A Study in Time di Silvre Musgrave (/viewuser.php?uid=113381)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una cliente molto singolare ***
Capitolo 2: *** La macchina del tempo ***
Capitolo 3: *** 221B ***
Capitolo 4: *** Agitata ***
Capitolo 5: *** I contatti ***
Capitolo 6: *** Danny Adams ***
Capitolo 7: *** Il corridore ***
Capitolo 8: *** Ricompensa ***
Capitolo 9: *** My fair lady ***
Capitolo 10: *** Il ballo dei Graham ***
Capitolo 11: *** Lanaghan ***
Capitolo 12: *** Beaufort Mansion ***
Capitolo 13: *** Troppo combattuta per consolarsi ***
Capitolo 14: *** Chopin e Altre Sorprese ***
Capitolo 15: *** Un cattivo della peggior specie ***
Capitolo 16: *** Una Circostanza Irregolare ***
Capitolo 17: *** Rapita ***
Capitolo 18: *** La Svolta degli Eventi ***
Capitolo 19: *** Conclusioni ***
Capitolo 20: *** Rimpianti ***
Capitolo 21: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 1 *** Una cliente molto singolare ***
Capitolo 1
Riporto l’autorizzazione dell’autrice alla traduzione della sua storia:
“Thank you! I'm so glad you
liked it! As long as I get credit for the story, I don't mind one bit if you
translate it. Could I have a link to the story once you're finished? I wish I could
speak Italian!
Thanks again for reading! Be sure to check out the sequel - "Sherlock
Holmes and the Lost Boys."
Take care!
Silvre-Musgrave”
Spero vi piaccia, buona lettura!!
Nota del 2015:
questa storia è in fase di betaggio. Dopo tanti anni mi
sono resa conto che alcune parti erano a dir poco imbarazzanti quindi,
nel caso siate dei nuovi lettori, sappiate che la traduzione potrebbe
rilutarvi un po' altalenante. Per tutte le parti decenti, invece,
ringraziate silviabella, che si sta facendo un discreto mazzo per
metterla a porto :)
Capitolo Uno: Una
cliente molto singolare.
Erano le sette meno un quarto di una fredda mattina di marzo
quando Sherlock Holmes fu svegliato dalla padrona di casa.
"Signor Holmes!"
L’unica risposta del detective fu di tirarsi le coperte sopra la testa.
“Signor Holmes!”
Ripeté la signora Hudson spazientita, spalancando la finestra. La luce del sole
fece irruzione illuminando la stanza disordinata.
Un borbottio arrivò da sotto le coperte, completamente
incomprensibile eccezion fatta per “vada via”.
“Signor Holmes,” disse
lei, con voce alta più che poteva senza rischiare di svegliare il Dr. Watson al piano di sopra. “É arrivato un biglietto da parte di
vostro fratello! Credo sia urgente...”
Alla parola “fratello” il lenzuolo volò da una parte,
rivelando la testa scura e arruffata di Sherlock Holmes. I suoi occhi
brillavano di curiosità mentre strappava il telegramma dalle mani della signora
Hudson e lo apriva. Indicò la porta con un gesto svolazzante. “Grazie signora
Hudson…” disse in tono distante, con la voce ancora leggermente assonnata.
Lei sbuffò
silenziosamente e uscì.
Holmes diede una veloce occhiata al biglietto e, senza altre
esitazioni, saltò giù dal letto.
“Che cosa potrebbe mai essere? Non dice nulla nel suo
telegramma!” Esclamò Holmes con una voce in cui erano chiare sia curiosità che
irritazione. Continuò a parlare mentre
considerava le ragioni per cui suo fratello avrebbe potuto contattarlo.
Intanto il Dr. John Watson si era seduto di fianco a lui, ascoltando solo in parte. Era
rimasto alzato fino a tardi la notte precedente, dopo aver visitato un paziente
con una caviglia slogata, ed era
un po’ irritato dal fatto che Holmes avesse trovato necessario svegliarlo a
quell’ora impossibile.
Non che gli
dispiacesse veramente, ma
perché queste cose dovevano succedere sempre così presto?
Lesse il biglietto scarabocchiato attraverso gli occhi
semichiusi dagli sbadigli, come se questa volta potesse effettivamente comprenderlo. Aveva già visto prima
altri biglietti di Mycroft ed erano sempre a mala pena leggibili.
Sherlock,
Una cliente molto
singolare è venuta a trovarmi e
ha chiesto di te. Non è sicuro lasciarla senza assistenza. Vieni subito. Puoi
portare con te Watson.
Mycroft
“È certamente
vago,” commentò Watson, restituendolo a Holmes.
Holmes lo prese, ma non rispose; Watson poteva vedere dallo sguardo lontano negli occhi del
detective che stava considerando le
possibilità e appoggiò la schiena alla carrozza.
La mente di Holmes vorticava,
piena di domane. Perché andare da
Mycroft? Perché non andare direttamente a Baker Street se era suo desiderio
contattarlo? Come conosceva Mycroft, in primo luogo? Sapere dove e chi fosse
era infatti curioso…
…Mycroft poteva essere
in pericolo a causa del suo arrivo?
Mise da parte questo suo ultimo pensiero tanto velocemente
quanto era arrivato. Le facoltà mentali di Mycroft superavano di gran lunga le
sue e, se avesse percepito qualunque pericolo arrivare con la sua cliente, non
avrebbe scritto il biglietto così tranquillamente. Sebbene la sua scrittura
fosse comunque uno scarabocchio, Sherlock conosceva il modo di scrivere di suo
fratello. Mycroft non era di fretta.
Una volta elaborato
questo pensiero, il suo cervello lo spinse via e tornò al biglietto. La donna è stata seguita o osservata da
molto vicino. È sicuramente in
qualche terribile tipo di pericolo o Mycroft l’avrebbe mandata da me con una
carrozza. Ha detto che lei è “molto singolare”. Mi chiedo cosa la renda così…
Arrivarono a Pall Mall in pochi minuti. Dopo aver pagato il
vetturino, si diressero direttamente dentro al Diogenes Club. Dopo aver
spiegato la loro faccenda, vennero condotti dal maggiordomo in pantofole su per le grandi rampe di scale e lungo corridoi
silenziosi fino a che raggiunsero la stanza con doppia porta che Watson
associava al primo incontro con Mycroft Holmes.
Il maggiordomo bussò piano alla porta che venne
immediatamente aperta per rivelare la forma
corpulenta e robusta del fratello più vecchio di Sherlock.
“Ah, Sherlock. Watson,” disse con quella sua voce grave e posata. Nella mano sinistra teneva una scatola in tartaruga, che il
dottore sapeva contenere tabacco da fiuto.
“Mycroft.” Sherlock sorrise brevemente.
“Il suo nome è Christine Andrews,” disse Mycroft, andando
direttamente al punto della situazione. “Da questa parte.” Condusse
Sherlock e Watson attraverso la stanza con le finestre ad arco, finché
arrivarono a un salotto più piccolo e appartato.
Fece un cenno del capo attraverso la porta.
Né Sherlock né Watson parlarono, ma guardarono attraverso.
La stanza era al buio. L’unica luce proveniva dal caminetto che aveva bisogno di un altro ceppo; le tende erano state tirate fino in fondo.
Tre sedie circondavano il caminetto, a
un tavolino rotondo su cui era posata una tazza di tè ancora fumante.
Accanto a questo,
seduta su un divano rivolto verso il
fuoco, c’era la loro cliente.
Era una piccola, slanciata creatura che non poteva ancora
avere trent’anni. I suoi capelli castano dorato non erano acconciati verso
l’alto, ma sciolti e arrivavano fino a metà schiena, anche se alcune ciocche
ondulate restavano in sospeso sulla sua fronte. I suoi occhi erano di colore chiaro, forse azzurro o verde; era difficile da
stabilire alla luce del fuoco. Era molto attraente, notò Watson, e molto…
audace. Decise che era la parola giusta.
Holmes sarebbe stato d’accordo. Sedeva dritta, con la testa alta ed entrambi i piedi fermamente al
suolo; il suo respiro era quasi regolare. La sua calma era tradita soltanto dal
fatto che torceva e intrecciava incessantemente le dita intorno a un vecchio medaglione attorno al collo.
Queste osservazioni erano banali e molto tipiche… proprio il contrario dei suoi vestiti
che lasciavano perplesso il detective.
Indossava dei pantaloni e una camicia, come un uomo, ma i
vestiti erano ovviamente tagliati per una donna. I pantaloni erano di un tipo di
cui Holmes aveva visto indossare da alcuni americani, specialmente minatori e
uomini della classe operaia, fabbricati col denim e tinti di blu. Le maniche della camicia bianca finivano
un poco dopo il gomito, e lui cominciò a fare ulteriori deduzioni.
Le sue braccia sono ben
muscolose, eppure non appartiene alla
classe operaia perché le sue
mani non sono ruvide e il suo aspetto è, per la maggior parte, molto pulito.
Quindi fa esercizi per tenersi in forma. Potrebbe lavorare in un ufficio o
qualcosa di simile; i gomiti della camicia sono consumati e quello destro
ha una macchia di grafite o inchiostro. Ha camminato un po’ per venire qui
e viene dalla campagna; l’orlo
dei pantaloni è rovinato e coperto di fango…
…Ma non piove da una
settimana. E che strane scarpe… Non posso dire di quale materiale siano fatte.
Un tipo di materiale marrone flessibile… e la suola… forse gomma? C’è un
simbolo su un lato che sembra come un segno di spunta. C’è la sua giacca sul bracciolo del divano di fianco a lei. O forse è del fratello,
o del padre, è troppo grande per la sua corporatura.
Osservò la giacca, non aveva mai visto niente del genere. Era di pelle
marrone o montone, con un fitto pelo intorno al colletto. Era vecchia, molto
usurata, e con una toppa con la bandiera inglese sulle spalle. Dove avrebbero
dovuto esserci i bottoni, c’erano due linee metalliche simili a denti.
I suoi occhi corsero lungo la giacca, lungo la manica, visto
che era sistemata sul divano in modo che un braccio toccava il pavimento. Di
fianco a questo, appoggiato al divano, c’era un largo, vecchio, sacco da
montagna.
Holmes camminò attraverso la porta e accese la lampada a gas sul tavolo di fianco a lui.
La donna si alzò dritta come un fuso quando la stanza fu
illuminata intensamente, allora raggiunse il sacco da montagna, ma si fermò a
metà del movimento. I suoi occhi, che poterono vedere ora essere di un
affascinante grigio-azzurro, si
allargarono. La bocca si aprì per la sorpresa e lentamente. Rimase lì in
silenzio, con uno strano sguardo di – venerazione? – sul viso.
“Signor Holmes?” Disse finalmente, chiedendo con una chiara
voce ferma. I suoi occhi passarono a Watson e sembrarono aprirsi ancora di più.
“Dottor Watson?”
“Signorina Andrews.” Holmes si tolse il cilindro e lo
appoggiò sul tavolo; il dottor Watson fece lo stesso.
Una mano della donna
corse involontariamente alla bocca, come per incredulità, e camminò
verso di loro, porgendo la mano.
“Signor Holmes, signore, è un tale onore. Dottor Watson, un onore.”
Era sicura di sé; il suo atteggiamento, il suo passo, la sua
stretta di mano erano fermi e sicuri. Malgrado questo, Holmes non poteva negare di avvertire una sensazione di disagio, di paura.
Dopo che ebbe stretto le loro mani, Christine sedette di
nuovo sul divano. Sherlock, Watson e Mycroft fecero lo stesso. L’ultimo prese
la sedia più vicina al calore del fuoco
per ascoltare tutti e si mise in ascolto, sebbene qualcuno avrebbe
pensato che stesse dormendo.
“Come posso aiutarla, signorina Andrews?” Chiese Sherlock
Holmes nel suo solito modo sbrigativo.
Finite le
presentazioni e giunti al reale problema, lei sembrò stanca. “Lei è
l’unico che possa aiutarmi, signor Holmes.” Si fermò per un momento per
sfregarsi gli occhi. “Ho bisogno di dirle alcune cose prima che le racconti la
mia storia”. Sentì il leggero rumore della carta e alzò lo sguardo per vedere
il dottor Watson tirar fuori un piccolo taccuino
e una penna.
“Se posso.” Chiese lui.
“Ovviamente, prego.” Christine annuì. “Va bene… primo, vi
starete probabilmente chiedendo
perché non sono andata alla polizia. Il fatto è, signor Holmes, e lei lo sa
meglio di tutti, che strane cose
succedono. Ci sono cose tanto
bizzarre, così strane, così… inverosimili
che la polizia o le liquiderà
come uno scherzo o una sciocchezza, o si fisserà su quella che sembra la
spiegazione più ovvia. Ma lei no.
Lei scava tanto profondamente quanto può fino a scoprire la vera soluzione… non
importa quanto fantastica sia la situazione. E secondo, voglio che una cosa sia perfettamente chiara.” Guardò Sherlock,
poi Watson.
“Cos’è, signorina Andrews?”
“Non vi sto mentendo.”
“Non abbiamo nessuna ragione di credere che lo stia facendo.” Replicò Watson, sollevando lo sguardo dal suo taccuino
con sorpresa.
“Lo so, ma volevo soltanto assicurarvi di questo. Non vi mentirò… la mia storia non è facile
da accettare. Mentirvi potrebbe essere uno spreco non solo del vostro tempo, ma anche del mio.”
“Capiamo, signorina Andrews.” Holmes si protese verso di lei, con le punte delle dita unite.
“Esponete il vostro caso.”
Lei fece un profondo respiro e poi, guardando Holmes
dritto negli occhi, disse, “Vengo dal XXI secolo.”
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Capitolo 2 *** La macchina del tempo ***
Capitolo 2
Capitolo Due: La
macchina del tempo.
Lo scribacchiare della penna del dottor Watson si fermò
bruscamente e lui la guardò
sorpreso. “Chiedo scusa?” Lanciò
un'occhiata a Holmes che stava ora seduto dritto sulla sua sedia.
“Vengo dal XXI secolo,” ripeté lei, facendo del suo meglio
per non manifestare il suo disagio. Non
posso biasimare gli sguardi sulle loro facce… Non ci avrei creduto neanch’io. “Dall’anno
2007. Io-ecco.” Cercò nella tasca dei suoi jeans e prese qualche moneta. Le
porse a Holmes. “Potete vedere l’anno…”
Holmes studiò le monete, voltandole. Erano di un modello più nuovo rispetto a quello
che gli era familiare e lesse gli anni 1995, 2004, 1999, 2006 e 2000. Portò
nuovamente lo sguardo sulla signorina Andrews e porse le monete a Watson, che le osservò con meraviglia.
“Sono nata nell’anno 1981,” continuò lei. “Sono tornata indietro nel 1895 con una macchina del tempo costruita da mio padre.” Tese una mano mentre Watson le restituiva
le monete.
“Per quale ragione?” Chiese Holmes.
“È necessario
che vi racconti qualche antefatto prima di spiegarvelo, temo.”
“Vada avanti.” Lui si
appoggiò indietro sulla sedia, un dito sulle labbra con fare attento.
Lei tacque per
un momento, raccogliendo i suoi pensieri. Allora riprese. “Mio padre, Henry
Andrews, era proprietario di una grande compagnia chiamata Naturtech…”
“Era?” Chiese Watson,
smettendo nuovamente di prendere appunti.
“Sì. Lui…” La sua voce si spezzò e le occorse un interno minuto prima di essere in grado di
continuare. “È morto a gennaio.”
Nonostante la completa stranezza di tutta la faccenda, la
simpatia di Watson fu tutta per lei. “Mi dispiace.”
Lei gli sorrise con gratitudine. “La ringrazio, dottor
Watson.”
“La prego, continui,
signorina Andrews.” Disse Holmes bruscamente, lanciando un brevissimo sguardo
irritato nella direzione di Watson.
“Giusto, mi scusi.” Si schiarì la voce. “Era proprietario di
una grande compagnia chiamata Naturtech che costruisce macchinari e oggetti che
provocano poco o nessun danno all’ambiente. È una delle più grandi corporazioni di Londra, al mio tempo. Mio
padre era un brillante inventore. Diede vita alla compagnia e ha ideato molte delle macchine che
erano, e ancora sono, prodotte lì. Una di queste invenzioni era la macchina del
tempo. Ora, nessuno conosceva l’esistenza di questa macchina del tempo, salvo
mio padre, il suo vice presidente (il mio padrino) Walter Birmingham, e me. Non
pensava che la mente umana fosse pronta per una tale macchina, così non venne
mai fatta conoscere al pubblico.”
“Ma l’informazione trapelò in qualche modo.”
Lei un'occhiata
sorpresa a Holmes. Com’è
possibile… beh, lui È Sherlock Holmes, cosa ti aspetti? “Sì. È esatto. Non so veramente come sia
accaduto. Forse mio padre fu udito per caso. In qualunque modo sia successo,
Jason Lanaghan lo scoprì.”
"Jason Lanaghan?"
“Sì. Era amico di uno dei membri del consiglio. È uno studioso di storia… veniva alla compagnia ogni tanto, così lo
vedevo di frequente. Ero l’assistente personale di mio padre, subito dopo il
college, così lo aiutavo a sovrintendere tutto. Lui, Jason intendo, mi venne
dietro per un po’, ma vedevo chiaramente cosa voleva: soltanto i miei
soldi. Dopo aver realizzato che non ero interessata, lasciò perdere. Dopo alcuni mesi riprese a tornare nuovamente nel
mio ufficio e una volta mi chiese della macchina del tempo, casualmente. Lo
rimproverai e lui se ne andò.”
Ma dopo che mio padre morì, ricominciò a girarmi intorno,
frequentemente, quasi un giorno sì e
uno no, e chiedendo della macchina quasi ad ogni occasione. Mi rifiutai di dirgli qualsiasi cosa e
alla fine si arrabbiò con me. Quando minacciai di chiamare la polizia, lui se
ne andò e non lo vidi più per
due settimane. Pensavo fosse finita…”
“Ma non lo era.”
“No. La volta successive lo vidi la note scorsa. Io…” Abbassò
lo sguardo, raccogliendo i pensieri. “Sono rimasta sveglia fino a tardi,
terminando alcune cose per lavoro. Ero nella mia stanza e all’improvviso tutta
la casa diventò buia. I nostri vicini vivono molto distanti, ma potevo vedere
le loro luci, così sapevo che non era una normale interruzione della correte.”
Ai loro sguardi perplessi aggiunse subito, “Elettricità, la luce elettrica
viene usata da tutti adesso… O meglio, nel futuro…non usiamo più la luce a
gas.” Disse lei, guardando la lampada sul tavolo. “A volte l’elettricità
subisce un calo di potenza e si interrompe.”
Si fermò per un momento, ma Holmes annuì lievemente verso di
lei, come a dire “continui.”
“Sapevo che non era un normale calo di potenza e presi il mio
zaino.” Si piegò e mise il suddetto zaino in vista. “Mio padre mi ha sempre
detto di tenerne uno a portata di mano… lui aveva i suoi nemici e nel caso
fosse successo qualcosa… un incendio, un furto, qualsiasi cosa, voleva che
fossi pronta. Così lo presi e scesi
al piano di sotto, la mia stanza è al secondo piano. Ero a metà delle scale
quando sentii gli spari. Ero così spaventata che pensai di non potermi muovere,
ma prima di rendermene conto ero
all’ultimo gradino. Stavo per andare fuori dalla porta principale, ma sentii
delle voci venire verso di me. Strisciai verso la porta del soggiorno e dentro
la sala da pranzo, pensavo di uscire dalla… porta della cucina.” Iniziò a
balbettare.
Watson smise un
attimo di prendere appunti per guardarla: era diventata pallida
all’improvviso e, francamente, sembrava stesse per vomitare.
“Vada avanti, signorina Andrews.” Disse Holmes dolcemente,
unendo le sue lunghe dita.
Lei deglutì e fece un profondo respiro. “Stavo per uscire
dalla porta della cucina, ma Tom e Gina…il maggiordomo e la cuoca… erano lì per
terra, morti. Io non… non avevo mai visto nessuno ucciso da dei proiettili
prima. Il loro… il loro sangue era ovunque…” La sua voce tremò e si portò una
mano alla bocca, chiudendo gli occhi per
un momento. “Mi dispiace,” sussurrò. “Credo di non aver pensato a tutto
questo prima… mi sono resa pienamente conto solo ora.”
Watson si alzò tranquillamente dalla sua sedia e andò alla
porta, dove chiese al maggiordomo in pantofole, che stava fuori, di portare
dell’altro tè. Quando tornò al suo posto, lei sembrava stare lievemente meglio. “Scusate,” disse lei nuovamente e ancora
una volta fece un profondo, tremolante, respiro. “Okay… dopo aver trovato i… i
corpi, corsi fuori dalla porta, indietro verso la sala da pranzo. Sentii delle
voci di uomini arrivare verso la mia direzione, così andai dalla parte opposta,
fuori dalla sala da pranzo, e mi nascosi vicino alla porta della cantina. Li ascoltai parlare per un momento e una voce si distinse tra le altre. Era
Jason e lo sentii dire qualcosa a proposito della macchina del tempo.
Nel mio zaino portavo, per sicurezza, un paio di chiavi in
più della cassaforte dove tenevo
la macchina del tempo. Sapevo che avrei dovuto impedirgli di arrivare alla macchina, così aprii la porta della
cantina e scesi di sotto. La mia casa è un po’ vecchia e tutte le porte scricchiolano
terribilmente. Quando la chiusi scricchiolò così forte che ero sicura che tutti
l’avessero sentita e scesi le scale più veloce che potei. Li sentii camminare sopra la mia testa e sapevo
che stavano per scendere in cantina… Corsi cassaforte e digitai la combinazione, poi aprii la scatola in
cui tenevo la macchina. Sentii qualcuno aprire la porta della cantina e,
più veloce e silenziosa che potei, misi la macchina sotto al braccio e corsi
nella direzione opposta. La nostra casa è situata su una collina e abbiamo
costruito una porta in cantina che conduce all’esterno. Delle volte si allaga,
ma lasciatemelo dire, non sono mai stata così felice di avere quella porta come
la scorsa notte.
Sentii Jason urlare “Sta scappando via!” e sapevo che era in
cantina, così corsi tanto veloce quanto le mie gambe me lo permisero. Viviamo
nei sobborghi di Londra, e potevo vedere le luci della città, quindi
decisi di tentare in quella direzione. La
stessa distanza ci separa dai nostri vicini più prossimi, ma pensavo di
poter fermare qualcuno andando verso la città per sfuggire a Jason.
Potevo sentirlo dietro di me, ogni tanto urlava. Era indietro
di un buon tratto, ma realizzai che non potevo correre più veloce di lui. Anche
se faccio esercizio regolarmente, sapevo di non poter correre più veloce…
specialmente con la macchina del tempo e lo zaino. Così scelsi quella che sembrava essere l’unica via
di fuga.”
“La macchina del tempo.”
“Esatto. Smisi di correre. Non avevo il tempo di controllare
su che anno fosse impostata, ma regolai
i quadranti e le combinazioni corrette perché funzionasse. Doveva
scaldarsi… far circolare la corrente nei circuiti… occorrevano alcuni minuti e di colpo Jason era vicino. si faceva
più vicino di secondo in
secondo. All’improvviso la macchina fece il suono ronzante che fa quando è pronta e tutto iniziò a
sbiadire.
Ma all’ultimo secondo sentii qualcuno afferrare l’altro lato
della macchina del tempo. Tutto divenne nero per qualche istante e, quando
tornai a vedere, ero qui, nella Londra vittoriana.
Ero in una zona della città che credo verrà abbattuta in
futuro, perché ci sono delle
strade nel mio tempo. Jason teneva l’altro lato della macchina del tempo e, sebbene la tenessi stretta, me la strappò di
mano e mi afferrò un braccio. Di solito è molto composto, ma capiva che era sorpreso tanto quanto me del
luogo in cui ci trovavamo. Esaminò
la macchina del tempo e iniziò ad urlarmi contro, chiedendo come funzionasse.
Fu allora che
ricordai che tenevamo i progetti della macchina in una cassaforte nella nostra soffitta; non c'era modo che riuscisse a farla
funzionare. Cercai di liberarmi dalla
sua presa, ma è un uomo forte. Non sarei riuscita a scappare se quella
carrozza non avesse girato l’angolo. Quasi ci investì, ma costrinse Jason a lasciarmi andare e, mentre la carrozza
ci teneva separati, corsi in un vicolo. Non sapevo realmente dove
correvo, semplicemente girai a destra e sinistra e lungo tutte le strade e
vicoli che potei, cercando di non seguire una linea retta. Devo aver corso per
circa un’ora.
Dopo essermi assicurata che non mi stesse seguendo,
finalmente rallentai. Ero in una strada vuota, così mi sedetti per terra per
capire cosa fare. C’era un giornale nella strada e lo presi per controllare che
anno fosse… ehm, è. Decisi fosse meglio riprendere a camminare e, quando girai
l’angolo, vidi questo palazzo.” Fece un gesto intorno a lei. “Riconobbi che era
il sito storico del Diogenes Club ed ero quasi sicura di trovare qui vostro
fratello, signor Holmes.”
Il maggiordomo aveva portato il tè durante il racconto della
signorina Andrews e Watson le porse una nuova tazza.
“Oh. Grazie, dottor Watson.” Ne bevve un sorso.
“Così il signor Lanaghan sta correndo per Londra con la sua
macchina del tempo.” Disse Holmes brevemente.
“Temo sia così, signore. Ma non può usarla. Ho bisogno di
ritrovare la macchina del tempo, ritrovare Jason e riportarlo nel futuro… senza
che lui abbia la meglio su di me.
Mi rifiuto di dirgli come funziona la
macchina... almeno, ora dico così. Ma ci sono modi per far parlare la
gente che non posso neppure immaginare.”
“Infatti.” Holmes si era appoggiato molto indietro nella sua
sedia, i polpastrelli uniti, le labbra contratte.
“Non credo ci sia bisogno di dirvi quanto sia importante che
riportiamo la macchina indietro. Se fossi catturata da lui, e se scoprisse come
far funzionare la macchina, non ci sarebbero limiti al danno che potrebbe fare…
al futuro, al passato. È per
questo che ho bisogno del suo aiuto, signor Holmes.”
“E lo avrà, signorina Andrews.” Disse lui, raddrizzandosi
improvvisamente. “Mi parli del
signor Lanaghan.”
“Cosa,
caratteristiche fisiche o personalità?”
“Entrambe.”
“Beh, è alto. Non tanto quanto voi, signor Holmes… Credo sia
un metro e settantotto/ottanta. Ha i capelli ondulati biondo-rossastri che è
solito portare legati in una corta coda e, ad una delle orecchie, indossa un
cerchio d’oro. I suoi occhi sono…” Qui si fermò e aggrottò la fronte mentre pensava. “I suoi occhi sono difficili da
descrivere. Sono incavati e di un blu ardesia, ma sono… sono freddi. Non riesco a descriverli in un
modo diverso; capirebbe cosa intendo se lo vedesse. Ha sempre un'espressione gelida e impassibile.
Per quanto riguarda la personalità, come ho già detto, sembra sempre molto
controllato. È ricco e abituato a ottenere quello che vuole. È molto capace, pieno di risorse, e
non dubito che da stanotte si sarà già
messo in contatto con qualche…” Improvvisamente Christine restò senza
fiato; si portò le mani alla
bocca e puntò il suo sguardo su Holmes.
Watson la fissò, gli occhi spalancati. “Buon dio,” urlò.
“Cosa c’è?”
Holmes si piegò in avanti e Mycroft si mosse sulla sedia,
“Signor-signor Holmes, è… già stato… ha… voglio dire, ha…”
Tacque mentre il detective le prendeva
le mani.
“Signorina Andrews, si calmi.” Aspettò che facesse qualche
respiro profondo, quindi lascio le mani e disse: “Adesso, che cosa l’ha
allarmata?”
“Signor Holmes, è stato… è stato alle cascate di
Reichenbach?”
Gli occhi di lui brillarono
per un istante, capendo appieno
il suo ragionamento, e ancora una volta si reclinò sulla sedia. “Sì, signorina
Andrews.”
Watson pensava di non aver mai visto qualcuno così sollevato
come la signorina Andrews quando sentì questo.
“Grazie a Dio.” Disse lei, strofinandosi gli occhi. Guardò
verso di loro. “Stavo già pensando che se il professor Moriarty fosse ancora
vivo, Jason l’avrebbe sicuramente trovato.”
“Mi pare di capire che questo signor Lanaghan sia un uomo
molto pericoloso.”
“Lo è.” Disse Christine. La sua voce si fece sommessa. “Ho
fatto qualche indagine su di lui. Si dice che sia stato coinvolto in centinaia
di crimini a Londra, ma nessuno riesce
a inchiodarlo per provarlo...”
“Sembra quasi un
Moriarty del futuro.” Commentò Watson.
“Lo è.” Disse Christine. “Ma non così intelligente. Lo è, non fraintendetemi, ma Moriarty era
ad un altro livello.”
“Sembra conoscerci molto bene, signorina Andrews.”
Un improvviso sorriso spuntò fra i suoi lineamenti e aprì la
tasca anteriore dello zaino. Da questa tirò fuori un libro, molto spesso e
molto consumato. Lo avvicinò perché lo
vedessero. “Ho letto tutti i vostri casi.” Disse. Sulla copertina del
libro si poteva leggere I casi completi
di Sherlock Holmes del Dottor John H. Watson.
Sulla faccia di Watson si diffuse un identico sorriso e i
bordi della bocca di Holmes si contrassero.
"Almeno quelli
pubblicati.” Rimise il libro al
suo posto e si sedette, le mani unite, il sorriso ora sbiadito e lontano. “C’è
qualcos’altro che le serve sapere, signor Holmes?”
“Credo di no.” Disse Holmes, alzandosi. “Dove posso
rintracciarla, signorina Andrews?”
“Oh.” Uno sguardo perplesso si formò sul suo viso. “Non lo
so. Non ho pensato così lontano.”
“Holmes.” Disse Watson tranquillamente, alzandosi anche lui.
Portò l’amico da una parte, vicino alla sedia di Mycroft. “Non ha un posto dove
stare. La signora Hudson ha sistemato la stanza accanto alla mia, che veniva
usata come deposito, ed è una settimana
che cerca di affittarla. Perché non facciamo rimanere la signorina
Andrews con noi? Sarebbe il posto più
sicuro per lei.”
“Credo sia un eccellente suggerimento.” Giunse la grave voce di Mycroft.
Entrambi lo guardarono, sorpresi. Non avevano idea che stesse ascoltando.
“Certamente non posso tenerla qui.”
Sherlock non rispose subito, ma cambiò argomento. “Cosa ne
pensi della vicenda, Mycroft?”
“Come ho detto, Sherlock, è molto singolare. Mi ha raccontato
la storia prima del vostro arrivo. Quel tipo, Lanaghan, sembra possa presentare
qualche problema. Fammi sapere come procede, d'accordo? ” Con questo affondò più profondamente nella sua
poltrona, unendo le sue grosse braccia sul petto e chiudendo gli occhi.
Il fantasma di una sorriso scintillò sulla faccia di Sherlock
di fronte all’indolenza di suo fratello.
“Allora Holmes? Cosa ne dice?” Chiese Watson.
Holmes guardò la signorina Andrews che sedeva molto
pazientemente, le mani sul grembo, cercando di trattenersi dal guardare nella
loro direzione o sentire per caso la loro conversazione. “Va bene, Watson. Venga, signorina Andrews!” Disse molto forte, camminando per la stanza e ritrovando il suo
cilindro. “Verrà con noi a Baker Street.”
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Alchimista: Ti ringrazio per i complimenti che per la maggior parte vanno
all'autrice ^_^. Sto cercando di mantenere il suo modo di scrivere, sia nelle
parole che nell'impostazione dei capoversi, anche per mantenere un po' di più
della storia originale. Molti modi di dire li ho tradotti, non avrebbero
altrimenti avuto senso, ma nell'insieme cerco di modificare il meno possibile.
Ho lottato un po' per decidere se tenere Miss Andrews o tradurlo con
"signorina": il primo suona molto meglio, soprattutto vista la
frequenza con cui viene detto, ma se lasciavo questo avrei dovuto lasciare
anche tutti i Mr... Ok, deliri da traduttrice!!!
Piccola modifica: ho cambiato "sacco da montagna" in
"zaino" per il semplice motivo che il primo non aveva molto
senso...Ehm, I'm sorry :-/
Cercherò di postare almeno due volte a settimana, impegni permettendo.
Al prossimo capitolo e grazie per il commento :-)))))
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Capitolo 3 *** 221B ***
Capitolo 3
Christine chiuse la cerniera del
cappotto; il freddo vento di marzo le sferzava addosso. Stare in piedi
tra il dottor Watson e Holmes, che aveva fatto cenno a una carrozza, la
fece pensare ancora una volta a quanto fosse bassa. Un leggero sorriso
rassegnato si formò sulle sue labbra che/, ma si dissolse in
fretta quando una raffica di vento si abbatté su di loro.
Il dottor Watson aveva il suo
zaino; si era rifiutato di farlo portare a lei. Lo guardò con la
coda dell’occhio. Era esattamente come lo aveva immaginato. Non
alto, ma neanche basso, ben piazzato, vestito in maniera impeccabile,
con baffi castani e capelli che andavano ingrigendo. I suoi occhi erano
grigio-blu, un colore che era ben assortito con il resto del viso. Le
era piaciuto subito; era veramente di bella presenza, aveva maniere
molto gradevoli e amichevoli ed era, soprattutto, un gentiluomo.
Lanciò un'occhiata a
Holmes. Anche lui era molto galante, ma così diverso dal suo
compagno. Più di un metro e ottanta, magro, pallido con dei
capelli neri lisciati all'indietro, appariva come una figura imponente.
Era molto elegante, proprio come il dottore; il suo cappotto era
spazzolato, il cilindro lucente e la sua cravatta in ordine. Ma
c’era un acume nel detective, un vigore,
un’intensità che vedeva tutte le volte che guardava nei
suoi luccicanti occhi grigi. Era molto calmo, ma lei sentiva
l’energia racchiusa dentro di lui, in attesa di essere rilasciata
al momento opportuno.
La carrozza arrivò e Holmes
offrì una mano guantata verso di lei. Christine la
guardò, per un momento confusa, e lui contemporaneamente
aprì la portiera. Allora capì che intendeva aiutarla a
salire sulla carrozza e la prese.
Mentre lei afferrava la sua mano e
saliva dentro la carrozza, Holmes non poté non notare quanto
fosse leggera. Ma del resto, osservando la sua altezza, lei era una
giovane donna molto piccola. Ma per quanto fosse sorpreso dal suo peso,
altrettanto lo fu dalla sua stretta, forte per una della sua taglia.
Quando lei si fu seduta, lui
salì dentro e si sedette di fianco a lei. Prese lo zaino da
Watson mentre il dottore di sedeva di fianco a lui e partirono.
Non era un lungo viaggio per Baker
Street, ma la carrozza era più sicura per la signorina Andrews,
e avrebbe attirato meno l'attenzione; Holmes non riusciva a smettere di
fissarla. Oltretutto aveva alcune domande da farle. “Mi dica,
signorina Andrews,” disse dopo qualche minuto di silenzio,
facendola voltare verso di lui dal finestrino, “Tutte le donne
del futuro vestono in questa maniera?”
Lei guardò brevemente i
propri vestiti e gli rivolse un breve sorriso. “Non tutte, ma
molte, signor Holmes.” Spostò le gambe e consapevolmente
unì le ginocchia. A casa avrebbe potuto sedere comodamente come
voleva, con le gambe in ogni direzione… ma quella non era casa.
“Sono quasi sicura che i
blue jeans siano il capo di vestiario più popolare nel
mondo,” continuò. “Li indossano sia uomini che
donne.” Indicò il suo cappotto. “In realtà
questo era di mio nonno. Mi piace indossarlo perché è
molto comodo in questo periodo dell’anno.”
“Cos’è quella linea metallica davanti?”
Aggrottò le sopracciglia,
confusa. “Scusi?” Guardò di nuovo verso sé
stessa, ma la sua testa scattò su quasi immediatamente.
“Oh! Lei intende la zip!” Aprì la zip e la richiuse
di nuovo. “Viene usata per giacche, zaini e altre cose. Sono
molto utili e si risparmia tempo rispetto ai bottoni.”
“E posso chiedere che tipo di scarpe sta indossando?”
“Holmes…” Disse
Watson piano. Non pensava fosse giusto da parte del detective
informarsi dell'abbigliamento di una donna in modo così
repentino.
“È tutto a posto,
dottor Watson,” Lei fece un gran sorriso. “Sono scarpe da
ginnastica. Gli americani le chiamano sneakers o scarpe da tennis. Sono
particolarmente usate in atletica, ma sono comode per essere indossate
tutti i giorni. Le mie sono fatte dalla Nike.”
“Nike? La dea greca?” Chiese Holmes alzando un sopracciglio.
Lei sorrise di nuovo e
scrollò le spalle. “Suppongo sia da dove hanno preso il
nome. È una delle più grandi società di scarpe da
ginnastica del mondo.”
Holmes inclinò la testa leggermente come a dire “ah!”
La carrozza procedette in silenzio
per qualche minuto, finché Christine non si schiarì la
gola. “Uhm, signor Holmes, dottor Watson, vorrei scusarmi in
anticipo per qualunque cosa… rozza possa dire.”
Holmes alzò le sopracciglia e la fissò con un’espressione quasi divertita.
“È solo che non sono
molto sicura di come le donne debbano comportarsi in questo periodo.
Vorrei solo che sappiate che non è mia intenzione dire o fare
niente che possa offendervi.”
“Questo non deve
preoccuparla, signorina Andrews…” Iniziò Watson, ma
la carrozza si fermò improvvisamente.
Christine guardò fuori dal
finestrino e vide i familiari, e al contempo sconosciuti, dintorni di
Baker Street. Alcuni dei palazzi c’erano ancora nel suo tempo, ma
molti erano stati buttati giù decenni prima. La drogheria e il
barbiere attirarono la sua attenzione, al loro posto di solito vedeva
alti palazzi di acciaio e vetro. Iniziava a rendersene profondamente
conto adesso. Si trovava nell’era vittoriana. Tutto quello che
conosceva non esisteva. Nessuno di quelli che conosceva era ancora nato
e non lo sarebbe stato per altri sessant’anni o più.
"Signorina Andrews?"
La voce del dottor Watson interruppe le sue fantasticherie. Lui stava fuori dalla carrozza, porgendo una mano verso di lei.
Holmes la stava osservando e lei
gli lanciò un breve sguardo prima di prendere la mano del
dottore e scendere. Udì vagamente Holmes scendere dietro di lei
e pagare il vetturino, ma non era veramente attenta a questi fatti.
La sua mente era interamente
concentrata sul palazzo di fronte. Le era familiare. Gli scalini di
fronte all’ingresso principale, con l’indirizzo stampato
nel lunotto sopra la porta: 221B. Lo aveva visto talmente tante volte,
era entrata dentro in tante occasioni quante ne poteva ricordare, per
vedere il museo che era stato creato in onore del grande detective. Era
meraviglioso per lei poter accedere nell’ambiente del tempo.
Circondato dalle linee pulite e
affilate dei palazzi moderni del XXI secolo a Londra, Baker Street le
era sempre sembrata fuori dal tempo. Ma nel tempo giusto sembrava quasi
normale.
Holmes la superò e prese le
chiavi dalla tasca per aprire la porta, ed entrò dentro senza
una parola. Il dottor Watson portava il suo zaino e le fece un segno di
entrare prima di lui.
Lei lo fece, salendo i gradini ed
entrando, non nel museo, ma nel vero appartamento di Sherlock Holmes.
Fermandosi nell'ingresso, con Watson che chiudeva la porta dietro di
lei, andò quasi a sbattere contro un’anziana signora tutta
affaccendata che usciva da una porta che dava sulla cucina.
“Signor Holmes!”
Chiamò impaziente, facendo fermare e voltare sui tacchi il
detective, già a metà delle scale che portavano al primo
piano.
Christine realizzò con un sorriso a mala pena nascosto che quella era la signora Hudson, la famosa governante.
“Sì, signora Hudson?” Chiede Holmes.
“Ha appena toccata la sua
colazione. Lo sa, ne ho abbastanza di questo, è un miracolo che
lei sia vivo…”
“Signora Hudson, le ho trovato un affittuario.”
“E per di più… Chiedo scusa?”
Holmes fece un cenno col capo dietro di lei.
La signora Hudson si voltò. “Oh!”
“Salve, signora.”
Disse Christine. Porse la mano e la signora Hudson la strinse
brevemente, dando una strana occhiata ai suoi vestiti.
“Salve, signorina…?”
"Christine Andrews."
“Signorina Andrews.”
La governante le sorrise calorosamente. “È un’amica
del signor Holmes? O forse del dottor Watson?” I suoi occhi
scintillarono verso il dottore mentre diceva questo e, sebbene
Christine non potesse vederlo, lui arrossì leggermente.
“È una cliente,
signora Hudson.” Intervenne Holmes. “Ha bisogno di una
camera in affitto.” Scese velocemente i gradini e si pose/fece
vicino alla donna. Abbassò la voce e disse “La signorina
sarebbe inoltre in serio pericolo nel caso fosse trovata. Se le cose
dovessero scaldarsi, dovrebbe andar via per una settimana.”
Il viso della signora Hudson
divenne grave e lanciò uno sguardo a Christine. Dopo un momento
replicò. “Molto bene, signor Holmes.” Annuì
bruscamente, quindi entrò in una stanza vicina. Ne emerse
qualche attimo dopo, le braccia cariche di coperte. “Fa
abbastanza freddo in quella stanza, signorina Andrews, ma non si
preoccupi, la renderò confortevole per lei.”
“Grazie, signora Hudson, lei è molto gentile.”
La governante le sorrise di nuovo, diede un altro sguardo al suo abbigliamento inappropriato e salì su per le scale.
“Da questa parte, signorina
Andrews.” Disse Holmes, salendo ancora un volta le scale.
“Può rimanere nella stanza delle consulenze mentre la
signora Hudson prepara la sua stanza.”
Christine tratteneva a malapena il
suo entusiasmo quando entrò nella stanza delle consulenze di
Sherlock Holmes. È come dovrebbe apparire,
pensava, rievocando il museo nel futuro. C’è il set
di chimica! E la vera pantofola persiana! E le VR, ovvio. Sorrise e
osservò le patriottiche lettere con i fori di pistola.
Fece un profondo respiro e
trattenne un colpo di tosse. La stanza odorava molto di tabacco, di
sigaretta, di pipa e di sigaro. Non era così tremendo,
pensò. Era abituata a quell’odore: suo padre e suo nonno
avevano l’abitudine di accendere le pipe alla sera quando si
facevano visita.
Il pensiero di suo padre le
causò, ancora una volta, una stretta alla gola e si
guardò intorno nella stanza per cercare di occupare la mente con
qualcos’altro. Non dovrei sentirmi così eccitata o
felice… un terribile pasticcio mi ha portata qui. Non sarei
assolutamente qui se non fosse per Jason.
Era uno strano pensiero agrodolce.
Era nella stanza di due dei più famosi uomini della storia di
Londra, due uomini che lei ammirava enormemente per le loro posizioni
sulla giustizia, ma a quale prezzo? Il suo maggiordomo e la cuoca
giacevano morti, più di cento anni nel futuro, nella sua cucina;
il suo benessere era in gioco e c’era un pazzo a piede libero
nella Londra vittoriana con una macchina del tempo.
Ma almeno è una macchina del tempo che non può usare.
“Vuole sedersi, signorina Andrews?” Chiese Watson, togliendo numerosi fogli di giornale appoggiati sopra al divano.
“Oh, si, grazie.”
Combatté l'impulso di chiudere un cassetto mentre passava; lei
di solito teneva la sua stanza pulita e in ordine. Il museo era
pulito… la realtà dell’appartamento era
inaspettata: i volumi erano impilati precariamente sopra
l’armadietto e la scrivania, fogli ricadevano fuori dai cassetti,
fiale e bottiglie di sconosciuti composti chimici si estendevano per
tutta la lunghezza di un tavolo nell'angolo, una in ebollizione. Era
tutto così strano che la fece quasi sorridere.
Holmes cercò nella tasca
l’astuccio delle sigarette. Strofinò un fiammifero lungo
la mensola del caminetto con un suono aspro e secco, e l’accese.
Lo abbassò alla bocca, da cui pendeva la sigaretta.
Lei lo osservò sistemare
l’astuccio delle sigarette dentro il cappotto, quindi si sedette
sul divano. Si alzò nuovamente: le monete nella tasca si erano
spostate in un modo che ora stava seduta su di esse. Le fuori e
portò lo zaino, che il dottore aveva messo vicino al divano,
davanti a lei.
Aprì una delle molte tasche
e le monete caddero dentro con un tintinnio. Quando spostò lo
zaino era sicura che il dottore e il detective la stessero entrambi
guardando. Quando si raddrizzò a sedere all’improvviso,
vide che aveva ragione, benché i gentiluomini cercassero di
coprire il fatto.
Holmes sedette e si piegò
all'indietro nella propria sedia; Watson fece lo stesso, portando un
piede sopra il ginocchio opposto. Attraverso il fumo azzurrognolo che
usciva dalle sue labbra, Christine vide che il detective continuava a
osservare il suo zaino.
Finalmente, lei sorrise dolcemente
e disse: “Volete vedere qualcos’altro del mio zaino, dal
futuro, intendo? Sarei felice di mostrarvelo.” Lei si
chinò e aprì la parte più grande dello zaino. Cosa
posso mostrargli…
Holmes la guardò
intensamente mentre lei rovistava dentro, prendendo alcune cose a
metà e ributtandole dentro. Quando tirò fuori un piccolo
oggetto argentato, un altro pesante oggetto cadde ai suoi piedi.
Lo riprese velocemente, ma quando
si raddrizzò di nuovo, Holmes la fissava con uno sguardo
curioso, un sopracciglio alzato e lei sapeva che lo aveva visto.
“Non è mio.”
Protestò lei. “Beh, si, lo è, ma prima apparteneva
a mio nonno.” Aprì la mano per rivelare un tirapugni.
“A volte gli affari mi portano in… zone sgradevoli di
Londra e papà, cioè, mio padre, voleva che avessi
qualcosa con cui difendermi.”
“Zone sgradevoli di Londra?” Le fece eco Watson. “Ci va da sola?”
“Si, ovvio…” Si
trattenne. Era appena sembrata molto condiscendente e rozza. “Mi
scusi, non intendevo dirlo in quel modo. Noi donne siamo molto
indipendenti nel futuro. Faccio ogni sorta di commissioni e incontro
clienti quotidianamente da sola. Ma se devo andare in aree troppo
sgradevoli, ho il mio cellulare. Se le cose peggiorano, questi.”
Prese il tirapugni brevemente e lo ripose dentro allo zaino.
“Cellulare?” chiese Watson.
Lei annuì e sollevò
l’oggetto argentato che aveva tirato fuori prima. Lo
abbassò di nuovo quando chiese: “Il telefono è
già stato inventato, vero?”
I baffi del dottor Watson si curvarono verso l’alto quando sorrise. “Si.”
Lei rise con aria imbarazzata.
“Scusate, ogni tanto confondo la linea storica.” Gli
passò il cellulare. “Un cellulare è la versione
portatile del telefono. Lo si può portare praticamente ovunque e
chiamare chiunque abbia un telefono o un altro cellulare.”
“A cosa servono i numeri?”
Le sue sopracciglia si
corrugarono, confusa. “Servono… per fare la
chiamata.” Sorrise quando comprese. “Oh, aspetti. Voi
chiamate attraverso un operatore, giusto?”
Watson annuì.
“Giusto. Vedete, nel futuro
tutti hanno un numero di telefono o di cellulare. Molti numeri hanno
sette cifre e sono diversi, così non bisogna passare da un
operatore. È una soluzione più veloce.”
“Sembra che tutto sia
più veloce nel futuro.” Commentò Holmes,
rilasciando una nuvola di fumo dalla bocca.
“Lo è. Siamo sempre
tutti alla ricerca della via per fare le cose più velocemente.
Risparmiare tempo.” Sentì la porta aprirsi dietro di lei e
riprese in fretta il cellulare dal dottor Watson per riporlo dentro
allo zaino.
Il dottore si alzò in piedi
e andò veloce verso la porta. La signora Hudson entrò con
un vassoio portando una teiera e delle tazze da tè. “Il
pranzo sarà pronto fra pochi minuti.” Annunciò,
disponendo il vassoio sul tavolo.
“Grazie, signora Hudson.” Disse Watson.
La governante lanciò uno
sguardo di disapprovazione alla scrivania di Holmes, di cui si poteva
intravedere ben poco sotto un caos fogli, ritagli di giornale e una o
due boccette d’inchiostro quindi si girò per uscire.
“Signora Hudson,” Chiese Holmes e lei si fermò. “Cosa c’è per pranzo?”
“Sarà pronto fra pochi minuti.”
“Non è quello che ho
chiesto.” Gettò quello che restava della sigaretta nel
camino e si alzò dalla sua poltrona. “Non ha cucinato
zuppa di cavolo, vero, signora Hudson?” Chiese in tono brusco.
Un sorriso passò sul volto della donna, quindi uscì.
Lui si alzò in piedi e
corse verso la porta. “Non sopporto la puzza di cavolo!” Le
urlò dietro, sicuro che potesse sentirlo mentre scendeva le
scale.
Christine strinse le labbra per
non scoppiare a ridere, e lei e Watson si scambiarono occhiate
divertite fino a che il pranzo fu pronto.
-------
Scusate il ritardo, sono stata via
alcuni giorni senza internet, non sono riuscita a finire per tempo la
traduzione, scusate -_-.
Allora, avrete notato alcune cose
non propriamente dal Canone. Ad esempio la descrizione del palazzo di
Baker Street. In effetti tutte le descrizioni fanno venire in mente
l'Holmes di Jeremy Brett e tutta la serie Granada. La cosa, a me
personalmente, non dispiace, adoro quel particolare Sherlock Holmes che
ritengo il migliore mai visto, così come lo Watson di David
Burke (durato troppo poco, purtroppo.)
Passiamo al commento.
Alchimista: Grazie per il commento
e la dedizione con cui stai seguendo la storia :). In originale
è già terminata, non c'è quindi il rischio che
l'autrice ci lasci a metà. Non ho nessuna intenzione di farlo
neanch'io, trovo quest'opera di traduzione molto divertente ;).
Questo e il prossimo sono un po'
dei capitoli di transizione, cercherò di essere più
veloce per arrivare al succo della faccenda. Vi avverto che Christine
sarà un po' Mary Sue...Vi avverto ora per non avere dopo brutte
sorprese :).
A presto allora per il prossimo capitolo!!
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Capitolo 4 *** Agitata ***
Capitolo 4
Capitolo quattro: Agitata
Con sollievo di
Holmes, c’era zuppa di patate e porro,
niente cavolo.
Non disse nulla quando la
signora Hudson portò il prosciutto, la zuppa e un piatto di verdure, ma, quando
fece per andarsene, disse forte con un accenno di risata nella voce: “Grazie,
signora Hudson.”
Lei annuì, gli occhi
scintillanti, e lasciò la stanza.
Christine aveva una fame da
lupi. Non mangiava dalla sera precedente. Credeva di non aver mai mangiato
niente di così gustoso come il pranzo della signora Hudson, accompagnato da una buona tazza di tè.
Il pasto fu tranquillo, sebbene Holmes le fece alcune domande sul livello di
educazione di Jason.
Lei spiegò che, da quel che
sapeva, aveva un’ottima educazione, aveva frequentato l’università di Cambridge
per diventare, infine, uno storico.
La signora Hudson tornò con
un’altra teiera di tè mentre Christine finiva le spiegazioni. Quando la
governante ebbe tolto i piatti
del pranzo, osservò: “Sembra stanca, signorina Andrews.”
“Hmm?” Christine guardò verso
di lei, reprimendo un enorme
sbadiglio. “Oh, sì. Scusi, io…”
“Le preparo un bagno, così
potrà riposarsi. La sua stanza è pronta.”
“Grazie, signora Hudson.”
Christine lanciò un'occhiata a
Holmes, ma le dava le spalle, in piedi davanti al caminetto. Così guardò verso
il dottor Watson e al suo cenno di
assenso seguì la signora Hudson fuori dalla stanza.
La governante la condusse su
per una rampa di scale, facendola passare davanti a una stanza ben tenuta con
un modellino di nave sul cassettone
e una borsa nera sul letto.
“Questa è la camera del
dottor Watson,” disse la signora Hudson sorridendo. Aprì la porta alla fine del
corridoio che conduceva ad un’altra piccola rampa di scale. “La sua è proprio
qui sopra.” La scala portava a un piccolo ingresso con due porte, una su ogni
lato del corridoio.
Christine venne accolta da
una stanza piccola, ma allegra.
Un fuoco tenue crepitava nel camino a un lato della stanza; dalla parte opposta
c’era il letto con una coperta a fantasia floreale e cuscini bianchi puliti. Una bacinella d'acqua, una brocca e una
piccola pila di asciugamani erano appoggiati su una cassettiera di
legno, vicino a una scrivania e una poltrona. A sinistra della cassettiera
c’era una finestra che si affacciava sul vicolo tra Baker Street e il palazzo
vicino.
“È adorabile.” Disse
Christine. “Grazie mille, signora Hudson.”
“Di niente, cara. Ora venga
qui e faccia un bel bagno caldo.”
“Allora, Holmes?” Chiese
Watson dopo che la signorina Andrews fu uscita.
“Allora cosa?” Replicò il
detective, girandosi dal caminetto.
“Cosa ne pensa di lei?”
Camminò verso la sua poltrona e si
sedette. “O meglio, cosa ne deduce?”
Holmes accese una sigaretta
e prese posto nella sua poltrona davanti al dottore. “È molto scura di sé,
indipendente, sebbene non sia certamente la prima donna che ci dà la sua
fiducia, ben educata…” La sua mano fece un gesto circolare nell’aria, come a
dire ‘eccetera’ e aspirò profondamente dalla sigaretta. Quando rilasciò il fumo
con un lieve puff, sprofondò ulteriormente nella poltrona. “A parte queste caratteristiche, suona
l’arpa, è orfana, è stata assidua nel balletto per un certo tempo e ha avuto i
nonni da una parte italiani e dall’altra irlandesi.”
Watson non poté trattenere
una breve risata. Non importa quante
volte avesse sentito il suo amico fare deduzioni. Non riusciva a non
stupirsi. “Va bene, sentiamo.”
Le sopracciglia del
detective si alzarono leggermente quando
iniziò. “Sulla punta delle dita della signorina Andrews ci sono dei calli. Il
fatto che tutte siano segnate a questo modo mi porta a credere che suoni
l’arpa, piuttosto che il violino o il violoncello... La mano destra è quella
dell’archetto e non dovrebbe avere i calli se suonasse uno dei due strumenti
che ho menzionato.
Sappiamo che suo padre è
morto da poco; ce lo ha detto lei stessa. So che sua madre è altrettanto
deceduta e lo è da parecchio tempo. Vede, la madre sarebbe stata in casa al
momento del furto e non avrebbe potuto essere in vacanza con la morte del marito
così recente. Se fosse morta anche lei durante l’ultimo anno credo che la
signorina Andrews ce lo avrebbe detto.
Per quanto riguarda i nonni,
da un lato erano italiani e dall’altro irlandesi. La signorina Andrews fa gesti
abbastanza ampi con le mani quando parla –ah, lo avete notato- ed è molto
comune nelle famiglie italiane. Il ciondolo intorno al collo è molto vecchio,
quasi sicuramente un cimelio di famiglia, ed ha un design celtico. Ne deduco
che lo siano i nonni, piuttosto che i genitori, perché se i genitori venissero dai due paesi, la signorina Andrews
avrebbe qualche tipo di accento a
rivelare il fatto che è stata spesso vicina a qualcuno che proviene direttamente
da quelle aree.”
“E il balletto?”
“Ha notato come cammina
Watson? In punta di piedi. Persino quando sale le scale. Le ballerine sono
spesso sulle punte e hanno quella certa leggerezza nei loro passi che ho notato
nella signorina Andrews.”
Christine sospirò e scivolò più a fondo nell’acqua calda,
abbassandosi fino al mento. Era così rinfrancata,
così pulita… e assonnata. Era rimasta nella
vasca per parecchi minuti, ma era riluttante a uscire, persino per
andare a letto. Si guardò le ginocchia, spostando la superficie dell’acqua
insaponata, e lasciò che le palpebre si
abbassassero lentamente. Chiudo gli occhi giusto per un attimo.
Dei
colpi alla porta la fecero scattare seduta in un balzo. Si preparò a prendere un asciugamano appoggiato sopra la sedia
vicina. “Si?”
“Sono la signora Hudson,
cara.”
“Oh.” Trovò un guanto da
bagno in mezzo alla schiuma e lo portò al petto. “Avanti.” Disse.
La signora Hudson aprì e
chiuse la porta velocemente. Teneva una
pila di vestiti ordinatamente piegati in un braccio e, appoggiato sull’altro braccio, un metro a nastro.
La governante appoggiò i vestiti sulla sedia e tornò da Christine, aprendole
l’asciugamano. “Ecco, cara. Venga fuori dall’acqua e si metta qualche vestito asciutto.”
Christine diede un’ultima occhiata desiderosa all’acqua e si
alzò, prendendo l’asciugamano dalla signora Hudson che lo teneva come una
tenda.
“Allora, ho trovato qualche
mio vecchio vestito di quando ero… una donna più magra…” Disse la
signora Hudson con un punta di rimpianto, sollevando quella che sembrava una
vestaglia. “Questa biancheria è un po’ fuori moda, ma può andare per ora.”
Per ora? Pensò Christine mentre si asciugava. Prese la biancheria che consisteva
in una canottiera di seta tipo camicia e quello che sembravano un paio di
mutandoni. Erano bianchi, puliti e di pizzo. Oh, spero non diano prurito.
Lo davano eccome. Questa…
Ci vorrà un po' ad abituarsi.
Aveva già indossato i
mutandoni quando la signora Hudson disse, “Ora si raddrizzi e rimanga ferma
mentre le prendo le misure.”
“Misure?” Chiese Christine,
piuttosto sorpresa.
“Sì, per i nuovi vestiti!”
Rise la signora Hudson. La risata scemò
mentre prendeva la misure intorno al petto di Christine. “Il signor Holmes mi
ha detto che ha perso quasi tutti i suoi bagagli di ritorno dall’America,
brutta cosa. Alzi le braccia per favore. Ha dovuto indossare vestiti da uomo,
di suo cugino americano, ha detto. Che peccato, tutte le sue cose.”
“Si, è… è stato terribile.”
Christine annuì d’accordo. Ben fatto
signor Holmes.
“Quegli orribili vestiti
americani…” mormorò fra sé la governante.
“Non li avete buttati…”
chiese Christine, sperando di non sembrare troppo ansiosa.
“Non ancora. Li vorrebbe
tenere?” Chiese la signora Hudson mentre metteva il metro intorno alla vita.
“Vorrei rimandarli indietro a
mio cugino, non sono miei dopotutto.”
“Va bene, signorina Andrews.
Ma vorrei prima lavarli.”
“Ovviamente. Grazie mille,
signora Hudson.”
“Di niente, cara, di niente.”
Scrisse alcuni numeri su un
pezzo di carta, quindi prese un semplice abito bianco con rifiniture blu. “So
che non è in linea con la moda attuale, ma lo userà solo fino a che non
arriveranno le sue nuove cose. Ad ogni modo dubito che uscirà questa sera.”
Dopo il cambio d’abito,
Christine si addormentò. Sonnecchiò per ore e saltò completamente l’ora del tè.
La signora Hudson la svegliò per cena e raggiunse gli uomini, che non vedeva
dall’ora di pranzo, per il pasto della sera.
Sherlock Holmes sedette al
tavolo e iniziò a sollevare il coperchio della prima portata.
"Holmes."
Il detective guardò verso Watson. “Cosa c’è che non va?”
“Non crede che dovremmo
aspettare la signorina Andrews?”
Le dita di Holmes si
fermarono sul coperchio per un momento, quindi le ritirò emettendo un
impercettibile sospiro di irritazione.
Sedettero in silenzio per
alcuni minuti, quindi Watson spostò la sua sedia e si alzò in piedi. “Vado a
vedere se è pronta.” Proprio quando aveva raggiunto la porta, un lieve bussare
arrivò dall’altra parte. Aprì la porta per rivelare una sorpresa signorina
Andrews. “Oh, grazie dottor Watson.”
Ci volle mezzo secondo prima
che lui rispondesse; al posto dei pantaloni e della camicia bianca che con gli
occhi della mente associava alla persona della signorina Andrews, indossava un
grazioso vestito bianco dal collo alto, anche se datato. I suoi capelli erano
tirati su in un semplice chignon; piccoli riccioli spuntavano dai lati della
fronte. “Di niente. Avete dormito bene?”
“Discretamente bene, grazie.”
Lei si mosse vicino alla sedia.
“Mi permetta.”
