Il Ritorno della Sfera

di Niglia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Un demone chiamato Sesshomaru ***
Capitolo 3: *** 2. Il veleno del demone-tigre ***
Capitolo 4: *** 3. Una serva per la piccola Rin ***
Capitolo 5: *** 4. I predatori della Sfera ***
Capitolo 6: *** 5. Kaede, l'anziana sacerdotessa ***
Capitolo 7: *** 6. La compagnia degli Shikon riunita ***
Capitolo 8: *** 7. Ritorno a casa: Nicole nel presente ***
Capitolo 9: *** 8. Decisioni difficili e strane scoperte ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



copertina





四魂の球の戻り
- Il Ritorno della Sfera degli Shikon -

























Prologo
















La Sfera dei Quattro Spiriti è tornata.

Sono trascorsi solo tre anni da quando tutto è finito, tre anni lungo i quali sono accaduti avvenimenti che hanno per lo più riempito di gioia il mio povero cuore, ma sembra che questa volta la Sfera non abbia avuto la pazienza di attendere altri secoli prima di recuperare il suo potere e riprendere a tormentarci.

Se solo tu, mia povera sorella, fossi ancora in vita, sapresti certamente come comportarti… Ma ora l’unica ad avere ereditato il tuo potere è la divina Kagome, che ha deciso di vivere stabilmente nel nostro mondo: non ha più attraversato il pozzo Mangiaossa, da quando è tornata indietro per stare con Inuyasha.

Ma se non fossimo stati in pericolo, non ti avrei mai incontrato in sogno; mi hai raccomandato solo di fare attenzione, perché la maledizione della Sfera non è stata estinta del tutto. Hai mormorato con tristezza che il potere di questa è aumentato negli ultimi tre anni… Come può essere possibile? Ne dovrò parlare con la divina Kagome, prima di agire di conseguenza. Ma cosa faremo se la forza e il potere spirituale della compagnia che ha distrutto Naraku tre anni fa non dovesse più bastare?

Basta, sorella. Non turberò più il tuo sonno con le mie preghiere.

Riposa in pace per sempre, Kykio.

***

Giappone, XXI secolo.

«Ehi, Nicole-chan! Cosa fai dopo la scuola?»

Mi voltai incuriosita verso Akane, una mia compagna di classe, che mi faceva cenno di raggiungerla al suo banco, dov’era circondata dalle altre ragazze. Mi ero trasferita da poco da Parigi a causa del lavoro di mio padre, e dato che in Francia non avevo nessun altro parente rimasto in vita, ero stata costretta a seguirlo abbandonando la mia scuola e tutti i miei amici. Senza contare che avevo dovuto seguire un corso accelerato di giapponese – dato che non ne avevo mai sentito neppure una parola – per poi iscrivermi ad una classe inferiore rispetto ai miei studi, in modo da potermi mettere presto al pari con i miei nuovi compagni. Per fortuna questo non era stato un grosso problema: in Giappone le classi erano strutturate diversamente rispetto alla Francia, così mi ritrovai a non essere la più vecchia della classe, dato che avevamo tutti la stessa età.

Magra consolazione, comunque.

Abbandonai il mio posto preferito accanto alla finestra e raggiunsi le ragazze, cercando di ostentare una disinvoltura che non avevo; quella divisa mi metteva incredibilmente a disagio, era incredibile che in delle scuole così severe permettessero delle gonne così corte. Una volta accanto a loro, notai ancora il forte contrasto che facevano i miei lunghi capelli biondi vicino alle teste corvine delle mie compagne, ma al contrario delle mie aspettative la mia diversità non aveva generato né commenti offensivi e né invidie di nessun genere. Si, ero stata fortunata.

Ma dopo due mesi di scuola non potevo dire di non essere riuscita ad ambientarmi almeno un pochino: il merito era tutto di Akane, che mi aveva fatto entrare nel suo gruppo.

«Non lo so,» dissi sinceramente, pensando a quanto dovesse sembrar loro ridicolo il mio accento francese. «Penso che ritornerò a casa… Voi avevate qualche idea?»

«Chitose-chan ha proposto di andare al karaoke! Cosa ne pensi?» Sorrise, attendendo una mia risposta.

Non dovetti rifletterci molto: non avevo idea di quando mio padre sarebbe tornato a casa, e rimanere sola in quella tetra e vecchia abitazione non era per niente una bella prospettiva. Perciò sorrisi di rimando e annuii, allegra. «Si, mi piace! Ma vi avverto che non so cantare.»

«Oh dai, non dire sciocchezze! Tutte le ragazze sanno cantare.» Replicò Akane, con un sorriso smagliante.

A volte mi domandavo ancora come facevo a comprendere quel linguaggio, e soprattutto come facevo a scriverlo con una relativa facilità… Tutto grazie ai facoltosi professori privati di mio padre, penso.

Appena arrivata nella nuova scuola, avevo notato che tutti gli occhi degli studenti di qualsiasi età si erano puntati su di me, studiando ed osservando incuriositi la nuova arrivata straniera. Come avrei dovuto immaginare, conoscevano già tutto il mio curriculum, e i presidenti dei club più influenti della scuola vennero da me per chiedermi di iscrivermi al loro gruppo di studio: a quanto pare era obbligatorio per ogni studente fare parte di un club, e fosse stato per loro mi avrebbero voluta in tutti quanti, ma alla fine optai per iscrivermi solo al club di musica. Suonare il pianoforte era sempre stata la mia passione, e non l’avrei abbandonata solo a causa di un cambiamento di scuola.

Poi c’erano stati i ragazzi – o pretendenti, come mi aveva suggerito Akane, da subito l’unica che mi aveva accolto come una persona normale, senza trattarmi né come regina né come aliena. Arrivavano da tutti i corsi, anche quelli più piccoli, cosa che io trovavo inconcepibile: non riuscivo a credere che persino le matricole puntassero alle studentesse più grandi! Finchè era il contrario okay, ma… Possibile che non mi considerassero troppo vecchia per loro? Ad ogni modo, per me erano troppo piccoli. Così, presi l’abitudine di parlare fitto in francese quando uno di loro mi voleva avvicinare, e dato che con qualcuno non funzionava ero costretta a parlare il tedesco. La maggior parte di loro si era rassegnata e mi aveva lasciato perdere, ma rimanevano i “sempai”, ossia gli studenti del mio stesso anno, che ancora non demordevano.

Beh, peggio per loro; se c’era qualcosa che volevo evitare al momento era proprio di venire coinvolta in qualche rete amorosa. Ero lì solo per studiare, e quando mio padre fosse dovuto tornare in Francia, volevo farlo senza avere la sofferenza di abbandonare il mio fidanzato.

Così, presi ad uscire e frequentare solo Akane e il suo gruppo di amiche, che era anche lo stesso che faceva parte del mio club di musica; avevamo molte cose in comune, così non mi dispiaceva stare con loro.

Quando tornai a casa, quel giorno, era quasi ora di cena; contrariamente alle mie aspettative, la macchina di papà era già parcheggiata nel vialetto, e le luci dentro erano già state accese. Mi dispiacque di non essere stata in casa quando era tornato da lavoro, ma ormai capitava così raramente che ci vedessimo…

Con un sospiro aprii la porta di casa ed entrai, lasciandomi alle spalle il vento fresco di ottobre. Come una brava giapponese, mi sfilai le scarpe, lasciandole nel mobiletto del pianerottolo in pietra dell’ingresso, e presi le pantofole per poter girare liberamente sul prezioso parquet di casa. Andai in cucina a salutare Hiromi-san, la governante giapponese assunta da mio padre, dopodichè lo raggiunsi nel suo studio.

«Bonsoir, papa.» Lo salutai in francese. «Com’è andata al lavoro?»

Lui sollevò lo sguardo da dei documenti che stava leggendo, piegando leggermente le labbra in un sorriso mentre mi faceva cenno di avvicinarmi. «Tutto bene, chèrie, grazie. E a scuola?»

Scrollai le spalle, chinandomi a posargli un bacio sulla guancia. «Come sempre.» Poi mi sentii in dovere di giustificarmi per il mio ritardo. «Scusa se sono rientrata tardi, ma le mie compagne mi hanno invitata ad uscire con loro e mi sembrava scortese rifiutare…»

Papà sollevò una mano per far cessare le mie scuse. «Non preoccuparti, chèrie, è tutto a posto. Ti ho aspettato per cenare, o forse hai già mangiato?»

«No no, volevo cenare con te.» Dissi, con un mezzo sorriso.

Lui annuì, compiaciuto. «Bene, allora andiamo. Non facciamo aspettare oltre madame Hiromi.»

«Si dice Hiromi-san, papà.»

«Ah, non mi ci abituerò mai.»

Dopo cena, ci spostammo in salotto per permettere a Hiromi-san di rimettere a posto la cucina senza che ci fossimo noi a disturbarla. Papà volle un resoconto completo della mia giornata scolastica, come faceva ogni volta che avevamo l’occasione di parlare a lungo, e mi fece piacere che mi ascoltò così attentamente. Ad un certo punto, però, si scusò e alzò per andare un momento nel suo studio, e mi raccomandò di aspettarlo lì, senza muovermi. Ovviamente, obbedii.

Quando tornò, aveva in mano una piccola scatoletta vellutata.

Si sedette accanto a me e, accarezzando l’oggetto tra le dita, iniziò a parlare. «Tra poco sarà il tuo compleanno, chèrie.» Esordì, dolcemente. «Sono trascorsi dieci anni, ormai, da quando tua madre ci ha lasciati, e io ho avuto il coraggio di darti questo oggetto solo adesso che sei una donna adulta… Sai che tua madre aveva la tua età, quando la incontrai per la prima volta?»

Vidi un mesto sorriso apparire sulle sue labbra, prima che continuasse. «Era così bella… Ricordo che non si era mai separata da questo» indicò la scatolina, «e uno dei suoi ultimi giorni mi raccomandò di darlo a te… Chissà, forse sentiva che non sarebbe sopravvissuta abbastanza a lungo per potertelo consegnare di persona.»

Quando si voltò a guardarmi fui certa di avere gli occhi umidi di lacrime represse.

«Tieni, chèrie. Aprilo e non separartene mai.» Mi porse quella piccola scatola ed io la presi tra le mani, accorgendomi di tremare lievemente mentre facevo scattare la molla che ne apriva il coperchio. Poi, quando ne vidi il contenuto, trattenni il fiato dallo stupore.

Adagiato sul velluto color porpora c’era un grosso cristallo, grande quanto una noce e forse anche di più, che aveva la forma di una sfera perfettamente levigata. Non avevo mai visto prima un gioiello simile, e ad esssere sincera non avevo neanche il ricordo di mia madre che lo portava; forse era troppo prezioso per poterlo esibire come un comune gioiello. Poi sentii nuovamente la voce di mio padre che mi parlava.

«Tua madre la chiamava la Sfera dei Quattro Spiriti, anche se non ho nessuna idea del perché. Mi disse solo che era una sorta di amuleto che proteggeva e apparteneva alla sua famiglia da generazioni, ed era per questo che non se ne seaparava mai. Sembra un diamante, non è così?»

Annuii lentamente, totalmente rapita dalla bellezza di quel monile.

Non me ne separai nemmeno quando andai a dormire; lasciai la scatolina aperta sopra la scrivania, in modo da avere quella sfera davanti ai miei occhi mentre mi spogliavo e indossavo il pigiama, e la ripresi poi prima di infilarmi sotto le coperte. Stranamente, non l’avevo ancora sfiorata, come se avessi paura di toccarla. Se si fosse frantumata sotto il mio tocco, non me lo sarei mai perdonato, dato che era ormai l’unico ricordo che avevo di mia madre…

Però, non potevo resistere oltre. Con molta cautela allungai la mano sopra la sfera, avvicinandola piano all’altezza del mio viso… E a quel punto udii come un cuore che batteva al suo interno, proprio dentro la Sfera. Allontanai subito il volto da essa, spaventata, osservandola come se mi aspettassi che esplodesse da un momento all’altro.

Ma grazie al Cielo non accadde nulla di tutto questo. «Che stupida…» Sospirai, prima di prendere la sfera in mano e rigirarla lentamente tra le dita, sollevandola in modo che assorbisse i riflessi della luce della lampada, proprio come un vero cristallo. Eppure potevo ancora sentire quel lieve battito, e avrei potuto mettere la mano sul fuoco sul fatto di aver sentito la superfice gelida della sfera diventare tiepida man mano che la toccavo, come se stesse prendendo vita sotto il mio tocco…

Oh, ero davvero una sciocca! Riposi nuovamente il prezioso monile all’interno della sua custodia, che misi poi sotto il mio cuscino. Dopo aver spento la luce, il sonno calò su di me facendomi dimenticare ogni cosa a proposito della Sfera dei Quattro Spiriti e di ciò che essa poteva celare.

«Nicole-chan, per cortesia, potresti scendere in cantina per prendere un’altra bottiglia di questo vino?»

La mattina successiva non dovevo andare a scuola, dato che era già sabato. Sollevai lo sguardo dal libro – francese, naturalmente – che stavo leggendo e mi rivolsi alla governante, che era davvero troppo anziana per poter scendere giù in cantina. Annuii, alzandomi, e presi la bottiglia vuota che mi stava porgendo in modo da non sbagliarmi e prenderne un’altra, dopodichè aprii la porta della cantina – che si trovava nella stessa cucina – e scesi le ripide scale di legno immerse nel buio, dato che la struttura della casa nella quale abitavamo era troppo antica per permettere di installare la corrente elettrica anche là sotto.

Io avevo la mia torcia, ad ogni modo.

Appena giunsi alla fine delle scale, sentii uno strano calore all’altezza del petto, e incuriosita tirai fuori dal colletto del pullover che indossavo la mia Sfera, che avevo agganciato ad una catenina in modo da portarla sempre con me. Non appena la sfiorai con le mani essa divenne ancora più calda, oserei dire quasi bollente, e fui costretta a mollare la presa per non bruciarmi. E poi, sentii di nuovo quel suono, come il ritmo dei battiti di un cuore.

«Ma cosa accidenti sta succedendo?» Borbottai, puntando la torcia in direzione del rumore.

Mi ritrovai ad illuminare una specie di vecchio pozzo, posto quasi al centro della cantina, dalla quale ero quasi certa che provenisse quel suono: Forse si tratta di una qualche falda acquifera sotterranea, pensai, sforzandomi di non tornare urlando su in cucina.

Incuriosita, mi avvicinai al pozzo, del quale notai la struttura in pietra: inoltre era scoperchiato, come se effettivamente fosse ancora utilizzabile. Mi sporsi, puntando la torcia ad illuminarne il fondo, ma non vidi che muschio e pietre: era chiaro che ormai si era asciugato, e non poteva servire più a niente. Tirai un sospiro di sollievo e indietreggiai, voltandomi verso gli scaffali nei quali riposavano le bottiglie di vino che mio padre aveva fatto arrivare dalla Francia. Era ovvio che non ci fosse nulla nel pozzo, ero stata una sciocca a farmi spaventare da una cosa così; e allora perché continuavo ad avere quella strana sensazione, come di una presenza alle mie spalle che non mi toglieva gli occhi di dosso?

Stavo per risalire le scale ed andarmene quando, all’improvviso, accadde. Non ebbi il tempo di reagire, né di urlare: potei solo rendermi vagamente conto di qualcosa – un paio di braccia, forse – che mi afferrò in vita, sollevandomi di peso e trascinandomi all’interno del pozzo, dove precipitai senza mai raggiungere il fondo. La sfera nel frattempo aveva iniziato ad ardere, come se fosse stata nel fuoco, e allora gridai sia dalla paura che dal dolore.

«Urla pure quanto vuoi, umana…» Un sibilo, seguito da una breve e secca risata, giunse alle mie orecchie, facendomi rabbrividire. «Non ti sentirà nessuno, e dopo che avrò preso la Sfera, ti mangerò…»

«Cosa diavolo sei?!» Gridai, presa dal panico, mentre cercavo di dibattermi dalla sua presa.

La creatura rise di nuovo, accentuando la stretta ed avvicinando il viso al mio. «Sono un demone, sciocca… E tu hai qualcosa che voglio!»

Le sue braccia strapparono il mio pullover, denudandomi e scoprendo la catenina con appesa la sfera di mia madre che avevo tenuto gelosamente nascosta. Quando le mani del demone si avvicinarono ad essa, la Sfera irradiò una luce che mi accecò, facendo probabilmente lo stesso anche con il mostro che mi voleva uccidere. Approfittando del fatto che quest’ultimo aveva allentato la stretta, mi liberai con un violento strattone, riuscendo ad allontanarlo da me semplicemente toccandogli le braccia. Al mio tocco emise un grido spaventoso, precipitando nel buio del pozzo.

«Maledetta sacerdotessa! Mi vendicherò!»

Dopodichè venne inghiottito dall’oscurità, nel momento esatto in cui io atterrai sul fondo del pozzo, reso morbido dall’erbetta e dal muschio che vi era cresciuto. Ero sconvolta.

«Ma… È stato solo un sogno?» Mormorai, guardandomi intorno. Tuttavia, il fatto di indossare solo il reggiseno e di avere il pullover completamente distrutto mi fece ricredere sul fatto di avere immaginato tutto. Quel mostro quindi voleva la mia Sfera? Perché? E per quale motivo mi aveva chiamata sacerdotessa? Io, che ero in Giappone da poco più di due mesi!

Con un sospiro mi alzai, spazzolandomi via la polvere dalla gonna; come glielo avrei spiegato il mio aspetto ad Hiromi-san? Dubito che avrebbe creduto a quella storia, se gliel’avessi raccontata…

Mi rimboccai le maniche – metaforicamente parlando, dato che indossavo solo il reggiseno – e provai ad arrampicarmi sulle pareti del pozzo per tornare in superficie, visto che se avessi chiamato aiuto non mi avrebbe sentito nessuno. Fortunatamente il pozzo era asciutto da abbastanza tempo, così le pietre delle pareti non erano scivolose e non fu difficile risalire. Una volta arrivata in cima, però, mi accorsi che c’era qualcosa che non andava. Quella non poteva essere la mia cantina.

Perché il pozzo spuntava in mezzo ad un bosco?












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Questo è un piccolo esperimento ^^
E' la prima volta che scrivo una fan fiction su Inuyasha, ma adoro troppo la storia - e in particolare Sesshomaru - per non cimentarmi nell'impresa!
Ad ogni modo, mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate, soprattutto per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi, l'ambientazione eccetera... So che è un pò prematuro avendo solo il prologo, ma almeno provate xD Il titolo in kanji l'ho preso da google translate perchè purtroppo non ho mai studiato il giapponese, ma mi auguro che sia giusto... -.-
Un grazie in anticipo a tutti quelli che avranno il cuore di leggere e recensire! Grazie =*
Ah, un avviso: causa studio e altre storie in corso, non riuscirò a postarla in modo molto puntuale, ma cercherò di fare di tutto perchè non resti incompleta.
Alla prossima!


Le mie storie:
The Wrong Man - Originale
No One Would Listen - Fan fiction su "Il Fantasma dell'Opera"
La Sciarpa Rossa - One shot originale
An Angel only for me - One shot originale

Buona lettura ^^


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Capitolo 2
*** 1. Un demone chiamato Sesshomaru ***


悪 魔 は 殺 生 丸 の 名 前
-
Akuma wa sesshō maru no namae -























Saltai fuori dal pozzo, guardandomi intorno a bocca aperta.

Non riuscivo a capire che cosa fosse successo… Che fine aveva fatto la cantina? Che fine aveva fatto casa mia? L’unica cosa che ne rimaneva era quel vecchio pozzo in pietra, che però sorgeva in una piccola radura al centro di un’immensa foresta. Decisamente quella non era Tokio.

Coraggio, Nicole, stai calma. Pensai tra me, sforzandomi di pensare lucidamente. Forse il pozzo di casa tua era collegato con un cunicolo ad un altro pozzo, che si trovava in una foresta… E dal quale sei uscita tu. Un po’ come il principio dei vasi comunicanti, no?

Si, questa teoria mi piaceva. C’era un solo problema… Per quello che ne sapevo io, non ricordavo che ci fosse un bosco accanto al mio quartiere, anche se potevo sempre sbagliarmi. Dopotutto non abitavo proprio al centro della città, anzi ero in una zona residenziale circondata da parchi… Beh, avrei camminato un po’, prima o poi avrei trovato l’ingresso di quel parco o bosco che fosse. Certo, sarebbe stato imbarazzante farsi trovare in quelle condizioni – ero pur sempre mezzo nuda – ma era sempre meglio di rimanere lì ferma ad aspettare.

Man mano che mi inoltravo nel bosco, però, mi rendevo conto che sembrava non esserci nessun altro oltre me, non si sentivano i tipici rumori e suoni dei parchi, come le voci dei bambini che giocavano, o i venditori ambulanti, o le giostre, insomma, nulla di tutto questo. Regnava solo il più assoluto silenzio, rotto solo dal sibilo del vento che faceva frusciare le foglie degli alberi.

E inoltre stavo iniziando a sentire freddo. Avevo la pelle d’oca e niente per coprirmi, e anche la Sfera era tornata ad essere gelida, posata com’era sul mio petto. Come se non bastasse, poi, il sole stava iniziando a calare, lasciando lo spazio al buio della notte; da quanto stavo camminando, ormai? Non mi sarei dovuta allontanare così tanto dal pozzo, visto che se davvero ero uscita da lì, allora potevo anche tornarci per raggiungere nuovamente casa mia. Ma non ci avevo pensato in tempo, ed ora ero praticamente sola in un posto che non conoscevo. Già, perché se fossi stata ancora a Tokio, probabilmente avrei già iniziato a vedere qualche grattacielo. Ma all’orizzonte si vedevano solo alberi e, più in lontananza, le montagne.

Dove diavolo ero finita?

Ormai ero stanca e tremavo dal freddo, così mi sedetti ai piedi di un albero secolare, cercando di ripararmi il più possibile tra le sue grosse radici; raccolsi le gambe e mi rannicchiai contro di esse, come se la stoffa della gonna potesse perlomeno darmi l’illusione del calore. Mi sciolsi i capelli, in modo che coprissero un po’ la schiena completamente nuda, e anche se lieve il sollievo ci fu lo stesso.

Mi ero quasi rassegnata a trascorrere la notte da sola, in quel luogo sperduto, e stavo per addormentarmi quando sentii per la seconda volta la stessa voce di poco prima.

«E così eccoti qui… Sei la sacerdotessa che ha la Sfera!»

Sgranai gli occhi e sollevai di scatto la testa, ritrovandomi ad osservare da vicino la creatura che mi aveva fatto precipitare nel pozzo e che aveva cercato di rubarmi la Sfera. Questa volta sembrava umano: aveva le sembianze di un giovane uomo, vestito con una strana armatura da samurai del quattordicesimo secolo, e i capelli raccolti in un codino che ricordavano le antiche stampe giapponesi dell’epoca Sengoku. Lo riconobbi soprattutto per le ustioni che aveva sul braccio, nel punto esatto in cui l’avevo toccato: non so perché, ma ebbi la sensazione che quelle scottature gliele avesse procurate il mio tocco. Non mi avrebbe fatto molta paura, se subito dopo non avessi notato i suoi artigli lunghi e luccicanti come acciaio al posto delle dita, e una coda da tigre che si agitava dietro di lui.

«Che cosa sei?» Esclamai disgustata, alzandomi in piedi e stringendo tra le mani la Sfera.

Lui esplose in una risata divertita, lanciandomi poi uno sguardo di fuoco inequivocabilmente affamato e omicida. «Sei un po’ ripetitiva come sacerdotessa… Ma non mi importa più di tanto. Adesso dammi la Sfera, così ti posso uccidere e chiudiamo la faccenda!»

«Sei pazzo!» Urlai, tirandogli una grossa pietra che avevo raccolto senza che lui se ne accorgesse, in modo da riuscire a distrarlo per poter scappare il più lontano possibile.

«Pensi di farmi del male con un misero sasso?» Senza che me ne fossi accorta, il demone apparve di fronte a me, sbriciolando la pietra nel pugno e facendo volare al vento la polvere rimasta. «Sono stufo di giocare. Dammi la Sfera

Si gettò su di me, lo sguardo completamente demonizzato, e una smorfia che metteva a nudo la sua dentatura appuntita come zanne. Mio Dio, stavo davvero per morire? Mi inchinai, coprendomi la testa con le braccia e aspettando il colpo che mi avrebbe uccisa. Non credevo che sarei morta in una situazione così assurda, senza che neppure comprendessi come ci fossi finita!

Aspettai, ma il colpo non arrivava. Sorpresa, e non volendo credere che il mostro volesse risparmiarmi, alzai cauta il viso, lanciando uno sguardo di sfuggita intorno a me. Ciò che vidi mi fece sgranare ancora di più gli occhi, stupita.

Il demone era stato bloccato da un’alta e slanciata figura che mi dava le spalle, e di cui potevo vedere solo i lunghi e fluenti capelli argentei che riflettevano il colore della luna, che gli ricadevano come un manto sulle spalle larghe e possenti. Egli aveva immobilizzato il mostro con le sole mani, senza utilizzare nessuna delle due spade che vidi pendergli al lato; sentii i gemiti del mio quasi-assassino che presto si trasformarono in ringhi furiosi, quando l’essere dalla chioma argentea lo spinse dal lato opposto a dove ero io. Da dietro le sue spalle vidi il demone-tigre – non sapevo proprio in che modo riferirmi a lui – sollevarsi da terra, e potei distinguere chiaramente un’aura di rabbia e ira crescente avvolgerlo, fino a quando un’alta fiammata lo avvolse come un rogo.

Mi coprii gli occhi, certa che stesse per morire bruciato, ma dato che non udivo le sue urla disperate osai nuovamente guardare, e questa volta inciampai mentre cercavo di indietreggiare, spaventata. Al posto del mostro, ora, c’era una specie di tigre alta quattro metri, con zanne grosse e appuntite come scimitarre e delle zaffate di fumo che gli uscivano dalle narici; più che ad una tigre faceva forse pensare ad un drago.

