Il Ritorno della Sfera di Niglia (/viewuser.php?uid=29469)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Un demone chiamato Sesshomaru ***
Capitolo 3: *** 2. Il veleno del demone-tigre ***
Capitolo 4: *** 3. Una serva per la piccola Rin ***
Capitolo 5: *** 4. I predatori della Sfera ***
Capitolo 6: *** 5. Kaede, l'anziana sacerdotessa ***
Capitolo 7: *** 6. La compagnia degli Shikon riunita ***
Capitolo 8: *** 7. Ritorno a casa: Nicole nel presente ***
Capitolo 9: *** 8. Decisioni difficili e strane scoperte ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
四魂の球の戻り
-
Il Ritorno della Sfera degli Shikon -
Prologo
La Sfera dei
Quattro Spiriti è tornata.
Sono trascorsi solo
tre anni da quando tutto è finito, tre anni lungo i quali
sono accaduti
avvenimenti che hanno per lo più riempito di gioia il mio
povero cuore, ma
sembra che questa volta la Sfera non abbia avuto la pazienza di
attendere altri
secoli prima di recuperare il suo potere e riprendere a tormentarci.
Se solo tu, mia
povera sorella, fossi ancora in vita, sapresti certamente come
comportarti… Ma
ora l’unica ad avere ereditato il tuo potere è la
divina Kagome, che ha deciso
di vivere stabilmente nel nostro mondo: non ha più
attraversato il pozzo
Mangiaossa, da quando è tornata indietro per stare con
Inuyasha.
Ma se non fossimo
stati in pericolo, non ti avrei mai incontrato in sogno; mi hai
raccomandato
solo di fare attenzione, perché la maledizione della Sfera
non è stata estinta
del tutto. Hai mormorato con tristezza che il potere di questa
è aumentato
negli ultimi tre anni… Come può essere possibile?
Ne dovrò parlare con la
divina Kagome, prima di agire di conseguenza. Ma cosa faremo se la
forza e il
potere spirituale della compagnia che ha distrutto Naraku tre anni fa
non
dovesse più bastare?
Basta, sorella. Non
turberò più il tuo sonno con le mie preghiere.
Riposa in pace per
sempre, Kykio.
***
Giappone,
XXI secolo.
«Ehi,
Nicole-chan! Cosa fai dopo la scuola?»
Mi
voltai incuriosita verso Akane, una mia compagna di classe, che mi
faceva cenno
di raggiungerla al suo banco, dov’era circondata dalle altre
ragazze. Mi ero
trasferita da poco da Parigi a causa del lavoro di mio padre, e dato
che in
Francia non avevo nessun altro parente rimasto in vita, ero stata
costretta a
seguirlo abbandonando la mia scuola e tutti i miei amici. Senza contare
che
avevo dovuto seguire un corso accelerato di giapponese – dato
che non ne avevo
mai sentito neppure una parola – per poi iscrivermi ad una
classe inferiore
rispetto ai miei studi, in modo da potermi mettere presto al pari con i
miei
nuovi compagni. Per fortuna questo non era stato un grosso problema: in
Giappone le classi erano strutturate diversamente rispetto alla
Francia, così
mi ritrovai a non essere la più vecchia della classe, dato
che avevamo tutti la
stessa età.
Magra
consolazione, comunque.
Abbandonai
il mio posto preferito accanto alla finestra e raggiunsi le ragazze,
cercando
di ostentare una disinvoltura che non avevo; quella divisa mi metteva
incredibilmente a disagio, era incredibile che in delle scuole
così severe
permettessero delle gonne così corte. Una volta accanto a
loro, notai ancora il
forte contrasto che facevano i miei lunghi capelli biondi vicino alle
teste
corvine delle mie compagne, ma al contrario delle mie aspettative la
mia
diversità non aveva generato né commenti
offensivi e né invidie di nessun
genere. Si, ero stata fortunata.
Ma
dopo due mesi di scuola non potevo dire di non essere riuscita ad
ambientarmi
almeno un pochino: il merito era tutto di Akane, che mi aveva fatto
entrare nel
suo gruppo.
«Non
lo so,» dissi sinceramente, pensando a quanto dovesse sembrar
loro ridicolo il
mio accento francese. «Penso che ritornerò a
casa… Voi avevate qualche idea?»
«Chitose-chan
ha proposto di andare al karaoke! Cosa ne pensi?» Sorrise,
attendendo una mia
risposta.
Non
dovetti rifletterci molto: non avevo idea di quando mio padre sarebbe
tornato a
casa, e rimanere sola in quella tetra e vecchia abitazione non era per
niente
una bella prospettiva. Perciò sorrisi di rimando e annuii,
allegra. «Si, mi
piace! Ma vi avverto che non so cantare.»
«Oh
dai, non dire sciocchezze! Tutte le ragazze sanno cantare.»
Replicò Akane, con
un sorriso smagliante.
A
volte mi domandavo ancora come facevo a comprendere quel linguaggio, e
soprattutto come facevo a scriverlo con una relativa
facilità… Tutto grazie ai
facoltosi professori privati di mio padre, penso.
Appena
arrivata nella nuova scuola, avevo notato che tutti gli occhi degli
studenti di
qualsiasi età si erano puntati su di me, studiando ed
osservando incuriositi la
nuova arrivata straniera. Come avrei dovuto immaginare, conoscevano
già tutto
il mio curriculum, e i presidenti dei club più influenti
della scuola vennero
da me per chiedermi di iscrivermi al loro gruppo di studio: a quanto
pare era
obbligatorio per ogni studente fare parte di un club, e fosse stato per
loro mi
avrebbero voluta in tutti quanti, ma alla fine optai per iscrivermi
solo al
club di musica. Suonare il pianoforte era sempre stata la mia passione,
e non
l’avrei abbandonata solo a causa di un cambiamento di scuola.
Poi
c’erano stati i ragazzi – o pretendenti, come mi
aveva suggerito Akane, da
subito l’unica che mi aveva accolto come una persona normale,
senza trattarmi
né come regina né come aliena. Arrivavano da
tutti i corsi, anche quelli più
piccoli, cosa che io trovavo inconcepibile: non riuscivo a credere che
persino
le matricole puntassero alle studentesse più grandi!
Finchè era il contrario
okay, ma… Possibile che non mi considerassero troppo vecchia
per loro? Ad ogni
modo, per me erano troppo piccoli. Così, presi
l’abitudine di parlare fitto in
francese quando uno di loro mi voleva avvicinare, e dato che con
qualcuno non
funzionava ero costretta a parlare il tedesco. La maggior parte di loro
si era
rassegnata e mi aveva lasciato perdere, ma rimanevano i
“sempai”, ossia gli
studenti del mio stesso anno, che ancora non demordevano.
Beh,
peggio per loro; se c’era qualcosa che volevo evitare al
momento era proprio di
venire coinvolta in qualche rete amorosa. Ero lì solo per
studiare, e quando
mio padre fosse dovuto tornare in Francia, volevo farlo senza avere la
sofferenza di abbandonare il mio fidanzato.
Così,
presi ad uscire e frequentare solo Akane e il suo gruppo di amiche, che
era
anche lo stesso che faceva parte del mio club di musica; avevamo molte
cose in
comune, così non mi dispiaceva stare con loro.
Quando
tornai a casa, quel giorno, era quasi ora di cena; contrariamente alle
mie
aspettative, la macchina di papà era già
parcheggiata nel vialetto, e le luci
dentro erano già state accese. Mi dispiacque di non essere
stata in casa quando
era tornato da lavoro, ma ormai capitava così raramente che
ci vedessimo…
Con
un sospiro aprii la porta di casa ed entrai, lasciandomi alle spalle il
vento
fresco di ottobre. Come una brava giapponese, mi sfilai le scarpe,
lasciandole
nel mobiletto del pianerottolo in pietra dell’ingresso, e
presi le pantofole
per poter girare liberamente sul prezioso parquet di casa. Andai in
cucina a
salutare Hiromi-san, la governante giapponese assunta da mio padre,
dopodichè
lo raggiunsi nel suo studio.
«Bonsoir, papa.» Lo salutai in
francese.
«Com’è andata al lavoro?»
Lui
sollevò lo sguardo da dei documenti che stava leggendo,
piegando leggermente le
labbra in un sorriso mentre mi faceva cenno di avvicinarmi.
«Tutto bene, chèrie,
grazie. E a scuola?»
Scrollai
le spalle, chinandomi a posargli un bacio sulla guancia.
«Come sempre.» Poi mi
sentii in dovere di giustificarmi per il mio ritardo. «Scusa
se sono rientrata
tardi, ma le mie compagne mi hanno invitata ad uscire con loro e mi
sembrava
scortese rifiutare…»
Papà
sollevò una mano per far cessare le mie scuse.
«Non preoccuparti, chèrie,
è tutto a posto. Ti ho aspettato
per cenare, o forse hai già mangiato?»
«No
no, volevo cenare con te.» Dissi, con un mezzo sorriso.
Lui
annuì, compiaciuto. «Bene, allora andiamo. Non
facciamo aspettare oltre madame
Hiromi.»
«Si
dice Hiromi-san,
papà.»
«Ah,
non mi ci abituerò mai.»
Dopo
cena, ci spostammo in salotto per permettere a Hiromi-san di rimettere
a posto
la cucina senza che ci fossimo noi a disturbarla. Papà volle
un resoconto
completo della mia giornata scolastica, come faceva ogni volta che
avevamo
l’occasione di parlare a lungo, e mi fece piacere che mi
ascoltò così
attentamente. Ad un certo punto, però, si scusò e
alzò per andare un momento
nel suo studio, e mi raccomandò di aspettarlo lì,
senza muovermi. Ovviamente,
obbedii.
Quando
tornò, aveva in mano una piccola scatoletta vellutata.
Si
sedette accanto a me e, accarezzando l’oggetto tra le dita,
iniziò a parlare. «Tra
poco sarà il tuo compleanno, chèrie.»
Esordì, dolcemente. «Sono trascorsi dieci anni,
ormai, da quando tua madre ci
ha lasciati, e io ho avuto il coraggio di darti questo oggetto solo
adesso che
sei una donna adulta… Sai che tua madre aveva la tua
età, quando la incontrai
per la prima volta?»
Vidi
un mesto sorriso apparire sulle sue labbra, prima che continuasse.
«Era così
bella… Ricordo che non si era mai separata da
questo» indicò la scatolina, «e
uno dei suoi ultimi giorni mi raccomandò di darlo a
te… Chissà, forse sentiva
che non sarebbe sopravvissuta abbastanza a lungo per potertelo
consegnare di
persona.»
Quando
si voltò a guardarmi fui certa di avere gli occhi umidi di
lacrime represse.
«Tieni,
chèrie. Aprilo e non
separartene
mai.» Mi porse quella piccola scatola ed io la presi tra le
mani, accorgendomi
di tremare lievemente mentre facevo scattare la molla che ne apriva il
coperchio. Poi, quando ne vidi il contenuto, trattenni il fiato dallo
stupore.
Adagiato
sul velluto color porpora c’era un grosso cristallo, grande
quanto una noce e forse
anche di più, che aveva la forma di una sfera perfettamente
levigata. Non avevo
mai visto prima un gioiello simile, e ad esssere sincera non avevo
neanche il
ricordo di mia madre che lo portava; forse era troppo prezioso per
poterlo
esibire come un comune gioiello. Poi sentii nuovamente la voce di mio
padre che
mi parlava.
«Tua
madre la chiamava la Sfera dei Quattro
Spiriti, anche se non ho nessuna idea del perché.
Mi disse solo che era una
sorta di amuleto che proteggeva e apparteneva alla sua famiglia da
generazioni,
ed era per questo che non se ne seaparava mai. Sembra un diamante, non
è così?»
Annuii
lentamente, totalmente rapita dalla bellezza di quel monile.
Non
me ne separai nemmeno quando andai a dormire; lasciai la scatolina
aperta sopra
la scrivania, in modo da avere quella sfera davanti ai miei occhi
mentre mi
spogliavo e indossavo il pigiama, e la ripresi poi prima di infilarmi
sotto le
coperte. Stranamente, non l’avevo ancora sfiorata, come se
avessi paura di
toccarla. Se si fosse frantumata sotto il mio tocco, non me lo sarei
mai
perdonato, dato che era ormai l’unico ricordo che avevo di
mia madre…
Però,
non potevo resistere oltre. Con molta cautela allungai la mano sopra la
sfera,
avvicinandola piano all’altezza del mio viso… E a
quel punto udii come un cuore che batteva
al suo interno, proprio
dentro la Sfera. Allontanai subito il volto da essa, spaventata,
osservandola
come se mi aspettassi che esplodesse da un momento all’altro.
Ma
grazie al Cielo non accadde nulla di tutto questo. «Che
stupida…» Sospirai,
prima di prendere la sfera in mano e rigirarla lentamente tra le dita,
sollevandola in modo che assorbisse i riflessi della luce della
lampada,
proprio come un vero cristallo. Eppure potevo ancora sentire quel lieve
battito, e avrei potuto mettere la mano sul fuoco sul fatto di aver
sentito la
superfice gelida della sfera diventare tiepida man mano che la toccavo,
come se
stesse prendendo vita sotto il mio tocco…
Oh,
ero davvero una sciocca! Riposi nuovamente il prezioso monile
all’interno della
sua custodia, che misi poi sotto il mio cuscino. Dopo aver spento la
luce, il
sonno calò su di me facendomi dimenticare ogni cosa a
proposito della Sfera dei
Quattro Spiriti e di ciò che essa poteva celare.
«Nicole-chan,
per cortesia, potresti scendere in cantina per prendere
un’altra bottiglia di
questo vino?»
La
mattina successiva non dovevo andare a scuola, dato che era
già sabato. Sollevai
lo sguardo dal libro – francese, naturalmente – che
stavo leggendo e mi rivolsi
alla governante, che era davvero troppo anziana per poter scendere
giù in
cantina. Annuii, alzandomi, e presi la bottiglia vuota che mi stava
porgendo in
modo da non sbagliarmi e prenderne un’altra,
dopodichè aprii la porta della
cantina – che si trovava nella stessa cucina – e
scesi le ripide scale di legno
immerse nel buio, dato che la struttura della casa nella quale
abitavamo era
troppo antica per permettere di installare la corrente elettrica anche
là
sotto.
Io
avevo la mia torcia, ad ogni modo.
Appena
giunsi alla fine delle scale, sentii uno strano calore
all’altezza del petto, e
incuriosita tirai fuori dal colletto del pullover che indossavo la mia
Sfera,
che avevo agganciato ad una catenina in modo da portarla sempre con me.
Non
appena la sfiorai con le mani essa divenne ancora più calda,
oserei dire quasi
bollente, e fui costretta a mollare la presa per non bruciarmi. E poi,
sentii
di nuovo quel suono, come il ritmo dei battiti di un cuore.
«Ma
cosa accidenti sta succedendo?» Borbottai, puntando la torcia
in direzione del
rumore.
Mi
ritrovai ad illuminare una specie di vecchio pozzo, posto quasi al
centro della
cantina, dalla quale ero quasi certa che provenisse quel suono: Forse si tratta di una qualche falda
acquifera sotterranea, pensai, sforzandomi di non tornare
urlando su in
cucina.
Incuriosita,
mi avvicinai al pozzo, del quale notai la struttura in pietra: inoltre
era
scoperchiato, come se effettivamente fosse ancora utilizzabile. Mi
sporsi,
puntando la torcia ad illuminarne il fondo, ma non vidi che muschio e
pietre:
era chiaro che ormai si era asciugato, e non poteva servire
più a niente. Tirai
un sospiro di sollievo e indietreggiai, voltandomi verso gli scaffali
nei quali
riposavano le bottiglie di vino che mio padre aveva fatto arrivare
dalla
Francia. Era ovvio che non ci fosse nulla nel pozzo, ero stata una
sciocca a
farmi spaventare da una cosa così; e allora
perché continuavo ad avere quella
strana sensazione, come di una presenza alle mie spalle che non mi
toglieva gli
occhi di dosso?
Stavo
per risalire le scale ed andarmene quando, all’improvviso,
accadde. Non ebbi il
tempo di reagire, né di urlare: potei solo rendermi
vagamente conto di qualcosa
– un paio di braccia, forse – che mi
afferrò in vita, sollevandomi di peso e
trascinandomi all’interno del pozzo, dove precipitai senza
mai raggiungere il
fondo. La sfera nel frattempo aveva iniziato ad ardere, come se fosse
stata nel
fuoco, e allora gridai sia dalla paura che dal dolore.
«Urla
pure quanto vuoi, umana…» Un sibilo, seguito da
una breve e secca risata,
giunse alle mie orecchie, facendomi rabbrividire. «Non ti
sentirà nessuno, e
dopo che avrò preso la Sfera, ti
mangerò…»
«Cosa
diavolo sei?!» Gridai, presa dal panico, mentre cercavo di
dibattermi dalla sua
presa.
La
creatura rise di nuovo, accentuando la stretta ed avvicinando il viso
al mio. «Sono
un demone, sciocca… E tu hai qualcosa che voglio!»
Le
sue braccia strapparono il mio pullover, denudandomi e scoprendo la
catenina
con appesa la sfera di mia madre che avevo tenuto gelosamente nascosta.
Quando
le mani del demone si avvicinarono ad essa, la Sfera irradiò
una luce che mi
accecò, facendo probabilmente lo stesso anche con il mostro
che mi voleva
uccidere. Approfittando del fatto che quest’ultimo aveva
allentato la stretta,
mi liberai con un violento strattone, riuscendo ad allontanarlo da me
semplicemente toccandogli le braccia. Al mio tocco emise un grido
spaventoso,
precipitando nel buio del pozzo.
«Maledetta
sacerdotessa! Mi vendicherò!»
Dopodichè
venne inghiottito dall’oscurità, nel momento
esatto in cui io atterrai sul
fondo del pozzo, reso morbido dall’erbetta e dal muschio che
vi era cresciuto.
Ero sconvolta.
«Ma…
È stato solo un sogno?» Mormorai, guardandomi
intorno. Tuttavia, il fatto di
indossare solo il reggiseno e di avere il pullover completamente
distrutto mi
fece ricredere sul fatto di avere immaginato tutto. Quel mostro quindi
voleva
la mia Sfera? Perché? E per quale motivo mi aveva chiamata sacerdotessa? Io, che ero in Giappone da
poco più di due mesi!
Con
un sospiro mi alzai, spazzolandomi via la polvere dalla gonna; come
glielo
avrei spiegato il mio aspetto ad Hiromi-san? Dubito che avrebbe creduto
a
quella storia, se gliel’avessi raccontata…
Mi
rimboccai le maniche – metaforicamente parlando, dato che
indossavo solo il
reggiseno – e provai ad arrampicarmi sulle pareti del pozzo
per tornare in superficie,
visto che se avessi chiamato aiuto non mi avrebbe sentito nessuno.
Fortunatamente il pozzo era asciutto da abbastanza tempo,
così le pietre delle
pareti non erano scivolose e non fu difficile risalire. Una volta
arrivata in
cima, però, mi accorsi che c’era qualcosa che non
andava. Quella non poteva
essere la mia cantina.
Perché
il pozzo spuntava in mezzo ad un bosco?
___________________________________________________________________________________________
Questo
è un piccolo esperimento ^^
E' la prima volta che scrivo una fan fiction su Inuyasha, ma adoro
troppo la storia - e in particolare Sesshomaru - per non cimentarmi
nell'impresa!
Ad ogni modo, mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate, soprattutto per
quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi, l'ambientazione
eccetera... So che è un pò prematuro avendo solo
il prologo, ma almeno provate xD Il titolo in kanji l'ho preso da
google translate perchè purtroppo non ho mai studiato il
giapponese, ma mi auguro che sia giusto... -.-
Un grazie in anticipo a tutti quelli che avranno il cuore di leggere e
recensire! Grazie =*
Ah, un avviso: causa studio e altre storie in corso, non
riuscirò a postarla in modo molto puntuale, ma
cercherò di fare di tutto perchè non resti
incompleta.
Alla prossima!
Le mie storie:
The
Wrong Man - Originale
No
One Would Listen - Fan fiction su "Il Fantasma dell'Opera"
La
Sciarpa Rossa - One shot originale
An
Angel only for me - One shot originale
Buona lettura ^^
|
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Capitolo 2 *** 1. Un demone chiamato Sesshomaru ***
悪 魔 は 殺 生 丸 の 名 前
-
Akuma wa
sesshō maru no namae -
Saltai
fuori dal pozzo, guardandomi intorno a bocca aperta.
Non
riuscivo a capire che cosa fosse successo… Che fine aveva
fatto la cantina? Che
fine aveva fatto casa mia?
L’unica
cosa che ne rimaneva era quel vecchio pozzo in pietra, che
però sorgeva in una
piccola radura al centro di un’immensa foresta. Decisamente
quella non era
Tokio.
Coraggio, Nicole,
stai calma.
Pensai tra me, sforzandomi di pensare lucidamente. Forse
il pozzo di casa tua era collegato con un cunicolo ad un altro
pozzo, che si trovava in una foresta… E dal quale sei uscita
tu. Un po’ come il
principio dei vasi comunicanti, no?
Si,
questa teoria mi piaceva. C’era un solo problema…
Per quello che ne sapevo io,
non ricordavo che ci fosse un bosco accanto al mio quartiere, anche se
potevo
sempre sbagliarmi. Dopotutto non abitavo proprio al centro della
città, anzi
ero in una zona residenziale circondata da parchi… Beh,
avrei camminato un po’,
prima o poi avrei trovato l’ingresso di quel parco o bosco
che fosse. Certo,
sarebbe stato imbarazzante farsi trovare in quelle condizioni
– ero pur sempre
mezzo nuda – ma era sempre meglio di rimanere lì
ferma ad aspettare.
Man
mano che mi inoltravo nel bosco, però, mi rendevo conto che
sembrava non esserci
nessun altro oltre me, non si sentivano i tipici rumori e suoni dei
parchi,
come le voci dei bambini che giocavano, o i venditori ambulanti, o le
giostre,
insomma, nulla di tutto questo. Regnava solo il più assoluto
silenzio, rotto
solo dal sibilo del vento che faceva frusciare le foglie degli alberi.
E
inoltre stavo iniziando a sentire freddo. Avevo la pelle
d’oca e niente per
coprirmi, e anche la Sfera era tornata ad essere gelida, posata
com’era sul mio
petto. Come se non bastasse, poi, il sole stava iniziando a calare,
lasciando
lo spazio al buio della notte; da quanto stavo camminando, ormai? Non
mi sarei
dovuta allontanare così tanto dal pozzo, visto che se
davvero ero uscita da lì,
allora potevo anche tornarci per raggiungere nuovamente casa mia. Ma
non ci
avevo pensato in tempo, ed ora ero praticamente sola in un posto che
non
conoscevo. Già, perché se fossi stata ancora a
Tokio, probabilmente avrei già
iniziato a vedere qualche grattacielo. Ma all’orizzonte si
vedevano solo alberi
e, più in lontananza, le montagne.
Dove
diavolo ero finita?
Ormai
ero stanca e tremavo dal freddo, così mi sedetti ai piedi di
un albero
secolare, cercando di ripararmi il più possibile tra le sue
grosse radici;
raccolsi le gambe e mi rannicchiai contro di esse, come se la stoffa
della
gonna potesse perlomeno darmi l’illusione del calore. Mi
sciolsi i capelli, in
modo che coprissero un po’ la schiena completamente nuda, e
anche se lieve il
sollievo ci fu lo stesso.
Mi
ero quasi rassegnata a trascorrere la notte da sola, in quel luogo
sperduto, e
stavo per addormentarmi quando sentii per la seconda volta la stessa
voce di
poco prima.
«E
così eccoti qui… Sei la sacerdotessa che ha la
Sfera!»
Sgranai
gli occhi e sollevai di scatto la testa, ritrovandomi ad osservare da
vicino la
creatura che mi aveva fatto precipitare nel pozzo e che aveva cercato
di
rubarmi la Sfera. Questa volta sembrava umano: aveva le sembianze di un
giovane
uomo, vestito con una strana armatura da samurai del quattordicesimo
secolo, e
i capelli raccolti in un codino che ricordavano le antiche stampe
giapponesi
dell’epoca Sengoku. Lo riconobbi soprattutto per le ustioni
che aveva sul
braccio, nel punto esatto in cui l’avevo toccato: non so
perché, ma ebbi la
sensazione che quelle scottature gliele avesse procurate il mio tocco.
Non mi
avrebbe fatto molta paura, se subito dopo non avessi notato i suoi
artigli
lunghi e luccicanti come acciaio al posto delle dita, e una coda da
tigre che
si agitava dietro di lui.
«Che
cosa sei?» Esclamai disgustata, alzandomi in piedi e
stringendo tra le mani la
Sfera.
Lui
esplose in una risata divertita, lanciandomi poi uno sguardo di fuoco
inequivocabilmente affamato e omicida. «Sei un po’
ripetitiva come
sacerdotessa… Ma non mi importa più di tanto.
Adesso dammi la Sfera, così ti
posso uccidere e chiudiamo la faccenda!»
«Sei
pazzo!» Urlai, tirandogli una grossa pietra che avevo
raccolto senza che lui se
ne accorgesse, in modo da riuscire a distrarlo per poter scappare il
più
lontano possibile.
«Pensi
di farmi del male con un misero sasso?» Senza che me ne fossi
accorta, il
demone apparve di fronte a me, sbriciolando la pietra nel pugno e
facendo
volare al vento la polvere rimasta. «Sono stufo di giocare. Dammi la Sfera!»
Si
gettò su di me, lo sguardo completamente demonizzato, e una
smorfia che metteva
a nudo la sua dentatura appuntita come zanne. Mio Dio, stavo davvero
per
morire? Mi inchinai, coprendomi la testa con le braccia e aspettando il
colpo
che mi avrebbe uccisa. Non credevo che sarei morta in una situazione
così assurda,
senza che neppure comprendessi come ci fossi finita!
Aspettai,
ma il colpo non arrivava. Sorpresa, e non volendo credere che il mostro
volesse
risparmiarmi, alzai cauta il viso, lanciando uno sguardo di sfuggita
intorno a
me. Ciò che vidi mi fece sgranare ancora di più
gli occhi, stupita.
Il
demone era stato bloccato da un’alta e slanciata figura che
mi dava le spalle,
e di cui potevo vedere solo i lunghi e fluenti capelli argentei che
riflettevano il colore della luna, che gli ricadevano come un manto
sulle
spalle larghe e possenti. Egli aveva immobilizzato il mostro con le
sole mani,
senza utilizzare nessuna delle due spade che vidi pendergli al lato;
sentii i
gemiti del mio quasi-assassino che presto si trasformarono in ringhi
furiosi,
quando l’essere dalla chioma argentea lo spinse dal lato
opposto a dove ero io.
Da dietro le sue spalle vidi il demone-tigre – non sapevo
proprio in che modo
riferirmi a lui – sollevarsi da terra, e potei distinguere
chiaramente un’aura
di rabbia e ira crescente avvolgerlo, fino a quando un’alta
fiammata lo avvolse
come un rogo.
