elegante per mettere da parte qualcosa che non
serve più. Come quando cancelli un telefono che non funziona dai registri
inventariali.-
-Oh...-
-Solo che per gli umani che non lavorano più, viene usata la causale
"Pensione". Ti sembrerò matto così dicendo, figliolo... heheheh! Però... è la dura verità. Ho paura di essere
catalogato come un pensionato, il pensiero di svegliarmi la mattina e non avere
nulla da fare... mi spaventa.-
-Mio padre dice sempre che la pensione è importantissima, e che lui ha fatto un
sacco di sacrifici per raggiungerla.-
-Bah! Frottole. Solo frottole. Cerca di lavorare il più possibile, nella tua
vita... Non c'è niente di peggio che sentirsi inutili, in questo crudele mondo
d'oggi.-
E così era stato. Nonostante il lavoro fosse monotono, ripetitivo,
automatico... era diventato per Federico una droga ed una specie di rivalsa da
tutte le angherie che aveva subito nel corso degli anni. Sospirò, tenendosi la
testa con le mani, respirando profondamente.
All'improvviso, qualcuno bussò alla porta. Lui ebbe un tuffo al cuore.
-A..avanti!-
La porta si aprì, rivelando la figura di Yuliy con la
divisa verde da infermiere e la giacca.
-Ciao.-
Gli sorrise, agitando la mano.
-Ero venuto a vedere come stai. Va meglio con il
medicinale che ti ho dato?-
Federico si alzò dalla poltrona, annuendo.
-Va meglio, però forse era un po' forte... mi sono appisolato per tre quarti
d'ora...-
-Oh... Si vede che avevi bisogno di dormire.-
-Sì, ma...-
Sospirando, Federico si appoggiò alla scrivania, portandosi le mani agli occhi.
Tutti quei pensieri gli avevano fatto male, e sentì delle lacrime fuoriuscirgli
dagli occhi, senza che lui potesse controllarle. Immediatamente, Yuliy chiuse la porta e si avviò verso di lui, cingendogli
la spalla con un braccio.
-Fede... cosa c'è, perché piangi?-
Mugolò, scuotendo la testa, non volendo rivelare nulla.
-Coraggio, parlamene. Non lo dirò a nessuno, te lo prometto. Ti puoi fidare di me.-
Come una tartaruga che lentamente tira fuori la testa dal guscio, Federico
scostò le mani dal viso, e incontrò il ciuffo di capelli biondo miele di Yuliy, ed i suoi occhi azzurri. Di nuovo, come la mattina, le
sue labbra erano contratte in un lieve sorriso, che lasciava intravedere di
poco l'intelaiatura metallica dell'apparecchio per i denti che il ragazzo
portava. Gli prese le mani nelle sue, e lo incitò a parlare.
-Ho.. ho fatto dei brutti sogni, mentre dormivo.-
-Oh... Cos'hai sognato?-
Velocemente, gli raccontò il diario di una vita passata, risvegliatasi nei suoi
sogni... La sua voglia di cambiamento, di viaggiare... il suo desiderio di non
diventare un manichino che lavorava e basta... In quelle parole, ancora una
volta Yuliy vide un ragazzo fragile, imprigionato in
una ragnatela che lui stesso si era creato... che fino ad
allora non gli aveva dato problemi, ma che dopo aver conosciuto
Emanuele, aveva iniziato a stargli stretta. Yuliy lo
ascoltava, annuendo di tanto in tanto, stringendogli le mani... e lui non si
ribellava, benché fosse un ragazzo... Provò ancora più tenerezza.
-Ho conosciuto Emanuele... e mi sembra di aver perso una vita.-
-Fede... lascia che ti dica due parole.-
-Sì?-
-Non hai perso una vita... Sei ancora in tempo per rifartene una nuova. Siamo
padroni del nostro destino, e tu hai tutte le carte in regola per riuscirci.
Conosci quattro lingue, ti piace viaggiare... Ehi, e che ci fa un ragazzo così
in questo posto?-
-Non lo so, Yuliy... non lo so. Questo lavoro mi
serve per vivere, non posso certo tornare a casa da mio padre... Figurati, mi
rispedirebbe qui.-
-Già... Tuo padre... Non credo si possa chiamare padre una persona del genere.-
-Suppongo di no...-
E dopo quella negazione, calò il silenzio. Per romperlo,Yuliy gli propose un'idea.
-Senti, ti faccio una proposta. Vuoi venire a fare una passeggiata sul
lungolago con me, stasera?-
Federico lo guardò stranito.
-Al lungolago? Perché proprio lì?-
-Perché... è un bel posto! E poi di sera è molto suggestivo.-
-Oh... va bene...-
-Vienimi a prendere a casa... fra circa due ore.-
Erano ormai le cinque. Ora di andare a casa. Federico annuì, sorridendo al
giovane infermiere. Quello gli fece l'occhiolino amichevole e prese la porta.
Una volta fuori, si sentì emozionato più che mai, con il cuore a mille. Il suo
primo appuntamento con Federico. Non poteva crederci!!!!
Il messaggio registrato della risponderia automatica della ASL di Como
ripeteva "ASL Como - I nostri operatori sono momentaneamente occupati
Circa alle quattro (mentre Emanuele era seduto sul divano
con una borsa del ghiaccio nuova appena applicata alla caviglia, mentre
Federico stava per addormentarsi sulla sua scrivania in ufficio e mentre Marco
era sotto la doccia per prepararsi ad andare al lavoro), Stefano era in
biblioteca. Leggeva distrattamente un testo di letteratura americana moderna,
svogliatamente. Sospirò, quindi chiuse il testo e si avviò verso il
distributore di vivande, indeciso se prendere una barretta di cioccolato o una
bottiglietta di succo d'ananas. Lo stomaco gli brontolava dalla fame... aveva
voglia di qualcosa di dolce. Infilò la monetina, e al momento della scelta...
"...Ma sì và. Tanto di qualcosa
dovrò pur morire."
Ridacchiò a quel pensiero, mentre dalla macchinetta tirava fuori la barretta di
cioccolato "Snickers", con noccioline e
caramello. Andò a gustarsela tranquillamente, appoggiandosi al muro. Davanti a
lui passarono un ragazzo e una ragazza che si tenevano per mano. La ragazza
ridacchiò ad una battuta del ragazzo (a Stefano pareva che avesse detto "...Una figuraccia che non ti dico. Ha posato il culo sul
corrimano e scivolando per poco non cascava giù dall'altro lato.. che coglione") - probabilmente parlavano di un loro
amico che aveva fatto lo scemo usando lo scorrevole corrimano della facoltà.
Sorrise, ripensando alle cavolate che faceva Andrea per attirare le attenzioni
dei ragazzi in discoteca.
"Anche il mio ragazzo è un coglione... però lo amo."
Come se l'avesse evocato, il suo cellulare si mise a vibrare. Un messaggio. Con
la barretta di cioccolato in bocca, aprì la conchiglia del suo Samsung e lesse
il messaggio, masticando un altro morso dello Snickers.
-Amore sto male vieni presto-
-Oh cazz...!!-
parlando, il pezzetto gli andò di traverso, ed iniziò a
tossire violentemente. I pochi presenti che c'erano si girarono, ed una ragazza
andò da lui posandogli delle pacche sulla schiena, per aiutarlo.
-Coff!!cofff!!!! Cazz!!!-
La ragazza gli offrì di bere dalla sua bottiglia, ma lui cortesemente rifiutò, tossendo
e correndo con le lacrime agli occhi.
*****
Quaranta minuti più tardi, dopo un viaggio in metrò, era già dentro
l'appartamento del suo ragazzo, che era praticamente sconvolto. In lacrime, gli
stava raccontando di ciò che gli era successo, e della sua intenzione di
lasciare il lavoro. Stefano era lì che lo consolava, accarezzandogli la testa
che teneva in grembo, e tenendogli le mani. In quel momento si sentì piccolo piccolo, di fronte al suo
amato Andrea che stava male.
-Perdonami...Perdonami....-
-Cosa, Andrea?-
-Per... per come ti ho trattato quel giorno.-
Stefano scosse la testa, continuando ad accarezzare i morbidi capelli biondi di
Andrea... Il ragazzo era disteso sul divano, e la sua testa era poggiata tra le
sue gambe... Lo guardò negli occhi gialli di Andrea, ricordando come quel
giorno si era messo a piangere... ora i ruoli si erano ribaltati, e Stefano
stava riflettendo se perdonarlo o meno.
-Hmm....-
-Ti prego...-
Poi, Stefano sorrise... debolmente, accarezzando le guance del suo ragazzo. Poi
si chinò lentamente sulle sue labbra e gli regalò un tenero bacio.
-Non ce la faccio a tenerti il broncio, tigrotto.-
Gli sorrise di nuovo. Il suo volto vicinissimo, Andrea
vide una ciocca di capelli rossicci di Stefano che gli solleticava lo zigomo, i
suoi occhi verde smeraldo e il viso sporcato dalle lentiggini... E lo baciò
ancora. Di attimo in attimo si sentiva sollevato, nell'aver ritrovato l'amore
del suo dolce Stefano... E non avrebbe voluto perderlo mai più.
-Resti... resti qui con me, questa sera? Ti preparo una bella cenetta, vuoi?-
Di nuovo, Stefano gli sorrise dolcemente, e lo baciò
ancora, con più entusiasmo, tenendogli le guance fra le mani.
-Sì... sì, amore mio... tutto quello che vuoi, amore
mio.-
E restarono lì, per il resto del pomeriggio, a farsi coccole e a scambiarsi
baci, guardando la televisione... come non facevano da molto, troppo tempo.
*****
"Tutto va per il meglio"
Pensò Marco, sorridendo in uno di quei pochi momenti di calma mentale che
raramente aveva avuto nella sua vita. L'altezza di un adulto poco cresciuto, un
misero metro e sessantotto, era uno dei tratti della sua personalità che ogni
tanto gli dava dei complessi, ma che gli piaceva quando guardava i monumenti di
Milano, così imponenti... grandi... La prima sensazione di essere piccolo gli
venne quando Mamma e Papà, allora sposati, lo
portarono a vedere la
Mole Antonelliana, a Torino (città dov'era nato, ma che non
l'aveva visto crescere, a causa dell'improvviso trasferimento di suo padre
nell'inquinata Milano). Insieme a loro due, e circondato dalla bellezza del
Centro Storico, si sentì il bambino più fortunato del mondo. Essere
bassi portava molti svantaggi, ma indubbiamente vi erano anche delle
cose belle: Ad esempio poteva sentirsi ancora bambino, andare sulle altalene
per bambini, giocare a pallone con loro senza dover subire delle
discriminazioni d'altezza... poteva infilarsi tra la folla senza problemi e
ritagliarsi un angolino privato quando i trasporti pubblici erano
sovraffollati. Ora era in Piazza Duomo, ad ammirare come sempre la bellezza
della chiesa, l'artisticità delle guglie che
svettavano nel cielo limpido e terso di fine Novembre... Sorrise. In mano
reggeva una busta, dove c'era un regalino per Micaela, una specie di piccolo
bonsai fatto di fili di rame, che rappresentava un melo. Fra poco l'avrebbe
vista al lavoro, e sicuramente gliel'avrebbe dato in bagno, di nascosto dagli
occhi biechi dei loro colleghi... Poi sarebbero usciti a cena.
"Il mio primissimo appuntamento con una ragazza... Beh... insomma... Una
ragazza un po' cresciuta, ma sempre una ragazza."
Ridacchiò divertito al pensiero che lei avrebbe potuto baciarlo a fine serata, ma subito lo scacciò, ricordando che a lui
piacevano comunque i ragazzi. Diede le spalle al Duomo, come per dire "Hasta la vista", e sparì nella bocca del metrò.
Erano le quattro e quarantacinque, ovvero quindici minuti prima
dell'inizio del turno giornaliero di Micaela e Marco e tutti i loro colleghi
Erano le quattro e quarantacinque, ovvero quindici minuti
prima dell'inizio del turno giornaliero di Micaela e Marco e tutti i loro
colleghi. Non possedendo un'auto, Micaela usava sempre i mezzi pubblici (tranne
il metrò perché soffriva di claustrofobia ed era per questo costretta ad usare
mezzi viaggianti in superficie), e dalla fermata dell'autobus fino alla sede
della V-Services c'era un bel pezzo da fare a piedi,
circa un chilometro buono. Camminando, si guardò intorno, pensando a tante
cose... al suo passato con Vincenzo e sua figlia, al presente con quello
schifoso lavoro part time da cui non si staccava.. a Marco, il suo giovane collega, un ragazzo raro di
quelli che vanno scomparendo.. non bellissimo ma con una bellezza interiore che
avrebbe potuto avere qualunque donna sulla faccia della terra... ma
sfortunatamente omosessuale. Ridacchiò tra sé, mentre camminava...
"Se tutti gli uomini etero fossero gentili come lo sono gli omosessuali
con noi donne... forse non ci sarebbero così tante donne come me, abbandonate
di fronte ad un mondo schifoso e costrette a fare la
faccia dura a chiunque provi ad avvicinarsi a loro..."
Intorno a lei, gli alberi piantati sulla via si misero a sussurrare in uno
stormire di fronde, come se ridessero anche loro.
-Già... devo averla detta proprio grossa, la cazzata... faccio ridere solo gli
alberi.-
Camminando camminando, le venne da chiedersi cosa
stesse facendo Sara in quel momento. Stava forse disegnando altri figurini?
"...Chissà se si trova bene in quella casa produttrice
di moda? Un giorno o l'altro dovrò andarla a trovare... magari per Natale."
Tutta sua madre... fin da bambina era sempre stata intraprendente, desiderosa
di ottenere in fretta ciò che voleva. Micaela pensava che sarebbe diventata
un'ottima commerciale, fino a che non si accorse che era molto più brava nel
disegnare i vestiti...
"...e fino a che tu non ti sei allontanata da me,
dicendomi che andavi a Miami a lavorare per una casa di moda... allora di
inglese sapevi poco e niente, ma la tua voglia di imparare ti ha portata dove
non avresti mai immaginato... Sono così orgogliosa di avere una figlia come
te... E non te l'ho mai detto... Micaela Redaelli, la
spavalda donna che riusciva a vendere frigoriferi agli eschimesi e forni agli
africani, che ha paura di dire una cosa così bella a sua figlia. Forse sono
sempre stata invidiosa di te, figlia mia... Tu almeno non sei stata presa così
a calci dalla vita come lo sono stata io... Spero che un giorno ci potremo
ricongiungere."
Ma ora non era più tempo per i monologhi di depressione della sua mente... Ora
era tempo di lavorare. Anche per oggi si sarebbe fatta le sue cinque ore e poi
se ne sarebbe andata a casa, aspettando un altro giorno.
Avvicinatasi ai cancelli d'ingresso, si scontrò con una donna che stava uscendo
in tutta fretta dalla V-Services, e le fece cadere un
mucchio di fogli dalla cartella che portava. Istintivamente, entrambe si
chinarono, Micaela aiutando a raccogliere i fogli alla donna, e scusandosi.
-Oh, mio dio... mi dispiace, mi scusi...-
-Non... non fa niente, si fig....-
Poi, gli occhi dell'altra donna, si illuminarono, e anche quelli di Micaela,
nel riconoscerla.
-Lorella?!- -Michi!?!-
-Ma sei proprio tu???-
-Quarta B, Istituto Tecnico Enrico Fermi! Sì, sono proprio io!-
-Tesoro, che piacere rivederti! Ma cosa ci fai qui?-
-Ero venuta per un controllo. Sai, adesso faccio l'ispettrice del lavoro.-
Improvvisamente, Micaela si rabbuiò, contraendo la bocca in una smorfia
preoccupata... Come un coniglietto spaventato che viene stanato dal lupo. Un
brivido le corse lungo la schiena, e si sentì un capogiro. Lorella la guardò
con aria interrogativa.
-Michi? Stai bene?-
-Oh.. io... sì... ho avuto solo un leggero capogiro.
Ogni tanto mi succede.-
-Ah, forse dovresti farti vedere da un medico. Senti, perché ogni tanto non
vieni a trovarmi al lavoro? Mi farebbe piacere prendere un caffé
insieme, e magari ti faccio anche fare una visita dal nostro medico
convenzionato.-
La donna le fece l'occhiolino, cordiale, e Micaela rispose con un largo sorriso,
avvertendo però una strana sensazione di disagio. Si alzarono entrambe dal
vialetto cementato, Lorella diede un biglietto da visita a Micaela (che lei
mise frettolosamente via nella borsetta) quindi si abbracciarono e si
salutarono.
*****
Dalle finestre, il Dottor Freschi aveva visto tutto. Se non fosse stato
accecato dalla rabbia, avrebbe sicuramente pensato che la sua lavoratrice,
Micaela Redaelli e la dottoressa Lorella Spaziani erano soltanto ex compagne di scuola, oppure
vecchie amiche che si incontravano per la prima volta dopo tanti anni. Ma
sfortunatamente, pensò tutt'altro. Andò all'interfono e chiamò la portineria.
-Mandatemi immediatamente la Redaelli su in ufficio.-
Cercando di ignorare ogni sua sensazione malevola sulla presenza di un'ispettrice
del lavoro alla V-Services, salutò allegramente le
tre impiegate alla reception.
-Ciao ragazze, anche oggi qui? Ma uscite, siete così giovani, c'è una bella
giornata, fuori!-
Le ragazze ignorarono quasi il suo commento, come se le avesse offese
pesantemente, continuando imperterrite a scrivere alla tastiera. Poi una di
queste si alzò dalla poltrona e disse, fredda
-...Potresti andare di sopra? Il dottor Freschi ha
bisogno di parlarti.-
A quel punto, ogni precedente sensazione di disagio si amplificò in Micaela. Le
venne la pelle d'oca, e di nuovo un capogiro. Nonostante questo, cercò di
mantenere i nervi saldi e disse, sorridendo debolmente
-Certo. Vado subito.-
*****
Alle cinque meno dieci, le porte dell'azienda si aprirono, e da lì ne uscì
Micaela. Camminava come una bambolina, muovendo le labbra a dire cose senza
senso, totalmente a random. Si guardava intorno,
cercando qualcuno, un punto di riferimento, una persona... un aiuto
qualsiasi... ma non trovò nessuno.
-Licenziata....-
E nella sua mente ripercorreva tutte le tappe del colloquio di licenziamento,
con il dottor Freschi che appariva un freddo boia, che serbava rancore nei
confronti di quella stronza che l'aveva schiaffeggiato... Non sapeva nemmeno
perché, ma Micaela non era riuscita a rispondergli colpo su colpo. Quella frase
detta da Freschi, "Tu da oggi non lavori più qui,
vattene a casa", l'aveva destabilizzata pesantemente. Percorse tutto il
viale a ritroso, e poi ancora, e ancora, fino a ritrovarsi in una zona
residenziale. Attorno a lei, i palazzoni assumevano una luce tetra e
minacciosa, e lei sentiva paura. Biascicò un "Mamma
dove sei mamma", completamente incapace di orientarsi o di fare un punto
della situazione. Era stata buttata fuori, ed il mondo le era crollato addosso.
Tutto per aver salutato una vecchia amica. Micaela aveva tentato di dirgli che
non era come pensava, ma Freschi era stato sordo.
Nel giro di venti minuti, aveva percorso buona parte del tragitto fino a casa,
quasi perdendosi. In condizioni normali le sarebbe bastato chiedere ad un
passante per la più vicina fermata dell'autobus o del tram, e da lì sarebbe
riuscita a ritornare a casa... ma Micaela non era in condizioni normali. Era
come... una sonnambula.
*****
Nello stesso momento, poco lontano, Costantino Recca
era alla guida del suo tassì. Come se nulla fosse, stava parlando al cellulare,
litigando con la moglie...