Quando poi vidi che si era gettato verso colui che mi aveva difeso, lanciai un grido, coperto però dal pesante ruggire della creatura, che si avventò sul braccio dell’altro, scuotendo poi il muso come se avesse voluto strapparlo a morsi. Stranamente, il mio salvatore non sembrava essersi scomposto più di tanto: le sue unghie si trasformarono in altrettanti artigli acuminati con i quali trafisse il collo della creatura, squarciandoglielo, e per il dolore essa fu costretta ad abbandonare la presa. Poi, mentre questa ruggiva, agonizzante, ai piedi dell’uomo dai bianchi capelli, egli sguainò una delle sue spade e gli mozzò la testa con un colpo rapido e deciso, facendola rotolare lontano dal corpo. Fu con immenso orrore che osservai il corpo della tigre ritornare nuovamente alle sue sembianze umane, prima che si polverizzasse come cenere sotto ai miei occhi.

Deglutii a fatica, riprendendo a respirare normalmente, e quando sollevai lo sguardo vidi che l’essere che mi aveva salvato mi stava fissando a sua volta, la fronte imperlata da minuscole stille di sudore. Era chiaro che il combattimento lo aveva sfinito, anche se era stato molto più breve di quanto avessi immaginato. Dal braccio che la creatura aveva morso stava colando sangue misto ad una strana sostanza verde, viscosa, che mi fece immediatamente pensare al veleno; prima che potessi ragionare a mente fredda lo vidi crollare in ginocchio, ansimante, e tenersi il braccio con l’altra mano, le sopracciglia aggrottate dal dolore e dalla sorpresa e le labbra dischiuse in un ringhio silenzioso. Tuttavia, quando vidi i suoi denti acuminati non riuscii a trattenere un gemito, spaventata.

Allora anche lui era un demone! Già, era impossibile che un essere umano potesse fare quello che aveva fatto lui solo pochi istanti prima, e anche se era ferito il suo sguardo feroce mi fece rabbrividire. Cos’avrei dovuto fare? Dovevo fuggire? Ma lui mi aveva salvato…

Mentre cercavo di riflettere il più velocemente possibile, vidi i suoi occhi roteare, improvvisamente spenti, e crollò a terra con un tonfo sordo per poi rimanere immobile, come morto. Fu più forte di me: mi precipitai accanto a lui, prendendogli la testa tra le mani per non farla poggiare direttamente sulla nuda roccia. E adesso?

«Padron Sesshomaru!»

Mi voltai di scatto verso la voce, stridula e grondante panico, ritrovandomi ad osservare un piccolo mostriciattolo con larghi occhi gialli sbarrati dal terrore e un muso spalancato mentre chiamava a gran voce chissà chi. In una zampa stringeva un bastone sormontato da due macabre teste di donna e di uomo i cui capelli ondeggiavano al vento, e con l’altra si reggeva la testa calva. Istintivamente mi chinai verso il demone che tenevo in grembo come per proteggerlo, dato che non avevo idea di chi mi trovavo davanti.

«Stai indietro, mostro! Non toccarlo!» Sibilai, cercando di spaventarlo scacciandolo con la mano come si fa con una mosca fastidiosa.

Tutto ciò che ottenni da parte sua fu un’occhiata a metà tra lo sorpreso e il fastidio, mentre puntava contro di me le due teste del suo terribile bastone. «Tu stai lontana da lui! Che cos’hai fatto al padron Sesshomaru?» Sbraitò, isterico.

Poi i suoi occhi si colmarono di lacrime. «Padron Sesshomaru, svegliatevi! Cosa vi succede?»

«Sei cieco, mostro? Non vedi che è svenuto?» Ribattei, senza staccare lo sguardo da quel bastone: era inquietante, forse più delle sue lacrime. «Lui è il tuo padrone?»

«Come fai a non consocerlo, umana? Lui è il grande Sesshomaru!» Ripetè, calcando sul nome con un’enfasi che non comprendevo. «E voglio sapere che cosa gli hai fatto!»

«Io?!» Lo guardai stupita; pensava davvero che potessi ridurre un demone della sua forza in quello stato? Quel mostriciattolo era davvero pazzo!

«Non prendermi in giro, sei una sacerdotessa!» Ribadì l’altro, furioso.

Mi limitai a scuotere la testa, esasperata. Ero stanca, nuda, morta di freddo e non avevo nessuna voglia di litigare con una sottospecie di elfo convinto che avessi quasi ucciso il suo padrone. Come se non bastasse, avrei voluto medicare quella tremenda ferita al suo braccio, ma continuando di quel passo non avrei fatto proprio nulla.

«Senti, stupido esserino!» Sbottai, puntandogli un dito contro. «Il tuo padrone mi ha salvato ma è rimasto ferito, e sicuramente apprezzerebbe di più se tu mi aiutassi a fare qualcosa, invece di restare lì ad inveirmi contro!»

«Salvarti? Il padron Sesshomaru?» Ripetè le mie parole come se non credesse alle sue orecchie. Poi sgranò gli occhi, sconvolto. «Ferito?!»

«Olè, certo che sei proprio sveglio per essere un demone.» Mormorai, con un sospiro. «Ti decidi a fare qualcosa o lo vuoi lasciare morire dissanguato?»

«Io, io… Ah…» Borbottò qualcosa di incompresibile mentre faceva scorrere lo sguardo da me al suo padrone privo di sensi e viceversa, come se stesse ancora cercando di assimilare la situazione. Poi si voltò verso qualche cespuglio e urlò. «Rin, vieni subito fuori!»

Spostai lo sguardo da lui al cespuglio dal quale sentii provenire un gemito, terrorizzata al pensiero che il piccoletto potesse chiamare chissà quale mostro per uccidere me e portare poi via il suo padrone. Ma dalle foglie venne fuori solo una bambina, pressappoco sui dieci anni, con un kimono colorato e leggermente annerito che le arrivava fino alla caviglia e dei lunghi capelli neri arruffati che le incorniciavano il volto abbronzato. Che anche lei fosse stata un demone?

Ad ogni modo non fu lei a spaventarmi, quanto l’animale di cui la bambina teneva il guinzaglio come se fosse stata la cosa più normale del mondo; sembrava un piccolo drago, grosso però quanto un cavallo, che possedeva due teste ricoperte di squame iridescenti, così come tutto il resto del corpo. In groppa aveva invece una sella, come se venisse usato da cavalcatura. Bene, quello era senza dubbio un demone.

«Coraggio, umana, aiutami a caricare il padron Sesshomaru sopra Ah-Un.» Ordinò l’esserino, facendomi cenno di prendere il padrone per le braccia. Cercai di non fare movimenti bruschi mentre provavo a sollevarlo, e quando riuscii a metterlo almeno seduto, lo strano animale che aveva portato la bambina mi si avvicinò e chinò una testa per aiutarmi a far salire Sesshomaru sopra la sella. Lui non si mosse né gemette, segno che le sue condizioni erano davvero gravi. Se non ci fossimo sbrigati a fare qualcosa, probabilmente sarebbe morto davvero.

«Jaken, questa ragazza viene con noi?» Domandò la bambina, stupendomi con una voce e tenera.

Così era questo il nome del mostriciattolo, eh?

«Il padron Sesshomaru non ne sarà molto contento.» Borbottò lui, salendo sopra Ah-Un. «Tuttavia se ha rischiato la sua vita per quella di questa umana, penso si arrabbierà ancora di più se non la portiamo con noi… Chissà, magari gli può servire per qualcosa.»

Decisi di ignorare le sue insinuazioni, dato che io non sarei diventata la schiava di nessuno. Tuttavia mi voltai verso la piccola Rin e le sorrisi, porgendole la mano. «Il mio nome è Nicole, piccola.»

«Che strano nome!» Commentò, sorpresa. Poi ridacchiò. «Però mi piace.»

«Oh, grazie. Anche il tuo è molto carino.»

A quel punto Jaken sbuffò. «Allora, vi sbrigate a salire su Ah-Un? Il padron Sesshomaru va curato!»

Presi Rin in braccio e salii in groppa al demone, dietro Sesshomaru, in modo da tenere ancora il suo capo sul mio grembo, come se il mio calore potesse in qualche modo essergli di conforto. Avevo nascosto la Sfera di mia madre in tasca, e nessuno di loro sembrò perciò notarla. Meglio così: per quel giorno avevo già avuto troppi guai a causa sua.
















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Perdonate la brevità di questo capitolo, mi rifarò col prossimo! ^^
Ringraziamenti:

  • Angorian: Grazie per la recensione ^^ Spero che da questo primo capitolo sia riuscita a capire qualcosa di più.. Un bacio a presto =*
  • KiraKira90: Qualunque dubbio ti sia sorto, ti assicuro che man mano si andrà avanti con la narrazione tutto acquisterà un senso! Ma se svelo tutto subito poi perdo ogni "suspence" =p Sai che non ci avevo proprio pensato all'immagine di Pocahontas?? Però ti devo dar ragione, la ricorda un sacco xD Per quanto riguarda l'analogia della caduta nel pozzo di Nicole e Kagome, certo, anche quella è voluta, e fra qualche capitolo si capirà ^^ Un bacio, al prossimo capitolo! =*
  • Kobato: Grazie mille per i fantastici complimenti, davvero, non ho parole! ^^ Spero di non deluderti, dato che hai già etichettato questa fanfiction come "piccola opera d'arte".. wao, cercherò di esserne all'altezza *-* A presto, un bacio! =*
  • lirinuccia: Innanzitutto, grazie mille per i complimenti ^^ Per quanto riguarda la faccenda della Sfera, ovviamente anche quella verrà ampiamente spiegata tra qualche capitolo... Comunque ti posso dire che, se hai visto il film "La spada del dominatore del mondo" , il succo è più o meno lo stesso... Il sigillo che 'imprigionava' la spada So'unga sarebbe dovuto durare mille anni, se non ricordo male, e così è stato, dato che è arrivato fino all'epoca di Kagome; ma quando la spada è tornata nell'epoca Sengoku con Inuyasha, attraverso il pozzo, risultava che lì il sigillo era durato solo tre secoli... Okay, non è granchè come spiegazione, comunque tra qualche capitolo questo aspetto verrà spiegato molto meglio ^^'' A presto! Bacio =*
  • celina: Grazie mille per i complimenti e per la recensione ^^ Per quanto riguarda il problema "tecnico".... Nel mio pc i caratteri sono normali, rientrano prefettamente nella pagina, quindi temo che sia "colpa" del tuo computer é.è Comunque ancora grazie, e a presto =*
  • Alebluerose91: Geme! Hai recensito anche tu *-* Grazie mille anche a te per i complimenti, ti voglio bene =* Per quanto riguarda i tuoi dubbi, tranquilla, lo sai che la tua zemezeme non lascia le cose in sospeso u.u Spiegherò tutto quanto, non preoccuparti! Ah, e non pensavo che la preghiera a Kikyo piacesse così tanto, perciò ancora grazie ^^ Un bacione, alla prossima! Smack =*
  • Ada Wong: Ciao cara! Grazie mille per i complimenti ^^ In questo capitolo il bel Sesshomaru fa solo una breve apparizione, ma nel prossimo apparirà un pò di più... E anche nei successivi, tranquilla u.u Sono contenta che ti piaccia Nicole! Piace molto anche a me <3 Ah, per 'The Wrong Man' dovrai aspettare un pò, temo, perchè al momento ho poco tempo per dedicarmi al 16 (i capitoli di questa storia che ho postato così in fretta sono già stati scritti...) Comunque cercherò di aggiornare velocemente! Un bacione, continua a seguirmi =*
  • Kagome96: Grazie mille per i complimenti e la recensione! ^^ Un bacio, a presto =*
E con questo vi lascio! Ci leggiamo al prossimo capitolo ^^ Nell'attesa, commentate numerose *-* Un bacione!
GiulyRedRose


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Capitolo 3
*** 2. Il veleno del demone-tigre ***


悪 魔 の よ う な 虎 の 毒
- Akuma no yōna tora no doku -
















Ah-Un ci portò in una caverna ben nascosta dalla vegetazione, in una delle montagne più alte, librandosi tranquillamente in volo. Ammetto di avere avuto più paura in quel momento che non durante l’attacco del demone-tigre, ma queste sono piccole fobie personali.

Non appena le zampe del grosso demone-drago toccarono la dura roccia dello spiazzo che precedeva l’entrata della caverna, Jaken saltò a terra trascinando con sé Rin, per poi aiutarmi a smontare senza spostare il suo padrone, che venne portato all’interno della grotta in groppa ad Ah-Un. L’interno dell’angusta spelonca era gelido e umido, e mi fece ricordare il trascurabile dettaglio della mia nudità: essendo in compagnia di una bambina e tre esseri non meglio definiti, me ne ero quasi scordata. Tuttavia osservai tra lo sorpreso e l’incuriosito il piccolo demone Jaken puntare la testa maschile del suo bastone verso un cumulo di erbe secche e piccoli trochetti portati da Rin nel frattempo, per poi far fuoriuscire dalla bocca del vecchio un getto di fiamme ardenti che accesero rapidamente il fuoco.

«Come… Come hai fatto?» Balbettai, guardandolo sconvolta.

Lui fece chinare il drago accanto al fuoco in modo che il demone Sesshomaru potesse scivolare dolcemente per terra senza peggiorare la sua già grave ferita. «Il Bastone delle Due Teste può fare questo e molto altro, sciocca umana.» Rispose poi, accumulando della paglia sotto il capo del suo padrone.

Scossi la testa, dopodichè decisi di prendere in mano la situazione: che cosa poteva mai sapere quella specie di folletto di medicina o medicamenti?

«Lascia fare a me, Jaken.» Ordinai secca, avvicinandomi e inginocchiandomi vicino al mio paziente. «Innanzitutto ho bisogno di acqua fresca e di tutte le erbe medicinali che riesci a trovare nei paraggi, alle garze penserò io…» Aggiunsi, pensando a come strappare la mia gonna ormai inutile.

«Pensi che ti lasci da sola con il mio padrone? Mi ritieni così sciocco?» Sbottò, pestando il bastone per terra con disappunto.

«Credi che possa fargli del male? Guardami!» Ribattei, allargando le braccia. Non che fosse una bella mossa, dato che l’aria gelida della caverna mi invase in pieno, ma almeno Jaken potè rendersi conto che non sarei stata capace di fare del male al suo signore. Primo perché ero pur sempre una debole umana, stando a quanto detto da lui, e secondo perché non avevo nessuna intenzione di fare del male a colui che mi aveva salvato la vita, anche se si trattava dell’ennesimo demone che incontravo.

«Rin allora rimarrà qui.» Decise lui, come per avere l’ultima parola.

Io annuii subito. «Certo. Vieni Rin, mettiti accanto al fuoco, vicino a me.»

Jaken mi osservò ancora parecchio scettico, ma poi saltò in groppa ad Ah-Un e volò nuovamente fuori dalla caverna, accompagnato dal soffio dell’animale. Sospirai, augurandomi che facesse in fretta. Non sapevo quano potessero resistere i demoni al veleno.

«Rin, ti spiace aiutarmi?» Dissi poi, rivolgendomi alla bambina.

«No, Nicole-kun. Cosa posso fare?»

Mentre mi aiutava a far scivolare il prezioso kimono del loro padrone fino alla vita, in modo da scoprirgli la ferita, mi chiesi che cosa ci faceva quella bambina umana insieme a tre demoni: che fosse la figlia di Sesshomaru, avuta con una donna umana? Durante i miei corsi di Storia e Letteratura Antica Giapponese ricordo di aver letto qualcosa a proposito di simili unioni, anche se nei miei libri le metteva sotto la dicitura Leggende; non avevo idea di dove fossi finita, ma era ovvio che in questo mondo tutto ciò che in genere veniva classificato come mito o leggenda apparteneva alla più cruda realtà. Tuttavia Rin non sembrava somigliare al demone dai capelli color della luna, aveva un’aria del tutto fragile e umana.

Quando mi concentrai di nuovo su Sesshomaru, che ormai stava respirando a fatica, dovetti mordermi le labbra alla vista dell’orrenda ferita che non riguardava solo il braccio, ma anche una buona porzione della spalla. Se avesse aspettato solo un secondo in più prima di uccidere il demone-tigre, probabilmente quest’ultimo sarebbe riuscito a staccargli l’arto a morsi.

Con un sospiro mi sfilai la gonna, ringraziando mentalmente il Cielo di avere indossato dei pantaloncini al di sotto di essa, in modo da prevenire qualsiasi evenienza. Certo, quando l’ho fatto non avrei pensato che sarebbe andata a finire così, ma sempre meglio di niente.

«Rin, hai un coltello, per caso?» Domandai alla bambina, sperando che ne avesse uno.

Per fortuna, lei annuì. «Ho un pugnale! Me l’ha regalato Sango-kun…» Disse, tirando fuori da una tasca del kimono un piccolo pugnale dalla punta affilata come un rasoio.

Da quando si regalano queste cose alle bambine? Pensai, sconvolta.

«Grazie, Rin.» Mi limitai a dire, usando il pugnale per tagliare la mia povera gonna in tante strisce sottili da utilizzare a mò di garza. Il tessuto rimasto lo usai invece per pulire la ferita, cercando di togliere il grosso del veleno che continuava a colare sul suo petto, mischiato al sangue. Non so come riuscii a non rigettare tutta la colazione, ma evidentemente avevo uno stomaco più forte del previsto.

Mentre asciugavo la ferita, non riuscii ad impedirmi di pensare a quanto fosse liscia la sua pelle, in un modo del tutto inumano: era completamente glabro, non un solo accenno di peluria gli ombreggiava il corpo, e anche se mi avevano sottolineato più volte che lui era un demone non riuscivo a capacitarmi che potesse esistere davvero. Insomma, non mi sarei stupita se mi fossi svegliata all’improvviso scoprendo di aver fatto solo un sogno, ma il freddo e l’odore del suo sangue erano troppo reali per farmi credere sul serio ad una cosa del genere. Mi ritrovai improvvisamente a sfiorare con la punta delle dita il fascio di muscoli scolpiti che gli abbellivano il torace, ricoperto da un sottile velo di sudore: dimostrava venticinque o ventisei anni, eppure qualcosa – una strana sensazione – mi suggerì che doveva essere molto più vecchio. Com’era possibile?

Distolsi la mente da quei pensieri e sollevai un attimo lo sguardo, rivolgendolo alla bambina. Sembrava tremendamente preoccupata e aveva gli occhi lucidi, come se stesse per scoppiare in lacrime da un momento all’altro.

«Stai bene, Rin?» Le chiesi, gentilmente.

Lei scosse piano la testa, asciugandosi gli occhi con la manica del kimono. Come immaginavo…

«No, Nicole-kun…» Balbettò, tirando su col naso. «Sono preoccupata per il signor Sesshomaru. Non l’ho mai visto in queste condizioni… Credevo che nessuno avrebbe mai potuto ferirlo…»

Sospirai, accarezzandole teneramente una guancia. «Oh, tesoro, nessuno è così invincibile…»

«Il signor Sesshomaru sì, invece.» Ribattè, incrociando le braccia come se l’avessi offesa.

«Beh, ora però è ferito…» Replicai, cercando di farla ragionare. Non poteva credere davvero che qualcuno potesse essere immortale e invincibile, anche se si trattava di un demone!

Tuttavia ottenni solo l’effetto di aumentare il suo pianto. «Se Kagome-kun fosse qui, riuscirebbe a purificare la ferita.» Dichiarò, tra un singhiozzo e l’altro.

Con questo conquistò completamente la mia attenzione. «Chi è questa Kagome?» Domandai, incuriosita; se l’avessimo trovata in tempo avrebbe potuto aiutarci, visto che le mie cure sembravano non sortire l’effetto sperato.

«È la moglie di Inuyasha, il fratello del signor Sesshomaru, però è anche una sacerdotessa,» mi spiegò, semplice e concisa. «Come mai non la conosci?»

Avrei dovuto spiegarle che venivo da un’altra epoca? Non mi sembrava il caso, dato che non volevo mi prendessero ulteriormente per pazza. «Diciamo che non sono di queste parti.» Dissi, liquidando l’intera faccenda con un gesto della mano. «Credo che dovremmo andare a cercare questa Kagome…»

«No, nel modo più assoluto!»

Io e la piccola Rin ci voltammo contemporaneamente verso l’entrata della caverna, sulla quale si stagliava l’ombra di quel demonietto chiamato Jaken e della sua cavalcatura. Corse nella nostra direzione, intralciato e reso ancor più goffo dal lungo bastone che sembrava un prolungamento del suo braccio, e mi fissò con occhi truci.

«Non ti permetterò di chiamare quella donna, umana!» Ribadì, puntandomi contro un piccolo dito tozzo.

Io inarcai un sopracciglio, per niente intimorita. «Spiegami per quale assurda ragione dovremo fare come dici tu!»

Lo vidi gonfiare le guance, infastidito dalla mia risposta. «Il padron Sesshomaru odia persino l’odore di quella ragazza e di quell’iniquo di suo fratello!»

Okay, questa in effetti era una ragione più che adeguata. Però non volevo nemmeno restare a guardare il nobile demone che moriva per colpa di uno sciocco pregiudizio… Sospirai, scuotendo rassegnata la testa; visto che nessuno voleva andare a chiamare questa Kagome – e mandare da sola Rin era fuori discussione – avrei dovuto arrangiarmi con i mezzi a mia disposizione.

«Allora cosa possiamo fare?» Mormorai. Poi mi voltai verso Jaken. «Hai portato quello che ho chiesto?»

Il demone rospo, o lucertola, o quello che era, tirò fuori da una sacca una borraccia di cuoio colma d’acqua e delle erbe medicinali avvolte in un panno, al riparo dalla pioggia. Le presi e le avvicinai al fuoco, in modo da controllare con la luce di cosa si trattava; bon, in realtà non ero mai ricorsa a quella medicina alternativa, ma se loro dicevano che si trattava di piante portentose, tanto valeva farne uso.

«E ad ogni modo, ragazza,» sputò ancora Jaken, con incredibile disprezzo. «Anche tu sei una sacerdotessa. Perché non ti rendi utile e usi il tuo potere spirituale per purificare la ferita del padron Sesshomaru?»

Sbattei più volte le palpebre, piuttosto interdetta: no, non lo capivo perché non conoscevo la sua lingua – quella grazie al Cielo l’avevo imparata bene – ma semplicemente perché non avevo la più pallida idea di cosa stava dicendo. Potere spirituale? Purificazione? Avevo studiato la filosofia shintoista, ma di certo non credevo che ci fosse qualcuno che credesse seriamente in quelle cose. Insomma, sarebbe stato come se mi avessero chiesto di invocare il diavolo o fare qualche altra stregoneria del genere. E poi, non capivo perché tutti sembravano convinti che io fossi una sacerdotessa. Quando quella parola era mai uscita dalla mia bocca?

«Senti, Jaken, se avessi anche solo la minima parte di questi fantomatici poteri, credimi, farei di tutto per aiutare il tuo padrone.» Replicai, parlandogli lentamente come si fa con i bambini piccoli che si interrogano sul senso della vita. «Ma sinceramente non so di cosa tu stia parlando.»

«Sciocchezze! Il tuo potere riesce persino a sovrastare la tua puzza da umana.»

Adesso stavo iniziando seriamente ad arrabbiarmi. «Come ti permetti di parlarmi in questo modo?» Sibilai, alzandomi in piedi e stringendo gli occhi. «Mi stai davvero seccando!»

Incredibilmente lo vidi indietreggiare di qualche passo, ma prima che mi venisse voglia di usare il pugnale di Rin contro di lui, la bambina si frappose tra me e il demonietto.

«Per favore, Nicole-kun, ignoralo.» Mi supplicò, preoccupata. «Non è abituato alle sacerdotesse, si comporta sempre così.»

Non avevo voglia di ripetere per l’ennesima volta che io non ero una sacerdotessa, perciò mi limitai a tornare ad inginocchiarmi accanto al demone ferito, trattenendo il nervosismo. «Stupide monstre raciste

«Hai detto qualcosa, Nicole-kun?»

«No, Rin, niente.» Era una fortuna che nessuno comprendesse il francese.

Ad ogni modo, tutto quel ripetere all’infinito che io ero una sacerdotessa mi aveva sinceramente incuriosita: io sapevo per certo che, a rigor di logica, era impossibile che potessi esserlo, ma d’altra parte mi trovavo di fronte a due demoni di cui fino al giorno prima avrei dubitato l’esistenza, e come se non bastasse ero finita in un’altra epoca tramite un pozzo e avevo rischiato di essere mangiata. A quel punto, se anche avessi posseduto realmente dei “poteri spirituali”, la cosa non avrebbe dovuto sconvolgermi più di tanto, n’est-ce pas?

Quindi, dopo aver pulito per l’ennesima volta la ferita del demone chiamato Sesshomaru, che continuava a sanguinare veleno senza interruzione, presi un profondo respiro e, vincendo la leggera nausea, avvicinai le mani al piccolo squarcio che gli deturpava parte della spalla. All’inizio non sapevo bene che cosa ci si aspettava che io facessi: ma alla fine provai una sorta di impulso che mi costrinse a posare i palmi delle mani sulla ferita, quasi a dover bloccare l’emorragia, e contemporaneamente la Sfera che avevo riposto nella tasca dei miei pantaloncini iniziò ad ardere, bruciandomi la pelle. Strinsi i denti perché non volevo che né Jaken né Rin venissero a conoscenza di quel monile, e cercai istintivamente di convogliare quel terribile calore nella ferita del demone.

