Do you believe in Old Legends? di Miss Halfway (/viewuser.php?uid=102223)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Ritorno a Salem. ***
Capitolo 3: *** Una nuova scuola. ***
Capitolo 4: *** Il Ballo di Primavera. ***
Capitolo 5: *** Su in soffitta. ***
Capitolo 6: *** Il ragazzo misterioso. ***
Capitolo 7: *** L'enigma del ciondolo. ***
Capitolo 8: *** Strane coincidenze. ***
Capitolo 9: *** L'ululato. ***
Capitolo 10: *** Teorie. ***
Capitolo 11: *** Attenta al lupo? ***
Capitolo 12: *** Domande e risposte. ***
Capitolo 13: *** Segreti. ***
Capitolo 14: *** L'appuntamento. ***
Capitolo 15: *** Luna Piena. ***
Capitolo 16: *** Come un Lupo Solitario. ***
Capitolo 17: *** La Notte di Valpurga. ***
Capitolo 18: *** Memorie. ***
Capitolo 19: *** Charles. ***
Capitolo 20: *** Avvisi, aggiornamenti e chiarimenti ***
Capitolo 1 *** Prologo. ***
1)
Prologo.
«Cosa
stai preparando, nonna? Una torta?» domandai.
«No,
tesoro. È un infuso a base di artemisia, aconito e verbena. Serve per
tenere lontano il male, bambina mia» rispose lei volgendomi dolcemente
lo sguardo.
Aveva
sempre modi gentili e pacati mia nonna,
ed
io volevo
ricordarla proprio così, tranquilla e serena nella sua cucina tra le
sue erbe e
i suoi filtri magici mentre preparava chissà quale pozione.
«Un
giorno non ci saranno più segreti» disse sorridendomi con fare
misterioso e con un velo di speranza sugli occhi.
Quel
giorno arrivò prima di quanto mi aspettassi ma lei già non
c’era più.
Sembrava
quasi che gli anni fossero volati senza che me ne accorgessi e che il
tempo in quella cucina si fosse fermato.
Ogni cosa era rimasta uguale a tredici anni fa,
proprio come ricordavo.
Ero di nuovo a casa mia,
finalmente.
Angolo
autrice.
ATTENZIONE!
ULTIMO AGGIORNAMENTO
APRILE 2019
Sono
ormai anni che rileggo e risistemo questa storia. Tra una cosa e
l'altra son passati ormai quasi dieci anni dalla pubblicazione di
questo primo capitolo, ma stavolta vorrei davvero poter mettere la
parola "fine".
Vorrei puntualizzare alcune cose prima del proseguimento della lettura.
Questa storia, come scritto sopra, vede la sua pubblicazione nel
lontano 2010, ma in realtà è addirittura un po' più vecchia. L'idea mi
frullava per la testa già da tempo (diciamo 2008 massimo) ma per
mancanza di ispirazione non l'ho continuata. Solo dopo aver seguito la
serie Vampire Diaries mi sono venuti in mente altri spunti. Troverete
infatti alcuni riscontri con, appunto, The Vampire Diaries, Twilight,
Streghe, Buffy, True Blood e La bambina della Sesta Luna per quanto
riguarda il rapporto nipote-nonna defunta.
Ho eliminato le immagini aggiunte in precedenza che raffiguravano sia i
personaggi sia i luoghi descritti (c'è comunque il trailer anche se i
personaggi non li immagino più così) e ho lasciato solo la copertina.
Ho anche eliminato i POV (punti di vista) degli altri personaggi in
modo che la storia sia descritta solo in prima persona senza dunque
anticipare nulla come succedeva prima quando inserivo stralci di
pensieri degli altri personaggi.
Inoltre ho cercato di incrementare le descrizioni perché prima
risultavano troppo scarse, ho aumentato la quantità di testo per
capitolo, anche se l'idea iniziale era di farli più corti in modo che
ce ne fossero di più.
In questo racconto sono fondamentali gli intrecci, nulla è lasciato al
caso, anche i più piccoli dettagli insignificanti si ricollegano poi ad
altri come un puzzle. O almeno questa sarebbe la mia intenzione.
Questa è la prima storia a capitoli che scrivo, la prima "seria"
diciamo, quelle scritte precedentemente non è che non le considero
degne ma son troppo influenzate dalla giovane età in cui le scrissi.
Come scritto nell'introduzione, il penultimo capitolo sarà quello
aggiornato, quello nuovo insomma, mentre nell'ultimo troverete altre
delucidazioni e soprattutto mi serve per "conservare" le recensioni
ricevute in passato che prima o poi risistemerò nei vari capitoli a cui
si riferiscono.
Tengo molto a questa storia visto che è "cresciuta" con me ed anche se
sa di roba trita e ritrita, comunque mi farebbe piacere qualche
recensione :D
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Ritorno a Salem. ***
2) Ritorno a
Salem.
Chiunque avesse inventato il detto il buongiorno si vede già dalla mattina aveva
pienamente ragione. Infatti, svegliarmi alle 4 del mattino per mettermi
in viaggio verso una nuova vita, in una città di un altro stato lontano
mille miglia insieme alla mia famigliola allargata, non fu certamente
il preludio di una bella giornata.
Non era ancora spuntata l'alba in quel lontano e
freddo giovedì dell'11 marzo 2010: la data è ancora impressa nella mia
mente. La data che segnò la mia nuova esistenza. Nonostante la stagione invernale
stesse per volgere al termine e la primavera fosse alle porte, il fresco a quell'ora del mattino
sapeva di inverno rendendo gelida e tetra anche la soleggiata e allegra
Coral Spring.
Ancora assonnata
ed infreddolita, insieme a mia madre, al suo nuovo marito e ai suoi due
figli, Ashley e Jeremy Stanley, i miei odiati fratellastri, mi stavo
preparando ad un lungo viaggio in auto di sola andata verso Salem,
nello stato del Massachusetts. Prima di partire,
mi voltai un'ultima volta a osservare la mia casa: un'unifamiliare
bianca, dalle finestre blu e i tetti dalle tegole azzurre che i miei
avevano comprato insieme circa tredici anni fa e che mio padre, dopo il
divorzio, aveva lasciato a noi, forse questa fu l'unica cosa positiva
che quell'uomo avesse fatto. Sebbene lì avessi vissuto anche momenti
felici e mi sentissi un po' malinconica nel doverla lasciare e provassi
quasi un senso di nostalgia e smarrimento, dovevo ammettere di essere
eccitata all'idea di riniziare da capo in una città dove nessuno mi
conosceva.
Lasciare la calda e frenetica Florida per
trasferisci nella casa di mia nonna appena venuta a mancare, in una
cittadina che, si racconta, fosse stata popolata dalle streghe, non era
il massimo, fatta eccezione per me che, come ho già detto, il
cominciare una nuova vita lontano da tutte quelle persone snob e
abbronzate sempre con la puzza sotto al naso, era occasione di
rinascita. Non ero particolarmente ben voluta a scuola, non che fossi mai stata
bullizzata o presa di mira, anzi, ero piuttosto anonima e questo mio
essere anonima e sentirmi quasi invisibile agli occhi dei miei coetanei
forse era addirittura peggio. Il non essere considerati fa sentire
inutili e inadeguati. Proprio per questo motivo non avevo molti amici e
di conseguenza non avrei sofferto la mancanza di qualcuno. La mia
migliore amica, Jane Andrews, si trasferì a Miami per motivi di lavoro
del padre, dopo le scuole medie e, sebbene questa disti solo un'oretta
di auto da Coral Spring, fu comunque difficile per noi, avendo tredici anni, vederci spesso e mantenere i
rapporti. Né mia madre né i suoi genitori erano disposti a far 70km
ogni qual volta avessimo voglia di stare insieme né erano disposti a
lasciarci prendere il treno da sole. Così, a poco poco, smettemmo di
vederci e di scriverci. Non ebbi più una migliore amica e gli anni del
liceo furono appunto traumatici senza una figura a cui appoggiarsi e
con cui confidarsi. Avere una migliore amica è fondamentale soprattutto
a quell'età, per questo fantasticavo tanto sulla mia nuova vita Salem e
non ero disperata nel dover lasciare lo Stato del Sole*.
Al contrario invece, la mia sorellastra Ashley era
affranta. Adorava Coral Spring, una ridente cittadina nel sud est della
Florida. Lei, a differenza mia, era la classica ragazza tipo del liceo
che si vede spesso nelle serie TV per adolescenti: capo
cheerleader, non si perdeva mai nessuna delle feste studentesche,
partecipava costantemente alle attività extra scolastiche ed ovviamente
riusciva sempre a diventare la fidanzata del capitano di football o di
qualche altro membro dell'élite scolastica.
Ed ovviamente, era bellissima: magra e slanciata ma al tempo stesso
formosa e proporzionata, i capelli biondi color miele e gli occhi un
po' a mandorla e cangianti. Sua madre doveva essere molto bella,
l'avevo vista in qualche fotografia appesa nello studio di Joseph e sia lei sia Jeremy, le somigliavano
moltissimo. Quando seppe che ci saremo trasferiti a Salem, lontani dal
bell'ambiente e dalla fama che si era costruita, scoppiò in un pianto
disperato sottolineando il fatto che presto ci sarebbero state le
competizioni e lei, essendo la capo cheerleader, non poteva affatto
abbandonare la sua squadra. A nulla servirono i suoi piagnistei per
convincere il padre a rimanere da sola a Coral Spring per l'ultimo
sempre visto che aveva già diciotto anni e quell'anno si sarebbe
diplomata. Odiò ancor di più me e mia madre per questo.
Per quanto mi
riguarda, invece, consideravo sventolare pon-pon per tifare la squadra
di football e andare ai balli della scuola una cosa un po’
sciocca, dettato anche dal fatto che non
avessi un minimo di grazia nei movimenti e soprattutto perché non avevo
una fila di ragazzi dietro con cui andarci. La vita scolastica non mi faceva
impazzire ed evitavo al massimo qualsiasi attività extra scolastica. Il
problema di fondo nell'odiare la scuola, quella scuola, stava nel fatto
che non trascorsi né un'infanzia né una adolescenza felice. Il che
peggiorò quando entrarono a far parte della mia vita i miei
fratellastri.
Il loro padre,
Joseph Stanley, un cardiologo affermato, sposò mia mamma tre anni fa,
cinque anni dopo che il mio se ne andò di casa con un'altra donna a cui
seguì, ovviamente, il divorzio con mia madre, Anna Morgan. Prima ancora
di sposarsi con mia madre, Joseph venne a vivere da noi insieme ai suoi
figli: Ashley, due anni più grande di me, e Jeremy, della mia stessa
età, sedici. Nonostante gli
anni trascorsi insieme, non avevo legato con nessuno dei due e non li
consideravo miei veri fratelli ma ritenevo Joseph alla pari di mio
padre.
Il mio rapporto con Ashley e Jeremy
rimase abbastanza stabile nel tempo, per lo meno fino a quando non ci
trasferimmo a Salem. Sebbene tra noi non ci fossero mai stati seri
litigi o grandi rivalità, o così facevamo intendere ai nostri genitori,
certi legami non si possono forzare,
soprattutto i legami non di sangue. Probabilmente, fra i due, se proprio devo essere sincera, andavo
molto più d’accordo con Jeremy, ma per andare d'accordo intendo che
fosse più sopportabile di sua sorella. Infatti, al contrario della mia
sorellastra, Jeremy era un po' come me, un ragazzo piuttosto anonimo
nell'ambiente scolastico e inoltre, sempre a differenza di Ashley, era
molto introverso, riservato e taciturno. Quando non avevamo la scuola,
trascorreva i pomeriggi chiuso in camera sua, di rado usciva e non
aveva tanti amici né scoprii mai se avesse avuto qualche ragazza, da
questo punto di vista eravamo simili ma non riuscivamo comunque ad
entrare in sintonia. Come Ashley, anche lui aveva un fisico atletico e
ben fatto, i capelli castano chiaro e due grandi occhi verdi tendenti
all'ambra. Credo che, se solo l'avesse voluto, avrebbe avuto tutte le
ragazze ai suoi piedi. A cena, l'unico momento in cui la nostra
famiglia si riuniva, Jeremy stava sempre col muso e di malumore. Era
abbastanza irascibile ed era meglio non farlo innervosire poiché poteva
diventare davvero irritante. Ma solitamente era così taciturno che furono
davvero poche le volte in cui lo vidi in preda alla collera. Era
proprio un lupo solitario.
Con Ashley invece, mi trovavo spesso
in contrasto, ma mai nulla di grave: il fatto è che eravamo troppo
diverse, con abitudini e idee differenti per avere qualcosa in comune
di cui parlare. Inoltre l'aver dovuto condividere la mia stanza con lei
per quasi tre anni la rese ancora più insopportabile. Insomma, per me
lei era come le due sorellastre di Cenerentola in un corpo solo!
Finalmente però,
grazie a questo trasloco, le cose sarebbero cambiate ed ognuna avrebbe
avuto i propri spazi e la propria stanza.
In confronto a
Coral Spring, Salem non era molto più piccola: aveva un terzo degli
abitanti ma vi era molto poco da fare. Sebbene la città si affacciasse
sulla costa dell'Oceano Atlantico, non dava di certo l'aria di essere
una città di mare, con feste sulla spiaggia e divertimento assicurato.
In passato ebbe, in un certo senso, la sua gloria, divenendo celebre
per la caccia alle streghe indetta verso la fine del 1600. Adesso però, la sua fama non ne era che un
lontano ricordo.
Quando ero
bambina, mia nonna Elizabeth mi parlava spesso di queste cose e non mi
spaventavano neanche un po’, anzi, a dirla tutta mi incuriosivano e mi
affascinavano tantissimo. Ogni tanto la vedevo in cucina intenta a
preparare chissà quale infuso o pozione. Ne ricordo una di formula,
come se fosse ieri, poiché era quella che preparava più spesso: artemisia, aconito e verbena. La
voce della nonna che ripeteva con voce flebile e gentile l'elenco di
quelle tre erbe risuonava nella mia mente trascinando con sé tanta
nostalgia. «Serve per tenere lontano il male, bambina mia», mi ripeteva.
Mia madre aveva
vissuto a Salem con lei nella vecchia casa senza un padre (sembrava
quasi che questa fosse una tradizione di famiglia), lei però nemmeno lo
conobbe. Dopo generazioni si interruppe questa sorta
di tradizione dei
Morgan: sarà che quasi nessuna delle mie vecchie antenate si fosse
sposata ma io fui la prima a prendere il cognome di mio padre: Spencer,
Meredith Victoria Spencer.
Mio padre non era
originario di Salem, ma di Coral Spring. Si trovava lì un semestre per
un master di antropologia sul folklore tradizionale e conobbe mia madre
che studiava invece archeologia. Si conobbero, si innamorarono e al
termine dei suoi studi mio padre si stabilì a Salem dove si sposarono
in municipio con un'intima cerimonia.
Quando nacqui io,
per circa tre anni, abitammo tutti insieme nella casa di mia nonna
materna, con l'intento di comprare una bella casa lì a Salem non appena
i miei avessero messo da parte una buona somma. Nell'attesa di
trasferirci in una casa tutta nostra, vivemmo dalla nonna, in una villa
grigia e un po’ tetra nelle vicinanze di un piccolo bosco, fino a che i
miei genitori stanchi dei continui rumori e delle stranezze che
succedevano nei dintorni, volarono dritti in Florida, lì a Coral
Spring. Mia madre giurò che non successe mai nulla di tutto ciò quando
ci abitavano solo lei e la nonna. Probabilmente mentiva.
Quando avevo nove
anni, mio padre, che nel mentre aveva trovato impiego come docente
universitario di etnologia e faceva da tutor ad una giovane ed
avvenente dottoranda, decise di andarsene di casa, con lei, lasciando
me e mia madre da sole. Così divorziarono.
Non capii
all'inizio, quando vidi le valigie sulla porta e il suo studio
(diventato poi camera di Jeremy) vuoto, perché se ne andò né seppi
subito il motivo del perché ci lasciò così di punto in bianco, in fondo
ero solo una bambina. Prima era solito mandarmi regali, farmi gli
auguri di Natale e scrivermi lettere. Adesso era troppo se ricordava di
telefonarmi il giorno del mio compleanno, tutta colpa della sua
compagna, Angela.
A distanza di
anni, accettai il loro divorzio e fui felice che mia madre si fosse
risposata. Joseph era davvero una brava persona, nonostante avesse due
figli insopportabili.
***
Eravamo in viaggio
da ore ormai.
Il tempo sembrava non trascorrere in quel cubicolo
e, pervasa dalla noia, avevo come l'impressione che stessimo andando a
3 km/h in autostrada. Avendo due macchine in famiglia, ci eravamo
dovuti dividere: mia madre e Joseph nella jeep e io dentro quel rottame
a quattro ruote di Jeremy insieme ad Ashley. Direi che
attraversare a nuoto l'oceano da Coral Spring a Salem lungo la costa
Atlantica sarebbe stato senz'altro più breve e meno noioso che stare
ore e ore in due metri quadrati con i miei fratellastri. Ashley, ovviamente, si prese il posto
migliore, cioè quello posteriore e io dovetti stare dietro schiacciata
tra borsoni e valigie. Non potevo nemmeno rannicchiarmi per dormire un
po' in modo da ingannare il tempo perché lo spazio era inesistente.
Mentalmente, mi ripetevo che le cose sarebbero migliorate non appena
arrivati e che tutto sarebbe andato per il meglio per farmi coraggio e
placare, tra l'altro, il mio mal d'auto.
Dopo circa otto ore ci fermammo a Charleston, nel
Carolina del Sud, per una lunga pausa per mangiare e per riposarci.
Dopo due ore ci rimettemmo in marcia.
All'imbrunire
facemmo un'altra pausa ad Edison, nel New Jersey, e passammo la notte
in un motel. Salem non era più così lontana ma dovevamo riposare poiché
avevamo guidato, a turno, tutta la giornata. Passammo a prendere un po'
di cibo in una stazione di servizio prima di metterci a dormire, ma
quasi nessuno mangiò, eccetto Jeremy che, come al solito, era incurante
di tutto e di tutti. Joseph era troppo stanco, la mamma era affranta
per la morte della nonna ed Ashley era furiosa e in lacrime che voleva
tornare a casa.
Non volevo sembrare insensibile, ero davvero triste per la nonna, ma
vedendo il lato positivo questa era una svolta.
La mattina seguente, verso le nove, ci rimettemmo in
viaggio. Mancava proprio poco ormai.
Nonostante tutto,
il restante tragitto fu piuttosto tranquillo. Fortunatamente
Jeremy era piuttosto silenzioso ed Ashley, seppur continuava a
lagnarsi, si era rassegnata che almeno per ora non sarebbe tornata a
Coral Spring. Inoltre, dopo tutte le strigliate dei nostri genitori
affinché andassimo d'accordo, avevamo imparato tutti e tre ad essere
tolleranti gli uni con gli altri. Escludendo il
tempo usato per soffermarci una notte in motel a Edison e le varie pause ad ogni
stazione di servizio che incontrammo lungo la strada, ci impiegammo
circa un giorno e mezzo.
Ero in trepidante
attesa. Non vedevo l’ora di arrivare a casa della nonna e voltare
pagina alla Florida: per quanto potesse sembrare strano, preferivo di
gran lunga una cittadina stramba e tetra piuttosto che la perfetta e
soleggiata Coral Spring.
Welcome to Salem, un
enorme cartello posto a destra della strada ci avvertiva che eravamo
giunti a destinazione. La mia nuova vita sarebbe
ricominciata lì dov’era iniziata e dove l’avevo lasciata tredici anni
fa, a Salem. Nonostante fosse stata spesso
descritta come una città sinistra e infausta appariva in realtà
piuttosto accogliente. Alla fine quelle che venivano raccontate erano
solo vecchie leggende e poi il processo alle streghe fu indetto più di
trecento anni fa.
Ricordavo
perfettamente la strada per arrivare alla casa della nonna, sebbene
fossero passati molti anni, più che altro mi sembrava di intuire la
direzione da seguire una volta giunti nel centro. Nella mia mente,
indovinavo quando l'auto dei nostri genitori davanti a noi, girava a
destra o a sinistra o di nuovo a destra in direzione della Villa dei
Morgan.
Eravamo arrivati.
Mia madre e Joseph
parcheggiarono la jeep nel vialetto di fronte ad una grande casa grigia
con le finestre dagli infissi scuri al numero 13 di Gemstone Avenue. Aveva l'aria di
una villa in rovina abbandonata ormai da tempo, anche se la nonna era
scomparsa solo pochi giorni prima, e il piccolo bosco di pini e abeti
alle sue spalle la rendeva ancora più misteriosa. Avevo pochi ricordi dell'interno:
ricordavo solo che avesse molte stanze perché mia nonna abitava insieme
alle sue sorelle (ne aveva tre) e alla loro nonna, tutte fanatiche
della stregoneria e tutte defunte, e una soffitta, dove non mi era
permesso entrare perché, secondo la nonna, non era ancora giunto il
momento. E io obbedii.
Scendemmo tutti
dalle rispettive auto guardandoci intorno spaesati.
«Siamo arrivati»
disse mia madre sorridente alzando le braccia per mostrare la
nostra nuova casa mentre Joseph si accingeva ad aprire il cofano
per scaricare i bagagli. Il corriere sarebbe arrivato l'indomani per
portarci il resto delle nostre cose.
Si avvicinò una
donna tutta in tiro con indosso un bel tailleur viola e i capelli
raccolti in un piccolo chignon.
«Voi siete i
coniugi Stanley? Salve, io sono Samantha, l'agente immobiliare»
annunciò la signora venendoci incontro. Strinse poi la mano a mia madre
e a Joseph e consegnò loro le chiavi. Si era occupata lei di contattarci e
di far sì che la casa non venisse venduta, ecco perché ci eravamo
trasferiti così in fretta e furia. Mia mamma non voleva assolutamente
che quella villa, ormai appartenuta alla sua famiglia da più di due
secoli, venisse messa all'asta. Noi eravamo le uniche eredi e non
risiedendo a Salem, ci sarebbe stato il rischio che la Villa dei Morgan
venisse venduta o peggio: demolita. Ero contenta e mi sentivo col cuore
leggero, mi sembrò di essere veramente a casa mia come quando si va in
vacanza e, una volta fatto ritorno, ci si sente davvero a casa propria
con quell'atmosfera familiare e accogliente.
Fui la prima ad
entrare, non volevo rischiare che uno dei miei due fratellastri mi
soffiasse la camera più bella perché volevo la stessa di quando ci
abitavo tredici anni fa. Stava al secondo piano, nella parte opposta
all'ingresso, e dalla finestra si potevano vedere gli alberi del bosco
vicino nel retro dell'abitazione.
La stanza che
avevo scelto non era molto grande ma non mi importava: finalmente avrei
potuto avere di nuovo la mia intimità e un armadio tutto mio. Sempre al
secondo piano si trovavano le altre due camere da letto: Jeremy scelse
quella affianco alla mia che aveva sempre la vista verso la foresta,
Ashley si sistemò nella camera di fronte a me affianco al bagno, mentre
al primo piano, quello sottostante, si trovavano la camera
matrimoniale, un altro bagno, e un'altra stanza che Joseph sicuramente
avrebbe adibito a studio. Un'altra rampa di scale in legno ormai
dismessa portava alla soffitta, l'unica stanza del terzo piano, in cui
non avrei messo piede per rispetto agli avvertimenti che la nonna mi
faceva da bambina. Infine, al piano terra c'erano la cucina, il
soggiorno, il salotto e un altro bagno.
Poggiai la mia borsa sul letto come a voler marcare
il territorio e tornai giù dagli altri.
«Sembra...sembra
una casa stregata! Bleah!», commentò la mia sorellastra fissando i
tetti aguzzi della villa.
«Beh almeno avrai
una stanza tutta per te, Ashley» la rassicurò mia mamma. Anche lei, si
vedeva chiaramente, era felice di essere di nuovo a Salem, a casa.
«E tu, Jeremy,
cosa ne pensi?» gli domandò.
«Mmh» mugugnò
facendo spallucce.
Parlare con quel
ragazzo era davvero difficile, non mostrava mai un minimo di
entusiasmo. Erano quasi quattro anni che ci conoscevamo e sapevo ben
poco di lui. A mio dire non era affatto timido, più che altro sembrava
disinteressato a costruire un qualsiasi rapporto umano con chiunque.
Suo padre ci aveva sempre detto che il suo carattere chiuso dipendesse
prevalentemente dalla sofferenza che provava. Non aveva ancora superato
la perdita di sua madre. Sua sorella invece
era tutto il contrario di lui, caratterialmente parlando: era una
ragazza allegra, ma molto cappricciosa, un po’ superba e viziata e
prendeva tutto con superficialità. Forse lei nascondeva così il suo
dolore. Jeremy invece, come detto, era
introverso, parlava poco e quando diceva qualcosa lo faceva con un
certo sarcasmo, quasi con l'intento di far innervosire le persone. Però
la maggior parte del tempo se ne stava sulle sue. Io
avevo sempre pensato che in fondo fosse più sensibile di quanto facesse
trapelare perché voleva dimostrare di essere forte e di non aver
bisogno degli altri.
Dopo aver
scaricato tutti i bagagli i nostri genitori uscirono un attimo per
sbrigare alcune commissioni: fare un po' di spesa, comprare delle
lampadine nuove da sostituire a quelle fulminate, firmare dei documenti
al municipio ecc.
Dalla mia stanza
sentivo la voce stridula di Ashley lamentarsi con Jeremy su quanto
fosse brutto questo posto e su quanto fosse triste per esser stata
costretta a lasciare Jason, il suo fidanzato (il suo fidanzato del
mese!) e le sue amiche cheerleader, o ancora quanto odiasse me e mia
madre perché se avevamo traslocato a Salem fu soltanto colpa nostra.
«Adesso basta!
Smettetela!» gridai uscendo dalla stanza.
«Mer, non rompere
ok? Sono libera di lamentarmi se ora ci troviamo in questo posto di
merda!» sbraitò la mia sorellastra.
«Mia nonna è
morta, abbiate un po' di rispetto per favore!» dissi avvicinandomi
minacciosamente al viso di Ashley, che, ahimè, era un tantino più alta
e piazzata di me.
«Non è una scusa
per scombussolare così le nostre vite. Io avevo le gare e gli
allenamenti e la mia squadra e il mio ragazzo mentre ora non ho
niente!» urlò trattenendo le lacrime.
Jeremy fece per
dividerci ma io tornai in camera mia scuotendo la testa.
Era forse la
seconda volta che discutemmo così animatamente ed ebbi una voglia matta
di strapparle quei bei boccoli d'oro da quella testa vuota. Capivo la
sua rabbia, ma era grande ormai, aveva diciotto anni non poteva
piagnucolare come una bambina e fare i capricci. La prima volta che
litigammo successe anni fa, poco dopo che vennero a vivere da noi. Lei
tagliò i capelli alle mie bambole di proposito. Non glielo perdonai
mai. Avevo però promesso a mia madre di comportarmi bene con loro due
anche nel rispetto di Joseph che mi voleva bene come se fossi davvero
sua figlia e desiderava tanto che i suoi legassero con me.
Quando sentii il
rumore della jeep mi precipitai al piano di sotto facendo finta di
nulla. Mia madre era visibilmente triste e Joseph con aria mortificata
scaricava le buste della spesa.
«Cos'è successo?»
le domandai. Lei alzò lo sguardo e mi scrutò con aria malinconica, poi
senza tanti giri di parole mi disse:«Domani c'è il funerale di nonna» e
iniziò a singhiozzare ininterrottamente. Joseph le pose una mano sulla
spalla per rassicurarla e mi fece cenno di uscire fuori a prendere le
ultime buste della spesa.
«Quanta roba!»
esultò Ashley entrando in cucina seguita da Jeremy.
«Shh! È per...la
veglia» asserì il loro padre. I due ragazzi emisero un ah di delusione e
iniziarono a sistemare le provviste insieme a me.
A cena eravamo
tutti silenziosi. Mia madre non toccò minimamente la pizza che avevamo
ordinato, Ashley stava attaccata al cellulare pigiando i tasti in
maniera convulsiva, Jeremy era assorto nei suoi pensieri e
giocherellava con la forchetta e la mozzarella fusa, Joseph mangiava in
silenzio senza distogliere lo sguardo dal piatto e io li osservavo
pensierosa.
La prima notte
nella nuova casa trascorse serena e tranquilla, e lo potevo affermare
con certezza perché non avevo chiuso occhio. Non c'era alcun rumore
strano o inquietante, solo l'ululare dei lupi proveniente dal bosco che
riecheggiava fin qui.
***
Il funerale della
nonna era l'indomani, Sabato 13 Marzo 2010, verso le quattro del
pomeriggio, due giorni dopo che con la mia famiglia avevamo lasciato la
Florida.
La mamma si era
presa la briga di contattare le amiche della nonna, i pochi paresti
rimastici dal ramo materno, ossia un cugino e sua moglie, e qualche
altro conoscente per il funerale e per la veglia.
La mattina prima
della sepoltura, mi convinse ad andare con Ashley che di stile se ne
intendeva a comprare un abito per l'occasione mentre lei rimaneva a
casa per preparare il buffet della veglia.
Al funerale,
durante la deposizione della bara, c'erano poche persone: un uomo e due
donne all'incirca dell'età di mia madre che rimasero tutto il tempo
insieme a bisbigliare chissà cosa, una famiglia di afroamericani
numerosissima (saranno stati in cinque fratelli, più i genitori, più
una donna anziana), una signora sui trent'anni dai lineamenti
orientali, probabilmente cinese, ed in fondo in disparte un'altra
signora dall'aria familiare.
Tutti i presenti
avevano un'aria più che triste preoccupata, la donna asiatica stringeva
i pugni e guardava in basso, la numerosa famiglia rimase sempre
agglomerata e immobile e la donna in disparte si asciugava le lacrime
con un fazzoletto di stoffa bianca.
Dopo un po' Jeremy
mi fece notare un uomo, anzi, un ragazzo, che da lontano, nascosto
dietro un albero del cimitero mi osservava con aria aggressiva. Quando
ricambiai l'occhiata svanì dietro il tronco e non lo vidi più. In quel
momento non ci feci neanche caso, ero troppo impegnata a compiangere la
nonna che purtroppo non avevo nemmeno avuto la possibilità di conoscere
bene.
Quando arrivammo a
casa per la veglia, nel mentre che riempivo il mio piattino di plastica
di cibo, si avvicinò una donna, quella che al funerale se ne stava in
lontananza a piangere e che mi sembrava di aver già visto.
«Ciao, Meredith»
disse abbozzando un mezzo sorriso.
«Ehm, ciao,
signora.»
Aveva un'aria così
familiare e sembrava addirittura conoscermi. Mi scrutava con sguardo
curioso e un po' titubante al tempo stesso.
«Tu non mi conosci
ma io sì. Povera Elizabeth, era una brava donna, non meritava affatto
questa ignobile fine» asserì.
«Lei chi è?» le
domandai.
«Ah, non importa
cara. Sono qui solo per dirti una cosa: devi fare molta attenzione,
questo posto è...»
«Che ci fai qui,
zia Sarah?! Vattene via per favore, il patto era che venissi solo in
cimitero!» mia madre si intromise nella conversazione con quella donna
urlandole contro di andarsene via. Prima che potesse proferire parola,
mia madre le urlò di nuovo di andarsene e che non era affatto gradita
in quella casa.
Quella signora che
mia madre aveva chiamato zia Sarah e che
sembrava, oltre che conoscere me, sapere qualcosa sulla morte di mia
nonna se ne andò via. Prima di chiudere la porta d'ingresso mi fissò
ancora un po' e poi si raccomandò nuovamente di fare attenzione con un
cenno della testa. Tutti gli invitati erano attoniti e dopo un'oretta
se ne andarono via anche loro.
«Chi era quella
donna?» chiesi a mia madre nel mentre che l'aiutavo a riordinare.
«Una sorella di
tua nonna, una non molto gradita in famiglia.»
«Mi avevi detto
che erano tutte morte! Perché?» ma non mi rispose ed io non volevo
forzarla. Non mi rivelò nemmeno la vera causa della morte della nonna
ma si limitò a dire che aveva avuto un malore e che siccome in casa non
c'era nessuno che avrebbe potuto soccorrerla, non si salvò.
Non mi convinse
neanche un po' e mille dubbi mi passarono per la testa. Perché quella
reazione esagerata contro sua zia?
Dovevo rivedere
quella donna e chiederle spiegazioni, non ero una bambina e avevo il
diritto di sapere come stavano realmente le cose.
La mattina dopo,
con la scusa di voler uscire a fare una passeggiata, andai al centro di
Salem, mi sentivo come guidata dall'istinto e mi ritrovai di fronte ad
una piccola bottega in fondo ad un vicolo. Due lanterne rosse con degli
ideogrammi disegnati posti al lato dell'ingresso mi suggerirono che
forse lì avrei trovato la donna che era ieri al funerale e che secondo
me poteva aiutarmi. E così fu, nel senso lei c'era ma ovviamente non mi
fu di grande aiuto.
«Ciao, posso
esserti utile?» mi chiese non appena entrai, poi osservandomi più da
vicino mi riconobbe e mi domandò con aria un po' seccata cosa volessi.
«Lei sa chi era
quella signora che c'era ieri al funerale?»
Ci pensò un
attimo. Sapeva benissimo che era la sorella di mia nonna, in realtà
rifletteva se dirmelo o meno perché aveva capito che sicuramente le
avrei fatto qualche altra domanda, ma alla fine annuì.
«Sa anche dove
abita?»
«Io non voglio
impicciarmi negli affari che non mi riguardano, Ognuno ha la
propria...corrente e la signora Morgan è una bravissima persona che non
si interessa di cose...strane.»
«Corrente? Cose strane?»
«Ma sì, magia,
stregoneria, cose così.»
Da che pulpito
proprio! Lei che vendeva spezie, pietre colorate, oggetti strani come
scope e calderoni e aveva un gatto nero rannicchiato sulla soglia
d'ingresso.
«Conosceva anche
mia nonna? Sa come è morta?»
«Era una mia cara
cliente. Ora, se ti dico dove abita la signora Morgan andrai via e
cercherai di tenerti (e tenermi) fuori da queste cose?»
Ovviamente risposi
di sì, ma dovevo tenere d'occhio anche lei perché sembrava conoscere
molte cose che temeva di rivelare.
Quando uscii,
chiuse il negozio e abbasso la saracinesca. Non capivo, ma continuai a
camminare verso l'indirizzo che mi aveva dato.
La signora Sarah
Morgan viveva quasi dalla parte opposta della città rispetto alla villa
dove abitava la nonna, al numero 38 di Port Drive Avenue.
Bussai. La signora
quando aprì, si stupì di vedermi e mi fece accomodare dentro. La sua
casa era arredata in modo antiquato e l'ambiente odorava di cera per
pavimenti e fumo di sigaretta.
«Posso offrirti
qualcosa?» disse. Non sembrava affatto stupita di vedermi.
«No, grazie. Sono
qui per chiederle di mia nonna.»
«Mi spiace, non
posso aiutarti. Ho sbagliato a venire al funerale, ti prego, è meglio
se vai via.»
«No, la prego
io... Cos'è successo? Perché mia madre mi ha detto che tutte le sue zie
erano morte?»
«Ascolta, io non
ci ho mai realmente creduto a certe dicerie ma quando alcune donne qui
hanno iniziato a morire e poi è toccata la stessa sorte ad Elizabeth,
mi sono ricreduta. E ora va, fa attenzione» disse chiudendomi la porta
in faccia.
Erano tutti così
enigmatici qui, Salem trasudava mistero in ogni angolo, tutti
sembravano avere dei segreti indicibili e io volevo scoprirli tutti.
Angolo autrice.
*Lo Stato del
Sole: the
Sunshine State, ossia il soprannome dello Stato Federato della
Florida.
Credo che questo sia il capitolo che abbia modificato più volte. Lo so
che è noioso e non trasuda molta sovrannaturalità e mistero, ho
descritto situazioni normalissime come un trasloco o dei fratelli
rompipalle o una zia zitellona.
Volevo giusto introdurre un po' il contesto, l'ambientazione e
delineare il profilo di alcuni dei personaggi principali e non.
A presto (:
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Una nuova scuola. ***
3) Una nuova
scuola.
La visita alla prozia Sarah si rivelò
inutile. Sia lei sia Mei-Lin Xiang, la proprietaria della drogheria
presente al funerale della nonna, seppur dubbiose e timorose,
sembravano volermi far intendere qualcosa. Qualcosa che temevano di
pronunciare ad alta voce e che io dovevo assolutamente scoprire. Entrambe farneticavano di cose strane, di correnti, di magia e
addirittura di stregoneria, ma subito dopo affermavano fermamente
di non crederci a queste fandonie e di restarne fuori. Secondo me
fingevano come fingevano di non sapere come fosse davvero morta la
nonna.
Tornai
sconsolata a casa. Era domenica pomeriggio e c'era una
gran noia nell'aria: Joseph aveva trovato lavoro in un ospedale poco
fuori Salem, mia madre era a far la spesa, Ashley era a fare shopping
perché l'indomani saremo andati a scuola e voleva essere impeccabile e Jeremy
zappingava col telecomando in salotto davanti al televisore.
«Dove sei stata stamattina?» mi
domandò con tono scontroso quando mi vide sedermi sul divano insieme a
lui.
«A fare un giro.»
«Non è che eri a
cercare quel tipo di ieri?»
«Quale tipo?»
«Quello nascosto
dietro l'albero, durante il funerale.»
Mi ero completamente scordata di quel
ragazzo. Chissà chi era o cosa voleva o perché fosse lì nascosto. Era
un'altra persona, oltre la prozia Morgan e la signora Xiang, che dovevo
tenere d'occhio. Sarei andata a fondo in ogni mistero!
Il resto della
giornata trascorse tranquillo, rimasi a guardare la televisione con
Jeremy, mangiai e dormii serenamente tutta la notte. Le pareti lilla
sbiadite mi davano un senso di conforto e familiarità, l'aria fresca
che entrava dalla finestra mi donava un senso di pace e tranquillità.
Sì, ero proprio a casa.
Dormii come un sasso fino alla mattina dopo. Dovevo
essere ben riposata perché l'indomani sarei andata a scuola e dovevo
fare bella figura: quella era un'occasione per reinventare me stessa e
liberarmi dalla nomina di sfigata che mi aveva perseguitato durante i
due anni e mezzo precedenti al liceo di Coral Spring.
Nei tre giorni che seguirono la notizia del decesso
della nonna, prima di trasferirci qui a Salem, mia madre e Joseph
contattarono il liceo di Salem e sbrigarono tutte le pratiche
burocratiche per non farci perdere giorni di lezione anche perché
quest'anno Ashley si sarebbe diplomata. Io e Jeremy invece eravamo al
terzo anno.
Mi svegliai di
buon ora e cercai di rendermi il più presentabile possibile. Certo, non
sarei stata ai livelli di Ashley che per l'occasione si era rifatta
interamente il guardaroba ed era già di per sé bellissima. Purtroppo
sapevo bene che l'occhio vuole la sua parte e che se davvero avessi
voluto uscire dall'ombra in cui ero stata avvolta durante gli anni
della scuola e stringere nuove amicizie, avrei dovuto rendermi almeno
presentabile. Solo che non avevo nulla di carino da mettermi e per
quanto ci provassi a curarmi e agghindarmi continuavo a considerarmi
goffa e impacciata e poco attraente, così mi feci coraggio e...
«Ashley, non è che
potresti prestarmi qualcosa?» dissi entrando nella sua nuova camera già
perfettamente riordinata e decorata con peluche, foto appese al muro e
premi sportivi vari in bella mostra. Lei mi squadrò dalla testa ai piedi
e annuì sbuffando. Frugò un po' nel suo armadio e mi passò un paio di
jeans attillatissimi a vita bassa e un maglioncino azzurro
scollatissimo.
«Cosa c'è? Non ti
piacciono? Sempre meglio di quel che ti metti di solito.»
Feci spallucce
mordendomi la lingua e andai a cambiarmi e a truccarmi un po'. Era
tardi, dovevo ancora truccarmi e fare colazione.
«Quel maglione non
va indossato con una canotta sotto, lo sai? Serve per mostrare le tette
e così le nascondi- sottolineò Ashley quando scesi in
cucina per mangiare-e poi l'ombretto celeste no, ti
prego levalo!» feci finta di non
averla neanche sentita. Non avevo tempo di cambiarmi e rifarmi il
trucco.
«Come ti sei
conciata?» sbeffeggiò invece Jeremy non appena mi vide. Lo fulminai con lo sguardo e andai a
fare colazione. Speravo solo di non fare lo stesso effetto ache agli
altri studenti. Avevo fantasticato parecchio in questi ultimi giorni
sulla nuova me e sul fatto che sarei riuscita ad integrarmi
nell'ambiente scolastico di Salem, che a differenza di Coral Spring era
una cittadina di provincia, che non avevo messo in conto che poteva
anche andarmi peggio. Potevo venir presa in giro o nuovamente messa da
parte. Scacciai quei pensieri e corsi a lavarmi i denti. Eravamo pronti.
Prima di uscire mia madre si
raccomandò di comportarci bene, di fare nuove amicizie e di studiare
sin da subito per non rimanere indietro proprio come se fossimo dei
bambini il primo giorno delle elementari.
La Salem High
School non era molto distante dalla nostra casa. Anche la scuola che
frequentavamo prima in Florida era piuttosto vicina ma da quando Jeremy
aveva preso la patente era raro che qualcuna di noi ci andasse a piedi.
«Beh siete
pronti?» esultai appena giungemmo di fronte all'edificio scolastico. Il
loro silenzio faceva presagire quanto entusiasmo potessero avere, ma
per me, l'idea di frequentare una nuova scuola, era davvero un vero e
proprio nuovo inizio. Persi il conto di tutte le volte che lo ripetei.
I miei fratellastri non erano molti emozionati all'idea. Ashley era
ancora di umore nero e voleva assolutamente entrare nella squadra delle
cheerleader mentre Jeremy, come al solito, era impassibile.
Mi guardai attorno analizzando ogni centimetro
dell'edificio scolastico.
La struttura era
piuttosto grande e di color rosso mattone, con un piccolo prato verde
che spartiva il corpo principale dal parcheggio. Sia l'edificio sia il
parcheggio erano delimitati da delle mura abbastanza alte che
terminavano con un enorme cancello in ferro che dava accesso anche alle
auto. Non erano in molti ad andare a scuola in macchina, mi sentivo
quasi privilegiata. C'era inoltre un altro giardino interno dove si
poteva mangiare all'aperto nei giorni di sole ed infine i campi
sportivi nel retro.
Per prima cosa
andammo in segreteria a chiedere l’orario delle lezioni: io e Jeremy
avevamo scelto la maggior parte dei corsi uguali per non essere soli e
a disagio, anzi, più che altro ero stata io a scegliere le materie
uguali alle sue nonostante non fossero propriamente coordinate con il
mio precedente piano di studi. Invece Ashley, che era un anno più
grande di noi, non aveva questi problemi di socializzazione, fece
presto amicizia con il gruppo delle cheerleader di cui tanto desiderava
far parte acquistando fin da subito popolarità, mentre io e Jeremy
rimanemmo tutto il tempo insieme, ma senza parlare.
Trovammo subito l'aula per la prima lezione, quella
di matematica, e ci sedemmo vicini aspettando che arrivasse il
professore.
Questo entrò pochi secondi prima che suonasse la
campanella: era un bell'uomo sulla quarantina, vestito elegantemente in
giacca e cravatta e portava con sé una ventiquattrore in pelle.
«Buongiorno signori- disse il
professor Richardson osservando me e Jeremy -abbiamo alcuni nuovi
studenti, due dei quali frequenteranno questo corso. Prego» ci fece
cenno di alzarci e ci presentò.
«Il signor Jeremy Stanley e la
signorina Meredith Victoria Spencer. Siete fratelli giusto?»
«Fratellastri» lo
corresse Jeremy, quasi a voler sottolineare il nostro non legame di
sangue.
Il professore fece un mugugnò di
sorpresa e poi ci esortò a presentarci. Tutti ci guardavano con aria
incuriosita, probabilmente perché era raro che qualcuno si trasferisse
dalla Florida al Massachusetts, soprattutto in una cittadina come
Salem. Jeremy fu il primo di noi a presentarsi di fronte alla classe.
Si avvicinò alla lavagna come gli chiese il professore e fece una breve
introduzione di se stesso.
«Mi chiamo Jeremy
Stanley, ho sedici anni e vengo dalla Florida.»
Il professor
Richardson lo guardò per persuaderlo ad amplieare la sua descrizione e
raccontare qualcos'altro su di sé. Jeremy fece spalluce come a volergli
chiedere che diamine si aspettasse e poi aggiunse solo:«Faccio atletica da dieci anni e mi
piace leggere». Il professore gli fece qualche domanda sui suoi gusti
in fatto di lettura, sulla parte di programma di matematica a cui era
arrivato nella precedente scuola e poi gli concluse dicendo che era
spiacente poiché alla Salem High School non si praticavano sport
individuali ma vi era solo il basket per i ragazzi e la squadra delle
cheerleader per le ragazze.
Jeremy fece spallucce e tornò a sedersi accanto a
me. Era il mio turno. Ero nel panico, iniziavo a sudare freddo e avevo
il cuore a mille. Se quella di Jeremy era una descrizione scarna, la
mia sarebbe stata ancora più riduttiva.
Presi fiato e mi avvicinai alla lavagna. Avevo la
visuale dell'intera classe di fronte a me e tutti mi guardavano con
occhi curiosi in attesa che dicessi qualcosa.
«Ciao a tutti. Il mio nome è Meredith
Victoria Spencer. Sono nata qua a Salem ma ho vissuto praticamente
tutta la mia vita in Florida, a Coral Spring. Di recente la mia
famiglia ha deciso di ritornare a vivere a Salem ed ora abitiamo nella
Villa dei Morgan vicino alla Riserva. Ho sedici anni, come Jeremy, ed
anche a me piace leggere, uscire con gli amici, andare al cinema.
Insomma le solite cose.»
Il professore mi
ringraziò per esser stata un po' più esauriente del mio fratellastro e
fece anche a me qualche domanda sul programma precedente. Tornai a
sedermi, in fondo non era stato poi così traumatico.
Dopo matematica,
avevamo due ore di letteratura, poi alla quarta ora io avevo lezione di
spagnolo e Jeremy aveva lezione di francese. In questo caso non potevo
affatto iniziare un altro corso di lingue straniere, avrei dovuto
prendere lezioni private e riniziare dall'alfabeto. Nuovamente i
professori delle discipline successive ci chiesero di presentarci e a
che punto del programma fossimo arrivati. Non eravamo molto più avanti
rispetto al programma del liceo di Salem. Ripetemmo le stesse
presentazioni per altre due volte in maniera robotica e automatica e
sicuramente lo avremo fatto anche i giorni seguenti per le altre
materie di cui non conoscevamo i professori.
Durante la pausa
pranzo, io e Jeremy, ci sedemmo ad un tavolo per conto nostro nel
giardino interno all'ombra di un albero. Si vedeva lontano un miglio
che eravamo nuovi e spaesati, mentre Ashley stava già socializzando a
quello che, secondo me, era il tavolo a cui sedevano gli studenti più
popolari della scuola.
A un certo punto
si avvicinò a noi un gruppetto di tre ragazzi e una ragazza che ci
invitarono a visitare un po’ l’istituto e ci diedero il benvenuto.
Sembravano simpatici e disponibili. Ovviamente anche qui a Salem non
mancavano gli snob, ma non era il caso di quei quattro ragazzi: i
fratelli Alexis e Matt Cooper, George Wetmor e Nicholas Barret.
Rispettivamente avevano lei quindici anni e suo fratello diciotto, poi
George sedici, che avevo già visto al corso di spagnolo quella stessa
mattina, e Nicholas dell'ultimo anno quindi coetaneo di Matt ed Ashley,
diciotto anni.
«Piacere Nicholas,
ma puoi... cioè, voglio dire, potete chiamarmi Nick» si presentò
stringendoci la mano tutto sorridente mostrando i suoi denti
bianchissimi e non mi tolse gli occhi di dosso nemmeno per un istante.
Non potevo aver fatto colpo il primo giorno su un ragazzo così! Era
impossibile.
Quando anche gli altri finirono di presentarsi, Nick
ci chiese se io e Jeremy volessimo comprare i biglietti per il ballo di
primavera che, guarda caso, si sarebbe tenuto proprio fra una settimana
e ne approfittò per invitarmi ad andarci insieme. Scioccante.
Scioccante perché la mia insicurezza era talmente radicata nella mia
testa che doveva esserci per forza qualcosa sotto se un tipo come
Nicholas mi avesse appena invitata al ballo. Era impossibile che non
avesse già un'accompagnatrice dal momento che il ballo si sarebbe
tenuto fra una settimana. Mi prese dunque molto alla sprovvista
e inizialmente non seppi che rispondergli. Inoltre dovevo ammettere che
fosse davvero carino e nessun ragazzo davvero carino mi aveva mai
invitato a un ballo scolastico prima d'allora e questo mi mise ancora
più a disagio lasciandomi incapace di pronunciare una qualche risposta
o fare un cenno con la testa. Nick mi guardava in attesa di una mia
reazione ed io rimasi imbambolata alcuni
secondi ad analizzarlo. Aveva un'aria sicura di sé ma senza
apparire altezzoso, sembrava gentile e loquace. Era molto alto e ben piazzato, sicuramente superava il metro e ottanta, aveva dei
capelli castano chiaro un po' riccioluti e gli occhi celesti. Probabilmente
faceva qualche sport. Però, sebbene fosse attraente e di bell'aspetto,
aveva un qualcosa che non mi convinceva, o piaceva, nel complesso,
avrei perciò declinato l'invito anche per la mia repulsione verso i
balli scolastici. Odiavo questo genere di cose, troppo impegnative:
vestiti, scarpe, trucco, parrucco, fiori... Questo poteva anche
sembrare incoerente dal momento che per anni mi son lamentata che
nessun ragazzo attraente mi calcolasse, ma il mio istinto mi diceva di
rifiutare.
«Lei è con me al ballo. Quanto
vengono i biglietti?» esultò Jeremy poggiandomi una mano sulla spalla e
avvicinandomi a lui prima che potessi rispondere a Nick distogliendomi
dai miei pensieri sul suo aspetto. Mi sentii improvvisamente
rassicurata e credevo che egli stesso avesse intuito che non volevo
andarci e che non volessi sembrare scortese rispondendogli di no per
questo aveva inventato quella scusa di andarci insieme.
«Ma non siete
fratelli?» replicò prontamente Alexis, probabilmente era intenzionata
ad invitarlo lei.
«Fratellastri»
sottolineò lui, di nuovo.
«Ah, ok» bofonchiò
delusa la ragazza.
«Beh, finiamo di
visitare il liceo?» chiesi per smorzare un po’ quell'atmosfera che
iniziava a diventare ostile.
Ci alzammo e
seguimmo i quattro che ci portarono a visitare la scuola partendo
dall'esterno dove c'erano i campi sportivi. Il giardino dietro l’edificio era
diviso in due e delimitato da una rete: lì si trovavano il campo di
basket e l'area dedicata agli allenamenti delle ragazze pon-pon con
delle piccole tribune per gli spettatori. Quei campi erano decisamente
troppo piccoli ma Nicholas sottolineò quanto fosse forte la loro
squadra di basket di cui era capitano:«Dobbiamo solo sconfiggere un'ultima
squadra per diventare campioni del Massachusetts!» esultò fiero. Il giardino
interno dove ci trovavamo poco prima a mangiare era,
invece, adibito a zona ricreativa: c'erano delle panchine e dei
tavoli al coperto dove mangiare ed infatti vi si accedeva attraverso la
mensa. Dai campi sportivi, rientrammo
nuovamente nell'edificio passando accanto agli spogliatoi e ai bagni
con le docce. Salimmo ai piani superiori dove stavano le varie aule e i
laboratori e poi di nuovo al piano terra in cui stavano la segreteria,
gli uffici dei professori, la sede della redazione del giornalino della
scuola e la biblioteca.
Quella sì che era grande e maestosa, e profumava di antico a differenza
della biblioteca del liceo in Florida in cui vi erano soltanto
scaffalature moderne e posti a sedere.
«Qui ci sono anche
vecchi libri di incantesimi e alcuni grimori* autentici risalenti al
periodo della caccia alle streghe» disse Alexis. Sorrisi sentendo la
parola streghe.
«Sapete, il
consiglio di Salem si è battuto molte volte nel corso degli anni per
impedire che questi libri venissero venduti e portati in qualche museo
di Boston o di New York o peggio, in Europa, a prendere polvere senza
che potessero più essere consultati. Sono un patrimonio della nostra
città e sono accessibili a tutti i cittadini: chiunque può leggere
questi libri» aggiunse.
«Questa città è
famosa per queste cose» commentò poi Nicholas, meno orgoglioso sul
passato infausto di Salem rispetto alla squadra di basket che tanto
elogiava. Io però già lo sapevo, annuii
comunque per sembrare interessata e per rimediare al bidone che gli
avevo fatto poco prima.
«Ti rendi conto
che ora sono costretta ad andare al ballo?» sussurrai a Jeremy mentre
gli altri proseguivao a raccontare vecchie leggende.
«Ce ne andremo
subito, se vuoi. Volevo evitare inviti non richiesti» mi rispose
indicando Alexis con lo sguardo.
«Ah, quindi l’hai
fatto per te?»
«Hai visto come mi
guardava la ragazzina?»
Ero quasi delusa.
Pensavo volesse salvarmi da
Nicholas, non evitare Alexis.
«Beh, almeno
accompagnami a prendere il vestito!»
«Posso unirmi a
voi? Anch'io devo ancora comprarlo!» disse lei entusiasta. Speravo non avesse
sentito l'intero discorso. Era evidente che avesse già un interesse per
mio fratello, anzi fratellastro come precisava sempre lui,
non potevo dunque rovinarle pure questo tentativo di approccio così la
invitai ad unirsi a noi. Certo che qui le persone erano davvero
sfacciate!
«Ecco, hai trovato
compagnia- disse Jeremy -io posso pure starmene a casa allora.»
Lo presi per un braccio e lo trascinai
un po' distante dal gruppo con Alexis che ci guardava di sottecchi.
«Non puoi cercare
di essere carino? Per favore» lo supplicai.
«Mmh. Ci proverò.»
«Voglio iniziare
una nuova vita ed avere degli amici!»
Sbuffò e con aria
rassegnata annuì.
Tornammo dagli
altri e George, che era stato silenzioso tutto il tempo lasciando
parlare Nick e Alexis, volle raccontarci una vecchia leggenda poco
prima che finisse la pausa pranzo e prima dell'ora di ginnastica.
Tutti restammo in
silenzio in attesa che iniziasse a raccontare. Nicholas invece sbuffò
affermando di conoscere a memoria questa storia e George, appena
ricevette l'attenzione di tutti, si stirò la sua vecchia giacca di
pelle, diede un colpo di tosse e si sistemò gli occhiali dalla
montatura squadrata prima di iniziare:«Bene, partirò dal principio» asserì.
Era un tipo
strano, decisamente strano: era vestito di nero dalla testa ai piedi,
compresa la T-Shirt degli AC/DC un po' sgualcita che indossava, e
portava degli occhiali dalla montatura spessa e dalle lenti
rettangolari che velavano i suoi grandi occhi verdi nascosti
ulteriormente da alcuni ciuffi ribelli che gli uscivano dal berretto. I
capelli lunghi e arruffati di un nero corvino opaco gli donavano,
insieme agli occhiali, l'aria di un intellettuale un po' trascurato
dedito solo alla lettura. Si scrocchiò le dita e il collo, inspirò
profondamente e cominciò a raccontarci questa leggenda.
«Nell'inverno del
1692, Betty ed Abigail Williams, rispettivamente la figlia e la nipote
del reverendo Parris della chiesa di Salem, iniziarono a
comportarsi in modo strano: non dormivano mai, camminavano strisciando
sul pavimento e dicevano cose assurde e blasfeme. I medici inizialmente
ritennero che fossero affette dall'isteria ma, con l'andare del tempo,
i dottori non riuscirono a dare alcuna spiegazione logico-scientifica a
questi comportamenti, fin quando qualcuno non azzardò l'ipotesi della
possessione demoniaca. In quel periodo si credeva che l'essere
posseduti o indemoniati fosse causato da un maleficio o da una fattura,
insomma da una sorta di incantesimo, e la stregoneria era ritenuta un
vero e proprio crimine provocato da una persona (una strega o uno
stregone) per danneggiarne un’altra e quindi il caso di Betty e Abigail
divenne di competenza delle autorità giudiziarie. Bisognava dunque
scovare chi avesse compiuto quell'incantesimo e punirlo severamente.
«Passò però un mese prima che si giunse
alle accuse di stregoneria, in un primo momento infatti, il reverendo
Parris decise di non rivolgersi alle autorità giudiziarie e di
affidarsi a Dio. Poi però anche altre ragazze della città cominciarono
a comportarsi allo stesso modo e iniziarono ad accusare diverse donne
del villaggio di essere delle streghe che per gelosia avevano lanciato
una maledizione sulle ragazze della nobiltà e delle classi più agiate.
Venne istituito un tribunale speciale con sede nella Meeting House,
cioè l’edificio adibito alla vita pubblica del paese. Le donne accusate
vennero arrestate e anche torturate durante gli interrogatori, ma
questo non portò alla fine degli isterismi che avevano colpito le
giovani altolocate di Salem.
«La caccia alle streghe continuò e
sempre più donne vennero imprigionate, vi erano anche degli uomini
accusati di essere stregoni o demoni e furono incarcerati anche loro.
Le proporzioni del caso erano nel frattempo aumentate e si erano
allargate a tutta la colonia del Massachusetts. Non essendoci
un'autorità ufficiale, non era stato ancora possibile iniziare alcun
processo. Così, alla fine del mese di maggio, per volere del re di
Inghilterra, giunse a Salem il Governatore Sir William Phips per
avviare le udienze del processo insieme alla corte composta da sei
membri nominati da egli stesso. Si dice tra l'altro che alcuni membri
di quel consiglio e che il Governatore stesso fossero dei vampiri che
volevano vendicarsi delle streghe le quali, per difendersi dalle accuse
di stregoneria, avevano confessato l'esistenza degli esseri della notte
rompendo un patto speciale stipulato con la razza dei vampiri. Altre
leggende affermano invece che il Governatore e i suoi consiglieri
fossero in realtà dei licantropi che stipularono un altro patto segreto
con le streghe in modo da eliminare per sempre la stirpe dei vampiri,
razza considerata nemica giurata dei lupi mannari. Il patto che
coinvolgeva i vampiri, più che altro, era una vera e propria
minaccia e prevedeva infatti che delle streghe facessero degli
incantesimi in modo tale che questi potessero vivere anche alla luce
del sole. Terrorizzate dalla morte imminente, per salvarsi, decisero di
spifferare tutto sull'esistenza dei vampiri e unirsi ai licantropi nel
vano tentativo che magari la caccia alle streghe si sarebbe placata
spostando l'attenzione verso la caccia ai vampiri. Ma non fu così.