Mi
coprii gli occhi, certa che stesse per morire bruciato, ma dato che non
udivo
le sue urla disperate osai nuovamente guardare, e questa volta
inciampai mentre
cercavo di indietreggiare, spaventata. Al posto del mostro, ora,
c’era una
specie di tigre alta quattro metri, con zanne grosse e appuntite come
scimitarre e delle zaffate di fumo che gli uscivano dalle narici;
più che ad
una tigre faceva forse pensare ad un drago.
Quando
poi vidi che si era gettato verso colui che mi aveva difeso, lanciai un
grido,
coperto però dal pesante ruggire della creatura, che si
avventò sul braccio
dell’altro, scuotendo poi il muso come se avesse voluto
strapparlo a morsi.
Stranamente, il mio salvatore non sembrava essersi scomposto
più di tanto: le
sue unghie si trasformarono in altrettanti artigli acuminati con i
quali
trafisse il collo della creatura, squarciandoglielo, e per il dolore
essa fu
costretta ad abbandonare la presa. Poi, mentre questa ruggiva,
agonizzante, ai
piedi dell’uomo dai bianchi capelli, egli sguainò
una delle sue spade e gli
mozzò la testa con un colpo rapido e deciso, facendola
rotolare lontano dal
corpo. Fu con immenso orrore che osservai il corpo della tigre
ritornare
nuovamente alle sue sembianze umane, prima che si polverizzasse come
cenere
sotto ai miei occhi.
Deglutii
a fatica, riprendendo a respirare normalmente, e quando sollevai lo
sguardo
vidi che l’essere che mi aveva salvato mi stava fissando a
sua volta, la fronte
imperlata da minuscole stille di sudore. Era chiaro che il
combattimento lo
aveva sfinito, anche se era stato molto più breve di quanto
avessi immaginato.
Dal braccio che la creatura aveva morso stava colando sangue misto ad
una
strana sostanza verde, viscosa, che mi fece immediatamente pensare al
veleno;
prima che potessi ragionare a mente fredda lo vidi crollare in
ginocchio,
ansimante, e tenersi il braccio con l’altra mano, le
sopracciglia aggrottate
dal dolore e dalla sorpresa e le labbra dischiuse in un ringhio
silenzioso.
Tuttavia, quando vidi i suoi denti acuminati non riuscii a trattenere
un
gemito, spaventata.
Allora
anche lui era un demone! Già, era impossibile che un essere
umano potesse fare
quello che aveva fatto lui solo pochi istanti prima, e anche se era
ferito il
suo sguardo feroce mi fece rabbrividire. Cos’avrei dovuto
fare? Dovevo fuggire?
Ma lui mi aveva salvato…
Mentre
cercavo di riflettere il più velocemente possibile, vidi i
suoi occhi roteare,
improvvisamente spenti, e crollò a terra con un tonfo sordo
per poi rimanere
immobile, come morto. Fu più forte di me: mi precipitai
accanto a lui,
prendendogli la testa tra le mani per non farla poggiare direttamente
sulla
nuda roccia. E adesso?
«Padron
Sesshomaru!»
Mi
voltai di scatto verso la voce, stridula e grondante panico,
ritrovandomi ad
osservare un piccolo mostriciattolo con larghi occhi gialli sbarrati
dal
terrore e un muso spalancato mentre chiamava a gran voce
chissà chi. In una
zampa stringeva un bastone sormontato da due macabre teste di donna e
di uomo i
cui capelli ondeggiavano al vento, e con l’altra si reggeva
la testa calva.
Istintivamente mi chinai verso il demone che tenevo in grembo come per
proteggerlo, dato che non avevo idea di chi mi trovavo davanti.
«Stai
indietro, mostro! Non toccarlo!» Sibilai, cercando di
spaventarlo scacciandolo
con la mano come si fa con una mosca fastidiosa.
Tutto
ciò che ottenni da parte sua fu un’occhiata a
metà tra lo sorpreso e il
fastidio, mentre puntava contro di me le due teste del suo terribile
bastone. «Tu stai lontana
da lui! Che cos’hai
fatto al padron Sesshomaru?» Sbraitò, isterico.
Poi
i suoi occhi si colmarono di lacrime. «Padron Sesshomaru,
svegliatevi! Cosa vi
succede?»
«Sei
cieco, mostro? Non vedi che è svenuto?» Ribattei,
senza staccare lo sguardo da
quel bastone: era inquietante, forse più delle sue lacrime.
«Lui è il tuo
padrone?»
«Come
fai a non consocerlo, umana? Lui è il grande
Sesshomaru!» Ripetè, calcando sul
nome con un’enfasi che non comprendevo. «E voglio
sapere che cosa gli hai
fatto!»
«Io?!» Lo guardai stupita;
pensava
davvero che potessi ridurre un demone della sua forza in quello stato?
Quel
mostriciattolo era davvero pazzo!
«Non
prendermi in giro, sei una sacerdotessa!» Ribadì
l’altro, furioso.
Mi
limitai a scuotere la testa, esasperata. Ero stanca, nuda, morta di
freddo e
non avevo nessuna voglia di litigare con una sottospecie di elfo
convinto che
avessi quasi ucciso il suo padrone. Come se non bastasse, avrei voluto
medicare
quella tremenda ferita al suo braccio, ma continuando di quel passo non
avrei
fatto proprio nulla.
«Senti,
stupido esserino!» Sbottai, puntandogli un dito contro.
«Il tuo padrone mi ha
salvato ma è rimasto ferito, e sicuramente apprezzerebbe di
più se tu mi
aiutassi a fare qualcosa, invece di restare lì ad inveirmi
contro!»
«Salvarti?
Il padron Sesshomaru?» Ripetè le mie parole come
se non credesse alle sue
orecchie. Poi sgranò gli occhi, sconvolto. «Ferito?!»
«Olè,
certo che sei proprio sveglio per essere un demone.»
Mormorai, con un sospiro.
«Ti decidi a fare qualcosa o lo vuoi lasciare morire
dissanguato?»
«Io,
io… Ah…» Borbottò qualcosa
di incompresibile mentre faceva scorrere lo sguardo
da me al suo padrone privo di sensi e viceversa, come se stesse ancora
cercando
di assimilare la situazione. Poi si voltò verso qualche
cespuglio e urlò. «Rin,
vieni subito fuori!»
Spostai
lo sguardo da lui al cespuglio dal quale sentii provenire un gemito,
terrorizzata al pensiero che il piccoletto potesse chiamare
chissà quale mostro
per uccidere me e portare poi via il suo padrone. Ma dalle foglie venne
fuori
solo una bambina, pressappoco sui dieci anni, con un kimono colorato e
leggermente annerito che le arrivava fino alla caviglia e dei lunghi
capelli
neri arruffati che le incorniciavano il volto abbronzato. Che anche lei
fosse
stata un demone?
Ad
ogni modo non fu lei a spaventarmi, quanto l’animale di cui
la bambina teneva
il guinzaglio come se fosse stata la cosa più normale del
mondo; sembrava un
piccolo drago, grosso però quanto un cavallo, che possedeva
due teste ricoperte
di squame iridescenti, così come tutto il resto del corpo.
In groppa aveva
invece una sella, come se venisse usato da cavalcatura. Bene, quello
era senza
dubbio un demone.
«Coraggio,
umana, aiutami a caricare il padron Sesshomaru sopra Ah-Un.»
Ordinò l’esserino,
facendomi cenno di prendere il padrone per le braccia. Cercai di non
fare
movimenti bruschi mentre provavo a sollevarlo, e quando riuscii a
metterlo
almeno seduto, lo strano animale che aveva portato la bambina mi si
avvicinò e
chinò una testa per aiutarmi a far salire Sesshomaru sopra
la sella. Lui non si
mosse né gemette, segno che le sue condizioni erano davvero
gravi. Se non ci
fossimo sbrigati a fare qualcosa, probabilmente sarebbe morto davvero.
«Jaken,
questa ragazza viene con noi?» Domandò la bambina,
stupendomi con una voce e
tenera.
Così
era questo il nome del mostriciattolo, eh?
«Il
padron Sesshomaru non ne sarà molto contento.»
Borbottò lui, salendo sopra
Ah-Un. «Tuttavia se ha rischiato la sua vita per quella di
questa umana, penso
si arrabbierà ancora di più se non la portiamo
con noi… Chissà, magari gli può
servire per qualcosa.»
Decisi
di ignorare le sue insinuazioni, dato che io non sarei diventata la
schiava di
nessuno. Tuttavia mi voltai verso la piccola Rin e le sorrisi,
porgendole la
mano. «Il mio nome è Nicole, piccola.»
«Che
strano nome!» Commentò, sorpresa. Poi
ridacchiò. «Però mi piace.»
«Oh,
grazie. Anche il tuo è molto carino.»
A
quel punto Jaken sbuffò. «Allora, vi sbrigate a
salire su Ah-Un? Il padron
Sesshomaru va curato!»
Presi
Rin in braccio e salii in groppa al demone, dietro Sesshomaru, in modo
da
tenere ancora il suo capo sul mio grembo, come se il mio calore potesse
in
qualche modo essergli di conforto. Avevo nascosto la Sfera di mia madre
in
tasca, e nessuno di loro sembrò perciò notarla.
Meglio così: per quel giorno
avevo già avuto troppi guai a causa sua.
__________________________________________________________________________________
Perdonate la brevità di questo capitolo, mi
rifarò col prossimo! ^^
Ringraziamenti:
- Angorian: Grazie per la recensione
^^ Spero che da questo primo capitolo sia riuscita a capire qualcosa di
più.. Un bacio a presto =*
- KiraKira90: Qualunque dubbio ti sia
sorto, ti assicuro che man mano si andrà avanti
con la narrazione tutto acquisterà un senso! Ma se svelo
tutto subito poi perdo ogni "suspence" =p Sai che non ci avevo proprio
pensato all'immagine di Pocahontas?? Però ti devo dar
ragione, la ricorda un sacco xD Per quanto riguarda l'analogia della
caduta nel pozzo di Nicole e Kagome, certo, anche quella è
voluta, e fra qualche capitolo si capirà ^^ Un bacio, al
prossimo capitolo! =*
- Kobato: Grazie mille per i
fantastici complimenti, davvero, non ho parole! ^^ Spero di non
deluderti, dato che hai già etichettato questa fanfiction
come "piccola opera d'arte".. wao, cercherò di esserne
all'altezza *-* A presto, un bacio! =*
- lirinuccia: Innanzitutto, grazie mille
per i complimenti ^^ Per quanto riguarda la faccenda della Sfera,
ovviamente anche quella verrà ampiamente spiegata tra
qualche capitolo... Comunque ti posso dire che, se hai visto il film "La spada del dominatore del mondo"
, il succo è più o meno lo stesso... Il sigillo
che 'imprigionava' la spada So'unga sarebbe dovuto durare mille anni,
se non ricordo male, e così è stato, dato che
è arrivato fino all'epoca di Kagome; ma quando la spada
è tornata nell'epoca Sengoku con Inuyasha, attraverso il
pozzo, risultava che lì il sigillo era durato solo tre
secoli... Okay, non è granchè come spiegazione,
comunque tra qualche capitolo questo aspetto verrà spiegato
molto meglio ^^'' A presto! Bacio =*
- celina: Grazie mille per i
complimenti e per la recensione ^^ Per quanto riguarda il problema
"tecnico".... Nel mio pc i caratteri sono normali, rientrano
prefettamente nella pagina, quindi temo che sia "colpa" del tuo
computer é.è Comunque ancora grazie, e
a presto =*
- Alebluerose91: Geme! Hai recensito anche
tu *-* Grazie mille anche a te per i complimenti, ti voglio bene =* Per
quanto riguarda i tuoi dubbi, tranquilla,
lo sai
che la tua zemezeme non lascia le cose in sospeso u.u
Spiegherò tutto quanto, non preoccuparti! Ah, e non
pensavo che la preghiera a Kikyo piacesse così tanto,
perciò ancora grazie ^^ Un bacione, alla prossima! Smack =*
- Ada Wong: Ciao cara! Grazie mille
per i complimenti ^^ In questo capitolo il bel Sesshomaru fa solo una
breve apparizione, ma nel prossimo apparirà un pò
di più... E anche nei successivi, tranquilla u.u Sono
contenta che ti piaccia Nicole! Piace molto anche a me <3 Ah,
per 'The Wrong Man' dovrai aspettare un pò, temo,
perchè al momento ho poco tempo per dedicarmi al 16 (i
capitoli di questa storia che ho postato così in fretta sono
già stati scritti...) Comunque cercherò di
aggiornare velocemente! Un bacione, continua a seguirmi =*
- Kagome96:
Grazie mille
per i complimenti e la recensione! ^^ Un bacio, a presto =*
E con questo vi lascio! Ci
leggiamo al prossimo capitolo ^^ Nell'attesa, commentate numerose *-*
Un bacione!
|
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Capitolo 3 *** 2. Il veleno del demone-tigre ***
悪 魔 の よ う な 虎 の 毒
- Akuma no yōna tora no doku -
Ah-Un
ci portò in una caverna ben nascosta dalla vegetazione, in
una delle montagne
più alte, librandosi tranquillamente in volo. Ammetto di
avere avuto più paura
in quel momento che non durante l’attacco del demone-tigre,
ma queste sono
piccole fobie personali.
Non
appena le zampe del grosso demone-drago toccarono la dura roccia dello
spiazzo
che precedeva l’entrata della caverna, Jaken saltò
a terra trascinando con sé
Rin, per poi aiutarmi a smontare senza spostare il suo padrone, che
venne
portato all’interno della grotta in groppa ad Ah-Un.
L’interno dell’angusta
spelonca era gelido e umido, e mi fece ricordare il trascurabile
dettaglio
della mia nudità: essendo in compagnia di una bambina e tre
esseri non meglio
definiti, me ne ero quasi scordata. Tuttavia osservai tra lo sorpreso e
l’incuriosito il piccolo demone Jaken puntare la testa
maschile del suo bastone
verso un cumulo di erbe secche e piccoli trochetti portati da Rin nel
frattempo, per poi far fuoriuscire dalla bocca del vecchio un getto di
fiamme
ardenti che accesero rapidamente il fuoco.
«Come…
Come hai fatto?» Balbettai, guardandolo sconvolta.
Lui
fece chinare il drago accanto al fuoco in modo che il demone Sesshomaru
potesse
scivolare dolcemente per terra senza peggiorare la sua già
grave ferita. «Il
Bastone delle Due Teste può fare questo e molto altro,
sciocca umana.» Rispose
poi, accumulando della paglia sotto il capo del suo padrone.
Scossi
la testa, dopodichè decisi di prendere in mano la
situazione: che cosa poteva
mai sapere quella specie di folletto di medicina o medicamenti?
«Lascia
fare a me, Jaken.» Ordinai secca, avvicinandomi e
inginocchiandomi vicino al
mio paziente. «Innanzitutto ho bisogno di acqua fresca e di
tutte le erbe
medicinali che riesci a trovare nei paraggi, alle garze
penserò io…» Aggiunsi,
pensando a come strappare la mia gonna ormai inutile.
«Pensi
che ti lasci da sola con il mio padrone? Mi ritieni così
sciocco?» Sbottò,
pestando il bastone per terra con disappunto.
«Credi
che possa fargli del male? Guardami!» Ribattei, allargando le
braccia. Non che
fosse una bella mossa, dato che l’aria gelida della caverna
mi invase in pieno,
ma almeno Jaken potè rendersi conto che non sarei stata
capace di fare del male
al suo signore. Primo perché ero pur sempre una debole
umana, stando a quanto
detto da lui, e secondo perché non avevo nessuna intenzione
di fare del male a
colui che mi aveva salvato la vita, anche se si trattava
dell’ennesimo demone
che incontravo.
«Rin
allora rimarrà qui.» Decise lui, come per avere
l’ultima parola.
Io
annuii subito. «Certo. Vieni Rin, mettiti accanto al fuoco,
vicino a me.»
Jaken
mi osservò ancora parecchio scettico, ma poi
saltò in groppa ad Ah-Un e volò
nuovamente fuori dalla caverna, accompagnato dal soffio
dell’animale. Sospirai,
augurandomi che facesse in fretta. Non sapevo quano potessero resistere
i
demoni al veleno.
«Rin,
ti spiace aiutarmi?» Dissi poi, rivolgendomi alla bambina.
«No,
Nicole-kun. Cosa posso fare?»
Mentre
mi aiutava a far scivolare il prezioso kimono del loro padrone fino
alla vita,
in modo da scoprirgli la ferita, mi chiesi che cosa ci faceva quella
bambina
umana insieme a tre demoni: che fosse la figlia di Sesshomaru, avuta
con una
donna umana? Durante i miei corsi di Storia e Letteratura Antica
Giapponese
ricordo di aver letto qualcosa a proposito di simili unioni, anche se
nei miei
libri le metteva sotto la dicitura Leggende;
non avevo idea di dove fossi finita, ma era ovvio che in questo mondo
tutto ciò
che in genere veniva classificato come mito o leggenda apparteneva alla
più
cruda realtà. Tuttavia Rin non sembrava somigliare al demone
dai capelli color
della luna, aveva un’aria del tutto fragile e umana.
Quando
mi concentrai di nuovo su Sesshomaru, che ormai stava respirando a
fatica,
dovetti mordermi le labbra alla vista dell’orrenda ferita che
non riguardava
solo il braccio, ma anche una buona porzione della spalla. Se avesse
aspettato
solo un secondo in più prima di uccidere il demone-tigre,
probabilmente
quest’ultimo sarebbe riuscito a staccargli l’arto a
morsi.
Con
un sospiro mi sfilai la gonna, ringraziando mentalmente il Cielo di
avere
indossato dei pantaloncini al di sotto di essa, in modo da prevenire
qualsiasi
evenienza. Certo, quando l’ho fatto non avrei pensato che
sarebbe andata a
finire così, ma sempre meglio di niente.
«Rin,
hai un coltello, per caso?»
Domandai alla bambina, sperando che ne avesse uno.
Per
fortuna, lei annuì. «Ho un
pugnale! Me l’ha regalato Sango-kun…»
Disse, tirando fuori da una tasca del kimono
un piccolo pugnale dalla punta affilata come un rasoio.
Da quando si regalano queste cose alle bambine? Pensai,
sconvolta.
«Grazie,
Rin.» Mi limitai a dire,
usando il pugnale per tagliare la mia povera gonna in tante strisce
sottili da
utilizzare a mò di garza. Il tessuto rimasto lo usai invece
per pulire la
ferita, cercando di togliere il grosso del veleno che continuava a
colare sul
suo petto, mischiato al sangue. Non so come riuscii a non rigettare
tutta la
colazione, ma evidentemente avevo uno stomaco più forte del
previsto.
Mentre
asciugavo la ferita, non riuscii ad impedirmi di pensare a quanto fosse
liscia
la sua pelle, in un modo del tutto inumano: era completamente glabro,
non un
solo accenno di peluria gli ombreggiava il corpo, e anche se mi avevano
sottolineato più volte che lui era un demone non riuscivo a
capacitarmi che
potesse esistere davvero. Insomma, non mi sarei stupita se mi fossi
svegliata
all’improvviso scoprendo di aver fatto solo un sogno, ma il
freddo e l’odore
del suo sangue erano troppo reali per farmi credere sul serio ad una
cosa del
genere. Mi ritrovai improvvisamente a sfiorare con la punta delle dita
il
fascio di muscoli scolpiti che gli abbellivano il torace, ricoperto da
un
sottile velo di sudore: dimostrava venticinque o ventisei anni, eppure
qualcosa
– una strana sensazione – mi suggerì che
doveva essere molto più vecchio.
Com’era possibile?
Distolsi
la mente da quei pensieri e sollevai un attimo lo sguardo, rivolgendolo
alla
bambina. Sembrava tremendamente preoccupata e aveva gli occhi lucidi,
come se
stesse per scoppiare in lacrime da un momento all’altro.
«Stai
bene, Rin?» Le chiesi,
gentilmente.
Lei
scosse piano la testa,
asciugandosi gli occhi con la manica del kimono. Come
immaginavo…
«No,
Nicole-kun…» Balbettò, tirando
su col naso. «Sono preoccupata per il signor Sesshomaru. Non
l’ho mai visto in
queste condizioni… Credevo che nessuno avrebbe mai potuto
ferirlo…»
Sospirai,
accarezzandole teneramente
una guancia. «Oh, tesoro, nessuno è
così invincibile…»
«Il
signor Sesshomaru sì, invece.»
Ribattè, incrociando le braccia come se l’avessi
offesa.
«Beh,
ora però è ferito…»
Replicai,
cercando di farla ragionare. Non poteva credere davvero che qualcuno
potesse
essere immortale e invincibile, anche se si trattava di un demone!
Tuttavia
ottenni solo l’effetto di
aumentare il suo pianto. «Se Kagome-kun fosse qui,
riuscirebbe a purificare la
ferita.» Dichiarò, tra un singhiozzo e
l’altro.
Con
questo conquistò completamente la
mia attenzione. «Chi è questa Kagome?»
Domandai, incuriosita; se l’avessimo
trovata in tempo avrebbe potuto aiutarci, visto che le mie cure
sembravano non
sortire l’effetto sperato.
«È
la moglie di Inuyasha, il fratello
del signor Sesshomaru, però è anche una
sacerdotessa,» mi spiegò, semplice e
concisa. «Come mai non la conosci?»
Avrei
dovuto spiegarle che venivo da
un’altra epoca? Non mi sembrava il caso, dato che non volevo
mi prendessero
ulteriormente per pazza. «Diciamo che non sono di queste
parti.» Dissi,
liquidando l’intera faccenda con un gesto della mano.
«Credo che dovremmo
andare a cercare questa Kagome…»
«No,
nel modo più assoluto!»
Io
e la piccola Rin ci voltammo
contemporaneamente verso l’entrata della caverna, sulla quale
si stagliava
l’ombra di quel demonietto chiamato Jaken e della sua
cavalcatura. Corse nella
nostra direzione, intralciato e reso ancor più goffo dal
lungo bastone che
sembrava un prolungamento del suo braccio, e mi fissò con
occhi truci.
«Non
ti permetterò di chiamare quella
donna, umana!» Ribadì, puntandomi contro un
piccolo dito tozzo.
Io
inarcai un sopracciglio, per
niente intimorita. «Spiegami per quale assurda ragione
dovremo fare come dici
tu!»
Lo
vidi gonfiare le guance,
infastidito dalla mia risposta. «Il padron Sesshomaru odia
persino l’odore di
quella ragazza e di quell’iniquo di suo fratello!»
Okay,
questa in effetti era una
ragione più che adeguata. Però non volevo nemmeno
restare a guardare il nobile
demone che moriva per colpa di uno sciocco pregiudizio…
Sospirai, scuotendo
rassegnata la testa; visto che nessuno voleva andare a chiamare questa
Kagome –
e mandare da sola Rin era fuori discussione – avrei dovuto
arrangiarmi con i
mezzi a mia disposizione.
«Allora
cosa possiamo fare?»
Mormorai. Poi mi voltai verso Jaken. «Hai portato quello che
ho chiesto?»
Il
demone rospo, o lucertola, o
quello che era, tirò fuori da una sacca una borraccia di
cuoio colma d’acqua e
delle erbe medicinali avvolte in un panno, al riparo dalla pioggia. Le
presi e
le avvicinai al fuoco, in modo da controllare con la luce di cosa si
trattava; bon, in realtà
non ero mai ricorsa a
quella medicina alternativa, ma se
loro dicevano che si trattava di piante portentose, tanto valeva farne
uso.
«E
ad ogni modo, ragazza,»
sputò ancora Jaken, con incredibile disprezzo.
«Anche tu
sei una sacerdotessa. Perché non ti rendi utile e usi il tuo
potere spirituale
per purificare la ferita del padron Sesshomaru?»
Sbattei
più volte le palpebre,
piuttosto interdetta: no, non lo capivo perché non conoscevo
la sua lingua –
quella grazie al Cielo l’avevo imparata bene – ma
semplicemente perché non
avevo la più pallida idea di cosa stava dicendo. Potere
spirituale?
Purificazione? Avevo studiato la filosofia shintoista, ma di certo non
credevo
che ci fosse qualcuno che credesse seriamente in quelle cose. Insomma,
sarebbe
stato come se mi avessero chiesto di invocare il diavolo o fare qualche
altra
stregoneria del genere. E poi, non capivo perché tutti
sembravano convinti che
io fossi una sacerdotessa. Quando quella
parola era mai uscita dalla mia bocca?
«Senti,
Jaken, se avessi anche solo
la minima parte di questi fantomatici poteri, credimi, farei di tutto
per
aiutare il tuo padrone.» Replicai, parlandogli lentamente
come si fa con i
bambini piccoli che si interrogano sul senso della vita. «Ma
sinceramente non
so di cosa tu stia parlando.»
«Sciocchezze!
Il tuo potere riesce
persino a sovrastare la tua puzza da umana.»
Adesso
stavo iniziando seriamente ad
arrabbiarmi. «Come ti permetti di parlarmi in questo
modo?» Sibilai, alzandomi
in piedi e stringendo gli occhi. «Mi stai davvero
seccando!»
Incredibilmente
lo vidi
indietreggiare di qualche passo, ma prima che mi venisse voglia di
usare il
pugnale di Rin contro di lui, la bambina si frappose tra me e il
demonietto.
«Per
favore, Nicole-kun, ignoralo.»
Mi supplicò, preoccupata. «Non è
abituato alle sacerdotesse, si comporta sempre
così.»
Non
avevo voglia di ripetere per
l’ennesima volta che io non ero una sacerdotessa,
perciò mi limitai a tornare
ad inginocchiarmi accanto al demone ferito, trattenendo il nervosismo.
«Stupide monstre raciste.»
«Hai
detto qualcosa, Nicole-kun?»
«No,
Rin, niente.» Era una fortuna
che nessuno comprendesse il francese.
Ad
ogni modo, tutto quel ripetere
all’infinito che io ero una sacerdotessa mi aveva
sinceramente incuriosita: io
sapevo per certo che, a rigor di logica, era impossibile che potessi
esserlo,
ma d’altra parte mi trovavo di fronte a due demoni di cui
fino al giorno prima
avrei dubitato l’esistenza, e come se non bastasse ero finita
in un’altra epoca
tramite un pozzo e avevo rischiato
di
essere mangiata. A quel punto, se anche avessi posseduto realmente dei
“poteri
spirituali”, la cosa non avrebbe dovuto sconvolgermi
più di tanto, n’est-ce
pas?
Quindi,
dopo aver pulito per
l’ennesima volta la ferita del demone chiamato Sesshomaru,
che continuava a
sanguinare veleno senza interruzione, presi un profondo respiro e,
vincendo la
leggera nausea, avvicinai le mani al piccolo squarcio che gli deturpava
parte
della spalla. All’inizio non sapevo bene che cosa ci si
aspettava che io
facessi: ma alla fine provai una sorta di impulso che mi costrinse a
posare i
palmi delle mani sulla ferita, quasi a dover bloccare
l’emorragia, e
contemporaneamente la Sfera che avevo riposto nella tasca dei miei
pantaloncini
iniziò ad ardere, bruciandomi la pelle. Strinsi i denti
perché non volevo che
né Jaken né Rin venissero a conoscenza di quel
monile, e cercai istintivamente di
convogliare quel terribile calore nella ferita del demone.
Fu
come sentire un piacevole formicolio
corrermi lungo tutta la superficie della pelle, una sorta di potente
energia
che proveniva da non so quale luogo profondo dentro di me, che
andò a
concentrarsi sui palmi delle mie mani per poi trasferirsi all’interno della ferita.