Lei sorrise al dottore mentre
lui spostava indietro la sedia e la spingeva avanti mentre lei sedeva.
Mentre questo accadeva, Holmes cercò di
nascondere un sorriso. Non c’era nessun dubbio che la signorina Andrews fosse
una donna attraente e lei, come molte sue clienti, aveva certamente fatto caso
a Watson.
Watson lasciò che la
signorina Andrews si servisse per prima, quindi lui e Holmes presero la loro
parte.
Christine mangiò lentamente,
in maniera deliberata, cercando disperatamente di pensare a qualcosa da dire
loro. L’emozione si sedere a cena con Sherlock Holmes e il dottor John Watson,
la venerazione che provava per loro era
incredibile per lei. Si augurava di poter dire loro quale onore fosse essere
lì, ma era spaventata dall’idea di apparire come una specie di sdolcinata fan
girl. Tagliò la sua carne pensierosa e si
portò la forchetta alla bocca.
“Da
quanto tempo suona
l’arpa, signorina Andrews?”
La forchetta si fermò
bruscamente a mezz’aria e lei lanciò uno sguardo sorpreso verso Holmes, i cui
occhi acuti la stavano fissando da
sopra un bicchiere di sherry. Un sorriso apparve sulle sue labbra. “Da
quando ho nove anni, signor Holmes.”
“Ah. Sapevo che era un
considerevole lasso di tempo.”
“Come ha… aspetti, mi lasci
indovinare.” Mise giù la forchetta e pensò per un momento. Era consapevole che
entrambi la stavano osservando. “Oh, le mie dita. È ovvio.”
Lui annuì una volta per
mostrarle che aveva ragione.
Christine
si pulì le mani
nel tovagliolo e si appoggiò alla sedia. “Cos’altro ha dedotto su di me, signor
Holmes?”
Il detective elencò le
caratteristiche che aveva esposto prima a Watson, partendo dal fatto che sua
madre fosse morta da tempo.
“Si, è morta quando avevo
sedici anni. Stavo per competere alle olimpiadi quell’anno, ma non potei
andarci con quello che è successo.”
“Le olimpiadi? In quale anno
è stato permesso alle donne di competere? Certamente non l’anno prossimo.”
Chiese Watson, sollevando le sopracciglia.
“L’anno prossimo?” Christine
lo osservò con uno sguardo incuriosito.
“Si, hanno rispolverato i
giochi olimpici… si terranno ad Atene.”
Senza rendersene conto lei
portò una mano alla bocca per la sorpresa. “Intende dire che il prossimo anno
ci sarà la prima olimpiade?”
Lui annuì. “È così.”
Lei abbassò la mano. “Wow, è
troppo figo.”
“Figo?” Chiese Holmes,
inarcando le sopracciglia.
“Si, voglio dire, la prima-oh. Figo. Vuol dire… è gergo. Vuol
dire grande o affascinante… qualcosa di positivo.”
"Ah."
“E in che settore doveva
competere alle olimpiadi, signorina Andrews?”
“Ginnastica.” Rispose
Christine. “Ho praticato la ginnastica fin da quando avevo sette anni. Mi ha
tenuta in forma, adoro farlo. Sebbene non abbia avuto molto tempo ultimamente.”
Abbassò gli occhi e voltò lo sguardo verso la finestra.
Watson sapeva che stava
pensando a suo padre e cercò qualcosa da dire. Era molto giovane per aver perso
il padre, sebbene, riflettendoci,
quando suo padre era morto anche lui era un giovane uomo. Finì il suo
panino e chiese a Holmes di passargli lo sherry. “Ne vorrebbe un po’, signorina
Andrews?”
Christine si voltò dalla
finestra. “Volentieri. Grazie,
dottore.”
“Di niente.”
Holmes si alzò in piedi e
andò verso il caminetto. A Christine sembrava fosse agitato. Spero non lo sia per colpa mia.
Ma lo era, in qualche modo.
Holmes prese la sua pipa dalla mensola, la riempì di tabacco dalla babbuccia
persiana e la accese con la brace del camino. Non era solito essere così
cordiale sempre. Era diverso quando
un cliente chiedeva di lui, ma non
era abituato che uno dei suoi clienti stesse sul posto a tempo indeterminato.
Vivendo solo con Watson, non aveva bisogno di preoccuparsi dei ‘per piacere’,
dei ‘grazie’, spostare le sedie e tutte quelle cose senza senso a cui bisognava
fare attenzione in pubblico.
“È
dura per lei
qui, signorina Andrews?” Chiese Watson, cosa che fece voltare Holmes.
Lei posò il bicchiere di
sherry sul tavolo. “Intende essere qui in questo periodo?”
Lui annuì.
“Sì.” Anche lei annuì, ma il
cenno del capo lentamente diventò una scrollata di spalle. “No, non dura solo… diverso. Niente
elettricità, niente fili del telefono, niente automobili, niente tv. È tutto molto strano per me.”
Passarono il resto della
serata tranquilli. Christine cercò di spiegare loro la televisione, ma dubitava
di aver avuto successo; lei e il dottor Watson discussero brevemente delle
olimpiadi, quindi lei si ricordò qualcosa che aveva avuto intenzione di chiedere prima a Holmes. “Signor Holmes,”
chiese e il detective alzò i suoi occhi languidi verso di lei attraverso il
fumo della pipa.
“Come sapeva che avevo un
cugino Americano? La signora Hudson mi ha riferito ciò che lei le ha detto.”
Fu Holmes a essere sorpreso
ora. Si tolse la pipa di bocca.
“Non ero consapevole che lei avesse
un cugino americano, signorina Andrews. Sembra delusa.” Aggiunse dopo un
momento.
“Oh, no. Pensavo che avesse
scoperto qualcosa. Comunque è una buona storia di copertura.”
Un breve sorriso passò sul volto di lui prima che si rimettesse la pipa in bocca.
Christine guardò per la
stanza di nuovo, fino a che i suoi occhi si soffermarono su Holmes per un
momento. Un leggero scintillio attrasse la sua attenzione; era il suo orologio
da taschino con sopra una sovrana.
Da Irene Adler? Pensò e i suoi pensieri furono interrotti dal rintocco di un piccolo
orologio sulla mensola del camino. Le dieci.
“Credo che andrò a letto.”
Disse dolcemente e si alzò.
Anche Watson si alzò. “Mi
permetta di aprirle la porta, signorina Andrews.”
“Grazie,
dottor Watson.
Vorrei che gli uomini fossero ancora così
cortesi.”
“Intende dire che gli uomini non aprono più la porta alle signore?”
Chiese Watson scioccato.
Se non fosse stato così
serio, Christine avrebbe riso. “Non abitualmente. Se una donna entra in una
stanza o lascia un edificio e un uomo sta camminando avanti, a volte lui tiene
aperta la porta. Ma non è mai una cosa sicura.”
“Che cosa spiacevole,” disse
il dottore tristemente e andò alla porta.
Christine lo seguì, ma si
fermò a metà. “Oh, signor Holmes.” Si voltò verso di lui che sollevò le
sopracciglia. “A proposito del vostro compenso…”
Il detective alzò una mano e
aprì la bocca per dire qualcosa, ma Christine lo fermò prima che potesse
iniziare. “Ho certamente i mezzi per pagarvi, ma non credo che sia una buona
idea avere denaro del futuro in circolazione.”
“Potremo pensarci in un altro
momento, signorina Andrews.”
“Troverò un modo per pagare i suoi servigi, signor Holmes. Lo prometto.”
Lui annuì e lei si mosse
verso la porta, ma si fermò quando lui parlò ancora. “Signorina Andrews, una
cosa ancora, prima che si ritiri.”
“Sì, signor Holmes?”
“Prima ha detto che il signor
Lanaghan era uno storico. Qual è il suo campo di studi?”
Lei si spostò a disagio.
Quando lo guardò, negli occhi di lei
c'era una sorta di paura che non gli piacque. Ci vollero alcuni secondi
prima che lei finalmente rispondesse. “Tortura.”
La sua specialità era la
tortura medievale, sebbene conoscesse metodi che spaziavano su molti paesi ed
ere.
Dopo che la signorina
Andrews fu andata a dormire, lui e Watson sedettero in silenzio per un’ora,
presi dai loro pensieri. Alla fine rintoccarono le undici e con un grosso
sbadiglio Watson disse. “Buonanotte, Holmes.”
L’unica risposta del
detective fu un brusco cenno del capo mentre sbuffava dalla pipa appena
caricata. Il dottore poteva quasi
vedere gli ingranaggi girare dietro quei distanti occhi verdi, e lasciò
la stanza senza un suono.
Holmes sedette con i
polpastrelli uniti insieme, fuoriuscire
pigramente dalla bocca spirali azzurrine di fumo. I suoi pensieri erano
rivolti a Lanaghan e al miglior modo per scovarlo.
Non vorrà apparire sul giornale, questo è certo. Da quel che ha detto
la signorina Andrews, è un uomo intelligente e farà quello che può per mescolarsi
in società. Lei è sicura che utilizzerà qualunque connessione… A seconda
di chi incontrerà, potrebbe venire a sapere di me. Potrebbe venire qui lui stesso.
No, non lui stesso.
Manderebbe qualcuno in sua vece, considerando il fatto che le cose potrebbero girare a suo sfavore.
Il giornale è escluso. La polizia non dovrebbe sapere niente di questa
storia e noi non vogliamo che venga coinvolta.
Pike potrebbe aver sentito qualcosa. Manderò i miei ragazzi.
Si
tolse la pipa di
bocca e si sfregò gli occhi con le dita. Uno
studioso di torture…
Christine giaceva nel letto.
Persino dopo il suo lungo sonnellino pomeridiano, era ancora stanca. Malgrado
la fatica, malgrado il fatto che fosse perfettamente al caldo e comoda,
malgrado il fatto che il più grande detective della storia si occupasse del suo caso, non riusciva a dormire.
Ho una grande fiducia nel signor Holmes, ma cosa farò se non troverà
Jason? E se Jason capisse come far funzionare la macchina del tempo? Cosa succederebbe se fossi bloccata qui? Cosa succederà al futuro se Jason lo venisse
a sapere? Se non fossi lì, cosa succederebbe al mondo? E la compagnia? I miei
amici, Walter?
Cosa farò?
“Mi sento così impotente,” sussurrò
nell’oscurità. Nel momento in cui le parole uscirono di bocca, si sentì tesa. Non si era mai sentita così
prima. C’era sempre stato
qualcuno a cui appoggiarsi, che la supportava. C’era sempre stata sua madre,
suo cugino, i suoi amici, Walter… La sua gola si strinse e tutti i suoi sforzi, le lacrime
arrivarono e uscirono fino a che fu scossa da silenziosi singhiozzi.
Papà…
-----
Sappiate subito una cosa importante: ho
dovuto adattare a modo mio questo capitolo molto più degli altri. Molte
espressioni, in italiano, non avevano senso e ho cercato di trovare la
traduzione migliore, anche se diversa. Diciamo che nell'insieme non ho comunque
cambiato il significato della situazione. Ci sono alcuni passaggi che trovo
molto divertenti, ma nell'insieme anche questo è un po' un capitolo di
passaggio. L'azione inizierà subito con il prossimo :). Anticipo che l'elemento
Mary Sue salterà fuori presto, ma, come dice Bebbe5, in maniera discreta
rispetto ad alcuni racconti. C'è anche da dire che Christine è una ragazza del
XXI secolo, il fatto che possa essere propositiva e pronta all'azione è più
comprensibile rispetto ad una ragazza del XIX secolo, magari poco avvezza alle
cose del mondo.
Passiamo alle recensioni.
ISI: Anch'io ho pensato che, se fossi stata al posto di Christine avrei
fatto certe figuracce... Già mi vedo Watson che spalanca la bocca e diventa bordeaux
X-D. Ho cercato su youtube i video russi di cui parlavi e sono proprio curiosi!
Però, per quanto mi riguarda, David Burke E' Watson, non riesco ad immaginarne
uno migliore. Grazie mille per i complimenti ^___^!!!!
Alchimista: Se ti è piaciuta l'interazione fra i personaggi dello
scorso capitolo, deve esserti piaciuto anche questo :). Qui mi fa abbastanza
ridere la parte di Watson che apre la porta a Christine e si scandalizza del
fatto che in futuro non succede :-DD. Per quanto riguarda la "rozzezza"
del nostro parlare rispetto a quel periodo, credo che Christine, fin'ora, non
abbia detto niente di eccessivo, continuo a ridere da sola al pensiero di
essere al suo posto... Grazie per i complimenti, spero di riuscire sempre ad
aggiornare con questa frequenza :-))))).
Bebbe5: Per i tempi verbali hai perfettamente ragione,
purtroppo me ne accorgo sempre dopo aver pubblicato -___-. Mi rendo conto che
il tradurre dall'inglese mi crea dei problemi con l'italiano O_O! Ad esempio,
devo fare molta attenzione a non mettere la virgola dopo il 'ma', invece che
prima............ E' la prima volta che traduco, di solito scrivo cose di mio
pugno, ma su Sherlock Holmes c'è qualcosa che mi blocca. Vabbè, mi concentrerò
sulla traduzione ^_^. Spero che la storia possa continuare a piacerti, mi ha
fatto molto piacere il tuo commento.
Uff, ma quanto scrivo... Alla prossima!!
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Capitolo 5 *** I contatti ***
Capitolo 5
Capitolo
Cinque: I contatti
Christine fu svegliata da un forte e frenetico
bussare. Si alzò dal letto e corse alla porta, afferrando lo scialle che la
signora Hudson le aveva lasciato prima di andar via.
Aprì la porta di uno spiraglio. “Dottor Watson? Cosa…”
“Deve nascondersi, signorina Andrews!” Sussurrò
urgentemente il dottore. “Ci sono tre uomini che la cercano, in questo momento
sono al piano di sotto! Holmes e
io li tratterremo, ma lei deve nascondersi!”
Gli occhi di Christine si allargarono alle parole
del dottore, la bocca le divenne
arida. Annuì vigorosamente. “Va bene! Tratteneteli quanto potete!”
Lui chiuse la porta, lasciandola da sola. Lei prese i blue jeans e la camicetta
dalla sedia della scrivania e li
indossò. Che modo di svegliarsi! Non
posso credere che ci siano già delle persone che mi cercano! Accidenti, Jason!
Signor Holmes, dottor Watson, spero possiate trattenerli abbastanza a lungo!
“Chi siete? Cosa state facendo…” Protestò la
signora Hudson.
“Scusa mammina, siamo qui per lavoro. Ah, lei
dev’essere il signor Sherlock Holmes.” L’uomo allampanato e dai capelli color
sabbia guardò in alto verso il
detective da sotto al cappello di tweed.
“Sono io.” Rispose freddamente Holmes dal
pianerottolo delle scale. Li aveva visti avvicinarsi lungo la strada e aveva
supposto, dalle loro facce, che
non fossero lì per chiedere i suoi servigi. Aveva spedito
Watson di sopra per mettere in guardia la signorina Andrews.
Studiò
l'uomo che aveva di fronte e capì con una sola occhiata che sarebbe
stato un individuo difficile da
mandar via. Si era rotto il naso,
probabilmente due volte, aveva le nocche callose e ammaccate, le mani
ruvide e le braccia muscolose come un uomo del porto. Ma fu il tatuaggio sul palmo sinistro, un
martello e una spada incrociati, a
fargli scoprire la vera identità dell’uomo.
Quello era Michael Rutherby, un uomo che era
stato associato ad alcuni dei crimini
meno rilevanti di Moriarty, ma non era mai stato incarcerato per mancanza di prove.
Holmes guardò i compagni di Rutherby. Uno era un
uomo grosso e silenzioso, con il collo largo e pesanti sopracciglia. Aveva mani ruvide, le unghie corte e spezzate.
Era sicuramente un carpentiere: i residui di trucioli di legno sui suoi
pantaloni lo confermavano. L’altro uomo aveva un fisico asciutto e un'aria da faina,
e gli mancava l'anulare
sinistro. Puzzava dell'odore dolciastro
e pungente dell'oppio e muoveva costantemente la lingua sulle labbra, contraendo le dita di tanto in tanto.
Del
primo, Holmes non era preoccupato. Benché grosso non sembrava molto
intelligente e perciò poteva essere facile vincerlo con l’astuzia.
Il
secondo, però, aveva
qualcosa nel suo atteggiamento che a Holmes non piaceva. I suoi occhi scuri lanciavano sguardi di sbieco da
sotto i capelli biondo-bianchi, e avevano una sorta di luccichio crudele.
Gli occhi di Rutherby avevano una luce diversa:
la sua espressione aveva un'aria
arrogante e insensibile che gli ricordava John Clay.
Rutherby salì il primo scalino. “Stiamo cercando
una donna di nome Christine Andrews, signor Holmes. Pensiamo sia qui e
intendiamo controllare questo posto. Non cerchi di fermarci.”
“Non c’è nessuno chiamato Christine Andrews,
signor Rutherby”
“Ah, vedo che la mia reputazione mi precede.”
Disse con un inchino esagerato, senza staccare mai gli occhi blu da quelli del
detective.
“Non è certo un merito.” Replicò Holmes
acidamente.
“Cosa succede, Holmes?” Chiese Watson, facendo capolino dalla ringhiera,
sistemando la cravatta come se si fosse appena vestito.
“Questi uomini stanno cercando una donna di nome
Christine Andrews.”
“Chi?”
“È
precisamente quello che vorrei sapere.”
“Non sono affari suoi, signor Holmes. Se non è
qui, può dimenticare che la cosa sia
mai successa.” Mise i pollici
nei risvolti del cappotto e piantò fermamente un piede nel gradino
successivo, così che adesso uno
solo lo separava da Holmes. “Allora che
si fa, capo?”
“Non ho niente da nascondere, Rutherby.”
“Bene.” Replicò lui, ora sullo stesso gradino del
detective.
“Ma,” disse Holmes severamente, bloccando la
strada a Rutherby con un braccio, “Se dovesse mettere sottosopra questa casa
non esiterò a chiamare la polizia.”
Rutherby incontrò
gli occhi di Holmes e realizzò che quell’uomo lo voleva fuori più di
ogni altra cosa. Ciononostante indossò un'espressione
distaccata, sorridendo con una sorta di ghigno. “Va bene, signor Holmes.
Moore, Cunningham, andiamo.”
Spostò Holmes di lato, seguito dagli altri due.
Watson guardò Holmes. “Holmes, non vorrà davvero lasciare che…”
“Che
problema c'è, avete qualcosa da nascondere?” Chiese Cunningham con voce fredda.
Watson lo fissò con un terribile sguardo severo.
“No. È un’oltraggiosa violazione
della privacy.”
Rutherby e i suoi uomini salirono le scale e cercarono prima nella stanza di Holmes.
Rutherby posizionò Moore all’inizio della seconda rampa di scale, nel caso
qualcuno cercasse di salire o di
scendere.
Holmes guardò con enorme disgusto Rutherby e Cunningham
rovistare la sua stanza. Guardarono sotto ogni tavolo, letto, sedia, dietro cassettone e nell’armadio. Bussarono
persino nei muri per cercare cavità nascoste e guardarono fuori dalla finestra,
ma c’era solo una sottile cornice e l’altezza era troppa per saltare.
La stanza di Watson era la prossima al terzo
piano e, ad ogni cantuccio e fessura
che veniva perlustrato, il dottore diventava sempre più ansioso.
Finalmente tutti e cinque salirono le scale al
piano dove erano situati la
stanza della signorina Andrews e il bagno. “Moore, guarda nell’altra stanza.”
Ordinò Rutherby mentre con Cunningham si dirigeva verso la stanza di Christine.
“È
chiusa a chiave!” Urlò l’uomo-faina.
“Che?” Disse Rutherby.
Holmes scambiò una veloce occhiata con Watson.
“Non è chiusa a chiave, idiota! È… solo… bloccata!” A quest'ultima
parola, entrambi ruzzolarono dentro la stanza.
Non c’era nessuno in vista e mancavano i bagagli.
“Controlla sotto al letto.” Disse Rutherby ispezionando la stanza.
“Nessuno.” Disse Cunningham, sollevandosi dal
pavimento. “Non c’è nessuno qui, Rutherby.”
Rutherby lanciò uno sguardo arrabbiato al suo
compagno, quindi si spostò verso Holmes e Watson sulla porta. “Se non c’è
nessuno, perché il fuoco era acceso, eh?” Chiese improvvisamente, puntando un
dito verso i carboni fumanti.
“La padrona
di casa l’ha acceso la scorsa notte per tenere lontani i piccioni.”
Rispose Watson.
“Piccioni?” Ripeté Cunningham, mettendosi dritto.
“Sì, piccioni. Fanno il nido nel camino. La padrona di casa vorrebbe affittare
presto la stanza e non può farlo con i piccioni nel camino, non vi pare?” Disse Watson, in modo
secco e molto pratico.
avesse
guardato Holmes in quel momento, avrebbe potuto vedere un sorriso passare
velocemente sul suo volto. Watson
sa mentire meravigliosamente quando vuole.
“Piccioni.” Ripeté
Rutherby. “Va bene, allora
perché c’è dell’acqua nel…” Si
fermò nel mezzo della frase quando scrutò nella
brocca dell’acqua. Infilò dentro la mano.
“Asciutta.” Mormorò. Toccò
l’asciugamano vicino al lavabo, ma era asciutto anche quello. Si
morse il
labbro inferiore per un momento, quindi andò vicino al letto.
“Cunningham, quel
cuscino è caldo?”
Cunningham lo toccò. “No.”
“Non c’è niente nell’altra stanza.” Disse Moore
con voce tetra, entrando.
“Dannazione.” Mormorò Rutherby. Spostò lo sguardo per tutta la stanza fino a che non
gli cadde fuori dalla finestra.
Era aperta. “Ha!” Corse verso di essa e mise
la testa fuori, ma dopo un momento tornò dentro con un ringhio. “Non c’è
modo di scendere!”
Rimase fermo, incurvato e furioso alla finestra
per qualche minute prima di voltarsi, raddrizzandosi
il cappotto. Fissò Holmes e Watson con uno sguardo a malincuore vergognoso.
“Scusate se vi abbiamo fatto perdere tempo, signori.” Disse in modo burbero.
“Se gentilmente voleste uscire.” Disse Holmes freddamente, indicando la porta.
“Non sarà contento.” Sussurrò Cunningham mentre
si muovevano verso la porta.
“Chiudi il becco.” Sibilò Rutherby.
Holmes e Watson si accertarono che se ne andassero immediatamente di casa e li
guardarono uscire dalla porta principale e scomparire lungo la strada. Quando
la porta fu ben chiusa, Holmes
girò sui tacchi e si fiondò su per
le scale.
“Holmes!” Chiamò Watson dietro di lui. “Dove sta
andando? Dov’è lei?”
Il detective fece di corsa le due rampe di scale e il corridoio che portava alla stanza
della signorina Andrews.
“Eravamo qui adesso, Holmes! Non può essere…” Il
dottore si fermò, ansando leggermente. “…qui sopra.”
Holmes andò alla finestra e, aprendola quanto era
possibile, mise la testa fuori. “Signorina Andrews?” Chiamò dolcemente. “È sicuro, può venir giù.”
“Grazie, signor Holmes.” Arrivò dalla voce della
donna. “Può prendere questo, per favore?”
“Mio Dio!” Watson rise quando lo zaino della
signorina Andrews comparve,
portato di sotto dall’attizzatoio del camino.
“Ecco dov’era finito l’attizzatoio. Lo
immaginavo.” Disse Holmes, sorridendo e prendendo lo zaino. Lo sistemò sul
pavimento vicino a lui. Si affacciò di nuovo alla finestra con le mani
fermamente piantate sul davanzale. “Le serve assistenza per calarsi giù,
signorina Andrews?”
“No, credo di riuscirci.” Arrivò come risposta.
Dopo un momento comparve una delle
strane scarpe, seguita dall’altra, in cerca del bordo della finestra.
Holmes e Watson rimasero sotto, pronti ad
afferrarla in caso di bisogno, ma lei si sostenne puntando solidamente con i piedi contro il bordo della finestra e, con l’aiuto dell’attizzatoio
adunco attaccato alla cornice, riuscì a
rientrare nella stanza.
“Fiuu.” Disse, saltellando giù dal davanzale.
“Credo che andare su sia molto più facile che venir giù. Questo è sicuramente
molto pratico.” Disse, dando l’attizzatoio a Watson.
Lui rise di nuovo quando lo prese. “Incredibile,
signorina Andrews. Certamente una ginnasta olimpica.”
Lei gli sorrise di rimando, arrossata per lo sforzo, e per un momento lui fu
colpito dalla sua bellezza. Combatté
coraggiosamente il rossore che gli stava provocando quel pensiero mentre
lei diceva. “Grazie, dottore. Era veramente la mia unica scelta. Dal rumore che
facevano hanno cercato in modo accurato… Mi avrebbero trovata di sicuro se mi fossi nascosta dentro casa.”
“Ben fatto, signorina Andrews.” Disse Holmes.
“Svuotare la brocca, rifare il letto e girare il cuscino dall’altro lato sono
state trovate molto intelligenti.”
Lei si fermò un attimo all’osservazione del detective,
sapendo molto bene che le lodi, specialmente quelle relative all’intelligenza,
non arrivavano facilmente da lui. Dopo qualche secondo disse. “Grazie, signor
Holmes. Ho cercato di lasciare meno tracce possibili.” Fece un gesto verso il
camino. “Non ero sicura di cosa fare con il fuoco. Buttare sopra dell’acqua
poteva sembrare troppo sospetto, così l’ho lasciato com’è.”
“Non si preoccupi troppo, signorina Andrews. Il
dottor Watson ha inventato una scusa molto ragionevole per il fuoco, è andato
tutto bene.”
Lei sospirò dal sollievo e sedette sul bordo del
letto, portando lo zaino di fianco a lei. “Sono contenta che sia tutto finito.
Che modo di svegliarsi…”
La porta di aprì di scatto.
Christine si gettò sul pavimento, portando lo
zaino con sé, e gli uomini si spostarono velocemente per nasconderla alla vista.
“Sta bene?” Christine sentì la voce preoccupata
della signora Hudson e alzò la testa da dietro al letto.
“Santo cielo!” Disse. “Mi ha spaventata, signora
Hudson.”
“Eccola qui, cara! Sta bene? Dio del cielo, dove
si era nascosta?”
“La signorina Andrews è molto agile, signora
Hudson. Si è nascosta sul tetto.” Le disse Watson.
Al posto dello sguardo inorridito che Christine
si aspettava, la signora Hudson fece una risata di cuore e la aiutò a mettersi
in piedi. “Mia casa signorina Andrews.” Ridacchiò. “Che cosa notevole. Spero
solo che non mi dia così tanti problemi come il signor Holmes.” Aggiunse in
modo benevolo.
“Ci proverò, signora Hudson.” Rispose Christine,
sorridendo.
Dopo pranzo, Christine seppe dalla signora Hudson
che i suoi vestiti erano arrivati.
Lasciando il dottor Watson e il signor Holmes,
Christine fu portata su verso la sua stanza.
“Signora Hudson.” Disse Christine quando la donna
iniziò ad aprire i pacchetti di carta marrone. “Temo di non poterli accettare.”
“Cosa? E
perché mai?” Chiese la governante, voltandosi.
“Non ho… beh, non ancora, non ho i mezzi per…”
“Oh.” Replicò lei, voltandosi di nuovo verso i
pacchetti. “Non si preoccupi di questo adesso; il signor Holmes mi ha informata
che pagherà lui per i suoi vestiti con l’accordo che lei lo ripagherà quando ne
avrà la possibilità.”
“Pagherà lui?”
Chiese Christine con voce sommessa, iniziando a svestirsi.
Adesso si sentiva veramente malissimo, come se lo stomaco le fosse sprofondato fino alle ginocchia. Non
solo il signor Holmes aveva preso in carico il suo caso, per ora gratuitamente,
ma stava anche pagando per lei la stanza e i vestiti. Non si preoccupi, signore. Troverò un modo per ripagarla, fosse
l’ultima cosa che faccio, pensò incrociando le braccia.
Mentre lo faceva una fredda brezza entrò nella
stanza, dalla finestra leggermente aperta, e fu brutalmente riportata alla
realtà dal fatto che era in piedi, ferma, con la sola biancheria. Rabbrividì, stando con un piede sopra l’altro.
“Ecco qui, cara, non è adorabile?”
Christine spalancò gli occhi e dimenticò
momentaneamente il freddo.
La signora Hudson stava tenendo una gonna e una
camicia color oro pallido, con larghe maniche a sbuffo e una fila di pizzi sul
collo. Insieme facevano un vestito
dalla linea morbida e con il collo alto, decorato delicatamente con
pizzi e alcuni fiocchi bianchi e oro. Era un vestito molto semplice, ma
Christine pensava fosse bellissimo.
La governante glielo porse e lei lo prese,
ammirando il lavoro di cuciture e il modello.
“Lo avevano già della sua misura, tutto pronto.
Hanno solo dovuto sistemare l’orlo…” Disse la signora Hudson, ma Christine
ascoltava solo a metà. “…una taglia comune… è stato carino da parte loro…
colore adorabile… e qui c’è il suo corsetto.”
La testa di Christine scattò su. “Corsetto?”
La signora Hudson rise. “Sì, cara! Da come lo
dice sembra che non ne abbia mai indossato uno!” Ridacchiò di nuovo.
“Ahah…” Christine rise nervosamente quando la
signora Hudson prese il vestito e lo appoggiò sul letto.
Deglutì quando la signora Hudson le porse il
corsetto. “Ecco, lasci che la aiuti, cara. Alzi le braccia adesso.” Il rigido
corsetto venne posizionato intorno alla vita fino a metà del petto.
“Ora tiri su le stecche, la aiuterò con i lacci.”
Stecche?
Che cavolo sono le stecche? Oh, forse… forse sono questi ganci ai lati? Provò
ad agganciarli negli spazi corrispondenti, dall’alto verso il basso.
“Ecco.”
Disse la signora Hudson. “Sia sicura che sia comodo prima di legarlo.”
Fece dei movimenti fino a che si sentì molto
comoda, combattendo con l’urgenza di ridere al pensiero di Elizabeth nei Pirati dei Caraibi. Il sorriso
scomparve. E se svenissi? Sarebbe così imbarazzante…
Improvvisamente rimase senza fiato quando la
signora Hudson strinse i lacci.
“Troppo stretto?”
“No, va bene.” Si sistemò. Poteva sentire i
diversi set di lacci tirati dalla signora Hudson unirsi insieme, ognuno di essi
spingeva sullo suo stomaco forzandola a rimanere dritta. È un bene che avessi già la
pancia piatta e una postura corretta o questo sarebbe stato davvero
fastidioso…
La signora Hudson le diede un colpetto sulla spalla. “Ecco qua, signorina Andrews.
Tutto fatto. Ora, ecco il suo corpetto… non è una trovata intelligente? Hanno fatto un nuovo tipo con il corpetto e la sottoveste uniti
insieme.” Diede gli indumenti a Christine e si infilò il corpetto e la sottoveste facendoli scivolare da sopra la testa e le braccia, fino a che si sovrapposero al corsetto. Dopo questo,
la signora Hudson le porse un paio di calze e lei sedette sul letto per indossarle, ancora cercando di trovarsi
a suo agio con il corsetto.
La governante allora le diede una rigida
sottoveste che, realizzò, serviva per dare la forma al vestito. Mio Dio, mi sento come se stessi
letteralmente indossando una tonnellata di tessuto! Sono felice sia marzo o
sarei morta in questo istante.
“E il vestito.”
Finalmente!
Indossò la
gonna, che le cadeva giù fino alle caviglie. Un attimo, niente pelle in
mostra? Forse non è consentito
far vedere le gambe o qualcosa di simile? Con una fitta realizzò che
probabilmente non lo era. Va bene,
qualcosa da ricordare: le gambe sono cosa proibita. Probabilmente anche oscene.
Accidenti, sono contenta di non dover vivere qui per sempre.
Spero di
non doverlo fare.
Quando si
fu messa la gonna, indossò la camicia dal collo alto e dalle lunghe
maniche, meravigliandosi di quanto fossero
grosse alle spalle. Erano incredibilmente gonfie e si estendevano fino al gomito e un po’ sopra la spalla.
Con suo
gran sollievo, aveva finalmente
finito di vestirsi. La signora Hudson la aiutò a pettinare i capelli e
li acconciò in un delicato e elegante chignon dietro la testa. Quando voltò la
schiena, Christine tirò fuori alcuni riccioli e li sistemò sulla fronte. Non le
piaceva quando i suoi capelli erano troppo perfetti.
La signora Hudson finì di sistemare gli altri
vestiti che aveva comprato e raccolse i
resti del pacchetto di carta marrone. Christine si chinò per prendere un pezzo di spago che era caduto sul pavimento, con
gran difficoltà. Il corsetto impediva ogni minimo movimento e si raddrizzò per
vedere la governante sorriderle.
“È
bello avere un’altra donna in casa.” Ammise la signora Hudson. Abbassò la voce.
“Voglio bene al signor Holmes e al dottor Watson come ad una famiglia, lei
capisce, ma è bello avere della
compagnia femminile.”
Il cuore di Christine batté forte. Era molto
grata alla governante che fosse lì per aiutarla in tutto. Senza di lei non
avrebbe saputo come fare.
“Grazie signora Hudson. Sono anch’io felice della sua compagnia.”
La governate le rivolse un allegro sorriso e
lasciò la stanza.
Va bene,
Christine. Metti le scarpe… gli stivali dal tacco alto piuttosto… e scendi giù
a dire grazie al signor Holmes!
Allacciò
gli stivali, lisciò la gonna, si
guardò allo specchio che la signora Hudson le aveva lasciato sulla scrivania e
scese le due rampe di scale. Devo veramente abituarmi a questo corsetto…
come riuscivano a farlo le
donne?
PERCHÈ le donne lo facevano? Pensò ai limiti
dell’irritazione. Abituati Christine. Strinse
la mascella e sospirò quando finalmente riuscì ad
arrivare alla fine delle scale.
Bussò
alla porta. Sentì un rumore di passi
che si avvicinavano e la porta si aprì per rivelare il dottor Watson,
pipa alla mano.
“Signorina Andrews!” Disse. Aprì la bocca per
dire qualcos’altro, ma la richiuse subito quando non trovò nulla. Le fece un
gesto per entrare.
“Grazie.”
“Io… Io spero non lo consideri impertinente, ma
vorrei dirle che la trovo adorabile, signorina Andrews.”
Un leggero rossore apparve sulle guance di lei. “Grazie, dottore.” Si
guardò intorno nella stanza, ma non vide il detective. Era in procinto di allungare la testa per guardare dentro la sua camera da letto, quando realizzò che sarebbe stato terribilmente scortese. “Dov’è
il signor Holmes?”
“È
uscito.” Rispose il dottore, tornando alla sua poltrona.
“Oh. Sa dov’è andato?”
“Sì. Credo sia uscito per vedere Langdale Pike.”
"Langdale Pike," Ripeté piano lei.
“Holmes lo
considera la fonte di ogni diceria o ogni genere di pettegolezzo. È uscito per vedere se ha sentito
qualcosa a proposito del signor Lanaghan o degli uomini che sono stati qui
oggi.”
“Capisco…”
“Vorrebbe sedersi? Posso portarle qualcosa?”
“Oh, no.” Rispose Christine, sedendosi anche lei.
“È
sicura? Qualcosa da leggere?” Fece un gesto verso la libreria alla destra del
caminetto. “Sono sicuro che a Holmes non dispiacerà.”
Christine sorrise e si alzò. Perché no. Osservò i libri. Molti di questi erano di botanica e
chimica; uno sembrava riempito di fogli di giornale. Un piccolo libro rilegato
in pelle attirò il suo sguardo. A caratteri larghi lesse: “Monografia”. Con
un’occhiata più vicina, capì che diceva “Una monografia sulle impronte delle
scarpe e le impronte digitali.”
“È
uno dei libri del signor Holmes?” Chiese, prendendolo dal ripiano.
“Hmm?” Watson si tolse la pipa. “Oh, sì. Si ha…
qualche problema ad arrivare fino in fondo, a volte.”
“Va bene. Ci proverò lo stesso.”
Dopo aver letto per circa un’ora e mezza,
Christine si scusò e tornò in camera sua. Sedette alla scrivania, prese una
penna e il taccuino dallo zaino
e scrisse:
“4 Marzo, 1895
Se devo rimanere qui per qualche tempo, credo
sia giusto tenere un diario.
Il signor Holmes è fuori al momento. È andato a trovare Langdale Pike,
l’uomo che ha consultato nei Tre Gables. Spero che Pike abbia sentito qualcosa.
Jason potrebbe essere ovunque a Londra, ma almeno so che ha trovato degli agganci. Non devo
preoccuparmi che tornino inaspettatamente. Tre uomini sono venuti qui oggi per
cercarmi, ma mi sono nascosta sul tetto. Sono contenta di aver fatto ginnastica
per tanto tempo. Non mi hanno trovata e credo di aver sentito un uomo scusarsi
del fastidio con il signor Holmes… Non credo torneranno a Baker Street.
Sono ancora in soggezione per questo posto,
essere in una stanza al 221B è qualcosa di simile ad un sogno che si realizza.
Mi rattrista che una cosa del genere sia successa in queste circostanze. Mi
rattrista anche il fatto che non potrò dire nulla a nessuno quando tornerò. Se
tornerò.
Cancellò
l’ultima frase. Ovvio che sarebbe tornata. Il signor Holmes avrebbe avuto
sicuramente successo. Non aveva mai fallito.
Eccetto quell’unica
volta con Irene Adler, pensò e sorrise. Prese il suo zaino e tirò fuori I casi completi di Sherlock Holmes.
Uno scandalo in Boemia, lesse. Per Sherlock Holmes lei è sempre
La Donna. Raramente…
Lesse Uno
scandalo in Boemia, La lega dei capelli rossi e saltò avanti verso Il
problema finale. A metà de La casa vuota sentì una debole musica che
la distrasse.
Drizzò le orecchie, cercando di capire che
cos’era e da dove arrivava. D’improvviso si rese conto che era un violino: il
signor Holmes doveva essere tornato!
Chiuse il libro di colpo, lo infilò nello zaino e
lo mise sotto al letto. Fece un gran rumore scendendo di corsa la prima rampa
di scale, ma alla seconda si
bloccò. Calmati, Christine. Per l’amor
del cielo.
Camminò per quel che restava in modo calmo, ma
veloce.
Quando arrivò alla stanza delle consulenze, trovò
la porta aperta. Una bellissima serie di note usciva dalla stanza e, fermandosi
sulla soglia, vide il signor Holmes osservare Baker Street, il braccio destro che si muoveva con gesti
fluidi ed esperti.
Il dottor Watson sedeva comodo nella sua
poltrona, cercando di leggere un libro. Stava per aprire la bocca per chiedere
a Holmes se poteva smettere quando il suo sguardo cadde sulla soglia.
La signorina Andrews era in piedi, appoggiata
allo stipite della porta. L’avrebbe detta completamente immersa nella musica: i
suoi occhi erano distanti e il suo viso aveva uno sguardo pensieroso e quasi
sognante.
Si riappoggiò allo schienale della poltrona e sedette guardandola.
Ma con un orribile suono stridulo Holmes, improvvisamente, mise da parte lo
Stradivari.
Watson guardò il suo amico, quindi di nuovo verso
la signorina Andrews, che sembrava fosse stata svegliata all’improvviso.
“Ah,
signorina Andrews.” Disse Watson. “Prego, entri. Credo che la cena sarà
pronta a breve.”
“Grazie.”
Holmes fece cadere il violino e l’archetto sulla
scrivania, facendo rabbrividire Christine, quindi immediatamente sprofondò nella
sua poltrona vicino al fuoco.
“Um… Signor Holmes?” Tentò Christine, sedendosi
sul divano.
Gli occhi del detective si volsero nella sua
direzione.
“Vorrei ringraziarla per i vestiti. Sono
bellissimi, è veramente troppo, non mi aspettavo…
“Non c’è problema, signorina Andrews.” Mentre i suoi occhi tornavano al caminetto,
lo sguardo gli cadde sullo spazio sul divano vicino a lei.
“Chiedo scusa, signorina Andrews.” Lei si spostò e lui prese qualcosa da
sotto al cuscino.
Era la sua monografia! Aveva dimenticato di
rimetterla a posto!
“Ha deciso di provarci un’altra volta, eh
Watson?”
“No, Holmes. La stava leggendo la signorina
Andrews.”
“Oh?” Si voltò con sorpresa, le sopracciglia
sollevate. “Come l’ha trovata?”
“Molto interessante. Non avevo idea si potesse dedurre così tanto dalle impronte. È notevole.”
Agitò la mano per sminuire la cosa, accendendo una sigaretta. “È
semplice.”
“Per lei.” Replicò Christine. “É così dotato.”
Per un momento i suoi occhi si accesero di
piacere e un sorriso corse lungo i suoi lineamenti. Non disse nulla in
risposta.
“Il dottor Watson ha detto che è andato a sentire
Langdale Pike.” Chiese Christine dopo un momento.
La sua espressione divenne immediatamente amara,
con la sigaretta che pendeva nella mano.
“Niente di buono?” Chiese timidamente lei.
“Virtualmente infruttuoso.” Disse con disgusto.
“Un pomeriggio sprecato.”
“Virtualmente, Holmes?” Chiese Watson. “Quindi c’è qualcosa.”
“Un nome, niente di più. John McBee, è tutto
quello che è riuscito a darmi. È
stato implicato in alcuni scandali che hanno coinvolto la giovane figlia di
Lord Burton, ha poi abbandonato Londra. Adesso è coinvolto in una banda.”
“Che cosa le fa credere che sia coinvolto?”
Chiese Christine.
“È
stato visto con un uomo dai
capelli biondo-rossicci e gli
occhi freddi. È curioso, i suoi
occhi vengono descritti dagli altri esattamente come lei li ha descritti.”
“È
l’unica parola che si addica,
signor Holmes. ”
“Temo che
sia un po’ tardi per oggi, ma inizierò presto domani mattina.”
-------
Se vado troppo di fretta con gli aggiornamenti
fatemelo sapere. Approfitto di questo periodo di tregua per portarmi avanti con
la traduzione, prima d'iniziare a preparare gli esami di settembre. Le
cose iniziano a smuoversi, finalmente, i prossimi capitoli saranno molto
interessanti :).
Vorrei segnalarvi una precisazione su questo capitolo. La parte della
vestizione di Christine, molto divertente, ha un corpetto e una sottoveste di
troppo. Il corpetto veniva indossato sopra la camicia come ultimo indumento e
non era usato nella moda del tempo. Anche la sottoveste rigida è eccessiva, la
forma al vestito viene già data dal corsetto sotto.
Un ringraziamento generale per i complimenti, siete tutte molto gentili ^_^.
Bebbe5:Sto iniziando a prendere la mano nella traduzione e a italianizzare di
più rispetto a prima. D'accordo su Hardwicke, troppo pomposo e troppo vecchio.
Ieri ho poi scoperto che la BBC ha fatto una nuova miniserie chiamata
"Sherlock"...ambientata ai nostri giorni O_O. Ho un po' paura,
entrambi i personaggi sono molto strani...
Alchimista: Lo sfogo di Christine è effettivamente normale, sono contenta
anch'io che l'abbia fatto da sola in camera sua. Watson è molto OOC, ce lo vedo
tranquillamente a scandalizzarsi per la storia degli uomini del futuro anche
nel Canone :)).
ISI: A fatto ridere anche me Holmes che si irrita per dover fare il
gentiluomo anche in casa! La trovo una soluzione molto "brettiana":
il modo in cui Holmes/Brett congeda i/le clienti (soprattutto le donne, ho
notato) mi fa sempre sorridere, in particolare se queste non se ne vogliono
andare e lui rimane scocciato in attesa con la porta aperta XD.
Al prossimo capitolo ^_^
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Capitolo 6 *** Danny Adams ***
Capitolo 6
Capitolo sei: Danny Adams
Christine faceva colazione da sola col dottor
Watson.
Il signor Holmes era uscito, ma tornò mentre
finivano il loro pasto.
“Buongiorno, Holmes.” Salutò Watson, abituato all'andirivieni del suo amico.
“Colazione?”
Holmes scosse la testa, ma afferrò la tazza
di tè dal tavolo e la portò alle labbra.
“Aspetti, è…” Iniziò Christine.
Ci mancò poco che lo
sputasse, allontanando la tazza con il braccio teso.
“Freddo.”
Si mosse verso la porta e la spalancò. “Signora Hudson! Dell’altro
tè!” Lasciò la porta socchiusa e camminò per tutta la lunghezza della stanza,
andando avanti e indietro dalla finestra alla porta della camera da letto. I
suoi occhi erano accesi, le mani sprofondate nelle tasche, i movimenti fluidi,
ma agitati.
“È
tutto a posto, signor Holmes?” Chiese Christine, girandosi sulla sua sedia.
La testa del detective si girò verso di lei e
soprappensiero tolse una mano
dalla tasca per mordicchiarsi un'unghia.
Lei vide dai suoi occhi che non l’aveva realmente vista o sentita. Poi lui
sembrò riscuotersi e smise di colpo di camminare. “Chiedo scusa,
signorina Andrews?”
“È
tutto a posto?” Ripeté lei.
Lui annuì e riprese a camminare.
Con esitazione
Christine si girò nuovamente verso il tavolo e lanciò un'occhiata a Watson.
Lui si sporse in avanti. “Non si preoccupi,
signorina Andrews. Sta solo aspettando qualcosa.”
“Davvero? Cosa?”
I baffi del dottore si arricciarono verso
l’alto. “Questo, non lo so.”
La signora Hudson portò una nuova tazza per
il signor Holmes, insieme a dell’altro tè. Aveva appena lasciato la stanza e chiuso la porta quando sentirono confusione per la
strada.
Holmes smise di versare il suo tè e spalancò la finestra. Un momentaneo
sorriso accese i suoi lineamenti. “Ha!”
“Cosa? Cosa c’è?”
Il detective appoggiò la sua tazza sul
tavolo, tornò alla finestra e rimase in piedi in attesa vicino alla porta.
Ci fu del baccano al piano di sotto, un indistinguibile urlo di sgomento da
parte della signora Hudson e pesanti passi nel vestibolo.
Risuonarono forti
colpi alla porta e Holmes la spalancò.
Un ragazzo adolescente, con la faccia sporca,
ma dagli occhi intelligenti, stava lì. Aveva sul viso un sorriso sbilenco.
“Signore! Gibson ha detto che voleva... Oh, mi scusi, signora.” Si tolse il
cappello e sorrise a Christine.
“Vieni dentro.” Holmes fece cenno al ragazzo
di entrare. “Wiggins, questa è la signorina Andrews. Signorina Andrews, Sam
Wiggins.”
“Ciao, Sam. Piacere di conoscerti.” Allungò
la mano.
Il ragazzo si pulì in fretta la mano sui
pantaloni prima di porgergliela. “Salve, signorina Andrews.”
“Wiggins.” Disse Holmes severamente,
facendolo voltare per la sorpresa. “Nessuno, e voglio dire assolutamente nessuno, sa dove si trova la signorina Andrews. Se
dovesse essere trovata qui, potrebbe essere in serio pericolo. È chiaro?”
“Sì, signore.” Rispose gravemente.
“Ora, al lavoro. C’è un uomo che ho bisogno
di trovare. Si fa chiamare John McBee. È
stato visto l’ultima volta in Bethnal Green e potrebbe usare un nome falso.
Vedi cosa riesci a trovare su di lui. Voglio sapere per chi lavora, dove vive…
tutto quello che riesci a trovare. Gli altri ragazzi sono fuori? ”
“Sì, signore!”
“Vorrei parlare con loro io stesso. Andiamo,
Wiggins.”
Wiggins si rimise il cappello. “’Giorno,
dottore. ‘Giorno, signorina Andrews.” Aggiunse un cenno toccandosi il cappello.
“Arrivederci.”
“È
proprio carina.” Sussurrò a Holmes mentre uscivano dalla porta.
“Basta così, Wiggins.”
I ragazzi tornarono due giorni dopo. Intorno
all’ora del tè, Wiggins e altri due ragazzi fecero irruzione della sala delle
consulenze, seguiti da una signora
Hudson agitata e molto rossa in viso.
“Signore! Abbiamo novità per lei, signor
Holmes!” Urlò il più giovane dei tre, correndo per fermarsi dentro la stanza.
Al sorriso di scuse di Holmes, la governante
sbuffò e lasciò la stanza.
“Abbiamo trovato… ow!” Il secondo più vecchio
lanciò uno sguardo irato a
Wiggins che gli aveva appena dato una
gomitata nelle costole.
Wiggins fece cenno col capo al tavolo dov’era
Christine. Sedeva da sola, il dottor Watson era dovuto andare da un paziente.
Il capo degli Irregolari si tolse il cappello e gli altri due fecero lo stesso.
“Scusi, signora.”
“Scusi.”
Christine ricacciò indietro un sorriso.
Holmes resistette all’urgenza di sollevare
gli occhi al cielo e disse. “Allora! Cos’hai per me, Wiggins?”
“Sta usando un nome falso. In realtà si
chiama Robert Caine.”
“Robert Caine!” Esclamò Holmes.
“Lo conosce, signor Holmes?” Chiese
Christine.
“Sì, se è lo stesso Robert Caine che ho
conosciuto a teatro. Ha usato spesso McBee
come nome falso per coprire la sua vera identità. Qual è il suo aspetto?”
“Gibson e Holt erano gli unici a spiarlo.”
Spinse il più giovane dei due di fronte a lui.
Holmes fece un gesto al divano e tutti e tre
si sedettero. “Ha i capelli castani grigio-topo e una cicatrice sull’arcata del
naso?”
“E una sul sopracciglio, signore!” Disse il
giovanissimo Gibson.
“Ah! È
lo stesso. E dove lo avete visto esattamente?”
“A Bethnal Green signore, proprio come aveva
detto lei. Abbiamo il suo indirizzo.” Disse Holt. Wiggins prese un pezzo di
carta dalla tasca del cappotto e la diede al detective.
“Eccellente. Ora ditemi, avete visto un uomo
con i capelli rossastri e…” Si voltò verso Christine “…dagli occhi freddi?”
“No signore, non lo abbiamo visto. Ma abbiamo
visto Cunningham e Rutherby parlare con McBee, er, Caine. Stavano dicendo
qualcosa su qualcuno chiamato Christine Andrews.”
Gibson si girò sul posto e la scrutò da sopra
al divano. “È lei Christine Andrews?”
Christine annuì. “Cosa stavano dicendo?”
“Non eravamo abbastanza vicini per sentire
esattamente cosa hanno detto.” Replicò Holt. “Dicevano qualcosa su un
macchinario. E hanno anche menzionato il nome di Lanaghan, signor Holmes.”
Il detective era seduto sulla sua sedia, i
polpastrelli uniti, ma quando quel nome
venne pronunciato scattò di
nuovo in piedi.
“Ben fatto, ragazzi. Tenete occhi e orecchie
aperti per qualunque cosa.” Porse loro uno scellino e diede una ghinea a
Wiggins.
“Lo faremo, signor Holmes. Andiamo ragazzi.”
Disse Wiggins e tutti e tre si alzarono dal divano.
Dopo che Holmes li
ebbe accompagnati alla porta e quella si fu richiusa, lui rivolse
la sua attenzione su altre faccende. Camminò silenziosamente, come aveva fatto
negli ultimi giorni, per alcuni minuti, accendendo la pipa e passeggiando
ancora. Come al solito era profondamente
immerso nei suoi pensieri.
Alla fine Christine non poté sopportare oltre il silenzio e chiese:
“Lei conosce Robert Caine dal teatro?”
“Sì.” Rispose lui brevemente. “E questo pone un problema. Abbiamo recitato
insieme per alcuni anni nella stessa troupe… Se andassi nella sua residenza mi
riconoscerebbe sicuramente. Anche se andassi con un travestimento verrei riconosciuto. Potrebbe anche conoscere Watson
di vista. Siamo incappati in lui una volta per strada e sono stato costretto a
presentarli… Non ho idea di come sia passato al crimine da quel momento. È un peccato. È sempre stato un tipo scaltro…” Concluse, sbuffando dalla pipa.
“E se…se ci andassi io, allora?”
Si strappò la pipa dalla bocca, inorridito.
“Lei? In quella zona di Londra?
Assolutamente no, signorina Andrews. ”
“Ma…”
Scosse la testa. “È fuori questione.” Le voltò la schiena, guardando il fuoco.
“E se ci andassi io con un travestimento?”
Holmes si voltò di scatto, facendo quasi
cadere la pipa nel farlo. La voce che aveva appena parlato non era delle
signorina Andrews. Quella voce era leggermente rauca, con un fortissimo accento
irlandese.
Ma la signorina Andrews era la sola persona
nella stanza, un sorriso iniziava a formarsi fra i suoi lineamenti. “Cosa ne
pensa, signor Holmes?”
La voce irlandese tornò di nuovo: la profonda
voce mascolina arrivava dalla piccola, giovane donna di fronte a lui.
Un sorriso si andava diffondendo sulla faccia
di lui, ma lo soppresse subito.
“No.”
“Perché no?” Chiese alzandosi. La sua voce
era tornata al timbro a cui era abituato.
“È
una donna!” Gridò Holmes, agitando le braccia nell’aria. “Semplicemente non si
farà, signorina Andrews, è troppo pericoloso.”
“Quali altre opzioni abbiamo, signor Holmes?
Se lei e il dottor Watson potete essere riconosciuti, ed è una buona
possibilità come ha detto lei, tutto salta!” Camminò verso di lui, porgendo semplicemente
avanti le mani. “Senta, signor Holmes. So che non ha fiducia nelle donne e so
che non le piace particolarmente avermi qui.”
La guardò con espressione dura. “Non ho mai detto…”
“So che non lo ha detto, ma siamo onesti. Non
vorrei avere nemmeno io qualcuno a girare per la mia casa all’improvviso. Ma
per favore, signor Holmes. Mi dia una possibilità.”
Portò lo sguardo lontano dai suoi occhi che
erano intensi e imploranti. Sospirò di nuovo e si sfregò la fronte stancamente.
“…ha mai recitato?” Chiese improvvisamente dopo un paio di minuti.
“Sì. Ho preso parte a molte rappresentazioni…
Ho persino recitato la parte di una donna travestita da uomo in una di queste.”
Fece silenzio mentre lui rimaneva fermo davanti al fuoco, le mani dietro la
schiena.
“D’accordo, signorina Andrews.”
“Grazie, signor Holmes…”
“A due condizioni.”
“Okay…”
“Primo.” Disse severamente avvicinandosi.
“Dovrà seguire le mie esatte
istruzioni.”
“Alla lettera, signore.”
“E secondo…”
Il dottor Watson appoggiò la sua borsa sul
pavimento e si tolse cappello e cappotto. Aveva freddo ed era stanco. L’unica
cosa che voleva era una buona tazza di tè e sedersi davanti al fuoco. Dopo aver
appeso le sue cose alla rastrelliera, aprì la porta ed entrò nella stanza delle
consulenze.
Lì trovò Holmes profondamente immerso in una
conversazione con un uomo che non conosceva.
“Oh! Scusi, Holmes.” Si scusò, tornando
silenziosamente indietro alla porta.
“No, no!” Chiamò Holmes fermandolo. “Entri, Watson.”
L’uomo nel divano si girò, toccando il
berretto. Sotto aveva una massa di capelli rossi e ricci che facevano il paio
con i baffi. I suoi occhi sembravano… molto familiari sotto le sopracciglia
rosse. “Lei dev’essere il dottor Watson.” Disse con un forte accento irlandese.
“Sono io.” Replicò il dottore, avvicinandosi
e porgendo la mano.
“Daniel Adams.” Replicò l’uomo, porgendo una
piccola mano guantata e stringendola caldamente. “In molti mi chiamano Danny.”
“Piacere di conoscerla, signor Adams. Cosa la
porta a Baker Street?”
“Solo alcuni affari col signor Holmes. Mi
stava dicendo cosa fare per trovare un posto in cui vivere. Non ho visto niente
di piacevole. ”
“Cosa ne pensa, Watson? Cosa deduce del nostro amico qui?” Chiese
Holmes, alzandosi e gesticolando verso il cliente.
Watson prese il suo taccuino, una matita e
studiò il signore.“Dal suo aspetto, sembra sistemato discretamente bene, ma è
un uomo di fatica… è recentemente stato al porto?” Aggiunse l’ultima parte come
un tentativo, non voleva offendere l’irlandese.
“Sì, come lo ha capito questo?” Chiese Adams,
tendendosi con vivo interesse.
“I vostri vestiti sono puliti, ma non nuovi.
E le vostre maniche hanno iniziato a rovinarsi nei gomiti. I guanti sono del
tipo che indossano gli uomini che di solito lavorano fuori… in un deposito di
legname o forse al porto?”
“Eccellente, Watson!” Urlò Holmes,
battendogli una mano sulla spalla. “Deduce
qualcos’altro?”
Watson fece scorrere lo sguardo da Holmes a Adams. A parte il fatto che
l’uomo era ovviamente irlandese, e alcune caratteristiche prima menzionate, non
riusciva a vedere altro.
“Nient’altro, Watson?”
Il dottore scosse la testa. “No, Holmes.”
Guardò il suo amico interrogativamente. C’era una mal nascosta espressione di divertimento sulla faccia del
detective. Guardò il signor Adams, sul
cui viso stava nascendo un sorriso simile. “Cosa sta succedendo, Holmes?
Se è un qualche tipo di scherzo, non riesco a…” Fu interrotto dalla dolce,
allegra risata della signorina Andrews, ma non la vedeva da nessuna parte.
Immediatamente realizzò da dove veniva e scatto sulla sedia. “Buon Dio!”
Questa reazione produsse uno scroscio di
calorose risate da parte Holmes.
Watson non poté fare altro che ridere anche
lui. “Mio Dio.” Disse con
incredulità, passandosi le dita fra i capelli. “Signorina Andrews? ”
“Salve, dottore.” Si alzò e fece un inchino.
“Sono riuscita a sorprenderla?”
Lui rise, sedendosi di nuovo. “Direi proprio
di si. Non ne avevo idea.”
La risata di Holmes divenne un ridacchiare sporadico e si sedette anche lui.
“Allora, signor Holmes?” chiese Christine,
guardandolo in attesa.
“Allora cosa?” Chiese Watson, guardando da
uno all’altro, ora quasi serio.
“Ho raggiunto i suoi standard? Posso andare?”
“Standard per cosa? Di cosa sta parlando
Holmes? Andare dove?”
“In incognito, per incontrare John McBee.”
Rispose Holmes.
“John McBee! Quando ha scoperto dove…”
Spalancò gli occhi. “Holmes, non può lasciarla andare! Signorina Andrews,
non deve.” Si girò verso di lei.
“Dottor Watson.” Disse fermamente. “È una mia idea. È il mio caso, dopo tutto, e non
voglio starmene seduta qua senza
far niente. Voglio aiutare. Sono molto determinata.” Aggiunse quando il dottore
aprì la bocca per protestare.
“La sua performance è stata soddisfacente,
signorina Andrews. Ho detto che sarebbe potuta andare se avesse ingannato
Watson e così ha fatto.” Disse il detective freddamente.
“Grazie…”
“Ma ripeto, signorina Andrews. Deve ascoltare
e tener conto di ogni mia istruzione, non importa quanto insignificante possa
sembrare.”
“Sì, signore.”
“Ora, se vuole andare a rimettersi i suoi vestiti, la aiuterò con il trucco.”
Non appena lasciò la stanza, Watson si girò
verso Holmes con un’inquieta voce sommessa. “Non può lasciarla andare, Holmes.
Cosa mai l’ha convinta ha lasciarle fare una cosa del genere?”
“Lo ha fatto lei, Watson. Come ha visto, è un’attrice di talento.”
“Questa non
è una buona ragione, Holmes.”
“John
McBee è Robert Caine, Watson.”
“Robert Caine? Il suo amico Caine? L’attore?”
“Non direi così facilmente che è un amico.
Solamente un collega. E si è dato al crimine, sembra. Ma mi conosce e in questo
risiede il problema.”
“Lei e
i suoi travestimenti.”
“Precisamente. E conosce lei di vista”
“Ci ha fatto conoscere tempo fa andando a
teatro. Ricordo… Ma la signorina Andrews, Holmes? È veramente troppo pericoloso.”
“Non sarà sola, Watson. C’è un negozio di
pollame dall’altra parte della strada; possiamo aspettarla lì.”
7 Marzo
1895.
Il signor Holmes ha acconsentito a
lasciarmi andare a visitare Robert Caine domani, travestita da irlandese,
Daniel Adams.
Non nego di essere nervosa. Ma devo
pensare che è solo un’altra rappresentazione. Andrà tutto bene. Ho sistemato i pantaloni per il
travestimento, erano un po’ lunghi per me. A proposito, il signor Holmes mi ha
dato il costume. Ha detto di non averle
usato da un po’ di tempo e, dal loro aspetto,
mi fa pensare che la parrucca e le sopracciglia siano le stesse che ha usato
per il travestimento da vetturino in Uno Scandalo in Boemia.
