Lei, il mare e la seppia di Pichichi (/viewuser.php?uid=79680)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
-Non sta andando niente affatto
male, vero?-
Sebbene
stessi cercando di mascherare il mio disagio da più di due
ore, credevo che
chiunque guardandomi bene in faccia avrebbe potuto capire che
l’unica cosa che
desideravo era andarmene via, il più lontano possibile da
quel posto. Feci un
sorriso assolutamente falso alla mia amica, ma lei era troppo presa
dalla
contemplazione del posto per accorgersi del mio umore.
-No, per niente-
Feci
un piccolo sospiro e preferii, piuttosto che ascoltare le chiacchiere
delle
altre ragazze, dedicarmi a far ruotare il liquido all’interno
del calice.
Da
un punto di vista oggettivo, non avrei certo potuto lamentarmi: il
ristorante
che era stato prescelto per trascorrere il Ferragosto era uno dei
più rinomati
e frequentati della costa; era abbastanza grande da ospitare tutti gli
amici,
ma al contempo garantiva un’atmosfera raccolta e familiare;
le pareti
verniciate da un arancione delicato bastavano inoltre per assicurare la
mia
approvazione. Un altro punto a favore del posto era la vicinanza col
mare,
cosicché dopo un’abbondante mangiata avremmo
potuto trasferirci sulla spiaggia,
e se per entrare in acqua ci sarebbe stato da aspettare, almeno ci
saremmo
goduti il paesaggio.
Più
che la festa di compleanno di Andrea, sembrava la rimpatriata di un
vecchio
gruppo di surfisti, a giudicare da come eravamo vestiti.
Neanche
lo avessimo fatto apposta, portavamo tutti dei pantaloncini che non
oltrepassavano
il ginocchio e canottiere molto scollate. Da sotto gli indumenti
spuntavano i
lacci di costumi colorati, segno che avevamo deciso di trascorrere
l’intera
giornata in spiaggia. Non che avessi niente in contrario a questo,
anzi, ma la
compagnia che dovevamo sopportare non mi andava proprio a genio.
Per
evitare l’inconveniente di restare insieme a persone che non
conoscevo nemmeno
di vista, mi ero portata appresso due amici. Ironia della sorte,
sembrava che
loro due avessero trovato scopi molto più divertenti a cui
dedicarsi, piuttosto
che darmi retta.
Sebastiano
aveva scelto, per arginare la noia a cui sarebbe stato sottoposto, di
portarsi
dietro la canna da pesca e il barattolo dei vermi, così da
poter trascorrere il
pomeriggio seduto su uno scoglio a lanciare l’amo nella
speranza di pescare
qualcosa.
Inutile
dire che la scoperta del barattolo di vermi nella tasca del costume di
Sebastiano aveva prodotto cinque buoni minuti di urla disgustate da
parte di Sonia,
la quale per il resto della giornata non aveva voluto più
avvicinarsi a lui.
Sebastiano, che con l’ausilio della luce del sole sembrava un
vero e proprio
marocchino, aveva trovato fra gli amici di Andrea numerosi figli di
papà
affascinati dalla sua pseudo competenza nel campo della pesca, e ora se
ne
stava dritto sulla sedia, tutto orgoglioso di poter spiegare come fare
a
prendere i pesci più grossi.
A
me, osservandolo, veniva da ridere: l’unica volta in cui si
era cimentato con
costanza nella pesca, e cioè un paio di giorni
all’inizio di Agosto, era stato
capace di rimanere dalle sei della mattina, ora in cui la spiaggia
è libera e i
pesci abboccano meglio, fino alle otto della sera con la canna in mano,
una
scatola di esche appena comprate e un secchio per raccogliere le ignare
prede;
a fine giornata era tornato imbronciato e deluso, portando un secchio
riempito
di acqua salata nel quale si agitavano cinque pesciolini della
lunghezza di
undici centimetri; per non offenderlo, per gratificare il suo orgoglio
e
rendere omaggio allo sforzo, li avevamo fritti e ce li eravamo
mangiati.
Non
si poteva quindi definire il miglior pescatore della zona, ma quegli
idioti lo
stavano a sentire e a me faceva piacere che lui si vantasse di fronte
ad
Andrea, che nel pomeriggio avrebbe certamente cercato di emularlo.
-Ci sei?-
Sonia
mi sventolò una mano davanti agli occhi, dato che da
più di un minuto osservavo
il tavolo dei ragazzi con interesse.
-Sì, ci sono- dissi tornando a
guardare il menu.
-A che pensi?- mi domandò.
Era
incredibile che non si accorgesse di quanto mi annoiassi a stare
lì e fosse al
contempo capace di cogliere la minima sfumatura di
“pensosità” nel mio sguardo.
-A niente, guardavo Sebastiano pavoneggiarsi-
risposi con un sorriso.
-Ma quanto è bello quello biondo,
mamma mia...- mormorò lei, voltandosi a guardarlo.
Mi
ero giocata l’altro diversivo per evitare una giornata noiosa
circa a metà
mattinata, quando sulla spiaggia aveva fatto la sua comparsa il gruppo
di amici
di Andrea, con relativo capobanda.
Fino
a quel momento la giornata era andata abbastanza bene, considerando che
Sebastiano se ne stava sdraiato al sole per abbronzarsi, con
l’intento di
acquisire l’etnia di un cittadino del Marocco, e noi due
passavamo il tempo ad
interrogarci su come avevano potuto eliminare la nostra modella
preferita in un
reality show.
Poi
comparvero quei ragazzi, e sia io che Sonia ci giocammo la giornata.
Lei
era stata catturata in particolare dal fisico di un ragazzo alto e
biondo,
dalla pelle chiara e gli occhi verdi, che per quanto ne sapevo io
faceva il
cameriere in un famoso ristorante costiero.
Inutile
dire che da quel momento lei non aveva avuto occhi che per lui, ed io
non avevo
più avuto nessuno con cui commentare quanto fosse
palesemente truccato quel
programma.
Per
quei motivi ora mi trovavo sola, perduta nella noia e intrappolata fra
le due
amiche di Andrea che spettegolavano su questioni che non
m’interessavano.
-Io ho scelto- annunciai alle altre,
e chiusi il menu per catturare l’attenzione del cameriere.
-Sì, anche noi- mi sorrise Andrea,
dall’altro tavolo, posto accanto al nostro.
Ora,
io non volevo sembrare maleducata, ma non mi riusciva proprio di
replicare al
suo sorriso con altrettanto entusiasmo. Feci una smorfia che
più che
contentezza esprimeva dolore, secondo me. Per fortuna lui non parve
accorgersene e tornò a chiacchierare con i suoi amici,
attendendo il cameriere.
-Bene, vi serviamo subito gli
antipasti-
Dopo
aver preso le ordinazioni di tutti il cameriere si allontanò
verso la cucina, e
dopo non molto tempo ci vennero serviti su dei piattini bruschette col
pomodoro, piccoli panini ripieni di olive e acciughe immerse
nell’olio.
Mentre
mi accingevo a prelevare un po’ di queste ultime prima che le
ragazze me le
soffiassero, Andrea si rivolse a me dall’altro tavolo.
-Quest’anno avete partecipato al
raduno dei windsurf?-
Io
masticai il boccone prima di rispondere, e mi stupii di tanto interesse
nei
miei confronti. Probabilmente, pensai, la sua voleva essere una domanda
carina,
per mettermi a mio agio.
-In realtà è Sebastiano che ha
gareggiato, io e Sonia gli abbiamo solo fatto il tifo-
-Sai windsurfare?- domandò Simone,
il ragazzo di cui Sonia si era infatuata.
-Sì- rispose lui, tutto contento di
potersi vantare di un’altra abilità.
Io
detestavo tutti e tre i ragazzi, sia Andrea che Simone che Luca, e
perciò ero
ben felice che si sentissero in qualche modo in difetto di fronte al
mio amico.
Qui
non c’erano campi da golf o da rugby su cui potessero provare
la loro
superiorità maschile, bisognava purtroppo arrangiarsi col
mare, o al massimo
con un campetto delimitato da quattro pali incastrati nella sabbia.
-Ed è anche bravo. L’anno scorso
è
arrivato decimo- aggiunse Sonia, sorridendogli con
complicità.
In
realtà Sebastiano si era classificato ufficialmente come
quindicesimo, ma quei
tre che potevano saperne? D’altronde, venivano qui poche
volte all’anno,
solitamente durante le festività natalizie, pasquali e nel
periodo estivo;
Andrea scendeva con la sua fidanzata e portava con sé i due
amici, per
compagnia.
-Be’, nemmeno tu te la cavi male-
Percepii
chiaramente il mio cuore mancare un battito a quelle parole, e
probabilmente le
mie guance divennero rosse per la vergogna; per dissimulare il mio
imbarazzo mi
affrettai a mandare giù altro vino, e fortunatamente nessuno
lo notò.
-Non esagerare, è già tanto se sto
in piedi sulla tavola-
Sonia,
che mi aveva immediatamente guardato negli occhi e che sicuramente
aveva colto
il mio imbarazzo, si affrettò a depistare
l’attenzione degli altri raccontando
la nostra esperienza come windsurfiste, iniziata e conclusasi piuttosto
in
fretta.
L’adorai
per quel gesto carino nei miei confronti, perché nel momento
in cui tutti
furono distratti dalle sue parole potei dare una lunga ed eloquente
occhiata
alla ragazza seduta di fronte a me, fra Sonia ed Andrea.
Mi
ero categoricamente imposta per tutta la durata del pranzo di guardare
da ogni
parte fuorché nella sua direzione, perché
conoscevo il mio livello di
resistenza e probabilmente questo sarebbe crollato in fretta.
Lei,
da parte sua, non fece alcun movimento strano o azzardato, limitandosi
a
piantare i suoi occhi celesti nei miei verdi. Mi era molto difficile
trattenere
tutto quello che mi passava per la testa, ma lei nemmeno mi aiutava,
col suo
abbigliamento: i capelli biondo scuro lunghi oltre le spalle, e
sistemati con
una riga laterale, risentivano ancora dell’acqua salata del
mare che li
increspava in un modo delizioso; la canottiera nera creava un piacevole
contrasto con la sua pelle chiarissima e non dava modo di indovinare su
cosa
potesse celarsi al di sotto di essa, ma in compenso le arrivava poco
sopra
l’ombelico, cosicché stando in piedi avrebbe
potuto fare mostra del suo ventre
liscio e magro; per completare il quadro, un paio di pantaloncini
bianchi del
tutto inconsistenti e provocanti, specie se portati sopra un costume
nero.