-Miiinghia, ma allora sei proprio scema! Ti sto
dicendo che se l'idraulico non viene, non è che ci posso fare niente io!!!-
Parlava in siciliano, la sua lingua d'origine, quando ad un certo punto si
prese uno spavento colossale: Una donna in tailleur blu stava attraversando
senza guardare la strada, ed era proprio a pochi metri da lui.
-BEDDA MATRI!!!!!!!!-
Istintivamente, Recca lasciò cadere il telefono,
pigiò forte sul pedale del freno della sua Volvo, ma questo non servì ad
evitare l'impatto. La donna in tailleur volò sul suo parabrezza, provocando una
crepa. Al culmine della paura, il povero tassista cercò il telefono, senza mai
staccare gli occhi dalla donna, che adesso stava sanguinando dalla bocca, e un
rivolo rosso stava sporcando il parabrezza.
Lì intorno intanto si era radunata una piccola folla di curiosi, e altri
automobilisti si erano fermati. Recca scese, e vide
un uomo che scendeva da una Volskwagen, facendosi
strada tra la folla.
-Lasciatemi passare, sono un medico.-
-Oh mio dio, oh mio dio... mi ha attraversato davanti, non ho fatto in tempo
a...-
Ignorando il tassista, Il dottore andò verso la donna, e le tastò il polso.
-E' ancora viva. Qualcuno chiami un'ambulanza, presto.-
Micaela era ancora semicosciente, e se non avesse avuto quel dolore lancinante
che si irradiava per tutto il corpo, avrebbe pianto. Per il momento sentiva
solo il sapore metallico del suo stesso sangue ed il freddo del parabrezza
sulla sua guancia. Il medico cercò di adagiarla il più cautamente possibile sul
marciapiede, mentre sentiva sotto la testa uno zaino (forse di qualche
studente) che le veniva prestato come cuscino temporaneo. Poco dopo, arrivò
l'ambulanza, e lei perse conoscenza.
Erano le quattro e quarantacinque, ovvero quindici minuti prima
dell'inizio del turno giornaliero di Micaela e Marco e tutti i loro colleghi
Accoccolato in grembo ad Emanuele, Goriot
si godeva le amorevoli coccole di quello sconosciuto con le dita lunghe, così
diverse da quelle arrotondate del suo padroncino normale, Federico.
-Ti piacciono proprio le coccole, eh?-
Tra un grattino e l'altro, Emanuele guardava un DVD - "Amici
miei", un vecchio film di Mario Monicelli che gli aveva prestato
Federico. Il ragazzo gli aveva telefonato poco prima dicendo che usciva insieme
a Yuliy, l'infermiere... L'aveva anche ringraziato,
anche se Emanuele non sapeva bene perché. I suoi primi giorni in ufficio erano
stati praticamente noiosi, poi era stato messo fuori combattimento dal piccolo
incidente e per tutti quei giorni aveva riflettuto sul suo rapporto con Marco.
Avercelo in casa era doppiamente un sollievo ed una tortura. Quanto gli sarebbe
piaciuto prendere di nuovo il suo ragazzo, baciarlo e fargli l'amore sul
divano... Però Marco non c'era. Era assente, perso nel mondo della pre-laurea... Ora alla laurea c'era bell'e arrivato, ma
allora perché c'era sempre quell'incrinatura nel loro rapporto? Se l'era
chiesto per tutti quei giorni, ma non ne era venuto a capo. Anche se non lo
dava a vedere, era molto preoccupato: ragazzi come Marco non si trovavano
dappertutto, nel mondo gay. Così altruisti, così appassionati e fedeli... Anche
lui un anno prima era stato uno stronzo1, ma era stata solo una
debolezza. Poi era successo quel casino, e da allora aveva capito che Marco
doveva tenerselo stretto. Lui l'aveva capito, ma Marco, giunto ai ventiquattro,
si era sentito in un qualche modo limitato da una relazione fissa. Se avere la
libertà lo faceva stare meglio, d'accordo, così sia. La libertà ce l'aveva, ma Emanuele, di cos'era libero? Altro grattino al gatto, che
continuava a bearsi sotto il tocco delle sue dita... Forse la coppia perfetta è
questa. Un umano ed un felino, e nessun altro.
-...Peccato che non sei un bel ragazzo. Altrimenti
t'avrei già... castigato. Eheheh!-
Come se avesse capito, Goriot alzò il capino e drizzò le orecchie, rivolgendogli un "miaaaooo" di disappunto.
-Eh vabbé, scusa... era una battuta! Ma chi t'ha
fatto così permaloso, a te?-
Questa volta il gatto non rispose, lui invece si limitò a chinarsi e a
baciargli la testa, e quello mosse le orecchie velocemente.
"A proposito di Marco, chissà che starà facendo adesso?"
1: vedi la fiction "Un ragazzo per due"
*****
POLICLINICO S. RAFFAELE.
La stanza dell'ospedale si trovava al diciassettesimo piano. Era praticamente
spoglia, eccezion fatta per la borsetta di Micaela, che se ne stava lì
parcheggiata su una sedia. Se Marco quel giorno avesse preso il solito metrò,
sicuramente sarebbe arrivato in tempo per fermarla, ma purtroppo si era dovuto
accontentare di un'altra linea, che l'aveva fatto arrivare in ritardo. Appena
giunto nella stanza operativa, si era accorto
dell'assenza di Micaela. "Dov'è Micaela?" Aveva chiesto ai suoi
superiori, e quelli gli avevano risposto "Licenziata" ridacchiando
tra di loro. Da lì ne era nata una discussione.
-De Cristina, tu non ti devi permettere in alcun modo di rompere i coglioni,
perché qui comandiamo noi, e facciamo tutte le battute che vogliamo, Chiaro?????-
-Ah sì? Voi siete soltanto due stronzi!-
A quel punto i due si erano alterati, e avevano tentato di picchiare Marco. La
colluttazione non era piaciuta per niente a Freschi, che aveva convocato i due
capi e Marco. Risultato? I due capi se ne sarebbero tornati a lavorare... Marco
invece aveva preso la porta e se n'era andato, dichiarando verbalmente le sue
dimissioni.
-Che mi mandino pure una lettera o mi trattengano lo stipendio. Schifosi
bastardi.-
Queste parole erano uscite dalla sua bocca prima di ripercorrere esattamente il
percorso di Micaela (che tra l'altro non si era allontanata di parecchi metri
dalla sede della V-Services. Aveva visto una folla di
gente riunita accanto al marciapiede, ed una sirena in lontananza. Per poco non
gli era venuto un colpo quando aveva visto chi c'era disteso sul marciapiede,
con la bocca sanguinante... E ora era lì, seduto su una sedia accanto al letto
di Micaela... Non piangeva, ma era molto vicino al farlo.
Lei dormiva... Respirava tranquillamente, era stata curata molto bene al pronto
soccorso, per fortuna non si era fatta molto male. Solo una gamba fratturata e
due costole dell'arcata sinistra. Sua figlia sarebbe stata lì a breve,
avvertita dai dottori... Con un gemito, Micaela si svegliò dal suo sonno.
-Mmm...- -Michi, sei sveglia.- -Ohh... dove ... dove sono?-
-Sei all'ospedale, hai avuto un incidente.-
-Marco...?-
-Sì?-
-Perché non sono al lavoro?-
A quella domanda, Marco la guardò sconsolato, e senza bisogno di aggiungere
alcuna parola, Micaela capì. E fu come morire una seconda volta. Incominciò a
piangere sommessamente, portandosi le mani alla faccia. Ricordava di aver perso
il lavoro, di essere stata licenziata così brutalmente... però ancora faticava
a digerirlo. Marco cercò di consolarla. Le accarezzò delicatamene
i capelli, sussurrandole parole di consolazione all'orecchio...
-Devi essere forte, Michi. E poi quelli erano solo
degli stronzi. Non meritavano una come te.-
-Erano degli stronzi, ma mi pagavano l'affitto!-
Sbottò all'improvviso Micaela, poi fermandosi perché le faceva male il fianco.
Marco fu sconvolto dal dolore per lo sbotto dell'amica, poi si chinò per
abbracciarla, mentre lei piangeva ancora.
-Adesso... adesso come farò...? Io non ho nessuno
qui... nessuno che mi possa aiutare.......-
-Oh, Michi... tu hai me.-
Dicendo questo, Marco le prese la mano, e gliela carezzò.
-Ti aiuterò io, ti ospiteremo a casa nostra e nel frattempo troverai un altro
lavoro. Che ne dici?-
Con gli occhi ancora gonfi di lacrime, Micaela annuì a fatica, asciugandosi un
po' il viso. A Marco venne un'angoscia sconfinata a vedere una donna di
quarant'anni, distrutta così. Ma gli venne rabbia ripensando ai suoi ormai
ex-responsabili ed al capo filiale... Come poteva la gente essere così cinica e
senza cuore? Un altra cosa che si impara nel mondo del
lavoro... che è un mare molto alto, e solo chi sa nuotare bene riesce a
mantenersi a galla, ma chi non sa nuotare... finisce a fondo. Ma c'è anche chi
resta vittima delle circostanze. Stando ai dati dei telegiornali, in Italia il
tasso di disoccupazione sale ogni anno di più, ciò significa che molti altri si
trovavano nella situazione di Micaela. Gli venne in mente il trafiletto di un
articolo studiato mentre ancora studiava all'Università... "Ragazza muore
suicida dopo essere stata licenziata" - Dio solo sapeva quali fantasmi si
erano appropriati della sua mente per farla buttare giù dal terzo piano del palazzo
dove abitava... Ragione di più per tenere sempre sotto controllo Micaela. Non
che dubitasse della sua sanità mentale, ma... le voleva troppo bene per
lasciarla da sola. A tal proposito, Marco le sorrise e le raccontò cos'era
successo quando aveva scoperto che lei era stata licenziata. A fine racconto,
Micaela si mise a ridere, e Marco con lei. La sua risata gaia gli restituì il
sorriso, e lei pensò che forse non era poi così sola
come credeva.
-Ahahahah! Sei un fenomeno, Marco...- -Eheheheh! No, volevo soltanto difenderti..-
-E ti hanno licenziato...- -Vabbé, non era il lavoro della mia vita.-
E le sorrise. Poco dopo lei ritornò seria.
-Forse... forse dovremmo avvertire Sara. Sicuramente non sa che io sono qui.-
Erano le quattro e quarantacinque, ovvero quindici minuti prima
dell'inizio del turno giornaliero di Micaela e Marco e tutti i loro colleghi
Per tutto il tardo pomeriggio, Yuliy
e Federico si erano svagati passeggiando per la città di Como. A sera, si erano
presi un aperitivo in un baretto locale e poi si
erano diretti verso il lungo molo, per guardare meglio il lago nell'atmosfera
della sera.
L'aria era abbastanza fredda, per cui le strade non erano molto popolate;
Federico stava quasi congelando, nonostante il suo pesante cappotto grigio,
mentre Yuliy, abituato a temperature ben più rigide,
riusciva a stare tranquillamente con solo un giubbotto bomber color viola, con
la bandiera italiana disegnata. Ora se ne stavano entrambi appoggiati al
parapetto del molo, nella piccola rotonda finale... Attorno a loro, l'acqua era
una distesa cheta e nera, vagamente minacciosa. Federico ebbe un po' di spavento.
Sembrava di essere immersi nel vuoto. Yuliy gli stava
intanto parlando del suo passato, di quanto era duro all'Università seguire le
lezioni in italiano... Oppure gli parlava dei suoi film preferiti... O della
sua terra, la Russia. E
Federico stava ad ascoltarlo, chiedendosi come mai non gli fosse mai venuto in
mente prima di cercare la sua compagnia.
-...Certo che fa freddo, eh?-
Disse Federico, fregandosi le mani e soffiandoci dentro. Una nuvola di fiato
condensato si levò dalla sua bocca, per poi dissolversi nel nulla. Yuliy lo guardò. In impermeabile, Federico sembrava proprio
un militare russo. Gli mancava soltanto il colbacco e le stellette, poi sarebbe
stato perfetto. Gli occhiali dalla montatura di tartaruga anni '80 gli
nascondevano gli occhi castani... Continuava a tremare, in preda al freddo... Yuliy provò un moto di tenerezza.
-Sì. Abbastanza, direi.-
-Ma tu non hai freddo?- -Eheh. Io sono abituato a temperature ben più basse.-
-Ah, già ... dimenticavo che per te adesso è anche caldo.-
Yuliy annuì, sorridendo. A Federico sembrava quasi
una ragazza. Solo che era un ragazzo... Un ragazzo molto interessante, forse
l'unico fino ad ora che non si era perso a giudicare
il suo corpo e che comunque riusciva a fargli intravedere un po' di luce attraverso
le nebbie del lavoro in cui si era cacciato di sua spontanea volontà. Il viso
di Yuliy era armonico, la bocca un
po' larga e le labbra sottili. Gli occhi azzurri e i capelli medio-lunghi ondeggiavano al vento, e lui ogni tanto era
costretto a mettere delle ciocche dietro le orecchie... Pensò a quante ragazze
poteva piacere... O a quanti ragazzi.
"Ma che cosa vai a pensare, scemo! Cos'è, stai
diventando gay come Emanuele???"
-A cosa pensi?-
Gli chiese all'improvviso Yuliy, facendolo cadere
dalle nuvole. Federico si girò, e le guance erano rosse come due mele mature. Yuliy rise divertito.
-Sembra quasi che ti abbia strappato da una fantasia quasi erotica.-
-Uh.. no, no... stavo solo pensando... Che forse avrei
dovuto chiederti molto tempo fa di uscire insieme.-
-Oh...-
Yuliy fu preso in contropiede. Non sapeva cosa
pensare, di fronte a una tale dichiarazione... Si sentiva felice, e per una certa misura commosso. Mai nessun ragazzo gli era
interessato più dell'insignificante responsabile dell'ufficio Beni Economali, e sentire certe parole uscire dalla sua bocca
furono come una calda carezza in quella sera d'inverno. Resistette all'impulso
di abbracciarlo, quando lui gli sorrise.
Gli aveva sorriso. E se mai i loro destini non fossero andati oltre, Yuliy si sarebbe fatto bastare per sempre quell'unico
sorriso.
Federico si sentiva bene. Per una volta nella sua vita, passava una serata
diversa... Quando viveva con i suoi genitori capitava qualche volta che usciva
con dei suoi amici, ma le ragazze lo ignoravano, e gli amici lo prendevano
sempre in giro. Lo chiamavano "Palla di lardo" oppure "Ciccio
pasticcio" o altri appellativi simil-amichevoli.
A forza di bere caffé neri senza zucchero e ridurre
considerevolmente le porzioni, si era dimezzato un po' rispetto a quando era adolescente, ma ancora era ben lontano dal considerarsi
magro... Si toccò la pancia, ripensando ai suoi vecchi "amici"...
-Qualcosa non va, Fede?-
-No, niente... stavo solo pensando che... una serata così non l'avevo più
passata da quando avevo 15 anni.-
-Vivevi ancora con i tuoi allora?-
-Già. Avevo una compagnia di amici, con cui uscivo solo per non stare da
solo... Alcuni erano figli degli amici di mio padre, e io non li sopportavo
proprio. Mi prendevano sempre in giro per la mia ciccia, e pian piano iniziai
ad isolarmi.. inventavo scuse che dovevo studiare...
ed evitavo di uscire.-
-Oh... Mi... mi dispiace. Sai, anch'io ho avuto dei
trascorsi del genere.-
-Davvero? Un così bel ragazzo come te?-
Yuliy arrossì di botto. Però cercò di non darlo a
vedere, facendo finta di starnutire per nascondere il volto.
-Salute.-
-Grazie. Stavo dicendo... Ho avuto dei trascorsi così con dei miei compagni di
classe... però per il problema opposto. Ero talmente magro che mi chiamavano
"Mortimer" o "Zombie" o altre
cattiverie...-
-Ah. Che stronzi.-
-Sì... Loro invece erano forti, ben piazzati... Non so se ... te lo posso dire...-
-Cosa?-
-Beh... io ero... innamorato di uno di loro.-
Federico fece una smorfia di sorpresa. Poi si mise a ridere.
-Eheheh! Eri innamorato di un tuo compagno di scuola?-
-Sì. Lui era molto carino, si chiamava Sergeij.
Era... più o meno come te. Alto, piazzato.. e con un
bel panciotto pieno. Però anche lui come gli altri, mi prendeva in giro...-
-Ci si innamora sempre di chi non ci corrisponde.-
-Proprio così. ...Fede?-
-Eh? Dimmi Yu.-
-Tu... tu ti sei mai... voglio dire... Ti sei mai innamorato?-
-Di un ragazzo o di una ragazza?-
Sfotté Federico, ridacchiando. Yuliy rise arrossendo,
mentre si avvicinava sempre di più a Federico sul parapetto. Furono vicini,
però guardavano soltanto l'orizzonte scuro. Era come se quel senso di vuoto
fosse diventato protettivo... E loro potessero parlare liberamente della loro
vita. Per cui Federico riusciva ad esternare meglio i suoi pensieri.
-Di ragazze, tante... Ma mai corrisposto. Di ragazzi... beh... mi vergogno un
po', ma...-
-Non penso ci sia nulla di cui vergognarsi.-
-Lo dici tu. Qui in Italia non è una cosa simpatica a tanti.-
-Così sembra... però ... racconta, dai.-
-L'unico ragazzo che mi abbia mai attirato.........-
"Avanti, dimmelo. Spezzami il cuore, o dammi una nuova speranza",
stava pensando Yuliy. Già prima che il ragazzo
parlasse, si stava immaginando che faccia avrebbe avuto il primo amore maschile
di Federico. Era moro? Era castano? O forse biondo occhi
azzurri come lui?
-...L'unico ragazzo che mi abbia mai attirato... Non
esiste!!!-
Quella rivelazione a sorpresa lasciò interdetto Yuliy.
Federico ridacchiava divertito.
-Come... come sarebbe a dire che non esiste?- -Eheheh! Voglio dire che da ragazzino ero innamorato
di un ragazzo che non esiste. Un cartone animato.- -Aaaaaahhhh...!!!-
Sospirò di sollievo Yuliy, mentre Federico spiegava
di essere innamorato pazzo di Trunks, il bel figlio
di Vegeta nella serie animata "Dragon Ball".
-Una notte me lo sognai... Sognai che eravamo sulla
Lancia K di mio padre... io guidavo e lui mi diceva di andare piano...
nonostante l'auto fosse ferma...-
E Yuliy ascoltava tutti i dettagli di quel sogno,
vedendo che Federico metteva entusiasmo nel raccontarlo... Come un vero
innamorato.
-...Ad un certo punto, lui mi chiede di fermarci.
Allora io fermo l'auto ... e intorno a noi c'era soltanto il vuoto... E poi...
Ci baciamo.- -Ohhh.-
-Nonostante fosse un ragazzo, io trovavo che fosse
divertente. E poi non mi dispiacque per niente quel sogno... Forse credevo che
un paladino della giustizia come lui, non avrebbe mai deriso il mio pancione.-
E sospirò. Mascherando i suoi veri intenti da qualcosa di amichevole, Yuliy cinse le spalle del suo collega/amico e gli diede una
fugace quanto cordiale pacca sulla spalla, per tirarlo su. Poi si rimise le
mani in tasca, per paura che Federico avrebbe potuto respingerlo.
-Grazie.- -Prego.-
Restarono lì ancora per qualche minuto, poi Yuliy
chiese gentilmente se potevano tornare a casa. Federico annuì.
*****
Sui comodi sedili della station wagon di Federico, Yuliy
si stava rilassando... una canzone di Franco Battiato suonava nel
mangianastri...
***...Sul ponte sventola bandiera bianca
sul ponte sventola bandiera bianca...
Quante squallide figure che attraversano il paese
com'è misera la vita degli abusi di potere
minima immoralia
minima immoralia
e sommersi soprattutto da immondizie musicali...***
La ascoltava distrattamente, ripensando al sogno che gli aveva raccontato
Federico. La macchina era la stessa... Però lui non era Trunks... Anche se i suoi
capelli erano pettinati come i suoi... ed i suoi occhi erano azzurri. Chissà,
forse...