Sono molto contenta che mi abbia dato
questa opportunità. Non pensavo di essere in grado di convincerlo, ma credo di
averlo fatto.
Speriamo di trovare presto Jason e la macchina del tempo,
ma nel frattempo mi godo la mia permanenza a Baker Street. La signora Hudson è
molto gentile, è sempre pronta ad aiutarmi con i miei vestiti (che sono
bellissimi, spero di poterli portare come me a casa).
Smise di
scrivere, pensando a casa. Pensò a come stavano tutti, a cosa stavano facendo.
Pensò a Walter, a Tom e Gina.
Con uno shock si ricordò che Tom e Gina erano
morti. Jason e i suoi uomini li avevano uccisi.
La mano che teneva la penna tremava, la serrò a pugno. Gli occhi si strinsero
e la bocca divenne un linea tesa. Ti
prenderò, Jason. Devi solo aspettare. Stiamo venendo a prenderti. E quando ti
avrò portato dalla polizia rimpiangerai di aver messo gli occhi su di me.
Devi solo aspettare.
-------
Le cose si smuovono sempre di più, stavolta in
maniera più decisa. Nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle!
Grazie mille a tutti per i complimenti, sono
contenta che la storia vi piaccia :).
Bebbe5: si, Christine ha, per ora, un comportamento
abbastanza normale, tirerà fuori le sue capacità a breve, già nel prossimo
capitolo. Spero possa continuare a piacerti. Ho poi visto il nuovo telefilm di
cui avevo accennato. Carino per tre quarti, si perde proprio sul finale. Non
voglio spoilerare, dico solo che chi scrive le storie non è in grado di gestire
il ragionamento deduttivo e neanche lo spiega. Siete molto più bravi qui!
ISI: in effetti questo Watson è proprio gentile,
invidio anch'io un po' Christine :). Per quanto riguarda Holmes...posso
assicurarti che non va a finire come l'episodiodi Starsky e Hutch, decisamente
no XD!!
Alchimista: la scena del corsetto era
piaciuta molto anche a me, non la invidio proprio :)). I cattivoni si sono
fatti vedere, ma posso anticipare che sono peggio di come sono apparsi in
questo capitolo. Holmes dovrà lavorare parecchio per sistemarli, non sono tipo
facili.
Spero di avervi incuriosito abbastanza, a presto
per il prossimo capitolo!! ^_^
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Capitolo 7 *** Il corridore ***
Capitolo 7
Capitolo sette: Il corridore
Christine non mangiò molto a colazione, la
mattina successiva. Holmes sorseggiò giusto del tè, causando l’agitazione della
signora Hudson quando portò via il piatto.
Finendo le sue uova, Watson appoggiò il cucchiaio e fissò il suo
sguardo sulla signorina Andrews. “È
sicura di volerlo fare?”
“Sì.” Rispose lei senza esitazioni, guardandolo dritto negli occhi. “Voglio fare
tutto ciò che è possibile per
aiutare. Abbiamo bisogno di trovare Jason.” Disse il nome infilzando il
prosciutto, attirando l’attenzione di Holmes che guardò verso di lei.
E’
irritata, pensò. Anzi, arrabbiata. E
molto determinata. Con questo atteggiamento non potrà deludere. L’orologio
suonò le undici, interrompendo le
sue osservazioni. Si spostò dal tavolo, sfregandosi
le mani per un attimo. “Iniziamo a prepararla, signorina Andrews?”
Lei finì il
prosciutto e annuì.
Holmes andò nella sua stanza e recuperò il
travestimento. “Ecco qui, signorina Andrews. Quando torna, porti le sue scarpe.
Le mie sono troppo grandi. Sono sorpreso che non l’abbia notato ieri, Watson.”
“Era seduta,
Holmes.”
Christine prese i vestiti e lasciò la stanza.
“Continua a non piacermi, Holmes.”
“Lo so, Watson. Preferirei andarci io, ma non
possiamo correre un tale rischio. Se lo perdiamo, potremmo perdere tutto. Le
saremo vicini, ricordi, se
qualcosa dovesse andare storto.”
“Sì, mi ricordo.”
“Abbia fede nella ragazza, Watson.” Nel
momento in cui le parole lasciarono le sue
labbra, istantaneamente chiuse la bocca. Sapeva che Watson lo stava
guardando sorpreso per questa dichiarazione e si girò verso il camino per prendere la custodia delle sigarette. Abbia fede nella ragazza… Le sue stesse
parole gli risuonarono nella testa. Riporre fede in una donna era qualcosa di
raro per lui. Tutto di quel sesso appariva così sciocco, così emotivo, così
imprevedibile e così crudele che sembrava ci fosse poco di cui aver fiducia.
Ma la signorina Andrews non aveva ancora dato
nessun motivo per non avere fiducia in lei. Fin’ora era stata molto calma e
abbastanza razionale su tutto, benché un po’ imprevedibile… la sua arrampicata sul tetto lo aveva
infatti colto di sorpresa.
E lei aveva, in effetti, riposto volentieri
tutta la sua fiducia in lui.
Sentendo che gli occhi di Watson erano ancora
fissi su di lui, accese una sigaretta e si
lasciò cadere di colpo sulla sua sedia come se non fosse successo
niente.
Non è successo
niente, pensò tra sé. Ho
semplicemente affermato di avere un po’ di fiducia nella signorina Andrews.
Credo sia in grado di ottenere
le informazioni che ci servono. Altrimenti non le avrei dato il mio consenso.
Contento di questa
logica, unì le mani sul petto, appoggiando la testa indietro e lasciando che il
fumo della sigaretta lo circondasse.
“Signor Holmes? Dottor Watson, si è
addormentato?”
La sommessa voce femminile penetrò attraverso
densi strati di sonno e lui si
mise seduto dritto.
“Oh, pensavo si fosse addormentato, signore.”
Lui si sfregò gli occhi e sorrise per un momento. “Lo ero.”
Non aveva dormito molto la notte precedente, e succedeva spesso quando lavorava
a quel modo. Si girò per guardarla. O guardarlo, piuttosto. Era in piedi, con i
suoi capelli rossi sotto al cappello, e lo
stava scrutando. La sua voce naturale sembrava quasi fuori luogo da
sotto quei baffi.
“Mi scusi se l’ho svegliata.” Disse lei.
Lui fece un gesto
noncurante con la mano.
“Ecco le mie scarpe.”
“Ah, eccellente. Credo di avere del lucido
per scarpe scuro che coprirà le parti bianche in modo sufficiente.” Prese le
scarpe e si fiondò nella sua stanza dove rimase per alcuni minuti. Quando ne
emerse, le scarpe di Christine erano completamente scure. “Così dovrà bastare.” Disse il
detective. “Dubito che qualcuno guarderà ai suoi piedi, specialmente con i
pantaloni così lunghi.”
Lei annuì e, facendo attenzione a non
sporcarsi di lucido, indossò le scarpe.
“Oh, signorina
Andrews.” Disse Watson.
Alzò lo sguardo dai lacci. “Hmm?”
“Il ciondolo.” Le porse la mano.
“Oh.” Portò le mani intorno al collo e
sganciò la catenina. La mise nel suo palmo. “Grazie.”
“La metterò nel mio cassetto Watson.” Disse
Holmes con una nota di fastidio nella voce e prese la collana. Dopo averla
riposta si sfregò le mani. “Adesso rivediamo ancora una volta il piano, signorina Andrews. È…” Si girò sui talloni per vedere l’orologio sulla mensola. “…un
quarto a mezzogiorno. Raggiungeremo Bethnal Green intorno a mezzogiorno, quindi
potrà far visita a Caine. Secondo i miei Irregolari sarà in casa. La padrona di
casa risponderà alla porta e lei…” Le
fece cenno con la testa di continuare.
“Chiederò di Robert Caine. Se la donna chiede perché, le dirò che ho
avuto un periodo di sfortuna e ho sentito che Robert Caine avrebbe potuto
aiutarmi a trovare un lavoro. Quindi aspetterò che arrivi e, una volta
arrivato, gli dirò ciò che ho detto alla padrona di casa. Se non volesse darmi
alcuna informazione, ripeterò solo di essere in serio bisogno di lavoro e il
tipo di lavoro che sta facendo è adatto a me.”
“Bene. E se dovesse trovarsi in qualunque
tipo di pericolo?”
“Vado via a tutta velocità.”
“E qual è il segnale, nel caso avesse bisogno
del nostro aiuto?”
“Mi sistemo il cappello.” Rispose lei sorridendo.
Holmes annuì. “Ben fatto, signorina Andrews.
Ah, sento la carrozza. Bene, Watson, ci mettiamo in cammino?”
Holmes si diresse verso la porta d’ingresso e
la aprì. Si guardò intorno rapidamente, fece un breve gesto col bastone da
passeggio e Christine scattò verso la carrozza. Erano ancora cauti nel caso
l’appartamento fosse sorvegliato, ma l’area sembrava sicura e il dottore e il
detective la seguirono subito.
“Grazie per aver distratto la signora Hudson,
dottore.” Disse Christine una volta che la carrozza fu in viaggio verso Bethnal
Green. “Non so proprio come avrebbe potuto reagire al mio travestimento. E se
dovesse cercarmi mentre siamo via?”
“Le abbiamo detto che l’avremmo portata
fuori.” Rispose Holmes. “Si aspetta che lei sia assente tutto il giorno.”
“Oh, bene. Non voglio proprio farla
preoccupare. Odio quando la gente si preoccupa.” Volse il suo sguardo verso il
finestrino.
“È
sicura di avere tutto chiaro riguardo al piano, signorina Andrews?” Chiese
Holmes. “Signorina Andrews?” Ripeté, sembrava che lei non lo avesse sentito.
Il suo sguardo era fisso su qualcosa nella strada.
“Che cosa sta guardando?”
“Sto guardando come camminano gli uomini.”
Rispose, tenendo il suo sguardo fuori dal finestrino.
Watson sorrise a Holmes che gli rispose con
un’espressione divertita. Ma il suo viso tornò istantaneamente serio.
“Signorina Andrews.”
“Sì, signor Holmes?”
“È
assolutamente sicura di essere in grado di andare avanti con questa storia?”
“Sì, signor Holmes.” Rispose lei fermamente.
“Non voglio deluderla.”
Altri dieci minuti e arrivarono a
destinazione. La carrozza la fermò a due isolati di distanza, quindi girò intorno
all’isolato per lasciare Holmes e Watson nell’isolato di fianco.
Lei aspettò finché li vide nascondersi nel
negozio di pollame, prima di dirigersi verso il 323 di Bethnal Green Road. Era
stata in Bethnal Green molte volte prima che quel pasticcio la portasse lì e
non le sembrò fosse cambiata molto. Molti palazzi c'erano ancora nel suo tempo e molti che vedeva non esistevano
più, ma era sempre lo stesso reticolo
di strade laterali, viuzze e vicoli ciechi che lei ricordava.
Guardandosi intorno
si rese conto che era la parte povera
della città. I palazzi erano vecchi, alquanto
malandati, e tutte le strade erano scure, luoghi bui e sinistri.
Holmes e Watson la osservavano senza farsi notare dall’altra parte della strada.
“È
meravigliosa Holmes.” Disse piano Watson al suo compagno.
Holmes sorrise e annuì d’accordo. Gli
ritornarono alla mente le parole di Christine. Sto guardando come camminano gli uomini. Se non avesse saputo che
era una donna quella che stava
guardando, avrebbe ingannato anche lui.
Le braccia ciondoloni ai lati, tenute larghe,
ma non innaturali, con passo
fermo, il “signor Adams” camminava verso la casa di Caine.
Christine era contenta che il travestimento
fosse così scrupoloso. Il cappello e la parrucca erano assicurati con numerose
forcine e alcuni adesivi applicati sulla fronte. I baffi erano assicurati molto
bene. Holmes certamente sapeva come travestirsi.
Si toccò il cappello quando due donne le passarono affianco, mentre loro
facevano un cenno di assenso, sorridendo.
Prima di rendersene conto aveva raggiunto la
porta di Caine. Fece un profondo respiro. Okay,
Christine. DEVI farlo. Andrà tutto bene, è solo un’altra interpretazione. Il
signor Holmes e il dottor Watson contano su di te. Lo puoi fare. Andiamo!
Bussò velocemente alla porta.
Un’anziana donna, magra e con i capelli scuri, aprì la porta. “Buongiorno, posso
aiutarla?”
“Buon pomeriggio, signora.” Disse con accento
irlandese, toccandosi il cappello. “È
in casa Robert Caine?”
“Si. Posso chiedere chi lo cerca?”
“Danny Adams, signora. Non mi conosce, ma
spero possa aiutarmi a trovare un lavoro. Ho avuto un periodo sfortunato, capisce, e il suo lavoro sembra a
posto.”
La governante esaminò Christine e disse.
“Solo un momento, lo vado a chiamare.”
“Grazie, è gentile signora.” Toccò di nuovo
il cappello per salutarla. “Aspetterò qui.”
Dopo che la governante ebbe chiuso la porta, Christine rimase con le mani
guantate ordinatamente unite dietro la schiena, dondolandosi sulle punte. Dopo
qualche minuto iniziò a cantare un vecchio motivo irlandese sottovoce, uno di
quelli che le cantava spesso suo nonno.
"…all
around the blooming heather, will ye go, lassie go…and we'll all go togeth…"
Si
fermò di colpo, quando la tenda della finestra scattò per un momento alla sua
destra, chiudendosi di nuovo di fretta.
Si mise dritta e aspettò che la porta si
aprisse, ma non lo fece.
Aggrottò le sopracciglia. Sta succedendo qualcosa di sospetto qui. Un
breve grido la fece voltare dalla porta alla finestra. Sembrava di una donna e
veniva da dentro la casa. Dopo un secondo di esitazione bussò alla porta.
“Signora?” Chiamò forte, calcando molto sull’accento. Si guardò prima intorno
nelle vicinanze, lanciando un’occhiata verso Watson e Holmes nella polleria,
quindi si mosse verso la finestra. Attraverso uno spiraglio nelle tende, poté
vedere la padrona di casa stesa al suolo, con un brutto bozzo che andava
formandosi sulla fronte. “Ehi!”
Urlò. Si attaccò al pomello della porta, ma un forte rumore nel vicolo la fece
allontanare.
Holmes e Watson seguivano ogni sua mossa.
Quando corse dalla porta fino al
lato della casa, la bocca di Holmes si strinse. Cos’aveva visto?
“Holmes!” Sussurrò improvvisamente Watson e
puntò il dito.
C’era un uomo sul tetto. Holmes riconobbe
subito le lunghe gambe e le larghe spalle di Robert Caine. Mentre l'uomo percorreva il tetto verso
quello successivo, un’altra figura arrivò in vista. Persino dall’altra parte
della strada, attraverso la porta della polleria, Holmes poté sentire la voce
irlandese urlare “Fermo!” e le labbra si strinsero ancora di più.
Caine si girò al grido di Christine e i suoi occhi si spalancarono. Quindi,
con uno scatto di energia e un salto, era sul tetto successivo correndo a
perdifiato.
“Ehi!”
Urlò ancora lei e lo seguì. Mentre faceva un gran rumore correndo sulle tegole, e saltava lo stretto spazio tra la casa di Caine e
quella accanto, aveva in testa
un solo pensiero: Il signor Holmes mi
ucciderà.
Guardò Caine saltare giù dal tetto e sentì un
acuto rumore di metallo. Scala
antincendio, realizzò. Mentre si
preparava per saltare anche lei, vide Caine sotto di lei e lo guardò con
stupore.
Quando saltò giù dalla scala antincendio distante da terreno, cadde e rotolò
come una palla. Non si fermò neanche un secondo prima di rimettersi di nuovo in
piedi e riprendere a correre ancora. Un cumulo di casse da imballaggio si ergeva davanti a lui, ma, usando le mani per far leva, li saltò
efficacemente e continuò la sua corsa.
Accidenti, è il free running! O qualcosa di
molto simile! Pensò con stupore.
Serrò la mandibola con determinazione
e si arrampicò giù dalla scala antincendio. Bene,
a questo gioco si può giocare in due.
Saltò dalla scala antincendio proprio come aveva fatto lui poco prima, cadendo,
rotolando e rimettendosi a correre.
Proprio mentre superava le casse, lo
vide svoltare l'angolo del vicolo.
Non appena videro
la signorina Andrews inseguire Caine lungo il tetto, Holmes e Watson corsero
dall’altro lato della strada per cercare di intercettarli. Ma nel tempo che
impiegarono, i due erano già alla
seconda casa e stavano saltando giù
dalla scala antincendio.
Guardarono affascinati sia Caine che la
signorina Andrews seguire lo stesso
percorso, correndo a massima velocità senza rallentare, nonostante gli ostacoli sulla via.
“Andiamo, Watson!” Gridò Holmes. Corse verso
la strada successiva che sapeva collegata con la strada laterale che la signorina Andrews e Caine stavano imboccando.
Christine sbandò girando l’angolo, restando alle calcagna di Robert
Caine. “Fermo!” Urlò, anche se sapeva non l’avrebbe fatto.
Lui guardò indietro, accigliandosi per un
momento, prima di deviare bruscamente lungo la strada successiva. Un tiro a due
arrivò improvvisamente davanti a lui, ma lui usò la sella
come una piattaforma di lancio e superò il cavallo.
“Mi scusi, signore!” Urlò Christine al
vetturino che li guardava sorpreso. Alzò il cappello quando gli passò accanto,
ancora correndo.
Quando lasciò la carrozza alle spalle, si assicurò di avere Caine sempre in vista. Girarono l’angolo e
Christine scorse il nome della
via. Cheshire Street, lesse. Poi mentre girava, pensò Oh no.
Prima passarono un mercato animato, pieno di
gente, animali, bancarelle e prodotti. Un brutto posto per inseguire qualcuno,
ma un buon posto per perdere qualcuno.
Individuò un ghigno sulla faccia di Caine
quando si buttò proprio dentro la folla. Oh
no, non puoi! Non te ne andrai così facilmente! Invece di andare incontro
alla folla di persone, sfrecciò a sinistra per correre dietro le bancarelle. La
strada era stretta, le bancarelle erano sistemate lungo il marciapiede, ma
aveva abbastanza spazio. Raggiunse facilmente Caine e correva alla pari con lui, sebbene lui non ne fosse consapevole.
Lui guardò prima dietro e un’espressione
perplessa, ma soddisfatta, gli
si dipinse sulla faccia. Il ghigno rimase mentre iniziava a rallentare, ma a
quel punto la testa si volse in
direzione di lei. I suoi occhi
si spalancarono quando la vide, e poi si assottigliarono quando digrignò i
denti, guardando avanti e accelerando di nuovo. Lei fece lo stesso,
deviando bruscamente per un vecchio venditore e saltando un cesto di mele.
Adesso avanti, Caine era appena riuscito a
far aprire la folla. Christine l’avrebbe perso se non usciva da lì subito.
“Attenta!” Urlò ad una donna davanti
ad una bancarella e la superò. Mettendo le mani sul bordo della piattaforma di
legno componeva la bancarella,
spinse le gambe tra il tendone della
bancarella e i cespi di lattuga che la donna stava vendendo. Atterrò solidamente sul lastricato, ma non esitò a riprendere
a correre, malgrado le urla indignate della donna.
Holmes e Watson stavano pedinando i due fin da Bethnal Greed Road. Avevano preso tutte le scorciatoie
conosciute da Holmes per stare al passo.
Persino così restavano indietro
nell'inseguimento.
“Guardi!” Urlò il detective quando
raggiunsero Brick Lane. Caine aveva appena svoltato da Cheshire Street.
“Ma dov’è la signorina… er, il signor Adams?”
Ansimò Watson.
“Non lo vedo ancora. Andiamo Watson!”
I due accelerarono un po’, seguendo Caine
mentre si affrettavano lungo la via. Alla fine del vicolo, prima di imboccare
l’adiacente Wilkes Street, c’era un muro di mattoni che confinava da entrambi i lati con alti palazzi.
L’uomo salì su una pila di casse di
legno per raggiungere la cima del muro, quindi prevenne qualunque
inseguimento dando un calcio alla pila. Fece una risata trionfante, ma ansante,
e scese dalla parte opposta, fuori dalla vista.
“Lo abbiamo perso!” Ringhiò Holmes,
rallentando fino a fermarsi nel vicolo.
“Forse possiamo ancora isolarlo…” Iniziò
Watson.
“Attenti, signor Holmes! Dottore!”
I due si girarono sorpresi per vedere
Christine raggiungere il vicolo.
“Non può andare oltre il muro!” Urlò il
dottore quando sfrecciò di fianco a lui.
“Mi guardi!” Gli rispose.
Corse non verso il muro, ma all’angolo dove
il muro e uno dei palazzi si incontravano. All’ultimo momento, prima di
schiantarsi, saltò nell’aria, piantando un piede nel muro. Si diede la spinta con quel piede, e piazzò
l'altro contro il palazzo, dandosi di nuovo una spinta, procedendo così
fino a che raggiunse la cima del muro.
Fu fatto tutto così velocemente che Holmes e
Watson non riuscivano a credere
ai loro occhi. Holmes guardò come trovava la posizione e balzava giù dal muro. Mentre lo faceva il suo
sguardo fu catturato dal cappotto di
lei... c’era qualcosa di strano. Sembrava
come se nella tasca sinistra ci fosse qualcosa… qualcosa di piuttosto
pesante, per cui oscillava meno facilmente rispetto all’altra tasca e le sbatteva contro la coscia.
Mentre ragionava su questo, la sentì
atterrare sulla pavimentazione
dall’altra parte e la sua voce che
gridava, “Lo prenderò, signore!” Dopodiché sentì soltanto lo scalpiccio di passi affrettati.
Gli tornarono in mente le sue stesse parole. Abbia fede nella ragazza… Si voltò per
correre velocemente indietro nella via, di nuovo sulla strada principale. Toccò
brevemente la spalla di Watson, sapeva che tutto quel correre metteva a dura
prova la vecchia ferita di guerra del suo amico.
“Arrivo Holmes!” Disse il dottore in risposta
e ricominciò a correre.
Nel frattempo, Christine era riuscita a individuare di nuovo Caine. Aveva svoltato da Wilkes Street ed era tornato in Brick Lane. Stava
cominciando a rallentare, pensando di averla seminata di nuovo. Ma si accorse
di lei a Wentworth, urlando e accelerando
di nuovo il passo.
Arrivarono ad una scalinata e lui scese
saltando tre gradini alla volta, bilanciando il suo corpo in modo da
superare gli ultimi tre saltando dalla ringhiera, per raggiungere la strada più
velocemente.
Prendendo la
rincorsa, Christine saltò tuffandosi giù delle scale per atterrare con una
capriola in fondo ad esse. Si rialzò in
piedi e riprese la corsa che andava rallentando. Ma anche Caine si stava
stancando. Non si muoveva più
velocemente come prima e adesso correva con una certa disperazione.
Ma continuò
comunque a correre, da Wentworth al
Middlesex, dove Christine prese una scorciatoia su una strada parallela cercando
di intercettarlo. Gli era
veramente vicina adesso; pochi passi li separavano mentre correvano lungo
Mansell Street e per altre numerose strade. Prima che lei
lo sapesse, stavano correndo lungo la riva del Tamigi, schivando carrozze e
passanti. Saltarono oltre steccati, si
infilarono per stradine laterali, una volta corsero addirittura
attraverso la porta posteriore fino a quella anteriore di un barbiere. Lui fece
di tutto per liberarsi di lei,
ma non ne fu capace.
Alla fine raggiunsero il ponte di Southwark, che Christine notò era
curiosamente fatto di ferro e granito, rispetto alla moderna arcata a cui era
abituata. Fu questo ponte che Caine attraversò, facendo rovesciare una carrozza
contro cui si era quasi scontrato.
Fece un’ultima accelerazione che lasciò Christine molto più indietro. Lui era
ormai a trenta metri quando deviò bruscamente verso il parapetto e guardò di sotto. Le diede un’ultima occhiata,
salì sul parapetto e saltò.
Si lasciò scappare un grido di sgomento quando lui precipitò. Ma con suo totale stupore, lui non toccò l’acqua.
Un barcone stava passando sotto al ponte, proprio mentre lui guardava di sotto,
e Caine aveva saputo di potercela fare.
E l'aveva fatto. Cadde sul ponte
coperto e rotolò. Si rimise in piedi
con difficoltà dopo qualche momento e le fece un segno con aria di
sfida.
Ma quello che Caine non si aspettava di
vedere era il suo inseguitore imitarlo in ogni movimento. Guardò lo spazio tra
la fine del barcone e il ponte. C’era ancora
abbastanza spazio per farlo! Non
può farlo… Lo fa! Sta per saltare! Urlava la mente di Caine. E proprio mentre questo pensiero gli passava
nel cervello, sentì un grido e vide la figura arrivare catapultandosi sul ponte del barcone.
Christine sentì lo shock lungo tutto il corpo
quando toccò la dura superficie di legno. Ma era tutta intera, nessun osso
rotto. Se non fosse stata una ginnasta, e se con suo cugino non avesse corso
spesso lungo le strade di Londra e New York, non avrebbe mai fatto quel salto.
Comunque gemette mentre barcollava per trovare l’equilibro.
Quando guardò per vedere dove fosse Caine, quasi imprecò. Era sul bordo del
barcone, preparandosi a saltare sulla banchina allineata lungo il Tamigi.
Non si
ferma mai questo tizio? Pensò
arrabbiata. Stava diventando
ridicolo. Respirò pesantemente e oltrepassò
di corsa uno sbalordito uomo dell’equipaggio che li aveva visti entrambi
saltare dal ponte.
Lo spazio tra il
barcone e la banchina era breve e, con il barcone che stava caricando, Caine
fece il salto facilmente. Christine poteva vedere i suoi passi che spingevano forte contro il
pavimento adesso: era più che
determinato a farle mangiare la polvere.
Lo inseguì fino a che sentì un fischio acuto
dietro di lei. Diede un’occhiata sopra la sua spalla e vide due poliziotti
correre dietro di lei, fischiando forte.
Oh, grande! Devono averci visto saltare
dal ponte. Ma non poteva fermarsi adesso, neppure per la polizia. Avrebbe perso Caine!
Fece una brusca
svolta nella strada laterale dove Caine
era andato. Lui adesso stava rallentando drasticamente, malgrado la sua
determinazione a lasciarla alle spalle. Stava guadagnando velocemente. Devo prenderlo adesso o è finita! Con un
ultimo guizzo di energia, si lanciò sulle sue gambe. Entrambi caddero
pesantemente per terra.
Caine urlò e cerco di scrollarsela di dosso,
ma lei lo tenne stretto. Malgrado la sua presa lui riuscì a liberarsi un piede
e fu tutto quello che gli serviva.
Vide la lunga gamba e la dura suola della scarpa arrivarle sulla faccia,
ma non ebbe tempo di reagire. Porca
miseria, fu il suo ultimo pensiero prima del terribile colpo. Stelle
brillanti le si formarono
davanti agli occhi, danzando follemente prima di sprofondare nella totale oscurità.
----------
Ouch, stavolta il calcione era
inevitabile. Ho perso qualche anno di vita nel tradurre questo capitolo. La
prima volta che ho letto la parte dell’inseguimento non c’ho capito niente,
solo che saltavano e correvano qua e là. Spero di essere riuscita a renderlo in
maniera comprensibile, questa volta non sono molto soddisfatta. Tranquilli, non
lascerò Christine incosciente troppo a lungo, vedrò di aggiornare al più presto
:)).
Alchimista: Ovviamente Christine non ha
seguito per niente il piano, chissà come reagirà Holmes… Qui lei non la scampa,
quando vi dicevo che sarebbe infine emerso il fattore Mary-Sue mi riferivo
proprio a questo capitolo. Sarà però che continuo a vederla come una ragazza
del XXI secolo, saranno le premesse che è una ginnasta, in fondo ci sta che sia
così “capace”. Apprezzo poi la sua ironia, non risulta mai pesante. Grazie per
i complimenti, è un incentivo ad andare avanti con la traduzione ;))).
Bebbe5: Il povero Watson usato come
cavia mi ha fatto sorridere, poveraccio, meno male che ha molto senso
dell’umorismo ^_^’. Per quanto riguarda il paragone, credo proprio che molti
autori di fan fiction possano tranquillamente insegnare ad alcuni autori
televisivi-cinematografici. Voi vi impegnate a trovare una spiegazione
credibile alle argomentazioni di Holmes, cosa da ammirare. Chi scrive per
lavoro, invece, pensa che tanto la gente non si accorgerà della differenza,
cosa importa se Holmes tira a indovinare? E’ un gran peccato :(. Ma quanto
blatero…Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo, grazie tante per il
sostegno!! ^_^
|
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Capitolo 8 *** Ricompensa ***
Capitolo otto
Capitolo otto: Ricompensa.
Quando Christine si riprese, Caine era alla fine del vicolo e i fischi dei
poliziotti risuonavano forti dietro di lei. Era rimasta priva di sensi per
pochi secondi! Si sfregò l’occhio sinistro dove le stelle continuavano a
scoppiettare, ma si alzò e corse con fervore dietro Caine.
Cercò dentro la tasca sinistra e prese il tirapugni. Lo aveva riposto lì nel
caso le cose fossero cambiate, come un impulso del momento. Non col pensiero di
far del male. Lo indossò nella mano destra. “Hey!” Gli urlò dietro.
Caine si girò sorpreso e lei alzò il pugno. I suoi occhi si spalancarono, ma
non aveva né modo né tempo di fare altro. Il tirapugni si scontrò solidamente
contro la sua mandibole e vacillò. Christine piantò un fermo pugno anche sullo
stomaco, facendolo piegare in due. Si preparò a dare un altro colpo, ma non era
necessario.
Robert Caine giaceva sulla strada, incosciente. Si fermò di fianco a lui,
respirando pesantemente, inciampando
all’indietro e scontrandosi contro il muro, riponendo il tirapugni nella tasca.
Se Caine non fosse stato anch’egli così stanco, dubitava sarebbe stato così
facile metterlo al tappeto. I fischi dei poliziotti risuonavano ancora e un
giovane agente girò l’angolo. “Fermi! Siete in…” Si fermò di colpo quando vide
lei appoggiata e Caine a terra.
“Siete in arresto. ” Disse risolutamente,
puntando verso di lei e brandendo un manganello. Il suo compagno, un agente,
girò l’angolo, diede un’occhiata a lei e una all’uomo per terra. Quindi aprì la
bocca per rinnovare quello che il compagno aveva appena detto, ma diede
un’altra occhiata a Caine. “Santo cielo!” sussurrò con gli occhi spalancati.
“Cosa? Cosa c’è?” Chiese il giovane agente tenendo ancora sott’occhio
Christine che era troppo esausta per protestare.
“Higgins, hai capito chi è questo?” Chiese l’agente con tono sommesso.
“Chi è, MacPherson?”
“E’ Peter Wildes! La cicatrice e la descrizione coincidono! Buon Dio, lo
avete preso!” MacPherson girò una faccia scioccata verso Christine.
Lei lo guardò semplicemente stanca, incerta su cosa dire.
“Per Giove!” Rise MacPherson e afferrò la sua mano. La scosse su e giù
calorosamente. “Ben fatto!”
“Er, grazie.” Replicò sorpresa.
“Sei sicuro sia lui?” Chiese Higgins dubbioso, impugnando il manganello.
“Dai un’occhiata tu stesso!”
Higgins si chino su Caine. “Accidenti, è
Wildes!”
“Svelto, corri a chiamare aiuto!” Ordinò MacPherson. “Dobbiamo portarlo alla
stazione.”
“Si signore!” Disse Higgins e obbediente corse via.
Oh no, pensò Christine. Ho perso Caine comunque. A meno che…a meno
che non vada con loro. Cercò di pensare ad una scusa sensata per andare, ma
era troppo stanca e le stava venendo un mal di testa che prometteva di
diventare molto fastidioso in seguito.
“Oh, le hai prese, eh?” Chiese
MacPherson.
"Eh?"
Puntò un dito sulla sua faccia.
Lei alzò la mano e delicatamente toccò l’area intorno all’occhio sinistro. Contrasse
il viso e ritrasse le dita dalla pelle ferita.
“Perché non viene con noi alla stazione, signor…?”
"Adams. Daniel Adams."
“Venga con noi, signor Adams, e le daremo un sistemata. No, insisto.” Disse
fermamente quando Christine aprì la bocca in segno di protesta.
“Grazie signore.” Toccò leggermente il cappello. E’ incredibile che non abbia perso il cappello durante l’inseguimento. Per
non parlare della parrucca! Siano lodate le forcine per capelli.
“Sento il cellulare.” Disse. “Andiamo, signor Adams, mi aiuti a portarlo
dentro.”
Dopo aver corso per chissà quanto, trasportare un uomo incosciente era
l’ultima cosa che Christine voleva fare, ma fu obbligata. Dopo averlo
ammanettato, MacPherson prese Caine da sotto le braccia e lei per i piedi,
insieme lo portarono dal vicolo alla strada principale dove un cellulare della
polizia stava aspettando. “Ben fatto, Higgins, è stato veloce.”
“Si, signore. Erano già sulla nostra strada. Voi! Andate via!” Disse forte
Higgins ad una folla considerevole che andava formandosi. Il giovane agente e
uno dei suoi compagni stavano alzando le mani e urlando: “Non c’è niente da
vedere qui. Tornate al vostro lavoro.”
“Oh! C’è uno degli uomini che è saltato giù dal Southwark!” Urlò qualcuno,
puntando un dito su Christine.
“State indietro!” Urlò Higgins.
“Non presti loro nessuna attenzione, signor Adams. E’ saltato giù dal ponte
per catturare Wildes. Che salto!” MacPherson grugnì quando tirarono su il corpo
di Caine dentro al cellulare.
Altri tre ufficiali di fianco a Higgins sedettero dietro con Caine.
MacPherson disse a Christine di sedere davanti con lui.
Proprio mentre stava per salire sul sellino, notò una faccia familiare nella
folla. “Ehi! Ehi tu! Ragazzo!”
Il ragazzino, che lei riconobbe come uno degli Irregolari di Holmes, si
voltò al richiamo. “Io?” Chiese, puntando un dito verso sé stesso.
“Si. Vieni qui.” Il ragazzo si avvicinò e lei si abbassò alla sua altezza. “Tu
conosci il signor Sherlock Holmes, vero?”
La sua piccola faccia si rallegrò. “Si signore!”
“Bene, voglio che tu mi faccia un favore. Il mio nome è Adams. Voglio che
trovi il signor Holmes, è qui intorno da qualche parte, gli dica che ho preso
Caine e che sto andando a Scotland Yard. Puoi farlo?”
Lui annuì.
Si fece ripetere il messaggio e lo mandò per la sua strada. “Grazie!” Gli
urlò dietro. Vide la sua figura dileguarsi seguita da altri ragazzi, quindi si
girò per salire sul sedile. Si schiarì la gola. Questo accento irlandese inizia ad impossessarsi delle mie corde vocali…
Spero di non doverlo fare ancora troppo a lungo.
“Conosce il signor Holmes?” Chiese MacPherson quando si sedette di fianco a
lui. “Non ho potuto non ascoltare.”
“Si signore.” Rispose. “Anche lei?”
“L’ho incontrato una o due volte. Tipo sveglio quell’uomo. Un modo curioso
di lavorare, ma porta risultati.”
“Lo abbiamo preso!” Esclamò il giovane Higgins quando saltò fuori dal cellulare. Altri poliziotti stavano
arrivando fuori dal palazzo e strinse calorosamente le spalle di uno di essi. “Lo
abbiamo preso!” Ripeté gioiosamente di fronte alla sua espressione perplessa.
“Basta con queste urla stridule, Higgins, e porta l’ispettore Lestrade!” Abbaiò
MacPherson.
“Si signore! Subito signore!” Higgins corse oltre gli agenti e dentro
all’edificio.
Christine diede un’occhiata alla struttura. Conosceva il palazzo, ma non era
più la stazione principale della polizia nel 2007.
Higgins tornò saltando seguito da un uomo ben vestito, con l’aspetto da
furetto, occhi scuri e bombetta. “MacPherson! Higgins dice che avete preso
Wildes!”
“Non io, signore. E’ stato quest’uomo, il signor Adams.”
“Signor Adams, eh?” Un ghigno passò sulla faccia dell’ispettore. “Bravo,
signor Adams. Siamo stati dietro a Wildes per due anni. Ha causato un mucchio
di problemi per essere un uomo solo.”
“Davvero? ” Chiese Christine quando portarono via la forma di Caine, legato
e ancora incosciente, dal cellulare.
“Intende dire che non lo sapeva?” Chiese Lestrade con sorpresa.
“No, signore. Vivo fuori Londra, come vede.”
"Ah."
Furono silenziosi per un momento, quindi Higgins si avvicinò a Lestrade. “Cella
numero 3, signore?”
“Va bene Higgins.”
“Ben fatto signor Adams.” Disse Higgins ammirato, stringendo la mano di
Christine.
Si sentì arrossire. Molti altri poliziotti arrivavano per stringerle la
mano. Molti di loro erano positivamente entusiasti. Sembrava avesse regalato
loro la giornata.
Sorrise e rabbrividì. La zona intorno all’occhio era veramente dolorante.
Lestrade sembrò accorgersene e fece un gesto verso la porta. “Da questa parte
signor Adams, vedremo di far qualcosa per quell’occhio.”
“Grazie ispettore.”
“Il signor Adams conosce il signor Holmes.” Disse MacPherson arrivando
dall’entrata portando una scodella d’acqua, un panno bagnato e uno specchio.
Lestrade e Christine sedettero su una panca nell’entrata.
“Davvero?” Disse Lestrade voltando gli occhi verso di lei. “E cosa ne pensa
del signor Holmes?”
Christine quasi sorrise al modo in cui l’ispettore disse il nome del
detective, protraendo la O. “E’ un uomo brillante.” Replicò lei. “Un po’
strano, forse, ma brillante.”
Lestrade annuì e MacPherson le porse lo specchio. “Si, è conosciuto per averci
aiutato in uno o due occasioni…”
Christine prese il panno e la scodella da MacPherson, quindi sollevò lo
specchio. Aveva paura di quello che stava per vedere e strinse i denti per
l’ansia. Spalancò la bocca leggermente quando guardò il suo riflesso.
L’area intorno all’occhio stava diventando di un’adorabile tonalità
amaranto. Meraviglioso. Immerse il
panno nell’acqua fredda che riempiva la scodella e portò l’impacco sull’occhio.
Cosa non farei per una borsa di ghiaccio
in questo istante.
“Allora, come ha conosciuto il signor Holmes?” Chiese Lestrade, sollevando
le sopracciglia.
“Er, l’ho conosciuto quando ha risolto il caso di una mia lontana zia. Non
lo vedevo da molto tempo prima di ieri. Mi disse di un uomo chiamato Caine,
quello che ho inseguito. Risulta essere lo stesso vostro uomo Wildes.”
“E cosa vuole il signor Holmes da Wildes?”
“Non so dirle di più, ispettore. E’ meglio aspettare finché il signor Holmes
non arriva. Spero non le dispiaccia.”
“Per niente.”
“Ispettore, Wildes si sta svegliando.” Disse un agente arrivando dietro di
loro.
“Davvero? Mi scusi, signor Adams.” Disse Lestrade, alzandosi.
“Signore.”
Holmes e Watson avevano perso Caine e la signorina Andrews tempo prima. Continuavano
a camminare velocemente per le strade, occhi e orecchie aperti per ogni segno
dell’uno o dell’altro.
“Sono scomparsi Holmes.” Disse Watson, sfinito per la corsa.
Il detective sospirò arrabbiato. Non li avrebbero mai ritrovati. Potevano
essere ovunque a Londra. “Andiamo Watson.” Disse rassegnato. “Torniamo indietro
alla casa di Caine. Forse possiamo trovare una traccia su dove si è nascosto.”
“Ha sentito Holmes?”
“Sentito cosa Watson?”
“Ecco di nuovo! Ascolti!”
Holmes inclinò la testa. Un leggero grido raggiunge le sue orecchie,
diventando più forte.
“Signor Holmes!” Stavano urlando.
Riconobbe la voce. “Wiggins?” Chiamò.
La forma familiare arrivò di corsa in vista, inciampando sul marciapiede
nella strada. Holmes si chinò, e prendendo il ragazzo per i gomiti, lo aiutò ad
alzarsi in piedi.
“Grazie signor Holmes.” Ansimò Wiggins, spolverandosi i pantaloni. “La
stavamo cercando ovunque. Di qua ragazzi!” Urlò verso la strada da cui era venuto,
facendo gesti con le braccia. Venne subito raggiunto da tre ragazzini.
“Lo stavate cercando? Perché?” Chiese Watson, avvicinandosi a loro.
“Un uomo di nome Adams ha detto a Gibson di cercarla e dirle che…”
“…che ha preso Caine e che è a Scotland Yard!” Si intromise Gibson,
ignorando lo sguardo indispettito di Wiggins.
Gli occhi di Holmes si infiammarono e si voltò da Watson.
“Holmes!” Disse Watson, un sorriso andava formandosi sulla faccia.
“Bel lavoro, ragazzi!” Holmes sprofondò le mani in tasca e tirò fuori alcune
monete che fece cadere nelle mani di Gibson. “A Scotland Yard, Watson!” Urlò,
alzando il bastone da passeggio. “Carrozza!”
Saltarono sul primo tiro a quattro che trovarono. “Scotland Yard!” Disse
Holmes battendo il bastone sul tetto della vettura.
“Non posso credere che l’abbia preso!” Disse Watson a bassa voce al suo
compagno. “Ma visto il modo in cui lo inseguiva, suppongo non ci sia da
stupirsi!”
Holmes annuì. Tutto il suo essere urgeva che la carrozza andasse più veloce,
più veloce. Nella sua agitazione batteva incessantemente il piede sul
pavimento. La signorina Andrews era sola in un intero palazzo di poliziotti.
Non sapeva per quanto avrebbe potuto tenere quella sciarada.
Quando arrivarono a Scotland Yard, alcuni minuti dopo, aspettò a malapena
che la carrozza fosse ferma per saltar giù.
Un agente dall’aspetto familiare arrivò per salutarlo. “Salve signor Holmes.
Il signor Adams la sta aspettando. Da questa parte.” Lo seguirono dentro al
palazzo.
“Dov’è il signor Adams?” Chiese ad un altro agente alla scrivania.
“Cosa c’è, MacPherson?” Replicò , guardando su da un mucchio di carte.
“Il signor Adams. Dov’è?”
“Nell’ufficio dell’ispettore Bradstreet. L’ispettore Lestrade e il signor
Adams sono entrambi lì.”
“Da questa parte, signori.” Si girò per il lungo corridoio. “E’ stata una
grande giornata per noi, signor Holmes.” Disse prudentemente MacPherson. “Non
possiamo ancora credere che il signor Adams abbia catturato Wildes.”
“Wildes?” Chiese Watson. “Intende dire Peter Wildes?” Scambiò
un’occhiata con Holmes.
“Lo stesso signore.”
Le sopracciglia di Holmes si aggrottarono. Peter Wildes aveva commesso un
gran numero di piccolo furti, era stato parzialmente coinvolto in rapimenti e
si pensava anche che avesse ucciso un uomo vicino al porto. Non aveva idea che
fosse il suo vecchio collega di palcoscenico.
“E’ saltato fuori che si faceva chiamare Robert Caine.” Continuò MacPherson.
“E’ uno dei motivi per cui non riuscivamo a trovarlo. L’altra ragione è che
nessuno riusciva a catturarlo.” Rise. “Finché non è arrivato il signor Adams.
Saltar giù dal ponte Southwark. Non avevo mai visto niente del genere.”
“Saltar giù dal ponte Shouthwark!” Esclamò Watson, la cui rivelazione lo
fece quasi inciampare.
“Oh, si.” Annuì serio MacPherson. “Wildes è saltato giù dal ponte Southwark
sopra ad un battello e Adams lo ha seguito. E’ saltato direttamente giù. Sto
ancora cercando di capire come hanno fatto a saltare una tale altezza senza
rompersi le gambe! Higgins, un nuovo agente, e io li abbiamo visti e siamo
corsi sotto. Nel tempo che abbiamo impiegato a raggiungerli, Adams aveva già
messo a terra Wildes.”
Gli occhi di Watson si spalancarono sempre più ad ogni parola. Guardò verso
Holmes lei cui labbra erano una linea stretta.
“Ovviamente, Adams ha riportato alcune brutte ferite. Wildes è un tipo
forte. Aspettate qui, farò loro sapere che siete arrivati.” MacPherson sparì
dietro la porta, lasciando il dottore e il detective soli nel corridoio.
“Holmes.” Sospirò Watson urgentemente, con evidente preoccupazione negli
occhi. “Ferite? Le ha fatto del male!”
Holmes non rispose. La mandibola era serrata duramente, gli occhi offuscati
e semichiusi.
“Entrate signori.” Disse MacPherson. Li condusse dentro, quindi uscì.
“Signor Holmes! Dottor Watson!” Esclamò la familiare voce finta-irlandese
quando entrarono.
Watson fece molta attenzione a non correre verso la signorina Andrews. Un
largo livido scuro le circondava l’occhio sinistro e c’erano leggere ferite
sulle nocche della mano destra.
“Signor Adams.” Il dottor Watson si fece avanti e le prese la mano. La
strinse in modo rassicurante e lei gli sorrise attraverso i finti baffi.
Lei si voltò verso Holmes e allungò la mano. Lui la prese piuttosto
rigidamente. “Ben fatto, signor Adams.” Disse, con voce dura.
“Grazio signore.” Rispose tranquillamente, percependo il disagio.
“Lestrade, Bradstreet.”
“Salve, signor Holmes.” Lestrade
gli sorrise, le mani dietro la schiena.
“Signor Holmes.” Bradstreet fece un cenno con la testa al detective dal suo
posto alla scrivania.
“Dov’è Wildes?” Chiese
Holmes.
“Nella sua cella.” Rispose Lestrade.
“Posso parlare con lui?”
“Vorremmo fare noi il primo tentativo con lui se è lo stesso per lei.” Replicò
Bradstreet. “Ma può certamente tornare domani.”
“Grazie. Farò visita domani. E Lestrade, non permetta a nessuno di vederlo. Potrebbero
esserci alcuni suoi colleghi in giro.”
Lestrade annuì fermamente. “Nessuno passerà le nostre porte, signor Holmes.”
Il detective si voltò verso Watson. “Possiamo tornare per la nostra strada
Watson? Signor Adams?”
Christine si alzò dalla sua sedia, piuttosto dolorosamente. “Piacere di
averla conosciuta, ispettore Lestrade. Ispettore Bradstreet.” Disse Christine,
stringendo entrambe le mani.
Holmes si girò bruscamente verso la porta, affiancato da Watson e Christine.
Lei seguiva con un po’ di distanza, sentendosi come una bambino messo in
castigo. Pensava che il signor Holmes sarebbe stato fiero di aver preso Caine e
non riusciva a capire perché fosse così turbato con lei.
Non appena girarono l’angolo, Holmes si assicurò che il corridoio fosse
vuoto e la prese per un braccio, spingendola verso di lui. “E’ impazzita?”
Sussurrò furiosamente
“Holmes!” Disse Watson, scioccato per il comportamento dell’amico.
“Avrebbe potuto essere ferita seriamente, per non dire uccisa.” Continuò
Holmes, ignorando l’uscita del dottore.
Proprio in quel momento un agente uscì da una porta vicina e si mosse verso
di loro.
Holmes rilasciò velocemente il suo braccio.
“Potrei essere sciocco, signor Holmes.” Replicò lei, mantenendo ancora
l’accento. “Ma non sono cieco. Sapevo cosa stavo per fare. Conosco quali sono i
miei limiti…”
“Ottimo lavoro, signor Adams!” Disse l’agente allegramente, fermandosi per
stringerle la mano.
“Ehm, grazie.” Rispose e l’agente continuo per la sua strada. “So quali sono
i miei limiti.” Ripeté a Holmes quando l’agente fu fuori portata.
Watson guardò dalla signorina Andrews a Holmes. Quest’ultimo, giusto un
attimo prima, era decisamente furioso, ma ora sembrava essersi calmato. Non
replicò alla signorina Andrews ma girò sui tacchi e si mosse verso l’uscita.
Dottor Watson e Christine lo seguirono. La carrozza li stava ancora aspettando
quando uscirono all’aperto.
Mentre Christine saliva, sentì una voce chiamarla. “Signor Adams! Aspetti, signor Adams!”
Si voltò. “Ispettore Lestrade?”
Si fermò davanti a lei e le porse un fascio di carta.
“Che cos’è?” Chiede prendendolo.
“La ricompensa, signor Adams.”
“Ricompensa?” Chiese lei, perplessa.
“Non mi dica che non sapeva delle cinquecento sterline!”
“Cinquecento sterline?” Lei quasi urlò.
“Ah, congratulazioni, signor Adams. E grazie. Buona serata, signor Holmes,
dottor Watson.” Sorrise a tutti e tre e si girò, tornando indietro
nell’edificio.
Lei guardò il dottor Watson stupita. “Cinquecento sterline…!” sospirò e lui
annuì.
“Andiamo, signor Adams.” Disse Holmes e lei entrò dentro alla carrozza.
Dopo che la portiera fu chiusa, e la carrozza per strada, Holmes e Watson
chiusero simultaneamente i parasole dei finestrini.
Watson le afferrò le mani. “Signorina Andrews, sta bene? Mi lasci dare
un’occhiata.” Gentilmente le alzò il mento e girò il viso nella sua direzione.
Lei rise. “Si, sto bene, dottor Watson. Sono soltanto lividi.”
Lui sbuffò. “Lividi o no, insisto per curarli una volta tornati a Baker
Street. ”
Lei gli sorrise. “Va bene.” Il sorriso svanì mentre diceva. “Ehm…Signor
Holmes?” Fece voltare il detective nella sua direzione.
“Mi dispiace, non ho esattamente seguito il piano, ma non potevo lasciar
scappare Caine. Mi spiace averla fatta arrabbiare.”
“Arrabbiare?” Le fece eco. Sulla faccia si formò un’espressione di sorpresa.
“Mia cara signorina Andrews, pensa che sia arrabbiato con lei?”
“Non lo è?”
Lui scosse la testa. “No, ero solo preoccupato per il suo stato. Quando
MacPherson ci ha detto che Caine le aveva fatto del male…”
Era preoccupato che Caine mi avesse
ferita seriamente. Prima di rendersene contro, Christine aveva messo una
mano sulla sua. La ritirò comunque in fretta dicendo: “Grazie per il suo
interesse, signor Holmes. Ma sto bene, davvero.
E gli ho restituito il favore.” Aggiunse risoluta.
A questo punto Holmes scoppiò in un
sonora risata liberatoria. Si coprì subito la faccia con la mano, tutto il
corpo scosso dalle risa.
Watson non poté fare altro che iniziare a ridacchiare. Cominciò presto a
ridere sul serio e Christine fu contagiata. Risero finché non fece loro male lo
stomaco.
“Non potevo veramente credere ai miei occhi quando l’ho vista scalare quel
muro.” Rise tranquillo Watson.
“E non dimentichi il Southwark!” Disse Holmes, l’ultima parola assorbita da
un altro attacco di risa.
Christine sorrise. “Quello è qualcosa che non farò mai più. Wow, che salto!
Mi è difficile credere di averlo fatto veramente.”
“Come ha fatto ad inseguirlo?” Chiese Watson. “Non ho mai visto nessuno
correre così.”
“E’ chiamato free running o parkour.” Disse Christine. “Non potevo credere
ai miei occhi quando ho visto Caine farlo. Non mi meraviglia che non
riuscissero a prenderlo. Praticamente è l’atto di andare da un punto A ad un
punto B, più veloci possibile, più fluidamente possibile, qualunque ostacolo ci
sia sulla strada.”
“E dove diavolo lo ha imparato?”
“Me lo ha insegnato mio cugino. E’ italo-americano, dalla parte di mia
madre, e vive a New York. E’ due anni più vecchio di me e l’ha imparato da
alcuni suoi amici. Quando ci facciamo visita l’un l’altro, facciamo free
running. E’ molto divertente.”
“La mia parola.” Watson scosse la testa. “E’ sorprendente come cambino le
cose.”
Christine annuì d’accordo.
“Si è comportata molto bene, signorina Andrews.” Disse Holmes
improvvisamente, avendo completamente ripreso la sua compostezza. Le porse la
mano.
“Grazie, signor Holmes.” Disse lei, stringendola nella sua. “Sono solo
contenta di poter aiutare.” Sorrise di nuovo mentre toccava le sterline nel
cappotto. “E ora ho i soldi per ripagarla.”
La mattina successiva Christine si sentì come se potesse muoversi appena. Tutto
il corpo doleva e la testa emetteva un dolore sordo. Alzò una mano per toccare
l’occhio. “Ooh…” Fece una smorfia. Malgrado i numerosi impacchi freddi che il
dottor Watson aveva applicato sull’occhio la sera precedente, era ancora molto
dolorante.
La porta si aprì piano e la signora Hudson entrò. Aprì le tende per rivelare
una giornata soleggiata. “Buongiorno, signorina Andrews. La colazione è in
tavola. Come sta il suo occhio stamattina?”
“Ancora dolorante, ma starà meglio presto, credo.” Christine era contenta
che la signora Hudson avesse preso il suo “infortunio” bene, ora.
La sera precedente era stata tutta un’altra storia.
Il signor Holmes e il dottor Watson aveva tenuto occupata la signora Hudson
per darle il tempo necessario per cambiarsi nei suoi normali vestiti e pulirsi
la faccia dal trucco e dagli adesivi. Ma quando Christine entrò nella stanza
delle consulenze, la signora Hudson era li, preparando le cose per il tè.
Dopo aver visto la faccia di Christine, aveva emesso uno strillo soffocato e
aveva chiesto spiegazioni, mettendosi in modo protettivo davanti a lei.
Ma Christine spiegò che era soltanto inciampata per terra, battendo contro
un lampione. Mostrò alla signora Hudson anche la mano,con i lividi causati
cercando di bloccare la caduta. Holmes e Watson rinforzarono la dichiarazione e
la governante la accettò come verità, lanciando uno sguardo preoccupato
all’occhio di Christine e continuando a preparare il tavolo per il tè.
Al mattino, dopo che la signora Hudson l’ebbe aiutata a vestirsi e
acconciare i capelli, Christine scese le scale per la colazione.
Dopo aver raggiunto la stanza delle consulenze, Christine trovò soltanto il
dottore. “Buongiorno, dottor Watson. Dov’è il signor Holmes?”
“Buongiorno, signorina Andrews. Holmes è andato a Scotland Yard per
interrogare Caine. Come sta l’occhio?” Si alzò per controllare i lividi.
“Va bene.” Si sedette e rimase ferma mentre il dottore dava un’occhiata.
Quando fu soddisfatto, si sedette di nuovo, versando dell’altro tè. “Vorrei
metterci degli altri impacchi dopo colazione, se non le dispiace.”
“Non mi dispiace.”
Holmes rimase fuori per gran parte della giornata. Christine passò il tempo
leggendo il resto della sua Monografia sulle impronte di scarpe e impronte
digitali, fra un impacco di ghiaccio e pomata che il dottore applicò
sull’occhio e sulle nocche.
Fu dopo l’ora del tè che Holmes finalmente tornò. Christine e Watson si
alzarono dalle loro sedie quando lo sentirono arrivare dal corridoio.
“Allora?” Chiesero entrambi quando entrò nella stanza.
“Ve lo dirò presto. Ma prima ecco, signorina Andrews, questo è per lei.”
Lei guardò con sorpresa verso Holmes che teneva un pacchetto di carta
marrone, legato con delle stringhe.
“Che cos’è? Quanto le devo?” Chiese. La sera prima lo aveva ripagato per
tutti i vestiti e per l’affitto.
“Non mi deve niente. Lo consideri un regalo.”
Lei sorrise. “Non doveva, signor Holmes… Cos’è?” Prendendo il pacco, sciolse
le stringhe e tolse la carta marrone.
Era un libro, rilegato in una copertina marrone chiara. Girandolo spalancò
la bocca. Ci vollero alcuni secondo prima di riprendere la compostezza e
guardare il detective con gli occhi brillanti. “La Macchina del Tempo.”
Sussurrò.
--------
Avevate
paura, eh, che l’inseguimento potesse continuare ancora? Anch’io, ne avevo
tanta, soprattutto vista la difficoltà nel renderlo in italiano. Per fortuna lo
mette subito al tappeto e finisce lì.
ISI:
Grazie, non è stato un capitolo facile, ho già trovato alcune cose che avrei
potuto cambiare. Ma quanto corre questa…
Giuro che non lo fa più : )).
Alchimista:
Sono contenta ti sia piaciuto! Sappi che le mani nei capelli, ad un certo
punto, le ho messe anch’io,non sapevo proprio come rendere alcuni passaggi… Il
paragone a Lara Croft è azzeccatissimo, le mancava giusto la mise scosciata ; ).
Per quanto riguarda Holmes e Watson…chissà! Non voglio spoilerare nulla.^_^
Bebbe5:
Ti ringrazio, è stato abbastanza complicato. Sto provando a rendere
maggiormente in italiano molte frasi, ma il mio imprinting scolastico (anch’io
ho fatto il classico) tende e farmi tradurre alla lettera (eh, purtroppo i miei
professori c’avevano sta fissa, secondo me stupida -__-‘). Più che altro vorrei
tenere più possibile lo stile originale, ma spesso è impossibile. Spero che il
capitolo ti sia piaciuto, soprattutto Christine che mette KO Caine all’inizio ;
).
|
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Capitolo 9 *** My fair lady ***
Capitolo nove
Capitolo nove: My Fair Lady.
Mise la mano sopra la copertina del
libro, dove il disegno di una sfinge era impresso con l’inchiostro rosso. “La Macchina del Tempo.” Ripeté piano. “H.G.
Wells. Pubblicato dalla Heinemann…” Si fermò, portando le dita alle labbra in
soggezione. “Prima edizione, non posso crederci.”
“L’ho visto nella vetrina di un negozio. E’ stato appena stampato.”
“Non so cosa dire, signor Holmes. E’…è veramente troppo gentile. Grazie.
Lui sorrise dolcemente, annuì e camminò verso il caminetto per ritrovare la
pipa.
“Cos’ha scoperto su Caine?” Chiese Watson dopo un momento. Christine mise il
libro sul grembo.
“Non sa dov’è Lanaghan.” Disse Holmes brevemente, accendendo la pipa e
buttando il fiammifero nel caminetto.
Il viso di Christine si contrasse, la felicità sparì come una bolla appena
scoppiata. Così l’ho catturato per
niente.
“Ma ci ha indirizzato verso qualcun altro che sa dove potrebbe essere Lanaghan.”
“Cosa?” Chiese lei, quasi alzandosi.
Il detective sedette, così come Watson nella sedia opposta, prendendo il suo
libretto per gli appunti.
“Caine ci ha detto tutto. Sapeva di non poter nascondere la verità a lungo, specialmente
quando ha sentito che qualcuno era lì per lui. Sarà felice di sapere che ha
equamente qualche brutto livido, signorina Andrews.” Un sorriso compiaciuto
passò sulla faccia, ma sparì in fretta. “Ci ha detto tutto quello che sapeva,
che è molto deludente, e ha dato l’indirizzo in cui trovare Travis Boothby.”
Sono andato con due agenti nella sua casa. Abbiamo avuto qualche problema ad
entrare. E’ una specie di uomo pietoso e viscido. Non c’è onore fra ladri.”
Dichiarò, scuotendo il capo. “Non ha sprecato un attimo a dirci quello che
sapeva. Sembra che il signor Lanaghan sia un uomo intelligente, signorina
Andrews. Sa tenersi vago e dire ai suoi collaboratori il meno possibile. E’
stato ovviamente coinvolto in altri crimini prima, ma non è una sorpresa,
considerando quello che lei ci ha detto.
Boothby ha detto che Lanaghan aveva sempre un macchinario con sé o almeno a
portata di mano. Non permetteva a nessuno di toccare o prendere il dispositivo
ed era…come ha detto lui, ossessionato
dal trovare lei.”
Christine rabbrividì e involontariamente strinse al petto La Macchina del Tempo.
Holmes sembrò non accorgersene. “Boothby non sapeva nemmeno dove trovare
Lanaghan, ma ci ha informato che sapeva per certo di aspettare il ballo dei
Graham. Nessun dubbio sul fatto che spera di trovarla lì, signorina Andrews.”
“Il ballo dei Graham?” Ripeté Watson, guardando su dal suo prendere appunti.
“Quello per cui riceve sempre un invito, ma non partecipa mai?”
“Ci sono andato una o due volte,
Watson, ma si. In effetti…” Mise la pipa precariamente sulla mensola e si tuffò
sulla scrivania, agitandosi in mezzo alla catasta di carta.
Watson sospirò, mise giù il taccuino e si alzò dalla sedia.
“Dov’è?” Mormorava Holmes.
Christine guardava mentre prendeva una pila di carta, articoli e libri, scartandoli
sul pavimento, o ovunque poteva, quando si rendeva che non era ciò che stava
cercando. Lei trovò affascinante che un uomo così brillante potesse essere così
disordinato.