Insomma,
sembrava in tutto e per tutto una sfida al mio autocontrollo.
Forse
il mio minuto di contemplazione si prolungò troppo a lungo,
perché mi arrivò un
calcio sullo stinco, e a giudicare dalla potenza impiegata doveva
essere stata
Sonia, che come me giocava a pallone.
Nell’esternare
il mio disprezzo verso Andrea, non avevo preso in considerazione il
motivo più
importante, quello per cui lo ritenevo la creatura più
ripugnante dell’intero
pianeta: oltre ad essere uno spocchioso figlio di papà,
oltre alla sua mania di
ricordare ogni due per tre quanto difficile fosse stato il suo esame di
odontoiatria e come lui nonostante ciò fosse riuscito a
superarlo, oltre alla
sua fede milanista che lo classificava immediatamente come un essere da
non
prendere in considerazione, lui era il fidanzato della ragazza seduta
di fronte
a me e della quale io, ovviamente, ero innamorata.
C’era
voluto un po’ di tempo perché potessi accettare
quest’ultima parola, eppure non
avevo trovato altro modo di definire il rapporto che mi legava a lei,
che mi
impediva perfino di considerare le proposte di altre ragazze
discretamente
gradevoli.
L’avevo
definita come una specie di calamita, che mi attirava con una forza
magnetica
superiore addirittura alla resistenza orgogliosa che facevo,
cosicché mi
ritrovavo spesso a gironzolarle attorno come un cagnolino scodinzolante
e in
attesa del suo osso succulento.
Le
cose avrebbero potuto essere anche più semplici, se lei non
fosse stata la
fidanzata di Andrea, se non fosse stata la migliore amica per la quale
in tanti
anni non avevo provato altro che affetto e se non avesse ricambiato i
miei
sentimenti.
Invece
lei, con mia estrema sorpresa e incredulità, aveva accettato
di buon grado il
mio affetto speciale, e mi aveva dato momenti di grande
felicità per i quali
avrei potuto sopportare tutti gli sproloqui di Andrea.
Il
problema stava nella sua incapacità di affrontare la
realtà che stavamo
vivendo, nell’interrompere la relazione con Andrea e nelle
nostre frequenti
litigate.
Prima
di entrare in questa situazione a dir poco cinematografica, i nostri
caratteri
si mantenevano su due piani completamente opposti, ma forse proprio a
causa di
questo ci trovavamo bene stando insieme; da quando il nostro rapporto
era
sfociato in quell’assurda situazione, complici la tensione,
la paura di essere
scoperte, il tempo sempre più rado che potevamo trascorrere
assieme, le nostre
divergenze si erano amplificate.
Lei
era diventata più tesa e irritabile, tanto da arrabbiarsi
per ogni minima cosa
dando sfogo alla sua indole altamente infiammabile, mentre io in
risposta ai suoi
sbalzi di umore diventavo più fredda, quasi indifferente e
ribattevo col
sarcasmo gratuito.
Non
poche volte, a dir la verità, eravamo arrivate a litigare
urlandoci addosso di
tutto, promettendoci di non rivederci mai più e dimenticare
l’esistenza
dell’altra, per poi trovarci a quel tavolo, l’una
di fronte all’altra, entrambe
con gli occhi bassi e sfuggenti e la paura mista al nervosismo che ci
faceva
comportare quasi come due estranee.
Poteva
l’amore rovinare in quel modo un’amicizia
bellissima?
Era
questa la domanda che mi ronzava per la testa in quel momento, ma le
mie
elucubrazioni furono interrotte bruscamente dall’arrivo della
prima portata.
Forse
i miei pensieri ingarbugliati condizionavano più di quel che
credessi le mie
azioni, perché sembrava proprio che il piatto di spaghetti
al nero di seppia
fosse lo specchio del mio stato d’animo: contorto, confuso e
pessimista.
Detto
ciò, bisognava ammettere che erano buonissimi. Nessuno degli
altri prediligeva
quel primo, perché avevano deviato le loro preferenze sulle
cozze e le acciughe
al pomodoro. Personalmente mi piaceva l’idea che quegli
spaghetti
impiastricciati di nero e così poco gradevoli alla vista
fossero in realtà
deliziosi.
Per
un po’ nessuno parlò, poiché eravamo
tutti impegnati a consumare il pranzo con
soddisfazione. Involontariamente i miei occhi si posarono sul suo
piatto e
sorrisi della sua difficoltà di estrarre le cozze dal
guscio. Stava cercando di
farlo senza utilizzare le mani, in modo da non risultare troppo
grossolana, al
pari delle amiche di Andrea. Teneva il coltello in una mano e la
forchetta
nell’altra, cercando di estrarre il mollusco, ma non ci
riusciva.
Anche
questa volta mi dilungai troppo nella mia contemplazione,
perché mi arrivò un
nuovo calcio da sotto il tavolo.
-Ahio!- stavolta non vi ero
preparata ed inoltre Sonia aveva centrato un preciso punto della tibia
che già
mi doleva in precedenza.
Lei,
per dissimulare il significato di quel gesto, finse di allungarsi per
prendere
un piattino.
-Scusa, non volevo...- mi sorrise, e
io di quel sorriso non colsi né allegria né
dispiacere, ma un severo monito.
Per
questo tornai a concentrarmi sui miei spaghetti a testa bassa, cercando
di non
pensare troppo.
-Sei ancora lì? Ne hai aperte solo
due o tre...- commentò Andrea rivolgendosi a lei.
-Non ci riesco...- rispose lei con
una mezza risata.
-Sei troppo lenta, una vera lumaca.
Quando usciamo insieme devo venire sotto casa sua mezz’ora
dopo, per non dover
aspettare tutto il tempo fuori-
Lo
guardai con crudele compassione. Sì, lo compativo,
perché non riusciva affatto
a comprendere la bellezza che si trovava fra le mani e di cui
– povero idiota –
credeva di essere il padrone.
La
osservai stirare le labbra in un sorriso tirato, per farlo vincere
ancora una
volta. Non capivo affatto la sua passività, il suo
comportarsi da perfetta
fidanzatina. Fingeva per accontentarlo, eppure lo sapevamo tutti che
non le si
confaceva affatto quell’atteggiamento, sapevamo che se fosse
stata libera di
dire la sua si sarebbe fatta valere. Con me si comportava
così, almeno.
Di
nuovo mi guardò dritta negli occhi per un nanosecondo di
complicità, e poi
tornò a dedicarsi al suo piatto, scegliendo di mangiare la
pasta e lasciare per
ultimi i molluschi.
Com’era
stupido quel ragazzo, pensai spontaneamente, trattenendomi per non
sorridere
alla vista del modo in cui spostava i gusci neri da parte e avvolgeva
gli
spaghetti.
Io,
al contrario di Andrea, adoravo la delicatezza e la cura con cui
compiva anche
i più piccoli gesti, il modo educato di non strafogarsi di
cibo, la
meticolosità nello scegliere un vestito e acconciarsi i
capelli, anche nel suo
modo di masticare vedevo una certa raffinatezza.
Ogni
suo gesto trasudava eleganza e nonostante fosse vestita di una semplice
canottiera e un paio di shorts bianchi, avesse i capelli tenuti fermi
da un singolo
ferretto, risultava molto più bella delle altre ragazze,
benché queste
portassero collane, bracciali e costumi ricercati.
La
semplicità era una delle caratteristiche che più
mi piacevano della sua
persona. Mi accorsi di essere rimasta con lo sguardo perduto sui suoi
lineamenti e mi stupii di come Sonia non mi avesse richiamato.
Tornando
ad interessarmi della conversazione in atto, capii il motivo della
distrazione
della mia amica: Simone si stava versando da bere e nel frattempo
raccontava
della sua esperienza come cameriere.
-C’era una signora di mezza età
seduta al tavolo con delle amiche- stava raccontando –e
trovava tutte le scuse
possibili per trattenermi... credo si sarebbe versata il vino addosso
da sola,
purché poi fossi io a ripulirla-
Sonia
rise forzatamente assieme agli altri ragazzi, e per questo ne
approfittai per
prendermi una rivincita e darle un’occhiata eloquente:
detestavo quando si
comportava in modo così frivolo!
-Oh, non mi vanno tutte. Chi ne
vuole un po’?-
Lei
smise di armeggiare con le posate e mise il piatto in bella vista
perché uno di
noi terminasse le poche cozze che erano rimaste.
Stupendomi
del mio tono del tutto naturale e privo di qualsiasi artificio,
anticipai le
due ragazze sedute accanto a me allungando le mani per prendere il
piatto.
-Dai ti aiuto io-
Sicuramente
nessuno di loro avrebbe potuto immaginare che lei avesse solo cercato
una scusa
per potermi parlare, e che io non aspettassi altro che un modo per
poterla
sfiorare fisicamente.
In
tempi reali impiegai meno di cinque secondi a prelevare i molluschi dal
suo
piatto e restituirglielo, ma nella mia concezione del tempo il momento
in cui
le sfiorai leggermente gli avambracci e le mani durò
un’eternità.
Dopodiché,
disinteressandoci della conversazione, ci guardammo nuovamente e mi
sembrò di
cogliere nel suo sguardo un certo rimprovero, come se avessi fatto
qualcosa di
male.
Allora
tentai di comunicarle il mio smarrimento aggrottando leggermente la
fronte, ma
lei rispose distogliendo lo sguardo e facendo un lieve gesto con la
mano che
volevano significare: parliamo dopo.
Possibile
che non fossimo nemmeno arrivati al secondo e già fossi in
ansia a causa sua?
Nel
frattempo pulendomi le labbra mi accorsi di averle tutte macchiate col
nero di
seppia, e per questo mi alzai dal tavolo per recarmi in bagno.
Il
ristorante non era molto grande e poteva ospitare al massimo una
cinquantina di
persone, ma quel bagno era veramente straordinario: spazioso, con
vetrate
colorate che lasciavano entrare grandi quantità di luce
dall’esterno,
piastrellato di un bel colore tenue e decorato con fantasie tipicamente
marittime. Mi piacevano i bagni enormi e provvisti di uno specchio
lungo tutta
la parete, oltre che di una serie di lavandini perfettamente
funzionanti.
Cominciai
a sciacquarmi la bocca per bene in modo che il nero venisse via e poi
mi
sistemai i capelli e lo scollo della canottiera.
Avrei
voluto gettarmi subito in acqua a causa del caldo soffocante,
amplificato poi
dal fatto di dover essere rinchiusi in una sala assieme a tante
persone,
costretta ad indossare dei pantaloncini verde militare e delle scarpe
chiuse.