«Queste comunque sono solo delle
leggende che fanno da contorno alla vera e propria storia della caccia
alle Streghe di Salem. Il primo processo si tenne il 2
giugno e l'ultimo il 17 settembre e in tutti vi furono dei condannati a
morte. Il 22 settembre fu il giorno delle
ultime esecuzioni; una leggenda racconta che, mentre il carro che
trasportava i condannati si dirigeva verso il patibolo, una ruota si
infilò in una buca nel terreno: le ragazze ritenute vittime del
maleficio che assistettero alla scena gridarono che il diavolo stesse
cercando di salvare i suoi seguaci. L'esecuzione alle streghe
accompagnò quella di alcuni uomini, o meglio vampiri, ritenuti anche
loro seguaci del diavolo, e, secondo il mito, lasciarono per sempre
Salem.
«Le case delle streghe condannate a
morte furono saccheggiate: i loro gioielli, utensili e qualunque altro
tipo di oggetto di valore si dice che sia stato portato nella residenza
di Sir William Phips, per poi, dopo molti decenni, esser trasferiti
al Salem Witch Museum, un museo interamente dedicato alle streghe,
mentre i loro libri di magia vennero portati qui dove poi fu costruita
questa scuola nel 1850, eccetto uno, che era una sorta di Bibbia delle
Streghe che non venne mai più ritrovato. Si pensa che sia contenuto in
quel libro l'incantesimo per spezzare la maledizione dei vampiri e dei
licantropi. Prima ancora, al posto della nostra scuola l'edificio era
utilizzato come manicomio e si racconta che venissero portate le donne
che ancora si ritenevano streghe per torturarle, e mi riferisco ai
primi dell'Ottocento, quando ormai le condanne al rogo per stregoneria
erano ritenute illegali. La leggenda finale a cui volevo arrivare dopo
questa lunga premessa è che ogni tanto, soprattutto nelle notti di luna
piena, accompagnati dai loro famigli*, gli spiriti delle streghe
vengano qui di notte a consultare i propri grimori nel tentativo di
tornare in vita e che i vampiri sfuggiti all'esecuzione diano la caccia
ai discendenti di quelle streghe per ucciderli e vendicarsi.»
«La solita vecchia e noiosa storia di
George» commentò Nicholas annoiato e un po' infastidito.
«Non è vero!» si
difese lui. Ascoltai tutte le sue parole con attenzione e interesse ed
ero curiosa di sapere come faceva a sapere tutte queste cose.
«Ha ragione, son
tutte sciocchezze. Streghe, vampiri, licantropi...mah» bofonchiò Jeremy.
«Io ci credo
invece. Magari non credo all'esistenza dei vampiri o dei lupi mannari o
che esistano o che siano esistite delle streghe capaci di fare veri e
propri incantesimi, però il tuo racconto mi ha affiscinata, George.
Come fai a sapere tutte queste cose?» gli chiesi io. Lui arrossì un po'
e intimidito mi rispose che era sua nonna a raccontargli queste storie
prima che morisse in un incidente qualche tempo fa. Nicholas scosse la
testa e lo guardò con aria di disapprovazione come se si fosse lasciato
sfuggire qualcosa di troppo.
Alle due in punto la campanella
suonò: Nick, Matt e Alexis andarono a seguire le proprie lezioni mentre
io, Jeremy e George andammo in palestra per l'ora di educazione fisica.
«Dunque? Quando
andiamo a fare shopping?» ci domandò Alexis prima di congedarci.
Proposi di vederci
tutti alle cinque dell'indomani alla fermata del bus davanti alla
scuola.
«Va benissimo!
Così vi mostrerò anche i luoghi meno noiosi di Salem» rispose lei esultando.
Gli altri ragazzi
rifiutarono: «lo shopping- precisò Nicholas -non è esattamente una cosa da uomini.»
***
Il profumo di sformato e patate al
forno si era diffuso in tutta la casa dandomi, al mio ritorno da
scuola, il benvenuto e rendendo l'atmosfera domestica accogliente e
familiare. Mia madre si era data molto da fare per farci sentire tutti
a casa, specialmente aveva premura di Jeremy ma soprattutto di Ashley
che era colei, fra noi tre, ad aver avuto un impatto negativo maggiore
nel dover abbandonare Coral Spring e di conseguenza il suo ragazzo, i
suoi amici, la sua squadra e le sue ambizioni. Sembrava però già
essersi ambientata e ritagliata lo spazio necessario all'interno della
scuola per mantenere il suo tenore di vita sociale come in Florida. Un
po' la invidiavo perché io non ero così e avrei voluto essere come lei
ma quella mattina mi ero sentita quasi accolta, non mi ero sentita
invisibile e inadeguata, non avevo provato un senso di apprensione
nell'andare a scuola. E poi potevo finalemente rilassarmi e godere
della mia solitudine e tranquillità nella mia stanza.
«Che bello essere a casa» pensai varcando la porta
d'ingresso.
La vecchia villa della nonna era stata completamente
pulita e rimessa a nuovo: i divani e i cuscini furono rivestiti con
nuove federe, le tende e i tappeti vennero fatti arieggiare, gli
oggetti antichi di cristalleria e argenteria all'interno delle credenze
del soggiorno e i soprammobili e le cornici con le foto di famiglia
spolverati meticolosamente, gli oggetti più intimi della nonna come
abiti, gioielli ed altri effetti personali furono riposti accuratamente in una scatola
e trasferiti nella cameretta degli ospiti al
primo piano e, infine, la sua collezione di erbe, talismani, boccette
per pozioni ed altri utensili magici vennero raccolti in una busta da
riporre su in soffitta. Avrei voluto portarla io stessa ma, ancora
fedele all'ammonimento della nonna, non vi entrai. Sicuramente non ero
ancora pronta per conoscerne i misteri contenuti lì.
«Beh come è andato il primo giorno di
scuola?» domandò mia mamma a cena mentre eravamo tutti riuniti a tavola.
«Sebbene Salem sembri un paesino un
po' arretrato e fuori dal mondo, non c'è male. Domani inizio gli
allenamenti con il gruppo delle cheerleaders» esultò la mia sorellastra
abbastanza contenta. Finalmente l'aveva piantata di lamentarsi.
«E a voi piace
qui?» chiese nuovamente mia madre rivolgendosi a me e a Jeremy.
Lui fece una smorfia di disgusto e io
annuii. Io risposti estasiata che fossi felicissima di essere tornata e
che il primo giorno di scuola fosse andato alla grande. A me Salem
piaceva, ero legata a questa città, qui c'erano i miei ricordi
d'infanzia e mi faceva sentire più vicina alla nonna di recente venuta
a mancare e poi non vedevo l'ora di fare amicizia con tutti, Alexis,
Matt, George e anche Nicholas. Ero certa che mi sarei pentita
amaramente di non aver accettato il suo invito ma ormai era fatta anche
perché non ero proprio alla ricerca di una relazione né di una
frequentazione. Dovevo prima superare le mie turbe mentali e i miei
complessi di inferiorità.
Joseph raccontò della sua prima giornata
all'ospedale: lavorarci gli ricordava i tempi del suo tirocinio da
studente poiché a Coral Spring lavorava in una clinica privata ed
ovviamente guadagnava molto di più rispetto al piccolo ospedale di
provincia poco fuori Salem, a Lynn, dove aveva trovato impiego grazie a
delle raccomandazioni visto che la richiesta di cardiologi non era
particolarmente alta. Speravo soltanto che non si ripetesse nuovamente
ciò che successe con mio padre, il quale, detestando Salem, decise di
ritornare a Coral Spring per poi divorziare da mia madre per stare con
un'altra donna. Non avrei sopportato un altro abbandono paterno.
Anche quella notte
trascorse serena come le precedenti: l'unico rumore che spezzava il
silenzio notturno era l'ululato proveniente dal bosco dietro casa.
Chiusi la finestra ma non riuscii comunque a dormire. Il mio cervello
era invaso da emozioni e pensieri diversi che mi tenevano sveglia a
ragionare e a fare il punto della situazione. Continuavo a pensare alla
storia che ci aveva raccontato George quella mattina, al processo alle
streghe del 1692, a sua nonna scomparsa di recente come la mia, alla
misteriosa prozia Sarah e alla signora Xiang, come se tutte queste
vicende e persone fossero in qualche modo connesse fra loro senza che
però potessi trovare un comun denominatore che potesse collegarle
logicamente. Poi, finalmente, crollai in un sonno profondo.
La mattina dopo mi
alzai di buon ora anche se avevo dormito poco, mi preparai e feci
colazione con tutta calma: mi attendevano due ore di matematica e due
ore di storia. Speravo che il fenomeno dei nuovi arrivati fosse
superato ma anche il secondo giorno la professoressa di storia, che non
aveva ancora conosciuto me e Jeremy, ci chiese di presentarci e ci fece
qualche domanda sul programma per testare la nostra conoscenza nel
campo della storiografia e noi ripetemmo come un copione le
presentazioni già recitate il giorno precedente: «Mi chiamo Jeremy Stanley, ho sedici
anni e vengo dalla Florida. Faccio
atletica da dieci anni e mi piace leggere» e «Ciao
a tutti. Il mio nome è Meredith Victoria Spencer. Sono nata qua a Salem
ma ho vissuto praticamente tutta la mia vita in Florida, a Coral
Spring. Di recente la mia famiglia ha deciso di ritornare a vivere a
Salem ed ora abitiamo nella Villa dei Morgan vicino alla Riserva. Ho
sedici anni, come Jeremy, ed anche a me piace leggere, uscire con gli
amici, andare al cinema». Ormai molti degli studenti già ci
conoscevano perché ci avevano visti e ascoltati durante le altre
lezioni. E poi ero stanca di impersonificare
la parte della ragazzina banale e di recitare a memoria quelle poche
frasi sciocche di presentazione.
Anche in storia,
comunque, io e Jeremy non eravamo molto più avanti rispetto al
programma del liceo di Salem. La Professoressa Lewis spiegò per due ore
ininterrotte le vicende principali della Guerra di Seccessione,
facendomi venire un sonno tremendo, tant'è che pensai che per
conoscerne ogni minimo dettaglio insignificante probabilmente la guerra
l'avesse vissuta in prima persona.
Non appena la campanella suonò, io e Jeremy ci
dirigemmo insieme verso la sala mensa per fare la fine per prendere il
pranzo. Era una giornata particolarmente soleggiata e mentre ci
guardavamo intorno alla ricerca di un tavolo libero nel giardino
interno, vidi Alexis, seduta con suo fratello Matt e il loro amico
George, che con la mano ci faceva cenno di unirci a loro. Nicholas
invece non c'era, stava seduto al tavolo dei ragazzi e delle ragazze, a
mio avviso, popolari che già notai il giorno precedente, e vidi che
conversava amabilmente con Ashley che si atteggiava a vip della scuola.
Alexis ci domandò
cosa ne pensassimo di Salem, della città e della scuola. In realtà
sembrava molto più interessata a conversare e a far colpo su Jeremy che
non la degnava di uno sguardo e le rispondeva a monosillabi piuttosto
che intavolare una conversazione con entrambi. Guardandomi un po'
attorno, notai che non vi erano molti bei ragazzi, sì qualche d'uno
carino c'era, Nicholas ad esempio era un bel ragazzo, ma nessuno
particolarmente attreante o che si distinguesse. Jeremy probabilmente
era fra i più degni di nota e rappresentava una novità alla Salem High
School ed Alexis, considerando che avevo notato anche altre ragazze che
lo osservavano e parlottavano, non voleva farselo sfuggire.
Io cercai invece di intraprendere una conversazione
con George e saperne di più riguardo le vecchie leggende che ci
raccontò il giorno prima in biblioteca.
«Beh, la caccia
alle streghe vi è stata davvero però le altre vicende son
semplici...leggende» esitò. Io insistetti nel saperne di più e lui
ripeté che gliele raccontava la nonna e aveva fatto qualche ricerca su
Wikipedia. Alexis e Matt lo guardarono in maniera bieca come se George
avesse detto o fatto qualcosa di sbagliato.
«Ora devo andare. Ho lezione di arte»
disse alzandosi in piedi. Io gli risposi che anche io avevo lezione
pomeridiana di arte e lo seguii. George mi vide come una palla al piede
in quel momento dunque evitai di fargli ulteriori domande ambigue sul
processo alle streghe.
Dopo la scuola,
alle quattro e mezza circa, io e Alexis ci incontrammo alla fermata
dello scuolabus. Venne anche Jeremy, quasi sotto costrizione, ma venne
anche lui. Cercai di lasciarlo solo il più
possibile con lei per quanto non ci tenessi a fare il terzo incomodo ma
come al solito Jremy mantenne un atteggiamento freddo e distaccato. La nostra nuova amica ci portò nel
centro commeciale più grande di Salem e poi nei negozi d'abbigliamento
delle vie del centro che avevo già intravisto quando andai a cercare la
prozia Sarah e quando andai a fare shopping con Ashley.
Eravamo tutti un
po' a disagio, soprattutto Jeremy che si vide costretto ad accompagnare
ben due ragazze a fare shopping e a farsi corteggiare da una
sconosciuta nei miei appuntamenti combinati.
«Non puoi cercare di essere un
po' più carino con Alexis?» gli bisbigliai mentre la ragazza
curiosava fra i vestiti di un negozio. Lui per tutta risposta sbuffò e
andò a sedersi sui divanetti. Girammo ben altri cinque negozi prima
di trovare qualcosa di decente anche per me.
«Non dobbiamo
andare a un funerale Mer, sai?» commentò Jeremy in modo alquanto
sarcastico mentre mi specchiavo fuori dal camerino. Ormai avevo deciso:
dopo diverse prove d’abito optai per un vestito grigio lungo fino al
ginocchio e un paio di scarpe col tacco non molto alto: non volevo
essere né troppo appariscente né rischiare di cadere rovinosamente. Poi
avevo già speso per comprarmi un abito scuro la settimana scorsa
proprio per il funerale della nonna e non ero una fan dei vestiti
eleganti.
Quando andai a
pagare, Alexis si avvicinò alla cassa domandandomi se potesse mai
interessare almeno un po’ a mio fratello.
«Ehm...non so. Lui
parla così poco. È difficile sapere cosa pensa. Inoltre non ho mai
conosciuto o visto nessuna delle ragazze con cui è uscito quindi non
saprei proprio dirti che gusti abbia» non sapevo proprio che dire per
poterla aiutare in questa impresa quasi impossibile di conquistare
Jeremy.
Verso le nove
tornammo a casa. Sentivo nuovamente quella strana sensazione di
felicità nel tornare alla villa, sensazione che non percepivo da tempo.
La casa mi piaceva
e finalmente avevo una camera tutta mia, ancora da sistemare però era
mia, e pure la scuola mi stava piacendo e mi ci trovavo bene. Le persone invece mi sembravano un
po' impertinenti, però alla fine Alexis non era male e magari saremmo
potute anche diventare amiche. Anche George, sebbene fosse un tipo
strano, sembrava simpatico, e in mancanza di un ragazzo avrei sempre
potuto chiedere a Nicholas di uscire. Ma intraprendere una relazione
non era tra le mie priorità in quel momento.
I giorni che
precedettero la sera del ballo andarono sempre meglio, avevo fatto
amicizia anche con Matt, il fratello di Alexis, e George, mentre
Nicholas a causa del bidone che gli avevo dato per il ballo, si stava
dimostrando un po' ostile, soprattutto nei confronti di Jeremy. Alexis invece continuava ad
assillarmi chiedendomi di tutto e di più sul mio fratellastro, consigli
per piacergli e domande sui suoi gusti ma sinceramente sapevo ben
poco di lui e di quel che gli potesse passare per la testa.
Angolo autrice.
*Grimorio: è il libro degli
incantesimi di una strega.
*Famiglio: per chi non lo
sapesse, è il guardiano delle streghe quasi sempre identificato con un
animale.
La
leggenda raccontata da George l'ho presa da Wikipedia e l'ho romanzata, ai fini della trama,
aggiungendovi nuovi particolari.
A
presto (:
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Il Ballo di Primavera. ***
4) Il Ballo di
Primavera.
Sabato
20 Marzo 2010. Il tanto (non) atteso giorno in cui si sarebbe svolto il
Ballo di Primavera nella mia nuova scuola era ormai giunto.
Era trascorsa quasi una settimana da quando misi
piede alla Salem High School e tutto mi sembrava così nuovo, bello,
entusiasmante. Quasi quasi, sebbene lo negassi a me stessa, ero
eccitata all'idea di andare al ballo, seppur ad accompagnarmi sarebbe
stato il mio antipaticissimo fratellastro Jeremy. Se da un lato ero un
po' irritata perché mi sentivo usata come pretesto per evitare che
Alexis lo invitasse, dall'altro avrei però dovuto ringraziarlo in
qualche modo perché, se non fosse stato per lui, io al ballo non ci
avrei mai messo piede e quella era l'occasione perfetta, per noi che
eravamo appena arrivati in città, per poter conoscere persone nuove. In
realtà, avevo già conosciuto delle persone nuove, ma era come se stessi
aspettando l'arrivo di qualcuno, come se fossi in attesa di un nuovo,
straordinario e inaspettato incontro. Dovevo smetterla di farmi viaggi
mentali: non ero riuscita a trovare la cosiddetta altra metà della mela
in quasi sedici anni in Florida e di sicuro non l'avrei incontrata in
una settimana a Salem, che aveva un terzo degli abitanti di Coral
Spring.
Smisi di fantasticare sulla mia presunta anima
gemella immaginaria che si nascondeva fra i corridoi della scuola in
attesa di incontrarmi al ballo ed indossai il mio vestito nuovo che,
osservato nello specchio della mia stanza, pareva ancor più orrendo di
quando lo misurai il giorno prima nel negozio.
Impiegai quasi due ore a prepararmi e non era da me:
di solito necessitavo sì e no di una mezzora, cioè tre quarti di tempo
in meno che spesi per il ballo. Dovetti tra l'altro farmi aiutare sia
da mia mamma sia da Ashley per far sì che la piega ai capelli potesse
restarmi fino al termine della serata senza che la mia criniera bruna
cominciasse a gonfiarsi. E poi c'era il fardello delle scarpe: non ero
abituata a camminare sui tacchi, inoltre essendo nuovi l'impresa
sarebbe stata ancor più ardua. Non avrei mai resistito tutta la sera su
quei mini trampoli.
«Cerca di stare
dritta con la schiena, sennò rischierai di cadere in avanti» ridacchiò
Ashley gettandomi occhiate divertite attraverso lo specchio mentre si
truccava. Lei sì che era abituata a questo genere di cose, sapeva come
comportarsi e atteggiarsi durante questi eventi. Indossava un
vestito attillato rosso senza spalline, dei tacchi vertiginosi e
portava i capelli leggermente mossi. Pareva una dea nel suo metro e 70
di altezza per 55 chili di peso, i capelli ondulati che le
incorniciavano il viso magro e a punta e una sicurezza tale della sua
figura da non farle temere nulla e nessuna. Mi sentivo così mediocre
accanto a lei. Solitamente non mi mettevo questo
tipo di complessi né ero solita paragonarmi alla mia sorellastra, ma
dovevo ammettere che stava davvero bene e io in confronto a lei ero
soltanto un disastro in gonnella che cercava di apparire ciò che, in
realtà, non era.
Ashley, come capo
cheerleader e ragazza più popolare della nostra vecchia scuola, venne
eletta Reginetta del ballo al liceo di Coral Spring per ben tre volte. Io ci andai una volta sola e mi
ripromisi di non rimetterci mai più piede. Il mio accompagnatore, Mark
Grey, ignaro sia di essere astemio sia che qualcuno dei nostri compagni
avesse rovesciato casualmente un'intera bottiglia di vodka nel punch,
non si rese conto di aver bevuto troppo e quasi mi vomitò sul vestito
al primo round di danze. Schivai il suo getto di rigurgito per un pelo
e fu la cosa più disgustosa ed umiliante a cui assistetti. I nostri
compagni ci accerchiarono cominciando a ridere di lui: io fuggii a
gambe levate scansando la folla accorsa per prendere in giro Mark che
rimase lì. Per lui fu ancora più degradante perché gli insegnanti
furono costretti a chiamare i suoi genitori per riportarlo a casa. Non
si scoprì mai chi versò l'alcol nel punch e, inutile a dirlo, non
rividi né risentii mai più il povero Mark che dalla vergogna sparì
dalla circolazione. Credo che cambiò scuola e numero, oltre a
cancellarsi (o bloccarmi) da qualsiasi social network.
«Siete bellissime
bambine mie!» esclamò mia mamma appena ci vide pronte, nonostante io
sembrassi un brutto anatroccolo accanto a un bellissimo ed aggraziato
cigno. Se Ashley in qualche modo impersonava la tipica ragazza delle
commedie romantiche, bellissima e popolare, allora io ero paragonabile
alla compagna di classe un po' bruttina seduta all'ultimo banco la
quale però, sciolti i capelli, non si era trasformata purtroppo in una
bellezza da togliere il fiato.
Diedi un'altra passata di piastra ai capelli
scrutando attentamente il mio volto allo specchio trovandovi altri
mille difetti: trucco già sbavato, due baffetti che non erano stati
tirati via dalla ceretta e un piccolo brufolo proprio in mezzo alla
fronte. Maledizione!
Calzai le mie scarpe tacco sei e fissai immobile la
rampa di scale davanti a me: in quel momento la cosa che mi faceva
più paura era dover scendere al piano di sotto con quelle scarpe che
sebbene fossero relativamente basse erano decisamente troppo strette e
scomode. Ero sicura che avrei trascorso la serata immobile come una
statua, non volevo fare figuracce anche nel liceo di Salem e
soprattutto non volevo mettere Jeremy in ridicolo per aver scelto una
pessima accompagnatrice, anche se, in fondo, se lo sarebbe meritato
visto che mi aveva praticamente usata. Lui nel mentre se ne stava tranquillo
in salotto ad aspettare chissà da quanto e, non appena mi vide entrare
goffamente e barcollante nella stanza, abbozzò un sorriso.
«Vogliamo
andare?» reclamò la mia attenzione con tono infastidio dalla lunga
attesa (non ci eravamo accordati su un orario preciso in cui andare) ed
il sorriso appena spuntato sul suo volto scomparve immediatamente.
Jeremy era lunatico come poche persone al mondo e cambiava umore come
niente.
«Io devo aspettare il mio
accompagnatore, starà sicuramente per arrivare. Voi andate pure» si
rallegrò invece Ashley soddisfatta mentre uscivamo dalla porta. Sicuramente
tramava qualcosa.
«Beh, andiamo
allora!» sospirai. Chissà quale orrenda e
monotona serata mi attendeva.
Salimmo in auto
e, prima di metterla in moto, Jeremy frugò nel cruscotto alla ricerca
di qualcosa.
«Questo è per te»
sorrise imbarazzato porgendomi un bellissimo corsage* dai fiori rossi da
abbinare al vestito del ballo. Quel gesto inaspettato e anche il
fatto che fosse leggermente arrossito dall'imbarazzo mi fecero
sorridere. Quella fu una delle rare volte nella quale Jeremy fece
qualcosa di carino e gentile per me. L'altra, che ancora oggi ricordavo
chiaramente, fu sempre in occasione di un ballo scolastico,
l'Homecoming del 2009, il primo ed ultimo ballo a cui andai. Dopo
che Mark stette male e cominciò a dare di stomaco davanti a tutta la
scuola, io in preda alla vergogna scappai via correndo in bagno. L'Homecoming di quell'anno era il
primo dei balli scolastici a cui noi potevamo andare poiché gli
studenti del primo e del secondo anno vi potevano partecipare solo se
invitati*. Jeremy, il quale era andato al ballo
con i suoi compagni di atletica e non con una ragazza, mi raggiunse fin
dentro il bagno delle ragazze proponendosi di accompagnarmi a casa. «È solo uno stupido ballo. Domani
tutti avranno dimenticato quest'incidente» disse
per tranquillazzarmi.
Lo
ringraziai per il pensiero e infilai al polso il corsage che mi
aveva regalato e lui si sistemò nel taschino della giacca il piccolo bouquet abbinato al mio
bracciale floreale e, con aria indifferente, mise in moto l'auto.
Rimase tutto il tempo in silenzio, sembrava a disagio. Fingeva di
essere concentrato sulla strada per non prestarmi attenzione.
Il mio rapporto con Jeremy era strano e, a volte,
poteva addirittura sembrare ambiguo. Eravamo più simili di quanto
potessimo e volessimo ammettere a noi stessi e per questo motivo,
seppur volendoci bene a modo nostro, era difficile per noi
dimostrarcelo ed ogni minimo gesto di cortesia creava una sorta di
tensione e di imbarazzo fra di noi. Era come se ci imponessimo di
mantenere le distanze, come se fra noi stessimo continuamente
costruendo un muro di difesa impenetrabile per il quale ogni nostro
comportamento l'uno nei confronti dell'altra appariva innaturale e
forzato.
***
In un batter
d'occhio interminabile arrivammo a scuola. Non tolleravo più quel
silenzio increscioso fra noi.
Il parcheggio che la mattina risultava quasi deserto
era ora pieno di automobili, il che significava che avremo dovuto
parcheggiare la nostra auto più distante e dunque avremo percorso più
strada a piedi. Avevo allentato i laccetti delle scarpe e sentivo già i
piedi scivolare all'interno della suola sudata dal panico.
Un po' esitanti
varcammo l'ingresso e ci avviammo verso il cuore della festa.
La palestra si
era letteralmente trasformata in una bomboniera: tutto quel rosa
confetto, quei palloncini color pastello, quei nastri e ghirlande
pompose e paludate appesa alla soffitta davano più la sensazione di
essere stati catapultati a una baby shower. Il tema era appunto la
primavera e
le organizzatrici avevano reso perfettamente l'idea.
Ad un lato della palestra c’erano dei
posti liberi fortunatamente, perché la maggior parte dei ragazzi stava
già ballando in pista, così noi due decidemmo di sederci. Sembravano
tutti entusiasti e divertiti, eccetto noi due.
Io, per ingannare il tempo visto che Jeremy non
spiccicava parola e sembrava assorto in chissà quale pensiero, mi
guardai attorno scrutando ed analizzando i nostri compagni. Dopo una
settimana i loro volti iniziarono a diventarmi familiari e di qualcuno
ne ricordavo addirittura il nome. La strobosfera appesa al soffitto
illuminava i loro volti ad ogni flash: c'era Meghan Porter, la nuova
amica-nemica di Ashley, la capo cheerleader di cui la mia sorellastra
diceva peste e corna ma che, a scuola, andava dietro come un cagnolino
per entrare nelle sue brame, la quale ballava con Josh Stuart,
co-capitano della squadra di basket insieme a Nicholas, non tanto
carino come quest'ultimo ma abbastanza apprezzabile da attirare
l'attenzione e suscitare l'interesse di una ragazza come Meghan.
Sicuramente sarebbero stati loro a venir eletti Re e Reginetta del
Ballo di Primavera. Sempre in pista, Angela e Mariana, che, se non
erro, avevo visto alla lezione di Spagnolo poiché Mariana è di origini sudamericane, ballavano e cantavano a
squarciagola le canzoni suonate dalla band della scuola. Sembravano
divertirsi come matte incuranti di tutto il resto attorno a loro. Sul
piccolo palco rialzato allestito in fondo alla palestra suonava il
gruppo musicale di George, lui suonava il basso e Julia Blossom
cantava. Non conoscevo gli altri due membri dei Bursting Hearts, il batterista e il
chitarrista. Dall'altra parte della palestra, seduto anche lui con
un'aria come se fosse in castigo, Karl Fitch si guardava attorno con
aria annoiata. Era uno redatori del giornalino della scuola insieme ad
Alexis ed era lì solo per tenere d'occhio sua sorella e la sua
amichetta del cuore, entrambe del primo anno. Con aria affranta, si
aggirava per tutta la palestra Abel Burton, il fotografo, nel tentativo
di immortalare i più bei ricordi di quella serata. Si avvicinò al
tavolo dove io e Jeremy eravamo seduti proponendoci di scattarci una
foto ma Jeremy lo cacciò via in malo modo. Mi scusai al posto del mio
fratellastro per tale rudezza e maleducazione e continuai a scrutare
tutti quei studenti spensierati e divertiti.
«Sembrate proprio
dei pensionati. Nemmeno i professori sembrano così spaesati a questa
festa come lo siete voi» era Alexis insieme a suo fratello Matt. Ero
sovrappensiero, concentrata ad osservare i miei compagni che non
l'avevo vista arrivare.
Disse quella
frase in modo ironico che mi fece pure sorridere, perché in fondo aveva
ragione. Ma più che pensionati sembravamo in castigo.
«Ciao Alexis!» la
salutai, felice di vedere una faccia amica. Stava molto bene: indossava
il vestito azzurro che aveva comprato quel giorno insieme a me e delle
ballerine bianche. Trovai geniale il fatto che avesse preferito delle
scarpe basse nonostante la sua altezza piuttosto che martoriarsi i
piedi per apparire più alta.
«Volete da bere?»
proposi.
«Sì, vado a
prendere qualcosa» sibilò Jeremy.
«No, tu stai qui
sennò ci occuperanno i posti. Vado io. Matt vieni?» in realtà la mia
era una scusa, un altro tentativo di lasciarli soli, invece Jeremy lo
interpretò come una via di fuga per divincolarsi dalle grinfie di
Alexis che nel mentre mi fece l'occhiolino come a volermi ringraziare.
Io e Matt ci allontanammo verso il tavolo delle
bevande. C'era una lunga coda quindi i nostri due fratelli avrebbero
avuto sufficiente tempo per conversare così come noi due. Matt però era
più riservato rispetto a sua sorella, non parlava tantissimo e sembrava
piuttosto timido e non essendo io una persona particolarmente
espansiva e chiacchierona non ci rivolgemmo mezza parola se non qualche
chiacchiera di circostanza tipo "come ti sembra la scuola" o "ti stai
divertendo al ballo".
Impiegammo circa
quindici minuti per prendere da bere perché il tavolo delle bibite era
molto affollato e doveva esser rifornito e quando tornammo Alexis non
c’era più.
«Dove è andata
Alexis?» gli domandai furiosa. Sicuro, l'aveva fatta scappare. Jeremy
si alzò e si avvicinò sussurrandomi qualcosa all'orecchio mentre Matt
ci guardava stranito, lanciò un'occhiataccia a Jeremy e se ne andò
dicendo che probabilmente era in bagno e che sarebbe andato a cercarla.
Era una scusa anche quella e sapeva benissimo che Jeremy l'aveva offesa
e fatta scappare via.
«Io non capisco
le persone che si attaccano così. Non la sopporto!»
«Cercava solo di
fare amicizia e sembrare cortese.»
«No, ci stava
provando spudoratamente e tu la stavi assecondando.»
«È carina! Per
caso ti piacciono i ragazzi?»
«No! Cretina che
dici?»
«Ah allora c’è
un’altra che ti piace?» ammiccai.
«Hai preso da
bere?»
«Cambi discorso
eh? Chi è? È qui?»
«Meredith, lascia
stare» borbottò.
Non poteva dirmi
di lasciar stare una cosa come questa. Ero troppo curiosa! E poi avrei
cercato di aiutarlo a conquistarla come stavo facendo inutilmente con
Alexis perché avrei voluto vedere almeno una volta in vita mia il
fratellastro felice.
Mi sedetti
concentrata a bere il mio punch cercando di capire a chi fosse
interessato in realtà quando, ad un certo punto, sentii un brivido
percorrermi la schiena, come se qualcuno mi ci avesse fatto scivolare
un cubetto di ghiaccio. Avvertii un senso di paura e smarrimento come
se mi fosse passato accanto un fantasma e di scatto alzai lo sguardo
per guardarmi intorno.
Dall’altra parte
della palestra vidi un ragazzo che catturò la mia attenzione: stava
appoggiato alla parete mentre sorseggiava il suo drink. E mi fissava.
Io abbassai lo
sguardo intimidita e cominciai a osservare il bicchiere mezzo pieno che
tenevo tra le mani.
Era bello,
davvero bello. Le luci al neon della strobosfera fecero scintillare i
suoi occhi chiari che sembravano due fari nella notte. Mi domandai se
fosse della Salem High School perché i giorni precedenti avevo
osservato un po’ tutti e non lo avevo notato. Si poteva non notare un
ragazzo così bello in mezzo a tanti ragazzi ordinari? Era anche
addirittura più bello di Nick! Alto, davvero molto alto, con dei
folti capelli castano scuro che gli coprivano un po' la fronte e che
spiccavano nettamente in contrasto con la sua pelle bianchissima e ne
mettevano in risalto gli occhi cerulei. Aveva un'aria posata ed
elegante e scrutava tutti con aria discreta e con sguardo misterioso.
«Vuoi andare
via?» Jeremy interruppe bruscamente le mie osservazioni.
«No no. Aspetta.
Restiamo ancora un po’.»
«Scommetto che
hai visto qualcuno di interessante.»
«Forse» risposi
ammiccando con un tono un po’ sfacciato. Speravo quasi di farlo
ingelosire e poi avrei usato la tecnica del ricatto: gli avrei detto
chi stessi fissando se lui mi avesse detto chi gli piaceva. Non
funzionò ovviamente.
Quando poi
rialzai lo sguardo alla ricerca di quel ragazzo bellissimo notai che
non c’era più. Sparito in mezzo al nulla.
«Ti va di
ballare? O di farci un giro?» proposi a Jeremy. In realtà era solo una
scusa per cercare quel ragazzo. Mi aveva letteralmente ipnotizzata!
«Tu odi ballare e
poi riesci a mala pena a stare in piedi. Sia che balli sia che cammini
avresti un'aria goffissima. Non vorrai mica che il tipo che stavi
osservando poco fa ti consideri un'imbranata?» sembrava quasi che fossi
un libro aperto per lui, mentre io non riuscivo a decifrare neanche una
pagina dei suoi pensieri e delle sue emozioni.
«Sai cosa sei?
Uno stronzo! Stai diventando peggio di tua sorella. Torniamo a casa,
basta» mi alzai indignata dalla sedia e sbattendo con forza il
bicchiere che tenevo in mano pronta a dirigermi verso l'uscita.
«Calmati, dai- mi
afferrò la mano per trattenermi -non hai detto che volevi restare
ancora un po’? Se vuoi ti accompagno a cercare il ragazzo misterioso...»
«Basta con queste
battutine se non vuoi che richiami Alexis. E poi non c’è nessun ragazzo
misterioso» in realtà c'era eccome un ragazzo misterioso e avrei voluto
ritrovarlo in mezzo a quella massa di gente. Volevo, inoltre,
incuriosire Jeremy e farlo ingelosire un po’, non dar ragione alle sue
intuizioni.
«Se lo dici tu. E
poi Alexis è sistemata» non mi era chiaro cosa volesse significare quel sistemata.
Mentre
discutevamo si avvicinò Ashley, con il suo accompagnatore: Nicholas.
«Ciao Meredith!»
disse lui fiero e soddisfatto della sua nuova conquista.
«Ciao, Nicholas»
ero un po’ pentita di non aver accettato il suo invito. Sicuramente mi
sarei divertita di più che star seduta a discutere con Jeremy.
«Ah, voi vi
conoscete. È vero» borbottò la mia sorellastra. Ecco spiegato cosa stesse tramando
quel pomeriggio mentre ci preparavamo.
«No, cioè sì. Ci
siamo conosciuti il primo giorno di scuola» affermai io quasi a volermi
giustificare del fatto che avessi già fatto la conoscenza di Nicholas
che così non risultava più la sua novità.
«Ah! Sapevi che
Nick è rappresentante dell’istituto? In più è co-capitano della squadra
di basket della scuola e ha anche vinto un premio statale per il
miglior progetto di chimica al primo anno! Comunque, venite a ballare,
sembrate una coppia di pensionati in crisi.»
Nicholas era
visibilmente in imbarazzo per tutti quei complimenti il cui unico
scopo, a mio avviso, era quello di farmi ingelosire.
«Andiamo?»
propose Jeremy.
Accettai. Mi ero
rassegnata al fatto che ormai la serata avrebbe potuto solamente
peggiorare ma a breve avrebbero eletto il Re e la Reginetta del ballo
per cui tanto valeva restare ancora un po'. In compenso,
quest'anno Ashley non avrebbe vinto proprio nulla.
«Forse dovrei
chiederti scusa per come ti ho trattata prima. E anche ad Alexis» mi
disse Jeremy avvicinandomi a sé e fissandomi negli occhi.
Inspiegabilmente mi
palpitava forte il cuore. Mi cingeva i fianchi nel bel mezzo della
pista e io avevo le braccia intorno al suo collo: c'eravamo solo noi in
quel momento. Non lo avevo mai visto sotto la luce di un bel ragazzo
gentile. Scacciai subito quei pensieri dalla mia testa, ricordandomi
quanto male mi avesse risposta anche poco fa.
«Non importa. Ci
siamo trasferiti da poco, abbiamo traslocato e i preparativi per il
ballo son stati pesanti anche per te. Sarai stanco e stressato, lo
capisco.»
«È solo che qua
non mi piace. Le persone son troppo invadenti e il posto è noioso.»
«Cercano di
essere gentili con noi e metterci a nostro agio. A Coral Spring non lo
avrebbero mai fatto. Pensi che un Tyler Robbins, capitano della squadra
di football, sarebbe venuto a darci il benvenuto? Non credo. Sii più
gentile quindi, per favore» per tutta risposta sbuffò. Tyler era un nostro vecchio compagno
di scuola a Coral Spring, il ragazzo più bello e megalomane di tutta la
Florida. Potevo giurarlo.
«Oh!
Senti...hanno messo un lento» disse facendo scivolare lentamente le
mani sulla mia schiena e avvicinandosi ancora di più a me, guidando i
passi. Avevo però la sensazione che fosse concentrato su qualcos'altro
(o qualcun altro) e si guardava attorno con fare guardingo.
Era strano. Non
ricordavo di esser mai stata così vicina a lui. Provavo una sensazione
indescrivibile a ballarci insieme, ad abbracciarlo, a vedere come ogni
tanto abbassava lo sguardo e mi guardava. Pensai che fosse proprio un
peccato che fosse il mio fratellastro scontroso e asociale, ma scacciai
nuovamente questi pensieri imbarazzanti dalla mia testa.
Al termine della
canzone si divincolò da me e andò a sedersi. Lo raggiunsi subito dopo.
Il gruppo
musicale della scuola si ritirò un attimo e il resto dei nostri
compagni smise di ballare e parlare. Il Preside fece il suo ingresso
sul palco presentandosi e ringraziandoci di essere così numerosi, diede
un colpo di tosse e annunciò, creando una gran suspance, gli eletti.
«Il titolo di Re
e Reginetta del Ballo di Primavera della Salem High School vanno
a...Heric William Browning e Madeline Cornelia Francis. Prego,
avvicinatevi!»
Mi voltai verso
il palco incuriosita. Fu soprattutto un diversivo per distogliere lo
sguardo da quello di Jeremy che mi fissava in modo strano.
«Ecco il tuo
ragazzo misterioso» bofonchiò. Aveva ragione: era quello il ragazzo
che prima stavo scrutando dall'altra parte della palestra.
Rimasi
imbambolata ad ammirarlo con occhi sgranati: era il ragazzo più bello
di tutto il liceo di Salem! Neanche a paragone con Nicholas o con
Tyler. Non saprei dire se fosse solo una mia impressione o un bel
sogno, ma notai che Heric, dal palco, mi osservava mentre il Preside
gli poggiava la corona da Re del Ballo sulla testa.
«Andiamo ora.
L’hai rivisto e sai pure come si chiama potrai tranquillamente
stalkerarlo domani su Facebook.»
«Avete visto che schianto quel tipo!?»
esultò la mia sorellastra venendo verso di noi, da sola.
«Sei arrivata
tardi, Ashley cara. Meredith se l'è già accalappiato.»
Ashley fece
un'espressione contrariata come se fingesse di non aver capito e
raggiunse Nicholas che stava chiacchierando con un gruppo di ragazzi.
«Comunque non è tutta questa gran
bellezza quel tipo» borbottò Jeremy.
«E tu che ne capisci di bellezze
maschili? Non sarai davvero gay?»
«Smettila con queste insinuazioni!»
Tutto scocciato
si alzò dalla sedia e si diresse sulla pista. Nel mentre la band aveva
ripreso a suonare e molti nostri compagni avevano ripreso a ballare. Io
fissavo Jeremy allontanarsi e mescolarsi tra la folla
avvicinandosi poi a una ragazza minuta e bassottina.
«Alexis?- pensai ad alta voce -ma che
diamine?!»
Jeremy si voltò
verso di me con sguardo esaltato inarcando le sopracciglia e, cingendo
con il braccio la sottile vita di Alexis, sussurrandole qualcosa
all'orecchio. Cominciarono a ballare e lui a strinse a sé baciandola
con foga, facendo ben attenzione che io assistetti alla scena. Ero
incredula, basita, attonita, sconvolta! Mille pensieri mi passarono per
la testa in
quel momento, chissà che cavolo voleva dimostrarmi facendo una cosa del
genere. Dopo essersi staccati tornarono a ballare con in
sottofondo una ballata di Otis Redding.
Ogni tanto Jeremy
mi osservava con aria compiaciuta come se mi avesse impartito una
lezione di vita. Nel mentre che mi accingevo a sedermi
per finire il mio punch notai che il Re del Ballo si stava dirigendo
verso di me. Io gli sorrisi pensando che mi stesse realmente venendo
incontro ma Jeremy prontamente mollò Alexis da sola sulla pista e mi
raggiunse intimandomi che era arrivata l'ora di andarcene.
«Che cosa? Io voglio restare!»
«È tardi. Vieni andiamo via, non si
discute!»
Heric, il
bellissimo ragazzo di cui sapevo solo nome e cognome, rimase fermo con
un'espressione incredula sulla faccia mentre Jeremy mi trascinava per il braccio
fino alla nostra auto lanciandogli un'occhiata rabbiosa di sfida. Forse
prima non stavo sognando ed Heric realmente stava cercando il mio
sguardo tra la folla lì su dal palco, o forse mi ero immaginata che si
stesse dirigendo verso di me.
Ero così
arrabbiata che avevo voglia di picchiare Jeremy! E meno male che poco
prima si era scusato per il suo atteggiamento irriverente.
«Mi spieghi che ti è preso?»
«Quel tipo, il Re, non mi piace. Non
voglio che ci parli» mi ammonì con tono intimidatorio.
«E chi sei mio padre?»
Non rispose.
Non parlammo più durante tutto il tragitto di
ritorno ed a mezzanotte eravamo già arrivati a
casa.
«Hey! Non sbattere la portiera!» mi sussurrò
innervosito non appena scesi dall'auto.
«Sei uno stronzo,
lo sai vero?»
Jeremy mi fissò
con aria beffarda mandandomi a quel paese mentre salivo le scale.
«Sappi che domani
dobbiamo parlare. Buonanotte» alle mie parole lui mi superò su
per le scale e, borbottando qualcosa di incomprensibile, chiuse la
porta della sua stanza.
Ero a dir poco furiosa e non capivo il motivo di questo suo cambiamento
di personalità. Poteva davvero una città rendere ancora più ostile una
persona? Oppure soffriva semplicemente di bipolarità?
Mi lavai per bene
la faccia per toglier via tutto quel trucco a cui non ero abituata,
relegai il mio vestito del ballo in fondo all'armadio e sfilai ilcorsage che mi
aveva regalato Jeremy per l'occasione chiudendolo in un cassetto
insieme ad altre vecchie cianfrusaglie.
Non sarei mai più andata ad un ballo in vita mia.
Angolo autrice.
*Corsage:
braccialetto floreale usato nelle occasioni speciali quali matrimoni o
feste.
*Balli Scolastici Americani:
ho trovato qui le
informazioni relative ai balli scolastici in America.
Se vi
state chiedendo del perché Jeremy si comporti così e chi sia il ragazzo
misterioso, beh...proseguite con la lettura xD
A presto (:
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Su in soffitta. ***
5) Su in soffitta.
Ero senza parole. Insomma,
potevo giustificare il carattere e certi atteggiamenti di Jeremy
fino a un certo punto, ma al Ballo di Primavera aveva avuto dei
comportamenti talmente assurdi e fastidiosi che non riuscivo proprio a
digerirli. Innanzitutto, sapendo bene che io volevo stringere amicizia
con Alexis e che lei fosse stracotta di lui, perché diamine l'aveva
baciata e poi piantata lì? Per farmi semplicemente uno sgarbo? Seconda
cosa, perché cavolo si era messo in mezzo trascinandomi via quando si
stava avvicinando il Re del Ballo? Che avesse una sorta di sesto senso
nel giudicare le persone e lo ritenesse, in un certo senso, pericoloso?
Probabilmente, però, Heric non si
stava nemmeno dirigendo verso di me ed era tutto frutto della mia
immaginazione ma se così non fosse stato, avrebbe pensato senz'altro
che Jeremy fosse il mio fidanzato geloso. Indipendentemente dal fatto
che Heric si stesse o meno incamminando verso di me, ero
arrabbiatissima con Jeremy. Lo stavo odiando in quel momento.
Andai a dormire coi nervi a fior di
pelle.
Dopo essermi lavata bene la faccia e
svestita, presi
un pigiama pulito da una delle valigie già aperte e mi misi a letto,
ripromettendomi ancora una volta di non andare mai più ad un ballo
scolastico, tanto ogni volta mi capitavano cose spiacevoli. Infatti,
forse, ancor peggio del venir vomitata addosso, era stata la
sceneggiata messa in piedi dal mio fratellastro.
Nella mia camera c'erano ancora tutti gli scatoloni
a terra e i bagagli non disfatti come se fossi in procinto di
partire di nuovo. In una settimana non avevo ancora trovato il tempo (e
la voglia) di riordinare.
Quando chiusi gli
occhi, impressa e nitida nella mia mente c'era l'immagine di quel
ragazzo: Heric William Browning e tutti i cattivi pensieri e la mia
rabbia verso Jeremy si affievolirono. Presi subito sonno quella notte, resa
piacevole dalla figura di quel ragazzo che riempiva la mia testa stanca
e iniziai a sognare.
Stavo andando a
scuola, ma non era mattina. Sarà stato intorno alle sei dunque in tardo
pomeriggio. C'era una fioca luce arancione nel cielo che filtrava dalle
nuvole, probabilmente il sole stava tramontando. Mentre camminavo non
percepii alcun controllo sul mio corpo, era come se le mie gambe si
muovessero da sole e sapessero esattamente dove guidarmi, proprio come
mi era successo la
settimana scorsa quando andai a cercare la prozia Sarah e mi ritrovai
di fronte alla drogheria della signora Xiang che mi indicò l'indirizzo
esatto della Signora Morgan. Nel sogno però, invece di entrare
nell’edificio scolastico, attraversai il giardino esterno per andare
sul retro e trovai un piccolo portoncino, anzi, più che altro
somigliava a un'uscita segreta, inserita tra le mura e nascosta dai
rami dell'edera. Era come se sapessi che quella porta era lì,
incastrata tra i mattoni e coperta dal fogliame. Poi all'improvviso
ci fu un mutamento, come un cambio di scena: quando varcai quella porta
mi ritrovai catapultata in un bosco e non era più l'ora del tramonto,
era buio pesto. Il sole sembrava essere svanito totalmente in una
frazione di secondo.
Camminavo sicura
di me percorrendo un sentiero angusto delimitato da due linee parallele
di alberi dalle folte fronde. Dopo aver
camminato per una ventina di minuti tra gli alberi arrivai dinanzi ad
una sorta di recintato in pietra, accessibile tramite un cancello in
ferro battuto completamente arrugginito: aveva l'aria di essere molto
vecchio e con un semplice tocco riuscii ad aprirlo.
Ero finita in un
cimitero il quale aveva l'aria di essere molto antico e abbandonato da
tempo. Era veramente tetro ed inquietante ma non avevo paura nel sogno
e passeggiavo come uno spettro fra le tombe in cui le date di morte
riportate, solitamente, non superavano il 1850.
Mi fermai di
fronte ad una maestosa cripta di marmo bianco cui nella testata
d'ingresso era incisa una didascalia che recitava: Dal 15 78 al 1692, qui giace in eterno
riposo la famiglia Cavendish.
Nel momento in cui
stavo per mettere piede all'interno dell'imponente ipogeo ci fu una
folata di vento che mi scaraventò a terra violentemente.
«Meredith» una voce flebile alle mie spalle
sussurrò il mio nome che rimbombò in quel luogo oscuro e macabro. Mi
voltai e vidi una figura slavata, evanescente, con due occhi luminosi
che mi scrutavano dolcemente, due occhi familiari: gli occhi della
nonna. Stava lì di fronte a me, ferma a
fissarmi fluttuando a pochi centimetri da terra come uno spirito
diafano.
«Nonna?» mormorai a quella figura eterea.
«Mia cara
Meredith, mia adorata nipotina. Devi stare molto attenta» proferì a
bassa voce. Prima che potessi farle qualunque
domanda mi parlò di nuovo: «Nella soffitta della Villa, devi
andare su in soffitta...» asserì.
Non feci in tempo
a chiederle nulla che di colpo mi svegliai, madida di sudore e con il
cuore a mille. Ero terrorizzata, avevo paura, una tremenda paura che mi
riempì la testa di domande e che riconfermò i miei dubbi sulla sua
scomparsa. Appena il mio cuore riprese a battere normalmente, il
respiro non fu più affannoso e mi calmai, calzai le pantofole e salii
le scalette in legno in fondo al corridoio fino alla soffitta
entrandoci guardinga in punta di piedi.
Il soppalco era
piuttosto ampio e impolverato e ne percepivo il polverume che ricopriva
i mobili dall'odore stantio diffuso nell'aria. La luce non si
accendeva, probabilmente si era fulminata la lampadina, ma riuscivo a
vedere perfettamente per via dei raggi della luna che filtravano dalla
finestra. La stanza era piena di scatoloni e cose attempate, un
televisore, una vecchia radio e delle scaffalature tarlate con alcuni
grossi libri sui ripiani dalla copertina di tessuto. La busta di carta
che conteneva le
erbe, le varie boccette utilizzate dalla nonna per preparare le sue
pozioni ed altri utensili vari era stata abbondata all'ingresso da mia
madre che sicuramente lasciò lì sull'uscio della porta per non
addentrarsi troppo all'interno della soffitta. Ciò che invece catturò la mia
attenzione attirandomi a sé fu un grosso baule polveroso attaccato al
muro e posto sotto l'unica finestra presente, una finestra circolare
dalla quale entrava la luce lunare. Il mio istinto curioso mi spinse ad
aprirlo: dentro c’era un enorme libro dalla copertina di velluto color
porpora che, per paura di ciò avrei potuto leggervi tra quelle odorose
pagine vecchie e consumate, non aprii in quel momento, poi vi era una
sorta di diario, un cofanetto con all'interno varie ampollette e
sacchetti, e uno scrigno di legno.
Misi da parte lo
scrigno e cominciai a sfogliare il diario senza prestare molta
attenzione alle parole che vi erano scritte. Tra le ultime pagine
trovai una lettera in cui vi era indicato il destinatario: Per Meredith. Ero io la
destiataria. Era dunque per me. Decisi di aprirla all'istante.
La busta conteneva
un foglio in cui erano scribacchiate poche righe con una calligrafia
antiquata. Quella decisi di leggerla subito senza curarmi né del diario
stesso né di tutto il resto.
5
marzo 2010, Salem.
«Cara
Meredith, ormai non mi resta più molto tempo. Sebbene la mia vita sia
stata piuttosto lunga e per la maggior parte serena, la mia fine è
ormai sopraggiunta senza che io abbia modo di reagire e di combattere.
Purtroppo, nonostante la saggezza e la conoscenza acquisita negli anni,
la mia forza non è più quella di una volta e non sono in grado di
lottare contro il mio destino, posso semplicemente attendere che
si compi.
Ricordi
quando ti ripetevo spesso che un giorno avresti scoperto i miei misteri
e avresti capito le mie stranezze, come le chiamava il tuo papà e, a
volte, la tua mamma? Ecco. Qualcosa
sicuramente ti avrà portato qui a leggere questa mia lettera oggi e ciò significa
dunque che probabilmente io già non ci
son più. Per questo tu dovrai prendere il mio posto e comprendere tutto
da sola. Tu sei speciale, possiedi un potere magico e dovrai imparare
ad usarlo e a dominarlo. Avrei voluto insegnati io tutto quanto ma non
mi sarà possibile, non mi è stato possibile, quindi aiutati con il
grimorio nel baule e con questo diario. Riuscirai così sempre a trovare
una soluzione.
Dentro lo scrigno di legno troverai una
catenina con un ciondolo: indossala SEMPRE e soprattutto stai attenta a
ciò che fai e a chi incontri. Nessuna delle persone che ti circonda,
neanche la più vicina, è realmente come appare ai tuoi occhi.
Ti voglio bene nipotina mia, ti farò
percepire la mia presenza al più presto.
Ti voglio bene,
Nonna Elizabeth.»
Una lacrima mi
attraversò il viso.
Sapevo che la sua
morte non era dovuta a un malore ma ad un qualcosa di misterioso che
mia madre, la prozia Sarah e la signora Xiang cercavano di nascondere.
Ero triste,
spaventata e arrabbiata contemporaneamente che volevo piangere. Alle domande sulla sua scomparsa si
aggiunsero quelle sul significato della lettera: mi ero sempre reputata
una persona razionale e scettica, sebbene fossi da sempre affascianta
dal sovrannaturale e dalle leggende, ma quello che avevo appena letto
mi sconvolse totalmente, soprattutto la data riportata nella lettera: 5
marzo 2010. La nonna aveva scritto quella lettera tre giorni prima di
morire, ma come poteva sapere che presto sarebbe giunta la sua ora? E a
quale mio potere magico alludeva? E
infine, io come potevo sapere che in soffitta, dentro ad un vecchio
baule ricoperto di polvere e fra le pagine di un diario vi era una
lettera per me tramite un sogno?
Stavo per
impazzire!
Riposi
delicatamente il cofanetto nel baula, infilai la lettera nella sua
busta, presi il diario e lo scrigno che avevo messo da parte per
ricordarmi di portarlo con me e, in punta di piedi, tornai in camera
mia cercando di non far rumore. Appoggiai il diario sul comodino e
aprii il prezioso scrigno.
Nonostante
sembrasse una banale scatola di legno, dentro era rivestito da un
prezioso tessuto rosso che copriva una morbida imbottitura.
«Questo dev'essere il ciondolo!»
pensai meravigliata.
Era una catenina d'oro dalle maglie
sottili a cui era agganciato un ciondolo sempre d'oro in cui era
incastonata una pietra azzurra che scintillava abbagliata dalla luna
ogni qual volta facevo roteare lo scrigno per osservarla meglio.
C ome aveva scritto la nonna, indossai subito il ciondolo prima di ricoricarmi. Non me ne sarei mai più separata.
Il resto della
notte trascorse pacificamente: non feci altri strani sogni, ma mi fu
però difficile riprendere sonno. Così la mattina seguente nonostante
fosse domenica, mi alzai presto e con due borse enormi sotto gli occhi.
Mia madre era
uscita presto, aveva trovato impiego in uno dei numerosi musei di
Salem, il Peabody
Essex Museum*, Joseph era a lavoro, l'ospedale dove lavorava si trovava
poco distante dalla città, a Lynn, ed Ashley invece dormiva ancora, lei
si era trattenuta molto più di noi al ballo. Jeremy invece era già in
piedi anche lui e stava seduto in cucina a bere una tazza di caffè. Dai noi non era usanza fare colazione
tutti insieme né la domenica né qualunque altro giorno della settimana.
Ignorando la sua
presenza, aprii il frigorifero e presi il cartone del latte per
scaldarne un po' in un pentolino.
«Stanotte ho
sentito dei passi su per le scale...» mi disse guardandomi sottecchi
mentre sorseggiava il suo caffè.
Non risposi. Era
notte fonda perché era ancora sveglio?!
«Cosa ci facevi in
soffitta alle tre del mattino?» insistette voltandosi di scatto per
guardarmi.
«E tu cosa ci
facevi sveglio alle tre del mattino?!»
Non era possibile:
era già la seconda volta che iniziavamo un discorso e finivamo per
discutere.
«Sembravi un
elefante salendo su per le scale e mi hai svegliato. Tu invece?»
Lo ignorai. Quella
sua affermazione non meritava risposta.
«Capisco tu stia
cercando di ignorarmi ma so per certo che muori dalla voglia di darmi
una rispostaccia» aggiunse sogghignando.
«Oh Jer, sei così
pesante ultimamente. Basta!»
Presi la
confezione di biscotti sul tavolo e andai a sedermi sul divano
nell'altra stanza per evitare altri inutili battibecchi.
Mi raggiunse poco
dopo portandomi la tazza di latte che avevo dimenticato nel bollitore.
«Se la tua
intenzione fosse stata quella di bruciare la casa infestata, avrei
lasciato volentieri il latte sul fuoco.»
Alzai gli occhi al
cielo: stava diventando davvero troppo irritante ultimamente.
«Meredith, stai
attenta a quello che fai.»
Il suo
avvertimento sembrava più un ti tengo d'occhio.
Tornai al piano di
sopra e misi in ordine la mia camera: dopo settimane ero riuscita
finalmente a svuotare tutti gli scatoloni e a rendere vivibile quella
stanza. Sulle mensole c'erano ancora i miei
vecchi peluche che avevo lasciato prima di trasferirmi in Florida e con
quelli riempii gli scatoloni ormai svuotati. Di fronte alla porta si trovava la
finestra da cui potevo vedere il bosco cui i vetri erano coperti da una
graziosa tendina di raso, nella parete a sinistra era posto il letto in
ferro battuto mentre l'armadio, che da bianco era diventato giallastro
con il tempo, si trovava dalla parete opposta. I muri erano rivestiti
da una carta da parati lillà con alcune macchie sparse e riquadri più
scuri dove, presumibilmente, prima vi erano appese delle cornici e dei
dipinti. Nonostante lo stile un po' antiquato, non volevo cambiare
nulla di quell'arredamento né rinfrescare le pareti o la moquette:
quella stanza era passata di generazione in generazione prima a mia
nonna, poi a mia madre e infine a me e sarebbe rimasta tale anche per
le generazion avvenire. Ero una tradizionalista e una sentimentale in
fondo.
Finito di
riordinare andai in soffitta con la scusa
di portare lo scatolone con i peluche che avevo appena riempito e cominciai a
sfogliare il grosso volume che, per paura, evitai di aprire la notte
appena trascorsa. Sembrava un
libro di incantesimi, e pure molto vecchio, datato 1689
come riportato nella seconda pagina. Insomma una vera e propria reliquia.
«Avevo ragione che
fossi qui stanotte!» la voce di Jeremy alle mie spalle mi spaventò. Non
lo avevo sentito arrivare perché ero troppo concentrata a curiosare
come un ladro.
«Non ero io. Mi
hai incuriosita! E poi dovevo sbarazzarmi di alcune vecchie cose e così
sono salita» replicai.
«Sì, certo.
Abbiamo un elefante nottambulo in casa wow!»
«Ci sono i piatti
da lavare nel caso fossi annoiato.»
«Mmmh no. Allora
cosa ci fai qui?» mi domandò di nuovo e stavolta con tono più
insistente.
«Mi hai
incuriosita e sono salita. Te l'ho detto.»
«Credi davvero a
queste cose?» disse inginocchiandosi accanto a me dando un'occhiata
fugace al libro di incantesimi che tenevo in mano.
«Quali cose?»
«Le streghe»
pronunciò la parola streghe
con enorme scetticismo e con una vena disprezzo.
«Non saprei. Mia
nonna lo era., cioè affermava di esserlo.»
«Stai attenta, non
metterti nei guai» disse di nuovo quel tono da ti tengo d'occhio mentre si alzava
in piedi.
«Tu non ci credi?»
gli domandai. Esitò un momento prima di rispondermi.