Intanto,Watson era andato su un ripiano nella parte opposta della stanza. Prese
alcune buste dal ripiano, guardò le prime due e le rimise giù, tenendo la
terza, una color crema, nella mano.
Ora Holmes stata mormorando irritato. “”So
che la busta deve essere qui!”
Se Christine non avesse avuto paura di un rimprovero da parte del detective,
sarebbe scoppiata a ridere di fronte alla sua frustrazione. Spostò la sedia
dalla scrivania, buttando in aria i fogli che non gli servivano.
Christine appoggiò il suo libro e iniziò a prendere i fogli mentre cadevano.
Povera signora Hudson, pensò con un
piccolo sorriso.
“Non è qui!” Urlò Holmes, gettando le mani in aria. “Non capisc…” Si
interruppe quando il dottore gli mise la busta color crema sotto agli occhi. “Watson.” Gli occhi si sollevarono e
sorrise momentaneamente all’amico, strappandogli la busta di mano. Li alzò in
alto verso di loro. “I nostri inviti al ballo dei Graham. Lord Lancaster Graham
me ne manda sempre tre.”
“Holmes di solito li da a me.” Disse il dottor Watson, piegandosi verso
Christine. “A volte porto Thurston e sua moglie.”
Lei annuì.
“Ho risolto la cosa.” Disse Holmes, gli occhi brillanti. “Quest’anno andremo
al ballo tutti e tre.”
“Tutti e tre?” Disse Christine ansiosamente. “Ma…ma Jason sarà lì! E se mi
riconosce?”
“Può fargli credere di non essere
lei.”
“Cosa? Non riesco a seguire.”
“Watson potrebbe essere il suo accompagnatore, in incognito. Suo…suo zio. Un
dottore. Che vive a Londra e ha appena ricevuto la visita della nipote da…
Signorina Andrews, c’è qualche possibilità che sappia parlare una lingua
straniera?”
“Francese e un po’ d’italiano.”
“Francese! Eccellente. Suo zio ha appena ricevuto la sua visita da Parigi. E
io potrei essere il signor Edmond LeMaire…”
“Aveva già pianificato tutto prima o sta sviluppando la cosa mentre va
avanti?” Chiese lei, alzando un sopracciglio.
“Ha!” Esclamò e le sorrise scaltramente, spingendo la pipa di nuovo in bocca.
Dopo che ebbe esalato il fumo, disse: “Un po’ entrambe le cose, signorina
Andrews.”
Holmes inviò le proprie risposte quella sera stessa. Il ballo era cinque
giorni dopo. Holmes e Watson spesero ogni momento di veglia con Christine,
cercando di perfezionare il loro piano.
Christine non aveva idea di come funzionava un ballo, finché i signori non
la informarono. Avrebbe ordinato un nuovo vestito, scarpe, guanti; avrebbe
imparato come ballare, come parlare, camminare…per non parlare della
stravolgente quantità di regole di etichetta.
“Non deve mai rifiutare se un uomo le chiede di ballare.” Le disse Holmes un
pomeriggio mentre lei e Watson provavano il walzer nella loro sala delle
consulenze.
I tavoli erano stati spinti contro il muro e il divano spostato vicino al
fuoco, in un modo in cui non ci fosse pericolo di scintille.
“Mai?” Chiese Christine, gli occhi spalancati, facendo quasi inciampare il
dottore per la sorpresa. “E se fosse Jason?”
“Specialmente se fosse lui, non
deve rifiutare. Rifiutarlo significherebbe rivelarsi.”
Christine aggrottò la fronte, mordendo le labbra. Abbassò lo sguardo mentre
continuava a ballare.
Watson guardò con disapprovazione verso Holmes. La stava spaventando. “Non
deve preoccuparsi, signorina Andrews.” Disse. “Non lasceremo che le accada
nulla.”
“Certo che no!” Disse Holmes, guardando entrambi sorpreso. “Non deve pensare
che la metteremo in pericolo! Non ha realmente nulla di cui aver paura,
signorina Andrews. Non è come se la stessimo mandando da sola.”
Christine annuì e, malgrado avesse ancora alcuni dubbi, per il momento li schiacciò
via e si concentrò sui passi di danza. “Non rifiutare un ballo. Ricevuto.
Cos’altro, signor Holmes?”
“Parli meno possibile. Sia timida, dolce, delicata.”
Lei lo guardò e sorrise. “Nel caso non l’avesse notato, signor Holmes, non
sono esattamente l’incarnazione della delicatezza. O della timidezza per quel
che importa.”
“Esattamente.” Disse lui. “Deve mantenere questo ruolo in modo più
convincente rispetto a Danny Adams. Dia a Lanaghan tutte le ragioni per
dubitare della sua identità.”
Lei annuì.
“Sta andando molto bene, signorina Andrews. Ricordi soltanto di tenere il
vestito molto leggermente sopra le
gambe.” Ricordò Watson, fermandosi. “Credo che abbia imparato il walzer in
maniera sufficiente. Cosa ne dice Holmes?”
Holmes annuì in un modo leggermente irritato. “Va bene, Miss Andrews."”
“Qual è il prossimo, dottore?” Chiese Christine?
“La quadriglia è molto popolare… è tradizionalmente ballata da quattro coppie, ma, per quello che ci
serve insegnarla, due coppie saranno sufficienti…” Guardò in maniera
aspettativa Holmes, che sembrava improvvisamente molto interessato alla catena
del suo orologio.
“Holmes?” Disse con un leggero cipiglio. “Ha bisogno d’imparare la quadriglia.
Sono certo che verrà ballato mercoledì sera.”
“Magari domani, Watson.” Disse Holmes velocemente. “Credo che abbiamo
ballato abbastanza per oggi, non crede?”
Watson sapeva che Holmes stava solo cercando di tirarsene fuori. Se avesse
consentito a provare la quadriglia il giorno successivo, il detective avrebbe
trovato il modo di squagliarsela. “Holmes.” Watson lasciò le mano delle signorina Andrews e si mosse verso
il suo amico. “Andiamo, Holmes.” Disse tranquillamente. “Ha bisogno
d’imparare questo ballo. Se non lo impara non solo ci sarebbe un pubblico
imbarazzo, ma sarebbe in mostra. Lanaghan potrebbe riconoscerla.”
Questo sembrò colpire il detective nel profondo e sospirò pesantemente. “Molto bene, Watson. Vada a
chiamare la signora Hudson.”
Watson sorrise ampiamente e corse fuori dalla stanza, prima che Holmes
potesse cambiare idea.
“Non le piace ballare?” Chiese Christine.
“Non particolarmente.”
“Ma sicuramente dovrà danzare al ballo.”
“Il meno possibile, signorina Andrews.” Disse Holmes con un leggero sorriso.
La voce della signora Hudson e del dottor Watson risuonò nel corridoio e i
due entrarono della stanza.
“Che cosa avete fatto alla stanza?” Chiese la padrona di casa, guardandosi
intorno con gli occhi sgranati, inorridita per i mobili in disordine.
“E’ solo temporaneo, signora Hudson.” Le assicurò Watson. “Venga, può aiutarci
a insegnare alla signorina Andrews la quadriglia?”
“Oh, è passato tanto tempo dall’ultima volta che ho ballato.” Disse la
signora Hudson in modo ansioso, i mobili momentaneamente dimenticati. “Com’è
possibile che lei non conosca la quadriglia, signorina Andrews?” Chiese,
voltandosi verso di lei.
“Ho solo bisogno di rinfrescarmi la memoria, signora Hudson. Sono stata in
America per troppo tempo temo.”
“Ah. Bene allora, iniziamo.
Ho le cose avviate per il tè di sotto. Ci vorrà molto, dottor Watson?”
Watson sorrise e si chinò verso la signora Hudson di fianco a lui,a cui fece
un breve inchino.
Holmes prese posto di fianco a Christine; chinò la testa verso di lei, anche
se un po’ a disagio. Lei sorrise e si inchinò a sua volta. Erano di fronte alla
signora Hudson e al dottor Watson, con la signora Hudson in diagonale rispetto
a Christine.
Christine diede un’occhiata a Holmes con la coda dell’occhio. Oddio, è così alto. Come faccio a ballare
con lui?
Malgrado la sua altezza, risultò
essere molto fluido ed elastico nei movimenti. Questo la sorprese molto,
considerate le sue proteste riguardo al ballare.
Come le aveva indicato il dottore, i quattro ballarono. A volte lei si ritrovava
a ballare col dottor Watson per un momento, mentre il signor Holmes ballava con
la signora Hudson, quindi lei tornava nelle mani del detective. Ad un certo
punto lei e la signora Hudson si presero per mano, mentre gli uomini
camminavano intorno a loro, quindi tornarono dai loro rispettivi partner. Il
dottor Watson le spiegò che, dopo aver fatto la loro parte, altre coppie
avrebbero fatto quegli stessi passi.
Era molto più complicate di quanto Christine aveva originariamente pensato,
ma si sentì subito a suo agio con i passi e, per la soddisfazione di Holmes, il
ballo finì.
La signora Hudson si fiondò lungo le scale per preparare il tè, Holmes
accese una sigaretta e Watson si sedette per leggere il giornale. Christine
sedette sul divano con La Macchina del
Tempo, prima di continuare con i preparativi per il ballo.
Prima di quanto tutti si aspettassero, il giorno del ballo arrivò. Per quel
tempo, grazie alle molte applicazioni del dottore e la sua costante cura,
l’occhio di Christine era tornato al colore normale. Il suo vestito da ballo
arrivò quella mattina e, mentre finivano il pranzo, Holmes rivelò loro il
piano.
“…a questo punto, io dovrò lasciarvi.” Stava dicendo il detective. “Entrerò dopo di voi. Ricordi che lei
non deve presentarsi da sola se io, o
chiunque altro , le si avvicina, signorina Andrews. Lasci che la presenti
Watson.”
Lei annuì.
“Una volta dentro sarete indirizzata verso la toilette per signore, dove
Watson la lascerà temporaneamente. Dia le sue cose e si riunisca con Watson il
più presto possibile. Cerchi di non apparire in agitazione o in fretta nel
farlo, non c’è bisogno di richiamare attenzioni non volute. Dopo sarà
presentata nella sala…non deve preoccuparsi.” Aggiunse, notando i suoi occhi
spalancati. “Non molti invitati prestano attenzione, eccetto i padroni di
casa.”
“Che sono molto gradevoli.” Disse Watson.
“Lord Graham lo è.” Concesse Holmes. “Sua moglie, d’altro canto, è incline al pettegolezzo e ai discorsi
volgari.” Disse, con una nota di esasperazione. “Sciocca, pettegola…”
"Holmes." Lo riprese Watson severamente.
Christine trattenne una risatina dietro la tazza di tè.
“Non può certo negare che ciò che ho detto è vero.” Disse Holmes in modo
composto, respingendo un sorriso che iniziava a formarsi sulle labbra. “Non si
preoccupi, Watson.” Aggiunse quando il dottore aprì la bocca per protestare.
“Mi comporterò bene.”
“Ah, sarà meglio.” Gli occhi del dottore brillarono di divertimento mentre
beveva un sorso di tè dalla sua tazza.
“Mi ha detto di essere fluente in francese, signorina Andrews?” Disse
Holmes, girandosi bruscamente verso di lei.
"Oui, monsieur," Rispose lei senza esitazione.
"Ensuite, vous n'aurez pas de difficulté à converser avec moi?"
Chiese Holmes, sollevando un sopracciglio. *
"Non, Monsieur Holmes."
Il detective sorrise con approvazione, ma sollevò un dito. “Monsieur LeMaire
prego, signorina Andrews.”
“Allora deve rivolgersi a me come
Mademoiselle Hudson, Monsieur.”Replicò
lei decisamente, sorridendo.
Holmes sembrò sorpreso all’improvvisa replica, ma sorrise e disse “Touchè.”
“Come diamine farò a capire cosa state dicendo?” Chiese Watson, sbattendo il
giornale su tavolo. “Conosco abbastanza un po’ di latino, ma non sono molto
esperto di francese.”
“Non ci capirà allora.”
Disse Holmes alzandosi. Sorrise al suo collega. “Deve soltanto fidarsi
di noi.”
Watson sbuffò in maniera benevola.
“Se Lanaghan è presente e ho bisogno di parlare con lei, signorina Andrews,
le parlerò in francese.”
Lei annuì, ma Holmes si rese conto che pronunciare il nome di Lanaghan le
aveva toccato i nervi. Rimase silenzioso per quasi un intero minuto e, proprio
mentre stava per dire qualcosa, lei parlò. “Non possiamo…non possiamo
semplicemente andare alla polizia e togliercelo di torno, signor Holmes?”
Lui la guardò sorpreso. “Signorina Andrews, sa che non possiamo.”
Lei annuì. “Lo so. Potrebbe
causare delle scenate, non possiamo coinvolgere la polizia in questo… Soltanto…non voglio incontrarlo.”
“Non deve preoccuparsi,
signorina Andrews. Watson sarà vicino a lei per tutta la sera. Ora. Dopo che verrà annunciata nella
sala, deve stare con Watson. A meno che, ovviamente, non le venga
chiesto di ballare. Ricordi…”
“Non rifiuti un uomo per un ballo, specialmente se è Lanaghan.” Sospirò Christine.
“Si. E ricordi anche…” Il detective
venne interrotto di nuovo quando la porta si spalancò per rivelare la signora
Hudson.
“Signorina Andrews, dobbiamo iniziare a prepararla.”
“Qualche altro minute, signora Hudson.” Intervenne Holmes, prima che Christine
potesse rispondere. Ignorò lo sguardo arrabbiato della padrona di casa e
continuò. “Ricordi anche che deve tenere la testa alta, signorina Andrews. Lei
è una ricca giovane donna di ritorno dalla Francia. Tenga la testa alta, ma
ricordi di tenere lo sguardo basso, in modo timido. Cammini con leggerezza, danzi con leggerezza, parli poco e…”
“Devo prepararla, signor Holmes!
“Soltanto un minuto, signora
Hudson.” Disse, sollevando gli occhi con irritazione. Si rivolse di nuovo a Christine. “Parli poco e
lasci che Watson la presenti. Se dovesse sentire il bisogno di usare la
toilette per signore, lasci che Watson la scorti da una delle cameriere, che si
occuperà di lei…”
“Non sarà pronta se non lei non la lascia andare adesso, signor Holmes.” Urlò la signora Hudson frustrata.
“Molto bene!” Esclamò
Holmes lanciando una mano in aria. “Vada, signorina Andrews!”
Dopo aver lasciato di fretta la stanza, Christine seguì la signora Hudson su
per le due rampe di scale verso il bagno.
Mentre era ammollo nella vasca, rifletté sulle parole del detective. Non
c’era troppo da ricordare. Invece c’era così tanto in gioco. Doveva soltanto
tenersi insieme a loro, stare calma malgrado tutto, recitare il suo ruolo alla
lettera. Jason non avrebbe capito chi era. Mentre si strofinava le unghie,
ripassò i passi della quadriglia nella testa. No, è sinistra, non destra…Accidenti, se riesco a venirne fuori
stanotte, sarà un miracolo. Specialmente con Jason lì. Vorrei potessimo
portare lì la polizia, ma ovviamente non possiamo. Non so neanche perché
ho tirato dentro il signor Holmes. Cosa potremmo fare se Jason fosse in galera,
comunque? Non potrei più tirarlo fuori. E mai più riportarlo
a casa…
…benchè sia terribilmente allettante
lasciarlo qui. Mise una mano umida sui suoi occhi. Tutto quello che voleva
era essere in salvo a casa nel suo tempo. Apprezzava tutto quello che il signor
Holmes e il dottor Watson stavano facendo, ed era stato incredibile
incontrarli, ma non apparteneva a quel
tempo. Inoltre era completamente un’estranea, aveva accettato l’ospitalità
del signor Holmes. Era stato molto cortese, ma vedeva che la sua pazienza
diminuiva sempre di più ogni giorno che passava.
Sospirò disperdendo le bolle di sapone. Fece alcuni profondi
respiri,cercando di rilasciare la pressione dell’ansia che andava crescendo
dentro di lei. Calmati Christine, calmati. Andrà tutto bene. Il
signor Holmes parlerà a Lanaghan stanotte, per capire dove si nasconde, andarlo
quindi a prendere e tornare a casa. Se solo fosse così semplice come dirlo.
“Andiamo ad asciugarla e vestirla, signorina Andrews.” Disse la signora
Hudson, entrando nella stanza.
Christine collaborò asciugandosi e indossando gli slip, tornando di nuovo di
fretta nella sua stanza, ma i suoi pensieri erano altrove.
Quando la signora Hudson prese il vestito per il ballo, comunque, la sua
attenzione venne riportata al presente. Spalancò la bocca. “Wow!”
La signora Hudson stava tenendo il più bel vestito che aveva mai visto. Era
un prezioso vestito blu di satin sottile, decorato con pizzo di velluto blu
scuro. Il girocollo basso era decorato
davanti e dietro con delicati merletti bianchi e pizzi con quelli che
sembravano cristalli o perle. I merletti abbellivano anche le spalle, adornate
con un disegno floreale. Il
vestito era lungo e ampio, perfetto per ballare.
“Wow? Cosa vorrebbe dire? E’
quel tipo di slang Americano che ha imparato oltremare?” Chiese la signora Hudson, lanciandole uno
strano sguardo.
“Uh…ehm, si. Slang.
Mi perdoni, signora Hudson.” Si avvicinò per toccare il vestito, ma la signora Hudson
le porse prima il corsetto e la sottoveste.
Christine sospirò fra sé per il disappunto, ma fu obbligata quando la padrona
di casa la aiutò. Quando provò il vestito, non poté fermarsi dall’ammirare la
decorazione di perline e con attenzione considerò il lavoro fatto dalla sarta.
“Lo ha scelto il signor Holmes personalmente. Direttamente
da Parigi, credo.” Le disse la signora Hudson mentre la aiutava a chiudere i
bottoni del vestito sulla schiena.
“E’ quello che ha detto.” Replicò Christine, meravigliandosi ancora della
decorazione di perline e del disegno nel velluto. “Lui…ha proprio buon gusto. Sapeva
esattamente cosa cercare.”
“Non è per niente privo di delicatezza. Non pensavo conoscesse il gusto
femminile così bene.” Rise la signora Hudson. “Vado a prendere la spazzola,
così possiamo iniziare con i suoi capelli. Porto su anche uno specchio.”
Non pensavo conoscesse il gusto
femminile così bene… Le parole della padrona di casa risuonavano nella sua
testa. Nemmeno io, signora Hudson. Ma è
esattamente quello che avrei preso io. E’ bellissimo. Mi auguro stia bene su di
me…Spero che il signor Holmes approvi.
Questo ultimo pensiero la lasciò
totalmente sorpresa.
Perchè ho pensato questo? Cosa importa se al signor Holmes piace?
Voglio dire, dovrebbe piacergli, lo
ha preso lui. E piace anche a me ed è quello che importa. Oddio, Christine. Dove stai andando a parare? Sollevò gli occhi, scosse la testa e si
avvicinò alla cassettiera.
Sopra c’erano posati un paio di
lunghi guanti bianchi, un paio di scarpe di satin nere e una piccola scatola. La
aprì per trovare un brillante paio di orecchini di perle. Queste sono le mie
500 sterline. Signor Holmes, perché mi ha comprato tutte queste cose?
Perchè devi recitare la parte, sapeva
quale sarebbe stata la risposta.
“Ecco qui, cara. Si sieda qui così
le sistemo i capelli.” Ci fu un forte tonfo e Christine si voltò per vedere che
la signora Hudson era entrata e aveva appoggiato un largo specchio. Christine
spinse la sedia verso la scrivania e si sedette di fronte allo specchio.
Si guardò e un sorrise si formò sulle labbra. Il vestito era perfetto. Si
voltò e piroettò, guardandosi allo specchio da ogni angolo. Il sorriso divenne
più largo. Non faranno vestiti come
questo mai più.
“Per favore, si sieda, signorina Andrews. E’ più facile spazzolarle i
capelli se rimane ferma.”
“Scusi, signora Hudson.” Christine arrossì leggermente e si sedette sulla
sedia.
Per la successiva mezz’ora, la signora Hudson passò il tempo a spazzolare, acconciare,
raccogliere e fissare i capelli di Christine. Quando la padrona di casa ebbe
finito, Christine era raggiante. I suoi capelli erano acconciati in un elegante
chignon, con piccole ciocche sospese vicino al collo. I capelli che le
incorniciavano il viso erano delicatamente ondulati sopra gli occhi e fissati
dietro le orecchie e tutta la massa di ricci castani era costellata di finti
non ti scordar di me.
“Questo è il profumo, cara. Perché non lo mette, intanto vado a vedere
quando saranno pronti il signor Holmes e il dottor Watson.”
“Grazie, signora Hudson. I miei capelli sono bellissimi.”
“Non ho ancora perso il tocco!” Rise la padrona di casa e uscì dalla porta.
Christine applicò il profumo all’acqua di rose, indossò i guanti, le scarpe,
gli orecchini e guardò nello specchio ancora una volta. Se non mi conoscessi bene,non potrei riconoscermi. Lo stile
vittoriano era così diverso da quello del XXI secolo…ma in senso buono. Non avrei mai pensato di stare in una stanza
a Baker Street prima di un ballo, pensò divertita. Ma il suo sorriso sparì
in fretta. Non sarei mai stata qui se non
fosse per Jason. Il suo sguardo si abbassò e tornò di nuovo verso lo
specchio.
Le mani guantate strette, i delicati riccioli che sfioravano la nuca sul
collo, rimase in piedi alla finestra, molto tranquilla.
“Attenta ai gradini, signorina Andrews.” Watson sentì la signora Hudson e
guardò su. Era in piedi nel pianerottolo sopra rispetto alla stanza delle
consulenze, sistemando la cravatta. Il
dottore vide un lembo di vestito blu e quindi la signorina Andrews arrivare in
vista, scendendo lentamente le scale, tenendo una angolo del vestito proprio
sopra le gambe.
Trattenne il respiro per un momento. Quella donna era così diversa da quella
che aveva incontrato al Diogene’s Club, così diversa dalla donna che aveva
corso per le strade di Londra meno di una settimana prima. Era così delicata,
gentile, timida…e bella. Ora rimpiangeva di accompagnarla come uno zio. Non era
costume per un padre danzare con la figlia o uno zio con la nipote a quel
genere di balli.
La signorina Andrews era troppo preoccupata a non inciampare nei lembi del
vestito, così tanto che non sembrò accorgersi di lui finché non arrivò al
terzultimo gradino. “Oh,
buonasera, dottor Watson.”
“Buonasera, signorina
Andrews. E’ davvero bellissima.”
Lei arrossì e scese gli
ultimo gradini. “Grazie. Lei è molto affascinante.”
Lui sorrise, indicando le scale verso la stanza delle consulenze. “Andiamo?”
Lasciano passare prima di loro la signora Hudson e si mossero anche loro
lungo le scale.
“Holmes? Stiamo entrando.” Quando
non ricevettero risposta al bussare alla porta, Watson la spinse e seguì la
signorina Andrews dentro.
"Holmes?"
“Entri, Watson.” Il detective emerse dalla sua stanza e Christine scoppiò a
ridere.
Holmes si fermò rigido e dritto in un elegante smoking nero, i capelli ben
lucidi e tirati indietro in modo diverso dal solito, ostentando dei baffetti
sottili sotto il naso aquilino. Christine portò le mano sulla sua bocca e si
nascose dietro il dottor Watson per dissimulare le risate.
“Cosa c’è di così divertente,
signorina Andrews?”
“Mi dispiace signor
Holmes.” Rise lei. “Solo non aspettavo di vederla con dei baffi. Mi ha
sorpreso.”
Lui scosse la testa leggermente e spazzolò una delle maniche. “Ah.” La testa
scattò su e sollevò un braccio. “Venga qui e mi lasci vedere, signorina
Andrews.”
Con le risate attenuate uscì fuori dal nascondiglio dietro al dottor Watson
e camminò compostamente verso il detective.
Lei vide i suoi occhi illuminarsi quando entrò in vista e subito abbassò la
testa, improvvisamente timida.
“No. Mento in alto, mademoiselle Hudson.”
Lei obbedì e rimase ferma immobile mentre Holmes le girava intorno una
volta. “Eccellente.” Disse. “E’
magnifica. Assolutamente una lady dalla Francia.”
Christine arrossì sorridendo e Watson avrebbe giurato di vedere il suo viso
risplendere.
"Watson!"
La voce del suo amico lo scosse dalle sue
distrazioni, si voltò per vedere Holmes porgergli un vasetto di adesivo e una
barba finta che si combinava perfettamente con i suoi capelli grigio-castani.
“Andiamo, dottor Burke.” Disse Holmes, dando al dottore uno sguardo d’intesa.
“Indossi la sua barba e andiamo al ballo.”
*Holmes: Allora non avete nessuna difficoltà a conversare con me?
-------
Ma
quant’è carino Watson? E quanta pazienza ha Holmes quando Christine gli ride in
faccia per i suoi baffi?XD. Ok, ballo in arrivo nel prossimo capitolo, spero di
postarlo prima rispetto a questo.
Bebbe5:
Dev’essere l’aria del liceo classico, i prof sembrano più fuori di testa rispetto
a quelli delle altre scuole… Holmes non è, in effetti, molto abituato a certe
reazioni femminili, in questo capitolo se ne sarà reso conto ancora di più.
Spero che possa continuare a piacerti, grazie per l’incoraggiamento :-)).
ISI:
In effetti Christine poteva tranquillamente usare il tirapugni come un sasso e
lanciarglielo, invece di continuare ad inseguirlo ^_^’. Watson andrebbe fatto
santo, non ho idea da dove tiri fuori tutta quella pazienza, così come Holmes,
mi aspettavo anch’io una reazione più forte. Grazie per i complimenti!!! :-))
Alchimista:
Quando ho letto il capitolo la prima volta stavo per dare testate al muro…
Pensavo riprendessero a correre come prima, era già difficilissimo da leggere,
figuriamoci da tradurre. Christine si è scampata la sfuriata, ma s’è beccata la
signora Hudson sconvolta…Non si può avere tutto! Alla prossima e grazie per l’assiduità
:-)).
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Capitolo 10 *** Il ballo dei Graham ***
Capitolo dieci
Capitolo dieci: Il ballo dei Graham.
Christine
si appoggiò alla carrozza, spinta indietro da quest’ultima nel movimento lungo
la strada, verso il ballo dei Graham. Holmes stava ripentendo le stesse
istruzioni di prima e lei stava ascoltando a metà.
I suoi pensieri erano altrove, sempre più man
mano che la carrozza proseguiva. Più vicino arrivavano al luogo del ballo,
peggio si sentiva Christine. Aveva le farfalle allo stomaco, come se una
ragnatela di dimensioni gigantesche le trattenesse ferme quando tentavano di
scappare.
Non riusciva a smettere di pensare a Jason. Continuava
a vedere i suoi occhi restringersi e guardarla in modo lascivo. Adesso ne era
veramente spaventata… spaventata da quello che poteva succedere se l’avesse
bloccata da qualche parte.
Era normalmente un uomo calmo e controllato, ma
il suo temperamento poteva infiammarsi subito. Lo avevo visto il giorno in cui
le aveva urlato contro nel suo ufficio, chiedendo informazioni a proposito
della macchina del tempo. I suoi occhi erano diventati due palle di ghiaccio
infuocato, mentre i pugni colpivano il legno della scrivania.
Il modo in cui la spaventava, comunque, era
niente in confronto al gelo che aveva sentito quando lo aveva incontrato la
prima volta. Persino allora sapeva che c’era qualcosa di sbagliato in lui.
Ricordava di averlo guardato in modo curioso, mentre era appoggiato contro il
muro vicino alla porta del suo ufficio, parlando con il suo vicino di
scrivania. Faceva oziosamente roteare qualcosa fra le dita, sembrava una penna…
Fu solo quando gli venne presentato che si rese conto si trattava di uno
scalpello.
Allora aveva scambiato la cosa per eccentricità.
Ma adesso? Pensava,
guardando fuori dalla finestra della vettura. Adesso sono sicura si trattasse
di uno dei suoi strumenti di tortura. E se portasse lo scalpello con sé
stanotte? O qualche altra arma? Se mi ferisse? O se ferisse il signor
Holmes o il dottor Watson? Il
pensiero la fece star male. Affondò le mani nelle pieghe del mantello e,
mordendosi le labbra, si voltò verso il detective.
Stava
andando avanti, ora parlando del suo ruolo col dottor Watson. Stabilirono dove
lei fosse cresciuta a Londra, dove il “dottor Edward Burke” era vissuto, chi
erano i genitori eccetera.
“…ricordi, Watson, ha ricevuto sua nipote tre settimane fa dalla Francia.”
"Si,
Holmes."
“Ricorda dove vive lei?”
"Si."
"E…"
“Signor Holmes.” Il detective sentì Christine
chiamarlo e si voltò verso di lei.
Era diventata piuttosto pallida e, quando lei alzò
gli occhi su di lui, vi lesse paura. “Io…io non credo di poterlo fare, signor
Holmes.”
Holmes era troppo preso dalla sua parte da
recitare in quella storia e aveva un po’ trascurato lei. Aveva paura, paura di
commettere errori, paura di essere lasciata con lui, ma, più di tutti, aveva
paura di Lanaghan.
“Signorina
Andrews.” Disse gentilmente, prendendole le
mani. “Stiamo per arrivare e lei sarà completamente al sicuro. Watson la
accompagnerà e ci sarà una gran folla di persone là dentro. Il signor Lanaghan
non sarà in grado di toccarla.”
“E se mi portasse fuori dalla stanza…o fuori
dall’edificio da qualche parte?”
“Non lasceremo che la porti da nessuna parte.”
Disse e Christine vide un fuoco accendersi dentro ai suoi occhi. “Non la
perderò di vista un attimo.”
“Promesso?” Chiese Christine con tono calmo.
“Ha la mia parola.” La sua voce suonò così forte,
così fiduciosa e rassicurante che Christine sentì invadersi da un gran sollievo.
Annuì e, mentre lo faceva, la vettura rallentò per fermarsi.
Holmes appoggiò brevemente la mano sulle spalle
di Watson.
“Buona fortuna.” Disse il dottore.
“Bonne
chance.” Disse ugualmente Christine e Holmes la ricambiò con un veloce
sorriso.
“Merci.” Con questo saltò dall’altra
portiere della vettura e sparì.
Proprio mentre la porta di Holmes si chiudeva,
l’altra si aprì.
C’era un uomo con cilindro, con un elegante giacca
rossa e brillanti bottoni di ottone, che porgeva una mano guantata di bianco
verso Christine.
Iniziamo Christine. “Grazie.”
Disse dolcemente e scese giù.
Watson
la seguì, indossando anche lui i guanti e offrendo galantemente il braccio a
Christine. Lo preso con un sorriso e si mossero verso la grandiosa rampa di
scale, oltre alla porta con alte colonne corinzie e dentro al palazzo.
Christine cercò di controllarsi dal fissare le donne mentre passavano:
vestiti eleganti di ogni foggia e colore, un turbinio di cappotti e manicotti
di pellicce, guanti bianchi e le più belle acconciature che lei avesse mai
visto.
Si sentì immediatamente consapevole del suo
aspetto e abbassò gli occhi, di conseguenza abbassando la testa inconsapevolmente.
“Mento in alto, signoria Hudson.” Sussurrò
Watson.
“Sono tutte così belle.” Gli sussurrò sollevando
la testa.
“Lo è anche lei.”Disse Watson, arrossendo
leggermente di conseguenza.
Arrossì anche lei, in modo molto attraente agli
occhi di Watson, e disse dolcemente. “Grazie.”
“Qui
c’è lo spogliatoio
delle signore.” Disse tranquillamente.
“La lascio alle cure delle cameriere, ma faccia in fretta.”
“Da questa parte, signorina.” Disse una voce
femminile e Christine si voltò per vedere una cameriera con un grembiule
inamidato indicare verso la porta.
Christine guardò ancora verso Watson, quindi alla
cameriera sorridente, seguendola. “Venga con me per il mantello, signorina.”
“Grazie.” Disse Christine alla cameriera, che la
aiutò con il mantello da sera e lo portò via. Un’altra cameriera le indicò la
porta e la condusse dentro.
C’era una stanza piena di signore animate che
sorridevano e conversavano divertite. Molte si stavano facendo fissare i
capelli dalle cameriere, scrutandosi nelle specchio e affannandosi con i
riccioli. Christine diede una veloce occhiata in uno specchio che una cameriera
le porse, si sistemò un ricciolo e annuì. “Grazie mille.”
“Di niente, signorina. Lo spogliatoio è da quella
parte se vuole aspettare il suo accompagnatore.”
“Grazie.” Christine si mosse in quella direzione
oltre la porta e indugiò in quell’area. Vide molti signori guardare verso di
lei, alcune donne indicare il suo vestito e annuire con la testa, infine vide
il familiare, e non familiare, volto del dottor Watson.
“Tutto a posto?” Chiese, offrendo il braccio.
Lei annuì. “Quasi non la riconoscevo con quella
barba.” Prese il braccio e lui la accompagnò verso altre scale. Mentre arrivavano
alla cima, un sordo boato arrivò alle sue orecchie.
“Il signore e la signora Williams.” Diceva forte
un maggiordomo, fermo in cima alle scale. Quando disse i loro nomi, la coppia era
ferma vicina a lui, portandosi poi giù per le scale.
Una coppia dopo di loro sussurrò al maggiordomo e
lui annunciò. “Lord e Lady Brette.”
Quando Christine e il dottor Watson si
avvicinarono, Christine vide sotto le scale e dentro la sala da ballo.
In una parola, era splendido.
Il pavimento piastrellato, pieno di ospiti, era fatto
risplendere dalla luce a gas e dal bagliore di un magnifico candeliere di
cristallo, attaccato al soffitto. Vestiti di ogni colore, alternati dal nero
lucido dei frac, facevano sfavillare la stanza. Le gonne volteggiavano in un
vivace valzer nel centro delle stanza; quando la musica di fermava, i ballerini
si ponevano in cerchio sul bordo della pista da ballo, applaudendo con cortesia
con i guanti bianchi. Maggiordomi vestiti in modo impeccabile, nelle loro
giacche rosse, servivano champagne in alcune zone della stanza.
“Il dottor Edward Burke e la signorina Ellen
Hudson.” Annunciò forte il maggiordomo, facendola trasalire.
Tenendo la gonna in una mano la sollevò il meno
possibile sopra le gambe e, con una mano nel braccio del dottor Watson, discese
compostamente le scale.
“Buona sera!” Sentirono una forte voce femminile,
mentre arrivavano alla base delle scale. Una donna paffuta e allegra e un bell’uomo
dai capelli neri, in un’uniforme da soldato decorato, si stavano avvicinando a
loro.
“Buonasera.” Replicò Watson, inchinandosi
leggermente.
Christine di lato chinò la testa.
“E’ un piacere avervi con noi. Non credo ci siamo
mai incontrati. Sono Lady Graham. Questo è mio fratello, il colonnello Hinds.”
“Temo di non aver avuto il piacere, signora. Dottor
Edward Burke, al suo servizio. Vi presento mia nipote, la signorina Ellen Hudson.”
“Piacere di conoscerla, signorina Hudson.”
“Piacere
mio, signora.”
“Oh,
è un piacere. Un mio assoluto piacere.” Lady Graham sorrise così tanto
che i suoi occhi erano quasi chiusi. “Oh, c’è Lady Heaton. Andiamo Rufus.” Con
un cenno della testa ad entrambi, si affannò nell’altra direzione.
Il colonnello Hinds si inchinò al dottor Watson e
a Christine. Prima di andar via chiese. “Signorina Hudson. Mi farebbe l’onore di offrirmi il prossimo ballo? ”
Lei gli sorrise e chinò la testa. “Con vero
piacere, colonnello.”
Lui sorrise brevemente e seguì la sorella.
“Vorrebbe un po’ di champagne, signore?”
“Si, grazie.” Watson si voltò verso il
maggiordomo che porgeva un vassoio. “Ne vorrebbe un po’, signorina Hudson?”
“Per favore.”
“Ecco qui.”
Christine prese il piccolo bicchiere da lui,
staccandosi dal suo braccio. Lo sorseggiò delicatamente, voltandosi verso il
maggiordomo quando annunciò “Monsieur Edmond Lemaire.”
Se non avesse saputo che era il signor Holmes non
lo avrebbe mai, mai riconosciuto. Lo guardò mentre il detective travestito
scendeva le scale camminando in un modo fluido e arrogante. La sua testa era
alta, gli occhi semichiusi, le sopracciglia perennemente sollevate. Un leggero
sorriso compiaciuto indugiava sulle sue labbra mentre controllava la stanza con
aria di sufficienza. I suoi occhi si voltarono verso lei e Watson e ci fu una
momentanea scintilla che le fece capire che lui li aveva effettivamente visti.
Mentre si muoveva nella direzione opposta, lei
vide che si era fermato da Lady Graham e suo fratello. Sorrise lievemente e si
voltò verso Watson, che stava camminando sul bordo della pista da ballo.
I ballerini stavano danzando quella che sembrava
una specie di polka. Qualunque cosa fosse era molto vivace e tutti sembravano
estremamente divertiti.
“Guardi.”
Disse Watson piano verso di lei. “C’è Langdale Pike. Holmes è andato a
trovarlo un giorno o due dopo il suo arrivo. ”
Christine seguì il suo sguardo finché non
incontrò un uomo alto, con baffi spessi e occhi svegli.
“Vede qualcun altro che conosce?”
“Non al momento… ma sono sicuro di poterglielo
far notare, nel caso.” Le sorrise largamente e lei fece lo stesso.
Mentre si guardava intorno, facendo attenzione a
non fissare nessuno troppo a lungo, la musica si fermò. Si rese conto che il colonnello
Hinds sarebbe arrivato per danzare con lei e iniziò a cercarlo in giro.
Improvvisamente un bagliore di capelli rossi alla
sua sinistra attirò la sua attenzione e il cuore le saltò in gola. Jason?
Ma
non era lui. Era un uomo con le sopracciglia cespugliose e il naso
rosso. Emise un sospiro tremante e prese un altro sorso di champagne.
“Signorina
Hudson?”
“Oh!”
Si voltò sorpresa nel vedere il colonnello vicino a lei, di fianco al
dottor Watson.
“Mi scusi, non intendevo spaventarla.”
“Oh, per niente. Mi scusi, non l’avevo vista.”
“Ecco, lasci che le tenga il bicchiere, signorina
Hudson.” Disse Watson.
“Grazie, zio.”
Il colonnello Hinds annuì al dottore e offrì il
braccio a Christine. Lei lo prese, le farfalle iniziarono a muoversi di nuovo
nello stomaco. Per favore, fa che sia un
valzer o qualcosa che conosco!
Con suo sollievo era la quadriglia. Il ballo
consisteva in sedici coppie, in gruppi di quattro coppie per ogni lato della
pista. La musica iniziò, un motivetto animato e accattivante, e tutte le coppie
si inchinarono l’un l’altro. Le due coppie opposte al quadrato dov’erano
Christine e il colonnello Hinds, e le altre coppie, iniziarono a ballare mentre
gli altri aspettavano il loro turno.
“E’ una serata piacevole per un ballo.” Osservò
il colonnello mentre guardavano gli altri.
“Oh,
si.” Replicò Christine.
“Molto piacevole.”
Lui annuì e tornò nuovamente tranquillo.
Odio la
conversazione spicciola, pensò Christine. E’ così imbarazzante.
Cosa potrei dire? “E’ molto gentile da parte della sua famiglia
ospitare questo ballo.”
“Si… Lord Graham lo ospita tutti gli anni. Più per insistenza di mia sorella, credo,
che per suo desiderio.” Aggiunse tranquillamente con un tocco d’impazienza nella voce. Guardò verso
di lei. “E’ mai venuta prima? Non credo di averla mai vista.”
“No, non ero mai venuta. Mio zio mi ha accolta da
poco di ritorno dalla Francia. Sono
stata lì negli ultimi anni.”
“Oh?
Per la sua educazione, presumo?”
“Si.”
“Ha avuto occasione di visitare…oh, è il nostro
turno.” La conversazione venne interrotta quando iniziarono i passi della
quadriglia. Era come a Baker Street, ma più facile. I passi erano più naturali,
con il tempo della musica ad aiutare Christine, e le farfalle smisero presto di
agitarsi nello stomaco. Sorrise mentre il ballo continuava; in realtà si stava
anche divertendo.
Ebbe un po’ di disappunto quando il ballo finì e
il colonnello Hinds la riportò indietro dal dottor Watson.
“Mi stava chiedendo qualcosa prima d’iniziare il
ballo, colonnello?”
“Oh, si. Mi chiedevo se avesse avuto occasione di
visitare la Tour Eiffel.”
“Si. E’ stata un’esperienza difficilmente
dimenticabile.”
“Ne sono sicuro. Non l’ho ancora vista
personalmente, ma Lord Graham era lì quando venne costruita.”
“Davvero?
E’ una cosa meravigliosa vedere la torre nel mezzo della costruzione.”
“Infatti.”
In quel momento erano tornati indietro dal dottor Watson. Il colonnello
Hinds le fece un inchino. “Grazie per il ballo, signorina Hudson.”
Lei chino il capo. “Grazie, colonnello.”
Quando fu fuori portata, Watson disse. “Ben fatto,
signorina Hudson. Ha eseguito la quadriglia molto bene.”
“Grazie. E’ solo grazie al vostro aiuto, lo sa.”
Lui rise serenamente.
Durante la mezz’ora successiva, due altri
gentiluomini, il signor Brian Finney e il signor Ethan Binder, le chiesero di
ballare. Dopo questo rimase ferma a guardare il dottor Watson ballare con un
donna di cui non riusciva a ricordare il nome.
Mentre stava lì guardò intorno alla sala da ballo
ancora una volta. Nel farlo incrociò senza intenzione lo sguardo di un uomo che
la stava guardando. Era un uomo più anziano, con un largo naso aquilino che le
sorrideva, gli occhi brillavano stranamente.
Sorrise brevemente di rimando, quindi guardò da
un’altra parte, ma vedeva con la coda dell’occhio che lui continuava a
fissarla. Non posso presentarmi da sola e
il mio accompagnatore sta ballando. Cosa faccio?
Mentre finiva questo pensiero, qualcuno passò
velocemente vicino a lei, urtandole la spalla.
“Le
chiedo scusa, mademoiselle! La prego, mi perdoni.”
“E’ tutto a posto, monsieur.” Disse e guardò su
in attesa nel familiare sguardo di Holmes.
La musica terminò improvvisamente e il dottor
Watson arrivò dalla pista, lasciando la partner con un gruppo di signore dopo
essersi inchinato.
“Buonasera, monsieur.” Holmes salutò l’amico.
“Buonasera.” Disse di rimando il dottore.
“Sono Monsieur Edmond Lemaire.” Disse, chinando
leggermente la testa.
“Dottor
Edward Burke. Piacere di conoscerla. Questa è mia nipote, la signorina
Ellen Hudson.”
“Ci siamo appena incontrati, ma non presentati. Ho
fatto lo sfortunato errore di andare a sbattere contro sua nipote, monsieur.”
Il detective si voltò verso Christine. “Buonasera e, ancora, le mie scuse,
mademoiselle Hudson.”
“E’ tutto a posto, monsieur. E’ una piacere
conoscerla.”
Il signor Holmes guardò verso la pista da ballo
per un momento. “Vorrebbe farmi il piacere di questo ballo, mademoiselle?”
“Oui, Monsieur.”
Mentre
si dirigevano verso la pista, gli diede una strana occhiata e gli parlò a bassa
voce. “Pensavo non le piacesse ballare. E cos’è successo prima?”
“Non
mi piace ballare.” Rispose. “E per quanto riguarda lo scontrarmi con
lei, ho evitato che lei conoscesse quel depravato, se mi perdona l’espressione,
mademoiselle.”
“Depravato? Chi?”
“L’uomo che le si stava avvicinando. Edward
Sanford. E’ un noto cafone e non volevo fosse costretta a conoscerlo.”
“Oh.
Merci, monsieur.”
Holmes
annuì. “Come sta
andando, signorina Hudson?”
“Bene. Ha…ha già visto Jason?”
“No.”
“Neanch’io…”
Passarono il resto del ballo prevalentemente in
silenzio. Quando la musica fu finita il detective la scortò indietro da Watson
e, notando con soddisfazione che Edward Sanford non era più in vista, svanì
anche lui nella folla.
Christine danzò ancora con un giovane uomo di
nome John Hector McFarlane, poi decise di prendersi una pausa e guardare Watson
ballare ancora.
Ballava molto bene e sembrava si divertisse
tantissimo. Christine mosse la testa lentamente a tempo di musica, sorridendo
mentre lo guardava girare con la sua partner.
“Ciao Christine.”
La voce arrivò improvvisamente dietro di lei e
provocò un brivido gelido lungo la spina dorsale. Se avesse avuto ancora il
bicchiere di champagne lo avrebbe sicuramente fatto cadere per la sorpresa. Jason!
-----
Oh-oh!! Si mette male per
Christine... Malgrado l'impegno l'ha riconosciuta subito (forse lei
pensava di fare come Sailor Moon, basta cambiare vestito e nessuno ti
riconsoce più é_é). Tenterò di aggiornare
al più presto, visto il finale appeso di questo capitolo.
Scusare il ritardo, stavolta mi sono lasciata prendere dalle vacanze.
Bebbe5: Eheh, i personaggi IC, malgrado la storia improbabile, è
una delle cose che mi ha fatto apprezzare questa fic. E' una di quelle
cose che non avremmo mai potuto leggere da parte di Conan Doyle, eppure
l'autrice è riuscita a mantenersi in linea. Posso
tranquillamente preannunciarti che avremo anche il punto di vista di Holmes, grazie anche alla piega che la storia sta già prendendo con Jason. Grazie per i complimenti :-)).
ISI: Credo che Watson sia in grado di far sciogliere qualsiasi pezzo di
legno, inclusa io! In questa storia è così gentile e
disponibile... Magari s'incontrassero degli Watson anche nella vita
reale! Eh, il tango sarebbe stato divertente da leggere, Watson
presissimo nella parte e con Holmes che si butta dalla finestra,
piuttosto che ballarlo! X-D Grazieeeeee!!!
Alchimista: La parte dove Holmes cerca gl'inviti mi ha ricordato un
episodio con Brett, è proprio la stessa scena! L'influenza
dell'autrice con quella serie è palese, Holmes E' Brett,
così come Watson E' Burke. Si nota anche nella scelta del nome
per il ballo. L'atmosfera familiare le è venuta proprio bene,
l'ho apprezzata molto anch'io. Spero ti sia piaciuto anche questo
capitolo, grazie anche a te per i complimenti e alla prossima!! ^__^
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Capitolo 11 *** Lanaghan ***
Capitolo undici
Capitolo undici: Lanaghan
Christine non si mosse, dondolando ancora la
testa a tempo di musica, facendo finta di non averlo sentito. Dopotutto, lui
stava parlando con Christine, non con
Ellen Hudson.
“Christine.”
Si morse il labbro e cercò di calmarsi. Doveva
essere assolutamente tranquilla quando si sarebbe girata verso di lui.
“Christine!” Sentì improvvisamente la mano
afferrarle le spalle e si voltò.
“Signore!” Esclamò e assunse un’aria scioccata
per reagire al suo atteggiamento. Era sicura della sua espressione molto
naturale, non era sorpresa di vederlo, lo era per il suo aspetto.
La coda era stata tagliata, i capelli
ordinatamente pettinati e tirati indietro. Il pizzetto a cui era abituata era
ugualmente sparito; era completamente sbarbato. Anche l’orecchino era scomparso
ed indossava un lucido frak nero. A dispetto di tutti questi cambiamenti, i
suoi occhi erano ancora i due pezzi di ghiaccio che conosceva bene.
“Ciao Christine.” Le sibilò.
Inclinò la testa leggermente. “Chiedo scusa?”
L’espressione di Jason si oscurò. “Non giocare
con me.”
“Giocare, signore?” chiese, sfoderando la sua
miglior espressione confusa.
“Non insultarmi, Christine.”
“Non ho mai sognato di insultare un gentiluomo
come lei, signore.” Guardò verso la pista da ballo dov’era il dottor Watson. “E
il mio nome è Ellen Hudson, non Christine. Ellen Hudson. Mio zio sta ballan…”
Jason si accigliò e le prese il braccio,
spingendola vicino a lui.
“Signore! Mi lasci, per favore.” Sussurrò in modo
urgente, guardandosi intorno. “Potrebbe dare un’impressione sbagliata…deve
avermi confusa con un’altra signora.”
“Sto perdendo la pazienza, Christine. Smettila di
recitare.”
Christine si sforzò di sorridere, ma dentro di sé
stava urlando. “Non sto recitando, signore. Per favore, mi lasci. Le ho detto
che il mio nome è…”
“Mademoiselle Hudson?”
Jason lasciò il suo braccio frettolosamente e lei
si voltò. “Monsieur Lemaire.”
“Est
cet homme vous dérange?*” Chiese Holmes, camminando verso di loro.
“Non, monsieur. Il est seulement l'erreur **. Monsieur Lemair, questo è…mi scusi signore.”
Disse, voltandosi verso Jason. “Non mi è stato detto il vostro nome.”
Christine poté vedere in quegli occhi gelidi che
Jason stava iniziando ad avere leggeri dubbi. Non l’aveva mai vista con un
vestito, meno ancora con un abito da ballo; era abbastanza sicura che non avesse
mai avuto i capelli raccolti in sua presenza e ed era certa non l’avesse mai
sentita parlare in francese.
“Lanaghan.” Replicò freddamente. “Jason
Lanaghan.”
É ovvio che
non usa uno pseudonimo. Non ce n’è bisogno…non è di queste parti. Chi potrebbe
conoscerlo oltre me? Si voltò di nuovo verso Holmes. “Monsieur Lemaire,
questo è il signor Lanaghan. ”
“Piacere.”
Disse Holmes, col suo forte accento francese, porgendo la mano.
Jason la strinse rigidamente.
“Mi chiedevo, mademoiselle,” Disse Holmes,
portando la sua attenzione verso la signorina Andrews, “se posso avere il
piacere della sua compagnia per il prossimo ballo?” Sollevò la mano, gli occhi
fissi su di lei, cercando di capire se lei stesse bene. L’apparizione di
Lanaghan era stata molto improvvisa, persino lui non l’aveva visto arrivare. Lei sembrava a posto al momento,
perlomeno esternamente. Internamente non ne era sicuro: le donne erano molto
difficili da capire a volte.
Lei fece per prendere la mano. “Cert…”
“Ho paura di aver già chiesto io alla signorina Hudons il prossimo ballo.”Interruppe
Lanaghan. “Ma sarò lieto dopo di riportarla da lei.”
Christine guardò Jason con uno sguardo sorpreso,
quindi con uno sguardo di scuse verso Holmes. Pose la mano sul palmo allungato
di Jason e, mentre gli altri ballerini uscivano dalla pista, loro vi entravano.
Holmes individuò Watson mentre scortava la sua
partner verso un gruppo di persone dall’altro lato della sala, guardando verso
di lui solo per un momento. Aveva promesso di non perderla di vista.
Quando la musica iniziò a suonare, Holmes guardò
la signorina Andrews e Lanaghan ballare e si trovò improvvisamente colpito da
un feroce desiderio di proteggerla da lui. Quell’uomo le aveva causato troppo
dolore e persecuzione e non gli piaceva per niente.
Odiava il modo in cui Lanaghan la teneva. Era
troppo rude e improvviso nei suoi movimenti per danzare con una signora. Odiava
anche il modo con lui la guardava, fissandola con quegli occhi di ghiaccio. E
odiava la paura nell’atteggiamento della signorina Andrews.
Nessun’altro avrebbe potuto vedere i sottili
indizi che vedeva lui. Lei voleva staccarsi da lui con tutta sé stessa, anche
se stava facendo un ottimo lavoro per nascondere la cosa. Holmes avrebbe detto,
nel modo in cui si teneva lontano da lui, nel modo in cui cercava di toccare
appena la sua mano, che volesse soltanto fuggire disperatamente dalla sua
stretta.
Watson ringraziò la signora per il ballo e si
volse nella direzione della signorina Andrews, cercandola. Era lì fino ad un momento fa…c’è Holmes, ma dove… Seguì lo sguardo
del suo amico verso la pista da ballo e riconobbe la signorina Andrews che
danzava con un signore dai capelli rossi.
Ma fu quando l’uomo si volse che vide difatti i
freddi occhi e realizzò che era Lanaghan. Spalancò gli occhi, ma si ricompose
in fretta e camminò il più casualmente possibile verso Holmes. “Ah. Bonjour Monsieur.”
“Bonjour.” Replicò Holmes, senza mai staccare lo sguardo
dalla signorina Andrews e Lanaghan. Il brano sembrava molto più lunga di quello
che era. Parlavano mentre danzavano, ma non aveva ancora perfezionato l’arte di
leggere le labbra e non poteva individuare cosa stavano dicendo. Ad un certo punto Lanaghan incrementò la
stretta sulla mano, fissandola ferocemente e lei guardò bruscamente verso di
lui. Holmes si irrigidì, ma non si mosse per timore di attirare attenzioni
indesiderate. Con suo sollievo, Lanaghan diminuì presto la stretta.
La signorina Andrews rimase calma per tutto il
tempo. Holmes sentì un certo orgoglio mentre la guardava: poche donne avrebbero
resistito ad una tale pressione. Si stava comportando meravigliosamente.
Alla fine il pezzo finì e la signorina Andrews
applaudì con gli altri invitati. Lanaghan rimase fermo, rigido come una tavola,
e le offrì il braccio ancora quando l’applauso fu terminato.
Quando si avvicinarono al signor Holmes e al
dottor Watson, Christine fece un gesto verso il secondo. “Signor Lanaghan,”
Disse piano. “Le presento mio zio,il dottor Edward Burke.”
“Signor Lanaghan.” Disse Watson e strinse la mano
di Lanaghan.
“Signore.” Disse Lanaghan.
Holmes notò dall’atteggiamento di Lanaghan e
dalla sua espressione che stava avendo qualche difficoltà a convincersi che la
donna vicino a lui fosse effettivamente Christine Andrews.
L’orchestra iniziò nuovamente a suonare e Holmes
offrì il braccio alla signorina Andrews. “Mademoiselle?”
Lei sorrise e lo prese con gratitudine.
“Grazie per il ballo, signor Lanaghan.” Disse,
dietro la spalla. Quando il signor Holmes le prese la mano, e iniziò a girare
in modo fluido per il valzer, chiese: “Êtes vous bien?***”
“Oui,”
rispose lei. Era ovviamente molto più rilassata di quanto non fosse stata pochi
minuti prima. “Merci, Monsieur. ”
Lui annuì. Quando iniziarono a muoversi intorno
alla pista, lui fece in modo di essere di spalle rispetto a Lanaghan e disse
tranquillamente. “Che cosa le ha detto? Continui a sorridere.”
“Mi ha chiesto a proposito della mia famiglia,
dove sono cresciuta, cose di questo tipo. Scortese da parte sua. Ma credo ci
sia cascato. Gli ho solo detto quello che mi ha detto lei. Ho detto che mia
madre è morta alla mia nascita, che mio padre è morto in un incidente
ferroviario e che il dottor Burke mi ha cresciuta. Credo di averlo ingannato, ma non ne sono sicura. Ho paura sappia
che sono io.” Abbassò sguardo.
“Tenga la testa alta, mademoiselle Hudson…Credo
che gli abbia dato motivo per dubitare della sua identità. Non sembrava molto
convinto di sé stesso quando è venuto via dalla pista. Speriamo il dottor Burke
rinforzi questo fatto.” Aggiunse, guardando verso Watson.
Il dottore e Lanaghan erano immersi nella
conversazione.
Christine guardò verso il dottor Watson annuire, replicando
alle domande di Lanaghan e, una volta, perfino ridendo, scuotendo la testa, al
punto che Lanaghan si raddrizzò, visibilmente agitato.
Quando Holmes la lasciò da Watson, Lanaghan tornò
da lei. “Signorina Hudson,” disse con gran difficoltà, “Spero mi perdonerà per
aver insistito prima. L’ho confusa con qualcun altro.”
Christine si sforzò di sorridere. “E’ tutto a
posto, signor Lanaghan. Nessun danno.”
Lo guardò mentre s’inchinava verso di lei rigidamente, facendo un cenno
del capo al dottor Watson e Holmes, allontanandosi. Afferrò un bicchiere da un
cameriere di passaggio mentre camminava.
“Excuse
moi.” Disse Holmes. Chinò la testa verso di loro e se ne andò anche lui.
“Zio,” chiese Christine, avvicinandosi a Watson. “Perché
stavate ridendo poco fa?”
“Eh? Oh.” Watson rise. “Mi ha chiesto se lei
fosse un donna molto schietta. Ho riso e gli ho detto ‘Niente affatto!’” I suoi
occhi brillavano.
Christine sorrise. “Grazie.” Il suo sorriso
diminuì mentre guardava la folla, subito in cerca della testa rossa di Jason.
Pensando che non l’avrebbe più avvicinata per
quella sera, Christine sentì spesso il suo sguardo su di lei. Era solo in
compagnia del dottor Watson, o quando sapeva che il signor Holmes stava
guardando, che si sentiva veramente al sicuro, sebbene ballò ancora diverse
volte quella sera. Jason non ballò più. Neanche il signor Holmes anche se,
quando lo guardava, si accorse di alcune donne scrutare nella sua direzione
nella speranza di un partner.
Quando si fece tarsi, tuttavia, non vide il
detective da nessuna parte. Deve essere
da qualche parte…ma non riesco a trovarlo. Quando il dottore arrivò dalla
pista gli chiese se avesse visto Holmes. Dopo essersi guardato intorno, Watson
scosse la testa, ma disse che avrebbe dato un’occhiata in giro.
Finalmente la folla iniziò a diminuire mentre la
gente tornava a casa. Christine ritrovò il mantello, il dottor Watson il
cappotto e chiamarono una carrozza. L’ansia iniziava a crescerle nello stomaco
mentre si guardava intorno alla folla che si disperdeva. Ancora non riusciva a
trovare il signor Holmes.
“Venga, signorina Hudson.” La voce del dottor
Watson la fece voltare. Teneva aperta la porta della carrozza, porgendole la
mano.
“Mi scusi. Grazie.” Diede un ultima occhiata in
giro, quindi salì dentro la vettura. Il dottore salì dopo di lei. Dopo aver
chiuso la porta guardò Watson. “Non riesco a vederlo.” Disse tranquillamente.
“Non si preoccupi.” Disse Watson in modo
confortante. “Holmes è quasi certamente già arrivato a Baker Street ad
aspettarci.”
Christine sospirò e si appoggiò quando la vettura
iniziò ad allontanarsi dal palazzo. “Probabilmente ha ragione.”
Quando arrivarono a Baker Street, la signora
Hudson lanciò un’occhiata curiosa al mento e alle guance rosse del dottor
Watson: aveva già tolto la barba.
“Holmes ha già chiesto qualcosa da mangiare?” Chiese Watson.
“Il
signor Holmes? Non lo vedo da quando siete usciti. Credevo tornasse con
voi.”
“No…lui…ha preso un’altra carrozza.” Guardò
cautamente verso la signorina Andrews che ora sembrava abbattuta e inquieta.
“Ma sono sicuro sarà presto di ritorno.”
La signora Hudson annuì e si girò verso
Christine. “Si è divertita signorina Andrews?”
“Hmm?” Christine voltò di scatto la testa. “Oh.
Si, mi sono divertita. E’ stato molto piacevole.”
“Sono felice di sentirlo. Perché non va nella sua
stanza a cambiarsi, porterò del tè e biscotti nella stanza delle consulenze.”
“Grazie, signora Hudson.” Disse Watson e salirono
le scale.
Nella mezz’ora successiva in cui Christine si
tolse il vestito da ballo per indossarne uno da giorno, il signor Holmes non
tornò. Cercò di fare attenzione nel caso sentisse la sua voce o il graffiare
del suo violino, ma alle sue orecchie arrivò solo silenzio.
“Non deve preoccuparsi, signorina Andrews.” Le
disse il dottor Watson, porgendole del tè. “A volte Holmes sparisce per tre
giorni.”
“Non quando c’è un uomo con una macchina del
tempo in libertà.” Mormorò.
“Come
scusi?”
“Niente.
Grazie.” Aggiunse, porgendo la tazza per il tè.
“Di nulla.” Watson appoggiò la teiera, col cuore
un po’ pesante. Odiava quando le donne erano preoccupate, specialmente quando
non c’era niente che potesse fare per aiutarle. Prese un sorso di tè,
schiarendosi la gola. “Si è
comportata molto bene questa sera.” Disse.
Lei guardò verso di lui e sorrise in modo
incerto. “Grazie. Non ci sarei riuscita senza di voi.”
Watson
scosse la testa. “Ne dubito…in ogni caso, sono contento fossimo lì con
lei. Lanaghan sembra un brutto
tipo.”