Sentii le mani diventarmi gelide come per
mancanza di circolazione sanguigna, ma nello stesso tempo vidi la
terribile
lacerazione della pelle marmorea del demone richiudersi sotto il mio
tocco, lasciando
dietro di sé nulla più che un semplice tepore.
Mentre osservavo, sconvolta,
quell’incredibile prodigio, fui improvvisamente consapevole
del fatto che il
veleno mortale del demone-tigre era del tutto sparito dal corpo di
Sesshomaru,
svanito… Come purificato.
Ero
senza parole.
Il
mio sguardo si spostava dal punto
in cui c’era stata la ferita pochi istanti prima alle mie
mani, che avevo
stagliato in controluce rispetto al fuoco come se mi aspettassi di
vedere
qualche strano marchio apparso all’improvviso sulla mia
pelle. Ma non vi era
nulla di tutto questo, le mie mani erano semplicemente fredde. Tutto
qui.
«Il
padron Sesshomaru… è…
guarito…»
Gracchiò Jaken, incredulo: sembrava stesse trattenendo a
stento un pianto
irrefrenabile.
Mi
voltai verso Rin, ma vidi che lei
invece sorrideva. «Ti ringrazio, Nicole-kun. Sapevo che eri
una buona
sacerdotessa…»
Si
avvicinò a me e, prima che potessi
fare qualsiasi cosa, mi si gettò al collo, stringendomi in
un abbraccio che
ricambiai più che volentieri. Non era il momento, quello, di
domandarmi come diavolo avevo
fatto a compiere quella
specie di miracolo, dato che l’unica risposta che ne avrei
ricavato sarebbe
stata “È
perché sei una sacerdotessa!”
Quando
Rin mi sciolse dalla sua
tenera stretta, terminai di occuparmi del mio paziente. Mi premurai di
rivestirlo,
facendo attenzione a non svegliarlo, e gli sciolsi la cintura di cuoio
alla
quale vi erano appese le sue due spade, che gli posai accanto. Gli
sistemai la
lunga pelliccia sotto il capo e a quel punto mi sorpresi ad osservarlo
attentamente, conscia di ogni minimo particolare che lo caratterizzava.
I
lunghi e morbidi capelli argentei sembravano riflettere la luce delle
fiamme
del falò che ardeva al nostro fianco, e il suo respiro era
tornato lento e
profondo, ormai privo della minaccia del veleno. La pelle,
incredibilmente
diafana, era leggermente arrossata sulla fronte e sulle gote, ma vidi
con
chiarezza che stava tornando velocemente alla sua normale
tonalità. A titolo
puramente informativo gli posai una mano sulla fronte per accertarmi
che non
avesse la febbre, e quel punto mi accorsi della curiosa voglia a forma
di
mezzaluna che spiccava su di essa, come un improbabile tatuaggio
violaceo.
Dev’essere sicuramente un qualche segno
che
contraddistingue la sua natura demoniaca, pensai, con
la mente annebbiata. Ero stanca, e tutto ciò che volevo
adesso era dormire.
Mi
lasciai cadere per terra,
abbandonandomi contro la dura roccia e posando la testa sulla parete
della
caverna. Ero del tutto incurante della mia nudità, ormai ci
avevo fatto
l’abitudine, e il calore del fuoco mi accarezzava teneramente
la pelle nuda
scacciando il gelo. Rin venne a sedersi accanto a me, raccogliendo le
gambe
contro il petto e posando il mento sulle ginocchia, osservando
pensierosa il
demone addormentato e il suo piccolo servitore che lo vegliava,
fedelmente, al
suo fianco.
La
sentii sospirare. «Credi che si
riprenderà presto?» Domandò.
«Si,
ne sono sicura.» Biascicai in
risposta, con un filo di voce.
Non
era della forza di Sesshomaru che
dubitavo, quanto piuttosto della mia. In una sola giornata avevo perso
ogni
singolo pilastro che reggeva la normalità della mia vita, e
ancora sembrava non
essere finita; già, perché prima o poi avrei
dovuto pensare ad un modo per
tornare a casa, non potevo di certo restare lì per sempre.
Era fuori
discussione.
Forse
quella famosa Kagome di cui mi
avevano accennato poco prima sarebbe riuscita a risolvere la mia
strampalata
situazione, benchè ne dubitassi. A meno che non fosse una
specie di strega
anche lei, ovvio. Ah no, in quell’epoca le chiamavano sacerdotesse. Come no.
Chiusi
gli occhi, e pregai in tutte
le lingue che conoscevo di potermi risvegliare, l’indomani,
nel mio
confortevole lettino. Il sonno iniziò ad impadronirsi delle
mie membra, e
ancora continuavo a pregare. Fu solo quando sentii la testa di Rin
scivolare
sul mio grembo, addormentata, che ci rinunciai.
«Ma
solo per stanotte.» Sussurrai.
____________________________________________________________________________________
Ed eccoci ai
ringraziamenti! ^^
- marrion:
Grazie mille per la recensione e per i complimenti, continua a
seguirmi! ^^ Un bacio =*
- Kobato:
Grazie per i complimenti ^^ Anche a me la cosa avrebbe lasciato di
stucco, ma tranquilla, Sesshomaru non si è innamorato di
Nicole u.u Sto cercando di renderlo meno OOC possibile - anche se
sarà difficile - quindi certe cose cerco di evitarli xD
Lieta di non averti delusa! Un bacio, a presto =*
- celina:
Grazie anche a te per i complimenti! ;) Come hai detto, stiamo
iniziando l'avventura... Ma c'è ne vorrà un altro
pò prima che inizi veramente ^_^; Nicole è una
specie di sacerdotessa, anche se nessuno sa come mai... Mistero xD Al
prossimo capitolo, continua a seguirmi! Un bacio =*
- Kagome96:
Grazie per la recensione! Sono davvero contenta che ti sia piaciuta ^^
Neppure io mi ricordavo il nome del drago, meno male che esiste
Wikipedia... benedetta enciclopedia ;) Al prossimo capitolo! Bacio =*
- kenjina:
Carissima, anche tu qui! *-* Mi fa piacere che la mia idea ti abbia
incuriosito, spero che continuerai a seguirmi :) E così Sesshomaru piace
anche a te, eh?? Brava brava, sono proprio contenta +__+ (muahahaha
anche a me piace l'idea di Nicole francese xD chissà
perchè!) Un bacione cara, a presto! =*
- Alebluerose91:
Geme! Grazie per la recensione e gli incoraggiamenti, smack =* Spero di
non averti deluso con questo capitolo =P Un bacione, a presto! =*
- Ada
Wong: Grazie per i complimenti! ^^ Presto saprai come mai
Sesshomaru ha salvato Nicole, ma credo che nessuno possa intuire il
perchè u.u Okay, in realtà è
più stupido del previsto, ma vabbè xD Un bacio,
continua a seguirmi che mi fa molto piacere ^^ Ciao! =*
- lirinuccia:
Oh, non preoccuparti per il ritardo, ti capisco benissimo se tiri in
ballo lo studio eccetera.. -.-'' Comunque grazie mille per i
complimenti, mi fa piacere che venga riconosciuto il mio Genio u.u
(Okay, sto scherzando, tranquilla ^_^; Non sono così
montata, anzi, non lo sono per niente xD) Ad ogni modo sono contenta
che la mia spiegazione ti sia servita, anche se era un pò un
casotto da spiegare ^^" Se hai bisogno di altri chiarimenti non
preoccuparti e chiedi pure! Un bacione, a presto! =*
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Capitolo 4 *** 3. Una serva per la piccola Rin ***
少 し 凛 の サ ー バ ン ト
-
Sukoshi
Rin no sābanto -
Quando,
l’indomani mattina, mi svegliai, mi ritrovai con la schiena
incredibilmente
dolorante. Immagino che l’aver dormito tutta la notte contro
la roccia della
caverna non doveva aver giovato al mio corpo, già
indolenzito dalla pesante
giornataccia.
Istintivamente
mi stiracchiai, allungando le braccia sopra la testa con un gemito di
dolore e
tenue piacere: fu allora che mi ricordai della piccola Rin, che aveva
dormito
con la testa posata sulle mie gambe per tutto il tempo. Chinai lo
sguardo per
osservarla, notando che stava ancora dormendo, rannicchiata contro il
mio
corpo. Com’era dolce… Inoltre, mi aveva tenuto
piacevolmente al caldo, cosa da
non trascurare.
Vagamente
mi resi conto che le preghiere della notte prima non erano state
minimamente
ascoltate, ma a dir la verità non mi dispiaceva
più di tanto; non mi ero forse
lamentata di non aver mai avuto una sorellina minore da coccolare e da
viziare?
Ebbene, adesso potevo sopperire a quell’imperdonabile
mancanza. Oh, che
stupida… Ma che cosa stavo pensando?
Mi
guardai intorno, decidendo per il momento di non alzarmi per non
svegliare Rin,
e ciò che vidi di fronte a me mi fece perdere qualche
battito. Il demone che
avevo curato magicamente la notte
prima, il ‘grande’ Sesshomaru, era seduto
esattamente al lato opposto dei
residui del falò rispetto a me, con una gamba piegata
parallela al suo corpo e
una mano posata mollemente sul ginocchio, mentre l’altra
gamba era distesa
sulla roccia davanti a sé. Ma quello che mi
provocò un lungo brivido lungo la
schiena fu lo sguardo con cui mi stava studiando, per nulla
imbarazzato. Beh,
in realtà sarei dovuta essere io quella in imbarazzo, dato
che ero praticamente
nuda…
Oh, mon Dieu.
Me
ne ero completamente dimenticata! Istintivamente incrociai le braccia
sopra il
petto, cercando di nascondermi alla sua vista, e contemporaneamente
sentii le
guace avvampare, bollenti. Proprio una bella figura, non
c’è che dire.
«Sono…
ehm…» Deglutii, cercando di trovare la voce per
rivolgergli la parola. «Sono
contenta che stiate bene… Abbiamo davvero temuto
che…»
Ma
lui non mi permise di continuare. «Chi sei?» Mi
interruppe, freddamente. La sua
voce, benchè fosse straordinariamente profonda e vellutata,
sembrava grondare
ghiaccio, non avrei mai immaginato che esistesse qualcuno capace di
terrorizzare il suo prossimo semplicemente attraverso la voce. Oh santo
Cielo,
ma dove ero finita?
Ad
ogni modo, comunque, non mi piacque proprio per niente il suo modo di
rivolgersi. Gli avevo salvato la vita, accidenti, se avesse dimostrato
un
minimo di gratitudine non mi sarei di certo offesa! «Sono
l’umana che ieri avete
salvato da quel
demone-tigre.» Replicai, con il suo medesimo tono.
Infatti,
come avrei dovuto immaginare, non sembrò per niente
apprezzare la mia risposta.
Strinse impercettibilmente gli occhi, di un oro più puro di
qualunque gioiello
al quale potevo essere abituata, e per un attimo temetti che mi
uccidesse
semplicemente con lo sguardo. «Io non ho salvato nessuno.
Quell’inetto si è
semplicemente trovato nel mio cammino al momento sbagliato, e io non
tollero
chi mi ostacola.»
Aveva
parlato sussurrando, o meglio, sibilando, senza mai staccarmi gli occhi
di
dosso. Stavo iniziando a sentirmi davvero a disagio, ma un rapido lampo
di
genio mi rammentò che non avrebbe potuto uccidermi con
quella bambina presente:
pessimo ragionamento da parte mia, ma vero. Inoltre, come se non
bastasse, mi
fece innervosire anche la sua risposta. Perché aveva negato
di avermi salvato?
Gli dava così fastidio avere sulla coscienza il minimo di
pietà mostrata nei
confronti di una povera umana?
Quanto
odiavo questo genere di discorsi.
«Allora
vuol dire che mi sono preoccupata per voi senza nessun
motivo.» Ribattei aspra,
distogliendo lo sguardo da lui e puntandolo sui resti bruciacchiati
della legna
del fuoco. Perfetto, non avevo più nessuna ragione di
restare lì, adesso che mi
ero sdebitata.
«Con
quell’abbigliamento indecente è stato davvero
sciocco aggirarsi da sola nella
foresta.» Aggiunse invece, senza badare alla mia risposta.
Arrossii
ulteriormente, dato che era l’unica cosa che potevo ormai
fare. «Ero vestita
molto meglio prima che quel demone mi strappasse il maglione di
dosso!»
Ribattei, piccata. Che razza di demone arrogante e presuntuoso, pensava
di
potermi trattare in quel modo solamente perché io ero
un’umana? Oh, se avesse
continuato non avrei esitato a fargli cambiare idea. Dopotutto, se lo
avevo
potuto guarire avrei potuto anche ferirlo. Fortunanatamente Rin si
stava
svegliando, il che fece in modo che il demone mi risparmiasse
un’altra risposta
acida – nonché la vita, dovrei aggiungere.
La
bambina si stiracchiò, nascondendo uno sbadiglio con la mano
e mettendosi
seduta. Si rivolse subito a me, con un sorriso che avrebbe potuto
sciogliere
chiunque – ah, chiunque tranne Sesshomaru, chiaro.
«Buongiorno, Nicole-kun!»
Esclamò, con un’invidiabile joie
de vivre.
«Sono contenta che tu sia ancora qui!»
Non
riuscii a trattenere un sorriso mentre le accarezzavo i capelli.
«Pensavi che
me ne fossi andata?»
La
piccola aggrottò leggermente le sopracciglia e
imbronciò le labbra, intristita.
«Ho fatto un brutto sogno, credevo che Nicole-kun se ne fosse
andata lasciando
Rin da sola…»
«Oh
tesoro, questo…» Stavo per dire che una cosa
simile non sarebbe potuta
succedere, ma mi trattenni, mordendomi la lingua. Non potevo fare una
promessa
del genere, non dopo il modo in cui mi aveva accolta il suo
‘amato’ signor
Sesshomaru… Di sicuro non sarei voluta restare un minuto di
più accanto a quel
demone, ma come dire a quella cara bambina che tutto ciò che
desideravo era
tornare a casa mia?
Così,
accarezzandole mestamente i capelli, sospirai. «Beh, Rin, per
il momento non me
ne andrò…»
A
quel punto si voltò verso il demone, continuando a
sorridere. «Signor
Sesshomaru, state bene!» Si alzò e, prima che
potessi fermarla, si era
precipitata al suo fianco, stringendogli una mano. «Eravamo
così preoccupati,
sapete! Nicole-kun vi ha curato con il suo potere spirituale
perché anche lei è
una sacerdotessa, ed era così preoccupata!»
Avrei
voluto che una voragine si aprisse sotto di me facendomi sparire dallo
sguardo
penetrante del grande demone, ma purtroppo ciò non accadde e
io mi limitai ad
arrossire, cercando di non incrociare gli occhi d’oro di
Sesshomaru che mi
studiavano come se fossi uno strano animale che non aveva mai visto.
Probabilmente l’idea di dover ringraziare un’umana
di essere ancora vivo non
dovergli fare molto piacere. Ma comunque ormai io mi ero sdebitata, non
avevo
nulla da spartire con lui – anzi, con nessuno di loro: se mi
avessero aiutato a
ritrovare il mio pozzo gliene sarei stata grata, in caso contrario non
avrei
esitato ad andare da sola a cercarlo. Cos’altro poteva
accadermi di peggio,
tanto?
Mi
accorsi dell’assenza di Jaken solo quando
quest’ultimo entrò nella caverna in
sella ad Ah-Un, con un’espressione vagamente contrariata che
si acuì quando
vide Rin tenere la mano del suo padrone. Tuttavia non osò
intimarle di
allontanarsi come avrebbe fatto con me, probabilmente perché
in tal modo
avrebbe scatenato l’ira di Sesshomaru, che a quanto pareva
teneva alla bambina.
«Jaken.»
Lo chiamò il demone, con una voce annoiata e indifferente.
Mi ritrovai a
fissare le sue labbra, morbide e carnose, che si muovevano
impercettibilmente
mentre parlava, quasi non volesse sprecare forze in
quell’attività così
disgustamente umana che è la comunicazione.
Oh
Dio, se avesse potuto sentire i miei pensieri mi avrebbe sicuramente
ucciso,
dato il modo in cui lo stavo prendendo in giro tra me e me!
«Hai
trovato ciò che ti ho detto?» Continuò,
mentre continuava a tenere
insistentemente lo sguardo posato su di me. A quel punto mi sorse un
dubbio: cos’è,
non aveva mai visto una donna mezzo nuda?
«Certo,
mio signore.» Gracchiò Jaken adorante, saltando
giù dal demone-drago con un
fagotto stretto tra le mani che si affrettò a posare di
fronte a me prima di
tornare al fianco del suo padrone.
Sollevai
lo sguardo su di loro, incuriosita. «Che
cos’è?» Domandai, sforzandomi di
essere gentile – almeno io.
Fu
il demonietto a rispondermi, con sommo disgusto. «Sono degli
abiti per te,
sciocca umana! Non penserai che il mio grande e potente signore ti
permetterà
di camminare al suo fianco in quel modo indecente e
vergognoso?»
L’unica
cosa che feci su sollevare un sopracciglio, interdetta: forse non avevo
capito
bene. «Credete che io verrò con voi?»
Chiesi, cercando di suonare vagamente
divertita. Ah, quelle faticose lezioni al club di teatro avrebbero
finalmente
dato i loro frutti. «Vi ringrazio per i vestiti, ma
l’unica cosa che voglio è
tornare a casa mia.»
Mi
si strinse il cuore quando vidi gli occhi di Rin tingersi di lacrime
non
versate, ma purtroppo non potevo farci niente… Era la pura
verità, non sarei
potuta restare. «Rin, mi spiace…»
Mormorai.
Lei
scosse la testa, nascondendo il volto nella soffice pelliccia di
Sesshomaru.
«Tu
non andrai da nessuna parte.» Dichiarò
quest’ultimo, con la stessa voce atona e
leggermente trascinata di poco prima.
«Come
osate darmi degli ordini?» Sibilai alterata, alzandomi in
piedi. «Voi non siete
nulla per me, non sarò di certo una vostra serva!»
Il
suo sguardo di tinse di rosso, minaccioso, ma non fu quello a
spaventarmi
quanto, piuttosto, ciò che disse subito dopo. «So
che possiedi la Sfera degli
Shikon.»
Sgranai
gli occhi, sconvolta: dunque se ne era accorto? Scivolai nuovamente per
terra,
rannicchiandomi contro la dura roccia e mettendo una mano in tasca a
chiudersi
attorno al mio prezioso monile. E adesso? Mi avrebbe uccisa come aveva
già
detto il demone della notte prima? Anche lui voleva la Sfera?
«Volete…
Volete uccidermi…?» Sussurrai, con lo sguardo
fisso sul fagotto di abiti di
fronte a me.
Sentii
Rin singhiozzare ma non alzai gli occhi, chiudendoli al contrario.
Perfetto,
avevo salvato la vita al mio boia personale: e di certo non potevo
contare né
su Jaken né su Rin per potermi salvare, dato che il primo mi
odiava a
prescindere e la seconda era solo una bambina, umana come me.
«Non
ritenerti così importante da poter morire per mano del mio
signore!» Sputò
Jaken, con cattiveria: ecco, come volevasi dimostrare…
Uno
strano tonfo però mi fece sollevare di scatto la testa,
permettendomi di vedere
il demone rospo per terra, stordito, e la mano di Sesshomaru che
tornava
lentamente al suo posto, sopra il ginocchio. «Taci, Jaken.
Non ho bisogno di
qualcuno che risponda in vece mia.»
Dal
mostriciattolo provenne un borbottio a stento intuibile.
«Per-Perdonatemi, mio
signore…»
Si
voltò nuovamente verso di me, immobilizzandomi con il suo
sguardo di brace.
Solo allora notai che i suoi occhi erano incorniciati da lunghe ciglia
nere che
contrastavano con le sopracciglia e i capelli argentei, ma malgrado il
suo
aspetto quasi angelico sentivo provenire da lui una strana aurea
crudele che
non credevo potessi avvertire. Che fosse merito – o colpa
– di quei assurdi
poteri da sacerdotessa?
«Non
ti ucciderò, a meno che tu non mi fornisca un valido
pretesto per farlo.»
Disse, con una gentile ed elegante minaccia. «Voglio solo
sapere perché sei in
possesso della Sfera, dato che dovrebbe essere andata distrutta tre
anni fa.»
Aggrottai
le sopracciglia, leggermente confusa. «La Sfera appartiene
alla mia famiglia da
generazioni, almeno a quanto diceva mia madre. È stata lei a
tramandarmela.» La
tirai fuori dalla tasca, giocherellandoci e lasciando che emanasse
piccoli
arcobaleni sulla parete della caverna. «Come può
essere stata distrutta se ora
ce l’ho io?»
«È
esattamente quello che voglio sapere.»
Sollevai
lo sguardo e vidi Sesshomaru alzarsi, sorprendendomi con
un’altezza davvero
fuori dal comune per una creatura giapponese: era davvero imponente, ed
emanava
una forza senza pari. «Adesso vestiti.» Mi
intimò, con un tono che non
ammetteva repliche.
Mi
scoprii ad arrossire di nuovo, e mi odiai profondamente per quello.
«Mi
dispiace, ma non ne sono capace.»
Lo
vidi sollevare impercettibilmente un sopracciglio, vagamente
infastidito:
probabilmente doveva attingere a tutto il suo demoniaco autocontrollo
per
resistere alla tentazione di uccidermi, ma che bravo.
«Rin
ti aiuterà.» Decretò, dandomi le spalle
e dirigendosi verso l’entrata della
grotta con il fastidioso Jaken alle calcagna.
Sbuffai
innervosita, mentre aprivo il fagotto e ne tiravo fuori i vestiti che
mi
avevano procurato. Si trattava di un tipico abito da sacerdotessa
shintoista: un
hadagi bianco e un hakui del medesimo colore, ripiegati sopra un hakama
rosso
porpora, ossia una lunga gonna-pantalone a pieghe. Così di
nome conoscevo tutti
quei vari indumenti, ma non avevo la più pallida idea di
come si indossassero.
C’erano
inoltre, per completare il tutto, un paio di tabi, ossia dei corti
calzini
bianchi con una separazione a infradito e dei zori, cioè dei
normali sandali in
corda. Insomma, volevano che mi abbigliassi come una sacerdotessa
oppure quelli
erano gli unici vestiti che Jaken aveva trovato.
Rin
mi si avvicinò in silenzio, prendendo l’hadagi tra
le mani e aspettando che mi
liberassi dei miei vecchi abiti. La guardai, subito pentendomi di
ciò che avevo
detto qualche minuto prima.
«Rin…
Mi dispiace…» Mormorai, sperando che mi guardasse.
Ma
lei tenne ostinatamente lo sguardo fisso per terra.
«Nicole-kun se ne vuole
andare, anche se ha detto a Rin che sarebbe
rimasta…» Sussurrò, costringendomi
ad avvicinarmi a lei per sentire ciò che aveva detto.
Le
posai le mani sulle spalle, cercando di guardarla negli occhi.
«Rin, per
favore, cerca di capire… Io devo tornare a casa mia, non
potrò restare qui per
sempre… Inoltre il tuo amico demone non sopporta neppure la
mia presenza,
credimi, è meglio così…»
A
quel punto sollevò il viso su di me e io quasi desiderai che
non l’avesse
fatto, dato che aveva ripreso a piangere. «Il signor
Sesshomaru vuole bene a
Rin e vorrà bene anche a Nicole-kun!»
Esclamò, con la voce rotta dai
singhiozzi.
Ma
io scossi la testa, cercando di farla ragionare. «Rin, non
è così che
funziona…!»
Avrei
voluto spiegarle l’intera situazione, ma lei mi
posò un dito sulle labbra,
facendomi tacere. «Il signor Sesshomaru ci sta aspettando, e
si arrabbierà se
facciamo tardi.» Disse, chiudendo bruscamente la
conversazione.
Non
mi rimase che annuire, sospirando. «Va bene.»
Mi
alzai, liberandomi dei pantaloncini e rimanendo in biancheria intima,
prendendo
quella sorta di camicia bianca che la bambina mi stava porgendo e
seguendo le
sue istruzioni, lasciandomi vestire come una bambola.
L’hakama fu il più
difficile da indossare perché si presentava come un informe
sacco di patate
fino a quando Rin non ne strinse la fascia in vita, appena sotto il
seno, e a
quel punto prese forma. Le maniche dell’hakui erano
incredibilmente larghe e
lunghe e arrivavano a coprirmi le mani, costringendomi un po’
nei movimenti. La
cosa veramente scomoda erano i tabi, perché trovavo
insopportabile il fatto di
avere delle calze che mi separavano le dita dei piedi, ma certamente
non potevo
lamentarmi. Un paio di lacci, chiamati muna-himo, impedivano che
l’hakui mi
scivolasse dalle spalle, stringendosi sul petto. Rin mi
aiutò a legarmi i
lunghi capelli biondi con un nastro bianco, e a quel punto potei dirmi
pronta.
Avvolsi
i pantaloncini nel tessuto grezzo che aveva portato Jaken insieme a
quegli
abiti da miko, e li tenni in mano a mò di borsetta. La
catenina con la Sfera
l’agganciai dietro il collo, nascondendola sotto
l’hadagi a diretto contatto
con la mia pelle.
Poi,
senza dire una sola parola, Rin mi scortò fuori dalla grotta.
Sesshomaru
era seduto sotto un albero con Jaken appollaiato a qualche metro di
distanza
insieme al drago, le cui teste erano entrambe posate
sull’erba come se si
stesse riposando. Non appena uscii dalla caverna entrambi i demoni
sollevarono
lo sguardo per rivolgerlo a me, squadrandomi dalla testa ai piedi, il
che mi
mise ancora più in soggezione di quando ero mezzo nuda.
«Che
cosa avete in mente?» Domandai bruscamente, non appena
l’ebbi raggiunto.
Notai
che Jaken stava per ribattere, ma una rapida occhiata gelida del suo
padrone lo
fece zittire immediatamente. «A me non serve un misero
cristallo per essere il
dominatore del mondo, pertanto non ti ucciderò.»
Rispose, con un’invidiabile
nonchalance. Perché parlava con tutta quella
tranquillità di morte e uccisioni?
Soprattutto della mia morte?
Lo
guardai in silenzio, aspettando che aggiungesse qualcosa, ma visto che
sembrava
aver finito ripresi la parola. «Dunque? Che cosa volete fare
con me, dato che non avete bisogno
della
Sfera?»
Distolse
lo sguardo da me, rivolgendolo lontano, all’orizzonte.
«Rin ha bisogno di una
serva, adesso che sta crescendo, e non è un compito che
spetta a me. Anche se sei
solo un’umana, tu sembri abbastanza forte per poterla
proteggere.»
Sgranai
gli occhi, guardandolo come se gli fosse spuntata una seconda testa
– anzi,
visti i precedenti, probabilmente mi sarei stupita di meno se fosse
accaduta
una cosa simile. Ma ciò che aveva appena finito di dire,
oltre che avermi
lasciata senza parole, mi aveva letteralmente fatto arrabbiare. Come
diavolo si
permetteva di trattarmi alla stregua di una serva?