Buttò un occhio verso Federico. Lo vide che cambiava marcia, poi vide la sua
mano destra tornare sul volante.
"E se io fossi Trunks...?"
Stavano quasi arrivando. Decise di giocarsela in un modo o nell'altro. Vide in
lontananza il suo palazzo. Erano arrivati. Velocemente, Federico parcheggiò e
spense il motore. L'ambiente era abbastanza scuro... l'unica fonte di luce era
un lampione acceso in lontananza, ad illuminare l'entrata del palazzo dove
abitava Yuliy.
-Beh... eccoci arrivati.-
-Grazie del passaggio, Fede.-
-Di nulla.-
-E'.. è stata una bella serata. La ripeteremo?-
-Ci puoi scommettere.-
Sorrise Federico, stranamente sciolto come non mai. Nel tentativo di scendere,
vide che il telefonino di Yuliy gli stava scivolando
fuori dalla tasca alta del giubbotto.
-Ops, stai per perdere il cell.........!!!-
A quell'avvertimento, anche Yuliy si girò, e le loro
teste cozzarono insieme.
Recuperato il cellulare, Federico glielo porse, ma Yuliy
era come imbambolato, e Federico restò ugualmente imbambolato quando incrociò
gli occhi azzurri dell'infermiere.
Poi, come due calamite... si avvicinarono lentamente, chiudendo gli occhi, fino
a lasciar toccare le loro labbra. Si unirono in un lento e dolce bacio, casto
ma intenso... Federico lasciò cadere il cellulare in grembo a Yuliy, cercandogli le mani. Gliele prese, e Yuliy le intrecciò con le sue. Erano fredde e molto
affusolate, lunghe da pianista. Quelle di Federico erano paffutelle e calde. Yuliy sentì il suo cuore battergli forte, desiderando che
quel momento si dilatasse all'infinito, come d'altronde desiderava anche
Federico. Restarono a baciarsi per dieci minuti buoni, fino a che Federico non
dichiarò che doveva passare da Emanuele e che si stava facendo tardi. Yuliy fece una faccia sconsolata, sospirando. Avrebbe tanto
desiderato portare Federico in casa e farlo dormire con lui... Ne aveva
bisogno, ed ora che l'aveva baciato era sicuro che non
avrebbe più potuto farne a meno.
Salutando, scese dall'auto, chiudendo piano lo sportello. Federico lo seguì con
lo sguardo finché non scomparì dietro il portone del
palazzo, poi chiuse gli occhi e pensò.
Erano le quattro e quarantacinque, ovvero quindici minuti prima
dell'inizio del turno giornaliero di Micaela e Marco e tutti i loro colleghi
Come già detto, l'unità amministrativa dell'Azienda
Ospedaliera di Como era un grosso parallelepipedo, a cui si giungeva
percorrendo un viale alberato che incrociava un'altra via, percorsa la quale si
arrivava all'ospedale vero e proprio. Il grosso parallelepipedo disponeva di
tre piani, uno rialzato più due di supporto; Quattro
se si contava l'archivio, che si componeva di dodici sezioni ben distinte,
tante quante erano le sezioni lavorative (tra di esse, la sezione Beni Economali curata dal Rag. Federico Mantelli). Ai piani
intermedi, rialzato e primo, c'erano i vari uffici. Al terzo, c'erano le
direzioni generali, nonché una in particolare...
DOTT.SSA INNOCENZA BALDAZZI BONAFE'
Direttore Amministrativo Generale
Diceva la targhetta accanto alla porta. A differenza di tutte le altre porte
del palazzetto, la porta della Direzione Generale era un doppio battente in
legno, con due maniglioni di ottone che la facevano sembrare un portale.
Entrando, la sensazione d'angoscia era inevitabile. Già la luce era piuttosto
rarefatta data la posizione dell'interno, che dava sul cortile d'entrata a
nord, con la conseguenza che il sole non filtrava mai correttamente dalle
vetrate, dando alla stanza una luce lugubre e piuttosto irregolare. Alle
pareti, c'erano quadri di nature morte dai colori asfittici (uno di essi
rappresentava una mela che sembrava essere stata dipinta con sangue rappreso),
vedute di paesaggi dal basso, come se il pittore che li avesse dipinti fosse
stato appena investito da una carrozza e stesse continuando il suo lavoro
direttamente disteso sulla via, e scene raffiguranti lazzaretti nel 1600... Un
trionfo di malati che giacevano in letti dalle coperte giallastre, espressioni
di sofferenza e rassegnazione, che davano i brividi soltanto a guardarli.
Valenti, il capo del personale, era seduto su una poltrona proprio di fronte
alla scrivania della Bonafé. Torturava i braccioli e
si guardava intorno, avvertendo come al solito la sensazione di disagio che
quell'ufficio dava a chiunque. Un po' perché si sapeva che tipo era colei che
l'occupava, e un po' perché l'arredamento era veramente raccapricciante. Si
sistemò la cravatta con nonchalance, mentre la Bonafé
esaminava una circolare. Tra tutti i nomi e cognomi che avesse mai sentito,
sicuramente la Bonafé aveva quelli più ... censurabili.
Correva voce che venisse chiamata "Innocenza non ha pazienza" oppure
"Bonafé ma perché" oppure ancora "Baldazzisucchia-c........."
-La situazione è preoccupante, ma non grave, signor
Valenti.-
-Ho guardato e riguardato quella circolare... dice chiaramente che degli
inviati del Ministero della Funzione Pubblica verranno a controllare che...-
Con una mano, la strega lo zittì. Aveva l'espressione dura, e gli occhi azzurri
erano contratti in una smorfia che sembrava volesse leggere nei pensieri
altrui.
-Le ripeto, è preoccupante... ma non grave. Qui funziona tutto abbastanza bene,
e non credo che avranno a che dirne. Obiezioni?-
-Ehm... Ci sarebbero ... diverse questioni.-
-Oh, signor Valenti, quanto la fa lunga. E va bene, sentiamo.-
Parlando lentamente, Valenti snocciolò tutte le magagne che si celavano dietro
la perfetta "Amministrazione Bonafé":
Dipendenti assenteisti, fornitori che chiedevano i pagamenti immediati di
fatture, clienti che si vedevano recapitare cartelle esattoriali per esami già
pagati, componenti di inventario che sparivano nel nulla una volta all'anno e
viceversa posizioni inventariali che non corrispondevano a nessun componente,
per non parlare della non rispondenza dei bilanci... Un mezzo disastro.
A sentire quelle parole, la Bonafé batté una mano sulla scrivania,
digrignando i denti.
-Con questa ha detto l'ennesima di una catena di buffonate, signor Valenti. Mi
sono sempre impegnata affinché qui funzionasse tutto per il meglio,
ma .....-
-Dottoressa Bonafé, nessuno sta dandole la colpa per
quello che succede... è solo che...-
-Stia zitto! A giorni arriverà l'ispettore del Ministero, per cui io le chiedo
il massimo rigore con tutti i dipendenti. Per gli assenteisti mandi a sorpresa
le visite fiscali, per i fornitori, dite di aspettare ancora, per i clienti...
incassate quelli che pagano due volte e non restituite per nessuna ragione,
neanche sotto denuncia, i denari che vengono richiesti indietro.-
-E per gli inventari...?-
-Uhm, gli inventari sono responsabilità unica di quel ragazzino... Come si
chiama?-
-Mantelli?-
-Già, lui. Voglio che lei lo tenga d'occhio, costantemente.-
Sapendo bene che qualunque altra obiezione avrebbe provocato pesantemente le
ire della megera, Valenti pensò bene di stare zitto ed eseguire ciò che gli
venne chiesto... Velocemente, con un gesto della mano, la dottoressa Bonafé lo congedò, e lui si alzò in fretta dalla poltrona,
uscendo al più presto da quell'ufficio schifoso.
*****
Avevano fatto l'amore per tutta la notte. Come ai bei tempi. Andrea era stato
perdonato più che abbondantemente da Stefano, che ora se la dormiva beato fra
le sue braccia. Andrea ammirò la pelle del suo ragazzo... sempre così bianca e
costellata di lentiggini... Guardò la stanza. Era un monolocale. Scosse la
testa, pensando a quanto fosse stato pirla a lasciare la sua casa originaria,
solo per correre dietro al sogno di diventare anchor-man... che imbecille.
"L'importante è averceli, i sogni... Poi anche se
non si realizzano subito, si può aspettare... Venticinque anni sono pochi per
rassegnarsi, ed io non sono certamente quello più indicato a farlo."
Pensò Andrea, guardando fisso il soffitto su di sé. Era di un azzurro cielo,
con tante nuvolette disegnate. La padrona di casa era un'artista, e gliel'aveva
ceduto in affitto a molto poco. Ma ormai non era più
tempo di stare là... Ormai era tempo di ritornare a casa sua... con Stefano...
con Marco.
"...E quel bisteccone di Emanuele. Chissà come si
starà divertendo là a Como... E se si è trovato un altro ragazzo...?Cosa penserebbe Marco?"
Sulla loro separazione non aveva mai messo becco. Benché fosse dispiaciuto, non
se l'era sentita di contraddire Marco. Dopotutto aveva bisogno anche lui di un
po' di libertà... sempre che di quello si trattasse. Si erano separati giusto
poco prima della fine degli esami di Marco, e quando Emanuele aveva già
concluso i suoi, prendendo un diciotto dietro l'altro. Paradossalmente,
Emanuele era un ragazzo che tutti volevano ma pochi gay veri l'avrebbero tenuto
come fidanzato. Emanuele era un tranquillone, uno che
stava bene anche a guardare un DVD la sera, oppure a fare coccole sul divano...
non parlava molto, preferiva di più ascoltare. Le poche volte che andavano in
discoteca, si rintanava in un angolo e se ne stava lì ad osservare... dall'alto
del suo metro e novantotto di altezza.
"...Tu sei troppo sicuro di me, Emanuele."
Marco guardava Emanuele rabbuiato, e questo non disse nulla, fino a che Marco
non rincarò la dose.
"Sì, tu sei troppo sicuro. Credi di potertene stare
tranquillo lì mentre io non faccio niente... ma se io mi stanco, sono capace
anche di dare via il sedere al primo che mi sbatte le ciglia." "Non dire cazzate. Tu non sei così, Marco..." "Ah No? E se decidessi all'improvviso di esserlo?
Tu cosa faresti?" "Ma porca di quella puttana, ma che cazzo vuoi?
Ti andrebbe bene se scendessi in pista e facessi il cretino davanti a tutti?
Magari becco quello che me tocca er
culo e poi te me fracassi le palle per tutta la serata. Dillo
se nun ha da esse così!"
"Ma...Ma che cazzo c'entra adesso? Ti rendi
minimamente conto che ogni volta che uno mi chiede se sono fidanzato, io devo
rispondere "Sì guarda il mio ragazzo è quello lì appoggiato al muro con la
caipiroska in mano"? Te ne rendi conto? Tu mi
abbandoni, mi sembra di avere un ottantenne, come ragazzo!"
...Ricordava quella lite con tutte le parole. Era un
giorno di pioggia, e Andrea stava passando dalla stanza di Emanuele. Lui si era
messo lì accanto ed aveva assistito alla rottura del loro rapporto, come un
giornalista che osserva in diretta il crollo di una diga. C'era stato un attimo
di silenzio, in cui aveva visto Marco prendere gentilmente la mano ad
Emanuele...
"Cosa c'è che non va, Emanuele...? Dimmelo, ti
prego. Se hai qualcosa che ti rende triste, dimmelo ed io farò del mio meglio
per aiutarti... Ma se tu non aiuti me..."
E gli strinse la mano, accoccolandosi a lui. Emanuele restò rigido.
"Non c'è niente... lo giuro."
Altro silenzio, in cui Marco lasciava lentamente la mano di Emanuele, andando a
massaggiarsi le ginocchia. Poi vide che annuiva, e tratteneva un accesso di
pianto.
"Che c'è amore?"
"C'è ... c'è che tu non me la racconti giusta, Emanuele... Sei il ragazzo
che tutti vorrebbero... sei alto, ben fatto, e tutto
quanto... ma quando non vuoi parlare..."
"Ma che cazzo ti devo dire di più?! Vuoi che tiri
fuori un problema immaginario per darti la soddisfazione di poter cantare
vittoria??"
Sbottò Emanuele all'improvviso. Di questo, Marco ne fu profondamente offeso, e
lentamente si mise a piangere. Origliando, Andrea represse l'istinto di entrare
di scatto e discutere con Emanuele, ma pensò bene di fermarsi. Per il bene di
tutti e tre, della loro amicizia. Si morse il labbro
inferiore, provando dolore per Marco, che adesso aveva iniziato a piangere.
"Amore... scusami... Non ... non volevo..."
Disse, concitato, abbracciando teneramente Marco, che si tolse gli occhiali e
pianse sommessamente.
"Sigh... sob... E..Emanuele... Io..." "Cosa amore? Dimmi."
"Io... voglio... un periodo di... di pausa."
Detto questo, Emanuele si sciolse dall'abbraccio e lo guardò.
"Sei... sei sicuro...?"
Marco annuì. Distrutto, Emanuele si alzò lentamente dal suo stesso letto,
andando verso la porta (Andrea in quel momento si nascose nello sgabuzzino
adiacente, e prese delle coperte)... Poi uscì di casa, lasciando solo Marco.
Ora quei ricordi ritornavano alla sua mente, pensando di essere stato fortunato
per aver ricevuto il perdono di Stefano... Lo strinse dolcemente a sé, e quello
mugolò sommessamente, cercandogli la mano nel sonno. Andrea gliela prese, e le
loro dita si intrecciarono... Poi gli baciò i capelli, sussurrandogli parole
dolci mentre dormiva.
*****
Al policlinico, Micaela guardava il pomeriggio scomparire lentamente per
lasciare il posto alla fredda sera novembrina... Milano era la sua città, ci
era nata nell'ormai lontano 1969, ne aveva respirato l'aria inquinata per molto
tempo, e per altrettanto tempo si era dimenticata di guardare la bellezza di un
tramonto, troppo impegnata ad inserire dati su uno schermo nero dalle lettere
verdi. Ora, costretta in un letto dall'incidente che aveva avuto, si perdeva
nel notare ogni tonalità che il cielo assumeva minuto per minuto... Distolse un
momento lo sguardo dallo spettacolo per osservare l'attaccapanni. Un cappotto color kaki era appeso, ed insieme ad esso una
borsetta stile indiano. Sorrise contenta.
Poi entrò una ragazza... Bionda, capelli ricci, occhi azzurrissimi e labbra
naturalmente rosse.
-Hello, Mommy.-
-Ciao, Saretta.-
-Mi piace quando mi chiami Saretta, Mommy.-
-Anche a me piace chiamarti Saretta, lo sai...-
Sorrisero entrambe, poi Sara prese una sedia e si sedette accanto alla madre.
Si guardarono per un lungo istante, poi Micaela distolse lo sguardo, ritornando
alla finestra aperta. Ora il sole si era mescolato con delle nuvole, regalando
loro un bellissimo spettro cromatico di rosso e arancione e giallo...
-Guarda che bello, Mamma... Il sole è rosso...-
-Rosso di sera, bel tempo si spera. Speriamo!-
E risero, entrambe. Risero di gusto, come mai non avevano
fatto prima d'ora. Micaela era una donna forte. Nonostante i pensieri che le
venivano ogni tanto, sapeva come riuscire a ridere di una disgrazia. L'unica
volta che non era riuscita a ridere era stato quando Vincenzo l'aveva lasciata,
ma pensando a sua figlia si era subito ripresa. Ora la stessa figlia aveva
vent'anni, era un'apprendista stilista ed era quasi cittadina americana... Ma
adesso, in quel momento... era di nuovo la piccola Saretta
che lei aveva cresciuto, che le era stata vicina nei momenti di crisi...
-Mamma...?-
-Sì, amore?-
-P..perdonami...-
Disse Sara, mordendosi le labbra per l'imbarazzo. Sapeva già cosa stava per
dirle.
-Non.. non avrei mai dovuto lasciarti sola... Sono
stata egoista, ti ho lasciata qui e sono andata a Miami... Potrai mai
perdonarmi?-
Micaela allungò la mano, andando a toccare il mento della figlia con le dita...
Le sollevò lo sguardo, e vide che i suoi occhi erano lucidi. Micaela le sorrise
dolcemente.
-Non hai nulla da farti perdonare, Sara... Hai soltanto seguito il tuo sogno, e
i tuoi risultati lo testimoniano più che egregiamente. Coraggio, guardati. Sei
una professionista, hai un lavoro che ti piace e non hai rimpianti. Che cosa ti
manca?-
-...Tu, mamma. Tu mi manchi.-
A quel punto, Micaela non ce la fece più. Digrignò i denti, distolse lo sguardo
e tornò a guardare la finestra. Sara le prese la mano, e se gliela baciò
dolcemente, per poi passarsela sulla guancia. Il contatto con la pelle della
figlia, così liscia e perfetta, fece tornare giovane Micaela... che continuava
ad osservare il cielo ed il suo bellissimo tramonto...
-Io.. Io vorrei che tu... venissi a stare da me,
mamma... Non dirmi di No, ti prego... non respingermi. Io ti voglio bene, ho
realizzato il mio sogno, ma ... Senza di te... tutto è vuoto.-
Micaela avrebbe voluto risponderle che No, che non poteva... che le sue radici
erano qui... che Milano era la sua casa, che adesso si stava vedendo con un
altro uomo... che non sapeva l'inglese..........che avrebbe voluto prendere il
primo aereo e volare via a Miami, e riunirsi con lei... per sempre ... e sempre.... Perché la sua vita era vuota, perché tutti gli uomini
che vedeva erano soltanto degli stronzi, perché suo marito non si degnava
nemmeno di chiederle "Come stai", troppo impegnato ad amoreggiare con
la sua nuova compagna... E poi avrebbe voluto dirle tutte le cose che pensava
quando era sola... Una fra tutte...
"Mi manchi anche tu, Saretta."
Lacrimoni le sgorgavano dagli occhi, quindi
gentilmente tirò la figlia ad accarezzarle i riccioli dorati, e anziché
rispondere alla sua richiesta, si limitò a dire...
-Guarda che bel tramonto, Sara...-
-E' bellissimo, mamma.-
-E anche tu sei bellissima, figlia mia.-
E la baciò sulla fronte, mentre lei era commossa e così orgogliosa di avere una
mamma così.
Erano le quattro e quarantacinque, ovvero quindici minuti prima
dell'inizio del turno giornaliero di Micaela e Marco e tutti i loro colleghi
Il vagone del treno era praticamente deserto. Marco si era
trovato un posto accanto al finestrino, ed osservava la sera scorrere accanto a
lui... Per la fretta di voler andare da Emanuele, non si era nemmeno fatto la
barba. Era andato alla stazione, aveva fatto il biglietto per Como ed aveva
preso il treno, così, alla disperata. Pensò a Micaela, e se ne dispiacque... La
poverina era stata licenziata chissà per quali ragioni, e lui per difenderla
aveva subito la stessa fine. Pazienza. Tanto quel lavoro non gli piaceva, e
c'era bisogno di fare chiarezza nella sua mente. Si toccò il pizzetto,
guardandosi nel riflesso del vetro...
La sua espressione era stanca, gli occhi, nascosti dagli occhiali senza la
montatura, rivelavano uno strano senso di tristezza. In un certo senso Emanuele
gli mancava... Ripensò per l'ennesima volta che forse era stato troppo
precipitoso a chiedergli quel momento di pausa... In fondo, cosa gli importava
a lui se il ragazzo se ne stava in un angolo senza ballare mai? Abbassò gli
occhi, vittima del suo egoismo. Quando li rialzò, vide una figura riflessa sul
vetro.