«No. Mmh boh
non lo so, ed è proprio perché non lo so che preferisco stare fuori da
queste cose. Vado a farmi un giro, ciao!»
Non riuscivo a
capire quello che mi diceva: come si poteva non sapere di credere o no
a un qualcosa?
«Bella collana
comunque» osservò prima di uscire dalla
soffitta facendomi un cenno con la testa per indicareil ciondolo.
Chissà perché la
nonna aveva espressamente richiesto nella lettera che io lo indossassi.
Anche questo ciondolo aveva un potere magico? C'erano solo due persone
qui che potevano aiutarmi sebbene mi scocciasse un po' disturbarle e
non avevo neanche la certezza che mi avrebbero davvero aiutata.
«Pazienza se
dovessi disturbarle!» pensai tra me e me.
Jeremy era uscito
e decisi di uscire anche io.
***
Ricordavo
perfettamente la strada. In meno di mezzora mi ritrovai già di
fronte alla casa di Sarah Morgan, la mia misteriosa prozia di cui fino
alla settimana scorsa non sapevo di avere. Quasi tutti i parenti dalla
parte di mia madre erano deceduti mentre i parenti dalla parte di mio padre non liavevo mai incontrati.
Titubante ritrassi
il dito dal pulsante del campanello diverse volte prima di premerlo a
fondo. Mi feci coraggio e suonai.
Non attesi molto. La donna era ancora in pigiama e
visibilmente assonnata quando mi aprì.
«Sei di nuovo qui?
Cosa vuoi?» brontolò la Signora Morgan seminascosta dalla porta socchiusa.
«Io...la prego non
mi mandi via. Vorrei parlarle.»
La donna borbottò
qualcosa e sbuffando mi fece accomodare.
«Sei fortunata,
stavo giusto preparando la colazione.»
Mi servì un té
fumante e una montagna di pancake traboccanti di sciroppo di mais.
«Sei identica a
Elizabeth quando aveva la tua età, però sei così smagrita cara. Mangia»
disse spingendo verso di me il piatto di frittelle che aveva preparato.
Addentai un
boccone e improvvisamente mi tornarono in mente i miei primi tre anni
di vita a Salem, quando era la nonna a prepararmi la colazione. Questi
pancake erano uguali a quelli che faceva anche lei, avevano lo stesso
identico buon sapore. Erano ricordi flebili e fugaci, ma quel profumo e
quel gusto erano inconfondibili.
«Il segreto è lo
sciroppo di mais- disse osservandomi mentre mi abbuffavo -Comunque,
dimmi perché sei venuta.»
Incrociò le
braccia e con aria severa mi fissò in attesa di risposta. Deglutii
l'ennesimo pezzetto di frittella e senza tanti preamboli le chiesi se
conoscesse la vera causa della morte della nonna, sua sorella,
Elizabeth Morgan.
Ebbe un sussulto e
fece spallucce.
«Sa, io non sapevo
che la nonna avesse un'altra sorella. Pensavo fossero solo in quattro,
o così mi aveva detto la mamma.»
Annuì e brevemente
mi raccontò il motivo del perché non avessi mai sentito parlare di lei
né l'avessi mai sentita nominare dalla mamma o dalla nonna. Era stata
praticamente spodestata dalla nostra famiglia, la stirpe dei Morgan.
«Quel che ti sto
per raccontare forse non avrà molto senso, ma se sei qui a farmi certe
domande sicuramente non ti spaventerai. Eravamo cinque sorelle in
realtà: Adele, Virginia, Elizabeth, io e Candice, la più piccola. Le
prime tre, fra cui tua nonna, ereditarono un potere magico che si
tramanda alternativamente tra una generazione e l'altra ma solo ad un
certo numero di figli (sia che questi siano maschi sia che siano
femmine) viene concesso il dono. Questo numero raggiunge un massimo di
tre poiché la leggenda vuole che 3 sia il numero perfetto in tutte le
culture e in tutte le religioni, dunque a me e a Candice non ci era
stato trasmesso. A lei non importava molto, non si sentiva diversa,
anzi, essendo la più piccola (di dieci anni rispetto a me che ero la
più giovane) era coccolata come se fosse una di loro, una strega. Io
no. Io mi sentivo esclusa, mi sentivo diversa soprattutto durante
l'adolescenza. Adele, Virginia ed Elizabeth stavano spesso con nostra
nonna, Elvira, per imparare a padroneggiare il loro potere, anche
Candice a volte vi partecipava ed io rimanevo nella mia stanza da sola.
Un giorno, quando non c'era nessuno in casa, frugai fra le
cianfrusaglie magiche delle mie sorelle e di mia nonna perché volevo
provare a fare un incantesimo anche io e mostrare a tutte quante che
anche io potevo essere una strega come loro e che quella del numero 3
era solo una sciocchezza per contenere il numero delle streghe e per
evitare che la vostra specie si moltiplicasse a dismisura. Di
conseguenza, per aver tentato di lanciare un incantesimo, mi bruciai
completamente le braccia e le mani» si interruppe un momento alzandosi le
maniche della vestaglia per mostrarmi gli arti con delle profonde
cicatrici d'ustione.
«Nostra madre tornò a casa dal lavoro
e, preoccupata per il fuoco che fuoriusciva dalla finestra della
soffitta, si precipitò fino a lì ma non essendo nemmeno lei una strega
(perché era strega solo da parte di madre dunque il gene si eredita
come ti ho detto a generazioni alterne a meno che entrambi i genitori
non siano degli stregoni o per lo meno questo è ciò che viene
raccontato), nel tentativo di risolvere il guaio che avevo combinato,
prese fuoco come un barile di benzina. So che questo che ti sto dicendo
è molto cruento, ma tu vuoi sapere la verità, non è vero?»
Annuii con la
testa invitandola a proseguire il racconto.
«Chiamai i vicini
i quali chiamarono i vigili del fuoco e scappai, la lasciai lì a
bruciare insieme alla nostra casa. Ero spaventata e mi sentivo
tremendamente in colpa, non sapendo cosa fare mi nascosi nel bosco
dietro la villa. Appena i pompieri spensero l'incendio, stranamente la
villa non subì danni particolarmente gravi, tornai a casa aspettando il
ritorno delle mie sorelle e di mia nonna. Erano affrante. Tentai di
spiegare l'accaduto ad Elvira ma lei mi maledisse. Ero stata avvisata e
messa in guardia: non dovevo nemmeno pensare alla magia. Dunque mi fece
un incantesimo: se avessi provato a farne un altro o se avessi
interferito nuovamente con l'ordine naturale della magia sarei morta.
Da quel giorno, ogni notte in sogno mi appare il fantasma di mia madre
che brucia fra le fiamme, l'altra parte della maleduzione fattami da
mia nonna. È terribile, mi tormenta ancora oggi» gli occhi le diventarono lucidi e
abbassò il capo.
«Per finire,
nostra nonna mi diseredò cacciandomi via. Nostro padre era morto non
appena nacque Candice ed io non avevo alcun posto dove andare. Avevo solo diciassette anni all'epoca
ma riuscii a cavarmela accettando la proposta di matrimonio di un
giovane di qui di cui, pace all'anima sua, non ero innamorata. Per
questo conservai il cognome Morgan nonostante tutto. Ora ho sessantotto
anni, sono più di quattro decenni che non ho a che fare con la magia e
con le streghe» chiuse quel resocconto sospirando.
Avrei voluto farle
mille domande, ad esempio come erano morte le sue sorelle (e la nonna
soprattutto), se aveva conosciuto mio nonno, se avevo altri parenti dalla loro parte, oltre un lontano cugino e sua
moglie che vennero al funerale della nonna, ma non volevo sembrare
inopportuna. Fu lei però ad accennare all'argomento.
«Se te lo stai
chiedendo non so come sia morta esattamente tua nonna. Adele morì di
malattia una decina di anni fa, Virginia morì a causa di un infarto nel 1991 nonostante fosse
molto giovane e Candice fu investita quando aveva poco più di
trentanni. Tua nonna fu l'unica a rimanere in quella villa dopo la
morte di Elvira, le altre andarono per la propria strada. Tua nonna fu
anche l'unica ad aver avuto una figlia e poi una nipote, tu. Steven,
che era al funerale, venne adottato da Adele.»
Rimanemmo un po'
in silenzio senza dire una parola fissando il vuoto del tavolo come
diversivo.
«Lei sa a cosa
serve questo?» le chiesi poi mostrandole il ciondolo che tenevo
nascosto sotto la maglietta per smorzare quell'atmosfera.
La donna inorridì.
«Sta attenta a
quel coso. Chissà che razza di ordigno sia! Ora ti prego, va, ti ho
detto fin troppo.»
Mi accompagnò alla
porta raccomandandosi nuovamente di fare attenzione e di non
presentarmi mai più a casa sua.
Angolo autrice.
*Peabody
Essex Museum: è un museo realmente esistente a Salem https://www.pem.org/
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Il ragazzo misterioso. ***
6) Il ragazzo
misterioso.
La mattina dopo dimenticai per un
attimo i miei interessi paranormali e le varie peripezie sovrannaturali
svegliandomi più presto del solito con l'intento di rendermi più
presentabile agli occhi di Heric, il ragazzo eletto Re del Ballo di
Primavera, in caso l'avessi rivisto a scuola. Mi aveva ipnotizzata per
questo mi stavo costruendo così tanti castelli per aria su su di lui
anche perché, ad esser del tutto onesta e secondo il mio personale
parere e soggettivo parere, aveva ben pochi rivali alla Salem High
School. Non so perché ci sperassi o perché ne fossi già così
ossessionata, ma mi piaceva ogni tanto provare interesse verso
qualcuno, immaginarmi un qualche lieto fine, insomma avere un diversivo
su cui fantasticare e poi, in una scuola piccola come quella di Salem,
sarebbe stato difficile trovare altri bei ragazzi da osservare.
Rindossai il
maglioncino che mi aveva prestato Ashley per il primo giorno di scuola a Salem e di cui mi ero
ormai appropriata (tanto lui non era presente quel giorno, non me
l'aveva visto e non avrebbe pensato che mi mancasse dell'inventiva nel
vestirmi) e stavolta, seguendo il consiglio della mia
sorellastra, lo misi senza la canottiera sotto e
lo abbinai ad una gonna nera piuttosto corta e attillata, un paio di
anfibi e un filo di trucco. Era il massimo che potessi fare.
Scesi a fare
colazione: Ashley stava seduta a bere una tazza di latte e mi squadrava
dalla testa ai piedi. Jeremy invece era ancora in camera sua.
«Wow!- esclamò
incredula spalancando gli occhi -sembri proprio la groupie di un
gruppetto di metallari! Però apprezzo lo sforzo, sei più decente del
solito, beh ovvio quelli sono i miei vecchi vestiti, e cavolo! Ti sei
pure truccata! Su chi vuoi fare colpo?» mi apostrofò mettendomi in
ridicolo.
«Non sembro una
groupie! E poi non è che se mi trucco debba necessariamente piacermi
qualcuno» risposi scocciata. Tutti in famiglia
erano abituati a vedermi quasi sempre conciata come un maschiaccio o
senza troppo impegno, per questo sia lei sia mia madre si
meravigliarono. Io stessa mi sentivo a disagio,
peggio della sera del ballo, in cui almeno avevo un motivo per essere
tutta in ghingheri.
Jeremy entrò in
cucina e sentendo i suoi passi mi voltai per dargli il buongiorno.
Rimase fermo sulla porta della cucina e mi guardò stranito: scoppiò a
ridere fragorosamente, a ridere di me. Prese il caffè dalla moka
versandoselo in una tazza e, dopo averlo bevuto tutto in un sorso, fece
cenno a me e ad Ashley di muoverci, soffocando un’altra risata. Insomma, un po’ di trucco, un
maglioncino scollato ed una gonna non mi davano poi tutta quest’aria
ridicola e speravo, in caso avessi incontrato Heric, di non provocargli
lo stesso identico effetto di ilarità.
Quando arrivammo
a scuola, sentii quasi tutte le ragazze parlare del Re e della
Reginetta del ballo, di quanto fossero belli, di quanto lui fosse bello.
Non avevo fatto molto caso alla ragazza che venne eletta, ma iniziavo
ad esser curiosa di vedere anche lei.
Alla prima ora
avevo matematica insieme a Jeremy. Lui scelse un posto molto lontano
dal mio, nonostante ci fossero ben tre banchi liberi accanto a me: ai
lati e davanti. Non ne capii il motivo ma lui si sedette da tutt'altra
parte.
A un certo punto i
miei occhi si illuminarono come due lanterne: entrò Heric, il
bellissimo ragazzo del ballo, il Re del Ballo di Primavera della Salem
High School, che mi aveva colpita fin dal primo momento con il solo
sguardo.
Heric entrò in
classe con aria indifferente e posata senza guardarsi troppo intorno,
portava un paio di jeans scuri ed una maglione nero con lo scollo a V. D'un tratto si
voltò verso di me, mi fissò un attimo e continuò a camminare. Non
riuscivo proprio a distogliere lo sguardo dalla sua figura.Sebbene ci fossero anche altri posti
liberi, lui si sedette proprio nel banco accanto al mio, alla mia
destra. Mi sentivo fortunata ed allo stesso tempo a disagio e tenevo gli occhi bassi sul quaderno
rimanendo immobile ma con la coda dell'occhio notavo che mi stesse
scrutando come sabato. Mi girai verso Jeremy dall’altra
parte dell’aula per lanciargli un’occhiata complice ma vidi che
stringeva il pugno e che mi guardava male, anzi ci guardava male. Mi sentivo al centro dei loro sguardi
ed anche questo mi metteva parecchio in soggezione.
Quando il professor Richardson entrò in aula tutti scattammo
sull'attenti.
«Guarda guarda chi
si ripresenta a scuola dopo sole due settimane di assenza. Ben tornato
Vostra Maestà Signor Browning, siete ben riposato? O le mansioni reali
vi hanno distolto troppo dagli impegni scolastici?» lo calzonò
ironicamente l'insegnante di matematica.
Heric alzò lo
sguardo e gli fece un sorriso beffardo.
«Saprà dirmi
qualcosa sul seno e coseno di 30°?» Heric rispose
scuotendo la testa e ignorò il professore che, indignato, iniziò a fare
l'appello.
Continuò a
fissarmi senza seguire la lezione. Non mi piaceva molto questo suo
atteggiamento irriverente e poco rispettoso ma la sua bellezza e il suo
essere tremendamente attraemente sopraffacevano di gran lunga questi
suoi modi rudi.
«Signor Browing,
capisco che il fascino della signorina Spencer sia disarmante, ma segua
la lezione» lo rimproverò nuovamente il professore.
Tutti iniziarono a
ridere, Jeremy scosse la testa in segno di disapprovazione e io
diventai viola dalla vergona. Anche il professore si era accorto che
Heric non la smetteva di fissarmi e per via di quella battuta lo fulminò
con lo sguardo. Il professore, quasi intimorito, fece poi finta di
nulla zittendo gli altri studenti e proseguì con la lezione sulla
dimostrazione di un teorema.
Quell’ora sembrava
non finire mai, così appena squillò la campanella mi affrettai ad
uscire. Ma la mia stessa goffaggine mi ingannò:
incimpai dalla fretta e feci cadere tutte le mie cose a terra. Mi
chinai velocemente facendo finta di niente sperando che nessuno mi
avesse vista per cacciare tutto dentro la borsa e scappare più in
fretta che potessi.
«Hey!» qualcuno mi
diede una leggera pacca sul braccio per richiamare ulteriormente
la mia attenzione. Sollevai un poco la testa dal pavimento e...Heric
stava di fronte a me, chinato con il suo viso a cinque centimetri dal
mio. Rimasi incantata
ad osservarlo imbambolata come un'allocca: non avevo mai visto degli
occhi così belli, così azzurri, così profondi e intensi, e non mi ero
mai sentita così maldestra e imbarazzata.
«Ti è caduto anche
questo» disse porgendomi una penna e sorridendomi maliziosamente. Anche
il suo sorriso meritava altrettanti complimenti: denti bianchissimi e
perfettamente lineari, labbra carnose ma non troppo, viso un po' ossuto
ma né troppo smagrito né troppo paffuto. In
una parola: bellissimo.
Restammo chinati
per un po’ e poi ci alzammo in piedi simultaneamente continuando a
guardarci negli occhi senza distogliere lo sguardo di dosso l'uno
dall'altra. Per quanto mi sentissi impacciata e in soggezione non
riuscivo a non guardarlo. Poi spostò lo sguardo verso il ciondolo che
portavo al collo e fece un’espressione strana, quasi turbata e vidi le
sue iridi diventare di un azzurro più intenso. Ebbi quasi l'impressione
che si stessero scurendo.
«Tutto bene?»
chiesi strizzando gli occhi per mettere meglio a fuoco ciò che avevo
notato.
«Sì. Devo andare,
Meredith.»
Mi aveva chiamata
per nome, mi aveva chiamata M-e-r-e-d-i-t-h. Ero strabiliata! Il fatto
che conoscesse il mio nome mi fece sentire quasi importante. E poi il
nome Meredith pronunciato
dalle sue labbra assumeva quasi una musicalità piacevole, diversamente
dagli striduli di mia madre la mattina e dalle prese in giro di Jeremy
e Ashley.
Rimasi ancora
imbambolata qualche secondo a fissarlo mentre usciva dalla classe così
sicuro di sè e con passo svelto.
La sensazione di
qualcosa di gelido vicino allo sterno mi fece tornare coi piedi per
terra. Il ciondolo, anzi la pietra incastonata all’interno del cerchio
di metallo, era diventata più fredda così tanto che addirittura l'oro
che che la conteneva si era raffreddato.
«Che strano»
pensai tra me e me mentre lo rigiravo tra le dita.
Jeremy mi passò
affianco mentre contemplavo il ciondolo e avvertii come un’energia
negativa non appena mi sfiorò accidentalmente. Sembrava quasi geloso: geloso di
Nicholas che mi aveva invitata al ballo, geloso di Heric che mi
guardava. Ma non poteva essere geloso, era mio fratello! Vabbè fratellastro come
sottolineava sempre lui. Comunque in quel momento non pensavo
a lui, avevo in mente solo Heric: per questo decisi dunque di stare un po’ lontana
dal mio irascibile fratellastro e, durante la pausa pranzo, vedendo
Alexis seduta da sola, mi unii a mangiare insieme a lei. Appena mi vide
sedermi al suo tavolo mi salutò freddamente perché probabilmente ce l’aveva
a morte anche con me per via di Jeremy e per ciò che aveva fatto la
sera del ballo.
«Lo so che mio
fratello è un vero stronzo, maleducato e privo di sentimenti, ma
potremmo essere amiche anche se lui...» non sapevo come continuare la
frase, forse stronzo, maleducato e privo di sentimenti rendevano bene
l'idea. Lei mi guardò sbigottita in attesa che terminassi la frase:«...è un idiota». Lo apostrofai con semplicemente così
sebbene gli si addicessero appellativi più coloriti. Alexis annuì ma
non disse una parola e il suo silenzio iniziava a mettermi alle strette
perchéstavo per terminare le frasi di circostanza volte a tirarla su di
morale.
«Io con lui non ho parlato. Se hai
voglia, puoi raccontarmi quello che è successo, puoi fidarti di me. Lui
non si confiderà mai con me, ma magari posso aiutarti se mi dirai cos'è
successo» la rincuorai con quelle parole e davvero volevo aiutarla e
consolarla ma, ovviamente, ero anche tremendamente curiosa. Alexis
sospirò e diede un altro morso al suo panino. Ero convinta che non
avesse intenzione di confidarsi ma non fu così.
«Quando sei andata
a prendere da bere con Matt, mi ha detto francamente ciò che pensa,
cioè che io non gli piaccio e continuare a fare la gentile e la carina
usando il pretesto che fosse appena arrivato era patetico. Credimi che
io sono una persona particolarmente estroversa e schietta quindi ho
apprezzato molto la sua sincerità. Poi però dopo un'oretta scarsa è
venuto in pista mi ha sussurrato se volessi concedergli "l'onore di
questo ballo", mi ha abbracciata e abbiamo iniziato a ballare insieme.
Infine mi ha baciata. Poi è sparito di nuovo correndo verso di te. Oggi
non mi ha neanche guardata. Io non lo capisco... Ma credimi, Meredith,
non ce l’ho con te però è stato veramente uno stronzo.»
Alexis non si metteva problemi a dire
ciò che pensava ma un po' mi aveva pesato il fatto che avesse definito
Jeremy uno stronzo. Da parte mia credevo che potessero stare bene
insieme: lui così timido e riservato e lei così estroversa e diretta.
Ero ancora dell'idea innocente che gli opposti si attraessero e ci
vedevo un qualcosa di romantico in loro dunque tutta questa scortesia da
parte di Jeremy non la capivo e non ero nemmeno più intenzionata a
farlo.
«Il fatto è che,
non so, boh... mi piace» confessò.
«Mmh, in questo
caso proverò a parlargli.»
«No no ti prego!
Mi sento già abbastanza umiliata.»
Nel mentre che
parlavamo notai che in qualche tavolo dietro Alexis, un po' isolato,
stava seduto Heric, da solo così tentai di cambiare discorso.
«Conosci quel tipo
seduto lì?» le dissi facendole cenno di girarsi.
Lui alzò lo
sguardo verso di noi come se mi avesse sentita e io continuai a
mangiare facendo finta di niente.
«Sì, tutti lo
conoscono. È il Re del ballo. Cavoli, è proprio bello!» disse Alexis.
Già, proprio bello.
Volevo saperne di
più e le feci qualche domanda discreta, tipo dove abitasse o che corso
seguisse, senza far trapelare la mia precoce fissazione.
Alexis era
piuttosto informata, lavorava nella redazione del giornalino della
scuola: era gli occhi e le orecchie della Salem High School. Questo era tutto ciò che sapeva:
Heric William Browning, diciassette anni compiuti a gennaio,
frequentava il terzo anno, non faceva sport e non era coinvolto in
nessuna attività extrascolastica e viveva con sua cugina Madeline, la
Reginetta del Ballo, in una villa poco fuori Salem. Si erano trasferiti
a settembre di quell'anno scolastico. Della sua famiglia invece nessuno
sapeva nulla: circolavano voci sul fatto se vivessero o meno coi
genitori, o se uno dei due fosse stato adottato dalla famiglia
dell'altro o viceversa o se vivessero soli, giravano dicerie anche su
presunti rapporti incestuosi o che non fossero realmente cugini.
Suonò di nuovo la
campana, la pausa pranzo era terminata. Avevo educazione fisica e andai
in palestra riuscendo ad evitare Jeremy anche per quell’ora.
Entrambi, sia
Heric sia Jeremy, erano in palestra. Heric era ancora più bello in tuta
e non riuscivo proprio a smetterla di fissarlo.
Al termine
dell'ora di educazione fisica mi accostai all’uscita ad aspettare
Jeremy, in fondo non mi andava di tornare a piedi fino a casa.
Un brivido, di
nuovo, mi attraversò la schiena e sentii un soffio freddo sul collo. La
sensazione era la stessa che provai quando vidi per la prima volta
Heric lì al Ballo di Primavera.
«Tu non hai idea
di chi io sia, vero?» rimasi immobile e poi mi voltai lentamente. Avevo
riconosciuto la sua voce.
«S-s-sì, sei
Heric, giusto? Stamattina...» mi interruppe.
«Hai un buon
profumo» sussurrò inspirando profondamente.
Rimasi senza
parole.
«A domani»
soggiunse. Poi, sorridendomi, si allontanò dirigendosi verso la sua
macchina, una cabriolet nera. Doveva appartenere senz'altro ad una
famiglia agiata. Lo si notava anche da come si comportava. Nessun
figlio di operai o cassiere poteva permettersi quell'auto o poteva
ostentare tale sicurezza di sé.
Riflettei poi su
ciò che mi aveva detto e quella frase continuò a risuonarmi in mente: «Tu non hai idea di chi io sia, vero?» sembrava quasi
un chiaro riferimento alla lettera della nonna in cui mi avvertiva che
nessuno era realmente come appariva ai miei occhi.
«Meredith!
Dannazione, muoviti!»
«Arrivo!» corsi
verso l’auto e chiesi scusa a Jeremy e Ashley per il ritardo.
«Mi stavi evitando per
caso?» chiese, scocciato.
«No. Stai
diventando anche presuntuoso oltre che antipatico?»
«Mer, quel ragazzo
con cui stavi parlando non è forse il Re del ballo? Wow! Ora capisco.
Cioè è assurdo» mi schernì Ashley.
«Sì, seguiamo
alcuni corsi uguali. E poi scusa non stai uscendo con Nicholas?»
ribattei infastidita.
«Ah già,
Nicholas...Quindi aveva ragione Jer a dire che lo avevi già
accalappiato tu. Peccato» pronunciò il nome di Nicholas quasi con
stupore come se uscire insieme a qualcuno fosse una cosa dimenticabile
e fosse già pronta a passare al prossimo ragazzo. Ma Ashley era
così, frivola e superficiale, passava da un ragazzo all'altro senza
troppe preoccupazioni. Non mi importava che Nick stesse
uscendo con qualcun’altra, mi dava fastidio però che uscisse proprio
con la mia sorellastra, per principio. Ma con Heric non doveva
assolutamente provarci. Nella mia testa lui era già mio. Non
mi capitava dalla prima superiore, lì al liceo di Coral Spring, di
provare questa sensazione del cosiddetto colpo di fulmine. Mi presi una
cotta sin dal primo giorno per un ragazzo del mio corso di arte,
Jackson Turner, che era però due anni più grande di me. Era bello, non
come Heric, ma possedeva il suo fascino da ragazzo ribelle. Era più
grande e rivendicava sempre il suo voler essere uno spirito libero.
Dopo essere usciti per qualche tempo ci fidanzammo e innamorammo, o per
lo meno io me ne innamorai. Fu sospeso perché aveva fatto a botte con
uno dei giocatori della squadra di football il quale, a differenza sua,
era figlio di papà. Rischiò guai seri perché aveva già sedici anni ed
era perseguibile penalmente. Non lo rividi più perché lasciò la scuola
e andò a lavorare in un'altra città. Poi, dopo qualche tempo,
all'inizio del penultimo anno al liceo di Coral Spring incontrai Mark
Grey, il ragazzo che mi vomitò sul vestito la sera del ballo. Non
ero veramente interessata a lui, pensavo ancora a Jackson in realtà, ma
Mark era divertente e simpatico ed era un ottimo diversivo. Anche lui
però, dopo l'incidente all'Homecoming, scomparì. Il
mio excurs di ex ragazzi o semplici ragazzi che avevo frequentato o che
mi erano piaciuti era tragico e demoralizzante. Chissà come sarebbe
andata a finire con Heric?! Nella mia fantasia già risuonavano le
campane nuziali, sempre se anche lui non sarebbe scappato via. Continuavo a pensarci e ripensarci,
senza conoscere nient’altro che il suo nome e qualche infondato
pettegolezzo. Sapere che lui a sua volta non sapeva
minimamente chi fossi e nemmeno mi pensava come stavo facendo io, era
deprimente. Deprimente e patetico. Però sapeva il mio
nome e avevamo già parlato per ben due volte. Per ora era abbastanza.
Per ora, mi bastava. Che felicità!
***
Tornati a casa mi
rinchiusi in camera ma nulla, continuavo a pensarci, non riuscivo
nemmeno a studiare. Cercai di stalkerarlo su Facebooke vari social
network ma di lui neanche l'ombra. Forse si era cancellato dalle troppe
richieste? Forse aveva un nome fasullo per evitare di esser appunto
vittima di stalking da parte di ragazzine sciocche come me? Purtroppo
era diventato il mio pensiero fisso, che stupida.
«Posso parlarti un
attimo?» disse Jeremy bussando la porta della mia stanza e aprendola
allo stesso tempo disturbando i miei sciocchi pensieri.
«Non ti ho detto
di entrare. Cosa c’è?» chiusi svelta il
mio portatile per evitare che Jeremy vedesse ciò che stessi facendo.
«Quel tipo, il
ragazzo misterioso, non mi piace.»
«Me lo auguro!»
«Non in quel
senso, stupida!»
«Non deve mica
piacere a te, in nessun senso.»
«Ma quanto sei
scema? Non dovresti vederlo.»
«Chi sei mio
padre? La mia guardia del corpo?»
«Eh...»
«Mmh?»
«Stai attenta.»
Questi suoi
continui avvertimenti iniziavano a darmi sui nervi. Odiavo essere
controllata e tenuta d'occhio, soprattutto da qualcuno più piccolo di
me. Avevamo qualche mese di differenza, ma delle volte parevano anni
talmente si comportava da immaturo. Inoltre, tra lui ed Heric non
sapevo proprio chi fosse il vero ragazzo misterioso. Forse proprio Jeremy, anzi, più che
misterioso era incomprensibile.
A cena non gli
rivolsi la parola sebbene in questo modo stessimo mettendo in tensione
tutta la famiglia. La nostra ostilità nell'aria era tangibile.
«Che strano
ciondolo! Dove lo hai preso?» mi domandò Ashley.
«Ma non era della
nonna? Dove l’hai trovato?» chiese invece mia mamma con tono incredulo.
«Su in soffitta,
in un baule» mugugnò qualcosa che non riuscii a comprendere.
Probabilmente non capiva perché lo indossassi io o perchè fossi andata
a frugare in soffitta tra le vecchie cose della nonna.
Finito di cenare,
seguii Jeremy fino in camera sua. Dovevo parlargli io stavolta.
Chiusi la porta e
mi sedetti sul suo letto mentre lui osservava tutti i miei movimenti
poggiato alla finestra con le spalle verso l'esterno.
«Ieri alla fine
non abbiamo parlato. Perché ti sei comportato così con Alexis?»
«Non lo so. Ero
ubriaco.»
«Ma non dire
cavolate! Non hai bevuto niente!»
Rise di gusto e
fece spallucce.
«Tu perché stai
facendo l'oca con quel tipo?»
«Che cosa? Come ti
permetti? E poi non è di me che stiamo parlando adesso!»
Ridacchiò di nuovo
e si voltò togliendosi la maglietta.
«Ma che fai?»
«Mi cambio. Sono
stanco e voglio dormire» disse liquidandomi a torso nudo.
Prima di chiudere
la porta lo pregai, di nuovo, di comportarsi bene e di non fare
l'idiota con Alexis. Di tutta risposta mi mandò a quel paese dicendomi
di farmi gli affari miei.
Erano affari miei eccome.
Andai nuovamente a
dormire con l'umore nero sempre per colpa di Jeremy. I suoi
avvertimenti però cominciavano ad insospettirmi e volevo capirne la
ragione così mi scervellai tutta la nottata fino a che non caddi in un
sonno profondo.
Quella notte inoltre sognai di nuovo.
Stavolta mi
trovavo nella biblioteca della scuola. Il silenzio regnava sovrano in
tutto l'edificio, i corridoi erano vuoti e le luci ovunque erano
spente, solo quella di emergenza posta sopra la porta d'accesso alla
biblioteca rilasciava un fioco fascio luminoso verde mentre la candela
posta sopra un piccolo tavolo rialzato illuminava l'intera sala
lettura. Io ero in piedi dando le spalle alla porta d'ingesso alla
biblioteca e stavo sopra la pedana che sorreggeva quella sorta di
podio, intenta a leggere il libro che vi era posato, un libro simile a
quello che c’era su in soffitta, vecchio, con la copertina rigida e le
pagine consunte di cui non riuscivo a decodificarne le parole. Era un
grimorio, scritto in una strana lingua, probabilmente in latino. Nell'aria si percepiva un'atmosfera
strana, inquietante e ostile. Ero talmente concentrata a capire cosa vi
fosse scritto in quelle pagine, che non mi accorsi che nella biblioteca
era giunta una presenza estranea.
«È pericoloso
stare qui» disse la persona alle mie spalle con voce pragmatica. Non
aveva pronunciato quella frase con tono preoccupato anzi percepii una
nota di ironia e sarcasmo e suonava quasi come un avvertimento che in
realtà il pericolo fosse lui.
«Heric» non mi
voltai. Sapevo per certo che era lui, la sua voce era inconfondibile e
la sua presenza eterea palpabile.
Sentii i suoi
passi leggeri percorrere un tratto per avvicinarsi a me. Io non mi
voltai mai per guardare verso di lui, mi sentivo quasi come se fossi
Orfeo: se mi fossi girata, l'avrei perso per sempre. Herci si abbassò
leggermente per sussurrarmi qualcosa all'orecchio appoggiando la mano
sul tavolo per sostenersi dove io stavo sfogliando quello strano libro e mi sembrò di sentire lo stesso soffio
gelido sul collo di quando Heric mi aveva chiesto se sapessi chi fosse
quella mattina. Lesse ad alta voce
una manciata di frasi, l'unica che poi mi ricordai appena sveglia e che
mi appuntai su un foglio di carta fu: «Timeo daemones et res adversae
ferentes»*.
Sospirò
pesantemente spirando il suo alito freddo sulla mia nuca..
«Ma tu non mi
temi, non è vero?»
«Numquăm»* risposi io. Il perché parlassi
nella stessa lingua in cui era scritto il grimorio, non lo sapevo ma
nel sogno ero cosciente di saper leggere e comprendere quelle pagine.
«Vieni con me» disse con voce suadente
Heric, e non era una domanda o un invito, ma un obbligo. Sapevo che
fosse Heric ma allo stesso tempo non era in lui e non era lui, quello
che mi parlava in quella maniera non era la sua persona. E di questo
fui dubbiosa poiché, nonostante la voce inconfondibile, non mi voltai
mai per osservarlo in viso e lui rimase tutto il tempo alle mie spalle. Si scostò un po'
in modo che avessi lo spazio per scendere da quel piccolo altare e gli
andai vicino, pronta a seguirlo.
«Meredith no!»
Jeremy apparve nel sogno all'improvviso, per salvarmi da non so cosa e
mi afferrò il braccio per trattenermi.
Come l’altra notte
mi svegliai verso le tre del mattino tremante e impaurita. Che mi
stesse davvero succedendo qualcosa di strano? Che fossero vere tutte
quelle leggende?
Strinsi il
ciondolo tra le mani come se potesse darmi risposte e conforto. Era
freddissimo. Chissà quale sorta di marchingegno gli faceva cambiare
temperatura!
Scesi in cucina a
bere qualcosa per rilassarmi un po' e tornai in camera per leggere il
diario della nonna. Nella lettera aveva scritto di leggerlo perché mi
avrebbe aiutata a capire. Lo sfogliai dall'inizio alla fine e
con la coda dell'occhio trovai una pagina intitolata Sogni, di
cui scrisse però pochissime righe quando
aveva circa quindici anni, ossia più o meno la mia età.
16
aprile 1953
Sogni.
«Inizio a fare sogni strani. Alcuni mi inquietano altri mi eccitano
facendomi sentire un enorme potere tra le mie mani altri ancora mi
lasciano dubbi e perplessità sul loro significato reale.
La nonna ha detto che i sogni di una strega alle prime armi non
sono mai del tutto attendibili, sono confusi, spesso in ambientazioni
irreali e rappresentano
ciò che la strega vorrebbe succedesse o mostrano alla strega ciò che
dovrebbe vedere nella realtà ma che in realtà, appunto, non riesce a
vedere. Spesso, dice sempre nonna Elvira, soprattutto all'inizio, il
vero significato di questi sogni è celato da circostanze differenti che
ne possono alterare in parte la veridicità e dunque ingannare la
coscienza di una giovane apprendista.
Una strega esperta non ha bisogno di
dormire per vedere il futuro, ma nei sogni troverà sempre un qualcosa
in più. Un indizio.
I primi segnali che fanno presagire la
comparsa del Dono sono rappresentati proprio dal susseguirsi di stati
alterati della coscienza: sogni, visioni, premonizioni. Così ho letto
da qualche parte nel Grimorio dei Morgan. Con la costanza e la
disciplina si arriverà ad avere il totale controllo del proprio potere
di veggenza che sarà poi del tutto attendibile.
E così, almeno, ci ripete sempre nonna Elvira.»
Non ero una
strega. I miei sogni non avevano alcun significato, né erano un
desiderio inconscio, e, a parte Jeremy che rovinava sempre tutto, non
c'erano altri particolari relativi alla realtà.
La mia razionalità
stava cedendo il posto alla follia.
Angolo autrice.
*«Timeo deamones et res adversae
ferentes»: è un adattamento della frase latina contenuta
nell'Eneide di Virgilio e significa:«Temo i demoni e le sventure che
portano». L'originale è «Timeo Danaos et dona ferentes» ovvero «Temo i
greci anche quando portano i doni» Mi sono affidata a wikipedia che
indicava entrambe le traduzioni anche se sottolinea che la tradizione
«Temo i greci e i doni che
portano» sia grammaticalmente inesatta. Non ho trovato il corrispettivo
latino di vampiri per cui ho usato il sostantivo deamon-is ovvero
demone-i del tardo latino il quale è però abbastanza recente. C'era
anche strix-strigis cioè uccelli
rapaci che succhiano il sangue ma non mi piaceva molto in quanto
"suona" di più come riferito ad una strega.
*«Numquam»:
mai in latino.
P.S.: il mio latino è particolarmente arrugginito. Non esitate a farmi
notare errori vari.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** L'enigma del ciondolo. ***
7) L'enigma del ciondolo.
Non avevo chiuso occhio
nemmeno quella notte e il mio fisico ne stava risentendo: ero spesso
assonnata, mi sentivo debole, mi si era chiuso lo stomaco e per questo
non stavo mangiando molto. Ero visibilmente stressata per via di questi
bizzarri avvenimenti ma dovevo riuscire a dare una spiegazione
razionale a tutto quello che mi stava accadendo, sennò sarei impazzita
sul serio.
Come era morta davvero la nonna? Era vero il racconto della prozia
Sarah? La signora Xiang cosa sapeva? Perché il ciondolo cambiava
temperatura? E poi soprattutto questi strani sogni cosa significavano?
Erano dei sogni premonitori? Anche questo mi angosciava e non mi faceva
dormire. Avevo paura di addormentarmi e di sognare.
C’era una cosa che però mi stava incuriosendo (e assillando) più di
tutte e che avrei dovuto fare già da giorni, ma mi venne in mente solo
quella notte dopo aver letto la pagina del diario della nonna
relativa ai sogni. Inoltre dovevo anche scoprire il significato di
quella strana frase in latino o in aramaico che fosse.
«Anche stanotte ho sentito dei rumori da elefante nottambulo» mi fece
notare Jeremy quando scesi a fare colazione. Sembrava davvero che mi
stesse controllando.
«Sì, stanotte sono scesa in cucina, avevo sete. Ah, oggi ho un impegno
dopo la scuola. Non aspettarmi, tornerò a piedi» annuì fortunatamentesenza fare nessuna domanda.
Le prime due ore di lezione trascorsero tranquille, in classe con me
c'era solo Jeremy che, per non so quale motivo, a scuola sembrava
ignorarmi, come se volesse dimostrare agli altri che non ci
conoscessimo, mentre Heric, stranamente, non frequentava il corso di
storia.
Al cambio dell'ora mi accostai all'armadietto di George ad aspettarlo,
dal momento che sembrava così esperto
sull'argomento stregoneria forse sarebbe stato in grado di
aiutarmi. Era
lui il ragazzo che il primo giorno di scuola ci aveva raccontato la
storia dell caccia alle Streghe di Salem nel 1691,
«Meredith! Ciao, che sorpresa!» sembrava molto entusiasta di vedermi.
«Ascolta, devo chiederti una cosa riguardo...»
«Riguardo a cosa?»
«Alla stregoneria» bisbigliai al suo orecchio.
Lui spalancò la bocca meravigliato e annuì.
«Ne parliamo a pranzo. Andiamo ora, sennò il prof rompe.»
Prese il libro di matematica dall'armadietto e ci dirigemmo nell'aula
del professor Richardson.
Jeremy e Heric erano già appostati, il primo dall'altra parte della
classe e il secondo, come il giorno prima, accanto a me. Stavolta tutti
i banchi erano occupati e per forza dovetti sedermi accanto a lui, non
che la cosa mi dispiacesse, anzi. Solo che per tutte e due le ore di
matematica mi sentivo lo sguardo di Heric e Jeremy addosso, come se
fossi una preda da che entrambi si stessero contendendo. Come se
aspettassero il momento buono per scannarsi.
Appena la campanella suonò mi avvicinai al banco di George e andammo
alla mensa a prendere il pranzo. Io non avevo molta fame ma riempii
comunque il mio vassoio e poi andammo a sederci un po' isolati dagli
altri.
«Cosa volevi chiedermi?» mi domandò mentre masticava un boccone di
pollo.
Frugai nella mia borsa e presi il pezzo di carta in cui stanotte mi ero
scritta la frase del libro che Heric lesse ad alta voce nel sogno.
«Sai cosa significa?» dissi passandogli il bigliettino e lui,
incespicando, lesse la frase tra sé e sé un paio di volte prima di
leggerla con fluidità.
«Timeo daemones et res
adversae ferentes. Mmh, no, non ho idea di cosa voglia
dire né in quale lingua sia scritta. Perchè?»
«No, così...»
«Meredith? Non sei di certo l'emblema della normalità però sembri
spaventata. Che succede?»
«Nulla, ho solo sognato questa frase ed ero curiosa di sapere cosa
significasse. Sempre se ce l'abbia un significato.»
Rimase un attimo in silenzio, sembrava perplesso.
«Com'era il sogno?» mi chiese spezzando il silenzio.
Gli sintetizzai brevemente ciò che avevo sognato questa notte senza
menzionare né Heric né Jeremy.
«Anch'io a volte ho sognato la biblioteca scolastica. È così
misteriosa. Comunque, non è che ti ha influenzato troppo la leggenda
che vi ho raccontato il primo giorno che tu e Jeremy siete arrivati a
scuola?»
«No, George. Non voglio sembrarti una pazza ma mi succedono cose
strane. Per questo voglio sapere che significa questa frase, so che ha
un significato preciso. Me lo sento. E poi pensavo che tu credessi alle
vecchie leggende che ci hai raccontato...»
Fece spallucce.
«Puoi darmi quel biglietto? Proverò a fare delle ricerche a casa, e poi
potremo anche controllare i grimori che ci sono qui a scuola uno di
questi giorni. So che molti non sono scritti in inglese e potremo
chiedere a qualche professore di lettere antiche di darci una mano.»
«Hai ragione, non ci avevo pensato!»
Gli consegnai il pezzo di carta, tanto ormai avevo imparato quella
frase a memoria, e ci congedammo. George comunque, oltre ad aiutarmi,
mi diede anche un'ottima idea: non avevo pensato di controllare i libri
di magia della biblioteca scolastica e nemmeno di guardare nel grosso
libro trovato in soffitta, non ne avevo ancora avuto il tempo, anche se
sfogliandolo frettolosamente domenica mattina avevo constatato che non
fosse scritto in nessunissima lingua stramba.
Ora però dovevo fare un'altra cosa, dovevo soddisfare quel dubbio che
mi attanagliava da giorni ma mentre mi dirigevo verso l'esterno della
scuola dopo le due ore di arte pomeridione Jeremy mi bloccò facendomi
sobbalzare.
«Adesso te la fai con il metallaro?»
«George? Non dire cavolate!»
«Beh quindi non torni a casa? Devi uscire con quel tizio per pogare a
qualche concerto o dovete fare qualche seduta?»
«No io...devo fare una cosa con Alexis adesso. Vuoi venire?» mugugnò e scosse la testa
ridacchiando prima di dirigersi verso l'uscita.
Sapevo avrebbe risposto di
no. Per non averlo in mezzo ai piedi dovevo togliere fuori la scusa che
ero insieme ad Alexis. In realtà però volevo
vedere cosa ci fosse dietro la scuola, se ci fosse realmente un
ingresso segreto come quello che avevo sognato, perché se ciò che avevo
letto nel diario della nonna fosse stato falso, cioè che i sogni di una
giovane strega non sono sempre del tutto attendibili ma hanno un
richiamo alla realtà, non avrei dovuto trovare nulla. Al contrario, se
avessi trovato una qualche porta avrei iniziato a spaventarmi sul serio.
Con tutta calma mi avviai verso il retro dell'edificio badando bene che
nessuno mi vedesse. Setacciai ogni centimetro
delle mura scolastiche alla ricerca di un ingresso o di un qualunque
passaggio. Ma niente, non c'era niente, solo qualche edera rampicante
che rivestiva le mura scolastiche. Ne rimasi delusa, ma al tempo stesso
sollevata.
«Ci incontriamo di nuovo» sobbalzai al suono di quella voce che
interruppe le mie ricerche.
«Ah, Heric» ero felice e spaventata al contempo. Mi aveva colta di
sorpresa.
«Cosa ci fai qui?» mi domandò incuriosito. Avrei potuto fargli la
stessa domanda.
«Sai dirmi se qui in zona ci sia un cimitero?»
«Beh di sicuro non troverai bare qui nel giardino della scuola. Il
cimitero si trova dall'altra parte della città. Mentre oltre queste
mura si trova quello vecchio, il cimitero monumentale di Salem dove
sono sepolte alcune delle grandi personalità del passato della città e
non solo». Non solo?!
Il cuore cominciò a battermi più forte. Mi sentivo una veggente.
«Un cimitero monumentale? Oltre questo muro?»
«Se sei qui è perché cercavi il vecchio ingresso, no? Mi dispiace ma lo
hanno chiuso circa centocinquant'anni fa, quando, al posto del
manicomio, hanno costruito la scuola. C'era un passaggio che li univa
attraverso il quale portavano i pazzi direttamente al cimitero nella
fossa comune dedicata ai malati mentali. Adesso è diventato un cimitero
monumentale, ma alcune antiche o potenti famiglie della città si fanno
ancora seppellire lì.»
Iniziavo a credere che non fossero sciocchezze quelle che diceva la
nonna e che fosse tutto vero.
Fece qualche passo avanti e mi indicò una porzione di muro.
«L’ingresso era proprio qui, dietro queste piante- asserì spostando un
ciuffo d'edera -lo puoi vedere chiaramente perché i mattoni sono di
colore diverso. Se scavalcassi il muro, ci arriveresti in circa mezzora
a piedi ma troveresti solo il recintato. Altrimenti puoi arrivarci
dalla strada principale passando dal centro città. Scusa, perché sei
alla ricerca di un cimitero?» mi domandò, passando la mano sul muro
mostrandomi la differenza tra le due tonalità dei mattoni. Dal tono di
voce sembrava saperne più di quanto lasciasse trapelare.
«Mia nonna è morta di recente e volevo andare a salutarla. Sai, mi sono
trasferita da poco e non conosco ancora bene le strade. Pensavo fosse
sepolta nel cimitero vicino a scuola» in realtà sapevo bene dove era
stata sepolta mia nonna visto che ero andata anche alla deposizione
della sua bara nell'altro cimitero.
«Sì lo so...che ti sei trasferita da poco.»
Notai che l'espressione sul suo volto stava cambiando come se
si stesse corrucciando mentre i suoi occhi diventavano più scuri e
simili a due laghi profondi. Anche il cielo si era incupito perché il
sole si era nascosto tra le nuvole e forse era per questo che i suoi
occhi ora tendevano quasi al nero, proprio come nel mio sogno
«Beh, mi dispiace per tua nonna. Se vai al vecchio cimitero, stai
attenta.»
«Sono tutti morti, non ho paura dei defunti!» dissi con tono beffardo.
«Al tuo posto non ne sarei così sicura» fece un'espressione allusiva e
beffarda e se ne andò.
Sentivo di nuovo il ciondolo raffreddarsi. Non capivo cosa lo facesse
funzionare, magari era tipo un termometro: a seconda delle emozioni che
provavo diventava più freddo. Mah, forse stavo andando troppo oltre con
la fantasia anche se ciò che aveva detto Heric riguardo alla porta che
univa un ex manicomio al cimitero mi mise un po’ di angoscia. Quale
mente disturbata avrebbe potuto costruire una scuola dove prima era
edificato un manicomio, per di più comunicante con un cimitero?
Feci tutto il giro della scuola e seguendo le indicazioni di Heric,
giunsi, passando dal centro della città, al cimitero monumentale: la
facciata era imponente e il grande cancello in ferro battuto
non era come quello del mio sogno, anche perché questa entrata si
trovava da un lato diverso. Decisi di entrare, avevo fatto trenta tanto
valeva fare trentuno.
Dunque, ricapitolando: avevo constatato la presenza di un ingresso
segreto incastonato fra le mura che circondavano la scuola, avevo avuto
conferma che lì vicino c'era un cimitero, ora dovevo solo trovare la
cripta in cui giaceva la famiglia Cavendish per confermare
l'attendibilità completa del mio sogno.
Camminavo lentamente
guardandomi le spalle più volte perlustrando ogni angolo del cimitero
prima che facesse buio.
E poi eccola, come piombata dal cielo all'improvviso, eretta di fronte
a me in tutta la sua maestosità, la cripta marmorea del mio sogno.
L'ipogeo e tutto il resto erano esattamente come li avevo sognati
eccetto una cosa. Non c'era scritto: «Dal 1578 al 1692, qui giace in
eterno riposo la famiglia Cavendish» ma «Dal 1692, qui giace in eterno
riposo la famiglia Thompson, cacciatori, guerrieri, difensori della
patria e della pace».
Mi avvicinai lentamente per sfiorare quella pietra fredda e mi sembrò
come se il tempo si fosse fermato.
Iniziai ad avere delle
visioni, immagini confuse di persone che mi mettevano in guardia
dicendomi di stare attenta e una folata di vento mi buttò a terra
all'indietro, ma stavolta non stavo sognando.
Appena il vento si placò cominciai a correre verso casa. Ero
terrorizzata, non avevo mai avuto così tanta paura.
Continuavo a correre a perdifiato e sentivo il mio respiro diventare
sempre più pesante e affannato ma una volta a casa non mi sentii al
sicuro nemmeno lì dopo tutte le cose che mi stavano accadendo, anche se
fino a qualche giorno prima lo consideravo il mio posto, il luogo più
sicuro e familiare di tutto il mondo.
Feci i gradini a due a due e andai dritta in camera di Jeremy
spalancando la porta e tentando di gridargli contro, ma non ci
riuscivo, sia per la paura sia per la corsa, la mia voce era come
bloccata.
«Tu sai qualcosa, vero?» domandai a tratti spaventata e ansimante.
«Di che parli Mer?»
«Io so che sai qualcosa che non vuoi dirmi ma che sai che sospetto!» lo
aggredii.
«Cosa ti è successo? Non eri con Alexis?» si alzò dal letto su cui
stava leggendo e, dopo aver poggiato il suo libro sul comodino, si
avvicinò a me ancora ferma sull'uscio della porta.
«Da quando siamo qui tu sei...cambiato. E io sto facendo sogni
premonitori. Sai che dietro la scuola c’è un cimitero? Io non lo
sapevo, ma ora lo so perché l’ho sognato e prima sono andata a
controllare e Heric mi ha detto che...»
«Heric?- mi interruppe indignato. Non dovevo pronunciare quel nome
-cosa ci facevi con Heric?» ringhiò.
«Ero dietro la scuola e lui era lì. Ma non c’entra nulla! Sono andata
al cimitero...» non riuscii a continuare la frase che mi bloccai per la
paura, nel solo ricordare quella scena, quelle visioni e quel vento
improvviso che mi scaraventò a terra
Jeremy si avvicinò e mi abbracciò forte, per rassicurarmi.
«Io non lo so che succede. È questo posto Mer, è la gente,
sono i rumori notturni. La notte non riesco a dormire.»
Da quando eravamo qui, anche se mi sentivo a casa, non mi ero mai
sentita così protetta e al sicuro come in quel momento, tra le sue
braccia.
«E se facessimo una seduta spiritica per contattare tua nonna?»
Rovinò quel tenero momento con una delle sue idiozie.
«Sei pazzo? Non farò mai una cosa del genere!»
«Scherzavo...più o meno.»
Andammo su in soffitta e cominciammo a leggere il libro e il diario.
Nel grimorio non c’era niente riguardo ai sogni, alle premonizioni o a
possibili poteri magici. Forse la nonna si era confusa nel suo diario
quando scrisse di aver letto dei sogni nel Grimorio dei Morgan. Lì,
c’erano solo incantesimi, pozioni, strani disegni raffiguranti oggetti
magici e le relative spiegazioni.
«Meredith! Guarda sembra la tua collana» mi indicò una pagina di quel
librone in cui era raffigurato il mio ciondolo. L’avevo già vista di
sfuggita ma non l’avevo letta.
«Sì, è identica. Magari c'è scritto il meccanismo che la fa
raffreddare.»
«C’è scritto che solo alcune streghe ne hanno uno. E non sono solo le
streghe a possederlo…» riassunse.
«Perché chi altri lo ha?» chiesi preoccupata.
«I...vampiri» sussurrò sarcastico come se volesse imitare la voce di un
fantasma.
Mi sembrava di stare davvero in un film dell’orrore. Esistevano anche i
vampiri? E dove si nascondevano? George ce lo aveva raccontato, dunque
un fondo di verità forse doveva pur esserci.
«Dai non crederai sul serio a queste sciocchezze?» mi rimproverò con
tono affettuoso.
«Io non ne ho idea. Le mie convinzioni stanno crollando a poco a poco.»
Mi passò il libro in cui veniva descritto il ciondolo.
Ciondolo magico dalla pietra
acquamarina.
«Tutte le streghe possiedono un
ciondolo consacrato, sia che queste pratichino la magia bianca sia che
pratichino la magia nera. Le identifica nel loro clan e le protegge.
Solo alcune però possiedono il ciondolo magico dalla pietra
acquamarina, tramandato di generazione in generazione viene
ereditato solo da una delle streghe della congrega, quella che mostrerà
maggior costanza e impegno. Questo la proteggerà e la avvertirà dal
male imminente.
In passato alcune streghe di
Salem che formavano la congrega delle Streghe Bianche ne consacrarono
sette soltanto.
Ma solo tre rimasero in mano
alle Streghe Bianche. Infatti non sono solo le streghe a possedere
questo tipo di ciondolo: un’altra classe di esseri sovrannaturali,
creature maligne e avide di sangue, ne sono dotati: i Vampiri. Con il
patto stabilito secoli fa per salvaguardarsi dal male, le Streghe
Bianche di Salem concessero a un piccolo clan di Vampiri quattro di
questi ciondoli in grado di proteggerli dalla luce solare in cambio
della libertà e della difesa dalla caccia alle streghe. Nessuno può
distinguerli dalle persone comuni, poichè vanno in giro alle ore
diurne, si nutrono come esseri umani per celare il fatto che si cibino
invece principalmente di sangue e non invecchiano, mai. Non si sa chi
siano questi vampiri, dove vivano o cosa facciano o se addirittura
siano ancora vivi. Con il processo del 1692, molti di loro furono arsi
al rogo così come alcune streghe, tra cui anche alcune componenti della
congrega delle Streghe Bianche. Dove siano tutti e sette i ciondoli
magici non si sa.
Il ciondolo è formato da un
cerchio d'oro in cui è incastonata una pietra azzurra, la pietra
acquamarina dotata di straordinari poteri. Il male la rende fredda come
il ghiaccio, il bene la riscalda come il fuoco.»
«Oddio! È quello che ci ha raccontato George in biblioteca, ricordi? Le
streghe avevano spifferato l'esistenza dei vampiri per difendersi
dall'accusa di stregoneria rompendo il patto stipulato con loro. Il
patto era questo dunque: in cambio della possibilità di poter vivere
alla luce del sole (grazie a dei ciondoli come questo) i vampiri
avrebbero protetto loro dalla persecuzione! Solo che, per difendersi e
salvarsi, altre streghe spifferarono l'esistenza dei vampiri e questi,
vedendosi traditi, diedero la caccia all congrega delle
Streghe Bianche e non solo ma furono entrambi assassinati, sia streghe
sia vampiri, per volere del consiglio di Salem nel 1692! Esistono altri
sei ciondoli e uno è in mano mia. Ma ci pensi? È meraviglioso
e...assurdo.»
«Non puoi dire sul serio, Meredith. Non crederai davvero di essere una
strega o che i vampiri si aggirino indisturbati per Salem solo perchè
indossano una collanina del mercatino delle pulci!?»
In effetti niente di tutto questo aveva una logica razionale alla quale
ero abituata. E poi c'era scritto che il male raffreddava la pietra
mentre il bene la rendeva calda. Il ciondolo non era mai
diventato caldo e si raffreddava solo quando Heric mi stava vicino
oppure quando mi risvegliavo da un brutto sogno.
«Jeremy io non lo so! Stanno succedendo cose strane. I miei se n’erano
andati da qui perché succedevano cose strane! E io sto facendo dei
sogni strani!»
«Questo me l'hai già detto.»
«Ora che ho scoperto a cosa serve questo ciondolo devo occuparmi di
altre cose.»
«Ad esempio?»
«Innanzitutto devo sapere come è morta la nonna, poi cosa significa una
frase che ho sentito in un sogno e scoprire chi erano le famiglie
Cavendish e Thompson.»
Mi venne in mente il racconto della prozia Sarah, a parte lei che era
ancora viva, Candice che era stata investita da giovane e Adele che era
morta di malattia, Virginia e mia nonna erano morte a causa di un
infarto ed entrambe erano sia streghe sia giovani sia godevano di
ottima salute. Che c'entrassero davvero i vampiri? Ma i vampiri non
uccidono in maniera diversa dunque perché provocar loro un infarto?
«Andiamo a mangiare ora. Queste scemenze mi hanno fatto venire fame»
disse Jeremy.
Dopo cena andai in camera mia e mi misi il pigiama. Avevo una paura
tremenda di dormire da sola e fare altri sogni rivelatori così andai in
camera di Jeremy.
«Vorresti dormire qui?» mi chiese confuso e divertito.
«Lo so che è stupido, ma magari evito di fare i miei soliti sogni.»
Non avevo mai avuto paura del buio nemmeno quando ero piccola e ora
volevo dormire con il mio fratellastro per non fare brutti sogni.
«Ok, ma alle sei torni nella tua stanza. Non vorrai mica che i nostri
genitori pensino male» ammiccò.
La situazione però era davvero imbarazzante: pur di non rischiare di
sfiorarlo nemmeno accidentalmente stavo sul bordo del letto rischiando
di cadere da un momento all'altro. Anche lui stava sul ciglio del
materasso, come se ci fosse una sorta di barriera invisibile e
intoccabile tra noi.
Riuscii lo stesso a prender sonno. Pensavo che, stando accanto a
qualcuno che ultimamente non faceva altro che tentare di proteggermi e
tenermi lontano dai guai, mi avrebbe fatto fare sogni tranquilli invece
non fu così e sognai proprio lui, Jeremy.
Eravamo di nuovo in biblioteca, io stavo al centro della stanza su quel
piccolo podio a leggere quello strano libro dell'altro sogno mentre
Jeremy stava accostato alla porta e mi guardava deluso. Al mio fianco
c’era Heric che mi mise una mano sulla spalla.
«Nunc delegisti. Dimitte eum ire»* proferì
ad alta voce.
Jeremy annuì tristemente come se avesse compreso quella frase e poi
disse:«Non c'è più speranza, hai fatto la tua scelta nonostante quel
che c’è stato tra noi»
Si voltò verso l’uscita e se ne andò via dalla biblioteca.
«Jeremy, no!» mi svegliai a causa della mia stessa voce che invocava il
suo nome agitandomi e allungando la mano nel tentativo di afferrarlo.
«Shh! Sono qui!» disse scuotendomi e facendomi cenno di stare zitta. Mi
sentii subito rassicurata sentendo la sua voce.
«Cosa hai sognato?» mi domandò, ma io non glielo raccontai.
