Lei, il mare e la seppia

di Pichichi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


            -Non sta andando niente affatto male, vero?-
Sebbene stessi cercando di mascherare il mio disagio da più di due ore, credevo che chiunque guardandomi bene in faccia avrebbe potuto capire che l’unica cosa che desideravo era andarmene via, il più lontano possibile da quel posto. Feci un sorriso assolutamente falso alla mia amica, ma lei era troppo presa dalla contemplazione del posto per accorgersi del mio umore.
            -No, per niente-
Feci un piccolo sospiro e preferii, piuttosto che ascoltare le chiacchiere delle altre ragazze, dedicarmi a far ruotare il liquido all’interno del calice.
Da un punto di vista oggettivo, non avrei certo potuto lamentarmi: il ristorante che era stato prescelto per trascorrere il Ferragosto era uno dei più rinomati e frequentati della costa; era abbastanza grande da ospitare tutti gli amici, ma al contempo garantiva un’atmosfera raccolta e familiare; le pareti verniciate da un arancione delicato bastavano inoltre per assicurare la mia approvazione. Un altro punto a favore del posto era la vicinanza col mare, cosicché dopo un’abbondante mangiata avremmo potuto trasferirci sulla spiaggia, e se per entrare in acqua ci sarebbe stato da aspettare, almeno ci saremmo goduti il paesaggio.
Più che la festa di compleanno di Andrea, sembrava la rimpatriata di un vecchio gruppo di surfisti, a giudicare da come eravamo vestiti.
Neanche lo avessimo fatto apposta, portavamo tutti dei pantaloncini che non oltrepassavano il ginocchio e canottiere molto scollate. Da sotto gli indumenti spuntavano i lacci di costumi colorati, segno che avevamo deciso di trascorrere l’intera giornata in spiaggia. Non che avessi niente in contrario a questo, anzi, ma la compagnia che dovevamo sopportare non mi andava proprio a genio.
Per evitare l’inconveniente di restare insieme a persone che non conoscevo nemmeno di vista, mi ero portata appresso due amici. Ironia della sorte, sembrava che loro due avessero trovato scopi molto più divertenti a cui dedicarsi, piuttosto che darmi retta.
Sebastiano aveva scelto, per arginare la noia a cui sarebbe stato sottoposto, di portarsi dietro la canna da pesca e il barattolo dei vermi, così da poter trascorrere il pomeriggio seduto su uno scoglio a lanciare l’amo nella speranza di pescare qualcosa.
Inutile dire che la scoperta del barattolo di vermi nella tasca del costume di Sebastiano aveva prodotto cinque buoni minuti di urla disgustate da parte di Sonia, la quale per il resto della giornata non aveva voluto più avvicinarsi a lui. Sebastiano, che con l’ausilio della luce del sole sembrava un vero e proprio marocchino, aveva trovato fra gli amici di Andrea numerosi figli di papà affascinati dalla sua pseudo competenza nel campo della pesca, e ora se ne stava dritto sulla sedia, tutto orgoglioso di poter spiegare come fare a prendere i pesci più grossi.
A me, osservandolo, veniva da ridere: l’unica volta in cui si era cimentato con costanza nella pesca, e cioè un paio di giorni all’inizio di Agosto, era stato capace di rimanere dalle sei della mattina, ora in cui la spiaggia è libera e i pesci abboccano meglio, fino alle otto della sera con la canna in mano, una scatola di esche appena comprate e un secchio per raccogliere le ignare prede; a fine giornata era tornato imbronciato e deluso, portando un secchio riempito di acqua salata nel quale si agitavano cinque pesciolini della lunghezza di undici centimetri; per non offenderlo, per gratificare il suo orgoglio e rendere omaggio allo sforzo, li avevamo fritti e ce li eravamo mangiati.
Non si poteva quindi definire il miglior pescatore della zona, ma quegli idioti lo stavano a sentire e a me faceva piacere che lui si vantasse di fronte ad Andrea, che nel pomeriggio avrebbe certamente cercato di emularlo.
            -Ci sei?-
Sonia mi sventolò una mano davanti agli occhi, dato che da più di un minuto osservavo il tavolo dei ragazzi con interesse.
            -Sì, ci sono- dissi tornando a guardare il menu.
            -A che pensi?- mi domandò.
Era incredibile che non si accorgesse di quanto mi annoiassi a stare lì e fosse al contempo capace di cogliere la minima sfumatura di “pensosità” nel mio sguardo.
            -A niente, guardavo Sebastiano pavoneggiarsi- risposi con un sorriso.
            -Ma quanto è bello quello biondo, mamma mia...- mormorò lei, voltandosi a guardarlo.
Mi ero giocata l’altro diversivo per evitare una giornata noiosa circa a metà mattinata, quando sulla spiaggia aveva fatto la sua comparsa il gruppo di amici di Andrea, con relativo capobanda.
Fino a quel momento la giornata era andata abbastanza bene, considerando che Sebastiano se ne stava sdraiato al sole per abbronzarsi, con l’intento di acquisire l’etnia di un cittadino del Marocco, e noi due passavamo il tempo ad interrogarci su come avevano potuto eliminare la nostra modella preferita in un reality show.
Poi comparvero quei ragazzi, e sia io che Sonia ci giocammo la giornata.
Lei era stata catturata in particolare dal fisico di un ragazzo alto e biondo, dalla pelle chiara e gli occhi verdi, che per quanto ne sapevo io faceva il cameriere in un famoso ristorante costiero.
Inutile dire che da quel momento lei non aveva avuto occhi che per lui, ed io non avevo più avuto nessuno con cui commentare quanto fosse palesemente truccato quel programma.
Per quei motivi ora mi trovavo sola, perduta nella noia e intrappolata fra le due amiche di Andrea che spettegolavano su questioni che non m’interessavano.
            -Io ho scelto- annunciai alle altre, e chiusi il menu per catturare l’attenzione del cameriere.
            -Sì, anche noi- mi sorrise Andrea, dall’altro tavolo, posto accanto al nostro.
Ora, io non volevo sembrare maleducata, ma non mi riusciva proprio di replicare al suo sorriso con altrettanto entusiasmo. Feci una smorfia che più che contentezza esprimeva dolore, secondo me. Per fortuna lui non parve accorgersene e tornò a chiacchierare con i suoi amici, attendendo il cameriere.
 
            -Bene, vi serviamo subito gli antipasti-
Dopo aver preso le ordinazioni di tutti il cameriere si allontanò verso la cucina, e dopo non molto tempo ci vennero serviti su dei piattini bruschette col pomodoro, piccoli panini ripieni di olive e acciughe immerse nell’olio.
Mentre mi accingevo a prelevare un po’ di queste ultime prima che le ragazze me le soffiassero, Andrea si rivolse a me dall’altro tavolo.
            -Quest’anno avete partecipato al raduno dei windsurf?-
Io masticai il boccone prima di rispondere, e mi stupii di tanto interesse nei miei confronti. Probabilmente, pensai, la sua voleva essere una domanda carina, per mettermi a mio agio.
            -In realtà è Sebastiano che ha gareggiato, io e Sonia gli abbiamo solo fatto il tifo-
            -Sai windsurfare?- domandò Simone, il ragazzo di cui Sonia si era infatuata.
            -Sì- rispose lui, tutto contento di potersi vantare di un’altra abilità.
Io detestavo tutti e tre i ragazzi, sia Andrea che Simone che Luca, e perciò ero ben felice che si sentissero in qualche modo in difetto di fronte al mio amico.
Qui non c’erano campi da golf o da rugby su cui potessero provare la loro superiorità maschile, bisognava purtroppo arrangiarsi col mare, o al massimo con un campetto delimitato da quattro pali incastrati nella sabbia.                 
            -Ed è anche bravo. L’anno scorso è arrivato decimo- aggiunse Sonia, sorridendogli con complicità.
In realtà Sebastiano si era classificato ufficialmente come quindicesimo, ma quei tre che potevano saperne? D’altronde, venivano qui poche volte all’anno, solitamente durante le festività natalizie, pasquali e nel periodo estivo; Andrea scendeva con la sua fidanzata e portava con sé i due amici, per compagnia.
            -Be’, nemmeno tu te la cavi male-
Percepii chiaramente il mio cuore mancare un battito a quelle parole, e probabilmente le mie guance divennero rosse per la vergogna; per dissimulare il mio imbarazzo mi affrettai a mandare giù altro vino, e fortunatamente nessuno lo notò.
            -Non esagerare, è già tanto se sto in piedi sulla tavola-
Sonia, che mi aveva immediatamente guardato negli occhi e che sicuramente aveva colto il mio imbarazzo, si affrettò a depistare l’attenzione degli altri raccontando la nostra esperienza come windsurfiste, iniziata e conclusasi piuttosto in fretta.
L’adorai per quel gesto carino nei miei confronti, perché nel momento in cui tutti furono distratti dalle sue parole potei dare una lunga ed eloquente occhiata alla ragazza seduta di fronte a me, fra Sonia ed Andrea.
Mi ero categoricamente imposta per tutta la durata del pranzo di guardare da ogni parte fuorché nella sua direzione, perché conoscevo il mio livello di resistenza e probabilmente questo sarebbe crollato in fretta.
Lei, da parte sua, non fece alcun movimento strano o azzardato, limitandosi a piantare i suoi occhi celesti nei miei verdi. Mi era molto difficile trattenere tutto quello che mi passava per la testa, ma lei nemmeno mi aiutava, col suo abbigliamento: i capelli biondo scuro lunghi oltre le spalle, e sistemati con una riga laterale, risentivano ancora dell’acqua salata del mare che li increspava in un modo delizioso; la canottiera nera creava un piacevole contrasto con la sua pelle chiarissima e non dava modo di indovinare su cosa potesse celarsi al di sotto di essa, ma in compenso le arrivava poco sopra l’ombelico, cosicché stando in piedi avrebbe potuto fare mostra del suo ventre liscio e magro; per completare il quadro, un paio di pantaloncini bianchi del tutto inconsistenti e provocanti, specie se portati sopra un costume nero.