-Ciao. Posso sedermi qui?-
Senza dire una parola, Marco annuì. Lo sconosciuto era un ragazzo molto carino,
sulla ventina... Portava i capelli lunghi che gli ricadevano in un ciuffo ritto
sull'occhio sinistro, i suoi occhi erano castani ed era snello e molto carino.
Portava una maglietta nera con un'immagine strana stampata sopra, un felpino con il cappuccio ed un paio di pantaloni aderenti, e
delle scarpe VANS a scacchi neri e gialli. Marco capi subito che era uno di
quelli svitati che venivano chiamati Emo. Il ragazzo ripose lo zaino sulla
cappelliera e Marco intravide il suo addome in penombra sotto la felpa, che si
era tirata su. Un bel ragazzo moro. Ebbe un'erezione improvvisa, ed arrossì di
botto. Afferrò una rivista lasciata lì da qualcuno, la aprì e si mise a
leggerla. Dopo un po', sentì il ragazzo che rideva.
-Ahahah! Ma come lo leggi, quel giornale?-
-Uh?-
-Forse sarebbe meglio capovolgerlo, non credi?-
Accortosi della figuraccia, Marco capovolse il giornale con nonchalance,
continuando ad osservare il ragazzino, che intanto aveva accavallato le gambe e
lo osservava. Lesse quel tanto che bastava a fargli
passare la tensione, poi mise via il giornale. Guardò l'orologio sul display
del cellulare. Mancava ancora molto.
-Vai a Como anche tu?-
-Eh..? Sì... già.-
-Anch'io. Vado a trovare alcuni amici... Tu chi vai a trovare?-
"Quante domande" pensò Marco, roteando gli occhi. Poi sorrise e pensò
di rispondergli cortesemente.
-Il mio ragazzo.-
Sorridendo di trionfo, riprese in mano il giornale (se avesse avuto le cuffie
se le sarebbe piantate nelle orecchie per non essere disturbato), e si rimise a
leggere le poche pagine rimaste. Il ragazzo gli era parso leggermente sorpreso,
ma non si scompose. Rimase lì seduto a guardare il finestrino con le gambe
accavallate.
Poco dopo, mentre leggeva le ultime righe di un articolo su quel giornale,
sentì il piede del ragazzo che gli accarezzava la gamba. Inconsciamente, ebbe
un'erezione, ma non mise via il giornale.... Era come
bloccato. Adesso il piede del ragazzo era arrivato al ginocchio, e da lì stava
accarezzando l'inguine. Abbassò gli occhi, e vide il calzino a righe colorate
che strisciava sul suo pacco.
A quel punto, Marco interpose una mano tra il piede ed il suo pacco,
allontanandolo gentilmente. Poi guardò il ragazzo. Ridacchiava, malizioso.
-Che vuoi?-
-...Conoscerti meglio.-
Gli rispose quello, e alzandosi andò a chiudere la porta scorrevole dello
scompartimento, chiudendo anche le tende. Marco sgranò gli occhi, sorpreso.
Certe situazioni non le aveva mai viste nemmeno nei film, ma cercò di darsi un
contegno. Il ragazzino andò accanto a lui e gli mise
le braccia intorno al collo, dandogli piccoli bacini sulla guancia. Marco si
allontanò, ma il baciatore gli restava appiccicato.
-Come ... come ti chiami?-
-Daniele... e tu?-
Chiese, e gli baciò le labbra, leccandogliele mentre Marco cercava di
rispondere.
-Mar.. Marco.-
-Hmmhm... lo sapevo che un proprietario così carino doveva avere un nome
altrettanto carino....-
-Quanti anni hai?-
-Diciannove... Quindi sono maggiorenne.-
-Ti piacciono i ragazzi più grandi?-
Daniele annuì, mentre si accovacciava su di lui ed iniziava a sbottonargli la
camicia, baciandogli il collo in modo molto sensuale... Decise che il ragazzino
gli piaceva, e poi aveva bisogno di distrarsi un po'.
-Manca ancora un bel po' a Como... ti andrebbe di ingannare il tempo?-
Senza rispondere, Marco si mise a massaggiare il sedere al ragazzo... Era
troppo magro, però aveva un bel sederino. Lo guardò negli occhi, e gli scostò
il ciuffo che portava. Daniele sorrise, e guidò la sua mano a sbottonargli i
pantaloni aderenti... Marco glieli sbottonò, e quello si chinò a baciargli le
labbra. Quando le loro lingue si unirono tra di loro, Marco avvertì che Daniele
portava un piercing sulla lingua.
Restarono a baciarsi per una ventina di minuti, finché Daniele decise che
voleva fare qualcosa di più.... e lentamente scese
all'abbottonatura dei jeans di Marco. Glieli sbottonò e tirò fuori il membro
eretto di Marco. Sorrise ampiamente, e si leccò le labbra.
-Hai mai provato uno con il piercing sulla lingua?-
E gli mostrò la lingua con il pallino d'argento sopra. Marco ridacchiò, e
Daniele mosse la mano in cui teneva la sua parte del corpo.
-Non ancora.-
-Allora fra qualche secondo lo scoprirai.-
Intanto il treno era entrato in una galleria, immergendo tutto nel buio. Marco
chiuse gli occhi, accarezzando dolcemente i capelli del sensuale giovanotto
sconosciuto, gemendo di piacere nell'oscurità.
*****
-Mi fischiano le orecchie.-
-Eh? Come hai detto?-
Con Goriot accoccolato fra le sue braccia, Emanuele fissava il soffitto, come
in trance, sentendo le orecchie fischiare.
-Ho detto che mi hanno fischiato le orecchie.-
-Sarà qualcuno che ti pensa.-
Rispose Federico, che stava mettendo la pasta nei piatti. Sentendo il profumo
della carne al sugo, Goriot balzò immediatamente giù da Emanuele, e da bravo
gatto lecchino, andò a strusciarsi alla gamba di Federico, per ottenere il suo
tributo.
-Figurati se mi scordo di te... rompiscatole.-
Goriot lo richiamò all'ordine con un "miaaaoooo". Federico si
accovacciò e gli mise nella ciotola un pezzetto di carne imbevuto di sugo.
Velocemente, il gatto andò a mangiare di gusto.
-Allora, com'è andata ieri con l'infermiere?-
-Beh....... non lo so.-
-Cos'è successo, avanti.-
-Vieni a sederti, intanto... che la pasta è pronta.-
Zoppicando, ma senza più l'ausilio della stampella, Emanuele si sedette a
capotavola. Accanto a lui, Federico si era servito un piatto di pasta in
bianco.
-Niente sugo, per te?-
-Nah. Meglio di no, sono in dieta perenne.-
-Sai cosa dovresti fare, per tenerti in forma?-
Bevendo un bicchiere d'acqua, Federico fece di "no" con la testa.
-Tanto... tanto... tanto..... Movimento.-
-Fiu, per un attimo ho pensato che stavi per farmi la proposta indecente.-
-Ahahah! Scemo...-
-Eheheheh!-
Iniziarono a mangiare. I rigatoni erano buonissimi, nonostante la marca non
fosse così rinomata... E il sugo era semplicemente sublime. Emanuele li gustò
con piacere, osservando di tanto in tanto Federico, che mangiava lentamente i
suoi rigatoni in bianco...
-Non mi preoccupo tanto di piacere a qualcuno... quanto della salute. Mangiare
troppo fa male al cuore, e io non voglio morire d'infarto come il mio
predecessore.-
-Ma dai, scoppi di salute. Ogni tanto potresti anche permetterti qualche
strappo.-
-Beh, già lo faccio... Ieri per esempio ho preso un buon aperitivo con Yuliy...-
-Ah già, devi raccontarmi. Cos'è successo?-
-Ehm... Non so se...-
Emanuele guardo Federico con la forchetta fumante a mezz'aria. Poi la mise nel
piatto e toccò il braccio al suo collega. Federico gli rivolse lo sguardo, ed
Emanuele gli fece un sorriso fraterno. "A me puoi dire tutto." Gli
disse, sottovoce.
-Diciamo che.... Io e Yuliy..... Ecco...-
-Cosa? Dai dimmi, non costringermi a prendere le pinze e tirarti fuori le
parole dalla gola!-
-Io e Yuliy ci siamo baciati. Per la prima volta.- -Ohhhh.-
Si stupì Emanuele, poi diede una sonora pacca sulla spalla di Federico, che
tossì.
-Ahio!-
-Ahahahah! E bravo conquistatore! E adesso?-
-Non... non lo so. In fondo, io e lui siamo solo colleghi.-
-Ma ti è piaciuto?-
Timidamente, Federico annuì, arrossendo.
-Ahahah! Che pirla sei... potevi invitarlo qui, avrei detto sicuramente di sì.-
-Certo, ma ... non siamo ancora fidanzati, cioè... eeehm... Insomma, non so
ancora cosa succederà. E' stato solo un bacio!-
-Huuhmm.. d'accordo... d'accordo.-
Emanuele ricominciò a mangiare, pensando che era contento per il suo amico.
Intanto Federico pensava che gli piaceva sempre di più
parlare con Emanuele... Lui era tranquillo, non giudicava, lo ascoltava...
proprio come un fratello. Sorrise dentro di sé, pensando che forse non era
tutto perduto nella sua vita. Ripensò a Yuliy. Chissà che stava facendo in quel
momento?
All'improvviso, suonò il campanello. Goriot andò alla porta, a grattare con la
zampina.
-Chi può essere?-
Federico si alzò e scomparve dietro la porta, per andare ad aprire.
Erano le quattro e quarantacinque, ovvero quindici minuti prima
dell'inizio del turno giornaliero di Micaela e Marco e tutti i loro colleghi
Quando la porta si aprì, si rivelarono due ragazzi.
-Ehi! Eccolo qua il nostro caro Danny!-
-Ciao Virgi, sono qui, hai visto?-
I due ragazzi si scambiarono un bacetto sulla guancia, e poi l'altro ragazzo,
"Virgi", guardò Marco.
-Me lo presenti..?-
-Certo! Lui è Marco. E' un mio amico. Ti dispiace se dorme con me, stanotte?-
-No, affatto! Ci mancherebbe altro.. ma.. accomodatevi
pure, gli altri sono di là che ti stavano aspettando.-
Per niente a disagio, Marco seguì i due ragazzi nel corridoio, per poi approdare
in salotto. Notò che Virgi era un bel ragazzo alto e
biondo, probabilmente svizzero o comunque non italiano... Molto carino e
gentile. Gli altri erano più o meno ragazzi come Daniele, alcuni vestiti
secondo i canoni EMO e altri due vestiti normalmente. In tutto c'erano sette
ragazzi. Quando videro Daniele, andarono tutti ad abbracciarlo e baciarlo, e
lui ricambiò. Nel vedere Marco però, si irrigidirono un po'.
-Ragazzi, vi presento Marco. E' un mio amico di Milano.-
Sorridendo, Daniele fece accomodare Marco, e dalle occhiate che vide fare agli
amici, pensò che forse non era il primo che
rimorchiava in treno. "Virgi", ovvero il
padrone di casa, gli offrì un bicchiere di un liquido aromatico, sorridendogli.
-Punch. Ne vuoi?-
-Sì, grazie.-
Prese il liquore e se lo bevve. Poi la serata continuò con quel gruppetto di
amici. Grazie al liquore Marco si sciolse di più e pensò di stare bene. I
ragazzi gli erano tutti simpatici, e lui era piuttosto simpatico a loro...
Durante il gioco delle verità, aveva scoperto di essere lui il più vecchio, con
il suo anno e mese di nascita, Febbraio 1985... Ma non gli dispiacque, e
nemmeno agli altri ragazzi. Daniele continuava a stargli appiccicato, dandogli
bacini sulle guance e sulle labbra, stringendolo dolcemente a sé e offrendogli
il suo corpo (vestito) ogni volta che sbagliava una domanda oppure non se la
sentiva di rispondere. Fu una bella serata, come mai ne aveva passate in vita
sua... Non sentì minimamente la mancanza di Emanuele e addirittura si dimenticò
il perché del suo viaggio a Como.
La notte fu addirittura migliore... La stanza assegnata a Daniele era una bella
stanza da letto con un letto da una piazza e mezza. Fece sesso con lui per un
bel po' di tempo, pensando che il ragazzino era veramente molto appetibile e
dando sfogo al bisogno che aveva di sentire qualcuno vicino... Poi si
addormentò.
Nell'ombra, Daniele continuava ad accarezzarlo, pensando che forse era riuscito
a trovare il fidanzato ideale. Sorrise, poi si addormentò anche lui accanto
all'intelligente ragazzo trovato in treno.
*****
Poco dopo che Federico era scomparso dietro la porta della cucina, tornò
sorridente.
-Guarda chi è venuto a trovarci?-
Accanto a lui comparve Yuliy, vestito di abiti
borghesi e con un cestino di frutta di marzapane. Emanuele sorrise e cercò di
alzarsi, per ringraziare il gentilissimo infermiere, ma nel farlo per poco non
cadde. Federico si precipitò ad aiutarlo.
Dato che non avevano ancora finito di mangiare,Yuliy si unì alla cena.
-Mmm... Davvero buoni.-
-Eh sì, li ha fatti Fede. E' un ragazzo da sposare,
questo qui.-
Federic arrossì e si versò un bicchiere di vino,
mentre Yuliy ed Emanuele ridevano sotto i baffi.
Versò del vino anche a loro, e Yuliy alzò il suo.
-Ad Emanuele ed al suo ritorno all'AUSL!- -Sììì... che palle!- -Ahahahahah! Ma dai, non ti piace lavorare da noi?-
-Non lo so... il fatto è che non sono stato io a voler fare quel concorso... Mi
ci ha costretto mia madre.-
Bevvero il vino, e tra un boccone e l'altro parlarono del più e del meno.
-Anche io sono stato costretto da mio padre.-
Disse Federico, ed Emanuele annuì. Yuliy fece
altrettanto, dicendo però che lui era stato veramente fortunato a trovare quel
posto, anche se era ben lontano da dove aveva studiato...
-Ho provato a fare dei concorsi a Roma, dove mi sono laureato... ma sto ancora
aspettando delle risposte. Qui a Como invece la risposta è arrivata subito...
Non lascerei per niente al mondo questo posto. Anche se non è il massimo... La
direttrice è una vera str... stron... Com'è che dite
voi?- -Stronza.-
-Stronza! Ecco, è una stronza.-
E risero tutti e tre. A fine pasto, mangiarono un po' di frutta di marzapane,
presa dal negozio siciliano in centro. Emanuele agguantò una succulenta mela
che riuscì a mangiare tutta, Yuliy si accontentò di
una mezza banana e Federico optò per una misera susina... Non voleva veramente
mangiarne, a causa dell'alto contenuto di zuccheri, ma sotto ricatto di Yuliy, che non gli avrebbe più rivolto la parola, ne
mangiò. E poi sorrise a Yuliy.
A fine pasto, andarono sul divano a vedere una divertentissima commedia anni
70, Frankenstein Junior. Nonostante il film facesse ridere, Yuliy
era come al solito concentrato su Federico... lo guardava ridere, osservava
come fosse felice quando vedeva le cose divertenti... Cambiarono film, questa
volta misero "Love Actually". Dopo un po'
di tempo, sentendo che stava sempre zitto, Yuliy
guardò Emanuele. Dormiva con Goriot in grembo (il
gatto dormiva anch'egli). Gli unici svegli erano lui e Federico. Notò che
Federico non aveva le braccia conserte, quindi avrebbe potuto benissimo
prendergli la mano... Intanto guardava il film. Love Actually
era senz'altro il film più romantico che avesse mai visto da quando era
arrivato in Italia... Gli piaceva come il regista avesse affrontato le diverse
sfumature dell'amore, e sicuramente... gli piaceva il pensiero di guardarlo con
il suo dolce collega.
Senza nemmeno accorgersene, gli prese la mano... e intrecciò le dita con le
sue.
Federico si voltò lentamente verso di lui, mentre le immagini sul video
scorrevano... Yuliy era così carino. Il ciuffo di capelli biondo
miele e gli occhi chiari lo facevano sembrare molto attraente...Portava
un bel maglioncino con dei ricami di fantasia colorati, e sotto di esso una
camicia blu. Federico arrossì lievemente, e Yuliygli sorrise, rivelando i denti con l'apparecchio...
Senza dire una parola, Federico gli si avvicinò... e lo baciò dolcemente...
Sentendosi al colmo della gioia, Yuliy lo abbracciò e
lo baciò a sua volta, infischiandosene del film che stava scorrendo sullo
schermo, pensando invece al film che vedeva lui ed il suo collega a fare
l'amore sul divano.
Lì vicino, Emanuele aveva gli occhi socchiusi. Sorrideva benignamente.
"Sei sicuro che funzionerà?" "Certo che ne sono sicuro. Tu vieni a casa mia a
quest'ora che ti dico, poi lasceremo che gli eventi seguano il loro corso."
"D..d'accordo. Voglio fidarmi
di te."
Ripensò agli accordi presi con Yuliy durante il
pomeriggio... Ci era riuscito, forse. Guardò Goriot,
che se la dormiva beatamente.
"Facciamo finta di dormire, và... altrimenti qui rovinerò tutto."
Chiuse gli occhi e si fece i complimenti da solo per essere riuscito a
combinare Federico e Yuliy.
Erano le quattro e quarantacinque, ovvero quindici minuti prima
dell'inizio del turno giornaliero di Micaela e Marco e tutti i loro colleghi
Poche ore dopo la sua focosa
esperienza con Daniele, Marco si svegliò. Nel letto lui non c'era già più,
andato chissà dove. Si strofinò gli occhi, si mise gli occhiali e andò verso il
bagno per sciacquarsi il viso.
Nello specchio, trovò riflesso un Marco totalmente diverso da quello che era
solo cinque anni fa. Laureato con centodieci e lode, scapolo che aveva scoperto
di piacere al suo migliore amico Stefano... licenziato dal lavoro avendo
conosciuto una donna straordinaria, e adesso...? In
una stanza da letto sconosciuta con un ragazzino incontrato in treno.
"Soltanto un'ora. Cazzo! Soltanto un'ora di
treno, e io chi vado ad incontrare? Un ragazzino in fregola che mi porta in
questa casa di cui nemmeno conosco gli abitanti... e mi coinvolge in una serata
particolare... è questa la vita?"
Poi riguardò il riflesso della sua faccia. Il pizzetto si era piuttosto
accentuato, e lui meditò se tagliarselo o meno.
Sicuramente sì. Gli occhi, di quel castano chiaro, brillavano alla penombra
delle sette e un quarto, in quell'atmosfera irreale in cui la città ancora
dorme e le uniche persone sveglie fanno i conti con i loro pensieri.
Ripensò a Daniele. Nonostante fosse solo un ragazzino, era bravo a letto... e
anche a parole. Non era uno di quelli che a diciannove anni sanno parlare
soltanto di "madonna" oppure di "will e grace".
Inaspettatamente, lui parlava di cose più nobili, a dispetto dell'abbigliamento
che portava... Forse in un'altra vita sarebbero potuti essere fidanzati, vivere
assieme come lui aveva fatto con Emanuele...
"Già.. Emanuele..."
Sospirando, ripensò a lui. A come riusciva ad essere carino e gentile e nello
stesso lasso di tempo a diventare distratto e pasticcione. Rise. Scosse la
testa ed uscì dal bagno, rientrando nella stanza da letto. Lì, seduto su una
poltrona, c'era "Virgi".
-Ops! Scu..scusami...-
balbettò Marco, arrossendo perché era ancora in
mutande e canottiera. Virgi gli sorrise, scuotendo la
testa.
-Non preoccuparti. Scusami tu, sono entrato silenziosamente senza neanche
avvertirti.-
Velocemente, Marco agguantò i suoi pantaloni ed il suo maglione, vestendosi
mentre Virgi lo guardava.