Stupendomi
di me stessa, la voce che fuoriuscì dalle mie labbra fu
calma e posata. «Mi
auguro che stiate scherzando.» Dissi, a bassa voce.
«Io non ho intenzione di
rimanere ai vostri ordini un minuto di più.»
Sesshomaru
alzò lo sguardo su di me, fulminandomi. «Non mi
sembra di averti chiesto un
parere.»
Avevo
appena appurato di essermi pentita di avergli salvato la vita.
«Siete un essere
disgustoso e spregevole! Non potete costringermi a fare una cosa
simile, io
sono una persona e soprattutto sono libera! Non appartengo a nessuno,
tantomeno
a voi!» Gridai, con tanti cari saluti alla calma di prima.
Mi
accorsi vagamente di Rin che mi tirava per la manica
dell’hakui in modo da
farmi stare zitta, ma ormai il danno era fatto. Il grande demone
scattò in
piedi e, con una velocità sorprendente, mi
afferrò con poca grazia per il collo
sbattendomi contro il tronco dell’albero al quale era
appoggiato. Non mi stava
soffocando, semplicemente mi aveva immobilizzata.
Portai
entrambe le mie mani ad afferrargli il polso, ma ovviamente non riuscii
a
smuoverlo dalla sua posizione. I suoi occhi erano freddi, completamente
incuranti di ciò che stava facendo, come se il suo corpo e
la sua anima fossero
due entità del tutto separate e che agivano l’una
indipendentemente dall’altra.
Quando vidi quegli occhi vitrei rabbrividii, e per la prima volta ne
ebbi
davvero paura. Sentivo la voce di Rin, in lontananza, che supplicava il
demone
di non uccidermi e di lasciarmi andare, ma Sesshomaru sembrava di
tutt’altro
avviso.
«Tu
farai ciò che ti è stato ordinato,
umana.» Sibilò, senza che un solo muscolo
del suo viso si muovesse o guizzasse, foss’anche per la
rabbia. «Non sei nella
condizione di poter scegliere. Anche perché vorrei sapere
cosa conti di fare,
da sola, con quella Sfera al collo, in giro per il bosco. Domattina
saresti già
cibo per i demoni, e non rimarrebbe più nulla di questo tuo
bel visino.»
Inaspettatamente
mi lasciò andare e io crollai per terra, tossendo. Ma lui
non aveva finito.
«Se
vuoi fuggire, fa pure. Non sarò io ad
impedirtelo.» Continuò, guardandomi
dall’alto. «Ma se te ne vai ora diventerai un
cadavere che cammina. È tutto ciò
che ho da dirti.»
Mi
massaggiai il collo, respingendo le lacrime che minacciavano di
scivolare via
lungo le guance, e attraverso il velo di pianto vidi che il demone mi
aveva
voltato le spalle, iniziando ad incamminarsi seguito da Jaken. Rin
rimase al
mio fianco, chinandosi verso di me con sincera preoccupazione. Allora
mi
rialzai e, ingoiando tutto il mio orgoglio, dischiusi le labbra.
«Aspettatemi.
Verrò con voi.»
_______________________________________________________________________________________
Ehilà!
^^
Beh, che dire... Spero di essere rimasta abbastanza IC, ma ne dubito,
perciò fatemi sapere se devo modificare qualche
comportamento ^_^;
Passo subito ai ringraziamenti, perciò grazie a chi ha
aggiunto questa storia alle seguite (aquizziana, A___A, KiraKira90, Kobato, Saphiras e velia1) e
alle preferite (Nicole221095
e velia1).
Grazie mille! ^^
Purtroppo
adesso non ho molto tempo per rispondere singolarmente alle recensioni,
me ne occuperò nel prossimo! Comunque grazie a Kobato, celina, elenasama e Alebluerose91
per aver recensito! Vi voglio bene =*
Un
bacione, al prossimo chapter!
Smack
=*
|
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Capitolo 5 *** 4. I predatori della Sfera ***
球 の 捕 食 者
- Tama no hoshoku-sha -
Un
debole gemito fuoriuscì dalle mie labbra, seguito da quelle
terribili parole.
«Aspettatemi.
Verrò con voi.»
Presi
Rin per mano e raggiunsi il grande demone che mi attendeva, di spalle,
accanto
ad un albero. Era finita. Ormai non avevo più nessun potere
sulla mia vita,
avrei dovuto obbedire a quel demone senza battere ciglio per
chissà quanto
tempo… L’unica nota positiva era che potevo
contare sull’affetto della piccola
Rin e sulla protezione – per quanto avessi poche garanzie al
riguardo – di
Sesshomaru.
Il
grande demone mi aveva umiliato, e promisi solennemente a me stessa che
non gli
avrei mai più permesso di avvicinarsi abbastanza a me da
potermi mettere le
mani addosso. Prendermi cura di Rin non era un grosso problema, in
fondo le
volevo già molto bene, ma era il principio di essere stata
costretta,
addirittura minacciata, che proprio non riuscivo a digerire. Decisi che
non gli
avrei mai dato nessuna occasione di lamentarsi di me, sarei stata
impeccabile:
non avevo forse ricevuto un’educazione degna di una
principessa? Non avevo mai
compreso il reale motivo per cui mio padre mi avesse sottoposto, sin da
piccola, ad un’educazione e un’etichetta
così rigide, ma per la prima volta ne
ero felice. Avrei fatto vedere a quel demone di che pasta ero fatta, e
si
sarebbe pentito di avermi trattata in quel modo.
Ma,
per il momento, dovevo resistere.
Eravamo
in cammino da non so quante ore e, oltre ad essere stanca, ero anche
piuttosto
affamata: in effetti, non mangiavo dal giorno prima. Mi stupii del
fatto che
fossero trascorse solo ventiquattr’ore da quando avevo
attraversato il pozzo,
dato che mi pareva fosse passata un’eternità.
Istintivamente infilai una mano
sotto l’hakui, stringendo la Sfera tra le dita e trovandola
gelida come la
prima volta che l’avevo sfiorata. Lo trovai piuttosto strano.
Mi
voltai verso Rin, seduta in groppa ad Ah-Un, che si guardava intorno
con la
curiosità e la l’allegria tipica dei bambini. In
quel momento la invidiavo
sinceramente… Non solo non sembrava avere alcuna
preoccupazione, ma aveva anche
la protezione di un demone molto forte; inoltre, cosa da non
trascurare, era stata
lei a scegliere di seguirlo. Opportunità che, invece, non mi
era stata
proposta.
Jaken
trotterellava accanto ai piedi di Sesshomaru, come se da essi
dipendesse la sua
intera esistenza, e parlava ininterrottamente senza quasi prendere
fiato. «Mi
chiedo se non dovremmo andare a cercare Totosai, mio signore, per
domandargli
se sa qualcosa a proposito della nuova Sfera. Dubito che quello stolto
di
vostro fratello o la sua compagna umana possano saperne più
di un demone
millenario.» Continuò, borbottando tra
sé. «Con il vostro permesso, mi domando
se sia stato saggio lasciarli entrambi vivere…»
Un
semplice sguardo del suo padrone lo fece rabbrividire e tacere
all’istante,
terrorizzato. «Ah! M-ma ovviamente tutte le vostre decisioni
sono sagge, mio
signore, non era mia intenzione…!»
Ma
già Sesshomaru non gli stava più prestando
attenzione, così Jaken si arrese e
tacque, imbronciato.
Chi
poteva mai essere questo Totosai che aveva nominato? Possibile che
potesse
essere a conoscenza di qualcosa che riguardava la Sfera di mia madre?
Oh, se
solo fosse stata ancora in vita, me l’avrebbe potuto dire di
persona… Certo,
sempre se fossi riuscita a tornare a casa, cosa di cui ormai dubitavo.
Non
sarei mai riuscita a trovare il pozzo da sola, pur con tutta la mia
buona volontà,
e a meno che non desiderassi morire prima del tempo dovevo rassegnarmi
e
seguire quello strano gruppo di demoni.
Improvvisamente
sentii uno strano borbottio provenire dalla bambina al mio fianco e
subito mi
voltai verso di lei, sorpresa. Rin ricambiava il mio sguardo sorridendo
timidamente.
«Credo…
Credo di aver fame…» Si scusò,
imbarazzata.
Aggrottai
le sopracciglia, preoccupata. «Oh, Rin, temo che dovrai
aspettare… Dubito che…»
Stavo per dire che dubitavo che Sesshomaru potesse dar retta a simili
bisogni
umani che avrebbero soltanto rallentato il suo cammino, quando la voce
del
demone interruppe i miei pensieri.
«Fermiamoci
qui.» Il suo tono non aveva nessuna inflessione particolare,
sembrava
semplicemente annoiato e casuale, ma io ero certa che avesse sentito
quello che
aveva detto Rin, e che per questo aveva deciso di concederci un
po’ di riposo. Possibile
che fosse capace di tanta misericordia?
Oh,
in realtà ero piuttosto sarcastica.
Aiutai
la bambina a scendere dal drago a due teste senza dire una sola parola,
decidendo
che non avrei mai e poi mai ammesso di avere fame di fronte a quel
glaciale
demone. Avrebbe riso della mia debolezza o quanto meno avrei solo
accresciuto
il suo odio nei miei confronti, cosa che volevo – per quanto
possibile –
evitare.
«Jaken.»
Lo chiamò, mentre si accomodava ai piedi di un albero
frondoso. «Và e trova
qualcosa da mangiare. E sbrigati.»
Il
piccolo demone servitore annuì e corse via, sparendo in
mezzo alla vegetazione,
e visto che anche Rin si era allontanata per raccogliere dei fiori, io
rimasi
inevitabilmente sola con padron
Sesshomaru.
Senza
degnarlo di uno sguardo mi sedetti il più lontano possibile
da lui, sopra una
grossa radice che fuoriusciva dal terreno accanto ad un cespuglio di
more
selvatiche dal quale Ah-Un aveva già iniziato a mangiare.
Avevo l’impressione
che sarebbe stato l’unico demone erbivoro che avrei mai
incontrato. Questo,
ovviamente, sperando che non ce ne fossero stati altri in futuro.
Come
era già accaduto alla caverna, sentii lo sguardo del demone
bruciare sulla mia
pelle. Tuttavia decisi deliberatamente di ignorarlo, così
strappai un
fiorellino selvatico da terra e iniziai a giocherellarci; non mi
importava
quanto potesse reputarmi infantile, l’unica cosa che
desideravo era di non
intavolare una qualsiasi conversazione con lui. Anche perché
sapevo che, a
causa del mio orgoglio di giovane donna del ventunesimo secolo, avrei
finito
solamente per farmi ammazzare.
Malgrado
il silenzio fosse rotto dal cinguettio degli uccelli sui rami degli
alberi e
dal canticchiare sommesso proveniente da Rin che si trovava a pochi
passi da
noi, per quanto mi riguardava la situazione stava iniziando a farsi
insostenibile.
Avrei voluto urlare solo per sfogarmi, ma ovviamente questo era
impossibile.
Gettai il fiorellino in mezzo all’erba – ormai ne
avevo strappato ferocemente
tutti i petali – e intrecciai le mani, rimirandole al ricordo
di ciò di cui
erano state capaci la notte prima. Quella mani avevano curato una
ferita che
sarebbe stata mortale per qualsiasi altro essere umano, eppure adesso
sembravano del tutto comuni, senz’alcuna traccia della magia.
Per
un attimo pensai che forse Sesshomaru potesse essere interessato
– o quantomeno
incuriosito – da ciò di cui ero stata capace, e
che fosse per quello che mi
aveva costretta a seguirli, ma d’altronde non
l’avrei mai saputo sapere a meno
che non glielo avessi domandato espressamente. E, anche in quel caso,
avevo i
miei dubbi sul fatto che mi avrebbe risposto.
Sollevai
gli occhi su di lui e, benchè l’avessi sorpreso
nuovamente a fissarmi, il
grande demone non abbassò lo sguardo, cosa che del resto non
feci neanche io. Lo
sostenni senza arrossire – un grosso punto per me; solo
allora riuscii a notare
tutti i piccoli particolari del suo volto cui non avevo ancora prestato
una
grande attenzione.
Il
suo viso, benchè possedesse dei tratti e dei lineamenti
sottili e principeschi,
poteva dirsi tutto fuorchè femminile: al contrario, emanava
una mascolinità che
raramente avevo mai visto o sentito nei ragazzi che avevo avuto modo di
conoscere. Su entrambi i lati del volto risaltavano due strisce magenta
che
ricordavano i graffi di una tigre, e un simile colore marcava
addirittura le
palpebre; tuttavia avevo l’impressione che quello,
più che essere trucco, fosse
un simbolo del suo rango. Non potevo vedere le orecchie, nascoste dalla
lunga
chioma argentea, ma rammentavo che erano appuntite come quelle di un
elfo, o,
almeno, come le rappresentazioni occidentali di simili creature.
No,
decisamente non era umano, e in effetti arrivai anch’io a
chiedermi com’era
stato possibile che quello stupido demone-tigre della notte precedente
fosse
riuscito a ferirlo. Non avrei più messo in dubbio la sua
potenza, questo era
certo.
Distolsi
lo sguardo solo quando sentii Rin e Jaken tornare, la prima con il
kimono
ricolmo di fiori colorati e dal profumo dolce e selvatico, e il secondo
con un animale
tenuto per le lunghe orecchie: era morto e sì, era una lepre.
«Ho
fatto il prima possibile, mio signore!» Esclamò il
demone lucertola, non appena
ci ebbe raggiunto.
Rin
mi venne accanto, sorridendomi felice e depositando tutti i fiori del
suo
grembiule sul mio grembo, ricoprendomi di petali di ogni colore e
dimensione. «Non
ti avevo ancora ringraziato per aver salvato il signor Sesshomaru,
Nicole-kun.»
Mi bisbigliò all’orecchio, con aria complice.
Di
certo non potevo dirle che mi ero pentita di quella scelta, anche
perché avevo
notato lo sguardo del grande demone e avevo compreso che aveva
ascoltato ciò
che aveva appena detto la bambina. Tuttavia non intervenne, limitandosi
a
spostare lo sguardo da noi al suo servitore che cercava di accendere un
fuoco
decente adatto a cuocere quella lepre. Jaken aveva gettato
l’animale sopra le
braci, senza scuoiarlo né niente: ero allibita, pretendeva
che io e Rin lo
mangiassimo in quel modo barbaro? Ma che diavolo!
«Scusami
un attimo, Rin.» Dissi, riporgendole una manciata di fiori e
alzandomi in
piedi, dirigendomi abbastanza infastidita verso il demone che agitava
una mano
sulle fiamme per attizzarle.
«Che
cosa stai facendo, si può sapere?» Esclamai,
mettendomi di fronte a lui e
piantando le braccia sui fianchi: sapevo che non ero minimamente
minacciosa, ma
non volevo neppure provarci con Sesshomaru alle mie spalle.
Jaken
mi guardò con aria di sufficienza, neanche fossi stata uno
scarafaggio. «Sto
preparando il vostro cibo, sciocca umana, come minimo dovresti
ringraziarmi!»
Strinsi
gli occhi, innervosita dal suo tono. «Punto primo, non
l’avresti mai fatto se
il tuo padrone non te l’avesse detto, e punto secondo, questo
a tuo avviso è
cucinare? Toglilo subito dal fuoco, accidenti, lo stai solo
bruciando!»
Il
demonietto mi fissò con i suoi grandi occhi giallognoli che
avrebbero dovuto
spaventarmi o farmi rimettere a sedere, ma dato che non ottenne nessuno
di
questi due risultati si limitò a sbuffare.
«Bene!» Esclamò, riprendendo
l’animale e gettandomelo tra le braccia; mi fece un
po’ senso, ma non tradii
quella stupida emozione. «Cucinatelo da sola!»
E,
così detto, si mise a sedere in un angolo, imbronciato.
Io
mi voltai verso Rin, con un mezzo sospiro. «Rin, hai ancora
quel coltello?»
Domandai.
Lei
annuì, avvicinandosi a me e porgendomelo, sicuramente
parecchio incuriosita da
ciò che avevo intenzione di fare. Possibile che non avesse
mai visto nessuno
cucinare in un modo umano? Ah,
già,
dimenticavo… Se era cresciuta davvero con quei due demoni
dubitavo che ne
avesse mai avuta l’occasione.
Ad
ogni modo presi l’animale e, cercando di non guardare, gli
tagliai la testa,
facendo scorrere il sangue sull’erba; ricacciai indietro il
conato che avevo
provocato e cercai di privarlo della sua pelliccia nel modo
più veloce e
indolore – per me, ovviamente – anche se sapevo che
le mie mani si stavano
macchiando del suo sangue.
È solo cibo, è solo
cibo… Quante volte l’hai mangiato a casa, eh? Non
fare la schizzinosa!
Certo,
ma non l’avevo mai preparato in quel modo! Comunque riuscii a
vincere il
disgusto – Rin, accanto a me, aveva osservato ogni mio
movimento senza
distogliere lo sguardo, e senza che glielo chiedessi si era allontanata
un
momento per poi tornare con un lungo bastone appuntito che utilizzammo
come spiedo.
Lo prendemmo entrambe ad un’estremità e ci
posizionammo ai lati opposti del
fuocherello, iniziando a cuocere il nostro pranzo.
Avevo
l’impressione di essere tornata all’età
della pietra, e inoltre mi sentivo le
mani scivolose e sporche a causa del sangue, ma al momento me le sarei
dovuta
tenere così: mi scocciava davvero pulirmi addosso al
prezioso chihaya che
indossavo.
Finalmente,
dopo un po’, i miei sforzi diedero i loro frutti, e un
delizioso profumino
iniziò a emanarsi dalla nostra lepre arrosto. La togliemmo
dallo spiedo,
posandola su di una pietra piatta che Jaken, forse ammorbidito dalla
mia
dimostrazione di stomaco forte, mi
aveva portato, e sempre con il coltello di Rin la tagliai fino a farne
dei
piccoli bocconcini che potevamo mangiare senza posate. Malgrado tutto,
riuscii
a mantenere una sorta di dignità anche in quello, senza
arrossire o sentirmi
male. Stavo davvero facendo progrressi.
«Signor
Sesshomaru, Jaken! Volete assaggiarlo? È
buonissimo!» Esclamò la piccola Rin, porgendone
un boccone al demonietto che ci osservava incuriosito dal fianco del
suo
padrone. Ma sia lui che il grande demone declinarono
l’offerta – veramente
Sesshomaru non rispose neppure, ma la sua risposta era chiara
– così io e Rin
mangiammo da sole. Non che mi dispiacesse, ovviamente.
Fummo
sazie molto prima di finire il nostro pasto. Alla fine ero giunta alla
conclusione che, ormai, i miei vecchi pantaloncini non mi sarebbero
più
serviti, così presi quelli per strofinarmi via il sangue
dalle mani, e un po’
funzionò, anche se stavo disperatamente desiderando del
sapone.
Ci
rimettemmo in cammino quasi subito, ma questa volta anch’io
salii su Ah-Un
insieme a Rin, decidendo che se non volevo morire per mano di un demone
non
volevo neanche morire di stanchezza. Come avevo immaginato, nessuno si
degnò di
farmi sapere dove stavamo andando, e da parte mia non avevo nessuna
intenzione
di chiederlo a Sesshomaru. Mi limitai a chiacchierare con Rin per
dimenticare
la mia attuale situazione, e per tutto il tragitto l’unico
rumore che si sentì
furono le nostre voci divertite.
***
Quando
ci fermammo fu solo perché il sole era ormai calato dietro
le montagne.
Avevamo
trovato una piccola radura riparata da una parete rocciosa che sembrava
un
confortevole riparo in caso di un attacco da parte di altri demoni che
cercavano la mia Sfera, e dopo che Jaken ebbe acceso un nuovo
falò con l’aiuto
del suo bastone, io e Rin ci dirigemmo verso una piccola sorgente di
acqua
termale nascosta tra gli alberi lì vicino. Sapevo con
certezza che né
Sesshomaru né Jaken sarebbero venuti a disturbarci,
perciò ci spogliammo e
lasciammo i nostri abiti sulla riva della piccola piscina scavata nella
nuda
roccia, per poi immergerci nell’acqua piacevolmente calda. La
Sfera l’avevo
tenuta prudentemente appesa al collo, e l’acqua
riflettè i suoi cristalli sulla
mia pelle.
«Sai,
Nicole-kun, io non credo che il signor Sesshomaru ti odi.»
Esordì
all’improvviso la piccola, mentre le strofinavo la schiena.
Non
potei trattenere un sospiro. «Non ho nessuna intenzione di
scoprire che cosa
passa in testa a quel demone, l’unica cosa che voglio
è che rimanga lontano da
me.» Dichiarai, categorica. Non volevo discutere con Rin del
suo protettore, ma
la bambina non mi aveva lasciato molta scelta.
Infatti,
lei sembrava non avere nessuna intenzione di lasciar cadere
così l’argomento. «A
me dispiace che Nicole-kun e il signor Sesshomaru non si parlino
mai…»
«Perché,
quando mai ha parlato? Al di là delle minacce,
intendo!» Replicai, mezzo
divertita. Forse, se la buttavo sul ridere, l’intera
situazione avrebbe potuto
assumere dei risvolti migliori.
Tuttavia
Rin ignorò completamente la mia ironia – o forse
non la comprese e basta – e
imbronciò le labbra, incrociando le braccia sul petto.
«Il signor Sesshomaru
non avrebbe mai fatto del male a Nicole-kun! Si è comportato
in quel modo solo
perché era preoccupato per lei…»
A
quel punto presi dolcemente la bambina per le spalle e la feci voltare
verso di
me, in modo da poterla guardare negli occhi. «Ascoltami bene,
Rin-chan.» Le
dissi, teneramente. «Mi sembra evidente che il signor
Sesshomaru sia molto
affezionato a te, ma di sicuro non è lo stesso per me. No,
ascoltami,» la
interruppi, vedendo che stava per ribattere. «Lui mi ha
salvato la vita solo
perché quel demone-tigre ha intralciato il suo cammino, e se
ora io sono qui,
viva, è solo grazie a te! Perciò, Rin, il fatto
che io non sopporti Sesshomaru
non vuol dire che non voglia bene a te. Mi hai capito?»
La
piccola mi osservò con le sopracciglia corrucciate, ma poi
alla fine si arrese
e annuì, seppur controvoglia. «Però a
me dispiace…»
Scrollai
le spalle, sospirando e immergendomi fino al collo nell’acqua
calda. «Lo so, ma
purtroppo non possiamo farci nulla.»
Rimanemmo
sommerse a lungo, circondate da un silenzio rilassante che ci
trascinò
lentamente in uno stato di dormiveglia, sospese tra il sogno e la
realtà.
Tuttavia, avrei dovuto immaginare che quella piacevole quiete non
sarebbe
potuta durare a lungo.
All’improvviso
infatti iniziai a sentire dei rumori sospetti provenienti da dietro i
cespugli
del sottobosco, come se qualcosa o qualcuno vi fosse nascosto: pensai
immediatamente a dei maniaci voyeurs
ancora prima di intuire che fosse un demone, e questo mi
privò di alcuni minuti
di vantaggio. Quando la creatura fuoriuscì dal bosco,
apparendo di fronte a noi
in tutta la sua terribile mostruosità, ebbi giusto il tempo
di gridare e
afferrare la bambina per un braccio prima che il demone si gettasse su
di me.
«Rin,
scappa!» Gridai con quanto fiato avevo in gola, aiutando la
piccola ad uscire
dall’acqua in modo che potesse correre lontano.
Ma
lei, presa dalla frenesia della situazione, non riuscì a
sollevarsi in piedi e
a mantenere l’equilibrio e cadde, scivolando sulle pietre
viscide che
circondavano la fonte termale. La raggiunsi più in fretta
possibile, aiutandola
ad alzarsi mentre sentivo dietro di me il ruggito del demone che
allungava una
zampa con l’intento di afferrare una di noi. Ignorai del
tutto i nostri vestiti
che giacevano troppo lontani per poterli prendere e corsi via,
trascinando una Rin
ansante che non riusciva a starmi dietro.
I
passi del mostro rimbombavano nelle mie orecchie o forse fu solo una
mia
impressione, eppure fui certa di averlo sentito ringhiare, frustrato:
«La
Sfera, voglio la Sfera!»
Di
riflesso serrai la mano attorno al mio prezioso monile mentre
continuavo a
correre, ma anch’io inciampai su di una pietra spuntata
improvvisamente dal
terreno e caddi, trascindando Rin con me. Fu allora che vidi per intero
il
mostro che ci inseguiva, e sbarrai gli occhi dal terrore: era
mostruoso, non
riuscivo a definire che genere di creatura fosse. Aveva lunghe e
disarticolate braccia
ricoperte da una folta peluria nera con le quali avanzava rapido verso
di noi,
nella disgustosa parodia di un ragno; il volto – se
così si poteva definire – era
lucido come le chele che gli spuntavano da quella che doveva essere la
bocca, e
che faceva schioccare minacciosamente mentre emetteva dei suoni
gutturali.
Rabbrividii,
trascinando Rin dietro di me e cercando di proteggerla con il mio
corpo:
avvertivo una strana aurea violacea e malsana circondare il demone, ma
non ebbi
il tempo di approfondire quella sensazione. Vidi solo una delle sue
numerose
braccia sollevarsi per mostrare degli artigli ricurvi e duri come
acciaio e,
vedendo che aveva intenzione di colpirci con questi, gli diedi le
spalle,
chinandomi su Rin e stringendola al mio petto in modo che il ragno
demoniaco
colpisse me e non lei.
Gridai
quando sentii gli artigli squarciarmi la schiena, e il dolore fu
così forte che
per un attimo persi ogni genere di sensibilità; mi accorsi
che Rin piangeva e
chiamava aiuto, e prima di perdere definitivamente conoscenza avvertii
la
risata gracchiante del demone, in lontananza.
Poi
il dolore mi assalì come mille pugnali e svenni,
precipitando nel buio.
________________________________________________________________________________________________
Bene,
è arrivato il momento di rispondere alle varie recensioni ^^
Capitolo
2 - Il veleno del demone tigre:
- Kobato:
Dunque! So che non essere attratti da Sesshomaru è
impossibile, ma per il momento Nicole non lo è affatto!
Povera, ha altro per la testa, come per esempio pensare a come
accidenti è finita nell'epoca Sengoku e come ha fatto a
curare il demone... Sono contenta che il passaggio della guarigione ti
sia piaciuto, ero un pò in dubbio su come descriverlo!
^^''
- elenasama:
Grazie mille per i complimenti, wao, addirittura "impeccabile"! ^^
Continua a seguirmi!
- celina:
Grazie grazie grazie mille per i complimenti - e per non aver resistito
dal leggere l'aggiornamento! ^^ Spero di non averti delusa con i
capitoli successivi =P A presto!
- Alebluerose91:
Geme! Scusa per non averti avvisato, le prossime volte sarai la prima a
saperlo u.u Grazie per i complimenti, sono contenta che il capitolo ti
sia piaciuto =)
Capitolo3
- Una serva per la piccola Rin:
- Alebluerose91:
Geme di nuovo! xD Dovrai chiedertelo ancora per un pò cosa
accadrà quando si incontreranno con Inuyasha e company
perchè non so bene quando avverrà u.u Ancora
grazie per i complimenti, meno male, avevo davvero paura di essere
andata OOC... Poi mi dirai come ti sembrano i personaggi in questo
capitolo!