«Nulla. Io torno in camera mia, tu dormi tranquillo- aprii piano la
porta -se tu sai qualcosa, dovresti dirmelo» gli sussurrai mentre
uscivo dalla sua stanza.
«Io-non-so-niente» mormorò scandendo le parole.
Erano di nuovo le tre del mattino e come al solito per il resto della
notte non riuscii a riprendere sonno. Fissavo il soffitto e
giocherellavo con il ciondolo pensando ai sogni che stavo facendo
ultimamente. Forse volevano lasciarmi
intendere davvero qualcosa che al momento ignoravo o forse volevano
mettermi davvero in guardia su qualcosa che non riuscivo a vedere.
Era inutile rigirarsi continuamente nel letto così dopo due orette mi
alzai e decisi di uscire presto per fare una passeggiata nei dintorni
prima di andare a scuola.
Dietro la villa c’era un piccolo bosco che si intravedeva anche dalla
finestra della mia stanza; da piccola mi dicevano sempre di non
addentrarmici perché c'era il lupo cattivo in agguato. In effetti era
un po’ inquietante sul serio ma non era di certo il lupo cattivo ad
incutermi paura.
Volevo farci solo una camminata ma appena ci misi piede cambiai idea e
decisi di andare direttamente a scuola.
Angolo autrice.
*«Nunc delegisti. Dimitte
eum ire»: allora, il mio latino ormai è
veramente arrugginito, quindi non sono sicura sia corretta. Dovebbe
significare:«Hai scelto ora. Lascialo andare»
Se qualcuno/a più capace di me sa tradurre meglio, non esiti a dirmelo
(:
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Strane coincidenze. ***
8) Strane
coincidenze.
Ero decisamente in anticipo:
non c’era ancora nessuno a scuola, nemmeno i bidelli erano ancora
arrivati e la porta d'ingresso era dunque chiusa. Si preannunciava
proprio una fantastica giornata!
Dopo un’ora circa che stavo seduta in un gradino a girarmi i pollici e
fissarmi le scarpe, vennero aperti i cancelli e andai subito nell’aula
di biologia. Nell'arco di dieci minuti la classe si gremì di
studenti ancora assonnati che si lamentavano di quanto fosse
noiosa la scuola.
Arrivò anche Heric che, con il suo solito fascino, entrò nell'aula con
fare aggraziato e sicuro di sé facendo battere il mio cuore come una
forsennata.
«Sei arrivata presto» disse sedendosi accanto a me, a destra.
«Non riuscivo a dormire stanotte così sono uscita con l’intento di fare
una passeggiata ma siccome non sapevo dove andare sono venuta
direttamente qui» gli dissi tutto d'un fiat già in preda all'emozione.
«Ah, sei venuta sola?» fece un ghigno malizioso ed
estrasse dallo zaino il libro di scienze.
In realtà, la sua domanda alludeva al fatto che non fossi insieme a
Jeremy: avevo capito che non si
sopportassero a vicenda, ma non mi era ancora ben chiaro il motivo.
Notando che si accingeva a ripassare la lezione di oggi con quel grosso
libro di biologia tra le mani sfogliandone delicatamente le
pagine, mi tornò in mente il sogno di stanotte a cui però non riuscivo
a dare alcun significato. Perché sognavo di continuo Heric che parlava
in una strana lingua?
Qualche minuto dopo il suono della campanella arrivò anche Jeremy.
Mentre si dirigeva al solito posto lontano anniluce da noi, mi
guardò arrabbiato e decise di cambiare postazione sedendosi proprio
accanto a me, alla mia sinistra.
Non mi piaceva per niente come situazione: stare in mezzo a loro due mi
metteva particolarmente in tensione.
«Potevi avvisarmi che saresti venuta da sola ti stavamo aspettando. Tua
madre era anche preoccupata» asserì con disappunto.
«Scusa. Non volevo svegliarti.»
«Come se fossi riuscito a dormire stanotte con ti muovevi di continuo»
mi apostrofò con l'intenzione di insinuare qualche strano dubbio nella
testa di Heric.
Quelle due ore di scienze sembravano non trascorrere mai, sentivo i
nervi a fior di pelle per l’agitazione.
Suonò finalmente la campanella: quel suo squillare mi parve così dolce.
Era il suono della libertà, per me. Raccolsi le mie cose e mi
alzai piano dal mio posto per evitare altre cadute rovinose come mio
solito.
«Pranziamo insieme, ti va?» mi propose Heric con mio grande stupore
mentre mi alzavo dalla sedia.
Sentii Jeremy sbuffare e andar via contrariato così accettai l’invito.
Era sempre meglio che pranzare da sola o con il mio fratellastro, il
che era quasi la stessa cosa. E poi perchè rifiutare di
pranzare insieme ad un ragazzo così bello? Anche se mi sentivo in
soggezione standogli vicino, sarebbe stato proprio da stupida non
accettare. Dovevo solo evitare altre figuracce dovute alla mia poca
grazia ed evitare di balbettare dall'emozione. Quanto mi sentivo
sciocca.
Heric era un tipo strano e un po' insolente, ma avevo proprio un debole
per lui: non avevo mai visto un ragazzo così bello, non facevo altro
che ripetermelo. Bello, bello, bello. Bellissimo. Jeremy lo aveva
soprannominato il ragazzo misterioso. Perfetto come soprannome,
sembrava avvolto da un alone di mistero forse per via del suo essere
così enigmatico e di poche parole o per via del suo tremendo fascino.
Non vedevo l’ora arrivasse la pausa pranzo: mancavano due ore e Jeremy
non mi rivolse più la parola benché fosse seduto affianco a me sia
all’ora di letteratura sia all'ora di storia.
Finalmente dopo ben centoventi minuti di impaziente attesa ecco la
pausa pranzo. Lo squillo della campanella mi rasserenò di nuovo ma in
un batter d'occhio ecco che il mio cuore batteva
all'impazzata.
Andai in sala mensa per fare la fila per il pranzo cercando di
contenermi e sembrare rilassata in attesa che Heric arrivasse.
Mi raggiunse pochi minuti dopo superando il resto dei ragazzi in coda
al bancone in attesa di mangiare.
«Prendi solo il primo?» mi sussurrò all'orecchio facendomi rabbrividire
mentre ero indecisa se prendere del riso o della pasta.
«Non ho molta fame ultimamente» gli risposi facendo cenno all'addetta
della mensa di versarmi una cucchiaiata di riso.
«Ah, interessante. Non andremo mai d'accordo allora» ridacchiò.
Comunque nemmeno lui prese una gran quantità di cibo, solo tre fettine
di carne e una manciata di spezzatino di pollo, una carica di proteine
proprio!
Ci andammo poi a sedere in un tavolo un po’ distaccato dal resto degli
altri studenti nel giardino interno dove si mangiava
all'aperto. Eravamo quasi isolati, come se ci stessimo nascondendo da
qualcosa o da qualcuno. Ed era meglio così: io in realtà mi nascondevo
da Jeremy.
«Sembri spaventata» mi fissò negli occhi senza battere ciglio.
«No no, sto bene» in realtà avevo il cuore in gola per l'emozione.
Nel tentativo di fare conversazione si avvicinò una ragazza. In quel
momento sentii il ciondolo a contatto con la mia pelle diventare di
nuovo freddo e sempre più freddo man mano che si avvicinava.
Era la Reginetta del Ballo, l’avevo riconosciuta. Ero sicura fosse lei
anche se alla festa non l'avevo osservata bene perché ero concentrata
su Heric. Una ragazza così però non passava di certo inosservata: alta,
magra e ben proporzionata, con i lineamenti del viso decisi e marcati e
con dei lunghi boccoli biondi. Aveva gli occhi dello stesso colore e
dello stesso taglio di quelli Heric. Non si poteva non ricordare una
ragazza così bella.
«Lei è Meredith, un’amica» disse per presentarmi.
Come faceva a considerarmi un’amica? Ci conoscevamo appena! Non poteva
dire conoscente o peggio compagna del corso di biologia. Amica forse
era l'unico appellativo adatto per presentarmi a quella ragazza.
«Lei invece è Madeline, mia cugina» sapevo già fossero cugini e meno
male che lo erano: se avessi dovuto competere anche con lei non avrei
mai avuto speranze con Heric. Ma speranze di che? Conquistarlo era
un’impresa impossibile, soprattutto per me che non ero né una tipa
intraprendente né una che sapeva come relazionarsi con i ragazzi. Solo che lui mi piaceva
molto. Non solo di aspetto, non lo conoscevo per niente quindi non
potevo affermare che mi piacesse il suo carattere, però i suoi modi di
fare calmi e gentili ma allo stesso tempo presuntuosi, il suo modo di
osservare le cose, di muoversi e di parlare cautamente mi attraevano
come una calamita. Ciò che mi piaceva più di tutto, oltre il suo
sguardo, era la sua sicurezza e la concezione che aveva di sè.
Notai che i due cugini si stavano fissando intensamente senza dirsi una
parola come se stessero comunicando col pensiero e rimasi immobile a
osservarli ma poi
vidi una cosa che mi fece raggelare il sangue nelle vene: Madeline
portava al collo un ciondolo come il mio.
«Io devo andare» dissi, tremando.
«Meredith, è tutto apposto?»
«Sì, mi son ricordata di dover fare una cosa» raccolsi le mie cose e mi
avviai verso la mensa per riporre il vassoio con il cibo ancora
praticamente intatto.
Ora che ci facevo caso, anche Heric indossava una
catenina, ma era coperta dalla maglietta e non potevo sapere se fosse
come la mia e quella di Madeline.
Andai subito a cercare Jeremy. Non capivo perché ma ogni volta che mi
succedeva qualche stranezza era il primo a cui pensavo, l'unico a cui
potevo rivolgermi pur sapendo mi avrebbe derisa. Se ne stava seduto in un
tavolo con George, Matt e Alexis e chiacchierava spensierato accanto a
lei.
«Jer! Devo parlarti» gridai.
«Dimmi.»
«No, ecco...è una cosa privata» insistetti mentre i ragazzi ci
fissavano torvi.
«Ho capito» si alzò sbuffando dal tavolo e ci isolammo dal gruppo.
Mi scrutava attentamente con aria infastidita in attesa che dicessi
qualcosa, ma io non riuscivo a emettere suoni, ansimavo e tremavo.
«Allora?»
«Avevi ragione riguardo a...al ragazzo misterioso».
«Io ho sempre ragione.»
«Smettila non è questo il momento di darsi arie. Ricordi la Reginetta
del Ballo? È sua cugina, la cugina di Heric, e ha un ciondolo come il
mio.»
«Lo avrà comprato nella stessa bancarella in cui lo prese tua nonna.
Salem è piccola e non ci sono molti negozi.»
Non capivo se cercasse di
tranquillizzarmi o se mi stesse dando indirettamente della pazza.
«Non scherzare, hai letto tu stesso il grimorio. Anche Heric ne ha uno
cioè almeno credo, mi sembra di aver intravisto una catenina sotto la
sua maglietta, non son sicura che sia come la mia. Ciò significa due
cose: o lei è una strega e lui un mago o uno stregone oppure entrambi
sono dei... Vampiri» mi resi conto io stessa di dare i numeri.
«Questo posto ti sta facendo diventare pazza.»
«Tu invece in qualunque città sei, rimarrai sempre un idiota!»
«Almeno io non sono da ricovero. Torniamo dagli altri, non ho finito di
pranzare.»
«No io vado via. La fame mi è passata.»
«Come vuoi» disse dirigendosi verso il tavolo con gli altri ragazzi
mentre io raggiunsi il mio armadietto.
Dopo dieci minuti arrivò qualcuno. Ne sentivo la presenza alle mie
spalle.
«Hey, Meredith. Stai bene?»
«Oh George, ciao. Sì, sto bene.»
«Non ho ancora provveduto per quella cosa che mi hai chiesto. Ho
cercato su internet e dovrebbe essere una frase in latino. La
traduzione che mi dà il traduttore automatico è sgrammaticata e
incomprensibile, inoltre non appartiene a nessun libro. Pensavo fosse
una qualche citazione di un vecchio grimorio ma niente. Niente di
niente.»
Feci spallucce e lo ringraziai nuovamente dell'aiuto che mi stava
offrendo, perché in fondo non glielo faceva fare nessuno di dar retta
alle mie fandonie, e ci avviammo verso il laboratorio per la lezione di
chimica.
Tutti i nostri compagni erano
stati già divisi precedentemente in coppie per il progetto di scienze:
rimanevamo io, Jeremy e, stranamente, Heric.
«Coraggio Signorina
Spencer- mi intimò il professor Wright, un uomo basso, goffo e
presuntuoso mentre guardavo spaesata Jeremy e Heric -scelga un
compagno. O vuole che glielo scelgo io?»
«Io...ecco, mmh... Non so è uguale. Scelga lei» balbettai come una
sciocca e tutti i miei compagni iniziarono a scambiarsi strane occhiate
e ridacchiare sotto i baffi. Avrei voluto sotterrarmi.
«Va bene va bene. Vada a sedersi con il Signor Stanley che mi pare più
affidabile del Signor Browning.»
Oh no! Il professore mi aveva messo in coppia con Jeremy, la solita
sfiga!
Quelle due ore di chimica che mi parvero
un secolo giunsero finalmente a termine senza che ci scambiassimo una
parola, nemmeno una frase relativa al progetto. Jeremy raccolse le sue
cose una volta suonata la campanella e si avviò all'uscita senza
neanche aspettarmi.
Mentre mi accingevo a
raggiungerlo verso la la sua auto, vidi Heric avvicinarsi a me
per chiedermi se stessi bene visto che all'ora di pranzo lo avevo
praticamente piantato in asso. Non si trattenne molto a parlarmi
poiché, disse, aveva un impegno ma io in realtà avrei voluto domandargli
della collana, chiedergli se me la potesse mostrare, sapere dove
Madeline aveva preso la sua ma avevo paura. Avevo sempre paura
ultimamente, mi sentivo una codarda. Se ne andò prima che potessi
azzardare qualunque insinuazione e così raggiunsi Ashley e Jeremy
al parcheggio.
«Mah guarda! Meredith è piena di corteggiatori ultimamente! Ma tu ed
Heric uscite insieme?- beffeggiò la mia sorellastra -ho visto che poco fa
sedevate allo stesso tavolo!»
«Magari!» pensai
tra me e me. Scossi la testa e salimmo tutti in macchina.
«Io invece ho visto che a pranzo eri con Alexis e gli altri. Stai
facendo amicizia?» domandai io a Jeremy per raggirare il discorso, non
mi andava di parlare di Heric.
«Dovresti provarci anche tu.»
«Ma anche io sto facendo amicizia!»
«Intendevo con persone un po' più normali.»
Non capivo. Sembrava alludesse a qualcosa del tipo «Heric non è umano e tu sei
convinta di essere la discendente di una strega e
anche quel George sembra avere qualche rotella fuori posto!» tutto
ciò nonostante rivendicasse continuamente il suo scetticismo verso
questi argomenti.
«Venerdì c’è una festa al luna park. Voi ci andate?» domandò Ashley già
tutta emozionata per il prossimo evento mondano di
Salem.
«Quale inutile festa viene organizzata al luna park? Il compleanno di
un dodicenne?» replicò Jeremy. Su questo aspetto era come me: odiava
questo genere di cose.
«Sembra interessante invece. Potrei andarci con...»
«Non dire cavolate» mi interruppe.
«Perchè? Guarda che voglio andarci con...»
«Con me vero? Mmh credo declinerò l'invito» rise.
Mi stavo convincendo sempre di più che non volesse che frequentassi
Heric o George, anche se verso quest'ultimo non provavo alcun tipo di
attrazione se non l'interesse a diventare sua amica. Era l'unico che non mi
considerava una svitata e soprattutto conosceva molte cose sulla
stregoneria e sull'occulto che potevano tornarmi utili.
Riguardo Heric, forse aveva ragione Jeremy: non era la sua bellezza o i
suoi modi di fare a renderlo così affascinante, c'era qualcosa di più
che lo rendeva misterioso, o meglio pericoloso. E, forse, era per questo
che esercitava una sorta di potere su di me a cui non riuscivo a
resistere.
Ne ero ammaliata, totalmente.
Quella sera sedevo al tavolo con tutta la famiglia e cenavamo
tranquillamente con la televisione accesa, cosa alquanto rara a casa
nostra. Una tragica e scioccante notizia concentrò tutti sul
piccolo schermo improvvisamente.
«Negli ultimi otto mesi, molti sono stati i casi di morti misteriose di
donne comprese fra i quaranta e gli ottant'anni a Salem, nella contea
di Essex. Come le precedenti vittime anche Caroline Wright, di
settantotto anni, che godeva da sempre di ottima salute, è stata
trovata morta di infarto nel suo appartamento. Si presume che si tratti
di un virus, ma il medico legale deve ancora effettuare degli
accertamenti» disse la giornalista della tv.
Anche mia nonna era morta in circostanze simili e ancora non ne avevo
scoperto la vera causa. Per me non era un malore o un virus, c'era
qualcosa di più inquietante dietro queste morti. Jeremy mi guardava
sottecchi come se sapesse esattamente a cosa stessi pensando. Pure mia madre sembrava
piuttosto turbata, quella notizia aveva ricordato anche a lei la morte
della nonna ma Joseph prontamente le accarezzò la spalla per
rassicurarla e cambiò canale e tutti riprendemmo a mangiare.
Prima di andare a dormire, mi preparai
una bella camomilla in modo da conciliarmi il sonno ma ormai fare
incubi era diventata la mia routine notturna. Quella notte infatti sognai
di nuovo di essere in biblioteca a scuola, ma stavolta non c'erano né
Heric né Jeremy. Ero completamente sola, intenta a rovistare fra
gli scaffali che contenevano vecchi grimori. La mia attenzione
poi si focalizzò su un libro preciso. Guidata dal mio istinto rimasi
per un attimo immoble dinanzi ad una delle scafalature in
legno in cui vi era un solo volume che risaltava tra tutti
quei vecchi libri, il solito vecchio grimorio simile a quello che
trovai in soffitta e che apparve negli altri sogni precedenti. Allungai
la mano per estrarlo ma non appena lo toccai, la libreria
ruotò di novanta gradi lasciando intravedere un varco scavato nel muro
della scuola.
Esitai un istante.
Poi mi feci coraggio e mi addentrai in
quell'andito stretto e oscuro fino a giungere in un vano incavato nella
pietra illuminato da alcune candele che ardevano una strana fiamma
incolore. Al centro dell'ambiente era posta una piccola tribuna in cui
era poggiato un libro aperto con un segnalibro in tessuto rosso che
spartiva le due pagine. Forse era la famosa Bibbia delle Streghe che
non era mai stata rinvenuta. Più lo osservavo più mi rendevo conto che
invece era diverso rispetto a libro che solitamente sognavo.
Lentamente e a passo leggero mi
avvicinai alla tribuna.
«Deus custodivit angelos
vero, qui non servaverunt suum principatum, sed dereliquerunt suum
domicilium, in iudicium magni diei vinculis aeternis sub caligine
reservavit»* questo verso era scritto
a caratteri cubitali, come se fosse il più importante di tutto quel
mucchio di strane parole. Quando la lessi a voce alta ci fu un enorme
boato alle mie spalle e il varco si chiuse.
Ero intrappolata lì.
Angolo autrice.
*«Deus custodivit angelos
vero, qui non servaverunt suum principatum, sed dereliquerunt suum
domicilium, in iudicium magni diei vinculis aeternis sub caligine
reservavit»: dalla "Lettera di Giuda" Gd1,6
trad:«Dio ha pure custodito nelle tenebre e in catene eterne, per il
gran giorno del giudizio, gli angeli che non conservarono la loro
dignità e abbandonarono la loro dimora»
P.S. Le citazioni latine, bibliche, aramaiche ecc sono solo inserite
per scopi fini alla trama e sono dissociate da qualsiasi contesto
religioso.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** L'ululato. ***
9) L'ululato.
L'uscita era sbarrata,
sigillata. Ero intrappolata in quella cava di pietra illuminata da
quelle strane candele poggiate su dei cantelabri fissati alle pareti
rocciose. Davanti a me, posto esattamente di fronte alla tribuna su cui
era aperta la presunta Bibbia delle Streghe, si trovava un altare,
sembrava un altare sacrificale, su cui stava uno scrigno in mezzo ad
altri due candelabri che emanavano la stessa strana e fioca luce di
quelli appesi alle pareti.
Avanzai sino a raggiungere l'ara e presi in mano il piccolo scrigno.
C'erano soltanto una chiave e un biglietto: Numquam
de profundis exibo*,
sempre scritto in quella strana lingua, latino secondo
George.
Mi avvicinai alla fessura da cui ero entrata cercando la serratura per
infilare la chiave trovata, recitai una decina di volte la frase
scritta nel biglietto, ma niente. Tutte le idee che mi venivano in
mente non riuscivano a darmi una via d'uscita. Continuavo a camminare nervosamente a testa
bassa, tornavo vicino all'altare, poi di nuovo verso quella che doveva
essere l'uscita, poi nuovamentesalivo sul podio: ripercorrevo nel mio
sogno quei passi ciclicamente come se fosse un circolo vizioso. Poi feci poi il giro
dell'altare: ora avevo piena visuale della cava. Mi guardavo intorno
spaesata ma nulla: ero bloccata lì. Ma perché non mi svegliavo?
Mi accasciai sul pavimento piangendo, la voce spezzata che tentava di
chiedere aiuto quando improvvisamente notai che sotto di me, in quel
metro quadrato dove posava anche l'ara sacrificale, il suolo non era di
pietra ma di legno. Doveva esserci una botola. Sul lato destro vi era una
piccola serratura e vi inserii la chiave trovata nello scrigno sopra
l'altare. La botola si aprì automaticamente ed una rampa di scale
scendeva all'incirca per trenta metri. Imbracciai uno dei candelabri e
decisi di addentrarmici. Dopo aver fatto neanche una ventina di scalini
mi svegliai alla solita inquietante ora: le tre del mattino. Ricordavo mesi fa di aver
visto un film*, un'avvocatessa si svegliava sempre a quell'ora, l'ora
del diavolo. Non credevo a queste cose, a queste idee religiose e
fanatiche però non mi sembrava più un caso fortuito che mi svegliassi
sempre a quell'ora.
Dopo essere rinsavita un attimo dal sonno accesi il computer, inserì
nelmotore di ricerca quelle parole che lessi nel biglietto che
accompagnava la chiave della bottola contenuta nel piccolo scrigno
sopra l'altare del mio sogno. Dopo aver aperto una decina di pagine
web, trovai uno spunto in un sito: era latino, come diceva George, ma
pur avendone fatto una versione strampalata non ne capivo il senso.
Cioè in realtà sì, la traduzione letterale significava
approssimativamente qualcosa tipo: da qui non esco più o da qui non uscirò mai e
si riferiva senz'altro o alla cava o a ciò che le scale della botola
avrebbero potuto condurre.
Iniziai nuovamente a sfogliare il diario della nonna nella speranza di
capirci qualcosa. Lessi per la millesima volta la paginetta sui sogni
che la nonna scrisse a quindici anni quando aveva pressappoco la mia
età, analizzai ogni singola parola, verso e paragrafo, controllai
attentamente le altre pagine ma niente sembrava aiutarmi. Di una cosa ero certa, dovevo
leggere quel libro che mi appariva in sogno e che secondo queste mie
visioni oniriche si trovava nella biblioteca della scuola, in qualche
nascondiglio segreto. Per adesso però, potevo
consultare solo il grimorio della mia soffitta, così andai al terzo
piano silenziosamente e aprii il baule polveroso estraendo l'arcaico e
pesante librone.
Anche questo sfogliai dalla prima pagina prestandovi più attenzione.
Dopo la copertina di velluto porpora vi era una pagina bianca, nella
seconda vi era incisa la data, 1689 che avevo già intravisto giorni fa
distrattamente prima che Jeremy irruppe su in soffitta, e, nella pagina
seguente, il titolo scritto in bella calligrafia: Grimorio delle Streghe Bianche
di Salem.
«Oh, non ci avevo ancora fatto caso!» esclamai. Non avevo ancora letto
il titolo, quel libro mi intimoriva e a mala pena lo avevo sfogliato,
ma capii che fosse appartenuto alla famosa congrega delle Streghe
Bianche di Salem, da cui discendeva mia nonna, da cui anche io
discendevo.
Nella quarta pagina c'era invece una breve prefazione:
Prefazione.
«Questo prezioso Grimorio è
stato iniziato dalle quattro fondatrici dell'Ordine delle Streghe
Bianche: le sorelle Rosemary, Catherine e
Lilybeth e
la cugina Josephine.
Questo Grimorio rappresenta noi stesse, il segreto che ci accomuna e il
giuramento che ci unisce.
Nessuna creatura umana o inumana dovrà mai e poi mai metter mano od
occhi su queste pagine sacre e profane
Verrà tramandato di
generazione in generazione alla strega più meritevole e capace
a cui verrà insegnata l'arte della stregoneria e la dedizione alla
magia bianca.
Per evitare che tutto il
sapere e la conoscenza della Congrega potesse venire a mancare, esiste,
da qualche parte, una copia autentica di questo grimorio.
Alla nostra saggia nonna
Babette, la nostra iniziatrice.»
«Dunque esisteva un'altra copia, un altro grimorio. Forse allora è
quello che mi appare sempre in sogno di cui Heric mi legge sempre dei
versi mentre quello che ho sognato stanotte forse era proprio la Bibbia
delle Streghe. O forse le frasi in latino che Heric mi legge in sogno
sono riprese dalla Bibbia delle Streghe? O forse la copia del Grimorio
in mio possesso è scritta in latino? O mio dio sto impazzendo!»
Continuai la lettura, sotto la prefazione seguiva un lungo elenco delle
streghe che avevano contribuito alla stesura e
all'aggiunta formule magiche o a cui era
semplicemente appartenuto, e, tra tutti, spiccava anche quello di mia
nonna, Elizabeth Mary Morgan, che stava in fondo alla lista. C'erano
diversi incantesimi e pozioni riportate, descrizioni di pietre,
metalli, erbe e oggetti magici tra cui il mio ciondolo e il modo in cui
forgiarlo e caricare la pietra incastonata. Dopo la descrizione che
avevo già letto quella volta con Jeremy seguii la lettura:
«Ciondolo magico dalla pietra
acquamarina.
Tutte
le streghe possiedono un ciondolo consacrato, sia che queste pratichino
la magia bianca sia che pratichino la magia nera. Le identifica nel
loro clan e le protegge.
Solo alcune però possiedono
il ciondolo magico dalla pietra acquamarina, tramandato di
generazione
in generazione viene ereditato solo da una delle streghe della
congrega, quella che mostrerà maggior costanza e impegno. Questo la
proteggerà e la avvertirà dal male imminente.
In passato alcune streghe di
Salem che formavano la congrega delle Streghe Bianche ne consacrarono
sette soltanto.
Ma
solo tre rimasero in mano alle Streghe Bianche. Infatti non sono solo
le streghe a possedere questo tipo di ciondolo: un’altra classe di
esseri sovrannaturali, creature maligne e avide di sangue, ne sono
dotati: i Vampiri. Con il patto stabilito secoli fa per salvaguardarsi
dal male, le Streghe Bianche di Salem concessero a un piccolo clan di
Vampiri quattro di questi ciondoli in grado di proteggerli dalla luce
solare in cambio della libertà e della difesa dalla caccia alle
streghe. Nessuno può distinguerli dalle persone comuni, poichè vanno in
giro alle ore diurne, si nutrono come esseri umani per celare il fatto
che si cibino invece principalmente di sangue e non invecchiano, mai.
Non si sa chi siano questi vampiri, dove vivano o cosa facciano o se
addirittura siano ancora vivi. Con il processo del 1692, molti di loro
furono arsi al rogo così come alcune streghe, tra cui anche alcune
componenti della congrega delle Streghe Bianche. Dove siano tutti e
sette i ciondoli magici non si sa.
Il
ciondolo è formato da un cerchio d'oro in cui è incastonata una pietra
azzurra, la pietra acquamarina, dotata di straordinari poteri. Il male
la rende fredda come il ghiaccio, il bene la riscalda come il fuoco.
La pietra acquamarina simboleggia lo spirito elementale dell'acqua.
Possiede abilità psichiche, di purificazione, di pace e allontana la
paura. Solo poche streghe sono in grado di compiere questo incantesimo.
La saggia strega Babette ne consacrò quattro per le sue nipoti negli
anni in cui gli esseri della notte fecero la loro comparsa a Salem. Le
quattro nipoti cercarono di forgiarne di nuovi per il clan di Vampiri
ma solo tre furono creati poiché una delle quattro Streghe Bianche
morì. Da allora nessuna strega si cimentò mai nel creare questo
particolare ciondolo protettivo per la paura di poter morire.
L'incantesimo richiede una forza
sia fisica sia mentale al limiti dell'umano.
La pietra acquamarina è sempre più difficile da reperire per via della
caccia alle streghe che incombe sempre più minacciosa ed
inoltre il dispendio di energie è spesso letale.
"Spirito elementale dell'Acqua
lava via le paure
e allontana da noi il male
Io vi invoco
Spiriti della Terra, dell'Aria e del Fuoco
Rendi questa pietra una reliquia
fa che protegga le generazioni
future
fa che per i malvagi sia letale"
La formula dev'essere recitata
all'interno di un cerchio magico, sfruttando oltre il potere dell'acqua
quelli del fuoco, dell'aria e della terra.»
Quando cominciai a leggere di morte e di streghe decedute per via di un
incantesimo chiusi immediatamente il libro. Tra l'altro a me non sembrava
affatto che quella pietra allontanasse la paura, più che altro mi
pareva che l'attirasse di più, ma la richiesta della nonna era quella
di indossare sempre il ciondolo e io obbedii.
«Basta!» me ne tornai a dormire ed il resto della notte
trascorse abbastanza serenamente.
La mattina dopo però, quando scesi in cucina per fare colazione,
percepivo un’atmosfera tutt'altro che serena. Alla televisione
trasmettevano un servizio su un altro misterioso assassinio di una donna sui
trent’anni trovata morta, fuori dalla propria casa, con una strana
ferita al collo. Probabilmente, secondo il medico legale, si trattava
di un morso (in quanto troppo frastagliato ed irregolare per essere una
coltellata) che aveva provocato un'emorragia letale che portò in breve
tempo alla morte della vittima. Ma quella ferita non era esattamente un
morso e soprattutto non era stato un animale a causarglielo. Stavolta
dunque, le dinamiche dell'omicidio erano diverse: la vittima era una
donna relativamente giovane e non anziana come le precedenti, nessun
malore o infarto ma una ferita mortale al collo aveva posto fine alla
sua giovane esistenza.
«Ora ci credi?» mi alzai spaventata dalla sedia inveendo contro Jeremy.
«A cosa dovrebbe credere?» domandò incredula mia madre, riferendosi
alla domanda che avevo appena posto a Jer.
«Ai vampiri, alle streghe e ai nani da giardino che fanno seccare i
fiori» rispose lui ridacchiando e prendendomi in giro.
«Non dire sciocchezze Meredith. Mi ricordi la nonna.»
«Io ti aspetto in macchina, muoviti» lo avvertii. Detestavo essere presa per
pazza, non lo ero. Raccolsi la borsa dal pavimento senza finire di
mangiare e uscii dalla cucina.
Alle prime ore avevo il corso
di spagnolo e fortunatamente non c’erano né Jeremy né Heric. Mi sentivo
rilassata però avrei recuperato dopo: avrei avuto entrambi alle ore di
biologia e chimica. Mentre mi dirigevo nell’aula
di scienze al cambio dell’ora incontrai Alexis: era da un po’ che non
riuscivo a scambiarci quattro chiacchiere. Parlammo giusto qualche
minuto del più e del meno e le domandai se con Jeremy avesse fatto
progressi. Nel sentire il suo nome, le si illuminarono gli occhi come
due lampadine.
«Ieri era con me, Matt e George a pranzo. Avrei voluto chiedergli se
volesse venire alla festa al Luna Park ma non volevo mi considerasse di
nuovo troppo invadente. Si è dimostrato carino. Sai se deve andarci?»
farfugliò emozionata.
Mi sentii quasi gelosa ma non le dissi che probabilmente sarei andata
io con Jeremy.
«Tu andrai con Heric? Ieri ho visto che pranzavate insieme» quel nome
mi fece sobbalzare il cuore e per un instante quella strana sensazione
di gelosia che provavo ogni tanto per Jeremy e Alexis svanì.
«Non so. Però vorrei che me lo chiedesse lui. Tu lo conosci bene?»
«No, te l'ho detto. Nessuno lo conosce bene. Si sente troppo superiore
in confronto a noi comuni mortali.
Così come sua cugina Madeline, la Reginetta del Ballo. Anche lei è
piuttosto strana. Ritieniti fortunata: sei una delle poche che degna di
attenzione qui a scuola. Ma se fossi in te, non mi fiderei troppo. Cioè
voglio direi illuderei, non mi illuderei troppo.»
Io però non mi ritenevo fortunata ad essere l'unica a cui degnasse
attenzioni. E se fosse lui, se fossero loro, ad aver assassinato quella
donna con un morso letale da vampiro? O se avessero ucciso le altre
donne anziane con chissà quale incantesimo di magia nera? Quanti stupidi pensieri avevo
in testa, stavo intrecciando una fitta ragnatela con le mie idiozie.
«La campana è suonata da un pezzo! Devo correre in aula. A più tardi,
Alexis!»
Ognuna si diresse verso la propria classe.
«Ce l’ha fatta ad arrivare signorina Spencer» mi rimproverò il
professor Owen.
Mi scusai mortificata per il ritardo e andai a sedermi. I
banchi erano tutti occupati, ma Heric e Jeremy mi riservarono un posto
accogliente fra loro due, proprio in mezzo.
«Dov’eri?» mi domandò Jeremy, ma non lo degnai di uno sguardo e mi
voltai verso il presunto stregone-vampiro.
«Hey Heric. Verresti con me al luna park? Ho saputo che organizzano una
festa questo fine settimana...» lo invitai senza pensarci due volte.
Avevo paura ma volevo andare a fondo a questa faccenda. Probabilmente
era tutto frutto della mia immaginazione, anzi sicuramente lo era. La mia vita era talmente
monotona che volevo per forza che mi capitasse qualcosa di eccezionale
e cercavo di collegare tutte le stranezze che mi stavano succedendo in
un'unica trama nel tentativo di darne una spiegazione logica, seppur
sovrannaturale, ma logica.
«Sì, volentieri- sorrise -Avevo intenzione di
chiedertelo io, ma mi hai preceduto» bisbigliò, sorridendomi ancora. Tremavo e sembrava che il
cuore mi stesse per uscire dal petto tant'è che sia Heric sia Jeremy
riuscirono a sentirne i battiti. Non avevo mai invitato un
ragazzo a uscire con me, mi sentivo così in imbarazzo!
«Hey Jer, potresti invitare
Alexis. E se dovesse chiedertelo prima lei non essere scortese. Ieri so
che avete fatto progressi.»
«Credo lo farò» mi rispose. Non era più nervoso, sembrava
triste. In fondo sarei dovuta andarci con lui e questo significava
quasi avergli dato buca.
«Potremo pranzare tutti insieme oggi» suggerii.
«No» mi rispose seccamente mentre Heric incurvò il sopracciglio in
segno di disapprovazione.
Da quel momento mi sembrò di nuovo che il tempo non passasse mai
dall'astio che circolava nell'aria ma almeno non mi sentivo osservata
da entrambi: Heric seguiva la lezione di biologia e si voltava di rado
a guardarmi, mentre Jeremy scarabocchiava il foglio che aveva davanti
invece di prendere appunti. Al termine dell’ora di
chimica, dove nuovamente mi ritrovai in coppia con Jeremy per il
progetto scientifico, Heric mi invitò nuovamente a pranzare insieme.
Nel mentre che facevamo la fila in mensa per prendere il pranzo si
propose anche di riaccompagnarmi a casa dopo la scuola in modo da
vedere dove abitassi così che, venerdì, per la festa al luna
park, sarebbe potuto passare a prendermi. Disse di non esser
sicuro che sarebbe venuto a scuola l'indomani.
Mi sentivo immensamente felice e soddisfatta. Un ragazzo così che si
proponeva di accompagnarmi a casa era il massimo per me e per le mie
aspettative relativamente e solitamente basse. Ma da quando la mia autostima
era calata così tanto? E questo senso di inadeguatezza che mi
attanagliava ogni qual volta stavo con Heric da dove proveniva? Era
inevitabile: mi sentivo sempre così piccola e infignificante in
confronto a lui e di certo non perché fosse una creatura inumana come
ogni tanto mi passava per la testa. Sì, mi stavo sicuramente
immaginando tutto. Era un ragazzo normalissimo, bello, assurdamente
bello ma normale. Vampiri? Stregoni? Pff, sciocchezze!
Involontariamente strinsi il ciondolo che portavo al collo, era sempre
più freddo, ed una vocina nella mia testa mi ripeté le parole scritte
nella lettera che mi aveva lasciato mia nonna:
«Nessuna
delle persone che ti circonda, neanche la più vicina, è realmente come
appare ai tuoi occhi.»
«Tutto bene?» mi chiese con voce insicura. I suoi occhi erano diventati
più blu. Ero riuscita per un minuto a
non pensare a tutte queste stranezze che mi stavano succedendo ma
ripensare a quelle parole fu come un avvertimento a stare
attenta e a non fidarmi di nessuno.
«Sì, sto bene. Tu? I tuoi occhi...i tuoi occhi sono più scuri» gli feci
notare di proposito.
«I miei occhi?- domandò fingendosi stupito -Perdonami devo andare, ehm
troverò casa tua ugualmente domani. Passo alle 8. Ciao!» si affrettò ad
uscire svelto dalla sala mensa scusandosi nuovamente. Un attimo prima era tutto
perfetto, un attimo dopo lui scappava nella direzione opposta a me
lasciandomi.
Riempii il vassoio e mi avviai verso il tavolo di Alexis che sedeva con
Matt, suo fratello, e George ma di Jeremy neanche l'ombra.
«Ciao, avete visto mio fratello?» chiesi preoccupata.
Alexis sorrise e mi prese per un braccio spostandoci un attimo distanti
dal gruppo che pranzava.
«Non so cosa tu gli abbia detto ma mi ha chiesto di andare con lui
domani alla festa!» disse allegramente.
«Ah...- sentii di nuovo lo spillo della gelosia pungermi e provocarmi
un certo fastidio -Sono contenta.»
«Non ho idea di cosa mettermi. Andiamo a vedere i negozi stasera?»
Accettai un po' controvoglia perché avevo bisogno di distrarmi e
soprattutto volevo comprarmi qualcosa di decente da indossare invece di
riciclare gli abiti vecchi della mia sorellastra.
«Tu vieni con noi domani?» si capiva benissimo che stesse sperando di
restare da sola con Jer.
«No, io vado con Heric.»
«Davvero? Son...contenta! Nonostante la sua aria altezzosa e snob è
davvero un bel ragazzo!»
Eh sì, bello e...dannato.
Tornammo
a mangiare insieme agli altri e notai che quel giorno, a pranzo, non vidi
nemmeno Madeline, doveva essersene andata anche lei. Chissà perché
sparivano sempre insieme: se non c'era Heric ovviamente non c'era
neanche sua cugina. Prima che me andassi a
cambiarmi per l'ora di ginnastica, George mi raggiunse: voleva parlarmi
di alcune cose. Mi indicò una panchina sotto un albero nascosta da
occhi e orecchie indiscreti e andammo a sederci.
«Bene. Sono riuscito a tradurre la frase che mi avevi dato. Dopo aver
scoperto si trattasse di latino sono capitato in forum di lingue
antiche. Ho postato la mia richiesta e la maggior parte ha commentato
che la traduzione sia, molto probabilmente, e molto approssimatamente: ho
paura dei malvagi e delle disgrazie che portano. Ora mi
dici da dove l'hai tolta fuori?»
«L'ho sognata.»
George sgranò gli occhi, io feci spallucce e andai verso la palestra.
Al termine dell'ora di educazione fisica, io e Alexis uscimmo
direttamente senza nemmeno tornare a casa. Trascorremmo il pomeriggio a
girare per negozi ma comprò soltanto una maglia rossa mentre io non
comprai nulla. Tanto il mio non era nemmeno un vero appuntamento ma più
una missione segreta.
Dopo lo shopping entrammo a mangiare qualcosa in quel che Alexis definì
la migliore caffetteria di tutto il Massachusetts. Prendemmo posto e lei ordinò
un croissant e un caffé americano. Io presi una fetta di torta, non
avevo pranzato e morivo di fame ora che ero leggermente più serena. Nel mentre che mangiava, la
scrutai con attenzione: era una ragazza strana, decisamente strana, un
po' eccentrica forse. Era parecchio bassa e questo le dava un’aria
ancor più da ragazzina rispetto alla sua età effettiva, e anche di viso
sembrava avere meno di quindici anni. Fisicamente però era ben
proporzionata e snella. Portava i capelli lunghi e scuri, la maggior
parte delle volte tirati su in una crocchia disordinata o sciolti e
selvaggi. Aveva gli occhi marroni e intensi e sorrideva sempre. Nel
complesso dunque era abbastanza carina, poi era estroversa e vivace.
Non riuscivo proprio a capire Jeremy, che genere di ragazza poteva
piacergli? Che fratellastro stupido mi era capitato!
«Senti, Jeremy non è il tipo che fa caso a queste cose non perdere
troppo tempo davanti allo specchio; è troppo distratto e comunque non
si lascia mai sfuggire complimenti. Però se ti ha chiesto di andare
insieme è perché senz'altro gli fa piacere. Quindi non pensare troppo
all’aspetto o a come vestirti» cercai di rassicurarla nonostante non lo
conoscessi bene da questo punto di vista. Non potevo dirle cosa fare
per piacergli di più.
«Io però vorrei piacergli davvero...» mi disse lei con tono di
rassegnazione.
Era proprio cotta.
«Beh come è andato lo shopping?» mi chiese Jeremy non appena tornai a
casa.
«Sono piena di buste e pacchetti non mi vedi?» risposi sarcasticamente.
Innanzitutto avevo speso tutti i soldi per il vestito del ballo e poi
non mi piaceva quasi nulla oggi, non mi ero presa niente per il mio
appuntamento di domani con Heric e nonostante io stessa non lo
consideravo un appuntamento galante stavo entrando in crisi già dal
giorno prima.
«E così andrai alla festa con Heric, eh? Ma brava!» sghignazzò Ashley
durante la cena.
«Chi sarebbe questo Heric?» chiese mia madre curiosa. Raramente mi
aveva vista interessata a qualche ragazzo e ancor più raramente mi
aveva vista uscire con qualcuno. I miei due fratellastri mi guardavano
con aria ammiccante e ridevano sotto i baffi. Io risposi solo che era
un mio compagno di classe.
«Sì, certo» ridacchiò mia madre.
«Scusa ma a te, Ashley, chi l'avrebbe detto? Tu, Jeremy? Idiota!»
«Veramente a me l'ha detto Isabel, la capo cheerleader, che glielo ha
detto Angela, la sua migliore amica, che glielo ha detto Claire, la
sorella minore di Angela, che è in classe con voi e che ha sentito
tutto. Dice che glielo hai chiesto tu, anzi che lo hai quasi supplicato
perché non sei riuscita a trovare altri accompagnatori e che lui ha
accettato controvoglia perché gli hai fatto pena. Heric è un
ragazzo per bene, di buona famiglia ed estremamente gentile ed educato.»
Io non avevo parole. Quella scuola era come un paesino di campagna,
chiunque sapeva tutto di tutti e ci ricamavano sopra storie assurde.
Ovviamente negai tutto, sparecchiai il mio piatto e un po' umiliata
andai in camera mia.
«Hey, non c'era bisogno di offendersi e andarsene» disse Jeremy
entrando in camera mia.
«Sì certo. Tu eri lì quando l'ho invitato potevi difendermi a cena da
quell'arpia di tua sorella!»
Scosse la testa, mi diede la buonanotte e se ne andò.
Io nel mentre ripensavo a quello che mi aveva detto George, alla
traduzione di quella frase. Non so cosa mi spaventasse di più, se il
suo significato o se il fatto che avessi sognato una frase in una
lingua antica che neanche conoscevo dotata di senso compiuto.
Alle dieci ero già a letto, pronta a vivere l'ennesimo incubo.
Ormai era all'ordine del giorno, non mi stupivo più e mi ero già
preparata all'ennesima notte insonne. Ci misi un po' prima di prender
sonno e non appena mi addormentai, mi ritrovai in un bosco, ma era diverso:
non era lo stesso che c'era a ridosso della casa della nonna né quello
che sognai qualche notte fa vicino alla scuola e al cimitero
monumentale. Era un altro che non mi era per niente familiare.
Camminavo senza sosta. Il sole stava tramontando quando raggiunsi il
centro del bosco, lì mi ritrovai in una radura faccia a faccia con
Madeline, che mi guardava torva da lontano con degli occhi che non
erano più cerulei, ma scurivano sempre di più fino a tendere al nero. Camminava verso di me
sorridendomi minacciosamente e con aria affamata.
«Sai, il sangue delle streghe non è tra i migliori. Ma mi accontenterò.
Sono troppo affamata» disse mostrando i suoi canini bianchi e affilati.
Indietreggiai e, mentre lei si dirigeva verso di me accelerando il
passo, d'improvviso tutto divenne
buio, illuminato solo dalla luna piena alta nel cielo cui raggi
filtravano attraverso i rami degli alti alberi.
«Madeline, fermati!» urlò qualcuno in lontananza. Era Heric. Lei si
voltò mentre io stavo ferma sul posto che non riuscivo a muovermi dalla
paura.
Un ululato spezzò il silenzio nella foresta dietro casa e mi risvegliai
dall'incubo. La finestra era aperta, così
corsi ad affacciarmi per prendere una boccata d'aria fresca.
Sentivo davvero gli ululati provenire dal bosco e la luna era quasi
piena, mancava solo una fase al plenilunio. Chiusi la finestra e tornai a
dormire, dando prima un’occhiata all’ora: le tre. Di nuovo. Quando la mattina dopo andai a
fare colazione, eravamo tutti in cucina eccetto Joseph che usciva quasi
sempre presto per andare a lavoro in ospedale.
«Avete sentito nulla stanotte?» domandai.
«Tipo cosa?» chiese Ashley.
«Non so tipo un cane, un lupo forse.»
Jeremy si irrigidì mentre si versava il caffè e alzò gli occhi per
guardarmi, lanciandomi un’occhiataccia.
«No, non ho sentito nulla» ribadì.
«Scusa non richiesta, accusa
manifesta», pensai. Anche se
mi sembrò piuttosto insolito che Jeremy si mettesse in giardino alle
tre di notte ad ululare alla luna.
«Non eri tu quello che non dorme ed ogni minimo rumore lo sveglia in
piena notte? Perché sai non era un
minimo rumore,
questo era un ululato» replicai.
«Ma da quando siamo qui devi sempre dire sciocchezze?» mi ammonì mia
madre.
Sbuffai e uscii dalla cucina aspettando i miei fratellastri in auto per
andare a scuola.
Alle prime due ore avevo lezione di biologia e speravo di stare
nuovamente vicina ad Heric ma, come mi aveva preannunciato il giorno prima il giorno prima in mensa, non
venne a scuola. In cuor mio però, continuavo a sperare che gli
ultimi ritardatari che aprivano la porta dell’aula fossero lui. Invece
no.
«Il tuo amico non viene oggi?» sghignazzò Jeremy, con il tentativo di
stuzzicarmi.
«No, purtroppo. So che hai chiesto ad Alexis di andare insieme alla
festa stasera.»
«Cambi discorso eh? E tu vai con quel tipo?»
«Sì, viene a prendermi a casa.»
«Non farlo entrare.»
«Cosa?»
«Hai capito».
«Sei sempre lì che mi prendi in giro su queste sciocchezze delle
streghe e dei vampiri e non vuoi che lo inviti a casa? Allora anche tu
pensi che Heric sia un vampiro?»
«Mer smettila dai».
«Allora spiegati su!»
«Semplicemente non mi sembra il caso di fare entrare uno sconosciuto in
casa.»
Il professore ci rimproverò intimandoci di far silenzio e per il resto
dell’ora non parlammo più.
Durante la pausa pranzo c'era una tale frenesia. Non solo tutti
continuavano a parlare dell'assassinio di qualche sera prima e del
morso inspiegabile che aveva causato la morte di quella donna, ma erano
tutti euforici per la festa di stasera. Io non sapevo nemmeno chi
l'avesse organizzata o se fosse un evento tradizionale di Salem. In realtà non mi importava
cosa fosse, poteva essere anche un festa in maschera per i bambini o
una sagra di paese che io volevo solo andarci con Heric e trascorrere
del tempo insieme a lui. E scoprire la verità.
Angolo
autrice.
*Numquam
de profundis exibo: significa "Non uscirò mai dalle
profondità degli abissi".
*Il film menzionato è L'Esorcismo di Emily Rose.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Teorie. ***
10)
Teorie.
Dovevo essere impeccabile
per questo nostro primo "non" appuntamento. Tornata a casa cominciai a
prepararmi dalle cinque del pomeriggio, pur sapendo che Heric sarebbe
passato praticamente fra altre tre ore o almeno era quel che speravo. Non
ero sicura che sarebbe stato in grado di trovare casa
mia considerato che non gli avevo dato né il mio indirizzo né il mio
numero
di telefono. Inoltre si sarebbe anche potuto dimenticare che
avevamo un appuntamento. Cosa avrei fatto in quel caso senza poterlo
rintracciare?!
Mi cambiai una decina di volte e alla
fine mi decisi nuovamente di chiedere ad Ashley qualche suo vecchio
abito.
Verso le sei qualcuno squillò il campanello di casa mentre ero intenta
a
piastrarmi i capelli. Il cuore mi sobbalzò dalla felicità: forse era
Heric.
Ma no, così in anticipo non poteva essere possibile.
«Meredith!- mi urlò mia mamma dal piano
di sotto -C’è una tua amica,
scendi!»
«Alexis?» pensai. In fondo era l'unica amica che potessi
avere a Salem.
Scesi di fretta le scale con mezza testa allisciata e mezza coperta da
forcine per tener su i capelli ancora mossi e disastrosi.
«Hey, ciao. Ma non è presto? Jeremy non c’è ora» le dissi. Forse era
successo qualcosa, probabilmente lui le aveva dato buca.
«Ehm no io sono qui perché avrei bisogno di...consigli, aiuto,
compagnia, incoraggiamento. Per me è come se fosse un appuntamento
questo e ho bisogno di calmarmi. Sono agitata- balbettò tutta
emozionata tenendo una busta in mano -potremmo prepararci
insieme...»
Non capivo cosa ci trovasse in mio fratello. Certo era un bel ragazzo
ed aveva un certo fascino, sempre se l'atteggiamento da burbero potesse
essere considerato affascinante. Ma forse non era solo l'aria da lupo
solitario ad attirare Alexis. Jeremy era effettivamente un bel ragazzo:
alto e con un bel
fisico, aveva due grandi occhi cangianti, capelli castano scuro, ma
proprio per questo suo caratteraccio, la sua bellezza passava in
secondo piano, almeno per i miei occhi. Comunque mi faceva piacere
che Alexis chiedesse il mio aiuto. Magari mi
considerava un’amica o chissà forse voleva solo arrivare a mio
fratello. Anche se ormai aveva raggiunto il suo obiettivo.
«Devo smetterla di essere così
diffidente verso tutti» pensai
tra me e me.
Trascorremmo il resto del pomeriggio chiuse in bagno a prepararci
usando per lo più i trucchi costosi di Ashley e i suoi accessori.
«Beh, tu sei emozionata all'idea di uscire con Heric?» mi domandò,
apparentemente più contenta di me.
«Più che emozionata userei il termine agitata» no, il termine più
adatto era terrorizzata. Non che uscire con un
ragazzo mi spaventasse, avevo avuto altre storie
e diversi appuntamenti a Coral Spring, non tanti ma qualcuno sì, solo
che uscire con Heric, non saprei, mi sembrava diverso e non solo perché
avevo un piano ben preciso in mente ma perché lui era diverso.
«Perché agitata? Non hai idea di quante vorrebbero essere al tuo posto
a scuola. Tutti parlano della vostra presunta relazione segreta» mi
disse Alexis tutta eccitata come se io vivessi fuori dal mondo e non
capissi questa strana fortuna. In effetti era vero che la gente ne
parlava, come successe il giorno prima quando circolarono pettegolezzi
fra le cheerleader sul fatto che io avessi supplicato Heric di uscire
con me.
«Durante questi mesi nel nostro liceo
non ha mai dato confidenza a
nessuna ad eccezione ovviamente di Madeline. Ma da quando sei arrivata
tu, parla con te, pranza spesso con te ed è anche seduto affianco a te
all'ora biologia, credo...così si dice a scuola» continuò lei.
«E tu come fai a sapere addirittura che siamo seduti vicini a lezione
di biologia?» domandai
sgomenta.
«Te l'ho detto, siete al centro delle conversazioni degli studenti
della Salem High School. La gente parla sai?»
Ero sbalordita. Da quando ero diventata un gossip? Ero convinta di
conservare il mio anonimato anche qui a Salem, come quando frequentavo
il liceo a Coral Spring. Lì nessuno mi conosceva o mi dava importanza:
io ero solo la sorellastra, un po' bruttina e un po' sfigata di Ashley
Stanley, la Reginetta del Ballo del secondo e terzo anno,
la capo cheerleader, la fidanzata di Jason, l'ex di Steven, quello del
College,
la più bella della scuola.
Invece qui a Salem, beh poca gente, tante chiacchiere. Inizialmente il
mio
intento era proprio quello di uscire dal mio guscio di ragazza anonima
e ordinaria, ma non al prezzo di essere presa in giro da tutti.
«Comunque, hai detto in
questi mesi? Quando si sarebbe trasferito Heric qui a
Salem?»
«Mi pare di avertene già parlato. Comunque si è trasferito a
settembre insieme a sua cugina. Chissà perché?!
Nessuno sa da dove vengano. Non penso nemmeno siano americani. Sono
avvolti da un alone di mistero. Ti avevo già raccontato anche le teorie
che
circolano sul loro conto, ad esempio che vivano soli o coi genitori di
uno dei
due o che magari abbiano unaqualche relazione come dire...particolare» la
situazione era sempre più ambigua. Forse fuggivano da alcuni cacciatori
di streghe o di vampiri.
Verso le sette e mezza passate sentii il rumore di un'auto provenire
dal vialetto sotto casa.
«Credo sia arrivato Jeremy» il fracasso provocato dalla sua
macchina era inconfondibile.
«Ok, sono pronta. Forse» le spuntò un enorme sorriso sulla faccia.
«Ti accompagno da lui io devo aspettare Heric. Tra un po' dovrebbe
essere qui» le dissi facendole strada fino al piano inferiore.
Si salutarono timidamente e informai di nuovo entrambi che li avrei
raggiunti più tardi non appena fosse arrivato Heric a prendermi.
Jeremy, bofonchiando qualcosa, pose la sua mano sulla spalla di Alexis
e insieme uscirono.
Dopo circa mezzora di trepidante attesa qualcun altro suonò di nuovo il
campanello. Non poteva essere nessun altro se non lui, il mio adorato
Heric.
Mi avvicinai lentamente alla porta e,
come appoggiai la mano sulla
maniglia, sentii come un’energia negativa trapassarmi il corpo. Esitai un attimo prima di
aprire e mi tornarono in mente le parole di
Jeremy: non farlo entrare.
«Ciao!» dissi infine aprendo la porta scacciando quelle insensate
sensazioni folli.
«Ciao» rispose lui, sorridendomi.
«Devo andare un attimo a prendere la borsa. Entra, se vuoi» non diedi
ascolto a quello che mi aveva detto il mio fratellastro noioso e
geloso, erano tutte sciocchezze per spaventarmi e per allontanarmi da
Heric. S empre con un sorriso
stampato sul volto, mi rispose che mi avrebbe aspettata in macchina.
Durante il tragitto non
parlammo molto. Mi sentivo tremendamente in
imbarazzo.
«Mi sembri preoccupata» bisbigliò facendomi notare di nuovo quanto
fossi intimorita, da lui. Abbassò il volume della radio e mi lanciò
un'occhiata rimanendo concentrato alla guida.
«No, è tutto a posto. Madeline?»
«Lei è già lì. Tuo fratello?»
«Fratellastro-
sottolineai -è già lì anche lui.»
La situazione era sempre più tesa e né io né Heric riuscivamo a rompere
il ghiaccio e comportarci in maniera spontanea e
rilassata l'uno con l'altra. Dal canto mio, avevo una marea di
domande da fargli, tutto mi incuriosiva di lui, della sua persona,
della sua vita avvolta nel mistero.
«Da quanto tempo abiti qui a Salem?» gli domandai senza far trapelare
curiosità ed ambigui sospetti con il solo fine di spezzare
quell'imbarazzante silenzio. Il luna park distav qualche chilometro e
si trovava quasi al confine della città.
«Da agosto ormai. Ho visitato e vissuto in
parecchi posti ma in realtà sono originario di queste parti ed ogni
tanto mi piace tornare qui. È così mistica» macabra, forse, era
un aggettivo migliore per descrivere questa città. Fu abbastanza
vago nel rispondermi, non mi diede ulteriori dettagli anche
se, in soli diciassette anni in quanti posti avrebbe potuto aver
vissuto? Ecco di nuovo questi stupidi pensieri sulla sua doppia natura passarmi per la testa.
Dopo un'altra decina di minuti arrivammo al Luna Park. Jeremy e Alexis
erano
all’ingresso, dentro intravidi Ashley, Nicholas e altri miei compagni
di scuola. Doveva esserci l'intero liceo lì dentro.
«Ci stavate aspettando?» chiesi mentre ci avvicinavamo a loro due.
«Volevo assicurarmi che arrivassi sana e salva» rispose Jeremy,
lanciando un’occhiata di sfida a Heric.
«Andiamo a fare una passeggiata, Meredith? Vorrei anche andare sulle
montagne russe» mi propose, ignorando le parole inopportune di Jeremy. Annuii. Non vedevo l'ora
di allontanarmi. Ci spostammo un po’ e
facemmo il giro del parco giochi. L'atmosfera era
abbastanza serena ma quel senso di disagio e paranoia non ne voleva
sentire di lasciarmi in pace a godermi la serata.
«Chi ha organizzato questa festa?» chiesi curiosa.
«Sì festeggia la vittoria della squadra di basket della scuola. Siamo i
primi di tutto il Massachusetts.»
«Ahh, non lo sapevo. Ecco perché Ashley si comporta come una first lady
accanto
a Nicholas» ed ecco spiegata anche l'euforia di stamattina. Se fosse stata la squadra
di basket o meglio di football, perché nella
scuola che frequentavo prima, la squadra di basket non aveva
particolare
rilevanza, del liceo di
Coral Spring a vincere, a nessuno sarebbe mai saltato in mente di
invitare tutti gli studenti al luna park: avrebbero senz'altro
organizzato un party esclusivo a casa di qualche figlio di papà
limitandosi ad invitare, oltre i giocatori della squadra, le
cheerleader
e qualche altro personaggio diletto e popolare all'interno
dell'ambiente scolastico. Ma qui a Salem era tutto diverso.
Dopo l'ennesimo giro a zonzo mi propose di salire sulle giostre.
«Meredith ma tu soffri di
vertigini!»
mi
sussurrò una vocina nella mia testa. Però accettai.