-Hai un bel nome, lo sai?-
-Dici? E' un nome strano, sta meglio ad una ragazza... Virginia.-
-Quindi tu ti chiami Virginio?-
-Esattamente. Mia madre era una grande fan di Gerry Scotti, e per omaggiarlo,
diede a me il suo nome.-
Virginio. Davvero un nome interessante, come d'altronde sembrava il ragazzo...
Era ancora in pigiama, le gambe lunghe erano accavallate e le mani
tamburellavano sui braccioli della poltrona. Sembrava un ufficiale tedesco a
colloquio con un ebreo, e quel pensiero diede un brivido a Marco. Invitò Marco
a sedersi sul letto. Quegli occhi azzurri penetranti lo squadravano, e Marco si
sentì leggermente a disagio.
-Sono tedesco.-
Disse Virginio, senza che Marco avesse aperto bocca.
-Ah... di dove?-
-Francoforte. Ci sei mai stato?-
-No, mai.-
-Immaginavo. Tutti quelli che vanno in Germania di solito preferiscono andare
direttamente a Berlino, ma anche Francoforte non è male.-
Sorrise gentilmente. Marco gli sorrise altrettanto,
dicendo che lui era di Torino e che spesso andava in Francia. Virginio annuiva
a tutte le cose che lui diceva, e ogni tanto rispondeva con frasi di senso
compiuto, alternate a monosillabi e lunghe pause. Dopo i convenevoli, Virginio
tirò fuori il vero motivo per cui si trovava lì.
-Questa è casa mia, mio padre è in Germania per lavoro ed io mi sono preso la
libertà di invitare qualche persona per non restare da solo... Tutti quelli che
c'erano ieri sera sono amici miei e di Daniele...-
-Vuoi dire che tu ... e lui...?-
Virginio annuì. Marco sgranò gli occhi sorpreso.
-Siamo stati fidanzati, sì. Ora siamo in una situazione di incertezza, più sua
che mia... Io vivo qui a Como, lui a Milano... Io ho ventitre anni, lui
diciannove... Io sto concludendo gli studi, mentre lui sta per iniziare... Ci
sono molte incertezze... chiamiamole pratiche.-
A quelle parole, Marco avvertì come un groppo in gola ed un suono di qualcosa
che si spezzava nel suo petto. Afferrò un lembo di coperta e lo strinse forte,
guardando nel vuoto. Intanto, Virginio continuò.
-...Ci siamo conosciuti tre anni fa in un locale di
Milano... Il "Borgo", non so se lo conosci.-
Marco annuì. Ci era stato molte volte, anche quando non era ancora omosessuale,
e seguiva il suo amicone Andrea nelle sue scorribande.
-Lui era appena minorenne, Io ero già un reduce della bella vita italiana... Ad
alcuni poteva apparire un ragazzetto come tanti, ma mi bastò una sola
conversazione per innamorarmi...-
Gli sembrò di risentire la storia di Andrea e Stefano. Ascoltò attentamente il
tedesco che parlava, tradendo qualche punta di emozione.
-Andò tutto bene fino all'anno scorso. Mi disse che a diciannove anni si
sentiva stretto nel ruolo di "fidanzato fisso", e che avrebbe voluto
fare le sue esperienze... Tu... tu credi che noi tedeschi siamo tutti freddi,
calcolatori, immuni al dolore, non è così? Certo che è così. Invece io, quando
sentii la sua decisione, mi misi a piangere.-
-...Piansi tutte le lacrime che avevo nei miei occhi,
e non mi ripresi per un bel periodo... Io lo amo ancora, e spero in un suo
riavvicinamento... per questo lo ospito a casa mia ogni tanto e gli consento di
portarsi dietro alcuni amici... Ma la mia ferita è ancora aperta, e soltanto
lui può guarirla. Lui, e nessun altro.-
A bocca aperta, Marco annuì a Virginio, comprendendo immediatamente lo stato
d'animo di una persona quando viene lasciata... Pensò al suo Emanuele, a come
forse stava soffrendo della sua mancanza... Dopotutto, è per questo che era
venuto a Como, no? Per rivederlo. Per sapere se stesse bene.
Ora Virginio mise le mani in grembo, abbassando gli occhi. Quegli occhi azzurri
non versarono una lacrima, ma il dolore del ragazzo era palpabile nelle sue
parole.
-...Ti ho osservato per tutta la serata, Marco... E
voglio dirti che mi sei simpatico. Perciò, vorrei soltanto darti un consiglio.
So già che ti sta innamorando di Daniele... Non farlo. Otterresti soltanto un
dispiacere, un grosso dispiacere.-
Effettivamente, era forse amore quel "qualcosa" che aveva sentito
prima. Gli venne il leggero dubbio che Virginio gli avesse fatto tutto quel
discorso per allontanarlo, ma quel pensiero fu scacciato via dal buon senso di
Marco... Si alzò dal letto. Virginio lo guardò.
-Ti... Ti auguro tutto il bene di questo mondo, Virginio. Se vuoi un consiglio,
prova a parlare con Daniele... Lui ha bisogno di essere ascoltato, e non è
detto che tu non possa riconquistarlo di nuovo.-
Con gli occhi impassibili, Virginio guardò quelli di Marco, e annuì, sussurrando
un "Grazie". Poi Marco annunciò di dover andare via, baciò le guance
di Virginio e si congedò in tutta fretta dall'appartamento.
"Chissà cosa cazzo mi era venuto in mente.
Mettermi con un ragazzino. Devo essere veramente
rincoglionito."
Pensò, mentre camminava sul marciapiede, cercando di raggiungere il posto dove
abitava Emanuele.
* * * * *
-A proposito, che fine ha fatto Marco?-
la domanda colse Stefano di sorpresa.
-L'ultima volta che l'ho visto è stato l'altro ieri. Non so dove sia adesso.
Perché non provi a chiamarlo?-
-Ha il cellulare staccato.-
-Ah... Beh, può darsi che sia andato a Como?-
-Dici? A trovare Emanuele?-
-Già.-
Gli suonava un po' strano comunque. Andrea aveva visto chiaramente come avevano
litigato, e nonostante la piccola nota di dolore che Marco aveva provato quando
Emanuele era stato convocato a Como, sapeva che voleva starci lontano...
-Si amano molto, loro due.-
-Perché dici questo?-
-Perché lo so.-
-Magari però non sai che hanno litigato furiosamente mentre tu non c'eri...-
Erano seduti entrambi al tavolo a fare colazione. Da lì a poco Stefano sarebbe
dovuto andare a lezione. Prese una fetta biscottata e ci spalmò sopra la
marmellata, pensando a quanto Stefano gli aveva detto sul conto di Emanuele.
-Marco me ne ha accennato. Anche a te, suppongo?-
-Esattamente.-
Addentando la fetta biscottata, Stefano si macchiò il labbro superiore di
marmellata alle ciliegie, e Andrea, mosso da un moto di tenerezza, si avvicinò
e glielo pulì dandogli un leggero bacio sulle labbra. Come aveva potuto
incavolarsi con un così bel ragazzo come Stefano? Che era bellissimo sia con
abiti normali che con il pigiama che portava adesso? Che sapeva leggergli nel
cuore meglio di chiunque altro e che lo sopportava sempre qualunque cosa dicesse
o facesse...? Si ripeté per l'ennesima volta che
avrebbe dovuto tenerselo stretto, e per un momento immaginò che fossero
sposati. Stefano si lasciò andare alla tenerezza del suo ragazzo, sorrise e
ricambiò il bacio, dolcemente... poi con fare scherzoso, mise un dito nel
barattolo di marmellata e gli macchiò il naso. Andrea fece il broncio, e
Stefano rise di gusto.
Poi si guardarono negli occhi, per un lungo, intenso istante. Pensieri si
accavallavano nelle loro menti, facendo loro credere di essere tornati
bambini... A Stefano venne voglia di restare in pigiama, tornare nella stanza,
stendersi sul letto e lasciare Andrea a dare libero sfogo alla sua fantasia...
Era il suo cucciolo, dopotutto... avrebbe potuto fare di lui ciò che voleva.
Cosa gli importava di andare a lezione.
Come se avesse letto i suoi pensieri, Andrea prese in braccio il suo
fidanzatino (nonostante l'età pesava ancora poco come quando l'aveva
incontrato) e camminò con lui nel lungo corridoio, baciandolo appassionatamente
mentre muoveva i passi... Stavano di nuovo per fare l'amore, quando
all'improvviso, il cellulare di Andrea trillò.
BRIII-BRIIIIIIP!
BRIII-BRIIIIIIP!
-Uffa...-
Messo giù Stefano, che si stava inspiegabilmente preoccupando, Andrea premette
il tasto di risposta e si mise il cellulare all'orecchio.
* * * * *
“Spero che tu abbia un buon motivo per rompermi le palle in questo momento”,
aveva esordito Andrea, ridacchiando. Emanuele però non rideva. Tagliò corto ed
arrivò subito al dunque.
-Hai sentito Marco, per caso?-
Dal cellulare, gli giunse la voce metallica di Andrea.
-Non nelle ultime 128 ore.-
-Spiritoso. Il suo cellulare è staccato...-
-Lo sappiamo, abbiamo provato a cercarlo per vedere se era in casa, ma sembra
non esserci.-
-Porca miseria...-
-Che fai, ti preoccupi?-
-E certo che mi preoccupo, testa di rapa! Sono giorni che non lo sento, volevo
almeno sapere come sta...-
Sentì Andrea che mormorava un “vuoi parlare con lui” e subito dopo sentì il
telefono che veniva passato di mano.
-Ema?-
-Ciao Stefi.-
-Ciao. Senti, non so dove sia Marco, l'ultima volta che l'ho visto stava
andando al lavoro... poi però non l'ho più visto. Non saprei dirti dove sia
andato... Mi spiace.-
-Va beh... va bene.. Non ti preoccupare, grazie
comunque.-
-Non ci dici niente?-
-Ah... perché?-
-Io e Andy siamo tornati insieme!-
Pronunciò quell'esclamazione in modo raggiante, come se stesse sorridendo.
Dietro, Emanuele sentì che Andrea lo stava sbaciucchiando provocandogli un
accesso di risa.
-Ahahahah! Smettila mattacchione!-
-Congratulazioni. Vuol dire che per tutti c'è speranza, allora.-
Rise, e Andrea e Stefano con lui. Poi guardò l'orologio sulla parete, che
segnava quasi le otto.
-Devo andare adesso. O in ufficio mi faranno il culo.-
-Per fare il culo a te ci vuole la scaletta. Sei tanto alto!-
-Seh seh. Ciao spiritosoni.-
E chiuse la chiamata. Possibile che Marco fosse scomparso così di punto in
bianco? Passò in rassegna le possibili ipotesi, ma nessuna gli sembrò
plausibile. Si infilò velocemente la giacca, sistemandosi per bene il pullover
color prugna (regalo di Marco) e appuntò il cartellino magnetico ben bene alla
tasca, in modo da averlo pronto all'entrata.
* * * * *
Era soltanto un'ora e mezza che stava girando, ma a Marco cominciava a sembrare
un'eternità. Non ricordando l'indirizzo dell'appartamento di Emanuele, aveva
girato alla cieca per un bel po' di tempo, fino a che non si decise ad andare a
cercarlo direttamente a lavoro, magari prendere la sua auto e le chiavi di casa
ed aspettarlo direttamente nell'appartamento. Fu più difficile di quanto
credeva, infatti l'ospedale era molto lontano da dove
si era fermato per la notte (la casa di Virginio) – e senza un punto di
riferimento, gli era difficile orientarsi. Chiese in un paio di bar, poi si
decise di prendere un taxi. Il Taxi lo portò direttamente all'ospedale, dove si
sentì rispondere che l'unità amministrativa era alla fine del viale dal quale
era entrato. Di corsa, raggiunse il grosso parallelepipedo grigio, passò il
portone d'ingresso (vide un portiere che si schermava dietro le pagine rosa
della Gazzetta dello Sport) ed entrò nel complesso.
Lì per lì, non seppe a chi chiedere. Passeggiò avanti e indietro per il
corridoio principale, subendo gli sguardi incuriositi del personale. Una donna
bionda dall'aspetto curato gli passò davanti, quasi spingendolo, e non si scusò
nemmeno. Poi passò un tipo con una tuta blu con un carrello pieno di pacchi e
pacchetti; Si dirigeva verso il magazzino. Per non stare tra i piedi, si decise
a sedersi sulle poltroncine d'attesa... L'atrio era abbastanza animato, c'era
gente che passeggiava dappertutto, vide un uomo e una donna che discutevano di
assenze e ufficio personale, poi gli giunse la voce di un uomo che litigava per
telefono... C'era uno strano nervosismo generale. In mezzo a questo teatrino,
tra questa gente vide un ragazzo un po' robusto con gli occhiali che parlava
tranquillamente con un infermiere dai capelli biondi. Il ragazzo robusto
gesticolava, e l'infermiere annuiva. Ogni volta che annuiva, il cartellino che
portava sul camice bianco, si muoveva. Non capì bene le loro parole, ma
sembrava che stessero parlando di un film che avrebbero voluto vedere...
Sorrise, pensando che forse erano gli unici due ad essere sereni e spensierati
in mezzo alla frenesia totale dei loro colleghi. Sembravano avvolti da un'aura
di tranquillità, se avessero avuto una nube di colore a circondarli,
sicuramente sarebbe stata blu zaffiro per il ragazzotto con gli occhiali e giallo ambra per l'infermiere biondo. Si accoccolò sulla
poltroncina, chiedendosi cosa fare.
* * * * *
Come al solito, anche dopo la lunga degenza, Emanuele arrivò in ritardo. Ma ciò
che vide quando alzò la mano per timbrare il badge d'entrata, lo lasciò senza
fiato.
-Marco?!?-
-Emanuele!!!-
Marco era lì, seduto su una poltroncina della sala d'attesa. Si avvicinò
velocemente dopo aver timbrato il cartellino, e gli prese le mani. Senza
curarsi minimamente di chi c'era intorno, gli baciò entrambe le guance. Marco
si irrigidì. Nonostante fossero abituati al contatto fisico in pubblico, Marco
teneva sempre all'etichetta inglese che imponeva la discrezione nei luoghi di
lavoro o comunque di servizio collettivo. Si staccò leggermente dal suo
contatto, chiedendogli se ci fosse un luogo tranquillo dove parlare.
* * * * *
Due minuti dopo erano seduti alla caffetteria, in un angolo remoto della grande
sala. Le ultime addette alle pulizie stavano scomparendo una per una, lasciando
libero il campo.
-Come... come ti trovi qui?-
-Abbastanza bene. Sono... sono stato infortunato alla caviglia.-
-Cosa??? E non mi hai nemmeno telefonato?-
-Credevo che non mi avresti risposto.-
-Ah...-
Colto nel vivo, Marco minimizzò con un gesto della mano.
-Perché sei venuto qui?-
-Avevo... avevo voglia di vederti.-
Tradendo una punta di emozione, Emanuele cercò di mantenersi comunque calmo.
Tamburellò con le dita sul piano del tavolino, muovendo nervosamente il
ginocchio in su e in giù, come una molla.
“Anch'io avevo voglia di vederti”, pensò, ma il suo pensiero si tradusse in un
mero cenno di assenso.
-Tu... tu sei geloso di me, vero Ema?-
-...Beh...-
-Sì o no?-
L'ultima volta che aveva visto un ragazzotto cercare di abbordare Marco,
Emanuele era diventato rosso di rabbia e avrebbe voluto fargli vedere che era
lì anche lui, che Marco era fidanzato, e che quindi non c'era spazio per nessun
altro.
Emanuele annuì. L'espressione di Marco cambiò da leggermente preoccupata a
sorridente.
-Anch'io. Io sono gelosissimo di te, Ema... Per te dimenticherei chiunque... Ma
possibile che non lo capisci?-
-M...Marco, ci siamo già passati in questo discorso.
Io... sono fatto così. Non mi piace molto ballare, ma se proprio ci tieni... se
proprio vuoi che io balli insieme a te, allora... io lo
farò.-
-Perché?-
-Perché... ti amo.-
-E quanto mi ami?-
-Tanto... tanto.... tanto. Tanto.... Tanto.-
Roteò gli occhi, come cercando una risposta da qualcuno o qualcosa, e poi girò
la testa come un individuo perduto. Marco rise della tontoloneria del suo
compagno... Chi mai sarebbe riuscito a farlo ridere come faceva lui?
Delicatamente gli prese la mano nelle sue e gliela strinse dolcemente. Sia
Marco che Emanuele notarono entrambi l'anello sul pollice dell'altro, segno
della loro ufficiosa unione, avvenuta un anno prima, dopo tutta quella storia
accaduta con i due ragazzi giapponesi1. Sorrisero, quindi si
avvicinarono lentamente l'uno all'altro e si scambiarono un tenerissimo bacio
sulle labbra... Dopo poco il bacio diventò sempre più intenso, travolgente.
Emanuele prese delicatamente Marco fra le sue braccia, e continuando a baciarlo,
gli carezzava i capelli. Finalmente il suo Marcolino era tornato, e da ora in
poi non l'avrebbe più abbandonato, nemmeno per un altro stupido bicchiere di
Caipiroska.
Contento, Marco arruffò i capelli del suo compagno e gli tirò gentilmente la
cravatta mentre lo baciava, dimentico del fatto che fossero entrambi in un
luogo pubblico (sebbene deserto). Preoccupato dal fatto che qualcuno avrebbe
potuto vederli, Emanuele si staccò delicatamente da Marco, che gli sorrise.
-Meglio che vada a lavorare.-
Sussurrò, e porse a Marco un mazzo di chiavi dove ce n'era una più grande. La
chiave della Grande Punto.
-Queste sono le chiavi del mio appartamento e quella della tua auto. Vai lì, io
abito in Via delle Due Sicilie 24.-
-E come ci arrivo?-
Velocemente, Emanuele glielo spiegò, poi lo baciò nuovamente e si dileguò
dietro la porta a doppio battente. Nel frattempo, qualcuno aveva seguito la
loro conversazione e le loro effusioni, e non ne era stato particolarmente
contento.
“Così anche Ricciarelli dell'ufficio gare è un frocio... Bene...”
Pensato questo, Valenti si segnò un appunto sul suo taccuino.
CONTROLLARE CONTRATTO DI LAVORO RICCIARELLI.
E velocemente tornò a fare il suo dovere.
Note:
1: Vedere “Un ragazzo per due”, dello stesso autore
Erano le quattro e quarantacinque, ovvero quindici minuti prima
dell'inizio del turno giornaliero di Micaela e Marco e tutti i loro colleghi
Si chiamava Romeo Valenti, aveva trentacinque anni e da
sette serviva con diligenza l'amministrazione Bonafé. Nel 2003 era entrato in
quella struttura grazie ad un concorso pubblico, e in un colpo solo si era
ingraziato le simpatie della Direttrice e le antipatie dei colleghi. C'era chi
lo chiamava “Figlio di puttana” a mezza voce quando passava in corridoio, ma
lui per uno sguardo di traverso era capace di far passare i guai peggiori.
Ciononostante, alle reclute appariva una persona simpatica e cordiale, cosa che
si rivelava tutt'altro che vera nel corso della sua conoscenza. Molti lo
detestavano, ma ogni volta non potevano evitare di fare i lecca-culo con lui.
Era il prediletto della Direttrice generale.
Una sola volta gli era successo di essere stato mandato a quel paese.
C'era un ragazzo, appena arrivato alla struttura, che era addetto alla
vidimazione dei certificati. Il mestiere di questo ragazzo era sempre andato
bene a tutti, gli competeva soltanto mettere un timbro e controllare le date,
tutto qui. Niente di particolarmente difficile, almeno finché non arrivò
Valenti a fargli notare che il suo lavoro non andava bene.