Fu come sentire un piacevole formicolio corrermi lungo tutta la superficie della pelle, una sorta di potente energia che proveniva da non so quale luogo profondo dentro di me, che andò a concentrarsi sui palmi delle mie mani per poi trasferirsi all’interno della ferita. Sentii le mani diventarmi gelide come per mancanza di circolazione sanguigna, ma nello stesso tempo vidi la terribile lacerazione della pelle marmorea del demone richiudersi sotto il mio tocco, lasciando dietro di sé nulla più che un semplice tepore. Mentre osservavo, sconvolta, quell’incredibile prodigio, fui improvvisamente consapevole del fatto che il veleno mortale del demone-tigre era del tutto sparito dal corpo di Sesshomaru, svanito… Come purificato.

Ero senza parole.

Il mio sguardo si spostava dal punto in cui c’era stata la ferita pochi istanti prima alle mie mani, che avevo stagliato in controluce rispetto al fuoco come se mi aspettassi di vedere qualche strano marchio apparso all’improvviso sulla mia pelle. Ma non vi era nulla di tutto questo, le mie mani erano semplicemente fredde. Tutto qui.

«Il padron Sesshomaru… è… guarito…» Gracchiò Jaken, incredulo: sembrava stesse trattenendo a stento un pianto irrefrenabile.

Mi voltai verso Rin, ma vidi che lei invece sorrideva. «Ti ringrazio, Nicole-kun. Sapevo che eri una buona sacerdotessa…»

Si avvicinò a me e, prima che potessi fare qualsiasi cosa, mi si gettò al collo, stringendomi in un abbraccio che ricambiai più che volentieri. Non era il momento, quello, di domandarmi come diavolo avevo fatto a compiere quella specie di miracolo, dato che l’unica risposta che ne avrei ricavato sarebbe stata “È perché sei una sacerdotessa!

Quando Rin mi sciolse dalla sua tenera stretta, terminai di occuparmi del mio paziente. Mi premurai di rivestirlo, facendo attenzione a non svegliarlo, e gli sciolsi la cintura di cuoio alla quale vi erano appese le sue due spade, che gli posai accanto. Gli sistemai la lunga pelliccia sotto il capo e a quel punto mi sorpresi ad osservarlo attentamente, conscia di ogni minimo particolare che lo caratterizzava. I lunghi e morbidi capelli argentei sembravano riflettere la luce delle fiamme del falò che ardeva al nostro fianco, e il suo respiro era tornato lento e profondo, ormai privo della minaccia del veleno. La pelle, incredibilmente diafana, era leggermente arrossata sulla fronte e sulle gote, ma vidi con chiarezza che stava tornando velocemente alla sua normale tonalità. A titolo puramente informativo gli posai una mano sulla fronte per accertarmi che non avesse la febbre, e quel punto mi accorsi della curiosa voglia a forma di mezzaluna che spiccava su di essa, come un improbabile tatuaggio violaceo.

Dev’essere sicuramente un qualche segno che contraddistingue la sua natura demoniaca, pensai, con la mente annebbiata. Ero stanca, e tutto ciò che volevo adesso era dormire.

Mi lasciai cadere per terra, abbandonandomi contro la dura roccia e posando la testa sulla parete della caverna. Ero del tutto incurante della mia nudità, ormai ci avevo fatto l’abitudine, e il calore del fuoco mi accarezzava teneramente la pelle nuda scacciando il gelo. Rin venne a sedersi accanto a me, raccogliendo le gambe contro il petto e posando il mento sulle ginocchia, osservando pensierosa il demone addormentato e il suo piccolo servitore che lo vegliava, fedelmente, al suo fianco.

La sentii sospirare. «Credi che si riprenderà presto?» Domandò.

«Si, ne sono sicura.» Biascicai in risposta, con un filo di voce.

Non era della forza di Sesshomaru che dubitavo, quanto piuttosto della mia. In una sola giornata avevo perso ogni singolo pilastro che reggeva la normalità della mia vita, e ancora sembrava non essere finita; già, perché prima o poi avrei dovuto pensare ad un modo per tornare a casa, non potevo di certo restare lì per sempre. Era fuori discussione.

Forse quella famosa Kagome di cui mi avevano accennato poco prima sarebbe riuscita a risolvere la mia strampalata situazione, benchè ne dubitassi. A meno che non fosse una specie di strega anche lei, ovvio. Ah no, in quell’epoca le chiamavano sacerdotesse. Come no.

Chiusi gli occhi, e pregai in tutte le lingue che conoscevo di potermi risvegliare, l’indomani, nel mio confortevole lettino. Il sonno iniziò ad impadronirsi delle mie membra, e ancora continuavo a pregare. Fu solo quando sentii la testa di Rin scivolare sul mio grembo, addormentata, che ci rinunciai.

«Ma solo per stanotte.» Sussurrai.














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Ed eccoci ai ringraziamenti! ^^

  • marrion: Grazie mille per la recensione e per i complimenti, continua a seguirmi! ^^ Un bacio =*
  • Kobato: Grazie per i complimenti ^^ Anche a me la cosa avrebbe lasciato di stucco, ma tranquilla, Sesshomaru non si è innamorato di Nicole u.u Sto cercando di renderlo meno OOC possibile - anche se sarà difficile - quindi certe cose cerco di evitarli xD Lieta di non averti delusa! Un bacio, a presto =*
  • celina: Grazie anche a te per i complimenti! ;) Come hai detto, stiamo iniziando l'avventura... Ma c'è ne vorrà un altro pò prima che inizi veramente ^_^; Nicole è una specie di sacerdotessa, anche se nessuno sa come mai... Mistero xD Al prossimo capitolo, continua a seguirmi! Un bacio =*
  • Kagome96: Grazie per la recensione! Sono davvero contenta che ti sia piaciuta ^^ Neppure io mi ricordavo il nome del drago, meno male che esiste Wikipedia... benedetta enciclopedia ;) Al prossimo capitolo! Bacio =*
  • kenjina: Carissima, anche tu qui! *-* Mi fa piacere che la mia idea ti abbia incuriosito, spero che continuerai a seguirmi :) E così Sesshomaru piace anche a te, eh?? Brava brava, sono proprio contenta +__+ (muahahaha anche a me piace l'idea di Nicole francese xD chissà perchè!) Un bacione cara, a presto! =*
  • Alebluerose91: Geme! Grazie per la recensione e gli incoraggiamenti, smack =* Spero di non averti deluso con questo capitolo =P Un bacione, a presto! =*
  • Ada Wong: Grazie per i complimenti! ^^ Presto saprai come mai Sesshomaru ha salvato Nicole, ma credo che nessuno possa intuire il perchè u.u Okay, in realtà è più stupido del previsto, ma vabbè xD Un bacio, continua a seguirmi che mi fa molto piacere ^^ Ciao! =*
  • lirinuccia: Oh, non preoccuparti per il ritardo, ti capisco benissimo se tiri in ballo lo studio eccetera.. -.-'' Comunque grazie mille per i complimenti, mi fa piacere che venga riconosciuto il mio Genio u.u (Okay, sto scherzando, tranquilla ^_^; Non sono così montata, anzi, non lo sono per niente xD) Ad ogni modo sono contenta che la mia spiegazione ti sia servita, anche se era un pò un casotto da spiegare ^^" Se hai bisogno di altri chiarimenti non preoccuparti e chiedi pure! Un bacione, a presto! =*

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Capitolo 4
*** 3. Una serva per la piccola Rin ***


少 し 凛 の サ ー バ ン ト
-
Sukoshi Rin no sābanto -























Quando, l’indomani mattina, mi svegliai, mi ritrovai con la schiena incredibilmente dolorante. Immagino che l’aver dormito tutta la notte contro la roccia della caverna non doveva aver giovato al mio corpo, già indolenzito dalla pesante giornataccia.

Istintivamente mi stiracchiai, allungando le braccia sopra la testa con un gemito di dolore e tenue piacere: fu allora che mi ricordai della piccola Rin, che aveva dormito con la testa posata sulle mie gambe per tutto il tempo. Chinai lo sguardo per osservarla, notando che stava ancora dormendo, rannicchiata contro il mio corpo. Com’era dolce… Inoltre, mi aveva tenuto piacevolmente al caldo, cosa da non trascurare.

Vagamente mi resi conto che le preghiere della notte prima non erano state minimamente ascoltate, ma a dir la verità non mi dispiaceva più di tanto; non mi ero forse lamentata di non aver mai avuto una sorellina minore da coccolare e da viziare? Ebbene, adesso potevo sopperire a quell’imperdonabile mancanza. Oh, che stupida… Ma che cosa stavo pensando?

Mi guardai intorno, decidendo per il momento di non alzarmi per non svegliare Rin, e ciò che vidi di fronte a me mi fece perdere qualche battito. Il demone che avevo curato magicamente la notte prima, il ‘grande’ Sesshomaru, era seduto esattamente al lato opposto dei residui del falò rispetto a me, con una gamba piegata parallela al suo corpo e una mano posata mollemente sul ginocchio, mentre l’altra gamba era distesa sulla roccia davanti a sé. Ma quello che mi provocò un lungo brivido lungo la schiena fu lo sguardo con cui mi stava studiando, per nulla imbarazzato. Beh, in realtà sarei dovuta essere io quella in imbarazzo, dato che ero praticamente nuda…

Oh, mon Dieu.

Me ne ero completamente dimenticata! Istintivamente incrociai le braccia sopra il petto, cercando di nascondermi alla sua vista, e contemporaneamente sentii le guace avvampare, bollenti. Proprio una bella figura, non c’è che dire.

«Sono… ehm…» Deglutii, cercando di trovare la voce per rivolgergli la parola. «Sono contenta che stiate bene… Abbiamo davvero temuto che…»

Ma lui non mi permise di continuare. «Chi sei?» Mi interruppe, freddamente. La sua voce, benchè fosse straordinariamente profonda e vellutata, sembrava grondare ghiaccio, non avrei mai immaginato che esistesse qualcuno capace di terrorizzare il suo prossimo semplicemente attraverso la voce. Oh santo Cielo, ma dove ero finita?

Ad ogni modo, comunque, non mi piacque proprio per niente il suo modo di rivolgersi. Gli avevo salvato la vita, accidenti, se avesse dimostrato un minimo di gratitudine non mi sarei di certo offesa! «Sono l’umana che ieri avete salvato da quel demone-tigre.» Replicai, con il suo medesimo tono.

Infatti, come avrei dovuto immaginare, non sembrò per niente apprezzare la mia risposta. Strinse impercettibilmente gli occhi, di un oro più puro di qualunque gioiello al quale potevo essere abituata, e per un attimo temetti che mi uccidesse semplicemente con lo sguardo. «Io non ho salvato nessuno. Quell’inetto si è semplicemente trovato nel mio cammino al momento sbagliato, e io non tollero chi mi ostacola.»

Aveva parlato sussurrando, o meglio, sibilando, senza mai staccarmi gli occhi di dosso. Stavo iniziando a sentirmi davvero a disagio, ma un rapido lampo di genio mi rammentò che non avrebbe potuto uccidermi con quella bambina presente: pessimo ragionamento da parte mia, ma vero. Inoltre, come se non bastasse, mi fece innervosire anche la sua risposta. Perché aveva negato di avermi salvato? Gli dava così fastidio avere sulla coscienza il minimo di pietà mostrata nei confronti di una povera umana?

Quanto odiavo questo genere di discorsi.

«Allora vuol dire che mi sono preoccupata per voi senza nessun motivo.» Ribattei aspra, distogliendo lo sguardo da lui e puntandolo sui resti bruciacchiati della legna del fuoco. Perfetto, non avevo più nessuna ragione di restare lì, adesso che mi ero sdebitata.

«Con quell’abbigliamento indecente è stato davvero sciocco aggirarsi da sola nella foresta.» Aggiunse invece, senza badare alla mia risposta.

Arrossii ulteriormente, dato che era l’unica cosa che potevo ormai fare. «Ero vestita molto meglio prima che quel demone mi strappasse il maglione di dosso!» Ribattei, piccata. Che razza di demone arrogante e presuntuoso, pensava di potermi trattare in quel modo solamente perché io ero un’umana? Oh, se avesse continuato non avrei esitato a fargli cambiare idea. Dopotutto, se lo avevo potuto guarire avrei potuto anche ferirlo. Fortunanatamente Rin si stava svegliando, il che fece in modo che il demone mi risparmiasse un’altra risposta acida – nonché la vita, dovrei aggiungere.

La bambina si stiracchiò, nascondendo uno sbadiglio con la mano e mettendosi seduta. Si rivolse subito a me, con un sorriso che avrebbe potuto sciogliere chiunque – ah, chiunque tranne Sesshomaru, chiaro. «Buongiorno, Nicole-kun!» Esclamò, con un’invidiabile joie de vivre. «Sono contenta che tu sia ancora qui!»

Non riuscii a trattenere un sorriso mentre le accarezzavo i capelli. «Pensavi che me ne fossi andata?»

La piccola aggrottò leggermente le sopracciglia e imbronciò le labbra, intristita. «Ho fatto un brutto sogno, credevo che Nicole-kun se ne fosse andata lasciando Rin da sola…»

«Oh tesoro, questo…» Stavo per dire che una cosa simile non sarebbe potuta succedere, ma mi trattenni, mordendomi la lingua. Non potevo fare una promessa del genere, non dopo il modo in cui mi aveva accolta il suo ‘amato’ signor Sesshomaru… Di sicuro non sarei voluta restare un minuto di più accanto a quel demone, ma come dire a quella cara bambina che tutto ciò che desideravo era tornare a casa mia?

Così, accarezzandole mestamente i capelli, sospirai. «Beh, Rin, per il momento non me ne andrò…»

A quel punto si voltò verso il demone, continuando a sorridere. «Signor Sesshomaru, state bene!» Si alzò e, prima che potessi fermarla, si era precipitata al suo fianco, stringendogli una mano. «Eravamo così preoccupati, sapete! Nicole-kun vi ha curato con il suo potere spirituale perché anche lei è una sacerdotessa, ed era così preoccupata!»

Avrei voluto che una voragine si aprisse sotto di me facendomi sparire dallo sguardo penetrante del grande demone, ma purtroppo ciò non accadde e io mi limitai ad arrossire, cercando di non incrociare gli occhi d’oro di Sesshomaru che mi studiavano come se fossi uno strano animale che non aveva mai visto. Probabilmente l’idea di dover ringraziare un’umana di essere ancora vivo non dovergli fare molto piacere. Ma comunque ormai io mi ero sdebitata, non avevo nulla da spartire con lui – anzi, con nessuno di loro: se mi avessero aiutato a ritrovare il mio pozzo gliene sarei stata grata, in caso contrario non avrei esitato ad andare da sola a cercarlo. Cos’altro poteva accadermi di peggio, tanto?

Mi accorsi dell’assenza di Jaken solo quando quest’ultimo entrò nella caverna in sella ad Ah-Un, con un’espressione vagamente contrariata che si acuì quando vide Rin tenere la mano del suo padrone. Tuttavia non osò intimarle di allontanarsi come avrebbe fatto con me, probabilmente perché in tal modo avrebbe scatenato l’ira di Sesshomaru, che a quanto pareva teneva alla bambina.

«Jaken.» Lo chiamò il demone, con una voce annoiata e indifferente. Mi ritrovai a fissare le sue labbra, morbide e carnose, che si muovevano impercettibilmente mentre parlava, quasi non volesse sprecare forze in quell’attività così disgustamente umana che è la comunicazione.

Oh Dio, se avesse potuto sentire i miei pensieri mi avrebbe sicuramente ucciso, dato il modo in cui lo stavo prendendo in giro tra me e me!

«Hai trovato ciò che ti ho detto?» Continuò, mentre continuava a tenere insistentemente lo sguardo posato su di me. A quel punto mi sorse un dubbio: cos’è, non aveva mai visto una donna mezzo nuda?

«Certo, mio signore.» Gracchiò Jaken adorante, saltando giù dal demone-drago con un fagotto stretto tra le mani che si affrettò a posare di fronte a me prima di tornare al fianco del suo padrone.

Sollevai lo sguardo su di loro, incuriosita. «Che cos’è?» Domandai, sforzandomi di essere gentile – almeno io.

Fu il demonietto a rispondermi, con sommo disgusto. «Sono degli abiti per te, sciocca umana! Non penserai che il mio grande e potente signore ti permetterà di camminare al suo fianco in quel modo indecente e vergognoso?»

L’unica cosa che feci su sollevare un sopracciglio, interdetta: forse non avevo capito bene. «Credete che io verrò con voi?» Chiesi, cercando di suonare vagamente divertita. Ah, quelle faticose lezioni al club di teatro avrebbero finalmente dato i loro frutti. «Vi ringrazio per i vestiti, ma l’unica cosa che voglio è tornare a casa mia.»

Mi si strinse il cuore quando vidi gli occhi di Rin tingersi di lacrime non versate, ma purtroppo non potevo farci niente… Era la pura verità, non sarei potuta restare. «Rin, mi spiace…» Mormorai.

Lei scosse la testa, nascondendo il volto nella soffice pelliccia di Sesshomaru.

«Tu non andrai da nessuna parte.» Dichiarò quest’ultimo, con la stessa voce atona e leggermente trascinata di poco prima.

«Come osate darmi degli ordini?» Sibilai alterata, alzandomi in piedi. «Voi non siete nulla per me, non sarò di certo una vostra serva!»

Il suo sguardo di tinse di rosso, minaccioso, ma non fu quello a spaventarmi quanto, piuttosto, ciò che disse subito dopo. «So che possiedi la Sfera degli Shikon.»

Sgranai gli occhi, sconvolta: dunque se ne era accorto? Scivolai nuovamente per terra, rannicchiandomi contro la dura roccia e mettendo una mano in tasca a chiudersi attorno al mio prezioso monile. E adesso? Mi avrebbe uccisa come aveva già detto il demone della notte prima? Anche lui voleva la Sfera?

«Volete… Volete uccidermi…?» Sussurrai, con lo sguardo fisso sul fagotto di abiti di fronte a me.

Sentii Rin singhiozzare ma non alzai gli occhi, chiudendoli al contrario. Perfetto, avevo salvato la vita al mio boia personale: e di certo non potevo contare né su Jaken né su Rin per potermi salvare, dato che il primo mi odiava a prescindere e la seconda era solo una bambina, umana come me.

«Non ritenerti così importante da poter morire per mano del mio signore!» Sputò Jaken, con cattiveria: ecco, come volevasi dimostrare…

Uno strano tonfo però mi fece sollevare di scatto la testa, permettendomi di vedere il demone rospo per terra, stordito, e la mano di Sesshomaru che tornava lentamente al suo posto, sopra il ginocchio. «Taci, Jaken. Non ho bisogno di qualcuno che risponda in vece mia.»

Dal mostriciattolo provenne un borbottio a stento intuibile. «Per-Perdonatemi, mio signore…»

Si voltò nuovamente verso di me, immobilizzandomi con il suo sguardo di brace. Solo allora notai che i suoi occhi erano incorniciati da lunghe ciglia nere che contrastavano con le sopracciglia e i capelli argentei, ma malgrado il suo aspetto quasi angelico sentivo provenire da lui una strana aurea crudele che non credevo potessi avvertire. Che fosse merito – o colpa – di quei assurdi poteri da sacerdotessa?

«Non ti ucciderò, a meno che tu non mi fornisca un valido pretesto per farlo.» Disse, con una gentile ed elegante minaccia. «Voglio solo sapere perché sei in possesso della Sfera, dato che dovrebbe essere andata distrutta tre anni fa.»

Aggrottai le sopracciglia, leggermente confusa. «La Sfera appartiene alla mia famiglia da generazioni, almeno a quanto diceva mia madre. È stata lei a tramandarmela.» La tirai fuori dalla tasca, giocherellandoci e lasciando che emanasse piccoli arcobaleni sulla parete della caverna. «Come può essere stata distrutta se ora ce l’ho io?»

«È esattamente quello che voglio sapere.»

Sollevai lo sguardo e vidi Sesshomaru alzarsi, sorprendendomi con un’altezza davvero fuori dal comune per una creatura giapponese: era davvero imponente, ed emanava una forza senza pari. «Adesso vestiti.» Mi intimò, con un tono che non ammetteva repliche.

Mi scoprii ad arrossire di nuovo, e mi odiai profondamente per quello. «Mi dispiace, ma non ne sono capace.»

Lo vidi sollevare impercettibilmente un sopracciglio, vagamente infastidito: probabilmente doveva attingere a tutto il suo demoniaco autocontrollo per resistere alla tentazione di uccidermi, ma che bravo.

«Rin ti aiuterà.» Decretò, dandomi le spalle e dirigendosi verso l’entrata della grotta con il fastidioso Jaken alle calcagna.

Sbuffai innervosita, mentre aprivo il fagotto e ne tiravo fuori i vestiti che mi avevano procurato. Si trattava di un tipico abito da sacerdotessa shintoista: un hadagi bianco e un hakui del medesimo colore, ripiegati sopra un hakama rosso porpora, ossia una lunga gonna-pantalone a pieghe. Così di nome conoscevo tutti quei vari indumenti, ma non avevo la più pallida idea di come si indossassero.

C’erano inoltre, per completare il tutto, un paio di tabi, ossia dei corti calzini bianchi con una separazione a infradito e dei zori, cioè dei normali sandali in corda. Insomma, volevano che mi abbigliassi come una sacerdotessa oppure quelli erano gli unici vestiti che Jaken aveva trovato.

Rin mi si avvicinò in silenzio, prendendo l’hadagi tra le mani e aspettando che mi liberassi dei miei vecchi abiti. La guardai, subito pentendomi di ciò che avevo detto qualche minuto prima.

«Rin… Mi dispiace…» Mormorai, sperando che mi guardasse.

Ma lei tenne ostinatamente lo sguardo fisso per terra. «Nicole-kun se ne vuole andare, anche se ha detto a Rin che sarebbe rimasta…» Sussurrò, costringendomi ad avvicinarmi a lei per sentire ciò che aveva detto.

Le posai le mani sulle spalle, cercando di guardarla negli occhi. «Rin, per favore, cerca di capire… Io devo tornare a casa mia, non potrò restare qui per sempre… Inoltre il tuo amico demone non sopporta neppure la mia presenza, credimi, è meglio così…»

A quel punto sollevò il viso su di me e io quasi desiderai che non l’avesse fatto, dato che aveva ripreso a piangere. «Il signor Sesshomaru vuole bene a Rin e vorrà bene anche a Nicole-kun!» Esclamò, con la voce rotta dai singhiozzi.

Ma io scossi la testa, cercando di farla ragionare. «Rin, non è così che funziona…!»

Avrei voluto spiegarle l’intera situazione, ma lei mi posò un dito sulle labbra, facendomi tacere. «Il signor Sesshomaru ci sta aspettando, e si arrabbierà se facciamo tardi.» Disse, chiudendo bruscamente la conversazione.

Non mi rimase che annuire, sospirando. «Va bene.»

Mi alzai, liberandomi dei pantaloncini e rimanendo in biancheria intima, prendendo quella sorta di camicia bianca che la bambina mi stava porgendo e seguendo le sue istruzioni, lasciandomi vestire come una bambola. L’hakama fu il più difficile da indossare perché si presentava come un informe sacco di patate fino a quando Rin non ne strinse la fascia in vita, appena sotto il seno, e a quel punto prese forma. Le maniche dell’hakui erano incredibilmente larghe e lunghe e arrivavano a coprirmi le mani, costringendomi un po’ nei movimenti. La cosa veramente scomoda erano i tabi, perché trovavo insopportabile il fatto di avere delle calze che mi separavano le dita dei piedi, ma certamente non potevo lamentarmi. Un paio di lacci, chiamati muna-himo, impedivano che l’hakui mi scivolasse dalle spalle, stringendosi sul petto. Rin mi aiutò a legarmi i lunghi capelli biondi con un nastro bianco, e a quel punto potei dirmi pronta.

Avvolsi i pantaloncini nel tessuto grezzo che aveva portato Jaken insieme a quegli abiti da miko, e li tenni in mano a mò di borsetta. La catenina con la Sfera l’agganciai dietro il collo, nascondendola sotto l’hadagi a diretto contatto con la mia pelle.

Poi, senza dire una sola parola, Rin mi scortò fuori dalla grotta.

Sesshomaru era seduto sotto un albero con Jaken appollaiato a qualche metro di distanza insieme al drago, le cui teste erano entrambe posate sull’erba come se si stesse riposando. Non appena uscii dalla caverna entrambi i demoni sollevarono lo sguardo per rivolgerlo a me, squadrandomi dalla testa ai piedi, il che mi mise ancora più in soggezione di quando ero mezzo nuda.

«Che cosa avete in mente?» Domandai bruscamente, non appena l’ebbi raggiunto.

Notai che Jaken stava per ribattere, ma una rapida occhiata gelida del suo padrone lo fece zittire immediatamente. «A me non serve un misero cristallo per essere il dominatore del mondo, pertanto non ti ucciderò.» Rispose, con un’invidiabile nonchalance. Perché parlava con tutta quella tranquillità di morte e uccisioni? Soprattutto della mia morte?

Lo guardai in silenzio, aspettando che aggiungesse qualcosa, ma visto che sembrava aver finito ripresi la parola. «Dunque? Che cosa volete fare con me, dato che non avete bisogno della Sfera?»

Distolse lo sguardo da me, rivolgendolo lontano, all’orizzonte. «Rin ha bisogno di una serva, adesso che sta crescendo, e non è un compito che spetta a me. Anche se sei solo un’umana, tu sembri abbastanza forte per poterla proteggere.»

Sgranai gli occhi, guardandolo come se gli fosse spuntata una seconda testa – anzi, visti i precedenti, probabilmente mi sarei stupita di meno se fosse accaduta una cosa simile. Ma ciò che aveva appena finito di dire, oltre che avermi lasciata senza parole, mi aveva letteralmente fatto arrabbiare. Come diavolo si permetteva di trattarmi alla stregua di una serva?