Heric capì che avevo paura di salire sulle montagne russe già dal
momento in cui ci stavamo dirigendo verso la biglietteria.
«Se hai paura non fa nulla. Potremmo fare un'altra passeggiata,
prendere un pesce rosso oppure dello zucchero filato o magari fare un
gioco più tranquillo» mi propose scherzandoci su. Spavaldamente, gli
risposi che non avessi affatto paura. Ed era vero: non avevo paura delle
montagne russe in quel momento sebbene soffrissi di vertigini. Se
avesse voluto
mordermi là su, tra tutte quelle urla e schiamazzi non mi avrebbero mai
sentita. Oddio ma che stavo
fantasticando!
Salimmo
sulla giostra. Inizialmente andò piano poi accelerò e prese
velocità con la discesa per poter risalire. Tenevo gli occhi chiusi e
le mani salde alla protezione del sellino. Dopo una folle corsa sul
rettilineo, ci ritrovammo a testa in giù
per una manciata di lunghi e interminabili
secondi e la catenina che avevo notato giorni fa appesa al suo collo
gli scivolò via dalla maglietta stando a mezzaria. Avevo
ragione, agganciato vi era il ciondolo dalla pietra
acquamarina, uguale al mio. Lo guardai con occhi
sgranati, le montagne russe in quel momento non
avevano effetto su di me, lui mi faceva più paura. Heric si girò verso di me e
mi sorrise, ma notando il mio sguardo
turbato, cominciò a guardarmi strano anche lui e le sue labbra si
chiusero in un'espressione preoccupata. E di nuovo, i suoi occhi
divennero sempre più scuri.
Distolsi lo sguardo e
guardai in basso alla ricerca di Jeremy, ma non
lo riuscivo a trovare. C’era Madeline però, ci fissava dal basso in
modo
maligno.
La giostra si fermò e scesi subito stringendo il mio ciondolo che ormai
sembrava un cubetto di ghiaccio. Lui inchinò la testa e si guardò il
petto vedendo che la collana era visibile. Poi alzò
lo sguardo verso di
me: stava per dire qualcosa, forse una giustificazione o una scusa o
una possibile spiegazione ma non glielo permisi.
«Non mi sento bene. Vado a cercare Jeremy» ero frastornata sia per il
giro sulle montagne russe sia per ciò che avevo appena visto.
Heric, visibilmente turbato, si propose gentilmente di riaccomagnarmi a casa
ma rifiutai con una scusa e cominciai a correre disperatamente per tutto il
parco giochi alla ricerca di
Jeremy, perlustrando ogni centimetro del posto fino a che non incappai
in Ashley e Nicholas. Era estremamente raro che
fossi contenta di vederla e questa fu proprio una di quelle poche
volte.
«Ma non eri con Heric?- mi
guardò con aria di sfida -oh no! Ti ha
piantata in asso?»
«Smettila! Lascia perdere. Sai dov’è Jer?»
Fece spalluce ed un sorriso beffardo comparve sulla sua faccia.
Sicuramente pensava che avessi discusso con Heric o che il mio
appuntamento fosse andato male (ed in effetti andò male) e
questo chiaramente la compiaceva. Sebbene non avessi avuto alcuna
discussione con Heric, avevo senza alcun dubbio rovinato il rapporto
che stavamo
instaurando come se stessimo basando questa conoscenza senza neanche un
briciolo di fiducia.
Non trovandolo decisi di chiamare Jeremy e restammo al
telefono fin quando
non raggiunsi lui e Alexis all’uscita del luna park. Vidi che si
tenevamo per mano: lui lasciò la mano di lei non appena mi vide e mi
venne incontro, seguito da lei, visibilmente infastidita. Pregai loro
di tornare a casa e Jeremy si offrì di accompagnare prima Alexis la quale, con aria
alquanto scocciata, annuì come se non avesse altre alternative.
Io comunque ero abbastanza sorpresa da questo suo cambiamento di
personalità: era
diventato imrpovvisamente gentile sia con me sia con Alexis. Dopo una
quindicina di minuti, parcheggiò l'auto e scese accompagnando Alexis
fino alla porta di casa sua e... la
baciò.
Non potevo negare che l'averli visti
baciare mi turbò e infastidì al tempo stesso. Il motivo non era solo
che, forse, fossi gelosa di Jeremy, ma pure un po' invidiosa che a lui
le cose stessero andando bene mentre io riuscivo sempre a rovinare
tutto.
Non parlò una volta tornato in macchina. Non disse nient’altro. Non si
lamentò e non chiese
spiegazioni. E cosa più strana non fece battute sul mio stato attuale:
avevo l'aria di una pazza appena fuggita da un manicomio. Ero
davvero spaventata a morte ed ogni volta che ero
terrorizzata fuggivo da lui, come se, nonostante i
disguidi e le discussioni, potesse capirmi. E proteggermi.
Arrivati alla villa
grigia, parcheggiò l’auto nel vialetto e restammo lì per momento in
silenzio.
«Cosa è successo Mer?» mi domandò alla fine con tono preoccupato.
«So che mi prenderai per pazza, cosa che
già pensi e che continui a
ripetermi, ma i vampiri, le streghe e tutto il resto esistono. Ne sono
certa.»
«Perché?»
«Io penso che Heric lo sia, un vampiro però, non uno stregone.»
«Dimmi le tue teorie» insisteva nel chiedermi spiegazioni più
dettagliate. Presi fiato ed esitai un attimo prima di esporgli le mie
ipotesi.
«Innanzitutto perché ha un ciondolo simile al mio. E come c’è
scritto nel grimorio della nonna non sono solo le streghe a possederne
uno ma anche i vampiri. A questi serve per proteggersi dalla luce
solare, per questo se esposto ai suoi raggi, il sole non gli provoca
alcun male e noi lo vediamo all'ora di pranzo nel giardino della scuola
passeggiare tranquillamente. Poi ogni volta che lui mi è vicino il mio
ciondolo diventa freddo, quindi se è un vampiro significa che lui
rappresenta il male e il ciondolo mi mette in guardia. E inoltre ogni
volta che ci guardiamo troppo intensamente negli occhi, i suoi
scuriscono inspiegabilmente. Non so come sia possibile. Ah e per finire
l’ho sognato e i miei sogni in qualche modo hanno sempre un qualcosa
di reale e di vero. Ad esempio ho sognato un ingresso segreto che
conduce al cimitero monumentale
di Salem, e sebbene tu possa non crederci sta lì, nascosto nel giardino
della scuola, incastonato nelle mura di
recinzione e ormai cementato, e coperto dall'edera.»
«Dunque, in breve, quello lì sarebbe un vampiro perché ha una collana
uguale alla tua e perché lo hai sognato? Su quali basi si fondano tali
insinuazioni?»
«Te l'ho detto! Ho sognato che sia lui sia sua cugina Madeline fossero
dei vampiri e che lei
volesse mangiarmi, insomma bere il mio sangue. Lui però nel sogno tentò
di fermarla e quindi di salvarmi.»
«Sì, sei completamente pazza. Entriamo in casa forza» rise.
Andammo in cucina a mangiare qualcosa, continuando a ridacchiare.
Ashley era ancora lì alla
festa mentre i nostri genitori erano in
salotto a
guardare la televisione. Ci chiesero come mai fossimo già a casa
nonostante fossero appena le dieci e mezza. Bella domanda.
«Scommetto che stanotte non dormirai dalla paura di essere morsa dai
cugini vampiri» sogghignò.
«Non dormirò ma non perché ho paura, ma perché penso che mi metterò a
fare ricerche sui vampiri e a leggere a fondo il grimorio e il diario della
nonna. Sai che esiste una copia di questo libro di
incantesimi? Chissà chi la possiede o dove sia nascosto.»
«Hai letto il diario di tua nonna già una decina di volte e
non c’è scritto nulla di che. E nemmeno in quel libro di incantesimi
c’è scritto niente!»
«Credo mi stia sfuggendo qualcosa. Nella biblioteca della scuola ci
sarà senz’altro qualcosa! George e
gli altri ci avevano parlato di alcuni vecchi libri conservati lì.»
«Ma ora è chiusa.»
«Non ce la farò ad aspettare lunedì!»
«Vai a dormire dai. Non preoccuparti ora di queste cose.»
Ripulii la tavola e andai su in soffitta. C’erano anche altri libri,
oltre al grimorio già in mano mia, dentro a degli scatoloni sparsi in
giro e in alcuni vecchi scaffali. Nel baule dove avevo trovato il
vecchio librone delle Streghe Bianche, c'era pure una tavola Ouija ma
non avrei mai contattato la nonna evocandola con una seduta spiritica.
In sogno mi aveva detto che mi avrebbe fatto percepire la sua presenza.
Dovevo solo aspettare.
In quelle vecchie librerie non c'era nulla che parlasse di vampiri,
solo di streghe. Però c'era anche la possibilità, la remota
possibilità, che lui fosse un mago, insomma una strega al maschile, uno
stregone, o come diamine si definiva, e che sua cugina lo stesso fosse
una
strega. Mi sarei sentita più tranquilla e meno emarginata. Ma se
fossero stati degli stregoni malvagi?
Sentivo le palpebre pesanti. Il sonno mi impedii di continuare la
lettura così mi arresi e andai a coricarmi.
Dalla mia finestra entravano dei fiochi raggi lunari accompagnati
dall'eco degli ululati dei lupi che andavano diffondendosi
in tutto il bosco giungendo fino alla mia
stanza.
Chiusi gli occhi, e crollai.
Angolo autrice.
Il mistero si
infittisce. Cos'è realmente Heric? Un vampiro, uno stregone o
semplicemente sono solo delle fantasie quelle di Meredith? E cosa si
nasconde nella biblioteca della scuola? C'è per caso un passaggio
segreto ed è lì che si nasconde la Bibbia delle Streghe? Chissà...
Alla prossima (:
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Attenta al lupo? ***
11)
Attenta al lupo?
Era tutto inutile. Per quanto
stessi letteralmente crollando dalla stanchezza, continuavo a girarmi e
rigirarmi nel letto: non
riuscivo proprio a prendere sonno. Ero agitata, confusa e in più
mi sentivo una perfetta idiota perché per la seconda volta avevo
piantato in asso Heric per le mie insensate teorie paranormali.
Riuscii finalmente a trovare
una posizione comoda, poggiata su un fianco e dando le spalle alla
finestra, e mi assopii in un sonno profondo.
Era già notte fonda.
All'improvviso sentii un
soffio gelido spirarmi sul collo, mentre una mano, altrettanto gelida,
mi accarezzava i capelli e coi polpastrelli mi sfiorava la pelle. O
forse no: quella mano dal tocco glaciale in realtà non mi stava affatto
accarezzando i capelli ma me li stava semplicemente
spostando delicatamente dal collo per scoprirmi la carotide,
sfiorandomi
appena. Continuavo a percepire un
venticello
fresco, nonostante ricordassi chiaramente di aver chiuso la finestra
quella notte per via dei lupi che ululavano alla luna.
Gli spifferi di corrente
andavano diffondendo nell’aria un profumo che avevo già sentito, e che
ormai conoscevo bene.
Spalancai gli occhi e mi
voltai di scatto dall'altro lato del letto, verso la
finestra. Qualcosa, una figura all'apparenza umana si mosse
frettolosamente ritraendo la propria mano e allontanandosi dal mio letto.
Fu a quel punto che mi resi conto che non stessi per niente sognando
come le
altre volte poiché avevo appena socchiuso gli occhi. Ero sveglia, non
ero nemmeno in dormiveglia,
ero sveglia e cosciente.
Abbagliato leggermente dai riflessi della luna, potei vedere
Heric che, colto di
sorpresa dalla mia reazione, indietreggiò. Se ne stava a meno di
cinquanta centimetri di distanza da me, fissandomi, con gli occhi ormai
completamente neri. Li vedevo perfettamente nonostante l'oscurità,
scintillavano per via del bagliore lunare.
«Come sei entrato?»
Indicò la finestra alle sue
spalle e sorrise mostrandomi i suoi canini candidi e affilati. Un brivido mi attraversò la
schiena facendomi sobbalzare: il suo sguardo era assetato di
sangue, glielo leggevo in faccia, e il suo sorriso, per quanto
stupendo, non prometteva nulla di buono.
Stava qui, in camera mia in
piena notte e mi fissava lasciando intravedere i suoi denti aguzzi e
perfetti.
Stringevo nervosamente la
collana della
nonna che sembrava essere diventata un iceberg e, in quel momento,
avrei voluto solo che Jeremy, come nei miei sogni, arrivasse per
difendermi e tirarmi via da quell'incubo reale.
Mi passarono per la mente
tanti pensieri: non poteva essere affermativa la risposta alla domanda
che stavo per porgli.
Con voce flebile e insicura
gli chiesi quello che da tempo mi dava il tormento.
«Sei un vampiro?»
«E tu una strega. Siamo pari,
no?» rispose lui con tono sarcastico e divertito. Non lo avevo mai
visto con quell'aria insolente se non con i professori e il fatto che
io fossi spaventata lo entusiasmava assai, come un vero cacciatore.
Sebbene non riuscissi a
nascondere la
paura che provavo, continuai presuntuosa e ironica, come se fosse un
gioco.
«Vuoi mordermi?»
«Mi farai un incantesimo?»
ribatté con tono di sfida. Non era il
caso di fare la spavalda, non ero nella posizione giusta. Sapevo che
era un vampiro, sentivo che c’era qualcosa di diverso in lui e ora ne
avevo la conferma. Era tutto così assurdo. Continuammo con
quel gioco di domande e battute: il suo atteggiamento
irriverente mi spaventava ed eccittava al tempo stesso. Quel suo modo
di fare,
di parlare, di muoversi e di guardarmi mi affascinavano. Terribilmente. E il suo sguardo, il suo
sguardo mi aveva paralizzata. Riuscivo a leggergli negli occhi la
sensazione di sete che provava e l'irrefrenabile voglia di mordermi.
Ero come ipnotizzata e avrei fatto qualsiasi cosa per accondiscenderlo.
Ero completamente nelle sue mani.
«Io non sono una strega»
balbettai.
«Non ancora»
«E tu cosa sei invece?»
«Sai già cosa sono. Sta
attenta a quelli come me- si avvicinò lentamente alla
finestra, saltò sul davanzale e aggiunse:-ci vediamo lunedì mia giovane
strega. E sta attenta anche al
lupo cattivo.»
«Lupo?»
Fu in quel momento che mi resi
davvero conto, purtroppo,
di aver solo sognato un'altra volta.
Purtroppo perché, beh, avere Heric nella mia camera a quell'ora di
notte non era mica una cosa da niente.
Aprii gli occhi senza urlare,
agitarmi o dimenarmi come mi capitava solitamente ogni qual volta
facevo degli incubi, quello in fondo non lo era.
Guardai la sveglia: erano le
tre del mattino come di consueto. Poi diedi uno sguardo alla
finestra: era chiusa, sigillata, come ricordavo. Sì, era soltanto un
sogno!
Mi alzai dal letto e andai ad
affacciarmi, faceva davvero caldo e avevo bisogno di respirare.
Poggiai i gomiti sul davanzale
per appoggiarci la testa godendomi l'aria fresca e il cielo stellato
fino a che non vidi una figura nel giardino che si nascondeva
dietro un albero e mi fissava con occhi ambrati e luminosi.
C’era...c’era un lupo nel
giardino di casa?!
Uscii dalla mia stanza per
andare da Jeremy. Entrai piano per non svegliarlo di sorpresa.
«Jeremy! Jeremy! Svegliati!
C’è un lupo in giardino!» bisbigliai. Lui però non era nella sua
stanza.
Scesi al piano di sotto per
cercarlo, poteva benissimo essere in cucina o in bagno. La porta del
bagno superiore però era aperta e giù in cucina non c’era nessuno. Sentii la porta di casa
scricchiolare e presi un coltello dal cassetto delle posate. In quel
momento non pensavo a cosa avrei potuto fare, magari non era un lupo ma
un ladro.
«Meredith! Sei pazza? Volevi
ammazzarmi?!»
«Cosa ci facevi in giro a
quest’ora?»
«Ero a prendere una boccata
d’aria.»
«Non hai visto il lupo nel
giardino?»
«Lu-lu-lupo?- balbettò -non ho visto nessun lupo.»
«C’era un lupo nel giardino. O
almeno credo fosse un lupo»
«Tu stai completamente uscendo
fuori di testa.»
«Perché? Esistono i vampiri. E
dove ci sono i vampiri ci sono anche i licantropi, lo dice leggenda.
Son riuscita a trovare un piccolo paragrafetto in un libro prima di
andare a dormire ma non l'ho finito di leggere. Sembrava più un
racconto, una leggenda.»
«Mi sto seriamente
preoccupando per te» disse con una risata
innaturale quasi cercando di nascondermi qualcosa.
«Beh io almeno non me ne vado
in giro alle tre del mattino! Comunque, ho sognato Heric anche
stanotte. Ammetteva di essere un vampiro e mi diceva di stare attenta
al lupo. Mi sono affacciata alla finestra e cosa c’era? Un lupo
nascosto dietro un albero! Domani gli chiederò spiegazioni.»
«Su andiamo a dormire che è
tardi. E basta con queste cavolate superstiziose» mi zittì.
Per tutto il fine settimana non ebbi notizie da Heric: non
una telefonata, non una visita improvvisata a casa mia. Silenzio
stampa.
Avrei tanto voluto vederlo e chiarire la
situazione. Nel mentre mi facevo lunghi viaggi mentali dove lui ad
esempio si presentava a casa mia con un mazzo di fiori chiendomi di
perdonarlo per esser sparito tutti quei giorni oppure immaginavo che,
nel cuore della notte, entrava dalla mia
finestra rincuorandomi del fatto che, sebbene fosse un
vampiro, non mi avrebbe mai fatto del male, oppure ancora mi confessava
di essere uno stregone e che i avrebbe aiutata a comprendere i segreti
della magia. Ogni sera mi addormentavo pensando a lui e ideavo uno
scenario diverso dove però, alla fine, stavamo insieme.
Era martedì e non vedevo Heric da sabato alla
festa al luna park: non si era presentato a scuola né il giorno prima,
lunedì, né tanto meno oggi. La situazione iniziava a preoccuparmi. Che
se ne fosse andato? No, no e no, non era assolutamente possibile!
Nel frattempo notavo che i miei
fratellastri facevano coppia fissa entrambi, soprattutto Jeremy e
Alexis. Sembravano davvero affiatati ed io ero sempre più gelosa tant'è
che la evitai quei giorni: sebbene le cose
fra lei e Jeremy sembrassero andare a gonfie vele, non
sapevo come scusarmi né che cosa inventarmi riguardo l'esser voluta
tornare a casa nel bel mezzo del loro appuntamento nel cuore della
festa.
Quei giorni, nonostante la mia
impazienza e il mio desiderio di rivedere Heric, trascorsero piuttosto
sereni e non ebbi nessun incubo. Fino a quel martedì notte.
Era il 30 marzo ed erano ormai passati
circa venti giorni da quando avevo lasciato Coral Spring e in meno di
tre settimane mi erano successe una marea di cose strane.
Quella notte, il cielo era limpido e la
luna piena splendeva alta nel cielo. Rimasi per un po' affacciata alla
finestra a contemplarla nell'attesa che Heric sbucasse da un momento
all'altro come nei miei sogni ad occhi aperti ma, ovviamente, le mie
erano solo fantasie irrealizzabili.
Spensi la luce e andai a dormire.
La quiete
della notte era spezzata solo dai versi dei lupi provenienti dal bosco. Il loro ululato si
diffondeva fino al giardino rieccheggiando addirittura sin
dentro la mia stanza quasi come se fosse un richiamo, tant'è che decisi di addentrarmi nella
foresta dietro la villa.
Calzai le scarpe e indossai una felpa
pesante e avviandomi verso le scale per uscire di casa, notai che la
porta della stanza di Jeremy era aperta e soprattutto che lui non era
lì. Sicuramente sarà andato a fare un'altra passeggiata notturna come
la scorsa notte, o almeno era quello che credevo.
Passeggiavo come avvolta dal
fruscio degli
alberi i quali mossi da un venticello primaverile e leggero
riversavano nell'aria un fresco profumo. Camminai
per circa dieci minuti facendo scricchiolare le foglie sotto ai miei
piedi fino a che non giunsi nel bel mezzo
di una radura nel bosco. Avanzai ancora per un tratto e mi accorsi d'un
tratto di aver calpestato qualcosa
di viscido con la scarpa. Attivai la torcia del mio cellulare puntando
la luce in basso: sul suolo c'era del sangue fresco. Seguii con la
luce la traccia di sangue che si faceva strada per alcuni
metri e...
«Jeremy? Jeremy!» gridai con tutto il fiato che avevo in gola. Davanti
a me giaceva inerme mio fratello, ferito a un fianco che
ancora sanguinava.
Mentre mi avvicinavo, comincia a vedere tutto intorno a me dei
piccoli cerchi color ambra
fluttuare nell'aria e risaltare nel buio della notte. Erano occhi,
occhi di un branco di lupi che mi fissavano con aria minacciosa.
Iniziai a correre verso a
casa, aprii la porta violentemente e urlai chiamando mia madre e
salendo le scale facendo i gradini a tre a tre fino alla camera
matrimoniale.
Mia madre e Joseph si svegliarono di
soprassalto così come Ashley.
«Dobbiamo chiamare i soccorsi!
Jeremy è ferito, è nel bosco, è stato attaccato!»
«Cosa stai dicendo Meredith? Jeremy è ferito?» disse Joseph
già in preda al panico.
In un attimo ci catapultammo in salotto
e chiamammo la polizia e l'ambulanza. Seguimmo gli agenti nel bosco
dietro casa fino ad arrivare alla radura dove poco prima avevo
intravisto il corpo di Jeremy. La scia di sangue si protraeva ancora
per diversi metri ma di lui non c'era traccia. Avevo il terrore che
quei lupi lo avessero trascinato con loro stessi da qualche parte in
una tana nascosta, pensavo lo avessero ucciso e divorato. Iniziai a
piangere.
Uno dei poliziotti mi interrogò ma
ripetei quel che avevo visto.
Continuava ad insistere sul perché, di
martedì a notte fonda, stessimo girovagando nel bosco con la
luna piena. Ripetei più volte che stavamo solo facendo una passeggiata
e che a un certo punto Jeremy si era addentrato troppo a fondo nel
bosco e quando lo raggiunsi era stato ferito e siccome era circondato
da un branco di lupi, io scappai terrorizzata.
L'agente che mi interrogava non sembrava
molto sicuro della mia versione, ma non sapevo proprio che inventarmi
per rendere la storia credibile. L'interrogatorio proseguì ancora per
un po' e ricerche si protrassero per tutta la notte ma di
Jeremy non c'era traccia. Era ufficialmente disperso e senza un corpo
non era possibile stabilire se fosse ancora vivo o no.
La mattina dopo né io né Ashley andammo
a scuola e né mia madre né suo padre andarono a lavorare. Verso le 7.30
decidemmo di andare tutti a riposarci un po' e anche le ricerche
vennero interrotte. Ma io non potevo dormire, nessuno di noi
poteva in realtà, io meno di tutti considerando ciò che avevo visto la
notte nel bosco. Mi feci coraggio e mi riaddentrai nella foresta
setacciandola in lungo e in largo, centimetro per centimetro.
Un crepitio del fogliame mi fece
sobbalzare: non ero sola nel bosco.
«Jeremy!» gridai il suo nome più volte. D'un tratto, con voce flebile,
qualcuno rispose al mio richiamo pronunciando il mio nome.
Jeremy comparve di fronte a me, senza vestiti e coperto di sangue.
«Jeremy! Sei ferito?- gli corsi incontro abbracciandolo stretto a me -Cosa è successo?»
«Non lo so. Io...andiamo a
casa.»
«Riesci a camminare? Cosa è successo? Oddio sanguini!»
«Sto bene, non sono ferito. Per favore, andiamo via!»
Una volta giunti a casa, non feci in
tempo neanche ad avvisare i nostri genitori del suo ritorno che Jeremy
scappò sotto la doccia. Probabilmente non avrebbe saputo cosa
rispondere alle domande sia dei nostri familiari sia dei poliziotti
riguardo la sua sparizione, del perché fosse in giro nel bosco di
martecì notte, del perché fosse mezzo nudo e soprattutto cosa gli fosse
successo, così cercava di guadagnare tempo per inventarsi una qualche
frottola.
Mentre era in bagno però, io avvisai mia
madre, Joseph e Ashley che Jeremy aveva fatto fortunatamente ritorno a
casa. Un sorriso di sollievo comparve sui loro volti ma Joseph sembrava
piuttosto arrabbiato per aver procurato tale preoccupazione alla nostra
famiglia. Senz'altro pensò che fosse una bravata. E fu così. Una volta
uscito dalla doccia, mentre me ne stavo in camera mia, sentivo che
discutevano anche piuttosto animatamente. Jeremy non sapeva proprio che
rispondergli e ammise di aver fatto una cavolata uscendo di notte con
"degli amici per andare a bere nel bosco". Ovviamente mi mise in mezzo
dicendo che io lo avessi in qualche modo coperto e che non avevo avuto
il coraggio di andare con loro. Chiramente finimmo entrambi in
punizione e dovettimo spiegare tutto agli agenti. Le nostre versioni
della storia non reggevano e senz'altro presentavao delle incongruenze
poiché non facemmo in tempo a metterci d'accordo. I poliziotti,
fortunatamente, chiusero un occhio sulla faccenda ma non si spiegarono
del perché ci fosse del sangue presumendo che, forse, nel bosco ci
fosse stato qualche altro attacco.
Joseph decise di andare in ospedale, mia
madre stava in cucina ed Ashley tornò a dormire. Ora chessuno potesse
sentirci, potevo finalmente parlare con Jeremy: era ferito ne ero
sicura, avevo visto personalmente il sangue sulle foglie e su di lui e
sicuramente aveva bisogno di aiuto.
Bussai alla sua porta.
Con voce infastidita mi rispose di voler
dormire e di voler essere lasciato in pace, ma io entrai comunque.
«Jer, devi dirmi cosa è
successo nel bosco. Ho visto che eri ferito, ho visto che c'era del
sangue nel bosco e ho visto il branco di lupi.»
«Tu sei completamente pazza!»
«Io sarei pazza?! Ti rendi
conto dei guaio che hai combinato? Tra l'altro mi hai pure messo in
mezzo per pararti il culo! Sei uno stronzo bugiardo!»
«Non sono un bugiardo. Non ho
davvero la più pallida idea di come sia finito, di nuovo, nel bosco.
Non ho neanche la minima idea di cosa sia successo né di come io abbia
trascorso queste ultime ore!»
Forse avevo esagerato a dargli dello stronzo e forse era vero che non
mentiva. Ma io, e pure gli agenti, il sangue lo avevamo visto, non
potevamo aver avuto tutti un'allucinazione collettiva!
«Togliti la maglia» gli
intimai.
«Cosa? Ho detto che non ho
nulla.»
Insistetti nuovamente fino a che non cedette e si sfilò la maglia. Non
aveva un minimo graffio, né sul petto, né sulle braccia, né sulle
gambe.
«Sei contenta ora? Non ho
niente. Lasciami dormire ora.»
Chiusi la porta e andai a riposare anche io. Dormimmo tutti fino al
tardo pomeriggio.
La situazione in casa quel giorno e i
giorni seguenti era abbastanza tesa. Eravamo entrambi in punizione per
almeno una settimana: niente auto per Jeremy e niente uscite dopo la
scuola per tutti i due, incluso il fine settimana.
Non solo aveva (o avevamo) fatto preoccupare i nostri genitori, ma li
avevamo pure messi in imbarazzo davanti agli agenti e a tutta la
comunità tant'é che quella sera, mentre cenavamo tutti e cinque insieme
senza dire mezza parola, al telegiornale locale di Salem
trasmisero la notizia di «una bravata adolescenziale:
due ragazzi mettono in scena una sparizione allarmando la polizia e
chiamando i soccorsi dopo aver partecipato ad un rave nel bosco dietro
la propria casa». Inquadrarono ovviamente la
nostra e tutti in città sapevano che noi avevamo appena traslocato lì.
Anche a scuola le cose non stavano
procedendo particolarmente bene. Ashley
continuava a farmi battutine che avessi fatto scappare Heric a gambe
levate ed ogni tanto notavo
sguardi strani da parte delle ragazze e dei ragazzi.
«Ma cosa è successo a casa
vostra?- domandò George durante la pausa pranzo mentre mangiavamo
insieme a Jeremy e ai fratelli Cooper allo stesso tavolo -Ho visto il notiziario ieri»
aggiunse.
«Non so, dovresti chiedere a
Jeremy» gli risposi io lanciandogli un'occhiataccia.
Il rapporto fra lui ed Alexis sembrava
procedere sempre meglio, ormai sembravano quasi una coppia: mangiavano
insieme all'ora di pranzo, passeggiavano mano nella mano per i corridoi
della scuola, si salutavano sempre scambiandosi un tenero bacio. Mentre
per quanto riguardava Heric, non
venne più a scuola, né il giorno dopo né quello dopo ancora ed
essendo
venerdì, avrei dovuto aspettare altri tre giorni per rivederlo a scuola
e potergli parlare. Sempre se il lunedì successivo si sarebbe
presentato.
Non resistevo. Sabato mattina dunque
sarei andata a
casa sua, niente mi avrebbe fermata, nemmeno la punizione.
Sbadigliando entrai in cucina decisa a supplicare i miei di
farmi uscire almeno un'oretta, in fondo era sabato e io non
avevo fatto poi nulla di male. Mia mamma preparava il caffè e Joseph
stava
seduto sul divano a guardare la televisione: era il momento giusto per
inventarmi una qualche scusa
plausibile e andare a cercare Heric.
Ma mentre mi accingevo a chiederle il permesso per uscire,
sentii il notiziario dalla
cucina. C'era stato un altro assassinio con le stesse modalità del
precedente: una giovane donna era stata uccisa venendo azzannata alla
gola da un animale non ancora identificato fuori dalla propria
abitazione.
Qualcuno, distogliendo la mia
attenzione dal telegiornale, entrò in cucina: era Ashley.
«Jeremy dorme ancora?» le chiesi
io.
«Non so, la porta era chiusa»
rispose ancora assonnata e troppo stanca per fare l'ennesima battutina
su me ed Heric.
Dopo aver fatto
colazione, salii le scale per tornare in camera mia; lui era appena
uscito dalla sua e come mi vide rimase fermo nel corridoio.
«Tutto bene?» gli domandai.
«Ho un po’ di mal di testa. Ma
sto bene.»
«Hai idea di dove potrebbe
abitare Heric?»
«Prova in qualche cripta»
disse sghignazzando. Non riuscii a distinguere se
fosse sarcasmo o ironia. In entrambi i casi a me non fece per niente
ridere.
«Sei molto divertente.
Chiederò ad Alexis.»
«Lasciala fuori da queste faccende.»
«Wow! Quanto sei diventato
protettivo nei suoi confronti!»
«Non dire sciocchezze!»
Ero preoccupata anche per Jeremy in realtà. Mi stava nascondendo
qualcosa ne ero
sicura: la sua storia con Alexis, per quanto mi facesse piacere e
ingelosire al tempo stesso, non mi convinceva del tutto,
ma ancor di più non mi davo pace del fatto che qualche sera fa, Jeremy
sparì per tutta la notte nudo nel bosco. Beh in realtà, tutto il suo
comportamento
nell'ultimo mese era insolito.
Terminai quell’inutile
conversazione chiudendomi in camera mia e telefonai ad
Alexis. Lei probabilmente sapeva darmi l’indirizzo di casa di Heric.
Mi rispose di attendere un attimo in
linea e che avrebbe controllato negli archivi online della
segreteria della scuola. .
«Eccolo. Ma a cosa ti serve? Cosa è successo alla festa?» mi
domandò curiosa.
Questo sì che sarebbe stato un
gossip per la Salem High School. Immaginavo già il titolo della prima
pagina del giornalino della scuola "La coppia segreta e invidiata da
tutta la sfera femminile della Salem High School è già in
declino".
«Ehm, vorrei sapere come sta. Non è più venuto a scuola e
non ho
il suo numero di telefono» dissi ad Alexis senza alcun dettaglio.
«Ok, ho capito. Abita al numero
17 di Laswell Street, verso la campagna.»
«Grazie. Ma tu come puoi
accedere agli archivi della segreteria scolastica dove sono registrati
i dati degli studenti?»
«Eh, è un segreto. Ricorda che
io so tutto di tutti qui» rispose quasi ammiccando.
La ringraziai nuovamente e
riattaccai il telefono. Corsi in bagno a prepararmi poi tornai in
camera a prendere la borsa.
«Non farlo. Non ci andare» mi intimò Jeremy che nel
frattempo era entrato nella mia stanza. Stava
origliando senza ritegno.
«Devo. Sta diventando tutto
un’ossessione. Non voglio essere una psicopatica che si
immagina cose che non esistono rovinando i miei futuri
rapporti! Vorrei avere una relazione sana e normale senza fuggire ogni
volta che scopro un insignificante dettaglio che collego alla mia
ipotesi sovrannaturale campata in aria. E tu di certo non mi stai
rendendo le cose più semplici.»
«Metti il caso che
non sia
campata in aria. Cosa faresti?» era serio.
«Vedi? Con queste tue frasi ambigue non mi stai per niente
aiutando! E comunque, per rispondere alla tua domanda, non farei nulla.
Ma conoscere la verità mi metterebbe il cuore in
pace.»
«Sì, e poi andresti in giro con
paletti
di legno, croci e un grappolo di aglio appeso al collo, eh?»
«Ahahahah forse».
«Dammi dieci minuti, mi
preparo e ti accompagno.»
Lo ringraziai. Non mi sembrò vera la sua
proposta: non volevo chiederglielo ma ero felice che si fosse offerto
lui stesso di accompagnarmi. Non ci sarei mai arrivata da sola, a piedi.
Ora il problema era solo convincere i
nostri genotori a farci uscire. Mia mamma era più flessibile e la
supplicammo inventandoci che la nostra amica Alexis fosse malata e che
dovessimo portarle assolutamente gli appunti degli ultimi giorni in
vista del compito in classe di scienze della prossima settimana. Dopo
un po' si arrese e ci lasciò andare.
«Abita lontano il
ragazzo
misterioso, eh?»
«Non è che ti sei perso? Siamo
in mezzo a un bosco.»
La parola bosco mi fece
ricordare il sogno in cui c’era anche Madeline. Rabbrividii al solo
ricordo.
Eravamo
in macchina già da
mezzora: avevamo attraversato una fitta strada alberata, davvero simile
al mio sogno. Non mi ero accorta che il ciondolo era diventato caldo quando ero
salita in macchina con Jeremy e che si stava raffreddando sempre di più
man mano che proseguivamo la strada.
Dopo un'interminabile mezzora,
finalmente arrivammo alla meta: al 17 di Laswell Street.
La sua casa era gigantesca e imponente: una villa enorme e
bianca, con un portone in stile gotico ed ampie e
numerose finestre. Era piuttosto antica ma ancora
in perfette condizioni e ben nascosta dalla penombra della foresta. Si
trovava al di là di una schiera di
alberi che circondava una piccola radura la quale separava la strada
alberata dalla villa, come se quella fitta boscaglia avesse il compito
di nasconderla da occhi indiscreti e...dalla luce del sole.
Nelle vicinanze non c’erano
altre abitazioni. Solo alberi di una grande foresta
rabbuiata.
Jeremy parcheggiò la macchina
nei pressi della villa, un po' distante però.
Avevo paura, e quando mi
capitava di essere impaurita non sapevo mai cosa fare. Era come se mi
si annebbiasse la mente. Scesi dalla macchina e
lentamente mi avvicinai alla casa. Più avanzavo e più sentivo che c’era
davvero qualcosa di malvagio che avvolgeva quella dimora e la pietra
del ciondolo, ormai simile a
un ghiacciolo, me ne dava la conferma.
Mi voltai indietro: Jeremy
stava appoggiato alla macchina e mi teneva d’occhio da lontano
guardingo e pronto ad attaccare.
Salì quei pochi gradini per
arrivare all'ingresso e rimasi lì, ferma sul patio, indecisa sul da
farsi.
«Su bussa! Ormai sei qui!»
mi
suggerì una vocina nella mia testa, la stessa che mi spinse a salire
sulle montagne russe con Heric alla festa al luna park.
Così avanzai ancora di qualche
passo, tesi la mano per bussare ma prima che potessi poggiare le nocche
sulla porta questa cominciò a schiudersi...
Angolo
autrice.
Se avete notato, ogni capitolo
(ad eccezione del primo, il Prologo, e del
secondo, l'introduzione al contesto e ai personaggi), tratta
di un singolo giorno o al massimo copre il lasso temporale di due
giorni.
Dal momento che la narrazione scorreva abbastanza lenta, almeno
cronologicamente, e che dovevo sfruttare il fatto della luna piena di
martedì 30 marzo, in questo capitolo ho deciso, per forza di cose, di
sintetizzare un'intera settimana. Come già detto in qualche altra NDA,
questa storia segue il calendario del 2010.
Con la conclusione di questo capitolo ci troviamo esattamente a sabato
3 aprile.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Domande e risposte. ***
12)
Domande e risposte.
La massiccia porta gotica
finemente
decorata si aprì, lasciando
intravedere a metà la figura del ragazzo misterioso.
«Sapevo fossi tu» la porta era ormai completamente aperta ed Heric
sorrideva felice di rivedermi. O per lo meno a me sembrò così.
«E io sapevo che mi avresti aperta tu» gli sorrisi a mia volta.
In maniera cortese e rilassata
mi invitò dentro casa sua scostandosi un poco dall’uscio per farmi
passare. Non sapevo se entrare oppure
no, così mi voltai di nuovo verso Jeremy
in modo che potesse darmi un consiglio anche solo con un cenno del capo
od uno
sguardo. Confuse la mia esitazione ad entrare come una qualche
richiesta di aiuto e si accinse ad avvicinarsi verso di noi con aria
aggressiva.
«Di norma gli animali non
possono entrare nelle case dei...» si interruppe.
Sollevando di poco la testa per inquadrarlo meglio, vidi che lo fulminò
con lo sguardo, Jeremy rimase lì, immobile e con le
braccia conserte in segno di impazienza.
«Sì, ho capito. Cioè ho intuito la parola che non hai pronunciato, ma
non ho capito: animali?»
«Questa parte della storia non spetta a me raccontartela» mi rispose,
facendo trapelare che in realtà non fosse finita qui e che ci fosse
ancora tanto altro da scoprire che coinvolgeva altre persone a
me vicine.
Decisi di entrare, a mio
rischio e pericolo.
All’interno la casa era ancora più bella: sembrava un palazzo reale, un
po' insolito considerando che l'esterno fosse più sobrio.
Forse era una sorta di copertura per dimostrare, anzi camuffare, che
la villa non era poi così recente. Varcato l’ingresso mi ritrovai
in un gigantesco atrio con al centro
un’enorme rampa di scale che si faceva strada verso sinistra, con i
gradini molto larghi e la ringhiera in ferro battuto. Lo spazio che mi circondava
era immenso, quasi quanto una sala da
ballo. Probabilmente secoli fa ci organizzavano feste e ricevimenti. I
muri, così come le scale in granito, erano bianchi e tutti decorati e
rifiniti. C'erano delle enormi finestre che rendevano quella stanza
luminosissima (insolito per essere la casa di alcuni vampiri!), nelle
pareti
libere erano invece appesi diversi quadri e ritratti di dame e
cavalieri e sul
soffitto era ancorato un enorme lampadario di
cristalli. Sembrava una reggia. Ai lati dell'atrio c’erano
diverse porte in legno di mogano altrettanto sfarzose. Heric discendeva senz’altro
da una nobile
famiglia aristocratica e piuttosto rispettata in passato.
Aprì una di quelle porte nell'atrio e mi invitò ad
accomodarmi in un piccolo salotto.
«Immagino di sapere il motivo per cui tu sia qui» proferì indicandomi
un divano rosso su cui sedermi e iniziare una lunga chiacchierata o,
per meglio dire, una confessione.
Mi accomodai molto timidamente sul divano rivestito di velluto rosso e
mi guardai intorno incuriosita. Anche quella piccola stanza era
lussuosissima: quadri alle pareti, un servizio di argenteria in una
credenza, un fermacarte d'oro sull'imponente scrivania e un altro
lampadario di cristallo, di dimensioni più ridotte, appeso
al soffitto.
Notai che portava la collana in bella
mostra, non la nascondeva più
sotto la maglietta.
«Sì, ehm...non voglio sembrarti una pazza
ma...» non sapevo come formulare la mia domanda, la mia
stupida domanda. Così iniziò a parlare lui.
«Quando ti ho vista la prima volta al Ballo di Primavera ho capito
subito che c'era qualcosa in te. Poi a scuola ho notato il ciondolo che
portavi
al collo e lì mi son convinto del tutto ma non pensavo che fossi
davvero la discendente di qualche
strega. Le streghe di Salem sono state quasi tutte uccise tra il 1691 e
il 1692 a
parte qualcuna, tra cui una delle avi di tua nonna, una delle Streghe
Bianche. Ma pensavo che si fossero estinte anche loro,
dopo...Elizabeth. O almeno le streghe discendenti da quel ramo.»
«Conoscevi mia nonna?»
«Già.»
«Sai come è morta?»
«Era una strega buona.»
«Quindi lo sai?»
«Non ci siamo solo io e Madeline, Meredith, né nel mondo né qui a
Salem.»
«Quindi è vero che siete...» non riuscivo a pronunciare quella parola.
Era così lontana dalla logica, dalla razionalità. Dalla realtà.
«Sì. Siamo vampiri.»
Vampiri, quel
termine mi rimbombava nella testa con il suono della sua voce. Ero
senza parole.
«Vuoi scappare anche ora?» disse ironicamente. Aveva capito esattamente
come
reagissi a ogni scoperta sensazionale che lo riguardava.
«No, è che sono confusa. Pensavo fosse solo la mia immaginazione ad
essere andata troppo oltre. Puoi provare in qualche modo di
esserlo?»
In un batter d’occhio era sparito.
«Hey! Sono qui» disse, poggiando il gomito su un asse della libreria
alla mia destra. Due secondi prima lo avevo di fronte, giuro.
«Come? Com’è possibile?»
«Vorrei tanto saperlo anch’io. Non ti abitui mai a certe stranezze
nemmeno dopo tutti questi anni.»
Ero sbalordita. Il mio cuore batteva all'impazzata per la
confusione, per l'eccitazione, per la paura. Ma non
avevo paura di Heric, ero certa non mi avrebbe fatto del male.
«Da quanti anni lo sei?»
«Compirò 323 anni da vampiro a giugno. In totale ho 340 anni ma in
realtà sono ancora un
diciassettenne nato nel lontano primo Gennaio 1670» disse facendomi
l'occhiolino. Ero sempre più sconvolta e
incredula. Mi stavano venendo un mucchio di
domande.
«Wow! E come si diventa...?» non riuscivo proprio a pronunciare quella
parola: Vampiro.
«È una lunga storia, un lungo processo. Ancora oggi non ne sono molto
sicuro. In parole povere occorre nutrirsi di una persona lasciandola
praticamente esangue e quando questa sarà
in fin di vita bisogna
nutrirla del proprio sangue di vampito. Si
hanno così tre
opzioni: uno, la persona morirà con
il sangue di vampiro in corpo e
rinascerà come vampiro, due, resterà in vita guarendo dalla ferita
causatagli o tre, morirà.
Quando questa persona quasi
del tutto priva del suo sangue ingerisce quello di vampiro,
questo viene pompato dal cuore e rimesso in circolo. Questa
persona ovviamente può anche aver avuto un incidente o dissanguarsi per
altri motivi, ma la trasformazione è tutta questione di equilibrio. È
piuttosto difficile e soprattutto deve essere volontario. Anche se a
volte non è così, capita che alcuni vampiri lo facciano solo
perché si pentono di
aver ucciso una persona e vogliano in qualche modo rimediare. Ma non
credo che questa sia la soluzione giusta per ripulirsi la coscienza.»
«Posso chiederti com’è successo?» era quello che volevo sapere più di
tutto.
«Era il lontano giugno del 1687, avevo 17 anni da sei mesi
all'epoca. Ero in visita dai miei familiari per le vacanze estive qui a
Salem, io in realtà sono nato a Boston, sempre nel Massachusetts.
Madeline è mia cugina da parte di mio padre, fratello di sua madre. La
nostra era una famiglia di antichi proprietari terrieri emigrati dal
Vecchio Mondo. Mio padre studiò all'università di Harvard a Cambridge*
e
si stabilì a Boston quando sposò mia madre. Andavamo spesso a Salem a
trovare i parenti come successe quell'estate del 1687.
«Era sera, ma noi eravamo ancora
in viaggio verso casa di Madeline, questa Villa, quando un
gruppo di
briganti ci assalì nei pressi dell'abitazione, nella strada alberata
che
conduce fino a qui. Ricordo che ero ferito e stavo per morire. Ricordo
il volto di una ragazza bellissima, credo mi abbia dato lei il suo
sangue, credo che sia stata lei il vampiro che mi ha trasformato. Da lì
non riesco a ricordare altro perchè sono svenuto, o morto,
penso. Poi dopo qualche ora riaprii gli occhi e mi alzai in piedi, e
proseguendo attraverso la strada alberata arrivai alla villa al di là
della radura. Sentivo che mi stavano tornando le forze e la ferita
sull'addome si stava cicatrizzando velocemente. Quando arrivai dentro
casa la servitù era stata sterminata, stessa cosa i miei zii e mia
nonna. I briganti avevano prima derubato la casa e poi nel tentativo di
fuggire si erano imbattuti nella carrozza della mia famiglia. C’era
sangue ovunque e ne ero come attratto. Ne ero attratto in modo morboso
e iniziai a mordere quei pochi rimasti in fin di vita risucchiando le
loro ultime energie senza nemmeno volerlo, semplicemente il mio istinto
me lo ordinava. Poi vidi Madeline e morsi anche lei e me ne nutrii. Per
tentare di salvarla le feci bere istintivamente il mio sangue. Convinto
di averla
uccisa, piansi lacrime di sangue
tutta la notte. Ma dopo neanche due ore vidi
che stava riprendendo conoscenza e che aveva fame anche lei. La mattina
dopo il sole aveva illuminato quasi tutta la casa e
sentimmo entrambi la pelle
bruciarci come se il nostro corpo fosse
poggiato su una superficie bollente. La nostra pelle era diventata
quasi squamosa, gli occhi ci bruciavano e io quasi non vedevo più. A
quel punto capii cosa ero diventato e cosa avevo fatto a mia cugina.
Per tutto il giorno restammo nascosti giù nelle cantine al buio ma la
fame iniziava a farsi sentire. Uscivamo solo di notte perché il sole ci
avrebbe inceneriti e la nostra vita preseguì così: di giorno chiusi nei
sotterranei e di notte a cibarci. Nessuno ci venne a cercare ci diedero
per morti: tutti seppellirono questa storia, lo sterminio della
famiglia Francis-Browning, o la minimizzarono tramandandola come
leggenda della ricca e nobile famiglia svanita nel nulla. Quando ti
capita
una cosa come questa, avere qualcuno affianco ti dà la forza per andare
avanti. Non volevo dannare anche Madeline non ne avevo intenzione, ma
se fossi stato solo non so che fine avrei fatto.»
Non avevo parole. Non riuscivò a spiccicare neanche un suono, l'unico
rumore che il mio corpo riusciva ad emettere era provocato dal battito
frastornante del mio cuore come un pendolo.
«Quindi voi bevete sangue umano?» riuscii finalmente a chiedergli con
grande timore.
«Prima sì. All’inizio era difficile controllarsi. Ogni tanto Madeline
se ne concede qualcuno ma dobbiamo stare attenti a non uccidere altre
persone anche perché non abbiamo diritto a trasformare altri esseri
umani. Non ha senso vivere così. Non avremo altri ciondoli da dare poi,
sarebbe un’esistenza praticamente all’oscuro.»
«Io ho il ciondolo. Volendo potrei diventare anch’io un vampiro?» ce
l'avevo fatta! L'avevo detto: vampiro, vampiro, VAMPIRO!
«Né io né Madeline ti trasformeremo- puntualizzò -e poi le persone
nascono già con un proprio destino. Non puoi cambiarlo: io sono
diventato questo, tu sei nata strega.»
«Appunto, io sono nata strega, non ho scelto di diventare tale. E poi,
non sono una strega, il mio unico potere è quello di cacciarmi in
situazioni assurde e fare sogni premonitori.»
«Neanch’io ho avuto scelta. E credimi, avere l’opportunità di scegliere
il tuo destino vale più di tutto» lo disse con grande sofferenza e
rassegnazione.
«Dormi in una bara?» passai alle domande sciocche per spezzare
quell'atmosfera cupa e triste che si era creata.
«Ahahah! No, potrei anche non dormire perché il mio corpo non lo
richiede, non
lo necessita. La mia mente invece sì. Se non dormissi nemmeno mi
sembrerebbe di impazzire, il tempo non trascorrerebbe mai. Quando si
diventa così si smette di preoccuparsi. Si smette di contare i giorni
che mancheranno al tuo compleanno, gli anni inizieranno a sembrarti
mesi e poi giorni. E ti sembrerà di non aver mai concluso nulla perché
sai di avere sempre altro tempo.»
«Sei immortale quindi?»
«Io speravo di no. Tutti vorrebbero farla finita prima o poi. Essere
solo un ricordo o un mucchio di ceneri. Non so cosa succederebbe se
smettessi di nutrirmi e al momento gli unici modi che conosco per
uccidere un vampiro sono esporlo alla luce del sole, bruciarlo tra le
fiamme o trafiggergli il cuore con un paletto...non avevo mai pensato
al morire di fame. Probabilmente diventerei un pezzo di marmo senza
forze.»
«A proposito del ciondolo. So che ne esistono sette come questi. Per
ora ci sono il mio, il tuo e quello di Madeline. Gli altri?»
«Un altro vampiro che conoscevo ne possedeva uno. Ce li aveva procurati
lui ma ne abbiamo perso le tracce già da molti anni.
Gli altri tre, oltre il tuo, appartenevano ad una congrega di Streghe, ora invece non so chi li
abbia. Saranno conservati in
qualche vecchio baule in soffitta o sepolti in qualche cimitero.»
«Un’ultima domanda. Poi è il caso che vada, Jeremy mi sta aspettando.»
«Già. Dimmi tutto» mi fece un sorriso liberatorio.
«Se non uccidi esseri umani, come ti mantieni in vita?»
«Ci si può procurare sangue umano in diversi modi senza necessariamente
uccidere degli innocenti. E poi non esiste solo il sangue delle
persone...»
Mi alzai dal divano rosso e mi
accompagnò alla porta. Rimanemmo lì
fermi all’ingresso. Io non parlavo e lui oltre a non dire mezza parola
non mostrava alcuna intenzione di aprire la porta. Poi si
decise a dire
qualcosa.
«Sono felice che tu lo sappia adesso» mi
mise una mano sul viso
spostandomi i capelli, proprio come avevo sognato, e mi diede un bacio
gelido sul collo.
Stupidamente pensai «mordimi! mordimi!» Era la
solita vocina, era il mio inconscio. Erano i miei desideri repressi, i
miei più intimi pensieri rintanati negli angoli più remoti del mio
cervello. Non potevo
essere così stupida da pensare sul serio certe cose ma per poco non mi fece
impazzire. Sentii un brivido in tutto il corpo quando mi sfiorò il
collo con le dita fredde.
«Ti
andrebbe di mettere da parte le stranezze e provare a conoscerci come
due persone normali? Sai
l’ultima storia che ho avuto, non è andata molto bene» mi
propose stringendomi forte a sé.
Sorrisi e risposi di sì. In fondo anch’io non ero del
tutto
normale, strega o non strega.
Jeremy era ancora lì, appoggiato alla
sua auto, che mi
aspettava impaziente. Mentre gli andavo incontro mi
sorrideva e aveva l'aria di essere sollevato nel rivedermi. E pure io
mi sentivo sollevata: non ero fuori di testa in più le cose tra me ed
Heric avevano fatto un passo avanti, un passo da gigante. Chissà se saremo stati in
grado di conoscerci in modo normale (e avere una relazione normale)
come mi aveva proposto. Mi sentivo così soddisfatta di
essere venuta a conoscenza della verità, e, stranamente, ne ero anche
felice. Non mi sentivo più spaventata e terrorizzata.
Arrivata alla macchina mi
voltai per salutare di nuovo Heric: mi fece un cenno con la mano come
per dire «ci vediamo presto» e sorridendomi rientrò dentro
casa.
«È tutto a posto?» mi domandò
Jeremy mantenendo il sorriso appena lo raggiunsi.
«Sì, tutto a posto» gli
risposi aprendo lo sportello.
Salimmo dentro l'auto e mise
in moto. Ero talmente assorta nei miei
pensieri che non mi resi conto che fossimo già di fronte al
vialetto di casa.
Per un po' nessuno dei due
scese dalla macchina, restammo lì, senza dire una parola: io avevo la
testa letteralmente fra le nuvole e Jeremy mi fissava in attesa che
tornassi nel mondo terreno. Non parlammo
nemmeno durante il ritorno a
casa.
«Hai intenzione di scendere o
vuoi restare qui?» finalmente si decise a spezzare il silenzio, anche
se non mi ero accorta di niente. Mi voltai verso di lui e cominciai a
fissarlo io stavolta. Ero incerta se dirgli quello
che Heric mi aveva rivelato, soprattutto l'ultima parte.
«C’è qualcosa che forse
dovresti confessarmi anche tu» c on questo intendevo la parte della
storia che
Heric aveva tralasciato lasciandomi intendere che dovesse essere
qualcun altro a dirmelo, cioè Jeremy.
«Io non ho nulla da dirti. Tu
piuttosto, che ti ha detto il
vampiro?»
«Tu sapevi tutto, vero?» gli
domandai.
«Eh...all’incirca.»
«E perché non mi hai detto
nulla? Mi hai solo confuso le idee: prima dicevi di lasciar perdere,
poi mi davi della pazza, poi mi davi stupidi avvertimenti come ad
esempio di non
farlo entrare in casa! Non capisco!»
«Te l’ho detto, dovevo
proteggerti, per questo ti confondevo le idee. Inoltre era divertente
vederti così esasperata!» rideva, come se fosse tutto uno scherzo.
«Ma proteggermi da cosa?»
«Tu forse non te ne rendi
conto ma non ti sei messa in una bella situazione. Sarai in continuo
pericolo se stai con lui.»
«È una
parte di lui che non posso escludere né cancellare. L'accetto e basta»
quella era anche la parte che più mi piaceva di Heric, questo suo
essere diverso, speciale.
«Va bene» aprì lo sportello e
scese dalla macchina con aria contrariata.
«Jeremy! Heric mi ha detto che
anche tu hai qualcosa da dirmi. Su, avanti.»
«Ti ho già detto che non ho
nulla da dirti. E poi ti sei impegnata tanto per scoprire se Heric
fosse un vampiro. Fa lo stesso» disse continuando a camminare verso la porta di
casa.
Non capivo, era così enigmatico. A quel
punto ebbi davvero la certezza che mi stesse tenendo all'oscuro di
qualcosa di molto importante e che, per qualche strana ragione, aveva a
che fare con Heric. Ma cosa poteva mai nascondermi di così indicibile
il mio misterioso fratellastro?
A quel punto mi
restava solo una cosa da fare: spiarlo. Dopo tutto anche lui mi
controllava!
Sebbene abitassino nella stessa casa, non fu una missione facile poiché
ognuno aveva le proprie abitudine ed entrambi, ad eccezione dell'ora
dei pasti, ce ne stavamo in camera ognuno per conto proprio. Tra
l'altro, ora che avevo saputo la verità su Heric, non potevo usare
nemmeno la scusa di aver paura la notte per dormire insieme. Ed a proposito di dormire: mi
aveva detto che anche lui la notte non riusciva più a prendere sonno e
usciva in
giardino a prendere boccate d’aria fresca così lunghe da allarmare la
polizia e farmi ipotizzare una sparizione o un rapimento o addirittura
un omicidio! Non mi convinceva e non mi ero
ancora messa l'anima in pace riguardo quello che successe martedì
scorso. Mi sembrava
una cosa talmente insolita la sua sparizione e poi la reazione che
aveva avuto, il sangue nel bosco e il fatto che non avesse nemmeno un
piccolo graffio, l'atteggiamento misterioso e ciò che mi aveva detto
Heric. Ci doveva essere per forza un qualcosa che collegasse tutti
questi elementi.
Cos'è che mi stava sfuggendo?
Dopo cena, cosa che non avevo
mai fatto prima, presi un bel caffè. Dovevo tenermi sveglia per
seguirlo in
caso fosse andato anche quella notte a girovagare nella foresta.
Verso le dieci e mezza bussai
alla sua porta, volevo riprovare con le buone maniere a sapere la
verità. Tanto era ovvio che mi stesse nascondendo una cosa importante e
non voleva darmi la soddisfazione di essere lui stesso a rivelarmela. Non rispose quando bussai,
così entrai lo stesso.
«Non vuoi dirmi proprio
nulla?» gli domandai a bassa voce.
Era steso sul letto con lo
sguardo rivolto alla finestra aperta. Si voltò verso di me come se lo
avessi disturbato e mi squadrò con aria nervosa e corrucciata.
«NO! E ora vai a dormire e non
rompermi le scatole!» fu così odioso nel rispondermi che tornai in
cucina a prendermi un altro caffè sbattendogli la porta. Era tornato antipatico e
insopportabile. In vita mia non avevo mai conosciuto una persona tanto
lunatica come lui.
«Mer, cosa fai in cucina?» mi
urlò mia mamma dal salotto.
«Bevo un caffè.»
«Un altro?»
«Sì, devo restare sveglia
stanotte...per studiare. Te l'ho detto, abbiamo un test importante di
scienze la settimana prossima» le riciclai la stessa scusa che le avevo
rifilato quella stessa mattina quando mi inventai di dover portare gli
appunti ad Alexis che era ammalata quando in realtà mi ero recata a
casa di Heric.
A mezzanotte e mezza erano
già
tutti a letto a dormire, tranne Ashley: lei e Nicholas si vedevano
spesso ormai anche fino a notte fonda.
Sentivo che gli occhi mi si
stavano chiudendo contro la mia volontà, ma non dovevo cedere al sonno.
Volevo continuare a leggere quel paragrafo su vampiri e
licantropi che avevo scovato in uno degli
scaffali in soffitta contenuto all'interno di un piccolo libricino
intitolato De Creaturis*. Sebbene le mie
palpebre continuavano a calare, non riuscivo a interrompere la lettura.
De Vampyris et Lupis
Hominariis.*
«Chi è colui, o colei, che ha dato vita, o dopo la morte, una seconda
vita, a coloro che riteniamo esseri sovrannaturali, è una domanda che
tormenta e incuriosisce fin dai tempi più remoti.
Per quanto riguarda i vampiri, la leggenda narra di Lilith, prima
moglie di Adamo, che fuggita dall'Eden e ribellatasi a Dio fu dai lui
maledetta. Gli Angeli, nel vederla giacere coi Demoni, portarono a lei
una punizione divina: per l'eternità avrebbe vagato solitaria nella
terra e solo nelle notti più buie alla ricerca di un compagno senza la
possibilità di trovare l'amore, condannando gli uomini che avrebbe
posseduto o alla morte o ad un'eterna esistenza nell'oscurità.
Questi a loro volta sarebbero in grado, per la loro natura, di
condannare anime innocenti con un morso letale portandoli o alla morte
o generando una nuova stirpe di creature della notte che mai potranno
raggiungere
la pace eterna.