Avvertivo chiaramente il tessuto sintetico del mio costume appiccicarsi
alla
pelle.
Prima
che potessi uscire dal bagno, la porta si aprì. Il mio cuore
fece un salto di
dimensioni spropositate, credendo che fosse lei, perciò
subì una brusca
delusione quando scoprì trattarsi di Sonia.
-Che c’è? Non sono bellissima,
d’accordo, ma non c’è bisogno di fare
quella faccia!- commentò per farmi
ridere.
-La devi smettere di tirarmi calci,
mi hai fatto male-
-Tu continui a fissarla, non è colpa
mia! Vaglielo a spiegare ad Andrea che stavi esaminando la sua
acconciatura!-
Io
risi divertita del suo sarcasmo e grata per avermi ricordato che dovevo
trattenermi.
-Capirai- replicai – non si
accorgerebbe di niente-
Sonia
scosse la testa mentre si asciugava le mani.
-Va bene che è talmente pieno di sé
da non interessarsi di nient’altro, ma se non stai attenta se
ne accorgerà. E
poi saranno cazzi amari-
-Hai ragione-
-Parlando di altro, ho scoperto che
il ristorante in cui lavora è lo stesso in cui lavora mio
cugino!- mi comunicò.
-In cui lavora chi?- domandai.
-Simone!-
Mi
ero un momento disinteressata del suo discorso, così quando
capii di chi si
stava parlando storsi il naso come disgustata.
-Il più carino è il terzo, quello
coi capelli neri! Quello lì è proprio brutto!-
-Ma che vuoi capirne tu?-
-Si fa le sopracciglia. Ho detto
tutto-
Lei
rise con me e tornammo a sederci al tavolo, per scoprire che era
arrivata la
seconda portata.
Avevamo
ordinato due orate a dir poco gigantesche, in modo da dividercele in
eque
parti.
Il
pesce era davvero buonissimo, specie accompagnato con le patate che ci
avevano
portato, e nuovamente tutti quanti, troppo occupati ad usare la bocca
per
mangiare, evitammo di fare commenti.
Una
spina lunga e sottile mi aveva pizzicato la guancia e per questo stavo
cercando
di sfilarmela. Ero particolarmente concentrata su questo gesto per cui
non mi
resi subito conto che c’era un ginocchio che sfiorava quasi
impercettibilmente il
mio, sotto il tavolo.
Credendo
fosse ancora opera di Sonia guardai la mia amica con aria
interrogativa, prima
di accorgermi che non era stata lei.
Tornai
a mangiare la mia porzione senza badarvi più di tanto, e a
quanto pareva il suo
era stato un gesto casuale, perché non si ripeté
più.
Andrea
scelse proprio il momento sbagliato per allungare un braccio sulla sua
spalla e
darle un bacio sulla guancia, cosa che fece salire in me una rabbia
indicibile.
Fu come se la spina che avevo rimosso poco prima fosse rimasta
incastrata nella
gola, per quanto mi dava fastidio quella scena.
Sentii
un impellente bisogno di fare qualcosa, di ricordarle che ero proprio
davanti a
lei, per non dover ingoiare quel boccone amaro senza
possibilità di dire la
mia.
Sistemandomi
meglio sulla sedia riuscii a fare in modo che le nostre gambe si
sfiorassero in
un gesto apparentemente casuale.
Dapprima
nemmeno lei se ne accorse, ma ad un certo punto la vidi abbassare e poi
alzare
verso di me lo sguardo, per chiedere spiegazioni.
Oh,
se avessi potuto avrei gridato a squarciagola come il mio unico
desiderio fosse
rimanere da sola con lei!
Andrea
continuava imperterrito, quasi lo facesse apposta, a parlottare con lei
in modo
affettuoso, e io come per protestare proseguii nel mio tentativo di
infastidirla.
Lei
comprese la situazione ed ebbi l’impressione che volesse
tirarmi un calcio da
sotto il tavolo, ma continuò ad ascoltare quel che le diceva
il fidanzato con
sempre minore interesse.
Forse
perché mi sentivo del tutto impotente e trascurata in quel
momento, o perché
non sopportavo che Andrea pomiciasse con lei a quel modo, poggiai un
gomito sul
tavolo e con l’altra mano provai ad accarezzarle il
ginocchio.
Con
mio sommo divertimento non appena venni a contatto con la sua pelle
liscia
quasi sobbalzò e mi lanciò un’occhiata
poco amichevole, come a dire: smettila
subito.
Io
nascosi un sorriso beffardo e sadico dietro la mano e la osservai
arrossire.
Quel
dettaglio mi provocò una tremenda scarica di adrenalina,
perché non era causato
dalle attenzioni che le stava riservando Andrea, ma dal mio movimento
ed essere
consapevole di averla fatta arrossire mi conferì
un’espressione vittoriosa.
-Scusate-
Scegliendo
una via diplomatica per uscire dalla situazione, lei scansò
Andrea con una mano
e si fece spazio per alzarsi dalla sedia e recarsi in bagno. Nel farlo
mi
guardò in un modo che non mi piacque per nulla. Feci un
sospiro impercettibile,
mentre seguivo con gli occhi la sua sagoma sparire dietro la porta
della
toilette. Probabilmente l’avevo fatta arrabbiare.
Ciononostante,
ero stata costretta a farlo per non cadere sconfitta di fronte a
quell’essere
che ora stava pigramente adagiato sulla sedia e faceva battute sconce
con i
suoi amici. Colsi l’espressione annoiata di Sebastiano e gli
sorrisi, grata per
aver fatto lo sforzo di integrarsi in una compagnia di cui non gliene
fregava niente.
Prima
di mangiare il gelato i ragazzi si alzarono da tavola per andare a
fumare, e
siccome Sonia era corsa al loro seguito per cercare di scoprire altri
dettagli
su Simone, mi trovai libera da ogni impiccio e potei a mia volta
alzarmi, per
recarmi in bagno.
Lei
si stava sciacquando la faccia e quando mi vide subito mise su
un’espressione
dura e irritata, e seppi che stava per arrivarmi una lavata di capo.
-Sei un’idiota!- cominciò, gettando
i fazzoletti nel bidone dei rifiuti – Cosa ti salta in mente?-
Roteai
gli occhi per aver sentito quell’incipit decine di volte e
risposi:
-Non mi salta in mente niente, mi
dava fastidio...-
-Sì ma a te non dovrebbe dare
fastidio!- replicò lei, incrociando le braccia al petto.
Da
quel gesto capii che non era affatto intenzionata a lasciar correre e
che se
l’era presa sul serio.
-Cosa vuoi che faccia, che me ne
stia lì a guardarvi? Scusa tanto, non ci penso nemmeno...
non so nemmeno perché
sono venuta qui oggi, a rompermi le palle!- risposi,stringendomi nelle
spalle.
-Be’ per quanto mi riguarda potevi
anche startene a casa! In effetti sarebbe stato meglio per tutti, tu
non dovevi
esserci!-
-Ma se mi hai invitato tu, cosa
dici!-
Era
solo quello il motivo per cui avevo accettato di trascorrere il
Ferragosto lì,
perché me l’aveva chiesto lei con molta
gentilezza; e d’altronde come avrei
potuto dirle di no?
Sarei
stata capace di sopportare centinaia di pranzi con tutti gli amici di
Andrea,
se fosse stata lei a chiedermelo.
Risentita
perché effettivamente non poteva scampare a
quell’affermazione prese fiato e
poi, con forza ancora maggiore come per voler sostenere ciò
che diceva, disse:
-Guarda, ti odio! Non fare mai più
una cosa del genere, non ti azzardare!-
-Il fatto è che ti dà fastidio che
abbia ragione, tutto qui...-
-Non è vero!-
-Come non è vero, è sempre stato
così, vuoi forse dirmi che avresti preferito startene
appiccicata a quello lì?-
Più
io cercavo di mantenere un tono basso e mi affidavo alle frecciatine,
più lei
andava su tutte le furie e alzava la voce.
-Non parlare così di lui!-
-Io parlo come mi pare e piace-
-Ti detesto quando fai la persona
immatura-
-E io invece detesto vederti assieme
a lui!-
Ecco,
l’avevo detto. Tutto d’un fiato, proprio quando non
se l’aspettava, l’avevo
tirato fuori velocemente sperando che così fosse meno
doloroso.
Lei
rimase un momento spiazzata e forse stupita di quella mia inaspettata
ed
esplicita ammissione, ma cercò di riprendersi subito.
-Sarebbe il mio fidanzato-
-Tu non lo ami-
L’avevo
detto evitando accuratamente di guardarla in faccia e preferendo
osservare le
piastrelle di quel fantastico bagno, tenendo sulle labbra un sorriso
strafottente.
Mi
aggrappavo a quella convinzione con tutta me stessa, me la ripetevo
all’infinito quando la mia sicurezza vacillava, quando lei mi
mandava a quel
paese e minacciava di chiudere per sempre ogni legame, in balia dei
suoi sbalzi
d’umore. Non pretendevo di essere io l’oggetto del
suo amore, non aspiravo a
diventare per lei ciò che lei era per me, però mi
auto-convincevo che Andrea
non fosse affatto il suo fidanzato, che lei ci stesse assieme per
convenienza,
per il sesso, per gioco.
Gioivo
immensamente quando mi raccontava quanto a tratti lo detestasse, ma
dentro di
me non volevo che lo lasciasse.
Avevo
paura che lei, dovendo fare una scelta libera da queste complicazioni,
mi
mettesse da parte. Questo non l’avrei mai sopportato, quindi
preferivo starmene
in un angolo ad aspettare che lei mi permettesse di venirle vicino.
Più volte
mi era stato fatto notare come questo comportamento non fosse affatto
coerente
col mio modo di agire e di pensare, eppure non riuscivo proprio ad
allontanarmi
da lei.
Ci
avevo provato, ma ero stata male come non mi era mai successo per
nessun altra
o altro che fosse. La mia malattia aveva capelli biondi e in quel
momento mi
guardava con uno strano sguardo, quasi sospettoso. Io sapevo cosa
volevano
significare quegli occhi celesti leggermente socchiusi: non voleva
continuare a
portare avanti una colossale bugia, cioè quella di amare
Andrea, ma nemmeno era
capace di illudermi.
A
volte si presentava alla mia mente il pensiero terrificante che lei mi
considerasse nient’altro che la sua migliore amica, che i
baci e le carezze non
avessero per lei lo stesso significato che avevano per me, che mi
volesse bene ma
non con la mia stessa intensità.