Stupendomi di me stessa, la voce che fuoriuscì dalle mie labbra fu calma e posata. «Mi auguro che stiate scherzando.» Dissi, a bassa voce. «Io non ho intenzione di rimanere ai vostri ordini un minuto di più.»

Sesshomaru alzò lo sguardo su di me, fulminandomi. «Non mi sembra di averti chiesto un parere.»

Avevo appena appurato di essermi pentita di avergli salvato la vita. «Siete un essere disgustoso e spregevole! Non potete costringermi a fare una cosa simile, io sono una persona e soprattutto sono libera! Non appartengo a nessuno, tantomeno a voi!» Gridai, con tanti cari saluti alla calma di prima.

Mi accorsi vagamente di Rin che mi tirava per la manica dell’hakui in modo da farmi stare zitta, ma ormai il danno era fatto. Il grande demone scattò in piedi e, con una velocità sorprendente, mi afferrò con poca grazia per il collo sbattendomi contro il tronco dell’albero al quale era appoggiato. Non mi stava soffocando, semplicemente mi aveva immobilizzata.

Portai entrambe le mie mani ad afferrargli il polso, ma ovviamente non riuscii a smuoverlo dalla sua posizione. I suoi occhi erano freddi, completamente incuranti di ciò che stava facendo, come se il suo corpo e la sua anima fossero due entità del tutto separate e che agivano l’una indipendentemente dall’altra. Quando vidi quegli occhi vitrei rabbrividii, e per la prima volta ne ebbi davvero paura. Sentivo la voce di Rin, in lontananza, che supplicava il demone di non uccidermi e di lasciarmi andare, ma Sesshomaru sembrava di tutt’altro avviso.

«Tu farai ciò che ti è stato ordinato, umana.» Sibilò, senza che un solo muscolo del suo viso si muovesse o guizzasse, foss’anche per la rabbia. «Non sei nella condizione di poter scegliere. Anche perché vorrei sapere cosa conti di fare, da sola, con quella Sfera al collo, in giro per il bosco. Domattina saresti già cibo per i demoni, e non rimarrebbe più nulla di questo tuo bel visino.»

Inaspettatamente mi lasciò andare e io crollai per terra, tossendo. Ma lui non aveva finito.

«Se vuoi fuggire, fa pure. Non sarò io ad impedirtelo.» Continuò, guardandomi dall’alto. «Ma se te ne vai ora diventerai un cadavere che cammina. È tutto ciò che ho da dirti.»

Mi massaggiai il collo, respingendo le lacrime che minacciavano di scivolare via lungo le guance, e attraverso il velo di pianto vidi che il demone mi aveva voltato le spalle, iniziando ad incamminarsi seguito da Jaken. Rin rimase al mio fianco, chinandosi verso di me con sincera preoccupazione. Allora mi rialzai e, ingoiando tutto il mio orgoglio, dischiusi le labbra.

«Aspettatemi. Verrò con voi.»












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Ehilà! ^^
Beh, che dire... Spero di essere rimasta abbastanza IC, ma ne dubito, perciò fatemi sapere se devo modificare qualche comportamento ^_^;
Passo subito ai ringraziamenti, perciò grazie a chi ha aggiunto questa storia alle seguite (
aquizziana, A___A, KiraKira90, Kobato, Saphiras e velia1) e alle preferite (Nicole221095 e velia1). Grazie mille! ^^
Purtroppo adesso non ho molto tempo per rispondere singolarmente alle recensioni, me ne occuperò nel prossimo! Comunque grazie a Kobato, celina, elenasama e Alebluerose91 per aver recensito! Vi voglio bene =*
Un bacione, al prossimo chapter!
Smack =*

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Capitolo 5
*** 4. I predatori della Sfera ***


球 の 捕 食 者
- Tama no hoshoku-sha -
























Un debole gemito fuoriuscì dalle mie labbra, seguito da quelle terribili parole.

«Aspettatemi. Verrò con voi.»

Presi Rin per mano e raggiunsi il grande demone che mi attendeva, di spalle, accanto ad un albero. Era finita. Ormai non avevo più nessun potere sulla mia vita, avrei dovuto obbedire a quel demone senza battere ciglio per chissà quanto tempo… L’unica nota positiva era che potevo contare sull’affetto della piccola Rin e sulla protezione – per quanto avessi poche garanzie al riguardo – di Sesshomaru.

Il grande demone mi aveva umiliato, e promisi solennemente a me stessa che non gli avrei mai più permesso di avvicinarsi abbastanza a me da potermi mettere le mani addosso. Prendermi cura di Rin non era un grosso problema, in fondo le volevo già molto bene, ma era il principio di essere stata costretta, addirittura minacciata, che proprio non riuscivo a digerire. Decisi che non gli avrei mai dato nessuna occasione di lamentarsi di me, sarei stata impeccabile: non avevo forse ricevuto un’educazione degna di una principessa? Non avevo mai compreso il reale motivo per cui mio padre mi avesse sottoposto, sin da piccola, ad un’educazione e un’etichetta così rigide, ma per la prima volta ne ero felice. Avrei fatto vedere a quel demone di che pasta ero fatta, e si sarebbe pentito di avermi trattata in quel modo.

Ma, per il momento, dovevo resistere.

Eravamo in cammino da non so quante ore e, oltre ad essere stanca, ero anche piuttosto affamata: in effetti, non mangiavo dal giorno prima. Mi stupii del fatto che fossero trascorse solo ventiquattr’ore da quando avevo attraversato il pozzo, dato che mi pareva fosse passata un’eternità. Istintivamente infilai una mano sotto l’hakui, stringendo la Sfera tra le dita e trovandola gelida come la prima volta che l’avevo sfiorata. Lo trovai piuttosto strano.

Mi voltai verso Rin, seduta in groppa ad Ah-Un, che si guardava intorno con la curiosità e la l’allegria tipica dei bambini. In quel momento la invidiavo sinceramente… Non solo non sembrava avere alcuna preoccupazione, ma aveva anche la protezione di un demone molto forte; inoltre, cosa da non trascurare, era stata lei a scegliere di seguirlo. Opportunità che, invece, non mi era stata proposta.

Jaken trotterellava accanto ai piedi di Sesshomaru, come se da essi dipendesse la sua intera esistenza, e parlava ininterrottamente senza quasi prendere fiato. «Mi chiedo se non dovremmo andare a cercare Totosai, mio signore, per domandargli se sa qualcosa a proposito della nuova Sfera. Dubito che quello stolto di vostro fratello o la sua compagna umana possano saperne più di un demone millenario.» Continuò, borbottando tra sé. «Con il vostro permesso, mi domando se sia stato saggio lasciarli entrambi vivere…»

Un semplice sguardo del suo padrone lo fece rabbrividire e tacere all’istante, terrorizzato. «Ah! M-ma ovviamente tutte le vostre decisioni sono sagge, mio signore, non era mia intenzione…!»

Ma già Sesshomaru non gli stava più prestando attenzione, così Jaken si arrese e tacque, imbronciato.

Chi poteva mai essere questo Totosai che aveva nominato? Possibile che potesse essere a conoscenza di qualcosa che riguardava la Sfera di mia madre? Oh, se solo fosse stata ancora in vita, me l’avrebbe potuto dire di persona… Certo, sempre se fossi riuscita a tornare a casa, cosa di cui ormai dubitavo. Non sarei mai riuscita a trovare il pozzo da sola, pur con tutta la mia buona volontà, e a meno che non desiderassi morire prima del tempo dovevo rassegnarmi e seguire quello strano gruppo di demoni.

Improvvisamente sentii uno strano borbottio provenire dalla bambina al mio fianco e subito mi voltai verso di lei, sorpresa. Rin ricambiava il mio sguardo sorridendo timidamente.

«Credo… Credo di aver fame…» Si scusò, imbarazzata.

Aggrottai le sopracciglia, preoccupata. «Oh, Rin, temo che dovrai aspettare… Dubito che…» Stavo per dire che dubitavo che Sesshomaru potesse dar retta a simili bisogni umani che avrebbero soltanto rallentato il suo cammino, quando la voce del demone interruppe i miei pensieri.

«Fermiamoci qui.» Il suo tono non aveva nessuna inflessione particolare, sembrava semplicemente annoiato e casuale, ma io ero certa che avesse sentito quello che aveva detto Rin, e che per questo aveva deciso di concederci un po’ di riposo. Possibile che fosse capace di tanta misericordia?

Oh, in realtà ero piuttosto sarcastica.

Aiutai la bambina a scendere dal drago a due teste senza dire una sola parola, decidendo che non avrei mai e poi mai ammesso di avere fame di fronte a quel glaciale demone. Avrebbe riso della mia debolezza o quanto meno avrei solo accresciuto il suo odio nei miei confronti, cosa che volevo – per quanto possibile – evitare.

«Jaken.» Lo chiamò, mentre si accomodava ai piedi di un albero frondoso. «Và e trova qualcosa da mangiare. E sbrigati.»

Il piccolo demone servitore annuì e corse via, sparendo in mezzo alla vegetazione, e visto che anche Rin si era allontanata per raccogliere dei fiori, io rimasi inevitabilmente sola con padron Sesshomaru.

Senza degnarlo di uno sguardo mi sedetti il più lontano possibile da lui, sopra una grossa radice che fuoriusciva dal terreno accanto ad un cespuglio di more selvatiche dal quale Ah-Un aveva già iniziato a mangiare. Avevo l’impressione che sarebbe stato l’unico demone erbivoro che avrei mai incontrato. Questo, ovviamente, sperando che non ce ne fossero stati altri in futuro.

Come era già accaduto alla caverna, sentii lo sguardo del demone bruciare sulla mia pelle. Tuttavia decisi deliberatamente di ignorarlo, così strappai un fiorellino selvatico da terra e iniziai a giocherellarci; non mi importava quanto potesse reputarmi infantile, l’unica cosa che desideravo era di non intavolare una qualsiasi conversazione con lui. Anche perché sapevo che, a causa del mio orgoglio di giovane donna del ventunesimo secolo, avrei finito solamente per farmi ammazzare.

Malgrado il silenzio fosse rotto dal cinguettio degli uccelli sui rami degli alberi e dal canticchiare sommesso proveniente da Rin che si trovava a pochi passi da noi, per quanto mi riguardava la situazione stava iniziando a farsi insostenibile. Avrei voluto urlare solo per sfogarmi, ma ovviamente questo era impossibile. Gettai il fiorellino in mezzo all’erba – ormai ne avevo strappato ferocemente tutti i petali – e intrecciai le mani, rimirandole al ricordo di ciò di cui erano state capaci la notte prima. Quella mani avevano curato una ferita che sarebbe stata mortale per qualsiasi altro essere umano, eppure adesso sembravano del tutto comuni, senz’alcuna traccia della magia.

Per un attimo pensai che forse Sesshomaru potesse essere interessato – o quantomeno incuriosito – da ciò di cui ero stata capace, e che fosse per quello che mi aveva costretta a seguirli, ma d’altronde non l’avrei mai saputo sapere a meno che non glielo avessi domandato espressamente. E, anche in quel caso, avevo i miei dubbi sul fatto che mi avrebbe risposto.

Sollevai gli occhi su di lui e, benchè l’avessi sorpreso nuovamente a fissarmi, il grande demone non abbassò lo sguardo, cosa che del resto non feci neanche io. Lo sostenni senza arrossire – un grosso punto per me; solo allora riuscii a notare tutti i piccoli particolari del suo volto cui non avevo ancora prestato una grande attenzione.

Il suo viso, benchè possedesse dei tratti e dei lineamenti sottili e principeschi, poteva dirsi tutto fuorchè femminile: al contrario, emanava una mascolinità che raramente avevo mai visto o sentito nei ragazzi che avevo avuto modo di conoscere. Su entrambi i lati del volto risaltavano due strisce magenta che ricordavano i graffi di una tigre, e un simile colore marcava addirittura le palpebre; tuttavia avevo l’impressione che quello, più che essere trucco, fosse un simbolo del suo rango. Non potevo vedere le orecchie, nascoste dalla lunga chioma argentea, ma rammentavo che erano appuntite come quelle di un elfo, o, almeno, come le rappresentazioni occidentali di simili creature.

No, decisamente non era umano, e in effetti arrivai anch’io a chiedermi com’era stato possibile che quello stupido demone-tigre della notte precedente fosse riuscito a ferirlo. Non avrei più messo in dubbio la sua potenza, questo era certo.

Distolsi lo sguardo solo quando sentii Rin e Jaken tornare, la prima con il kimono ricolmo di fiori colorati e dal profumo dolce e selvatico, e il secondo con un animale tenuto per le lunghe orecchie: era morto e sì, era una lepre.

«Ho fatto il prima possibile, mio signore!» Esclamò il demone lucertola, non appena ci ebbe raggiunto.

Rin mi venne accanto, sorridendomi felice e depositando tutti i fiori del suo grembiule sul mio grembo, ricoprendomi di petali di ogni colore e dimensione. «Non ti avevo ancora ringraziato per aver salvato il signor Sesshomaru, Nicole-kun.» Mi bisbigliò all’orecchio, con aria complice.

Di certo non potevo dirle che mi ero pentita di quella scelta, anche perché avevo notato lo sguardo del grande demone e avevo compreso che aveva ascoltato ciò che aveva appena detto la bambina. Tuttavia non intervenne, limitandosi a spostare lo sguardo da noi al suo servitore che cercava di accendere un fuoco decente adatto a cuocere quella lepre. Jaken aveva gettato l’animale sopra le braci, senza scuoiarlo né niente: ero allibita, pretendeva che io e Rin lo mangiassimo in quel modo barbaro? Ma che diavolo!

«Scusami un attimo, Rin.» Dissi, riporgendole una manciata di fiori e alzandomi in piedi, dirigendomi abbastanza infastidita verso il demone che agitava una mano sulle fiamme per attizzarle.

«Che cosa stai facendo, si può sapere?» Esclamai, mettendomi di fronte a lui e piantando le braccia sui fianchi: sapevo che non ero minimamente minacciosa, ma non volevo neppure provarci con Sesshomaru alle mie spalle.

Jaken mi guardò con aria di sufficienza, neanche fossi stata uno scarafaggio. «Sto preparando il vostro cibo, sciocca umana, come minimo dovresti ringraziarmi!»

Strinsi gli occhi, innervosita dal suo tono. «Punto primo, non l’avresti mai fatto se il tuo padrone non te l’avesse detto, e punto secondo, questo a tuo avviso è cucinare? Toglilo subito dal fuoco, accidenti, lo stai solo bruciando!»

Il demonietto mi fissò con i suoi grandi occhi giallognoli che avrebbero dovuto spaventarmi o farmi rimettere a sedere, ma dato che non ottenne nessuno di questi due risultati si limitò a sbuffare. «Bene!» Esclamò, riprendendo l’animale e gettandomelo tra le braccia; mi fece un po’ senso, ma non tradii quella stupida emozione. «Cucinatelo da sola!»

E, così detto, si mise a sedere in un angolo, imbronciato.

Io mi voltai verso Rin, con un mezzo sospiro. «Rin, hai ancora quel coltello?» Domandai.

Lei annuì, avvicinandosi a me e porgendomelo, sicuramente parecchio incuriosita da ciò che avevo intenzione di fare. Possibile che non avesse mai visto nessuno cucinare in un modo umano? Ah, già, dimenticavo… Se era cresciuta davvero con quei due demoni dubitavo che ne avesse mai avuta l’occasione.

Ad ogni modo presi l’animale e, cercando di non guardare, gli tagliai la testa, facendo scorrere il sangue sull’erba; ricacciai indietro il conato che avevo provocato e cercai di privarlo della sua pelliccia nel modo più veloce e indolore – per me, ovviamente – anche se sapevo che le mie mani si stavano macchiando del suo sangue.

È solo cibo, è solo cibo… Quante volte l’hai mangiato a casa, eh? Non fare la schizzinosa!

Certo, ma non l’avevo mai preparato in quel modo! Comunque riuscii a vincere il disgusto – Rin, accanto a me, aveva osservato ogni mio movimento senza distogliere lo sguardo, e senza che glielo chiedessi si era allontanata un momento per poi tornare con un lungo bastone appuntito che utilizzammo come spiedo. Lo prendemmo entrambe ad un’estremità e ci posizionammo ai lati opposti del fuocherello, iniziando a cuocere il nostro pranzo.

Avevo l’impressione di essere tornata all’età della pietra, e inoltre mi sentivo le mani scivolose e sporche a causa del sangue, ma al momento me le sarei dovuta tenere così: mi scocciava davvero pulirmi addosso al prezioso chihaya che indossavo.

Finalmente, dopo un po’, i miei sforzi diedero i loro frutti, e un delizioso profumino iniziò a emanarsi dalla nostra lepre arrosto. La togliemmo dallo spiedo, posandola su di una pietra piatta che Jaken, forse ammorbidito dalla mia dimostrazione di stomaco forte, mi aveva portato, e sempre con il coltello di Rin la tagliai fino a farne dei piccoli bocconcini che potevamo mangiare senza posate. Malgrado tutto, riuscii a mantenere una sorta di dignità anche in quello, senza arrossire o sentirmi male. Stavo davvero facendo progrressi.

«Signor Sesshomaru, Jaken! Volete assaggiarlo? È buonissimo!» Esclamò la piccola Rin, porgendone un boccone al demonietto che ci osservava incuriosito dal fianco del suo padrone. Ma sia lui che il grande demone declinarono l’offerta – veramente Sesshomaru non rispose neppure, ma la sua risposta era chiara – così io e Rin mangiammo da sole. Non che mi dispiacesse, ovviamente.

Fummo sazie molto prima di finire il nostro pasto. Alla fine ero giunta alla conclusione che, ormai, i miei vecchi pantaloncini non mi sarebbero più serviti, così presi quelli per strofinarmi via il sangue dalle mani, e un po’ funzionò, anche se stavo disperatamente desiderando del sapone.

Ci rimettemmo in cammino quasi subito, ma questa volta anch’io salii su Ah-Un insieme a Rin, decidendo che se non volevo morire per mano di un demone non volevo neanche morire di stanchezza. Come avevo immaginato, nessuno si degnò di farmi sapere dove stavamo andando, e da parte mia non avevo nessuna intenzione di chiederlo a Sesshomaru. Mi limitai a chiacchierare con Rin per dimenticare la mia attuale situazione, e per tutto il tragitto l’unico rumore che si sentì furono le nostre voci divertite.

***

Quando ci fermammo fu solo perché il sole era ormai calato dietro le montagne.

Avevamo trovato una piccola radura riparata da una parete rocciosa che sembrava un confortevole riparo in caso di un attacco da parte di altri demoni che cercavano la mia Sfera, e dopo che Jaken ebbe acceso un nuovo falò con l’aiuto del suo bastone, io e Rin ci dirigemmo verso una piccola sorgente di acqua termale nascosta tra gli alberi lì vicino. Sapevo con certezza che né Sesshomaru né Jaken sarebbero venuti a disturbarci, perciò ci spogliammo e lasciammo i nostri abiti sulla riva della piccola piscina scavata nella nuda roccia, per poi immergerci nell’acqua piacevolmente calda. La Sfera l’avevo tenuta prudentemente appesa al collo, e l’acqua riflettè i suoi cristalli sulla mia pelle.

«Sai, Nicole-kun, io non credo che il signor Sesshomaru ti odi.» Esordì all’improvviso la piccola, mentre le strofinavo la schiena.

Non potei trattenere un sospiro. «Non ho nessuna intenzione di scoprire che cosa passa in testa a quel demone, l’unica cosa che voglio è che rimanga lontano da me.» Dichiarai, categorica. Non volevo discutere con Rin del suo protettore, ma la bambina non mi aveva lasciato molta scelta.

Infatti, lei sembrava non avere nessuna intenzione di lasciar cadere così l’argomento. «A me dispiace che Nicole-kun e il signor Sesshomaru non si parlino mai…»

«Perché, quando mai ha parlato? Al di là delle minacce, intendo!» Replicai, mezzo divertita. Forse, se la buttavo sul ridere, l’intera situazione avrebbe potuto assumere dei risvolti migliori.

Tuttavia Rin ignorò completamente la mia ironia – o forse non la comprese e basta – e imbronciò le labbra, incrociando le braccia sul petto. «Il signor Sesshomaru non avrebbe mai fatto del male a Nicole-kun! Si è comportato in quel modo solo perché era preoccupato per lei…»

A quel punto presi dolcemente la bambina per le spalle e la feci voltare verso di me, in modo da poterla guardare negli occhi. «Ascoltami bene, Rin-chan.» Le dissi, teneramente. «Mi sembra evidente che il signor Sesshomaru sia molto affezionato a te, ma di sicuro non è lo stesso per me. No, ascoltami,» la interruppi, vedendo che stava per ribattere. «Lui mi ha salvato la vita solo perché quel demone-tigre ha intralciato il suo cammino, e se ora io sono qui, viva, è solo grazie a te! Perciò, Rin, il fatto che io non sopporti Sesshomaru non vuol dire che non voglia bene a te. Mi hai capito?»

La piccola mi osservò con le sopracciglia corrucciate, ma poi alla fine si arrese e annuì, seppur controvoglia. «Però a me dispiace…»

Scrollai le spalle, sospirando e immergendomi fino al collo nell’acqua calda. «Lo so, ma purtroppo non possiamo farci nulla.»

Rimanemmo sommerse a lungo, circondate da un silenzio rilassante che ci trascinò lentamente in uno stato di dormiveglia, sospese tra il sogno e la realtà. Tuttavia, avrei dovuto immaginare che quella piacevole quiete non sarebbe potuta durare a lungo.

All’improvviso infatti iniziai a sentire dei rumori sospetti provenienti da dietro i cespugli del sottobosco, come se qualcosa o qualcuno vi fosse nascosto: pensai immediatamente a dei maniaci voyeurs ancora prima di intuire che fosse un demone, e questo mi privò di alcuni minuti di vantaggio. Quando la creatura fuoriuscì dal bosco, apparendo di fronte a noi in tutta la sua terribile mostruosità, ebbi giusto il tempo di gridare e afferrare la bambina per un braccio prima che il demone si gettasse su di me.

«Rin, scappa!» Gridai con quanto fiato avevo in gola, aiutando la piccola ad uscire dall’acqua in modo che potesse correre lontano.

Ma lei, presa dalla frenesia della situazione, non riuscì a sollevarsi in piedi e a mantenere l’equilibrio e cadde, scivolando sulle pietre viscide che circondavano la fonte termale. La raggiunsi più in fretta possibile, aiutandola ad alzarsi mentre sentivo dietro di me il ruggito del demone che allungava una zampa con l’intento di afferrare una di noi. Ignorai del tutto i nostri vestiti che giacevano troppo lontani per poterli prendere e corsi via, trascinando una Rin ansante che non riusciva a starmi dietro.

I passi del mostro rimbombavano nelle mie orecchie o forse fu solo una mia impressione, eppure fui certa di averlo sentito ringhiare, frustrato: «La Sfera, voglio la Sfera!»

Di riflesso serrai la mano attorno al mio prezioso monile mentre continuavo a correre, ma anch’io inciampai su di una pietra spuntata improvvisamente dal terreno e caddi, trascindando Rin con me. Fu allora che vidi per intero il mostro che ci inseguiva, e sbarrai gli occhi dal terrore: era mostruoso, non riuscivo a definire che genere di creatura fosse. Aveva lunghe e disarticolate braccia ricoperte da una folta peluria nera con le quali avanzava rapido verso di noi, nella disgustosa parodia di un ragno; il volto – se così si poteva definire – era lucido come le chele che gli spuntavano da quella che doveva essere la bocca, e che faceva schioccare minacciosamente mentre emetteva dei suoni gutturali.

Rabbrividii, trascinando Rin dietro di me e cercando di proteggerla con il mio corpo: avvertivo una strana aurea violacea e malsana circondare il demone, ma non ebbi il tempo di approfondire quella sensazione. Vidi solo una delle sue numerose braccia sollevarsi per mostrare degli artigli ricurvi e duri come acciaio e, vedendo che aveva intenzione di colpirci con questi, gli diedi le spalle, chinandomi su Rin e stringendola al mio petto in modo che il ragno demoniaco colpisse me e non lei.

Gridai quando sentii gli artigli squarciarmi la schiena, e il dolore fu così forte che per un attimo persi ogni genere di sensibilità; mi accorsi che Rin piangeva e chiamava aiuto, e prima di perdere definitivamente conoscenza avvertii la risata gracchiante del demone, in lontananza.

Poi il dolore mi assalì come mille pugnali e svenni, precipitando nel buio.