Come per i vampiri, anche per l'origine dei licantropi vi sono miti e
leggende che si perdono nella notte dei tempi.
Si narra che fu il Dio Zeus, adirato con il Re Lycaeon, sovrano di
Arcadia, il quale gli servì carne umana invece che carne d'agnello come
offerta, a plasmare il primo licantropo trasformando per punizione il re e i suoi
numerosi figli in bestie. Da questi discenderebbero
altri licantropi, ormai sparsi in terre lontane, dediti a vagare nelle
luminose notti di Luna Piena alla caccia di carne umana fino alla loro morte,
vagando in branco o in solitudine e soffrendo per la morte dei
propri simili.
Come il vampirismo, anche la licantropia è contagiosa: si trasmette
attraverso un morso o un'azzannata, come se i fluidi corporei delle due
creature fossero veicolo dell’infezione che genera la trasformazione.
In questo modo, un licantropo darebbe origine ad un lupo mannaro che a
sua volta darebbe origine ad un altro lupo mannaro. Oppure, chiunque
abbia avuto la sciagura di nascere da genitori
licantropi certamente ne avrà ereditato la mutazione mentre
i vampiri, per mancanza di prove certe, si dice siano sterili e
incapaci di riprodursi fra loro.
Entrambe queste creature sono considerate demoniache: figlie
dell'inferno o partorite dalla magia.
Altre leggende e superstizioni infatti raccontano anche che vampiri e
licantropi siano il frutto di un incantesimo da parte di una potente
strega.
Secondo alcune tradizioni, il licantropo utilizzerebbe però a proprio
vantaggio, o dei propri cari, la sua trasformazione: per avere più
forza nei lavori manuali o per procurarsi carne fresca per la cena, al
contrario del vampiro, solitrario ed egoista, il quale, oltre che per
istinto,
caccerebbe col solo gusto di uccidere.
Sia i vampiri sia i licantropi sarebbero suscettibili all'amore come
"punizione" della loro condizione. Subirebbero il fascino della
mortalità e dell'umano ma il loro essere distruggerebbe ogni
possibilità di relazione e di poter coltivare questo sentimento; sia
per il vampiro sia per il licantropo l'amore è senza speranza alcuna.
Un'altra cosa accomuna queste due categorie di mostri, non possono
tornare alla loro condizione umana, a meno che, una strega molto
potente o la strega che li ha trasformati, annulli la fattura,
in cambio però di un prezzo troppo alto da pagare.
Per entrambi, inoltre, la morte per uccisione è difficile da
raggiungere.
Essendo però il licantropo una creatura vivente dal sangue caldo ed in
parte umana, la morte gli sopraggiungerà obbligatoriamente per
vecchiaia, oppure sopraggiungerebbe se trafitto al cuore con un pugnale
d'argento.
Nel caso del vampiro, che è un essere immortale e a sangue freddo, la
morte, a meno che, così si dice, non
venga esposto alla luce del Sole o trafitto al cuore con un paletto di
legno di frassino, non sopraggiungerebbe nemmeno dopo millenni.
La morte è, per le due
creature delle tenebre, la liberazione ultima dalla loro condizione.
Erbe come l'aconito* per i licantropi e la verbena* per i vampiri,
sarebbero in grado di indebolire e rendere momentaneamente inermi le
due creature. Diverrebbero letali se combinate ad altre erbe nella
creazione di pozioni.
Non si sa come poterli riconoscere, si sa solamente che esistono e che
vagano indisturbati nel cuore della notte.
La leggenda dice infatti: ovunque vi sia un vampiro, vi è pure un
licantropo, e ovunque vi sia un licantropo, vi è pure un vampiro.
Queste creature antagoniste vivono l'una della morte dell'altra, mai vi
sarà legame fra un vampiro e un licantropo, se così fosse, l'erede
generato dall'unione dei due sarebbe l'abominio che porterebbe in breve
tempo alla fine del mondo.»
Data la veridicità
sull'esistenza dei vampiri dimostratami da Heric, ora per logica avrei
dovuto credere pure all'esistenza dei lupi mannari? E visto che qui a
Salem avevo la certezza che vi fossero almeno due vampiri, dovevo forse
credere che
vi fossero anche due o più licantropi? Sinceramente, non ero neanche
tanto convinta che di vampiri qui ci fossero solo Heric e Madeline.
Allora forse erano i lupi mannari i
responsabili della morte di quelle
giovani donne azzannate al collo da uno strano animale. Ma le date
degli omicidi, seppur compiuti di notte, non coincidevano con la data
della luna piena che era stata lo scorso 30 Marzo, la notte in cui
Jeremy sparì nel bosco.
Senza far rumore scesi in
cucina a prepararmi un altro caffè ma non lo toccai nemmeno.
Mi sedetti in cucina a fissare
la tazza piena e fumante e poggiai i gomiti sul tavolo, e poi la testa.
Ero davvero stanca, il caffè che avevo bevuto prima non aveva sortito
alcun effetto. Chiusi gli occhi per un
istante, un istante soltanto e mi ritrovai in giardino a fissare la
luna, piena e luminosa nel cielo, con in sottofondo gli ululati che si
diffondevano
nell'atmosfera notturna.
La quiete
della notte era spezzata solo dai versi dei lupi provenienti dal bosco che rieccheggiavano fino al
mio giardino. Decisi di addentrarmi nella
foresta dietro la villa.
Mi sembrava quasi di rivivere uno spaccato di vita reale
già vissuto, un déjà-vu. Camminavo serena in quel
bosco, il venticello leggero smuoveva i rami degli alti alberi
lasciando filtrare la luce dei raggi lunari che mi facevano luce
attraverso il sentiero alberato fino alla radura. Mi fermai dopo circa
un quarto d'ora di lenta camminata. Dinnanzi a me vedevo solo dei
piccoli cerchi color ambra
fluttuare nell'aria e risaltare nel buio della notte. Erano occhi,
occhi di un branco di lupi che mi fissavano.
Timorosamente mi avvicinai a uno dei lupi il quale non so perché aveva
un'aria familiare. Man mano che mi avvicinavo, gli occhi dell'animale divennero
sempre più
chiari e luminosi e brillavano nell'oscurità. Da verdognoli che erano,
diventarono ambrati come quelli di un gatto al buio. O meglio, di un
lupo. E io li avevo già visti.
«Jeremy?!- bisbigliai -Sei davvero tu?»
Angolo autrice.
*Cambridge: una città
nel
Massachusetts, non in Inghilterra.
*De
Creaturis: dal latino, complemento d'argomento de+ablativo
traduzione:"Sulle Creature";
*De
Vampyris et Lupis Hominariis: dal latino, complemento
d'argomento de+ablativo cui traduzione è "Sui Vampiri e (sui) Lupi
Mannari".
Ho scovato in un dizionario online di latino (poco attendibile
sicuramente) il
termine vampyrus che presumo
sia della seconda declinazione dunque vampyrus
-i (lo
trovate qui).
Come già detto in precendenza quando usai il termine daemon -onis, non
mi piace il termine strix -igis per
questo ho preferito altri sinonimi, anche in questo caso sebbene si
tratti di una "forzatura".
*Aconito
e Verbena: ho fatto diverse ricerche approfondite ed ero
un po' restia riguardo ad aggiungere queste erbe (son quelle citate nel
prologo). Allora l'aconito è detto anche strozzalupo, dal nome si
intuisce che sarebbe veleno per i licantropi, verbena sì, è ripresa
anche da Vampire Diaries che lo ha ripreso dalle leggenda tradizionale.
Ho trovato che anche il biancospino secondo la leggenda
indebolirebbe i vampiri ma volevo rimanere nella sezione "erbe".
Inoltre per chi non lo sapesse (lo spiegherò anche più avanti nella
narrazione) vi è una differenza sostanziale fra licantropi e lupi
mannari: i primi nascono così per "via ereditaria" diciamo, i secondi
invece lo diventano a causa di un morso o per via di un incantesimo, ma
appartengono comunque alla stessa specie. Qui c'è una
spiegazione più dettagliata.
Comunque...
Questo è forse il capitolo più importante, finalmente parte dei segreti
e dei misteri sono stati svelati, ma...siamo ancora quasi a metà storia
(:
Le curiosità sui licantropi servono ai fini della trama in modo da
comprendere meglio il resto della storia.
Mi sono impegnata molto nel descrivere in breve cosa caraterriza
vampiri e licantropi, la loro origine e la loro morte. Ho cercato in
parte di rispettare la tradizione folkloristica di entrambi,
riprendendole da leggende famose e dando più possibili modi per
l'origine di entrambi. Ho, per forza di cose messo qualcosa di mio,
come ho detto ai fini della trama. Spero di non far imbestialire
nessuna/o amante dei vampiri e dei licantropi tradizionali.
Qui sotto trovate le
fonti
da cui ho preso ispirazione. Cliccate nei vari link per sapere da dove
ho preso spunto per i diversi argomenti:
1) La
storia di Lilith (che ho romanzato)
2) Differenze
e somiglianze fra Vampiri e Licantropi
3) La
leggenda sull'origine dei Licantropi ripresa dalle "Metamorfosi" di
Ovidio
4) Un
altro approfondimento interessante sui Licantropi da cui ho preso altri
spunti
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Segreti. ***
13) Segreti.
A quel punto mi svegliai
rendendomi conto di essermi appisolata giusto
una dozzina di minuti.
Aprii la porta sul retro senza metter
piede fuori dalle mura di casa osservando il giardino e il bosco sul
retro. Tutto era tranquillo e silenzioso, non si sentivano nemmeno i
lupi ululare e la luna, ormai in fase di gibbosa, era coperta dalle
nuvole.
Non diedi molto peso al sogno che avevo
fatto perché non riuscivo a trovare un nesso fra Jeremy e quel branco
di lupi tant'è che nemmeno gliene parla il giorno dopo.
Trascorremmo la domenica da soli a casa
davanti alla TV, senza fiatare come se ci stessimo evitando. Ashley era
andata a vedere la partita di basket di Nicholas, mia madre era uscita
e Joseph era a lavoro. Io e Jeremy invece eravamo, purtroppo,
ancora in punizione.
D'un tratto, mentre guardavamo uno
stupido reality show, balzò in piedi, con aria guardinga e rabbiosa.
«Che ti prende?» gli domandai. Si voltò di
scatto verso di me come se avesse avvertito qualcosa ma non spiccicò
parola e tornò a sedersi.
Mi ero stufata di guardare la
televisione e mi annoiavo, così mi chiusi in camera mia a leggere il
Grimorio. Volevo cimentarmi nella mia prima pozione che in qualche modo
avrei fatto ingerire a Jeremy così che potesse raccontarmi ciò che mi
nascodeva dal momento che con le buone non avevo ottenuto alcun
risultato.
Ricordavo infatti che nel suo diario la
nonna parlava di una pozione della verità, la prima che aveva imparato
e che aveva usato contro sua sorella, la prozia Sarah, l'unica delle
sorelle Morgan ancora in vita. Rilessi quella parte in modo da potermi
magari orientare meglio fra le immense e numerose pagine del Grimorio.
19 giugno 1953
La tisana della verità.
«La scuola è appena terminata e
nonna Elvira vuol approfittare di queste vacanze estive per mettermi al
passo con Adele e Virginia che sono già delle vere streghe. Nonostante
abbiano solo diciannove e diciassette anni, sono entrambe già capaci di
controllare i propri poteri, di preparare pozioni e fare incantesimi.
La nonna dice che se tutte e tre riuscissimo a combinare i nostri
poteri, potremmo diventare invincibili.
Per questo oggi vuol farmi preparare la mia prima pozione,
approfittando del fatto che Sarah continua a dire bugie e mentire sul
fatto che periodicamente si metta curiosare nel nostro Grimorio. Lei,
non avendo ereditato alcun potere, non ha diritto neanche a sfiorarlo
il nostro prezioso libri di incantesimi.
Nonna Elvira teme che, prima o poi, la sua disobbedienza ci porterà
alla rovina.
Con la scusa di far merenda di pomeriggio, offrimmo a Sarah invece del
té con biscotti, la tisana della verità, ovvero la mia prima pozione
contenente timo, viola del pensiero e mandragola.
La nonna, per renderla più potente e dall'effetto più rapido e amaro,
volle aggiungere un pizzico, ma solo un pizzico di aconito.
Nemmeno a dirlo che Sarah, come se fosse ubriaca di vino, ammise tutto
e i sospetti della nonna furono fondati: Sarah voleva fare una pozione
d'amore perché innamorata di un compagno di scuola.
La nonna la punì severamente, chiudendola nella sua stanza tutto il
giorno e mandandola a dormire senza cena.
La mamma invece non era molto d'accordo riguardo questa punizione
esagerata. Ma in fondo nemmeno lei era una strega e dunque non poteva
capire il pericolo che Sarah correva nel tentativo di far uso della
magia senza essere una strega.»
Iniziai a sfogliare il Grimorio alla
ricerca della pozione per preparare la famosa tisana della
verità di cui parlava la nonna. Certo che la sua di nonna, Elvira,
doveva essere proprio una donna severa e crudele. Iniziavo a
comprendere l'atteggiamento della prozia Sarah quando andai a trovarla
qualche settimana fa, chissà cosa avrebbe pensato di me, Elvira, nel
vedermi frequentare un vampiro e giochicchiare con formule e pozioni
senza una vera e propria guida! Mi sentivo osservata, e no, non era una
semplice sensazione, qualcuno mi fissava da dentro la mia stanza
attraverso la finestra. Spalancai le ante e sporgendomi un po' sul
davanzale osservai il giardino sottostante. Tornai a sedermi alla
scrivania ma come mi voltai, seduto sul mio letto...
«Heric!?»
«Shh! Jeremy potrebbe
uccidermi se scoprisse che mi sono intrufolato nella tua stanza!»
«Che ci fai qui?» gli domandai. Oddio
che vergogna, ero in condizioni disastrose, in pigiama tutta la
domenica, un pigiama di pile tra l'altro ridicolo e pure con macchie di
caffè sul petto, i capelli un po' sporchini raccolti in una crocchia
disordinata e senza trucco.
«Volevo vederti. Forse avrei dovuto
avvisarti ma sai, non ho ancora il tuo numero di telefono.»
«Sì, forse sarebbe arrivato finalmente
il caso di scambiarci almeno il numero di telefono.»
Mi sedetti alla scrivania con la sedia nella sua direzione ma lontana
almeno due metri da lui, tremendamente in imbarazzo, senza saper cosa
dire o cosa fare. Heric si alzò e in un batter d'occhio era accanto a
me e con lo sguardo scrutava il grimorio aperto sulla scrivania alla
pagina relativa alla pozione della verità.
«Beh, immagino che tu non abbia ancora parlato con Jeremy» esordì.
«Hai indovinato. Lo so che non
sarebbe molto "etico" fargli bere una pozione in modo che sputi il
rospo ma credo di non avere altra scelta. A meno che, dal momento che
mi pare di capire che tu, per non so quale bizzarro motivo, sappia cosa
mi nasconda, non voglia dirmelo.»
«Meredith- Jeremy bussò
improvvisamente alla porta di camera mia -con chi parli?»
Alzai lo sguardo terrorizzata verso
Heric che in un lampo era sparito dileguandosi dalla finestra. Jeremy
spalancò la porta osservandomi torvo.
«Nessuno. Sto leggendo ad alta
voce. E poi non ti ho detto mica di entrare.»
Mugugnò qualcosa e andò in camera sua.
Tirai un sospiro di sollievo, ce l'eravamo vista proprio brutta! Non
osavo immaginare che reazione avrebbe avuto nel vedere Heric nella mia
camera. In realtà non riuscivo proprio ad immaginarmeli insieme nella
stessa stanza, non potevo proprio figurarmi un loro dialogo.
Ora che ero nuovamente sola, potevo
concentrarmi totalmente sulla mia pozione. Lessi così a mente la pagina
del Grimorio che ne riportava gli ingredienti e la formula magica da
recitare:
La tisana della verità.
«Non sempre le persone sono
oneste e non sempre dicono la verità. Ci sono segreti che non
andrebbero mai rivelati ed altri che, per questioni di vita o di morte,
andrebbero confessati.
La fiducia è spesso il limite dell'umano,
creatura fortemente egoista e fallace, debole e fragile, semplice e
primitivo.
La lealtà è una virtù alla base della fiducia e questo incantesimo non
lo è per cui mai dovrà essere usato per fini vili o civettuoli.
Ingredienti:
- Viola del Pensiero: 5 petali;
- Timo: un rametto;
- Mandragora;
-Acqua: un bicchiere per persona.
Formula:
Petali di Viola del Pensiero
per farti dire il Vero,
Un rametto di Timo
per farti confessar per primo,
Una manciata di Mandragora
affinché non vi sia alcuna metafora
nelle tue parole,
Un po' d'acqua corrente
per ripulirti coscienza e mente.
Che questo tuo mistero
così infame, infimo ed intimo
non sia più la tua àncora
e che la tua parola
sia così reale e coerente.
Nota bene: XXXXXXX»*
«Sembrava piuttosto semplice» pensai chiudendo il libro.
Mi occorrevano soltanto petali di viola del pensiero, timo che
senz'altro avrei trovato nella mia cucina, mandragora e della semplice
acqua. E, ovviamente, vi avrei aggiunto anche dell'aconito, come aveva
fatto la bis-bisnonna Elvira.
Mi ricordai che su in soffitta
nel baule dove trovai il Grimorio e il ciondolo, la nonna aveva
conservato all'interno di un cofanetto varie
ampollette e sacchetti contenenti dell'erbe. Mi precipitai su di corsa
intenta a frugare dentro quel vecchio baule ma trovai solo l'aconito.
Mancavano dunque i petali della viola del pensiero e la mandragora.
L'indomani sarei tornata nel negozio
della signora Xiang, ero convintissima che lei vendesse queste cose.
Dovevo solo trovare un'altra scusa per
poter tornare a casa più tardi visto che mancavano ancora tre giorni al
termine della punizione in cui ero stata castigata a causa di Jeremy.
Lunedì mattina sia Heric sia Madeline
tornarono a scuola.
Sicuramente lui le aveva riferito di avermi confessato tutto perché
continuava a fissarmi e gettarmi occhiatacce da lontano ogni qual volta
la incrociassi in corridoio.
Le ore di lezione trascorsero
tranquille: ormai io frequentavo Heric e Jeremy stava con Alexis.
Sapevamo entrambi, io e mio fratello, che Heric fosse un vampiro e che
non correvo pericolo e dunque non c'era più ragione di esser gelosi
l'uno dell'altra o di temere il peggio.
Alla fine dell'ultima ora, la lezione di spagnolo che né Heric né
Jeremy frequentavano, proposi a George di parlare di cose
importanti. Lui capì subito a cosa mi riferissi. Declinai,
purtroppo, l'invito a pranzo con Heric (anche se non capivo come mai
mangiasse cibo per umani!) e andai a parlare con il mio strambo amico
in giardino alla penombra di un albero prima di raggiungere gli altri
per pranzo.
Non sapevo da dove iniziare, lui mi guardava curioso ed
esordì con «Ho ripensato a quello che mi hai detto, cioè che quella
frase l'avevi sognata». Annuii.
«Di cosa volevi parlarmi?»
«Tu credi alla magia e all'esistenza delle streghe?»
«Mmmh. In qualcosa sì certo- rispose un po' titubante -quale sarebbe esattamente la
tua domanda? Dove vuoi arrivare?»
«Diciamo che ultimamente mi succedono cose...definiamole bizzarre. E
credo che se potessi trovare e leggere la famosa Bibbia delle Streghe,
troverei finalmente le risposte che sto cercando.»
«Se mia nonna fosse qui,
saprebbe senz'altro rispondere alle tue domande. Lei era
pratica di queste cose- affermò con tono nostalgico e nella mia mente pensai che
anche la mia di nonna, se fosse stata qui,
avrebbe saputo cosa fare -E comunque, l'esistenza
della Bibbia delle Streghe è incerta, non è sicuro nemmeno che esista e
di certo non avresti il diritto di leggerla. Se posso permettermi, secondo
me, tu ti sei fatta troppo influenzare
dal mio racconto sul processo delle streghe. Ora non so cosa ti sia
successo da farti pensare di trovare risposte in un libro
leggendario né che strane letture tu faccia per portarti
addirittura a sognare frasi in latino,
ma sai il cervello assorbe tutto, anche se tu non ricordi o non sei
cosciente delle nozioni acquisite. Magari hai letto quella frase da
qualche parte e l'hai sognata senza sapere che si trovasse nel tuo
inconscio. Comunque, ti consiglio di star fuori da queste cose.»
«Forse hai ragione. L'avrò sentita o letta da qualche parte»
tentai di riprendere la pietra che avevo lanciato ma lui non fu
convinto. Nemmeno io ero particolarmene convinta di ciò che affermava e
avevo come l'impressione che sapesse molto di più di quel che
raccontava. Anzi, sembrava quasi saperne fin troppo e volermi tenere
all'oscuro.
«Credo andrò a cambiarmi ora prima di mangiare. Dopo abbiamo educazione
fisica.»
George raggiunse il tavolo di
Alexis e Matt mentre Jeremy, che era lì coi fratelli Cooper, mi venne
incontro. Quando mi voltai vidi i tre confabulare. Ero sempre più
convinta che George
sapesse qualcosa e pure Alexis e Matt non me la raccontavano giusta.
«Beh,
che dice il metallaro?» ridacchiò Jeremy quando mi raggiunse. Io non ci
trovavo nulla di
divertente.
«Nulla.»
«Dove stiamo andando?» domandò un po' perplesso.
«In biblioteca. Sogno continuamente la biblioteca della scuola. Ci
dev'essere qualcosa di importante nascosto lì e penso anche di sapere
cosa sia e dove sia.»
Mi riferivo sempre alla Bibbia delle Streghe, il libro supremo della
magia, l'unico che,
alla fine del 1600, in seguito al processo di Salem, non venne
mai ritrovato
dopo che le abitazioni delle streghe vennero saccheggiate. Ora
quasi
tutti i grimori erano stati riportati qua nella biblioteca scolastica
mentre il resto degli oggetti magici erano depositati al Salem
Witch Museum. Ero
convinta si
trovasse in qualche passaggio segreto nascosto lì nella biblioteca
della Salem High School, poggiato su una tribuna con di fronte
un altare
che nascondeva un altro passaggio segreto al di sotto, una botola con
una lunga
rampa di scale in discesa, come nei miei sogni. Dopo aver scoperto la vera
identità di Heric, la ricerca di quel libro era diventata la mia nuova
ossessione. Ma oltre questo, dovevo scoprire al tempo stesso
come fosse morta la mia adorata nonna, cosa o chi stesse uccidendo le
donne, giovani e non, di Salem e smascherare ciò che Jeremy mi stava
nascondendo.
«A parte vecchi libroni noiosi cosa mai
ci potrà essere lì?» domandò
con aria sarcastica e lo ignorai. Ormai non poteva più giocare la carta
del sei una pazza!
Perlustrammo tutta la biblioteca, spingemmo vecchi scaffali,
controllammo il pavimento alla ricerca di botole, ma nulla, stavolta
non c'era nulla. Non era possibile.
«Dobbiamo andare dai. Abbiamo ginnastica e il professore poi rompe» mi
ammonì.
«Aspetta, qui c'è qualcosa...»
«Quante volte devo ripetervi che
prima di prendere i libri dagli scaffali dovete prenotarli in
segreteria?» la Signorina Smith, la
bibliotecaria, irruppe alle nostre spalle rimproverandoci e
intimandoci di andare a lezione perché la pausa pranzo era quasi
terminata.
Sbuffammo e ce ne andammo via per prepararci all'ora di ginnastica.
Andai a cambiarmi, mangiai una mela al
volo e poi raggiunsi i miei
compagni in palestra scusandomi con il professore per il
ritardo. Jeremy era già lì, seduto in
panchina con aria annoiata, mentre Heric giocava a
basket con alcuni ragazzi. Mentre mi avviavo verso mio fratello
qualcuno mi tiro per un braccio: era George.
«Ancora ossessionata con la
biblioteca?- borbottò -ho visto te e Jeremy andare lì durante la pausa
pranzo. Ti avevo caldamente
consigliato di starne fuori da queste cose» aveva un'espressione
contrariata. Non sapevo cosa
rispondergli e mi
inventai che cercavo dei libri per una ricerca scolastica. Non ci
credette e cominciò a farmi domande a riguardo.
«La biblioteca scolastica è aperta a tutti gli studenti, no? Mi servono
dei libri per il progetto di storia!
Cercavo qualcosa sul Cimitero Monumentale di Salem e i vecchi archivi
sugli alberi genealogici delle antiche famiglie della città.
Hai mai sentito nominare i Cavendish o i Thompson?» Cavendish
era il nome riportato sulla Cripta che avevo sognato tempo fa, Thompson
era il nome realmente inciso su di essa. George mi guardò con aria un
po' turbata e fece spallucce come per dire
che non ne sapeva nulla. Con una scusa si allontanò e raggiunse gli
altri ragazzi che giocavano a basket mentre io mi sedetti in panchina
con Jeremy.
«Credo che l'amico metallaro
nasconda qualcosa. Ha un'aria sospetta. Inizialmente pensavo
fosse innocuo, uno un po' sfigato ecco, ma ora non so perché
non mi convince affatto» disse Jeremy osservando attentamente George.
In effetti, inizialmente, si era
mostrato molto gentile e aperto, disponbile ad aiutarmi ogni qualvolta
avessi un dubbio o una domanda riguardo questioni "sovrannaturali", ma
ora sembrava quasi volesse prendere le distanze ed evitare qualsiasi
argomento relativo alle streghe, alle vecchie leggende e alla magia.
Il professore di educazione fisica,
vedendo me e Jeremy confabulare in panchina senza far nulla, si
avvicinò per rimproverarci quando sentimmo un enorme frastuono che
riecheggiò per tutta la palestra. Tutti e tre ci voltammo spaventati
dal rumore verso i ragazzi. Il pallone da basket era scoppiato in mille
pazzi tra le mani di Heric. Il
professore corse verso di lui per vedere se stesse bene e capire cosa
fosse successo, io rimasi lì immobile, senza capire realmente cosa
fosse successo.
«Ho ragione, hai visto?» sentenziò
Jeremy. Mi alzai bruscamente e raggiunsi Heric. Considerando che
possedeva una forza sovraumana non ero preoccupata che fosse rimasto
ferito, però sentivo che per qualche strana ragione fosse in pericolo.
«Sto bene sto bene» ripetè più volte sia a me sia al professore sia ai
nostri compagni. I due iniziarono a fissarsi in maniera insistente poi
George mi lanciò un'occhiata di sfida e si allontanò dal gruppo. Feci
come per seguirlo ma Jeremy mi prese il braccio per trattenermi. C'era
qualcosa che non quadrava affatto.
«Su ragazzi è tutto a posto!
Riprendete con gli allenamenti» ci ammonì il professore.
Mollai la presa di Jeremy e
discretamente mi avvicinai ad Heric per chiedergli se fosse stato lui
con la sua immane forza da vampiro a distruggere il pallone da basket,
rispose
di no, in maniera abbastanza perplessa: lui la palla l'aveva a malapena
sfiorata.
«Il tuo sesto senso da vampiro
non ti suggerisce nulla?»
«Nessuno dei ragazzi con cui
giocavo mi ha fatto percepire qualcosa ma di certo quel George non me
la racconta giusta. Credo tu gli piaccia, ti ronza parecchio attorno e
ha voluto in qualche modo farmi un dispetto lanciandomi addosso la
palla e forse non ho misurato bene la mia forza quando mi è arrivata»
fu la sua spiegazione logica. Dopo che disse che
George mi ronzava troppo
attorno smisi di ascoltarlo, era geloso! Cavoli!
Scossi la testa per scacciare quegli
stupidi pensieri adolescenziali e annuii, sicuramente aveva ragione.
L'indomani, con più calma e discrezione,
avrei perlustrato meglio la biblioteca. La reazione di George mi aveva
confermato che lì ci fosse davvero qualcosa.
Ma cosa?
Angolo autrice.
*Nota bene: XXXXXXX:
è censurato poiché la protagonista stessa non ha continuato la lettura
saltandone un passo...fondamentale. Ovviamente l'ho
dovuto censurare per non fare spoiler e non darvi troppi
indizi preziosi, perché sennò sarebbe troppo facile svelare il mistero!
Siamo all'incirca a metà
storia ormai. In questo racconto sono fondamentali gli intrecci, nulla
è
lasciato al caso, dunque cerco di riprendere spesso alcuni elementi per
non
farveli scordare come, ad esempio, gli omicidi delle donne svolti
seguendo due differenti dinamiche, senza dimenticare la tomba delle
famiglie Cavendish/Thompson, lo strano George, la prozia Sarah ecc.
A breve farò un piccolo resoconto dal momento che son passati secoli
dalla pubblicazione dei primi capitoli e che son stati rivisitati e
corretti di recente.
Ringrazio chi segue
ancora
questa storia ed è arrivato/a fin qui, grazie grazie davvero (:
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** L'appuntamento. ***
14)
L'appuntamento.
Finalmente era giovedì! La mia
ingiusta punizione era terminata e, per le prossime volte, me ne sarei
ben riguardata dal preoccuparmi troppo di Jeremy, di cosa facesse e di
dove andasse sparendo per ore o nottate intere. Più o meno, perché in
fondo non potevo negare a me stessa che stessi iniziando a provare una
sorta di sentimento protettivo nei suoi confronti ed ero sicura che la
cosa fosse reciproca sebbene non andassimo molto d'accordo.
Avevo mille impegni quel giorno, il mio
primo giorno di libertà. Non ero decisamente abituata alle punizioni:
sia ieri sia i giorni prima, non ci fu verso di far cambiare idea a mia
madre e lasciarmi uscire almeno un attimo per andare alla bottega della Signora Xiang e comprare
le erbe che mi occorrevano per la pozione della verità. Disse che
l'eccezione l'aveva già fatta quando lasciò uscire me e Jeremy domenica
per portare gli appunti di scienze ad Alexis. Non potevo, dunque, darle
torto.
Nel frattempo io ed Heric
avevamo cominciato una fitta corrispondenza via SMS: ci
eravamo decisi a scambiarci il numero
di telefono rimanendo anche ore a parlare scambiandoci messaggi,
pranzavamo sempre insieme, sedevamo vicini durante i corsi in comune e
una di quelle sere passò anche a trovarmi a casa, passando dalla
finestra. Ero sempre più presa da lui ed ero così felice e serena che
non stavo nemmeno facendo più incubi e, di conseguenza, avevo
tralasciato per un momento i vari rompicapo sovrannaturali che mi
attanagliavano.
Dopo la lezione di chimica del
giovedì, in cui purtroppo mi trovavo ancora in coppia con Jeremy per
preparare insieme il progetto di scienze, andai come di consueto a
pranzo con Heric. Quel giorno si unì a noi anche Madeline perché Heric,
che la considerava al pari di una sorella, ci teneva che io e lei
facessimo amicizia o che per lo meno non ci detestassimo.
Madeline era bellissima. La sua aria un
po' burbera e solitaria ed il suo essere così sicura di sé la rendevano
ancora più affascinante. Se non fosse per il solo fatto che fosse di
poche parole, l'avrei paragonata alla mia sorellastra Ashley:
avevano lo stesso atteggiamento arrogante e vanitoso.
Heric cercò di trovare diversi spunti per fare conversazione ma nessuna
delle due parlò: io ero troppo in imbarazzo per non dire nulla di
sciocco e Madeline era semplicemente non interessata a conoscermi. Non
so se per gelosia verso Heric o se perché mi ritenesse un pericolo per
la specie dei vampiri. Si limitò a mangiare un piatto
di carne e se ne andò agli allenamenti, anche lei era nella squadra
delle cheerleader, lasciandoci finalmente soli.
«Sai, continuo a domandarmi
come mai tu e Madeline mangiate cibo per umani, cioè in realtà mangiate
solo carne, perchè?»
«Beh- si interruppe e
ridacchiò - Io invece mi chiedevo, visto che oggi termina la tua
punizione, se ti andasse di uscire con me? Per un vero appuntamento?
Così forse ti spiego anche perché mangiamo cibo vero.»
Cominciai a tossire, la minestra che
stavo mangiando mi andò di traverso e per poco non mi uscì dal naso.
Cavoli, un appuntamento vero io ed Heric! Avevo sentito giusto?!
«Tutto bene?» mi domandò
soffocando una risata.
«Sì sì, tutto bene! Sì, mi
piacerebbe molto uscire insieme a te. Ma oggi...ecco questo pomeriggio
non posso.»
«Che ne dici di domani? O di
sabato?»
L'indomani era perfetto, non avrei voluto aspettare un giorno di più ma
non potevo proprio uscire con
lui quel giorno. Era giovedì 8 aprile ed era passato esattamente un
mese da quando la nonna era venuta a mancare e volevo andare in
cimitero a portarle dei fiori e, per rispetto sia a lei come persona
sia al suo essere una strega, non sarei uscita con il mio ragazzo
vampiro, almeno per quel preciso giorno. Heric capii perfettamente cosa
provassi e cosa intendessi e dopo il pranzo andammo in palestra per la
lezione di ginnastica rimandando dunque l'appuntamento all'indomani. I nostri compagni erano già lì
che si riscaldavano eccetto George: da quando il pallone da basket
esplose colpendo Heric, non si era più presentato alle ore
pomeridiane di educazione fisica. E forse era meglio così, inizia quasi
ad incutermi paura.
Al termine, Heric si offrì di darmi almeno un passaggio ma dovetti
rifiutare spiegandogli che non era proprio il caso e che avevo bisogno
di andarci da sola. Non avvisai nemmeno Jeremy e dopo la
lezione andai direttamente al cimitero. Mi ci vollero circa venti
minuti a piedi per raggiungerlo.
Mary Elizabeth Morgan,
la tomba in cui riposava eternamente mia nonna giaceva lì, di fronte a
me. Sistemai i fiori freschi che avevo comprato lungo il cammino e
raccolsi da terra quelli ormai appassiti.
«Ciao nonna, come stai? Io sto bene,
diciamo. Avrei tante cose da dirti, tante domande da farti ma tu non ci
sei più. Non ricordo nemmeno l'ultima volta che abbiamo parlato né
ricordo di cosa. Mi manchi tanto...» mi sentivo una sciocca e una pazza
a parlare con la sua lapide ma il rimpianto di non aver trascorso
abbastanza tempo con lei mi torturava. Non avere più la sicurezza che,
nonostante la lontananza, lei ci fosse ancora mi dava un senso di vuoto
incolmabile. Mi asciugai le lacrime con la manica del giubbino
e mi avviai verso l'uscita del cimitero buttando i fiori secchi che
avevo tolto dalla sua tomba.
«Ciao nonna. A presto!»
Ora dovevo andare assolutamente al negozio di Mei-Lin. Ormai
avevo preso questa
faccenda delle streghe, del libro magico e degli
incantesimi seriamente ed ero decisa ad usare la mia prima
pozione su Jeremey.
La bottega della Signora Xiang
era situata in fondo ad un vicolo cieco, nascosta da occhi
indiscreti e isolata dalle varie catene di negozi del circondario cui
nome, Shenyang Shop, risaltava in contrasto ai vari H&M,
Forever21 ed altri della zona. Varcai l'ingresso e una sensazione di
pace e tranquillità mi pervase: musica zen e incenso rendevano
l'atmosfera di quel negozi di magia una vera magia.
«Sapevo saresti tornata prima
o poi» la donna mi sorrise al di là
del bancone. Mi guardai attorno affascinata ed estasiata: la prima
volta che misi piede al Shenyang circa un mese fa mi sentii quasi
spaesata e a disagio ma ora, dopo neanche quattro settimane tutto era
cambiato.
«Mi occorrono dei petali di viola del pensiero e della mandragora.»
La Signora Xiang annuì e si voltò
frugando in qualche cassetto del mobile alle sue spalle. Mi impacchettò i fiori e le
erbe in due sacchetti separati, me li imbustò, pagai e la
ringraziai.
«La verità rende liberi* ma conoscere
certi segreti può rendertene schiavo.»
Ritrassi la mano dal pomello
della porta e rimasi immobile qualche secondo davanti
all'uscita.
«Da certi segreti, però,
dipendono questioni di vita e di morte.»
Un giorno senza vedere Heric mi era
sembrato davvero un'eternità. Ormai ne ero come dipendente, mi faceva
sentire viva, lui che era... un vampiro.
Decisi di rimandare all'indomani di
far bere la pozione a Jeremy: mi occorreva tempo, una scusa plausibile e un piano strategico. Quel
giorno non avevo la testa per ideare tutto ciò, ero emozionata per il
mio appuntamento con Heric e volevo godermi la serata insieme a lui
come due "normali" adolescenti.
Entrai nell’aula di biologia con mio fratello e ci sedemmo vicini come
al solito. Oramai non mi era di peso stare tra lui e Heric: prima mi
mettevano apprensione i loro sguardi e le continue occhiatacce che si
lanciavano, ora, che parte dei segreti erano stati svelati, non più di
tanto.
Heric era già lì seduto. Mi rivolse un
sorriso e mi salutò e mi accorsi che il ciondolo era rimasto
della stessa temperatura mentre sentivo il cuore battere forte
dall'emozione di rivederlo. Mi sembrò che stesse per esplodere quando
mi chiese conferma per uscire quella sera. Ero patetica.
«Quindi stasera usciamo, sì?» disse allo
squillare della campanella, sfoderando un bellissimo sorriso.
«Finalmente» pensai tra me e me, e
risposi ovviamente di sì.
«Passo alle 5 da te?»
«Perfetto.»
Era da un po’ che non uscivo con un
ragazzo. Le mie relazioni erano sempre state un disastro e i vari
appuntamenti che avevo avuto nel corso degli anni non avevano mai
portato a nulla di buono o di stabile e avevo quasi cominciato a
rassegnarmi a una vita sentimentale inesistente. Ma da quando
mi trasferii a Salem, tutto era cambiato. Per questo avevo
lasciato i ricordi e tutto il resto a Coral Springs, mi ero lasciata il
mio passato non tanto felice e soddisfacente lì, a cuocersi sotto il
sole della Florida ed Heric era per me come una ventata d'aria fresca.
Jeremy per tutto il tempo non mi rivolse
la parola. Era per via di Heric? Ancora? Che gli desse fastidio il
fatto che uscissi con qualcuno o con lui? Che domande idiote! Quando
abitavamo in Florida non sembrava importargli nulla della mia vita
privata. Eravamo sempre stati due estranei sotto lo stesso
tetto, cosa fosse cambiato in lui lo avrei
presto scoperto: «Petali di Viola del
Pensiero, per farti dire il Vero...»
Avevo lezione di spagnolo ora. Quello era l'unico corso che seguivo da
sola, senza né Heric né Jeremy. Stando sempre con loro non avevo fatto
amicizia con nessun altro e l'unico che conoscevo che frequentasse
spagnolo era George. Mi feci coraggio e mi avvicinai al suo banco. Pur
non avendone alcun motivo gli chiesi scusa, forse lo avevo turbato in
qualche modo o avevo fatto qualcosa che gli aveva dato fastidio, fatto
sta che era meglio tenermelo buono sia perché iniziava a darmi
l'impressione di essere un tantino pericoloso sia perché ero convinta
potesse aiutarmi in alcune questioni bizzarre da strega.
«Non ti devi scusare. Sono
stato io quello sgarbato- disse scrutandomi con attenzione -il mio era
solo un consiglio e vorrei che lo seguissi. Stai fuori da queste cose,
lascia perdere la biblioteca. In fondo è solo una biblioteca.»
Bingo! C'era qualcosa nella biblioteca,
lui lo sapeva. Sennò perché insistere sul fatto che fosse solo una
biblioteca?
L'ora passò serena e tranquilla e rimasi
seduta accanto a lui. Avreii voluto domandargli cosa fosse successo in
palestra la scorsa settimana e perché non stesse più frequentando le
lezioni di educazione fisica ma non volevo tirare troppo la corda.
Alla fine dell'ora di spagnolo ci
dirigemmo insieme verso l'aula di letteratura. Jeremy era in corridoio
a sbacciucchiarsi con Alexis il che mi dava alquanto sui nervi ma
cercai di apparire impassibile.
Quel giorno Heric uscì prima da scuola.
Disse di dover procacciare, che
parafrasato significava che doveva nutrirsi di sangue in vista del
nostro appuntamento così pranzai insieme
ad Alexis e Jeremy, Matt e
George. L'atmosfera era abbastanza tesa, la tensione fra noi era
palpabile. Li osservavo uno per uno: cosa era successo? All'inizio si
erano dimostrati tutti così ospitali e gentili, ma ora avvertivo un
qualcosa quasi macabro che si celava in ognuno di loro. George, beh su
George si potrebbe scriverne un libro sulle sue stranezze, ma riguardo
i due fratelli Cooper c'era un non so che di ambiguo. Ogni tanto si
scambiavano sguardi complici, come se comunicassero telepaticamente con
i loro occhi cangianti che, alla luce del sole, sembrano
pietre d'ambra. Occhi color ambra... Mmh. Iniziai a pensare
che forse Alexis fosse una strega e che avesse fatto un qualche
incantesimo a Jeremy per farlo cadere ai suoi piedi in così poco tempo
considerato che all'inizio lui non la sopportasse neanche. E se non
fosse stata una strega buona?
«Meredith? Tutto ok?» mi apostrofò
mentre ero imbambolata a fissarla.
«Eh? Sì scusa, ero assorta nei
miei pensieri.»
I ragazzi se ne andarono: Matt aveva gli allenamenti di basket e né
George né Jeremy né io avevamo lezioni pomeridiane di venerdì. Potei
così restare sola con Alexis.
rima di andarsene Jeremy le scoccò un
bacio sulla guancia guardandomi con la coda dell'occhio e si allontanò.
«Vedo che tu e Jeremy siete
piuttosto affiatati ora.»
«Sì! È proprio un ragazzo fantastico. Tu piuttosto, come va con Heric?
È vero quel che si dice e cioè che state uscendo insieme?» mi rispose
con tono civettuolo.
«Beh in realtà usciamo stasera
per la prima volta.»
«Lo scapolo d'oro di Salem non è più
single! Non sai quanto ti invidiano le nostre compagne. Soprattutto le
cheerleader.»
«Ah sì?» sorrisi forzatamente, la
salutai e raggiunsi Jeremy in auto.
Quando tornammo a casa, avevo tutta l'intenzione di parlare con Jeremy.
Prima però, con tutta calma mi preparai e mi truccai, non volevo
rischiare di far tardi a causa di un’altra litigata con lui. Ero stra
sicura che avremo discusso di nuovo.
Bussai in camera sua, erano le quattro e
mezza. Mancava mezzora. Solo mezzora e finalmente io e Heric potevamo
ricominciare senza segreti. Non che avessimo lasciato qualcosa in
sospeso o che ci fosse stato chissà cosa tra noi due, ma lo vedevo come
un nuovo inizio.
«Jeremy. È tutto a posto?» dissi mentre
aprivo la porta.
«Sì» rispose antipatico come se volesse
chiudere lì la conversazione che avevo intenzione di iniziare.
«Ho notato, e questa è semplicemente una
mia supposizione, che sembra ti dia fastidio il fatto che esca con
Heric e vorrei capire perché soprattutto dal momento che ti stai
vedendo con Alexis e non vi nascondete di certo in uno stanzino quando
vi scambiate effusioni.»
«Credo che quella a cui dia fastidio il
fatto che io esca con qualcuno sia tu. O mi sbaglio?» mi
domandò voltandosi verso di mentre stava sdraiato a leggere. Mi fissò
per un attimo in attesa che io spiccicassi parola. Non risposi, non
sapevo che rispondergli. Forse prima di accusarlo di esser geloso di me
ed Heric dovevo far pace io col mio cervello e capire un po' che
sentimenti stavo coltivando nei suoi confronti.
«Non mi da fastidio. Ma vorrei
capire cosa ti piaccia di lei, ora. All'inizio a malapena la
sopportavi.»
«Ahh! Che palle, ma sei
proprio un'impicciona. Che ti importa?»
«Voglio la verità.»
«Vuoi la verità? Non lo so
neanche io. Quel che provo per Alexis è inspiegabile» inspiegabile,
disse. Aveva definito i suoi sentimenti per lei come un qualcosa di
inspiegabile. Poi aggiunse «Nel senso che non so dargli
una spiegazione logica. È
come se fossimo legati da un qualcosa.»
«Lo sapevo! È una strega anche lei, sono
certa che ti abbia fatto un incantesimo!»
«Non dire cavolate. Io mica ti
chiedo cosa ci trovi in Heric lo zombie né insinuo che ti abbia
soggiogata in qualche modo!»
«Non è uno zombie ma un
vampiro! E poi Heric è gentile,
divertente, sicuro di sé, leale, bellissimo.»
«Sì sì, ok ho capito. Hai trovato il principe azzurro. Ora che sai la verità puoi
fare quello che ti pare. Io ho cercato di tenerti lontano dai
pericoli ma tu hai fatto la tua scelta. Dunque lasciami in pace. Ok?»
Sobbalzai alle sue parole. Mi fece
tornare in mente il sogno in cui eravamo in biblioteca io, lui e Heric
e ad un certo punto Jeremy disse qualcosa come:
«Non c'è più speranza, hai fatto la tua scelta...»*
«Lui non mi farebbe mai del male, lo so,
me lo sento.»
«Non puoi saperlo con certezza.
Comunque, fa' quello che vuoi.»
«Fottiti!» chiusi la porta e me ne
andai. Avrei preferito che mi mettesse in guardia o che cercasse di
farmi cambiare idea piuttosto che sentirmi dire «fa' quello che vuoi»
come se non gliene fregasse nulla. Forse, però, ero solo viziata. Forse
volevo di nuovo sentirmi protetta da lui. Forse, e sicuramente, il
fatto che lui si comportasse in maniera gelosa mi compiaceva. Avere due
ragazzi che in un certo senso mi stavano dietro mi
compiaceva. Uff, ma che diavolo mi stava prendendo!?
Alle cinque spaccate arrivò Heric e
decisi di non pensarci più e godermi la serata come una normale
adolescente che usciva con un normale ragazzo di diciassette anni.
Diciassette anni e... qualche secolo di troppo!
Heric notò subito che c'era qualcosa che
non andava: ero visibilmente turbata e innervosita ma feci finta di
nulla. Non mi andava di dirgli di aver discusso, di nuovo, con Jeremy,
avrebbe potuto chiedermene il motivo e non avrei di certo potuto dirgli
che ero gelosa di lui. Perché sì, ero gelosa di lui.
Andammo nella caffetteria dove qualche
settimana prima mi recai, dopo aver fatto shopping, con Alexis, quando
ancora ero convinta che fosse una normale e innocente ragazza. Heric
ordinò un gelato alla menta, io non avevo fame e presi solo una tisana. Ci accomodammo ad un tavolino
accanto alla finestra, c’era poca gente così nessuno avrebbe fatto caso
ai nostri discorsi strambi.
«Non mangi mai. L'ho notato da
un po'. Perché?»
«Non ho molto appetito ultimamente- la
rabbia e le preoccupazioni mi facevano passare la fame e ultimamente
c'era sempre un motivo che facesse o arrabbiare o angosciare -Tu
piuttosto, come mai mangi cibi solidi?» gli domandai tutt'orecchie. Avevo già letto da qualche
parte, forse nel Grimorio o nel De Creaturis qualcosa al riguardo ma
ero curiosa comunque di sentire la sua risposta, la risposta di un vero
vampiro.
«Beh, il cibo è per
me come...non riesco a trovare un termine di paragone. Mmh
ecco, sarebbe come se tu, oltre alla tua normale dieta, bevessi tisane.
Non è necessaria, non ti da energia ma al tempo spesso non nuoce alla
tua salute. La mia dieta è il sangue, il cibo umano è solo un contorno.»
«Il che ha un senso. Ma
quindi per te il cibo non ha sapore?!»
«Sì che lo ha. I nostri sensi sono
amplificati, i gusti forti quasi mi nauseano. A parte l’immortalità, la
sete di sangue e il fatto che il sole ci incenerisca siamo fisicamente
esseri umani. Ah e ovviamente noi i vampiri abbiamo più riflessi, siamo
più veloci e non proviamo, quasi mai, dolore. Ma non sono immuni alle
ferite.»
Ero meravigliata, sbalordita, ammaliata
da quella affascinate creatura sovrannaturale. Era ancora più sexy
mentre mangiava il suo cono alla menta e cercai di fare attenzione a
quello che diceva scacciando tutti i pensieri osceni che mi passavano
per la testa.
Rimanemmo a parlare nella caffetteria
per ore, come se lì ci fossimo solo noi, senza badare al tempo che
trascorreva o alla gente che entrava ed usciva. Restavo ad ascoltare le
sue avvenutre da vampiro, la sua voce era musica per le mie orecchie e
lui una gioia per i miei occhi. Passai una serata piacevolissima come
non mi capitava da anni. Come potevo, dunque, anche solo pensare di
poter esser gelosa del mio fratellastro quando accanto a me avevo un
ragazzo come Heric?
«Si è fatto tardi. Ti va di andare a cena? Conosco un posto carino e
forse ti tornerà l'appettito» mi propose.
Erano già le otto e mezza di sera
passate: il tempo era volato davvero in sua compagnia, ma per Heric il
tempo era infinito mentre a me sembrava di avere i minuti contati.
Non avremmo avuto l'eternità.
Angolo autrice.
*La
verità rende liberi: dal Vangelo secondo Giovanni.
*«Non
c'è più speranza, hai fatto la tua scelta nonostante quel che c’è stato
tra noi»: cap 7 "L'enigma del ciondolo"
Inizialmente
il personaggio di George doveva essere marginale ma, prepotentemente
non ne vuol sentire di farsi da parte. Anche per Alexis avevo in mente
un altro sviluppo, soprattutto nella mia idea iniziale lei non doveva
avere alcuna speranza con Jeremy ma invece...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Luna Piena. ***
15)
Luna Piena.
Heric guidò per circa un quarto
d'ora fra le trafficate
strade di un
caotico venerdì sera a Salem e parcheggiò poi l'auto davanti
a un piccolo pub, The
Shadow's,
non molto distante dal centro e situato in una zona non particolarmente
raccomandabile della periferia. Ma ero in sua compagnia ed insieme a
lui non avevo nulla di cui temere.
«Beh, che te ne pare?» mi
chiese scortandomi fino all'ingresso e aprendo la porta per farmi
accomodare dentro come un vero cavaliere.
«Sei sicuro che possiamo
entrare in un pub?» gli domandai perplessa.
Heric ammiccò e, con tono fiero, asserì di conoscere chi vi lavorasse e
che per questo motivo non ci avrebbero mai chiesto il documento
d'identità. Eravamo
minorenni, o per lo meno io lo ero. D'un tratto, mentre
ero intenta a guardarmi attorno, si avvicinò la cameriera e capii
subito a chi si riferisse quando affermò di conoscere qualche
dipendente quel
locale: Madeline lavorava lì. La vampira ci squadrò con aria un po'
contrariata e ci fece accomodare ad un tavolo per due. Sebbene
dall'esterno, per via della zona appartata in periferia in cui era
ubicato, sembrasse un luogo sconsigliabile e di dubbia fama
frequentato da loschi individui, all'interno in realtà si
nascondeva una vera perla arredata con gusto e, nonostante fosse
venerdì
sera e fuori in centro quasi regnasse il caos del fine settimana,
l'atmosfera lì era
piuttosto tranquilla e rilassata, con musica da lounge bar non troppo
alta e luci soffuse.
Pensai tra me e me come mai un
vampiro lavorasse e per giunta in un bar ed Heric, come se mi avesse letto
nel pensiero, mi
disse prontamente che quella per Madeline era una sorta di copertura.
«Copertura?» ripetei con tono
interrogativo un
po'
spiazzata.
«Beh, in qualche modo dobbiamo
pur sopravvivere.
Più che altro, serve a Madeline per procacciare.»
«Cosa intendi per "procacciare"?» non era infatti la prima
volta che utilizzava quel termine con me e non ero per niente sicura di
averne colto la giusta sfumatura, o meglio, non ero certa se
semplicemente si
riferisse a nutrirsi o a nutrirsi di esseri umani o ad ucciderli per
nutrirsene.
«Significa procurarci il
sangue. Io ho scelto di vivere nella maniera più normale possibile,
Maddie ogni tanto si concede del sangue umano e qui al bar ha la
possibilità di conoscere tante persone più che altro di passaggio.»
Insomma, quel che voleva dirmi
in realtà e in maniera molto spiccia era che Madeline lavorasse come
cameriera con lo scopo di abbordare uomini da cui avrebbe succhiato
loro il sangue. Heric, però, era troppo educato e per bene per essere
così diretto ed
esplicito. Quel
che fondamentalmente mi lasciava interdetta era se la sua adorata
cugina Maddie (non l'aveva mai chiamata così prima d'ora) uccidesse o
meno questi poveri uomini malcapitati. Non
feci in tempo a domandarglielo, probaibilmente non avevo neanche il
diritto di chiederglielo e di entrare troppo a fondo nei loro affari di
famiglia di
vampiri, che un finto colpo di tosse interruppe i nostri discorsi.
«Volete ordinare?» sentenziò
Madeline con atteggiamento sempre più sgarbato. Sicuramente, come
Jeremy, non approvava affatto la nostra frequentazione che via
via
stava sfociando in qualcosa di più serio.
«Io il solito» le rispose
Heric fissandola per un momento come se stesse comunicando
telepaticamente con lei. Io invece ordinai un semplice cheeseburger.
I nostri piatti arrivarono presto, in
fondo non c'erano tanti clienti e non dovettimo aspettare troppo a
lungo. Heric scelse una bistecca al sangue, poco cotta, praticamente
cruda quasi come se l'animale fosse stato appena macellato e il sangue
continuasse a sgorgare a fiotto. Il mio
cheeseburger era decisamente più appetitoso anche perché ormai erano
settimane
che
non mangiavo qualcosa di grasso e sostanzioso.
Consumammo le nostre pietanze lentamente
ed in silenzio, poiché eravamo
comunque entrambi ancora timidi, scambiandoci solo qualche tenera
occhiata di tanto in tanto tra un boccone e l'altro. Mi sentivo osservata: Heric mi
squadrava, quasi stesse analizzando ogni mio movimento, evitando però
il
contatto visivo.
«Ti dirò un segreto» bisbigliò a un tratto
poggiando
le posate sul tavolo. Lo fissai in attesa che
riprendesse il discorso rivelandomi tale misterioso segreto.
«Questo è principalmente un pub di
vampiri» sgranai gli occhi incapace di proferire alcuna parola in
risposta alla sua affermazione.
«La proprietaria di questo
posto è un'anziana vampira, nel senso che venne trasformata quando da
umana aveva già più di cinquant'anni intorno al 1950. Arya è una
leggenda per noi. Lei è forse l'unico vampiro sulla faccia della terra
che non ha
mai ucciso un essere umano. Sarà che, data la tarda età in cui venne
trasformata, ha accumulato una tale saggezza e rispetto per la vita che
uccidere e far del male non sono mai stati parte della sua natura, né
umana né sovrannaturale.»
Non capivo perché mi dicesse queste
cose,
se per coinvolgermi nella sua vita da vampiro o per semplice
informazione. In quel momento ogni persona in quel locale mi sembrava
un vampiro pronto alla caccia ed io mi sentivo l'unica preda umana. Ma
ero con Heric e, come ho detto, in sua compagnia non avevo paura di
niente.
«Devi sapere- proseguì il suo racconto sempre a bassa voce -che esiste
una sorta di distinzione fra noi
vampiri: coloro che, come me, Madeline e Arya, vivono cercando di
condurre un'esistenza e uno stile di vita più normale possibile e
coloro che invece sono dei veri e propri cacciatori assetati di sangue.
Questa zona
nella periferia di Salem non molto lontana dalla mia Villa è
frequentata da molti vampiri del Paese mentre la zona opposta, dove vi
è la riserva vicino casa tua...beh noi non siamo
ammessi lì. È una legge non
scritta che ormai rispettiamo da secoli.»
.
«Mmh, perché non siete ammessi
nella riserva? E poi come fa questa anziana donna
vampiro, Arya, a sopravvivere? Anche lei ha un ciondolo?!» domandai
curiosa.
Heric fece cenno di no con la
testa affermando che solo pochi eletti ne fossero in possesso,
abbassando il capo come a voler indicare il proprio status
privilegiato, e,
ignorando la mia prima domanda, continuò la storia sull'anziana
vampira.
«Arya è sopravvissuta da umana ad
entrambe le Guerre Mondiali lavorando come infermiera di campo, a poco
più di vent'anni aprì questo
locale nel pieno periodo del proibizionismo importando whisky dal
Vecchio Mondo. Sa il fatto suo e ha chi lavora per lei non potendo
uscire alla luce del sole. Infatti, se mai ti capitasse di tornare qua
non ordinare mai un Bloody
Beast o un Bloody
Human» ridacchiò. Il suono della
sua risata era contagioso, le sue storie incredibili e coinvolgenti ed
era bello, diamine quanto era bello, quante vicende ed esperienze aveva
vissuto mentre io ero solo un'ordinaria ragazzina del sud piombata in
una città mistica ed esoterica che si era appena scoperta essere
discendente
di una strega. La felicità, la gioia e l'emozione che provai
nell'essere insieme ad Heric e nell'ascoltare le sue avventure
svanirono all'instante quando mi soffermai
a pensare al fatto che io fossi in realtà così banale ed insulsa, e
iniziavo a
chiedermi cosa ci facesse lui con me o cosa un vampiroci potesse mai
trovare in me. E poi il tempo, il tempo era un altro problema
irrisolvibile: io sarei invecchiata e lui no. Lui se ne sarebbe andato
ed io sarei rimasta qui, mi avrebbe lasciata e avrebbe vissuto ancora
centinaia di anni mentre
io sarei marcita sottoterra.
Heric notò che cambiai umore e avvicinò
la sua mano alla mia, che prontamente ritrassi senza neanche volerlo.
«Hey, è tutto a posto?»
Gli risposi di sì annuendo semplicemente
senza dire una parola. Erano le undici e mezza
ormai, dovevo
tornare a casa. Le mie sciocche fisime mentali come al solito erano
riuscite a rovinare un così bel momento. Dannazione! Avrei
voluto fargli mille altre domande
ma ormai l'atmosfera si era inevitabilmente incupita così pagammo ed
Heric mi riaccompagnò a casa senza che entrambi proferissimo parola per
tutto il tragitto.
«Scusami, sono solo un po'
stanca» dissi non appena parcheggiò la sua auto davanti casa
mia come a volermi scusare del mio comportamento impassibile e quasi
scontroso durante
la serata.
«Aspetta- sibilò Heric
afferrandomi
il braccio quando aprii la portiera -ti accompagno.»
Heric mi scortò fino all'entrata di casa
mia e rimanemmo per un attimo sull'uscio della porta.
«Ho passato davvero una
spendida serata» sussurrò mentre mi accarezzava il viso. Il suo toccò
mi
aveva come paralizzata e il massimo che potei fare fu abbozzare un
sorriso. Avevo passato anche io una splendida serata, tralasciando le
mie paranoie. Heric fece
scivolare la sua mano su tutto il mio corpo, passandola prima sul collo
spostandovi i capelli e facendo una leggera pressione sulla mia spalla
per poi far scivolare la sua mano lungo tutto il mio braccio
fino a stringermi il fianco
per tirarmi a sé.