- Kobato:
Oooooh un'altra masochista come me! *-* Anch'io adoro questo aspetto
"malvagio" di Sessho (così come tanti altri personaggi
cattivi dei vari manga-anime-romanzi che leggo u.u) anche
perchè poi sarà più bello se e quando
diventerà buono =P Ho cercato di descrivere la
scena del risveglio proprio per rendere l'apparizione di Sesshomaru il
più secsi
possibile, lieta di esserci riuscita xD Spero che anche questo capitolo
ti sia piaciuto! ^^
- PhOeNiX_93:
Spero di non averti tenuta troppo sulle spine xD Anche a me piacciono i
personaggi con un bel pò di carattere, non amo
particolarmente le fanciulline indifese che aspettano l'arrivo del
principe per scappare dal drago... E' più bello quando il
drago lo uccidono loro, ecco xD Fammi sapere che ne pensi di questo
capitolo, mi raccomando ;)
- KiraKira90:
Allura, ovviamente so bene che il venir ferito così
facilmente è, per uno come Sesshomaru, parecchio insolito:
anzi, addirttura lui è immune a qualsiasi tipo di veleno, a
quanto dice Wikipedia! Perciò c'è una spiegazione
a questa debolezza, che verrà fuori nei capitoli a venire...
Naturalmente, dato che la storia è dal punto di vista di
Nicole, noi non sapremo mai cosa passa per la mente al Grande Demone
Cane a meno che non sia lui stesso a rivelarcelo in un momento di alta
loquacità! Ma lo dirà, lo dirà, o
comunque glielo farò dire u.u Mi fa piacere sapere che
Sesshomaru è ben caratterizzato, quando affronto
una fan fiction ho sempre il timore di allontanarmi troppo dal
carattere originale, perciò sono molto contenta nel vedere
che, per il momento, ci sto riuscendo. ^^ Grazie mille per i
complimenti, continua a farmi sapere cosa ne pensi! =)
- Maya Deleon_Energy Alchemist:
Grazie
e benvenuta! Fa sempre piacere trovare una nuova lettrice ^^ Dunque,
Sesshomaru non si rabbonirà così in fretta,
sempre SE lo farà u.u Anche perchè, purtroppo, a
me piacciono questi cattivoni un pò violenti, a
costo di sembrare pazza! xD Chissà come diventerà
con il passare dei capitoli u.u Mi raccomando, continua a seguirmi! ^^
Un
bacione a tutte coloro che leggono, recensiscono, aggiungono la storia
alle seguite o alle preferite e anche a chi si limita a leggere! =) Vi
voglio bene, continuate così ^^
Sperando
di non avervi annoiato con questo capitolo, ci leggiamo al prossimo!
Ciao
ciao ^^
|
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Capitolo 6 *** 5. Kaede, l'anziana sacerdotessa ***
楓、古 い 巫 女
- Kaede, furui fujo -
Sangue. Odore di
sangue.
Il mio? Probabile,
visto che sento sulla mia pelle una sostanza viscosa e appiccicosa che
non sono
in grado di identificare in altro modo. Mi auguro solo che non si
tratti del
sangue di Rin… Rin, la piccola, sono riuscita a salvarla?
E perché Sesshomaru
non è venuto in nostro soccorso?
Oh Dio, che male…
Un
gemito, e mi svegliai.
Ma
non aprii gli occhi, no; prima volevo accertarmi di essere ancora viva,
così,
lentamente, iniziai a muovere le dita delle mani, arricciare il naso,
sbattere
le palpebre. Subito dopo puntai i palmi delle mani per terra e feci
forza per
sollevarmi, ma fu un grosso errore: un dolore lancinante mi
saettò lungo la
schiena, strappandomi un lamento più forte e costringendomi
a restare immobile,
supina, distesa su una piccola stuoia.
Dove
mi trovavo? E, soprattutto, come avevo fatto ad arrivarci?
Iniziai
piano a rendermi conto, tastandole, delle candide fasce che mi
avvolgevano il
petto fino a sopra l’ombelico, probabilmente a causa della
ferita che avevo
sulla schiena. Indossavo nuovamente un hakama rosso, probabilmente
qualche
anima pietosa doveva avermi rivestito per rendermi meno imbarazzante il
risveglio; ma chi poteva essere stato?
Aprii
gli occhi, e la tenue luce proveniente da una finestra socchiusa mi
permise di
studiare il luogo nel quale mi avevano portato. Era una piccola casa
parecchio
spartana, con pareti di pietra, il pavimento in legno, un braciere
acceso a
pochi passi da me e una tinozza ricolma d’acqua con delle
pezze macchiate di
sangue al suo interno. Forse era quello l’odore che avevo
sentito e che mi
aveva svegliato, a meno che non si fosse trattato solo di un sogno.
Un
paravento separava in due stanze la casa, ma da dietro di esso non
sentivo
provenire nessun rumore, il che mi fece capire che dovevo essere da
sola.
Quindi, che fine avevano fatto Rin e gli altri?
Ignorando
il dolore alla schiena riuscii a mettermi in piedi, non senza
difficoltà. Tra
un gemito e l’altro raggiunsi il paravento e lo aprii,
andando nell’altra
stanza; l’ingresso era, come avrei dovuto immaginare,
caratterizzato da un’area
in dislivello nel quale era d’obbligo privarsi delle
calzature per potersi
muovere liberamente sul tatami, e malgrado sperassi di trovarvi dei
zori per me
dovetti rassegnarmi all’idea di restare scalza. Tanto, peggio
di così…
Con
un sospiro raggiunsi la porta e, stringendo i denti per il dolore che
mi
provocava muovere anche solo il braccio, feci scorrere la porta ed
uscii
all’aria aperta.
Mi
guardai intorno, a dir poco sorpresa: senza alcun dubbio mi trovavo in
un
antico villaggio giapponese di contadini, talmente piccolo che, non
appena ebbi
fatto qualche passo all’esterno, tutti i volti degli abitanti
si puntarono su
di me, bisbigliando. Era imbarazzante essere a tal punto al centro
dell’attenzione, eppure cercai di ignorare quella sensazione,
avanzando tra i
vari gruppetti di donne e uomini che avevano interrotto il loro lavoro
per
studiare la straniera.
In
effetti, potevo ben immaginare lo scorrere dei loro pensieri.
Probabilmente
quelle persone non avevano mai visto una ragazza occidentale, e di
conseguenza
non potevano comprendere il taglio curioso dei miei occhi,
così grandi e
chiari, così come i miei lunghi capelli biondi, certamente
fuori luogo. Eppure
doveva esserci una ragione se nessuno mi veniva incontro con torce e
forconi
per catturarmi…
Continuai
a camminare fino ad uscire dal villaggio, lasciandomi alle spalle gli
sguardi
indiscreti e curiosi dei poveri contadini, e raggiunsi la riva di un
fiume che
scorreva lì vicino, circondato da terre coltivate e da
animali che pascolavano
in pace. Che ora era? Mattina, pomeriggio, o sera? Mi portai una mano
alle
tempie, colpita da un improvviso mal di testa, e quando la nebbia
passò avanzai
un altro po’, guardandomi intorno. E alla fine,
fortunatamente, li vidi.
Odiavo
Sesshomaru e non sopportavo Jaken, eppure in quel momento fui
assurdamente
felice di vederli, forse perché erano gli unici volti
familiari che avevo visto
da quando avevo aperto gli occhi. Il grande demone era seduto sotto un
albero
com’era suo solito, e il suo servitore faceva avanti e
indietro, agitato, di
fronte a lui. C’era anche Rin, grazie a Dio, che
giocherellava innervosita con dei
fiorellini selvatici raccolti lì attorno. Ma quando si
accorse che l’attenzione
dei due demoni si era spostata su di me, anche lei sollevò
lo sguardo e mi
vide, e nel tempo di un battito di ciglia saltò in piedi e
mi corse incontro,
con le lacrime che le scorrevano impietose sul volto paffuto e
preoccupato.
«Nicole-kun!»
Gridò, mentre io mi chinavo ignorando le numerose fitte e
spalancando le
braccia.
La
piccola si tuffò nel mio abbraccio, facendomi barcollare e
stringendomi
istintivamente in una dolce stretta che mi fece lacrimare dal dolore
che mi
provocò alla schiena. Al diavolo, non mi importava.
«Oh,
Rin, come stai? Ero così preoccupata!» Bisbigliai,
accarezzandole i capelli.
La
sentii singhiozzare, piangendo dal sollievo.
«An-anch’io, quando ho visto
Nicole-kun ricoperta di sangue, io-io…»
Tirò su col naso, nascondendo il volto
sul mio petto. «Ma per fortuna il signor Sesshomaru
è arrivato prima che… E ha
ucciso quel demone, e ti ha portato da Kaede-san,
e…»
«Ssssh,
Rin-chan, va tutto bene, stai tranquilla.» Mormorai, cercando
di farla calmare.
«Tu come stai? Sei ferita?» Le chiesi,
allontanandola un attimo da me per
controllare il suo aspetto.
Per
fortuna lei scosse la testa, asciugandosi gli occhi con la manica del
suo
kimono. «Io sto bene.» Rispose, con la voce
leggermente roca.
Le
sorrisi teneramente, portandole un ciuffo di capelli dietro
l’orecchio. «Meglio
così.»
Dopodichè
mi alzai, con una smorfia a causa di uno spasimo più forte
dei precedenti, e
tenendo Rin per mano mi avvicinai agli altri due demoni che non si
erano mossi
di un solo passo mentre io parlavo con la piccola. Quando fui di fronte
a
Sesshomaru presi un profondo respiro, poi lo guardai dritto negli occhi
e
dischiusi le labbra.
«Grazie.»
Ormai
sapevo che con lui le parole non erano necessarie, perciò
fui semplice e
concisa. Ma volevo che sapesse che gli ero realmente grata di avermi
salvato la
vita, anche se in questo modo ero nuovamente in debito con lui. Oh, ma
queste
erano questioni secondarie.
Ebbi
l’impressione di vedere un’ombra scura attraversare
i suoi occhi – che fosse
sorpreso? – poi, riuscendo a stupirmi ancora di
più, fece un lieve cenno col
capo. Sarebbe stato il suo equivalente per il mio comune
“prego”? Ad ogni modo
decisi di interpretarlo così, e gli sorrisi. Fu
più forte di me.
Mi
voltai quando sentii qualcuno chiamarmi, così non vidi
l’espressione di sincero
stupore che per un effimero attimo si era dipinta sul volto del demone,
ma che
era svanita in un battito di ciglia. Mi ritrovai invece a guardare
un’anziana e
robusta sacerdotessa venire verso di me, con passo lento e leggermente
strascicato, una lunga chioma di capelli ingrigiti
dall’età raccolti in una
coda dietro la schiena e una strana benda a coprirle l’occhio
destro.
«Non
avresti dovuto alzarti, ragazza.» Mi sgridò con
voce profonda e ferma, non
appena mi ebbe raggiunto; non sembrava avere per niente paura di
Sesshomaru,
perciò mi chiesi se non fosse lei la stessa Kaede che mi
aveva curato. «Ora le
tue ferite si riapriranno.»
Si,
sicuramente era stata lei a curarmi.
«Il
mio nome è Kaede, giovane sacerdotessa.» Aggiunse
poi, forse prevedendo le mie
parole.
Annuii,
con un debole sorriso. «Vi ringrazio per esservi presa cura
di me, Kaede-san.»
L’anziana
miko annuì a sua volta, tremendamente seria in volto.
«Sarà meglio se andiamo
tutti a casa mia per aspettare che arrivino gli altri.»
Continuò poi,
rivolgendosi, con mia grande sorpresa, a Sesshomaru stesso.
«La situazione è
più grave di quanto temessi.»
Jaken
stava già per replicare qualcosa di maleducato e astioso, ma
il suo padrone
aveva fatto un passo avanti. «Non ho molto tempo da
perdere.» Disse
freddamente; eppure compresi che quello era il suo modo tutto personale
di dare
ragione ad un essere umano, o quasi. Ad ogni modo anche lui
seguì Kaede, anche
se prima si era voltato verso di me per scrutarmi a lungo.
«La
Sfera è scomparsa.» Dichiarò,
lasciandomi basita.
Lo
raggiunsi – gli altri erano ormai già avanti
– e lo fissai, sconvolta, negli
occhi. «Ma come è possibile? Ce l’avevo
al collo! E se voi avete ucciso quel
demone vuol dire che non è riuscito a prenderla!»
I
suoi occhi d’ambra erano impenetrabili, perciò non
riuscii a capire se fosse
anche solo minimamente preoccupato per la sparizione di quel cristallo
– che
aveva già richiamato due demoni disposti ad uccidermi per
averlo – o se,
semplicemente, non gli importasse più di una foglia al vento.
«Quando
sono arrivato c’eravate solo tu e Rin, la Sfera era
svanita.» Ripetè, senza
lasciare un attimo il mio sguardo.
Fui
io ad abbassare il mio, ma non certo per codardia: stavo solo
riflettendo. «È
assurdo, nulla può svanire così
all’improvviso…» Mi passai una mano tra
i
capelli, sciolti e scompigliati, per dar loro una parvenza
d’ordine con un
gesto nervoso. «Era l’unica cosa che mi rimaneva di
mia madre…»
Il
mio fu solo un bisbiglio impercettibile, ma fui certa di essere stata
sentita
da lui, benchè non fosse mia intenzione. Avvertii un lieve
cambiamento d’aria,
ma quando sollevai lo sguardo vidi la sua mano abbassarsi nuovamente,
nascondendosi tra le pieghe della sua veste pregiata. Che cosa aveva
avuto
intenzione di fare?
Mi
diede le spalle per non essere costretto a rispondere alla mia
espressione
interrogativa, invitandomi invece a seguirlo, silenziosamente. Non
avevo
nient’altro da dire o di cui lamentarmi, perciò lo
feci. Sperai solo che
l’anziana Kaede potesse sapere qualcosa in più
sulla sparizione della Sfera.
E
sul perché mi trovavo in quell’epoca, sempre se
avessi mai avuto il coraggio di
dirlo a qualcuno.
***
La
signora Kaede mi aveva riportato dietro il paravento per cambiarmi le
bende e
medicarmi di nuovo le ferite che, come aveva saggiamente predetto, si
erano
riaperte a causa dello sforzo che avevo compiuto. Nell’altra
stanza, ad
attenderci, c’erano Jaken e Sesshomaru: Rin era con me,
aiutava la sacerdotessa
a spalmare uno strano unguento dall’odore disgustoso e non
meglio identificato
sopra i profondi graffi che mi attrversavano la schiena.
Gemetti
quando le bende vennero strette attorno e sopra la ferita, tanto che
non potei
impedire ai miei occhi di lacrimare. Decisi che, se mai fossi riuscita
a
tornare a casa, la prima cosa che avrei fatto sarebbe stata quella di
andare in
un bel ospedale moderno.
«Strano,
davvero molto strano.» Sentii borbottare Kaede,
all’improvviso.
Voltai
leggermente la testa per guardarla, incuriosita. «Cosa
– ahi! – è strano?»
Domandai, stringendo gli occhi a causa di un’altra fitta,
l’ennesima.
Sempre
con la medesima espressione corrucciata, la donna mi rispose.
«Queste ferite,
essendo state inferte da un demone, dovrebbero essere infette di
veleno.»
Spiegò, facendomi sollevare un braccio in modo da farvi
passare sotto le fasce.
«Le tue, invece, sono incredibilmente pulite… Come
se il tuo corpo avesse
purificato l’essenza demoniaca di quella creatura.»
Le
sue parole non avevano davvero un senso per me, ma da quel poco che
avevo
capito mi sentii in dovere di contraddirla. «Mi sembra una
cosa impossibile,
forse quel demone era semplicemente privo di
veleno…»
Non
mi rispose ma la sentii sbuffare, come se stesse escludendo a
prescindere la
mia ipotesi. Visto che comunque non era molto educato intavolare una
discussione infervorata con quella donna, decisi che era meglio lasciar
cadere
l’argomento. Perciò, mi limitai a ringraziarla per
avermi curato una seconda
volta.
Anche
se Kaede avrebbe voluto che indossassi l’hakui, io non avrei
sopportato nessun
genere di vestito con la schiena in quelle condizioni, così
rimasi con l’hakama
e le bende che, comunque, coprivano tutto il necessario liberandomi da
ogni
imbarazzo. Non era il massimo essere circondata da uomini in quelle
condizioni
– l’anziana miko mi aveva infatti avvisato che ne
sarebbero arrivati altri due,
benchè accompagnati dalle rispettive consorti – ma
per quanto mi riguardava
ritenevo che la mia salute fosse molto più importante del
mio pudore.
Quindi,
una volta che ebbe terminato di medicarmi, raggiungemmo gli altri
nell’altra
metà della casa.
Senza
quasi curarsi della presenza dei due demoni, ai quali peraltro sembrava
piuttosto avvezza, la signora Kaede si avvicinò al braciere
e ne attizzò un po’
i carboni, cercando di far girare il calore in tutta la piccola capanna
mediante un piccolo ventaglio.
Io
avrei voluto sedermi con le spalle poggiate al muro, ma la mia attuale
condizione fisica non lo permetteva: così mi inginocchiai
accanto alla
sacerdotessa, stupendomi poi di vedere che Rin sceglieva di mettersi
accanto a
me piuttosto che accanto a Sesshomaru, seduto dalla parte opposta.
«Inuyasha
e gli altri saranno qui tra breve.» Annunciò dopo
una manciata di minuti la
sacerdotessa, senza rivolgersi a nessuno in particolare. «Se
mi scusate un
momento, andrò ad avvisare anche la giovane cacciatrice di
spettri.»
Si
mise in piedi con una certa difficoltà, facendo leva con una
mano posata sul
ginocchio, ma una volta alzata sembrò avere riacquistato la
sua autorevole
postura, uscendo e lasciandoci soli in casa sua. Piuttosto incuriosita
mi
voltai verso Rin, sperando che la piccola fosse più
informata di me.
«Chi
è questa cacciatrice di spettri, Rin-chan?»
Domandai, allungando le mani sul
braciere.
«Oh,
ti avevo parlato di Sango-kun, non ricordi?» Mi rispose, con
un sorriso. «È la
ragazza che mi ha regalato il pugnale!»
Annuii,
facendo cenno di aver capito. «E invece, questo
Inuyasha?» Tuttavia, mentre
pronunciavo quel nome, ebbi l’impressione di averlo
già sentito.
La
risposta della bambina, infatti, mi diede ragione. «Ti avevo
già parlato anche
di lui!» Esclamò, con un dolce sorriso.
«È il fratello del signor Sesshomaru.»
«Ah.»
Già, è vero, ricordavo una cosa simile. Ma era
davvero possibile che Sesshomaru
avesse una famiglia? Voglio dire, un padre, una madre, un fratello
addirittura…
Insomma, sembrava più il genere di demone che si era creato
da sé, magari da un
pezzo di ghiaccio, ecco. Okay, sapevo benissimo che non era molto
carino
pensare quelle cose su qualcuno che mi aveva salvato la vita per la
seconda
volta, ma i miei pensieri andavano a briglia sciolta senza che li
potessi
fermare. Dunque anche il grande demone aveva una famiglia, come tutti i
poveri
mortali.
Naturalmente,
all’epoca non potevo di certo sapere che la situazione era
molto più complessa
di quanto mi era sembrata in quel momento.
Non
ebbi nemmeno il tempo materiale di approfondire quel discorso, ad ogni
modo.
Prima che potessi dire un’altra sola parola, la porta
scorrevole
dell’abitazione dell’anziana Kaede si
spalancò, ed un essere che non avevo mai
visto prima fece la sua prima comparsa nella mia vita.
Ciò
che mi colpì per prima cosa furono le sue orecchie, due
morbide orecchie
bianche, da cagnolino, che gli spuntavano in mezzo ai capelli come
quelle di un
normalissimo animale domestico; la sua chioma, altrettanto argentea e
lunga
come quella di Sesshomaru, era però leggermente
più selvatica. Gli occhi erano
dorati, le sopracciglia folte e scure, i lineamenti vagamente
più duri. Le
mani, con lunghi artigli al posto delle unghie, artigliavano la cornice
della
porta come se si stesse sforzando di non estrarre la spada che pendeva
al suo
fianco.
Indossava
un hakama e un hitoe rosso fuoco, le cui maniche parzialmente attaccate
permettevano alla maglia bianca, il kosode, di essere vista
chiaramente. La
cosa strana era il fatto che non portasse nessun tipo di sandalo, ma
che fosse
completamente scalzo. Oh beh, ormai non mi stupivo più di
niente.
«Dannato!»
Ruggì quasi, arrabbiato. «Hai davvero del fegato
per far vedere il tuo brutto
muso anche qui!»
D’altra
parte, il demone non sembrò minimamente toccato. Senza
degnarlo di uno sguardo
gli rispose con un’irritante indifferenza.
«Inuyasha. È sempre un dispiacere
incontrarti.»
Sinceramente?
Mi facevano ridere, tanto che dovetti mordermi l’interno
della guancia per
evitare alla risata che mi stava nascendo in petto di venire fuori:
sarei
sembrata senza dubbio alquanto irrispettosa. E non volevo di certo
interrompere
quell’affettuosa riunione familiare.
Dunque
era lui Inuyasha, il fratello di Sesshomaru. Tra i due non avrei saputo
decidere chi fosse il più simpatico, così, a
prima vista, e a dirla tutta non
comprendevo neppure perché l’anziana Kaede avesse
insistito così tanto per
aspettarlo: quell’Inuyasha avrebbe potuto aiutarmi a
ritrovare la mia Sfera?
All’improvviso,
però, lo strano demone si accorse della mia presenza. Mi
fissò con curiosità,
indugiando con lo sguardo sulle bende che mi avvolgevano il petto
– incuriosito
dalle mie ferite o dalle mie forme? – e infine mi
guardò negli occhi, e sempre
senza distogliere lo sguardo dal mio si avvicinò, quasi a
quattro zampe, verso
di me. Istintivamente indietreggiai, preoccupata: che cosa diavolo
stava
facendo?
Lo
vidi arricciare il naso, avvicinando il suo viso ai miei capelli e annusarmi…
Dopodichè stabilì una nuova e
confortante distanza tra me e lui, ma non smise di studiarmi, con
un’espressione che ricordava tanto quella di un bambino che
non ha mai visto un
gatto; se quel demone mi trovava strana, allora il mondo si stava
davvero
capovolgendo!
«Ho
l’impressione di averti già vista da qualche
parte.» Decretò, annuendo con aria
piuttosto seria.
E
con questo cosa diavolo intendeva?
_______________________________________________________________________________
Questo
capitolo non è un granchè, ma serviva per
inserire finalmente anche gli altri personaggi "celebri" di Inuyasha =P
Passo subito ai ringraziamenti!
- Riza
Hawkeye: Ciao! ^^ Ti ringrazio per avermi seguito sin da
subito, e non preoccuparti ti capisco per la mancanza di voglia, sono
così anch'io anche se ogni tanto mi sforzo =) Comunque
grazie mille per la tua lunghissima recensione, mi sono piaciute le tue
ipotesi! Anche se purtroppo la ragione non è nessuna delle
tre, mi spiace =P So che Nicole è scandalosa, ma poraccia,
cerchiamo di capirla xD se un demone ti sta per ammazzare la prima cosa
a cui pensi sono i vestiti o la tua vita? xD E poi non sarebbe male se
fosse riuscita ad attizzare il gelido demone cane, diciamocela tutta
u.u Spero di aver soddisfatto in parte la tua curiosità con
questo capitolo (hai visto? Sesshomaru l'ha salvata di nuovo!) Un
bacione, continua a seguirmi! =*
- celina:
Grazie per la recensione, e non preoccuparti, so che il tempo per non
basta mai! Sono felice di averti tenuta incollata allo schermo,
è una bella soddisfazione ^^ Spero di riuscire a tenere il
filo, come hai detto tu, perchè se non scrivo per
un pò poi crolla tutto! =( Il bel tenebroso comunque
è arrivato, visto? u.u Ahaha ci leggiamo al prossimo
capitolo, non mancare! Un bacio =*
- elenasama:
Grazie per la recensione e per i complimenti! Spero ti sia piaciuto
anche questo capitolo ^^ A presto! =*
- Alebluerose91:
Geme! Grazie per la recensione ^^ Sono contenta che ti piaccia la
trama, una figata dici, eh? Vedrai, vedrai u.u Un bacione, al prossimo
capitolo! Smack =*
- Kobato:
Accidenti, la tua recensione si che mi ha fatto arrossire! Addirittura
l'anime, wao *-* Sarebbe proprio bello xD Anche a me comunque sta
più simpatica Nicole di Kagome (sarà che sono di
parte) ma la trovo anch'io più tosta! Viva il sesso forte
u.u Dobbiamo solo sperare che il suo carattere combattivo non faccia
venire voglia al nostro caro principe dei Demoni di strangolarla ^_^;
Un bacio, continua a seguirmi! =*
- Maya
Deleon_Energy Alchemist: Eh, lo so, questa Nicole
è un pò scandalosa u.u Ma, ripeto, se sei ad un
passo dalla morte pensi prima a rivestirti o a salvarti la vita? ^^ Qui
i demoni non sono pazienti come i nemici di Sailor Moon, che
aspettavano che le giovani paladine si trasformassero con tutta calma
prima di attaccarle! xD Comunque grazie per la recensione e i
complimenti, continua a seguirmi! ^^
- PhOeNiX_93:
Oddio, anch'io non so se ci sarei riuscita, ma la fame aguzza
l'ingegno! xD Perlomeno il suo gesto ha dimostrato che è una
ragazza con le palle
quadrate u.u (Si può dire o sono volgare??
Vabbè, tanto l'ho già detto xD) Era normale che
Sesshomaru la salvasse, voglio dire, è cattivo ma
non così
cattivo u.u E comunque lui non dirà mai che ha salvato
Nicole, quanto piuttosto che ha salvato Rin... Oh, quant'è
complicato! xD mi raccomando, continua a seguirmi! Un bacio =*
Ed
ora vi saluto! Fatemi sapere cosa ne pensate di questo nuovo capitolo -
anche se è un semplice capitolo di transizione.
Un
bacione, alla prossima!
|
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Capitolo 7 *** 6. La compagnia degli Shikon riunita ***
同 社 は 四 魂
を 満 た し て
- Dōsha wa yon tamashī o
mitashite -
Adesso
si che potevo dire addio a ciò che rimaneva della mia
sanità mentale.
Quello
strano essere vestito interamente di rosso era ormai il sesto demone
che avevo
avuto modo di vedere nel giro di due giorni, quindi se avessi voluto
avrei
potuto dare di matto senza che nessuno mi dicesse niente, no? A
proposito di
matti, avevo l’inquietante sensazione di essere finita in una
specie di Paese delle Meraviglie,
anche se, per
quanto ne sapevo io, la piccola Alice non aveva rischiato di venire
uccisa da
nessuna strana creatura: persino il brucaliffo era stato gentile con
lei, vero?
Perché
dovevo essere proprio io, invece, quella circondata da parodie della
Regina di
cuori che volevano la mia testa? Avrei voluto piangere.
Tornando
con i piedi per terra, comunque, cercai di ignorare il nuovo venuto che
continuava ad annusarmi, seppur da lontano, con
un’espressione assorta in viso:
non immaginavo di poter essere così interessante.