Quel
pensiero era angosciante e per quanto tentassi di scacciarlo a forza
dalla mia
testa questo tornava sempre prepotentemente in primo piano. Non potevo
costringerla, non era nei miei desideri, ma allo stesso modo non ero
abituata
ad arrivare seconda, a perdere, a vedermi soffiare il premio da sotto
il naso.
Purtroppo
in quel caso non avrei potuto farci nulla, non c’era nulla di
sbagliato in lei,
se non ricambiava i miei sentimenti.
-Non stiamo parlando di lui, ora- disse
lei, cercando di riacquistare il comando della discussione –
il problema è che
tu non puoi fare in questo modo-
-Cioè?-
Si
era un po’ calmata e a giudicare da come si muoveva non era
più tanto sicura
delle sue affermazioni.
-Non puoi fare così, lo sai che mi
fa arrabbiare-
-Anche tu mi fai arrabbiare-
replicai – è così palese che ti
piacerebbe essere da qualsiasi parte meno che
con lui-
-Bene, io sono arrabbiata con te e
tu con me. Non c’è niente da dire-
Distolse
lo sguardo per far capire che la discussione terminava lì, e
a giudicare dal
modo in cui aveva stretto le labbra si era dovuta trattenere per non
aggiungere
altro e non arrabbiarsi eccessivamente con me. L’idea che si
sentisse in dovere
di controllarsi di fronte a me, di mostrarsi tranquilla ed equilibrata
come
invece non era, non mi piacque affatto.
Così
quando cercò di sorpassarmi per tornare nel salone, la tenni ferma per un braccio e
domandai:
-Ma perché no? Perché se lui
può
farlo io no?-
-Perché a me di lui non me ne frega
niente!-
Lei
reagì d’istinto, com’era prevedibile, e
poco ci mancò che non mi tirasse uno
schiaffo. Quando si arrabbiava diventava rossa come un papavero, e su
di lei
che aveva la pelle chiarissima quel colore faceva un effetto curioso.
-Pensa se ci lasciamo. Bene, chi se
ne frega, è andata male!- spiegò, spintonandomi
via.
-E allora?-
Stavolta
prima di rispondere esitò e quando parlò
preferì osservare la fila di lavandini
piuttosto che il mio volto.
-Pensa se invece noi due ci mettiamo
insieme e poi ci lasciamo. Non ci parleremo più. Io non
voglio che accada...-
Anche
io persi di colpo tutta la sicurezza e mi limitai a domandare:
-Perché dovremmo lasciarci?-
Nella
mia testa una simile opzione non era stata nemmeno concepita, per
quanto
effettivamente probabile fosse.
Lei
riprese coraggio e il suo solito tono spavaldo.
Alzò
la testa e rispose:
-Perché litighiamo sempre!-
-Che razza di risposta sarebbe?-
-Lo vedi anche tu, ogni tot
litighiamo e sempre per la stessa questione...-
-Sei tu che ti arrabbi per ogni
minima cosa!-
-Oh, guarda caso mi arrabbio sempre
con te!-
Era
vero, litigavamo molto spesso e per questioni che alla fine non
ricordavamo
nemmeno per quanto erano futili, ma a me non importava per niente.
Anche se
provavo ad offendermi per ciò che mi diceva, non riuscivo a
tenere in piedi la
farsa neanche per un giorno: dovevo assolutamente chiederle scusa,
perché non
sopportavo l’idea di non parlarle. Anche se avevo ragione, e
anche se il mio
orgoglio ne usciva umiliato grandemente, non m’importava un
fico secco.
Ero
come un elastico: più lei cercava o faceva finta di
allontanarmi, più io venivo
attirata da una forza incredibile verso il punto di partenza.
Più lei mi
trattava male, più quell’attrazione spontanea
cresceva.
Lei
si stava arrabbiando perché sosteneva che non avessi alcun
diritto a
contraddirla, cosa che mi parve molto stupida. Alla fine,
poiché come sempre
accadeva da un preciso argomento scivolavamo in questioni
più futili, mi stufai
delle sue chiacchiere e chiusi la discussione come sempre facevo in
quei casi:
-Senti, a me non me ne frega niente
di chi ha ragione o chi ha torto, l’unica cosa che voglio
è stare con te, lo
capisci?-
Era
una frase molto diplomatica, forse non del tutto veritiera ma comunque
adatta a
quel tipo di situazioni.
Lei
ammutolì e dimenticò la sua rabbia. Vedendola
esitare affondai il colpo
decisivo.
-E tu no?-
-Io...-
Non
importava quanto avesse gridato prima, quanto si fosse incavolata,
quanto
avesse finto di essere restia, perché io sapevo che poteva
cambiare idea da un
momento all’altro e il tutto stava nel saper interpretare
bene l’attimo giusto.
Lei fece un passo indietro e diede l’impressione di voler
abbassare lo sguardo.
Allora
capii che quello era il momento giusto, e approfittando del suo attimo
di
esitazione mi avvicinai e velocemente le poggiai le labbra sulle sue,
anche per
impedire che dicesse qualcosa e rovinasse tutto.
Facendole
reclinare la testa di lato con una mano, cercai appoggio trovandolo in
un muro,
addosso al quale la feci poggiare.
Sentii
la sua mano premere sulla mia guancia e artigliarla con le unghie,
così mi
spostai leggermente per guardarla negli occhi.
Lei
non era proprio contrariata, la sua era più
un’espressione rassegnata, di chi
sa di non poter andare contro le proprie sensazioni, pur volendole
mascherare
abilmente.
La
volta successiva fu più disponibile e stringendosi
– forse istintivamente – al
mio corpo lasciò che partecipasse al bacio anche la sua
lingua.
Quel
gesto in particolare fece saltare tutti i buoni e casti propositi che
avevo in
testa e attraversata da un’altra e più potente
scarica di adrenalina feci
intrecciare le nostre gambe e la spinsi di più contro il
muro.
Prima
che una delle mie mani potesse scivolare sotto i suoi abiti e
commettere atti
completamente fuori luogo, riuscii a riprendere consapevolezza della
situazione
e a limitarmi al semplice bacio.
Non
fui capace di quantificare il tempo che passammo in quel bagno, in
particolare
quello che impiegammo baciandoci, ma ripresi la piena coscienza della
realtà
solo quando udimmo un rumore dietro la porta.
Prima
era stato tutto uno scambio di odori, di saliva, di sensazioni che
parevano
protrarsi all’infinito e che ci avevano estraniato dal mondo
reale
proiettandoci in una dimensione tutta nostra.
Ma
il rumore dietro la porta la fece spaventare e così
immediatamente, prima che
avessi anche solo il tempo di staccarmi autonomamente, mi diede uno
spintone
per togliermi di mezzo, nel vero senso della parola.
Le
due amiche di Andrea trovarono lei appoggiata alla colonna con le
guance rosse,
e me che cercavo di mantenermi in equilibrio dopo essere stata
bruscamente
allontanata.
-Ah voi eravate qui?- domandò una di
loro, superandoci.
-Stanno servendo il gelato, se ne
volete-
Lei
fu la prima a ricomporsi e a tornare di là, mentre io
aspettai un po’ e
preferii sciacquarmi il viso.
Non
mi aveva dato uno schiaffo, non mi aveva respinto e anzi era stata ben
felice
di partecipare al bacio, ma lo spavento che aveva provato nel sentire
il rumore
dietro la porta e che avevo percepito benissimo, aveva rovinato tutto.
Bene, ecco un'altro
racconto diviso in due capitoli. Spero di riuscire a postare l'altro
prima di martedì, nel frattempo farebbe piacere sapere che
ne pensate.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Terminammo
il pranzo e dopo che Andrea ebbe ricevuto la sua torta con relativi
auguri da
parte di tutti, decidemmo di lasciare il ristorante per far ritorno
sulla
spiaggia.
Dopo
quello che era accaduto in bagno non ci eravamo più parlate,
e nonostante
avessi incrociato più volte i suoi occhi e avessi colto il
desiderio di
spiegarsi, non c’era stata occasione di rimanere da sole.
Se
avevo ben interpretato il suo sguardo, si sentiva in difetto per avermi
spinto
via così bruscamente, come fossi un amante qualsiasi da
dover nascondere. Se
avevo colto ciò che i suoi occhi volevano comunicarmi,
avrebbe voluto chiedermi
scusa e magari aggiungere qualcosa che sottotitolasse il bacio che le
avevo
dato.
Durante
la consumazione del gelato mi persi nuovamente fra i miei pensieri.
Riflettendoci
su, quel bacio non era stato affatto una buona idea. Mi sentii quasi in
colpa
per averlo fatto, perché certamente l’avevo messa
in confusione, ma soprattutto
perché a mente fredda mi sembrò un gesto davvero
patetico.
L’avevo
baciata, mi resi conto, non per gelosia nei confronti di Andrea, non
per
rimarcare il “possesso” che presumevo detenere
sulla sua persona. Il mio bacio
non era stato un modo aggressivo per rispondere alla visione di lei e
del suo fidanzato.
Quel bacio voleva essere un messaggio disperato, un ultimo sostegno a
cui
aggrapparmi, come se avessi voluto dirle: non dimenticarti di me!
Forse
significava che rapidamente stavo perdendo il controllo della
situazione, forse
mi ero trovata sopraffatta dagli eventi e non mi ero resa conto di
essermi
infilata in un vicolo cieco, dal quale non sarei tornata indenne?
Possibile
che dentro di me sapessi già come sarebbe andata a finire,
possibile che avessi
la sensazione che nonostante la nostra conversazione le cose si
sarebbero messe
male per me?
Quei
pensieri non mi piacevano per niente, mi mettevano addosso una certa
paura e
non volevo affatto che il resto della mia giornata fosse condizionato
da questi
ragionamenti. Perciò decisi che non ci avrei pensato
più, o almeno avrei
tentato di deviare la mia attenzione su altro.
Se
dal primo momento in cui presi questa decisione mi sembrò
impossibile portare a
termine l’obiettivo, mi resi ben presto conto di come non
avessi alcuna
speranza.
Pagato
il conto, tornammo in spiaggia verso le quattro meno dieci, quando il
sole non
picchiava più come a mezzogiorno.
Durante
il tragitto per tornare in spiaggia lei mi si avvicinò,
presumibilmente per
parlarmi, e notandolo feci in modo di staccarmi dal gruppo per
garantire un
minimo di riservatezza.
Lei
si affiancò a me, e dal modo in cui tentò di
iniziare il discorso capii che si
sentiva un po’ in colpa e voleva farsi perdonare.