Insomma, sembrava in tutto e per tutto una sfida al mio autocontrollo.
Forse il mio minuto di contemplazione si prolungò troppo a lungo, perché mi arrivò un calcio sullo stinco, e a giudicare dalla potenza impiegata doveva essere stata Sonia, che come me giocava a pallone.
Nell’esternare il mio disprezzo verso Andrea, non avevo preso in considerazione il motivo più importante, quello per cui lo ritenevo la creatura più ripugnante dell’intero pianeta: oltre ad essere uno spocchioso figlio di papà, oltre alla sua mania di ricordare ogni due per tre quanto difficile fosse stato il suo esame di odontoiatria e come lui nonostante ciò fosse riuscito a superarlo, oltre alla sua fede milanista che lo classificava immediatamente come un essere da non prendere in considerazione, lui era il fidanzato della ragazza seduta di fronte a me e della quale io, ovviamente, ero innamorata.
C’era voluto un po’ di tempo perché potessi accettare quest’ultima parola, eppure non avevo trovato altro modo di definire il rapporto che mi legava a lei, che mi impediva perfino di considerare le proposte di altre ragazze discretamente gradevoli.
L’avevo definita come una specie di calamita, che mi attirava con una forza magnetica superiore addirittura alla resistenza orgogliosa che facevo, cosicché mi ritrovavo spesso a gironzolarle attorno come un cagnolino scodinzolante e in attesa del suo osso succulento.
Le cose avrebbero potuto essere anche più semplici, se lei non fosse stata la fidanzata di Andrea, se non fosse stata la migliore amica per la quale in tanti anni non avevo provato altro che affetto e se non avesse ricambiato i miei sentimenti.
Invece lei, con mia estrema sorpresa e incredulità, aveva accettato di buon grado il mio affetto speciale, e mi aveva dato momenti di grande felicità per i quali avrei potuto sopportare tutti gli sproloqui di Andrea.
Il problema stava nella sua incapacità di affrontare la realtà che stavamo vivendo, nell’interrompere la relazione con Andrea e nelle nostre frequenti litigate.
Prima di entrare in questa situazione a dir poco cinematografica, i nostri caratteri si mantenevano su due piani completamente opposti, ma forse proprio a causa di questo ci trovavamo bene stando insieme; da quando il nostro rapporto era sfociato in quell’assurda situazione, complici la tensione, la paura di essere scoperte, il tempo sempre più rado che potevamo trascorrere assieme, le nostre divergenze si erano amplificate.
Lei era diventata più tesa e irritabile, tanto da arrabbiarsi per ogni minima cosa dando sfogo alla sua indole altamente infiammabile, mentre io in risposta ai suoi sbalzi di umore diventavo più fredda, quasi indifferente e ribattevo col sarcasmo gratuito.
Non poche volte, a dir la verità, eravamo arrivate a litigare urlandoci addosso di tutto, promettendoci di non rivederci mai più e dimenticare l’esistenza dell’altra, per poi trovarci a quel tavolo, l’una di fronte all’altra, entrambe con gli occhi bassi e sfuggenti e la paura mista al nervosismo che ci faceva comportare quasi come due estranee.
Poteva l’amore rovinare in quel modo un’amicizia bellissima?
Era questa la domanda che mi ronzava per la testa in quel momento, ma le mie elucubrazioni furono interrotte bruscamente dall’arrivo della prima portata.
 
Forse i miei pensieri ingarbugliati condizionavano più di quel che credessi le mie azioni, perché sembrava proprio che il piatto di spaghetti al nero di seppia fosse lo specchio del mio stato d’animo: contorto, confuso e pessimista.
Detto ciò, bisognava ammettere che erano buonissimi. Nessuno degli altri prediligeva quel primo, perché avevano deviato le loro preferenze sulle cozze e le acciughe al pomodoro. Personalmente mi piaceva l’idea che quegli spaghetti impiastricciati di nero e così poco gradevoli alla vista fossero in realtà deliziosi.
Per un po’ nessuno parlò, poiché eravamo tutti impegnati a consumare il pranzo con soddisfazione. Involontariamente i miei occhi si posarono sul suo piatto e sorrisi della sua difficoltà di estrarre le cozze dal guscio. Stava cercando di farlo senza utilizzare le mani, in modo da non risultare troppo grossolana, al pari delle amiche di Andrea. Teneva il coltello in una mano e la forchetta nell’altra, cercando di estrarre il mollusco, ma non ci riusciva.
Anche questa volta mi dilungai troppo nella mia contemplazione, perché mi arrivò un nuovo calcio da sotto il tavolo.
            -Ahio!- stavolta non vi ero preparata ed inoltre Sonia aveva centrato un preciso punto della tibia che già mi doleva in precedenza.
Lei, per dissimulare il significato di quel gesto, finse di allungarsi per prendere un piattino.
            -Scusa, non volevo...- mi sorrise, e io di quel sorriso non colsi né allegria né dispiacere, ma un severo monito.
Per questo tornai a concentrarmi sui miei spaghetti a testa bassa, cercando di non pensare troppo.
            -Sei ancora lì? Ne hai aperte solo due o tre...- commentò Andrea rivolgendosi a lei.
            -Non ci riesco...- rispose lei con una mezza risata.
            -Sei troppo lenta, una vera lumaca. Quando usciamo insieme devo venire sotto casa sua mezz’ora dopo, per non dover aspettare tutto il tempo fuori-
Lo guardai con crudele compassione. Sì, lo compativo, perché non riusciva affatto a comprendere la bellezza che si trovava fra le mani e di cui – povero idiota – credeva di essere il padrone.
La osservai stirare le labbra in un sorriso tirato, per farlo vincere ancora una volta. Non capivo affatto la sua passività, il suo comportarsi da perfetta fidanzatina. Fingeva per accontentarlo, eppure lo sapevamo tutti che non le si confaceva affatto quell’atteggiamento, sapevamo che se fosse stata libera di dire la sua si sarebbe fatta valere. Con me si comportava così, almeno.
Di nuovo mi guardò dritta negli occhi per un nanosecondo di complicità, e poi tornò a dedicarsi al suo piatto, scegliendo di mangiare la pasta e lasciare per ultimi i molluschi.
Com’era stupido quel ragazzo, pensai spontaneamente, trattenendomi per non sorridere alla vista del modo in cui spostava i gusci neri da parte e avvolgeva gli spaghetti.
Io, al contrario di Andrea, adoravo la delicatezza e la cura con cui compiva anche i più piccoli gesti, il modo educato di non strafogarsi di cibo, la meticolosità nello scegliere un vestito e acconciarsi i capelli, anche nel suo modo di masticare vedevo una certa raffinatezza.
Ogni suo gesto trasudava eleganza e nonostante fosse vestita di una semplice canottiera e un paio di shorts bianchi, avesse i capelli tenuti fermi da un singolo ferretto, risultava molto più bella delle altre ragazze, benché queste portassero collane, bracciali e costumi ricercati.
La semplicità era una delle caratteristiche che più mi piacevano della sua persona. Mi accorsi di essere rimasta con lo sguardo perduto sui suoi lineamenti e mi stupii di come Sonia non mi avesse richiamato.
Tornando ad interessarmi della conversazione in atto, capii il motivo della distrazione della mia amica: Simone si stava versando da bere e nel frattempo raccontava della sua esperienza come cameriere.
            -C’era una signora di mezza età seduta al tavolo con delle amiche- stava raccontando –e trovava tutte le scuse possibili per trattenermi... credo si sarebbe versata il vino addosso da sola, purché poi fossi io a ripulirla-
Sonia rise forzatamente assieme agli altri ragazzi, e per questo ne approfittai per prendermi una rivincita e darle un’occhiata eloquente: detestavo quando si comportava in modo così frivolo!
            -Oh, non mi vanno tutte. Chi ne vuole un po’?-
Lei smise di armeggiare con le posate e mise il piatto in bella vista perché uno di noi terminasse le poche cozze che erano rimaste.
Stupendomi del mio tono del tutto naturale e privo di qualsiasi artificio, anticipai le due ragazze sedute accanto a me allungando le mani per prendere il piatto.
            -Dai ti aiuto io-
Sicuramente nessuno di loro avrebbe potuto immaginare che lei avesse solo cercato una scusa per potermi parlare, e che io non aspettassi altro che un modo per poterla sfiorare fisicamente.
In tempi reali impiegai meno di cinque secondi a prelevare i molluschi dal suo piatto e restituirglielo, ma nella mia concezione del tempo il momento in cui le sfiorai leggermente gli avambracci e le mani durò un’eternità.
Dopodiché, disinteressandoci della conversazione, ci guardammo nuovamente e mi sembrò di cogliere nel suo sguardo un certo rimprovero, come se avessi fatto qualcosa di male.
Allora tentai di comunicarle il mio smarrimento aggrottando leggermente la fronte, ma lei rispose distogliendo lo sguardo e facendo un lieve gesto con la mano che volevano significare: parliamo dopo.
Possibile che non fossimo nemmeno arrivati al secondo e già fossi in ansia a causa sua?
Nel frattempo pulendomi le labbra mi accorsi di averle tutte macchiate col nero di seppia, e per questo mi alzai dal tavolo per recarmi in bagno.
Il ristorante non era molto grande e poteva ospitare al massimo una cinquantina di persone, ma quel bagno era veramente straordinario: spazioso, con vetrate colorate che lasciavano entrare grandi quantità di luce dall’esterno, piastrellato di un bel colore tenue e decorato con fantasie tipicamente marittime. Mi piacevano i bagni enormi e provvisti di uno specchio lungo tutta la parete, oltre che di una serie di lavandini perfettamente funzionanti.
Cominciai a sciacquarmi la bocca per bene in modo che il nero venisse via e poi mi sistemai i capelli e lo scollo della canottiera.
Avrei voluto gettarmi subito in acqua a causa del caldo soffocante, amplificato poi dal fatto di dover essere rinchiusi in una sala assieme a tante persone, costretta ad indossare dei pantaloncini verde militare e delle scarpe chiuse. Avvertivo chiaramente il tessuto sintetico del mio costume appiccicarsi alla pelle.