Grazie
al Cielo, non dovemmo attendere molto il ritorno dell’anziana
Kaede, che con il
suo arrivo mi tolse da quell’imbarazzante situazione
– si, trovavo più imbarazzante
l’essere annusata da un perfetto estraneo piuttosto che
scappare nuda da un
demone inferocito… Poteva anche sembrare strano, ma giuro
che una spiegazione
c’era. Forse.
Ad
ogni modo, questa volta la sacerdotessa non era sola. Come aveva
promesso era andata
a chiamare la cacciatrice di spettri, che malgrado il nome altisonante
aveva
tutta l’aria di essere una giovane mamma indifesa. In braccio
portava un
bambino di qualche mese che non aveva nessuna intenzione di mollare la
presa
sul suo dito, mentre da dietro il suo mo-kabana verde spuntava la testa
di una
bambina di poco più di tre anni. Sorrisi istintivamente,
facendole “ciao ciao”
con la mano ottenendo però l’effetto di farla
rintanare ancora di più dietro il
kimono della madre.
«Oh,
Kaede-san, è lei la sacerdotessa di cui mi
parlavate?» Domandò la ragazza, osservandomi
con un’educata curiosità. Perché non si
rivolgeva direttamente a me? Credeva
che, solo per il mio aspetto, non comprendessi la sua lingua?
«Si,
è proprio lei.» Replicò la donna per
tutta risposta, entrando e tornando a
sedersi accanto al braciere. «Ma prima di affrontare
qualsiasi argomento,
dobbiamo attendere il monaco e Kagome. Inuyasha, tu vedi di comportarti
bene.»
Aggiunse, rimproverando il giovane demone che continuava a fissarmi in
un modo
che sfiorava il ridicolo.
Salutai
la ragazza chiamata Sango, presentandomi e pregandola di non rivolgersi
a me
con quel tono così formale – non ero mica una
sacerdotessa, poteva trattarmi
come sua pari! Tuttavia, mentre parlavo con lei, mi accorsi che il
demone non
aveva staccato il suo sguardo dorato da me per un solo secondo. E se
c’era
qualcosa che odiavo, erano proprio le persone che mi studiavano in quel
modo.
A
quel punto decisi di rivolgergli la parola, in modo che smettesse di
guardarmi
così. «Quindi tu saresti il fratello di
Sesshomaru, ho capito bene?» Chiesi,
cercando comunque di essere gentile. Avevo l’impressione che
avesse un
carattere un po’ troppo impulsivo, e se assomigliava al
fratello allora avrei
fatto meglio a non farlo arrabbiare.
La
sua smorfia, comunque, mi fece comprendere che non era irritato con me.
«Fratellastro.»
Sottolineò con un leggero disgusto, incrociando le braccia e
lanciando
un’occhiataccia a Sesshomaru. «Stesso padre, madri
diverse.»
Accidenti,
erano diversi anche dal punto di vista della comunicazione: Inuyasha
parlava a
monosillabi ma lo faceva spesso, Sesshomaru non parlava quasi mai ma
almeno
quando lo faceva esprimeva dei concetti complessi… Chi
preferivo tra i due? No,
un attimo, perché avrei
dovuto per
forza preferirne uno?
Annuii,
mostrando di aver capito. Ma prima che potessi dire qualsiasi altra
cosa, come
per esempio chi era il maggiore, anche se ne avevo una vaga idea, la
voce del
suo adorato fratellastro ci
interruppe.
«Lui
è solo un mezzodemone.» Decretò,
facendo fremere dall’ira le orecchie canine di
Inuyasha. «Sua madre era una misera ningen.»
«Non
parlare in quel modo di mia madre, dannato!»
Esclamò l’hanyou, scattando in
piedi e mettendo la mano sull’elsa della spada.
Ecco,
a proposito del carattere impulsivo. Ma fortunatamente, prima che
l’atmosfera
si scaldasse troppo e i due demoni sguainassero le rispettive spade,
intervenne
come sempre l’anziana Kaede.
«Calmati,
Inuyasha, stai solo spaventando i bambini.» Lo
redarguì, minacciandolo con il
ventaglietto che aveva ripreso in mano.
Il
mezzodemone tornò a sedersi, accucciato come un cagnolino,
mentre la bambina
della cacciatrice di spettri si avvicinava a lui senza timore e
iniziava a
tirargli le orecchie, giocando. Quella scena mi fece ricredere sulla
personalità dell’hanyou: se una bambina giocava in
quel modo con lui senza
alcun timore, allora non doveva essere tanto male come persona.
Inoltre,
chiunque si sarebbe infuriato se avessero parlato male della propria
madre.
E
poi arrivò il monaco. Entrò nella capanna con
un’altra bambina in braccio,
probabilmente la sorella gemella di quella che giocava con Inuyasha, e
da
questo dedussi che doveva essere il marito di Sango. Era vestito come
un tipico
bonzo del tempo: indossava un lungo koromo nero sopra il quale portava
una kesa
violacea, e ai piedi aveva dei normali waraji in corda. Alla mano
destra,
quella che reggeva lo shakujou, aveva una strana fasciatura circondata
da una
sorta di rosario di grossi grani d’argento, per
chissà quale motivo. Era il
primo uomo che vedevo a portare i capelli corti, malgrado un piccolo
codino
alla base del collo. Si diresse a salutare la moglie e gli altri due
figli,
dopodichè diede un’occhiata attorno fino a notare
Sesshomaru, Jaken, Rin e me.
Mi
fu di fronte prima che potessi accorgermene.
«Oh,
se solo non fossi già sposato vi chiederei di fare un figlio
con me, splendida
fanciulla.» Dichiarò con sconcertante
serietà, prendendomi le mani tra le sue e
guardandomi dritta negli occhi.
Boccheggiai,
stupita, ma non feci in tempo a rispondergli a tono – avevo
già due o tre
risposte pronte – che Sango lo afferrò da dietro
al bavero del koromo,
trascinandolo con poca delicatezza al lato opposto della stanza.
«Miroku, sei
il solito pervertito!» Sibilò, facendolo sedere
accanto a sé. «E davanti ai
tuoi figli!»
A
quel punto tremavo all’idea di che genere di persona poteva
essere quella
Kagome che stavamo aspettando con tanta ansia, dato la scarsa
normalità che circondava
quelle persone. Però qualcosa, forse il fantomatico sesto
senso femminile di
cui sembra siamo dotate, mi disse che dovevano essere una sorta di
gruppo, no,
meglio, squadra doveva essere il
termine giusto.
Era
chiaro che tutti stavano morendo dalla voglia di sapere il motivo di
quella
strana convocazione da parte dell’anziana sacerdotessa, ma
allo stesso tempo
sembravano aver compreso che non si sarebbe detta una sola parola prima
dell’arrivo dell’ultimo elemento, ossia Kagome.
Per
quanto mi riguardava stavo iniziando ad annoiarmi. Feci sedere la
piccola Rin
di spalle, di fronte a me, e iniziai a farle delle piccole treccine,
sempre
senza parlare: sembrava quasi che il silenzio fosse
d’obbligo, neanche fossimo
stati in un tempio o in una chiesa.
Inoltre,
come se questo non fosse bastato, continuavo a sentirmi terribilmente
osservata.
Per mascherare il disagio, iniziai a riflettere su come la Sfera era
scomparsa,
immaginando centinaia di possibilità –
l’una più assurda dell’altra –
che
avrebbero potuto giustificare la sparizione del mio prezioso cristallo.
Una
prevedeva addirittura che l’avessi ingoiata, e a quel punto
con un sospiro
decisi che era meglio non pensarci più: uno di quei strani
personaggi avrebbe
potuto avere una risposta senza che io mi ci scervellassi
più di tanto. O
almeno, beh, era ciò che speravo.
Improvvisamente
notai le orecchie di Inuyasha drizzarsi e tendersi verso un punto
indefinito,
poi il mezzodemone scattò in piedi ed annunciò:
«Kagome sta arrivando.»
«Finalmente,
il mio padrone iniziava a seccarsi!» Gracchiò
Jaken, agitando il suo bastone
verso nessuno in particolare.
Veramente
Sesshomaru sembrava essersi addormentato, ma osservandolo meglio si
poteva
notare che quella che sembrava un’innocua posizione rilassata
nascondeva uno
spirito vigile e pronto a scattare nel giro di un secondo:
probabilmente, se
fossimo stati attaccati un’altra volta da qualche strano
mostro, lui sarebbe
stato il primo ad accorgersi della presenza estranea. Ancora non mi era
chiaro
se esserne terrorizzata o confortata… Oh, accidenti,
perché stavo ancora
facendo di quei pensieri?!
Stranamente
nessuno, al di là di Inuyasha, si era mosso per andare ad
accogliere la nuova
arrivata: il che
era forse dovuto al
fatto che tutti fossero in attesa del momento in cui io e quella
ragazza ci
saremmo incontrate. Ma perché? Solo perché anche
lei era una sacerdotessa, per
quale ragione il nostro incontro sarebbe dovuto essere così
importante? Più
passava il tempo e più si accumulavano domande, senza
nessuna ombra di
risposta. Che diavolo!
Eppure,
quando la vidi per la prima volta, compresi senza nessuna logica di
essere
salva.
La
divina Kagome – così come avevo sentito chiamarla
dal monaco deviato - era
entrata nella capanna dell’anziana Kaede con un sorriso che
aveva rivolto
indiscriminatamente a tutti i presenti, compresi Jaken e Sesshomaru,
cui si
rivolse appellandolo con uno spiritoso «Oniisan!»
seguito da un’occhiataccia da
parte di quest’ultimo. Questo rimarcò
l’impressione che mi ero fatta poco prima
in proposito: decisamente, Sesshomaru non era fatto per avere una
famiglia.
Era
una ragazza della mia età, benchè fosse
più bassa di me di una decina di
centimetri; aveva lunghi capelli neri e gli occhi castani, circondati
da lunghe
ciglia nere. Aveva un bel sorriso, sicuramente era ciò che
colpiva di più, ma
tutto sommato era abbastanza comune. Oh, non è certo una
cattiveria, anzi: era
la prima persona che ritenevo normale
in quella specie di gabbia di matti, perciò ne ero
più che lieta.
Tuttavia,
non fu il suo aspetto fisico ad impressionarmi, quanto piuttosto il suo
abbigliamento. Come un pesce fuor d’acqua, infatti, Kagome
indossava una felpa
blu con dei ricami floreali, un paio di lunghi jeans leggermente
sbiaditi,
delle scarpe da tennis in tela e aveva, sulle spalle,
un’enorme zaino di quelli
che si usavano in genere per andare a scuola. Nel mio secolo,
ovviamente.
A
quel punto ammetto, con mio grande imbarazzo, di essermi comportata
come una
pazza scatenata.
Malgrado
le mie ferite, infatti, ero saltata in piedi, puntando un dito contro
di lei e
guardandola a bocca aperta: stavo cercando di parlare, in
realtà, ma ero troppo
scioccata per poter articolare una frase decente. Alla fine, comunque,
ignorando sia Rin che Kaede – le quali stavano cercando di
riportarmi a sedere
– riuscii a rivolgerle la parola.
«Quei…
Quei vestiti!» Esclamai, ben sapendo che avrei potuto fare di
meglio.
Kagome
sgranò leggermente gli occhi, sorpresa e, forse, anche
preoccupata dalla mia
strana e del tutto inspiegabile reazione. «Forse avrei dovuto
cambiarmi prima
di tornare…» La sentii mormorare in direzione di
Inuyasha.
Ma
io scossi la testa, cercando di non passare per matta più di
quanto già non
fossi. «Perché tu
indossi dei vestiti
del ventunesimo secolo?!» Mi scappò, con una
sottile vena isterica nella voce.
A
quel punto la sua preoccupazione fu sostituita da una sincera
curiosità. «Come
fai a sapere da dove provengono?»
Oh,
sapevo di avere gli occhi di tutti puntati addosso – stavo,
come si suol dire, dando spettacolo.
Ma non potevo davvero
mettermi un freno, quei jeans per me rappresentavano la salvezza!
«Perché
anch’io provengo da lì!»
***
Dopo
il baccano iniziale, durante il quale venni praticamente assalita da
tutti i
presenti – ovviamente quando dico tutti
non sto parlando del glaciale grande demone – che volevano
sapere come avevo
fatto ad arrivare lì, cosa che peraltro avrei voluto sapere
anch’io, finalmente
l’anziana Kaede riuscì a riportare un
po’ d’ordine, e il silenzio che seguì
era
carico di attesa.
Si
poteva praticamente tagliare a fette, per intenderci.
«Come
hai fatto a venire qui, se provieni da un’altra
epoca?» Domandò Kagome alla
fine, dopo aver compreso che tutti stavano aspettando che fosse lei a
prendere
la parola.
Sospirai,
leggermente più tranquilla per aver trovato una persona che
potesse davvero
comprendere la mia situazione. «A dir la verità,
non ne ho la più pallida idea.»
Esordii, scrollando le spalle – pessima idea, visto il dolore
che ne derivò. «Ero
a casa mia, stavo leggendo un libro, e ad un certo punto la mia
governante, Hiromi-san,
mi ha chiesto di scendere in cantina per prendere del vino. Una volta
giù, ho
visto che al centro dello scantinato c’era un vecchio pozzo
dal quale
provenivano degli strani rumori, allora ho fatto per
andarmene… Ma un demone è
uscito dal pozzo e mi ha afferrato, trascinandomi con lui
perché diceva di
volere la mia Sfera! L’ho spinto e credo di averlo ustionato,
anche se non ho
la minima idea di come ho fatto. Comunque, quando sono risalita dal
pozzo mi
sono trovata in mezzo ad un bosco, così,
all’improvviso… Ho iniziato a
camminare fino a quando non ho incontrato Sesshomaru e gli altri. Ed
eccomi
qui.»
Ecco,
in sintesi, quello che mi era accaduto. Furono le loro espressioni a
sorprendermi, anche se credevo che trovassero il mio racconto alquanto
inverosimile. Ma non mi importava, speravo che almeno Kagome mi capisse.
Infatti
le sue parole mi confortarono. «Anche a me è
capitata una cosa simile, anzi,
praticamente identica…» Disse, cauta.
«Avevo quindici anni quando sono finita
per la prima volta nell’epoca Sengoku. Ma
c’è una cosa che non mi è
chiara…»
Annuii,
incuriosita. «Dimmi.»
Aggrottò
le sopracciglia, esitante, e poi parlò. «Di che
Sfera stai parlando?»
Sinceramente,
quella era l’ultima domanda che mi aspettavo di ricevere.
«Qualche giorno fa
mio padre mi ha consegnato un gioiello che era appartenuto a mia madre,
e prima
di lei a mia nonna, e così via per generazioni…
Ha detto che tutte le donne
della mia famiglia lo ricevevano dalla propria madre, e che poi non se
ne
separavano mai perché era una sorta di amuleto che ci
proteggeva… E ha detto
che mia madre la chiamava Sfera dei Quattro Spiriti, ma non ha saputo
dirmi
nient’altro.»
A
quel punto Kagome sbattè più volte le palpebre,
stupita, come se non credesse
alle mie parole, mentre sia Miroku che Inuyasha imprecarono ad alta
voce, e
persino Sango fece un’espressione di puro terrore. Che cosa
potevo aver mai
detto di così orribile? Dalla mia breve esperienza avevo
capito che quella
Sfera attirava solo demoni desiderosi di uccidermi per averla, ma io
non
conoscevo il motivo di tutto quell’interessamento, e speravo
che fossero loro a
rispondere alle mie domande, non il contrario.
«E
dov’è adesso la Sfera?» Ruggì
Inuyasha, furioso, osservando il fratello.
Sesshomaru
si limitò ad inarcare un sopracciglio, fingendo di non
cogliere e ignorare la
voce minacciosa del mezzodemone. «La Sfera è
scomparsa.» Disse, ripetendo le
stesse parole che aveva già detto a me.
«Come
sarebbe a dire, scomparsa?!» Continuò, facendo per
estrarre la spada.
Ma
la voce di Kagome lo interruppe. «Inuyasha, a
cuccia!» Esclamò, e il
mezzodemone crollò a terra con un tonfo che fece tremare il
pavimento.
E sarei io la
matta…?
«Scusalo,
Nicole-chan, non è capace di comportarsi bene.» Mi
spiegò Kagome, per nulla
preoccupata per il suo fidanzato che giaceva inerte sul tatami. Dopo un
po’
l’hanyou si mosse, sollevandosi lentamente e scoccando uno
sguardo da cucciolo
bastonato alla sua ragazza.
«Pe-perché
l’hai fatto?!» Esclamò, stringendo la
mano a pugno.
Lei
lo fulminò con lo sguardo prima di rispondergli.
«Perché sei il solito
permaloso! Prima di prendertela con Sesshomaru-sama dovresti come
minimo
ascoltare tutta la storia di Nicole-chan!»
Quindi
si rivolse nuovamente a me, e nei suoi occhi vidi un accenno di
spavento che
prima non avevo notato, troppo persa com’ero nei miei
pensieri. «C’è dell’altro,
Nicole-chan?» Domandò.
Ma
io scossi la testa. «No, è tutto qui quello che
so. In realtà speravo che
poteste darmi voi delle risposte.» Ammisi, cercando di
mascherare la delusione
cocente per non aver risolto nulla.
A
quel punto, inaspettatamente, intervenne l’anziana Kaede.
«Io ero a conoscenza
del fatto che la Sfera non fu eliminata del tutto durante
l’ultimo scontro con
Naraku, tre anni fa.» Dichiarò con voce pacata,
sorprendendo tutti i presenti. «Sarebbe
stato troppo bello se quell’oggetto malvagio fosse sparito
dalla faccia della
terra, ma dovremmo ormai sapere che il male non muore mai.»
«Come
facevate a saperlo, somma Kaede?» Le chiese gentilmente
Miroku, dando voce ai
pensieri del resto dei suoi compagni.
«E
soprattutto perché non ce l’hai detto?»
Ringhiò Inuyasha, infastidito per
l’essere stato all’oscuro di quella evidentemente
preziosa informazione.
La
sacerdotessa sospirò, lo sguardo perso nel vuoto.
«È stata mia sorella Kykio a
rivelarmelo, in un sogno che ho avuto qualche tempo
fa…» Mormorò,
improvvisamente triste.
Kagome
aggrottò le sopracciglia, preoccupata. «Kykio? Ma
come…?»
«È
stato il suo ultimo compito nel mondo dei vivi.»
Spiegò, semplicemente. Poi si
voltò e si rivolse direttamente a me, ignorando gli altri.
«Mia sorella era stata
la custode della Sfera, un tempo, pertanto è sempre stata
molto sensibile alla
sua vicinanza. Credevamo che, dopo aver sconfitto Naraku, la Sfera dei
Quattro
Spiriti, ormai purificata dal desiderio di Kagome, fosse andata
distrutta. Ma
evidentemente ciò non è stato, dato che
un’altra ragazza ne è entrata in
possesso.»
Per
la prima volta fu Sango a prendere la parola. «Ma Nicole-kun
dice che la Sfera
appartiene alla sua famiglia da generazioni! Com’è
possibile, se è scomparsa da
soli tre anni?»
«Forse
c’è una spiegazione.» Intervenne a quel
punto Inuyasha, con un espressione piuttosto
seria. «Non rammentate ciò che accadde con la
spada di mio padre, con So’unga?»
Istintivamente
mi voltai verso Sesshomaru, per controllare se quell’accenno
al loro genitore
comune fosse riuscito in un qualche modo a scuoterlo da
quell’irritante apatia
di cui sembrava essere ammantato. Infatti il demone aveva sollevato il
capo per
osservare il suo fratellastro, ma il suo volto non tradì
alcuna emozione: oh
beh, meglio di niente.
Intanto,
Inuyasha stava proseguendo con la sua ipotesi. «Lo spirito
del fodero, Saya,
avrebbe dovuto sigillare la spada per sette secoli dopo la morte di mio
padre,
e venne così gettato nel pozzo Mangia-Ossa per finire
nell’epoca di Kagome.» Spiegò,
guardandomi. «Là, effettivamente, erano trascorsi
sette secoli, ma quando il
sigillo è stato spezzato e la spada è tornata nel
nostro mondo, sempre tramite
il medesimo pozzo, risultava che qui erano trascorsi solo tre
secoli.»
«Quindi,
Inuyasha,» Lo interruppe la vecchia Kaede, pensierosa.
«Secondo la tua teoria, la
Sfera sarebbe ricomparsa nel mondo di Nicole dopo molti secoli, ma dato
che lei
ha attraversato un pozzo simile a quello di Kagome, l’ha
riportata indietro da
noi… E qui non sono trascorsi che tre
anni…»
Il
mezzodemone annuì, le braccia incrociate e
un’espressione grave sul giovane
viso. «Ammetterai che il discorso non fa una piega,
vecchia.»
Kaede
sospirò, scuotendo piano la testa. «Purtroppo
è tutto molto logico.» Ammise.
«In
effetti questo spiega anche il perché la mia famiglia la
possegga da
generazioni.» Mormorai tra me, tamburellandomi un dito sul
mento.
«Eppure
è strano che la Sfera sia finita nelle tue mani.»
Rincarò Kagome, perplessa.
«Voglio dire, tu non sei neanche giapponese, e…
Non fraintendermi, ti prego, ma
io possedevo la Sfera perché si trovava
all’interno del mio corpo visto che ero
la reincarnazione di Kykio, cioe colei che la custodiva e che si era
fatta
seppellire con essa, ma tu… Insomma, Nicole-chan, tu che
legame hai con la
Sfera?»
Ancora
quella sgradevole sensazione di essere al centro
dell’attenzione, e ancora
provai ad ignorarla. Mi limitai a scrollare le spalle, scuotendo il
capo per
dimostrare che ne ero più all’oscuro di loro.
«Non ne ho la più pallida idea,
Kagome.» Confessai, a mezza voce. «So solo che
quell’oggetto è appartenuto a
mia madre, e che è l’unica cosa che mi rimane di
lei… E perciò non avrò pace
fino a quando non l’avrò ritrovato.»
«Hai
intenzione di andare a cercarla?» Domandò,
sorpresa.
Io
annuii. «Mi sembra ovvio, è il minimo che io possa
fare.»
La
vidi scuotere la testa a sua volta. «È una pazzia!
Ci sono centinaia di demoni
disposti ad uccidere pur di avere quella Sfera, non hai idea di quanto
possa
essere una missione suicida!»
«Togliete
pure il condizionale, divina Kagome.» Sottolineò
il monaco Miroku, annuendo
compunto.
Sentivo
che entrambi parlavano con la voce dell’esperienza, e
chissà quante ne avevano
passate a causa di quell’oggetto, ma non mi importava.
«Non lo sarà.» Dissi,
decisa. «Ho diciannove anni, accidenti, e so badare benissimo
a me stessa! Tutto
ciò di cui ho bisogno è un’arma come si
deve, dopodichè me ne andrò per conto
mio alla ricerca della Sfera. Non ho intenzione di trascinarvi con me,
dato che
ora questo è un problema mio.»
«Ah!
Desideri così tanto morire?» Fece Inuyasha,
inarcando scettico un sopracciglio.
Gli
lanciai un’occhiataccia che – credo – lo
fece impallidire. «Di qualcosa bisogna
pur morire.» Sibilai, per nulla scioccata dalle sue parole.
In
effetti ero piuttosto sicura di me, anche se tanta sicurezza poteva
essere
fraintesa come stupidità e non come coraggio –
prevedibile. Ma io rivolevo a
tutti costi quell’oggetto, era mio,
apparteneva a me di diritto perché era stata mia madre a
farmelo ereditare! Non
comprendevo il motivo di tutto questo accanimento nei confronti della
mia
Sfera, ma io sentivo che l’avrei ritrovato in un modo o
nell’altro, e di certo
non sarebbe stato un gruppo di estranei a farmi cambiare idea.
Dopotutto,
il miracolo che avevo operato sulla ferita di Sesshomaru mi aveva in un
certo
senso infuso una strana risolutezza che non credevo di avere:
chissà, magari
ero davvero una specie di strega o sacerdotessa capace di operare
simili
incantesimi. E se potevo guarire potevo anche uccidere, dato che il
Bene non
viaggia mai senza il Male – ne conseguiva che, anche se
avessi iniziato la
ricerca da sola, sarei stata comunque capace di farcela.
Tuttavia
sembrava che loro non avessero nessuna intenzione di farmi affrontare
quella missione in completa
solitudine.
«Che
sciocchezza!» Esclamò Kagome, incrociando le
braccia. «Mi sembra ovvio che se i
tuoi piani sono questi, noi verremo con te!»
«Certo,
Nicole-kun, contate pure su di noi.» Annuì Sango,
stringedo in un abbraccio il
suo figlio più piccolo e osservando poi il marito che
annuiva a sua volta.
«In
fondo ci stavamo annoiando, senza avere nessuna pazza ricerca da
compiere.»
Sorrise compiaciuto Miroku, stringendo a pugno la mano bendata con il
rosario
attorcigliato intorno.
Li
osservai stupita uno a uno, riuscendo a stento a credere a quello che
mi
stavano offrendo. Per loro in fondo ero una completa estranea, venuta
dal nulla
a rovinare l’equilibrio della loro nuova vita domestica,
eppure mi avevano
offerto il loro aiuto senza neppure consultarsi. Ero senza parole.
«Non
voglio spingervi a fare qualcosa che non volete…»
Mormorai, indecisa.
Il
sorriso di Kagome mi spiazzò. «Lo facciamo con
piacere, anche perché ormai
siamo abituati a questo genere di avventure. E poi in te rivedo me
stessa
qualche anno fa, e so che hai bisogno di non restare sola, visto che ti
trovi
in un mondo ostile e sconosciuto.»
Come
diavolo feci a non piangere? Forse ero talmente abituata a non
dimostrarmi
debole che le lacrime si rifiutavano di uscire per un qualche riflesso
incondizionato, e dopotutto credo che fosse un bene, dato che in caso
contrario
avrebbero potuto giudicarmi incapace di affrontare un simile compito.
Perciò
mi limitai a sorriderle di rimando, sospirando impercettibilmente.
«Vi
ringrazio davvero tanto.»
«Bene,
appurato tutto questo,» concluse infine Inuyasha, quasi a
voler tirare le fila
di quanto appena detto. «Si può sapere cosa
diavolo ci fa Sesshomaru qui?»
_________________________________________________________________________________________________
Rieccoci al solito
appuntamento con i ringraziamenti ^^
- PhOeNiX_93:
Grazie per la
recensione e per i complimenti! Come ho già ripetuto
infinite volte sto cercando di rendere la storia il più
reale possibile, quindi i termini giapponesi sono d'obbligo, ed
è un'impresa trovarli tutti... Comunque sono contenta che i
miei sforzi rendano l'idea ^^ In effetti anch'io sarei scoppiata a
ridere nel vedere questa dolce riunione familiare, ma conoscendo i due
fratelli è stato molto più prudente il
comportamento di Nicole xD Spero di aver reso l'incontro tra Nicole,
Kagome e tutti gli altri abbastanza realistico, cioè, non
troppo campato per aria! Anche se ho paura di non esserci riuscita...