“Lo
è…” sospirò. “Spero
che il signor Holmes non sia con lui. Se è così…se Jason dovesse fargli
qualcosa, io…io…” S’interruppe e portò la mano destra sulla bocca, appoggiando
il gomito sul tavolo. Portò lo sguardo lontano dal dottor Watson.
“Mia cara signorina Andrews.” Disse Watson
subito, portando la sedia più vicina e prendendole la mano sinistra. “Per favore, non abbia paura. Non c’è
modo di sapere se Holmes è con Lanaghan. Ma se lo è…se c’è una cosa che so di Holmes è che sa come prendersi cura di sé
stesso. E’ terribilmente intelligente, lo sa.”
La signorina Andrews guardò verso di lui e lui le
offrì un sorriso incoraggiante. “Si,
ha ragione.” Annuì lei.
“Mi dispiace. Sono sicura che starà bene.”
“Ovvio
che lo sarà.” Disse Watson, il sorriso più largo. “Venga. Sediamoci vicino
al fuoco in attesa che ritorni.”
Dopo essersi ricomposta, Christine si sedette sul
divano con una tazza di tè e La Macchina del Tempo per distrarla.
Watson, intanto, sedeva nella sua solita poltrona
con La freccia nera di Robert Louis
Stevenson; era stato un regalo di Natale di Holmes nei loro primi anni insieme.
Aprì sul segnalibro e guardò l’orologio. Nove e un quarto.
Intorno alle undici e cinquanta Watson sbadigliò
e si recò in cucina per dell’altro tè. La signorina Andrews insisteva per
rimanere alzata fino a che il detective non fosse tornato a casa e il dottore non
volle lasciarla ad aspettare da sola.
Quando scoperchiò la teiera, sentì un click alla
porta. “Holmes?”
“Watson!” Il suo amico entrò in vista,
togliendosi i suoi baffi finti. Il detective sbuffò quindi diede delle calorose
pacche al dottore. “Ha recitato la sua parte in modo splendido!”
“E’
di buon umore.” Disse Watson in modo acido. “Dove diavolo è stato?”
Gli
occhi di Holmes brillarono. “Con Lanaghan. Ha vuotato il sacco.”
Watson sussultò e quasi si rovesciò l’acqua
bollente sulla mano. “Davvero?”
Volse la sua faccia scioccata verso l’amico. “In che modo è riuscito a
farlo?”
Holmes scoppiò in una risata simile ad un
latrato. “Si stava lamentando dello champagne, Watson, così l’ho portato al
King’s Head, dove si è prontamente ubriacato.”
“E le ha detto tutto?”
“Quasi.
So dove sta, so i nomi dei complici…era veramente sconvolto, sa. Tanto
meglio bere.”
“E’ meglio che lo dica alla signorina Andrews.”
Disse Watson, uscendo dalla cucina col vassoio del tè.
“Intende dire che è ancora alzata?” Disse Holmes
con stupore, voltandosi dalle scale.
Il dottore annuì. “Era terribilmente preoccupata
per lei, Holmes.”
Holmes guardò verso il suo collega per un lungo
momento di sorpresa, quindi guardò verso la porta della stanza delle consulenze
e iniziò velocemente a salire le scale. Preoccupata per me? Per cosa? Pensava fossi in pericolo? Non si rende conto
che posso difendermi da solo? D’altra parte, le donne si preoccupano così
facilmente…Comunque mi dispiace averla fatta preoccupare. Spalancò la porta
e Christine saltò dal suo posto sul divano.
Gli occhi spalancati vennero subito sostituiti da
un’espressione di gran sollievo che si sciolse in uno dei più bei sorrisi che Holmes
avesse mai visto.
“Signor Holmes!” Urlò felicemente e gli andò
incontro.
“Signorina
Andrews.” Rispose tranquillamente sorridendo. Le prese le mani. “Ha
recitato magnificamente stasera.”
Lei
arrossì. “Grazie, signor Holmes. Non avrei potuto farlo senza il vostro
aiuto.”
Lui rise e disse: “Ho buone notizia, signorina
Andrews. E’ meglio che si sieda. Quando arriverà anche Watson vi dirò tutta la
storia.”
*Questo signore le sta dando fastidio?
** No, signore. Si è solo sbagliato.
*** State bene?
------
Oh, tutto a posto, niente suspence eccessiva. Cosa racconterà Holmes e cosa succederà ancora? I capitoli "tranquilli" sono finiti, preparatevi all'azione!
Bebbe5: Grazie :). Holmes si dimostra il cavaliere perfetto anche in
questo capitolo. Iniziamo a vedere un po' che cosa pensa della nostra
eroina, sebbene sempre nel suo solito modo logico e freddo (per
fortuna...). Conan Doyle odiava Holmes, ma era anche e
soprattutto un uomo vittoriano, niente di troppo scabroso e storie
molto composte, nota Kitty Winter ne Il cliente illustre: bastava la
parola 'prostituta', invece fa un tale giro di parole per
descriverla... Viva gli apocrifi :-)).
ISI: Questo tuo passaggio della recensione: 'Ma che fai, sciagurata!?! Lo guardi ballare? Ma fai quattro salti con quel bellissimo uomo di tuo "zio"' mi
ha fatto ridere per mezz'ora come una deficente XD. Eh, l'etichetta,
che ci vuoi fare? Perlomeno hanno ballato un sacco in soggiorno. Come
ti ho già accennato, mi hai dato l'idea per una oneshot sul
tango, idea meravigliosa per mettere in imbarazzo Holmes (chissà
perchè Watson me lo immagino più accondiscendete). Spero
possa divertire e non risultare troppo idiota ;).*Holmes estrae la rivoltella, quella che usa per adornare il muro di casa, e prende ferocemente la mira*.
Alchimista: Tranquilla, sono comunque contenta che la storia ti piaccia
e che riesca a seguirla :-). Ti ringrazio per i complimenti, ma io sono
solo quella che sta adattando la storia, il merito è tutto
dell'autrice. Holmes la salva ancora e diventa sempre più
protettivo... Spero che questo dettaglio non ve lo faccia sembrare un
po' OC. Se hai letto solo ora il capitolo sei fortunata, trovi
già il successivo :-). A presto!!
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Capitolo 12 *** Beaufort Mansion ***
Capitolo dodici
Capitolo dodici: Beaufort Mansion.
“Non posso credere che sia riuscito a farlo parlare! Come?
Cos’avete fatto? Dove siete andati?” Christine si zittì e sedette con estrema e
totale attenzione su Holmes.
Il detective, ancora con il frac, prese con
gratitudine la tazza di tè che Watson gli porgeva. “Lanaghan,” iniziò, “l’ha
guardata per tutto il tempo.”
“Lo so. Potevo quasi sentirlo.” Christine
rabbrividì involontariamente.
“Ma alla fine si è preso una pausa, andando al
tavolo del rinfresco. Nel tempo che ho impiegato ad avvicinarmi, lui aveva già
bevuto due bicchieri di champagne. Ne presi uno anch’io e rimasi in piedi
vicino a lui. L’ho sentito dire qualcosa a proposito dei drink non abbastanza
forti e io mi sono detto d’accordo. Dopo essere rimasti lì alcuni minuti, gli
ho detto che conoscevo un posto dove servivano ottimi drink forti. Mi ha
chiesto dove si trovava e gli ho detto che ce lo avrei portato. E così ho
fatto. Dopo averlo convinto, ho chiamato una carrozza che ci ha portato al
King’s Head, uno dei pub più alla moda di Londra…” Holmes prese un altro sorso
di tè, quindi continuò. “Ho offerto di pagare i drink e lui ha accettato. Dopo molti drink ho fatto un commento su
Ellen Hudson.
A questo punto era molto ubriaco e non ha esitato
a raccontarmi di come si sia confuso e abbia preso la signorina Hudson per
qualcun altro, qualcuno chiamato Christine Andrews. E’ andato avanti a dirmi di
come non sia in grado di tornare a casa senza di lei, sebbene non abbia mai
detto perché.” Holmes agitò la mano
spazientito. “Alla fine l’ho interrotto
per chiedergli se era a Londra da tanto e dove abitasse. Ci ha messo qualche
momento per ricordarlo, ma mi ha detto, con un biascicare vergognoso, che stava
a Beaufort Mansion. ”
“Beaufort?
Non intende Ashton Beaufort, vero Holmes?” Chiese Watson.
“Lo stesso, Watson.” Gli occhi di Holmes brillarono
e annuì lentamente. “Mi ha detto che l’umile nipote di Ashton Beaufort, Brendan
Beaufort, è uno dei suoi colleghi e, visto che suo padre è lontano in Italia da
aprile, Lanaghan sta usando il suo palazzo. Ora, so che Brendan Beaufort è un alcolizzato,
un giocatore d’azzardo e ha disonorato la sua famiglia, quindi dubito che lo
zio sappia qualcosa di questa faccenda.
Per continuare, ho fatto qualche indagine sul
lavoro di Lanaghan. Mi ha detto di essere uno storico di metodi di tortura e ha
iniziato a divagare su alcune di queste. Ha divagato per un po’, era veramente
ubriaco. Ho cercato di farmi dire i nomi dei suoi compagni, comunque, e lui è
sbottato su quanto siano incompetenti e sudici. Sembra ci siano quattro
compagni di cui preoccuparsi, Watson. Tre di questi li abbiamo già incontrati,
il giorno del suo arrivo, signorina Andrews. Moore, Cunningham e Rutherby.
Rutherby ha lavorato con Moriarty, signorina Andrews, quindi credo che Lanaghan
sia il peggiore di tutti. Non mi piace neanche Cunningham, ma lui e Moore non
dovrebbero essere difficili da arrestare. L’altro, ovviamente, è Brendan
Beaufort che non sembra, neanche lui, un problema.”
“Cos’altro ha detto?” Chiese Christine mentre
Holmes faceva una pausa per finire la tazza.
“Questo era tutto quello che mi serviva e non
volevo spingerlo troppo. Così l’ho esortato ad andarsene e ho chiamato una
carrozza.”
Christine si appoggiò in avanti con un
espressione perplessa sul volto. “Non capisco. Perché non l’ha seguito? Perché
non l’ha portato qui per interrogarlo? Avremmo potuto scoprire dov’è la
macchina del tempo.”
“Non l’ho seguito perché sapevo dove stava
andando. Non solo, io non ero armato o preparato per un possibile attacco dei
suoi uomini. Non l’ho portato qui ad interrogarlo perché non è il tipo che
parlerebbe sotto pressione o minaccia. L’unica ragione per cui mi ha detto
tutto è perché era triste, ubriaco, e io gli stavo parlando in modo
indifferente. Ha detto le cose che le ho raccontato, non ha detto nulla sulla
macchina del tempo o qualcosa a che fare con il futuro. L’unica cosa che ha
menzionato è il suo nome e quanto abbia bisogno di trovarla per tornare a casa.
E’ un uomo prudente, signorina Andrews. Persino
nel suo ebbro stupore, ha sussurrato la sua destinazione al vetturino. Inoltre
eravamo in un posto pubblico. Non avrei potuto trattenerlo per paura di
attirare attenzioni non richieste.”
Christine annuì, quindi guardò Holmes con un
altro sguardo confuso. “Un attimo…ha detto di sapere dove stava andando? Voglio
dire, sa dov’è la casa dei Beaufort?”
“Si. E’ successo che Ashton Beaufort sia stato un
mio cliente, qualche tempo fa. So dove vive e ricordo la disposizione del
palazzo abbastanza bene. Propongo, domani notte, di andare lì noi tre. Armati e
con l’elemento sorpresa dalla nostra, credo che possiamo avere la meglio su
Lanaghan e i suoi uomini. Prenderemo la macchina del tempo, condurremo Lanaghan
e i suoi colleghi alla polizia e lei potrà tornare a casa.”
Christine affondò nel divano, le bocca
leggermente aperta. “Non posso crederci.” Un sorriso improvviso si diffuse sei
suoi lineamenti e si voltò verso i detective. “Non so cosa dire…eccetto grazie.
Grazie, signor Holmes.”
15 marzo
1895.
E’ passata da un po’ mezzanotte, ma dovevo
scrivere. Domani tornerò a casa. Il signor Holmes sa dove si nasconde Jason e ci
andremo domani. E’ sicuro che, essendo armati e con l’effetto sorpresa dalla
nostra, saremo in grado di sopraffare gli uomini di Jason. Considerato che
Jason ha sempre la macchina del tempo fra le mani o lì vicino, riusciremo a
prenderla e potrò tornare nel 2007 immediatamente.
Se sistemo la macchina del tempo
correttamente, nessuno sarà in grado di dire che io e Jason siamo stati da qualche
parte. NOTA: ricorda di portare il cellulare prima di partire.
In questo modo potrò chiamare la polizia non
appena arrivati.
Altre notizie… Stasera, o meglio ieri sera, si
è svolto il ballo dei Graham. Mi sono divertita molto, eccetto i minuti con
Jason. Ho ballato con molti gentiluomini di bell’aspetto, ma credo che i miei
balli preferiti siano gli unici che ho fatto col signor Holmes, non
particolarmente appassionato al ballo…
A questo
punto la penna di Christine si fermò. I suoi pensieri tornarono alla serata,
quando il signor Holmes era arrivato da lei così all’improvviso. Stava
ballando con te, disse a sé stessa, per evitare che potessi fare la
conoscenza con quell’uomo, il “noto cafone”. E la seconda volta, è stato per
proteggermi da Jason. Christine appoggiò la penna sulla scrivania, prese la
candela e si diresse al suo letto. Ma, le sussurrava una piccola voce
mentre saliva sul letto, è possibile che anche lui volesse
semplicemente ballare con te.
Con questa possibilità, e la sicurezza di casa
nella testa, Christine spense la candela e, contenta, si addormentò.
“Ha la sua pistola, Watson?” Chiese Holmes. Era
il giorno successivo, alle cinque. Il Beaufort Mansion era a Tilbury. Ci voleva
un po’ meno di un’ora per arrivarci.
Christine, vestita con un abito da viaggio, e
sentendo il peso del tirapugni della tasca del cappotto, stava nervosamente in
piedi. Vide il dottore annuire e portare la pistola di servizio in vista dalla
tasca del cappotto, giusto il tempo di farla vedere a Holmes.
“Eccellente. E’ pronto, signorina Andrews?”
Christine annuì. “Si, signore.”
“Andiamo allora. Se non mi sbaglio, questo è il
suono della carrozza di sotto.” Holmes prese il suo bastone da passeggio e una
borsa pulita di velluto dal tavolo, mettendola sotto al braccio.
In pochissimo tempo erano già in movimento sulle
strade di Londra, in direzione di Tilbury. In
poche ore sarò di ritorno a casa, pensò Christine. Nel momento in cui si
sentiva felice per questo, un altro pensiero la rattristò. Guardo verso il
signor Holmes e il dottor Watson. Mi
mancheranno. E la signora Hudson. Sono stati così gentili con me… I suoi
occhi indugiarono sul signor Holmes per un momento, sentì le guance diventare
calde e guardò da un’altra parte.
“Lasci qualunque scontro a noi, signorina
Andrews,” disse Holmes, guardando la luce dei lampioni a gas fuori. “Ma se
qualcuno le si dovesse avvicinare…”
“Ho il mio tirapugni, signor Holmes. Andrà bene.”
Si voltò con un sorriso fiducioso, che presto si attenuò, tradendo la sua ansia.
Voleva solo che tutto fosse finito. Sperava che nessuno si facesse male quella
sera.
Presto le strade lastricate e i ciottoli diventarono
sempre più sporche, i palazzi divennero sempre più rari. L’oscurità avanzava
sulla linea dell’orizzonte e presto fu sera. Il cielo diveniva più scuro man
mano che procedevano. Il viaggio fu pressoché silenzioso finche, quasi un’ora e mezza dopo,
Holmes disse tranquillamente “Qui.”
Christine si voltò sul posto per guardare fuori
dal finestrino. Un grande palazzo appariva scuro contro il cielo, minaccioso e
misterioso.
Holmes bussò al tetto della vettura con il
bastone da passeggio e si fermarono subito.
I tre uscirono dalla carrozza e Holmes fece segno
di muoversi. Non voleva che il vetturino li portasse alla casa, o fermarsi
troppo a lungo al centro della strada, per pausa di esporsi troppo.
“State giù.” Disse loro, accovacciandosi dietro
la siepe che circondava la strada d’accesso alla casa. “Tenete gli occhi
aperti. Se qualcuno ci vede, dobbiamo tirar fuori le pistole, Watson.”
“Non intende sparare, Holmes!” Disse Watson,
guardando duramente il suo amico.
“Soltanto se loro ci sparano, Watson.” Assicurò
il detective. “Andiamo.” Procedendo curvi lungo la linea della siepe, i tre si
avvicinarono in modo cauto a Beaufort Mansion. Dopo aver dato una lunga cauta
occhiata intorno, corsero lungo il sentiero circolare di ghiaia della strada
d’accesso e si appiattirono contro il muro dell’enorme portico colonnato.
Holmes distese la mano guantata e delicatamente
girò il pomello della porta. Chiusa a chiave. Annuì con aria d’intesa e prese
la borsa di velluto marrone dalla tasca. Aprendola sulle ginocchia, rivelò un’ordinata
e predisposta collezione di strani e variegati arnesi.
Il pensiero di Christine tornò indietro a L’avventura di Charles Augustus Milverton,
e di come il detective avesse usato gli stessi strumenti per forzare la casa
del maestro del ricatto.
Qualche momento dopo, Holmes stava delicatamente scuotendo
un lungo arnese sottile dentro la serratura. Poteva sentire la signorina
Andrews guardarlo, ma non sollevò lo sguardo. Dopo qualche attimo di intensa
concentrazione diede una sospiro soddisfatto, mentre un leggero click raggiunse
le sue orecchie. Ripose l’arnese in mezzo agli altri nella borsa di velluto
marrone, rimettendolo nella tasca, e tirò fuori il revolver.
Watson fece lo stesso e indicando alla signorina
Andrews di seguirlo. Holmes annuì e spalancarono la porta.
L’unica cosa che li accolse fu una casa buia e vuota.
La casa era fredda e non c’era neanche un luce a
gas o candela per vedere. L’entrata era molto larga, con una grande scalinata
proprio davanti a loro e l’ingresso continuava a sinistra, dritto e dopo le
scale.
Holmes si guardò intorno, la pistola ancora
sollevata. Indicò a Watson di chiudere la porta e alla signorina Andrews di
star dietro.
Christine guardò il detective dirigersi,
silenzioso e liscio come un gatto, verso sinistra, dove l’entrata si
congiungeva ad un corridoio. Si avvicinò all’inizio del corridoio e girò
l’angolo. Il dottor Watson fece lo stesso con il corridoio a sinistra, con
Christine vicino a lui.
I signori si guardarono l’uno con l’altro e scossero
la testa. Era tutto libero. Holmes si avvicinò silenziosamente al centro
dell’entrata e ascoltò, gli occhi stretti e le orecchie tese, qualunque possibile
suono. L’espressione cauta diventò un cipiglio. “Non c’è nessuno qui. Se ne
sono andati.”
“Forse hanno lasciato qualche traccia.” Disse
Christine.
“Si…” Il signor Holmes annuì lentamente mentre la
voce si spegneva.
“C’è qualcosa che non va?”
“Non c’è nessuno.”
“Si, lo ha appena…”
“No. Intendo che non c’è nessuno qui. Persino con Ashton Beaufort via, qui dovrebbe esserci
un po’ di personale per tenere le cose in ordine, ritirare la posta…non mi
piace Watson.”
Watson si avvicinò all’amico. “Crede sia un
qualche tipo di trappola?” Sospirò.
“Non credo. Se ne sono andati… Comunque, dobbiamo
far attenzione.” Holmes strinse i denti, quindi scosse la testa. “Andiamo,
diamo un’occhiata alle stanza. No, lei viene con noi, signorina Andrews.”
Disse, mentre lei si apprestava ad andare nella direzione opposta. “Non vorrei
fossimo separati se dovesse tornare qualcuno.”
Christine annuì e i tre si incamminarono lungo il
corridoio di sinistra. Holmes ispezionò il pavimento, ma era pulito, privo di
impronte visibili o qualcosa di significativo. Iniziò allora ad aprire le
numerose porte del corridoio.
Christine e il dottor Watson facevano lo stesso.
Quando il detective e il dottore ispezionarono la prima stanza, Christine
andava nella successiva. C’era una stanza per la musica, con un grande piano, attrezzata
con tante eleganti sedie. Il ritratto di una donna con un carlino fra le
braccia adornava la mensola sopra al caminetto.
Christine guardò nella stanza e ispezionò i
ripiani pieni di libri di musica e poesia, ma sembrava che niente nella stanza
fosse stato toccato.
Si mosse nella stanza successiva, passando di
fianco al signor Holmes, mentre lui entrava della stanza della musica. Watson
entrò in una delle due stanze dall’altra parte del corridoio. La stanza
successiva era chiusa a chiave. Guardando attraverso il largo buco della
serratura, poté vedere che era solo una stanza con dei mobili coperti da
stracci polverosi. Un salotto, da quel
che sembrava.
Allora si mosse verso la quarta stanza. Mentre
entrava, uno strano odore la accolse. Era un odore nauseante, sgradevole, ma
familiare. Raggiunse il pomello e lo girò, tenendo una mano sul naso e pensando
a cosa potesse essere quell’odore.
Spinse la porta e, mentre la stanza si rivelava,
fece di tutto per trattenersi dal gridare dal terrore..
Mani ferme improvvisamente le afferrarono le
spalle da dietro, facendola voltare, e si trovò premuta contro le pieghe del
cappotto profumato di tabacco del signor Holmes.
Si strinse a lui, nascondendo la faccia sulla
spalla, tentando disperatamente di cancellare la visione dalla mente. Lui la
tenne forte contro di sé, guidandola via dalla soglia. Lo sentì chiudere la
porta mentre si allontanavano.
Continuavano ad allontanarsi dalla stanza finché
lui si voltò, appoggiandosi al muro tra la terza e la quarta porta.
Watson uscì dalla porta di fianco all’ingresso e
i suoi occhi andarono immediatamente su Holmes. Il detective era appoggiato
contro il muro dall’altra parte, tenendo la signorina Andrews contro di lui.
Lei sembrava stesse tremando e le labbra di Holmes erano una stretta linea
bianca, gli occhi sconvolti.
Watson incrociò il suo sguardo e gli occhi
dell’amico indicarono velocemente la porta alla loro destra. Il dottore
aggrottò la fronte e si avvicinò alla porta. Cosa può esserci in quella stanza da averli sconvolti a questo modo? Raggiunse
il pomello della porta,ma prima di toccarla, la mano di Holmes scattò e afferrò
il suo braccio.
Lo guardò improvvisamente confuso
“Si prepari, Watson.” Disse il detective
tranquillamente, lasciando il braccio.
Watson deglutì e afferrò la maniglia. La girò e
lentamente aprì la porta. Fu dapprima accolto da un odore così familiare che il
dottore si chiese come avesse potuto dimenticarlo in principio. Era sangue.
Ma la vista davanti a lui soffocò tutti i sensi e
lo costrinse ad un involontario passo indietro. “Buon Dio…” sussurrò, portando
una mano alla bocca.
Dentro giacevano sei o più cadaveri, tutti
domestici. Sia uomini che donne, stavano distesi in una pila straziata con
occhi privi di vita, spalancati sul niente.
La sua professione gl’imponeva di andare dentro
la stanza per determinare il tempo e la causa della morte, ma i suoi piedi si
muovevano come due pezzi di piombo. Ci vollero diversi attimi prima di trovare
abbastanza coraggio per avvicinarsi. Sentì la signorina Andrews mugolare contro
Holmes mentre entrava nella stanza.
Ad un’ispezione ravvicinata, scoprì che quelle
persone non erano state solo uccise. Erano
state torturate.
Alcuni avevano lividi, tagli profondi e
lacerazioni, più d’uno aveva, intorno al collo, profondi lividi scuri che solo
un laccio avrebbe potuto fare.
Dallo stato e dalla rigidità dei corpi, dovevano
essere morti solo da poche ore. Sono
stati uccisi solo un paio d’ore fa…questo significa che Lanaghan e i suoi
uomini se ne sono andati da poco. Significa che potrebbero tornare per
sistemare i cadaveri!
Uscì di fretta dalla stanza, chiudendo la porta. “Holmes,”
disse, “E’ meglio che andiamo. Queste persone non sono morte che da poche ore.”
Holmes con un lampo veloce capì cosa Watson aveva
dedotto su Lanaghan e i suoi uomini. Annuì, quindi allontanò la signorina
Andrews da lui. Il suo viso era contratto e pallido.
Con un acuto e improvviso senso di colpa, Holmes
si pentì di averla portata con loro. Una
donna non dovrebbe essere testimone di un simile orrore. “Andiamo,
signorina Andrews. Dobbiamo lasciare questo posto. Lanaghan potrebbe tornare.
Sembra abbia una forza di uomini più grande di quel che pensassi.”
“Lo ha fatto Jason.” Sussurrò, mentre i suoi
occhi indugiavano alla porta chiusa. “Li ha torturati e uccisi…lo ha fatto
lui.”
“Venga.” Disse Holmes, posando gentilmente una
mano sulla sua guancia e facendole voltare il viso lontano dalla porta. “Dobbiamo
andare.”
Holmes teneva stretto il braccio della signorina
Andrews e, con Watson, si diressero nell’entrata principale dove, vicino alla
porta, arrivavano rumori che fecero bloccare i tre impalati.
“Voci.” Sussurrò il dottore.
Sentirono per un attimo le voci diventare più
forti, avvicinarsi alla porta.
“Sulle scale! Veloci!” Sibilò Holmes. I tre
corsero su per le scale e Holmes tirò la signorina Andrews nell’ombra della
ringhiera mentre la porta si apriva.
Entrarono due uomini, subito seguiti da un terzo
e un quarto.
Il primo guardò verso la porta. “Pensavo di
averla chiusa a chiave questa.”
Il terzo uomo scrollò le spalle in risposta.
Il primo scosse la testa. “Di’ a Winfrey di
muoversi.” Era alto, i capelli color sabbia e con un tatuaggio sul palmo
sinistro. “Voglio solo scaricare i cadaveri e andarmene di qui.” Camminò verso
il corridoio di sinistra.
Il quarto era andato a prendere Winfrey, ma il
secondo e il terzo seguivano il primo uomo. Il secondo era sottile, un uomo
dall’aspetto da faina; il terzo era un omaccione grosso con una fronte larga.
Il primo uomo andò avanti nel corridoio, ma si
fermò quando uno scricchiolio, forte nel
silenzio del corridoio, raggiunse le sue orecchie. Si voltò lentamente. “Cos’è
stato?”
L’uomo grosso sollevò il piede e si fermò; l’uomo
più piccolo si curvò e raccolse un piccolo oggetto dal pavimento.
“Cos’è questo?”
Chiese il primo uomo spazientito.
L’uomo piccolo sollevò l’oggetto sconosciuto
vicino agli occhi. “Sembra un orecchino. O quello che ne rimane.”
Christine spalancò gli occhi e le portò le mani
alle orecchie. Il suo orecchino sinistro era al suo posto, ma quello
destro…quello destro era sparito. Si voltò verso il signor Holmes, gli occhi
sempre più grandi. Gli occhi di lui incontrarono i suoi e mise una mano sulla
sua spalla in modo rassicurante.
“Fammi vedere.” Disse il primo uomo.
“Probabilmente viene da una delle domestiche.”
Replicò l’uomo piccolo, porgendoglielo.
“Ha mai visto un domestico con dei gioielli?”
“Beh, no…”
“Esattamente. Questo significa…” La voce si alzò
lentamente e i suoi occhi si mossero per la stanza mentre faceva cadere
l’orecchino. “C’è qualcuno qui.”
Gli altri due si irrigidirono e si guardarono
intorno.
I quattro uomini, e ora un quinto,
presumibilmente Winfrey, a queste parole si fermarono nell’entrata.
“Beaufort. Cunningham. Di sopra. Moore, vieni con
me. Winfrey, controlla questo piano. Ehi, Everly,” urlò fuori. “Guarda la
porta. Se qualcuno esce sai cosa devi fare.”
Holmes tirò lentamente indietro Christine dalla
ringhiera, mentre lui e Watson si ritiravano nell’oscurità del corridoio.
Beaufort, un uomo dall’aspetto nervoso e dai
capelli scuri con un lungo naso, e Cunningham, l’uomo piccolo e simile ad una
faina, guardarono su per la rampa di scale e iniziarono a salire.
“Da questa parte.” Sussurrò Holmes nell’orecchio
di Christine.
Velocemente si allontanarono dal corridoio, in
cerca di una stanza dove nascondersi. Troppo presto sentirono dei passi.
“Presto.”
Sussurrò Holmes urgentemente. Corse dentro la stanza più vicina, Watson
s’infilò dentro dopo di lui.
Ma Christine era dietro, così ansiosa riguardo
agli inseguitori, che entrò dentro una stanza vicino a quella dov’erano il
detective e il dottore.
“Signorina…”
Iniziò Holmes, ma fu tirato indietro da Watson, quando i passi risuonarono forti nel corridoio, e lo
scricchiolio di una porta aperta li raggiunse.
Quando i passi divennero vicini, Holmes e Watson si
ritirarono nell’ombra della stanza. Holmes studiò il posto con un unico sguardo
ampio. Semplice, arredamento pulito. La stanza di un domestico. Non c’era
niente di utile e nessun posto dove
nascondersi.
Sentì Watson dargli un colpetto col gomito e,
voltandosi, vide il dottore gesticolare verso una porta che sarebbe stata un ben
nascosta se non fosse stata aperta. Essendo la stanza dei domestici, la porta
molto sicuramente portava ad una scala che dava sulla cucina.
“Cerca in quella stanza. Io guarderò nell’altra.”
Sentirono una voce fredda dire tranquillamente.
Un paio di passi rimbombarono lungo il corridoio;
gli altri si fermarono alla loro porta che si aprì.
Holmes e Watson erano a metà della scala quando
sentirono il click della porta nascosta che si apriva. Si mossero in fretta e
tranquillamente, ma Holmes fece scricchiolare un gradino, allertando l’inseguitore.
I suoi veloci, pesanti passi risuonarono dietro
di lui, mentre si sbrigava con Watson alla fine della scala.
Non appena arrivarono in fondo, Watson tirò fuori
il revolver d’ordinanza, alzando il grilletto, e voltandosi di nuovo verso le
scale. L’uomo, non Cunningham, ma Beaufort, si materializzò fuori dall’oscurità
con uno sguardo torvo. Lo sguardo fu sostituito istantaneamente da uno di shock
e paura quando vide la pistola.
“Mani in alto,” disse Watson. “E non una parola.”
Beaufort chiuse la bocca e mise le mani sulla
testa.
“Qui.” Disse Holmes e diresse lo sfortunato uomo
dentro una larga dispensa piena di cipolle e patate.
Beaufort sedette obbediente su un barile
capovolto, su cui, silenzioso, stava con le mani ancora alzate.
“Non una parola.” Ripeté Holmes in modo
pericoloso. L’uomo annuì, gli occhi spalancati ed enormi.
Chiusero lo sportello della dispensa, il più
silenziosamente possibile, e Holmes posizionò una sedia davanti al pomello. “Questo
dovrebbe bloccarlo. Watson, sta diventando troppo pericoloso per noi due soli.
Non pensavo che Lanaghan avesse così tanti uomini. Ho paura che dovremo chiamare
la polizia.” Si avvicinò a Watson e abbassò la voce. “Se mi ricordo
correttamente, c’è un lungo corridoio che si biforca dalla cucina. Porta nella sala da ballo. Dovrebbe
trovare una via d’uscita da lì, attraverso un basso balcone. Stia pronto con il
revolver quando esce. La casa vicina non è troppo lontana, deve chiamare aiuto.”
“Cosa
farà lei?”
“Andrò a cercare la signorina Andrews. Verremo
subito dopo di lei.”
Watson annuì, riponendo il revolver dentro alla
tasca del cappotto, prima di uscire.
Mentre Holmes tornava su per le scale ancora una
volta, Watson posò una mano sulla sua spalla. “Faccia attenzione, Holmes.”
Il detective annuì e svanì nell’oscurità della
scala.
Holmes ascoltò sulla porta per qualunque suono
nella stanza, ma c’era solo silenzio. Percorse il corridoio fino alla stanza
dove la signorina Andrews era entrata. La porta era chiusa. Dopo una prima
occhiata nel corridoio, aprì la porta. “Signorina Andrews?” Sussurrò, alzando la pistola. Fece un altro
passo dentro la stanza e inciampò contro qualcosa.
Guardò per terra e gli occhi gli si spalancarono
per la sorpresa. Cunningham stava steso lì, completamente incosciente. I cocci
di un vaso rotto, uno molto pesante ad una prima occhiata, giacevano vicino.
Così è
stata qui. Ben fatto, signorina Andrews. Si guardò intorno e vide un’altra
uscita che portava fuori dalla stanza. Vi entrò, chiudendo entrambe le porte
dietro di lui. Non voleva che Cunningham gli si avvicinasse di soppiatto quando
si sarebbe svegliato.
Sebbene Holmes
sapesse che la signorina Andrews era passata di lì, era difficile dire dove
fosse andata. Il vestibolo era eccezionalmente buio e la signorina Andrews
aveva l’abitudine di camminare con molta leggerezza sulle punte, per cui lasciava
appena delle impronte da seguire.
Arrivò presto in una intersezione del corridoio. Guardò
a destra e a sinistra, ma decise per la sinistra, dove c’era una sorta di
balcone, molto piccolo, ma con una vasta apertura, affacciata su un’enorme sala
da ballo. Holmes si avvicinò cautamente quando sentì delle voci di sotto.
Sbirciò oltre la ringhiera per vedere Watson e
Rutherby.
Alla debole luce della luna che arrivava dal
lucernario, il detective vide che Rutherby stava di fronte al dottore,
puntandogli la pistola. Holmes vide con orrore l’uomo alzare il cane della
pistola e mirare verso Watson.
“WATSON!” Urlò Holmes. Si girò rapidamente e tornò
indietro da dove era venuto. Se fosse stato in grado si saltare dalla balconata
sul pavimento della sala da ballo senza rompersi le gambe, lo avrebbe fatto all’istante.
Ma l’unica possibilità era tornare indietro da dov’era venuto, attraverso la
porta dov’era Cunningham, giù per le scale e attraverso la stanza che portava
nella sala da ballo.
Sollecitò le gambe più velocemente. Corse attraverso
le stanze, rallentando appena per aprire sbattendo le porte. Sbandò lungo i
corridoi e si scapicollò giù per le scale, così velocemente che pensava di
cadere ad ogni momento.
Ma
non cadde. Cadere significata rallentare. Cadere significava non arrivare
in tempo. Cadere significava non essere in grado si salvare…
Improvviso come la luce del fulmine, e
altrettanto penetrante, un colpo di pistola squarciò l’aria.
------
Non
voletemi male, non è colpa mia se il capitolo finisce a questo
modo. Holmes non vuole avere legami sentimentali per non avere i
sensi offuscati, ma quando si tratta di Watson è peggio di un
innamorato: se sparava a Rutherby dal balcone si evitava la corsa e il
terrore per l'amico...
Bebbe5:
hai perfettamente ragione su Jason, come puoi vedere da questo
capitolo. Si, Holmes, a modo suo, è proprio carino, per fortuna
non eccede col sentimentalismo, ma si mantiene sempre, incredibilmente,
IC. T'invidio molto, io non sarei riuscita a trattenermi, sapendo che
c'è già una versione completa da qualche parte! Sarei
già andata a leggermela tutta, dal primo momento... Grazie per i
complimenti ^_^.
ISI:
Ehm, riesco a scrivere un racconto vagamente preslashoso su Holmes e
Watson che ballano il tango, ma una roba a tre mi è proprio
difficile, non sono in grado, e invidio tantissimo chi ci riesce...
Tranquilla per i commenti, hai trovato una che non è molto sana
neanche lei, l'avrai vagamente intuito :-P. Ti ha fatto venire il
magone per la preoccupazione di Christine? Eh, spero che questo
capitolo non abbia peggiorato la situazione... Grazie per il seguito,
prometto di non tenervi troppo sulle spine :-)).
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Capitolo 13 *** Troppo combattuta per consolarsi ***
Capitolo tredici
Capitolo tredici: Troppo combattuta per
consolarsi
Il rumore ridusse in frantumi la mente e il cuore
di Holmes, quasi fossero vetro. Il respiro si fermò in gola come se tutto
dentro di lui fosse diventato di ghiaccio. Corse ancora più veloce, pensieri e
visioni orribili gli attraversarono la mente. Il suo più caro e leale amico
ferito e sanguinante. Costretto ad esalare l’ultimo respiro in quel freddo pavimento. Morente. Morto.
L’entrata della sala da ballo arrivò in vista e
accelerò tirando fuori la sua pistola. Perché, in nome del cielo, non aveva
sparato a Rutherby dal balcone?
Entrò dalla porta ansimando “Joh…!” Ma si fermò
bruscamente.
Watson era in piedi con la schiena rivolta verso
di lui, illeso!
Rutherby era morto ai suoi piedi.
Ma Watson non era armato al momento, allora chi…?
Un movimento dall’altro lato della stanza attirò la sua attenzione.
La signorina Andrews stava avanzando lentamente,
una pistola stretta fermamente nelle mani. Fissava con orrore la forma senza
vita di Rutherby, lo shock sulla sua faccia evidente come i brandelli rossi che
scorrevano dalla ferita fatale nella testa dell’uomo. Persino da quella
distanza Holmes la vide tremare. Christine guardò l’arma nelle sue mani e la
fece cadere a terra.
Portò con terrore le mani alla bocca per ciò che
aveva fatto, con la consapevolezza che si andava formando negli occhi
spalancati. Guardò dal corpo
morto al dottore. “Dottor Watson!” Urlò e corse da lui.
Lui
la afferrò e la tenne stretta. “E’ tutto a posto, signorina Andrews.” Disse gentilmente.
“Lei sta bene?” Sussurrò lei dopo un momento.
Lui
annuì. “Si. Grazie a lei.”
Il labbro inferiore tremò mentre guardava alla
sua sinistra. Rutherby era adesso illuminato dalla brillante luce lunare che rendeva
la chiazza di sangue rossa persino più evidente.
“Watson?”
Il dottore si voltò verso la pacata voce tremante,
stringendo ancora la signorina Andrews. “Holmes.” Non aveva mai visto il
detective così pallido, persino nella malattia. Aveva sentito l’amico chiamare
il suo nome prima che fosse sparato il colpo.
Holmes si fece avanti e posò silenziosamente una
mano sulla sua spalla. Watson spostò un braccio dalla signorina Andrews e
afferrò la mano dell’amico. “Sto
bene, Holmes. ”
Il
detective annuì rigidamente, le labbra strette. Il suo cuore aveva
realizzato solo in quel momento che Watson non era più in pericolo e stava
cercando di rallentare il battito. “Sta…sta bene, signorina Andrews?” Riuscì a
dire, cercando di non soffermarsi su quello che era appena successo.
Lei non rispose. Stretta contro le spalle del
dottor Watson, teneva gli occhi ancora fissi sul corpo di Rutherby.
“Signorina Andrews?” Quando non rispose ancora,
Holmes si mosse per mettersi sulla linea del suo sguardo. Lei guardò su verso
di lui, sorpresa. “Sta bene, signorina Andrews?” Ripeté lentamente.
Lei iniziò ad annuire, ma il movimento divenne
presto uno scuotere la testa e si morse le labbra. Holmes si rese conto che stava
facendo di tutto per non piangere e sollevò una mano per toccarle la spalla.
Sentirono il rumore della porta d’ingresso
spalancarsi. “Corri, Winfrey! Sono i poliziotti!” Urlò una voce.
Veloci, frenetici passi stavano arrivando nella
loro direzione.
Watson spostò la signorina Andrews dietro di lui,
rimanendo davanti a lei per proteggerla. Holmes si pose di fianco al suo
compagno ed entrambi alzarono le pistole.
Un giovane uomo con i capelli castano-topo, e un
altro con un berretto scozzese, entrarono nella stanza, solo per bloccarsi di
colpo di fronte a Holmes e Watson. Sbiancando di colpo, alzarono le mani.
“Da questa parte!” Disse una voce profonda mentre
si avvicinavano molti altri passi. In vista venne un giovane ufficiale,
dall’aspetto duro, con una bombetta marrone e un vestito in tinta, correndo a
tutta velocità finché non vide il detective e il dottore.
“Signor Holmes?”
Disse con sorpresa, guardando verso di lui.
“Jones.”
“Che cosa state facendo qui? E chi sono questi…buon Dio, cos’è successo qui?” Chiese
all’improvviso, guardando verso il corpo senza vita di Rutherby.
“Questi uomini non sono con noi. Le spiegherò il
resto fuori.” Rispose Holmes.
L’ufficiale
annuì lentamente. “Giusto. Va bene signori, da questa parte.” Disse in
modo più brusco. Prese Winfrey e il suo compagno per la collottola, spingendoli
davanti a lui, verso gli altri poliziotti.
Holmes guardò indietro verso Watson e la
signorina Andrews e iniziò a seguire Jones.
La testa di Christine si voltò per guardare il
corpo di Rutherby, ma sentì il braccio del dottor Watson intorno alle spalle
che la spingeva via. “Andiamo, signorina Andrews.”
Pochi minuti dopo, erano in piedi nella strada
d’accesso circolare, nella luce delle lampade della polizia e della luna.
Winfrey e il suo compagno, Everly, venivano fatti salire sul cellulare con un
altro degli uomini di Lanaghan, uno chiamato Lindt che continuava a imprecare
forte in tedesco.
Watson lo guardava con disapprovazione, dirigendo
la signorina Andrews sul ciglio della strada d’accesso, lontano dalla
confusione.
Holmes rimase con la polizia a parlare con l’ispettore
Peter Jones per alcuni minuti.
Durante questo tempo, Christine sedeva con il
dottor Watson molto tranquillamente, le dita avvolte intorno al ciondolo.
Faceva profondi respiri regolari, cercando ogni secondo di non piangere. Ho ucciso un uomo. Ho ucciso un uomo. E’ morto e l’ho ucciso io. Era
tutto quello a cui riusciva a pensare. Sprofondò ancora di più dentro al
cappotto, volendo soltanto sparire fra le pieghe e non riemergerne più.
“Sono belle, non è vero?” Disse Watson,
cogliendola di sorpresa.
Guardò verso di lui con sorpresa. “Cosa?” Chiese,
la voce piuttosto rauca per il tentativo di trattenere le lacrime.
Watson fece un cenno verso l’alto, alzando gli
occhi al cielo. “Le stelle.”
Lei
guardò verso il cielo. Sapeva che stava solo cercando di distrarla…ma
funzionò. Rimase a bocca
aperta. Non aveva mai visto tante stelle in vita sua. Fuori in campagna,
senza la luce elettrica, fumo o nuvole a nasconderle, i puntini luminosi erano
molto più numerosi e brillanti di quanti ne avesse mai visti. “Si, è vero.” Disse annuendo. S’impose
di tenere gli occhi fissi sopra di lei, invece di voltarsi dove la polizia e il
signor Holmes stavano parlando. “I miei…i miei genitori ed io avevamo
l’abitudine di campeggiare nel Shropshire.” Disse al dottore. “Andavamo per
lunghi fine settimana, prima che mia madre si ammalasse. Ma persino nello
Shropshire non ne ho mai viste così tante.”
“Mia moglie ed io eravamo soliti fare delle
passeggiate serali in Regents Park.” Disse Watson piano. “Lei amava guardare le
stelle.”
Il timbro addolorato della sua voce costrinse
Christine ad abbassare gli occhi dal cielo e fissarli sul dottore. Si era
dimenticata di Mary Watson. Doveva essere morta durante la lunga assenza del
signor Holmes. “Oh, dottor
Watson. Sono…sono così…”
“Dottor
Watson? Può venire qui, per favore?” Chiese un poliziotto, avvicinandosi
a loro.
Watson si schiarì la gola. “Posso chiedere perchè?”
“Dobbiamo solo farle qualche domanda, signore.”
“Oh.
Certamente. Solo un momento. Holmes?” Chiamò e il detective si volse nella
sua direzione. Il dottore fece un cenno verso di lui.
“Cosa c’è Watson?”
“Vogliono farmi qualche domanda.” Rispose Watson
quando furono a distanza dal poliziotto. “Cosa devo dire quando mi chiederanno
cosa stavo facendo qui?”
“Che mi stava aiutando con un caso. Se volessero
maggiori dettagli, dica loro di venire da me.”
Watson
annuì. “Holmes?”
“Si?”
“Può rimanere con la signorina Andrews? Non credo
sia il caso che resti da sola ora. ”
Holmes guardò verso la donna, rannicchiata nel
cappotto, gli occhi a terra. Dopo
un momento di esitazione, annuì. “Certamente, Watson.” Mentre il dottore
si allontanava per parlare con alcuni poliziotti, Holmes andò verso la
signorina Andrews.
Christine guardò verso la figura alta del signor
Holmes che si avvicinava, ma non voleva guardarlo negli occhi e distolse lo
sguardo. Fu contenta quando lui non disse nulla.
Holmes indugiò vicino a lei, in piedi. Cercò di
pensare a qualcosa da dirle, ma la sua mente non trovò niente di appropriato al
momento. Continuò a guardarla fugacemente mentre rimaneva in piedi con le mani
dietro la schiena, dondolandosi leggermente sui talloni. Alla fine decise di
sedersi.
Lei si ritirò ulteriormente nel cappotto, stringendo
le braccia intorno al petto e affondandoci la testa. Holmes si rese conto che
provava vergogna e spavento per quello che aveva fatto. Avrebbe voluto
liberarla dal quel tipo di senso di colpa. Quello che era successo non era una sbaglio.
Quello che aveva fatto era eroico, persino se fosse finito peggio. Watson era
vivo grazie a lei.
Questi pensieri si stabilirono fermamente nella
mente di Holmes mentre la guardava. Aveva fatto cose molto coraggiose e incredibili,
anche se qualcuna indegna di una signora, nelle poche settimane che l’aveva
conosciuta. Trovandolo tramite il Diogenes Club, saltando sul tetto per
sfuggire ai suoi inseguitori, correndo dietro a Caine per le strade di Londra e
consegnandolo nelle mani della polizia, quella splendida performance al ballo
dei Graham e ora il salvataggio di Watson.
“Ha abbastanza caldo, signorina Andrews?” Chiese
mentre lei si ritirava ancora di più nel cappotto. Alzò gli occhi per
incontrare i suoi, solo per un secondo, e annuì. Quel momentaneo sguardo colpì
il cuore di Holmes. Era così pieno di dolore e vergogna da potervi a malapena
farvi fronte.
“Signorina Andrews.” Iniziò, ma venne interrotto
dall’ispettore Jones che si avvicinò schiarendo la gola.
“Scusatemi. La signorina Andrews, vero?”
Lei sollevò lo sguardo verso il poliziotto. “Si, signore.”
“Può venire come me? Vorrei
farle qualche domanda.”
Lei guardò da Jones a Holmes, la fronte corrugata
in un espressione più preoccupata.
“Qualunque cosa debba chiederle può farlo qui,
Jones.” Disse Holmes
severamente.
Jones
rimase sorpreso dalla durezza nella voce del detective. “Va bene, allora.” Tirò
fuori un taccuino e una matita. “Cosa faceva qui stasera, signorina
Andrews?”
“Io…stavo aiutando il signor Holmes con un caso.”
“Il suo
caso?”
“…si.”
“Cosa vi ha portato qui?”
“Abbiamo seguito la traccia di un uomo fin qui. Ha
qualcosa che mi appartiene.”
“Oh? E che cos’è?”
“Temo che questo sia personale, signore.”
“Ah.” Fece uno sguardo sospettoso, ma con suo
sollievo non spinse ulteriormente la faccenda. Girò indietro le pagine del
taccuino e, dopo aver letto qualcosa, chiese. “Vorrebbe riportarmi cos’è
successo dopo essersi separata dal signor Holmes e dal dottor Watson?”
“Uhm,
si.” Fece una pausa e portò una mano alla testa. “Io…ero in una stanza
dall’altra parte del corridoio rispetto a loro. Due uomini arrivarono
dall’ingresso, uno entrò nella loro stanza. Ero nascosta dietro ad tavolo
quando uno dei due entrò nella mia. Ho aspettato finché non mi ha dato le
spalle e l’ho colpito alla testa con un vaso. ”
“Lo ha reso incosciente?”
“Si signore.”
“Clarke!” Sbraitò all’improvviso, girandosi.
“Signore?”
“Avete trovato un uomo privo di sensi in una
delle stanze di sopra?”
“No
signore. Ma sembra che qualcuno ci sia stato là sopra. Abbiamo trovato pezzi
di ceramica.”
“Voglio che setacciate tutta l’area. Devono
esserci ancora due uomini all’appello.”
“Si signore!”
Jones annuì e si voltò di nuovo verso la
signorina Andrews. “Per favore, continui.”
“Dopo averlo messo a terra, ho preso la sua
pistola e ho chiuso la posta. Sono uscita da un’altra porta. Non sapevo di
preciso dove stavo andando. Sono solo passata stanza dopo stanza, finché non ho
ritrovato le scale. Sono scena e mi sono avvicinata all’ingresso. Ho sentito
delle voci e le ho seguite, finché ho scoperto da dove arrivavano. Ho visto il
dottor Watson e quell’uomo…”
“Rutherby?” Intervenne Jones.
“Io
non…” Christine guardò
verso Holmes che annuì. “Si, era Rutherby. Stava urlando contro il
dottor Watson e gli puntava la pistola. Ho sentito il signor Holmes urlare il
nome del dottore, ho tirato fuori la pistola e ho mirato verso Rutherby. Mi ci
è voluto un momento per capire come alzare il grilletto, ma quando l’ho fatto…”
Si bloccò, abbassando la
testa.
Jones
smise di scrivere e guardò verso di lei. “E dopo?” Incitò.
La
sua voce divenne un sussurro. “Gli ho sparato.”
Jones aprì la bocca per fare un’altra domanda, ma
fu bloccato dallo sguardo di avvertimento di Holmes. “Grazie, signorina Andrews. Dove possiamo trovarla se
avessimo altre domande?”
“Può
chiedere a me.” Replicò Holmes. “E’ una mia cliente.”
“Come vuole lei, signor Holmes.” Disse Jones e
chiuse di scatto il taccuino.
“Siamo liberi di andare?” Chiese Holmes.
“Si,
signore. C’è una carrozza in attesa laggiù per voi. E qui c’è il suo
bastone da passeggio. Uno dei miei uomini l’ha trovato, dev’esserle caduto in
casa.”
“Ah, si. Se dovesse servirle qualcos’altro, sa
dove trovarmi Jones.” Disse Holmes e porse la mano alla signorina Andrews. Dopo
averla aiutata ad alzarsi, sollevò il bastone da passeggio verso Watson e il
dottore andò con loro verso la carrozza.
Il viaggio verso casa fu lungo, freddo e
tranquillo. Christine si sistemò il più comodamente possibile in un angolo del
sedile, non volendo essere vicina a nessuno al momento. Era stanca morta, ma
non poteva dormire, per quanto lo volesse disperatamente, soltanto per tenere
la mente lontana da quello che era successo quella sera. Ogni volta che
chiudeva gli occhi, poteva vedere la forma esanime in una pozza di sangue.
Holmes sedeva affianco a Watson, in silenzio,
ogni minuto più felice che il suo amico fosse lì vicino a lui. Si sistemò nel sedile della vettura, con il
bastone da passeggio in mezzo alle ginocchia, e si lasciò trasportare dal
movimento della carrozza. Studiò la signorina Andrews, schiacciata contro il
muro.
Poteva vedere i suoi occhi riflessi nella
finestra: tristi, vuoti e spaventati. Che cambiamento quell’addolorato volto
aveva subito dalla smagliante, radiosa creatura che lo aveva accolto la notte
precedente.
Chiuse gli occhi per un momento con rammarico.
Desiderava ancora non averla portata. Farle vedere quell’orrore ed essere
forzata a compiere un atto tale che ogni essere umano non dovrebbe mai
compiere… Nonostante le prove della
serata, pensò, non era ancora crollata. Non si era lasciata andare ad
isterismi, come si sarebbe aspettato da una donna.
Mentre una parte di lui provava rimorso per lei,
l’altra parte era quasi arrabbiata. Non si rendeva contro di cos’aveva fatto? Aveva salvato la vita di Watson! Si, aveva ucciso
un uomo, ma ne aveva salvato un altro nel farlo! L’uomo che aveva ucciso aveva
sicuramente commesso degli omicidi a sangue freddo e non avrebbe esitato a
farlo ancora. Dall’altro lato c’era Watson, un uomo innocente che stava solo
cercando di contattare la polizia…
Holmes strinse le labbra e distolse lo sguardo
dalla signorina Andrews. Non poteva lasciarla consumare nei suoi pensieri.
A Baker Street, la signora Hudson entrò nella
stanza per ritirare i piatti sporchi della cena tarda che aveva apparecchiato
per loro.
Fu infastidita, ma non sorpresa di vedere che il
piatto del signor Holmes non era stato toccato. Guardò verso di lui: era
stravaccato nella sua poltrona, intento a fumare la pipa, con il fumo talmente
fitto che era quasi impossibile vederne la faccia.
D’altra parte, era sorpresa di vedere che nei piatti del dottor Watson e della
signorina Andrews c’era ancora del cibo e praticamente nulla era stato preso
dal piatto di portata.
“Si sente bene, signorina Andrews?” Chiese la
signora Hudson, guardandola con sguardo preoccupato.
“Hm?
Oh, si, sto bene, signora Hudson.” Rispose tranquillamente Christine,
appoggiando la forchetta. Aveva solo piluccato la sua cena. “Temo di non avere
molta fame questa sera. Sono molto stanca…credo che andrò a letto. Mi
dispiace.”
“Non si scusi, cara. Spero si sentirà meglio
domani.”
“Si,
anch’io.” Replicò Christine, spostando indietro la sedia. Aiutò la
signora Hudson a impilare i piatti sul vassoio e le aprì la porta.
“Buonanotte, dottor Watson.” Disse dolcemente
dopo che la padrona di casa fu uscita.
“Buonanotte, signorina Andrews.” Rispose il
dottor Watson, aprendole la porta.
Fece un cenno verso di lui, guardò verso Holmes e
uscì per andare a letto.
Un momento dopo che la signorina Andrews fu
uscita dalla porta, Holmes si alzò dal suo posto vicino al fuoco e si stirò
comodamente.
Watson lo guardò dalla credenza. Il detective era
rimasto silenzioso, intento a fumare e pensare tutta la sera. Il dottore si
chiedeva vagamente a cosa stesse pensando…sicuramente agli eventi della serata.
Scosse la testa e finì di versarsi il whiskey nel bicchiere.
“Vorrei
dell’altro tè.” Disse Holmes all’improvviso. “Ne vuole un po’, Watson?”
Watson guardò verso il bicchiere di whiskey,
quindi si sedette. Lo avrebbe bevuto dopo. “Grazie, Holmes.”
Il detective lasciò la stanza, chiudendo
tranquillamente la porta dietro di lui. Ma invece di scendere in cucina, posò
il vassoio del tè in un tavolino del corridoio e sfrecciò su per le scale.
Poteva sentire la signorina Andrews salire la rampa di sopra. Si aspettava che
il suo passo fosse più lento quella sera.
“Signorina Andrews?” Chiamò mentre si avvicinava.
Sentì i passi fermarsi e continuo a salire finché
non arrivò in vista.
“Signor Holmes?”
“Posso parlare con lei?”
“Si, certamente.” Scese le scale arrivando al suo
stesso livello.
Holmes fece un profondo respiro prima di parlare.
“Volevo parlare prima, ma sono stato interrotto… Voglio esprimerle il più
profondo rammarico per ciò che è accaduto questa sera. Sapevo che non avrei
dovuto portarla. ”
“Non deve…”
“Per favore, mi lasci continuare.”
Lei si zittì e rimase ferma con le mani intrecciate.
“Vorrei anche dirle che non deve assolutamente
incolparsi, signorina Andrews. Quello che è successo stasera era fuori dal suo
controllo. Non deve…”
“Signor Holmes, ho ucciso quell’uomo…”
La voce di Holmes si alzò rapidamente e le
afferrò le spalle. “Ma Watson è vivo per
quello che ha fatto! La vita di un uomo innocente è stata preservata perché lei
ha deciso di agire!”
Christine, sebbene un po’ scossa dall’improvviso
scatto, si trovò meravigliata dalla passione negli occhi del detective. Era
stato sinceramente spaventato per il dottor Watson. Le doleva il cuore a
pensare a cosa sarebbe potuto succedere se non avesse agito come aveva fatto.
La voce di Holmes tornò tranquilla di nuovo. La lasciò andare. “…e vorrei
ringraziarla per averlo fatto. Watson è…” Holmes fece un profondo respiro
e si raddrizzo, non volendo apparire eccessivamente sentimentale. “Watson è un grande
amico per me.”
“So
che lo è.” Rispose dolcemente. “E sono molto contenta di essere stata in
grado di salvarlo…se gli fosse successo qualcosa, io…io…” La voce si spense e
Holmes vide le sue labbra stringersi in una lotta interna contro le lacrime
incombenti. Alla fine si ricompose e disse. “Se gli fosse successo qualcosa,
non avrei mai potuto perdonarmelo.”
“Signorina Andrews…” Un nuovo senso di colpa
investì Holmes. Non intendeva farla sentire responsabile.
“Voi due siete i miei eroi, sa.” Disse all’improvviso,
guardando verso di lui. “Lo siete da tanto tempo…da quando mia madre mi ha
fatto conoscere i suoi casi, l’anno in cui è morta. E’ stata lei a darmi il
libro che vi ho mostrato. E’…è difficile descrivere quanto conforto mi avete
dato dopo che lei se n’è andata. Dopo mio padre e Walter, voi eravate i due
uomini a cui guardavo di più.”
La bocca di Holmes si aprì per la sorpresa. Non
riusciva a pensare a nessuna risposta. Era completamente senza parole. Le lodi
gli facevano sempre piacere, ma nessuno lo aveva mai chiamato il suo eroe. E questa lode arrivava dalla
signorina Andrews, trovandosi ad apprezzarla come ad un piacere tutto suo.
Lei arrossì improvvisamente sotto il suo sguardo
e abbassò gli occhi. “Bene, io…è meglio… buonanotte, signor Holmes.”
“Buonanotte,
signorina Andrews.” Replicò. La guardò salire le scale, finché non fu fuori dalla vista,
quindi si voltò lentamente e tornò indietro verso la stanza delle consulenze,
perso nei suoi pensieri.
“Holmes?”
La testa di Holmes scattò al tono interrogativo. “Si,
Watson?”
“Dove ha messo il tè?”
--------
Molto contenuto nell'atteggiamento, ma spaventato a morte per l'amico. Questo Holmes mi piace molto, non so voi :).
Bebbe5: Grazie per avermi fatto notare quella frase, l'ho sistemata.
Decisamente, non devo mettermi a tradurre quando sono stanca, non vedo
le cose più semplici... Come vedi hai avuto perfettamente
ragione su Christine, è arrivata prima lei e ha salvato Watson
:). In realtà la pistola, Holmes, ce l'ha. La tira fuori dopo
aver scassinato la porta, prima di entrare in casa, e la tiene per un
po' in mano. L'autrice non ci dice quando la mette via, però.
Alchimista: Grazie per la mega recensione, hai scritto per due ^_^.
Grazie per i complimenti, ma il merito è tutto dell'autrice. Di
quelle frasi ho solo mantenuto il senso, molto bello anche in orginale,
senza doverle adattare per una maggiore comprensione in italiano. Eheh,
ma sai che ho pensato proprio la stessa cosa mentre leggevo i tuoi
cliffangher? Sei tu a inventarli, quindi tutti se la prendono con te,
mentre nel mio caso non posso farci niente, è così anche
in originale :-P. Spero che questa mia salvezza si mantenga anche nei
prossimi capitoli (SPOILER!!).
|
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Capitolo 14 *** Chopin e Altre Sorprese ***
Capitolo quattordici
Capitolo quattordici: Chopin e
Altre Sorprese
La
mattina successiva, Christine scoprì che il suo appetito era tornato. Sebbene
la colpa per la morte di Rutherby pesasse ancora su di lei, ciò che aveva detto
il signor Holmes aveva considerevolmente alleggerito il peso.
“Holmes è uscito a comprare il giornale, credo che
però tornerà presto.” Disse Watson quando lei entrò nella stanza delle
consulenze. “Vuole un po’ di tè?”
“Si,
grazie.”
“Di
nulla. Oh, sembra stia tornando.” Disse Watson, sentendo i passi sulle
scale.
Infatti, la sagoma elegante di Holmes entrò nella
stanza un momento dopo, porgendo il giornale e Watson. “Sarà lieto di vedere
che Jones ha tenuto conto del mio consiglio e non ha pubblicato nulla su ieri
sera. Ero felice del fatto che i vicino lo avessero contattato la scorsa notte,
ma non voglio che una sola parola dell’arresto venga fuori.”