Prima che potessi uscire dal bagno, la porta si aprì. Il mio cuore fece un salto di dimensioni spropositate, credendo che fosse lei, perciò subì una brusca delusione quando scoprì trattarsi di Sonia.
            -Che c’è? Non sono bellissima, d’accordo, ma non c’è bisogno di fare quella faccia!- commentò per farmi ridere.
            -La devi smettere di tirarmi calci, mi hai fatto male-
            -Tu continui a fissarla, non è colpa mia! Vaglielo a spiegare ad Andrea che stavi esaminando la sua acconciatura!-
Io risi divertita del suo sarcasmo e grata per avermi ricordato che dovevo trattenermi.
            -Capirai- replicai – non si accorgerebbe di niente-
Sonia scosse la testa mentre si asciugava le mani.
            -Va bene che è talmente pieno di sé da non interessarsi di nient’altro, ma se non stai attenta se ne accorgerà. E poi saranno cazzi amari-
            -Hai ragione-
            -Parlando di altro, ho scoperto che il ristorante in cui lavora è lo stesso in cui lavora mio cugino!- mi comunicò.
            -In cui lavora chi?- domandai.
            -Simone!-
Mi ero un momento disinteressata del suo discorso, così quando capii di chi si stava parlando storsi il naso come disgustata.
            -Il più carino è il terzo, quello coi capelli neri! Quello lì è proprio brutto!-
            -Ma che vuoi capirne tu?-
            -Si fa le sopracciglia. Ho detto tutto-
Lei rise con me e tornammo a sederci al tavolo, per scoprire che era arrivata la seconda portata.
Avevamo ordinato due orate a dir poco gigantesche, in modo da dividercele in eque parti.
Il pesce era davvero buonissimo, specie accompagnato con le patate che ci avevano portato, e nuovamente tutti quanti, troppo occupati ad usare la bocca per mangiare, evitammo di fare commenti.
Una spina lunga e sottile mi aveva pizzicato la guancia e per questo stavo cercando di sfilarmela. Ero particolarmente concentrata su questo gesto per cui non mi resi subito conto che c’era un ginocchio che sfiorava quasi impercettibilmente il mio, sotto il tavolo.
Credendo fosse ancora opera di Sonia guardai la mia amica con aria interrogativa, prima di accorgermi che non era stata lei.
Tornai a mangiare la mia porzione senza badarvi più di tanto, e a quanto pareva il suo era stato un gesto casuale, perché non si ripeté più.
Andrea scelse proprio il momento sbagliato per allungare un braccio sulla sua spalla e darle un bacio sulla guancia, cosa che fece salire in me una rabbia indicibile. Fu come se la spina che avevo rimosso poco prima fosse rimasta incastrata nella gola, per quanto mi dava fastidio quella scena.
Sentii un impellente bisogno di fare qualcosa, di ricordarle che ero proprio davanti a lei, per non dover ingoiare quel boccone amaro senza possibilità di dire la mia.
Sistemandomi meglio sulla sedia riuscii a fare in modo che le nostre gambe si sfiorassero in un gesto apparentemente casuale.
Dapprima nemmeno lei se ne accorse, ma ad un certo punto la vidi abbassare e poi alzare verso di me lo sguardo, per chiedere spiegazioni.
Oh, se avessi potuto avrei gridato a squarciagola come il mio unico desiderio fosse rimanere da sola con lei!
Andrea continuava imperterrito, quasi lo facesse apposta, a parlottare con lei in modo affettuoso, e io come per protestare proseguii nel mio tentativo di infastidirla.
Lei comprese la situazione ed ebbi l’impressione che volesse tirarmi un calcio da sotto il tavolo, ma continuò ad ascoltare quel che le diceva il fidanzato con sempre minore interesse.
Forse perché mi sentivo del tutto impotente e trascurata in quel momento, o perché non sopportavo che Andrea pomiciasse con lei a quel modo, poggiai un gomito sul tavolo e con l’altra mano provai ad accarezzarle il ginocchio.
Con mio sommo divertimento non appena venni a contatto con la sua pelle liscia quasi sobbalzò e mi lanciò un’occhiata poco amichevole, come a dire: smettila subito.
Io nascosi un sorriso beffardo e sadico dietro la mano e la osservai arrossire.
Quel dettaglio mi provocò una tremenda scarica di adrenalina, perché non era causato dalle attenzioni che le stava riservando Andrea, ma dal mio movimento ed essere consapevole di averla fatta arrossire mi conferì un’espressione vittoriosa.
            -Scusate-
Scegliendo una via diplomatica per uscire dalla situazione, lei scansò Andrea con una mano e si fece spazio per alzarsi dalla sedia e recarsi in bagno. Nel farlo mi guardò in un modo che non mi piacque per nulla. Feci un sospiro impercettibile, mentre seguivo con gli occhi la sua sagoma sparire dietro la porta della toilette. Probabilmente l’avevo fatta arrabbiare.
Ciononostante, ero stata costretta a farlo per non cadere sconfitta di fronte a quell’essere che ora stava pigramente adagiato sulla sedia e faceva battute sconce con i suoi amici. Colsi l’espressione annoiata di Sebastiano e gli sorrisi, grata per aver fatto lo sforzo di integrarsi in una compagnia di cui non gliene fregava niente.
Prima di mangiare il gelato i ragazzi si alzarono da tavola per andare a fumare, e siccome Sonia era corsa al loro seguito per cercare di scoprire altri dettagli su Simone, mi trovai libera da ogni impiccio e potei a mia volta alzarmi, per recarmi in bagno.
Lei si stava sciacquando la faccia e quando mi vide subito mise su un’espressione dura e irritata, e seppi che stava per arrivarmi una lavata di capo.
            -Sei un’idiota!- cominciò, gettando i fazzoletti nel bidone dei rifiuti – Cosa ti salta in mente?-
Roteai gli occhi per aver sentito quell’incipit decine di volte e risposi:
            -Non mi salta in mente niente, mi dava fastidio...-
            -Sì ma a te non dovrebbe dare fastidio!- replicò lei, incrociando le braccia al petto.
Da quel gesto capii che non era affatto intenzionata a lasciar correre e che se l’era presa sul serio.
            -Cosa vuoi che faccia, che me ne stia lì a guardarvi? Scusa tanto, non ci penso nemmeno... non so nemmeno perché sono venuta qui oggi, a rompermi le palle!- risposi,stringendomi nelle spalle.
            -Be’ per quanto mi riguarda potevi anche startene a casa! In effetti sarebbe stato meglio per tutti, tu non dovevi esserci!-
            -Ma se mi hai invitato tu, cosa dici!-
Era solo quello il motivo per cui avevo accettato di trascorrere il Ferragosto lì, perché me l’aveva chiesto lei con molta gentilezza; e d’altronde come avrei potuto dirle di no?
Sarei stata capace di sopportare centinaia di pranzi con tutti gli amici di Andrea, se fosse stata lei a chiedermelo.
Risentita perché effettivamente non poteva scampare a quell’affermazione prese fiato e poi, con forza ancora maggiore come per voler sostenere ciò che diceva, disse:
            -Guarda, ti odio! Non fare mai più una cosa del genere, non ti azzardare!-
            -Il fatto è che ti dà fastidio che abbia ragione, tutto qui...-
            -Non è vero!-
            -Come non è vero, è sempre stato così, vuoi forse dirmi che avresti preferito startene appiccicata a quello lì?-
Più io cercavo di mantenere un tono basso e mi affidavo alle frecciatine, più lei andava su tutte le furie e alzava la voce.
            -Non parlare così di lui!-
            -Io parlo come mi pare e piace-
            -Ti detesto quando fai la persona immatura-
            -E io invece detesto vederti assieme a lui!-
Ecco, l’avevo detto. Tutto d’un fiato, proprio quando non se l’aspettava, l’avevo tirato fuori velocemente sperando che così fosse meno doloroso.
Lei rimase un momento spiazzata e forse stupita di quella mia inaspettata ed esplicita ammissione, ma cercò di riprendersi subito.
            -Sarebbe il mio fidanzato-
            -Tu non lo ami-
L’avevo detto evitando accuratamente di guardarla in faccia e preferendo osservare le piastrelle di quel fantastico bagno, tenendo sulle labbra un sorriso strafottente.
Mi aggrappavo a quella convinzione con tutta me stessa, me la ripetevo all’infinito quando la mia sicurezza vacillava, quando lei mi mandava a quel paese e minacciava di chiudere per sempre ogni legame, in balia dei suoi sbalzi d’umore. Non pretendevo di essere io l’oggetto del suo amore, non aspiravo a diventare per lei ciò che lei era per me, però mi auto-convincevo che Andrea non fosse affatto il suo fidanzato, che lei ci stesse assieme per convenienza, per il sesso, per gioco.
Gioivo immensamente quando mi raccontava quanto a tratti lo detestasse, ma dentro di me non volevo che lo lasciasse.
Avevo paura che lei, dovendo fare una scelta libera da queste complicazioni, mi mettesse da parte. Questo non l’avrei mai sopportato, quindi preferivo starmene in un angolo ad aspettare che lei mi permettesse di venirle vicino. Più volte mi era stato fatto notare come questo comportamento non fosse affatto coerente col mio modo di agire e di pensare, eppure non riuscivo proprio ad allontanarmi da lei.
Ci avevo provato, ma ero stata male come non mi era mai successo per nessun altra o altro che fosse. La mia malattia aveva capelli biondi e in quel momento mi guardava con uno strano sguardo, quasi sospettoso. Io sapevo cosa volevano significare quegli occhi celesti leggermente socchiusi: non voleva continuare a portare avanti una colossale bugia, cioè quella di amare Andrea, ma nemmeno era capace di illudermi.
A volte si presentava alla mia mente il pensiero terrificante che lei mi considerasse nient’altro che la sua migliore amica, che i baci e le carezze non avessero per lei lo stesso significato che avevano per me, che mi volesse bene ma non con la mia stessa intensità.