Ma vabbè =( Mi raccomando, continua a seguirmi! =) Un bacio,
a presto =*
- elenasama:
Miroku
è il solito pervertito, ma ammetto che un pò si
è trattenuto xD Grazie per i complimenti, continua a
seguirmi! Un bacio =*
- Riza
Hawkeye: Ahahaha
ho riso troppo quando ho letto la tua recensione :°D Spero
davvero che Sesshomaru si sciolga, bo questo qui sembra la
reincarnazione di un Pinguino DeLonghi -.-'' Comunque Nicole avrebbe
voluto portarsi Sesshomaru a fare un bagno nel bosco, ma purtroppo
c'era Rin! Mannaggia, ma la prossima volta farò in modo che
la bambina non ci sia u.u Continua a seguirmi! =) Un bacio =*
- Kobato:
Oh cara, anche le
tue recensioni stanno diventando il sole delle mie giornate :°D
Rido troppo quando le leggo! Comunque, ho paure che per le risposte
vere e proprie bisognerà aspettare un altro pò...
Eh già u.u Ahahahaha quando ho scritto quella parte su
Sesshomaru e la famiglia ho avuto un'inquietante visione del grande
demone che litigava con Inuyasha sotto un albero di Natale, per vedere
chi dei due aveva il regalo più grosso... Oddio che scena!
Da incubo xD Per questo sembrava impossibile u.u Tranquilla non ti
credo completamente pazza (anche perchè io lo sono molto di
più!) XD Ci sentiamo presto! [Ah aspetta, c'è il
PS: cara, prima o poi verrò a recensire anche la tua fan
fiction perchè la adoro e amo in paricolar modo quel
coniglietto che si è salvato da una fine orrenda, povero
Toka <3] Un bacio =*
- Maya
Deleon_Energy Alchemist: Grazie per la recensione!
Uhuhuh a cosa intendi quando dici "Cosa voleva fare Sesshomaru"?
Perchè a tutto c'è una risposta, ma questo non
è il momento giusto per darla... ^^ Un bacio, a presto! =*
- Alebluerose91:
Geme! Grazie per
la recensione =) Nel prossimo capitolo scoprirai come mai Sesshomaru
"accetta l'aiuto" di Kaede e company, anche se tecnicamente non
è proprio così ^^ Tranquilla che la tua zeme ha
pensato a -quasi- tutto! Un bacione, a presto! =*
Prima
di salutarvi vorrei ringraziare Kobato per avermi votato al concorso di
EFP 'Storia coi migliori personaggi originali': grazie mille,
davvero, mi ha fatto molto piacere! ^^
Inoltre,
come sempre, ringrazio chi legge, chi recensisce, chi l'ha aggiunta tra
i preferiti e le seguite eccetera... Un bacione, non so come farei
senza di voi! =)
Ci
leggiamo al prossimo capitolo!
Un
bacio =*
|
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Capitolo 8 *** 7. Ritorno a casa: Nicole nel presente ***
帰
国 : ニ コ ー ル こ れ に
- Kikoku: Nikōru kore ni -
«Si può sapere cosa
diavolo ci fa Sesshomaru qui?»
Cinque
paia di occhi, compresi i miei, si posarono sul grande demone che
giaceva in
disparte, quasi non volesse essere chiamato in causa o preferisse non
far
pesare la sua presenza – probabilmente era più
realistica la prima ipotesi.
Ad
ogni modo Sesshomaru, com’era suo solito, non si scompose.
Guardando il
fratello come se avesse desiderato trapassarlo da parte a parte con la
sola
forza del suo sguardo, prese a sfiorarsi la morbida pelliccia che
portava sulla
spalla destra, senza dire una parola. Sbaglio o stava cercando di
prendere
tempo?
Alla
fine, comunque, si decise a parlare. «Voglio solo comprendere
come funziona
questa nuova Sfera,» si limitò a dire, freddo ed
enigmatico.
«Cosa
intendi?» Indagò Inuyasha, alquanto sospettoso.
«La
vicinanza con quella Sfera mi ha indebolito, per questo sono rimasto
ferito in
uno scontro con un misero demone di infimo livello.»
Rivelò, con un tono neutro
lievemente sporcato da una sottile vena di risentimento; o forse ero
solo io a
percepirla?
Comunque
questo spiegava il motivo della sua ferita, e dava ragione a Rin quando
diceva
che il signor Sesshomaru era praticamente invincibile: insomma, se in
quel
momento io non avessi avuto la Sfera, lui non si sarebbe mai ferito
né
avvelenato, giusto?
«Com’è
possibile?» Esclamò Kagome, sorpresa.
«La Sfera non dovrebbe avere invece la
capacità di aumentare il potere di un demone?»
«Evidentemente
questa non è più la Sfera a cui eravate
avvezzi.» Replicò, con un tono che
avrebbe fatto rabbrividire chiunque. Chiunque tranne noi, a quanto
pare, visto
che eravamo chi più e chi meno abituati ai suoi bruschi modi
di fare.
Tutti
si scambiarono degli sguardi tra l’incuriosito e il
preoccupato, e come sempre
fu l’anziana Kaede a dare voce ai pensieri che agitavano le
loro menti. «Mi
sembra evidente che un simile oggetto, per quanto differente
dall’antica Sfera,
vada ad ogni costo ritrovato.» Decretò, poggiando
il palmo aperto delle proprie
mani sulle ginocchia, in una posizione che doveva ritenere comoda.
«Lo
credete anche voi, somma Kaede?» Domandò Miroku;
quel monaco era inquietante,
un minuto prima si comportava come un pervertito e quello dopo era
l’immagine
stessa della quiete e della saggezza, davvero una trasformazione
incredibile.
«Certo,
onorato monaco, e vi spiegherò subito il motivo.»
Replicò, facendo scorrere il
suo unico occhio sano su ciascuna persona presente. «Anche
questa Sfera, benchè
non possieda – o meglio, non sembri possedere – la
capacità di incrementare i
poteri demoniaci, può diventare un’arma terribile
se dovesse finire in mani
malvagie. Vi domandate perché? Provate ad immaginare: se
Naraku avesse
posseduto una Sfera capace di annientare i poteri degli altri youkai,
avrebbe
potuto frantumarla e fare in modo che tutti i suoi oppositori ne
entrassero in
possesso, in modo da diventare il più potente demone vivente
anche senza
potenziare direttamente le sue forze…»
«Capisco
ciò che volete dire,» annuì Miroku, con
aria grave. In realtà tutti avevano
compreso la situazione, me inclusa: anche se ero nuova
dell’ambiente, non mi
era difficile afferrare il significato delle parole
dell’anziana Kaede.
«Insomma,
vecchia.» Intervenne Inuyasha, incrociando le braccia.
«Stai dicendo che
dovremmo rimetterci alla ricerca della Sfera per evitare che qualche
altro
demone maledetto ne entri in possesso?»
Lei
annuì. «Esattamente.»
A
quel punto mi sembrò opportuno intromettermi.
«Perdonatemi, ma la Sfera
appartiene a me. È colpa mia se è finita
nuovamente nel vostro mondo, e
pertanto spetta a me recuperarla. Abbiamo già deciso che
saremmo andati a
cercarla, ma visto che la faccenda è molto più
difficile del previsto suppongo
che sia meglio che ci vada da sola. Dopotutto voi avete le vostre
famiglie di
cui occuparvi, e…»
«È
stolto da parte tua anche solo pensare una cosa simile.»
Mi
voltai sorpresa verso Sesshomaru, non essendomi aspettata il suo
intervento. Il
demone mi osservava di sottecchi, con uno sguardo che esprimeva
disappunto – e
forse disgusto? – nei miei confronti. Insomma, come si
permetteva di parlarmi
in quel modo?
«Non
credevo di avervi chiesto un parere, Sesshomaru-sama.»
Replicai a bassa voce,
certa che mi avrebbe sentito anche così. Lo vidi inarcare un
sopracciglio in
modo vagamente minaccioso, ma non mi lasciai intimidire: dopotutto non
poteva
farmi niente, giusto? C’erano troppi testimoni.
«Ad
ogni modo, detesto dirlo ma Sesshomaru ha ragione.» Soggiunse
Inuyasha, con
evidente fastidio.
Ah,
quoque tu?
Sospirai,
scuotendo la testa. Se avevo tutti contro non potevo certo insistere,
inoltre –
potevo ben ammetterlo – non poteva certo far male un poco di
collaborazione da
parte di chi sapeva come muoversi in quel mondo che mi era del tutto
estraneo.
«E
sia.» Mi arresi di nuovo, scrollando rassegnata le spalle.
«Vi ringrazio
immensamente per aver deciso di aiutarmi.»
Kagome
mi si avvicinò e posò una mano sulla mia spalla,
facendo attenzione a non farmi
del male, e sorrise. «Non preoccuparti, Nicole-chan. Siamo
sempre pronti ad
aiutare un’amica.»
Ricambiai
il sorriso, leggermente più rincuorata. «Se solo
potessi avvisare mio padre che
sono ancora viva… Manco da casa da due giorni, ormai,
sarà disperato…»
Mormorai, dispiaciuta.
La
ragazza proveniente dal mio stesso secolo trasalì,
portandosi una mano alla
fronte. «Oh cavolo, che stupida sono stata!»
Esclamò, arrossendo lievemente. «Non
so dove sia il pozzo che ti ha condotto qui, ma di certo puoi usare
anche il
pozzo Mangiaossa!»
«Vuoi
dire che esiste anche un altro pozzo?» Domandai, stupita.
Lei
annuì, sorridendo. «Certo, da dove pensavi che
fossi venuta io?» Oh beh, a domanda
scema…
Anche
il mio sorriso si ampliò, e avvertii un’ondata di
buonumore illuminare
finalmente la mia giornata: credevo che sarei rimasta bloccata per
sempre in
quell’epoca, e invece il ritorno a casa sembrava essere
più a portata di mano
di quanto avessi sperato!
«Per
favore, Kagome, portami a questo pozzo! Non vedo l’ora di
essere a casa!»
Esclamai, alzandomi e facendo qualche passo in direzione della porta.
Tuttavia,
prima che potessi raggiungerla sentii un singhiozzo proveniente da
dietro di me
e, temendo di riconoscerlo, mi voltai. Come avrei dovuto immaginare,
Rin aveva
gli occhi colmi di lacrime.
«Oh,
Rin… Non fare così…»
Mormorai, tornando verso di lei e chinandomi alla sua
altezza.
La
piccola tirò su col naso e fissò ostinatamente un
punto indefinito del tatami,
rifiutando di ricambiare il mio sguardo. «Nicole-kun ha detto
di voler bene a
Rin… Ma ora se ne vuole andare via…»
Mormorò, talmente piano che stentai a
sentirla.
Mi
si spezzò il cuore a quelle parole. Mi ero sinceramente
affezionata alla
bambina, però non le avevo mai promesso che sarei rimasta
per sempre al suo
fianco… E di certo non volevo vederla piangere, detestavo
sapere che l’ultimo
ricordo che avrei conservato di lei sarebbe stato quello delle sue
lacrime –
dato che ancora non sapevo se sarei tornata lì, una volta
rientrata nella mia
epoca. Perciò la trascinai in un abbraccio, nascondendo il
volto tra i suoi
capelli e cercando di tranquillizzarla.
«Calmati,
Rin, non piangere…» Sussurrai, accarezzandole i
capelli. «Non ho detto che
starò via per sempre…» E a quel punto
sbagliai, lo so, ma non potei fare a meno
di inventare quella piccola bugia. Tutto, pur di non vederla in
lacrime. «Non
appena avrò fatto vedere a mio padre che sono ancora viva
tornerò subito qui,
va bene? Dopotutto devo cercare la Sfera.»
Si
allontano lentamente dalla mia stretta, guardandomi con gli occhi
umidi. «Me lo
prometti…?» Chiese, asciugandosi le guance con una
manica del kimono.
Annuii,
accennando un sorriso. «Certo, Rin. Non ti
preoccupare.»
A
quel punto mi saltò addosso – incurante delle mie
ferite – e fu lei a
stringermi in un abbraccio, singhiozzando questa volta dal sollievo.
«Oh, meno
male! Ho avuto paura che te ne andassi per
sempre…!»
Non
appena ebbe ripreso a respirare normalmente la scostai piano da me,
sorridendole gentile. «Mi vuoi accompagnare al pozzo,
Rin-chan?» Chiesi,
sperando che non fosse un problema per nessuno.
Il
suo volto si illuminò, felice. «Certo,
Nicole-kun!» Esclamò, battendo le mani.
Allora
mi alzai nuovamente, stringendo la mano della bambina nella mia, e mi
rivolsi
verso Kagome. «Io sono pronta.» Annunciai, cercando
di trattenere l’impazienza.
Kagome
fece per rispondere, ma l’anziana Kaede intervenne, vagamente
rabbiosa. «Se non
vuoi aspettare che le tue ferite si rimarginino, ragazza, lascia almeno
che ti
aiuti ad indossare l’hakui!»
Uhm,
in effetti non era molto bello attraversare il villaggio mezzo nuda,
anche se
l’idea di infilare qualcosa sopra le ferite –
avrebbe fatto un male terribile –
non era molto allettante…
«E
privarci così di una splendida visione?» Sentii
esclamare da Miroku, seduto a
gambe incrociate sul tatami accanto alla moglie. La donna lo
schiaffeggiò con
forza, lasciandogli in ricordo il segno delle cinque dita, che lui
prese a
massaggiarsi rassegnato.
Si,
era decisamente il caso di rivestirsi.
***
Quando
Kagome aveva detto che mi avrebbe accompagnato al pozzo, di certo non
immaginavo che ciò avrebbe significato portarsi dietro anche
gli altri.
Sembravamo
una strana e ben assortita processione. Io, Kagome e Rin eravamo
davanti,
aprendo la fila; dietro di noi seguivano Sango, con in braccio il
figlioletto
più piccolo, e accanto a lei da un lato Miroku e
dall’altro Inuyasha, entrambi
con una bambina seduta sulle spalle. Infine, la fila era chiusa da
Sesshomaru e
Jaken, quest’ultimo con Ah-Un tenuto al solito guinzaglio.
Immagino che, visti
dall’esterno, dovevamo offrire uno spettacolo non
indifferente a coloro che ci
osservavano dai campi fuori dal villaggio.
Il
pozzo Mangiaossa si trovava in una piccola radura al centro del bosco.
Il luogo
era facilmente riconoscibile grazie all’enorme quercia
secolare che troneggiava
lì vicino, caratterizzata da una specie di cicatrice
sul tronco talmente tanto largo che cinque uomini non sarebbero
riusciti ad
abbracciarlo.
«Eccoci
arrivati!» Esclamò Kagome, avvicinandosi al pozzo
e trascinandomi con sé. «Da
qui posso tornare nella nostra epoca in qualsiasi momento, e penso che
funzionerà anche per te!»
La
guardai improvvisamente scettica, inarcando un sopracciglio.
«Vuoi dire che non
ne sei sicura?!»
«Oh,
beh, qui non c’è mai nulla di certo.»
Confidò, sventolando la mano. «Comunque,
non hai che da saltare dentro al pozzo e…»
«Cosa?!»
La interruppi, stupita. «Ma è profondissimo! E se
mi rompo una gamba, eh?»
«Io
non mi sono mai fatta nulla!» Ribattè Kagome,
puntando le mani sui fianchi.
Poi, vedendo la mia espressione veramente preoccupata,
sospirò e alzò gli occhi
al cielo. «Va bene, salteremo insieme. Anche
perché con questo pozzo finiresti
a casa mia, ora che ci penso, ed è meglio che ci sia
anch’io per spiegare la
situazione a mia madre. Potrebbero scambiarti per qualche creatura
malvagia,
altrimenti…»
Stava
scherzando, vero? «Dimmi, sinceramente: ho la faccia di una
creatura malvagia?»
Sibilai irritata, corrugando le sopracciglia. Sentii Rin ridacchiare al
mio
fianco, ma ero troppo concentrata su Kagome per prestarle attenzione.
La
ragazza arrossì lievemente, distogliendo lo sguardo.
«Dai, Nicole-chan, sai
bene che dicevo così per dire!»
Esclamò, incrociando le braccia.
«Se
lo dici tu…» Concessi, affacciandomi nuovamente
sul bordo del pozzo. «Comunque
questa cosa non mi piace per niente, non riesco neppure a vederne il
fondo…»
«Fai
solo come faccio io!» Disse Kagome.
Quando
sollevai lo sguardo verso di lei mi scappò un gridolino.
«Ma sei pazza? È
pericoloso!»
Kagome
si era infatti arrampicata sul pozzo e adesso sedeva con le gambe che
penzolavano sopra il nulla, con un’espressione talmente
tranquilla che per un
attimo dubitai della sua sanità mentale. Io soffrivo
terribilmente di
vertigini, pertanto anche solo l’idea che qualcuno potesse
affacciarsi con così
tanta nonchalance sul vuoto mi dava
i
brividi.
A
quel punto mi porse la mano, sorridendomi incoraggiante.
«Dai, siediti anche tu
come ho fatto io e poi salteremo insieme!»
Feci
un profondo sospiro, posando le mani sul bordo in pietra del pozzo e
facendo
leva su di esse in modo da sollevarmi e scavalcarlo senza precipitarvi
all’interno. Una volta seduta a cavalcioni dovetti chiudere
gli occhi per
trovare il coraggio di sedermi completamente con le gambe che
oscillavano sul
vuoto – curioso, avevo molta più paura adesso
rispetto a quando mi ero trovata faccia a faccia con il demone tigre o
con
quell’orrendo ragno…
Mi
voltai verso Kagome e afferrai la sua mano, con l’aria di un
condannato a
morte. «Okay.» Mormorai, con un cenno di assenso.
La
mia nuova amica fece un ampio sorriso, dopodichè si
voltò quasi completamente
verso gli altri che ci osservavano – con i piedi ben piantati
per terra, quanto
li invidiavo! – e sollevò la mano libera per
salutarli. «Allora a presto,
ragazzi! Io tornerò al massimo dopodomani.» Disse;
mi accorsi che non mi aveva
incluso nel suo possibile ritorno, e in fondo ne fui, in parte,
sollevata. Non
volevo avere l’ennesimo obbligo per tornare…
Sapevo che avrei dovuto farlo per
recuperare la mia Sfera, ma volevo almeno i miei tempi.
Tuttavia
mi voltai anch’io per salutare Rin, non volevo davvero
andarmene senza neppure
salutarla. «Mi raccomando, Rin-chan, fai da brava!»
Esclamai, facendole
l’occhiolino. Probabilmente non comprese il mio gesto ma
sorrise lo stesso,
ripetendo il gesto con la mano e salutandomi.
Fu
più forte di me: a quel punto volsi lo sguardo per osservare
l’alta figura che,
poggiata al tronco di un albero secolare, osservava la scena con uno
sguardo
distaccato e, probabilmente, infastidito. Sollevai la mano per
accennare un gesto
di saluto anche nella sua direzione, e fui certa di averlo visto
sgranare
impercettibilmente gli occhi – ma lui era lontano, e
dopotutto stavamo parlando
di Sesshomaru, perciò potevo essermelo benissimo immaginata.
Sentii
la voce di Kagome riportarmi al mio problema principale, il salto nel
pozzo. «Pronta?»
Fissai
il buio, l’oscurità sotto di me e tremai
leggermente. Poi deglutii e feci un
cenno col capo. «Si, andiamo.» Sussurrai, ma lei mi
sentì.
«Al
mio tre datti una spinta e salta, come se dovessi entrare in
piscina!» Mi
istruì, tranquilla.
Mi
piaceva quel paragone, se fingevo che il buio fosse in
realtà acqua non avrei
avuto timore di lasciarmi scivolare giù: d’altra
parte, io amavo nuotare. Sentii
Kagome contare, lentamente – 1…
2...
– e al 3, obbediente, mi diedi una forte spinta, precipitando
nel vuoto.
Solo
la mano di Kagome che stringevo con la mia mi impedì di
urlare.
***
«Nicole…
Ora puoi aprire gli occhi.»
Molto
lentamente, con una cautela che non pensavo di avere davvero, dischiusi
le
palpebre, sbattendole più volte quando mi accorsi di essere
ancora circondata
dall’oscurità. Sentii i miei piedi calpestare un
suolo morbido ed erboso,
leggermente umido, e accorgendomi di non avere fratture di nessun
genere alle
gambe dovute alla caduta, lasciai infine la mano della mia nuova amica.
Mi
guardai intorno, rendendomi conto di trovarmi nel fondo di un pozzo
asciutto. Le
pareti non erano più viscide da molto tempo, ormai, e
arrampicarsi non doveva
essere particolarmente difficile. Non se si contava la scala in corda
che
pendeva da un lato, comunque.
«Siamo
arrivati.» Mi fece presente Kagome con un sorriso,
avvicinandosi alla scala e
iniziando ad arrampicarsi. «Vienimi dietro, Nicole, non
è difficile.»
Obbedii
silenziosamente, troppo ansiosa di risalire in superficie. In effetti
Kagome
non aveva torto, probabilmente l’idea
dell’arrampicata suonava più ardua
dell’arrampicata stessa: il pozzo doveva essere profondo sui
sei metri, al
massimo sette, e probabilmente era per quello che non ci eravamo
sfracellate
sul fondo. Avevo l’impressione, comunque, che a quello si
sarebbe potuto ancora
rimediare – qualora fossi scivolata dalla scala, ovviamente.
Con
un ultimo sforzo, poi, raggiungemmo il bordo del pozzo. Kagome
saltò fuori per
prima e si affacciò subito per porgermi una mano ed aiutarmi
ad issarmi, cosa
che non sarei riuscita a fare da sola – beh, mi mancava solo
l’esperienza. Solo
allora mi accorsi di quanto erano scomodi e ingombranti quegli hakama,
e non
vedevo l’ora di togliermeli per indossare qualche
confortevole vestito moderno.
Quasi
quasi avevo voglia anche di respirare un po’ di sano smog, e ciò doveva dirla
lunga sulla mia voglia di restare
ancora dall’altra parte del pozzo.
Mi
resi conto di avere effettivamente attraversato una sorta di passaggio
temporale quando mi accorsi che il pozzo Mangiaossa di Kagome non si
trovava in
mezzo ad un bosco, ma dentro una specie di capanno di legno, di quelli
che si
vedono in ogni classico tempio shintoista giapponese. In effetti le
pareti
erano ricoperte da strani sigilli che non riuscivo a decifrare, come se
della
carta straccia potesse fermare un demone in caso di pericolo; perdonate
la
scarsa fiducia in simili talismani superstiziosi, o voi
giapponesi…
«Vieni,
dai! Devi cambiarti prima di tornare a casa tua. Non vorrai
attraversare tutta
Tokyo in questo modo, vero?» Disse la mia amica, sorridendo e
dirigendosi verso
l’uscita del capanno.
Annuii,
andandole dietro. «Mio padre mi avrà dato per
dispersa! Non vedo l’ora di
essere a casa…»
Notai
che Kagome aveva sospirato, dispiaciuta, la mano posata sopra la porta
scorrevole. «Tu… Non tornerai nell’epoca
Sengoku, vero?» Mormorò, senza
voltarsi.
Perché
sembrava così triste? Scrollai le spalle, senza sapere che
genere di risposta
le avrei dovuto dare – né che risposta avrebbe
voluto, comunque. «Mi spiace,
Kagome, ma… Non lo so.» Decisi di essere sincera,
mentirle non aveva senso. «Io
voglio davvero ritrovare quella Sfera, ma sinceramente… Quel
luogo mi
terrorizza, ho visto più mostri in una notte che in tutta la
mia vita, e non so
se voglio ripetere tanto presto l’esperienza. Adesso ho solo
bisogno di
riprendermi…»
La
ragazza annuì per l’ennesima volta, poi si
voltò e accennò un sorriso. «Ti
capisco, sai. Neppure io sarei tornata indietro se non ci fosse stato
Inuyasha
ad aspettarmi…» Sospirò e la vidi
arrossire leggermente, preda di un ricordo
lontano. Poi si riscosse. «Ma immagino che per te non sia lo
stesso, dopotutto non
ti sei innamorata di nessuno dall’altra parte.»
Scossi
la testa, colpita dalle sue parole ma consapevole della
verità celata in esse. «Mi
spiace solo di aver mentito a Rin…» Sussurrai,
sinceramente mortificata.
Ma
lei scosse la testa, avvicinandosi a me e posandomi una mano sulla
spalla. «Non
fartene una colpa, è naturale. L’hai fatto per non
renderla triste.» Sorrise, e
in quel momento fui certa di aver trovato qualcuno che mi comprendesse
davvero.
«Coraggio, andiamo ora. Mia madre sarà felice di
conoscerti.»
Ricambiai
il sorriso e la seguii fuori, felice, finalmente, di essere tornata a
casa.
Nessun
mostro avrebbe cercato di uccidermi, qui.
___________________________________________________________________________________
Buona seraaaaa! ^^
Eccomì ancora tra voi con un nuovo capitolo! =)
Purtroppo vado di fretta, perdonatemi, ma ci tenevo a postarlo invece
di farvi aspettare altro tempo -.-'' Risponderò alle vostre
bellissime recensioni con il prossimo capitolo, nel frattempo vi
ringrazio davvero per l'aver seguito questa storia finora, per averla
recensita, aggiunta tra le preferite, a anche per averla solo
letta! Vi voglio un mondo di bene, continuate così! ^^
Spero che questo capitolo non sia stato troppo noioso, è
stata dura finirlo >___<
Ci sentiamo al prossimo! Smack =*
Ciao Ciao! ^^
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Capitolo 9 *** 8. Decisioni difficili e strane scoperte ***
難 し い 決 断 と 奇 妙 な 発 見
- Muzukashii ketsudan to
kimyōna hakken -
Casa.
Ero davvero a casa mia.
Non
credevo che avrei mai provato un affetto così smisurato nei
confronti del mio
inquinato e caotico ventunesimo secolo, ma non appena i miei piedi
sfiorarono nuovamente
il marciapiede, o l’asfalto della strada, provai una
nostalgia che non avevo
mai avuto modo di sentire.
Gli
alti grattacieli, le automobili che sfrecciavano a grandi
velocità, i gruppetti
di giovani studenti delle medie, rigorosamente in divisa, che ridevano
o si
lamentavano dei troppi compiti, non mi ero mai resa conto di quanto
tutto
questo avrebbe potuto mancarmi, un giorno. Potevo camminare in mezzo
alla gente
senza che questa mi fissasse con sguardi spaventati o con
l’intenzione di
aggredirmi per i miei caratteri stranieri e il mio accento ridicolo, e
soprattutto senza il timore che un demone alto tre metri potesse uscire
da
dietro un cespuglio con il desiderio di uccidermi.
In
fondo Kagome aveva visto giusto… Dubitavo che sarei tornata
dall’altra parte
del pozzo, ora che finalmente mi ero riappropriata del mio mondo.
Oh,
già. Il pensiero della mia nuova e strana amica –
di cui, tra l’altro,
indossavo gli abiti in quel preciso momento – mi fece per un
attimo fermare in
mezzo alla strada, pensierosa. Probabilmente non l’avrei mai
più rivista, dato
che la ragazza sembrava trascorrere molto più tempo
nell’epoca Sengoku che non
nella nostra; così come non avrei più visto
Inuyasha, Sango, Miroku, l’anziana
Kaede… La piccola Rin…
Accidenti!