Era il momento che aspettavo da
settimane ormai, pensai: «ecco, finalmente mi bacia!»
Heric si avvicinò sempre di
più a me stringendomi più forte a sé con il suo braccio. Il cuore mi batteva
all'impazzata ma proprio in quell'attimo la porta di casa mia iniziò a
scricchiolare...
«È tardi, non credi? Su entra.»
La voce severa di Jeremy interruppe quel
tanto sospirato momento di intimità fra me e Heric. Era come se si
fosse appostato lì in attesa di dare il colpo di grazia a quella serata.
Non lo avevo mai odiato così tanto come
in
quel momento. Un po' imbarazzato, Heric mi diede la buonanotte
scoccandomi un bacio sulla guancia e si diresse verso la sua auto.
«Buonanotte a te» gli dissi mentre Jeremy gli
chiudeva la porta in faccia.
Per tutta la notte fantasticai su quel quasi
bacio fra me ed Heric. Le mie sciocche fissazioni sulle differenze
abissali fra me e lui e sull'inevitabile scorrere del tempo si
affievolirono e fui pervasa da un senso di felicità e di eccitazione. Chissà come doveva essere
baciare un vampiro? O andare a letto con un vampiro? Era ciò possibile,
insomma, anatomicamente parlando considerata la sua natura
sovrannaturale di non-morto?
Il tempo che tanto
consideravo il principale nemico nella mia relazione non mi dava torto
e sembrava trascorrere, in compagnia
di Heric,
ad
una velocità talmente rapida che ne persi la congizione. Ogni giorno
era un'avventura, una scoperta, un brivido di follia. La mia
vita procedeva comunque apparentemente normale, così tanto normale che,
tra
vedere Heric e studiare (purtroppo la fine della scuola era vicina!),
non avevo quasi avuto tempo da dedicare alla magia, alla scoperta del
segreto
indicibile di Jeremy, alla ricerca del mistero che si celava
all'interno della biblioteca scolastica e a tutti i rompicapo
sovrannaturali che
fino a poco prima mi assillavano. La nonna, però, non potevo certo
dimenticarla, non potevo non farle giustizia, non avrei seppellito la
sua esistenza in un mucchio di bugie. Ero convinta che non avesse avuto
alcun infarto né lei né le altre anziane donne di recente venute a
mancare e che nemmeno le giovani
ragazze sgozzate da uno strano animale fossero state realmente sgozzate
da un vero e proprio
animale.
In quelle ultime settimane ci furono
infatti altre misteriose morti, non solo a Salem ma anche nelle contee
vicine, stesse dinamiche e sicuramente stesso movente.
Comunque sia, dovevo studiare: il test
di biologia non era solo una scusa per poter uscire di casa quando ero
in
punizione, avevo davvero un test ed in più, soprattutto, io e il mio
compagno di
studi, ovvero Jeremy, dovevamo assolutamente consegnare il progetto di
chimica e la relazione entro lunedì 19 aprile in modo da esporlo il
mercoledì della stessa settimana durante le ore di lezione pomeridiane.
Io e il mio fratellastro avevamo un intero
weekend per
terminare il nostro compito: io
spiegai a Heric che, sebbene non avessi una vita eterna
davanti, dovevo assolutamente terminare l'anno con buoni voti senza
farmi bocciare sennò mia madre avrebbe accorciato ancora di più la mia
breve
esistenza e lui capì che così in fondo avremo potuto passare insieme
tutta l'estate. Jeremy invece no, non riusciva più a staccarsi da
Alexis e avevano instaurato un rapporto a dir poco morboso, come se lui
fosse il suo cagnolino. Ormai però non ne ero più gelosa, non
mi
curavo più di loro fino a quel pomeriggio...
Era sabato e
fuori pioveva a dirotto
nonostante la primavera fosse già nel pieno della sua stagione.
Mancavano due giorni soltanto alla consegna della relazione ed invano
cercavo di collegare e sistemare i miei appunti e confrontarli
con
quelli di Jeremy, ma proprio la sua scrittura mi era incomprensibile,
anzi indecifrabile. Stanca e spazientita di dover fare solo io il
lavoraccio mentre Jeremy se ne stava comodamente in camera sua a far
nulla, aprii, senza bussare, la porta della sua stanza e li vidi: lui e
Alexis, a letto insieme.
Rimasi quasi impietrita dallo
choc facendo cadere sul pavimento gli appunti che tenevo fra
le mani.
Iniziai a scusarmi chiudendo la porta e sigillandomi nella mia camera
dall'imbarazzo mentre Jeremy mi imprecava dalla stanza affianco.
«Dici che l'abbiamo
traumatizzata?» bisbigliò neanche a
voce
tanto bassa al che Alexis lo ammonì, tra una
risata e l'altra, di non essere così cattivo. Li
detestavo.
Vederli insieme mi aveva provocato un
tale disagio e una tale vergogna che non riuscivo a spiegarmi. Ancor
meno riuscivo a spiegarmi il senso di gelosia che mi pervase
nuovamente. Non capivo se fossi gelosa del fatto che avessero
una relazione completa vera e propria o se fossi, per qualche
inspiegabile motivo, gelosa di Jeremy.
Tentai invano di concentrarmi sullo
studio ma ormai non riuscivo a togliermi dalla testa l'immagine di loro
due. A cena facemmo entrambi finta di niente, non riuscivo neanche a
guardarlo in faccia e pure Jeremy sembrava un po' a disagio. Non che ci
fosse qualcosa di cui vergognarsi, in fondo era più che normale ce
avessero la propria intimità, ma proprio non mi riusciva di vederli
insieme, non più. Oramai ero dell'idea che lei avesse un qualche
effetto negativo su Jeremy, non me la raccontava giusta.
Quella sera, come capitava da un po' di
tempo a quella parte, Heric venne a farmi visita per avvisarmi
che nei giorni successivi non ci saremmo visti e non sarebbe venuto a
scuola. Non mi spiegò il perché della sua assenza. Sicuramente si
trattava di una qualche questione da vampiri di cui ancora non si
sentiva
pronto a parlarmi.
Prima che se ne andasse, però, avevo io
qualcosa da dirgli ma non sapevo come e quali parole usare senza essere
fraintesa o apparire patetica ai suoi occhi.
«Heric- esitai nuovamente per
riprendere fiato e per formulare un discorso coerente e coinciso
-perché non ci...provi con me?»
«Cosa vuol dire?» domandò lui
osservandomi curioso. «Non sono forse io ad aver
fatto il primo passo con te?»
«No dico, quel che intendo è
perché non mi hai ancora baciata. Insomma, questa non sarebbe mica
la prima volta per me! Né è la prima volta che vieni a farmi
visita in
piena
notte, nella mia stanza.»
«Meredith, questa non è una
gara per la coppia più affiatata. So che in qualche modo ti
infastidisce il fatto che tuo fratello, o fratellastro, abbia una
relazione.»
Heric avanzò di qualche passo
verso di me e mi prese per le spalle
fissandomi dritta negli occhi. «Non credere che io non sia
attratto da te o che ti veda come un fragile oggetto. Aspettavo solo il
momento giusto e qui, nella tua casa, non lo è per tutta una serie di
motivi.»
In un batter d'occhio Heric
era sul davanzale della mia finestra pronto a fuggire via da me.
«Buona notte Meredith. Fa'
attenzione, a breve ci sarà la luna piena.»
E poi, scomparve avvolto dal buio
della notte.
La mattina dopo non riuscivo ancora a
guardare in faccia Jeremy sia
per l'imbarazzo sia perché mi sentivo umiliata per le sciocche battute
che lui ed Alexis fecero nei miei confronti, ed Heric, col suo fare da
gentiluomo d'altri tempi di certo non aiutava ad affievolire
le mie
insicurezze, mentali e fisiche.
Era così finalmente giunto il
momento di
preparare la mia prima pozione: la
tisana della verità. Ero particolarmente emozionata all'idea e non ero
sicura che il procedimento che stavo eseguendo fosse giusto visto che
nel grimorio non era esattamente spiegato cosa dovessi fare. Misi così
a bollire dell'acqua, un bicchiere per persona come era riportato
nell'antico libro d'incantesimi,
insieme agli ingredienti: 5 petali di Viola del Pensiero, un
rametto di Timo ed infine della Mandragora. Recitai poi a
mente la formula che avevo imparato a
memoria:
«Petali di Viola del Pensiero
per farti dire il Vero,
Un rametto di Timo
per farti confessar per
primo,
Una manciata di Mandragora
affinché non vi sia alcuna
metafora
nelle tue parole,
Un po' d'acqua corrente
per ripulirti coscienza e
mente.
Che questo tuo mistero
così infame, infimo ed
intimo
non sia più la tua àncora
e che la tua parola
sia così reale e coerente.»
Poi, come suggerito nel diario della
nonna, vi aggiunsi qualche petalo essicato di aconito.
Con la scusa di voler di voler
correggere il compito da consegnare e cominciare a
ripetere l'esposizione del nostro progetto di chimica in vista di
mercoledì, mi feci coraggio superando il mio imbarazzo e bussai alla
porta di Jeremy (sperando di non coglierlo nuovamente in
fraglante con Alexis!). Jeremy era solo che leggeva ed era
palesemente a disagio per la scena di ieri. Non disse una parola
ma sembrò stranamente apprezzare il mio gesto di avergli
preparato una tisana.
Lo fissai con attenzione immaginandomi
chissà quale effetto potesse sortire e quanto tempo sarebbe stato
necessario prima di fargli sputare il rospo. Jeremy annusò il vapore
emanato dalla tazza con aria disgustata e ne bevette un sorso, un sorso
soltanto e cominciò a tossire e ad imprecarmi contro.
«Ma che diamine è questo
schifo?- urlò tra un colpo di tosse e l'altro sputando il liquido nella
tazza -Vuoi avvelenarmi?»
«È solo una tisana per aiutare
a concentrarsi. Smettila di fare i capricci!»
«Tu sei una pazza! Mannaggia a te e a queste sciocchezze da strega!»
Corse in bagno a lavarsi i
denti e butto la mia tisana nel lavandino
continuando a blateare insulti nei miei confronti, contro le streghe e
verso la magia.
Il mio piano era dunque miseramente
fallito. La quantità di tisana da lui ingerita era purtroppo
insufficiente per poter essere efficace. Dovevo aver senz'altro
sbagliato qualcosa e corsi su
in soffitta a sfogliare il Grimorio perché forse mi era sfuggito un
qualche dettaglio fondamentale. Rilessi l'introduzione, gli ingredienti
e la formula da
pronunciare e lì giù, in basso a fondo pagina, era scritto con
caratteri
minuscoli, quasi impercettibili, un bel "nota bene" che inizialmente
avevo ignorato.
«Nota bene: aggiungere dell'aconito per
rendere la pozione più efficace. Questa pianta è però tossica
e una dose anche di poco superiore a quella indicata potrebbe essere
addirittura mortale per gli esseri
umani. Quando invece si ha a che fare con creature sovrannaturali,
occorre
aggiungere dell'aconito, detto infatti anche strozzalupo, per i
licantropi, o della verbena per i vampiri. Il fiuto largamente
sviluppato di queste creature della notte potrebbe captarne la presenza
e potrebbero pensare che stiate tentando di avvelenarli. Bisogna dunque
fare particolarmente attenzione.»
«Oddio!»
In quel preciso istante tutto mi sembrò
chiaro e, come se fosse un puzzle, potei collegare tutti i pezzi:
l'atteggiament0 irascibile di Jeremy nelle ultime settimane, il fatto
che Heric, quando andammo a casa sua, disse che di
norma gli animali non
potessero entrare nelle case dei vampiri, il fatto che trovai Jeremy a
vagare nudo nel bosco con del sangue addosso ma senza neanche un
graffio sul corpo, il sogno su un branco di lupi che feci qualche notte
fa
e soprattutto il fatto che non avesse ingerito la mia pozione
contenente appunto dello strozzalupo cominciando a tossire
ripetutamente.
Non era possibile, non poteva essere,
non aveva senso. Niente aveva senso. Anche perché come avevo fatto a
non accorgermi
di nulla, a non accorgermi di ciò che gli stava capitando sotto il mio
stesso tetto? No, era assolutamente impossibile. Assurdo.
Ora non mi restava che aspettare. Mancavano esattamente tre giorni e
quattro notti al plenilunio e in quel lasso di tempo dovevo agire come
se fosse tutto normale e tutto come prima, come se non avessi alcun
sospetto di niente.
Jeremy, dal canto suo, era ancora più
scontroso del
solito dopo i recenti fatti accaduti fra di noi ed ovviamente toccò a
me sia terminare i compiti sia esporre il nostro progetto di chimica
mercoledì davanti a tutta la classe spiegando perché, versando sul
bicarbonato
dell'aceto, quest'ultimo cominci a fare
le
bolle. Ormai del voto non mi importava neanche più, volevo solo
sentirmi libera e darmi pace. Mi sentivo però così sola. Erano ormai
tre giorni che Heric non veniva a scuola ed era irraggiungibile
al telefono, con Alexis i rapporti si erano incrinati sul nascere e
anche con il resto dei ragazzi del gruppo di benvenuto, Nicholas, Matt
e George, era impossibile legare: Nicholas perché ormai era diventato
il fidanzato ufficiale di Ashley, Matt perché era fratello di Alexis e
George perché aveva qualche rotella fuori posto ed era stato più volte
scontroso nei miei confronti. Inoltre, dal momento che ero
così sicura all'inizio che quello sarebbe stato il mio gruppo di amici
di
scuola e considerata la mia repentina relazione con Heric, non avevo
fatto amicizia con
nessun altro. Ero di nuovo catapultata nell'anonimato e nella
solitudine come quando
frequentavo il liceo di Coral Spring e non sapevo come fare per
scavalcare il muro di astio che mi ero costruita attorno a me.
Quel mercoledì infatti, subito dopo la
lezione pomeridiana di chimica, decisi di andare
a far visita alla nonna al cimitero, nel tentativo che lmeno lei in
qualche modo potesse trasmettermi un po' di conforto e serenità. I
fiori che le avevo portato tre settimane prima in occasione del primo
mesiversario dalla sua scomparsa erano ormai appassiti, un po' come lo
ero io. Mi inchinai a raccogliergli e ad accarezzare la lapide.
In quel momento ebbi come l'impressione
che qualcuno mi stesse osservando. Mi alzai di scatto in piedi
guardandomi attorno e, alle mie spalle, comparve la figura di un
ragazzo dall'aria quasi familiare.
«Il tempo è il pilastro che
sorregge ogni segreto- disse leggendo la citazione
riportata sull'epigrafe della lapide della nonna. -Frase curiosa, non
trovi?»
Aveva una voce ipnotica così come ipnotici erano i suoi occhi cerulei.
Rimasi ammaliata e imbamolata a scrutare ogni suo gesto e movimento
impercettibile domandagli se, per caso, conoscesse la mia nonna.
«Questo è un segreto sorretto
dal pilastro del tempo» rispose l'enigmatico ragazzo
in maniera sarcastica sorridendomi beffardamente. Un brivido mi percorse la
schiena quando, passandomi accanto per andare via, mi sfiorò
accidentalmente. Una gelida sensazione sul petto distolse la mia
attenzione dalla sua figura che, a passo lento ma deciso, andava via e
strinsi forte il ciondolo che portavo al collo. Quando mi
voltai verso la direzione che aveva preso, lui non c'era più.
Era scomparso, dissolto fra le tombe. Nella mia vita ora ci
mancavano soltanto i fantasmi, gli spiriti e i poltergeist! Di
questo passo a breve avrei senz'altro avuto un esaurimento nervoso.
Salutai la nonna e mi incamminai verso
casa. Il sole era quasi tramontato e non mancava ormai molto alla luna
piena, la notte della verità.
Quella sera a cena eravamo tutti riuniti
ma era come se ognuno, con la mente, fosse da tutt'altra parte. Joseph
era di malumore poiché un suo paziente era venuto a mancare, Ashley non
si staccava dal cellulare e Jeremy teneva gli occhi fissi sulla
televisione guardando di tanto in tanto fuori dalla finestra. Soltanto
mia madre cercava un po' di risollevare l'umore piatto di quella cena
cercando di far conversazione mentre io continuavo la mia recita
ignorando Jeremy e non dando troppo peso ai miei sospetti nei suoi
confronti durante la trepidante attesa della luna
piena.
Mi cambiai e lavai per andare a letto:
quella sarebbe stata senz'altro una lunga nottata così dopo la doccia
mi preparai un bel caffè e scelsi un libro da leggere, ovvero il De Creaturis
All'interno di quel breve trattato, erano elencate e descritte tutta
una serie di creature magiche e mitologiche che fino a non molto tempo
fa pensavo fermamente esistessero solo nella fantasia o nei poemi
epici. Ma dopo aver appreso dell'esistenza dei vampiri, avrei persino
creduto all'esistenza degli alieni, delle sirene e degli unicorni!
Andai dritta alla sezione dedicata ai
vampiri e ai lupi mannari che, in quel piccolo libretto, erano
contenuti nel medesimo capitolo*. Secondo tale libro, il primo
licantropo fu creato dal Dio Zeus che punì il Re di una qualche città
dell'antica Grecia per avergli servito carne umana. Da questo sarebbero
discesi altri lupi mannari sia per via ereditaria sia a causa di morsi
o graffi. Secondo il De
Creaturis, anche una strega sarebbe capace di trasformare
un essere umano in un licantropo (o in un vampiro) e soprattutto la
strega che lo avesse trasformato, o anche una strega molto potente,
sarebbe in grado di annullare tale incantesimo, ma ad un prezzo molto
alto.
Proseguii la lettura fino a quando non
giunsi a questi versi che, come lame taglienti, mi ferirono
profondamente nell'animo.
«Sia i vampiri sia i licantropi
sarebbero suscettibili all'amore come "punizione" della loro
condizione. Subirebbero il fascino della mortalità e dell'umano ma il
loro essere distruggerebbe ogni possibilità di relazione e di poter
coltivare questo sentimento; sia per il vampiro sia per il licantropo
l'amore è senza speranza alcuna.»
L'amore è senza speranza alcuna, ed io
ed Heric non eravamo di certo un'eccezione per quanto io volessi
crederci. Ma ormai io ero dentro, coinvolta totalmente in questa
relazione platonica. Platonica perché lo sentivo già distante, come se
ormai il sentimento fosse tutto unilaterale.
Un ululato ruppe il silezio di quella
malinconica notte. A quel punto mi
svegliai di colpo, aprii gli occhi rendendomi
conto di
essermi appisolata giusto una manciata di minuti con la luce accesa e
il libro ancora aperto e corsi ad affacciarmi alla finestra. Nel buio
tetro della notte, spiccavano come lucciole, gli occhi luminosi di un
qualche animale. Corsi in giardino facendo le scale a perdifiato:
Jeremy era lì, seminascosto da un albero e accovacciato per terra che
si
teneva la testa tra le mani.
«Jeremy!- bisbigliai andandogli incontro
-che stai facendo lì? Stai bene?»
«Vai via Meredith! Stai lontana!» si
voltò verso di me. I suoi occhi
erano diventati ancora più chiari, gialli e brillavano nell'oscurità.
Da verdognoli che erano, diventarono ambrati come quelli di un gatto al
buio. O meglio, di un lupo. E io li avevo già visti quegli occhi
ambrati, nei miei sogni premonitori.
«Perché sei lì, senza vestiti? Cosa stai
facendo?» in realtà non era
esattamente senza vestiti, indossava giusto un paio di boxer e sapevo
benissimo cosa stesse facendo, anzi cosa gli stesse succedendo.
«Mi sto...mi sto trasformando!» urlò con
voce spezzata e sofferente.
Poi come se ne fosse stato
inghiottito, si addentrò nel fitto bosco.
Angolo
autrice.
*Al capitolo 12 trovate per
esteso il "capitolo" relativo ai vampiri e ai lupi mannari che sta
leggendo la protagonista. Non ho voluto riportarlo tutto per
intero perché è abbastanza lungo e soprattutto perché ho già riportato
la formula magica già scritta nel capitolo 13.
Comunque, questo è un capitolo diciamo
di
transizione e riempimento e, tra l'altro, è il capitolo che ho odiato
di più e che mi ha richiesto più tempo per poterlo scrivere. Infatti
non ne sono molto soddisfatta. A differenza dei capitoli precedenti,
qui vengono
riassunti circa 20 giorni, partendo dalla sera del venerdì 9 aprile
2010 alla notte di mercoledì 28 aprile 2010. Questo perché la
situazione fra i protagonisti è ora abbastanza
stabile, almeno per quanto riguarda la relazione delle due coppie, e
non volevo ammorbarvi con le solite scene
scuola-casa-sogni. Inoltre mi occorreva assolutamente giungere a questa
data, mercoledì
28 aprile 2010, per sfruttare la presenza della luna piena, e credo che
ormai abbiate capito il segreto di Jeremy...
Ciao e alla prossima :)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Come un Lupo Solitario. ***
16)
Come un Lupo Solitario.
Se essere venuta a
conoscenza del fatto che il ragazzo con cui mi frequentavo fosse un
vampiro non mi aveva sconvolta più di tanto, vedere invece il
mio fratellastro che si stava trasformando in un lupo mannaro mi aveva
letteralmente lasciata di stucco. Ora potevo aspettarmi qualunque cosa,
niente mi avrebbe più sorpresa o fatta fuggire dall'altra parte. Ad
esempio Ashley poteva benissimo essere un demone malvagio, Alexis una
strega malefica, George un elfo maligno.
A Jeremy spuntarono coda e orecchie e in
pochi minuti il suo corpo si ricoprì di una pelliccia grigia e folta:
si era trasformato davvero in un lupo mannaro. Aveva la testa come un
lupo e il corpo simile a quello di una scimmia, questo gli permetteva
di stare in piedi in posizione eretta. Non credevo ai miei occhi, ero
sbalordita, scioccata, stupefatta!
Mi avvicinai lentamente a lui per paura
che potesse scappare nel bosco dietro casa o che mi potesse
mordere, volevo accarezzarlo come se fosse un cucciolo, anche se quella
creatura mostruosa in cui si era trasformato non suscitava alcuna
tenerezza.
Mi guardava con un’espressione dolce ma
impaurita, i suoi occhi brillanti come pietre d'ambra sembravano
volermi dirmi qualcosa. Poi corse via a quattro zampe addentrandosi
nella foresta, fermandosi di tanto in tanto e voltandosi verso di me in
attesa che lo raggiungessi. Non era come con i vampiri: con i
licantropi non si poteva comunicare facilmente, bisognava avere una
certa intesa. Presi i suoi vestiti (in caso si fosse ritrasformato!) e
lo seguii nel bosco.
Correva troppo veloce, non riuscivo a
stare al suo passo, si fermava spesso per aspettarmi osservandomi con
quegli occhi dorati che scintillavano nel buio della foresta.
Arrivammo al centro del bosco dopo circa
dieci minuti di corsa. Quella non era la prima volta che mi ci
addentravo,anzi che ci addentravamo. Raggiungemmo uno spiazzo vuoto
circondato da alcuni alberi, era
lì che, presumo, fosse avvenuta la sua trasformazione la notte che
scomparve e allarmammo la polizia. Attraverso
il fogliame degli alberi e i loro rami, si poteva scorgere la luna
piena. Jeremy si mise ad osservarla e ad ululare ed io mi sdraiai
sull'erba umida e fredda. Ero stanchissima e dopo quella corsa non mi
sentivo più le gambe.
Si accucciò accanto a me e non sentii
più freddo, la sua pelliccia era così morbida e calda come la pietra
del ciondolo.
Continuò ad ululare alla luna fino a che
non ci crollammo in un sonno profondo.
Trascorremmo un'intera notte così, nel
bosco, l'uno accanto all'altra.
Non credo di essermio mai svegliata
all’alba con il canto degli uccellini, nemmeno quando da bambina andavo
al campo estivo.
Quando aprii gli occhi, ci misi un po’
per mettere a fuoco la situazione e ricordarmi cosa fosse successo. Mi
guardai attorno spaesata e ancora assonnata: ero in pigiama nel bel
mezzo di un bosco all'alba, mentre di fianco a me Jeremy dormiva ancora
rannicchiato nell'erba e completamente nudo. Aveva nuovamente le
fattezze di un essere umano.
«Jeremy, svegliati!» gli
diedi dei piccoli colpi sulla schiena e lui sobbalzò dallo spavento. «Su, vestiti! Per fortuna ho
avuto la brillante idea di portarti i vestiti che avevi lasciato in
giardino!»
«Buongiorno Meredith» mi rispose lui con
tutta calma mentre gli passavo la sua roba che avevo usato per poggiare
la testa sull'erba.
«Buongiorno?! Io ancora non
credo ai miei occhi. Sono stupefatta! Ma come è possibile che tu ti sia
trasformato in un...licantropo? Ti era successo già prima di venire qui
a Salem?!»
Jeremy scosse la testa e dopo essersi
rivestito ci avviammo verso casa. Erano le cinque e mezza del mattino e
presto i nostri genitori si sarebbero svegliati per andare a lavoro.
Nel mentre che si faceva la doccia, preparai la colazione. Jeremy
rimase in silenzio per un momento facendo roteare la tazza di caffè fra
le mani prima di cominciare a raccontarmi come, secondo lui, era
avvenuta la sua trasformazione in licantropo.
«Ricordi circa un mese fa quando, a
colazione, avessi chiesto se qualcuno di noi avesse sentito degli
ululati?»
Annuii. Quella notte avevo sognato che Madeline voleva uccidermi
nutrendosi del mio sangue ancor prima di conoscere la sua vera natura
di vampira. Mi svegliai alle tre del mattino proprio per via degli
ululati provenienti dalla foresta.
«Da quando ci siamo trasferiti qui a
Salem, sento sempre i lupi ululare, tutte le notti, non mi fanno
dormire. Ululano anche per ore e ore ininterrottamente come se
volessero in qualche modo richiamarmi a loro così quella notte scesi in
giardino ma non ebbi il coraggio di avvicinarmi al branco. Un'altra
notte invece, la volta che tentasti di aggredirmi con un coltello da
cucina, ero riuscito a vedere uno dei lupi da vicino ma questo scappò
nel bosco. Ed infine, un mese fa esatto, durante la notte di luna
piena, mi decisi a seguirli addentrandomi fin dentro la radura
della foresta, esattamente qui. Fu il giorno in cui tu e i nostri
genitori avvertiste la polizia perché ero scomparso per un'intera
nottata.
«Ricordo che ci
fossero tre lupi ma quella volta non erano lupi veri, erano
licantropi. Uno di questi, credo la femmina, mi venne incontro e poi miazzannò il fianco. Subito
dopo scapparono fra gli alberi. Involontariamente ho iniziato ad
ululare dal dolore camminando a fatica cercando di inseguirli.
Sanguinavo ma dopo un po' il dolore si placò e mi trasformai
continuando a vagare nella tetra foresta guidato dalla luce lunare. La
mattina dopo ero tornato normale e lo squarcio si era magicamente
cicatrizzato. Continuai però a sentirmi strano per tutto il giorno e
per i giorni a seguire e cominciai a pensare che forse lo avevo solo
immaginato anche se ricordavo fin troppo bene quanto male mi avesse
fatto quella lupa. Durante quest'ultimo mese ho continuato ad andare
nel bosco di notte nella speranza di rivedere quegli altri licantropi
ma di loro non vi era neanche l'ombra.»
«Quindi, come la trasformazione in
vampiro, anche la trasformazione in licantropo avviene piuttosto
velocemente.»
Non rispose alla mia affermazione. Solo
sentirmi pronunciare la parola vampiro e qualunque altra cosa
riguardasse Heric lo infastidivano.
«Hai dei ricordi di quando sei
trasformato?» volevo saperne di più, e
cambiare discorso soprattutto, stava già cambiando umore.
«Solo qualche dettaglio. Meredith...non so cosa fare. E se facessi del
male a qualcuno? O se mi dovessero catturare?» mi disse disperato.
Lo abbracciai forte per fargli capire
che poteva contare su di me, nonostante fossimo sempre in contrasto e
sul punto di bisticciare.
«Tu non sei pericoloso Jeremy, io lo so,
ne sono sicura» gli sorrisi cercando di rassicurarlo.
«Ma quando mi trasformo non so se
riuscirò a controllarmi. Non sono in grado di ragionare. Non so quanto
durerà questa cosa e se ogni notte di luna piena dovrò trasformarmi.
Perché proprio a me?» era davvero preoccupato, e anche io lo ero per
lui.
«Questo posto è davvero un covo di
stranezze.»
«Se tu discendi da una strega significa
che in parte lo sei anche tu, non puoi trovare un modo per farmi
ritornare normale? Per non essere ciò che sono diventato?» mi chiese
fiducioso.
«Io non so, posso controllare nel
grimorio. Ma ho letto in un altro libro che solo una strega molto
potente sia in grado di fare tornare un licantropo alla
propria condizione umana. Ma ci sono delle controindicazioni pericolose
che non vengono neanche esplicitate» gli risposi augurandomi di non
aver distrutto le sue speranze.
Inoltre, il fatto che fossi la
discendente di una strega non rendeva le cose più semplici, ero sola ed
inesperta, non sapevo da dove cominciare per iniziare a praticare la
magia considerato anche il mio tentativo fallimentare di far bere
proprio a Jeremy la mia prima pozione e poi comunque rimanevo umana e
debole. In quel momento avrei tanto voluto che la nonna fosse stata
qui. Lei avrebbe senz'altro saputo cosa fare.
«Hai detto che nel bosco c'erano sia dei
lupi sia altri licantropi. Che poi non hai mai visto un
licantropo vero magari non li hai saputi riconoscere, magari erano solo
dei lupi. Però non avrebbe comunque senso la tua trasformazione ad
opera di semplici lupi.»
«No, Meredith. Quelli erano veri
licantropi.»
«Dunque, mi stai dicendo che un essere
sovrannaturale ti ha trasformato in una bestia a quattro zampe
mordendoti in una notte di luna piena?» insistevo.
«Ah, sarei una bestia?»
«Volevo dire lupo mannaro. Scusami.
Quindi secondo te un comunissimo licantropo
ti ha trasformato in un lupo mannaro?»
«Sì. Esattamente.»
«Sarebbe come dire che se un gatto dovesse graffiarti ti trasformeresti
in cat woman! Oh mio Dio! È tutto vero. È fantastico, assolutamente
fantastico! Devi andare a cercare quei lupi anzi licantropi, magari quando sono normali
e umani, loro
sapranno senz'altro come aiutarti o
almeno a vivere più serenamente questa tua nuova condizione. Io vedrò se riesco a
trovare un antidoto almeno per placare in qualche modo la tua
trasformazione. Proprio ieri notte ho letto qualcosa a riguardo:
bisogna distinguere tra licantropi (coloro che hanno ereditato il gene
e dunque nascono così) e lupi mannari (coloro che vengono morsi o
subiscono un incantesimo). Riesci a trasformati anche
senza luna piena?»
«Perché mai dovrei o vorrei
trasformarmi in un lupo mannaro anche senza luna piena?» rispose con tono seccato.
Feci spallucce. Ero ancora incredula:
perché proprio lui era stato trasformato? E chi erano
quei licantropi che aveva visto?
Sicuramente Jeremy aveva più domande di
me. Forse avrei potuto chiedere anche a Heric, lui probabilmente si
intendeva di queste cose molto più di noi e data la sua atura di
vampiro senz'altro sapeva chi fossero questi licantropi. Se solo
accendesse quel dannato cellulare!
Eravamo a Salem da neanche due mesi e ce
ne erano successe di cose strane e assurde, ma una positiva c'era: dopo
anni io e Jeremy stavano legando, tra litigi e discussioni ovvio, ma lo
sentivo comunque più vicino a me come un vero fratello.
Aveva ragione Heric quando,
raccontandomi della propria trasformazione, mi disse che in momenti
come questi avere qualcuno che riesca a capirti e con cui condividere
questo fardello aiuti ad andare avanti. Io avevo Jeremy, e lui
aveva me.
C'era inoltre un'altra persona che
avrebbe potuto aiutarmi in queste strane faccende e non mi importava
dei suoi avvertimenti, anzi delle sue minacce, per tenermi alla larga
da queste questioni sovrannaturali: George.
Facendo finta che non fosse successo nulla e che Jeremy non si fosse
trasformato e fosse ancora un normale adolescente, andammo a scuola.
Io, per le prime due ore, avevo il corso di spagnolo insieme a George
e, tentando un approccio amichevole e naturale mi sedetti accanto a lui
che comunque sembrava abbastanza di buon umore.
Al termine della lezione, prima di
dirigerci insieme verso l'aula di biologia, materia che
entrambi seguivamo insieme
a Jeremy ed Heric, gli bisbiglia di dovergli
parlare, nuovamente, di alcune questioni. Avevo il cuore in gola e
George aveva chiaramente capito di cosa volessi discutere. Arrivati
agli armadietti e assicurati che non ci fosse nessuno nei dintorni, il
mio eccentrico e scontroso compagno di scuola mi intimò seccato di
vuotare il sacco.
«Credo di aver visto un lupo nel mio
giardino ieri. Ma non era un vero lupo, era...un lupo mannaro. Così,
rovistando fra le vecchie cose di mia nonna, ho trovato in un libro
qualcosa a riguardo. Tipo come si trasformano e cosa li può uccidere.
So che mi hai avvertita di tenermi fuori da queste questioni non convenzionali, ma
so per certo che tu sappia molto di più di quel che vuoi rivelarmi ma
io ho bisogno di sapere.»
«La licantropia è una malattia
psichiatrica, sai? Ma non ho capito, ora cosa vuoi sapere? Quale
sarebbe la tua domanda?»
Non sapevo che rispondere.
In effetti come potevo spiegargli tutte le stranezze che mi erano
successe? Come potevo dirgli che mio fratello era un licantropo, il
ragazzo con cui mi vedevo era un vampiro ed io una strega?
«Voglio sapere se sono l'unica a credere che questa città sia popolata
non solo da esseri umani ma anche da altre creature. Voglio sapere come
sono morte realmente le nostre nonne, voglio sapere cosa si nasconde
dentro la nostra biblioteca e per quale motivo tu non voglia che io lo
scopra» sbottai.
George esitò un attimo come se stesse
guadagnando del tempo per formulare una qualche risposta esauriente ma
vaga. Notai che il suo sguardo si fece intimorito, come se fosse stato
messo spalle al muro.
«Ti avevo giò
risposto settimane fa: ci sono cose a cui credo ed altre a cui non
credo. Diciamo che mi affascina il sovrannaturale ma non per questo
scambio un coyote nel mio cortile con un licantropo. E se proprio vuoi
saperlo, mia nonna è morta d'infarto diversi mesi fa.»
«Anche mia nonna
è morta di infarto, o così ci è stato detto, circa due mesi fa. Non ti
sembra strano che sia mia nonna sia tua nonna sia altre donne anziane
siano morte per lo stesso medesimo male? Non ti fa pensare il fatto che
ci sono state diverse uccisioni di altre donne azzannate da strani
animali?»
Non rispose. Sbuffò e andammo in classe.
Quando varcai la porta dell'aula gli occhi mi si riempirono di gioia:
Heric era tornato a scuola finalmente. Gli andai incontro sorridendo
per sedermi accanto a lui poi però mi ricordai che per tre giorni non
si era fatto vivo ma non riuscivo comunque a tenergli il broncio. Lui
mi diede il buongiorno e disse solo che più tardi avremo parlato. Poco
dopo il suono della campana entrò in classe anche Jeremy e si sedette
accanto a me: aveva l'aria stanca e preoccupata.
Prima della pausa pranzo,
riferii innanzitutto a Jeremy la conversazione che avevo avuto con
George.
«Dice di non sapere nulla e di
non crederci neanche a certe cose. A parer mio, sa più di quel che
racconta. Secondo me dovremo chiedere a Heric per averne conferma.
Ricordi che ti avevo parlato di quel capitolo sui vampiri e sui lupi
mannari? Quello in cui è scritto che, secondo la leggenda, dove ci sono
i vampiri ci sono senz’altro anche i licantropi?- Jeremy annuì
concentrato -Ecco. Forse, visto che queste creature sono antagoniste e
considerato che ti aveva subito riconosciuto, magari Heric saprà
indicarci chi siano quegli altri licantropi e loro potranno aiutarti
perché come ti ho detto ci vuole una strega molto potente per annullare
la maledizione. Ed io non lo sono. L'unica cosa che potrei fare è
cercare una sorta di palliativo.»
Fece un'espressione cupa. Questa per lui
era come una sentenza di morte: significava che avrebbe vissuto così,
nella condizione di lupo mannaro sino alla fine dei suoi giorni.
In quel momento ci raggiunse Heric
interrompendo i nostri discorsi: Jeremy si allontanò subito andando
incontro ad Alexis baciandola in corridoio senza pudore come se fossero
due animali dagli istinti incontrollabili. Quando si staccarono lei mi
guardò con aria un po' imbarazzata e subito girò la faccia dalla
vergogna.
«Mer? Mer? Mererith! Non
hai fame oggi?» mi chiese Heric poggiandomi la mano sulla spalla come a
voler richiamare ulteriormente la mi
attenzione.
Pranzammo insieme io e Heric, senza dire
una parola. Io ero arrabbiata e in attesa di una spiegazione ed in più
avevo la testa da tutt'altra parte. Ero ancora incredula che mio
fratello fosse un lupo mannaro. La mia attenzione e il mio sguardo
volgevano spesso al tavolto dove sedevano Alexis e Jeremy, sebbene non
fosse per niente cortese nei confronti di Heric che finalmente, dopo un
lungo silenzio imbarazzante si decise almeno a spiccicare parola.
«So che sei arrabbiata. Ma nelle notti di luna piena non è
sicuro per me e Maddie rimanere nei dintorni considerato che Salem
ospita diversi licantropi che diventano aggressivi e possono essere per
noi mortali già dalle notti che precedono il plenilunio.»
«Quindi tu...tu lo sapevi?»
Silenzio. Heric non rispose continuando
a fissarmi con aria colpevole.
«Rispondimi Heric. Devo sapere chi sono gli altri licantropi che
probabilmente hanno trasformato mio fratello.»
«Meredith- sospirò abbassando lo sguardo -sebbene vampiri e licantropi
siano nemici per natura, esiste fra noi un patto. Non possiamo rivelare
la loro identità e loro non possono rivelare la nostra. È lo stesso
patto che sancisce che noi vampiri non siamo ammessi nella riserva e
loro non sono ammessi nella nostra zona in periferia. Ciò serve a
garantire, soprattutto a vampiri come, Madeline, Arya ed altri, una
coesistenza pacifica e normale nella nostra città. Perché Salem è anche
la mia città dove voglio poter tornare ogni qualvolta ne senta la
mancanza. Lo capisci questo?»
«Sì, lo capisco ma non lo condivido. Ammiro la tua lealtà ma qui stanno
succedendo tutta una serie di disgrazie e non voglio che Jeremy ne sia
coinvolto.»
A quel punto mi alzai di scatto, pronta
ad andarmene ma Heric mi trattenne afferrandomi il braccio. Dall'altro
lato vidi che Jeremy era in procinto di alzarsi per venirmi incontro ma
Alexis lo trattenne, lo fissò per un nanosecondo facendogli cenno di
non raggiungermi. Lui le obbedì come un cagnolino fedele.
«Io tengo molto a te. Prova del fatto che sebbene sia pericolo per noi
stare insieme, a me non importa» sentenziò Heric e in quel momento non
potei far altro che abbracciarlo forte e comprendere le sue ragioni, e
perdonarlo.
«Domani si celebra la Notte
di Valpurga ed è stata organizzata una festa a Willows Park*. Magari
potremo andarci insieme.»
«Va bene- risposi stringendolo più forte -Sappi però che sono ancora
arrabbiata per il fatto che sei sparito per giorni!»
Heric rise e mi diede un bacio sulla
fronte spiegandomi che aveva approfittato della luna piena per andare
in campeggio, ossia a procacciare, insieme a Madeline al parco vicino a
Ipswich River*, non molto distante da Salem.
Ormai era inutile, non potevo
resistergli o tenergli il muso. Ero cotta. Ma dovevo concentrarmi e
aiutare Jeremy: la mia priorità era trovare un antidoto alla
licantropia così, non appena arrivammo a casa, iniziammo a setacciare
il libro degli incantesimi su in soffitta.
«Forse questo può aiutarti- indicai a
Jeremy una formula scritta nel grimorio della nonna -è una pozione che
annulla le fatture» aggiunsi.
«Tentare non nuoce ma so che le fatture
sono tipo degli incantesimi innocui» disse scettico.
«E tu che ne sai di cosa sia una fattura?»
«Beh, da ragazzino avevo una
cotta per Phoebe Halliwell di Streghe, sai?»
rise. Ero felice nel sentirlo così sereno finalmente.
«Genziana, eucalipto e,
oddio, sangue di...vampiro? Questa deve essere senz'altro una pozione
potente.»
«Ne conosci ben due fortunatamente di
vampiri. Ma io non voglio il loro aiuto. Poi scusa, essendo per
principio nemici, il sangue di vampiro non dovrebbe essermi letale?»
«Hai ragione, chissà se poi i vampiri
hanno sangue che gli circola nelle vene? Anzi, hanno vene? Un apparato
circolatorio?» mi domandai ad alta voce meravigliata.
«Non ne ho idea so solo che non voglio
il loro aiuto.»
«Beh hai appena detto che fortunatamente
io conosco ben due vampiri. Heric però mi ha detto chiaramente che, in
base a uno strano patto fra le due specie, non può rivelarmi
chi siano gli altri licantropi che si aggirano qui a Salem.»
«Non mi importa. E poi
quella pozione non funzionerebbe, ne sono certo.»
Probabilmente
Jeremy aveva ragione, quella pozione era fin troppo semplice ed inoltre
avevo letto che l'incantesimo per annullare la licantropia (o il
vampirismo) doveva esser compiuto da una strega molto potente e non
osavo immaginare quale sarebbe stato il prezzo da pagare.
Di una cosa ero però certa: avrei fatto
qualsiasi cosa per aiutarlo.
Angolo
autrice.
*Willows
Park e Ipswich River sono due luoghi realmente esistenti.
Ho deciso dunque di allegare qui sotto una mappa di Salem in modo che
vi siano un po' più chiari i luoghi citati nella storia. Alcuni sono
reali, altri sono puramente inventati e altri ancora pur esistendo sono
stati geograficamente spostati con il fine di rispettare la topografia
descritta nella storia. My Maps di Google Maps non permette di avere
mappe che siano pulite senza nomi di vie, luoghi d'interesse ecc e così
ho cercato di ometterli in maniera mooolto rudimentale.
- Villa
dei Morgan: è la casa in cui tornano a vivere Meredith e
la sua famiglia dopo la scomparsa della nonna, Elizabeth Morgan. La
villa è "una grande casa grigia con le finestre dagli infissi scuri al
numero 13 di Gemstone Avenue [...] un po’ tetra nelle vicinanze di un
piccolo bosco" (cap. 2) appartenuta alla famiglia Morgan da generazioni.
- Cimitero:
è il cimitero comunale della città di Salem dove è sepolta la nonna di
Meredith.
- Scuola:
ossia la Salem High School. Questa scuola con questo stesso nome esiste
realmente a Salem ma ho deciso di spostarla dove è invece situata
l'Università di Salem ( Salem
State University) poiché è situata vicino ad un parco
(quello che nella storia è identificato come il Cimitero Monumentale di
Salem (vedi sotto). "La struttura era piuttosto grande e di color rosso
mattone, con un piccolo prato verde che spartiva il corpo principale
dal parcheggio. Il tutto era delimitato da delle mura abbastanza alte
che terminavano con un enorme cancello in ferro che dava accesso anche
alle auto. [...] C'era inoltre un altro giardino interno dove si poteva
mangiare all'aperto nei giorni di sole ed infine i campi sportivi nel
retro. [...] Il giardino dietro l’edificio era diviso in due e
delimitato da una rete: lì si trovavano il campo di basket e di
football con delle piccole tribune per gli spettatori. [...] Il
giardino interno dove ci trovavamo poco prima a mangiare era, invece,
adibito a zona ricreativa: c'erano delle panchine e dei tavoli al
coperto dove mangiare ed infatti vi si accedeva attraverso la mensa.
Dai campi sportivi, rientrammo nuovamente nell'edificio accanto agli
spogliatoi e ai bagni con le docce. Salimmo ai piani superiori dove
stavano le varie aule e i laboratori e poi di nuovo al piano terra in
cui stavano la segreteria, gli uffici dei professori, la sede della
redazione del giornalino della scuola e la biblioteca. Quella sì che
era grande e maestosa, e profumava di antico." (cap. 3). Prima
l'edificio era utilizzato come manicomio e venne chiuso circa 150 anni
fa per poi essere adibito a scuola pubblica.
- Peabody
Essex Museum: è un museo realmente esistente in cui lavora
la madre di Meredith, Anna Morgan Spencer Stanley.
- Cimitero
Monumentale: "«Il cimitero si trova dall'altra
parte della città. Mentre oltre queste mura si trova quello vecchio, il
cimitero monumentale di Salem dove sono sepolte alcune delle grandi
personalità del passato della città e non solo [...] ma
lo hanno chiuso circa centocinquant'anni fa, quando, al posto del
manicomio, hanno costruito la scuola. C'era un passaggio che li univa
attraverso il quale portavano i pazzi direttamente al cimitero nella
fossa comune dedicata ai malati mentali. Adesso è diventato un cimitero
monumentale, ma alcune antiche o potenti famiglie della città si fanno
ancora seppellire lì. [...] L’ingresso era proprio qui, dietro queste
piante- asserì spostando un ciuffo d'edera -lo puoi vedere chiaramente
perché i mattoni sono di colore diverso. Se scavalcassi il muro, ci
arriveresti in circa mezzora a piedi ma troveresti solo il recintato.
Altrimenti puoi arrivarci dalla strada principale passando dal centro
città.»" (Heric, cap. 7). In questo cimitero monumentale è eretta una
cripta di marmo che apparve a Meredith in uno dei suoi sogni
premonitori. Nel suo sogno, vi era riportata l'incisione: "Dal 1578 al
1692, qui giace in eterno riposo la famiglia Cavendish" (cap 5), nella
realtà invece: "Dal 1692, qui giace in eterno riposo la famiglia
Thompson, cacciatori, guerrieri, difensori della patria e della pace»."
(cap. 7).
- Luna
Park: dove è ambientato il capitolo in cui Meredith nota
che Heric porta al collo il suo stesso ciondolo. Lì era stata
organizzata una festa per celebrare la vittoria della squadra di basket
della scuola (cap. 10).
- Villa
dei Browning-Francis: è la villa in cui vivolo Heric e
Madeline, appertenuta alla famiglia di quest'ultima da secoli. La
villa, situata nei pressi di un bosco al 17 di Laswell Street, "[...]
era gigantesca e imponente: una villa enorme e bianca, con un portone
in stile gotico ed ampie e numerose finestre. Era piuttosto antica ma
ancora in perfette condizioni e ben nascosta dalla penombra della
foresta. Si trovava al di là di una schiera di alberi che circondava
una piccola radura la quale separava la strada alberata dalla villa,
come se quella fitta boscaglia avesse il compito di nasconderla da
occhi indiscreti e...dalla luce del sole. Nelle vicinanze non
c’erano altre abitazioni. Solo alberi di una grande foresta rabbuiata."
(cap. 11) e "All’interno la casa era ancora più bella: sembrava un
palazzo reale, un po' insolito considerando che l'esterno fosse più
sobrio. Forse era una sorta di copertura per dimostrare, anzi
camuffare, che la villa non era poi così recente. Varcato l’ingresso mi
ritrovai in un gigantesco atrio con al centro un’enorme rampa di scale
che si faceva strada verso sinistra, con i gradini molto larghi e la
ringhiera in ferro battuto. Lo spazio che mi circondava era immenso,
quasi quanto una sala da ballo. Probabilmente secoli fa ci
organizzavano feste e ricevimenti. I muri, così come le scale in
granito, erano bianchi e tutti decorati e rifiniti. C'erano delle
enormi finestre che rendevano quella stanza luminosissima (insolito per
essere la casa di alcuni vampiri!), nelle pareti libere erano invece
appesi diversi quadri e ritratti di dame e cavalieri e sul soffitto era
ancorato un enorme lampadario di cristalli. Sembrava una reggia. Ai
lati dell'atrio c’erano diverse porte in legno di mogano altrettanto
sfarzose. Heric discendeva senz’altro da una nobile famiglia
aristocratica e piuttosto rispettata in passato. Aprì una di quelle
porte nell'atrio e mi invitò ad accomodarmi in un piccolo salotto."
(cap. 12).
- Bosco:
è un piccolo bosco dietro la Villa dei Morgan da cui può accedere
direttamente dal giardino dalla villa stessa. La sua particolarità è la
radura situata nel mezzo e circondata da alberi dove avvenne la
trasformazione di Jeremy in licantropo. Questo bosco è attaccato alla
Riserva dei Lupi Mannari (vedi sotto).
- Riserva
dei Lupi Mannari: è appunto, una riserva di licantropi
dove i vampiri non sono ammessi. Il suo nome è in realtà Forest River Conservation Area.
- Shenyang
Shop: è la drogheria gestita dalla Signora cinese Mei-Lin
Xiang cui Meredith fece visita per sapere dove abitasse la prozia Sarah
e dove acquistò gli ingredienti per la sua pozione. La bottega
della Signora Xiang, con "due lanterne rosse con degli ideogrammi posti
al lato dell'ingresso (cap. 2) [...] era situata in fondo ad un vicolo
cieco, nascosta da occhi indiscreti e isolata dalle varie catene di
negozi del circondario cui nome, Shenyang Shop, risaltava in contrasto
ai vari H&M, Forever21 ed altri della zona. Varcai l'ingresso e
una sensazione di pace e tranquillità mi pervase: musica zen e incenso
rendevano l'atmosfera di quel negozio di magia una vera magia." (cap.
14).
-
Shadow Creek: è l'area periferica di Salem frequentata da
diversi vampiri del paese in cui i licantropi non sono ammessi. Non ho
ancora menzionato il nome all'interno della storia.
- The
Shadow's: è il pub gestito dall'anziana vampira Arya dove
vi lavora anche Madeline come cameriera. "Non molto distante dal centro
e situato in una zona non particolarmente raccomandabile della
periferia [...] Sebbene dall'esterno, per via della zona appartata in
periferia in cui era ubicato, sembrasse un luogo sconsigliabile e di
dubbia fama frequentato da loschi individui, all'interno in realtà si
nascondeva una vera perla arredata con gusto e, nonostante fosse
venerdì sera e fuori in centro quasi regnasse il caos del fine
settimana, l'atmosfera lì era piuttosto tranquilla e rilassata, con
musica da lounge bar non troppo alta e luci soffuse." (cap. 15).
- Willow
Park: parco realmente esistente dove sarà ambientato il
prossimo capitolo sulla celebrazione della Notte di Valpurga.
- Fort
Pickering: mi piaceva il nome di questo posto. Ancora non
ho pensato a una vicenda da ambientarci.
A questi luoghi vanno aggiunti inoltre, poiché omessi o non inclusi
nell'area di Salem:
- La
casa di Sarah Morgan: non essendo questo luogo
particolarmente importante ai fini della trama, non l'ho segnata nella
mappa qui sotto. Si trova al numero 38 di Port Drive Avenue
"[...] quasi dalla parte opposta della città rispetto alla villa dove
abitava la nonna" (cap. 2).
- North
Shore Hospital: è l'ospedale in cui lavora come cardiologo
Joseph Stanley, padre di Jeremy e Ashley e patrigno di Meredith. Non ho
mai menzionato il nome all'interno della storia, ma è un ospedale
realmente non molto lontano da Salem.
- Ipswich
River: è un fiume realmente esistente che attraversa
diversi parchi piuttosto lontani da Salem e in cui vi si è recato Heric
per procacciare durante la luna piena.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** La Notte di Valpurga. ***
17)
La Notte di Valpurga.
La Notte di Valpurga, o Walpurgisnacht dal
nome originale in tedesco legato al luogo natio di
questa festa, è, insieme al Samhain,
ossia Halloween, una delle celebrazioni più importanti nella vita di
una strega. Un evento a cui non si poteva assolutamente non prendere
parte, dove lo spirito vivente della natura si mescola con le credenze
magiche per celebrare l'arrivo dell'estate e propiziare il raccolto.
Questo almeno era ciò che mi aveva raccontato in maniera
particolarmente entusiasta Heric per convincermi ad andarci insieme. In
una città come Salem, profondamente legata alla magia e ai miti sulle
streghe, la Notte di Valpurga era fortemente sentita da tutti gli
abitanti, sia per coloro che erano scettici sia per i pochi che vi
credevano o avevano la certezza che quelle in realtà non fossero solo
semplici leggende o racconti che si perdevano nella notte dei tempi.
Io stessa a dire il vero ero abbastanza
emozionata all'idea di andarci, non solo perché io e Heric saremo
usciti di nuovo insieme per andare
ad un evento proprio come una vera coppia ma soprattutto perché stavo
iniziando ad accettare il mio destino.
Ero in estasi e passai le
ore di lezione fantasticando su come sarebbe stata questa festa,
immaginando ogni possibile scenario stucchevole fra me ed Heric, con
fuochi d'artificio alti nel cielo e passeggiate romantiche al parco.
Ero così assorta nei miei pensieri
che non seguì una sola
parola di nessuno dei corsi quella mattina e
nemmeno mi accorsi che la lezione fosse terminata e che in aula ero
rimasta solo io con la testa fra le nuvole.
«Mer alzati! Meredith? È suonata la
campana!» mi avvisò qualcuno. Sollevai la testa per vedere chi
mi avesse risvegliata dai miei pensieri: era George. Mi seguì fino al
mio armadietto e con aria titubante e indecisa disse
di volermi parlare dandomi appuntamento in biblioteca al
termine della quarta ora in modo
che potessimo discutere in tutta tranquillità prima di tornare a casa.
Era davvero insolito che volesse
parlarmi e per giunta in biblioteca, luogo dalla quale più volte mi
aveva bandita. Un po' scettica, prima di raggiungere Jeremy al
parcheggio per tornare a casa, mi diressi alla biblioteca. George era
già appostato lì, con le braccia incrociate e l'aria corrucciata.
«Di cosa dovevi parlarmi, George?»
«Temo i demoni e le sventure che
portano, non è così eh?»
«Cosa?»
«Ti dice nulla il suo significato?»
«Cosa stai farneticando?»
«Non fare la finta tonta, Meredith. So
benissimo il tuo segreto» mi
aveva messa spalle al muro, ero incastrata fra gli scaffali della
libreria alle mie spalle e lui di fronte a me. Nella mia testa pensavo a
quale dei
tanti segreti si potesse riferire: al fatto che fossi una strega in
erba? O che il mio fratellastro fosse stato
magicamente trasformato in un
licantropo? O che frequentassi un vampiro?
«All'inizio non capivo la tua fissazione
per la biblioteca o per le streghe, pensavo fosse solo curiosità da
parte della tipica ragazza proveniente da una grande città verso
leggende di quartiere. Ma poi hai iniziato a diventare ossessiva, a
parlarmi di strani sogni, di frasi in latino, di antiche famiglie, di
licantropi e allora lì ho capito.»
Fissandomi dritto negli occhi, mi sfilò
di soppiatto la collana con il ciondolo della nonna da sotto la giacca.
Per un attimo ebbi paura che volesse strangolarmi o farmi del male ma
l'esser stata scoperta forse fu addirittura peggiore.
«Sei una strega. Ma non è di certo questo il
problema. La cosa più disturbante e raccapricciante è che te la fai con
quei
mostri sapendo che sono un abominio della natura e la rovina della
nostra stirpe!»
Spalancai gli occhi senza riuscire a
spiccicare una parola.
«Senti, non so cosa tu ti sia fumato ma
non capisco per quale motivo tu mi stia dicendo tutte queste assurdità!»
«Dovresti dar retta alla frase che hai sognato e aver paura dei demoni
e delle res adversae*
che portano!»
«Quindi ora mi credi! Anzi no, tu hai sempre saputo tutta la verità,
non è così?»
«Arriverà presto il giorno della
battaglia finale, ormai siamo vicini. Dunque o sei con noi o contro di
noi» farfugliò qualcosa di incomprensibile e se ne andò, lasciandomi letteralmente impietrita lì
in biblioteca.
Il panico mi assalì, non riuscivo a
realizzare appieno cosa fosse successo e perché George sapesse tutte
quelle cose.
Aveva parlato di una battaglia finale e della nostra stirpe ed io non
avevo la minima idea se con l'appellativo di "mostri" si riferisse ai
vampiri o ai lupi mannari o ad entrambi considerando che nella mia vita
ero da un po' di tempo circondata da queste creature sovrannaturali le
quali ormai facevano parte appunto della mia vita, della mia famiglia,
dei miei affetti.
Mi calmai un attimo e poi corsi verso il
parcheggio raggiungendo Jeremy alla sua auto.
«George sa tutto!» gli sussurrai con voce roca e madida di sudore
freddo.
«Di cosa parli Mer? George il metallaro sa che cosa?»
«Di me, dei vampiri, dei licantropi e di tutto il resto. Ha parlato di
una
battaglia finale. Ho paura. Mi ha afferrato il ciondolo della nonna che
ho appeso al collo. Temevo volesse farmi del male.»
«Che
cosa? Ti ha messo le mani addosso?! Io lo uccido». Jeremy iniziò a
ringhiare, le sue iridi verdi
cominciarono a schiarirsi sempre di più e le sue pupille divennero
sempre più piccole. I suoi occhi era diventate due pietre opache che
brillavano dalla rabbia e il suo labbro inferiore cominciò a sanguinare
da quanto se lo stava mordendo con i suoi canini diventati ormai aguzzi
e affilati come quelli di un vero lupo.
«Jeremy! Stai calmo, per favore. O mio dio....le tue mani!»
Le sue mani, che stringeva nervosamente
in due pugni chiusi, sanguinavano, incise dai suoi stessi
artigli.
«Credo tu ti stia
trasformando. Oh merda, sali in macchina, andiamo su dammi le chiavi!»
Jeremy in tutta risposta mi ringhiò contro.
«Ho detto ANDIAMO.»
Gli presi le chiavi dalle tasche e guidai come una pazza la sua auto
sghangerata fino a casa con il
terrore che potesse perdere ulteriormente il controllo, trasformarsi in
quel cubicolo a quattro ruote, azzannarmi e uccidermi. Neanche quando
arrivammo a casa e scendemmo dall'auto
Jeremy smise di ansimare e ringhiare come una bestia. Lo intimai di
seguirmi nel bosco per darsi una
calmata e prendere una boccata d'aria fresca ma non ne voleva sapere e
tentai invano di trascinarlo con la forza ma era più forte di me e mi
scrollò di dosso con una gomitata. Fu a quel punto che, resosi conto
del suo gesto, rinsavì e ritrasse artigli e zanne. I suoi occhi
tornarono verdi e umani ma respirava a fatica e, tentennando, cominciò
a
chiedermi di perdonarlo perché non era in lui, perché la bestia, il
lupo, che viveva dentro di lui aveva preso il sopravvento. Rimasi a
terra inginocchiata sul prato del nostro giardino ancora sconvolta.
Jeremy, o meglio il suo essere per metà un lupo, andava addomesticato.
«Devo
chiamare Alexis. Devo vederla» disse nel mentre che mi veniva vicino
porgendomi la mano insanguinata per aiutarmi ad alzarmi che prontamente
scansai.
«Alexis, eh? Ma vai al diavolo.»