Quel pensiero era angosciante e per quanto tentassi di scacciarlo a forza dalla mia testa questo tornava sempre prepotentemente in primo piano. Non potevo costringerla, non era nei miei desideri, ma allo stesso modo non ero abituata ad arrivare seconda, a perdere, a vedermi soffiare il premio da sotto il naso.
Purtroppo in quel caso non avrei potuto farci nulla, non c’era nulla di sbagliato in lei, se non ricambiava i miei sentimenti.
            -Non stiamo parlando di lui, ora- disse lei, cercando di riacquistare il comando della discussione – il problema è che tu non puoi fare in questo modo-
            -Cioè?-
Si era un po’ calmata e a giudicare da come si muoveva non era più tanto sicura delle sue affermazioni.
            -Non puoi fare così, lo sai che mi fa arrabbiare-
            -Anche tu mi fai arrabbiare- replicai – è così palese che ti piacerebbe essere da qualsiasi parte meno che con lui-
            -Bene, io sono arrabbiata con te e tu con me. Non c’è niente da dire-
Distolse lo sguardo per far capire che la discussione terminava lì, e a giudicare dal modo in cui aveva stretto le labbra si era dovuta trattenere per non aggiungere altro e non arrabbiarsi eccessivamente con me. L’idea che si sentisse in dovere di controllarsi di fronte a me, di mostrarsi tranquilla ed equilibrata come invece non era, non mi piacque affatto.
Così quando cercò di sorpassarmi per tornare nel salone, la tenni  ferma per un braccio e domandai:
            -Ma perché no? Perché se lui può farlo io no?-
            -Perché a me di lui non me ne frega niente!-
Lei reagì d’istinto, com’era prevedibile, e poco ci mancò che non mi tirasse uno schiaffo. Quando si arrabbiava diventava rossa come un papavero, e su di lei che aveva la pelle chiarissima quel colore faceva un effetto curioso.
            -Pensa se ci lasciamo. Bene, chi se ne frega, è andata male!- spiegò, spintonandomi via.
            -E allora?-
Stavolta prima di rispondere esitò e quando parlò preferì osservare la fila di lavandini piuttosto che il mio volto.
            -Pensa se invece noi due ci mettiamo insieme e poi ci lasciamo. Non ci parleremo più. Io non voglio che accada...-
Anche io persi di colpo tutta la sicurezza e mi limitai a domandare:
            -Perché dovremmo lasciarci?-
Nella mia testa una simile opzione non era stata nemmeno concepita, per quanto effettivamente probabile fosse.
Lei riprese coraggio e il suo solito tono spavaldo.
Alzò la testa e rispose:
            -Perché litighiamo sempre!-
            -Che razza di risposta sarebbe?-
            -Lo vedi anche tu, ogni tot litighiamo e sempre per la stessa questione...-
            -Sei tu che ti arrabbi per ogni minima cosa!-
            -Oh, guarda caso mi arrabbio sempre con te!-
Era vero, litigavamo molto spesso e per questioni che alla fine non ricordavamo nemmeno per quanto erano futili, ma a me non importava per niente. Anche se provavo ad offendermi per ciò che mi diceva, non riuscivo a tenere in piedi la farsa neanche per un giorno: dovevo assolutamente chiederle scusa, perché non sopportavo l’idea di non parlarle. Anche se avevo ragione, e anche se il mio orgoglio ne usciva umiliato grandemente, non m’importava un fico secco.
Ero come un elastico: più lei cercava o faceva finta di allontanarmi, più io venivo attirata da una forza incredibile verso il punto di partenza. Più lei mi trattava male, più quell’attrazione spontanea cresceva.
Lei si stava arrabbiando perché sosteneva che non avessi alcun diritto a contraddirla, cosa che mi parve molto stupida. Alla fine, poiché come sempre accadeva da un preciso argomento scivolavamo in questioni più futili, mi stufai delle sue chiacchiere e chiusi la discussione come sempre facevo in quei casi:
            -Senti, a me non me ne frega niente di chi ha ragione o chi ha torto, l’unica cosa che voglio è stare con te, lo capisci?-
Era una frase molto diplomatica, forse non del tutto veritiera ma comunque adatta a quel tipo di situazioni.
Lei ammutolì e dimenticò la sua rabbia. Vedendola esitare affondai il colpo decisivo.
            -E tu no?-
            -Io...-
 
Non importava quanto avesse gridato prima, quanto si fosse incavolata, quanto avesse finto di essere restia, perché io sapevo che poteva cambiare idea da un momento all’altro e il tutto stava nel saper interpretare bene l’attimo giusto. Lei fece un passo indietro e diede l’impressione di voler abbassare lo sguardo.
Allora capii che quello era il momento giusto, e approfittando del suo attimo di esitazione mi avvicinai e velocemente le poggiai le labbra sulle sue, anche per impedire che dicesse qualcosa e rovinasse tutto.
Facendole reclinare la testa di lato con una mano, cercai appoggio trovandolo in un muro, addosso al quale la feci poggiare.
Sentii la sua mano premere sulla mia guancia e artigliarla con le unghie, così mi spostai leggermente per guardarla negli occhi.
Lei non era proprio contrariata, la sua era più un’espressione rassegnata, di chi sa di non poter andare contro le proprie sensazioni, pur volendole mascherare abilmente.
La volta successiva fu più disponibile e stringendosi – forse istintivamente – al mio corpo lasciò che partecipasse al bacio anche la sua lingua.
Quel gesto in particolare fece saltare tutti i buoni e casti propositi che avevo in testa e attraversata da un’altra e più potente scarica di adrenalina feci intrecciare le nostre gambe e la spinsi di più contro il muro.
Prima che una delle mie mani potesse scivolare sotto i suoi abiti e commettere atti completamente fuori luogo, riuscii a riprendere consapevolezza della situazione e a limitarmi al semplice bacio.
Non fui capace di quantificare il tempo che passammo in quel bagno, in particolare quello che impiegammo baciandoci, ma ripresi la piena coscienza della realtà solo quando udimmo un rumore dietro la porta.
Prima era stato tutto uno scambio di odori, di saliva, di sensazioni che parevano protrarsi all’infinito e che ci avevano estraniato dal mondo reale proiettandoci in una dimensione tutta nostra.
Ma il rumore dietro la porta la fece spaventare e così immediatamente, prima che avessi anche solo il tempo di staccarmi autonomamente, mi diede uno spintone per togliermi di mezzo, nel vero senso della parola.
Le due amiche di Andrea trovarono lei appoggiata alla colonna con le guance rosse, e me che cercavo di mantenermi in equilibrio dopo essere stata bruscamente allontanata.
            -Ah voi eravate qui?- domandò una di loro, superandoci.
            -Stanno servendo il gelato, se ne volete-
Lei fu la prima a ricomporsi e a tornare di là, mentre io aspettai un po’ e preferii sciacquarmi il viso.
Non mi aveva dato uno schiaffo, non mi aveva respinto e anzi era stata ben felice di partecipare al bacio, ma lo spavento che aveva provato nel sentire il rumore dietro la porta e che avevo percepito benissimo, aveva rovinato tutto.
 






Bene, ecco un'altro racconto diviso in due capitoli. Spero di riuscire a postare l'altro prima di martedì, nel frattempo farebbe piacere sapere che ne pensate.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Terminammo il pranzo e dopo che Andrea ebbe ricevuto la sua torta con relativi auguri da parte di tutti, decidemmo di lasciare il ristorante per far ritorno sulla spiaggia.
Dopo quello che era accaduto in bagno non ci eravamo più parlate, e nonostante avessi incrociato più volte i suoi occhi e avessi colto il desiderio di spiegarsi, non c’era stata occasione di rimanere da sole.
Se avevo ben interpretato il suo sguardo, si sentiva in difetto per avermi spinto via così bruscamente, come fossi un amante qualsiasi da dover nascondere. Se avevo colto ciò che i suoi occhi volevano comunicarmi, avrebbe voluto chiedermi scusa e magari aggiungere qualcosa che sottotitolasse il bacio che le avevo dato.
Durante la consumazione del gelato mi persi nuovamente fra i miei pensieri.
Riflettendoci su, quel bacio non era stato affatto una buona idea. Mi sentii quasi in colpa per averlo fatto, perché certamente l’avevo messa in confusione, ma soprattutto perché a mente fredda mi sembrò un gesto davvero patetico.
L’avevo baciata, mi resi conto, non per gelosia nei confronti di Andrea, non per rimarcare il “possesso” che presumevo detenere sulla sua persona. Il mio bacio non era stato un modo aggressivo per rispondere alla visione di lei e del suo fidanzato. Quel bacio voleva essere un messaggio disperato, un ultimo sostegno a cui aggrapparmi, come se avessi voluto dirle: non dimenticarti di me!
Forse significava che rapidamente stavo perdendo il controllo della situazione, forse mi ero trovata sopraffatta dagli eventi e non mi ero resa conto di essermi infilata in un vicolo cieco, dal quale non sarei tornata indenne?
Possibile che dentro di me sapessi già come sarebbe andata a finire, possibile che avessi la sensazione che nonostante la nostra conversazione le cose si sarebbero messe male per me?
Quei pensieri non mi piacevano per niente, mi mettevano addosso una certa paura e non volevo affatto che il resto della mia giornata fosse condizionato da questi ragionamenti. Perciò decisi che non ci avrei pensato più, o almeno avrei tentato di deviare la mia attenzione su altro.
Se dal primo momento in cui presi questa decisione mi sembrò impossibile portare a termine l’obiettivo, mi resi ben presto conto di come non avessi alcuna speranza.
Pagato il conto, tornammo in spiaggia verso le quattro meno dieci, quando il sole non picchiava più come a mezzogiorno.
Durante il tragitto per tornare in spiaggia lei mi si avvicinò, presumibilmente per parlarmi, e notandolo feci in modo di staccarmi dal gruppo per garantire un minimo di riservatezza.
Lei si affiancò a me, e dal modo in cui tentò di iniziare il discorso capii che si sentiva un po’ in colpa e voleva farsi perdonare.
            -Ti stai annoiando molto? A tavola non hai detto che due parole- domandò, strizzando gli occhi per distinguere la mia sagoma.
            -Non mi piace la compagnia, lo sai- risposi.