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Bene, è arrivato il momento di rispondere alle varie recensioni ^^

Capitolo 2 - Il veleno del demone tigre:
  • Kobato: Dunque! So che non essere attratti da Sesshomaru è impossibile, ma per il momento Nicole non lo è affatto! Povera, ha altro per la testa, come per esempio pensare a come accidenti è finita nell'epoca Sengoku e come ha fatto a curare il demone... Sono contenta che il passaggio della guarigione ti sia piaciuto, ero un pò in dubbio su come descriverlo! ^^''
  • elenasama: Grazie mille per i complimenti, wao, addirittura "impeccabile"! ^^ Continua a seguirmi!
  • celina: Grazie grazie grazie mille per i complimenti - e per non aver resistito dal leggere l'aggiornamento! ^^ Spero di non averti delusa con i capitoli successivi =P A presto!
  • Alebluerose91: Geme! Scusa per non averti avvisato, le prossime volte sarai la prima a saperlo u.u Grazie per i complimenti, sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto =)

Capitolo3 - Una serva per la piccola Rin:
  • Alebluerose91: Geme di nuovo! xD Dovrai chiedertelo ancora per un pò cosa accadrà quando si incontreranno con Inuyasha e company perchè non so bene quando avverrà u.u Ancora grazie per i complimenti, meno male, avevo davvero paura di essere andata OOC... Poi mi dirai come ti sembrano i personaggi in questo capitolo!
  • Kobato: Oooooh un'altra masochista come me! *-* Anch'io adoro questo aspetto "malvagio" di Sessho (così come tanti altri personaggi cattivi dei vari manga-anime-romanzi che leggo u.u) anche perchè poi sarà più bello se e quando diventerà buono =P Ho cercato di descrivere la scena del risveglio proprio per rendere l'apparizione di Sesshomaru il più secsi possibile, lieta di esserci riuscita xD Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! ^^
  • PhOeNiX_93: Spero di non averti tenuta troppo sulle spine xD Anche a me piacciono i personaggi con un bel pò di carattere, non amo particolarmente le fanciulline indifese che aspettano l'arrivo del principe per scappare dal drago... E' più bello quando il drago lo uccidono loro, ecco xD Fammi sapere che ne pensi di questo capitolo, mi raccomando ;)
  • KiraKira90: Allura, ovviamente so bene che il venir ferito così facilmente è, per uno come Sesshomaru, parecchio insolito: anzi, addirttura lui è immune a qualsiasi tipo di veleno, a quanto dice Wikipedia! Perciò c'è una spiegazione a questa debolezza, che verrà fuori nei capitoli a venire... Naturalmente, dato che la storia è dal punto di vista di Nicole, noi non sapremo mai cosa passa per la mente al Grande Demone Cane a meno che non sia lui stesso a rivelarcelo in un momento di alta loquacità! Ma lo dirà, lo dirà, o comunque glielo farò dire u.u Mi fa piacere sapere che Sesshomaru è ben caratterizzato, quando affronto una fan fiction ho sempre il timore di allontanarmi troppo dal carattere originale, perciò sono molto contenta nel vedere che, per il momento, ci sto riuscendo. ^^ Grazie mille per i complimenti, continua a farmi sapere cosa ne pensi! =)
  • Maya Deleon_Energy Alchemist: Grazie e benvenuta! Fa sempre piacere trovare una nuova lettrice ^^ Dunque, Sesshomaru non si rabbonirà così in fretta, sempre SE lo farà u.u Anche perchè, purtroppo, a me piacciono questi cattivoni un pò violenti, a costo di sembrare pazza! xD Chissà come diventerà con il passare dei capitoli u.u Mi raccomando, continua a seguirmi! ^^

Un bacione a tutte coloro che leggono, recensiscono, aggiungono la storia alle seguite o alle preferite e anche a chi si limita a leggere! =) Vi voglio bene, continuate così ^^
Sperando di non avervi annoiato con questo capitolo, ci leggiamo al prossimo!
Ciao ciao ^^

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Capitolo 6
*** 5. Kaede, l'anziana sacerdotessa ***



楓、古 い 巫 女

- Kaede, furui fujo -
























Sangue. Odore di sangue.

Il mio? Probabile, visto che sento sulla mia pelle una sostanza viscosa e appiccicosa che non sono in grado di identificare in altro modo. Mi auguro solo che non si tratti del sangue di Rin… Rin, la piccola, sono riuscita a salvarla?

E perché Sesshomaru non è venuto in nostro soccorso?

Oh Dio, che male…

Un gemito, e mi svegliai.

Ma non aprii gli occhi, no; prima volevo accertarmi di essere ancora viva, così, lentamente, iniziai a muovere le dita delle mani, arricciare il naso, sbattere le palpebre. Subito dopo puntai i palmi delle mani per terra e feci forza per sollevarmi, ma fu un grosso errore: un dolore lancinante mi saettò lungo la schiena, strappandomi un lamento più forte e costringendomi a restare immobile, supina, distesa su una piccola stuoia.

Dove mi trovavo? E, soprattutto, come avevo fatto ad arrivarci?

Iniziai piano a rendermi conto, tastandole, delle candide fasce che mi avvolgevano il petto fino a sopra l’ombelico, probabilmente a causa della ferita che avevo sulla schiena. Indossavo nuovamente un hakama rosso, probabilmente qualche anima pietosa doveva avermi rivestito per rendermi meno imbarazzante il risveglio; ma chi poteva essere stato?

Aprii gli occhi, e la tenue luce proveniente da una finestra socchiusa mi permise di studiare il luogo nel quale mi avevano portato. Era una piccola casa parecchio spartana, con pareti di pietra, il pavimento in legno, un braciere acceso a pochi passi da me e una tinozza ricolma d’acqua con delle pezze macchiate di sangue al suo interno. Forse era quello l’odore che avevo sentito e che mi aveva svegliato, a meno che non si fosse trattato solo di un sogno.

Un paravento separava in due stanze la casa, ma da dietro di esso non sentivo provenire nessun rumore, il che mi fece capire che dovevo essere da sola. Quindi, che fine avevano fatto Rin e gli altri?

Ignorando il dolore alla schiena riuscii a mettermi in piedi, non senza difficoltà. Tra un gemito e l’altro raggiunsi il paravento e lo aprii, andando nell’altra stanza; l’ingresso era, come avrei dovuto immaginare, caratterizzato da un’area in dislivello nel quale era d’obbligo privarsi delle calzature per potersi muovere liberamente sul tatami, e malgrado sperassi di trovarvi dei zori per me dovetti rassegnarmi all’idea di restare scalza. Tanto, peggio di così…

Con un sospiro raggiunsi la porta e, stringendo i denti per il dolore che mi provocava muovere anche solo il braccio, feci scorrere la porta ed uscii all’aria aperta.

Mi guardai intorno, a dir poco sorpresa: senza alcun dubbio mi trovavo in un antico villaggio giapponese di contadini, talmente piccolo che, non appena ebbi fatto qualche passo all’esterno, tutti i volti degli abitanti si puntarono su di me, bisbigliando. Era imbarazzante essere a tal punto al centro dell’attenzione, eppure cercai di ignorare quella sensazione, avanzando tra i vari gruppetti di donne e uomini che avevano interrotto il loro lavoro per studiare la straniera.

In effetti, potevo ben immaginare lo scorrere dei loro pensieri. Probabilmente quelle persone non avevano mai visto una ragazza occidentale, e di conseguenza non potevano comprendere il taglio curioso dei miei occhi, così grandi e chiari, così come i miei lunghi capelli biondi, certamente fuori luogo. Eppure doveva esserci una ragione se nessuno mi veniva incontro con torce e forconi per catturarmi…

Continuai a camminare fino ad uscire dal villaggio, lasciandomi alle spalle gli sguardi indiscreti e curiosi dei poveri contadini, e raggiunsi la riva di un fiume che scorreva lì vicino, circondato da terre coltivate e da animali che pascolavano in pace. Che ora era? Mattina, pomeriggio, o sera? Mi portai una mano alle tempie, colpita da un improvviso mal di testa, e quando la nebbia passò avanzai un altro po’, guardandomi intorno. E alla fine, fortunatamente, li vidi.

Odiavo Sesshomaru e non sopportavo Jaken, eppure in quel momento fui assurdamente felice di vederli, forse perché erano gli unici volti familiari che avevo visto da quando avevo aperto gli occhi. Il grande demone era seduto sotto un albero com’era suo solito, e il suo servitore faceva avanti e indietro, agitato, di fronte a lui. C’era anche Rin, grazie a Dio, che giocherellava innervosita con dei fiorellini selvatici raccolti lì attorno. Ma quando si accorse che l’attenzione dei due demoni si era spostata su di me, anche lei sollevò lo sguardo e mi vide, e nel tempo di un battito di ciglia saltò in piedi e mi corse incontro, con le lacrime che le scorrevano impietose sul volto paffuto e preoccupato.

«Nicole-kun!» Gridò, mentre io mi chinavo ignorando le numerose fitte e spalancando le braccia.

La piccola si tuffò nel mio abbraccio, facendomi barcollare e stringendomi istintivamente in una dolce stretta che mi fece lacrimare dal dolore che mi provocò alla schiena. Al diavolo, non mi importava.

«Oh, Rin, come stai? Ero così preoccupata!» Bisbigliai, accarezzandole i capelli.

La sentii singhiozzare, piangendo dal sollievo. «An-anch’io, quando ho visto Nicole-kun ricoperta di sangue, io-io…» Tirò su col naso, nascondendo il volto sul mio petto. «Ma per fortuna il signor Sesshomaru è arrivato prima che… E ha ucciso quel demone, e ti ha portato da Kaede-san, e…»

«Ssssh, Rin-chan, va tutto bene, stai tranquilla.» Mormorai, cercando di farla calmare. «Tu come stai? Sei ferita?» Le chiesi, allontanandola un attimo da me per controllare il suo aspetto.

Per fortuna lei scosse la testa, asciugandosi gli occhi con la manica del suo kimono. «Io sto bene.» Rispose, con la voce leggermente roca.

Le sorrisi teneramente, portandole un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. «Meglio così.»

Dopodichè mi alzai, con una smorfia a causa di uno spasimo più forte dei precedenti, e tenendo Rin per mano mi avvicinai agli altri due demoni che non si erano mossi di un solo passo mentre io parlavo con la piccola. Quando fui di fronte a Sesshomaru presi un profondo respiro, poi lo guardai dritto negli occhi e dischiusi le labbra.

«Grazie.»

Ormai sapevo che con lui le parole non erano necessarie, perciò fui semplice e concisa. Ma volevo che sapesse che gli ero realmente grata di avermi salvato la vita, anche se in questo modo ero nuovamente in debito con lui. Oh, ma queste erano questioni secondarie.

Ebbi l’impressione di vedere un’ombra scura attraversare i suoi occhi – che fosse sorpreso? – poi, riuscendo a stupirmi ancora di più, fece un lieve cenno col capo. Sarebbe stato il suo equivalente per il mio comune “prego”? Ad ogni modo decisi di interpretarlo così, e gli sorrisi. Fu più forte di me.

Mi voltai quando sentii qualcuno chiamarmi, così non vidi l’espressione di sincero stupore che per un effimero attimo si era dipinta sul volto del demone, ma che era svanita in un battito di ciglia. Mi ritrovai invece a guardare un’anziana e robusta sacerdotessa venire verso di me, con passo lento e leggermente strascicato, una lunga chioma di capelli ingrigiti dall’età raccolti in una coda dietro la schiena e una strana benda a coprirle l’occhio destro.

«Non avresti dovuto alzarti, ragazza.» Mi sgridò con voce profonda e ferma, non appena mi ebbe raggiunto; non sembrava avere per niente paura di Sesshomaru, perciò mi chiesi se non fosse lei la stessa Kaede che mi aveva curato. «Ora le tue ferite si riapriranno.»

Si, sicuramente era stata lei a curarmi.

«Il mio nome è Kaede, giovane sacerdotessa.» Aggiunse poi, forse prevedendo le mie parole.

Annuii, con un debole sorriso. «Vi ringrazio per esservi presa cura di me, Kaede-san.»

L’anziana miko annuì a sua volta, tremendamente seria in volto. «Sarà meglio se andiamo tutti a casa mia per aspettare che arrivino gli altri.» Continuò poi, rivolgendosi, con mia grande sorpresa, a Sesshomaru stesso. «La situazione è più grave di quanto temessi.»

Jaken stava già per replicare qualcosa di maleducato e astioso, ma il suo padrone aveva fatto un passo avanti. «Non ho molto tempo da perdere.» Disse freddamente; eppure compresi che quello era il suo modo tutto personale di dare ragione ad un essere umano, o quasi. Ad ogni modo anche lui seguì Kaede, anche se prima si era voltato verso di me per scrutarmi a lungo.

«La Sfera è scomparsa.» Dichiarò, lasciandomi basita.

Lo raggiunsi – gli altri erano ormai già avanti – e lo fissai, sconvolta, negli occhi. «Ma come è possibile? Ce l’avevo al collo! E se voi avete ucciso quel demone vuol dire che non è riuscito a prenderla!»

I suoi occhi d’ambra erano impenetrabili, perciò non riuscii a capire se fosse anche solo minimamente preoccupato per la sparizione di quel cristallo – che aveva già richiamato due demoni disposti ad uccidermi per averlo – o se, semplicemente, non gli importasse più di una foglia al vento.

«Quando sono arrivato c’eravate solo tu e Rin, la Sfera era svanita.» Ripetè, senza lasciare un attimo il mio sguardo.

Fui io ad abbassare il mio, ma non certo per codardia: stavo solo riflettendo. «È assurdo, nulla può svanire così all’improvviso…» Mi passai una mano tra i capelli, sciolti e scompigliati, per dar loro una parvenza d’ordine con un gesto nervoso. «Era l’unica cosa che mi rimaneva di mia madre…»

Il mio fu solo un bisbiglio impercettibile, ma fui certa di essere stata sentita da lui, benchè non fosse mia intenzione. Avvertii un lieve cambiamento d’aria, ma quando sollevai lo sguardo vidi la sua mano abbassarsi nuovamente, nascondendosi tra le pieghe della sua veste pregiata. Che cosa aveva avuto intenzione di fare?

Mi diede le spalle per non essere costretto a rispondere alla mia espressione interrogativa, invitandomi invece a seguirlo, silenziosamente. Non avevo nient’altro da dire o di cui lamentarmi, perciò lo feci. Sperai solo che l’anziana Kaede potesse sapere qualcosa in più sulla sparizione della Sfera.

E sul perché mi trovavo in quell’epoca, sempre se avessi mai avuto il coraggio di dirlo a qualcuno.

***

La signora Kaede mi aveva riportato dietro il paravento per cambiarmi le bende e medicarmi di nuovo le ferite che, come aveva saggiamente predetto, si erano riaperte a causa dello sforzo che avevo compiuto. Nell’altra stanza, ad attenderci, c’erano Jaken e Sesshomaru: Rin era con me, aiutava la sacerdotessa a spalmare uno strano unguento dall’odore disgustoso e non meglio identificato sopra i profondi graffi che mi attrversavano la schiena.

Gemetti quando le bende vennero strette attorno e sopra la ferita, tanto che non potei impedire ai miei occhi di lacrimare. Decisi che, se mai fossi riuscita a tornare a casa, la prima cosa che avrei fatto sarebbe stata quella di andare in un bel ospedale moderno.

«Strano, davvero molto strano.» Sentii borbottare Kaede, all’improvviso.

Voltai leggermente la testa per guardarla, incuriosita. «Cosa – ahi! – è strano?» Domandai, stringendo gli occhi a causa di un’altra fitta, l’ennesima.

Sempre con la medesima espressione corrucciata, la donna mi rispose. «Queste ferite, essendo state inferte da un demone, dovrebbero essere infette di veleno.» Spiegò, facendomi sollevare un braccio in modo da farvi passare sotto le fasce. «Le tue, invece, sono incredibilmente pulite… Come se il tuo corpo avesse purificato l’essenza demoniaca di quella creatura.»

Le sue parole non avevano davvero un senso per me, ma da quel poco che avevo capito mi sentii in dovere di contraddirla. «Mi sembra una cosa impossibile, forse quel demone era semplicemente privo di veleno…»

Non mi rispose ma la sentii sbuffare, come se stesse escludendo a prescindere la mia ipotesi. Visto che comunque non era molto educato intavolare una discussione infervorata con quella donna, decisi che era meglio lasciar cadere l’argomento. Perciò, mi limitai a ringraziarla per avermi curato una seconda volta.

Anche se Kaede avrebbe voluto che indossassi l’hakui, io non avrei sopportato nessun genere di vestito con la schiena in quelle condizioni, così rimasi con l’hakama e le bende che, comunque, coprivano tutto il necessario liberandomi da ogni imbarazzo. Non era il massimo essere circondata da uomini in quelle condizioni – l’anziana miko mi aveva infatti avvisato che ne sarebbero arrivati altri due, benchè accompagnati dalle rispettive consorti – ma per quanto mi riguardava ritenevo che la mia salute fosse molto più importante del mio pudore.

Quindi, una volta che ebbe terminato di medicarmi, raggiungemmo gli altri nell’altra metà della casa.

Senza quasi curarsi della presenza dei due demoni, ai quali peraltro sembrava piuttosto avvezza, la signora Kaede si avvicinò al braciere e ne attizzò un po’ i carboni, cercando di far girare il calore in tutta la piccola capanna mediante un piccolo ventaglio.

Io avrei voluto sedermi con le spalle poggiate al muro, ma la mia attuale condizione fisica non lo permetteva: così mi inginocchiai accanto alla sacerdotessa, stupendomi poi di vedere che Rin sceglieva di mettersi accanto a me piuttosto che accanto a Sesshomaru, seduto dalla parte opposta.

«Inuyasha e gli altri saranno qui tra breve.» Annunciò dopo una manciata di minuti la sacerdotessa, senza rivolgersi a nessuno in particolare. «Se mi scusate un momento, andrò ad avvisare anche la giovane cacciatrice di spettri.»

Si mise in piedi con una certa difficoltà, facendo leva con una mano posata sul ginocchio, ma una volta alzata sembrò avere riacquistato la sua autorevole postura, uscendo e lasciandoci soli in casa sua. Piuttosto incuriosita mi voltai verso Rin, sperando che la piccola fosse più informata di me.

«Chi è questa cacciatrice di spettri, Rin-chan?» Domandai, allungando le mani sul braciere.

«Oh, ti avevo parlato di Sango-kun, non ricordi?» Mi rispose, con un sorriso. «È la ragazza che mi ha regalato il pugnale!»

Annuii, facendo cenno di aver capito. «E invece, questo Inuyasha?» Tuttavia, mentre pronunciavo quel nome, ebbi l’impressione di averlo già sentito.

La risposta della bambina, infatti, mi diede ragione. «Ti avevo già parlato anche di lui!» Esclamò, con un dolce sorriso. «È il fratello del signor Sesshomaru.»

«Ah.» Già, è vero, ricordavo una cosa simile. Ma era davvero possibile che Sesshomaru avesse una famiglia? Voglio dire, un padre, una madre, un fratello addirittura… Insomma, sembrava più il genere di demone che si era creato da sé, magari da un pezzo di ghiaccio, ecco. Okay, sapevo benissimo che non era molto carino pensare quelle cose su qualcuno che mi aveva salvato la vita per la seconda volta, ma i miei pensieri andavano a briglia sciolta senza che li potessi fermare. Dunque anche il grande demone aveva una famiglia, come tutti i poveri mortali.

Naturalmente, all’epoca non potevo di certo sapere che la situazione era molto più complessa di quanto mi era sembrata in quel momento.

Non ebbi nemmeno il tempo materiale di approfondire quel discorso, ad ogni modo. Prima che potessi dire un’altra sola parola, la porta scorrevole dell’abitazione dell’anziana Kaede si spalancò, ed un essere che non avevo mai visto prima fece la sua prima comparsa nella mia vita.

Ciò che mi colpì per prima cosa furono le sue orecchie, due morbide orecchie bianche, da cagnolino, che gli spuntavano in mezzo ai capelli come quelle di un normalissimo animale domestico; la sua chioma, altrettanto argentea e lunga come quella di Sesshomaru, era però leggermente più selvatica. Gli occhi erano dorati, le sopracciglia folte e scure, i lineamenti vagamente più duri. Le mani, con lunghi artigli al posto delle unghie, artigliavano la cornice della porta come se si stesse sforzando di non estrarre la spada che pendeva al suo fianco.

Indossava un hakama e un hitoe rosso fuoco, le cui maniche parzialmente attaccate permettevano alla maglia bianca, il kosode, di essere vista chiaramente. La cosa strana era il fatto che non portasse nessun tipo di sandalo, ma che fosse completamente scalzo. Oh beh, ormai non mi stupivo più di niente.

«Dannato!» Ruggì quasi, arrabbiato. «Hai davvero del fegato per far vedere il tuo brutto muso anche qui!»

D’altra parte, il demone non sembrò minimamente toccato. Senza degnarlo di uno sguardo gli rispose con un’irritante indifferenza. «Inuyasha. È sempre un dispiacere incontrarti.»

Sinceramente? Mi facevano ridere, tanto che dovetti mordermi l’interno della guancia per evitare alla risata che mi stava nascendo in petto di venire fuori: sarei sembrata senza dubbio alquanto irrispettosa. E non volevo di certo interrompere quell’affettuosa riunione familiare.

Dunque era lui Inuyasha, il fratello di Sesshomaru. Tra i due non avrei saputo decidere chi fosse il più simpatico, così, a prima vista, e a dirla tutta non comprendevo neppure perché l’anziana Kaede avesse insistito così tanto per aspettarlo: quell’Inuyasha avrebbe potuto aiutarmi a ritrovare la mia Sfera?

All’improvviso, però, lo strano demone si accorse della mia presenza. Mi fissò con curiosità, indugiando con lo sguardo sulle bende che mi avvolgevano il petto – incuriosito dalle mie ferite o dalle mie forme? – e infine mi guardò negli occhi, e sempre senza distogliere lo sguardo dal mio si avvicinò, quasi a quattro zampe, verso di me. Istintivamente indietreggiai, preoccupata: che cosa diavolo stava facendo?

Lo vidi arricciare il naso, avvicinando il suo viso ai miei capelli e annusarmi… Dopodichè stabilì una nuova e confortante distanza tra me e lui, ma non smise di studiarmi, con un’espressione che ricordava tanto quella di un bambino che non ha mai visto un gatto; se quel demone mi trovava strana, allora il mondo si stava davvero capovolgendo!

«Ho l’impressione di averti già vista da qualche parte.» Decretò, annuendo con aria piuttosto seria.

E con questo cosa diavolo intendeva?















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Questo capitolo non è un granchè, ma serviva per inserire finalmente anche gli altri personaggi "celebri" di Inuyasha =P
Passo subito ai ringraziamenti!

  • Riza Hawkeye: Ciao! ^^ Ti ringrazio per avermi seguito sin da subito, e non preoccuparti ti capisco per la mancanza di voglia, sono così anch'io anche se ogni tanto mi sforzo =) Comunque grazie mille per la tua lunghissima recensione, mi sono piaciute le tue ipotesi! Anche se purtroppo la ragione non è nessuna delle tre, mi spiace =P So che Nicole è scandalosa, ma poraccia, cerchiamo di capirla xD se un demone ti sta per ammazzare la prima cosa a cui pensi sono i vestiti o la tua vita? xD E poi non sarebbe male se fosse riuscita ad attizzare il gelido demone cane, diciamocela tutta u.u Spero di aver soddisfatto in parte la tua curiosità con questo capitolo (hai visto? Sesshomaru l'ha salvata di nuovo!) Un bacione, continua a seguirmi! =*
  • celina: Grazie per la recensione, e non preoccuparti, so che il tempo per non basta mai! Sono felice di averti tenuta incollata allo schermo, è una bella soddisfazione ^^ Spero di riuscire a tenere il filo, come hai detto tu, perchè se non scrivo per un pò poi crolla tutto! =( Il bel tenebroso comunque è arrivato, visto? u.u Ahaha ci leggiamo al prossimo capitolo, non mancare! Un bacio =*
  • elenasama: Grazie per la recensione e per i complimenti! Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo ^^ A presto! =*
  • Alebluerose91: Geme! Grazie per la recensione ^^ Sono contenta che ti piaccia la trama, una figata dici, eh? Vedrai, vedrai u.u Un bacione, al prossimo capitolo! Smack =*
  • Kobato: Accidenti, la tua recensione si che mi ha fatto arrossire! Addirittura l'anime, wao *-* Sarebbe proprio bello xD Anche a me comunque sta più simpatica Nicole di Kagome (sarà che sono di parte) ma la trovo anch'io più tosta! Viva il sesso forte u.u Dobbiamo solo sperare che il suo carattere combattivo non faccia venire voglia al nostro caro principe dei Demoni di strangolarla ^_^; Un bacio, continua a seguirmi! =*
  • Maya Deleon_Energy Alchemist: Eh, lo so, questa Nicole è un pò scandalosa u.u Ma, ripeto, se sei ad un passo dalla morte pensi prima a rivestirti o a salvarti la vita? ^^ Qui i demoni non sono pazienti come i nemici di Sailor Moon, che aspettavano che le giovani paladine si trasformassero con tutta calma prima di attaccarle! xD Comunque grazie per la recensione e i complimenti, continua a seguirmi! ^^
  • PhOeNiX_93: Oddio, anch'io non so se ci sarei riuscita, ma la fame aguzza l'ingegno! xD Perlomeno il suo gesto ha dimostrato che è una ragazza con le palle quadrate u.u (Si può dire o sono volgare?? Vabbè, tanto l'ho già detto xD) Era normale che Sesshomaru la salvasse, voglio dire, è cattivo ma non così cattivo u.u E comunque lui non dirà mai che ha salvato Nicole, quanto piuttosto che ha salvato Rin... Oh, quant'è complicato! xD mi raccomando, continua a seguirmi! Un bacio =*

Ed ora vi saluto! Fatemi sapere cosa ne pensate di questo nuovo capitolo - anche se è un semplice capitolo di transizione.
Un bacione, alla prossima!

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Capitolo 7
*** 6. La compagnia degli Shikon riunita ***


同 社 は 四 魂 を 満 た し て
- Dōsha wa yon tamashī o mitashite -























Adesso si che potevo dire addio a ciò che rimaneva della mia sanità mentale.

Quello strano essere vestito interamente di rosso era ormai il sesto demone che avevo avuto modo di vedere nel giro di due giorni, quindi se avessi voluto avrei potuto dare di matto senza che nessuno mi dicesse niente, no? A proposito di matti, avevo l’inquietante sensazione di essere finita in una specie di Paese delle Meraviglie, anche se, per quanto ne sapevo io, la piccola Alice non aveva rischiato di venire uccisa da nessuna strana creatura: persino il brucaliffo era stato gentile con lei, vero?

Perché dovevo essere proprio io, invece, quella circondata da parodie della Regina di cuori che volevano la mia testa? Avrei voluto piangere.

Tornando con i piedi per terra, comunque, cercai di ignorare il nuovo venuto che continuava ad annusarmi, seppur da lontano, con un’espressione assorta in viso: non immaginavo di poter essere così interessante.