-Thymoshenko, ma come cazzo li hai vidimati, questi certificati? Non ti rendi
conto che hai messo una data diversa?-
Ne venne fuori una discussione. Yuliy era appena arrivato lì, gli avevano
spiegato più che bene come fare il suo piccolo mestiere amministrativo (nel
tempo libero che aveva in infermeria) e quindi non accettava eccezioni da quel
tipo che era arrivato appena dopo di lui. Dopo venti minuti di discussione
sterile, Yuliy si era esasperato e aveva detto “Vai a quel paese”. A quella
frase, dopo uno sguardo infuocato con sottofondo un minuto di silenzio, Valenti
si era allontanato e aveva detto “Non finisce qui, Thymoshenko.”, uscendo in
fretta dalla porta, sbattendola.
Due giorni dopo era diventato capo dell'ufficio personale.
* * * * *
-...Davvero ti trattò così?-
-Certo. È solo un arrogante, un povero imbecille che crede di poter fare il
bello ed il cattivo tempo.-
-A quanto pare però ci riesce.-
-Purtroppo sì...-
Alle due e mezza del pomeriggio, ovvero poco prima della pausa pranzo, Federico
era sceso in archivio, a portare giù dei vecchissimi faldoni (gli era stato
detto di fare spazio perché da lì a poco gli avrebbero mandato qualche nuovo
collega), e lui aveva obbedito. A metà strada si era incontrato con Yuliy. Si
erano sorrisi ed erano scesi entrambi nel fresco dell'archivio. Ora Federico
stava ascoltando le confidenze serbate da Yuliy per tutti quegli anni, mentre lo
aiutava a mettere via i faldoni antichi.
-Coff! Coff! Quanta polvere!-
-Eh sì, ce n'è un bel po'... e io ho dimenticato i guanti su in ufficio.-
Le loro mani erano appiccicose, e l'atmosfera che si respirava non era proprio
salubre. Messo a posto l'ultimo faldone, si chiesero se fosse opportuno andare
a mensa.
-Io non ho molta fame.-
Dichiarò Federico, appoggiandosi al muro... Yuliy gli andò vicino e fece lo
stesso. Le loro braccia si toccavano, e anche le loro mani. Erano soli, in quel
locale fiocamente illuminato... Restarono silenzio per un bel po' di tempo, ad
ascoltare i loro respiri ed il sottofondo di rumorini generati dall'impianto di
riscaldamento... Poi Yuliy ridacchiò.
-Perché ridi?-
-Eheheh... Che … che situazione. Ci pensi? Se ci trovassero qui, si
chiederebbero perché un impiegato e l'assistente di infermeria sono insieme qui
sotto. Non fa ridere?-
-Effettivamente sì.-
Sorrise Federico, ridacchiando a sua volta. Ridendo, Yuliy posò la sua mano
sulla spalla di Federico, ridacchiando ancora più forte. E finirono entrambi a
ridere, in ginocchio sul pavimento, tenendosi la pancia ad ogni battuta che uno
diceva all'altro.
-Immagina se ci beccano a pomiciare qui!-
-Ahahahah! Scemo!-
-Heheheheh!-
Poi ad un certo punto, Yuliy rubò il cartellino di Federico, alzandosi e
allontanandosi da lui.
-Prendimi se ci riesci!-
Alzandosi anche lui, Federico alzò le mani e digrignò scherzosamente i denti,
sibilando “Se ti acchiappo ti faccio prigioniero!”.
Ridendo, Yuliy scappò via, in quel labirinto di scaffali, con Federico che lo
rincorreva. Girò di qua e di là, urtò uno scatolone e si nascose dietro ad uno
di questi, Federico saltellava di qua e di là, fingendo di essere arrabbiato,
ripetendo “tanto ti prendo”... Poi si ritrovò in un vicolo cieco formato da
tanti scaffali. Quando si girò, Yuliy era lì, con il
suo cartellino in mano.
-Hai perso. Ti ho preso io.-
-Beh, però ce l'ho messa tutta.-
E per un attimo in quel loro tornare bambini, si sentirono di nuovo felici.
Yuliy guardò negli occhi Federico, poi questi lo prese e lo abbracciò
dolcemente.
-Mi fai sentire tranquillo.-
-Anche tu.-
Accarezzandolo, Yuliy prese coraggio, per fargli la fatidica domanda.
-Fede...?-
-Sì, Yuliy?-
-Ecco io... mi chiedevo se tu... ed io ...-
-Tu ed io...? Cosa?-
-Che cosa provi per me?-
Leggermente imbarazzato, Federico prese un po' di tempo, prima di rispondere...
che non lo sapeva. Yuliy sospirò, e Federico si accorse di averlo ferito.
-Non.. non volevo dire che non so cosa provo per te.
Tu mi piaci, ma cerca di capire che sei anche il primo ragazzo, per non dire la
prima persona, con cui ho... degli scambi di questo tipo.-
-Oh...-
Federico gli sorrise. In quel sorriso, Yuliy vide
sincerità e smarrimento allo stesso tempo.
-Non sono mai stato con nessuno. Però non voglio stare con nessun altro che non
sia te. Vogliamo... vogliamo essere amici del cuore in questo modo?-
Yuliy gli sorrise. E poi annuì. Non gli interessava se
Federico non si considerava un suo fidanzato. Lo capiva, era come un bimbo che
non era mai uscito di casa per un lungo periodo.. di
conseguenza doveva rispettare i suoi tempi. Dopotutto, anche Yuliy aveva i
suoi, dato che non era mai stato con nessuno, e Federico era stato addirittura
il suo primo bacio. Alla veneranda età di ventisei anni. Si guardarono ancora
negli occhi... e di nuovo, dolcemente, si baciarono, per un lungo, lunghissimo
periodo. Passarono tutta l'ora di pranzo a scambiarsi effusioni nell'archivio,
fino a che Federico non dichiarò che la pausa stava per finire e che sarebbe
stato meglio per entrambi tornare ai rispettivi uffici. Yuliy si rimise il
camice bianco, spolverandosi un po' dalla polvere.. e
Federico lo abbracciò.
-...Lyublyu tebya.-
Sussurrò Yuliy all'orecchio di Federico. Lui non capì cosa avesse voluto dire, il
russo era l'unica lingua che non aveva mai studiato, però gli rispose...
-...Anch'io. Qualunque cosa tu abbia detto.-
Stretti nelle braccia l'uno dell'altro, ridacchiarono divertiti.
* * * * *
Intanto, a Milano, Sara era seduta di fronte a tre dottori che avevano preso in
cura sua madre. Due di questi erano gli ortopedici, che dichiararono che la
signora si sarebbe rimessa entro la fine di dicembre (non sapevano dire
quando), e che probabilmente sarebbe stato opportuno per lei cambiare clima...
come le stava appunto dicendo il terzo dottore. Uno psicologo.
-Ho ritenuto opportuno parlare un po' con sua madre, signorina Redaelli...-
Il suo cognome non era “Redaelli”, che era della madre, ma bensì “Fortino”. Ma
non le piaceva essere chiamata con il cognome del padre.
-...Durante la nostra conversazione è emerso che i
suoi genitori sono divorziati, vero?-
-S..sì, è così...-
-Suo padre è andato a vivere in Umbria con la sua nuova compagna e ha lasciato
voi due da sole, giusto?-
Senza dire una parola, Sara annuì tristemente, assumendo una posizione rigida,
come se si aspettasse una batosta da un momento all'altro.
-Lei, signorina Redaelli, è andata a vivere negli Stati Uniti per studiare da
stilista, lasciando sola sua madre. Ecco, io non
vorrei colpevolizzarla, ma penso che sua madre ne abbia sofferto molto, di
questa sua decisione... anche se non glielo ha mai
detto.-
Gli altri due medici si congedarono in fretta, e così la ragazza rimase sola
con quell'anziano dottore. Cadde dalle nuvole a quelle parole. Non le era mai
passato per la testa che la sua cara mamma si fosse sentita male dopo la sua
partenza... Sapeva solo che era contenta, che non vedeva l'ora di poterla
vedere... di poterla sentire...
-Che.. che cosa dovrei fare, Dottore? Abbandonare il
mio sogno di diventare stilista e tornare in Italia...?-
il Dottore scosse la testa.
-Sua madre è molto fiera di Lei, signorina... Vuole più bene a lei che a sé
stessa, e vorrebbe che lei proseguisse gli studi di moda. Però devo anche dirle
che sua madre soffre moltissimo, qui in Italia. Le spiego, nemmeno lei se ne
rende conto... è una donna molto forte e spesso tende
a non accettare la verità, e cioè che forse sarebbe meglio per lei cambiare
aria.-
-Intende dire che dovrebbe venire via con me negli Stati Uniti?-
-Precisamente. Sarebbe per lei un problema?-
-Oh Dottore... non sa quante volte gliel'ho chiesto io. Ma lei è testarda, non
vuole mai prendere in considerazione l'idea!-
Esclamò Sara, tenendosi la testa tra le mani, appoggiando i gomiti alla scrivania.
-Voglio darle un consiglio. Faremo in modo che sia sua madre stessa, a
scegliere.-
* * * * *
Il mattino dopo, Micaela si svegliò nella sua stanza. Intorno a lei, erano
arrivati due nuovi pazienti (fino a quel momento la sala era rimasta vuota). Si
guardò intorno, cercando con lo sguardo sua figlia. Non vedendo il cappotto e
la borsetta, si allarmò leggermente, e nel panico premette il pulsante per
chiamare un'infermiera. Velocemente arrivò Elsa, la caposala.
-Elsa, dov'è mia figlia?-
-Se n'è andata.-
A bocca aperta, guardando fissa Elsa, Sara sbottò
-E me lo dici così????-
-E come dovrei dirtelo, con un sottofondo musicale, forse???-
-Oh cavolo.... no......... Ha... ha forse lasciato detto qualcosa?-
La caposala si frugò nella tasca del camice, tirandone fuori una busta gialla.
-Ha solo detto di lasciarti questa.-
Una lettera. Micaela la prese dalle mani di Elsa e la ringraziò. Questa si
congedò velocemente, essendo stata chiamata da altri pazienti. Con la lettera
tra le mani, Micaela trattenne un accesso di pianto. Le venne male al cuore a
pensare che sua figlia se ne fosse andata senza salutarla, ma tra le mani aveva
la risposta a quel comportamento, perciò prese un bel respiro e si decise ad
aprire la busta. Quando la aprì, comparirono due
biglietti della American Airlines. Nel vederli, Micaela guardò dappertutto,
cercando come una risposta. Invece che una risposta, trovò solo indifferenza,
ma guardando meglio nella busta, c'era anche un foglio di carta. Lo aprì. La
calligrafia era quella schematica ed inconfondibile di Sara.
"Cara mamma,
So di averti lasciata un po' male senza nemmeno averti salutata, ma devi sapere
che l'ho fatto per il tuo bene. Ti ricordi quando io ero piccola e piangevo al solo
pensiero di dover andare a scuola? Tu mi dicesti che se ci andavo, al mio
ritorno a casa avrei avuto una sorpresa ogni giorno. Ed ogni giorno
puntualmente trovavo sul mio cuscino un ovetto di cioccolato..."
A Micaela vennero in mente tutte le statuine con sorpresa che la ragazza si era
portata via quando era andata a Miami, e ne sorrise. Poi ricominciò a
leggere...
"…Adesso però non sono più una bambina, e so che cosa
è meglio per me. Io in America ho trovato un bel posto dove
vivere e lavorare, però, come ti dicevo l'altro giorno, senza di te mi sento
sola. Tu sei stata per me una mamma fortissima, sei riuscita a mantenere la
calma dopo che papà ci ha lasciate e sei anche riuscita a lavorare con serenità
in quel postaccio, finché non ti hanno mandata via. Se adesso sei
convalescente, è solo colpa loro. E qui non serve la forza, serve solo il
buonsenso. Per cui, cara mamma, se vuoi dare ascolto alla tua unica figlia ed
al tuo buonsenso, guarda in questa busta. Dentro ci ho messo due biglietti per
Miami. Uno per l'andata, l'altro per il ritorno. ESIGO che tu mi venga a
trovare, perché se non lo fai, mi offenderò parecchio.
Dopodiché, avrai a disposizione il biglietto di ritorno.
Se vorrai tornare Milano, potrai farlo... ti accompagnerò in aeroporto e potrai
tornartene tranquillamente.
Se invece non vorrai... ti basterà stracciare il biglietto di ritorno, e
resterai con me.
Questo non è un ultimatum, è soltanto un consiglio che una figlia dà alla
madre, per il suo bene.
Dietro questa lettera c'è il mio indirizzo di Miami.
P.S.: Ti voglio bene e ho fiducia in te. X.X.X.
Tua figlia, Sara."
Arrivata in fondo alla lettera, Micaela si sentì il cuore gonfio di sentimenti.
La piccola Saretta era cresciuta, e ora le stava offrendo addirittura
l'opportunità di volare da lei. Sospirò ampiamente, sorridendo... e
ridacchiando di felicità. Riguardò i due biglietti.
“E va bene... Farò il mio viaggio negli Stati Uniti, non appena mi sarò
rimessa.”
Erano le quattro e quarantacinque, ovvero quindici minuti prima
dell'inizio del turno giornaliero di Micaela e Marco e tutti i loro colleghi
La resa dei conti arrivò anche troppo in anticipo sulla
tabella di marcia. Poco prima di Natale, incominciarono ad arrivare delle
lettere a molti dipendenti, in particolare a quelli che erano stati assunti da
poco. Tra i molti, vi figuravano i nominativi di YuliyThymoshenko, Federico Mantelli ed Emanuele
Ricciarelli. I testi delle lettere invitavano, a giorni od orari diversi per
ciascun dipendente chiamato, di presentarsi al Direttore del Personale per
comunicazioni urgenti.
-Q...questo vuol dire che … sono licenziato?-
Yuliy non ci credeva. Uscì dall'ufficio sconvolto,
tenendosi la bocca con entrambe le mani. Motivazione? Spesso nel corso dei
sette anni di carriera, aveva rilasciato ed accettato dei certificati con date
sbagliate, favorendo l'assenteismo generale. Intollerabile per
un'amministrazione pubblica precisa ed oculata come quella.
-Ah. Sono stato licenziato...?-
-Sì, ma non è dipeso da te, Emanuele... l'azienda non ha la possibilità di
assumerti perché non ci sono abbastanza fondi, e poi comunque il tuo contratto
era a tempo determinato fin dall'inizio.-
Facendo una smorfia di disappunto, molto simile ad un “Chissene
frega”, Emanuele si alzò dalla poltroncina.
-Capisco. Vabbé. Salve...-
Pronunciò quelle ultime parole dando le spalle a quell'impiegato che gli aveva
dato la notizia. Una mano in tasca, l'altra sul pomello della porta, l'aprì ed
uscì.
Uscito dall'ufficio, Emanuele tirò un sospiro di sollievo. Non aveva lavorato
tantissimo durante quei cinque mesi, e la maggior parte del tempo si era
annoiato. Il lavoro di dipendente pubblico non faceva proprio per lui. Si
sentiva quasi sollevato, ora camminava in quel corridoio grigio con una
serenità rinnovata, pensando che forse sarebbe potuto tornarsene a Milano,
oppure andarsene in giro per il mondo... Ah, che sensazione! Sorrise,
fischiettando allegramente.
Passando per l'ufficio di Federico, pensò di salutarlo, e magari scambiare
quattro chiacchiere. Ma ciò che sentì fuori dalla porta socchiusa, gli fece
presagire che il ragazzone non avesse tanta voglia di parlare.
Dallo spiraglio di porta, vennero fuori dei singhiozzi strozzati. Federico se
la stava piangendo della grossa. Stette lì per un minuto buono, finché non
prese coraggio e diede due bussetti con l'indice e il medio.
-F..Fede? Posso entrare?-
Sentì Federico che tirava su col naso, e poi lo udì dire “Sì, vieni Ema.” - e lui entrò. Entrato, vide sulla scrivania un bel
po' di fazzoletti usati, una bottiglia d'acqua vuota per tre quarti e Federico
che reggeva un fazzoletto in una mano ed il bicchiere nell'altra. Gli occhi
erano rossi e gonfi, le guance solcate da lacrimoni
salati. Emanuele gli si avvicinò cautamente, andando a toccargli le spalle.
-Che è successo?-
Con voce tremante, Federico sussurrò “L...Licenziato.”
-Oh... anche tu?-
Federico si girò a guardarlo. Decisamente, senza occhiali appariva molto più
carino.
-Cos...cosa vuol dire “anche tu”?-
-Hanno licenziato anche me.-
-Perché...?-
-Mancanza di fondi per rinnovare il mio contratto.-
Sbuffando, Federico lanciò il suo fazzolettino di carta e si asciugò le
lacrime, scuotendo la testa.
-Che stronzate.... Che possano morire tutti quanti
intossicati dalle loro scoregge, che Iddio Onnipotente m'ascolti ora e per
sempre.-
Con le mani, Emanuele poteva sentire che i muscoli di Federico erano
praticamente contratti. Cercò di farlo rilassare, massaggiandogli un attimo le
spalle... Ma lui continuò con la sua litania.
-Mi hanno licenziato sostenendo che in cinque anni sono spariti molti oggetti
inventariati, che comunque io ne ero il responsabile e che non avrei mai dovuto
permettere che accadesse. Cristo!!!! ! Che possano
tutti quanti morire int....-
-...intossicati dalle loro scoregge. Va bene Fede, l'hai già detto. Adesso che
ne diresti di rilassarti? In fondo non è successo niente, hai solo perso il
lavoro. Sono cose che capitano.-
-Ma non devono capitare!!! Non a me!!!!-
sbottò Federico, sottraendosi alle mani di Emanuele,
per poi guardarlo fisso negli occhi. In quelle due palle oculari
color castano chiaro, Emanuele vide rabbia, impotenza e frustrazione, e
lacrime... tante lacrime. Prese una sedia, e si sedette. La tranquillità di
Emanuele era un elemento di disturbo alla psiche del povero Federico, che al
contrario rimase in piedi ad osservarlo.
-Ascoltami... Per quello che ho imparato nella mia vita, so sempre che prima o
poi i cattivi hanno la loro punizione.-
-Sì, e gli uccellini fanno Cip. Congratulazioni Emanuele, non si direbbe che
hai una laurea in scienze della comunicazione, quanto piuttosto in Scienze
delle Banalità.-
-Siediti e ascolta. Quante volte ti hanno stressato, in questo posto? Quante
volte hanno sempre cercato di ostacolarti? Tante, amico mio, tante.
Adesso ti offrono la possibilità di andartene, e credimi... spesso lasciare la
strada vecchia per la nuova, porta a cose nuove e magari più belle.-
Accavallando le gambe, Federico guardava nel vuoto, ascoltando ciò che Emanuele
stava dicendo.
-...Uno con la tua esperienza, con la tua
intelligenza, può trovarne tanti altri di lavori migliori. Ne sono più che
sicuro.-
Tirando su col naso, Federico guardò fisso negli occhi Emanuele... Ora sembrava
essersi calmato, a quelle parole. Effettivamente, cambiare era una cosa che
inconsciamente desiderava da tempo... E da lì a poco, l'avrebbe fatto.
-Scusate...-
Una voce li fece girare verso la porta. Era Yuliy,
che se ne stava sulla soglia. Anche lui, come Federico, stava piangendo.
Lentamente si avvicinò ad Emanuele e Federico, e andò ad abbracciare
quest'ultimo. Senza che nemmeno aprisse bocca, Federico si rese conto di
cos'era successo.
-Oh no … Yuliy...-
-Sì. Licenziato. Anche io.-
-Bastardi maledetti.-
mentre piangeva sulla sua spalla, Federico notò che
Emanuele stava scrivendo qualcosa sul bloc notes
grande. Le righe scritte erano:
“Adesso non piangere più – devi consolare Yuliy.”
E gli sorrise, facendogli l'occhiolino. Ancora una
volta, Federico notò come Emanuele fosse una persona al di sopra di ogni
problema. Aveva appena perso il lavoro, ma riusciva ad essere sempre lo stesso
ragazzone tranquillo e riflessivo che aveva conosciuto... Pensò che ci fosse
davvero molto da imparare da lui. Sorrise, stringendo dolcemente Yuliy e carezzandogli i capelli.