Lei annuì, ma non trovò altro modo di continuare la conversazione. Ammetto che a volte potevo risultare piuttosto distaccata e fredda, ma in quel momento non ero affatto intenzionata a discutere con lei e tirare fuori altri motivi che mi avrebbero dato da pensare.
            -Scusa se mi sono arrabbiata, prima- mormorò lei, evitando di guardarmi.
Mi fecero tenerezza le sue scuse, così decisi che avrei abbassato le mie difese per non offenderla.
            -Non fa niente, lo so che tanto quando ti arrabbi dici cose che non pensi realmente...-
Lei mi sorrise.
            -Vero, e meno male che tu lo sai. Andrea si offende sempre, e così ogni volta è un casino-
            -Be’, se avessi preso sul serio ogni singola parola che mi hai urlato addosso da quando ci conosciamo, non sarei certo tua amica-
Avevo scelto apposta quella parola, per osservare la sua reazione. Nonostante il sole ci abbagliasse, avevo visto comparire per un attimo sul suo volto un’espressione imbarazzata. Fu brava a ricomporsi subito, però.
            -Eri molto pensierosa, prima-
Fu il mio turno di sorridere, e compiacermi che si fosse preoccupata del mio stato d’animo.
            -Sì, hai notato?-
            -Ma certo. Si vede lontano un miglio quando ti perdi nei tuoi pensieri-
            -Sul serio?-
            -A volte vorrei tanto entrare nella tua testa per sapere che pensi, lo sai?-
Toccò a me arrossire, ma sperai che il sole le avesse impedito di notarlo. Avrei fatto meglio a lasciar cadere nel nulla quella domanda, ma non riuscii a trattenermi e commentai:
            -Oh, è meglio di no-
            -Perché? C’è qualcosa che non dovrei sapere?-
Mi aveva sorriso con fare invitante, senza apparente malizia o sospetto nello sguardo, ma immaginai che avesse posto quella domanda con un preciso scopo.         
La guardai leggermente infastidita e forse lei colse questa sfumatura nel mio sguardo, perché mise le mani avanti e aggiunse:
            -Cioè no, scusa, fatti tuoi. Scusa, non volevo essere invadente-
Era evidente che si sentiva in difetto, che voleva farsi perdonare per come mi aveva trattato prima, ma non sapevo come interpretare quel desiderio di pace. Avevo ormai fatto l’abitudine ai suoi repentini cambi d’umore, al fatto di dover prendere sempre con le molle le sue affermazioni poiché non potevo prevedere un’eventuale cambio di programma, e se prima il suo tentativo di ottenere misericordia per un comportamento irascibile mi avrebbe fatto piacere, in quel momento mi diede da pensare.
Sembrava veramente dispiaciuta, nonostante nel bagno avesse fatto una scenata, e pensai che probabilmente ci teneva alla mia amicizia, a non allontanarmi, a tenere saldo il legame che ci univa.
Eppure non ero del tutto contenta.
Avrei potuto metterla davanti ad una scelta e c’erano buone possibilità che lei preferisse me ad Andrea. Ma qualcosa non mi convinceva.
            -No, semplicemente ti ci perderesti, per quanto sono contorti i miei pensieri- le sorrisi.
Arrivammo nei pressi dei due ombrelloni che avevamo piantato la mattina e non potemmo più parlare.
Spogliati dei vestiti ci sistemammo sugli asciugamani, ed essendo impossibilitati a fare il bagno ognuno di noi cercò di impiegare il tempo in una maniera gradevole.
Andrea, Simone, Sebastiano e Luca s’impegnarono in una partita di pallone sul bagnasciuga, e noi ragazze fummo costrette a sdraiarci in riva al mare perché Sonia e le due amiche di Andrea potessero fare il tifo.
Dopo però dieci minuti evidentemente si stufarono, perché le due ragazze, Laura e Alessia, intavolarono una partita a carte, lei si disinteressò del pallone per prendere il sole e Sonia dovette arrendersi all’idea che quel Simone era molto più interessato a lanciare il pallone oltre due stecche di legno, per l’occasione trasformati in una porta di calcio, che a beccarsi le sue occhiate.
Così delusa e respinta tornò a sedersi accanto a me.
            -Credo che nemmeno se mi spogliassi mi presterebbe attenzione- disse, facendo un sospiro rassegnato.
            -Già, lo credo anch’io. Ma perché ti ostini tanto, se non lo vedrai mai più in vita tua?-
Probabilmente avevo toccato un argomento in cui lei si sentiva piuttosto ferrata, perché mi guardò con aria saputa e alzando l’indice come a voler esprimere una massima, disse:
            -Lo sai, il rimpianto di non aver inseguito un sogno è molto logorante-
Stupita di questa sua uscita, la guardai per un momento spiazzata, cercando di capire se stesse facendo dell’ironia o fosse convinta di ciò che aveva appena detto. Appurato che era seria, domandai:
            -In pratica secondo te è meglio provarci sempre e comunque, anche se poi si resta delusi?-
            -Certo-
            -Che perdita di tempo-
            -Perché dici così?- la sua espressione si intristì d’un tratto, delusa che avessi bocciato la sua teoria.
            -Perché è proprio brutto farsi illusioni-
Sonia stette zitta per un momento, meditando su quanto avevo appena detto; poi gettò uno sguardo alla ragazza bionda che prendeva il sole a pochi metri da noi, e replicò, abbassando la voce:
            -Non mi pare che ti faccia problemi con lei-
Anche solo il fatto che l’avesse tirata in ballo fece alzare il mio livello di attenzione, e non comprendendo fino in fondo quello che volesse dire la invitai a spiegarsi meglio.
            -Voglio dire, continui questa situazione anche se non sai come andrà a finire. Il che, ora che ci penso, è piuttosto strano da parte tua-
Non risposi a quell’affermazione, per non addentrarmi ancora una volta in quel discorso. Possibile che durante un maledetto Ferragosto dovessero venire a galla questioni così importanti?
Sembrava che ogni cosa volesse invitarmi a riflettere sul nostro rapporto, cosa che io non volevo assolutamente fare. Avevo la sensazione che sarei uscita sconfitta e delusa da un’eventuale confronto con la realtà dei fatti.
Pertanto, al diavolo cos’era giusto e cos’era sbagliato!
Non volevo deprimermi, non volevo pensare, non volevo che qualcuno mi dicesse che stavo completamente sbagliando comportamento. Decisi che avrei adottato un atteggiamento del tipo “vivi e lascia vivere”, che mi sarei goduta quella giornata in spiaggia e non mi sarei fatta prendere da inutili sensi di colpa.
La piacevole sensazione derivante dall’aver soffocato tutte le domande fastidiose che mi ronzavano in testa mi conferì una certa spavalderia. Perciò, siccome i ragazzi giocavano ancora in riva al mare e nessuno eccetto Sonia mi prestava attenzione, allungai un braccio verso la ragazza bionda per scuoterla leggermente.
Lei storse il naso e si tirò a sedere, forse in procinto di cacciare in malo modo il disturbatore. Una volta appurato che di me si trattava, però, rinunciò ad arrabbiarsi e domandò cosa volessi.
            -Ti va di farti una passeggiata?-
Lei mi sorrise e senza nemmeno curarsi di avvertire gli altri mi prese per mano, tirandomi verso la riva.
 
Avvertivo chiaramente che il sole non era più caldo come quella mattina, mentre camminavamo sul bagnasciuga. Il mare non era agitato e si dondolava avanti e indietro, producendo tante onde innocue. Il tratto di spiaggia che avevamo scelto per posizionare gli ombrelloni era abbastanza riparato poiché si trovava fra due formazioni di scogli, ma una volta oltrepassati questi sembrava non esistesse un millimetro di sabbia lasciato libero. La giornata era particolarmente propizia e adatta per trascorrerla in riva al mare, così tutte le spiagge del golfo si erano riempite di impiegati in ferie, famiglie, gruppi di ragazzi come noi e qualche raro pescatore.
Dovemmo percorrere parecchi metri prima di riuscire a trovare un posto che fosse meno frequentato. Mano a mano che ci allontanavamo dalla zona costiera cittadina il numero di persone diminuiva, fino a che non si ridusse a qualche sporadico bagnante accampato sulla spiaggia libera.
            -Non è che ci siamo allontanate troppo?- domandai, voltandomi indietro.
Il punto da cui eravamo partite non era più nitido e si confondeva col resto del paesaggio.
Lei non diede importanza a quel dettaglio, preferendo immergere i piedi nell’acqua.
            -Brr- rabbrividì, quando l’onda arrivò a lambirla – è gelata –
Mi sorrise con aria ingenua e questo gesto mi depistò, impedendomi di evitare lo schizzo d’acqua che mi tirò addosso.
            -Smettila!- le intimai, indietreggiando verso la spiaggia – non ho voglia di bagnarmi!-
Ovviamente non mi ascoltò e passammo un bel po’ di tempo a rincorrerci sulla riva, cercando l’una di evitare gli schizzi dell’altra, col risultato che fummo infine entrambe bagnate dalla vita in giù.
            -Certo che sei permalosa. Prima provochi e poi t’arrabbi se ti bagni?- la presi in giro, perché non aveva gradito uno schizzo particolarmente violento da parte mia.
            -Sì. Non dovevi farlo-
Ora stava cercando di calcolare l’entità dei danni, torcendosi per osservarsi il fondoschiena e le gambe.
Siccome in quel punto di spiaggia non c’era nessuno, eccetto un pescatore lontano qualche metro, mi sedetti sulla sabbia, aspettando che mi imitasse.
Dopo qualche secondo in cui prolungò il suo atteggiamento da offesa, si decise ad affiancarsi a me. Ormai era quasi ora del tramonto, e da quel punto avevamo una perfetta vista del sole che piano piano stava calando e di tutto il golfo. Notando quel panorama, lei disse:
            -Forse hai ragione, ci siamo allontanate troppo-
            -Penseranno che ti ho sequestrata-
            -Ma va’, sicuramente non mi sono persa nulla- mi sorrise lei, prendendo a scrivere col dito sulla sabbia.