Grazie al Cielo, non dovemmo attendere molto il ritorno dell’anziana Kaede, che con il suo arrivo mi tolse da quell’imbarazzante situazione – si, trovavo più imbarazzante l’essere annusata da un perfetto estraneo piuttosto che scappare nuda da un demone inferocito… Poteva anche sembrare strano, ma giuro che una spiegazione c’era. Forse.

Ad ogni modo, questa volta la sacerdotessa non era sola. Come aveva promesso era andata a chiamare la cacciatrice di spettri, che malgrado il nome altisonante aveva tutta l’aria di essere una giovane mamma indifesa. In braccio portava un bambino di qualche mese che non aveva nessuna intenzione di mollare la presa sul suo dito, mentre da dietro il suo mo-kabana verde spuntava la testa di una bambina di poco più di tre anni. Sorrisi istintivamente, facendole “ciao ciao” con la mano ottenendo però l’effetto di farla rintanare ancora di più dietro il kimono della madre.

«Oh, Kaede-san, è lei la sacerdotessa di cui mi parlavate?» Domandò la ragazza, osservandomi con un’educata curiosità. Perché non si rivolgeva direttamente a me? Credeva che, solo per il mio aspetto, non comprendessi la sua lingua?

«Si, è proprio lei.» Replicò la donna per tutta risposta, entrando e tornando a sedersi accanto al braciere. «Ma prima di affrontare qualsiasi argomento, dobbiamo attendere il monaco e Kagome. Inuyasha, tu vedi di comportarti bene.» Aggiunse, rimproverando il giovane demone che continuava a fissarmi in un modo che sfiorava il ridicolo.

Salutai la ragazza chiamata Sango, presentandomi e pregandola di non rivolgersi a me con quel tono così formale – non ero mica una sacerdotessa, poteva trattarmi come sua pari! Tuttavia, mentre parlavo con lei, mi accorsi che il demone non aveva staccato il suo sguardo dorato da me per un solo secondo. E se c’era qualcosa che odiavo, erano proprio le persone che mi studiavano in quel modo.

A quel punto decisi di rivolgergli la parola, in modo che smettesse di guardarmi così. «Quindi tu saresti il fratello di Sesshomaru, ho capito bene?» Chiesi, cercando comunque di essere gentile. Avevo l’impressione che avesse un carattere un po’ troppo impulsivo, e se assomigliava al fratello allora avrei fatto meglio a non farlo arrabbiare.

La sua smorfia, comunque, mi fece comprendere che non era irritato con me. «Fratellastro.» Sottolineò con un leggero disgusto, incrociando le braccia e lanciando un’occhiataccia a Sesshomaru. «Stesso padre, madri diverse.»

Accidenti, erano diversi anche dal punto di vista della comunicazione: Inuyasha parlava a monosillabi ma lo faceva spesso, Sesshomaru non parlava quasi mai ma almeno quando lo faceva esprimeva dei concetti complessi… Chi preferivo tra i due? No, un attimo, perché avrei dovuto per forza preferirne uno?

Annuii, mostrando di aver capito. Ma prima che potessi dire qualsiasi altra cosa, come per esempio chi era il maggiore, anche se ne avevo una vaga idea, la voce del suo adorato fratellastro ci interruppe.

«Lui è solo un mezzodemone.» Decretò, facendo fremere dall’ira le orecchie canine di Inuyasha. «Sua madre era una misera ningen.»

«Non parlare in quel modo di mia madre, dannato!» Esclamò l’hanyou, scattando in piedi e mettendo la mano sull’elsa della spada.

Ecco, a proposito del carattere impulsivo. Ma fortunatamente, prima che l’atmosfera si scaldasse troppo e i due demoni sguainassero le rispettive spade, intervenne come sempre l’anziana Kaede.

«Calmati, Inuyasha, stai solo spaventando i bambini.» Lo redarguì, minacciandolo con il ventaglietto che aveva ripreso in mano.

Il mezzodemone tornò a sedersi, accucciato come un cagnolino, mentre la bambina della cacciatrice di spettri si avvicinava a lui senza timore e iniziava a tirargli le orecchie, giocando. Quella scena mi fece ricredere sulla personalità dell’hanyou: se una bambina giocava in quel modo con lui senza alcun timore, allora non doveva essere tanto male come persona. Inoltre, chiunque si sarebbe infuriato se avessero parlato male della propria madre.

E poi arrivò il monaco. Entrò nella capanna con un’altra bambina in braccio, probabilmente la sorella gemella di quella che giocava con Inuyasha, e da questo dedussi che doveva essere il marito di Sango. Era vestito come un tipico bonzo del tempo: indossava un lungo koromo nero sopra il quale portava una kesa violacea, e ai piedi aveva dei normali waraji in corda. Alla mano destra, quella che reggeva lo shakujou, aveva una strana fasciatura circondata da una sorta di rosario di grossi grani d’argento, per chissà quale motivo. Era il primo uomo che vedevo a portare i capelli corti, malgrado un piccolo codino alla base del collo. Si diresse a salutare la moglie e gli altri due figli, dopodichè diede un’occhiata attorno fino a notare Sesshomaru, Jaken, Rin e me.

Mi fu di fronte prima che potessi accorgermene.

«Oh, se solo non fossi già sposato vi chiederei di fare un figlio con me, splendida fanciulla.» Dichiarò con sconcertante serietà, prendendomi le mani tra le sue e guardandomi dritta negli occhi.

Boccheggiai, stupita, ma non feci in tempo a rispondergli a tono – avevo già due o tre risposte pronte – che Sango lo afferrò da dietro al bavero del koromo, trascinandolo con poca delicatezza al lato opposto della stanza. «Miroku, sei il solito pervertito!» Sibilò, facendolo sedere accanto a sé. «E davanti ai tuoi figli!»

A quel punto tremavo all’idea di che genere di persona poteva essere quella Kagome che stavamo aspettando con tanta ansia, dato la scarsa normalità che circondava quelle persone. Però qualcosa, forse il fantomatico sesto senso femminile di cui sembra siamo dotate, mi disse che dovevano essere una sorta di gruppo, no, meglio, squadra doveva essere il termine giusto.

Era chiaro che tutti stavano morendo dalla voglia di sapere il motivo di quella strana convocazione da parte dell’anziana sacerdotessa, ma allo stesso tempo sembravano aver compreso che non si sarebbe detta una sola parola prima dell’arrivo dell’ultimo elemento, ossia Kagome.

Per quanto mi riguardava stavo iniziando ad annoiarmi. Feci sedere la piccola Rin di spalle, di fronte a me, e iniziai a farle delle piccole treccine, sempre senza parlare: sembrava quasi che il silenzio fosse d’obbligo, neanche fossimo stati in un tempio o in una chiesa.

Inoltre, come se questo non fosse bastato, continuavo a sentirmi terribilmente osservata. Per mascherare il disagio, iniziai a riflettere su come la Sfera era scomparsa, immaginando centinaia di possibilità – l’una più assurda dell’altra – che avrebbero potuto giustificare la sparizione del mio prezioso cristallo. Una prevedeva addirittura che l’avessi ingoiata, e a quel punto con un sospiro decisi che era meglio non pensarci più: uno di quei strani personaggi avrebbe potuto avere una risposta senza che io mi ci scervellassi più di tanto. O almeno, beh, era ciò che speravo.

Improvvisamente notai le orecchie di Inuyasha drizzarsi e tendersi verso un punto indefinito, poi il mezzodemone scattò in piedi ed annunciò: «Kagome sta arrivando.»

«Finalmente, il mio padrone iniziava a seccarsi!» Gracchiò Jaken, agitando il suo bastone verso nessuno in particolare.

Veramente Sesshomaru sembrava essersi addormentato, ma osservandolo meglio si poteva notare che quella che sembrava un’innocua posizione rilassata nascondeva uno spirito vigile e pronto a scattare nel giro di un secondo: probabilmente, se fossimo stati attaccati un’altra volta da qualche strano mostro, lui sarebbe stato il primo ad accorgersi della presenza estranea. Ancora non mi era chiaro se esserne terrorizzata o confortata… Oh, accidenti, perché stavo ancora facendo di quei pensieri?!

Stranamente nessuno, al di là di Inuyasha, si era mosso per andare ad accogliere la nuova arrivata: il che era forse dovuto al fatto che tutti fossero in attesa del momento in cui io e quella ragazza ci saremmo incontrate. Ma perché? Solo perché anche lei era una sacerdotessa, per quale ragione il nostro incontro sarebbe dovuto essere così importante? Più passava il tempo e più si accumulavano domande, senza nessuna ombra di risposta. Che diavolo!

Eppure, quando la vidi per la prima volta, compresi senza nessuna logica di essere salva.

La divina Kagome – così come avevo sentito chiamarla dal monaco deviato - era entrata nella capanna dell’anziana Kaede con un sorriso che aveva rivolto indiscriminatamente a tutti i presenti, compresi Jaken e Sesshomaru, cui si rivolse appellandolo con uno spiritoso «Oniisan!» seguito da un’occhiataccia da parte di quest’ultimo. Questo rimarcò l’impressione che mi ero fatta poco prima in proposito: decisamente, Sesshomaru non era fatto per avere una famiglia.

Era una ragazza della mia età, benchè fosse più bassa di me di una decina di centimetri; aveva lunghi capelli neri e gli occhi castani, circondati da lunghe ciglia nere. Aveva un bel sorriso, sicuramente era ciò che colpiva di più, ma tutto sommato era abbastanza comune. Oh, non è certo una cattiveria, anzi: era la prima persona che ritenevo normale in quella specie di gabbia di matti, perciò ne ero più che lieta.

Tuttavia, non fu il suo aspetto fisico ad impressionarmi, quanto piuttosto il suo abbigliamento. Come un pesce fuor d’acqua, infatti, Kagome indossava una felpa blu con dei ricami floreali, un paio di lunghi jeans leggermente sbiaditi, delle scarpe da tennis in tela e aveva, sulle spalle, un’enorme zaino di quelli che si usavano in genere per andare a scuola. Nel mio secolo, ovviamente.

A quel punto ammetto, con mio grande imbarazzo, di essermi comportata come una pazza scatenata.

Malgrado le mie ferite, infatti, ero saltata in piedi, puntando un dito contro di lei e guardandola a bocca aperta: stavo cercando di parlare, in realtà, ma ero troppo scioccata per poter articolare una frase decente. Alla fine, comunque, ignorando sia Rin che Kaede – le quali stavano cercando di riportarmi a sedere – riuscii a rivolgerle la parola.

«Quei… Quei vestiti!» Esclamai, ben sapendo che avrei potuto fare di meglio.

Kagome sgranò leggermente gli occhi, sorpresa e, forse, anche preoccupata dalla mia strana e del tutto inspiegabile reazione. «Forse avrei dovuto cambiarmi prima di tornare…» La sentii mormorare in direzione di Inuyasha.

Ma io scossi la testa, cercando di non passare per matta più di quanto già non fossi. «Perché tu indossi dei vestiti del ventunesimo secolo?!» Mi scappò, con una sottile vena isterica nella voce.

A quel punto la sua preoccupazione fu sostituita da una sincera curiosità. «Come fai a sapere da dove provengono?»

Oh, sapevo di avere gli occhi di tutti puntati addosso – stavo, come si suol dire, dando spettacolo. Ma non potevo davvero mettermi un freno, quei jeans per me rappresentavano la salvezza!

«Perché anch’io provengo da lì!»

***

Dopo il baccano iniziale, durante il quale venni praticamente assalita da tutti i presenti – ovviamente quando dico tutti non sto parlando del glaciale grande demone – che volevano sapere come avevo fatto ad arrivare lì, cosa che peraltro avrei voluto sapere anch’io, finalmente l’anziana Kaede riuscì a riportare un po’ d’ordine, e il silenzio che seguì era carico di attesa.

Si poteva praticamente tagliare a fette, per intenderci.

«Come hai fatto a venire qui, se provieni da un’altra epoca?» Domandò Kagome alla fine, dopo aver compreso che tutti stavano aspettando che fosse lei a prendere la parola.

Sospirai, leggermente più tranquilla per aver trovato una persona che potesse davvero comprendere la mia situazione. «A dir la verità, non ne ho la più pallida idea.» Esordii, scrollando le spalle – pessima idea, visto il dolore che ne derivò. «Ero a casa mia, stavo leggendo un libro, e ad un certo punto la mia governante, Hiromi-san, mi ha chiesto di scendere in cantina per prendere del vino. Una volta giù, ho visto che al centro dello scantinato c’era un vecchio pozzo dal quale provenivano degli strani rumori, allora ho fatto per andarmene… Ma un demone è uscito dal pozzo e mi ha afferrato, trascinandomi con lui perché diceva di volere la mia Sfera! L’ho spinto e credo di averlo ustionato, anche se non ho la minima idea di come ho fatto. Comunque, quando sono risalita dal pozzo mi sono trovata in mezzo ad un bosco, così, all’improvviso… Ho iniziato a camminare fino a quando non ho incontrato Sesshomaru e gli altri. Ed eccomi qui.»

Ecco, in sintesi, quello che mi era accaduto. Furono le loro espressioni a sorprendermi, anche se credevo che trovassero il mio racconto alquanto inverosimile. Ma non mi importava, speravo che almeno Kagome mi capisse.

Infatti le sue parole mi confortarono. «Anche a me è capitata una cosa simile, anzi, praticamente identica…» Disse, cauta. «Avevo quindici anni quando sono finita per la prima volta nell’epoca Sengoku. Ma c’è una cosa che non mi è chiara…»

Annuii, incuriosita. «Dimmi.»

Aggrottò le sopracciglia, esitante, e poi parlò. «Di che Sfera stai parlando?»

Sinceramente, quella era l’ultima domanda che mi aspettavo di ricevere. «Qualche giorno fa mio padre mi ha consegnato un gioiello che era appartenuto a mia madre, e prima di lei a mia nonna, e così via per generazioni… Ha detto che tutte le donne della mia famiglia lo ricevevano dalla propria madre, e che poi non se ne separavano mai perché era una sorta di amuleto che ci proteggeva… E ha detto che mia madre la chiamava Sfera dei Quattro Spiriti, ma non ha saputo dirmi nient’altro.»

A quel punto Kagome sbattè più volte le palpebre, stupita, come se non credesse alle mie parole, mentre sia Miroku che Inuyasha imprecarono ad alta voce, e persino Sango fece un’espressione di puro terrore. Che cosa potevo aver mai detto di così orribile? Dalla mia breve esperienza avevo capito che quella Sfera attirava solo demoni desiderosi di uccidermi per averla, ma io non conoscevo il motivo di tutto quell’interessamento, e speravo che fossero loro a rispondere alle mie domande, non il contrario.

«E dov’è adesso la Sfera?» Ruggì Inuyasha, furioso, osservando il fratello.

Sesshomaru si limitò ad inarcare un sopracciglio, fingendo di non cogliere e ignorare la voce minacciosa del mezzodemone. «La Sfera è scomparsa.» Disse, ripetendo le stesse parole che aveva già detto a me.

«Come sarebbe a dire, scomparsa?!» Continuò, facendo per estrarre la spada.

Ma la voce di Kagome lo interruppe. «Inuyasha, a cuccia!» Esclamò, e il mezzodemone crollò a terra con un tonfo che fece tremare il pavimento.

E sarei io la matta…?

«Scusalo, Nicole-chan, non è capace di comportarsi bene.» Mi spiegò Kagome, per nulla preoccupata per il suo fidanzato che giaceva inerte sul tatami. Dopo un po’ l’hanyou si mosse, sollevandosi lentamente e scoccando uno sguardo da cucciolo bastonato alla sua ragazza.

«Pe-perché l’hai fatto?!» Esclamò, stringendo la mano a pugno.

Lei lo fulminò con lo sguardo prima di rispondergli. «Perché sei il solito permaloso! Prima di prendertela con Sesshomaru-sama dovresti come minimo ascoltare tutta la storia di Nicole-chan!»

Quindi si rivolse nuovamente a me, e nei suoi occhi vidi un accenno di spavento che prima non avevo notato, troppo persa com’ero nei miei pensieri. «C’è dell’altro, Nicole-chan?» Domandò.

Ma io scossi la testa. «No, è tutto qui quello che so. In realtà speravo che poteste darmi voi delle risposte.» Ammisi, cercando di mascherare la delusione cocente per non aver risolto nulla.

A quel punto, inaspettatamente, intervenne l’anziana Kaede. «Io ero a conoscenza del fatto che la Sfera non fu eliminata del tutto durante l’ultimo scontro con Naraku, tre anni fa.» Dichiarò con voce pacata, sorprendendo tutti i presenti. «Sarebbe stato troppo bello se quell’oggetto malvagio fosse sparito dalla faccia della terra, ma dovremmo ormai sapere che il male non muore mai.»

«Come facevate a saperlo, somma Kaede?» Le chiese gentilmente Miroku, dando voce ai pensieri del resto dei suoi compagni.

«E soprattutto perché non ce l’hai detto?» Ringhiò Inuyasha, infastidito per l’essere stato all’oscuro di quella evidentemente preziosa informazione.

La sacerdotessa sospirò, lo sguardo perso nel vuoto. «È stata mia sorella Kykio a rivelarmelo, in un sogno che ho avuto qualche tempo fa…» Mormorò, improvvisamente triste.

Kagome aggrottò le sopracciglia, preoccupata. «Kykio? Ma come…?»

«È stato il suo ultimo compito nel mondo dei vivi.» Spiegò, semplicemente. Poi si voltò e si rivolse direttamente a me, ignorando gli altri. «Mia sorella era stata la custode della Sfera, un tempo, pertanto è sempre stata molto sensibile alla sua vicinanza. Credevamo che, dopo aver sconfitto Naraku, la Sfera dei Quattro Spiriti, ormai purificata dal desiderio di Kagome, fosse andata distrutta. Ma evidentemente ciò non è stato, dato che un’altra ragazza ne è entrata in possesso.»

Per la prima volta fu Sango a prendere la parola. «Ma Nicole-kun dice che la Sfera appartiene alla sua famiglia da generazioni! Com’è possibile, se è scomparsa da soli tre anni?»

«Forse c’è una spiegazione.» Intervenne a quel punto Inuyasha, con un espressione piuttosto seria. «Non rammentate ciò che accadde con la spada di mio padre, con So’unga?»

Istintivamente mi voltai verso Sesshomaru, per controllare se quell’accenno al loro genitore comune fosse riuscito in un qualche modo a scuoterlo da quell’irritante apatia di cui sembrava essere ammantato. Infatti il demone aveva sollevato il capo per osservare il suo fratellastro, ma il suo volto non tradì alcuna emozione: oh beh, meglio di niente.

Intanto, Inuyasha stava proseguendo con la sua ipotesi. «Lo spirito del fodero, Saya, avrebbe dovuto sigillare la spada per sette secoli dopo la morte di mio padre, e venne così gettato nel pozzo Mangia-Ossa per finire nell’epoca di Kagome.» Spiegò, guardandomi. «Là, effettivamente, erano trascorsi sette secoli, ma quando il sigillo è stato spezzato e la spada è tornata nel nostro mondo, sempre tramite il medesimo pozzo, risultava che qui erano trascorsi solo tre secoli.»

«Quindi, Inuyasha,» Lo interruppe la vecchia Kaede, pensierosa. «Secondo la tua teoria, la Sfera sarebbe ricomparsa nel mondo di Nicole dopo molti secoli, ma dato che lei ha attraversato un pozzo simile a quello di Kagome, l’ha riportata indietro da noi… E qui non sono trascorsi che tre anni…»

Il mezzodemone annuì, le braccia incrociate e un’espressione grave sul giovane viso. «Ammetterai che il discorso non fa una piega, vecchia.»

Kaede sospirò, scuotendo piano la testa. «Purtroppo è tutto molto logico.» Ammise.

«In effetti questo spiega anche il perché la mia famiglia la possegga da generazioni.» Mormorai tra me, tamburellandomi un dito sul mento.

«Eppure è strano che la Sfera sia finita nelle tue mani.» Rincarò Kagome, perplessa. «Voglio dire, tu non sei neanche giapponese, e… Non fraintendermi, ti prego, ma io possedevo la Sfera perché si trovava all’interno del mio corpo visto che ero la reincarnazione di Kykio, cioe colei che la custodiva e che si era fatta seppellire con essa, ma tu… Insomma, Nicole-chan, tu che legame hai con la Sfera?»

Ancora quella sgradevole sensazione di essere al centro dell’attenzione, e ancora provai ad ignorarla. Mi limitai a scrollare le spalle, scuotendo il capo per dimostrare che ne ero più all’oscuro di loro. «Non ne ho la più pallida idea, Kagome.» Confessai, a mezza voce. «So solo che quell’oggetto è appartenuto a mia madre, e che è l’unica cosa che mi rimane di lei… E perciò non avrò pace fino a quando non l’avrò ritrovato.»

«Hai intenzione di andare a cercarla?» Domandò, sorpresa.

Io annuii. «Mi sembra ovvio, è il minimo che io possa fare.»

La vidi scuotere la testa a sua volta. «È una pazzia! Ci sono centinaia di demoni disposti ad uccidere pur di avere quella Sfera, non hai idea di quanto possa essere una missione suicida!»

«Togliete pure il condizionale, divina Kagome.» Sottolineò il monaco Miroku, annuendo compunto.

Sentivo che entrambi parlavano con la voce dell’esperienza, e chissà quante ne avevano passate a causa di quell’oggetto, ma non mi importava. «Non lo sarà.» Dissi, decisa. «Ho diciannove anni, accidenti, e so badare benissimo a me stessa! Tutto ciò di cui ho bisogno è un’arma come si deve, dopodichè me ne andrò per conto mio alla ricerca della Sfera. Non ho intenzione di trascinarvi con me, dato che ora questo è un problema mio.»

«Ah! Desideri così tanto morire?» Fece Inuyasha, inarcando scettico un sopracciglio.

Gli lanciai un’occhiataccia che – credo – lo fece impallidire. «Di qualcosa bisogna pur morire.» Sibilai, per nulla scioccata dalle sue parole.

In effetti ero piuttosto sicura di me, anche se tanta sicurezza poteva essere fraintesa come stupidità e non come coraggio – prevedibile. Ma io rivolevo a tutti costi quell’oggetto, era mio, apparteneva a me di diritto perché era stata mia madre a farmelo ereditare! Non comprendevo il motivo di tutto questo accanimento nei confronti della mia Sfera, ma io sentivo che l’avrei ritrovato in un modo o nell’altro, e di certo non sarebbe stato un gruppo di estranei a farmi cambiare idea.

Dopotutto, il miracolo che avevo operato sulla ferita di Sesshomaru mi aveva in un certo senso infuso una strana risolutezza che non credevo di avere: chissà, magari ero davvero una specie di strega o sacerdotessa capace di operare simili incantesimi. E se potevo guarire potevo anche uccidere, dato che il Bene non viaggia mai senza il Male – ne conseguiva che, anche se avessi iniziato la ricerca da sola, sarei stata comunque capace di farcela.

Tuttavia sembrava che loro non avessero nessuna intenzione di farmi affrontare quella missione in completa solitudine.

«Che sciocchezza!» Esclamò Kagome, incrociando le braccia. «Mi sembra ovvio che se i tuoi piani sono questi, noi verremo con te!»

«Certo, Nicole-kun, contate pure su di noi.» Annuì Sango, stringedo in un abbraccio il suo figlio più piccolo e osservando poi il marito che annuiva a sua volta.

«In fondo ci stavamo annoiando, senza avere nessuna pazza ricerca da compiere.» Sorrise compiaciuto Miroku, stringendo a pugno la mano bendata con il rosario attorcigliato intorno.

Li osservai stupita uno a uno, riuscendo a stento a credere a quello che mi stavano offrendo. Per loro in fondo ero una completa estranea, venuta dal nulla a rovinare l’equilibrio della loro nuova vita domestica, eppure mi avevano offerto il loro aiuto senza neppure consultarsi. Ero senza parole.

«Non voglio spingervi a fare qualcosa che non volete…» Mormorai, indecisa.

Il sorriso di Kagome mi spiazzò. «Lo facciamo con piacere, anche perché ormai siamo abituati a questo genere di avventure. E poi in te rivedo me stessa qualche anno fa, e so che hai bisogno di non restare sola, visto che ti trovi in un mondo ostile e sconosciuto.»

Come diavolo feci a non piangere? Forse ero talmente abituata a non dimostrarmi debole che le lacrime si rifiutavano di uscire per un qualche riflesso incondizionato, e dopotutto credo che fosse un bene, dato che in caso contrario avrebbero potuto giudicarmi incapace di affrontare un simile compito.

Perciò mi limitai a sorriderle di rimando, sospirando impercettibilmente. «Vi ringrazio davvero tanto.»

«Bene, appurato tutto questo,» concluse infine Inuyasha, quasi a voler tirare le fila di quanto appena detto. «Si può sapere cosa diavolo ci fa Sesshomaru qui?»



