Erano le quattro e quarantacinque, ovvero quindici minuti prima
dell'inizio del turno giornaliero di Micaela e Marco e tutti i loro colleghi
La mattina del 30 dicembre 2009, mentre era intento a
caricare alcune buste della spesa sulla grossa Lancia K di Federico, Marco
ricevette una telefonata.
BLEEE-BLEEEP!
BLEEE-BLEEEP!
-Di chi è il cellulare?-
chiese Federico, tastandosi le tasche per capire di chi fosse, salvo poi
ricordarsi di averlo lasciato a casa. Emanuele fece lo stesso, ma proprio nel
momento in cui guardava il display del suo cellulare, vide Marco che rispondeva
al suo cellulare. Gli fece uno scherzoso gesto di “và a quel paese”.
-Pronto? Michi! Ciao, che bella sorpresa! Allora,
come stai?-
Ridendo, Marco annuiva alle parole della sua ex-collega nonché amica... ed
Emanuele lo osservava, appoggiato all'auto di Federico... Questi gli andò
vicino e gli offrì un chewing-gum.
-Geloso?- -Naaa. Sta solo parlando con la sua collega.-
Ficcandosi la Brooklyn
in bocca, e mentre Emanuele ne scartava una, Federico disse
-Chi, quella che dopo che l'hanno licenziata, è stata investita da un taxi?-
-Già.-
-Brutta storia. Chissà cosa significava per lei quel lavoro.-
-Più o meno quello che per te significava il tuo, lavoro.-
Masticando, Federico guardò Emanuele di traverso. Questi gli sorrise serafico,
prima di calargli una pacca amichevole sulla spalla.
-Ahio!- -Eheheheh! Dai, che faccia... non è mica la fine del
mondo, ne troverai un altro!-
-Se ne avrò voglia. Per ora ho bisogno di un periodo di riflessione...-
-Già. Ma fallo, questo periodo di riflessione, eh! Se ti becco a cercar lavoro
a inizio anno... io .. io ti...- -Seee, see.. è arrivato il
cavaliere mascarato.-
-Come? Scusanunhopropriocapitoch'aidettooooo??
Viè qua che te faccio vedè
io!!!- -Ahahah!!! Nooo lasciami!!!-
Rincorrendosi come due scemi, mentre la gente che passava nel parcheggio
ridacchiava a guardarli, si sentivano bene. Emanuele era felice di aver
presentato Yuliy e Federico a Marco, Andrea e
Stefano, e Federico per la prima volta poteva dire di sentirsi felice e
accettato in un gruppo. E chi se lo sarebbe mai aspettato che un giorno o
l'altro sarebbe arrivato quello spilungone saggio di Emanuele? E che poi gli
avrebbe presentato tutti i suoi amici? Sicuramente non lui. La speranza c'è per
tutti, basta solo aspettare.
Intanto, mentre il suo fidanzato ed il nuovo amico acquisito giocavano intorno
all'auto, Marco parlava al telefono con Micaela...
* * * * *
Sempre a Milano, ma ad un abbondante numero di chilometri di distanza, Micaela
stava preparando le valigie. Il suo guardaroba era tutto in una valigia
Samsonite color verde ed un trolley della Lotto, che conteneva anche i suoi
ultimi trucchi e cosmetici.
-...Sì, te l'ho detto. Ormai ho preso la mia decisione. Vado a trovare mia
figlia...-
Un attimo di pausa. Dov'era il passaporto? Tenendo il telefono nella mano
destra, e frugando con la sinistra, lo trovò. Sospirò di sollievo, mentre Marco
le diceva che stava bene e che quella sera avrebbero pranzato tutti quanti,
Lui, il suo fidanzato e due suoi nuovi amici.
-Beato te! Io invece sarò in aereo...... Eh... sì, lo so, lo so... Purtroppo
non mi hanno dato un'altra data, c'era soltanto questa. È una bella
scocciatura, ma va beh... Arriverò circa per le otto e mezza di sera, mentre
qui in Italia saranno già le due del mattino... Mia figlia mi ha detto che sono
invitata ad un veglione. Capirai, sono anni che non ...-
Ridendo, annuì alle parole di Marco che le raccomandava di non ubriacarsi.
Sempre sistemando le cose nelle valigie, Micaela gli rispose che ci sarebbe
stata attenta. Parlò per altri due minuti, finché non sentì il clacson di
un'auto che la chiamava da fuori.
-Devo scappare, è il mio taxi. Sì... ti mando un sms appena arrivo. Ciao...
C...ciao, Marco.....-
E riappese, premendo il tasto rosso. All'iniziale felicità del fare i bagagli,
si era sostituita un'improvvisa malinconia. Si affacciò alla finestra, e fece
segno al tassista (che era una donna) di aspettare cinque minuti. Si voltò. La
casa in affitto in cui era stata per tanti anni, ora gli appariva più fosca,
più vuota.
***Con te lo so,
sempre così
rimesci pianti e sogni
e poi mi butti via.***
L'armadio in legno di noce con lo specchio rifletteva l'immagine di una donna
quarantenne, ma che avrebbe potuto tranquillamente dimostrare una decina d'anni
di meno. Ricordando di quando era commerciale alla V-Services,
si era messa un bel tailleur blu elegante, con una spilletta
d'oro. Eppure... c'era qualcosa che non andava.
***Con te lo so,
non smette più
la rabbia dei ricordi,
e vomito la mia allegria.***
Nel riflesso, vide le sue mani. In particolare, la sua mano sinistra. Al dito
portava ancora la fede, che non aveva mai tolto da quando Vincenzo l'aveva
lasciata. Tirò un lungo sospiro, e con un gesto, la levò, mettendosela in
tasca. Se l'avesse persa, pazienza.
Poi si avviò nel corridoio. Lì non c'erano quadri, nemmeno uno. Soltanto un
mobiletto dove c'era una scatolina per le chiavi (non che ne avesse molte,
soltanto quella di casa e quella della sua automobile, prima che non potesse
più permettersela, quando fu costretta a venderla) e una candela per quando
mancava la luce. Più avanti, c'era la cucina.
***Io, che vorrei... averti qui
nel mio deserto di speranze,
come farò... senza di te
in questo cielo all’orizzonte...
Con te lo sai,
quel giorno in più,
è un grido nel silenzio
contro i venti e le maree.***
Lì, c'era la credenza ancora piena dei piatti e delle stoviglie di proprietà
della padrona di casa, il frigorifero Whirlpool e l'acquaio pulito che
risplendeva alla fioca luce del primo pomeriggio invernale... Un tavolo
rettangolare... e un divano, che guardava verso un televisore spento. Toccò
quel divano, pensando che quella forse sarebbe stata l'ultima volta che vedeva
quella casa, pensando che tutte quelle emozioni le davano stanchezza...
Il bagno, anch'esso pulito e limpido, e totalmente vuoto.
***Con te lo so,
finisce qui
l’inizio di un amore
che ci guarda andare via.
Anima mia... cosa farò
nei boschi immensi della luce,
senza di te... ali non ho
per questo cielo che mi prende
cielo che non sente...
Ciao, maledetto ciao,
ora sono qui,
prova a resistere.
Ciao, maledetto ciao,
perché si muore già
senza combattere...
Siamo spiriti, spiriti
per una breve eternità
Spiriti, spiriti
la notte cade per noi
e non può finire. ***
Così come la seconda cameretta. Niente di niente neanche qui, a parte un
armadio vuoto, una piccola scrivania con sedia ed un letto senza materasso.
Spense la luce, quindi tornò nella stanza da letto principale. Chiuse le due
valigie, mise il passaporto in borsetta e velocemente, prima di venire colta da
un'altra crisi di nostalgia, prese la porta e ne uscì. Un passaggio veloce
dalla portinaia per restituirle le chiavi, e poi via, fuori, dove l'aspettava
la tassista.
Questa la accolse con un sorriso, aiutandola a mettere le valigie nel capiente
bagagliaio della Peugeot 307. Poi entrambe salirono nel veicolo.
-Dove andiamo, allora?- -All'aeroporto di Linate.-
-Va bene...-
“Milano, 1969. Io sono nata qui, e vi ho vissuto per quarant'anni. Ho
incontrato il mio amore, l'unico della mia vita, Vincenzo. Sono stata tradita,
sono stata licenziata dal mio lavoro, ho subito umiliazioni, un licenziamento,
un incidente... Ma nonostante tutto sono ancora viva. Sono una donna
coraggiosa, come poche ce ne sono...”
“...Forse più che coraggiosa sono fortunata. Sì, perché non capita spesso di
partorire una figlia come la mia, così dolce e disponibile...ma soprattutto
intelligente. Grazie Saretta mia... grazie. Non ti
sarò mai abbastanza grata per quello che stai facendo per me.”
Il viaggio durò un'oretta buona. Grazie al traffico, Micaela poté guardare
attraverso il finestrino la sua città, le vie piene di gente, le vetrine...
finché non giunsero all'aeroporto.
Si scelse un bel posto vicino al finestrino. Non aveva paura di volare, ci era
stata già altre volte in aereo... ma allora... perché si sentiva così inquieta?
Provò a leggere un giornale, coprendosi totalmente nelle pagine, finché gli speakers non diramarono un annuncio.
-Attenzione prego. L'aereo sta per decollare. Si pregano i signori passeggeri
di allacciare le cinture di sicurezza e di mantenere lo schienale del sedile in
posizione verticale. Durante il decollo i signori passeggeri sono pregati di
restare ai propri posti. Grazie.-
Seguito poi dallo stesso annuncio in inglese, in francese, in tedesco e
spagnolo. Pochi minuti dopo, l'aereo decollò. Micaela fece capolino dalle
pagine del giornale per guardare fuori dal finestrino, vedendo la pista che
diventava sempre più piccola, le case e le auto che subivano la stessa sorte...
le nuvole che coprivano la visuale e.... le venne da piangere.
Singhiozzando, lasciò cadere il giornale e si portò le mani agli occhi. Ce
l'aveva fatta. Era riuscita a lasciare la sua vecchia vita... E quelle erano
lacrime di gioia.
Poi, sotto i suoi occhi, si materializzò una mano che stringeva un fazzoletto.
-Are you okay? Si sente bene, signora?-
Micaela guardò prima la mano, poi il proprietario. Era un affascinante uomo di
mezza età, biondo e dagli occhi azzurri, che la guardava sorridente. Intuì che
doveva essersi seduto mentre lei era intenta a coprirsi con il giornale. Lui le
offrì ancora una volta il fazzoletto, e lei lo prese e si asciugò gli occhi,
ringraziandolo.
-Di niente. A proposito, mi chiamo Alan. E Lei?-
Parlava un italiano perfetto, anche se si sentiva l'accento anglosassone. Era
vestito con una giacca ed una camicia di un blu chiarissimo, e portava una
cravatta color crema a righe bianche. Sembrava molto possente, e Micaela stimò
che fosse addirittura più alto di lei.
-Mi.. Micaela.-
-Ah, Micaela... Ha un bellissimo nome.-
Arrossendo, Micaela tirò fuori un altro mezzo sorriso, non sapendo bene cosa
dire. Improvvisamente era ringiovanita di vent'anni, e gli sembrava di sentire
di nuovo il suo cuore battere forte.
-Grazie. Anche lei ha un bel nome... Alan.-
Durante le ore del viaggio, Micaela e Alan parlarono parecchio, scoprirono di
avere molte cose in comune e di aver anche conseguito specializzazioni affini
(Alan si era laureato in architettura e Micaela era diplomata geometra), lui
aveva quarantacinque anni e lei quaranta, e anche lui era stato lasciato dalla
sua consorte, pochi anni prima.
Per cena ordinarono un piatto di spaghetti e una cotoletta. Alan insistette per
offrirle un bicchiere di champagne, e lei si sentì doppiamente lusingata.
Brindarono, bevvero lo champagne e parlarono ancora un po'... Lei sempre più
attirata, e così vogliosa di essere stretta tra le sue braccia... e lui...
sempre più ammaliato dalla bella italiana...
Ad un certo punto, quando ormai le parole erano finite, Alan le prese
dolcemente il viso tra le mani, e chiudendo gli occhi la baciò dolcemente sulle
labbra. Micaela si sciolse in un fremito di felicità a quel contatto, portando
le sue braccia intorno alle spalle possenti dell'americano, desiderando che
quel momento si dilatasse all'infinito, sentendo il suo cuore che batteva
forte.
Poi, quando ormai le luci si erano spente per lasciare dormire gli altri
passeggeri, Micaela e Alan erano ancora lì a baciarsi... Abbracciandosi e
sorridendosi... Nella fioca luce delle lampade notturne, Alan disse che Micaela
era la donna più bella che avesse mai conosciuto.
E lei...
Lei ci pensò su. Già altre volte degli uomini le avevano detto che era
bellissima, al solo obiettivo di portarla a letto... Questa volta però, era
diverso. In un modo o nell'altro, sentiva di potersi fidare dell'americano.
Lo baciò dolcemente, e gli rispose
-...E tu sei l'uomo più dolce che io abbia mai incontrato.-
Restarono a scambiarsi effusioni per il resto della notte, fino a che Micaela
non si addormentò sulla spalla di Alan. Cullata dal rumore rilassante dei
motori, fece tanti bei sogni, vide sé stessa insieme ad Alan, sognava di
baciarlo ancora, e nel sonno cercava la sua mano. E ogni volta che lei la
cercava, Alan era lì a stringergliela dolcemente, baciandole la fronte.
***Ciao (ciao), maledetto ciao (ciao)
ora sono qui,
voglio sorridere.
Ciao (ciao), maledetto ciao (ciao)
nell’aria resterai
gioia di vivere.
Ciao (ciao), ciao (ciao), cia-a-oooooo
Ciao (ciao), maledetto ciao (ciao)
ora sei con me
gioia di vivere.
Erano le quattro e quarantacinque, ovvero quindici minuti prima
dell'inizio del turno giornaliero di Micaela e Marco e tutti i loro colleghi
Milano, casa Castellino, 1992.
-Andrea! Hai finito i compiti?-
-Non li ho nemmeno iniziati, Claudia...-
Il piccolo Andrea era seduto sul tappeto del salotto, a giocare con le
costruzioni. Da lì a poco sarebbe arrivato Marco, e allora avrebbe potuto cominciare
i compiti. Claudia era un'amica del padre, che ogni tanto cercava di spillargli
qualche favore. Andrea non poteva sopportarla, quindi ogni volta che c'era lei,
lui faceva finta di non esserci.
Suonò il campanello.
-Marco!!!-
Si precipitò ad aprire, e la faccina che gli si presentò alla soglia fu quella
del suo amicone di giochi, magro come un chiodo, proprio un grissino torinese.
Sul naso perennemente raffreddato aveva un paio di occhialoni con la montatura
di tartaruga, e indosso aveva un maglione con l'immagine di Winnie the Pooh. Si
sorrisero, poi Andrea gli prese la mano e lo portò in salotto.
-Andrea...?-
-Che c'è?-
-Ma tu... tu lo sai già cosa... cosa farai da grande?-
-Io sono già grande!-
-Uffa... volevo sapere che lavoro volevi fare.-
-Lavoro? Uuuuuhh... Non... non lo so.-
-Uh...-
-E tu?-
-Non lo so. Per ciò te l'ho chiesto.-
-Il lavoro fa male.-
-Davvero? Perché?-
Il piccino sgranò gli occhi, e dietro alle lenti sembrarono scintillare di
paura. Andrea ridacchiò, e Marco pensò che stesse per raccontargli un'altra
delle sue storie per non farlo dormire.
-Perché... Mio padre torna a casa dal lavoro tutte le sere e quando è tornato
si mette sul divano e quando c'è la televisione lui dorme sempre, e … e non...
non sente più, non parla più... e ..e...-
-Oh!!! Questo è terribile! Il lavoro fa morire?-
-Fo... forse.-
-A me è successo di peggio... Papà appena tornato dal lavoro un giorno, ha
fatto piangere la mamma, l'ho sentita dire che papà non la amava più, che
dovevano Di...vor...are.-
-Divorare? Vuoi dire Divorziare!-
Esclamò Andrea, mentre Marco abbassava gli occhi e incominciava a torturare un
pupazzetto con le sembianze di una tartaruga ninja.
-S... sì... quello.-
-Che brutto... Sarebbe meglio non lavorare mai...-
-Sì. Forse è meglio.-
Dopo quell'ultima frase, ricominciarono a giocare, parlando di cose più adatte
alla loro età, come ad esempio l'ultimo episodio dei cartoni animati.
-Oggi c'è la puntata finale! Comincia tra poco!!!-
* * * * *
Tuscania, casa Ricciarelli, 1995.
Il piccolo Emanuele era solo davanti alla porta. Gli avversari cercavano di
rubargli la palla, ma lui era più alto e più forte di tutti, e con una pedata
alla palla, riuscì a gonfiare la rete.
-GOOOOOL!!!-
-A Riccio, hai fatto Gol!!!!!-
-SEEEEEHHH Finalmente!!!-
Fu festeggiato dai suoi compagni di squadra, che lo buttarono sul battuto di
terra gialla e lo abbracciarono, sporcandogli tutti i vestiti, mentre gli
avversari litigavano tra di loro. Ad un certo punto, un urlo squarciò la quiete
del cortile.
-EMANUELEEEEEEEE!!! EMANUELEEEEEEEE!!!-
Annamaria, la madre di Emanuele, lo stava chiamando. Uno dei compagni di
squadra di Emanuele lo aiutò ad alzarsi da terra, dicendogli
-Che palle, c'è tua madre...-
-Sì... cheppalle... E se mi vede conciato così, stasera mi fa fuori. Ciao
ragazzi...-
-Ciao Ema.-
-Ciao Riccio... ci vediamo domani...-
-Se sarò ancora vivo, ve telefono.-
E allontanandosi, andò verso la madre. Era tutta vestita bene, con la giacca e
la gonna. Appena tornata dal lavoro.
-C..ciao mamma.-
Disse, con la testa bassa. Lei gli strattonò il braccio e lo tirò verso
l'entrata del loro palazzo.
-Hai fatto i compiti?-
-S...sì....-
-Ah sì, eh? Adesso che andiamo su vediamo. E.. guarda come te sei ridotto! Ma
te pare la maniera de giocà a pallone, questa?-
-Ma sono i vestiti vecchi...-
-Sempre a perdere tempo col pallone. Ma perché non ti decidi a crescere, una
buona volta? Credi che io sia diventata capo contabile alla fabbrica giocando
con le bambole? Eh? Impegno, ci vuole, nella vita, impegno! Ma quando lo
capirai? A tredici anni gioca ancora col pallone... Ma non hai ancora capito
che nella vita bisogna lavorare, per vivere???? Oh signore.-
-Ma... ma io non so ancora cosa fare, da grande.-
-Nossignore. Te diventerai un contabile, come me. E guai a te se non ce la fai!-
Senza dire nulla, salirono le scale fino al settimo piano. Lì, aprendo la
porta, Emanuele vide il padre in salotto.
-Eccolo qua il mio figliolo!! Allora, chi ha vinto oggi, eh?-
-Abbiamo vinto noi, papà.-
Disse, sorridendo. La madre rimbeccò entrambi.
-Voi avete sempre il pallone in testa, eh? Vieni qui tu, che dobbiamo
controllare i compiti. Domenico! C'è da pagare la bolletta del gas, vedi di
farlo domani perché io non ho voglia di andarci. Non ho tutto il tempo libero
di questo mondo come voialtri, io!-
-Certo certo... Alla fin fine noi siam sempre quelli che se lo grattano
allegramente, mentre tu sei l'unica che lavora in tutta Viterbo...-
-COME HAI DETTO, DOMENICO??? NON HO SENTITO BENE.-
-Niente Annamaria, 'un ti preoccupare. Stavo a parlare con mio figlio.-
Dicendo questo, strizzò l'occhio al figlio, che gli rispose con lo stesso
gesto, mentre la madre passava in rassegna gli altri della famiglia, ovvero i
fratelli di Emanuele, Graziana e Francesco. Domenico Ricciarelli faceva il meccanico.