-Ti stai annoiando molto? A tavola
non hai detto che due parole- domandò, strizzando gli occhi
per distinguere la
mia sagoma.
-Non mi piace la compagnia, lo sai-
risposi.
Lei
annuì, ma non trovò altro modo di continuare la
conversazione. Ammetto che a
volte potevo risultare piuttosto distaccata e fredda, ma in quel
momento non
ero affatto intenzionata a discutere con lei e tirare fuori altri
motivi che mi
avrebbero dato da pensare.
-Scusa se mi sono arrabbiata, prima-
mormorò lei, evitando di guardarmi.
Mi
fecero tenerezza le sue scuse, così decisi che avrei
abbassato le mie difese
per non offenderla.
-Non fa niente, lo so che tanto
quando ti arrabbi dici cose che non pensi realmente...-
Lei
mi sorrise.
-Vero, e meno male che tu lo sai.
Andrea si offende sempre, e così ogni volta è un
casino-
-Be’, se avessi preso sul serio ogni
singola parola che mi hai urlato addosso da quando ci conosciamo, non
sarei
certo tua amica-
Avevo
scelto apposta quella parola, per osservare la sua reazione. Nonostante
il sole
ci abbagliasse, avevo visto comparire per un attimo sul suo volto
un’espressione imbarazzata. Fu brava a ricomporsi subito,
però.
-Eri molto pensierosa, prima-
Fu
il mio turno di sorridere, e compiacermi che si fosse preoccupata del
mio stato
d’animo.
-Sì, hai notato?-
-Ma certo. Si vede lontano un miglio
quando ti perdi nei tuoi pensieri-
-Sul serio?-
-A volte vorrei tanto entrare nella
tua testa per sapere che pensi, lo sai?-
Toccò
a me arrossire, ma sperai che il sole le avesse impedito di notarlo.
Avrei
fatto meglio a lasciar cadere nel nulla quella domanda, ma non riuscii
a trattenermi
e commentai:
-Oh, è meglio di no-
-Perché? C’è qualcosa che
non dovrei
sapere?-
Mi
aveva sorriso con fare invitante, senza apparente malizia o sospetto
nello
sguardo, ma immaginai che avesse posto quella domanda con un preciso
scopo.
La
guardai leggermente infastidita e forse lei colse questa sfumatura nel
mio
sguardo, perché mise le mani avanti e aggiunse:
-Cioè no, scusa, fatti tuoi. Scusa,
non volevo essere invadente-
Era
evidente che si sentiva in difetto, che voleva farsi perdonare per come
mi
aveva trattato prima, ma non sapevo come interpretare quel desiderio di
pace.
Avevo ormai fatto l’abitudine ai suoi repentini cambi
d’umore, al fatto di
dover prendere sempre con le molle le sue affermazioni
poiché non potevo
prevedere un’eventuale cambio di programma, e se prima il suo
tentativo di
ottenere misericordia per un comportamento irascibile mi avrebbe fatto
piacere,
in quel momento mi diede da pensare.
Sembrava
veramente dispiaciuta, nonostante nel bagno avesse fatto una scenata, e
pensai
che probabilmente ci teneva alla mia amicizia, a non allontanarmi, a
tenere
saldo il legame che ci univa.
Eppure
non ero del tutto contenta.
Avrei
potuto metterla davanti ad una scelta e c’erano buone
possibilità che lei
preferisse me ad Andrea. Ma qualcosa non mi convinceva.
-No, semplicemente ti ci perderesti,
per quanto sono contorti i miei pensieri- le sorrisi.
Arrivammo
nei pressi dei due ombrelloni che avevamo piantato la mattina e non
potemmo più
parlare.
Spogliati
dei vestiti ci sistemammo sugli asciugamani, ed essendo impossibilitati
a fare
il bagno ognuno di noi cercò di impiegare il tempo in una
maniera gradevole.
Andrea,
Simone, Sebastiano e Luca s’impegnarono in una partita di
pallone sul
bagnasciuga, e noi ragazze fummo costrette a sdraiarci in riva al mare
perché
Sonia e le due amiche di Andrea potessero fare il tifo.
Dopo
però dieci minuti evidentemente si stufarono,
perché le due ragazze, Laura e
Alessia, intavolarono una partita a carte, lei si
disinteressò del pallone per
prendere il sole e Sonia dovette arrendersi all’idea che quel
Simone era molto
più interessato a lanciare il pallone oltre due stecche di
legno, per
l’occasione trasformati in una porta di calcio, che a
beccarsi le sue occhiate.
Così
delusa e respinta tornò a sedersi accanto a me.
-Credo che nemmeno se mi spogliassi
mi presterebbe attenzione- disse, facendo un sospiro rassegnato.
-Già, lo credo anch’io. Ma
perché ti
ostini tanto, se non lo vedrai mai più in vita tua?-
Probabilmente
avevo toccato un argomento in cui lei si sentiva piuttosto ferrata,
perché mi
guardò con aria saputa e alzando l’indice come a
voler esprimere una massima,
disse:
-Lo sai, il rimpianto di non aver
inseguito un sogno è molto logorante-
Stupita
di questa sua uscita, la guardai per un momento spiazzata, cercando di
capire
se stesse facendo dell’ironia o fosse convinta di
ciò che aveva appena detto.
Appurato che era seria, domandai:
-In pratica secondo te è meglio
provarci sempre e comunque, anche se poi si resta delusi?-
-Certo-
-Che perdita di tempo-
-Perché dici così?- la sua
espressione si intristì d’un tratto, delusa che
avessi bocciato la sua teoria.
-Perché è proprio brutto farsi
illusioni-
Sonia
stette zitta per un momento, meditando su quanto avevo appena detto;
poi gettò
uno sguardo alla ragazza bionda che prendeva il sole a pochi metri da
noi, e
replicò, abbassando la voce:
-Non mi pare che ti faccia problemi
con lei-
Anche
solo il fatto che l’avesse tirata in ballo fece alzare il mio
livello di
attenzione, e non comprendendo fino in fondo quello che volesse dire la
invitai
a spiegarsi meglio.
-Voglio dire, continui questa
situazione anche se non sai come andrà a finire. Il che, ora
che ci penso, è
piuttosto strano da parte tua-
Non
risposi a quell’affermazione, per non addentrarmi ancora una
volta in quel
discorso. Possibile che durante un maledetto Ferragosto dovessero
venire a
galla questioni così importanti?
Sembrava
che ogni cosa volesse invitarmi a riflettere sul nostro rapporto, cosa
che io
non volevo assolutamente fare. Avevo la sensazione che sarei uscita
sconfitta e
delusa da un’eventuale confronto con la realtà dei
fatti.
Pertanto,
al diavolo cos’era giusto e cos’era sbagliato!
Non
volevo deprimermi, non volevo pensare, non volevo che qualcuno mi
dicesse che
stavo completamente sbagliando comportamento. Decisi che avrei adottato
un
atteggiamento del tipo “vivi e lascia vivere”, che
mi sarei goduta quella
giornata in spiaggia e non mi sarei fatta prendere da inutili sensi di
colpa.
La
piacevole sensazione derivante dall’aver soffocato tutte le
domande fastidiose
che mi ronzavano in testa mi conferì una certa spavalderia.
Perciò, siccome i
ragazzi giocavano ancora in riva al mare e nessuno eccetto Sonia mi
prestava
attenzione, allungai un braccio verso la ragazza bionda per scuoterla
leggermente.
Lei
storse il naso e si tirò a sedere, forse in procinto di
cacciare in malo modo
il disturbatore. Una volta appurato che di me si trattava,
però, rinunciò ad
arrabbiarsi e domandò cosa volessi.
-Ti va di farti una passeggiata?-
Lei
mi sorrise e senza nemmeno curarsi di avvertire gli altri mi prese per
mano,
tirandomi verso la riva.
Avvertivo
chiaramente che il sole non era più caldo come quella
mattina, mentre
camminavamo sul bagnasciuga. Il mare non era agitato e si dondolava
avanti e
indietro, producendo tante onde innocue. Il tratto di spiaggia che
avevamo
scelto per posizionare gli ombrelloni era abbastanza riparato
poiché si trovava
fra due formazioni di scogli, ma una volta oltrepassati questi sembrava
non
esistesse un millimetro di sabbia lasciato libero. La giornata era
particolarmente propizia e adatta per trascorrerla in riva al mare,
così tutte
le spiagge del golfo si erano riempite di impiegati in ferie, famiglie,
gruppi
di ragazzi come noi e qualche raro pescatore.
Dovemmo
percorrere parecchi metri prima di riuscire a trovare un posto che
fosse meno
frequentato. Mano a mano che ci allontanavamo dalla zona costiera
cittadina il
numero di persone diminuiva, fino a che non si ridusse a qualche
sporadico
bagnante accampato sulla spiaggia libera.
-Non è che ci siamo allontanate
troppo?- domandai, voltandomi indietro.
Il
punto da cui eravamo partite non era più nitido e si
confondeva col resto del
paesaggio.
Lei
non diede importanza a quel dettaglio, preferendo immergere i piedi
nell’acqua.
-Brr- rabbrividì, quando l’onda
arrivò a lambirla – è gelata –
Mi
sorrise con aria ingenua e questo gesto mi depistò,
impedendomi di evitare lo
schizzo d’acqua che mi tirò addosso.
-Smettila!- le intimai,
indietreggiando verso la spiaggia – non ho voglia di
bagnarmi!-
Ovviamente
non mi ascoltò e passammo un bel po’ di tempo a
rincorrerci sulla riva,
cercando l’una di evitare gli schizzi dell’altra,
col risultato che fummo
infine entrambe bagnate dalla vita in giù.
-Certo che sei permalosa. Prima
provochi e poi t’arrabbi se ti bagni?- la presi in giro,
perché non aveva
gradito uno schizzo particolarmente violento da parte mia.
-Sì. Non dovevi farlo-
Ora
stava cercando di calcolare l’entità dei danni,
torcendosi per osservarsi il
fondoschiena e le gambe.
Siccome
in quel punto di spiaggia non c’era nessuno, eccetto un
pescatore lontano
qualche metro, mi sedetti sulla sabbia, aspettando che mi imitasse.
Dopo
qualche secondo in cui prolungò il suo atteggiamento da
offesa, si decise ad
affiancarsi a me. Ormai era quasi ora del tramonto, e da quel punto
avevamo una
perfetta vista del sole che piano piano stava calando e di tutto il
golfo.
Notando quel panorama, lei disse:
-Forse hai ragione, ci siamo
allontanate troppo-
-Penseranno che ti ho sequestrata-
-Ma va’, sicuramente non mi sono
persa nulla- mi sorrise lei, prendendo a scrivere col dito sulla sabbia.