Fui piacevolmente stupita di quella sua affermazione.
            -Perché dici così?-
            -Figurati. Andrea ha le sue amiche se cerca qualcuno davanti a cui pavoneggiarsi. E poi scusa, se lui può ignorarmi per giocare a pallone io non posso ignorarlo per stare con te?-
Non dissi niente, ma dentro di me fui molto contenta di quelle sue parole. Avendo relegato in un angolo quei dubbi che mi erano venuti in mente nel pomeriggio, pensai che non avevo motivo di dubitare di lei. Pensai che ricambiava, se non la totalità, almeno buona parte dei sentimenti che io provavo per lei. Pensai che era piuttosto piacevole starsene seduti in riva al mare con lei accanto, senza doversi preoccupare di ponderare gesti e parole, senza dover temere il richiamo di Sonia o l’occhiata sospettosa di Andrea. In quel momento non c’era alcuna traccia dei ripensamenti che mi avevano assalito in precedenza.
Restammo per un po’ in silenzio, ognuna persa nei suoi pensieri; lei era tutta intenta a scrivere sulla sabbia bagnata, per poi osservare il suo lavoro sbiadire al passaggio dell’onda, mentre io guardavo il mare e rabbrividivo impercettibilmente ogni volta che l’acqua mi bagnava i piedi.
Non ero molto loquace, e poter rimanere in silenzio affianco ad un’altra persona senza preoccuparsi di cercare spunti di conversazione, assumeva per me grande importanza.
Era piuttosto strano restare in silenzio e sapere che non ci stavamo ignorando.
Il bagnasciuga era pieno di sassi trasportati a riva dalla corrente, ciottoli, sigarette, pezzi di bottiglia, alghe e in qualche punto anche bottiglie di plastica.
Lei continuava a disegnare linee e forme sulla sabbia, pulendosi le dita con l’acqua salata e ad un certo punto la sua attenzione fu catturata da qualcosa.
            -Guarda!-
Mi voltai per controllare cosa avesse scoperto e lei tirò fuori dalla sabbia, sciacquandola per farmi vedere meglio, una piccola conchiglia.
Mi venne da sorridere spontaneamente, perché lei era stata capace di trovare il meglio che potesse offrire quella spiaggia così inquinata e desolata.
            -Perché ridi?- domandò.
            -Perché non ci posso credere che tu in mezzo alla plastica, ai pezzi di vetro e alle sigarette sei riuscita a trovare una conchiglia-
            -Le cose belle si mostrano a chi le sa apprezzare, lo diceva sempre mia mamma- replicò lei, esaminando il suo tesoro da tutte le angolazioni.
Mi sfuggì, in un mormorio udibilissimo:
            -Si vede proprio che Andrea se ne intende, allora-
Lei si voltò nella mia direzione, guardandomi per un attimo stupita. Poi lentamente cominciò a comparirle sul volto un sorriso timido ed ebbi l’impressione che stesse arrossendo.
Era proprio questo che mi piaceva di lei, il suo essere semplice e aggraziata nelle piccole cose. Mi sembrò così diversa dalla ragazza per cui mi ero dannata nel ristorante, che mi domandai se gli altri la conoscessero così, se potessero godersela allo stesso modo di come lo stavo facendo io adesso.
Improvvisamente mi domandai se Andrea avesse mai potuto cogliere una sola briciola di quella bellezza che stavo contemplando.
Mi chiesi se lui avesse mai scoperto questa sua bellezza, o se si fosse limitato solamente ad apprezzare l’esteriorità, il suo bel corpo, gli occhi azzurri, i lineamenti delicati; certamente non negavo che fosse una bella ragazza, ma reputavo superiore a qualsiasi altra cosa quel suo essere dolce e gentile, ed avevo l’impressione che non mostrasse a tutti quanti quel lato del suo carattere.
Era come scoprire una perla preziosa dentro una corazza che era sì bella, ma palesemente costruita e falsa.
In quel momento mi colse una strana sensazione, come quella che si prova sapendo di aver tagliato il traguardo prima di tutti, perché probabilmente ero stata la prima e forse l’unica ad aver avuto la possibilità di apprezzare quel suo lato.
D’altra parte il fatto che si sentisse abbastanza sicura da potersi comportare con naturalezza quando stava con me significava che avevo la sua piena fiducia.
Mi sentii al contempo privilegiata e carica di una grossa responsabilità, ma non ebbi tempo di riflettere ulteriormente su questa questione: prima che me ne rendessi conto, ci stavamo baciando.
 
Cominciò a fare freddo e ci rendemmo conto che era meglio tornare dagli altri, così ci rimettemmo in cammino e per la maggior parte del tragitto restammo in silenzio.
Avvertivo chiaramente un cambiamento nei suoi atteggiamenti, nel suo modo di fare, come se improvvisamente si fosse resa conto di essersi esposta troppo e stesse rapidamente tornando ad assumere la forma precedente. Come se fino a quel momento fossimo state immerse in una dimensione che era solo nostra, e ora dovessimo fare i conti con la realtà.
Il dover tornare dagli altri mi aveva inoltre riportato alla mente tutta quella serie di ragionamenti, di dubbi e di preoccupazioni che avevo messo da parte in quel periodo passato assieme a lei. Così mentre ripercorrevamo il tragitto a ritroso, cercai di dare una risposta alle domande che mi avevano assillata.
La osservai camminare accanto a me, e mi parve anche lei molto pensierosa.
Ci eravamo baciate di nuovo. Non riuscivo a pensare ad altro che a quello. Ci eravamo baciate di nuovo, e stavolta era stato un avvenimento del tutto naturale, come se non ci fosse nulla di male, come se lei non avesse un fidanzato, come se non avesse alcuna paura delle conseguenze, quando invece non era affatto così!
Mi succedevano cose strane in sua presenza, come appunto far parte di quella situazione senza sapere come sarebbe andata a finire, per di più rischiando di uscirne delusa e sconfitta.
Tuttavia finora, nonostante la precarietà delle cose, potevo ritenermi soddisfatta: lei continuava a comportarsi con me nello stesso modo in cui si era sempre comportata, segno che non aveva risentito del cambio di ruoli e situazioni.
Forse nemmeno lei si rendeva conto di quello che stava accadendo fra di noi, e chissà se una volta divenuta consapevole i miei timori si sarebbero avverati.
Quella paura di essere per lei soltanto la migliore amica, quella speciale, quella da mettere al di sopra di tutto, con cui il rapporto poteva però limitarsi ad un affetto puramente mentale.
Ed io non volevo solo quello, non mi bastava. Io avevo bisogno di qualcosa che mi permettesse di averla tutta per me, senza intromissioni estranee, senza che lei si sentisse in difetto e per questo si nascondesse dietro maschere o atteggiamenti artificiosi.
Mi stupii un po’ per quei pensieri, e mi chiesi dove mi stesse portando quel legame. Stavo forse diventando troppo dipendente?
            -Andrea sarà arrabbiato. Sei andata via senza dirgli nulla- tentai, dandole un’occhiata di sfuggita e cercando di non sembrare troppo interessata alla sua risposta.
Sospettai che anche lei avesse fatto finta di non prendere troppo in considerazione quella domanda, però mi concesse:
            -Non importa. Male che vada, litigheremo di nuovo-
Il sole stava gradualmente immergendosi nell’acqua, così che per noi due, vestite solo con i costumi ed esposte al vento che muoveva il mare, faceva un po’ freddo.
Quando tornammo al punto in cui avevamo lasciato gli altri, trovammo i ragazzi che conversavano fra di loro, con Sonia che disperatamente faceva di tutto per attirarsi l’attenzione di Simone ed Andrea che ci attendeva in piedi, con uno sguardo che non mi piacque per niente.
Lei notò subito quell’aria poco amichevole, e mi spiazzò completamente quando, piuttosto che ribattere con la sua solita grinta, preferì disinteressarsi della sua rabbia.
            -Potevi almeno dirmelo che te ne andavi!- fece lui, palesemente offeso, mentre le andava dietro.
            -E tu potevi accorgertene, che me ne andavo- replicò lei, ma a bassa voce, in modo che potessi ascoltarla solo io.
Sorrisi spontaneamente e dentro di me ci fu una vera e propria rivoluzione di ormoni, a tal punto che mi dovetti trattenere per non esprimere il mio assenso ad alta voce.
Andrea restò confuso per il suo disinteresse, in quanto si sarebbe aspettato come minimo una risposta irritata. Ci trotterellò dietro finché non giungemmo agli ombrelloni, ed anche allora lei non sembrò prenderlo minimamente in considerazione.
            -Ma ti sei arrabbiata? Ce l’hai con me?- le domandò.
Io lo osservai, mentre lei raccoglieva la sua canottiera e se la infilava da sopra la testa. Capivo bene il suo smarrimento in quanto molte volte l’avevo provato io stessa, nel vedermi sbattere la porta in faccia, o chiudere il telefono improvvisamente; tante volte anch’io l’avevo rincorsa e mi ero tormentata e dannata per quella sua indifferenza, per il suo silenzio misterioso e risentito. Col passare del tempo, conoscendola meglio, avevo imparato a sopportare le sue bizze e a comportarmi di conseguenza, ignorandola quando voleva essere ignorata, ammettendo i miei presunti torti, pur se a malincuore, e non rispondendo alle sue provocazioni.
Lui non aveva idea di come prenderla, non sapeva assolutamente niente di lei.
Fu questo il pensiero che mi attraversò la mente, e mi compiacqui perché a differenza di Andrea io la conoscevo benissimo ed ero riuscita ad ottenere la sua fiducia.
Vedendo che invece di accomodarmi sull’asciugamano io restavo in piedi, lei mi diede un’occhiata come per domandarmi che avessi intenzione di fare.
            -Vado da Sebastiano-
Andrea avrebbe voluto la sua ricompensa, avrebbe voluto trascorrere del tempo con la fidanzata e nonostante non se lo meritasse affatto lei gli avrebbe concesso questa grazia. Dal canto mio potevo ritenermi più che appagata dalla considerazione che lei aveva per me, e così decisi di lasciarli da soli.