“Hanno preso anche Cunningham e Moore?” Chiese Watson.
Holmes
scosse la testa. “Dobbiamo muoverci prudentemente, ora che sanno che
stiamo aiutando la signorina Andrews, ma dubito ci proveranno così presto.”
“La polizia ha provato a contattare Beaufort?”
“Sono sicuro di si.”
La mente di Christine tornò indietro al corpo
senza vita e involontariamente chiuse gli occhi, cercando di respingere
l’immagine.
Holmes sedette di fianco alla signorina Andrews e
prese la teiera. Alla sua espressione afflitta, decise di cambiare soggetto.
“Le piacerebbe andare ad un concerto, signorina Andrews?” Chiese, riempiendo
una tazza.
Aprì gli occhi e si voltò verso di lui. “Un concerto? Volentieri, signor Holmes.”
“Chi suonerà?” Chiese Watson, alzando la testa
dal giornale.
“Sir
Charles Hallé.”
“Addirittura! Non fa più composizione, allora?”
“Dietro richiesta del pubblico, farà un’esibizione
questa sera al St. James’ Hall.”
“Sa che cosa suonerà?”
“I suoi pezzi preferiti, da quello che ho
sentito. Cosa ne dice, Watson?”
“Certamente!”
“Bene.” Holmes tirò fuori tre biglietti dalla
tasca sul panciotto e li lanciò sul tavolo. “Il concerto inizia alla cinque e
mezza.”
Christine si osservò attentamente nello
specchietto che teneva in mano, sistemando i riccioli vicino alle orecchie. Era
vestita con un delizioso vestito rosa e indossava il suo ciondolo; un paio di
guanti bianchi da opera giacevano nella cassettiera vicino a lei. Probabilmente avrebbe dovuto
sentirsi felice. Stava andando ad un vero concerto vittoriano al St.
James’ Hall con due uomini che aveva ammirato per anni.
Ma più pensava all’essere felice, meno lo era. Aveva
ucciso un uomo la scorsa notte. Si, era stato in difesa di un altro, ma non
cambiava quello che aveva fatto.
E tutti quei corpi…
Affondò nel letto e si prese il viso tra le mani.
Oh, Jason, che cos’hai fatto? Come hai
potuto fare questo a quelle persone? Cosa ti avranno mai fatto? Si chiese
se per caso il futuro potesse essere cambiato. I discendenti di quei domestici
non sarebbero mai nati. Non sarebbero mai esistiti. E se fossero state persone
che conosceva? Se fossero stati suoi amici? Non riusciva ad immaginare come
poteva essere ricordare qualcuno che, per tutti gli altri, non era mai
esistito.
Bussarono alla porta e scattò subito in piedi. “Si?”
“E’
pronta, signorina Andrews? Non vogliamo far tardi.”
“Arrivo, dottore.”
Afferrò i guanti dalla cassettiera e aprì la
porta.
“Sta bene, signorina Andrews?” Chiese Watson, dopo
aver visto la sua espressione. Sembrava preoccupata e piuttosto debole.
L’apparente debolezza svanì quando gli rivolse un
sorriso, cercando di dimenticare i brutti pensieri. “Sto bene. Vogliamo
andare?”
“Andiamo.” Il dottore le sorrise e le fece un
gesto indicando davanti a lui.
“La carrozza sta aspettando!” La voce di Holmes si
alzò dal piano di sotto.
“Arriviamo!” Rispose Christine.
“Si diverta.” La signora Hudson batté la mano
sulla sua spalla mentre si dirigeva alla porta. “E’ giovane, dovrebbe
godersela.”
“Grazie, signora Hudson.” Christine sorrise alla
gentile padrona di casa mentre saliva sulla carrozza.
“E’ solo un breve viaggio.” Le disse Holmes,
mentre la carrozza iniziava a muoversi sulla strada. “Spero le piaccia il concerto.”
“Sono sicura di si. Grazie per avermi portato con
voi, signor Holmes.”
“Piacere
mio.” Rispose il detective con un sorriso. Ma il sorriso svanì in fretta
per essere sostituito da quello che Christine riteneva potesse essere un
rossore sulle guance, mentre lui distoglieva lo sguardo.
Anche Christine guardò da un’altra parte, ma
continuò a lanciare delle occhiate nella sua direzione, di tanto in tanto, con
la coda dell’occhio. ‘Piacere mio.’ Intendeva davvero così? E’
veramente contento di essere in mia compagnia? Lui…è stato molto gentile
ieri ed è stato premuroso da parte sua cercarmi per incoraggiarmi la scorsa
notte. E ha cercato di evitare che vedessi quei…quelle persone… I suoi
pensieri tornarono ancora verso Beaufort Mansion verso quella orribile,
maledetta stanza. Ma mentre cercava di schiarirsi le idee, la terrificante
immagine venne replicata dal ricordo del detective che la stringeva contro di
lui, in modo protettivo e confortante. Era
così forte…mi sentivo così al sicuro nelle sue braccia… Sentì la sua faccia
diventare improvvisamente calda e cercò di distrarsi guardando fuori dal
finestrino.
Watson, benché non benedetto dai poteri di
deduzione quasi sovrannaturali del suo amico, poteva chiaramente vedere che
qualcosa era in atto tra Holmes e la signorina Andrews. Non disse nulla, ma
sorrise a sé stesso. Per Holmes, avere una signora, poteva essere strano in
effetti, ma gradito. Secondo la sua opinione, era ora.
Gli attraversò la mente per un momento che forse non era una buona cosa, per Holmes e la
signorina Andrews, essere attratti l’uno dall’altra. Lei arrivava dal futuro ed
era legata a tornare nel suo mondo, presto o tardi, ma era contento lo stesso. Meglio aver amato e perduto… pensò e si
sistemò meglio nel sedile della carrozza.
In pochi minuti erano arrivati alla loro
destinazione.
Holmes, dopo aver aiutato Christine a scendere
dalla carrozza, le porse il braccio.
Questo la prese in contropiede
per un momento; il dottor Watson era sempre quello che la aiutava a scendere
dalle vetture, o ad aprirle la porta. Fu comunque contenta di prendere il suo
braccio e i tre si mossero verso l’interno.
Christine fu sorpresa e lieta di scoprire che
Holmes aveva assicurato un box per loro. Il teatro era completamente pieno;
l’intero posto ronzava per il rumore del chiacchiericcio, scambio di saluti e
risate.
“Ah, guardate. E’ Lestrade.” Watson puntò sotto
di loro.
Holmes si sporse per vedere e Christine seguì il
dito del dottore, sorridendo fra sé. Pensava che, benché l’ispettore fosse vestito
in modo più formale rispetto all’ultima volta che lo aveva visto, non ci si
poteva sbagliare nel riconoscerlo. Era seduto con gli occhi neri fissi di
fronte a lui, le mani incrociate intorno al petto, in attesa della performance.
Mentre lei spostava lo sguardo dall’ispettore, notò
la maschera uscire e oscurare le luci. Il concerto stava per iniziare.
“Sembra siamo arrivati in tempo.” Sospirò Watson,
sedendosi sulla sua sedia.
Holmes annuì in riposta e, proprio mentre lo
faceva, le luci del palcoscenico si accesero e tutti iniziarono ad applaudire.
Un anziano signore, dall’aspetto distinto con i
capelli stempiati, che Christine pensò potesse essere Sir Charlse Hallé, uscì
sul palcoscenico e s’inchinò agli spettatori. S’inchinò due volte e, senza dire
una parola, si sedette al pianoforte e iniziò a suonare.
Il primo pezzo era qualcosa di Beethoven. Era una
melodia che Christine aveva sentito innumerevoli volte, ma non riusciva a
ricordarne il nome. Pensò di non aver mai sentito delle note suonate più
chiaramente in uno strumento. Suo padre suonava il pianoforte, ma persino lui
non aveva mai suonato così meticolosamente. Tanto taglienti e incisive erano le
note, tuttavia, più Christine sentiva una profondità e un calore che erano una
gioia per le orecchie.
Arrivarono troppo in fretta alla fine e applaudì
entusiasta, ansiosa di ascoltare la selezione successiva.
Questa volta era qualcosa di Mozart. Durante
l’allegro motivetto, Christine guardò verso il signor Holmes e il dottor
Watson.
Il dottore sembrava molto contento, appoggiato
alla sua sedia con una gamba incrociata sul ginocchio, la testa che dondolava
leggermente al ritmo del pezzo.
Il detective aveva uno sguardo distante, ma era
uno sguardo piacevole. Sembrava completamente perso nella musica. Christine
trovò la cosa molto affascinante e un gran cambiamento nel suo solito vigore e
febbrile intensità. Dopo un momento guardò di nuovo verso il palcoscenico e
lasciò che la musica la avvolgesse, abbastanza a suo agio di fianco a Holmes.
Sir Charles Hallé suonò varie selezioni, da Bach
a Schubert, e il tempo volò in fretta. Christine fu sorpresa quando si alzò di
fronte alla platea per annunciare che avrebbe suonato un altro pezzo prima
dell’intervallo dopo il quale sua moglie, Lady Hallé, lo avrebbe accompagnato.
Sedette al piano e suonò la prima nota, ferma e
solida nella sua chiave minore. La stessa nota venne suonata una seconda volta,
ma fu più dolce all’orecchio. Quindi, mentre il gentile e ritmo di base suonava
nelle note basse, note più forti si mossero lente davanti a loro.
Non ci volle molto, per Christine, per
riconoscere il Notturno in MI Minore di Chopin. Suo padre era solito suonarla
di frequente. Era una delle sue preferite. Ricordava, quand’era più piccola,
quando giaceva sveglia nel letto ad ascoltare la dolce melodia del pianoforte
salire lungo le scale e cullarla verso il sonno.
Holmes era leggermente sdraiato nella sua sedia,
gli occhi socchiusi. Non c’era niente di meglio di una tranquilla serata a
teatro. Quando il pianoforte emise un tintinnio su e giù per la scale, guardò
verso Watson. Il dottore era, in un certo modo. Sé stesso, molto rilassato e
comodo. Spostò quindi lo sguardo verso la signorina Andrews e spalancò la bocca
per la sorpresa.
Un curioso mix di tranquilla felicità e profondo
rimpianto si sovrapponeva sul suo viso. Aveva delle lacrime sul bordo degli
occhi.
La guardò per qualche momento, incerto se dovesse
dirle qualcosa. Ma quando una delle lacrime scorse lungo la guancia, brillando
alla luce, subito tirò fuori il fazzoletto dalla tasca.
Christine sentì la lacrima sfuggirle dall’occhio,
ma non la asciugò. Non voleva attirare l’attenzione del signor Holmes o del
dottor Watson. Aveva provato al massimo a non lasciarsi trasportare dalla
musica, ma invano. Era così bella, e le ricordava così tanto il suo defunto
padre, che non poté fare altro che far scivolar via la lacrima..
Quando la melodia divenne più spensierata, in
maggiore, sentì una mano contro le sue. Alzò lo sguardo sorpresa verso il
signor Holmes di fianco a lei e vide, abbassando lo sguardo, che le porgeva il
fazzoletto.
Alzò la testa imbarazzata, ma quando il detective
lasciò il fazzoletto nella sua mano, lo prese e asciugò l’occhio.
Il Notturno suonò in circolo per ripetere il suo
giro di base in Minore, per infine concluse con un liberatorio giro di note più
calme in maggiore.
La platea applaudì e venne annunciato
l’intervallo. Il dottor Watson si scusò, lasciando Christine sola con Holmes.
Dopo qualche momento imbarazzante, lei restituì
il fazzoletto al detective. “Grazie.”
Sussurrò.
Lui
lo riprese, annuendo. “Mi dispiace, signorina Andrews. Non sapevo sarebbe
rimasta così commossa.”
“No,
per favore, non si dispiaccia.” Disse Christine in modo urgente,
scuotendo la testa. “E’ solo che…Chopin era uno dei favoriti di mio padre. Suonava il piano, sa. Lui…era
molto dotato.”
Holmes annuì.
“La ringrazio molto per avermi portata qui
stasera.” Disse Christine tranquillamente.
“Sono molto contento di averlo fatto.” Replicò e
Christine guardò verso di lui. Non si era mai veramente resa conto di quanto
fossero belli i suoi occhi. Erano della più bella, più impressionante, tonalità
di grigio che avesse mai visto. Rimase a guardarli fissa e sebbene una voce nel
suo cervello stesse decisamente urlando di non farlo, essendo scortese, non
poteva farne a meno.
Holmes, ugualmente, non poteva impedire a sé
stesso di guardarla. Aveva anche lei gli occhi grigi, lo aveva notato la prima
volta in cui l’aveva incontrata, ma erano così diversi dai suoi. Erano così
freddi, con una traccia di riflessi azzurri. E’ incantevole, si trovò a pensare. Il pensiero lo colse di
sorpresa e fu piuttosto grato quando Watson entrò improvvisamente nel box,
seguito dall’ispettore Lestrade.
“Lestrade.” Disse Holmes, alzandosi dalla sedia.
“Salve,
signor Holmes. Oh. Buonasera.” Lestrade notò Christine e chinò il capo
per salutare.
“Questa è la signorina Andrews.” Disse Holmes,
facendo un gesto verso di lei. “Signorina Andrews, l’ispettore Lestrade.”
“Piacere.” Disse Lestrade sorridendo.
“Piacere di conoscerla ispettore.” Ricambiò
Christine, stringendo la mano.
Quando lasciò la sua mano, lui la guardò con
curiosità. “Mi perdoni. Ci siamo già conosciuti?”
Fu una dura lotta per lei non sorridere. L’ultima
volta che l’aveva vista, lei era un uomo irlandese con un occhio nero. “No, non credo signore.”
“Deve
ricordarmi qualcun altro.” Lestrade sorrise. “Come sta trovando il
concerto, signor Holmes? E’gradevole vederla qui.”
Mentre l’ispettore conversava con il detective,
Christine scambiò un’occhiata con il dottor Watson, che stava sorridendo
consapevole alla confusione di Lestrade.
Presto la maschera uscì per spegnere le luci,
ancora una volta, e Lestrade li salutò per tornare alla sua sedia.
Quando uscì sul palcoscenico, Sir Charles Hallé
era accompagnato da una donna dall’aspetto elegante, con capelli ricci neri,
che portava un violino. Lui la presentò come Lady Hallé e lei s’inchinò alla
platea. Dopodiché, lei e suo marito suonarono un duetto per pianoforte e
violino. Lei aveva un tocco molto dolce e Christine ricordò di aver letto da
qualche parte che le era stato dato il titolo di “Violinista della Regina.”
Lady Hallé e suo marito si completavano l’un
l’altro meravigliosamente e fu troppo in fretta che finirono il concerto con un
allegro pezzo di Mendelssohn.
Tutti nella sala applaudirono forte e a lungo ad
entrambi, ma gradualmente il teatro iniziò a svuotarsi. Christine, il signor
Holmes e il dottor Watson si diressero verso l’uscita. Essendo una serata
stranamente calda per essere marzo, e viste la difficoltà di trovare una
carrozza con un tale calca, i tre decisero di camminare, vista anche la breve
distanza da Baker Street.
“Le è piaciuta la rappresentazione, signorina
Andrews?” Chiese Watson.
“Si, grazie dottore. E a lei?”
“Molto.
Vedere Charles Hallé è sempre una gran cosa. Ed è stato anche un piacere
vedere Lady Hallé.”
“Un’eccellente
violinista.” Rimarcò Holmes. “Ha visto il suo pizzicato?” Il detective
fece un movimento nell’aria con le dita, come se stesse pizzicando le corde di
un violino. Continuò a farlo finché non girarono l’angolo.
“Oserei dire che cercherà di riprodurlo?” Chiese
Watson con una punta di stanchezza nella voce.
“Non ha niente contro il suono del mio violino,
vero Watson?” chiese Holmes, una sorta di sorriso animalesco sulla faccia.
“No, Holmes, è solo che…”
Christine smise di ascoltare, realizzando
all’improvviso di non avere entrambi i guanti. Li aveva tolti per uscire dal
teatro, essendo troppo caldo. Uno doveva esserle caduto. “Credo di aver perso
uno dei guanti.” Disse e tutti e tre si fermarono. Guardò da sopra la spalla.
Era lì, giaceva sul pavimento all’angolo della strada. “Oh, eccolo lì. Scusate,
torno subito.”
Mentre andava a recuperarlo, Watson e Holmes
andarono avanti con la discussione.
“…non è quello che stavo dicendo Holmes, e lo sa
bene che è così. E’ solo che quando continua a suonare la stessa cosa, più e
più volte, specialmente quando sto cercando di scrivere, è…diventa difficile.”
Holmes sorrise al suo compagno, annuendo. “Capisco, Watson.”
Watson
rise. Sapeva che Holmes lo stava solo punzecchiando per il gusto di
farlo. “Nessun brutto sentimento allora.”
“Per niente.”
“Oh…dov’è andata?” Disse il dottore
all’improvviso.
Holmes girò sui talloni. La signorina Andrews
aveva girato l’angolo per riprendere il guanto, ma non era ancora in vista. “Signorina Andrews?” Chiamò.
Non
ci fu risposta.
“Signorina
Andrews?” Chiamò più forte. Ancora, non ci fu risposta, e iniziò a
camminare verso l’angolo della strada, camminando sempre più veloce ad ogni
passo. Non è successo nulla, diceva a
sé stesso. Ha solo perso il guanto e non
sta prestando attenzione alla mia voce. Ma la paura gli strinse il cuore e,
mentre svoltava l’angolo, vide che non c’era traccia di lei.
“Signorina…”
“Holmes!” Sentì Watson tirarlo indietro dalla
strada, facendolo finire per terra, mentre due carrozze arrivavano all’improvviso
correndo davanti a lui.
“Signor
Holmes! Dottore…” Sentirono le grida ovattate della donna, ma venne
zittita subito.
“Signorina Andrews!” Urlò Holmes. Lui e Watson si alzarono dal
pavimento dov’erano ruzzolati e iniziarono a correre verso le due carrozze.
Con loro totale sgomento, una carrozza proseguì
lungo la strada, ma l’altra svoltò al primo angolo.
“Quale delle due dobbiamo seguire?” Urlò Watson.
Gli
occhi di Holmes scattarono dalla prima alla seconda carrozza. In meno di
un secondo decise e si fiondò dietro alla seconda.
“E l’altra?” Chiese Watson, iniziando a correre
per raggiungere Holmes.
“L’altra carrozza non è abbastanza piena…stava
andando troppo veloce e non pesava troppo sulle ruote per avere più di una
persona a bordo!”
Mentre seguivano la carrozza, che stava andando
sempre più veloce ad ogni secondo, Watson vide che il suo amico stava
memorizzando ogni millimetro del veicolo, vedendo cose che per lui erano
invisibili.
Quando alla fine la carrozza fu fuori dalla vista,
svoltando in una nuova strada, Holmes si fermò.
“Perché si sta fermando? Dobbiamo prenderli!”
“So dove stanno andando, Watson. Ma non siamo
armati. Lei deve portare la polizia.”
“Ci vorrà troppo…cosa vuol dire ‘lei’? Non la lascio solo contro questi
furfanti, Holmes!”
“Non abbiamo tempo di discutere la cosa!” Disse Holmes duramente. Al
leggero dolore negli occhi del dottore, la sua voce si ammorbidì. “Per favore. Vada a prendere Lestrade. Vive al
14 di Vere Street. Sa dove i poliziotti si appostano durante la sera. Li
porti al magazzino Whaley’s in Devonshire. E’ lì che stanno andando. Farò di tutto per prenderli prima.” Afferrò il
bastone pensieroso. Holmes sentiva che Watson non era felice dell’accordo,
ma non voleva assolutamente mettere l’amico di nuovo in pericolo.
“Va
bene.” Disse Watson alla fine. “Ma è meglio che stia attento, vecchio
mio.” Watson gli diede una pacca sulla spalla e iniziò a correre nella
direzione opposta, verso Vere Street.
Holmes riprese a correre, verso Devonshire
Street, dove si trovava il magazzino. Sto
arrivando, signorina Andrews.
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Sembrava un capitolo di transizione,
vero? Invece è anche finito con Christine rapita, con Holmes che
si fionda a salvarsi armato solo del bastone da passeggio...
Alchimista: Sono contenta che questo
capitolo ti sia piaciuto molto, grazie per i complimenti. Spero che
questo finale non ti abbia lasciata di nuovo col cuore in gola, quando
dicevo che speravo di non essere minacciata per i finali appesi mi
riferivo *anche* a questo capitolo. Ehm, poterbbe non essere
l'ultimo... Tranquilla, cercherò di aggiornare presto :-)).
Bebbe5: In effetti sono abituata anch'io a Holmes senza pistola, con
Watson che la porta dietro stile Groucho (che però la lancia a
Dylan Dog, non la usa). In questo caso poteva usarla, evidentemente non
è abituato neanche lui ad essere descritto con una pistola in
mano :-D.
Per quanto, come si può vedere da questo capitolo, Holmes provi qualcosa
per Christine, per fortuna rimane sè stesso, non diventa
improvvisamente sentimentale. Mi piacciono molto anche le parole che
usa. Grazie mille per i complimenti ^_^!!
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Capitolo 15 *** Un cattivo della peggior specie ***
Capitolo 15
Capitolo quindici: Un Cattivo
della Peggior Specie
Christine sussultò quando il sacco le fu levato dalla testa e brillanti luci
colpirono i suoi occhi.
La prima cosa che mise a fuoco fu la beffarda,
subdola faccia di Cunningham, colui che riconobbe da Beaufort Mansion. Aveva
una ferita in via di guarigione vicino al sopracciglio, che doveva essere stata
fatta quando lo aveva colpito sulla testa con il vaso.
“Salve amore.” Disse, la voce che trasudava
veleno.
“AIUTO!”
Urlò lei, ma una mano enorme le tappò la bocca.
Vide la grossa figura di Moore che scuoteva la
testa in segno di avvertimento.
Cunningham le si avvicinò. “Non lo farei se fossi in te.” Disse. “Sei
una donna molto carina, non vorremmo rovinare la tua bellezza e saremmo in
grado di farlo.” Tirò fuori un coltello dalla tasca. “Mi segui?”
Christine corrugò la fronte, in modo fiero, ma
facendo cenno di aver capito.
“Brava ragazza. Lasciala andare Moore.”
Moore tolse via la mano e Christine si scostò
violentemente da lui.
Cunningham, tenendola ancora d’occhio, mise via
il coltello e si girò verso Moore.
La mente di Christine ragionò veloce. Il signor
Holmes e il dottor Watson l’avevano sicuramente seguita. O erano stati
attaccati e impossibilitati all’inseguimento? Il pensiero la fece star male e
lo scacciò dalla mente per il momento. Okay.
Calma. Dove sei, Christine? Era in una stanza larga, piena di casse. C’era
della segatura sparsa per tutto il pavimento. Un paio di lanterne scure
illuminavano la stanza. Alla loro luce Christine poté vedere che c’era una sola
uscita dalla stanza, sulla sinistra.
Moore e Cunningham erano le sole persone
presenti. Dov’è Jason? Pensò. Perché non è qui? Ne era felice, ma
ancora non sapeva niente di quei due uomini. Li guardò parlare e tentò di
valutarli. Moore era grosso. Non c’era modo di metterlo al tappeto. Non
sembrava, però, la persona più sveglia del mondo e forse avrebbe potuto
vincerlo con l’astuzia. Cunningham era più grosso di lei. Se avesse potuto
prendere un pezzo di legno, o una di quelle lanterne scure, poteva avere
qualche possibilità di atterrarlo. Notò che gli mancava l’anulare sinistro e
ripensò a come avesse potuto non notarlo la sera precedente. Poteva essere
importante se lui avesse cercato di afferrare qualcosa. Se fosse riuscita a
tenersi alla larga dalla mano destra, pensava di essere in grado di strappargli
via un’arma o qualunque altro oggetto da quella sinistra.
“…rimani fuori e controlla se arrivano Lanaghan o
Holmes. Nel caso di quest’ultimo, sai cosa devi fare. ” Finì Cunningham.
Moore annuì e se ne andò, lasciando Christine
sola col suo complice, che tornò verso di lei. “Allora. Non si vuole sedere,
signorina Andrews?”
“Rimango in piedi.” Replicò lei freddamente.
Cunningham alzò le mani sulla difensiva. “Va
bene,” Si avvicinò iniziando a girarle intorno. “Il signor Lanaghan ha una
macchina che ti appartiene. Gli serve sapere come funziona e tu me lo dirai.”
“Non lo faro.”
“Credi di riuscire a non aprire bocca, eh? Credi
di essere una donna forte?” Le sibilò nell’orecchio.
Christine non rispose. Continuava a tenere i suoi
occhi fissi su di lui mentre le girava intorno, serrando le labbra.
“Dimmi solo come funziona.” Disse più dolcemente,
sedendosi in una cassa davanti a lei. “Tutto quello che chiedo sono poche
parole e non ti farò del male.”
Cercava di far risuonare la voce in modo gentile,
ma Christine percepì una sfumatura di crudeltà e impazienza appena trattenute.
“Non ti dirò nulla.” Gli ritorse contro
Christine. L’istante successivo rimase senza fiato quando la fredda mano ruvida
la colpì forte in viso, facendola vacillare. Portò una mano alla guancia in
fiamme, guardando Cunningham tra le lacrime che cominciavano a formarsi.
Nessuno l’aveva mai picchiata così
prima, ma non era il momento d’iniziare a piangere. Doveva tener duro. “Non ti
dirò nulla.” Ripeté a bassa voce,
furiosa. “Non importa cosa farai, non inizierò a parlare.”
Gli occhi di Cunningham si strinsero, ma
immediatamente si spalancarono, mentre un ghigno andava formandosi sulle
labbra. “Bene, non sarò in grado di farti parlare,
signorina. Sono però sicuro di essere in grado di farti urlare.”
Gli occhi di Christine si spalancarono e
improvvisamente si trovò la bocca arida. Lentamente abbassò la mano dal viso e
iniziò ad arretrare da lui. Si era accesa una luce nei suoi occhi che la
spaventava. Aveva già visto quella luce prima, sebbene in nessuna situazione
neanche lontanamente come quella.
C’era desiderio
nei suoi occhi e le ghiacciò il sangue nelle vene.
Gli occhi scuri di Cunningham vagarono su tutto
il suo corpo per un secondo, fermandosi dove volevano, e facendo un passo
avanti.
Lei fece un altro passo indietro, lentamente. “Stia
lontano da me.” Cercò di dirlo in modo audace, ma la voce tremava. Era
terrorizzata dal momento in cui l’avevano rapita, spaventata da Jason e dalle
torture che avrebbe potuto infliggerle. Niente l’aveva preparata a ciò che
l’uomo davanti a lei si proponeva di fare.
I suoi occhi scattarono sulla destra. Se fosse
anche solo riuscita ad arrivare alla porta, allora poteva avere una possibilità
di fuga. Guardò di nuovo verso Cunningham.
Lui si passò la lingua sul labbro inferiore e un
brivido gelido le corse lungo la spina dorsale. Le dita si contraevano morendo
dalla voglia di averla.
“Va via.” Lo avvertì.
Lui semplicemente ridacchiò in risposta. “Andiamo,
amore. Sarò gentile!” Con questo si buttò su di lei.
Lei urlò e si sottrasse alla portata del braccio,
correndo verso la porta. Ma lui fu subito dietro di lei e le afferrò il polso
tirandola indietro verso di lui.
“NOO!” Strillò lei. Si voltò verso di lui per
colpire, graffiare, dare pugni, prendere a schiaffi, dare calci. Non riuscì a
far nulla per tenersi lontana. Il suo respiro era talmente rapido che tremava
e, malgrado tutti gli sforzi, lui la teneva ancora ben stretta. La lasciò un
attimo per colpirla ancora sul volto, facendola cadere sul pavimento.
Il colpo la lasciò confusa, facendola cadere col
volto a terra sulla segatura. Mugolò cercando di sollevarsi, ma venne bloccata
di nuovo al suolo. Realizzando cosa stava per accadere, iniziò a lottare
furiosamente, ma era inutile. Cunningham l’aveva inchiodata al terreno.
Sentì vagamente il tintinnio di una cintura
slacciata, quindi la gonna che veniva sollevata, una fredda mano sulla gamba. E
poi…
Veloci passi di corsa. Urla. Il soffocato impatto
di un pugno sulla carne. Il peso che la teneva a terra ora non c’era più. Un
orribile suono di qualcosa che veniva frantumato raggiunse le sue orecchie,
quindi un tonfo e il silenzio. Si girò rapidamente, sistemando la gonna e
lottando per rimettersi in piedi.
Il signor Holmes era in piedi di fianco alla
figura priva di sensi di Cunningham, il bastone sospeso sopra di lui. Del
sangue usciva da una sottile ferita sulla sua fronte. Sollevò il bastone da
passeggio per colpire ancora l’uomo, respirando pesantemente.
Ci fu un’improvvisa confusione all’esterno e il
dottor Watson, Lestrade e alcuni poliziotti entrarono nella stanza.
La testa di Christine iniziò a girare, con la
nebbia che iniziava a formarsi davanti agli occhi.
“Holmes!” Urlò Watson indicandola.
Holmes si voltò e saltò in avanti giusto in tempo
per afferrare la signorina Andrews che era appena svenuta. Le sostenne la testa
con la mano destra e passò l’altro sotto alle ginocchia, sollevandola sulle
braccia. “Watson.” Disse, ansimando ancora per l’attacco. “Chiami una carrozza,
svelto!”
Seguì Watson attraverso il magazzino e nella
strada dove il dottore fece segno ad un carrozza di fermarsi. “Watson, se
volesse stare con Scotland Yard e fare in modo che quest’uomo rimanga in loro
custodia, porterei la signorina Andrews a Baker Street.”
“Quali sono le accuse contro di lui? Oltre al
rapimento?”
“Tentato omicidio su di me, senza dubbio, e…” Guardò per un attimo la donna fra le sue
braccia, le labbra strette. “Ha anche tentato di…violare la signorina Andrews.”
La bocca del dottor Watson si spalancò incredula
e profondi solchi si formarono sulla sua fronte. Dopo un momento annuì e disse
tranquillamente. “Va bene, Holmes.” Lo aiutò a sistemare la signorina Andrews
nella carrozza, quindi porse al detective il suo bastone da passeggio.
“Stia attento.”
“Non si preoccupi, Watson.” Disse Holmes in modo
rassicurante. “Grazie per aver portato la polizia così velocemente.”
Watson annuì e diede una pacca al cavallo per
farli partire.
A Baker Street, Holmes si fece strada dentro la
porta e mise seduta la signorina Andrews sulle scale. Corse in cucina e ritornò
con una bottiglia di whiskey. La signora Hudson era uscita per far visita ad un’amica
quella sera: diversamente avrebbe mandato lei a prendere quello che serviva. Si
sedette anche lui di fianco alla signorina Andrews e inclinò la bottiglia di
whiskey sulle sue labbra.
Un attimo dopo lei si riprese, ansimando e
farfugliando. Le mani tremanti volarono immediatamente sulla sua gonna, ma
Holmes le afferrò le braccia.
“Signorina Andrews, signorina Andrews! Va tutto
bene. E’ completamente al sicuro.”
Christine realizzò all’improvviso dov’era e gettò
le braccia intorno al detective.
Sorpreso com’era, ripeté dolcemente “Va tutto
bene” battendo piano sulla sua spalla. Gentilmente la spostò da sé, per vedere
il viso coperto dalle lacrime. Frettolosamente tirò fuori il suo fazzoletto e
glielo porse.
Provò a ringraziarlo, ma le lacrime avevano creato
un tale groppo in gola che non riusciva a far uscire le parole.
“Provi a calmarsi, signorina Andrews.” Disse
gentilmente.
Lei annuì, la faccia nascosta nel fazzoletto,
facendo profondi respiri.
Quando lui pensò che si fosse ricomposta
abbastanza, si alzò e le porse una mano. “Andiamo, spostiamoci nella stanza
delle consulenze.”
Si asciugò gli occhi ancora una volta e prese la
sua mano.
Una volta raggiunta la stanza, e averla fatta
sedere sul divano, lui si sedette di fronte a lei, nella sua solita poltrona. “Ora,
signorina Andrews, mi dica cos’è successo. Hanno scoperto qualcosa sulla
macchina…?”
Christine scosse la testa. Dopo aver fatto altri
profondi respiri deglutì e disse. “N-no. Io…io sono tornata indietro per il mio
guanto e qualcuno mi ha afferrata non appena girato l’angolo.” Iniziò. I suoi
occhi andarono fuori fuoco leggermente mentre ricordava gli eventi. “Mi hanno
coperto la bocca e spinta dentro ad una carrozza…abbiamo iniziato a muoverci e
ho urlato, ma poi mi hanno avvolto la testa in un sacco di tela. Non avevo idea
di dove stessimo andando…non siamo rimasti nella carrozza per…per molto. Quando
ci siamo fermati, qualcuno…qualcuno di grosso, probabilmente Moore, mi ha
portato fuori falla carrozza e dentro ad un edificio. Ho sentito la vettura
andar via…” Si fermò per un momento guardando verso di lui. “Come mi ha
trovata? Come sapeva dov’ero?”
“Una volta aver ragionato su quale carrozza
fosse, io e Watson l’abbiamo seguita finché non è stata fuori portata. Ma a
quel punto avevo già memorizzato ogni millimetro di essa…c’era della segatura
sulle ruote. Sapevo che l’unico posto con della segatura, nella zona, che usava
le proprie carrozze, era il magazzino Whaley. La prego, continui.” La incitò.
Lei annuì, respirando profondamente riprendendo di
nuovo. “Mi hanno tolto il sacchetto dalla testa e C-Cunningham e Moore hanno
parlato piano per qualche tempo, non potevo sentir molto di quello che
dicevano. Mi sono guardata intorno, ma c’era una sola via di fuga e non c’era
modo che potessi passare tra loro…Dopo aver finito, Cun…Cunningham ha detto a
Moore di aspettare fuori…per lei. Come ha fatto a superarlo?”
Holmes fece un gesto verso il bastone, appoggiato
contro il caminetto. “Non mi ha sentito arrivare. L’ho strangolato.”
“Lo ha…?” Chiese Christine, gli occhi spalancati.
“Ucciso? No. Ad essere completamente onesto, non
sapevo quanto poteva rimanere incosciente, ma ero disposto a provare questa
possibilità.” Cambiò posizione sulle poltrona per guardarla più direttamente.
“Dopo che Cunningham ha mandato Moore fuori, cosa…cosa le ha detto?”
Christine distolse lo sguardo da lui, torcendo il
fazzoletto nelle mani. Deglutì un paio di volte prima di parlare. “Ha provato a
farmi dire come funziona la macchina, ma non ho voluto. Mi ha…mi ha picchiata e
allora…e…e allora…allora lui…”
Holmes vide i suoi occhi abbassarsi e il viso
contrarsi. Nascose la faccia nel fazzoletto e riprese a piangere gravemente.
Era decisamente scossa dai singhiozzi e Holmes si
sentì impotente. Nessuna donna dovrebbe
andare incontro ad un tale incubo. Come ho potuto lasciare che le accadesse
questo? Perché non l’ho tenuta d’occhio più da vicino? Essere esposta ad un
tale orrore non solo ieri, ma ad uno peggiore oggi… Si sedette al suo
fianco e molto timidamente lo mise un braccio intorno alle spalle; era l’unica
cosa a cui era riuscito a pensare, al momento, per consolarla.
Si irrigidì leggermente quando lei si appoggiò
contro di lui, ma si rese contro che aveva bisogno di essere tenuta stretta.
Era una donna fiera e indipendente, una donna forte, ma persino le donne
forti potevano trovarsi fragili. Non era
solito a contatti così vicini come quello, ma le serviva conforto e lui era in
grado di darglielo. Passò l’altro braccio intorno a lei e la spinse più vicina
a lui.
Accoccolata sotto la sua spalla, singhiozzò
contro di lui, ma si calmò nei minuti successivi. Smise di tremare e l’unico
suono che proveniva da lei era il suo tirar su col naso. “Mi dispiace.” La
sentì sussurrare e la rilasciò.
“Dispiace?” Ripeté quietamente. “Mia cara
signorina Andrews, non c’è assolutamente niente di cui dispiacersi.”
Lei fece un tremante sospiro e annuì, tenendo gli
occhi bassi.
Si aspettava che lui pensasse meno di lei perché
aveva pianto? Non pensava niente del genere. Piuttosto il contrario…pensava
fosse probabilmente la donna più coraggiosa che fosse mai entrata in confidenza
con lui. Sostenere il terrore che le si era parato davanti dal primo giorno
richiedeva una tremendo coraggio. Le prese le mani fra le sue. “Signorina
Andrews.” Iniziò a dire, ma non riuscì a terminare.
Non succedeva spesso di trovarsi senza parole, ma
sembrava essere uno di quei momenti. Voleva dire qualcosa, tutto ciò che gli fosse
possibile per calmarla, ma la sua voce sembrava essere bloccata in gola. Non
era probabilmente la donna più coraggiosa, ma la più bella…il suo viso, striato
com’era dalle lacrime, gli appariva delizioso. E il modo in cui parlava, il
modo in cui si comportava. Tutto le sue caratteristiche aumentavano la sua
ammirazione per lei.
Prima di rendersi contro di quello faceva, si stava
tendendo verso di lei.
Christine deglutì, ma rimase esattamente dov’era,
pienamente cosciente della sua ferma presa sulle sue mani, il modo in cui si
muoveva vicino verso di lei…chiuse gli occhi e sentì il suo respiro sul viso,
così vicino…
“Holmes!”
Holmes si mosse così velocemente che sembrava
essersi seduto su una padella d’acciaio bollente, lasciando le sue mani e
tornando al suo posto vicino al caminetto, mentre sentiva la voce di Watson
fuori dalla porta.
Una frazione di secondo dopo la porta venne
spalancata e il dottore si precipitò dentro. “Holmes, come sta…oh.” Si tolse il
cappello e s’inginocchiò subito davanti a lei con la borsa da medico in mano. “Signorina Andrews, sta bene? E’
stata ferita?”
Christine
scosse la testa. “Sto bene, dottore.” Disse piano.
“Mi faccia vedere comunque.” Posò gentilmente le sue
mani guantate sotto al mento e le voltò la testa da una parte e dall’altra,
cercando negli occhi e nel viso qualsiasi segno di ferita. La guancia destra
era leggermente rossa, come se qualcuno l’avesse schiaffeggiata. “Qualcuno l’ha picchiata?” le chiese
piano.
“Si.” Rispose lei abbassando gli occhi. “Ma sto bene.”
“Mi faccia prendere un impacco freddo.”
Lei annuì e mentre lui correva nella stanza di
Holmes per cercare un guanto da bagno e acqua fretta dal lavabo, lei lanciò un’occhiata
furtiva al detective.
Holmes la vide guardare nella sua direzione, ma
fece del suo meglio per non ricambiare. Era furioso con sé stesso. Cosa stava per fare? Da cosa era stato appena sopraffatto? “Cosa le serve, Watson?” Chiese nel tentative
di distrarsi.
“Niente,
Holmes. L’ho trovato.” Replicò il dottore, emergendo di nuovo dalla stanza. Piegò
il guanto da bagno umido in un quadrato e lo pose sulla guancia della signorina
Andrews.
Dei sentimenti verso la signorina Andrews
potevano interferire col suo lavoro, con i suoi processi mentali, ragionava
Holmes. Aveva preso la decisione, tempo prima, di lasciare che la mente
governasse il suo cuore. Non aveva nessun desiderio di cambiare.
Lo aveva?
Mentre la notte avanzava, Holmes e Watson si
ritrovarono in una stanza molto calma. La signorina Andrews sedeva avvolta in
una coperta sul divano, parlando molto poco. La signora Hudson le aveva portato
del tè. Il detective informò la padrona di casa che le cose stavano diventando
pericolose; pensava fosse meglio per lei lasciare Baker Street, fino a che lui
non l’avesse contattata. La signora Hudson annuì comprensiva e lasciò la stanza
per fare la valigia.
Dopo aver bevuto il tè che la signora Hudson le
aveva messo davanti, Christine si ritrovò alquanto affaticata. Non si sentiva
di andare a letto al momento, comunque, e tenne duro finché poté. Ma alla fine
le palpebre diventarono troppo pesanti per tenerle aperte e si addormentò.
Qualche minuto dopo, Watson lo notò e si alzò dal
suo posto. “Dovrei svegliarla?” Sussurrò. “E portarla in camera
sua?”
“No,
Watson. La lasci dormire qui per un po’. Dio sa se ha bisogno di
riposare.”
Christine si svegliò in uno strano posto, freddo.
Era buio. Poteva appena vedere qualcosa intorno a lei, solo contorni scuri di
casse. Rabbrividì. Quando alzò le braccia per stringerle, si rese conto di non
indossare nulla.
Rimase senza fiato e si raggomitolò su sé stessa,
ritraendosi nell’angolo del muro dietro di lei.
“Cosa succede, amore?”
La paura le afferrò il cuore e si guardò intorno
selvaggiamente. Cunningham!
Era lì? Ma dove? Non riusciva a vederlo!
“Non c’è posto dove puoi nasconderti da me.”
Le lacrime si formarono nei suoi occhi e
iniziarono a scorrere lungo le guance mente si premeva ancora di più contro l’angolo.
Va via, va via.
“Ti farò urlare…”
I movimenti nel buio la fecero singhiozzare per
la paura, stringendo le ginocchia contro il mento, avvolgendo le braccia contro
di loro. Cercò di non emettere nessun suono, ma singhiozzava così forte da non
riuscire a trattenersi.
Il movimento nell’oscurità si materializzò nella
forma di Cunningham che guardava verso di lei in modo lascivo, leccandosi il
labbro inferiore. La raggiunse e fu talmente terrorizzata da non poter neanche
urlare.
“Signorina Andrews?”
Il battito del cuore aumentò quando sentì quella
voce gentile e si girò verso destra.
Cunningham ritirò la mano e iniziò ad arretrare.
Il signor Holmes si materializzò dall’ombra,
vestito con un lungo cappotto e cappello, bastone alla mano. Individuò
Cunningham e si mosse per mettersi in modo protettivo di fronte a lei. Alzò il
bastone, ma Cunningham si girò e corse via, svanendo nell’oscurità.
Il signor Holmes, soddisfatto che se ne fosse
comunque andato, si voltò verso di lei. Si tolse il cappello e, facendo cadere
il bastone, si tolse il cappotto. Inginocchiandosi lo avvolse gentilmente
intorno a lei e lasciò che il calore e il profumo di tabacco la circondassero. “Signorina
Andrews.” Disse lui dolcemente.
Lei aprì la bocca per parlare, ma non riusciva a
trovare le parole da dire. Molte lacrime le scendevano lungo la guancia.
La fronte di Holmes si corrugò e si tolse i
guanti. Alzando una mano sul suo viso, le asciugò le lacrime. Le pose una mano
sulla spalla. “Signorina Andrews.”
Strinse leggermente e le scosse la spalla. “Signorina
Andrews.” La sua voce diventava sempre più forte, ma la sua immagine andava
svanendo.
“Signorina
And...”
Christine sussultò e scattò seduta. Sbatté le
palpebre alla luce del caminetto e guardò su.
Il signor Holmes era in piedi davanti a lei, lo
sguardo pieno di preoccupazione. “Stava avendo un incubo, signorina Andrews. Va
tutto bene?”
Christine portò una mano nei capelli e annuì, respirando
in modo tremante. “Si, sto bene. Grazie.”
Il signor Holmes annuì e si sedette di nuovo.
Christine guardò verso l’orologio sulla mensola e
vide che erano passate da un po’ le undici. L’unica ragione per cui il dottor Watson
e il signor Holmes era ancora svegli era probabilmente lei. Si tolse la coperta
e si alzò.
“Vuole che la accompagni nella sua stanza,
signorina Andrews?” Chiese Watson gentilmente. “Sto per ritirarmi anch’io.”
“No,
grazie dottore. Sto…sto bene.”
Watson
annuì. “Buonanotte, signorina Andrews.”
“Buonanotte.
Buonanottte, signor Holmes.”
“Signorina
Andrews.”
Christine attraversò la stanza e la porta.
Holmes rimase nella sua poltrona. Sapendo di non
essere in grado di dormire nel presente stato di agitazione, si accese una
sigaretta e lasciò che i pensieri avessero il loro corso. Cercò di tenere la
mente concentrata su un metodo per trovare Lanaghan, ma mentre il fumo della sigaretta lo circondava,
i suoi pensieri vennero malvolentieri riportati agli eventi della serata.
Moore era andato a terra senza combattere troppo.
Nemmeno l’uomo più grosso poteva resistere ad uno strangolamento. Dopo aver
controllato l’area per altri uomini di Lanaghan, era entrato nell’edificio. Si era
fatto avanti attraverso il labirinto di casse e stanze finché non aveva sentito
un urlo.
Allora aveva corso, il grido gli aveva congelato
il sangue nelle vene. Non riusciva a dimenticare quanto si fosse sentito
spaventato al momento, quando il pensiero che potesse essere ferita lo aveva
colpito. Mente correva sentì un altro grido e rumori di lotta soffocati.
Aveva trovato un’entrata verso un’altra stanza e,
mentre entrava sulla soglia, aveva visto Cunningham. Quell’uomo – quella bestia – l’aveva inchiodata al suolo,
duramente, e le stava sollevando la gonna… Se Watson e la polizia non fosse
arrivati subito, avrebbero trovato Cunningham morto.
“Holmes?”
La
testa di Holmes scattò per incontrare gli occhi preoccupati di Watson. “Cosa c’è?”
“Stava digrignando i denti, Holmes. Va tutto
bene?”
Holmes annuì.
Watson gli rivolse uno sguardo dubbioso, ma
disse: “Va bene.” Raccolse il suo libro che aveva dimenticato nella sedia. “Vado a letto, Holmes. Ci
vediamo domattina.”
“Buonanotte Watson.”
Dopo che il dottore ebbe lasciato la stanza,
Holmes rimase nella poltrona, pensando alla signorina Andrews. Quella povera donna…come ho potuto perderla
di vista? Come ho potuto lasciare che le succedesse una cosa del genere? Si
sfregò le dita sugli occhi e gettò quel che rimaneva della sigaretta nel
caminetto. Non riusciva a levarsi dalla testa i suoi occhi spalancati, il suo
visto rigato di lacrime. Era così
spaventata…Avrei potuto ucciderlo, pensò furiosamente. Avrei potuto… I suoi pensieri vennero interrotti dallo scricchiolio
della porta. “Signorina Andrews.” Disse alzandosi.
Lei rimase sulla soglia con lo scialle avvolto
intorno alle spalle. “Pensavo di trovarla sveglio, signor Holmes.” Disse piano.
“Cosa posso fare per lei?”
Lei
scosse la testa. “Niente. Io…io volevo solo…Volevo solo ringraziarla. Per
avermi salvata.” Gli occhi erano bassi e la voce molto bassa.
“Mia cara signorina Andrews.” Disse lui
dolcemente, facendosi avanti verso di lei. “Non ha bisogno di ringraziarmi.” Lo
guardò negli occhi e il respiro di lui sembrò bloccarsi nel petto per un
momento. I suoi occhi avevano i riflessi della luce del caminetto e sembravano
brillare.
“Si, devo. Se lui avesse…non so cosa avrei potuto…
Devo. Quindi grazie, signor Holmes.” Gli porse la mano.
Lui la prese e la tenne per un momento. “…mi
dispiace signorina Andrews.”
“No.” Disse lei, ponendo l’altra mano sulla sua. Scosse la testa. “No. Non deve. Non
è colpa sua e mi ha salvata. Non ha niente di cui dispiacersi.”
Mi dispiace
lo stesso, pensò mentre la guardava. Improvvisamente si rese conto che le
stava ancora stringendo la mano, realizzando che lei gli stava ancora
stringendo la sua.
Sembrarono
accorgersene nello stesso momento e ritirarono le mani.
“Io…è meglio che torni a letto.” Disse Christine e Holmes annuì. Si voltò verso l’uscita. Quando
si avvicinò alle scale si bloccò e guardò su verso il buio. Era infantile, lo
sapeva, aver paura del buio, ma non riusciva a farne a meno dopo quello che era
successo. Dopo un attimo di esitazione, si sollevò sul primo gradino e iniziò a
salire molto lentamente.
All’improvviso, lo spazio intorno a lei divenne
luminoso. “Vuole che l’accompagni verso la sua stanza,signorina Andrews?” La
voce calma del signor Holmes arrivò vicino al suo orecchio. Vide che teneva una
sola candela e, malgrado fosse in piedi sul gradino sotto di lei, la sovrastava
in statura.
“Beh, io…grazie, si.” Sperò che alla luce della
candela lui non fosse in grado di vederla arrossire.
Sherlock Holmes nota comunque tutto e gli fu
difficile ignorare il colore che le inondò le guance. Ma non disse nulla e la
accompagnò lungo le due rampe di scale verso la sua stanza. Quando arrivarono
alla porta, le porse la candela.
“Grazie, signor Holmes.”
“Di nulla.”
I due rimasero in piedi lì, a meno di un passo di
distanza, in quella vicina e intima oscurità. Ad Holmes occorse tutto il suo
autocontrollo per non abbracciarla. Strinse i denti e annuì verso di lei. “Buonanotte.” Disse.
“Buonanotte.”
Rispose lei e il detective di voltò per svanire nell’ombra della scala.
Christine si assicurò che il fuoco fosse spento
prima di arrampicarsi sul letto con la candela nel comodino vicino a lei. La
tensione fra loto era così percepibile che poteva riuscire a vederla e
toccarla. L’aveva quasi baciata prima? Sperava tanto che lo avesse fatto. Più
di qualunque cosa, voleva che la stringesse di nuovo. Si sentiva così sicura
fra le sue braccia.
Non passò troppo tempo prima che Christine si
addormentasse, pensando a lui.
--------
Scusate,
scusate, scusate per avervi lasciate appese una settimana. Periodo di
pre-esami e di spostamenti vari -____-. Passando al capitolo, Holmes
prova definitivamente qualcosa per Christine, e anche lei non è
indifferente. Qui Holmes va leggermente OC, ma secondo me è una cosa sopportabile, l'autrice è stata molto brava in questo.
Pensavate che alla fine l'avrebbe baciata prima di andare a letto? Eh,
che autocontrollo quest'uomo ;). C'è una cosa che non mi piace
del capitolo: la scena del sogno la trovo veramente eccessiva... Non
so, secondo me era meglio senza, IMHO.
Bebbe5: Ti
ringrazio tantissimo per i complimenti, è anche merito tuo che
mi hai fatto notare gli errori ;). L'autocontrollo di Holmes
è incredibile, anche visti i successivi eventi. La scena delle
due carrozze mi è piaciuta molto, rende veramente l'idea
dell'Holmes Canon, quello che nota tutto e arriva alle giuste
conclusioni anche in un momento di forte stress. Grazie ancora ^__^!!
ISI: Uao,
triplice commento, ti ringrazio tantissimo per la costanza!! Il
confronto fra Christine e Watson non l'avevo pensato. E' vero, i due
sono molto simili, anche nel carattere, e Holmes potrebbe averlo
notato! Ehm, mi sa che questo capitolo, visto lo svolgersi degli eventi
fra Christine e Holmes, non ti sarà piaciuto molto, considerato
che lo vedi fra le ginocchia di Watson XD. Ti posso tranquillamente
anticipare (forse l'ho già fatto?) che i tre non finiscono a
divertirsi tutti insieme :-PP.
Alchimista: La
serata era troppo perfetta per poter finire bene... Quel fazzoletto,
Holmes, ormai dovrà regalarglielo, lo ha usato più lei di
lui :). Holmes e Watson che si beccano è sempre uno spettacolo
divertente, sembrano una vecchia coppia sposata :-D. Sono d'accordo con
te sul passaggio dove manda via Watson per impedirgli di mettersi in
pericolo: in questa storia il fattore amiciza è molto forte, mi
piace. Grazie ancora per la costanza con cui segui e commenti, spero di
aggiornare presto :).
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Capitolo 16 *** Una Circostanza Irregolare ***
Capitolo 16
Capitolo sedici: Una Circostanza
Irregolare.
La signorina Andrews era molto tranquilla il
giorno successivo. Non che avesse mai parlato eccessivamente, ma Holmes era
preoccupato.
Una parte di lui voleva evitarla. Ciò che era
quasi successo fra loro era imperdonabile. L’aveva quasi baciata e sapeva dove
quel tipo di passione avrebbe potuto portarlo. Si vergognava si sé stesso,
approfittarsi di quella povera donna nel suo vulnerabile stato, e anche per
aver lasciato che i suoi sentimenti avessero la meglio su di lui.
L’altra parte di lui voleva che le sue emozioni fossero liberate. Adesso desiderava
spesso prenderla fra le sue braccia, confortarla. Non era mai stato in
compagnia di una donna per un periodo così lungo di tempo, non dove poteva
vederla così di frequente. Non poteva sfuggirle, lei era sempre lì, nella
stanza delle consulenze, nel corridoio… Lo aveva interessato in un modo in cui
nessuna donna aveva fatto prima.
Ma quando sentiva il desiderio nascere dentro di
lui, cercava furiosamente d soffocare quell’emozione. Diceva a sé stesso di
dimenticarla. Non avrebbe portato nessun bene lasciar sviluppare quei
sentimenti per lei – c’erano così tanti motivi per non farlo – uno era la
differenza d’età… lui era oltre dieci anni più vecchio. E ovviamente la ragione
più urgente era che stava per ritornare nel futuro a cui apparteneva, per non
rivederlo mai più. Mentre quest’ultimo pensiero faceva sprofondare la sue mente
in uno stato di malinconia, lui diceva a sé stesso che era meglio non si fosse
impegnato con lei.
Sebbene fosse fermo nella sua risolutezza di non
avvicinarla con intenzioni romantiche, fece in modo di non essere mai da solo
con lei e, se capitava, si teneva a distanza.
Christine notò il trattamento piuttosto freddo
nei suoi confronti nei giorni successivi, ma non gli disse nulla, semmai lo
incoraggiò. Era perfettamente conscia dell’incremento dei suoi sentimenti verso
di lui, ma cercava di soffocarli. Sarebbe andata a casa da un giorno all’altro
e sapeva che un rapporto a distanza non avrebbe mai funzionato. Era per il
meglio.
Ma quei pensieri, aggiunti a ciò che era successo
negli ultimi giorni, la lasciarono tranquilla in modo innaturale.
Holmes sapeva che l’avrebbe mandata a casa il più
presto possibile. Innanzitutto per la sicurezza di lei, ma altrettanto per il
bene di lui. Iniziò a dedicare ogni istante per pensare ad un modo per trovare
Lanaghan. Uscì tutti i giorni, a ore diverse, per seguire delle piste. Andò un
giorno alla stazione di polizia dove chiese a Lestrade se Cunningham avesse
detto qualcosa Non desiderava vedere lui stesso l’uomo per paura di ucciderlo,
se lo avessero lasciato un momento da solo con lui. La sua rabbia avvampava
ogni volta che ripensava a cos’era quasi successo alla signorina Andrews.
Tre giorni dopo il salvataggio della signorina
Andrews, Watson iniziò a preoccuparsi per il suo amico. Conosceva Holmes molto
bene per sapere che il detective mangiava o dormiva appena in momenti come
quello, ma stavolta la situazione era estrema persino per lui. Perseguiva ostinatamente
verso tutto quello che pensava potesse portarlo a Lanaghan e iniziavano a
vedersi le conseguenze. Appariva più magro del solito, fumava più del solito e
dormiva appena.
Alla quarta mattina, Watson puntò i piedi. Insistette
che Holmes non poteva essere in grado si trovare Lanaghan senza energia e lo
mandò a letto. Sebbene lui obiettò in maniera forte e insistente, Holmes
finalmente si addormentò per ore senza interruzione.
“Si sta stremando. Disse Watson alla signorina Andrews,
riempiendo la sua tazza di tè per la colazione.”
“Lo so. Sta lavorando così duramente per trovare
Lanaghan e la macchina del tempo.” Christine guardò verso la porta chiusa della
stanza del detective.
A Watson non sfuggì la sfumatura triste della sua
voce. “Sta bene, signorina Andrews?”
Lei iniziò ad annuire, ma poi scosse la testa.
“Mi dispiace tanto.” Sussurrò.
“Per cosa?” Chiese Watson sorpreso, appoggiando
la teiera.
“Per tutto.” Rispose lei. “Se non avessi portato
qui Lanaghan, niente di tutto questo sarebbe successo.” Bevve un sorso di tè,
ma sentì le lacrime formarsi negli occhi e appoggiò la tazza prima di crollare.
“Mia cara, cara signorina Andrews.” Disse Watson,
prendendole le mani.
Lei si mosse il labbro e abbassò la testa con i
riccioli che le cadevano sul viso.
“Per favore, non pianga.” Disse Watson dolcemente,
portando la sedia di fianco a lei e avvicinandola. “Non è colpa sua se ci sono
certe persone nel mondo. L’unico da biasimare è Lanaghan e Holmes è sul punto
di prenderlo, ne sono sicuro.” Lasciò le sue mani e la abbracciò con un
braccio. “Andrà tutto bene. Holmes ne verrà fuori.” Le diede un buffetto sulla
schiena. “Lo fa sempre.”
Un ora dopo il pranzo, Holmes emerse dalla sua
stanza pulito, vestito e gioioso come una nuova pipa accesa.
“Ora, non si sente meglio?” Chiese Watson.
Holmes annuì una volta e si
sedette col giornale,
controllando gli avvisi nella vana speranza che potessero avere un
indizio.
Vide la signorina Andrews guardare nella sua direzione e notò
quanto stanca e
triste sembrasse. Si schiarì la voce e spalancò di
più il giornale, così da non
vedere la sua faccia – lo faceva star male vederla così.
“Maledizione.”
Mormorò, appoggiando il giornale. “Niente.”
Guardò verso la finestra. “Andrò…”
Proprio in quel momento, suonò il campanello. Holmes
si girò sui talloni per guardare alla porta.
“Chi può essere?” Chiese Watson, alzandosi dalla
sedia. “Un cliente?”
“Sembra uno dei suoi Irregolari.” Disse la
signorina Andrews, sbirciando dalla finestra.
In due passi fu al suo fianco, seguendo il suo
sguardo sulla strada di sotto. Vide un ragazzo, ma non avrebbe saputo dire da
lì quale fosse. Qualche altro passo e fu fuori dalla porta.
Holmes spalancò la porta principale, aspettandosi
di vedere Wiggins o Gibson, invece vide un ragazzino che non conosceva.
“Ciao capo!” Disse il monello, entrando dentro.
“Non ti conosco.” Disse Holmes, alzando un
sopracciglio.
“Mi ha mandato Wiggins, signore!” Replicò
prontamente il ragazzo, alzando la faccia sporca. “Mi chiamo Turner. Pensiamo
di aver trovato l’uomo che sta cercando!”
“Quale uomo?” Chiese Holmes, calmo.
“L’uomo con i capelli rossi e gli occhi freddi.”
“Lanaghan?”
“E’ lui, signore.” Disse il ragazzo entusiasta, annuendo.
“Dove?”
“Posso mostrarglielo signore – è in mezzo a dei
vicoli e cose del genere.”
“Se disposto a mostrarmelo ora?”
“Quando è pronto lei, capo!”
“Aspetta qui un momento.” Disse Holmes e corse di
sopra nella stanza delle consulenze.
“Dove sta andando?” Chiese Watson.
“Pensano di sapere dov’è Lanaghan.”
“Chi lo pensa?”
“Wiggins e i ragazzi.” Afferrò il bastone da
passeggio da dietro la scrivania e il cappotto gettato sulla sua poltrona. “Quant’è
lontano?” Chiese giù dalle scale.
“Non troppo lontano, signore!” Arrivò la replica.
“Bene.”
Mormorò Holmes, prendendo il cappello dall’appendiabiti. Lo mise in
testa e si voltò verso la porta.
“Holmes, non dovrebbe andare da solo…”
“Non
voglio affrontarlo, Watson. Sarò di ritorno presto. Voglio solo vedere
dove si nasconde.” Holmes fece un cenno col capo al dottore e sparì fuori dalla
porta.
“Signor
Holmes.” Sentì la signorina Andrews chiamarlo mentre era a metà della scala. “Signor
Holmes!”
Si
voltò.
Lei
si fermò bruscamente davanti a lui. “Per favore.” Disse con gli occhi
spaventati e imploranti. “Faccia attenzione.” Toccò piano la sua mano
appoggiata alla ringhiera.
Il suo cuore si strinse al tocco. Deglutì e cercò
di annuire. “Lo farò.” Con esitazione tolse la mano da sotto la sua e continuò
a scendere le scale. Non si guardò indietro e chiuse la porta dietro di lui.
Christine fissò la porta chiusa per un intero minuto
prima di tornare nella stanza delle consulenze.
Il ragazzo camminava con passo veloce, ma Holmes
lo seguiva in modo costante. Era strano che Wiggins non fosse venuto di
persona, ma lasciò perdere la cosa. Era solo un ragazzo.