Fui
piacevolmente stupita di quella sua affermazione.
-Perché dici così?-
-Figurati. Andrea ha le sue amiche
se cerca qualcuno davanti a cui pavoneggiarsi. E poi scusa, se lui
può
ignorarmi per giocare a pallone io non posso ignorarlo per stare con
te?-
Non
dissi niente, ma dentro di me fui molto contenta di quelle sue parole.
Avendo
relegato in un angolo quei dubbi che mi erano venuti in mente nel
pomeriggio,
pensai che non avevo motivo di dubitare di lei. Pensai che ricambiava,
se non
la totalità, almeno buona parte dei sentimenti che io
provavo per lei. Pensai
che era piuttosto piacevole starsene seduti in riva al mare con lei
accanto, senza
doversi preoccupare di ponderare gesti e parole, senza dover temere il
richiamo
di Sonia o l’occhiata sospettosa di Andrea. In quel momento
non c’era alcuna
traccia dei ripensamenti che mi avevano assalito in precedenza.
Restammo
per un po’ in silenzio, ognuna persa nei suoi pensieri; lei
era tutta intenta a
scrivere sulla sabbia bagnata, per poi osservare il suo lavoro sbiadire
al
passaggio dell’onda, mentre io guardavo il mare e
rabbrividivo
impercettibilmente ogni volta che l’acqua mi bagnava i piedi.
Non
ero molto loquace, e poter rimanere in silenzio affianco ad
un’altra persona
senza preoccuparsi di cercare spunti di conversazione, assumeva per me
grande
importanza.
Era
piuttosto strano restare in silenzio e sapere che non ci stavamo
ignorando.
Il
bagnasciuga era pieno di sassi trasportati a riva dalla corrente,
ciottoli,
sigarette, pezzi di bottiglia, alghe e in qualche punto anche bottiglie
di
plastica.
Lei
continuava a disegnare linee e forme sulla sabbia, pulendosi le dita
con
l’acqua salata e ad un certo punto la sua attenzione fu
catturata da qualcosa.
-Guarda!-
Mi
voltai per controllare cosa avesse scoperto e lei tirò fuori
dalla sabbia,
sciacquandola per farmi vedere meglio, una piccola conchiglia.
Mi
venne da sorridere spontaneamente, perché lei era stata
capace di trovare il
meglio che potesse offrire quella spiaggia così inquinata e
desolata.
-Perché ridi?- domandò.
-Perché non ci posso credere che tu
in mezzo alla plastica, ai pezzi di vetro e alle sigarette sei riuscita
a
trovare una conchiglia-
-Le cose belle si mostrano a chi le
sa apprezzare, lo diceva sempre mia mamma- replicò lei,
esaminando il suo
tesoro da tutte le angolazioni.
Mi
sfuggì, in un mormorio udibilissimo:
-Si vede proprio che Andrea se ne
intende, allora-
Lei
si voltò nella mia direzione, guardandomi per un attimo
stupita. Poi lentamente
cominciò a comparirle sul volto un sorriso timido ed ebbi
l’impressione che
stesse arrossendo.
Era
proprio questo che mi piaceva di lei, il suo essere semplice e
aggraziata nelle
piccole cose. Mi sembrò così diversa dalla
ragazza per cui mi ero dannata nel
ristorante, che mi domandai se gli altri la conoscessero
così, se potessero
godersela allo stesso modo di come lo stavo facendo io adesso.
Improvvisamente
mi domandai se Andrea avesse mai potuto cogliere una sola briciola di
quella
bellezza che stavo contemplando.
Mi
chiesi se lui avesse mai scoperto questa sua bellezza, o se si fosse
limitato
solamente ad apprezzare l’esteriorità, il suo bel
corpo, gli occhi azzurri, i
lineamenti delicati; certamente non negavo che fosse una bella ragazza,
ma
reputavo superiore a qualsiasi altra cosa quel suo essere dolce e
gentile, ed
avevo l’impressione che non mostrasse a tutti quanti quel
lato del suo
carattere.
Era
come scoprire una perla preziosa dentro una corazza che era
sì bella, ma
palesemente costruita e falsa.
In
quel momento mi colse una strana sensazione, come quella che si prova
sapendo
di aver tagliato il traguardo prima di tutti, perché
probabilmente ero stata la
prima e forse l’unica ad aver avuto la possibilità
di apprezzare quel suo lato.
D’altra
parte il fatto che si sentisse abbastanza sicura da potersi comportare
con
naturalezza quando stava con me significava che avevo la sua piena
fiducia.
Mi
sentii al contempo privilegiata e carica di una grossa
responsabilità, ma non
ebbi tempo di riflettere ulteriormente su questa questione: prima che
me ne
rendessi conto, ci stavamo baciando.
Cominciò
a fare freddo e ci rendemmo conto che era meglio tornare dagli altri,
così ci
rimettemmo in cammino e per la maggior parte del tragitto restammo in
silenzio.
Avvertivo
chiaramente un cambiamento nei suoi atteggiamenti, nel suo modo di
fare, come
se improvvisamente si fosse resa conto di essersi esposta troppo e
stesse
rapidamente tornando ad assumere la forma precedente. Come se fino a
quel
momento fossimo state immerse in una dimensione che era solo nostra, e
ora
dovessimo fare i conti con la realtà.
Il
dover tornare dagli altri mi aveva inoltre riportato alla mente tutta
quella
serie di ragionamenti, di dubbi e di preoccupazioni che avevo messo da
parte in
quel periodo passato assieme a lei. Così mentre
ripercorrevamo il tragitto a
ritroso, cercai di dare una risposta alle domande che mi avevano
assillata.
La
osservai camminare accanto a me, e mi parve anche lei molto pensierosa.
Ci
eravamo baciate di nuovo. Non riuscivo a pensare ad altro che a quello.
Ci
eravamo baciate di nuovo, e stavolta era stato un avvenimento del tutto
naturale, come se non ci fosse nulla di male, come se lei non avesse un
fidanzato, come se non avesse alcuna paura delle conseguenze, quando
invece non
era affatto così!
Mi
succedevano cose strane in sua presenza, come appunto far parte di
quella
situazione senza sapere come sarebbe andata a finire, per di
più rischiando di
uscirne delusa e sconfitta.
Tuttavia
finora, nonostante la precarietà delle cose, potevo
ritenermi soddisfatta: lei
continuava a comportarsi con me nello stesso modo in cui si era sempre
comportata, segno che non aveva risentito del cambio di ruoli e
situazioni.
Forse
nemmeno lei si rendeva conto di quello che stava accadendo fra di noi,
e chissà
se una volta divenuta consapevole i miei timori si sarebbero avverati.
Quella
paura di essere per lei soltanto la migliore amica, quella speciale,
quella da
mettere al di sopra di tutto, con cui il rapporto poteva
però limitarsi ad un
affetto puramente mentale.
Ed
io non volevo solo quello, non mi bastava. Io avevo bisogno di qualcosa
che mi
permettesse di averla tutta per me, senza intromissioni estranee, senza
che lei
si sentisse in difetto e per questo si nascondesse dietro maschere o
atteggiamenti artificiosi.
Mi
stupii un po’ per quei pensieri, e mi chiesi dove mi stesse
portando quel
legame. Stavo forse diventando troppo dipendente?
-Andrea sarà arrabbiato. Sei andata
via senza dirgli nulla- tentai, dandole un’occhiata di
sfuggita e cercando di
non sembrare troppo interessata alla sua risposta.
Sospettai
che anche lei avesse fatto finta di non prendere troppo in
considerazione
quella domanda, però mi concesse:
-Non importa. Male che vada,
litigheremo di nuovo-
Il
sole stava gradualmente immergendosi nell’acqua,
così che per noi due, vestite
solo con i costumi ed esposte al vento che muoveva il mare, faceva un
po’
freddo.
Quando
tornammo al punto in cui avevamo lasciato gli altri, trovammo i ragazzi
che
conversavano fra di loro, con Sonia che disperatamente faceva di tutto
per
attirarsi l’attenzione di Simone ed Andrea che ci attendeva
in piedi, con uno
sguardo che non mi piacque per niente.
Lei
notò subito quell’aria poco amichevole, e mi
spiazzò completamente quando,
piuttosto che ribattere con la sua solita grinta, preferì
disinteressarsi della
sua rabbia.
-Potevi almeno dirmelo che te ne
andavi!- fece lui, palesemente offeso, mentre le andava dietro.
-E tu potevi accorgertene, che me ne
andavo- replicò lei, ma a bassa voce, in modo che potessi
ascoltarla solo io.
Sorrisi
spontaneamente e dentro di me ci fu una vera e propria rivoluzione di
ormoni, a
tal punto che mi dovetti trattenere per non esprimere il mio assenso ad
alta
voce.
Andrea
restò confuso per il suo disinteresse, in quanto si sarebbe
aspettato come
minimo una risposta irritata. Ci trotterellò dietro
finché non giungemmo agli
ombrelloni, ed anche allora lei non sembrò prenderlo
minimamente in
considerazione.
-Ma ti sei arrabbiata? Ce l’hai con
me?- le domandò.
Io
lo osservai, mentre lei raccoglieva la sua canottiera e se la infilava
da sopra
la testa. Capivo bene il suo smarrimento in quanto molte volte
l’avevo provato
io stessa, nel vedermi sbattere la porta in faccia, o chiudere il
telefono
improvvisamente; tante volte anch’io l’avevo
rincorsa e mi ero tormentata e
dannata per quella sua indifferenza, per il suo silenzio misterioso e
risentito.
Col passare del tempo, conoscendola meglio, avevo imparato a sopportare
le sue
bizze e a comportarmi di conseguenza, ignorandola quando voleva essere
ignorata, ammettendo i miei presunti torti, pur se a malincuore, e non
rispondendo alle sue provocazioni.
Lui
non aveva idea di come prenderla, non sapeva assolutamente niente di
lei.
Fu
questo il pensiero che mi attraversò la mente, e mi
compiacqui perché a
differenza di Andrea io la conoscevo benissimo ed ero riuscita ad
ottenere la
sua fiducia.
Vedendo
che invece di accomodarmi sull’asciugamano io restavo in
piedi, lei mi diede
un’occhiata come per domandarmi che avessi intenzione di fare.
-Vado da Sebastiano-
Andrea
avrebbe voluto la sua ricompensa, avrebbe voluto trascorrere del tempo
con la
fidanzata e nonostante non se lo meritasse affatto lei gli avrebbe
concesso
questa grazia. Dal canto mio potevo ritenermi più che
appagata dalla
considerazione che lei aveva per me, e così decisi di
lasciarli da soli.