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Rieccoci al solito appuntamento con i ringraziamenti ^^

  • PhOeNiX_93: Grazie per la recensione e per i complimenti! Come ho già ripetuto infinite volte sto cercando di rendere la storia il più reale possibile, quindi i termini giapponesi sono d'obbligo, ed è un'impresa trovarli tutti... Comunque sono contenta che i miei sforzi rendano l'idea ^^ In effetti anch'io sarei scoppiata a ridere nel vedere questa dolce riunione familiare, ma conoscendo i due fratelli è stato molto più prudente il comportamento di Nicole xD Spero di aver reso l'incontro tra Nicole, Kagome e tutti gli altri abbastanza realistico, cioè, non troppo campato per aria! Anche se ho paura di non esserci riuscita... Ma vabbè =( Mi raccomando, continua a seguirmi! =) Un bacio, a presto =*
  • elenasama: Miroku è il solito pervertito, ma ammetto che un pò si è trattenuto xD Grazie per i complimenti, continua a seguirmi! Un bacio =*
  • Riza Hawkeye: Ahahaha ho riso troppo quando ho letto la tua recensione :°D Spero davvero che Sesshomaru si sciolga, bo questo qui sembra la reincarnazione di un Pinguino DeLonghi -.-'' Comunque Nicole avrebbe voluto portarsi Sesshomaru a fare un bagno nel bosco, ma purtroppo c'era Rin! Mannaggia, ma la prossima volta farò in modo che la bambina non ci sia u.u Continua a seguirmi! =) Un bacio =*
  • Kobato: Oh cara, anche le tue recensioni stanno diventando il sole delle mie giornate :°D Rido troppo quando le leggo! Comunque, ho paure che per le risposte vere e proprie bisognerà aspettare un altro pò... Eh già u.u Ahahahaha quando ho scritto quella parte su Sesshomaru e la famiglia ho avuto un'inquietante visione del grande demone che litigava con Inuyasha sotto un albero di Natale, per vedere chi dei due aveva il regalo più grosso... Oddio che scena! Da incubo xD Per questo sembrava impossibile u.u Tranquilla non ti credo completamente pazza (anche perchè io lo sono molto di più!) XD Ci sentiamo presto! [Ah aspetta, c'è il PS: cara, prima o poi verrò a recensire anche la tua fan fiction perchè la adoro e amo in paricolar modo quel coniglietto che si è salvato da una fine orrenda, povero Toka <3] Un bacio =*
  • Maya Deleon_Energy Alchemist: Grazie per la recensione! Uhuhuh a cosa intendi quando dici "Cosa voleva fare Sesshomaru"? Perchè a tutto c'è una risposta, ma questo non è il momento giusto per darla... ^^ Un bacio, a presto! =*
  • Alebluerose91: Geme! Grazie per la recensione =) Nel prossimo capitolo scoprirai come mai Sesshomaru "accetta l'aiuto" di Kaede e company, anche se tecnicamente non è proprio così ^^ Tranquilla che la tua zeme ha pensato a -quasi- tutto! Un bacione, a presto! =*

Prima di salutarvi vorrei ringraziare Kobato per avermi votato al concorso di EFP 'Storia coi migliori personaggi originali': grazie mille, davvero, mi ha fatto molto piacere! ^^
Inoltre, come sempre, ringrazio chi legge, chi recensisce, chi l'ha aggiunta tra i preferiti e le seguite eccetera... Un bacione, non so come farei senza di voi! =)
Ci leggiamo al prossimo capitolo!
Un bacio =*

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Capitolo 8
*** 7. Ritorno a casa: Nicole nel presente ***



帰 国 : ニ コ ー ル こ れ に
- Kikoku: Nikōru kore ni -





























«Si può sapere cosa diavolo ci fa Sesshomaru qui?»

Cinque paia di occhi, compresi i miei, si posarono sul grande demone che giaceva in disparte, quasi non volesse essere chiamato in causa o preferisse non far pesare la sua presenza – probabilmente era più realistica la prima ipotesi.

Ad ogni modo Sesshomaru, com’era suo solito, non si scompose. Guardando il fratello come se avesse desiderato trapassarlo da parte a parte con la sola forza del suo sguardo, prese a sfiorarsi la morbida pelliccia che portava sulla spalla destra, senza dire una parola. Sbaglio o stava cercando di prendere tempo?

Alla fine, comunque, si decise a parlare. «Voglio solo comprendere come funziona questa nuova Sfera,» si limitò a dire, freddo ed enigmatico.

«Cosa intendi?» Indagò Inuyasha, alquanto sospettoso.

«La vicinanza con quella Sfera mi ha indebolito, per questo sono rimasto ferito in uno scontro con un misero demone di infimo livello.» Rivelò, con un tono neutro lievemente sporcato da una sottile vena di risentimento; o forse ero solo io a percepirla?

Comunque questo spiegava il motivo della sua ferita, e dava ragione a Rin quando diceva che il signor Sesshomaru era praticamente invincibile: insomma, se in quel momento io non avessi avuto la Sfera, lui non si sarebbe mai ferito né avvelenato, giusto?

«Com’è possibile?» Esclamò Kagome, sorpresa. «La Sfera non dovrebbe avere invece la capacità di aumentare il potere di un demone?»

«Evidentemente questa non è più la Sfera a cui eravate avvezzi.» Replicò, con un tono che avrebbe fatto rabbrividire chiunque. Chiunque tranne noi, a quanto pare, visto che eravamo chi più e chi meno abituati ai suoi bruschi modi di fare.

Tutti si scambiarono degli sguardi tra l’incuriosito e il preoccupato, e come sempre fu l’anziana Kaede a dare voce ai pensieri che agitavano le loro menti. «Mi sembra evidente che un simile oggetto, per quanto differente dall’antica Sfera, vada ad ogni costo ritrovato.» Decretò, poggiando il palmo aperto delle proprie mani sulle ginocchia, in una posizione che doveva ritenere comoda.

«Lo credete anche voi, somma Kaede?» Domandò Miroku; quel monaco era inquietante, un minuto prima si comportava come un pervertito e quello dopo era l’immagine stessa della quiete e della saggezza, davvero una trasformazione incredibile.

«Certo, onorato monaco, e vi spiegherò subito il motivo.» Replicò, facendo scorrere il suo unico occhio sano su ciascuna persona presente. «Anche questa Sfera, benchè non possieda – o meglio, non sembri possedere – la capacità di incrementare i poteri demoniaci, può diventare un’arma terribile se dovesse finire in mani malvagie. Vi domandate perché? Provate ad immaginare: se Naraku avesse posseduto una Sfera capace di annientare i poteri degli altri youkai, avrebbe potuto frantumarla e fare in modo che tutti i suoi oppositori ne entrassero in possesso, in modo da diventare il più potente demone vivente anche senza potenziare direttamente le sue forze…»

«Capisco ciò che volete dire,» annuì Miroku, con aria grave. In realtà tutti avevano compreso la situazione, me inclusa: anche se ero nuova dell’ambiente, non mi era difficile afferrare il significato delle parole dell’anziana Kaede.

«Insomma, vecchia.» Intervenne Inuyasha, incrociando le braccia. «Stai dicendo che dovremmo rimetterci alla ricerca della Sfera per evitare che qualche altro demone maledetto ne entri in possesso?»

Lei annuì. «Esattamente.»

A quel punto mi sembrò opportuno intromettermi. «Perdonatemi, ma la Sfera appartiene a me. È colpa mia se è finita nuovamente nel vostro mondo, e pertanto spetta a me recuperarla. Abbiamo già deciso che saremmo andati a cercarla, ma visto che la faccenda è molto più difficile del previsto suppongo che sia meglio che ci vada da sola. Dopotutto voi avete le vostre famiglie di cui occuparvi, e…»

«È stolto da parte tua anche solo pensare una cosa simile.»

Mi voltai sorpresa verso Sesshomaru, non essendomi aspettata il suo intervento. Il demone mi osservava di sottecchi, con uno sguardo che esprimeva disappunto – e forse disgusto? – nei miei confronti. Insomma, come si permetteva di parlarmi in quel modo?

«Non credevo di avervi chiesto un parere, Sesshomaru-sama.» Replicai a bassa voce, certa che mi avrebbe sentito anche così. Lo vidi inarcare un sopracciglio in modo vagamente minaccioso, ma non mi lasciai intimidire: dopotutto non poteva farmi niente, giusto? C’erano troppi testimoni.

«Ad ogni modo, detesto dirlo ma Sesshomaru ha ragione.» Soggiunse Inuyasha, con evidente fastidio.

Ah, quoque tu?

Sospirai, scuotendo la testa. Se avevo tutti contro non potevo certo insistere, inoltre – potevo ben ammetterlo – non poteva certo far male un poco di collaborazione da parte di chi sapeva come muoversi in quel mondo che mi era del tutto estraneo.

«E sia.» Mi arresi di nuovo, scrollando rassegnata le spalle. «Vi ringrazio immensamente per aver deciso di aiutarmi.»

Kagome mi si avvicinò e posò una mano sulla mia spalla, facendo attenzione a non farmi del male, e sorrise. «Non preoccuparti, Nicole-chan. Siamo sempre pronti ad aiutare un’amica.»

Ricambiai il sorriso, leggermente più rincuorata. «Se solo potessi avvisare mio padre che sono ancora viva… Manco da casa da due giorni, ormai, sarà disperato…» Mormorai, dispiaciuta.

La ragazza proveniente dal mio stesso secolo trasalì, portandosi una mano alla fronte. «Oh cavolo, che stupida sono stata!» Esclamò, arrossendo lievemente. «Non so dove sia il pozzo che ti ha condotto qui, ma di certo puoi usare anche il pozzo Mangiaossa!»

«Vuoi dire che esiste anche un altro pozzo?» Domandai, stupita.

Lei annuì, sorridendo. «Certo, da dove pensavi che fossi venuta io?» Oh beh, a domanda scema…

Anche il mio sorriso si ampliò, e avvertii un’ondata di buonumore illuminare finalmente la mia giornata: credevo che sarei rimasta bloccata per sempre in quell’epoca, e invece il ritorno a casa sembrava essere più a portata di mano di quanto avessi sperato!

«Per favore, Kagome, portami a questo pozzo! Non vedo l’ora di essere a casa!» Esclamai, alzandomi e facendo qualche passo in direzione della porta. Tuttavia, prima che potessi raggiungerla sentii un singhiozzo proveniente da dietro di me e, temendo di riconoscerlo, mi voltai. Come avrei dovuto immaginare, Rin aveva gli occhi colmi di lacrime.

«Oh, Rin… Non fare così…» Mormorai, tornando verso di lei e chinandomi alla sua altezza.

La piccola tirò su col naso e fissò ostinatamente un punto indefinito del tatami, rifiutando di ricambiare il mio sguardo. «Nicole-kun ha detto di voler bene a Rin… Ma ora se ne vuole andare via…» Mormorò, talmente piano che stentai a sentirla.

Mi si spezzò il cuore a quelle parole. Mi ero sinceramente affezionata alla bambina, però non le avevo mai promesso che sarei rimasta per sempre al suo fianco… E di certo non volevo vederla piangere, detestavo sapere che l’ultimo ricordo che avrei conservato di lei sarebbe stato quello delle sue lacrime – dato che ancora non sapevo se sarei tornata lì, una volta rientrata nella mia epoca. Perciò la trascinai in un abbraccio, nascondendo il volto tra i suoi capelli e cercando di tranquillizzarla.

«Calmati, Rin, non piangere…» Sussurrai, accarezzandole i capelli. «Non ho detto che starò via per sempre…» E a quel punto sbagliai, lo so, ma non potei fare a meno di inventare quella piccola bugia. Tutto, pur di non vederla in lacrime. «Non appena avrò fatto vedere a mio padre che sono ancora viva tornerò subito qui, va bene? Dopotutto devo cercare la Sfera.»

Si allontano lentamente dalla mia stretta, guardandomi con gli occhi umidi. «Me lo prometti…?» Chiese, asciugandosi le guance con una manica del kimono.

Annuii, accennando un sorriso. «Certo, Rin. Non ti preoccupare.»

A quel punto mi saltò addosso – incurante delle mie ferite – e fu lei a stringermi in un abbraccio, singhiozzando questa volta dal sollievo. «Oh, meno male! Ho avuto paura che te ne andassi per sempre…!»

Non appena ebbe ripreso a respirare normalmente la scostai piano da me, sorridendole gentile. «Mi vuoi accompagnare al pozzo, Rin-chan?» Chiesi, sperando che non fosse un problema per nessuno.

Il suo volto si illuminò, felice. «Certo, Nicole-kun!» Esclamò, battendo le mani.

Allora mi alzai nuovamente, stringendo la mano della bambina nella mia, e mi rivolsi verso Kagome. «Io sono pronta.» Annunciai, cercando di trattenere l’impazienza.

Kagome fece per rispondere, ma l’anziana Kaede intervenne, vagamente rabbiosa. «Se non vuoi aspettare che le tue ferite si rimarginino, ragazza, lascia almeno che ti aiuti ad indossare l’hakui!»

Uhm, in effetti non era molto bello attraversare il villaggio mezzo nuda, anche se l’idea di infilare qualcosa sopra le ferite – avrebbe fatto un male terribile – non era molto allettante…

«E privarci così di una splendida visione?» Sentii esclamare da Miroku, seduto a gambe incrociate sul tatami accanto alla moglie. La donna lo schiaffeggiò con forza, lasciandogli in ricordo il segno delle cinque dita, che lui prese a massaggiarsi rassegnato.

Si, era decisamente il caso di rivestirsi.

***

Quando Kagome aveva detto che mi avrebbe accompagnato al pozzo, di certo non immaginavo che ciò avrebbe significato portarsi dietro anche gli altri.

Sembravamo una strana e ben assortita processione. Io, Kagome e Rin eravamo davanti, aprendo la fila; dietro di noi seguivano Sango, con in braccio il figlioletto più piccolo, e accanto a lei da un lato Miroku e dall’altro Inuyasha, entrambi con una bambina seduta sulle spalle. Infine, la fila era chiusa da Sesshomaru e Jaken, quest’ultimo con Ah-Un tenuto al solito guinzaglio. Immagino che, visti dall’esterno, dovevamo offrire uno spettacolo non indifferente a coloro che ci osservavano dai campi fuori dal villaggio.

Il pozzo Mangiaossa si trovava in una piccola radura al centro del bosco. Il luogo era facilmente riconoscibile grazie all’enorme quercia secolare che troneggiava lì vicino, caratterizzata da una specie di cicatrice sul tronco talmente tanto largo che cinque uomini non sarebbero riusciti ad abbracciarlo.

«Eccoci arrivati!» Esclamò Kagome, avvicinandosi al pozzo e trascinandomi con sé. «Da qui posso tornare nella nostra epoca in qualsiasi momento, e penso che funzionerà anche per te!»

La guardai improvvisamente scettica, inarcando un sopracciglio. «Vuoi dire che non ne sei sicura?!»

«Oh, beh, qui non c’è mai nulla di certo.» Confidò, sventolando la mano. «Comunque, non hai che da saltare dentro al pozzo e…»

«Cosa?!» La interruppi, stupita. «Ma è profondissimo! E se mi rompo una gamba, eh?»

«Io non mi sono mai fatta nulla!» Ribattè Kagome, puntando le mani sui fianchi. Poi, vedendo la mia espressione veramente preoccupata, sospirò e alzò gli occhi al cielo. «Va bene, salteremo insieme. Anche perché con questo pozzo finiresti a casa mia, ora che ci penso, ed è meglio che ci sia anch’io per spiegare la situazione a mia madre. Potrebbero scambiarti per qualche creatura malvagia, altrimenti…»

Stava scherzando, vero? «Dimmi, sinceramente: ho la faccia di una creatura malvagia?» Sibilai irritata, corrugando le sopracciglia. Sentii Rin ridacchiare al mio fianco, ma ero troppo concentrata su Kagome per prestarle attenzione.

La ragazza arrossì lievemente, distogliendo lo sguardo. «Dai, Nicole-chan, sai bene che dicevo così per dire!» Esclamò, incrociando le braccia.

«Se lo dici tu…» Concessi, affacciandomi nuovamente sul bordo del pozzo. «Comunque questa cosa non mi piace per niente, non riesco neppure a vederne il fondo…»

«Fai solo come faccio io!» Disse Kagome.

Quando sollevai lo sguardo verso di lei mi scappò un gridolino. «Ma sei pazza? È pericoloso!»

Kagome si era infatti arrampicata sul pozzo e adesso sedeva con le gambe che penzolavano sopra il nulla, con un’espressione talmente tranquilla che per un attimo dubitai della sua sanità mentale. Io soffrivo terribilmente di vertigini, pertanto anche solo l’idea che qualcuno potesse affacciarsi con così tanta nonchalance sul vuoto mi dava i brividi.

A quel punto mi porse la mano, sorridendomi incoraggiante. «Dai, siediti anche tu come ho fatto io e poi salteremo insieme!»

Feci un profondo sospiro, posando le mani sul bordo in pietra del pozzo e facendo leva su di esse in modo da sollevarmi e scavalcarlo senza precipitarvi all’interno. Una volta seduta a cavalcioni dovetti chiudere gli occhi per trovare il coraggio di sedermi completamente con le gambe che oscillavano sul vuoto – curioso, avevo molta più paura adesso rispetto a quando mi ero trovata faccia a faccia con il demone tigre o con quell’orrendo ragno…

Mi voltai verso Kagome e afferrai la sua mano, con l’aria di un condannato a morte. «Okay.» Mormorai, con un cenno di assenso.

La mia nuova amica fece un ampio sorriso, dopodichè si voltò quasi completamente verso gli altri che ci osservavano – con i piedi ben piantati per terra, quanto li invidiavo! – e sollevò la mano libera per salutarli. «Allora a presto, ragazzi! Io tornerò al massimo dopodomani.» Disse; mi accorsi che non mi aveva incluso nel suo possibile ritorno, e in fondo ne fui, in parte, sollevata. Non volevo avere l’ennesimo obbligo per tornare… Sapevo che avrei dovuto farlo per recuperare la mia Sfera, ma volevo almeno i miei tempi.

Tuttavia mi voltai anch’io per salutare Rin, non volevo davvero andarmene senza neppure salutarla. «Mi raccomando, Rin-chan, fai da brava!» Esclamai, facendole l’occhiolino. Probabilmente non comprese il mio gesto ma sorrise lo stesso, ripetendo il gesto con la mano e salutandomi.

Fu più forte di me: a quel punto volsi lo sguardo per osservare l’alta figura che, poggiata al tronco di un albero secolare, osservava la scena con uno sguardo distaccato e, probabilmente, infastidito. Sollevai la mano per accennare un gesto di saluto anche nella sua direzione, e fui certa di averlo visto sgranare impercettibilmente gli occhi – ma lui era lontano, e dopotutto stavamo parlando di Sesshomaru, perciò potevo essermelo benissimo immaginata.

Sentii la voce di Kagome riportarmi al mio problema principale, il salto nel pozzo. «Pronta?»

Fissai il buio, l’oscurità sotto di me e tremai leggermente. Poi deglutii e feci un cenno col capo. «Si, andiamo.» Sussurrai, ma lei mi sentì.

«Al mio tre datti una spinta e salta, come se dovessi entrare in piscina!» Mi istruì, tranquilla.

Mi piaceva quel paragone, se fingevo che il buio fosse in realtà acqua non avrei avuto timore di lasciarmi scivolare giù: d’altra parte, io amavo nuotare. Sentii Kagome contare, lentamente – 1… 2... – e al 3, obbediente, mi diedi una forte spinta, precipitando nel vuoto.

Solo la mano di Kagome che stringevo con la mia mi impedì di urlare.

***

«Nicole… Ora puoi aprire gli occhi.»

Molto lentamente, con una cautela che non pensavo di avere davvero, dischiusi le palpebre, sbattendole più volte quando mi accorsi di essere ancora circondata dall’oscurità. Sentii i miei piedi calpestare un suolo morbido ed erboso, leggermente umido, e accorgendomi di non avere fratture di nessun genere alle gambe dovute alla caduta, lasciai infine la mano della mia nuova amica.

Mi guardai intorno, rendendomi conto di trovarmi nel fondo di un pozzo asciutto. Le pareti non erano più viscide da molto tempo, ormai, e arrampicarsi non doveva essere particolarmente difficile. Non se si contava la scala in corda che pendeva da un lato, comunque.

«Siamo arrivati.» Mi fece presente Kagome con un sorriso, avvicinandosi alla scala e iniziando ad arrampicarsi. «Vienimi dietro, Nicole, non è difficile.»

Obbedii silenziosamente, troppo ansiosa di risalire in superficie. In effetti Kagome non aveva torto, probabilmente l’idea dell’arrampicata suonava più ardua dell’arrampicata stessa: il pozzo doveva essere profondo sui sei metri, al massimo sette, e probabilmente era per quello che non ci eravamo sfracellate sul fondo. Avevo l’impressione, comunque, che a quello si sarebbe potuto ancora rimediare – qualora fossi scivolata dalla scala, ovviamente.

Con un ultimo sforzo, poi, raggiungemmo il bordo del pozzo. Kagome saltò fuori per prima e si affacciò subito per porgermi una mano ed aiutarmi ad issarmi, cosa che non sarei riuscita a fare da sola – beh, mi mancava solo l’esperienza. Solo allora mi accorsi di quanto erano scomodi e ingombranti quegli hakama, e non vedevo l’ora di togliermeli per indossare qualche confortevole vestito moderno.

Quasi quasi avevo voglia anche di respirare un po’ di sano smog, e ciò doveva dirla lunga sulla mia voglia di restare ancora dall’altra parte del pozzo.

Mi resi conto di avere effettivamente attraversato una sorta di passaggio temporale quando mi accorsi che il pozzo Mangiaossa di Kagome non si trovava in mezzo ad un bosco, ma dentro una specie di capanno di legno, di quelli che si vedono in ogni classico tempio shintoista giapponese. In effetti le pareti erano ricoperte da strani sigilli che non riuscivo a decifrare, come se della carta straccia potesse fermare un demone in caso di pericolo; perdonate la scarsa fiducia in simili talismani superstiziosi, o voi giapponesi…

«Vieni, dai! Devi cambiarti prima di tornare a casa tua. Non vorrai attraversare tutta Tokyo in questo modo, vero?» Disse la mia amica, sorridendo e dirigendosi verso l’uscita del capanno.

Annuii, andandole dietro. «Mio padre mi avrà dato per dispersa! Non vedo l’ora di essere a casa…»

Notai che Kagome aveva sospirato, dispiaciuta, la mano posata sopra la porta scorrevole. «Tu… Non tornerai nell’epoca Sengoku, vero?» Mormorò, senza voltarsi.

Perché sembrava così triste? Scrollai le spalle, senza sapere che genere di risposta le avrei dovuto dare – né che risposta avrebbe voluto, comunque. «Mi spiace, Kagome, ma… Non lo so.» Decisi di essere sincera, mentirle non aveva senso. «Io voglio davvero ritrovare quella Sfera, ma sinceramente… Quel luogo mi terrorizza, ho visto più mostri in una notte che in tutta la mia vita, e non so se voglio ripetere tanto presto l’esperienza. Adesso ho solo bisogno di riprendermi…»

La ragazza annuì per l’ennesima volta, poi si voltò e accennò un sorriso. «Ti capisco, sai. Neppure io sarei tornata indietro se non ci fosse stato Inuyasha ad aspettarmi…» Sospirò e la vidi arrossire leggermente, preda di un ricordo lontano. Poi si riscosse. «Ma immagino che per te non sia lo stesso, dopotutto non ti sei innamorata di nessuno dall’altra parte.»

Scossi la testa, colpita dalle sue parole ma consapevole della verità celata in esse. «Mi spiace solo di aver mentito a Rin…» Sussurrai, sinceramente mortificata.

Ma lei scosse la testa, avvicinandosi a me e posandomi una mano sulla spalla. «Non fartene una colpa, è naturale. L’hai fatto per non renderla triste.» Sorrise, e in quel momento fui certa di aver trovato qualcuno che mi comprendesse davvero. «Coraggio, andiamo ora. Mia madre sarà felice di conoscerti.»

Ricambiai il sorriso e la seguii fuori, felice, finalmente, di essere tornata a casa.

Nessun mostro avrebbe cercato di uccidermi, qui.



















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Buona seraaaaa! ^^ Eccomì ancora tra voi con un nuovo capitolo! =)
Purtroppo vado di fretta, perdonatemi, ma ci tenevo a postarlo invece di farvi aspettare altro tempo -.-'' Risponderò alle vostre bellissime recensioni con il prossimo capitolo, nel frattempo vi ringrazio davvero per l'aver seguito questa storia finora, per averla recensita, aggiunta tra le preferite, a anche per averla solo letta! Vi voglio un mondo di bene, continuate così! ^^
Spero che questo capitolo non sia stato troppo noioso, è stata dura finirlo >___<
Ci sentiamo al prossimo! Smack =*
Ciao Ciao! ^^

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Capitolo 9
*** 8. Decisioni difficili e strane scoperte ***



難 し い 決 断 と 奇 妙 な 発 見
- Muzukashii ketsudan to kimyōna hakken -





























Casa. Ero davvero a casa mia.

Non credevo che avrei mai provato un affetto così smisurato nei confronti del mio inquinato e caotico ventunesimo secolo, ma non appena i miei piedi sfiorarono nuovamente il marciapiede, o l’asfalto della strada, provai una nostalgia che non avevo mai avuto modo di sentire.

Gli alti grattacieli, le automobili che sfrecciavano a grandi velocità, i gruppetti di giovani studenti delle medie, rigorosamente in divisa, che ridevano o si lamentavano dei troppi compiti, non mi ero mai resa conto di quanto tutto questo avrebbe potuto mancarmi, un giorno. Potevo camminare in mezzo alla gente senza che questa mi fissasse con sguardi spaventati o con l’intenzione di aggredirmi per i miei caratteri stranieri e il mio accento ridicolo, e soprattutto senza il timore che un demone alto tre metri potesse uscire da dietro un cespuglio con il desiderio di uccidermi.

In fondo Kagome aveva visto giusto… Dubitavo che sarei tornata dall’altra parte del pozzo, ora che finalmente mi ero riappropriata del mio mondo.

Oh, già. Il pensiero della mia nuova e strana amica – di cui, tra l’altro, indossavo gli abiti in quel preciso momento – mi fece per un attimo fermare in mezzo alla strada, pensierosa. Probabilmente non l’avrei mai più rivista, dato che la ragazza sembrava trascorrere molto più tempo nell’epoca Sengoku che non nella nostra; così come non avrei più visto Inuyasha, Sango, Miroku, l’anziana Kaede… La piccola Rin…

Accidenti! Ero a casa da neppure due ore e già mi mancavano? Che stupida… E cos’era quello strano pizzicore agli occhi, poi? Coraggio, Nicole, riprenditi!