Holmes
diede un’occhiata ai dintorni. Era a qualche distanza da Baker Street
ora. Stavano entrando profondamente dentro Londra, lontano dal Tamigi, dove
pensava che Lanaghan potesse aver trovato il suo nuovo nascondiglio.
Seguì la giovane figura con attenzione, tenendo
sempre un occhio sulla schiena del ragazzo.
“Quanto ancora?” Chiese Holmes.
“Non troppo signore.” Disse il ragazzo da sopra
la spalla.
Dev’essersi
nascosto in una di quelle fumerie d’oppio o in qualche bordello, pensò
Holmes. Un posto disgustoso per un uomo
disgustoso.
Quando
girarono l’angolo il ragazzo improvvisamente sfrecciò via.
“Hey!”
Urlò Holmes. Corse
dietro al ragazzino per qualche minuto, prima che il pensiero di essere stato
ingannato lo colpisse come una martellata. Il ragazzino era stato mandato per
fare in modo che lui si allontanasse da casa in quel lasso di tempo. Non era uno dei ragazzi di Wiggins e lui era
stato così stupido da lasciare Watson e la signorina Andrews da soli!
“NO!” Ringhiò e con tutta l’energia e la velocità
che poté raccogliere, corse verso Baker Street.
Watson salì le scale, portando un vassoio di
focaccine che la signora Hudson aveva lasciato per loro nella dispensa. Quando
arrivò sul pianerottolo sentì il rumore della
maniglia della porta che veniva scossa.
“Già tornato?” Disse Watson tra sè, voltandosi. La
porta non si aprì, ma il pomello continuò a muoversi. “Aspetta un momento…” La fronte di Watson si
corrugò. Holmes non dimentica mai le
chiavi. “Oh no.” Watson lasciò cadere il vassoio e salì le scale più
veloce che poté. “Signorina Andrews!”
Lei saltò alla sua entrata.
“Signorina Andrews, dobbiamo andare di sopra…”
Improvvisamente ci fu un orribile rumore di qualcosa
fatto a pezzi.
“Ora!” Watson le afferrò il braccio e non poté
fare altro che trascinarla al piano di sopra. Mentre salivano potevano sentire le voci.
“Chiudi
la porta. Presto, su per le scale.”
“Jason!”
Sussurrò Christine freneticamente.
“Ssh.” Watson le prese le mani. “Vada nella sua
stanza e esca dalla finestra. Vada a Scotland Yard.”
“E lei?”
“Li terrò occupati.”
“No, non la lascerò qui!” Le lacrime iniziarono a
caderle lungo le guance.
“Si
invece!” Disse Watson. “Deve!”
Sentirono passi veloci sulle scale di sotto e la spinse
verso il piano di scale successivo. “Vada!”
Lei abbracciò il dottore in modo fiero e sollevando la gonna corse su per
le scale.
Watson chiuse la porta dietro di lei e sfrecciò
verso la sua camera. Rovistò nel cassetto che nascondeva il suo revolver.
Proprio mentre lo sollevava un rumore alla porta lo costrinse a voltarsi.
“Non così in fretta, dottore!”
Holmes si bloccò di colpo alla base dei gradini
principali del 221B. Da quella distanza poteva vedere che la serratura era
stata forzata. Afferrò forte il suo bastone da passeggio e lo usò per aprire la
porta.
“Watson?”
Urlò, armeggiando con la rastrelliera vicino alla porta. Vi teneva una pistola
in più, in caso di emergenza. La sollevò e iniziò a salire le scale. Un vassoio
di focaccine, calpestate e ridotte in briciole, giaceva nel pianerottolo. “Watson? Signorina Andrews?”
Si precipitò nella stanza delle consulenze, ma non c’era nessuno, nemmeno nella
sua camera da letto.
Era consapevole che la sua mano tremava mentre
saliva la seconda rampa di scale. Era consapevole del fatto che poteva essere
una potenziale imboscata e salì le scale in modo cauto. Quando arrivò in cima,
gli occhi si spalancarono e la pistola quasi gli sfuggì dalla stretta. “Watson!”
--------
Capitolo molto più breve
rispetto agli altri e, vi dirò, quello che mi convince meno.
L'espediente per fare uscire Holmes di casa è un po' forzato.
Holmes usciva di casa comunque, come lui stesso ci dice, bastava
aspettare che lo facesse di nuovo, senza attirare la sua attenzione.
Passiamo alla recensione.
Bebbe5: In effetti Christine se
l'è vista proprio brutta per un pelo... Holmes è molto
gentile e ce la mette tutta, per quanto sia un po' impacciato
nell'approccio....diciamo che impara in fretta :). Le tue versioni
della cosa mi hanno ridere, le avrei viste bene entrambe. Come terza
soluzione inserirei una bella scenata di gelosia di Watson, cosa ne
dici? Ok, basta deliri, torno a studiare va'... Grazie mille per i
complimenti ^__^.
E grazie anche, visto che non l'ho mai fatto, a tutti quei lettori silenziosi che seguono la storia :-)))
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Capitolo 17 *** Rapita ***
Capitolo 17
Capitolo diciassette: Rapita
Il dottore giaceva disteso sul pavimento, con una
ferita alla testa che sanguinava.
“Dio, ti prego, no.” Sussurrò Holmes. Cadde sulle
ginocchia e premette forte le dita contro il polso di Watson, temendo il
peggio.
Non ci sono parole per descrivere il sollievo
quando sentì il forte battito del dottore contro le sue dita. “Watson? Watson?”
Scosse la spalla dell’amico.
Un lieve gemito sfuggì dal dottore e lentamente
sollevò una mano sulla testa. Sbatté gli occhi aprendoli. “Holmes?” Chiese
debolmente.
“Sono qui, Watson.”
Il dottore sentì la mano del suo amico tremare
contro al sua spalla e la afferrò. “Holmes, l’hanno presa. L’ha presa Lanaghan.
Dobbiamo fermarli…”
“Resti fermo dov’è.” Ordinò Holmes quando Watson
iniziò a sollevarsi. Si recò nella stanza del dottore e inumidì un panno, quasi
rompendo la brocca nella fretta di versare acqua fresca nel lavabo.
Watson non aveva mai visto Holmes così
arrabbiato. Era abituato ad una certa ira e frustrazione da parte del suo amico,
ma niente comparato a questo. Era decisamente livido. La sua bocca era una
stretta linea bianca, le sopracciglia così, ferocemente corrucciate, producevano
profonde rughe sulla fronte. I suoi occhi erano scuri e rassomiglianti più ad
una fredda pietra che ad occhi umani. Rimase così mentre aiutava Watson a
fasciare la fronte ferita e, malgrado fosse dolorante, Watson fu grato per la
preoccupazione. Diversamente aveva paura che Holmes potesse lanciare oggetti
nella stanza.
“Va bene Holmes, faremo così.” Con la ferita
pulita e fasciata – non era così profonda come Holmes temeva inizialmente – e
con un po’ di brandy, Watson si sentiva meglio.
“Stia seduto Watson.” Disse Holmes irritato
quando il dottore iniziò ad alzarsi. “Non posso credere di essermi lasciato cadere nella trappola!” Ringhiò. “E ora
chissà dove possono averla portata?”
“Si calmi, Holmes.” Disse Watson timidamente. “Devono
aver lasciato degli indizi. Erano terribilmente di fretta.”
Holmes lanciò un’occhiata impaziente e arrabbiata
al dottore, ma lo sguardo fu immediatamente replicato da uno di colpa e
rimpianto. Si voltò da un’altra parte e si sforzò di fare un profondo respiro. Ricomponiti! Puoi – DEVI trovarla. Fosse
l’ultima cosa che faccio, signorina Andrews, la troverò. Chiuse gli occhi
per un momento come in meditazione, quindi li aprì di colpo e si fiondò nel
corridoio.
Malgrado le precedenti proteste di Holmes, Watson
si alzò e si avvicinò alla soglia della porta, dove trovò il detective sdraiato
sulla pancia, a osservare il pavimento. Strisciò lungo il tappeto fino a che
arrivò alle scale dove tirò fuori la sempre presente lente d’ingrandimento dalla
tasca e scrutò qualcosa.
“Ha un coltellino Watson?” Chiese.
Watson andò verso il tavolo vicino al letto e
aprì il comodino dove teneva un coltello. Tornò frettolosamente indietro e lo
posò nella mano tesa di Holmes.
Il detective graffiò attentamente lungo il bordo
delle scale e lo sollevò per controllare. “Fango.” Ripose la lente
d’ingrandimento nel cappotto e corse giù
per le scale, nella stanza delle consulenze.
Watson lo seguì e trovò Holmes in mezzo al set di
chimica che versava furiosamente sostanze dentro ad una fiala.
Holmes implorò il cielo che il procedimento fosse
più veloce, ma troppo o troppo poco di una delle sostanze poteva portarlo alla
conclusione sbagliata…e con la vita della signorina Andrews in ballo era
un’opzione che non poteva scegliere. Mischiò la soluzione molto attentamente,
aspettando che precipitasse leggermente, quindi aggiunse un altro prodotto che
fece diventare la mistura incolore. Quindi prese il coltellino con il fango e lo
avvicinò alla fiala. “Blu. Diventa blu.” Mormorò.
Watson si ritrovò a trattenere il fiato, gli occhi
fissi su Holmes.
Gli occhi di Holmes erano intensi come il dottore
non li aveva mai visti, profondi, scuri e penetranti. Fece cadere il fango
nella fiala che si depositò sul fondo. Per
favore. Diventa blu. Il fango iniziò a dissolversi velocemente. Devo trovarla. Non posso lasciare che le
facciano del male. “AH!” Urlò Holmes trionfante. La soluzione nella fiala
diventò di un suggestivo colore blu.
“Cosa significa, Holmes?”
“Significa che il fango è saturato con il fumo
del carbone – carbone usato particolarmente nei battelli a vapore. Sono nel
porto lungo il Tamigi!” Posò la fiala e corse in camera da letto. Quando tornò
stava portando con sé il suo grosso revolver e uno dei suoi bastoni da
passeggio più pesanti.
“Sa dove sono?”
“E’ un semplice metodo di deduzione.” Disse
Holmes, trovando la scatola di munizioni dal cassetto della scrivania. “Devono
essere in uno spazio largo abbastanza da ospitarli, ma, a causa dei loro recenti
spostamenti, anche adatto ad un’evacuazione veloce, quindi non possono essere
in una casa. Non possono neanche essere in un posto attualmente operativo per
il commercio. Rimangono i magazzini abbandonati. C’è una gran quantità di
argilla in quel fango, il che significa che sono vicini al fiume,
contrariamente al mio primo sospetto che potessero essere più su rispetto al
Tamigi. Conosco soltanto due magazzini abbandonati al momento.” Cercò una penna
e un pezzo di carta su cui scrivere qualcosa che Watson non riuscì a vedere.
“Ho bisogno che consegni questo a Scotland Yard il più presto possibile,
Watson.”
“Cosa?” Esclamò il dottore. “Non ci andrà da
solo, Holmes.”
“Watson, non…”
“Sono molto in forma per…”
“Nella sua condizione, non può…”
“HOLMES!”
Il detective tacque all’istante. Watson non aveva
mai urlato contro di lui.
“Holmes.” Disse Watson seccamente. “E’ un
dottore?”
“Credo difficilmente sia…” Iniziò
tranquillamente.
“E’ un dottore?” Ripeté.
“No.” Rispose rigidamente.
“No, non lo è. Sono io il dottore qui e dico di
essere nella condizione di venire con lei.” Afferrò il cappello e il cappotto.
“E non riuscirà a fermarmi.”
Christine lottava contro le corde che le tenevano
bloccati i polsi dietro la schiena mentre era stesa nella carrozza. Era caduta
quando l’avevano portata dentro, l’avevano bendata e non riusciva a vedere
nulla.
“Muoviti.” Disse una voce rauca che non riuscì a
distinguere, spingendola avanti.
“Non essere così rude.” Sentì Jason esclamare.
“Si, signor Lanaghan.”
Sentì una mano sul braccio. “Da questa parte
Christine.”
Lei si trasse via dalla sua presa. “Non toccarmi.” Gridò, ma le prese di
nuovo il braccio, tenendola molto stretta, per guidarla avanti. Camminarono per
alcuni minuti, girando talmente spesso da farle perdere ogni senso
dell’orientamento.
Si fermarono in una stanza che odorava di fieno e
la costrinsero a sedersi in una sedia.
“Prendi quella fune.” Ordinò Jason.
Christine cercò di alzarsi dalla sedia, ma fu
costretta indietro da due mani forti. Sentì subito le corde stringerle i polsi
e le gambe. Mentre veniva legata, lei continuava a dibattersi.
“Sta ferma!” Disse una voce impaziente.
Improvvisamente sentì che la benda le veniva
tolta dal viso e vide gli occhi di ghiaccio di Jason davanti ai suoi. Le
afferrò il mento in maniera brusca fra le mani. “Io smetterei di dibattermi
Christine. Non può portarti niente di buono.” La lasciò andare, spingendo il
suo viso di lato mentre lo faceva.
“Sei un viscido idiota, Jason.” Gli urlò
Christine.
Gli occhi di Jason si illuminarono e si
strinsero. “Imbavagliatela.”
“Non toccarmi! Togli le mani…mmfh!” Si ritrovò a respirare pesantemente in un
fazzoletto che gli venne stretto intorno alla bocca, tagliato nei bordi..
“Molto meglio.” Disse Jason freddamente. Si voltò
e camminò per la stanza per un momento.
Christine colse l’occasione di guardarsi intorno.
C’erano altri sei uomini nella stanza di varia altezza e classe sociale. C’era
del fieno gettato nel pavimento e alla sua sinistra c’erano tre box per
cavalli. Lo spazio dietro di lei era vuoto. Davanti c’era un piccolo tavolo che
sorreggeva una lampada e una borsa. Alcune selle e briglie erano appese alle
pareti.
Jason si girò tenendo con attenzione qualcosa
coperto da uno straccio.
Christine sapeva esattamente cosa stava reggendo
prima ancora che lui lo scoprisse. Era la macchina del tempo. Appariva così
strana in quell’ambiente vittoriano, così fuori luogo con la sua intelaiatura di
metallo, meccanismi e pulsanti.
Jason l’appoggiò gentilmente sul tavolo e si
volse verso di lei. “Ora. Christine. Voglio…”
“Solo un minuto, signor Lanaghan.”
Gli occhi blu di Jason si fissarono sull’uomo dai
capelli castano scuro che stava separato dagli altri uomini. “Cosa c’è Bartholomew?”
“Abbiamo fatto quello che voleva, ora vogliamo
essere pagati.”
“Vuoi essere pagato?” Gli fece eco
tranquillamente Jason.
L’uomo si guardò intorno per un aiuto, quindi
scrollò le spalle e annuì incerto.
“Molto bene.” Rispose Jason, girandosi verso il
tavolo.
“Si?”
Annuendo Jason cercò dentro la tasca del
cappotto, ma si fermò quando sentì un rumore metallico. Si voltò per vedere Bartholomew
impugnare un coltello a serramanico.
“Niente giochetti.”Lo avvertì l’uomo.
“Certo che no. Stavo solo prendendo i biglietti.”
Tirò fuori alcune banconote dalla tasca e le porse in avanti. “Vieni qui,
quanto ti devo?”
“Cinquanta sterline.” Disse Bartholomew, mettendo
via il coltello e avvicinandosi.
“Cinque, dieci…qui ce ne sono venticinque.” Disse
Jason, mettendo le banconote nelle mani di Bartholomew. Mise di nuovo le mani
nel taschino per delle altre banconote.
L’uomo le prese avidamente e si girò per
sorridere ai suoi compagni.
“E qui c’è il resto della tua paga.” Sibilò
Jason.
Christine chiuse gli occhi quando improvvisamente
Jason affondò uno scalpello nel petto di Bartholomew.
“Cosa…cos’hai…hai…fatto, dannato…” Il resto delle
parole ansimate da Bartholomew si dissolsero in una sorta di gorgoglio e cadde
al suolo, il sangue che sgorgava dal petto e dalla bocca.
Jason ignorò le parole balbettate dell’uomo,
recuperando le banconote dal pavimento e riprendendosi il suo scalpello.
Con un ultimo ansimante respiro, Bartholomew
rimase immobile.
Jason pulì lo scalpello con un fazzoletto. I suoi
occhi freddi indagarono verso gli uomini terrorizzati davanti a lui. “C’è
qualcun altro che vuole essere pagato?”
Silenziosamente scossero in maniera vigorosa le
teste.
“Voi due. Portatelo fuori di qui.”
Riluttanti, i due uomini si avvicinarono e
portarono via il corpo, lasciando una striscia rosso acceso dietro di sé.
“Tu. Seguili e tieni d’occhio l’esterno.” Ordinò
ad un altro uomo di uscire, lasciando dentro alla stanza soltanto altri due con
loro.
“Ora, Christine.”
Christine deglutì per quanto gli fu possibile con
il bavaglio e aprì gli occhi.
Jason era appoggiato contro il tavolo, le gambe
incrociate, le braccia conserte come se niente fosse successo. “Non ho avuto
tanta fortuna cercando di carpirti le informazioni. In effetti, hai creato
degli inconvenienti perfetti per tenerti lontana. Il detective e il dottore hanno
tenuto un fastidiosa attenzione su di te. ”
Lo shock dell’omicidio di cui era stata testimone
improvvisamente evaporò mentre ricordava la vista del dottor Watson steso a
terra, sanguinante. Socchiuse gli occhi e qualcosa di molto simile ad un
ruggito le scappò dalla gola.
“Su, su, Christine. Non sei nella posizione di
discutere con me.” Sollevò lo scalpello e lo esaminò. “Non hai detto niente ai
miei uomini, ma sto per darti un’ultima opportunità. Mi dici come funziona la
macchina?” Gli occhi si staccarono dallo scalpello e guardarono verso di lei.
Christine respirò pesantemente e voltò la testa
di lato.
“No?” Chiese Jason. “Hmm…bene, considerato che i
miei uomini non sono riusciti a intaccare la tua volontà con i loro metodi,
suppongo debba farlo con i miei.” Fece ruotare lo scalpello una volta fra le
dita e le si avvicinò.
Lei si tirò indietro nella sedia il più
possibile. Lui le afferrò la testa con una mano e le mise davanti agli occhi lo
scalpello. “Questa è colpa tua, lo sai.”
Cercò di chiudere gli occhi, ma il panico non
glielo premise. Lo scalpello era sempre più vicino, più vicino e si fermò sotto
alla palpebra destra. Aumentò la pressione su quel punto, facendola inspirare
bruscamente.
Così rapidamente come lo aveva avvicinato,
ritrasse lo scalpello. “No, non funziona. Devi vedere la macchina per essere in
grado di farla funzionare.”
Tremando di paura e sollievo, Christine lo guardò
mentre riponeva lo scalpello nella tasca e raggiungeva la borsa sul tavolo.
“Non gli occhi allora. Cosa ne dici delle mani?”
Tirò fuori un corta sega col manico di legno e si voltò verso di lei di nuovo. Andò
dietro la sua sedia e Christine sentì i denti appuntiti contro i polsi. Lui
passò leggermente la sega lungo la sua pelle, ma con abbastanza forza da farle
male.
“No, non funziona neanche questo. Hai bisogno
delle dita. I piedi,allora?”
Christine scosse la testa quando si chino ai suoi
piedi e passò la segna lungo le gambe, lasciando segni sottili.
“No.” Raccolse il poco sangue sul bordo della
sega con le dita e lo leccò pensieroso. “No. Non voglio trasportarti ovunque. E
sarebbe un peccato rovinare il tuo bel viso.”
“Cosa allora, cosa…” Mormorò. Pulì la sega con il
fazzoletto e la ripose teneramente dentro la borsa.
Va tutto
bene, Christine, si disse. Il signor
Holmes è sicuramente tornato a Baker Street ora e il dottor Watson sta bene.
Non è morto. E’ ferito, ma il signor Holmes lo ha aiutato ed ora stanno
entrambi venendo qui. Non lasceranno che Jason ti faccia del male. Il signor
Holmes sta arrivando a salvarti. Devi solo tenere duro. Puoi sopportare qualsiasi
cosa ti faccia. Solo sii forte.
Jason
rovistò dentro la borsa per un momento, ma la chiuse e si guardò intorno nella
stanza.
Christine seguì i suoi occhi che vagavano verso i
suoi uomini, verso di lei, verso la stalla. Finalmente si fermarono su qualcosa
dietro di lei, qualcosa che, sforzandosi al massimo, non riusciva a vedere.
“Slegatela. Legatela a quella porta della stalla,
con la schiena rivolta all’esterno.”
Nel momento in cui le corde la lasciarono libera
dalla sedia, Christine iniziò a dibattersi all’impazzata. Non le piaceva come
stavano andando le cose.
Resistendo quanto poté, non aveva possibilità
contro gli uomini forti che la tenevano e legavano i suoi polsi alla sbarra
sopra la porta della stalla. Tirò contro i nodi, ma nell’istante in cui sentì
il forte schiocco di una frusta dietro di lei smise immediatamente di muoversi.
“Può andare più veloce?” Chiese Holmes impaziente
al vetturino.
“Sto andando pericolosamente veloce, signore!”
Rispose lui con eguale impazienza.
Holmes digrignò i denti e si appoggiò indietro
contro il sedile, vicino a Watson.
Watson non aveva mai visto Holmes così agitato. Era
teso come una delle corde del suo Stradivari, così al limite che le mani
avevano preso a tremare e i piedi a battere incessantemente nel pavimento della
carrozza. “Ci riusciremo.” Disse in modo incoraggiante.
“Lo spero, Watson.” Replicò il detective. E’ meglio che sia illesa, Lanaghan, pensò
animato. Se le hai fatto del male, per
Dio, avrò la tua testa.
Il suo viso sorridente, gioioso – bellissimo –
improvvisamente gli apparve nella mente. Una così intrepida, coraggiosa donna.
Watson gli aveva detto che mentre cercavano di portarla via da lui, lei aveva
combattuto fianco a fianco a lui. Lo stesso Lanaghan l’aveva presa e portata
via.
Guardò verso Watson. Poteva vedere la benda
sporgere da sotto la sua bombetta. Per quanto non voleva che il dottore andasse
con lui, era contento di avere la compagnia dell’amico.
“Crede che Wiggins sia andato da Lestrade?”Chiese
Watson, incontrando il suo sguardo.
Holmes annuì. “Sono sicuro di si. La domanda
rimane: Lestrade e Bradstreet saranno in grado di riunire le loro forze
velocemente?”
La nota che aveva scritto, originariamente intesa
per Watson che doveva portarla allo Yard, era stata data a Wiggins, che avevano
fortunatamente incontrato per strada. Avevano portato il ragazzo con una
carrozza a Scotland Yard, spiegando cos’era appena successo lungo la strada.
Wiggin era rimasto genuinamente turbato e
oltraggiato che Turner avesse fatto finta di essere uno dei suoi. Conosceva
quel ragazzino e promise a Holmes che “i suoi ragazzi se ne sarebbero
occupati.”
Avevano reclutato il ragazzino fuori dalla
stazione con specifiche istruzioni di portare il messaggio direttamente a
Lestrade e Bradstreet. Holmes aveva completa fiducia in Wiggins ed era sicuro
che i due ispettori avrebbero presto mandato due squadre di poliziotti
rispettivamente nei due magazzini abbandonati.
Lui e Watson stavano andando in uno dei magazzini,
quello che era stato abbandonato più recentemente ed era perciò in condizioni migliori.
Holmes sospettava di poter trovare lì la signorina Andrews.
Un odore di pesce lo raggiunse con la brezza. Si
stavano avvicinando. Guardò nella strada dov’era situato il magazzino e batté
il tetto della carrozza con il pesante bastone da passeggio. La carrozza
prontamente rallentò dalla sua velocità fino a fermarsi del tutto.
Holmes gettò delle monete nelle mani del
vetturino e saltò giù dalla carrozza. Questa se ne andò via velocemente dopo
che anche Watson fu sceso.
Si mossero furtivamente lungo la strada, molto
attenti a chiunque di sospetto. Ma quella zona della città era piuttosto decadente
e deserta. L’unica cosa viva che videro furono alcuni gabbiani e un cane
randagio che li spaventò mentre correvano lungo la strada.
Alla fine trovarono il magazzino. Era una
costruzione con un aspetto piuttosto sgradevole: molte delle finestre erano
rotte e l’unica che non era rotta era sporca.
Holmes controllò l’area, ma non vide nessuno. Fece
un gesto verso Watson e i due iniziarono a muoversi intorno all’edificio.
Quando si avvicinarono, comunque, un uomo girò
l’angolo, con un tubo d’acciaio in mano.
Holmes e Watson si abbassarono nella porta di un
negozio chiuso, stringendosi contro il telaio.
“Tutto a posto Weston?” Chiese qualcuno.
“Non c’è un’anima.” Rispose l’uomo e sentirono i
suoi passi iniziare ad andar via.
I due rilasciarono contemporaneamente un sospiro
di sollievo e uscirono fuori dal loro nascondiglio. Videro la forma di qualcuno
che pensarono fosse Weston, camminare lungo il lato ovest dell’edificio.
“Quanti uomini pensa possa avere Lanaghan?”
Sussurrò Watson.
“Non può averne più di dieci e sarei sorpreso se
ce ne fossero così tanti. Tutti i suoi uomini precedenti sono stati arrestati a
Beaufort, eccetto Moore e Cunningham, e
quei due ora sono in custodia. Non può aver avuto tempo di reclutare molti
uomini e i criminali saranno rimasti in pochi dopo tutti gli arresti che sono
stati fatti.”
“Così sappiamo che qui ci sono al massimo due
uomini.” Disse Watson. “Ce ne sono probabilmente altri due per l’altro lato
dell’edificio e gli uomini dentro con Lanaghan, senza dubbio.”
“Sarebbe una fortuna se fosse come dice.”
“Come ci muoviamo?”
“Lei cosa propone?”
“Io dico di dividerci. Possiamo prenderci due
uomini ciascuno ed entrare dentro.” Watson si fermò davanti all’espressione
apprensiva di Holmes. “Non abbiamo davvero altra scelta, Holmes.”
Il detective strinse le labbra e annuì. “Molto
bene. Qui arriva di nuovo Weston.” Tornarono indietro nel telaio della porta.
“Aspettiamo finché non ci volta la schiena. Si muova più veloce e silenzioso
che può. Io andrò a ovest e atterrerò Weston, lei vada a sud e prenda l’uomo
lì. Se ha bisogno di aiuto, Watson…”
“Ce la farò, Holmes.” Disse Watson, tirando fuori
il suo revolver di servizio in vista dalla tasca.
“Ma se dovesse…”
Il dottore annuì. “La chiamerò. Lo stesso vale
per lei, vecchio mio.”
“Va bene, ha girato la schiena. Andiamo.”
Più veloci e silenziosi che poterono, corsero
intorno al magazzino. Nello stesso istante, si divisero a ovest e sud,
nascondendosi tra gli uomini.
Watson colse il suo uomo impreparato, mettendogli
la mano sulla bocca e colpendolo in testa così forte da metterlo al tappeto.
Prese delle manette che Holmes aveva preso a Scotland Yard tempo addietro e
assicurò l’uomo al palo all’angolo. Si guardò quindi intorno per essere sicuro
di non essere stato visto o sentito e sbirciò intorno all’angolo. Era
fortunato, non c’era nessuno in vista.
Nel frattempo, Holmes non era stato così
fortunato come l’amico. Proprio quando stava per colpire Weston, l’uomo si era
voltato. Aveva il suo tubo a portata di mano, ma Holmes aveva il suo bastone da
passeggio e l’allenamento dei suoi anni di box ancora una volta dalla sua. La
sua conoscenza della lotta con la spada gli venne anch’essa in aiuto – non ci
volle molto prima che il tubo di Weston volasse via dalle sue mani facendo un
gran rumore lungo la strada.
Fu a questo punto che due cose avvennero
contemporaneamente. Holmes sentì un grido di una donna e un altro uomo girò
l’angolo dall’estremità più lontana dell’edificio.
“Signorina Andrews!” Urlò Holmes, momentaneamente
distratto, e un momento fu quello che occorse a Weston per sferrare un forte
pugno sulla sua mascella, facendolo barcollare.
Il secondo uomo arrivò di corsa, urlando.
Jason tirò indietro il suo braccio per far volare
ancora una volta la frusta, ma si fermò a metà azione quando una serie di urla
arrivarono alle sue orecchie. Si girò verso la porta, gli occhi spalancati. Si
voltò per guardare uno dei due uomini rimasti. “Controlla cosa sta succedendo!”
L’uomo corse obbediente. Un momento dopo, urlò
“E’ HOLMES!”
“Impossibile!” Sussurrò Jason. “Non può aver…!” Serrò
i denti e si girò dall’altro uomo. Fece un gesto verso Christine. “Tirala giù!”
L’uomo lo fece e la lasciò con la faccia nel
fieno, respirando pesantemente. Jason, disgustato dai nuovi avvenimenti, buttò
la frusta di fianco a lei. “Controllala. Me ne occupo io.” Iniziò a correre
fuori, ma si girò sulla soglia. “Toccala e sta sicuro che finirai esattamente
come Bartholomew. Capito?”
L’uomo deglutì e annuì.
Jason girò sui tacchi e, dopo aver recuperato la
macchina del tempo da sopra al tavolo, volò fuori dalla stanza.
Christine fece finta di essere incosciente, ma ne
era ben lontana. Malgrado la sua schiena rossa, gelida e sanguinante, bruciasse
per il dolore dei colpi della frusta, adesso aveva qualcosa su cui
concentrarsi. Lui era lì. Il signor Holmes era lì per salvarla.
Ma potrebbe
essere nei guai. Devo uscire di qui. Non m’importa in che stato mi trovo… Devo
uscire! Guardò verso l’uomo in piedi a poca distanza da lei. I suoi occhi
erano fissi sulla porta da cui Jason era uscito.
Tenendo
un occhio su di lui tutto il tempo, lentamente allungò la mano verso la frusta.
------
Bebbe5: Tranquilla, ho avuto lo
stesso problema, sono rimasta offline per un bel po' per colpa del
modem andato -__-. In effetti, se fossi in Holmes, lascerei perdere
certi pensieri, se lo portano a questo punto. Per quanto riguarda
Watson che li coglie in flagrante preferisco lui contento per l'amico,
piuttosto che Watson/Signora Hudson...mi fa un po' impressione :-P.
Grazie per i complimenti, spero che ti sia piaciuto anche questo
capitolo ^_^.
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Capitolo 18 *** La Svolta degli Eventi ***
Capitolo 18
Capitolo diciotto: La Svolta degli
Eventi
Jason si mosse lungo il magazzino, con la macchina del tempo fra le braccia. Quando
arrivò vicino all’entrata principale, sentì rumori di colluttazione, urla e gemiti
di dolore.
Alla fine girò l’angolo e arrivò faccia a faccia con i suoi tre uomini che,
istantaneamente, si bloccarono nei loro movimenti. Si spostarono di lato per
rivelare un uomo alto dai capelli neri, tenuto dal terzo uomo.
Jason guardò verso di lui con disprezzo. “Sherlock Holmes, presumo.”
L’uomo alzò la testa per rivelare un viso ferito e sanguinante. Ma i suoi
occhi, freddi come l’acciaio, erano risoluti e fissi sui suoi.
“O dovrei dire Monsieur Lemaire.”
Continuò Jason, abbassandosi verso di lui. “E’ stato uno sporco trucchetto
farmi ubriacare. Fortunatamente sono tornato sobrio e la mattina mi ricordavo
di ciò che avevo fatto.” Si raddrizzò di nuovo. “Così è venuto a salvare
Christine, vero? Devo ammetterlo, sono impressionato dal fatto che mi abbia
trovato.” Disse, guardandosi intorno. “Ma dove sono i suoi rinforzi? Non mi
dica che è venuto da solo!” Sorrise. “Mi sento insultato. O ha portato il suo
amico con sé? Dov’è il buon dottore?”
Chiese ironicamente.
La cosa fece accigliare il detective, cosa che fece corrucciare Jason. Strinse
il pugno e si preparò a colpirlo,ma le parole di Holmes lo fecero fermare.
“Sei finito Lanaghan.” Disse, la voce roca come se fosse stato colpito alla
gola. Queste parole, comunque, arrivarono forti e chiare. “La polizia sta
arrivando.”
“Sta bluffando.” Disse Jason, ma si sentiva il dubbio nella sua voce.
“No. Saranno qui in fretta. E’ tutto finito. Sta per…”
“Zitto!” Jason colpì Holmes sulla faccia, forte.
Il detective sputò del sangue e guardò Jason ancora. “Manrovescio. Così poco
da gentiluomo.”
Jason aprì la bocca per ringhiare in risposta, ma le parole gli si fermarono
in gola. Lo sguardo di Holmes lo rendeva nervoso. C’era qualcosa d’innaturale
in quell’uomo, qualcosa di fermamente deciso, qualcosa di risolutamente
persistente.
Non gli piaceva. Fece un passo indietro, lontano da Holmes, e guardò i suoi
uomini. “Portatelo nella stanza sul retro e uccidetelo.” Disse selvaggiamente.
Con questo lasciò il detective con i suoi uomini e tornò indietro nel
magazzino. Doveva tornare da Christine. Era preoccupato che Holmes avesse detto
la verità riguardo la polizia. Se loro stavano
arrivando, doveva prendersi le informazioni che gli servivano da Christine o
andarsene.
Holmes fu gettato nel pavimento di una piccolo stanza, dove venne scaraventato
contro delle casse di legno. Se lo avessero gettato in modo più forte gli
avrebbero rotto la spalla.
Uno degli uomini tirò fuori il revolver e si rafforzò sui suoi piedi. “Ha
messo fuori gioco mio cugino, signor Holmes. Sarà un piacere toglierla fuori
dai piedi.”
E’ questa la mia fine? Pensò
Holmes, guardando la canna della pistola quando arrivò al livello della sua
fronte. Mi dispiace John. Signorina
Andrews…Christine…perdonami.
Rifiutandosi di chiudere gli occhi,
si preparò all’impatto con la pallottola. Invece arrivò un grido dall’esterno.
“Polizia! La polizia è qui! Corriamo, ragazzi!”
“E’ Wilcox?” Chiese uno degli uomini, girandosi di colpo.
“Dice che la polizia è qui!” Disse il secondo uomo in modo concitato.
“Dobbiamo andarcene da qui!”
“Cosa ne facciamo di Holmes?” Chiese dubbioso l’uomo con il revolver.
“Dimentica Holmes! Non sparargli o i poliziotti lo sentiranno!”
Holmes guardò da uno all’altro. L’uomo che aveva appena chiamato da fuori
non era Wilcox. Conosceva quella voce bene come la sua. Bravo, Watson!
“Io vado!” Disse il secondo uomo e corse fuori dalla porta.
“Anch’io!” Seguì l’altro, sulle tracce del compagno.
L’uomo con il revolver si voltò, chiamando fuori dalla porta. “Aspettate!
Cosa facciamo…”
Quell’istante era ciò di cui Holmes aveva bisogno. Afferrò le gambe
dell’uomo e sollevò i piedi contro di lui, costringendo l’uomo a sbattere il
mento contro il suolo. Svelto gli afferrò il polso, facendogli mollare il
revolver. Non doveva fare altro, l’uomo gemette. La caduta era stata abbastanza
forte.
Solo per sicurezza, Holmes prese la corda che bloccava due casse insieme e
la usò per legare i polsi dell’uomo e le gambe. Non appena fu sicuro che l’uomo
fosse legato per bene, Holmes corse fuori dal magazzino. Uno dei due uomini
giaceva nell’entrata del magazzino, svenuto. Un marchio rosso, che iniziava a
illividire, rivelava che era stato colpito. Energicamente.
Ma Watson non era in vista. Seguendo una serie di impronte nel fango davanti
a lui, Holmes ne dedusse che il dottore doveva essere corso dietro al secondo
uomo.
Lanaghan raggiunse la stanza con i box per i cavalli, più che pronto a cavar
fuori le informazioni da Christine. Ma quando entrò nella stanza, rimase
impalato.
Era sparita.
L’uomo che doveva controllarla giaceva nel fieno con una frustata intorno al
collo.
Lanaghan si guardò intorno alla stanza velocemente, ma non c’era nessun
nascondiglio per lei, specialmente nelle sue condizioni.
“Dannazione!” Doveva uscire di lì
adesso, prima di…
“QUI E’ L’ISPETTORE LESTRADE DI
SCOTLAND YARD. ABBIAMO CIRCONDATO L’EDIFICIO. NON RENDETELA PIU’DIFFICILE DI
QUANTO GIA’ NON SIA. USCITE CON CALMA. ”
Gli occhi di Jason si spalancarono quando la voce dilatata del poliziotto rimbombò
attraverso le finestre rotte. Erano davanti all’edificio. C’era un’entrata da
un lato, che probabilmente era ormai sorvegliata, ma poteva tentare con l’entrata
sul retro, vicino al porto. Poteva semplicemente andarsene da lì.
Avvolse la macchina del tempo nei suoi vestiti, rovistò nella borsa e tirò
fuori la sua pistola. Se si fossero stati sulla sua strada, non c’erano
argomenti che potevano addurre di fronte ad una pistola moderna. Si assicurò
che fosse pienamente carica mentre correva fuori dalla stanza, poi iniziò a
correre verso l’uscita sul retro.
Sinistra, destra…ancora un po’ a destra…un’ultima sinistra e…sentì dei passi
e sollevò la pistola di fronte a sé.
Il respiro di Watson si fermò quando si ritrovò davanti come una barriera la
pistola di Lanaghan.
“Dottor Watson,” disse Jason un po’ tremante. “Non mi aspettavo di vederla
qui. Getti la sua arma.” Ordinò.
Watson strinse i denti e lasciò
cadere il revolver. “Certo che sono venuto. Non potevo lasciare che le facesse
del male.”
Jason adocchiò la porta e iniziò a indietreggiare verso di essa, tenendo lo
sguardo fisso sul dottore. “Oh, temo sia troppo tardi per quello.”
“Cosa?” Fu come se una mano ghiacciata avesse afferrato il petto di Watson.
“Che cosa le ha fatto?”
“Lo vedrà. O forse no.” Puntò la pistola direttamente fra gli occhi del
dottore. “Lei è veramente diventato un problema.” Era ora arrivato alla porta. Si
mosse per mettersi davanti. “Avrei dovuto ucciderla a Baker Street.”
“Tu avresti dovuto essere già morto.”
Jason sussultò quando sentì quella voce, accompagnata dalla sensazione di
freddo metallo contro la tempia. Sentì un click di una pistola.
“Signorina Andrews!” Urlò Watson. “Sta bene?”
Christine si lasciò sfuggire un sospiro tremante. “Starò bene, dottore.
Gettala Jason.”
“Ragazza intelligente…” Jason iniziò ad abbassare l’arma.
"Piano e delicatamente."
Lui continuava ad abbassarla, ma all’ultimo momento si girò verso di lei. Lo
colpì con il revolver in viso e lui urlò di dolore. Il pistola esplose un colpo,
facendola rabbrividire al suono, ma riuscì a colpire il gomito con
l’impugnatura del revolver fece cadere l’arma dalla sua presa..
La raccolse e si girò verso Jason che era inciampato all’indietro ed ora era
seduto nel pavimento, la macchina del tempo stretta fra le mani. “Okay Jason.
Metti giù la macchina.”
In risposta lui guardò soltanto verso di lei, ignorando il sangue che colava
dal sopracciglio.
“ORA!”
Con la luce del sole dietro di lei e con la sua posizione rispetto alla sua,
Watson non poteva vedere molto di Christine, ma quasi fece un salto per la
ferocia nella sua voce.
Jason lentamente appoggiò la macchina di fianco a sé.
“In piedi.”
Lui si alzò.
“E’ così Jason. Sei finito. Ora, dov’è il signor Holmes?”
Lui sorrise di traverso e rise. “Morto.”
Il respiro di lei si bloccò come se il suo cuore fosse stato pugnalato. “Stai
mentendo.”
Il suo sorriso si allargò e scosse la testa. “Ti assicuro di no.”
Watson improvvisamente pensò che stesse per sentirsi male. Holmes? Morto? Deglutì.
Non poteva affrontare la morte del suo amico di nuovo. Non di nuovo.
“Dov’è?” Urlò Christine, avvicinandosi.
Il sorriso di Jason sbiadì completamente e lui ringhiò. “Il tuo amato
detective è morto, Christine.”
“Se è così lo sarai anche tu.” Sibilò lei, premendo la pistola contro la sua
gola. Tutto il suo dolore era dimenticato. Tutto ciò a cui riusciva a pensare
era il signor Holmes. Non poteva essere morto, semplicemente non poteva…
“Sono già morto prima, signor Lanaghan.” Una voce chiara risuonò forte. “E
non intendo farlo di nuovo così presto.”
Servì tutto la forza di volontà di Christine per tenere i suoi occhi su
Jason. “Signor Holmes.” Sussurrò.
Watson si voltò. “Holmes!” Urlò.
I capelli del detective erano scompigliati, la sua faccia aveva diverse
ferite ed era macchiato di sangue. Malgrado il suo aspetto terribile, Holmes
era completamente sé stesso, i suoi occhi mantenevano la loro intensa energia. Camminò
verso l’uomo disarmato e la donna che lo teneva sotto il tiro della sua
pistola.
A quella distanza ravvicinata, Holmes notò che il suo vestito era macchiato
di scuro in diversi punti e che c’erano strisce di sangue sul suo collo e uno
vicino all’orecchio. Stava diventando velocemente pallida e le sue mani
iniziavano a tremare.
“Qui, signorina Andrews, lasci che me ne occupi io.” Disse gentilmente,
disperatamente cercando di non tradire il suo allarme e prese il revolver dalle
sue mani tremanti.
Christine lo porse a lui con gratitudine. Ora che sapeva di essere in salvo,
ora che Jason era in custodia, tutto il dolore tornò in fretta. La sua vista
iniziò a offuscarsi. Sentiva di poter svenire ad ogni momento.
“Watson, sia così gentile da aiutarla.”
“Cosa?” Chiese Watson, sorpreso.
“Oh!” Corse avanti e afferrò la signorina Andrews per le braccia mentre barcollava.
“Giusto cielo! Signorina Andrews, sta sanguinando! Il suo vestito! Cosa…?
Queste lacerazioni sono…” La voce di Watson tremò leggermente e la fece sedere.
“Buon Dio…Holmes, è…è stata frustata.”
La faccia di Holmes si oscurò quando sentì le parole del dottore. Guardò in
basso verso Lanaghan che, raramente intimidito, ancora una volta si ritrovò
innervosito dal pericoloso fuoco acceso negli occhi del detective.
“Con tutto quello che ho visto nella mia carriera, signor Lanaghan, niente
mia ha provocato repulsione quanto lei!” Disse con tono rabbioso e, con un
violento colpo con l’impugnatura del revolver che teneva, spedì l’uomo barcollante
sul pavimento, dove cadde incosciente e con una nuova ferita che sanguinava.
Watson, malgrado sorpreso dall’azione di Holmes, sentì un po’ di rimorso per
quell’uomo che aveva causato loro così tanto problemi e dolore. Se Holmes non
lo avesse colpito, lui lo avrebbe
sicuramente fatto. Riportò la sua attenzione sulla signorina Andrews che ora
era seduto contro lo stipite della porta, tremante.
“Holmes, dobbiamo portarla immediatamente in ospedale!”
“Chiamo una carrozza, Watson!” Holmes gli diede il revolver e corse fuori
dalla porta. Christine riusciva a sentire i suoi passi picchiettare nel ciottolato
fuori e presto una voce che chiamava.
“Andrà tutto bene, signorina Andrews.” Disse Watson in modo rassicurante,
battendole le mani, ma un profondo cipiglio gli crebbe sulla fronte. Aveva
perso troppo sangue e diventava sempre più pallida ogni secondo che passava. “Stiamo
per portarla in ospedale.”
Holmes apparve all’improvviso nell’entrata, i tratti pallidi leggermente
accesi. “Ci porterà una vettura della polizia.” A queste parole alcuni
poliziotti entrarono nella stanza.
“Arrestate quell’uomo.” Disse Holmes, indicando Lanaghan. “E ce ne sono
almeno altri cinque nelle immediate vicinanze, se ancora non li avete trovati.”
Prima che potesse notarlo la polizia, Holmes si abbassò per prendere la
macchina e la pistola di Jason. Infilò la pistola nella tasca e diede la
macchina a Watson, che la nascose nel cappotto. Quindi si tolse il soprabito e
lo avvolse intorno alla signorina Andrews che prese cautamente fra le braccia.
Lei subito gli buttò le braccia intorno al collo, le labbra strette per il
dolore.
Lui e Watson la caricarono sulla vettura della polizia in attesa, dove
Lestrade li aiutò a portare Christine dentro.
“Al più vicino ospedale, più veloce che può!”
------
Aggiornamento veloce, è vero,
ma visto il tempo a disposizione, il capitolo più breve e il
ritardo dei precedenti ho pensato di aggiornare prima :). Come avete
capito non manca molto, solo pochissimi capitoli alla fine della storia.
Bebbe5: Ok, la gioia di due persone, che abitano nella stessa casa,
finalmente liberati dalla puzza di fumo stantio, il disordine e il
cattivo umore del detective mi piace XD. Adesso che mi ci fai
pensare, mi ricordo di quella scena di Piramide di Paura, non ci avevo
proprio pensato :)). Non ci fanno vedere Christine con la frusta in
mano (direi quasi "meno male", avevo un po' paura del fattore Mary Sue
prepotentemente in agguato). Quando dicevo che Holmes sarebbe andato un
po' OC pensavo a questi capitoli. La cosa non è descritta in
modo eccessivo, ci sta che reagisca così per Watson, un po' meno
per una cliente... Spero comunque che la storia continui a piacerti. A
presto ^__^
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Capitolo 19 *** Conclusioni ***
Capitolo 19
Capitolo diciannove: Conclusioni
Holmes e Watson erano ansiosamente in attesa
davanti all’entrata della stanza dove la signorina Andrews era stata condotta.
Mentre il detective passeggiava avanti e indietro
agitato, l’amico guardava verso di lui con preoccupazione. Holmes aveva
rifiutato ogni attenzione medica sulle sue ferite finché non fosse stato in
grado di vedere la signorina Andrews. L’unico trattamento che accettò fu il
fazzoletto che assurdamente portò sulla brutta ferita sulla sua tempia. Ogni
volta che passava davanti alla porta la guardava, in attesa di notizie.
Watson, nel frattempo, sedeva tranquillamente in
una delle sedie che erano state portate per loro, vicino alla porta. La scorta
di polizia che li aveva portati all’ospedale li aveva lasciati per tornare
indietro a Scotland Yard. L’agente in carica disse che l’ispettore Lestrade o
Bradstreet sarebbero andati per vederli il più presto possibile.
Alla fine Holmes si fermò e Watson si alzò dalla
sua sedia.
Un dottore con gli occhi azzurri, e una faccia
stanca, uscì dalla stanza. Porse la mano. “Signor Holmes? Dottor Watson? Sono
il dottor Clarke. Vi assicuro, la signorina Andrews è in buone mani. Le
infermiere hanno quasi finito di ripulirle le ferite. Le abbiamo messo degli
unguenti e, non appena smetterà di sanguinare, potremmo iniziare con i punti.”
“Starà bene?” Chiese Holmes velocemente.
Il dottor Clarke annuì. “E’ giovane. Sarà come
nuova in men che non si dica.”
Watson vide come il sollievo sembrò letteralmente
avvolgere il suo amico e si voltò dal dottore. “Dottor Clarke, potremmo avere
dell’acqua e delle bende pulite? Mi piacerebbe visitare il mio amico qui.”
“Certamente. Li farò portare subito da
un’infermiera.”
“Grazie. Andiamo Holmes.”
Holmes, obbediente, sedette in una delle sedie e
si tolse il cappotto. Un’infermiera portò una bacinella d’acqua, del sapone,
tintura di iodio, panni e bende.
Il detective sedeva immobile, eccetto per alcune
fitte di dolore, mentre Watson gentilmente puliva e bendava le sue ferite.
“Spero che la signorina Andrews stia bene.” Disse tranquillamente al dottore
mentre bendava la mano.
“Sono sicuro sta bene, Holmes.”
“Potrebbe non esserlo quando inizieranno a
metterle i punti.”
Watson si fermò pensieroso. “Forse…e se fossimo
lì con lei?”
“Ce lo permetterebbero?”
“Non lo so…Dottor Clarke?” Chiamò Watson mentre
l’uomo passava.
“Si, dottor Watson?”
“La signorina Andrews è sveglia?”
“Si, signore.”
“Vorrebbe chiederle se volesse avere la nostra
compagnia quando inizieranno a metterle i punti? Potrebbe consentircelo?”
Il dottor Clarke si raddrizzò e pensò per un
momento. “E’ un po’ inusuale, ma potrei fare un’eccezione. Quella giovane donna
ha subito qualcosa di orribile… Vado a chiederglielo.”
“Grazie.”
Holmes volse la testa e guardò la porta, attento,
finché il dottor Clarke ritornò qualche minuto dopo.
“Dice che le piacerebbe avervi con lì, se volete.
Ha smesso di sanguinare e inizieremo a mettere i punti fra dieci minuti.”
Dieci minuti dopo, Holmes e Watson seguirono
un’infermiera dentro la stanza dov’era la signorina Andrews. La stanza era
lunga e rettangolare, con diversi letti allineati ad intervalli. Alcuni erano
occupati, mentre altri no.
Tutto il corpo di Holmes si tese quando vennero
condotti verso il letto della signorina Andrews. Giaceva sullo stomaco, con la
schiena nuda esposta. La parte inferiore del vestito era ancora intatta e il
resto del torso era rispettosamente coperto. Quattro distinte frustate
risaltavano sulla schiena, brillanti di rosso contro la pelle pallida.
Lui riusciva a malapena ad aprire la bocca, era
veramente al limite. Alla fine, a malapena, riuscì a dire: “Signorina Andrews”
e lei voltò la testa.
“Signor Holmes.” Disse debolmente. “Dottore.
State…state bene?”
“Si, stiamo bene.” Holmes avvicinò una sedia e si
sedette vicino a lei.
Il suo viso, tirato, gli sorrise debolmente, ma
il sorriso svanì in fretta. “Lei è ferito!” Disse in tono di accusa. “Cosa le
ha fatto Jason?”
“Sto bene.” Ripeté. “Sono solo pochi lividi.”
Lei si accigliò e rispose con uno sguardo
dubbioso.
“Io sto bene. Sono…sono molto più preoccupato per
lei.”
Lei sorrise stancamente. “Grazie.”
“Signorina Andrews?” Disse il dottor Clarke,
avvicinandosi dietro Holmes. “Stiamo per iniziare a mettere i punti. E’
pronta?”
Christine rabbrividì, ma annuì. “Si, signore.”
Riportò lo sguardo sul signor Holmes e il dottor Watson. “Grazie per essere
venuti.” Sussurrò.
“Ma certo.” Disse Watson, mettendo una sedia
vicino a Holmes.
Holmes si rifiutò di guardare l’ago che il
dottore avvicinava alla schiena di lei. Riuscì soltanto a guardare la signorina
Andrews, mordersi le labbra, in attesa dell’inizio del dolore. Tutto il corpo
divenne rigido all’improvviso e strinse forte gli occhi. Afferrò le lenzuola
sotto le mani, la stretta che diventava sempre più intensa ad ogni passaggio
dell’ago.
Holmes non riuscì a stare semplicemente seduto e
appoggiò la mano sulla sua. Lei strinse la mano forte e gli occhi si
spalancarono per guardarlo. Malgrado fossero pieni di lacrime, la gratitudine
che vi lesse lo ripagarono delle ferite e dei lividi più di ogni altra cosa.
Ci volle un’ora per completare i punti, dovendo
ripulire ripetutamente le ferite mentre l’operazione proseguiva. Quando
finirono, venne chiesto ai due di lasciare che la signorina Andrews riposasse.
Indugiarono nell’ospedale per un po’, finché l’ispettore Bradstreet si presentò
per informarli che Lanaghan e il resto degli uomini erano dietro le sbarre a
Scotland Yard.
“Quale sarà la sua condanna?” Chiese Watson.
“La forca, sicuramente, quando sarà tutto
finito.” Replicò Bradstreet. “Non posso dire di esserne dispiaciuto. Con tutte
le persone uccise, è quello che si merita.”
Dopo questo fecero una visita alla signorina
Andrews e andarono a cercare qualcosa per cena. Dopo un pasto veloce, Holmes
insisté affinché Watson tornasse a Baker Street per riposare; lui voleva
rimanere con la signorina Andrews un po’ di più.
Erano quasi le dieci di sera quando Holmes chiese
se fosse possibile vederla.
“Ora sta dormendo.” Disse il dottor Clarke. “Può
però sedersi vicino a lei per un po’. Chiudiamo alle dieci e mezza; temo che a
quell’ora dovrà andar via.”
“Capisco.” Holmes annuì ed entrò silenziosamente
nella stanza. Lei adesso dormiva pacificamente. Si sedette quieto nella sedia
vicino a lei e la guardò. Il dottore aveva detto che si sarebbe ripresa bene.
Le ferite non erano troppo profonde come aveva inizialmente pensato e, con i
punti a posto, sarebbe tornata in forma.
Mia cara signorina Andrews, pensò Holmes. Mi
dispiace così tanto non essere stato lì per fermarlo. Farei di tutto per
allontanare il dolore.
Ogni giorno successivo Holmes, e molte volte
Watson, andarono a farle visita in ospedale. Diventava sempre più forte, ma
doveva ancora migliorare.
Molti giorni Holmes rimase fino alla chiusura
dell’ospedale, guardandola dormire. Diceva a Watson che sarebbe tornato a
piedi. Non voleva che le sue emozioni fossero palesi al dottore.
Nel profondo sapeva che stava solo facendo sì che
la sua attrazione diventasse più forte e non sarebbe stato facile alla fine. Ma
al momento non gl’importava. Voleva solo trascorrere ogni momento che poteva
con lei.
Fu una sera che, mentre Holmes sedeva di fianco
al letto, Christine guardò verso di lui. Pensava stesse dormendo.
Il dottor Watson, nei suoi scritti, una volta
aveva chiamato il detective un automa, una macchina calcolatrice.
Non era niente del genere. Christine poteva vedere,
attraverso gli occhi quasi chiusi, che era terribilmente preoccupato per lei.
Ancora non riesco a credere che mi abbia
trovato così in fretta. Mi ha salvata di nuovo, pensava. Quante volte
sono ora? Era felice fosse stato lì per salvarla. Non avrebbe voluto fosse
qualcun altro a farlo… Ricordava la forza delle sue braccia mentre la stringeva
e la portava come se pesasse non più di una piuma. Lei studiò il suo viso,
attenta a non muoversi per non attirare la sua attenzione. Era l’unico nella
stanza, eccetto che per gli altri pazienti e lei, e pensava stesse dormendo.
Stava lasciando che le emozioni, che di solito teneva nascoste al pubblico,
fossero visibili sul suo viso.
C’era tristezza, solitudine e preoccupazione in
quegli occhi grigi normalmente intensi.
Lei voleva tanto abbracciarlo, stringerlo, dirgli
che lei sarebbe stata bene e di non preoccuparsi. L’aveva salvata e aveva
risolto il caso. Non si preoccupi per me. Odiava quando la gente si
preoccupava, ma sapeva che anche lei si preoccupava troppo. Ricordava
vividamente come il cuore le fosse saltato in gola quando Jason le aveva detto
che il signor Holmes era morto. Era terrorizzata dal fatto che quello che le
stava dicendo fosse la verità. Se non fosse stato cruciale tenere Jason sotto
tiro, e se il detective fosse veramente stato morto, sicuramente sarebbe
scoppiata a piangere. Il pensiero di lui morto, o anche solo ferito, la
riempiva d’improvviso dolore.
Tutto d’un tratto fu colpita da quanto le fosse
caro. Nessun uomo, eccetto suo padre, era stato così buono con lei, così
cortese, così ansioso di aiutarla e così disposto a rischiare tutto per il suo
bene.
Lo amava? Ma cosa più importante, lui ricambiava
il suo amore? Il pensiero fu come un coltello che le trapassava il cuore. Si,
lui ci teneva a lei, ma amore?
Improvvisamente un movimento vicino a lei la
riportò al presente. I suoi occhi vagavano per la stanza, come se volesse
essere sicuro che qualcuno non lo stesse osservando, e gentilmente posò una
mano sulla sua.
Se il letto non fosse stato sotto di lei, a
sorreggerla, Christine si sarebbe sicuramente sciolta in lacrime. Quel semplice
gesto di affetto era abbastanza da farla piangere. Lo amava.
Ma non avrebbe mai funzionato. Non poteva
funzionare.
“Signora Hudson!” Urlò Holmes. Un paio di giorni
dopo l’arresto di Lanaghan, aveva spedito un messaggio nella casa in campagna
dove si era rifugiata. Era tornata e sembrava sollevata di riavere i lavori di
casa di nuovo sotto il suo controllo. Lui aspettò un momento per una risposta,
quindi ancora, “Signora Hudson! Ha visto il mio-oh. Non importa, l’ho
trovato!” Ritrovò il suo cilindro dietro ad una pila di giornali, lo ripulì
dalla polvere e lo mise in testa.
In quel momento, Watson arrivò dalla porta,
togliendosi il cappello e il cappotto. “Che giornata uggiosa, Holmes. Sembra
debba piovere di nuovo…”
“Tenga il cappello e il cappotto, Watson! Andiamo
all’ospedale!” Holmes si fiondò davanti al dottore e nel corridoio; Watson lo
seguì immediatamente.
“Ci fermeremo lungo la strada, Watson. Spero non
le dispiaccia.”
Watson rise e riabbottonò il cappotto. “Mio caro
Holmes, certo che no.”
“Scusatemi!” Chiamò Christine. Era passata oltre
una settimana ed ora era in grado di sedersi e appoggiarsi sulla schiena. Aveva
ripreso a camminare anche – non troppo, ma alla fine poteva scendere dal letto
per un po’ di tempo.
Un’infermiera agitata, di passaggio, si girò e si
avvicinò al suo letto. “Si, signorina Andrews?”
“Mi chiedevo solo quando potrò lasciare
l’ospedale.”
L’infermiera celò a malapena la sua frustrazione.
“Quando il dottore darà il suo permesso, signorina Andrews. E per favore, non
me lo chieda ancora.” L’infermiera girò sui tacchi e si allontanò.
Christine sospirò. Si guardò intorno per un
momento annoiata, quindi prese un libro dal comodino vicino al letto. Lo aveva
portato il dottor Watson per lei…era una raccolta di casi che il signor Holmes
aveva affrontato prima dell’arrivo del dottore…storie che non erano mai state
pubblicate.
Ma prima che potesse leggere un singolo
paragrafo, sentì delle voci familiari arrivare dal corridoio. Appoggiò il libro
quando un’altra infermiera le si avvicinò. “Ha delle visite, signorina
Andrews.”
Christine sorrise. “Grazie.”
Holmes e Watson apparvero simultaneamente per
essere accolti da un sorriso raggiante.
“Signor Holmes! Dottor Watson! Sono così felice
di vedervi; desideravo proprio avere un po’ di compagnia.”
Si tolsero i cappelli e la salutarono.
Holmes aveva tirato fuori, da dietro la schiena, un mazzo di fiori, tutti rosa,
viola e bianchi.
“Signor Holmes…” disse lei, prendendo i fiori.
Affondò il viso nei fiori e il piacevole aroma le rallegrò i sensi. “Grazie.
Sono bellissimi. Adoro le Lysimachia[i]”
“Lo immaginavo.” Le sorrise di rimando. Quindi si
schiarì la voce. “Sono da parte di entrambi.” Disse velocemente, facendo un
gesto verso di sé e Watson.
Il dottore sorrise al suo amico. Considerata la
sua avversione per le donne, sapeva essere molto gentile. “Come si sente oggi,
signorina Andrews?” Chiese, tornando verso di lei.
“Molto meglio, grazie dottor Watson. Oh, prego.”
Indicò verso le sedie vicino al suo letto e si sedettero.
“Sono contento di sentirlo.” Disse Watson,
sorridendo.
“Non vedo l’ora di lasciare l’ospedale.” Disse,
inclinando la testa in segno di esasperazione. “Sono così annoiata qui. Se non
fosse per il libro che mi ha lasciato, credo sarei impazzita.”
Watson rise. “Sono contento che le sia piaciuto.”
Holmes osservò la signorina Andrews mentre
parlava con Watson. Annotò quanto sembrasse più in salute; notò che sussultava
appena – se non per niente – per le ferite. Stringeva i fiori che le aveva
portato al petto e spesso li guardava mentre parlava. In un’occasione, aveva
guardato dai fiori verso di lui ed era arrossita mentre sorrideva.
“Quando sarà in grado di essere…rilasciata?”
Chiese con un leggero sorriso sulle labbra.
Lei rise e scosse la testa. “Non ne sono sicura.
Mi chiedevo se forse lei potesse essere in grado di mettere una buona parola
per me, dottor Watson?” Sorrise speranzosa verso di lui.