Avevo
notato, nell’avvicinarmi agli ombrelloni, la mancanza del mio
amico spilungone
e della sua amata canna da pesca, segno che evidentemente ne aveva
avuto
abbastanza della noiosa compagnia di Andrea ed aveva deciso di starsene
un po’
per conto suo.
Così,
immaginando di trovarlo lì, m’incamminai verso il
complesso di scogli, che
riparava la spiaggia che avevamo scelto dal resto della costa.
Notai
il quasi invisibile filo di nylon teso verso l’acqua, e capii
che doveva
essersi rintanato lì. Scavalcando le pietre e aggirando gli
ostacoli che non
riuscivo ad oltrepassare, mi arrampicai sugli scogli e da lì
lo individuai.
-Non ce la facevi più, eh?-
Lui
immediatamente si voltò, quasi sorpreso di udire la mia
voce, e mi fece un
sorriso largo.
-Già-
Notando
la mia difficoltà nel trovare un punto d’appoggio
si spostò dal suo posto,
saltando in acqua e bagnandosi fino alle ginocchia, per permettermi di
sedermi
sulla pietra lasciata libera.
Questa
era sufficientemente grande e piatta, per cui rassicurata saltai il
dislivello
e mi sedetti sopra lo scoglio.
Sebastiano
tornò a guardare il mare, e compiendo movimenti rotatori
attorno alla lenza
fece tornare a riva l’amo.
Pescò
dalla tasca del costume una scatola verde, e mi domandò:
-Puoi aprirmela?-
Mi
sporsi per allungare le mani, e tolsi il coperchio al contenitore. Una
massa
informe e disgustosa di piccoli insetti si agitavano al suo interno,
cercando
di fuoriuscire dai bordi.
-Bleah- commentai, porgendogliela.
Lui,
come se nulla fosse, prese in mano una piccola larva e vi avvolse
intorno
l’amo, un piccolo uncino aguzzo legato ad un filo di nylon.
Diede
poi un’occhiata alla superficie del mare e spostò
la canna a sinistra; con un
colpo secco, lanciò l’esca lontano, dove non si
riusciva quasi più a
distinguere la sagoma della lenza.
Fatto
ciò, cercò con la mano un appoggio sicuro e si
sedette su una rientranza dello
scoglio, in modo da stare più comodo mentre aspettava che
qualche ignaro pesce
abboccasse.
Riposi
la scatola delle esche sulla pietra, non senza un brivido di disgusto,
e
notandolo Sebastiano disse:
-Mi sono costate un sacco di soldi.
La prossima volta le vado a cercare nel bosco-
Sorrisi
del suo commento e osservai il piccolo secchiello adibito alla raccolta
della cacciagione;
notai che c’era solo un piccolo pesce che si agitava
nell’acqua, così gli domandai:
-Non hai preso niente?-
-No. Volevo far bella figura con
quelli, ma non c’è nemmeno un minuscolo pesciolino-
-Non ti preoccupare, non credo che
loro avrebbero saputo fare di meglio-
Sebastiano
recuperò ancora una volta l’amo e
ripeté gli stessi gesti di prima, fiducioso
che la prossima volta sarebbe stata quella buona. Io lo osservavo senza
dire
nulla, e restammo in silenzio per un po’.
Mi
piaceva molto stare con lui, perché in un certo senso ci
assomigliavamo molto:
Sebastiano era un tipo di poche parole, e nonostante appartenesse al
genere
maschile mi aveva dimostrato più volte, ed in maniera molto
più valida di
altri, che a me ci teneva e che come amico era disposto anche a fare
dei
sacrifici.
Spesso
mi accorgevo che riusciva a capirmi e consigliarmi, per quanto gli
fosse
possibile, anche meglio di Sonia od altre amiche.
-Sono carine, le due ragazze-
-Quali ragazze?-
-Le amiche di Andrea?-
Siccome
mi ero leggermente sdraiata sullo scoglio, mi drizzai subito a sedere e
lo
guardai con aria di rimprovero.
-Non vorrai dirmi che davvero ti
piacciono?- domandai, con una minaccia implicita nel tono di voce.
Lui
si strinse nelle spalle e mi rivolse una smorfia divertita.
-No... che dici? Ho solo detto che
sono carine. Mica che me le voglio portare a letto-
-Povero te, in tal caso. Non sono
niente di che, te lo garantisco-
Sebastiano
non replicò, ma mi diede un’occhiata prima di
tornare a guardare il mare. Per
un momento sembrò assorto nel suo operato, ma cercando di
far finta di niente
buttò lì:
-Anche se ti annoi, è stata molto
gentile ad invitarti-
Non
ebbi alcun bisogno di farmi esplicitare il soggetto della frase,
perché
ogniqualvolta avvertivo la sua presenza, a livello fisico o astratto,
le mie
capacità sensoriali e razionali si amplificavano.
Lui
mi guardò per controllare di non avermi fatto arrabbiare, e
io ricambiai
l’occhiata, tentando di capire dove voleva andare a parare.
-Sì, è stata gentile...- risposi,
facendomi per un attimo pensierosa.
-Anzi, lei è sempre gentile-
aggiunsi.
Sebastiano
fece un sorriso e prima ancora che potessi domandargli a cosa fosse
dovuto lui
commentò:
-A dir la verità, ho sempre pensato
che fosse peggio di una tanica di benzina- sorrise ancora con aria
furba – nel
senso che è altamente infiammabile-
Quelle
parole mi procurarono un sorriso spontaneo e dovetti ammettere che
aveva un po’
ragione.
-Non è vero- replicai – è
solo che
gli altri non sanno come prenderla-
Stavolta
lui si arrampicò per arrivare al mio stesso livello, e
sedutosi accanto a me
disse:
-Mi piace. È una tipa a posto-
Ci
fu un momento di silenzio, e mi sembrò che Sebastiano non
stesse attendendo
altro che una riflessione da parte mia, come se avesse voluto dirottare
il
discorso su quei piani appositamente perché voleva arrivare
ad una conclusione.
Mentre
m’interrogavo su quale potesse essere, chiesi:
-E di Andrea, che ne pensi?-
Lui
alzò le sopracciglia in un gesto eloquente, strappandomi un
sorriso.
-Che coglione-
Poi
però il mio sorriso fu stroncato dalla sua espressione che
si fece seria d’un
tratto.
-Ma sembra molto innamorato-
Istintivamente
abbassai lo sguardo, dedicandomi ad osservare un piccolo granchio che
si
arrampicava sullo scoglio.
Ecco,
ora avevo capito dove voleva andare a parare.
Sperai
intensamente che lui decidesse di abbandonare l’argomento, ma
al contrario
aggiunse:
-Insomma, probabilmente non si rende
conto di essere fortunato che non l’abbia già
rispedito a casa a calci in culo.
Però insomma, mi pare proprio perso. E cazzo- qui aggiunse
un gesto eloquente –
vorrei vedere, chiunque lo sarebbe al suo posto-
-Già- dissi io, quasi in un sussurro
come temendo di ascoltare la sua risposta.
Sebastiano
mi guardò e dovette notare la mia espressione triste
perché ripeté:
-Però certo, è veramente un gran
coglione-
Restai
un momento in silenzio a riflettere e un movimento strano del mio
stomaco mi
fece capire che avevo paura di porre quella domanda. Sapevo che lui non
sarebbe
stato attento al mio stato d’animo, ma mi avrebbe risposto in
modo schietto,
mettendomi di fronte alla realtà delle cose.
-E lei, secondo te? Lei lo ama?-
Sebastiano
si produsse in uno sbuffo seccato, e ritirò la lenza per poi
avvolgerla attorno
alla canna e posare il tutto sulla pietra. Poi si sdraiò
sulla schiena e mi
rivolse un sorriso.
-E che ne so? Non pretendo di
capirci qualcosa, della mente femminile-
-Dai!-
Passai
sopra anche a quella battuta, tanto ero impaziente di conoscere la sua
risposta, in quanto sapevo che i suoi giudizi erano molto obiettivi, e
che se
c’era qualcosa che non andava lui me l’avrebbe
fatta notare senza troppi giri
di parole. La sua opinione era quella che più mi interessava
e al contempo mi
faceva paura.
Lui
si grattò lo strato scuro di barba che aveva malamente
tagliato e guardandomi
bene negli occhi affermò:
-Non credo proprio. È sprecata a
stare con lui-
Non
ebbi nemmeno il tempo di tirare un sospiro di sollievo e sorridergli
per
mostrargli la mia gratitudine, che lui aggiunse:
-Ma lei non ti ama-
Quella
frase mi raggelò con la stessa intensità di un
vento freddissimo, avente la
capacità di penetrarmi nelle ossa e paralizzare ogni mio
movimento.
Era
quella la sentenza che non volevo ascoltare, e adesso che lui me
l’aveva
sbattuta in faccia mi resi conto che pur avendo voluto per
l’intera giornata
sfuggire quel discorso, dentro di me mi aspettavo una risposta del
genere. Era
come se lo avessi sempre saputo, come se quell’idea maligna
avesse sempre
gravitato nella mia testa, ma non avesse mai avuto il coraggio di
manifestarsi
pienamente.
-Non mi ama?- chiesi, continuando a
guardare verso il basso, stavolta attirata dall’acqua del
mare che s’infrangeva
sulle rocce.
-No. Non come la ami tu-
Tacqui
e non dissi nulla, troppo occupata a metabolizzare quel senso di
oppressione
che mi stava inesorabilmente catturando. Feci un respiro lungo, ed
avvertii i
polmoni far fatica per allargarsi, come se ci fosse un peso a
comprimerli.
Il
mio stato d’animo doveva essere proprio evidente,
perché se ne accorse anche
lui che forse per consolarmi aggiunse:
-Comunque, vi trovate proprio bene
voi due. Si vede che ci tiene, a te-
-Lo so-
No,
non era riuscito a farmi sentire meglio. Che poteva importarmi di
quanto lei
tenesse a me, quando sapevo benissimo che non ricambiava i miei
sentimenti?
Provai
il desiderio di alzarmi e riprendere a camminare sulla spiaggia, come
avevamo
fatto insieme poco prima, per rimuovere tutti quei pensieri dalla testa
e non
pensarci più. Non era la prima volta che mi veniva
spiattellata brutalmente una
triste verità, e credevo di esser diventata abile a
nascondere il dolore con
l’indifferenza, o quantomeno di aver acquisito la
lucidità necessaria affinché,
in tali momenti, non mi facessi trascinare dalle emozioni.