Ero a casa da neppure due ore e già mi mancavano? Che
stupida… E cos’era quello
strano pizzicore agli occhi, poi? Coraggio, Nicole, riprenditi!
Dopo
aver preso due autobus e un treno, arrivai finalmente alla stazione del
mio
quartiere, e mi incamminai quasi ad occhi chiusi verso casa mia. Era un
edificio antico, di inizio Novecento, e si notava da lontano,
perciò non era
difficile da trovare: inoltre, percorrevo quella strada tutti i giorni
al
rientro da scuola e la conoscevo come le mie tasche, cosa che invece
non si
poteva dire dell’epoca medievale che mi aveva ospitato fino a
quella mattina.
Non
appena varcai l’imponente cancello in ferro battuto, mi
accorsi che la macchina
di mio padre non c’era, segno che doveva essere in giro
– forse a lavoro, molto
probabilmente. Non avevo le chiavi, ma sapevo che Hiromi-san ne
lasciava una
copia sotto il pesante vaso d’argilla accanto alla porta
d’ingresso, e dopo
averla presa riuscii ad entrare finalmente in casa.
Tuttavia
nessun rumore proveniva da dentro, come se non ci fosse nessuno.
Possibile? Io
ero dispersa da due giorni e loro non erano in casa? Piuttosto
perplessa mi
tolsi le scarpe e mi incamminai lungo il corridoio, decidendo di
raggiungere la
cucina che, fino a prova contraria, era il regno indiscusso della
nostra
governante giapponese.
La
porta scorrevole era aperta, così mi limitai ad
affacciarmici prudente. «C’è
nessuno? Hiromi-san?»
Nessuna
risposta. Sempre più strano…
Lanciai
di sfuggita uno sguardo alla porta della cantina, reprimendo un brivido
istintivo: non ci sarei scesa per parecchio tempo, questo era certo.
Richiusi la
fusuma e decisi di salire al piano superiore, sperando di trovare la
governante
almeno nella sua stanza. Assurdo, possibile che non ci fosse nessuno ad
attendermi? Raggiunsi il pianerettolo del secondo piano e mi diressi
verso la
camera di Hiromi-san, cercando di fare più rumore possibile
in modo che non si
spaventasse nel trovarsi all’improvviso di fronte a me; anche
se le sarebbe
venuto lo stesso un infarto, visto che mancavo da quasi tre giorni.
Bussai
alla porta e, visto che non mi rispose nessuno, la spalancai, avanzando
al suo
interno. Sembrava non esserci nessuno, neppure
lì…
«Oh,
per tutti i kami! Nicole-chan, sei davvero tu?» Una voce,
proveniente da dietro
le mie spalle, mi fece sobbalzare e voltare immediatamente, e prima che
potessi
dire o fare qualsiasi cosa mi ritrovai sepolta nell’abbraccio
frenetico di
Hiromi-san, che singhiozzava da spezzare il cuore.
«…così
preoccupati, eravamo così preoccupati!» La sentii
balbettare disperata, mentre
ricambiavo la sua stretta. «Sei sparita
all’improvviso, abbiamo addirittura
pensato che…! Ma ora sei qui, oh! Andare a pregare al tempio
è servito!»
Una
sua stretta più forte mi fece gemere, e il dolore mi fece
rammentare della
ferita che ancora avevo sulla schiena, e che di questo passo mi avrebbe
lasciato una bella cicatrice in ricordo. Mi divincolai gentilmente dal
suo
abbraccio e le sorrisi, indietreggiando.
«Hiromi-san,
vi dispiace prepararmi un thè caldo? Avei bisogno di
riposare un po’…» Chiesi,
sperando che non mi facesse domande imbarazzanti.
Lei
annuì, asciugandosi le lacrime ai lati degli occhi.
«Ma certo, certo. Vieni in
cucina, così poi mi racconti cosa ti è
successo…»
La
cucina? La porta dello scantinato, il pozzo… «Mmh
no, Hiromi-san, vado un attimo
a sdraiarmi in camera mia, potete portarmi il thè quando
è pronto?»
Se
anche sembrava sorpresa dal mio atteggiamento, non lo diede a vedere.
Annuì. «Si,
certo. Vai e riposati, io arrivo subito.»
La
ringraziai con un debole sorriso e raggiunsi la mia camera, desiderando
solo di
sdraiarmi nel mio comodo e morbido letto occidentale, che non aveva
nulla a che
vedere con gli scomodi futon giapponesi dell’epoca Sengoku.
Trovavo irritante
dormire per terra, era anche uno dei motivi per cui odiavo fare
campeggio. Ma
questo, ora non aveva importanza.
La
mia camera, a parte la classica fusuma, aveva un arredamento
tipicamente
europeo, al contrario del resto della casa. Il mio letto, posto sotto
la
finestra, era ricoperto da cuscini e da una trapunta in patchwork
appartenuta a
mia madre; un comodino alla sua destra, con sopra una lampada bianca, e
un
tappeto peloso che ricopriva il tatami ai piedi del letto. Nella parete
laterale troneggiava un enorme armadio con uno specchio a grandezza
naturale,
mentre dall’altra parte una libreria sovrastava la scrivania
nella quale
studiavo. La vista del portatile richiuso sopra il tavolo mi fece
capire di
essere veramente a casa, e con un
sospiro mi gettai sul letto a pancia in giù, per non
sottoporre la schiena ad
ulteriori sforzi. Non avevo voglia neppure di indossare qualche mio
vestito.
Quanto
tempo rimasi in quella posizione, ad annusare il profumo confortevole
della mia
trapunta? Non ne avevo idea, ma non mi ero addormentata; dopo un
po’ sentii un
discreto bussare e, certa che si trattasse di Hiromi-san, la invitai ad
entrare.
«Il
thè è pronto, cara.» Disse, posando il
vassoio sul comodino e sedendosi sul
letto accanto a me. «Non mi vuoi dire
cos’è successo? Perché sei sparita
all’improvviso?»
Sospirai
per l’ennesima volta, volgendo il viso dalla parte della
finestra per non
essere costretta a guardarla negli occhi. «Oh, Hiromi-san,
che senso ha
raccontare tutto? Tanto non ci credereste di
sicuro…»
«Ti
stupiresti nel sapere quello che io so, giovane miko.»
Poco
più di un sussurro, ma nel silenzio assoluto della stanza la
sentii ugualmente,
e ciò mi fece saltare a sedere sul letto, cercando con lo
sguardo gli occhi
persi nel vuoto della mia governate. Miko? Si era davvero rivolta a me
appellandomi con quel titolo?
La
donna non mi guardava, forse in cuor suo pentita di essersi lasciata
sfuggire
quella parola.
«Come…
Come fate a… Perché?» Balbettai,
incapace di celare la sorpresa.
La
mia reazione le strappò un piccolo sorriso. «Devi
farmi le domande giuste per
avere le risposte giuste.» Si limitò a dire,
sibillina.
Ma
cosa ne era stato della mia governante giapponese, che guardava le
telenovele e
spettegolava amabilmente con i vicini di casa? Perché la
donna che avevo di
fronte le assomigliava molto, certo, ma non poteva essere di certo la
stessa
persona…! Sbattei le palpebre, prendendo poi un profondo
respiro. Coraggio, non
era certo la cosa più spaventosa che mi era capitata, no?
Avevo affrontato di
peggio in quegli ultimi giorni.
Per
prendere tempo mi sporsi e presi la tazza del thè,
immergendovi tre cucchiaini
di zucchero e iniziando a scioglierli lentamente mentre pensavo a
qualcosa di
abbastanza sensato da dire.
«Anche
voi credete che io sia una sacerdotessa?» Domandai alla fine
con un sussurro,
non riuscendo a formulare una domanda migliore.
La
vidi scuotere la testa, prima che si alzasse e andasse a sedersi alla
sedia
della mia scrivania in modo da potermi essere di fronte. «Mia
cara, non è
certamente una credenza. Tu sei una
sacerdotessa. Emani potere spirituale come se stessi spargendo
profumo!»
Sgranai
impercettibilmente gli occhi, dopodichè portai alle labbra
il thè per sorbirne
un sorso. Il calore della bevanda mi aiutò a digerire anche
le parole
inquietanti della donna. «Io non sono giapponese. Come faccio
ad essere una
miko? E perché non me ne sono mai accorta?»
«Prima
di tutto, il fatto di essere una miko non ha nulla a che vedere con la
nazionalità: oh, questo è totalmente un fatto
irrisorio! Inoltre non è qualcosa
di cui ci si accorge, cara, non è come avere i capelli
bianchi o
l’abbronzatura.» Mi spiegò, paziente.
Poi il suo viso divenne improvvisamente
serio e contrariato, come se si fosse appena ricordata di una cosa.
«E poi non
sei certo una strega! Scordati quel genere di poteri, mia
cara.»
Lo
disse con un cipiglio così serio che fui costretta a
distogliere lo sguardo, imabarazzata,
dato che effettivamente avevo pensato di possedere, adesso, dei poteri
magici o
qualcosa del genere. A suo dire niente di più sbagliato,
comunque.
«Ma,
Hiromi-san…» Esordii, titubante. «Voi
avete una qualche idea di quello che mi è
accaduto?»
La
mia cara governante, che fino ad allora avevo creduto insensibile a
tutte
quelle sciocche superstizioni giapponesi e shintoisti a proposito delle
sacerdotesse e simili, mi lanciò uno sguardo che era tutto
un programma. Mi
bastò osservare attentamente quei profondi occhi neri per
capire che c’era
davvero qualcosa che mi stava tenendo nascosta. Ma cosa?
Le
sue labbra si schiusero in un sospiro. «Temo che abbia a che
vedere con il
pozzo, non è così?» Chiese, unendo le
mani in grembo e inarcando un
sopracciglio.
Non
riuscii ad evitare di trasalire, sorpresa; touchèe.
«Come
fate a sapere del pozzo? È una cosa così
assurda!» Esclamai, massaggiandomi le
tempie. «E, se lo sapevate… Perché non
mi avete impedito di scendere in quello
scantinato?»
Hiromi-san
scosse la testa, sconsolata. «Credimi, Nicole, se fossi stata
certa di essere
nel giusto te l’avrei proibito. Ma tutti hanno bisogno di
affrontare le loro
esperienze, e inoltre sfuggire al destino è
impossibile… Prima o poi sarebbe
successo comunque, con o senza i miei avvertimenti.»
Sollevò lo sguardo e lo
posò di nuovo su di me, risoluta. «È
stato il richiamo della Sfera a riaprire
il passaggio. Quando tuo padre te l’ha consegnata, il tuo
fato ha iniziato a
compiersi.»
Più
la ascoltavo, più cose mi diceva, più aumentava
la mia sete di conoscenza e la
mia voglia di porgerle tutte le domande che mi avevano perseguitato
lungo quei
giorni. Eppure avevo la sensazione che scoprire tutto così,
all’improvviso,
sarebbe stato impossibile, e anche inutile: forse alcune delle cose che
doveva
dirmi non le avrei nemmeno capite, e sarebbe stato un peccato.
Però, però… Io volevo
sapere!
Posai
la tazza di thè, ormai freddo, sopra il vassoio, e mi
dedicai interamente a
Hiromi-san. «Come fate a sapere della Sfera? Chi ve
l’ha detto?» Domandai, con
una punta di accusa nella voce.
Ma
lei non si scompose. «La Sfera è insieme una
leggenda ed una maledizione, mia
cara. Tutti ne sono a conoscenza.» Rispose pacatamente,
posando una sua mano
sulle mie. «In tanti hanno provato a distruggerla, ma essa
non si lasciava
annientare. Semplicemente, svaniva nei meandri del tempo, per apparire
ovunque
ci fosse un’anima tanto efferata da richiamarla.»
Questo
mi rammentò, in un certo qual senso, le parole
dell’hanyou Inuyasha. Anche lui
aveva detto qualcosa di simile, e cioè che la Sfera da loro
distrutta era
svanita dalla loro epoca per poi apparire nella mia, in un tempo e in
un luogo
completamente differenti. Sarebbe stato così per sempre?
«Però
non avete risposto alla mia domanda, Hiromi-san.» Replicai
dopo un po’. «Come
fate voi a sapere
dell’esistenza
della mia Sfera?»
La
vidi esitare, palesemente contrariata per la mia insistenza che,
probabilmente,
le avrebbe presto strappato alcuni dei suoi più grandi
segreti, ma nessun suono
fece mai in tempo ad uscire dalla sua bocca. Venimmo interrotte prima
che ciò
accadesse, da qualcuno che mi era ben familiare e che stava chiamando a
gran
voce la governante seduta accanto a me.
«Continueremo
in un altro momento questa discussione, Nicole-chan.» Disse,
alzandosi e
dirigendosi verso la porta. La spalancò, facendomi cenno di
raggiungerla, e una
volta sul pianerottolo iniziò a chiamare ad alta voce mio
padre, avvisandolo
del mio improvviso ritorno a casa.
Di
certo non mi aspettavo una simile accoglienza da parte di mio padre.
Non
dico che avrebbe dovuto corrermi incontro, felice e sollevato di
vedermi sana e
salva, viva perlomeno, e piangere
lacrime amare; ma sicuramente non credevo che si sarebbe infuriato,
arrivando
addirittura ad un passo dallo schiaffeggiarmi per avergli fatto
prendere un
colpo in quel modo.
«Mi
vuoi spiegare cosa diavolo ti è saltato in testa, eh,
signorina?» Sbraitò fitto
in francese, puntandomi il dito contro mentre mi sovrastava
dall’alto,
osservandomi con uno sguardo spaventoso che non gli avevo mai visto.
«Sei
sparita per tre giorni! Tre! Ti rendi conto di quello che hai fatto?
Credevo di
averti sempre dato tutta la libertà di cui necessitavi, ma
tu hai dovuto
abusarne! Cos’è, una nuova moda tra i giovani,
quella di scappare di casa?»
«Ma
papà, io…»
Non
voleva darmi retta. «Silenzio! E non hai pensato neppure a
come mi sarei
sentito, nel tornare a casa e scoprire che tu eri scomparsa nel nulla?
Le tue
amiche non sapevano niente! Ho chiamato la polizia, ho addirittura
telefonato a
tua nonna, a Parigi! Ma di te nessuna traccia, come se
fossi… Abbiamo temuto il
peggio! Hai la più pallida idea di quello che ci hai fatto
passare? Mi auguro
che tu abbia una buona storia da raccontare, perché questa
volta non te la
caverai con delle semplici scuse! Puoi considerarti in punizione per il
resto
della tua vita, spero che questo sia chiaro!»
Mio
padre, il mio tranquillo, pacato, stoico e freddo papà, che
raramente si
lasciava andare all’ira, era letteralmente un fiume in piena.
Vomitava frasi
sconnesse l’una dietro l’altra, rincorrendo tutti i
pensieri che dovevano
averlo assalito in quei giorni e cercando di mettermene a parte, e
soprattutto
senza avere la minima intenzione di ascoltare ciò che io
avevo da dire.
Approfittai
di un momento di silenzio in cui stava riprendendo fiato, per poter
avere la
possibilità di difendermi. «Je
t’en prie,
papà, siediti e lascia che ti spieghi ogni cosa.»
Lui
mi lanciò uno sguardo per nulla convinto, tuttavia si
sedette sul divano di
fronte a me, giungendo le mani davanti al viso come faceva di solito e
facendomi intendere di iniziare con le mie “scuse”.
Cosa che feci davvero: gli
raccontai ogni singola cosa che mi era capitata in quel breve lasso di
tempo, a
partire da quando ero stata trascinata all’interno del pozzo
del nostro
scantinato fino a quando ero stata quasi uccisa da un demone ragno, e
poi di
come ero stata curata e riportata a casa da una ragazza che aveva
condiviso
parte del mio stesso destino. Non tralasciai nulla, cercando di rendere
il più
realistico possibile quel racconto che, me ne accorgevo benissimo da
sola, non
stava né in cielo né in terra.
E,
effettivamente, questo doveva essere proprio quello che pensava anche
mio
padre.
Quando
tacqui, svuotata ormai da quelle terribili confessioni che non avevo
più voglia
di tenermi dentro in gran segreto, vidi che mi osservava di sbieco, con
un’espressione basita, come se non riuscisse a credere che
fossi stata capace
di inventarmi una simile storia per coprire la mia
“fuga”. Ciò che disse dopo,
infatti, non fece che confermare la mia supposizione: non mi aveva
creduta.
«Se
pensi che questa pazza storia possa esularti dalla tua punizione,
allora…»
Iniziò, ricominciando ad arrabbiarsi.
In
quel momento mi ricordai della mia ferita. Ma certo, quale altra prova
migliore
della cicatrice degli artigli lasciatimi da quel demone sulla schiena,
per
farlo ricredere su quanto appena detto? In silenzio mi alzai e, sotto
il suo
sguardo sorpreso, mi sfilai il maglione, rimanendo a torso nudo, con
l’unica
copertura della fascia fattami dall’anziana sacerdotessa
Kaede intorno al
petto.
«Pensi
ancora che mi sia inventata tutto, papà?»
Domandai, cercando di trattenere le
lacrime. Sapevo quanto potesse suonare assurda tutta la situazione, ma
era
terribilmente fastidioso e demoralizzante il fatto di non venire
creduta dal
proprio padre.
Si
alzò dal divano e, lentamente, mi raggiunse, facendomi
voltare in modo da
dargli le spalle; poi, con delicatezza, passò una mano sopra
la fasciatura,
tastando la ferita ancora fresca – con tutte le volte che si
era aperta, ormai
credevo non sarebbe più guarita del tutto – e
strappandomi un gemito. Allora si
allontanò da me come se si fosse scottato, e
indietreggiò nuovamente verso il
divano, crollando a sedere.
«Mio
Dio, Nicole… Quello che mi hai detto è
così… così…»
Mormorò, tenendosi la testa
con le mani.
Non
potei trattenere un sospiro. «Incredibile?»
Risposi, andando a sedermi accanto
a lui. Gli posai una mano sulla schiena e posai la fronte sulla sua
spalla,
come quando ero piccola. «Stai tranquillo,
papà… Tanto adesso è tutto finito,
non me ne andrò più.»
Lo
dissi per tranquillizzarlo; lo dissi perché avrei voluto
crederci; ma,
soprattutto, lo dissi perché volevo sforzarmi di non sentire
la strana fitta di
malessere e, forse, nostalgia, che mi assaliva non appena con la mente
tornavo
al villaggio Musashi e ai suoi abitanti, e il viso di una bambina si
faceva
largo a forza tra i miei ricordi… Lo dissi perché
desideravo fosse vero, perché
desideravo non far parte di quel mondo.
Ma,
purtroppo, ora me ne sentivo indissolubilmente legata.
***
Da
quel giorno, trascorsero ben due settimane.
Avevo
ripreso ad andare a scuola, com’era ovvio che fosse: le mie
compagne di classe,
palesemente preoccupate della mia sparizione improvvisa, mi
tempestarono di
domande per sapere cosa mi fosse successo e soprattutto dove fossi
stata, ma in
fondo conoscevano troppo bene il mio carattere riservato e discreto per
insistere una volta che avevo già detto loro di non volerne
parlare.
Ma
ormai mi ero accorta che vivevo per inerzia. Avevo smesso di uscire con
le mie
amiche, le uniche volte che varcavo il cancello di casa mia era per
andare a
scuola, e anche lì stavo più in disparte di
prima. Se all’inizio questo mio
comportamento poteva essere giustificato in quanto ero la
“ragazza nuova”, la
“straniera”, ora non faceva che rendermi
insopportabile a tutti coloro che
avevano l’ardire di rivolgermi la parola. Scattavo e mi
arrabbiavo per un
nonnulla, tanto sa risultare odiosa persino a me stessa. Ma non potevo
farci
nulla: la mia mente era costantemente altrove, e se qualcuno provava a
riportarmi alla realtà gli rispondevo male o lo fulminavo
con un’occhiataccia
gelida.
Come
se ciò non fosse abbastanza, la mia condotta era strana
persino a casa mia.
Trascorrevo serate intere nella cantina, raggomitolata per terra con le
gambe
strette al petto, senza distogliere lo sguardo dal pozzo che, adesso,
sembrava
del tutto innocuo. Portavo sempre con me una torcia, ma
l’accendevo di rado; in
quei momenti di insperata tranquillità riuscivo a pensare e
a riflettere,
incurante del freddo umido del vecchio scantinato.
La
mia mente combatteva contro una vera e propria fase amletica: tornare o non tornare? Al di
là del pozzo,
chiaramente. Nascondevo il viso nelle braccia incrociate sopra le gambe
e
prendevo dei profondi respiri, come se questo potesse in qualche modo
aiutarmi
a prendere una qualsiasi decisione. Era difficile, era tremendamente
difficile.
La mia casa non era lì, in fondo: non era quello il mio
mondo. Ma allora perché,
perché, maledizione, non
riuscivo a scostare
il pensiero da quel luogo? Che razza di incantesimo mi avevano fatto?
Si
trattava solo della Sfera? Era lei che mi stava richiamando indietro?
La prima
sera che l’avevo sfiorata avevo sentito una sorta di battito
al suo interno, ed
era calda, viva: possibile che
stesse
cercando di attirarmi di nuovo al di là del pozzo, in modo
da tornare ancora in
mio possesso?
Un’altra
cosa che non tolleravo era il silenzio di Hiromi-san. Dopo avermi
rivelato di
conoscere la mia natura di miko – per quanto io stessa non ne
comprendessi l’origine
– aveva cessato di rivolgermi la parola, se non per pura
educazione. Non mi
aveva più detto nulla al riguardo, lasciandomi libera di
rimuginare anche su
quello come se non avessi avuto abbastanza problemi. Alla fine avevo
deciso di
lasciar perdere: di qualunque cosa fosse a conoscenza non doveva essere
così
importante e fondamentale, se non me ne aveva parlato.
E
così adesso ero lì, gli occhi puntati sul pozzo
silenzioso. Le mie mani
tormentavano il bordo del mio maglione, la schiena ormai quasi
completamente
guarita che poggiava sul muro in pietra della cantina, e le labbra socchiuse in un
sospiro silenzioso.
Avevo promesso a mio padre che non sarei mai più scomparsa;
ma prima di lui
avevo fatto anche un’altra promessa… Avevo
assicurato ad una piccola bambina
dagli occhi castani e i capelli corvini che sarei tornata da lei, e che
non l’avrei
lasciata sola. E malgrado le minacce che mi aveva rivolto il suo
signore, alla
fine mi avevano permesso di tornare a casa con la convinzione che sarei
tornata
subito.
Cosa
che non era avvenuta…
Basta,
ero stufa. Non era da me stare in disparte ad attendere che il destino
facesse
il suo corso, ero più dell’idea che ciascuno fosse
artefice e responsabile del
proprio, di conseguenza era arrivato il momento di prendere in mano la
situazione e agire.
Ciò
che accadde dopo fu talmente frenetico che non non riesco a
ricostruirlo con
precisione. Rammento che saltai in piedi e che corsi in camera mia,
afferrando
un enorme borsone da viaggio dal mio armadio e infilandoci alla rinfusa
qualche
maglione, pantaloni, indumenti intimi e cose simili, insieme a una
torcia
elettrica e una buona dose di pile di ricambio, alcuni libri e degli
aciugamani. Dopodiché scesi frettolosamente al piano di
sotto, trascinandomi
appresso la borsa e raggiungendo la cucina, dalla quale presi un
coltello a serramanico
e un po’ di provviste, che non erano da dimenticare. Lasciai
il mio bagaglio
sul tavolo della cucina e andai in bagno, dove mi appropriai di un
baule del
pronto soccorso e di alcuni medicinali che avrebbero potuto servirmi
– la mia
ferita sulla schiena era guarita, certo, ma persisteva il ricordo.
Infilai il
giubbotto, i guanti e un cappellino, e prima di andarmene scrissi un
biglietto
che avrebbe trovato Hiromi-san sul tavolo da pranzo non appena fosse
tornata a
casa dalla sua passeggiata.
Ecco,
adesso potevo dirmi pronta. Afferrai un ombrello e lo gettai nella
borsa prima
di richiuderla con la zip, dopodiché me la caricai in spalla
e raggiunsi l’ingresso,
infilandomi impaziente le scarpe. Dovevo aproffittarne ora che ero da
sola in
casa, altrimenti non mi avrebbero permesso di fare una cosa simile.
Certo,
avrei potuto usare il mio pozzo, ma non mi fidavo: non sapevo dove
sarei
sbucata, e l’idea di incontrare qualche altro demone
intenzionato ad uccidermi
era tutto fuorchè invitante. Mi sembrava molto
più saggio andare al tempio
Higurashi e usufruire di quello, che se non altro era molto
più vicino al
villaggio Musashi.
Spalancai
la porta e corsi fuori, ignorando la pioggerellina che aveva iniziato a
cadere.
Iniziai a correre e non rallentai per nessuna ragione, cercando di
raggiungere
il tempio al più presto prima che la ragione si
reimpossessasse della mia mente
convincendomi dell’assurdità di quello che stavo
facendo.
Non
volevo tornare indietro; avevo preso la mia decisione.
Sarei
tornata.
Perdonami, papà.
Ma ho una missione
da compiere e devo tornare dall’altra parte del pozzo; non
tornerò fino a
quando non avrò ritrovato la Sfera della mamma. Spero che
questa volta
comprenderai le mie ragioni, e non ti preoccuperai. Stai tranquillo,
sarò in
buone mani. Lascia che Hiromi-san ti spieghi tutto, se vuoi. Ma devi
farle le
domande giuste.
Ti voglio bene,
Nicole.
________________________________________________________________________________________________________
AA - Angolo Autrice:
Aggiornamento
non proprio rapido, e capitolo appena più lungo dei
precedenti. Ma volevo "liquidare" la faccenda di Nicole in un unico
capitolo, spero comunque di non averlo reso troppo frettoloso e che si
siano capiti i sentimenti di Nicole, che si trova divisa tra due mondi
anche se ancora non in modo del tutto irreparabile... Spero di non
avervi deluso, ad ogni modo ^^ E ora passo ai ringraziamenti!
AR - Angolo
Ringraziamenti:
Ehm, okay, non ho il tempo di rispondere anche a quelle
dello scorso capitolo (in teoria adesso dovrei essere immersa nello
studio) ma voglio comunque ringraziare:
- Kobato:
Anch'io penso che sarebbe pesante tutta la compagnia appassionatamente,
sono più per il più intimo gruppo di
Sesshomaru... Beh, vedremo come si evolverà la storia! ^^ Un
bacione, a presto! =*
- Maya
Deleon_Energy Alchemist: Grazie per la recensione, davvero
noti un cambiamento in Sesshomaru? Mah, chissà cosa nasconde
il bel tenebrone... Continua a seguirmi! ^^ Un bacio =*
- elenasama:
Come vedi, Nicole è tornata nel Sengoku! ^^ Spero di non
averti delusa con questo capitolo! Un bacio, a presto!
- Alebluerose91:
Geme! Grazie per aver recensito, ti voglio bene =*
Inoltre,
voglio ringraziare le 11 anime pie che hanno messo questa storia tra le
preferite:
E le 15
gentilissime che l'hanno aggiunta tra le seguite:
Siete dei
tesori! Grazie mille =* Ci sentiamo al prossimo aggiornamento che -
spero - avverrà presto!
Un
bacione, GiulyRedRose
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