Amava i suoi figli e sua moglie, benché fosse molto dispotica. Talmente
dispotica che l'aveva convinto a trasferirsi a Tuscania da Livorno, dov'era
nato e dove viveva... Ma non abbastanza dispotica da fargli perdere il
buonumore e la giovialità tipicamente toscana che lo contraddistingueva.
-Certe volte mi domando perché l'ho sposata...-
-Perché le vuoi bene, papà.-
-Eh no. Perché il tuo babbo l'è un coglione!-
-Ahahahahah!!-
Meno male che c'era suo padre.
* * * * *
Lecce, casa Mantelli, 1993
Circondato da orsacchiotti e altri pupazzi inanimati, con l'ausilio di una
lavagnetta, Federico stava tenendo una lezione.
-I... am..... You... are..... He …. is.... Questa è la coniugazione del verbo
“To be”, ovvero il verbo essere. È chiaro fino a qui?-
Una lezione d'inglese. In realtà non stava dicendo ciò che ricordava, bensì
stava copiando dal suo libro di testo, mentre gli animali inanimati lo
guardavano con interesse. Sorrise. Da un'altra stanza, arrivò la voce di suo
padre.
-Stai di nuovo a fare la lezione di inglese ai pupazzi? E cresci, una buona
volta!!! E quando cresci, evita di fare l'insegnante... è la categoria più
sfigata della terra.-
A quelle parole, Federico si mise a piangere, nascondendosi sotto la
scrivania... chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare da grande per non sentirsi
più dire certe cose.
* * * * *
Yaroslav, casa Thymoshenko, 1993.
-Adesso fai un bel respiro profondo...... Sì... trattieni il fiato.......
hmmm... Okay, respira di nuovo.-
Quel pomeriggio Yuliy era riuscito ad invitare a casa Sergeij, il suo compagno
grassottello che lo prendeva sempre in giro. Munito di stetoscopio, gli stava
auscultando i battiti del cuore. Rosso di vergogna, Sergeij voleva rimettersi
la maglia.
-Ho... ho freddo, Yuliy.-
-A...abbiamo quasi finito.-
Gli toccò la pancia, e sorrise estasiato... la toccò una volta ancora, fino a
che Sergeij se la rimise senza aspettare il suo consenso. Yuliy sospirò.
-Quando diventerai un dottore potrai sentire tutte le persone che vuoi.-
-E va beh...-
Rimise a posto lo stetoscopio, e si sedette a giocare a scacchi con Sergeij,
che era un campione.
* * * * *
Milano, Istituto Tecnico Fermi, 1988.
-Evviva, evviva, EVVIVA!!!-
-Ce l'hai fatta, Michi? Com'è andata???-
-Ho preso sessanta su sessanta!!!-
-Che secchiona. E adesso cosa farai?-
Tenendo lo zaino in spalla, mentre camminava con la sua amica Ornella, iniziò a
fantasticare sul suo futuro.
-Mi piacerebbe entrare in uno studio di geometri o di progettazione. E tu cosa
farai?-
-Penso l'università. Giurisprudenza.-
-Capperi. Io di studiare non ne posso più, meglio andare a lavorare.-
-Ne sei proprio sicura?-
-Sìììì. Uffa, non mi mettere dubbi proprio ora. Sono andata strabene! Che
motivo ho di preoccuparmi adesso per il futuro?-
Mentre diceva quella frase, passò loro davanti una vespa con sopra un
giovanotto. Lei incrociò il suo sguardo ma lui non ci badò, essendo troppo
impegnato a fare lo stupido con il motorino per compiacere le ragazzine che
avevano appena fatto l'esame di maturità.
-Vincenzo... che imbecille.-
disse Ornella, mentre Micaela era tra le nuvole.
-Michi? Stai sognando?-
-Eh...? Oh... io... no.-
-E allora? Cosa ne pensi del Vincenzo?-
-Vincenzo...? Mah... penso che sia un povero stupido.-
-Già. Povera ragazza, chi lo sceglierà come fidanzato, quello.-
-Hai proprio ragione. Andiamo a farci un gelato? Questo caldo mi sta uccidendo.-
-Sì. Andiamo.-
Erano le quattro e quarantacinque, ovvero quindici minuti prima
dell'inizio del turno giornaliero di Micaela e Marco e tutti i loro colleghi
...Era il 31 dicembre. Capodanno 2009. Per l'occasione i
ragazzi avevano deciso di fare un veglione nell'appartamento di Andrea. Dato
l'insuccesso del capodanno passato, dove in discoteca Emanuele si era ubriacato
e Andrea pure, si era deciso per una serata molto tranquilla. Tra gli ospiti
c'erano anche Yuliy e Federico. Erano le otto.
Distrattamente, Federico accese il televisore, che fece comparire prima la fine
di una pubblicità natalizia, e poi.... le note della
sigla di apertura del TG5. Emanuele gli andò vicino, e Federico gli fece un
sorriso. I primi titoli, scanditi dalla voce di Cristina Parodi, fecero
rimanere entrambi di stucco.
-INCHIESTA GIUDIZIARIA COLPISCE L'AUSL DI COMO - I
DIRIGENTI DELL'AZIENDA SOSPETTATI DI TRUFFA AI DANNI
DELLO STATO E NEGLIGENZA NELLA GESTIONE; IL PROCURATORE ALFREDO LO BUSSO HA
APERTO L'INDAGINE.-
A bocca aperta, Federico teneva il telecomando, mentre accanto a lui comparve Yuliy, che sembrava avere la stessa espressione. Quando poi
comparve il servizio, in cui si diceva che la dottoressa Bonafé
era stata arrestata, così come il dirigente del personale Valenti e un sacco di
altri pezzi grossi che entrambi conoscevano, Federico e Yuliy
esplosero.
Esplosero in un coro polifonico di risate. Si guardavano e ridevano, ridevano e
si piegavano per le loro stesse risate. Stefano, Andrea, Emanuele e Marco
pensarono che erano carini mentre ridevano insieme...
e sorrisero.
-Non ve l'aspettavate, eh?-
Chiese Emanuele, mentre Federico si riprendeva. Non l'aveva mai sentito ridere
così, e nemmeno lui stesso aveva riso tanto in vita sua.
-Ahahahah! Beh, un sospetto io ce l'avevo... mi
facevano sparire gli oggetti inventariati quasi ogni giorno... Io me la facevo
addosso aspettando il magistrato che mi avrebbe fatto il culo a strisce... e
invece ... il culo a strisce l'ha fatto a loro! Ahahahahah!- -Ahahahahah!!! Anch'io!!! Io
compilavo i certificati come mi dicevano loro, però chi se lo sarebbe aspettato
che non fossero in regola!! ahahah!-
-Non siete preoccupati? Potrebbero anche chiamarvi a testimoniare...-
Ribatté Andrea, un po' preoccupato. Yuliy e Federico
si guardarono negli occhi, poi Yuliy diede una
scrollata di spalle e rispose
-Non lo so. Nel caso, conosci un buon avvocato?-
-Mio padre conosce qualche avvocato!-
Disse Stefano, ma Federico gli rispose
-Speriamo che non ce ne sarà bisogno.-
-Già...-
In un modo o nell'altro, la serata trascorse allegramente. Arrivarono un bel
po' di persone invitate da Andrea e Stefano (che erano quelli più attivi nel
fare amicizia...), che passarono la serata a fare i cavoli loro. I più esclusi
furono sicuramente Federico e Yuliy (Marco disse ad
Emanuele di aver sentito uno degli amici di Andrea che diceva "Guarda quel
grassone che si bacia con quel pezzo di strafigo con
l'apparecchio", riferendosi a Federico e Yuliy...),
e Marco se ne dispiacque un po'. Venne il momento di ballare, e Federico mise
su un lento, che fece accoppiare come per magia le coppiette che erano state
invitate. Dietro di Andrea comparve Stefano.
-Vuoi ballare con me?-
Mentre ballavano, si parlavano sussurrandosi nelle orecchie.
-Allora, cosa farai adesso?-
-Non lo so, però sicuramente non mi farò più prendere in trappola da colleghi
di merda. Mi è già bastato una volta.- -Il mondo del lavoro è anche questo. Colleghi
arrivisti che credi che siano buoni ma invece sono degli stronzi.-
-Già. Peccato che queste cose non te le dicano in nessun corso universitario...-
Poco più in là, c'erano Emanuele e Marco.
-Ma quanto ti sono mancato, in quel periodo?-
-...Tanto.-
-Tanto... quanto?-
-Tanto tanto.-
-Tanto tantotanto?-
-Quanto tanto devo dire perché tu la smetta?- -Ehehehe! Scherzavo, scemo... Anche tu mi sei mancato...-
-Ma ti piaceva il lavoro che facevi?-
-Per niente... era un vero schifo. Però ho trovato un'amica.- -Micaela. Sì, mi hai raccontato di lei...-
-Che donna. Se non fossi stato gay, sicuramente ci avrei provato... Eheheh!-
-Sono geloso...-
-E allora baciami, cretino.-
A quelle parole, Emanuele guardò negli occhi Marco e si unirono in un tenero
bacio sensuale. "Adesso non ti mollo più, ragazzino" pensò Emanuele,
baciando con passione il suo partner... "Quanto mi sei mancato, mio bel bamboccione..." Pensò Marco,
baciando il suo amore spilungone.
Abbracciati l'uno all'altro come due fidanzatini, Federico e Yuliy si guardavano negli occhi, sorridendosi e
ridacchiando ogni tanto.
-Certo che come fidanzati non siamo per niente credibili, eh?- -Eheheh. Penso di no. Ma cosa importa...?-
-Niente. Ci stiamo ancora ... studiando.-
Si sorrisero.
-Adesso cosa faremo, senza lavoro?-
-Non so tu... ma io ho intenzione di godermi il viaggio che ci aspetta con
loro.-
-E dopo...?-
-Uffa, Fede... sempre a pensare al futuro. Vivi nel presente!- -mmm...- -Eddai, non fare quella faccia...-
Rallentarono nel ballo, e Federico sembrò anche un po' demoralizzato da quelle
parole... Tempestivamente, Yuliy lo prese dolcemente
e gli baciò le labbra. Lui lo guardò di traverso.
-...non...non sarai mica
arrabbiato con me?-
-...No. Ma tu... sei sicuro di volere un pancione triste e depresso come me?-
Senza nemmeno rispondere,Yuliy
lo baciò di nuovo, questa volta con più passione. Poi si staccò e gli sorrise dolcemente.
-Ti basta come risposta?-
-...Dipende. Se sei disposto a ripetermela...-
Acciambellato su un letto, nella stanza di Emanuele, c’era Goriot. Il gatto certosino se ne stava per conto suo nel
buio della stanza, annusando nell’aria il profumo del padroncino che aveva avuto
per due settimane, quello spilungone amico del suo padrone originario. Non gli
piaceva la confusione nella stanza principale, per cui aveva deciso di starsene
a nanna fino a che un altro giorno non si fosse
affacciato timidamente alla finestra, in un altro anno, nella nuova casa che il
padroncino si era trovato insieme a quell’altro, un padroncino sconosciuto, a
cui piaceva strofinare il muso contro quello del padroncino
originario...proprio come facevano i suoi colleghi felini. Lui ovviamente era un
gatto, e non poteva capire gli umani… I loro piaceri, le loro perversioni… le
loro passioni… I loro problemi. Il suo compito era solo di mangiare, dormire… e
all’occorrenza, fare le fusa quando Federico lo gratificava con delle coccole o
delle buon cibo in scatola. In più era un gatto
sociopatico, parecchio solitario, che dell’amore non ne voleva proprio sapere.
Agitando la coda in qua e in là, sbadigliò profondamente e si dispose a
dormire, mentre la festa nell’altra stanza continuava…
E festeggiarono così per tutta la serata, fino al brindisi finale che segnava la
fine del funesto 2009 e l'inizio dello sconosciuto 2010. Cosa ne sarebbe stato
di tutti loro? Meglio non pensarci, meglio vivere al presente. E il loro
presente, di tutti loro, era bello. Davvero molto bello.
***Chi vive in baracca, chi suda il salario
chi ama l'amore e i sogni di gloria
chi ruba pensioni, chi ha scarsa memoria
Chi mangia una volta, chi tira al bersaglio
chi vuole l'aumento, chi gioca a Sanremo
chi porta gli occhiali, chi va sotto un treno
Chi ama la zia chi va a Porta Pia
chi trova scontato, chi come ha trovato nanananananananana***
Andrea: …”Finalmente Laureati”, uno prima. Motore..
ciak… azione!
Emanuele: AHOOOOOO!!!
Andrea: che c’è???
Andrea: Niente, stavo a starnutire…
Andrea+Notty: =___=”””
Maledetto.
*La cinepresa inquadra Micaela, che improvvisamente si mette a ridere*
Micaela: XDD hahahah!
Marco: Eheheh… ma dai, Michi
stiamo girando!
Micaela: Scu..scusate…
eheheh! Marco, non dovevi raccontarmi la barzelletta
di Berlusconi al compleanno di Napolitano XD
Notty: Marco… se non la smetti di raccontare barzellette, ti caccio via!
Marco: Prrrrrr :PPPP
*Micaela scompare dall’inquadratura ridendo* XDDD
Stefano: Amore! Che cosa… pffftt… AHAHAHAH!!
Notty: STOOOOP! Andrea….. ma è mai possibile???
Andrea: Che c’è stavolta??? O___O
Emanuele: a rincojonito, ti sei messo la
camicia e viene fuori un lembo dalla cerniera grosso quanto ‘na carota!!! Guarda llà, sembra de vedè Rocco
Siffredi con l’arnese in bianco!
*Tutta la troupe ride XDDDD*
Andrea *guarda verso la patta*: OPPPS! ^//////^
Scusa Notty…
Notty: =____= Ma posso fare questa vita, io???
Personaggi e interpreti
Andrea
Andrea Castellino
Emanuele
Emanuele Ricciarelli
Marco
Marco De Cristina
***Ma il cielo è sempre più blu uh uh,
uh uh,
ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh, uh uh...
Chi sogna i milioni, chi gioca d'azzardo
chi gioca coi fili chi ha fatto l'indiano
chi fa il contadino, chi spazza i cortili
chi ruba, chi lotta, chi ha fatto la spia nanananananananana***
Notrix
*abbracciato a Yuliy*: Senti ma… non è che per caso…
*si guarda il giubbotto* PFFFFT!!!Hahahahah!
Yuliy
*abbracciato a Federico*: Ecco lo sentivo io che c’era
qualcosa che non andava XD
Andrea: XD
Marco: Che faccio Notty, taglio?
Notrix:
Sì certo… vieni qui e taglia i giubbotti, che quel
pirla di Emanuele ci ha abbottonati insieme… POI ME LO SPIEGHI COME HAI FATTO,
EH!!
Emanuele: boh, io me credevo che uno era il suo e l’altro era … booooh!!!
Federico Notrix, l'autore
Yuliy YuliyThymoshenko
Micaela
Micaela Redaelli
Sara
Sarah Redaelli
***Ma il cielo è sempre più blu uh uh,
uh uh,
ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh, uh uh...
Chi è assunto alla Zecca, chi ha fatto cilecca
chi ha crisi interiori, chi scava nei cuori
chi legge la mano, chi regna sovrano
chi suda, chi lotta, chi mangia una volta
chi gli manca la casa, chi vive da solo
chi prende assai poco, chi gioca col fuoco
chi vive in Calabria, chi vive d'amore
chi ha fatto la guerra, chi prende i sessanta
chi arriva agli ottanta, chi muore al lavoro nanananananananana ***
*Emanuele scende dalla macchina
e si chiude la manica della camicia nello sportello*
Emanuele: Ma porca di quella putt……………
Notrix:
STOOOOOP!!!Emanuè… ma sei
un disastro ambulante! Rifacciamo, porca zozza….
Emanuele: ahò
ma che è colpa mia se la Fiat
fa le macchine che te magnano i vestiti??? ò_O *apre lo sportello della Grande Punto di Marco e lo
richiude sbattendolo*
Marco: Amore vacci piano néh!!! è la mia macchina, non la tua! ò_O
Andrea: X°°°D Buahahahah!
Regia di Notrix
Scritto
da Notrix
Stefano Jevlier
Marco De Cristina
Operatori alla macchina
Notrix
Emanuele Ricciarelli
Andrea Castellino
***Ma il cielo è sempre più blu uh uh,
uh uh,
ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh,
ma il cielo è sempre più blu
Chi è assicurato, chi è stato multato
chi possiede ed è avuto, chi va in farmacia
chi è morto di invidia o di gelosia
chi ha torto o ragione,chi è Napoleone
chi grida "al ladro!", chi ha l'antifurto
chi ha fatto un bel quadro, chi scrive sui muri
chi reagisce d'istinto, chi ha perso, chi ha vinto
chi mangia una volta,chi vuole l'aumento
chi cambia la barca felice e contento
chi come ha trovato,chi tutto sommato
chi sogna i milioni, chi gioca d'azzardo***
Alan: Michi…
tu sei la donna più bella che io abbia mai incontrato.
Micaela: Ehm… *si mette a
ridacchiare* pfftthahhahaha!
Alan: *ride anche lui* Scusate….
Notty:
STOP!! Micaela…. Se è ancora la barzelletta….
Micaela: HAHAHAHAHAH!!! Scusa Notty è più forte di me
XDDD Marco, maledetto!!!
Marco: Boia faust,
proprio potente questa barzelletta X°°°D
Notty:
Adesso ve la racconto io una bella barzelletta, quella del regista che prende a
calci il suo attore più basso!!!
Marco: BUAHAHAHHA X°°°D
*Daniele e Marco sono sul
sedile del treno, stanno per baciarsi*
Daniele: …allora… che ne dici
se ci conoscessimo meglio…?
Marco: pfffffffffttt…
mamma mia che puzza! Ma cos’hai mangiato, le scarpe da tennis di Andrea dopo l’allenamento,
prima di venire qui?
Andrea: EHI!!!
>____<
Daniele: STRONZO!!! >//////////< *lo prende a schiaffoni*
Marco: ahahhah
ma dai gli puzza l’alito in una maniera TERRIFICANTE! XDDD
*Daniele piange e scappa via*
*tutta la troupe ride again* X°°°D
Da un'idea di
Emanuele Ricciarelli (sì, qualche volta le idee vengono anche a lui!!!)
musiche
"Ma il cielo è sempre più blu"
Mino Reitano - Giusy Ferreri
"Bandiera Bianca"
di Franco Battiato
"Maledetto Ciao"
Gianna Nannini
Si
ringrazia
L'Università di Bologna
il Comune di Como
il Comune di Milano
Policlinico San Raffaele di Milano
Aeroporto Linate BritishAirways NonSoloTaxi Milano
Telecom Italia
Vodafone
Samsung cellulari
Lancia
Fiat
***chi parte per Beirut e ha in tasca un miliardo
chi è stato multato, chi odia i terroni
chi canta Prévert, chi copia Baglioni
chi fa il contadino, chi ha fatto la spia
chi è morto d'invidia o di gelosia
chi legge la mano, chi vende amuleti
chi scrive poesie, chi tira le reti
chi mangia patate, chi beve un bicchiere
chi solo ogni tanto, chi tutte le sere nanananananananana
Ma il cielo è sempre più blu uh uh,
uh uh,
ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh, uh uh..****
Non essendo ammesso agli scrittori di rispondere
ai lettori tramite l’inserimento di recensioni, ma volendo io
rispondere (anche solo per ringraziare) chi ha recensito la mia storia, uso
*sempre* il form “Contatta utente”. Per cui se volete
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