 
Avevo notato, nell’avvicinarmi agli ombrelloni, la mancanza del mio amico spilungone e della sua amata canna da pesca, segno che evidentemente ne aveva avuto abbastanza della noiosa compagnia di Andrea ed aveva deciso di starsene un po’ per conto suo.
Così, immaginando di trovarlo lì, m’incamminai verso il complesso di scogli, che riparava la spiaggia che avevamo scelto dal resto della costa.
Notai il quasi invisibile filo di nylon teso verso l’acqua, e capii che doveva essersi rintanato lì. Scavalcando le pietre e aggirando gli ostacoli che non riuscivo ad oltrepassare, mi arrampicai sugli scogli e da lì lo individuai.
            -Non ce la facevi più, eh?-
Lui immediatamente si voltò, quasi sorpreso di udire la mia voce, e mi fece un sorriso largo.
            -Già-
Notando la mia difficoltà nel trovare un punto d’appoggio si spostò dal suo posto, saltando in acqua e bagnandosi fino alle ginocchia, per permettermi di sedermi sulla pietra lasciata libera.
Questa era sufficientemente grande e piatta, per cui rassicurata saltai il dislivello e mi sedetti sopra lo scoglio.
Sebastiano tornò a guardare il mare, e compiendo movimenti rotatori attorno alla lenza fece tornare a riva l’amo.
Pescò dalla tasca del costume una scatola verde, e mi domandò:
            -Puoi aprirmela?-
Mi sporsi per allungare le mani, e tolsi il coperchio al contenitore. Una massa informe e disgustosa di piccoli insetti si agitavano al suo interno, cercando di fuoriuscire dai bordi.
            -Bleah- commentai, porgendogliela.
Lui, come se nulla fosse, prese in mano una piccola larva e vi avvolse intorno l’amo, un piccolo uncino aguzzo legato ad un filo di nylon.
Diede poi un’occhiata alla superficie del mare e spostò la canna a sinistra; con un colpo secco, lanciò l’esca lontano, dove non si riusciva quasi più a distinguere la sagoma della lenza.
Fatto ciò, cercò con la mano un appoggio sicuro e si sedette su una rientranza dello scoglio, in modo da stare più comodo mentre aspettava che qualche ignaro pesce abboccasse.
Riposi la scatola delle esche sulla pietra, non senza un brivido di disgusto, e notandolo Sebastiano disse:
            -Mi sono costate un sacco di soldi. La prossima volta le vado a cercare nel bosco-
Sorrisi del suo commento e osservai il piccolo secchiello adibito alla raccolta della cacciagione; notai che c’era solo un piccolo pesce che si agitava nell’acqua, così gli domandai:
            -Non hai preso niente?-
            -No. Volevo far bella figura con quelli, ma non c’è nemmeno un minuscolo pesciolino-
            -Non ti preoccupare, non credo che loro avrebbero saputo fare di meglio-
Sebastiano recuperò ancora una volta l’amo e ripeté gli stessi gesti di prima, fiducioso che la prossima volta sarebbe stata quella buona. Io lo osservavo senza dire nulla, e restammo in silenzio per un po’.
Mi piaceva molto stare con lui, perché in un certo senso ci assomigliavamo molto: Sebastiano era un tipo di poche parole, e nonostante appartenesse al genere maschile mi aveva dimostrato più volte, ed in maniera molto più valida di altri, che a me ci teneva e che come amico era disposto anche a fare dei sacrifici.
Spesso mi accorgevo che riusciva a capirmi e consigliarmi, per quanto gli fosse possibile, anche meglio di Sonia od altre amiche.
            -Sono carine, le due ragazze-
            -Quali ragazze?-
            -Le amiche di Andrea?-
Siccome mi ero leggermente sdraiata sullo scoglio, mi drizzai subito a sedere e lo guardai con aria di rimprovero.           
            -Non vorrai dirmi che davvero ti piacciono?- domandai, con una minaccia implicita nel tono di voce.
Lui si strinse nelle spalle e mi rivolse una smorfia divertita.
            -No... che dici? Ho solo detto che sono carine. Mica che me le voglio portare a letto-
            -Povero te, in tal caso. Non sono niente di che, te lo garantisco-
Sebastiano non replicò, ma mi diede un’occhiata prima di tornare a guardare il mare. Per un momento sembrò assorto nel suo operato, ma cercando di far finta di niente buttò lì:
            -Anche se ti annoi, è stata molto gentile ad invitarti-
Non ebbi alcun bisogno di farmi esplicitare il soggetto della frase, perché ogniqualvolta avvertivo la sua presenza, a livello fisico o astratto, le mie capacità sensoriali e razionali si amplificavano.
Lui mi guardò per controllare di non avermi fatto arrabbiare, e io ricambiai l’occhiata, tentando di capire dove voleva andare a parare.
            -Sì, è stata gentile...- risposi, facendomi per un attimo pensierosa.
            -Anzi, lei è sempre gentile- aggiunsi.
Sebastiano fece un sorriso e prima ancora che potessi domandargli a cosa fosse dovuto lui commentò:
            -A dir la verità, ho sempre pensato che fosse peggio di una tanica di benzina- sorrise ancora con aria furba – nel senso che è altamente infiammabile-
Quelle parole mi procurarono un sorriso spontaneo e dovetti ammettere che aveva un po’ ragione.
            -Non è vero- replicai – è solo che gli altri non sanno come prenderla-
Stavolta lui si arrampicò per arrivare al mio stesso livello, e sedutosi accanto a me disse:
            -Mi piace. È una tipa a posto-
Ci fu un momento di silenzio, e mi sembrò che Sebastiano non stesse attendendo altro che una riflessione da parte mia, come se avesse voluto dirottare il discorso su quei piani appositamente perché voleva arrivare ad una conclusione.
Mentre m’interrogavo su quale potesse essere, chiesi:         
            -E di Andrea, che ne pensi?-
Lui alzò le sopracciglia in un gesto eloquente, strappandomi un sorriso.
            -Che coglione-
Poi però il mio sorriso fu stroncato dalla sua espressione che si fece seria d’un tratto.
            -Ma sembra molto innamorato-
Istintivamente abbassai lo sguardo, dedicandomi ad osservare un piccolo granchio che si arrampicava sullo scoglio.
Ecco, ora avevo capito dove voleva andare a parare.
Sperai intensamente che lui decidesse di abbandonare l’argomento, ma al contrario aggiunse:
            -Insomma, probabilmente non si rende conto di essere fortunato che non l’abbia già rispedito a casa a calci in culo. Però insomma, mi pare proprio perso. E cazzo- qui aggiunse un gesto eloquente – vorrei vedere, chiunque lo sarebbe al suo posto-
            -Già- dissi io, quasi in un sussurro come temendo di ascoltare la sua risposta.
Sebastiano mi guardò e dovette notare la mia espressione triste perché ripeté:
            -Però certo, è veramente un gran coglione-
Restai un momento in silenzio a riflettere e un movimento strano del mio stomaco mi fece capire che avevo paura di porre quella domanda. Sapevo che lui non sarebbe stato attento al mio stato d’animo, ma mi avrebbe risposto in modo schietto, mettendomi di fronte alla realtà delle cose.
            -E lei, secondo te? Lei lo ama?-
Sebastiano si produsse in uno sbuffo seccato, e ritirò la lenza per poi avvolgerla attorno alla canna e posare il tutto sulla pietra. Poi si sdraiò sulla schiena e mi rivolse un sorriso.
            -E che ne so? Non pretendo di capirci qualcosa, della mente femminile-
            -Dai!-
Passai sopra anche a quella battuta, tanto ero impaziente di conoscere la sua risposta, in quanto sapevo che i suoi giudizi erano molto obiettivi, e che se c’era qualcosa che non andava lui me l’avrebbe fatta notare senza troppi giri di parole. La sua opinione era quella che più mi interessava e al contempo mi faceva paura.
Lui si grattò lo strato scuro di barba che aveva malamente tagliato e guardandomi bene negli occhi affermò:
            -Non credo proprio. È sprecata a stare con lui-
Non ebbi nemmeno il tempo di tirare un sospiro di sollievo e sorridergli per mostrargli la mia gratitudine, che lui aggiunse:
            -Ma lei non ti ama-
Quella frase mi raggelò con la stessa intensità di un vento freddissimo, avente la capacità di penetrarmi nelle ossa e paralizzare ogni mio movimento.
Era quella la sentenza che non volevo ascoltare, e adesso che lui me l’aveva sbattuta in faccia mi resi conto che pur avendo voluto per l’intera giornata sfuggire quel discorso, dentro di me mi aspettavo una risposta del genere. Era come se lo avessi sempre saputo, come se quell’idea maligna avesse sempre gravitato nella mia testa, ma non avesse mai avuto il coraggio di manifestarsi pienamente.
            -Non mi ama?- chiesi, continuando a guardare verso il basso, stavolta attirata dall’acqua del mare che s’infrangeva sulle rocce.
            -No. Non come la ami tu-
Tacqui e non dissi nulla, troppo occupata a metabolizzare quel senso di oppressione che mi stava inesorabilmente catturando. Feci un respiro lungo, ed avvertii i polmoni far fatica per allargarsi, come se ci fosse un peso a comprimerli.
Il mio stato d’animo doveva essere proprio evidente, perché se ne accorse anche lui che forse per consolarmi aggiunse:
            -Comunque, vi trovate proprio bene voi due. Si vede che ci tiene, a te-
            -Lo so-
No, non era riuscito a farmi sentire meglio. Che poteva importarmi di quanto lei tenesse a me, quando sapevo benissimo che non ricambiava i miei sentimenti?
Provai il desiderio di alzarmi e riprendere a camminare sulla spiaggia, come avevamo fatto insieme poco prima, per rimuovere tutti quei pensieri dalla testa e non pensarci più. Non era la prima volta che mi veniva spiattellata brutalmente una triste verità, e credevo di esser diventata abile a nascondere il dolore con l’indifferenza, o quantomeno di aver acquisito la lucidità necessaria affinché, in tali momenti, non mi facessi trascinare dalle emozioni.