Ma
non riuscivo a reagire, non riuscivo a replicare nulla in mia difesa,
nulla che
dissimulasse quelle sensazioni opprimenti che stavo provando, nulla che
mi
permettesse di recuperare un po’ di dignità e non
mi facesse passare per la
perdente di turno.
Mi
sentivo come se stessi scivolando rapidamente e senza
possibilità di appiglio,
come se d’un tratto tutte le sicurezze che mi ero costruita
fossero state
demolite in modo che mi ritrovassi senza difese, pronta a subire
qualsiasi
altrui attacco.
-Oh, io la penso così, ma può anche
essere che ho sparato un mare di cazzate! Che ti aspetti da uno che non
ha mai
vinto al Totocalcio, nemmeno con le partite più prevedibili
del mondo?-
Allungò
una mano verso di me e prese a carezzarmi un braccio, in un gesto
affettuoso.
Povero
Sebastiano, pensai, ora l’avevo anche fatto sentire in colpa,
quando lui si era
solo giustamente preoccupato per me, per il mio continuo vagare nel
dubbio e
nelle incertezze. Eppure lui, nonostante cercasse di sminuirsi, aveva
perfettamente ragione, aveva colto nel segno ed io lo sapevo benissimo.
Piegando
la testa da un lato feci un sorriso che in sé non aveva
nulla di allegro, e
strinsi la sua mano con la mia, forte.
-Grazie per avermelo detto-
-Ma sul serio vai a credere a quello
che ti dico?- scherzò lui, per farmi sorridere.
-A volte sembri proprio un tipo
maturo, sai?-
Lo
avevo detto per dissimulare la tristezza che mi aveva invaso, ma lo
pensavo veramente.
Sebastiano, con tutti i limiti che poteva avere non essendo
particolarmente
acculturato, né gentile, né sensibile, sapeva
essere saggio e profondo, a modo
suo. Aveva questa capacità di osservare, e riferire le
situazioni in maniera
forse diretta, ma sempre obiettiva. Inoltre sapevo benissimo che la sua
unica
preoccupazione era il mio stato d’animo, non certo farmi
sentire male.
Lui
tornò a sdraiarsi e disse, inceppandosi un po’:
-È solo che a volte ci penso, a queste
cose... cazzo, non lo so davvero. È strano pensarti insieme
a lei, sul serio...
Non perché è una femmina, ormai ci ho fatto
l’abitudine. Però ecco...-
-Con
parole tue, mi raccomando-
Lui
mi sorrise, per nulla offeso, prima di riprendere:
-Voglio dire, se vi mettete insieme,
che farete? Insomma, vi conoscete da un sacco di tempo. Certe volte,
quando poi
succede così, non sempre va bene-
Capii
cosa voleva dire, nonostante la mia mente fosse troppo annebbiata dalla
delusione.
-Se poi vi lasciate, se va tutto a
puttane, perdi anche la sua amicizia-
Mi
guardò di sottecchi, e aggiunse:
-Cosa che tu non vuoi. Vero?-
Ripensai
alla discussione che avevamo avuto nel bagno del ristorante, e ricordai
come
lei stessa avesse espresso lo stesso concetto, non senza una punta di
timore e
preoccupazione.
Pensai
che non avrei potuto sopportare di veder soffocato il mio sentimento,
ma che
sarebbe stato mille e mille volte peggio vederla andarsene via, per
sempre, e
restare con tanti ricordi nelle mani. Pensai che forse avrei potuto
sopportare
quella situazione per lei, perché non si trovasse a
trasformare l’amicizia in
un sentimento più elevato, che però lei non
provava. Non del tutto, non nel
modo in cui lo intendevo io.
Sebastiano
si tirò su, raccolse la canna da pesca e il barattolo delle
esche, poi mi allungò
un braccio per aiutarmi ad alzarmi.
Tornammo
dagli altri, notando che stavano smontando gli ombrelloni, in quanto il
sole
ormai non era più una preoccupazione.
Trovai
Sonia immersa fino al collo in una conversazione con Simone, che
sembrava
talmente interessante da distoglierla da qualsiasi altro impegno.
Lei
si era rivestita, e quando mi vide tornare assieme a Sebastiano si
alzò in
piedi per venirmi incontro.
Non
ebbi il tempo di rendermene conto, che me la trovai vicinissima.
-Credi che abbia esagerato, prima?-
mi domandò, assumendo un’aria colpevole.
-In che senso?-
-Ad ignorarlo del tutto-
Avrei
tanto voluto dirle quanto avessi apprezzato il suo comportamento e cosa
avesse
significato per me il fatto che avesse preferito stare con me piuttosto
che con
lui, ma tenni per me queste considerazioni.
-No... non credo-
Lei
sorrise, ed io non potei che fare altrettanto.
-Dici? Forse ho esagerato...-
Non
era proprio preoccupata, sembrava più interessata a sapere
che ne pensassi io,
piuttosto che a valutare la possibilità di scusarsi con lui.
-Ma no... cioè, lo sappiamo tutti
che spesso ti vengono i cinque minuti, per cui se t’incavoli
non ti si può dire
niente a meno di non voler essere aggrediti-
Lei
rise, e quella risata fu per me molto più efficace di
qualsiasi ricostituente,
per sanare almeno in parte la delusione che si era fatta strada nel mio
animo.
Avevo
utilizzato un generico plurale, ma speravo capisse che mi stavo
riferendo a me.
Sembrava
piuttosto allegra per qualcosa, e quando mi azzardai a domandarle cosa
fosse,
lei rispose senza il minimo imbarazzo:
-Niente, è stata una bella giornata!
Sono felice che sia venuta anche tu, davvero-
Lasciai
che mi trascinasse, tenendomi per mano, verso gli asciugamani e mi
mostrasse un
messaggio che le era arrivato sul telefonino.
Recava
i risultati di un esame che da poco aveva sostenuto e che, a giudicare
dal
numero che lessi sullo schermo, era andato piuttosto bene.
-Oh che brava. Vedi che è servito
studiare tanto?-
Avevo
sacrificato un’intera settimana di dolce far niente, per
poterla aiutare a
studiare per quell’esame, e nonostante sapessi che non avesse
alcun bisogno del
mio aiuto, mi faceva piacere che mi attribuisse parte del merito.
-Grazie, davvero!-
Ci
pensò su un momento, poi abbassò lo sguardo e
propose:
-La
prossima volta che devi dare un
esame, dimmelo! Non fare come al solito la stronza, che mi fa piacere
poter
ricambiare-
-Non
c’è bisogno che ti preoccupi-
-Dopo
averti rotto per un sacco di
tempo, averti assillato ripetendoti dieci volte al giorno le stesse
cose...-
-Figurati, e poi mi piace stare a casa
tua. È enorme!-
-Ah, grazie davvero! E anche per
oggi...-
Detto
ciò, non seppe più controllare la
felicità che la pervadeva e si abbracciò a
me, stringendomi forte.
-Che farei senza di te?- rise, con
la bocca vicina al mio orecchio.
Io
invece, non sapevo se ridere o piangere.
Immaginai,
anche se non potevo vederla, la sua bocca leggermente arcuata per
scoprire i
denti bianchi e regolari e le labbra carnose. Così stretta
nell’abbraccio
avevo i suoi capelli quasi in bocca, tante sottili ciocche bionde che
mi
solleticavano il naso.
Ma
soprattutto, sentivo il suo corpo premere contro il mio e strofinarsi
contro di
esso in una maniera del tutto innocente, priva di ulteriori intenzioni.
E
allora mi fu difficile trattenermi dall’abbracciarla
altrettanto intimamente e
baciarla dappertutto, sul naso, sulla bocca, sulle guance, sul viso,
sul collo;
mi fu difficile non storcere il muso in una smorfia addolorata, per
aver capito
tutto quanto.
Lei
mi aveva assecondato perché in quei gesti intimi vedeva un
nuovo modo di
esternarmi il suo affetto, perché aveva avuto paura di
perdermi, paura che
potessimo separarci ed aveva visto nei baci, nelle carezze un modo per
tenermi
a sé, per catturare la mia attenzione. Non mi avrebbe mai
preferito a nessun
altro ragazzo, semplicemente perché non rientravo in quel
tipo di competizione:
non mi avrebbe mai visto in quel modo.
Se
lei non mi avesse voluto bene, avrei potuto esternarle i miei reali
sentimenti
senza bisogno di mascherarli dietro l’amicizia; ma sentivo
che ero diventata
per lei qualcosa d’importante, e che lei aveva posto il
nostro rapporto su un
livello che forse era anche superiore al legame che aveva con Andrea.
Lei
mi voleva bene, e allora cos’ero io per permettermi di
rovinare quel
sentimento?
Cos’ero,
un’egoista forse, accecata dalle proprie ragioni tanto da non
saper prendere in
considerazione quelle dell’altra?
Con
questi pensieri in testa, ricambiai il suo abbraccio cercando di
restare nel
limite dell’affettuosità.
-Che farei io, senza di te- le
rigirai la domanda.
E
lei? Possibile che non si fosse accorta del tormento che mi assillava,
dei miei
dubbi e delle mie indecisioni, e fosse del tutto ignara della tempesta
di
emozioni che mi aveva scatenato?
Si
allontanò leggermente per guardarmi negli occhi, e
ricambiando lo sguardo mi
sentii arrossire: vi leggevo non solo felicità, ma anche un
briciolo di
compassione, sì, proprio quella che avevo provato per Andrea
quel pomeriggio;
lei aveva capito, e quasi si stava scusando per non potermi
accontentare. Ma,
dopotutto, forse ero io quella che non sapeva ben interpretare il
rapporto che
c’era fra di noi.
-Francesca?- la chiamò Andrea.
-Sì, arrivo-
Già,
Francesca. La mia migliore amica.
Volevo pubblicarla in un unico capitolo, ma
poi sarebbe stato troppo lungo! E così ce l'ho fatta a
postarla prima di prendere il treno...non voglio più vedere
calcolatrici, fogli di excel, tavole periodiche, parabole,
ellissi, valori assoluti, iperboli o libri di fisica per un mese
intero!
Emmaps3:
felice che ti rispecchi nella protagonista (o forse no, a giudicare
dalla situazione), e mi dispiace per il non-lieto fine! Ma purtroppo
nella realtà non esiste. Grazie per i complimenti!
Eriok: mi fa
piacere che la scena del bagno e il rapporto fra le due ti siano
piaciuti, grazie per aver recensito!
Ah e grazie anche a chi l'ha messa fra le seguite e le preferite!
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