Dopo aver preso due autobus e un treno, arrivai finalmente alla stazione del mio quartiere, e mi incamminai quasi ad occhi chiusi verso casa mia. Era un edificio antico, di inizio Novecento, e si notava da lontano, perciò non era difficile da trovare: inoltre, percorrevo quella strada tutti i giorni al rientro da scuola e la conoscevo come le mie tasche, cosa che invece non si poteva dire dell’epoca medievale che mi aveva ospitato fino a quella mattina.

Non appena varcai l’imponente cancello in ferro battuto, mi accorsi che la macchina di mio padre non c’era, segno che doveva essere in giro – forse a lavoro, molto probabilmente. Non avevo le chiavi, ma sapevo che Hiromi-san ne lasciava una copia sotto il pesante vaso d’argilla accanto alla porta d’ingresso, e dopo averla presa riuscii ad entrare finalmente in casa.

Tuttavia nessun rumore proveniva da dentro, come se non ci fosse nessuno. Possibile? Io ero dispersa da due giorni e loro non erano in casa? Piuttosto perplessa mi tolsi le scarpe e mi incamminai lungo il corridoio, decidendo di raggiungere la cucina che, fino a prova contraria, era il regno indiscusso della nostra governante giapponese.

La porta scorrevole era aperta, così mi limitai ad affacciarmici prudente. «C’è nessuno? Hiromi-san?»

Nessuna risposta. Sempre più strano…

Lanciai di sfuggita uno sguardo alla porta della cantina, reprimendo un brivido istintivo: non ci sarei scesa per parecchio tempo, questo era certo. Richiusi la fusuma e decisi di salire al piano superiore, sperando di trovare la governante almeno nella sua stanza. Assurdo, possibile che non ci fosse nessuno ad attendermi? Raggiunsi il pianerettolo del secondo piano e mi diressi verso la camera di Hiromi-san, cercando di fare più rumore possibile in modo che non si spaventasse nel trovarsi all’improvviso di fronte a me; anche se le sarebbe venuto lo stesso un infarto, visto che mancavo da quasi tre giorni.

Bussai alla porta e, visto che non mi rispose nessuno, la spalancai, avanzando al suo interno. Sembrava non esserci nessuno, neppure lì

«Oh, per tutti i kami! Nicole-chan, sei davvero tu?» Una voce, proveniente da dietro le mie spalle, mi fece sobbalzare e voltare immediatamente, e prima che potessi dire o fare qualsiasi cosa mi ritrovai sepolta nell’abbraccio frenetico di Hiromi-san, che singhiozzava da spezzare il cuore.

«…così preoccupati, eravamo così preoccupati!» La sentii balbettare disperata, mentre ricambiavo la sua stretta. «Sei sparita all’improvviso, abbiamo addirittura pensato che…! Ma ora sei qui, oh! Andare a pregare al tempio è servito!»

Una sua stretta più forte mi fece gemere, e il dolore mi fece rammentare della ferita che ancora avevo sulla schiena, e che di questo passo mi avrebbe lasciato una bella cicatrice in ricordo. Mi divincolai gentilmente dal suo abbraccio e le sorrisi, indietreggiando.

«Hiromi-san, vi dispiace prepararmi un thè caldo? Avei bisogno di riposare un po’…» Chiesi, sperando che non mi facesse domande imbarazzanti.

Lei annuì, asciugandosi le lacrime ai lati degli occhi. «Ma certo, certo. Vieni in cucina, così poi mi racconti cosa ti è successo…»

La cucina? La porta dello scantinato, il pozzo… «Mmh no, Hiromi-san, vado un attimo a sdraiarmi in camera mia, potete portarmi il thè quando è pronto?»

Se anche sembrava sorpresa dal mio atteggiamento, non lo diede a vedere. Annuì. «Si, certo. Vai e riposati, io arrivo subito.»

La ringraziai con un debole sorriso e raggiunsi la mia camera, desiderando solo di sdraiarmi nel mio comodo e morbido letto occidentale, che non aveva nulla a che vedere con gli scomodi futon giapponesi dell’epoca Sengoku. Trovavo irritante dormire per terra, era anche uno dei motivi per cui odiavo fare campeggio. Ma questo, ora non aveva importanza.

La mia camera, a parte la classica fusuma, aveva un arredamento tipicamente europeo, al contrario del resto della casa. Il mio letto, posto sotto la finestra, era ricoperto da cuscini e da una trapunta in patchwork appartenuta a mia madre; un comodino alla sua destra, con sopra una lampada bianca, e un tappeto peloso che ricopriva il tatami ai piedi del letto. Nella parete laterale troneggiava un enorme armadio con uno specchio a grandezza naturale, mentre dall’altra parte una libreria sovrastava la scrivania nella quale studiavo. La vista del portatile richiuso sopra il tavolo mi fece capire di essere veramente a casa, e con un sospiro mi gettai sul letto a pancia in giù, per non sottoporre la schiena ad ulteriori sforzi. Non avevo voglia neppure di indossare qualche mio vestito.

Quanto tempo rimasi in quella posizione, ad annusare il profumo confortevole della mia trapunta? Non ne avevo idea, ma non mi ero addormentata; dopo un po’ sentii un discreto bussare e, certa che si trattasse di Hiromi-san, la invitai ad entrare.

«Il thè è pronto, cara.» Disse, posando il vassoio sul comodino e sedendosi sul letto accanto a me. «Non mi vuoi dire cos’è successo? Perché sei sparita all’improvviso?»

Sospirai per l’ennesima volta, volgendo il viso dalla parte della finestra per non essere costretta a guardarla negli occhi. «Oh, Hiromi-san, che senso ha raccontare tutto? Tanto non ci credereste di sicuro…»

«Ti stupiresti nel sapere quello che io so, giovane miko

Poco più di un sussurro, ma nel silenzio assoluto della stanza la sentii ugualmente, e ciò mi fece saltare a sedere sul letto, cercando con lo sguardo gli occhi persi nel vuoto della mia governate. Miko? Si era davvero rivolta a me appellandomi con quel titolo?

La donna non mi guardava, forse in cuor suo pentita di essersi lasciata sfuggire quella parola.

«Come… Come fate a… Perché?» Balbettai, incapace di celare la sorpresa.

La mia reazione le strappò un piccolo sorriso. «Devi farmi le domande giuste per avere le risposte giuste.» Si limitò a dire, sibillina.

Ma cosa ne era stato della mia governante giapponese, che guardava le telenovele e spettegolava amabilmente con i vicini di casa? Perché la donna che avevo di fronte le assomigliava molto, certo, ma non poteva essere di certo la stessa persona…! Sbattei le palpebre, prendendo poi un profondo respiro. Coraggio, non era certo la cosa più spaventosa che mi era capitata, no? Avevo affrontato di peggio in quegli ultimi giorni.

Per prendere tempo mi sporsi e presi la tazza del thè, immergendovi tre cucchiaini di zucchero e iniziando a scioglierli lentamente mentre pensavo a qualcosa di abbastanza sensato da dire.

«Anche voi credete che io sia una sacerdotessa?» Domandai alla fine con un sussurro, non riuscendo a formulare una domanda migliore.

La vidi scuotere la testa, prima che si alzasse e andasse a sedersi alla sedia della mia scrivania in modo da potermi essere di fronte. «Mia cara, non è certamente una credenza. Tu sei una sacerdotessa. Emani potere spirituale come se stessi spargendo profumo!»

Sgranai impercettibilmente gli occhi, dopodichè portai alle labbra il thè per sorbirne un sorso. Il calore della bevanda mi aiutò a digerire anche le parole inquietanti della donna. «Io non sono giapponese. Come faccio ad essere una miko? E perché non me ne sono mai accorta?»

«Prima di tutto, il fatto di essere una miko non ha nulla a che vedere con la nazionalità: oh, questo è totalmente un fatto irrisorio! Inoltre non è qualcosa di cui ci si accorge, cara, non è come avere i capelli bianchi o l’abbronzatura.» Mi spiegò, paziente. Poi il suo viso divenne improvvisamente serio e contrariato, come se si fosse appena ricordata di una cosa. «E poi non sei certo una strega! Scordati quel genere di poteri, mia cara.»

Lo disse con un cipiglio così serio che fui costretta a distogliere lo sguardo, imabarazzata, dato che effettivamente avevo pensato di possedere, adesso, dei poteri magici o qualcosa del genere. A suo dire niente di più sbagliato, comunque.

«Ma, Hiromi-san…» Esordii, titubante. «Voi avete una qualche idea di quello che mi è accaduto?»

La mia cara governante, che fino ad allora avevo creduto insensibile a tutte quelle sciocche superstizioni giapponesi e shintoisti a proposito delle sacerdotesse e simili, mi lanciò uno sguardo che era tutto un programma. Mi bastò osservare attentamente quei profondi occhi neri per capire che c’era davvero qualcosa che mi stava tenendo nascosta. Ma cosa?

Le sue labbra si schiusero in un sospiro. «Temo che abbia a che vedere con il pozzo, non è così?» Chiese, unendo le mani in grembo e inarcando un sopracciglio.

Non riuscii ad evitare di trasalire, sorpresa; touchèe.

«Come fate a sapere del pozzo? È una cosa così assurda!» Esclamai, massaggiandomi le tempie. «E, se lo sapevate… Perché non mi avete impedito di scendere in quello scantinato?»

Hiromi-san scosse la testa, sconsolata. «Credimi, Nicole, se fossi stata certa di essere nel giusto te l’avrei proibito. Ma tutti hanno bisogno di affrontare le loro esperienze, e inoltre sfuggire al destino è impossibile… Prima o poi sarebbe successo comunque, con o senza i miei avvertimenti.» Sollevò lo sguardo e lo posò di nuovo su di me, risoluta. «È stato il richiamo della Sfera a riaprire il passaggio. Quando tuo padre te l’ha consegnata, il tuo fato ha iniziato a compiersi.»

Più la ascoltavo, più cose mi diceva, più aumentava la mia sete di conoscenza e la mia voglia di porgerle tutte le domande che mi avevano perseguitato lungo quei giorni. Eppure avevo la sensazione che scoprire tutto così, all’improvviso, sarebbe stato impossibile, e anche inutile: forse alcune delle cose che doveva dirmi non le avrei nemmeno capite, e sarebbe stato un peccato. Però, però… Io volevo sapere!

Posai la tazza di thè, ormai freddo, sopra il vassoio, e mi dedicai interamente a Hiromi-san. «Come fate a sapere della Sfera? Chi ve l’ha detto?» Domandai, con una punta di accusa nella voce.

Ma lei non si scompose. «La Sfera è insieme una leggenda ed una maledizione, mia cara. Tutti ne sono a conoscenza.» Rispose pacatamente, posando una sua mano sulle mie. «In tanti hanno provato a distruggerla, ma essa non si lasciava annientare. Semplicemente, svaniva nei meandri del tempo, per apparire ovunque ci fosse un’anima tanto efferata da richiamarla.»

Questo mi rammentò, in un certo qual senso, le parole dell’hanyou Inuyasha. Anche lui aveva detto qualcosa di simile, e cioè che la Sfera da loro distrutta era svanita dalla loro epoca per poi apparire nella mia, in un tempo e in un luogo completamente differenti. Sarebbe stato così per sempre?

«Però non avete risposto alla mia domanda, Hiromi-san.» Replicai dopo un po’. «Come fate voi a sapere dell’esistenza della mia Sfera?»

La vidi esitare, palesemente contrariata per la mia insistenza che, probabilmente, le avrebbe presto strappato alcuni dei suoi più grandi segreti, ma nessun suono fece mai in tempo ad uscire dalla sua bocca. Venimmo interrotte prima che ciò accadesse, da qualcuno che mi era ben familiare e che stava chiamando a gran voce la governante seduta accanto a me.

«Continueremo in un altro momento questa discussione, Nicole-chan.» Disse, alzandosi e dirigendosi verso la porta. La spalancò, facendomi cenno di raggiungerla, e una volta sul pianerottolo iniziò a chiamare ad alta voce mio padre, avvisandolo del mio improvviso ritorno a casa.

Di certo non mi aspettavo una simile accoglienza da parte di mio padre.

Non dico che avrebbe dovuto corrermi incontro, felice e sollevato di vedermi sana e salva, viva perlomeno, e piangere lacrime amare; ma sicuramente non credevo che si sarebbe infuriato, arrivando addirittura ad un passo dallo schiaffeggiarmi per avergli fatto prendere un colpo in quel modo.

«Mi vuoi spiegare cosa diavolo ti è saltato in testa, eh, signorina?» Sbraitò fitto in francese, puntandomi il dito contro mentre mi sovrastava dall’alto, osservandomi con uno sguardo spaventoso che non gli avevo mai visto. «Sei sparita per tre giorni! Tre! Ti rendi conto di quello che hai fatto? Credevo di averti sempre dato tutta la libertà di cui necessitavi, ma tu hai dovuto abusarne! Cos’è, una nuova moda tra i giovani, quella di scappare di casa?»

«Ma papà, io…»

Non voleva darmi retta. «Silenzio! E non hai pensato neppure a come mi sarei sentito, nel tornare a casa e scoprire che tu eri scomparsa nel nulla? Le tue amiche non sapevano niente! Ho chiamato la polizia, ho addirittura telefonato a tua nonna, a Parigi! Ma di te nessuna traccia, come se fossi… Abbiamo temuto il peggio! Hai la più pallida idea di quello che ci hai fatto passare? Mi auguro che tu abbia una buona storia da raccontare, perché questa volta non te la caverai con delle semplici scuse! Puoi considerarti in punizione per il resto della tua vita, spero che questo sia chiaro!»

Mio padre, il mio tranquillo, pacato, stoico e freddo papà, che raramente si lasciava andare all’ira, era letteralmente un fiume in piena. Vomitava frasi sconnesse l’una dietro l’altra, rincorrendo tutti i pensieri che dovevano averlo assalito in quei giorni e cercando di mettermene a parte, e soprattutto senza avere la minima intenzione di ascoltare ciò che io avevo da dire.

Approfittai di un momento di silenzio in cui stava riprendendo fiato, per poter avere la possibilità di difendermi. «Je t’en prie, papà, siediti e lascia che ti spieghi ogni cosa.»

Lui mi lanciò uno sguardo per nulla convinto, tuttavia si sedette sul divano di fronte a me, giungendo le mani davanti al viso come faceva di solito e facendomi intendere di iniziare con le mie “scuse”. Cosa che feci davvero: gli raccontai ogni singola cosa che mi era capitata in quel breve lasso di tempo, a partire da quando ero stata trascinata all’interno del pozzo del nostro scantinato fino a quando ero stata quasi uccisa da un demone ragno, e poi di come ero stata curata e riportata a casa da una ragazza che aveva condiviso parte del mio stesso destino. Non tralasciai nulla, cercando di rendere il più realistico possibile quel racconto che, me ne accorgevo benissimo da sola, non stava né in cielo né in terra.

E, effettivamente, questo doveva essere proprio quello che pensava anche mio padre.

Quando tacqui, svuotata ormai da quelle terribili confessioni che non avevo più voglia di tenermi dentro in gran segreto, vidi che mi osservava di sbieco, con un’espressione basita, come se non riuscisse a credere che fossi stata capace di inventarmi una simile storia per coprire la mia “fuga”. Ciò che disse dopo, infatti, non fece che confermare la mia supposizione: non mi aveva creduta.

«Se pensi che questa pazza storia possa esularti dalla tua punizione, allora…» Iniziò, ricominciando ad arrabbiarsi.

In quel momento mi ricordai della mia ferita. Ma certo, quale altra prova migliore della cicatrice degli artigli lasciatimi da quel demone sulla schiena, per farlo ricredere su quanto appena detto? In silenzio mi alzai e, sotto il suo sguardo sorpreso, mi sfilai il maglione, rimanendo a torso nudo, con l’unica copertura della fascia fattami dall’anziana sacerdotessa Kaede intorno al petto.

«Pensi ancora che mi sia inventata tutto, papà?» Domandai, cercando di trattenere le lacrime. Sapevo quanto potesse suonare assurda tutta la situazione, ma era terribilmente fastidioso e demoralizzante il fatto di non venire creduta dal proprio padre.

Si alzò dal divano e, lentamente, mi raggiunse, facendomi voltare in modo da dargli le spalle; poi, con delicatezza, passò una mano sopra la fasciatura, tastando la ferita ancora fresca – con tutte le volte che si era aperta, ormai credevo non sarebbe più guarita del tutto – e strappandomi un gemito. Allora si allontanò da me come se si fosse scottato, e indietreggiò nuovamente verso il divano, crollando a sedere.

«Mio Dio, Nicole… Quello che mi hai detto è così… così…» Mormorò, tenendosi la testa con le mani.

Non potei trattenere un sospiro. «Incredibile?» Risposi, andando a sedermi accanto a lui. Gli posai una mano sulla schiena e posai la fronte sulla sua spalla, come quando ero piccola. «Stai tranquillo, papà… Tanto adesso è tutto finito, non me ne andrò più.»

Lo dissi per tranquillizzarlo; lo dissi perché avrei voluto crederci; ma, soprattutto, lo dissi perché volevo sforzarmi di non sentire la strana fitta di malessere e, forse, nostalgia, che mi assaliva non appena con la mente tornavo al villaggio Musashi e ai suoi abitanti, e il viso di una bambina si faceva largo a forza tra i miei ricordi… Lo dissi perché desideravo fosse vero, perché desideravo non far parte di quel mondo.

Ma, purtroppo, ora me ne sentivo indissolubilmente legata.

***

Da quel giorno, trascorsero ben due settimane.

Avevo ripreso ad andare a scuola, com’era ovvio che fosse: le mie compagne di classe, palesemente preoccupate della mia sparizione improvvisa, mi tempestarono di domande per sapere cosa mi fosse successo e soprattutto dove fossi stata, ma in fondo conoscevano troppo bene il mio carattere riservato e discreto per insistere una volta che avevo già detto loro di non volerne parlare.

Ma ormai mi ero accorta che vivevo per inerzia. Avevo smesso di uscire con le mie amiche, le uniche volte che varcavo il cancello di casa mia era per andare a scuola, e anche lì stavo più in disparte di prima. Se all’inizio questo mio comportamento poteva essere giustificato in quanto ero la “ragazza nuova”, la “straniera”, ora non faceva che rendermi insopportabile a tutti coloro che avevano l’ardire di rivolgermi la parola. Scattavo e mi arrabbiavo per un nonnulla, tanto sa risultare odiosa persino a me stessa. Ma non potevo farci nulla: la mia mente era costantemente altrove, e se qualcuno provava a riportarmi alla realtà gli rispondevo male o lo fulminavo con un’occhiataccia gelida.

Come se ciò non fosse abbastanza, la mia condotta era strana persino a casa mia. Trascorrevo serate intere nella cantina, raggomitolata per terra con le gambe strette al petto, senza distogliere lo sguardo dal pozzo che, adesso, sembrava del tutto innocuo. Portavo sempre con me una torcia, ma l’accendevo di rado; in quei momenti di insperata tranquillità riuscivo a pensare e a riflettere, incurante del freddo umido del vecchio scantinato.

La mia mente combatteva contro una vera e propria fase amletica: tornare o non tornare? Al di là del pozzo, chiaramente. Nascondevo il viso nelle braccia incrociate sopra le gambe e prendevo dei profondi respiri, come se questo potesse in qualche modo aiutarmi a prendere una qualsiasi decisione. Era difficile, era tremendamente difficile. La mia casa non era lì, in fondo: non era quello il mio mondo. Ma allora perché, perché, maledizione, non riuscivo a scostare il pensiero da quel luogo? Che razza di incantesimo mi avevano fatto?

Si trattava solo della Sfera? Era lei che mi stava richiamando indietro? La prima sera che l’avevo sfiorata avevo sentito una sorta di battito al suo interno, ed era calda, viva: possibile che stesse cercando di attirarmi di nuovo al di là del pozzo, in modo da tornare ancora in mio possesso?

Un’altra cosa che non tolleravo era il silenzio di Hiromi-san. Dopo avermi rivelato di conoscere la mia natura di miko – per quanto io stessa non ne comprendessi l’origine – aveva cessato di rivolgermi la parola, se non per pura educazione. Non mi aveva più detto nulla al riguardo, lasciandomi libera di rimuginare anche su quello come se non avessi avuto abbastanza problemi. Alla fine avevo deciso di lasciar perdere: di qualunque cosa fosse a conoscenza non doveva essere così importante e fondamentale, se non me ne aveva parlato.

E così adesso ero lì, gli occhi puntati sul pozzo silenzioso. Le mie mani tormentavano il bordo del mio maglione, la schiena ormai quasi completamente guarita che poggiava sul muro in pietra della cantina, e le labbra socchiuse in un sospiro silenzioso. Avevo promesso a mio padre che non sarei mai più scomparsa; ma prima di lui avevo fatto anche un’altra promessa… Avevo assicurato ad una piccola bambina dagli occhi castani e i capelli corvini che sarei tornata da lei, e che non l’avrei lasciata sola. E malgrado le minacce che mi aveva rivolto il suo signore, alla fine mi avevano permesso di tornare a casa con la convinzione che sarei tornata subito.

Cosa che non era avvenuta…

Basta, ero stufa. Non era da me stare in disparte ad attendere che il destino facesse il suo corso, ero più dell’idea che ciascuno fosse artefice e responsabile del proprio, di conseguenza era arrivato il momento di prendere in mano la situazione e agire.

Ciò che accadde dopo fu talmente frenetico che non non riesco a ricostruirlo con precisione. Rammento che saltai in piedi e che corsi in camera mia, afferrando un enorme borsone da viaggio dal mio armadio e infilandoci alla rinfusa qualche maglione, pantaloni, indumenti intimi e cose simili, insieme a una torcia elettrica e una buona dose di pile di ricambio, alcuni libri e degli aciugamani. Dopodiché scesi frettolosamente al piano di sotto, trascinandomi appresso la borsa e raggiungendo la cucina, dalla quale presi un coltello a serramanico e un po’ di provviste, che non erano da dimenticare. Lasciai il mio bagaglio sul tavolo della cucina e andai in bagno, dove mi appropriai di un baule del pronto soccorso e di alcuni medicinali che avrebbero potuto servirmi – la mia ferita sulla schiena era guarita, certo, ma persisteva il ricordo. Infilai il giubbotto, i guanti e un cappellino, e prima di andarmene scrissi un biglietto che avrebbe trovato Hiromi-san sul tavolo da pranzo non appena fosse tornata a casa dalla sua passeggiata.

Ecco, adesso potevo dirmi pronta. Afferrai un ombrello e lo gettai nella borsa prima di richiuderla con la zip, dopodiché me la caricai in spalla e raggiunsi l’ingresso, infilandomi impaziente le scarpe. Dovevo aproffittarne ora che ero da sola in casa, altrimenti non mi avrebbero permesso di fare una cosa simile. Certo, avrei potuto usare il mio pozzo, ma non mi fidavo: non sapevo dove sarei sbucata, e l’idea di incontrare qualche altro demone intenzionato ad uccidermi era tutto fuorchè invitante. Mi sembrava molto più saggio andare al tempio Higurashi e usufruire di quello, che se non altro era molto più vicino al villaggio Musashi.

Spalancai la porta e corsi fuori, ignorando la pioggerellina che aveva iniziato a cadere. Iniziai a correre e non rallentai per nessuna ragione, cercando di raggiungere il tempio al più presto prima che la ragione si reimpossessasse della mia mente convincendomi dell’assurdità di quello che stavo facendo.

Non volevo tornare indietro; avevo preso la mia decisione.

Sarei tornata.

Perdonami, papà.

Ma ho una missione da compiere e devo tornare dall’altra parte del pozzo; non tornerò fino a quando non avrò ritrovato la Sfera della mamma. Spero che questa volta comprenderai le mie ragioni, e non ti preoccuperai. Stai tranquillo, sarò in buone mani. Lascia che Hiromi-san ti spieghi tutto, se vuoi. Ma devi farle le domande giuste.

Ti voglio bene,

Nicole.


















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AA - Angolo Autrice:
A
ggiornamento non proprio rapido, e capitolo appena più lungo dei precedenti. Ma volevo "liquidare" la faccenda di Nicole in un unico capitolo, spero comunque di non averlo reso troppo frettoloso e che si siano capiti i sentimenti di Nicole, che si trova divisa tra due mondi anche se ancora non in modo del tutto irreparabile... Spero di non avervi deluso, ad ogni modo ^^ E ora passo ai ringraziamenti!


AR - Angolo Ringraziamenti:
Ehm, okay, non ho il tempo di rispondere anche a quelle dello scorso capitolo (in teoria adesso dovrei essere immersa nello studio) ma voglio comunque ringraziare:
  • Kobato: Anch'io penso che sarebbe pesante tutta la compagnia appassionatamente, sono più per il più intimo gruppo di Sesshomaru... Beh, vedremo come si evolverà la storia! ^^ Un bacione, a presto! =*
  • Maya Deleon_Energy Alchemist: Grazie per la recensione, davvero noti un cambiamento in Sesshomaru? Mah, chissà cosa nasconde il bel tenebrone... Continua a seguirmi! ^^ Un bacio =*
  • elenasama: Come vedi, Nicole è tornata nel Sengoku! ^^ Spero di non averti delusa con questo capitolo! Un bacio, a presto!
  • Alebluerose91: Geme! Grazie per aver recensito, ti voglio bene =*
Inoltre, voglio ringraziare le 11 anime pie che hanno messo questa storia tra le preferite:
E le 15 gentilissime che l'hanno aggiunta tra le seguite:
Siete dei tesori! Grazie mille =* Ci sentiamo al prossimo aggiornamento che - spero - avverrà presto!
Un bacione, GiulyRedRose

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