Ma non trascorsero nemmeno dieci minuti che qualcuno suonò il
campanello di casa. Era lei, ne avvertivo quasi la presenza, la sua
aura.
Jeremy era sotto la doccia e aprii io la porta trovandomi finalmente da
sola faccia a faccia con lei, che sebbene non mi avesse fatto nulla di
male, avevo iniziato ad odiare. Ma non era un odio immotivato o dettato
solo dalla semplice gelosia, avevo il
sentore che lei fosse malvagia e che dietro il suo viso d'angelo da
ragazzina
innocente si nascondesse un essere immondo e crudele. Restò spiazzata
nel constatare che non fosse stato Jeremy ad aprirle la
porta.
«Meredith,
ciao. Jer è in casa? Mi ha telefonata poco fa che voleva vedermi.
Dalla voce ho intuito sia successo qualcsao di spiacevole.»
«Jeremy
è in bagno. Accomodati» la invitai ad entrare con tono non
particolarmente ospitale e ci sedemmo nel divano in soggiorno. La
tensione e l'imbarazzo erano palpabili.
«Perché
ce l'hai con me?- si decise a chiedermi finalmente -Pensavo fossi
d'accordo che io e lui stessimo insieme dal momento che, quando siete
arrivati qui, hai cercato anche di aiutarmi diciamo...»
«Non ce l'ho con te» mentii
spudoratamente. «Jeremy è un po' diverso da
quando state insieme tutto qui. È cambiato.»
«So
che siete molto protettivi l'uno con l'altra ed io non voglio affatto
interferire nel vostro rapporto. Ho un fratello anche io, e guai a chi
me lo tocca.»
Il suo discorso pseudo maturo e
comprensivo non mi
convinceva, ma volevo darle fiducia. Approfittò di quel momento anche
per scusarsi della scena imbarazzante della scorsa settimana, quando la
beccai a letto mezza nudda con Jeremy, sebbene in fondo fosse in realtà
colpa mia perché non avevo bussato prima di entrare. Loro avevano tutto
il diritto di
stare in intimità senza essere disturbati.
«Mi piacerebbe poter essere tua amica e far tornare le cose, anzi parte
delle cose, a come quando sei arrivata qui» aggiunse al suo discorso di
scuse per poi abbracciarmi
come se mi stesse chiedendo davvero una seconda possibilità. Provai una
strana sensazione in
quel momento. Non era una sensazione di pericolo ma neanche
rassicurante, come se le sue intenzioni sebbene non fossero
particolarmente buone erano per lo meno innocue. Lei si accorse che
rimasi rigida al suo abbraccio ma non lo feci per male: io non
ero una persona
particolarmente espansiva e socievole come lo era lei.
«Hey, sei qui» disse
Jeremy entrando in salotto in tutta tranquillità come se niente fosse
successo. Gli si illuminarono gli occhi nel vederla.
Mentre
salivano le scale per andare in camera sua lo avvertii che presto
sarebbe arrivato Heric. Jeremy annuì con aria disinteressata. In fondo,
se lui poteva portare la sua ragazza a casa, io potevo portare il mio.
Heric arrivò verso le sei del pomeriggio presentandosi a mia madre che
nel frattempo era tornata dal lavoro e ad Ashley che invece era di
ritorno dagli allenamenti con le cheerleader e con la sua divisa
succinta non faceva altro che
ammiccare e osservarlo con insistenza. Fu molto imbarazzante ma Heric
non le diede attenzione conversando del più e del meno con mia
madre. In quel momento scesero in soggiorno anche Jeremy e
Alexis e l'attenzioe di mia madre si spostò da Heric ad Alexis.
«Beh,
io vado a prepararmi. Nick passerà a breve per andare a Willows Park»
disse Ashley quasi in imbarazzo per essere l'unica senza il proprio
partner in quel momento.
Tutti dunque saremo andati alla festa
al parco per celebrare la Notte di Valpurga. Senz'altro ci sarebbe
stato anche George e la cosa non mi faceva stare per niente tranquilla.
Avevo un terribile presentimento.
«Ti ho preso una cosa-
disse Heric una volta entrati in macchina -Guarda nei sedili anteriori.»
Un regalo, mi aveva fatto un regalo! Oh
mio dio! Pensai in estasi.
Sul sedile di dietro, stava poggiata un
enorme busta bianca chiusa. Emozionata la presi poggiandomela sulle
gambe e la aprii: al suo interno ci stava un cappello.
«Seriamente? Mi hai
comprato un cappello da strega? Mi prendi in giro!»
Heric rise di gusto
giustificandosi che non voleva affatto essere uno scherno ma aveva il
solo fine di rendermi più partecipe che mai in questa occasione. Non
capivo perché ci tenesse così tanto alla celebrazione della Notte di
Valpurga. Probabilmente doveva essere avvenuto qualcosa nel suo lungo passato da vampiro durante questa
notte ma non volevo chiederglielo e sembrare troppo impicciona, anche
se ormai, dal momento che ci frequentavamo ero curiosa riguardo il suo
passato e le sue relazioni soprattutto.
In meno di venti minuti arrivammo a Willows Park,
situato dall'altra parte della città e affacciato sulla costa.
Il parco era stato decorato in maniera
ancora più suggestiva di come lo avevo immaginato per tutto la
mattinata. I grandi salici erano adornati con delle piccole lanterne,
c'era un enorme falò, varie bancarelle con cibo e bibite, alcune
giostre e un gruppo che suonava musica celtica.
Prima di avviarci dentro, dovevo
avvertire Heric di quel che era successo quella stessa mattina con
George ma non sapevo da dove iniziare. Non volevo che anche lui andasse
in escandescenza trasformandosi in un vampiro dai denti aguzzi e
assetato di sangue. Così tentai di girare un po' intorno alla questione
senza essere diretta chiedendogli semplicemente cosa ne pensasse di
George. Ma ormai Heric mi conosceva bene e sapeva che dietro
quella domanda io nascondessi altre intenzioni.
«Per caso è successo qualcosa? Ti ha fatto del male?» era già pronto
all'attacco infatti. Io negai, ovviamente.
«Non mi piace, questo credo
sia chiaro. Soprattutto da quando ha fatto esplodere la palla da basket
proprio addosso a me senza neanche cercare di nasconderlo.»
«Ok. Ora però voglio che tu
sia ancora più sincero con me. Per quanto io rispetti le tue
convinzioni e ammiri la tua immensa lealtà di vampiro centenario, devi
rispondere sì o no alla mia domanda. E come premessa ti dirò che George
sa benissimo chi siate tu e Jeremy e che non si è fatto alcuno scrupolo
a descrivervi come mostri. George sa molte cose di cui
io sono all'oscuro: ha parlato di una battaglia finale immininente e di
una "nostra stirpe".»
«Mmh, interessante che abbia
definito mostri
i licantropi. Sei sicura di aver sentito bene? Comunque, quale sarebbe
la tua domanda?»
«Non voglio sapere a quale
strana razza sovrannaturale o a quale sottospecie magica appartenga,
perché tanto prima o poi lo scoprirò. Quel che voglio sapere è soltanto
questo: George è umano al 100% oppure..?»
«No, non lo è. Ora andiamo dai» disse
raddrizzandomi il cappello che mi aveva regalato sulla testa e
prendendomi per mano per avviarci al cuore della festa.
George non era umano. Avevo sentito proprio bene: rimasi perplessa
facendomi trascinare da Heric dentro al parco e poi decisi di lasciar
perdere questi pensieri e di godermi la serata insieme a lui.
Trascorremmo una serata
fantastica mangiando hot dog e zucchero filato, giocando nelle giostre,
guardando il falò abbracciati o i fuochi d'artificio presi per mano.
Forse quella era la volta buona: gli strinsi più forte la mano e mi
voltai verso di lui portandogli poi le braccia al collo ma ad un tratto
Heric si irrigidì, guardandosi attorno con aria tesa e irrequieta. Le
sue iridi illuminate dalle fiamme del falò divennero più scure.
«Sangue. Sento odore di sangue»
sussurrò con tono agitato. Mi prese di nuovo per mano e cominciò a
correre trascinandomi con sé ma io difficilmente riuscivo a tenere il
suo passo. Arrivammo al centro del parco vicino ad una delle bancarelle
che vendeva pop corn dove una decina di persone era riunita in cerchio
e un ragazzo, che conoscevo di vista, continuava a gridare il nome Brianna. «Brianna! Brianna!
Salvate mia sorella Brianna!» urlava disperato mentre
la teneva fra le braccia a terra.
Mi feci spazio fra la folla insieme a Heric che mi intimò di distrarre
le persone e farle allontare. Conoscevo sia quella ragazza, Brianna,
sia il ragazzo, Nigel. Erano i fratelli Nkhangweleni e
frequentavano la Salem High School. Avevamo addirittura diversi corsi
in comune, ma soprattutto, loro due e la loro numerosa famiglia erano
presenti al funerale della mia nonna. E ricordo che un'anziana donna
che era con loro, presumo la loro nonna, piangesse a dirotto.
Heric aiutò Nigel a far distendere
Brianna completamente a terra. La ragazza era riversa nel suo stesso
sangue, sangue presente a grandi chiazze anche sulla maglia del
fratello. Brianna si tratteneva il collo con le mani: era stata morsa o
azzannata proprio dove pulsa la carotide. Non poteva essere Heric
perché per tutto il tempo era stato in mia compagnia, e in quel momento
pensai che potesse esser stato Jeremy a ferirla.
«Meredith, fa allontanare
tutti!» mi intimò Heric, la sua brama di sangue gli aveva scurito gli
occhi completamente in un nero corvino ma il suo autocontrollo era
sorprendente. Obbedii e urlai alle persone di allontanarsi per far
respirare la ragazza, inventandomi nel tentativo di convincere tutti
che avesse avuto un semplice mancamanento e che quel sangue fosse solo
un trucco per celebrare la festa di Valpurga.
Heric si inchinò su di lei, guardo il
fratello dritto negli occhi e gli disse qualcosa che non riuscii a
comprendere. Il ragazzo annuì tenendo ferma la testa della sorella.
Heric si morse il palmo della mano facendo fuoriuscire del sangue e
appoggiandola sulla bocca di Brianna che stava soffocando e poi gliela
adagiò sul suo collo, proprio dove era stata inferta la ferita.
«Brianna, Brianna
concentrati. Tra poco starai bene, hai avuto un mancamento. Hai avuto
un mancamento e sei svenuta ma ora ti portiamo da bere e starai meglio» Heric continuava a
rassicurarla, ogni tanto guardava il fratello come se volesse
ipnotizzarlo e comandarlo con lo sguardo.
«Nigel, Nigel ascoltami. Vai a prendere
una bibita ora. Tua sorella è salva. Vai ora» gli ordinò. Il ragazzo si alzò di
scattò, qualcuno aveva già proveduto a comprare un succo di frutta alla
ragazza svenuta e a chiamare l'ambulanza. Brianna rinsavì, bevvette un
sorso prima di essere trasportata sulla barella. Non aveva un solo
graffio, ma le tracce di sangue sul suo collo, sul prato, sui suoi
vestiti e sulla maglia di Nigel, quelli c'erano ancora. Heric l'aveva
guarita dal morso mortale. Accompagnammo i due fratelli all'ambulanza
per assicurarci che non fossero troppo scombussolati da quel che era
appena successo.
«Ti ringrazio infinitamente
per quello che hai fatto. Ma non puoi soggiogarci» disse Nigel prima che i
volontari chiusero le portiere dell'ambulanza.
«Heric, cosa voleva
dire?» domandai al mio eroe
vampiro nel mentre che con le sirene accese e rimbomdanti l'ambulanza
si allontanava.
«Non hai notato che portava
al collo un ciondolo come il nostro?» rispose.
«Cioè? Dici che Brianna è
una strega? O mio Dio, ecco perché lei e la sua famiglia erano al
funerale della mia nonna. La loro è una famiglia di streghe e
stregoni!» dissi entusiasta. Finalemente, qualcuno come me.
«Andiamo via. È pericoloso
stare qui.»
Heric aveva l'aria particolarmente stanca ed esausta.
Probabilmente curare Brianna e lo sforzo fatto per resistere al
richiamo del sangue erano stati per lui un enorme dispendio di energia
che a mala pena riusciva a camminare.
«Meredith! Stai bene? Cosa è successo, perché
c'era un'ambulanza?» mi urlò Jeremy venendomi incontro insieme ad
Alexis.
Gli risposi che noi stavamo bene e che
una ragazza aveva avuto un mancamento, ma sia lui sia Alexis si
lanciarono una strana occhiata complice come se non mi avessero
creduta. Poi Jeremy mi fece cenno con la testa indicandomi che Heric
avesse del sangue addosso. Notando la reazione del mio fratellastro,
Heric si scusò dicendo di non sentirsi molto bene e che era il caso che
tornasse a casa.
Ed anche stavolta il mio appuntamento
non era terminato come sperassi ed inoltre, anche stavolta, avevo
guastato l'appuntamento di Jeremy e Alexis dovendo lui riaccompagnarmi
a casa per evitare che facessi il terzo incomodo.
Dopo aver accompagnato Alexis a casa,
raccontai a Jeremy quel che fosse successo, ovvero che durante la festa
c'era stato un attacco e probabilmente si trattava della stessa
creatura che da mesi stava uccidendo diverse donne e ragazze e che
Brianna, da quel che mi aveva detto Heric, portava al collo un ciondolo
come il mio e che quindi la vittima era una strega.
«E tu sei sicura che non sia
stato il tuo vampiro?» mi domandò con tono accusatorio.
«Sicurissima. Anzi, Heric
l'ha salvata, l'ha curata. È stato straordinatio! Quello di cui invece
non sono sicura è che non sia stato tu dal momento che questo
pomeriggio hai avuto una reazione violenta e non sei stato capace di
controllarti.»
«Meredith, come puoi pensare
una cosa del genere? Io ero tutto il tempo con Alexis, e poi che motivo
avrei per voler uccidere una strega?»
Feci spallucce.
Ero convinta che ormai eravamo vicini a
quella che George aveva definito "battaglia finale" ed ero sicura anche
che presto sarei stata io la prossima vittima.
Angolo
autrice.
*Res
adversae: ripreso da
Timeo
deamones et res adversae ferentes, la
frase in latino sognata da Meredith. Trovate la spiegazione nelle note
del capitolo 6.
Come avevo preannunciato, ho cominciato a scrivere nelle note una sorta
di guida per rendere più chiari alcuni elementi. Nel capitolo
precedente infatti ho trattato i luoghi di Salem citati nella storia e
a breve farò un riassunto sui personaggi dal momento che in questo ne
vengono, finalmente, introdotti due nuovi che avevo già citato nel
capitolo 2, ossia i fratelli Brianna e Nigel.
Ciao, e alla prossima :)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Memorie. ***
18)
Memorie.
Salem, 30 aprile 1892.
Erano
ormai passati esattamente due secoli dall'ultima esecuzione di una
strega. Le leggende riguardanti queste malvagie donne che
praticavano magie e incantesimi erano ormai soltanto un lontano ricordo
relegato
a pura e semplice leggenda. Alle accuse di stregoneria non si
dava più credito, gli attacchi di isteria collettivi non
venivano più associati alle possessioni demoniache e gli omicidi erano
investigati secondo il metodo scientifico senza più accusare creature sovrannaturali di essere le uniche
responsabili delle morti cruente che caratterizzarono quei secoli bui.
Provenienti dal Vecchio Mondo,
continuavano
ad attraccare
al porto di Boston navi cariche di persone piene di speranza che
giungevano nelle Americhe per cominciare
una nuova vita in una nuova terra. Fra questi vi erano famiglie
provenienti dalle più disparate nazioni Europee che portarono con sé la
propria cultura, le proprie tradizioni e le proprie festività. Quella
notte dell'ultimo di aprile del 1892 infatti fu la prima in cui venne
celebrata
a Salem la Notte di Valpurga
ed io ero lì, a Willows Park, che partecipavo ai festeggiamenti in
onore dell'arrivo dell'estate. Il popolo era in festa e banchettava
insieme alle ricche famiglie indossando tuniche e cappucci
neri sotto un cielo limpido
illuminato dai fuochi d'artificio.
Coperti dal frastuono dell'esplosione e
dalle voci delle persone che intonavano canti popolari, nessuno
si accorse delle urla che provenivano al di là del parco.
Cominciai a correre a perdifiato seguendo quelle grida di aiuto e
giunsi dinanzi ad un uomo di spalle, vestito anch'egli con una tunica
nera e con
la
testa coperta da un cappuccio. Non potei riconoscerlo perché tutti
indossavano abiti simili quella notte. Non potei nemmeno
vederlo in
faccia.
«Dove hai preso questo ciondolo?» intimò quell'uomo incappucciato alla
ragazza che teneva in ostaggio, bloccata fra sé ed il tronco di un
albero.
«È mio.»
«Sei solo una sporca schiava nera*. Dove lo hai rubato?» disse
afferrandola al collo.
«È mio. È un regalo della mia padrona» rispose la ragazza inerme e
terrorizzata coperta totalmente da quella losca figura.
L'uomo a quel punto l'azzannò al collo
coi suoi canini bianchi e affilati risucchiandole tutto il sangue che
aveva in
corpo. La povera ragazza, accasciandosi a terra, fece
scricchiolare le foglie sul prato col suo peso. L'uomo si inchinò su di
lei ormai in
fin di vita ed esangue, prese il ciondolo dalla pietra azzurra
incastonata appeso al collo della ragazza pronto a strapparglielo
mentre la ragazza invano tentava di tamponare la ferita. A
quel punto mi feci
coraggio e cominciai a gridare andandogli incontro. Preso alla
sprovvista si voltò verso di me, il volto sporco di sangue e le iridi
completamente nere e languide. Non era un uomo, era un vampiro,
dall'aspetto intuii che fosse stato trasformato a poco più di
vent'anni. Mi sorrise
minacciosamente e scomparve nel buio della notte. Con il cuore in gola
corsi verso la ragazza distesa a terra gridando aiuto. La
riconobbi, era la
mia compagna di scuola Brianna. Continuava a premersi con le mani la
ferita alla
gola cercando di fermare la fuoriuscita di sangue. Volevo aiutarla,
avrei potuto aiutarla se non avessi avuto paura ma ormai era troppo
tardi. Le strinsi la mano e
lei esalò il suo ultimo respiro.
«Nooooooooooo!» gridai con tutto il fiato che avevo nei polmoni.
E poi mi svegliai, disturbata dalle mie stesse urla e coperta di
sudore. Erano le tre del mattino. Non ricordavo più l'ultima volta che
ebbi un incubo e che mi svegliai alle tre puntuali.
A differenza dei miei precedenti incubi, quello non era affatto un
sogno premonitore, era come un ritorno al passato, era tutto così reale
come se io fossi realmente lì, nella Salem del 1892. E quel vampiro,
non so perché,
aveva un'aria tremendamente familiare ma non riuscivo proprio a
ricordarmi dove
avessi visto il suo viso umanizzato senza le fattezze di vampiro
assetato di sangue. Non sapevo neache dire se lo avessi davvero
incontrato nella realtà o se lo avessi solo
sognato.
Dovevo assolutamente parlare con Brianna, ero convinta che quel vampiro
che avevo appena sognato fosse lo stesso che l'aveva attaccata durante
la festa della Notte di Valpurga. Ero anche convinta che era lo stesso
che stava sterminando tutte quelle donne e Brianna, forse, era l'unica
vittima ad essersi salvata dalle sue grinfie e ad averlo visto in
faccia.
La mattina dopo la Notte di Valpurga
telefonai ad Heric per accertarmi che stesse bene e che si fosse
ripreso dalla sera prima e ci accordammo per vederci quel pomeriggio
per prendere un
gelato e fare una semplice passeggiata.
Ci demmo appuntamento alle quattro
direttamente alla caffetteria in centro dove andammo per il nostro
primo vero appuntamento, perché il nostro primo non appuntamento fu al
Luna Park, quando ancora non sapevo che Heric fosse un vampiro e volevo
dimostrare solo che le mie teorie fossero fondate. Heric come al solito
ordinò un
gelato alla menta ed io ordinai dei pancake. Faceva
ancora
freddo per ordinare un gelato nonostante fossimo già a maggio e
soprattutto non mi ero ancora abituata a
quel clima freddo del nord.
Ci accomodammo a un tavolo per due
accanto alla finestra. Heric guardava fuori e sembrava assente, come se
stesse
pensando a chissà che cosa tenendo il cono gelato fra le mani senza
rendersi conto che stesse iniziando a sciogliersi.
«Quindi tu sanguini?» gli
domandai per catturare la sua attenzione.
«Cosa? O no, il gelato!- esclamò mentre avvicinava il cono alle
labbra per leccare il gelato che colava -Cosa mi hai chiesto?»
Rimasi incantata alcuni secondi a guardarlo.
«Scusa- scossi la testa per scacciare
via i
miei pensieri erotici su di lui come una sciocca -Tu sanguini?»
Sorrise per ciò che gli avevo appena chiesto come se questa fosse una
cosa scontata.
«Ti sembrerà strano ma ho anche un cuore
che batte e un apparato
circolatorio a dir poco perfetto e funzionante» rispose orgoglioso e
compiaciuto. Ero sempre più
affascinata da lui e sempre più
incredula perché tutto ciò andava contro non solo alle mie convinzioni
ma anche alla scienza. Lui in fondo era morto dunque era
biologicamente impossibile che il suo cuore battesse e che nelle sue
vene circolasse del sangue. Quello era il momento perfetto per fargli
la mia fatidica domanda. A bassa voce e avvicinandomi al suo viso gli
sussurrai di aver un favore da chiedergli per una persona a me molto
cara. Dovevo far in modo che
sembrasse un'idea mia, beh in fondo lo era.
«Il lupo...» asserì quasi disgustato, ma
non ci feci caso: si odiavano
reciprocamente per natura e dovevo farci l'abitudine.
«Jeremy non è pronto per essere un
licantropo. Voglio che
lui ritorni come era prima e ho letto nel grimorio della nonna
di una
pozione che annullerebbe le fatture. Ed ecco, oltre a della
genziana e a
dell'eucalipto, mi occorrerebbe del sangue di vampiro» gli dissi tutto
d'un fiato. Heric mi fissò inarcando il sopracciglio come se avessi
appena detto una sciocchezza.
«Io credo che questo non sia possibile.
Ti aiuterei volentieri ma potresti ucciderlo col mio
sangue. Il mio morso gli sarebbe letale così come il suo sangue. Allo
stesso modo il morso di un licantropo sarebbe per me mortale così come
il suo sangue o i suoi fluidi in generale» smontò subito la mia idea
facendo spallucce come a voler dire di esser in ogni caso dispiaciuto
di non potermi aiutare.
«Se ciò ti può consolare, conobbi
personalmente un branco di licantropi quando visitai la Svezia.»
«Sei stato in Svezia?» lo interruppi
meravigliata.
«Sì, nel 1765 se la memoria non mi
inganna. Durante il Settecento
visitai l'allora denominato Vecchio Mondo.»
«Wow! E come si sono trasformati quei
licantropi che hai conosciuto? E quanto
vivono? E come si sono trasformati?» lo interruppi di nuovo
tempestandolo di domande.
«Tuo fratello non te l'ha raccontato? Io
non sono particolarmente esperto in realtà. I vampiri e i licantropi
sono
nemici per natura di conseguenza non ho mai pensato di approfondire la
loro
conoscenza. Essendo esseri viventi, o
nascono tali
da due genitori licantropi oppure la licantropia può esser loro causata
da una ferita inflitta ad un umano da parte di un altro licantropo.
Secondo
altre leggende occorre uccidere un lupo e indossarne le pelli (testa
compresa) ricorrendo all'aiuto di una strega che pratichi magia nera ma
del rituale non so dirti molto. Potrebbe anche succedere che l'umano in
questione sia vittima di un incantesimo malvagio
e venga trasformato per volere della strega, ma per compiere tale
maleficio è necessario che questa strega sia davvero molto potente. Non
so
come
il branco svedese si fosse trasformato o quanto antica fosse la loro
stirpe, erano piuttosto numerosi, un’intera famiglia. Essendo umani di
giorno e lupi mannari solo le notti di luna piena, vivono quanto una
persona
normale. La loro condizione permette loro di poter
vivere un'esistenza fondamentalmente umana sebbene siano dotati di una
forza sovraumana e necessitino di un grande autocontrollo per tenere a
freno la rabbia e altri istinti primordiali. Ma con la pratica e la
disciplina sono in grado di trasformarsi quando vogliono e di mutare il
proprio aspetto in quello di un vero lupo. Dunque vedrai che con il
passare degli anni il tuo fratellastro imparerà anche a
trasformarsi a proprio piacimento a prescindere dalla luna piena, ma
nelle notti di plenilunio è inevitabile che ciò avvenga.»
«Il paletto d’argento li ucciderebbe?»
«Sì, stessa cosa per i vampiri con
quello di frassino. Siamo molto
forti entrambi ma questo è il nostro punto debole, anche se i
licantropi hanno una soglia del dolore molto più bassa della nostra
essendo
loro animali a sangue caldo. Però i vampiri hanno un altro svantaggio
perché
anche la luce solare li ucciderebbe. Loro invece esistono solo di
notte e solo alcune notti. Siamo entrambi esseri notturni. Io sono
un’eccezione» rispose
chinando il capo per indicare il ciondolo.
«Dunque non sai se esista un qualcosa
per annullare questa
maledizione?» gli domandai.
«Quello che siamo io e Jeremy non è una
vera e propria maledizione,
Meredith, è più una dannazione. Siamo stati dannati a questo destino.
Ma come ti ho detto, almeno per
tuo fratello ci sarà una fine e soprattutto la pace dopo la morte.»
Un velo di tristezza gli comparve sul
viso. Finì di mangiare il suo gelato, si asciugò le labbra con
un
tovagliolino di carta e cominciò a fissarmi dritta negli occhi.
«Ti va di andare in un posto segreto?»
Risposi entusiasta alla sua proposta
senza pensarci due volte. Per qualche strano motivo mi fidavo
ciecamente di Heric, nonostante l’avvertimento
del ciondolo, nonostante fosse mille volte più forte di me e nonostante
fosse immortale senza nulla di cui temere. Io potevo benissimo
essere una sua facile preda, o la sua
seconda merenda dopo il gelato alla menta ma in quel preciso momento,
quella di
morire morsa da un vampiro, era
l'ultima delle mie paure.
Ci alzammo dal tavolo per andare alla
cassa: Heric si offrì di pagare
anche la mia merenda e mi aprì pure la portiera quando salimmo in auto.
Non ero abituata a tanta galanteria: era proprio un gentil’uomo di
altri tempi! Mise in moto la macchina e
strinse il volante. Non sapevo dove mi
avrebbe portata, ma ero eccitatissima!
Dopo un quarto
d'ora di viaggio, gli domandai un
po’ perplessa dove ci stessimo dirigendo, usando quella domanda con
un doppio scopo: avere
qualcosa di cui conversare e scoprire dove stessimo andando di preciso.
Eravamo in macchina già da un pezzo ormai e non avevo la minima idea di
dove mi stesse portando.
«Tra un po' arriviamo, non aver paura»
ammiccò.
Ci imbucammo in un piccolo sentiero ed
entrammo in una foresta:
ricordavo perfettamente di aver già percorso quella strada alberata.
«Stiamo andando a casa tua?»
«No. Ma si trova vicina al posto
segreto» sorrise. Non potei non
sorridergli a mia volta, arrossendo stupidamente.
Oh quanto mi piaceva! Nonostante tutto
mi piaceva da impazzire: quel suo sguardo enigmatico, il suo modo di
sorridermi,
la pazienza con cui rispondeva alle mie domande idiote e la maniera in
cui riusciva a farmi fidare di lui. E poi era così calmo e composto nei
modi di fare. Non riuscivo ad immaginarlo mentre uccideva qualcuno e ne
risucchiava il sangue. Pur cosciente di cosa fosse realmente,
conservava ancora quell’aria di mistero che mi aveva colpita fin
dall'inizio. Volevo sapere di più di lui, del suo passato, della sua
vita da umano, di cosa avesse fatto in tutti questi secoli. Tutto.
Spense il motore e il panorama immobile
al di là del finestrino catturò
la mia attenzione.
«Di solito non vengo mai in macchina
qui. Sono molto più veloce a
piedi» disse aprendo lo sportello e invitandomi a scendere dall'auto.
Eravamo immersi nel verde, non c’era
nient’altro intorno se non alberi da cui attraverso la luce del sole
filtrava faticosamente fra le foglie e i rami delle alte
querce.
Heric si accostò ad un albero
accarezzandone la corteccia ruvida.
«È qui che avvenne la mia
trasformazione- sospirò -quando attaccarono
la carrozza dove stavo viaggiando insieme alla mia famiglia eravamo
nella strada qui vicino. Non ho visto chi ci attaccò né il vampiro che
mi trasformò. Dopo che venni ferito dai ladri, continuai a
camminare addentrandomi sempre di più nel bosco passando per questa
radura. Mi accasciai accanto questa quercia ormai privo di forze e
rassegnato alla morte. Fu proprio qui che morii e rinacqui, la notte a
cavallo
fra il 5 e il 6 Giugno del 1687».
Si fermò per riprendere fiato. Io non
sapevo cosa dirgli e lo guardavo
impaziente di ascoltare il resto.
«Ogni tanto vengo qua, mi ricorda il mio
passato. Ci torno nella
speranza di ritrovare la vampira che mi ha trasformato. Credo fossero
un bel po’ i vampiri giunti a Salem in quell'anno attratti dal fatto
che qua a Salem vi erano diverse congreghe di streghe che avrebbero
potuto aiutarli.»
«Sembra così tranquillo qui. E poi è
così luminoso. Pensi che dei
vampiri vengano qui?» domandai.
«Ormai non più. A parte me, quando sono
nostalgico oppure quando ho
fame. Ci sono diversi animali selvatici.»
«Quindi tu cacci per sopravvivere?»
«Sì, ma la mia meta preferita è vicino a
Ipswich River. Io non bevo più sangue umano da un po' mentre Madeline,
ogni tanto sì, o si nutre di qualche cliente del Shadow's o ruba le
sacche delle donazioni del
sangue dagli ospedali della zona. Lei è più forte di me, ha più
autocontrollo.»
«Ah. Che sapore ha il sangue umano?»
«È buono. Caldo, dissetante e con un
gusto agrodolce.»
Solo parlare del sangue fece scurire i
suoi occhi e cambiò espressione.
Involontariamente feci un passo
indietro; intuì che mi fossi spaventata
all’idea di poter essere il suo prossimo pasto della serata e si
strofinò gli occhi.
«Scusa. Non volevo farti pensare di
essere la mia cena» mi disse, leggendomi come se fossi un libro aperto.
«Da quanto tempo non ne bevi?»
«Intendi dire da quanto non uccido un
essere umano per nutrirmi?»
«Sì, intendevo quello.»
«L'ultima persona a cui purtroppo ho
tolto la vita è stato 125 anni fa. Ma non bevo sangue umano da circa
cinquant'anni» rispose fiero e orgoglioso della sua astinenza
dal sangue.
Continuammo a parlare ancora per un bel
po’ di tempo sedendoci sull’erba umida.
«Raccontami qualcosa di te. Della tua
famiglia o della Florida per
esempio. Non ci sono mai stato.»
Cosa potevo inventarmi di interessante
in confronto alla sua vita
avventurosa? Odiavo parlare di me. E poi non c’era molto da raccontare:
prima degli ultimi due mesi era tutto monotono e ripetitivo nella mia
vita. Le mie giornate erano un susseguirsi delle stesse azioni:
colazione, scuola, compiti, qualche litigata con Ashley e Jeremy, cena,
doccia, dormire. Per anni avevo ripetuto lo stesso circolo vizioso di
azioni automatiche.
Raccolsi il coraggio e decisi di fargli
un riassunto della mia
noiosissima esistenza, risparmiandoli la routine della mia patetica
giornata.
«Beh, che dire. La mia vita non è stata
emozionante come la tua. Sono
una ragazza normale, almeno lo ero fino a qualche mese fa prima che mi
trasferissi qui. Mia madre è nata e cresciuta qua a Salem, è stata sua
la decisione di tornare quando la nonna è morta. Mio padre è invece
originario di Coral Springs. Si conobbero qui mentre lui svolgeva degli
studi sul folklore locale. Una volta laureato si sposarono e decisero
di vivere qui, nella casa di mia nonna e con mia nonna in casa. Ma dopo
tre anni però ci trasferimmo in Florida, sia perché mio padre non
andava molto d'accordo con la nonna sia perché diceva che in casa
succedessero cose strane: rumori, ululati, ricordo che se ne lamentava
spesso, e poi mia nonna era sempre intenta a fare filtri magici e
invitare a casa delle sue amiche, forse streghe anche loro. Così,
stanchi di questa situazione, i miei decisero di cambiare non città, ma
direttamente stato. Ci trasferimmo in Florida, a Coral Springs, la
città di cui era originario mio padre. Avevano
comprato una casa bianca con uno splendido giardino ma mia madre in
fondo non era felice di aver lasciato la nonna sola così nei cinque
anni seguenti non facero altro che lamentarsi e litigare. éer questo
motivo mio padre
se ne andò. Non fu facile all’inizio. Ogni tanto mi telefonava e veniva
a trovarmi, poi però si è risposato anche lui. E ora non ci vediamo
più e ci sentiamo di rado.»
Mi fermai. Gli occhi mi erano diventati
lucidi e abbassai lo sguardo.
Heric mi guardò e, prendendomi il viso
fra le mani, mi passò il pollice
sotto l'occhio per spazzare via quella lacrima nostalgica. La sua mano
era fredda come nei miei sogni, ma il suo tocco era leggero e delicato.
In quel momento ero sicura che non mi avrebbe mai potuto far del male:
Heric era molto più umano di tante altre persone.
Mi voltai di colpo strofinandomi la
manica della maglietta sugli occhi
per asciugarmi le lacrime macchiandola di mascara. Non volevo che mi
vedesse piagnucolare e con l'espressione corrucciata e il trucco
sbavato.
«Un bel giorno però mia madre incontrò
Joseph, il padre di Ashley e
Jeremy. Lui era vedovo già da un po’ e così dopo poco più di un anno di
convinvenza si sposarono e tutti e tre si trasferirono nella nostra
casa bianca con giardino. Fui costretta a dividere la mia camera con
Ashley, non la sopportavo, anzi tuttora non la sopporto. Non la odio
perché è comunque parte della mia famiglia, ma non le sono
neanche affezionata ecco! Jeremy invece, beh lui è un tipo strano. Sta
sempre sulle sue ed è solo ultimamente che abbiamo iniziato ad
instaurare un rapporto. Joseph mi piacque fin dall’inizio, e sono
contenta per mia mamma e quando, qualche mese fa abbiamo saputo
della scomparsa della nonna e che ci aveva lasciato la villa in
eredità, non esitò un attimo alla decisione di trasferirci qui. E di
questo ne sono ancora più contenta perché qui a Salem mi sento davvero
a casa mia.»
«Non avevi amici in Florida?» avevo
capito benissimo che per amici
intendesse soprattutto ragazzi.
«Sì, avevo qualche amica in Florida, ma
i miei rapporti con le persone
non andavano oltre la conoscenza superficiale. Il peggio era con i
ragazzi, le mie relazioni erano piuttosto brevi e instabili. Tu invece?
In 340 anni avrai avuto molte donne immagino...» cambiai
argomento: parlare dei miei ex fidanzati e delle mie scottature non mi
andava per niente.
«Eh sì. Ne ho avute diverse ma solo
alcune furono davvero importanti.»
«E come è finita?» domandai curiosa.
«Le ho lasciate. Ho dovuto. Non volevo
vedere la persona che amavo
morire davanti ai miei occhi. Loro invecchiavano e io avrei iniziato a
sembrare loro figlio e poi loro nipote, ma allo stesso tempo non volevo
nemmeno destinarle a questa insulsa vita da mezzo morto. Bisogna essere
davvero egoisti per condannare la persona che ami a vivere nell'ombra e
combattere i propri istinti giorno dopo giorno, per sempre. Così me ne
andavo via ma finisco sempre per tornare qui a Salem
ogni volta.»
Questo era infatti il mio chiodo fisso
nella nostra relazione. Ogni giorno che passava io diventavo
più vecchia, mentre lui rimaneva
sempre lo stesso. E con la sua fissazione del non voler dannare altre
persone a questa esistenza, non mi avrebbe mai resa
immortale. Non gli feci altre domande sulle sue precedenti
storie d’amore, mi
parve abbastanza malinconico dopo aver accennato al fatto che le
ragazze della sua vita invecchiavano e lui no. Non potevo però ignorare
il fatto che io potessi essere per lui una delle tante ragazze di
passaggio nella sua eterna esistenza di vampiro.
«Perché stai con me allora? Credi possa essere diverso fra noi due
oppure in cuor tuo sai già che te ne andrai perché abbiamo un tempo
limitato?»
«Meredith, sto con te perché voglio stare con te. So che questo ti
sembrerà egoista da parte ma voglio godermi il presente insieme a te
senza pensare a cosa ci serberà il futuro. Tu sei molto importarte per
me dunque è giusto che anche tu rifletta e decida cosa sia meglio per
te. E qualunque sarà la tua decisione, io la accetterò e mi metterò da
parte» mi prese il viso tra le mani e ci fissammo per un attimo senza
dire una parola.
«Non voglio pensare al futuro né rimuginare sul fatto che prima o poi
te ne andrai. L'importante è che tu sia qui con me ora.»
Gli misi le mani intorno al collo e chiusi gli occhi. Il cuore mi
batteva all'impazzata: c'eravamo solo io e lui e la quiete del bosco.
Heric si avvicinò di più al mio viso e
mi baciò.
Ci baciammo per un lungo interminabile
minuto senza staccarci e poi restammo lì, seduti sul prato in silenzio
ed abbracciati, aspettando il tramonto.
Il sole era quasi del tutto scomparso
oltre agli alberi e si stava
facendo notte.
«Non è sicuro stare qui!» esclamò a
bassa voce alzandosi in piedi all'improvviso e guardandosi attorno.
Improvvisamente la pietra del mio
ciondolo divenne un pezzo di ghiaccio.
Il pericolo era vicino, e non era Heric.
«Dobbiamo andare Meredith» sgranò gli
occhi porgendomi la mano per aiutarmi ad alzarmi.
«Heric! Che succede?»
«Qualcuno sa di te. E ti sta cercando...»
Angolo
autrice.
*Sporca schiava
nera: in questa scena siamo alla fine del 1800. Vi pregherei dunque di
contestualizzare l'offesa razzista
al solo fine della trama.
Questo capitolo, intitolato appunto Memorie, è una
finestra nel passato dei due protagonisti, soprattutto di Heric. Mi
perdonerete dunque
l'enorme quantità di dialoghi e monologhi, ma spesso e volentieri li
preferisco ad enormi e dilaganti descrizioni.
Inoltre,
vi segnalo la mia
"nuova" storia incentrata sul vampiro Heric, una
raccolta delle sue memorie dal 1687 a... non so. Le due storie sono
leggibili anche separatamente e non sono strettamente collegate, ma
leggere il passato di uno dei protagonisti di questa storia potrebbe
comunque spoilerarvi Do
you believe in Old Legends.
Qui il link Bloody Memory
Alla prossima :)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Charles. ***
19)
Charles.
Ci affrettammo a salire in
macchina e Heric la mise in moto stringendo nervosamente il volante.
«Cosa sta succedendo? Chi mi cerca?» gli
domandai scrutandolo con attenzione per assicurarmi che non mi
rifilasse qualche sciocchezza per evitare di farmi agitare
ulteriormente. Ma esitava.
«Heric?!»
«Ti avevo accennato al fatto che un
altro vampiro, di cui io e Madeline abbiamo perso le tracce tanti anni
fa, ha un ciondolo come il nostro?»
Sbiancai.
«Dalla tua reazione immagino di sì, e
credo tu abbia intuito cosa stia per dirti. Beh ecco lui è qui, a
Salem.»
«Oh no! È lui il vampiro che ha
attaccato Brianna ieri e che sta uccidendo tutte queste donne! Non è
così? Mi vuole far del male?» ma quale male! Uccidermi probabilmente
era la sua vera intenzione.
«Devi stare tranquilla, io non glielo
permetterò.»
Mi guardò in modo strano, deciso a non
darmi molte spiegazioni e tornò a fissare la strada.
Ero così spaventata che persi la
cognizione del tempo e in un quarto d’ora eravamo già di fronte a casa
mia, purtroppo. Si scusò amorevolmente dicendo che non aveva alcuna
intenzione di spaventarmi ma che voleva soltanto di mettermi in
guardia. Annuii e mi voltai a destra per aprire lo sportello ma mi
bloccò prima che potessi uscire dall'auto afferrandomi il polso.
«Stai attenta, Mer» mi intimò con tono
preoccupato. Sentivo il cuore battere fortissimo.
«Lo farò. Ciao Heric, ci vediamo a
scuola domani.»
«A domani» sorrise, e chiusi la portiera
avviandomi verso casa.
Forse avrei dovuto dare ascolto a Jeremy
quando mi diceva di stare fuori da tutta questa faccenda, ma
l'attrazione e la curiosità avevano avuto il sopravvento su di me per
lasciar perdere. Mi stavo scavando la fossa da sola ogni giorno di più.
«Era ora che tornassi!- mi rimproverò
mia madre vedendomi salire le scale di nascosto -La cena è quasi
pronta.»
Annuii e andai a lavarmi le mani. Non
capitava quasi mai che ci fossimo tutti e cinque a cena: Joseph
raccontava alla mamma quanto fosse stata pesante la sua giornata
all’ospedale, Ashley mangiava tranquilla e spensierata mentre Jeremy
fissava il piatto tenendo nervosamente la forchetta.
«Un altro assassinio ha colpito
nuovamente la contea di Essex, Massachusetts, con le stesse modalità
dei precedenti omicidi avvenuti a Salem. Il medico legale non riesce a
definire l’arma del delitto mentre la causa del decesso è un’emorragia
provocata da una ferita mortale alla gola. Da gennaio ad oggi, 1
maggio, le vittime sono state in tutto 27. Da Salem è tutto.»
Io e Jeremy alzammo lo sguardo
contemporaneamente per seguire il telegiornale. Ogni tanto distoglieva
lo sguardo dal televisore e mi lanciava strane occhiate: pensava che
Heric c'entrasse qualcosa. Ma io sapevo che non era così, ne ero più
che certa.
«Io non ho più fame» disse alzandosi
dalla sedia e sbattendo la forchetta sul tavolo.
«Ma, tesoro non hai mangiato nulla» gli
fece notare mia madre, preoccupata. Non rispose, si girò verso di noi
guardandoci con la sua solita aria corrucciata e poi continuò a
camminare verso le scale. Poco dopo anche io mi alzai dal tavolo per
andare da lui. Dovevo spiegargli la situazione, dovevo difendere la
reputazione di Heric. Non volevo che pensasse male di lui.
«Non ho voglia di parlare Mer!» mi urlò
da dentro la sua stanza. Aveva riconosciuto i miei passi.
«Invece dobbiamo parlare!» spalancai la
porta, decisa a farlo ragionare.
«Sono stanco di questa situazione.»
«Lo so che hai paura, anche io ne avrei
al tuo posto.»
«Ma io non ho paura. Sono stanco. Stufo.
E poi sei tu quella che dovrebbe avere paura.»
«Ti sbagli. Heric non c'entra nulla. C’è
un altro vampiro in città!»
«Bene. Questo dovrebbe rassicurarmi?»
«No, ma smetti di avere questo odio
verso Heric perché io non smetterò di vederlo! Buonanotte.»
Sbattei la porta e andai in camera mia
per mettermi a letto.
Non riuscivo a dormire: avevo troppi
pensieri per la testa e non riuscivo proprio prendere sonno. Continuavo
a fissare il soffitto, a rigirarmi nel letto e a cambiare lato del
cuscino. Continuavo a pensarci e mentalmente feci il punto della
situazione. Innanzitutto mi preoccupava Jeremy: faceva il duro ma io
sapevo che in realtà era debole, questa situazione lo stava stressando
più del dovuto. Fra il trasferimento a Salem, la nuova scuola, i
vampiri in città e la sua trasformazione in licantropo non so cosa
potesse turbarlo di più. Poi, questo nuovo vampiro che ogni giorno
uccideva delle donne iniziava a preoccuparmi: potevo essere io la
prossima visto che mi stava cercando come mi disse Heric? Ero davvero
sicura che questo serial killer fosse
un vampiro e che fosse proprio
Charles? E poi Heric, cosa eravamo io e lui? Per quanto dovesse farmi
paura stare con un vampiro, come diceva Jeremy, non volevo immaginare
com’era stare senza ormai. Mi sentivo ormai legata indissolubilmente a
lui per via delle stranezze che ci accumunavano ed ormai ne ero
attratta in maniera ossessiva. Come mi aveva detto lui stesso,
vampiri e umani non durano per sempre. Sapevo che prima o poi se ne
sarebbe andato e io mi stavo soltanto illudendo.
Era mezzanotte passata.
Stavo stesa sul letto a riflettere
quando all’improvviso sentii un rumore provenire dal giardino; così
corsi alla finestra ad affacciarmi.
Non feci in tempo a raggiungerla che
Heric si era catapultato nella mia stanza!
«Cosa ci fai qui?» gli domandai con tono
un po’ scortese ma in realtà ero felicissima che fosse qui da me.
«Sono venuto a vedere come stavi e a
parlarti» rispose serio.
«Parlarmi di cosa?»
Si avvicinò a me, facendomi cenno di
sedermi sul letto, accanto a lui.
Mi raccontò del nuovo vampiro: Charles.
«Charles, all'epoca che lo incontrai,
era già un vampiro di circa 50 anni. Era originario proprio di Salem e
la sua famiglia infatti fu tra quelle che fondarono la nostra città nel
lontano 1623, anno in cui anche Charles, il primo di cinque fratelli
tutti maschi, nacque.
Venne trasformato quando aveva circa vent'anni e fu ripudiato dalla sua
stessa famiglia che lo colse i flagrante mentre uccideva e si nutriva
di una delle cameriere. La sua famiglia dunque lo considerava un
abominio, un mostro, una bestia da sopprimere. Sua madre però
insistette nel lasciarlo libero piuttosto che ucciderlo perché in fin
dei conti era sempre suo figlio. Dopo aver vagato per mezzo secolo
nell'oscurità, tornò a Salem poiché era venuto a conoscenza che qui vi
fossero giunte numerose streghe convinto che avrebbero potuto aiutarlo
in quanto era stanco di vivere condannato ad un'esistenza nell’oscurità.
«I vampiri possiedono una sorta di sesto
senso che permette loro di avvertire la presenza dei loro simili così
trovò me e Madeline che ancora abitavamo qua a Salem, rintanati nella
nostra villa di famiglia e vivendo gli anni della nostra trasformazione
avvolti nell'ombra. Charles ci introdusse ad una congrega di streghe ed
insieme facemmo un patto nel 1690: la nostra protezione
dall'imminente caccia alle streghe in cambio della possibilità
di poter uscire alla luce del sole. Neanche un anno dopo in città
arrivò un'ondata di vampiri, all'epoca considerati dei demoni al pari
delle streghe. La città fu invasa da creature sovrannaturali,
scorrevano fiumi di sangue poiché ogni giorno morivano decine e decine
di persone: regnava un'isteria generale e così cominciò la famigerata
caccia alle streghe. Il nonno di Charles, capofamiglia e
fondatore di Salem, che lo voleva uccidere, era già morto da tempo, ma
suo padre quasi alla soglia degli 80 anni era ancora in vita e volle
consegnarlo alle autorità. Charles lo uccise così come uccise tutti i
suoi fratelli e familiari che lo avevano ripudiato, ad eccezione di sua
madre che, sebbene ormai anziana, continuò ad amarlo e a volerlo
proteggere. La donna fu poi accusata di stregoneria in quanto
continuava a proteggere il proprio figlio demoniaco e fu arsa al rogo.
«Nel frattempo, durante uno
dei processi, una delle streghe confessò in
tribunale, davanti
a tutti i rappresentanti delle famiglie fondatrici e al cospetto dei
delegati inviati dalla Madre Patria, la presenza dei vampiri a Salem.
Alcuni riuscirono a scappare mentre altri furono catturati ed uccisi.
Dietro tutte queste uccisioni vi era poi il fatto che altre streghe per
garantirsi protezione avevano preso le parti di alcune potenti famiglie
di licantropi, nemici naturali dei vampiri, fornendo loro aiuto
nell'uccidere questi ultimi. Ma in seguito, le stesse streghe che
aiutarono gli umani nella ricerca furono condannate al rogo per
stregoneria, ad eccezione di alcune incluso il piccolo gruppo che io e
Madeline riuscimmo a salvare come stabilito nel nostro patto: la
congrega delle quattro streghe bianche di Salem a cui avevamo promesso
protezione in cambio delle collane. Ma a Charles non andò giù quel
tradimento ed anche se la strega che aveva confessato e aiutato i
licantropi non aveva niente a che fare con il patto, in preda alla
furia, uccise egli stesso diverse streghe e licantropi giurando
vendetta e maledicendo così le generazioni future. Alle soglie del
1693, la città di Salem era ormai quasi libera dalle creature
sovranaturali tant'è che, per un breve periodo, seguì la caccia al
lupo.
«La vendetta di
Charles, invece, non è ancora terminata e prosegue ormai da trecento
vent’anni, uccidendo le discendenti delle streghe, comprese le eredi di
coloro che crearono per noi questi ciondoli.»
«Quindi la leggenda che ci aveva
raccontato George è vera!- esclamai stupita -E la prossima vittima
quindi...sarei io?» la semplice idea di essere la sua prossima preda mi
terrorizzava. Heric annuì, promettendo nuovamente di proteggermi.
Ora avevo capivo tutto. Avevo capito
perché la nonna mi scrisse quella lettera tre giorni prima di morire.
Sapeva che Charles era nei paraggi e voleva ucciderla.
«Hai detto che i vampiri percepiscono la
vicinanza dei loro simili. Tu sapevi che lui fosse qui, a Salem quando
mia nonna è morta?» gli domandai. Ma sapevo già la risposta.
«Sì. Ma non ero sicuro fosse lui. Ne
avevo perso le tracce ormai da anni e solo da qualche settimana ho
avuto il presentimento che fosse tornato. Non dovevo dirti una bugia né
nasconderti la verità. Ma non volevo nemmeno che tu ti allontanassi da
me, sapendo che un mostro come lo sono io aveva ucciso tua nonna. Non
posso permettermi di perderti.»
Non riuscivo a descrivere le emozioni
che provai sentendo quella frase, quel «non posso permettermi di
perderti».
Dovevo essere arrabbiata con lui per
avermi nascosto una cosa simile ma in quel momento non ci riuscivo.
Tentai di dire qualcosa, qualcosa per
non farlo sentire in colpa perché in fondo lui aveva solo cercato di
non farmi soffrire e di non farsi detestare, ma mi zittì prima che
potessi dire mezza parola. Mi prese il viso tra le mani e
guardandomi intensamente si avvicinò sempre di più baciandomi di nuovo,
stavolta con più voracità.
Si staccò all’improvviso: i suoi occhi
erano neri e opachi e percepivo la sua sete, sete di me. In un batter
d'occhio raggiunse la finestra e voltandosi mi ripetè nuovamente di
stare attenta.
Rimasi seduta sul letto a guardarlo
uscire dalla finestra e sparire nell’oscurità.
L'anno scolastico era ormai agli sgoccioli. Tra una preoccupazione e
l'altra cercavo di studiare e ultimare i vari compiti da consegnare
prima che finisse la scuola in modo da potermi dedicare sia alla caccia
del famigerato vampiro Charles sia ad aiutare Jeremy a tornare umano.
Ero convinta che l'incantesimo per la
reversione dalla licantropia (e dal vampirismo) fosse contenuto nella
Bibbia delle Streghe e che questa fosse nascosta in qualche passaggio
segreto della biblioteca. Dovevo soo trovare il modo di intrufolarmi a
scuola senza venir disturbata dalla Signorina Smith e soprattutto da
George.
Heric non si fece vivo per tutta la
domenica e non venne a scuola nemmeno il giorno dopo. Ormai mi ero
abituata a queste sue assenze e sparizioni, più o meno. Madeline invece
veniva più regolarmente a scuola ma non avevo il coraggio di rivolgerle
la parola, mi metteva un'ansia terribile. Lei era un anno avanti a noi,
nel senso che venne trasformata in vampiro quando aveva già diciotto
anni quindi in base alla sua età umana frequentava il quarto anno e
seguiva diversi corsi insieme alla mia sorellastra Ashley. Come
lei, faceva parte della squadra delle cheerleader. Se non
fosse stato per il fatto che Madeline fosse una vampira centenaria, le
avrei viste bene come migliori amiche, erano praticamente identiche
nell'atteggiamento e nell'apparenza, ma temevo che Madeline avesse
intenzioni pericolose nel volersi avvicinare ad Ashley. Era pur sempre
la mia sorellastra e forse per indispettirmi avrebbe potuto farle del
male cosa che non avrebbe potuto fare con Jeremy in quanto licantropo,
suo nemico giurato.
Il primo lunedì mattina che seguì la
Notte di Valpurga, decisi che dovevo parlare con i fratelli
Nkhangweleni. Se Heric aveva visto bene, Brianna, la quale portava al
collo un ciondolo dalla pietra acquamarina come il mio, era una strega,
l'unica che fino ad allora si era salvata da quell'ondata di sangue che
Charles stava provocando nella città di Salem.
«Pensi sia una buona idea fermare quella
ragazza che è stata di recente attaccata da un vampiro e accusarla di
essere una strega?» mi sussurrò Jeremy durante l'ora di matematica.
«Non voglio accusarla di
essere una strega. Voglio chiederle se lo sia e soprattutto se ha visto
in faccia in suo aggressore.»
«Sei sicura che il tuo
fidanzato vampiro abbia visto bene?»
«Jeremy, tu non c'eri. Non
hai visto quanto fosse straordinario ciò a cui ho assistito. E se Heric
mi ha confermato che lei portava un ciondolo al collo come il mio e che
suo fratello Nigel non può essere soggiogato dal suo potere mentale, io
gli credo» gli risposi entusiasta. L'idea che ci fossero altre streghe
a Salem mi dava un senso di sollievo e di felicità.
«Potere mentale? E cosa ti
assicura che non lo usi anche con te, o meglio, contro di te?» disse
con tono provocatorio.
«Perché non pensi alla tua ragazza a cui fai da cagnolino? Al mio ci
penso io!»
«Signor Stanley e Signorina
Spencer. Cosa avete di così interessante da confabulare? Avete già
risolto questa equazione?» ci riprese il Professor Richardson di
matematica. Gli scusammo e il professore riprese con la spiegazione
senza più esser disturbato
dal nostro chiacchiericcio fino alla fine della lezione.
Al suono della campanella, seguii
Brianna fino al suo armadietto. Non essendo io una persona
particolarmente socievole ed essendo pure estremamente timida, mi
vergognavo tantissimo ad approcciarla e non sapevo da dove iniziare.
«Ciao Brianna.»
La ragazza si voltò di scatto spaventata. Dal modo in cui mi guardò,
non si aspettava di vedermi sbucare alle sue spalle.
«Ciao, Meredith?»
«Sai chi sono dunque?» le domandai curiosa. Lei
rispose che sì, certo che sapeva chi fossi. Le
chiesi come si sentisse e se stesse bene, ma tagliò corto la
conversazione come se non volesse avere nulla a che fare con me e come
se non volesse parlare di ciò che era successo al parco venerdì.
«Ti ringrazio dal profondo
del cuore per ciò che tu e il tuo ragazzo avete fatto per me, sia da parte mia sia in
nome della mia famiglia. Mi
ha veramente salvato la vita ma è meglio che noi stiamo fuori da queste
questioni. Non voglio rischiare nuovamente.»
«Aspetta. Non sai tutta la storia» insistetti per poterle
spiegare meglio la situazione ed avere altri indizi.
«Conosco bene tutta la
storia, invece. Nella nostra famiglia ce la tramandiamo da secoli ormai.»
«Quindi sei una strega anche tu? Ho visto che alla festa a Willows Park
portavi un ciondolo come questo» le dissi mostrandole il
mio sfilando la catenina fuori dalla maglia.
«Sei matta?!- esclamò
sgranando gli occhi -Non dovresti mostrarlo a tutti così!»
«Hey, c'è qualche problema?» sentenziò un ragazzo alle
mie spalle. Era Nigel, suo fratello.
«Voglio solo chiederti una
cosa e poi non ti disturberò più. Hai visto in faccia chi ti ha
aggredita? Sai chi è?»
Brianna guardò prima Nigel che stava
alla mia sinistra come se aspettasse il suo consenso e poi sussurrò:«Charles Michael Cavendish
III» e se ne andarono.
Cavendish?
Non era possibile.
Ora era tutto più chiaro, ora tutto aveva un senso logico. Ecco chi era
la famiglia cui nome Cavendish era inciso nella cripta del mio sogno
mesi fa: era la famiglia di Charles il vampiro. Una volta venuto allo
scoperto e terminata la caccia alle streghe con lo sterminio della sua
stessa famiglia per mano sua e culminato con la messa al rogo di sua
madre, la cripta dei Cavendish, una delle famiglie fondatrici di Salem,
venne usurpata per questo nel Cimitero Monumentale di Salem al suo
posto della famiglia Cavendish:«Dal
1692, qui giace in eterno riposo la famiglia Thompson, cacciatori,
guerrieri, difensori della patria e della pace»*. Dovevo
assolutamente scoprire chi fossero i Thompson e se qualcuno dei loro
discendenti fosse ancora in vita.
Angolo
autrice.
*«Dal
1578 al 1692, qui giace in eterno riposo la famiglia Cavendish» ma «Dal
1692, qui giace in eterno riposo la famiglia Thompson, cacciatori,
guerrieri, difensori della patria e della pace»: cap.7.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Avvisi, aggiornamenti e chiarimenti ***
Ciao
a tutte/i.
Questa storia vede la sua pubblicazione nel lontano 2010, ma in realtà
è più vecchia (nel primo capitolo nelle note d'autore ho spiegato più
approfonditamente perché e come nasce questa storia).
Qualche anno fa era stata conclusa e terminata ed era pure uscito il
seguito, poi mi son resa conto che non mi piaceva il finale e così
tolsi gli ultimi capitoli (in totale son circa 25). Poi ancora non mi
piaceva e ne ho cancellati la metà, ora ho deciso di cancellarli quasi
tutti e, visto che son passati un bel po' di anni, mi son convinta a
riscriverla e risistmarla a fondo. Pubblicherò a breve i prossimi
capitoli che sto revisionando.
Ho creato questo infatti solo con il fine di salvare le recensioni
ricevute che poi riordinerò una volta aggiunti i prossimi capitoli. In
tali recensioni ci sono davvero tanti troppi spoiler. Vi consiglio di
non guardarle se mai abbiate voglia di leggere questa storia.
La
trama di base è più o meno la stessa, ma ho aggiunto nuovi dettagli
indispensabili, nuovi personaggi essenziali al fine di comprendere la
storia e nuovi intrecci.
Inoltre,
come scritto nelle note d'autore del primo capitolo, ho cambiato format
e struttura del testo togliendo i pov e le immagini che limitavano
l'immaginazione dei personaggi (potete comunque visionare il trailer
che trovate sempre nel primo capitolo).
Dal momento che sulla base della trama originale nasce questa nuova,
più matura diciamo, storia, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, se
trovate la trama banale e i personaggi noiosi.
Ciao
e a presto (:
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=521695
|