Ma non riuscivo a reagire, non riuscivo a replicare nulla in mia difesa, nulla che dissimulasse quelle sensazioni opprimenti che stavo provando, nulla che mi permettesse di recuperare un po’ di dignità e non mi facesse passare per la perdente di turno.
Mi sentivo come se stessi scivolando rapidamente e senza possibilità di appiglio, come se d’un tratto tutte le sicurezze che mi ero costruita fossero state demolite in modo che mi ritrovassi senza difese, pronta a subire qualsiasi altrui attacco.
            -Oh, io la penso così, ma può anche essere che ho sparato un mare di cazzate! Che ti aspetti da uno che non ha mai vinto al Totocalcio, nemmeno con le partite più prevedibili del mondo?-
Allungò una mano verso di me e prese a carezzarmi un braccio, in un gesto affettuoso.
Povero Sebastiano, pensai, ora l’avevo anche fatto sentire in colpa, quando lui si era solo giustamente preoccupato per me, per il mio continuo vagare nel dubbio e nelle incertezze. Eppure lui, nonostante cercasse di sminuirsi, aveva perfettamente ragione, aveva colto nel segno ed io lo sapevo benissimo.
Piegando la testa da un lato feci un sorriso che in sé non aveva nulla di allegro, e strinsi la sua mano con la mia, forte.
            -Grazie per avermelo detto-
            -Ma sul serio vai a credere a quello che ti dico?- scherzò lui, per farmi sorridere.
            -A volte sembri proprio un tipo maturo, sai?-
Lo avevo detto per dissimulare la tristezza che mi aveva invaso, ma lo pensavo veramente. Sebastiano, con tutti i limiti che poteva avere non essendo particolarmente acculturato, né gentile, né sensibile, sapeva essere saggio e profondo, a modo suo. Aveva questa capacità di osservare, e riferire le situazioni in maniera forse diretta, ma sempre obiettiva. Inoltre sapevo benissimo che la sua unica preoccupazione era il mio stato d’animo, non certo farmi sentire male.
Lui tornò a sdraiarsi e disse, inceppandosi un po’:
            -È solo che a volte ci penso, a queste cose... cazzo, non lo so davvero. È strano pensarti insieme a lei, sul serio... Non perché è una femmina, ormai ci ho fatto l’abitudine. Però ecco...-
            -Con parole tue, mi raccomando-
Lui mi sorrise, per nulla offeso, prima di riprendere:
            -Voglio dire, se vi mettete insieme, che farete? Insomma, vi conoscete da un sacco di tempo. Certe volte, quando poi succede così, non sempre va bene-
Capii cosa voleva dire, nonostante la mia mente fosse troppo annebbiata dalla delusione.
            -Se poi vi lasciate, se va tutto a puttane, perdi anche la sua amicizia-
Mi guardò di sottecchi, e aggiunse:
            -Cosa che tu non vuoi. Vero?-
Ripensai alla discussione che avevamo avuto nel bagno del ristorante, e ricordai come lei stessa avesse espresso lo stesso concetto, non senza una punta di timore e preoccupazione.
Pensai che non avrei potuto sopportare di veder soffocato il mio sentimento, ma che sarebbe stato mille e mille volte peggio vederla andarsene via, per sempre, e restare con tanti ricordi nelle mani. Pensai che forse avrei potuto sopportare quella situazione per lei, perché non si trovasse a trasformare l’amicizia in un sentimento più elevato, che però lei non provava. Non del tutto, non nel modo in cui lo intendevo io.
 
Sebastiano si tirò su, raccolse la canna da pesca e il barattolo delle esche, poi mi allungò un braccio per aiutarmi ad alzarmi.
Tornammo dagli altri, notando che stavano smontando gli ombrelloni, in quanto il sole ormai non era più una preoccupazione.
Trovai Sonia immersa fino al collo in una conversazione con Simone, che sembrava talmente interessante da distoglierla da qualsiasi altro impegno.
Lei si era rivestita, e quando mi vide tornare assieme a Sebastiano si alzò in piedi per venirmi incontro.
Non ebbi il tempo di rendermene conto, che me la trovai vicinissima.       
            -Credi che abbia esagerato, prima?- mi domandò, assumendo un’aria colpevole.
            -In che senso?-
            -Ad ignorarlo del tutto-
Avrei tanto voluto dirle quanto avessi apprezzato il suo comportamento e cosa avesse significato per me il fatto che avesse preferito stare con me piuttosto che con lui, ma tenni per me queste considerazioni.
            -No... non credo-
Lei sorrise, ed io non potei che fare altrettanto.
            -Dici? Forse ho esagerato...-
Non era proprio preoccupata, sembrava più interessata a sapere che ne pensassi io, piuttosto che a valutare la possibilità di scusarsi con lui.
            -Ma no... cioè, lo sappiamo tutti che spesso ti vengono i cinque minuti, per cui se t’incavoli non ti si può dire niente a meno di non voler essere aggrediti-
Lei rise, e quella risata fu per me molto più efficace di qualsiasi ricostituente, per sanare almeno in parte la delusione che si era fatta strada nel mio animo.
Avevo utilizzato un generico plurale, ma speravo capisse che mi stavo riferendo a me.
Sembrava piuttosto allegra per qualcosa, e quando mi azzardai a domandarle cosa fosse, lei rispose senza il minimo imbarazzo:
            -Niente, è stata una bella giornata! Sono felice che sia venuta anche tu, davvero-
Lasciai che mi trascinasse, tenendomi per mano, verso gli asciugamani e mi mostrasse un messaggio che le era arrivato sul telefonino.
Recava i risultati di un esame che da poco aveva sostenuto e che, a giudicare dal numero che lessi sullo schermo, era andato piuttosto bene.
            -Oh che brava. Vedi che è servito studiare tanto?-
Avevo sacrificato un’intera settimana di dolce far niente, per poterla aiutare a studiare per quell’esame, e nonostante sapessi che non avesse alcun bisogno del mio aiuto, mi faceva piacere che mi attribuisse parte del merito.
            -Grazie, davvero!-
Ci pensò su un momento, poi abbassò lo sguardo e propose:
            -La prossima volta che devi dare un esame, dimmelo! Non fare come al solito la stronza, che mi fa piacere poter ricambiare-
            -Non c’è bisogno che ti preoccupi-
            -Dopo averti rotto per un sacco di tempo, averti assillato ripetendoti dieci volte al giorno le stesse cose...-
            -Figurati, e poi mi piace stare a casa tua. È enorme!-
            -Ah, grazie davvero! E anche per oggi...-
Detto ciò, non seppe più controllare la felicità che la pervadeva e si abbracciò a me, stringendomi forte.
            -Che farei senza di te?- rise, con la bocca vicina al mio orecchio.
Io invece, non sapevo se ridere o piangere.
Immaginai, anche se non potevo vederla, la sua bocca leggermente arcuata per scoprire i denti bianchi e regolari e le labbra carnose. Così stretta nell’abbraccio avevo i suoi capelli quasi in bocca, tante sottili ciocche bionde che mi solleticavano il naso.
Ma soprattutto, sentivo il suo corpo premere contro il mio e strofinarsi contro di esso in una maniera del tutto innocente, priva di ulteriori intenzioni. E allora mi fu difficile trattenermi dall’abbracciarla altrettanto intimamente e baciarla dappertutto, sul naso, sulla bocca, sulle guance, sul viso, sul collo; mi fu difficile non storcere il muso in una smorfia addolorata, per aver capito tutto quanto.
Lei mi aveva assecondato perché in quei gesti intimi vedeva un nuovo modo di esternarmi il suo affetto, perché aveva avuto paura di perdermi, paura che potessimo separarci ed aveva visto nei baci, nelle carezze un modo per tenermi a sé, per catturare la mia attenzione. Non mi avrebbe mai preferito a nessun altro ragazzo, semplicemente perché non rientravo in quel tipo di competizione: non mi avrebbe mai visto in quel modo.
Se lei non mi avesse voluto bene, avrei potuto esternarle i miei reali sentimenti senza bisogno di mascherarli dietro l’amicizia; ma sentivo che ero diventata per lei qualcosa d’importante, e che lei aveva posto il nostro rapporto su un livello che forse era anche superiore al legame che aveva con Andrea.
Lei mi voleva bene, e allora cos’ero io per permettermi di rovinare quel sentimento?
Cos’ero, un’egoista forse, accecata dalle proprie ragioni tanto da non saper prendere in considerazione quelle dell’altra?
Con questi pensieri in testa, ricambiai il suo abbraccio cercando di restare nel limite dell’affettuosità.
            -Che farei io, senza di te- le rigirai la domanda.
E lei? Possibile che non si fosse accorta del tormento che mi assillava, dei miei dubbi e delle mie indecisioni, e fosse del tutto ignara della tempesta di emozioni che mi aveva scatenato?
Si allontanò leggermente per guardarmi negli occhi, e ricambiando lo sguardo mi sentii arrossire: vi leggevo non solo felicità, ma anche un briciolo di compassione, sì, proprio quella che avevo provato per Andrea quel pomeriggio; lei aveva capito, e quasi si stava scusando per non potermi accontentare. Ma, dopotutto, forse ero io quella che non sapeva ben interpretare il rapporto che c’era fra di noi.
            -Francesca?- la chiamò Andrea.
            -Sì, arrivo-
Già, Francesca. La mia migliore amica.
 






Volevo pubblicarla in un unico capitolo, ma poi sarebbe stato troppo lungo! E così ce l'ho fatta a postarla prima di prendere il treno...non voglio più vedere calcolatrici, fogli di excel, tavole periodiche, parabole, ellissi, valori assoluti, iperboli o libri di fisica per un mese intero!
Emmaps3: felice che ti rispecchi nella protagonista (o forse no, a giudicare dalla situazione), e mi dispiace per il non-lieto fine! Ma purtroppo nella realtà non esiste. Grazie per i complimenti!
Eriok: mi fa piacere che la scena del bagno e il rapporto fra le due ti siano piaciuti, grazie per aver recensito!
Ah e grazie anche a chi l'ha messa fra le seguite e le preferite!

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