Watson rise di nuovo. “Credo di poterlo fare. Le
fa male quando si siede?” Chiese, prendendo un tono più serio. Lei scosse la
testa. “E quando si gira sul fianco?”
“No, credo si sia cicatrizzato bene. Dicono che i
punti potranno essere tolti domani. Mi piacerebbe molto uscire di qui.”
Watson le sorrise gentilmente. “Vedrò cosa posso
fare.”
“E’ bello riaverla di nuovo qui,cara.” La signora
Hudson accolse Christine quando i signori entrarono in casa due giorni dopo.
“Grazie, signora Hudson. E’ bello essere di nuovo
fuori dall’ospedale.”
“Che esperienza difficile ha dovuto
attraversare.” Disse la padrona di casa, scuotendo la testa tristemente. “Come
si sente ora?”
“Mi sento molto meglio, grazie.”
“Venga, signorina Andrews.” Disse il signor
Holmes e, offrendogli la mano, la aiutò su per le scale verso la stanza delle
consulenze, seguito dal dottor Watson.
Chiusero la porta e Christine sedette sul divano.
“Cos’è successo a Jason?” Chiese dopo un momento di quiete. “Non è stato
impiccato, vero?”
Holmes si fermò dal prendere il tabacco dalla
babbuccia persiana per girarsi verso di lei. “E’ il modo in cui di solito vanno
le cose, signorina Andrews.”
“Non m’interessa realmente cosa gli
succede, ma non appartiene a questo posto. Ho bisogno di riportarlo indietro
nel futuro. Dev’essere ritenuto responsabile degli omicidi avvenuti lì. Non
posso semplicemente averlo disperso…è stato impiccato?”
Holmes abbassò gli occhi. “No. Per quanto devo
ammettere di esserne deluso.”
“Così come Scotland Yard.” Aggiunse Watson.
“Cosa gli è successo?”
Holmes accese la pipa e sedette anche lui. “Dopo
che Lanaghan è stato arrestato, naturalmente ha dichiarato la sua innocenza.
Dopo qualche giorno con questa assurdità, ha iniziato a dir loro la verità.”
Christine si bloccò nel suo movimento di prendere
la tazza di tè che il dottor Watson le stava porgendo. “La verità? Cosa…cosa
intende?”
“Precisamente questo. Ha iniziato a dire alla
polizia che veniva dal futuro, che lei veniva dal future, che siete
venuti qui con una macchina del tempo…” Holmes fece un gesto con le mani.
“E?”
“Inconsciamente si è salvato. Almeno dalla
forca.”
“Non riesco a seguire.”
“Tre giorni fa, Scotland Yard ha ricevuto una
lettera dal Bethlem Hospital per il trasferimento di Lanaghan lì.”
“Cosa?” Esclamò lei, saltando in piedi. “Ow.” Si
contrasse.
“Sta bene?” Chiese Holmes, facendo quasi cadere
la sua pipa.
Lei annuì. “Solo un po’ di dolore. Quindi intende
dirmi che Jason è in qualche manicomio? Questo significa che sarà più difficile
portarlo…”
“E’ stato mio fratello a spedire la lettera.”
Christine si sedette di nuovo lentamente. “Suo
fratello?”
“Come sa, Mycroft ha una notevole influenza sul
governo. Abbiamo parlato della condanna che poteva essere eseguita qui, ma
entrambi abbiamo deciso che fosse meglio per lui essere spedito indietro nel
futuro per essere giudicato. Abbiamo sentito la sua assurda storia e Mycroft
non ha avuto problemi ad assicurare un falso trasferimento per lui.”
“Quindi…non è in ospedale?”
“No.”
“Dov’è?”
“E’ tenuto in una casa che a volte uso quando ho
bisogno di un posto per nascondermi.”
“Sa dov’è e chi lo ha portato lì?”
“No. E’ completamente all’oscuro del posto in cui
si trova ed è assicurato alle catene. Sa che ho a che fare con la cosa, ma è
tutto.”
“Quindi cosa succederà adesso?”
“Quando sarà pronta, potrà tornare a casa.” Disse
Holmes, molto più freddamente di quanto intendesse. Si alzò ed andò in camera
sua. Ne uscì tenendo una cosa a forma di scatola avvolta in un panno. “La sua
macchina.”
Christine la prese, sedette con la macchina sul
grembo e tolse via il panno. La macchina brillò alla luce del caminetto e
Watson si avvicinò per vederla meglio. Christine la girò più volte, guardando
attentamente per qualunque possibile danno. Sembrava apposto. Attentamente la
capovolse e spinse un pulsante non visibile. Dopo averlo fatto, un pannello
nascosto si aprì lentamente, rivelando una serie di quadranti. “Non è riuscito
a farci nulla. Buona cosa… Le date e il periodo è ancora questo… 3 Marzo, 1895,
4:55.” Si fermò e li guardò entrambi. “Sembra passato così tanto tempo.”
“E’ stata qui un mese.” Osservò Watson.
“Wow.” Scosse la testa. “Sarà così strano tornare
indietro. Non vedo l’ora di rivedere Walter e…” La sua espressione si offuscò.
“E Jason andrà finalmente incontro a quello che si merita.”
“Cosa gli succederà?”
“L’intera vita in prigione, mi aspetto.” Disse
Christine. “Benchè sarà la corte a decidere. Non si merita niente di meno di
quello.” Si fermò e si coprì gli occhi con la mano. “Odio dover affrontare un
processo.” Sospirò.
“Non ci pensi adesso.” Disse Watson. “Mi sembra
di sentire la signora Hudson portare su la cena.”
Il giorno dopo, Christine iniziò a impacchettare
le sue cose. Non aveva portato molto nello zaino al suo arrivo, ma avvolse
alcuni dei suoi vestiti preferiti nella carta e attentamente li mise dentro.
Dopo che tutto fu sistemato, mise i jeans, la
camicia, il giubbotto e le scarpe nella scrivania. Tirò fuori anche il
cellulare per sistemarlo nella tasca del cappotto. Aveva il numero della
polizia pronto per usarlo al ritorno. Sotto ai jeans mise la pistola di Jason.
Doveva averla con sé, per sicurezza.
Quando queste cose furono pronte, sedette sul bordo
del letto e ripassò il piano a mente.
Ricordava di aver visto una tendone con delle
strisce verdi quando era arrivata nella Londra vittoriana e quel mattino, il
signor Holmes, aveva mandato i suoi Irregolari ad esplorare i sobborghi di
Londra per trovarlo. Erano tornati intorno all’ora del tè con un dettagliato
rapporto sull’area. Il tendone verde apparteneva ad una macelleria.
La mattina presto sarebbero dovuti andare lì.
Mycroft li avrebbe accompagnati, portando Jason. Christine sarebbe quindi
tornata a casa con lui.
Non importava quante volte nella sua testa lo
aveva fatto, i suoi pensieri tornavano sempre al signor Holmes. Il suo cuore
era addolorato per lui. Spesso arrivava alle lacrime quando diceva a sé stessa
che non lo avrebbe rivisto mai più.
Non sarebbe mai felice, ricordava
costantemente a sé stessa, se venisse con me. Non potrei mai chiedergli di
farlo. E non posso rimanere qui…il suo lavoro è così importante per lui e gli
sarei solo d’intralcio. Non posso semplicemente abbandonare Walter e la
compagnia…Oh, signor Holmes…
Un po’ sapeva che gli stessi pensieri
tormentavano anche lui.
Era diventato più tranquillo del solito negli
ultimi giorni, malgrado avesse cercato di nasconderlo. E’ semplicemente
impossibile. Non può rimanere qui e io non posso andare con lei. L’opzione
aveva spesso attraversato la sua mente, ma sarebbe stato fuori posto nel
futuro, senza contare il fatto che avrebbe dovuto lasciare Watson. Non poteva
abbandonare di nuovo il dottore, neanche per lei.
Provava sicuramente qualcosa per lei, ma era amore?
Se lo chiedeva costantemente. Non poteva esserne sicuro – doveva convincersi
che era soltanto un’infatuazione.
Era questo tipo di pensieri che occupavano la sua
mente quando Watson entrò nella stanza delle consulenze, con indosso uno dei
suoi migliori vestiti. “Holmes, non è ancora vestito!”
Il detective si alzò e gettò la sua sigaretta nel
caminetto. “Mi perdoni, Watson. I miei pensieri erano altrove. Sarò pronto in
dieci minuti.”
Con questo, entrò nella sua stanza e iniziò a
cambiarsi. Avrebbero portato la signorina Andrews da Simpson per la sua ultima
cena con loro.
La sua ultima notte.
Holmes rallentò il movimento di sbottonarsi la
camicia al pensiero di lei. Ma l’abbattuto pensiero iniziò a farlo arrabbiare
con sé stesso. Sarebbe stato così, dopo la sua partenza? Un melanconico
consumarsi nella memoria di lei? Non voleva – non poteva – farlo.
Ebbero una splendida cena da Simpson che risultò
essere un posto speciale per la signorina Andrews. Li informò che suo padre la
portava a cena da Simpson ogni anno per il suo compleanno. Era l’unica volta
all’anno in cui andavano in un buon ristorante.
Fu impressionata dall’ambiente e dal menù, così
diversi dal moderno ristorante, e si divertì completamente.
Andò a letto presto quella sera e lo stesso fece
Watson – dovevano alzarsi molto presto la mattina, era l’unico momento della
giornata in cui l’area nei dintorni della macelleria era completamente deserta.
Holmes rimase sveglio a lottare coi proprio
pensieri. Era combattuto tra il suo lavoro e una donna, qualcosa che aveva
giurato non sarebbe mai successo. Non posso lasciare il mio tempo. E’ meglio
per lei, e per me, se rimango. E’ meglio così se parte, diceva a sé stesso
ancora e ancora, ma l’argomento non sembrava convincerlo e sedeva davanti al
camino con l’aria triste.
Quanto tempo rimase seduto non ne aveva idea. Ma
era così profondamente lontano con i suoi pensieri che il rumore della porta
che si apriva lo fece saltare sulla sedia.
“Oh, signor Holmes. Mi dispiace, non pensavo
fosse ancora sveglio. Non volevo spaventarla.”
“Tutto a posto, signorina Andrews. Come posso
aiutarla?” Chiese.
Lei portò la mano alla gola e si guardò intorno
nella stanza. “Sembra che abbia perso il mio ciondolo; sono venuta qui per
cercarlo. Lo ha visto?”
Holmes scosse la testa e guardò nella stanza. Sollevò
delle carte dalla scrivania e li mise sulla sedia vicino al tavolo, spostando
dei libri sulla scrivania di Watson, ma non lo vide da nessuna parte. “Mi
dispiace. Darò un’occhiata, se vuole.”
“No, va bene…sarà di sopra.” Si fermò.
Holmes la guardò. “C’è qualcos’altro,
signorina Andrews?”
“Uhm, si…veramente sono contenta sia sveglio.”
Ammise, guardando su verso di lui.
Lui sollevò un sopracciglio.
“Volevo ringraziarla, per tutto.” Disse,
avvicinandosi a lui. “Lei era l’unica persona che sapeva come aiutarmi e lo ha
fatto. Non ho parole per esprimere quanto le sono grata per tutto quello che ha
fatto per me… Dal profondo del cuore, grazie signor Holmes.” Allungò una mano e
lui la prese, stringendola.
“Non deve ringraziarmi.” Rispose tranquillamente.
“Si che devo.” Disse scuotendo la testa.
Un sorriso gli apparve su viso. “Allora…di
niente, signorina Andrews.”
Christine vide la sua bocca aprirsi come se
volesse dire qualcos’altro, ma la chiuse di nuovo e, con estrema sorpresa,
sollevo e piegò la mano di lei sulle sue labbra.
Un brivido le attraversò la spina dorsale e si
diffuse per tutto il corpo mentre lui sollevava la testa di nuovo, gli occhi
grigi fissi sul suo viso.
Il suo cuore batteva così forte che era
assolutamente convinta che lui potesse sentirlo. Deglutì. Il suo labbro
inferiore tremava mentre diceva: “Mi…mi mancherà, signor Holmes.”
Holmes stringeva ancora la sua mano nelle sue e,
leggermente, ridusse la distanza fra loro finché non li separarono pochi
centimetri.
“Anche lei, signorina Andrews.” Rispose
dolcemente, posando delicatamente la mano sull’altro braccio. Il suo lato
logico stava letteralmente urlando dentro di lui, dicendogli di fermarsi
adesso. Poteva fermarsi.
Ma bloccò quella voce e si piegò su di lei.
Le sue labbra toccarono le sue, dolci e calde,
mentre sentiva come una scossa in tutto il suo corpo. La sentiva tremare mentre
la baciava gentilmente, completamente consapevole delle sue mani contro il
petto e della morbidezza della sua pelle. Benché desiderasse essere più
passionale, non poteva lasciare che si approfittasse di lei.
Se ne stava andando.
A quel pensiero la lasciò andare. Si separarono,
rossi e imbarazzati, guardandosi l’un l’altro.
Dopo qualche momento di completo silenzio,
Christine sussurrò scossa. “B-buonanotte, signor Holmes.”
“…buonanotte, signorina Andrews.” La guardò
attraversare la stanza e aprire la porta, dove si fermò per voltarsi verso di
lui ancora una volta, con una particolare espressione sul viso – desiderio? Ma
si voltò e uscì chiudendo la porta.
Nel momento in cui uscì, Holmes rilasciò un
tremante respiro che non si era reso conto di trattenere. Il suo lato logico
tornò improvvisamente alla carica, esigendo di sapere cosa diavolo
stesse pensando, ma questo non gl’impedì di toccarsi le labbra con le dita,
nemmeno di evitare che i suoi occhi indugiassero verso la porta dalla quale la
signorina Andrews era uscita.
“Addio, signora Hudson.” Disse Christine la
mattina successiva, abbracciando con forza la padrona di casa.
“Addio, cara. Si prenda cura di sé stessa,
adesso. E’ sicura di non voler indossare uno dei suoi vestiti da viaggio?”
Chiese ancora la signora Hudson, guardando con disappunto i jeans di Christine
e il pesante giubbotto invernale.
“No, non voglio sporcarli. Mi cambierò non appena
arriverò a destinazione. Grazie mille per tutto.” L’abbracciò ancora.
“Di niente, signorina Andrews. Addio!” Sollevò il
fazzoletto mentre Christine, il signor Holmes e il dottor Watson uscivano dalla
porta nella mattina nebbiosa.
“Addio!” Disse Christine mentre salivano dentro
la carrozza.
Il viaggio verso i sobborghi di Londra fu breve e
silenzioso. Christine non osava guardare verso il signor Holmes troppo a lungo
per paura di scoppiare a piangere. Lo aveva fatto abbastanza la notte
precedente, dopo essere andata a letto. La memoria di quel bacio
improvvisamente inondò i suoi pensieri e serrò le labbra forte per ricacciare
indietro le lacrime.
“Ha trovato il suo ciondolo?” Chiese Holmes
all’improvviso, rompendo il silenzio.
Guardò verso di lui e scosse la testa lentamente.
“No…devo averlo perduto al magazzino o da qualche altra parte.”
“Mi dispiace.”
“Non importa.”
Prima che Christine fosse pronta a fermarsi, la
carrozza lo fece. Attraverso la nebbia, poteva a malapena vedere il tendone
verde a righe che le riportò alla mente la notte in cui era arrivata.
Mentre i tre scendevano dalla carrozza, il
leggero nitrito di altri cavalli li fece voltare. Una carrozza era ferma
all’angolo, spettrale nella foschia, e la porta si aprì. La larga forma di
Mycroft Holmes scese. “Signorina Andrews.” Disse, toccando il cappello con un
dito.
“Salve
signore.”
“Sherlock,dottor
Watson.”
“Salve, Mycroft.” Lo salutò Watson.
“Lo hai portato?” Chiese bruscamente Holmes.
“Si.” Rispose Mycroft. Il suo tono, benché cauto
come al solito, nascondeva una sfumatura di disgusto. Si piegò nella carrozza
per tirare una fune e Lanaghan incespicò fuori dal veicolo, bendato, con i
polsi legati.
“Lasciami andare, vecchio stupido…”
“Chiudi la bocca, Jason.” Scattò Christine. “Non osare
parlargli così.”
“Christine.” Disse Jason, raddrizzandosi e
voltandosi verso di lei. “Come
sta la tua schiena.”
Lei si accigliò. “Ho un buon motivo per spararti
lì dove sei, Jason.”
Lui iniziò a ridere, ma Holmes si avvicinò verso
di lui e lo afferrò rudemente per il colletto del cappotto, avvicinandolo a sé.
“Ascoltami bene.” Sussurrò furiosamente. “Se
fosse per me, verresti tormentato fino quasi alla morte e appeso alla forca
perché tutta Londra possa vederti. L’unica ragione-” Lo scosse duramente, “l’UNICA
ragione per cui sei ancora vivo è quella donna. Se non starai zitto, ti
riporterò indietro a Scotland Yard. E se dovessi toccarla ancora, lo saprò.
Darò la caccia ai tuoi antenati per essere certo che tu non nasca mai. Hai
capito bene?”
Christine non riusciva a sentire cosa il signor
Holmes stava dicendo a Jason, ma lui divenne improvvisamente pallido e si
ammutolì. Non disse più niente dopo che Holmes lasciò il suo cappotto e tornò
indietro di fianco a lei.
“La macchina è pronta?” Chiese Watson.
Christine annuì. “Bene.” Disse, combattendo un
improvviso groppo in gola. “Credo sia arrivato il momento. Addio, signor
Holmes.” Disse, voltandosi verso Mycroft. “Grazie per il suo aiuto.”
“Di niente, mia cara signora.” Scosse la testa.
“Dottor Watson…” Si tolse lo zaino, appoggiò la
macchina del tempo e gli avvolse le braccia intorno al collo.
Benché un po’ sorpreso, il dottore restituì il
suo abbraccio e le accarezzò la schiena. “E’ stato un onore conoscerla,
signorina Andrews. Spero abbia la miglior fortuna per tutto.”
“Grazie, dottore.” Disse lei. La lacrime adesso
iniziarono ad uscire e le asciugò. Altre iniziarono a formarsi mentre guardava
verso Sherlock Holmes…per l’ultima volta. Lui le porse la mano, ma lei si
gettò fra le sue braccia.
Holmes cercò di resistere alla tentazione di
stringerla, ma non ci riuscì. Avvolse le braccia strettamente intorno a lei.
“Addio, signorina Andrews. Per favore, non pianga.” Prese il fazzoletto dalla
tasca e glielo porse.
Lei cercò di dire grazie e addio di rimando, ma
era troppo bloccata per farlo. Si asciugò gli occhi e infilò il fazzoletto
nella tasca. Vai. Vai e basta, Christine. Devi andar via di qui prima che tu
pianga ancora. Devi tornare a casa e chiamare la polizia. Vai e basta.
Vai.
Lei deglutì, fece un profondo respiro e si gettò
lo zaino sulle spalle. Voltò quindi la macchina del tempo, scoprì il pannello segreto
e settò l’apparecchio su 3 Marzo, 2007, 1:30. Aveva sentito Jason
entrare in casa all’1:15. Pensava che all’1:30 fosse sicura di non incappare in
sé stessa.
Chiuse il pannello, manovrò varie monopole e
quadranti. Alla fine le mani si fermarono sull’ultimo quadrante che sistemò ad
un quarto dall’inizio.
15 secondi.
In fretta si avvicinò a Jason, gli tolse la benda
e gli fece toccare la macchina del tempo. Teneva la macchina in una mano, la
pistola nell’altra. “Non osare cercare di fare nulla o, stanne certo, ti
sparo.” Un ronziò arrivò dalla macchina del tempo e lo spazio intorno a lei
iniziò a svanire. Si voltò verso i tre uomini dietro di lei. “Addio!” Urlò. “Grazie mille! Non
dimenticherò mai…”
Improvvisamente lei e Lanaghan svanirono.
Holmes, Watson e Mycroft si ritrovarono nella
strada vuota, eccetto per la nebbia e per loro. Malgrado lei avesse spiegato
loro come funzionava la macchina del tempo e cosa faceva, fu comunque un
terribile shock vedere qualcuno svanire nell’aria.
Rimasero in piedi per qualche momento, quindi
Holmes sospirò e disse tranquillamente, “Andiamo a casa, Watson.”
112 anni nel futuro, Christine e Jason si
ritrovarono nel familiare territorio del giardino posteriore. C’era la sua casa
e, in lontananza, le brillanti luci elettriche di Londra.
Immediatamente sistemò la macchina per terra e
puntò la pistola verso Lanaghan. Tirò fuori il suo cellulare e chiamò la
polizia. “…si. Sono Christine Andrews 101 Victor Terrace. Qualcuno è entrato
nella mia casa e ucciso la cuoca e il maggiordomo. Tengo uno degli uomini sotto
tiro. Per favore, fate in fretta. No, non ho bisogno di assistenza medica. Si,
rimarrò qui. Per favore, sbrigatevi.” Mise la testa di traverso così da poter
rimettere a posto il cellulare e portò lo sguardo dalla canna della pistola a
Jason.
Deglutì e scacciò via alcune lacrime residue. “E’
tutto finito.”
Watson e Holmes tornarono tranquilli verso Baker
Street ed entrarono. Il dottore sbadigliò e informò l’amico che tornava a
letto.
Il detective salì lentamente le scale verso la
stanza delle consulenze. Avrebbe fatto bene a dormire anche lui, considerando
che non l’aveva fatto per niente la notte precedente. Mentre andava in camera
sua, un luccichio attirò il suo sguardo. Si voltò per guardare il divano e vide
qualcosa brillare alla luce del caminetto.
Si chino e raggiunse l’oggetto. Quando lo prese
fra le mani, da sotto al divano, vide che era il ciondolo della signorina
Andrews.
Si fermò lì, ancora sulle ginocchia, stringendo
la catenina fra le mani. Si alzò lentamente e si avvicinò al cassetto della
scrivania.
Cercò il suo fazzoletto, ma si rese conto che lo
aveva lasciato alla signorina Andrews, allora andò in camera da letto per
cercarne un altro. Tornato al cassetto, mise la catenina dentro al fazzoletto,
avvolgendo delicatamente gli angoli finché non fu completamente coperto.
Quindi, con un profondo respiro, Sherlock Holmes
lo ripose all’interno del cassetto e lo chiuse a chiave.
[i] Non sono riuscita a trovare un
altro significato per il termine “ loosestrife” . Se voi sapete che tipo
di fiori sono, soprattutto se hanno un termine più comune, fatemelo sapere che
lo sistemo.
--------
Non solo gl'impegni, stavolta ci si è messo un capitolo
*veramente* lungo.E che capitolo! Spero che questo sbandieramento dei
sentimenti di Holmes non vi sia dispiaciuto, è un po' fuori dal
normale, ma il semplice fatto che non vada completamente fuori dal
personaggio, controllandosi finché può, l'ho trovato
interessante. E, malgrado il titolo di questo capitolo, la storia non
è terminata. Visto che l'ho fatto una volta sola, lo rifaccio
ancora: un grazie sentito a tutti i lettori silenziosi, siete veramente
tantissimi!!
Bebbe5: Come vedi, un altro capitolone, con i due che si piacciono, ma
con lei che parte lo stesso. Cosa ne pensi di Holmes in questa
situazione? Mi dispiace un po' che, vista anche la lunghezza, Watson
sia solo di contorno, mi manca un po' il suo punto di vista, non mi
piace quando fa la spalla quasi silenziosa. Non preoccuparti del
ritardo, mi rendo conto che è un periodaccio, per qualunque tipo
di studio si faccia. A presto!! ^_^
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Capitolo 20 *** Rimpianti ***
Capitolo 20
Capitolo venti: Rimpianti
“Forse
dovresti prenderti una vacanza.”
Christine faceva girare pigramente il ghiaccio
nel suo bicchiere, guardando fuori dalla finestra la gente che passava. Ancora
una volta fu colpita da quanto diverso fosse dal 1895 e anche quanto simile.
“Christine?”
Si morse la lingua, cercando di riportare la
mente lontano dall’era vittoriana, ma era troppo difficile. Come poteva non pensarci, dopo tutto quello che era
successo?
“Christine?”
“Uh?”
Voltò di scatto la testa per fissure Walter Birmingham, il suo padrino e
vice presidente della compagnia. “Scusami, Walter. Cosa stavi dicendo?”
“Dicevo che forse dovresti prenderti una vacanza.”
“Oh,
non credo…” Scosse la testa. “Non potrei farlo.”
“Si
che puoi. La compagnia è molto stabile al momento. E con la morte di tuo
padre e ora con l’esperienza di Lanaghan… ” Unì le mani e si avvicinò di più a
lei nel tavolo. “Sei stata
molto tesa dal giorno dell’irruzione, Christine. Capisco che dev’essere
stato scioccante vedere Tom e Gina.” La sua voce di abbassò a queste parole. Dopo un momento continuò. “Ma sono passate più di tre
settimane. Sembri sempre esausta, sei distratta… Sono solo preoccupato.”
Lei gli battè una mano sul braccio. “Sto bene, Walter. Davvero.”
Le sue grigie sopracciglia si corrugarono e il
suo quasi cipiglio diventò più intenso mentre la fissava con uno sguardo
dubbioso.
Lei sospirò e si appoggiò indietro nella sedia. Spostò
delle ciocche di capelli dagli occhi. “Forse hai ragione. Un po’ di riposo
probabilmente non farà male.”
“Per
niente.”
Si
piegò di nuovo in avanti. “Ma la compagnia ha bisogno di qualcuno che
prenda il mio posto a tempo indeterminato.”
“Si. Abbiamo bisogno di preparare alcuni colloqui…”
“Vorrei che quel qualcuno fossi tu, Walter.”
“Io?”
“Sei il vice presidente, è l’unica scelta logica.
E ho molta fiducia in te. So che ti pretenderai cura della compagnia.”
“E cosa facciamo con la mia carica?”
“Che ne pensi di Ryan Fleming? E’ un uomo in
gamba.”
“Un po’ giovane.” Disse Walter scettico.
Lei sorrise ironica. “Ha la mia età, Walter.”
“Beh,si,
ma…”
“E’ un uomo in gamba, responsabile, lavora molto.
Mai in ritardo. Cosa ne pensi?”
“Ne parlerò con lui.”
“Vorrei ci parlassimo insieme.”
“Ti farà bene, Christine. Riposati, fai qualche
viaggio…”
“…fai un po’ di giardinaggio.”
Lui rise. “Fai un po’ di giardinaggio…Aria
fresca, relax, è questo ciò di cui hai bisogno.”
Il dottor Watson si svegliò di colpo e si sedette
nel letto. Cos’era quello che aveva appena sentito? Un grido?
Cosa
diavolo sta…
Un tonfo
sordo sotto di lui interruppe i suoi pensieri e lo fece scattare fuori dal
letto. Si affrettò giù dalle scale, il bastone da passeggio stretto nella mano
e, non appena arrivò alla porta di Holmes, spalancò la porta.
Sollevò il bastone giusto in tempo per vedere che
non c’era pericolo. “Sta bene, Holmes?”
Il detective era seduto sul pavimento in un
fagotto di coperte; era chiaramente caduto dal letto.
Holmes guardò verso Watson e il dottore notò
subito quanto pallido e sudato fosse. “Sta bene?” Ripetè. “Pensavo…pensavo di averla sentita urlare.”
Il
detective scosse la testa. “Sto bene, Watson. Solo un sogno.”
“Oh.”
“Sto
bene.” Disse di nuovo. “Buonanotte.”
“Buonanotte, Holmes” Disse il dottore e chiuse la
porta.
Non appena fu chiusa, Holmes fece un profondo respiro
e portò una mano tremante nei capelli. Si
districò dalle lenzuola per sedersi sul bordo del materasso. Si prese il viso
tra le mani, cerando invano di cancellare il sogno dalla sua memoria. No, non un sogno. Un incubo.
Era
ancora a Reichenbach. Stava combattendo contro Moriarty.
Ma qualcosa era diverso.
Stava combattendo il suo nemico per altre ragioni
oltre salvare la sua vita. All’inizio non era in grado di vedere quale fosse la
ragione – i sogni rivelano le cose sempre quando stavano avvenendo. Non lo capì
finché non era stato colpito e sentì delle mani sottili sul braccio, che lo
aiutavano a sollevarsi. Allora l’aveva vista.
“Stia indietro, signorina Andrews!” Aveva urlato
sopra il rumore delle cascate.
Aveva sentito un ringhio di rabbia dal professore
e lo afferrò cercando di tenerlo alla larga dalla donna.
Ma la signorina Andrews – lei non l’aveva ascoltato
– mentre Moriarty cadeva nelle cascate, era stata afferrata per un braccio, cadendo
giù con lui!
“NO!”
Aveva urlato. Si era spinto sul bordo per vederla aggrappata. “Signorina
Andrews! Prenda la mia mano!”
“Non ci arrivo!”
Aveva teso la sua mano verso di lei – doveva raggiungerla, doveva salvarla!
Lei aveva guardato verso di lui con le lacrime
agli occhi. “Sto scivolando!”
Urlò.
“No!
Tenga duro! Ci siamo quasi!”
“NO!
CHRISTINE!” Lei aveva perso la presa sulle rocce umide ed era caduta,
urlando il suo nome.
Era a questo punto che era caduto dal letto.
Si alzò e si avvicinò al lavabo. Immerse la mani
dentro e si bagnò il viso con l’acqua, ancora e ancora.
Quando smise di tremare, si fermò con le mani appoggiate
al lavabo. Non era la prima volta che la sognava, ma non era mai stato così
terrificante.
Guardò fuori dalla finestra verso la luna,
luminosa sopra i tetti di Londra. La fissò finché non si sentì calmo mentre
pensava vagamente a come stesse la signorina Andrews, cosa stava facendo in
quel momento.
Aveva mai pensato a lui?
Christine sentì il telefono suonare, ma lasciò
che si attivasse la segreteria. Strinse la tazza di tè nella mano, fermandosi
per sentire il messaggio.
Era Walter che la invitava fuori a cena. Avrebbe
richiamato dopo.
Sospirò e appoggiò la tazza per premere le mani
contro le palpebre. Erano passati due mesi e mezzo da quando era tornata nel
presente.
Aveva provato ad accantonare i suoi sentimenti
per Sherlock Holmes come una cotta passeggera. Pensava sarebbe passata in fretta. Ma non era
così. Gli mancava ogni giorno di più.
Abbassò
le mani e fissò la sua tazza. Non poteva continuare così. Doveva
superarla e andare avanti con la sua vita. Bevve il resto del tè in un sorso,
si alzò e portò la tazza in cucina. Dopo averla lasciata nel lavello si legò i
capelli in una coda di cavallo, afferrò il cellulare e la borsa dal tavolo
della cucina.
Scese le scale della cantina e la attraversò.
Andò verso sinistra dove si usciva sul giardino. I fiori adesso erano sbocciati
e sentiva come se avesse bisogno di fare qualcosa di buono, un gran lavoro.
Con tutti i suoi interessi e hobby, trovava che
il giardinaggio fosse uno dei più rilassanti e gratificanti. In agenda c’era il
togliere le erbacce; non ci aveva mai lavorato troppo, ma intendeva cambiare.
Si preparò a lavorare nello spazio dove le
margherite stavano sbocciando e con attenzione iniziò a togliere le erbacce. Lavorò per ore ed
entrò in casa per un bicchier d’acqua e un panino. Successivamente decise che
aveva bisogno di piantare qualcosa e prese il sacchetto dei semi. Ne prese uno
a caso per vedere le esigenze di luce e ombra. Lysimachia.
Involontariamente strinse i denti e gettò il
pacchetto di nuovo nella sacca.
Non c’era modo di tenersi lontana da lui. Aveva
messo via I casi completi di Sherlock
Holmes, nascosto tutti i suoi CD di Chopin, chiuso i suoi vestiti in
soffitta…
Aveva fatto di tutto per cercare di dimenticarsi
di lui, ma sembrava che più cercasse di dimenticarlo, più pensava a lui.
A volte credeva di scorgerlo tra la folla,
camminando per le vie di Londra, ma non era mai lui. Ovvio che non era lui. Lui…lui
era morto.
Il pensiero che non c’era modo di rivederlo di
nuovo le provocò un groppo in gola. Si tolse i guanti da giardino e si sfregò
gli occhi. Quando finirà? Sarò mai in
grado di dimenticarlo?
Il dottor Watson guardò il familiare profilo di Baker
Street e sospirò di soddisfazione. Era stato via per quasi due settimane per
visitare alcuni pazienti in campagna. Era bello essere di nuovo a casa. Gli
piaceva tanto quanto un po’ di cambiamento.
Rabbrividì quando un’improvvisa folata di vento
novembrino sollevò il bavero, e si sbrigò per aprire la porta del 221B, ma si
aprì prima che potesse girare la chiave.
“Oh, dottore! Sono così felice che sia tornato.”
“Salve, signora Hudson. C’è qualcosa che non va?”
“E’
il signor Holmes. Tempo che si sia ammalato. E’ stato uno straccio da
quando lei è partito – ha a malapena mangiato qualcosa!”
“Andrò a vederlo.” Disse Watson, toccando gentilmente
la spalla della padrona di casa. Corse veloce lungo le scale con la sue valige,
facendo cadere il bagaglio nel corridoio e correndo dentro la stanza delle
consulenze con la sua borsa da medico.
Si fermò di colpo sulla soglia e osservò dalla
porta. C’erano piattini, tazze e giornali ovunque. Lo Stradivari giaceva sul bordo della scrivania
di Holmes, in un modo che avrebbe potuto cadere ad ogni momento. Sopra a tutto
quel caos, la stanza era al buio e piena di fumo. “Holmes?” Tossì Watson. Gli piaceva un po’ di buon tabacco,
ma questo era veramente troppo. Corrugò la fronte e attraversò la stanza dove
aprì una finestra, spostando le tende per lasciar entrare un po’ di luce.
Si voltò quindi per guardare il detective, pensando
a come avesse fatto a non scorgerlo, seduto sulla sua solita sedia. “Holmes!” Disse con voce di accusa. “Che
cosa ha fatto a sé
stesso?”
Holmes
sollevò languidamente gli occhi verso Watson. Appariva molto magro,
molto stanco e sembrava non si fosse rasato da alcuni giorni. Era vestito con l’accappatoio
e le pantofole, malgrado fossero le due del pomeriggio.
“Holmes.”
Disse ancora Watson. “Che cosa sta…” Si fermò quando il suo sguardo si
posò sul divano, dove giaceva una siringa. “Oh, è così allora.” Le labbra del
dottore si strinsero in una linea sottile e marciò verso il suo amico. “Holmes.” Disse aspramente. “Le
chiedo, come dottore e come amico, di riprendersi. E’ vergognoso. No,
non m’interessa cosa pensa e non voglio sapere le ragioni per cui ha fatto
questo a sé stesso.” Lo
interruppe quando Holmes provò a rispondere. “Farà quello che le ho detto. La
signora Hudson era terribilmente preoccupata, potevo leggerglielo in faccia. La
lascio per due settimane e lei sprofonda in questo caos.”
Holmes si alzò e fece per entrare nella sua
stanza. “Mi perdoni, Watson.” Disse calmo, fermandosi sulla porta.
Le spalle di Watson si afflosciarono e sospirò. “Io
voglio solo che non si ammali. Ci sono già abbastanza malattie in città in questo
periodo dell’anno senza che si ammali anche lei.
”
Un paio di ore più tardi, dopo che Holmes si fu
ripulito e sistemato, Watson scese per il tè.
Il detective stava suonando di nuovo il suo violino.
Spesso Watson entrava nella stanza quando Holmes suonava, ma stavolta si fermò
. Il dottore aveva sentito molte melodie malinconiche arrivare dallo
Stradivari, ma nessuna così triste come la musica che arrivava ora alle sue
orecchie. Holmes diventava spesso depresso quando la sua mente non era occupata
con un caso, e quell’anno era stato lento.
Ma la depressione di solito non era così grave.
Pensò a come poteva essere d’aiuto. Mentre ascoltava il violino, il suo cuore
si appesantì sempre di più, soprattutto per la consapevolezza che il suo amico,
molto probabilmente, non si sarebbe confidato con lui su ciò che lo turbava con
una tale importanza.
Quella sera sul tardi, comunque, mentre sedevano
fumando le loro pipe in silenzio, Holmes parlò. “Watson.” Disse molto tranquillo. “Non so che
cosa fare.”
Watson
si tolse la pipa di bocca. “Non sa che cosa fare a proposito di cosa?”
Holmes lasciò pendere la pipa nella mano destra e
usò la sinistra per massaggiarsi gli occhi. “Io…di solito non confido le mie
faccende personali con altre persone.”
Watson lo guardò e disse gentilmente. “Qualunque
cosa ha bisogno di scrollarsi dalle spalle, Holmes, può confidarsi con me. Può
fidarsi di me qualunque cosa sia.”
“Lo so, Watson.”Abbassò le mani dalla faccia e
rivolse al dottore un rapido sorriso di gratitudine. Qualunque traccia svanì in
fretta quando voltò il viso verso il fuoco. Fissò gli occhi sulle fiamme come
se non volesse incontrare lo sguardo di Watson.
Il dottore aspettò pazientemente che Holmes
dicesse qualcosa; il suo amico non aveva mai rivelato questioni personali intenzionalmente
o volentieri. Era qualcosa di molto fuori dall’ordinario.
“Non…non riesco a levarmela dalla testa, Watson.”
La? Pensò Watson incredulo. Una donna nella
vita di Holmes era certamente nuovo per lui. “A quale donna si sta riferendo?”
Chiese timidamente.
“…la
signorina Andrews.” Sussurrò Holmes.
Watson scattò dritto sulla sedia. “La signorina
Andrews? Mio caso Holmes, non mi ero reso conto che lei sentisse…non sapevo
provasse dei sentimenti per lei.” Non era esattamente una menzogna. Aveva notato una certa attrazione tra i due, ma pensava fosse solo un leggere interesse,
niente di veramente serio. E Holmes era così distante. Non avrebbe mai
immaginato che la signorina Andrews – o peraltro qualunque altra donna – fosse la
causa della recente depressione del detective.
Le labbra di Holmes si strinsero. “Si.” Cadde
nuovamente il silenzio per alcuni momenti. “E’…non è facile per me da dire.”
Aspettò una risposta da parte di Watson, ma sapeva che il dottore capiva e avrebbe
aspettato volentieri per tutto il tempo che gli serviva per confidarsi. Holmes
non poteva andare avanti con questo orribile segreto dentro di lui, quest’orribile
dolore, senza cercare di trovare un aiuto. Aveva detto a Watson più di una
volta che il sesso debole era il suo campo.
Fece un profondo respiro e disse. “Non riesco a
smettere di pensare a lei. Tormenta i miei sogni e i miei pensieri
costantemente. L’unica tregua che ho è quando ho a che fare con un caso e, come
sa, ne abbiamo visti pochi quest’anno.” Si fermò ancora e coprì stancamente gli
occhi con la mano. “Da quando lei è partito, pensavo a lei più del solito e mi
sono di nuovo concesso quel vizio che lei fortemente disapprova.” Tornò
silenzioso un’altra volta.
Watson sedeva in modo analogo, guardando il suo
amico. Cercò di pensare a qualcosa da dire, ma Holmes lo anticipò.
“Credo…” Iniziò, ma si fermò di nuovo e deglutì,
come se quello che stava per dire fosse molto difficoltoso da tirar fuori. “Credo di amarla, Watson.” Sussurrò.
“Mio
caro Holmes.” Disse Watson dolcemente. Aveva in mente di posare la mano sulla spalla dell’amico, ma
decise che forse avrebbe messo ancora più a disagio il detective.
“Ho cercato qualunque cosa per togliermela dalla
testa, ma non ci riesco.” Si scoprì gli occhi. “Si è mai trovato di fronte ad
un simile dilemma?”
“Si,
Holmes.” Replicò Watson, evitando il suo sguardo. “Quando Mary è morta… ”
Holmes si drizzò di colpo, le scuse visibili su
tutto il viso. “Mio caro Watson, non avevo intenzione di riportare i suoi
pensieri su - ”
“Va tutto bene, Holmes.” Disse Watson, alzando la
mano per respingere l’osservazione. “Penso ancora a lei, ma ho voltato pagina. Non dico che non
occorra tempo, vecchio mio – sono passati due anni da quando è successo – ma come
si suol dire, il tempo cura tutte le ferite. Si prenda solo un po’ di tempo;
starà presto meglio.”
Non era esattamente ciò che Holmes voleva
sentire. Sperava segretamente in qualche tipo di rimedio istantaneo. Ma era
grato a Watson per l’aiuto e il conforto. “Grazie,Watson. Ha perfettamente ragione.” Si alzò per andare alla
finestra. Si sentiva meglio essendosi liberato del segreto dal petto. “Watson.”
Disse voltandosi. “Non dirà -”
“Muto
come un pesce, Holmes.”
“Christine, sono veramente preoccupato per te. Sei
stata molto triste questi ultimi mesi. Hai visto un dottore o c’è qualcosa che
posso fare?”
Christine sprofondò dentro la coperta e portò i piedi
sotto di lei, fissando il caminetto nel soggiorno di Walter. “Non ho bisogno di
vedere un dottore e non credo tu possa aiutarmi.” Rispose tranquillamente.
“Posso
provare.” Disse Walter, avvicinandosi a lei. “Senti Christine. Ti conosco dal
giorno in cui sei nata. Sono il tuo padrino. Dovresti avere fiducia in
me.”
“Ho fiducia in te!” Disse, sedendosi
dritta.
“Allora dimmi cosa non va.”
Lei
sospirò. “Non posso. Non adesso.” Abbassò gli occhi. “Mi dispiace.”
Era gennaio.
Holmes guardava fuori dalla finestra la neve fresca,
osservando come cadeva, scintillando
sulla strada.
Il fuoco scoppiettò dietro di lui mentre Watson sistemava
i ceppi.
Sembrava stesse meglio durante gli ultimi due
mesi, ma pensava ancora spesso a lei. Si era così abituato alla sua presenza
durante quel mese che talvolta, quando si era quasi addormentato, gli sembrava
di sentire la sua voce o i suoi passi sulle scale.
I suoi sentimenti potevano sparire un giorno, ma
come diceva Watson, serviva del tempo.
E non l’avrebbe mai dimenticata del tutto.
---------
Capitolo di transizione prima del finale. Si, il prossimo è l'ultimo.
Bebbe5: Cara Bebbe, grazie per
la ricerca sul fiore, ma mi sa che non c'è un nome decente...
L'autrice è proprio andata a cercasela! Avevo trovato anch'io
Mazza D'oro, ma è un nome un po' ambiguo e nel contesto della
frase la cosa diventava un po' oscena e abbastanza comica :). E
vabbè, che Lysimachia sia. Come hai predetto, Watson è
stato più presente, soprattutto per aiutare l'amico. Mancava un
po' Watson, senza di lui Holmes non sopravviverebbe (almeno alla sua
depressione). Ancora qui ritroviamo alcuni passaggi visti nella serie
Granada, cosa che approvo incondizionatamente :)). Spero di non
avervi lasciato troppo in sospeso, questo capitolo l'ho quasi tradotto
completamente due volte: mai fidarsi del salvataggio automatico -___-',
di conseguenza ho perso tempo. Alla prossima, che sarà anche
l'ultima per questa storia. ^___^
|
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Capitolo 21 *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 21
Capitolo Ventuno: Un nuovo
inizio
Era il marzo del 1896. Faceva freddo e i
temporali erano frequenti. Quello era uno di quei giorni piovosi; gli
acquazzoni erano discontinui e il cielo era scuro fin dall’alba.
Dopo il tè Holmes sedeva fumando la sua pipa e leggendo
una delle sue monografie. Watson era uscito subito dopo il tè per vedere un
paziente e non sarebbe tornato prima di un’ora o più.
Tanto meglio, rifletteva Holmes. Il mese di marzo
aveva portato alla mente abbastanza pensieri malinconici e il tempo non stava
facendo niente per migliorare il suo umore. Sentì la porta principale chiudersi
sotto di lui e la voce della signora Hudson.
Holmes diede un’occhiata all’orologio – Watson
era tornato prima del previsto. Forse avrebbero potuto vedere se c’era qualcosa
d’interessante a teatro e andare a cena. Forse. Ritornò alla sua monografia,
vagamente pensando a cos’altro aggiungere.
Sentì la porta della stanza delle consulenze
aprirsi pochi minuti dopo. “Già di ritorno? Non era poi una cosa così seria
come lei…” Fu a quel punto che guardò verso la porta e la voce gli si bloccò in
gola.
Era lei.
Holmes poteva a malapena credere ai suoi occhi. Era
un sogno? Uno scherzo, sicuramente!
Si alzò lentamente dalla sua sedia. “Signorina
Andrews?” Chiese in modo sommesso.
Lei sorrise, malgrado le sue labbra tremassero. “Signor
Holmes.”
Il sentire di nuovo la sua voce – non il fantasma
della sua voce, ma proprio lei – fece accelerare i battiti del suo cuore. “Prego.”
Disse Holmes improvvisamente, indicando il divano.
“Grazie.” Si mosse velocemente nella luce del
camino. Camminava con grazie come sempre, sembrando persino più bella di quello
che ricordava. Indossava un vestito blu con delle sottili righe; non lo
ricordava. Si sedette stringendo in grembo una pochette mai vista prima.
Holmes tornò lentamente sulla sua sedia, non
staccando mai gli occhi da lei per timore di vederla svanire. “Cosa la porta
qui? Va tutto bene?”
Lei annuì vigorosamente. “Oh, si. Va tutto bene.”
“Nessun problema con Lanaghan?”
Lei scosse la testa. “No. Starà in prigione per
un bel po’di tempo.”
“Ah.” Lui annuì e rimasero silenziosi per qualche
momento finché la sua estrema curiosità lo spinse a ripetere piano. “Cosa l’ha
portata qui?”
“Io..uhm…” Lei abbassò gli occhi e si mosse a
disagio. “Sono venuta per vederla.” Si morse per un momento il labbro. “Come
sta?” Chiese all’improvviso, osservando il suo viso. “E’… stato malato? Se mi
scusa dirglielo, non mi sembra sia stato bene.”
Holmes non rispose subito. Lui? Era tornata per
vedere lui? Perché? “…Si, ero ammalato. Ma ora mi sento meglio.” Ora che ci
pensava, neanche lei sembrava particolarmente in salute. Sembrava avesse perso
peso.
“Bene.” Lei sorrise annuendo.
“E’ venuta per vedere me?” Ripeté. La guardò
attentamente in viso. “Dov’è la macchina del tempo?”
Fece un gesto verso il pavimento. “Di sotto con
le mie cose.” Si bloccò all’improvviso.
“Le sue cose?” Quali cose? Intende il suo bagaglio?
“Si.” Deglutì e iniziò a gingillarsi con la
pochette, quindi la posò per alzarsi in piedi.
Anche Holmes si alzò in piedi e guardò verso di
lei che intrecciava le dita. “Signor Holmes.” Iniziò, ma non sembrava in grado
di guardarlo in viso, così si voltò leggermente.
Non posso
guardarlo negli occhi o non sarò in grado di dirlo senza piangere. “Sono
tornata per vederla.” Ripeté. “Ho portato tutte le mie cose e la macchina del
tempo, ma la distruggerò se -” Si bloccò e si morse le labbra. Non era quello
che aveva pianificato di dire. Le sue parole erano uscite da sole; il suo
discorso preparato sembrava essere svanito senza traccia nella sua mente.
Holmes assorbì
ogni sua parola. Il discorso vorticava nel suo cervello: ‘ma la distruggerò
se…’ Se cosa? Avrebbe distrutto la macchina se cosa? Se l’avesse distrutta sarebbe
dovuta rimanere lì nel-
Ogni cosa intorno a lui sembrò fermarsi. Persino
il suo cuore sembrò bloccarsi per un momento. Se la macchina del tempo fosse
distrutta, lei sarebbe dovuta rimanere lì.
Con lui.
Era ciò che voleva? Provava dei sentimenti verso
di lui? Doveva! Quale altra ragione aveva per rimanere?
“Lei…intende distruggere la macchina perché…prova
dell’affetto per me?” Chiese lentamente.
Affetto? Pensò
Christine. Questo è parlar chiaro. “Si.”
Rispose tranquillamente.
“Ma solo
se io ricambio il suo affetto.”
Le sue labbra sembravano impossibilitate a
muoversi, quindi annuì soltanto.
Dopo quello che sembrava un’eternità, ma erano
passati pochi secondi, sentì la sua mano sfiorarle la spalla. “Allora dovrebbe
distruggerla.” La sua voce arrivò tranquilla, vicino al suo orecchio.
Lei sollevò una mano tremante verso la bocca,
girandosi per guardarlo. “Signor Holmes…” Disse dolcemente, con le lacrime che
si formavano negli occhi.
“Signorina Andrews…” Le sussurrò di rimando e
gentilmente la prese per le spalle. Lentamente si chinò finché le loro labbra
non si toccarono. La sua bocca era proprio dolce e calda come la ricordava.
L’abbracciò timidamente, ma quando lei iniziò a rispondere al suo bacio, le si
avvicinò, stringendola forte contro di lui. Lei timidamente portò le braccia
intorno al collo, con l’unico risultato di rendere il bacio più appassionato da
parte di lui.
I suoi sensi erano storditi da lei. Il suo
profumo, la sensazione del suo corpo, le sue mani… Immerse le dita nei suoi
capelli, facendo scivolare l’altra mano intorno alla vita, tenendola ancora
stretta. Poteva sentire il suo cuore battere contro il suo. Batteva così
rapidamente che era sicuro avrebbe abbandonato il suo petto.
Improvvisamente la porta di spalancò. “Oh! Chiedo
perdono!” L’imbarazzata voce di scusa di Watson raggiunse le loro orecchie e si
separarono velocemente.
Tutto ciò che Christine vide fu la sua mano
mentre prontamente lasciava la stanza. “Dottor Watson!” Lo chiamò lei.
Ci furono dei passi veloci e la porta si aprì di
nuovo. “Signorina Andrews?” Esclamò con gli occhi spalancati. Il suo viso era
ancora di un rosso acceso per la sua entrata inopportuna, ma il colore iniziò a
svanire in fretta.
Lei rise annuendo.
Rise anche lui, facendosi avanti e esclamando.
“Buon Dio! Che cosa fa qui?”
“Io…uhm, beh…” Guardò verso il signor Holmes e
arrossì leggermente.
Watson lo notò e guardò verso Holmes, ma lo
sguardo del detective era altrove. Lui annuì con l’aria di chi la sa lunga. “Bene,
sono molto contento di vederla!” Disse, cercando di attenuare l’atmosfera
imbarazzata. Si avvicinò e le prese le mani. “Intende rimanere?”
“Si.” Disse Christine, guardando verso il signor
Holmes che intercettò il suo sguardo. “Intendo rimanere.”
Il 6 agosto del 2008, Walter Birmingham ricevette
un pacco con la posta. Era piccolo, rettangolare e leggero. Lo aprì per trovare
una videocassetta.
Gli piacevano i film come chiunque altro, ma ciò
che lo spinse di corsa verso il videoregistratore fu il fatto che riconobbe la
scrittura come quella della figlioccia, sparita da marzo.
Spinse dentro la cassetta e velocemente si
sedette sul bordo del poggiapiedi.
Ci fu un’immagine fissa e poi il viso di
Christine che lo salutava.
“Ciao Walter.” Disse sorridendo. “Spero che tu
sia seduto.” Parlava lentamente, con attenzione e in modo chiaro, come se
volesse porre in evidenza ogni parola. “Nel momento in cui riceverai questo, la
notizia della mia scomparsa dovrebbe essersi calmata in modo considerevole.” Unì
le mani. “Ora, non voglio farti preoccupare. Sto bene – non sono stata rapita o
cose di questo tipo – ti ho detto le stesse cose nel video con le mie
disposizioni che sono sicura hai visto. Ora. Il fatto che hai visto le mie disposizioni e stia vedendo
questo video conferma il fatto che sono
andata via. E”, aggiunse, fermandosi. “Temo che non tornerò indietro.” Strinse
le sue mani. “Non pensare neanche per un momento che è per qualcosa che hai
fatto o qualcosa di relativo alla compagnia. Non è neanche per la morte di
papà, come ti dicevo nell’altro video. Era una falsa dichiarazione.
Jason Lanaghan ha qualcosa a che fare con tutto
questo. La notte in cui è entrato in casa è accaduto qualcosa che non ho detto
a nessuno…”
Un’ora dopo, Walter sedeva fissando il viso di
Christine, messo in pausa nello schermo del televisore. Sherlock Holmes e il
dottor Watson? Londra vittoriana? La macchina funzionava? Erano troppe cose a cui pensare, ma fece ripartire il
video e continuò a guardare.
“Quando sono tornata a lavoro, i miei sentimenti
verso il signor Holmes sono diventati solo più forti. Così ho fatto in modo di
fare delle ricerche sull’era vittoriana per poter tornare indietro. Ho seguito
dei corsi ad Oxford, parlato con degli storici; ho ricreato bauli e valige, per
non parlare dei vestiti. Ho alcune fotografie vecchie di mamma e papà che posso
portare con me…” Si interruppe e strinse le mani sul grembo di nuovo. “Per
favore, non pensare sia una decisione affrettata. Ci ho pensato molto a lungo e
profondamente.” Guardò verso di lui tristemente. “Mi mancherai tanto Walter. Sei
stato come un secondo padre per me.” Iniziò a dire qualcos’altro, ma la voce le
si spezzò e sollevò un dito come a dire ‘un attimo’ e sparì dal video.
Ritornò qualche momento dopo stringendo un
fazzoletto. “Questa…non è una decisione facile da prendere.” Tirò su col naso e
guardò verso le sue mani. “Ma se non tornassi indietro da lui per dirgli cosa
provo, non sarò più in grado di essere felice. E se stai guardando questo
video, significa che anche lui mi ama e ha voluto che rimanessi.” Sorrise tra
le lacrime, stringendo il fazzoletto fra le mani. “Mi piacerebbe poter parlare
con te per sempre. Ma il video probabilmente finirebbe in fretta.” Rise con
tono incerto. “Mi mancherai Walter.” Ripeté. “Spero tu sappia che ti voglio
bene. Te ne vorrò sempre.” Si fermò per asciugarsi gli occhi, quindi fece un
profondo respiro per guardarlo apertamente.
“Al museo di Sherlock Holmes c’è un’asse del
pavimento allentata. E’ la quinta davanti alla porta. Metterò una chiave sotto
quell’asse; so che il pavimento non è mai stato cambiato, solo rinforzato.”
Walter mise in pausa il video e rovistò nella
ventiquattrore in cerca di una penna e di un pezzo di carta, quindi fece
ripartire di nuovo il video.
“A Charing Cross,” Continuò Christine, “c’è un
vecchio edificio che era una banca della Cox & Company. La compagnia ora è
conosciuta come la Cox & Kings ed è al 30 di Millbank Street. Ho parlato
con il personale e mi hanno informata che hanno salvato tutto quello che hanno
potuto nel caveau durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. La
chiave sotto all’asse del museo appartiene ad una cassa presso la Cox &
Kings. Vi metterò dentro molte cose da farti trovare.” Si fermò di nuovo e
stropicciò il fazzoletto tra le mani.
Walter avrebbe detto che stava combattendo per
non piangere e si ritrovò con la gola stretta.
“Ti voglio bene Walter.” Sussurrò. Quando le
lacrime iniziarono a scendere lungo le guance, lei si fece avanti per
interrompere la registrazione.
“Ti voglio bene anch’io Christine.”
“Bene.” Disse Watson, guardando verso l’orologio della
mensola che indicava le 22:00. “E’ tardi, è stata una lunga giornata.”
Sbadigliò.
Watson sapeva mentire meravigliosamente quando
voleva, rifletté Holmes. Quella non era una di quelle volte. Quello sbadiglio
era uno dei più falsi che avesse mai visto. Sollevò un sopracciglio e inclinò
la testa leggermente verso Watson.
Il dottore sembrò avvertire i suoi dubbi in
proposito e si alzò prendendo la mano della signorina Andrews. “Buonanotte,
signorina Andrews.”
“Buonanotte dottore.”
“Buonanotte Holmes.”
“Watson.”
Il dottore si avviò, chiudendo la porta dietro di
lui.
Christine si voltò verso il signor Holmes che
dopo averla osservata per un momento, le prese le mani e le strinse fra le sue.
Lei lo tirò verso di lei, costringendolo ad alzarsi per sederle affianco.
Era finalmente riuscito ad assorbire il fatto che
lei intendeva veramente restare e ora si chiedeva perché. Prova dei sentimenti per me, ma tanto da rinunciare alla sua vita? “Cosa
ne sarà del futuro?” Chiese tranquillamente. “Ha abbandonato tutto per tornare
qui?”
Lei abbassò lo sguardo e annuì. “Ho approntato
tutte le disposizioni necessarie. Walter è il presidente della compagnia ed è
circondato da uomini e donne in gamba che lavorano per lui. Ho lasciato la mia
casa a Walter e a mio cugino e diviso i soldi tra la compagnia, la mia famiglia
e la beneficenza. Ho tenuto alcune cose con me – sono nelle valige – ma ho
lasciato il resto alla mia famiglia.”
“Cos’hai detto loro?”
“Nelle mie video-disposizioni – è qualcosa che si
può registrare in una pellicola – ho detto loro di essermene andata per la
morte di mio padre, e che l’esperienza di Lanaghan mi ha spinta ad un punto
dove sentivo di dover iniziare da capo.”
“Loro non sanno niente della macchina del tempo?”
“No…ma ho fatto in modo che un pacco venga
recapitato a Walter in agosto. A quel punto tutto il trambusto della mia
sparizione si sarà calmato. Il contenuto del pacco gli dirà la verità.”
“Ha proprio pensato a tutto.”
“Si. Molte, molte volte.” Si fermò e lo fissò in
viso in un modo che fece battere più forte il cuore di lui. “Dovevo tornare.
Non potevo sopportare di rimanere lontana da lei troppo a lungo.”
Holmes improvvisamente di alzò dal suo posto e
andò verso la scrivania.
Christine lo guardò incuriosita, sforzandosi di
vedere cosa stesse facendo davanti al cassetto della scrivania. Chiuse in
fretta il cassetto e ritornò stringendo con cura un fazzoletto piegato che
porse a lei.
“Cos’è questo?”
“E’ suo.” Rispose lui.
Lui lo guardò con sguardo interrogativo, ma
iniziò ad aprire il fazzoletto. Un lieve luccichio colpì i suoi occhi e
spalancò la bocca per la sorpresa. “Il mio ciondolo! Dove l’ha-”
“L’ho trovato la sera che è andata via, sotto al
divano.”
“E lo ha tenuto.”
“Ovvio.”
Gli sorrise e allacciò il ciondolo intorno al
collo, contenta di sentire il familiare peso contro la sua gola ancora una
volta. “Grazie.” Disse, mettendo una mano sulla sua.
All’improvviso lui la strinse con di sé,
stringendola fra le braccia. “Non ha idea di quanto mi sia mancata.” Le
sussurrò nell’orecchio.
“Si, ce l’ho.” Sussurrò di rimando e inclinò la
testa per baciarlo.
Il giorno dopo, Walter andò nella city, dritto
verso Baker Street. Il museo quel giorno non era aperto, ma le famiglie Andrews
e Birmingham davano un importante supporto monetario ai siti storici di Londra,
così il custode fece un’eccezione.
Il custode, il cui nome era Doyle (un discendente
dell’editore del dottor Watson) si
ritirò nel suo ufficio e lasciò che Walter vagasse liberamente per il posto.
Il più silenziosamente possibile, Walter prese un
cacciavite a testa piatta dalla tasca del cappotto e contò cinque assi davanti
alla porta e lo infilò in mezzo.
Non vide niente. Ma si chinò e cercò dentro.
Proprio mentre stava per rialzarsi, le sue dita toccarono qualcosa che sembrava
essere di tessuto. Chiuse la mano intorno ad esso e lo sollevò in vista. Era un
fazzoletto di pizzo molto vecchio e sporco. Dentro c’era qualcosa di piccolo e
duro. Una chiave.
Dopo aver riposte l’asse a posto e con un veloce
ringraziamento al custode, Walter corse alla macchina diretto verso il 30 di
Millbank.
Era una edificio molto nuovo e di lusso. Entrò
dentro e chiese assistenza per un impiegato della Cox & Kings.
“Salve signore, posso esserle d’aiuto?”
“Si. Sto cercando una cassa da cui proviene
questa chiave.” Porse la chiave all’uomo che la osservò.
“Lasci che chiami il vicepresidente.” Disse. “Si
occupa di tutto quello che ha a che fare con queste vecchie casse.”
Dopo aver aspettato per quello che sembrava uno
spiacevole periodo di tempo, il vicepresidente arrivò per incontrarlo. “Salve
signor Birmingham, sono il signor Kay.”
“Piacere di conoscerla.”
“Altrettanto. Allora, qual è la questione che ho
sentito a proposito di una chiave?”
Walter la porse verso di lui.
Dopo un momento guardò verso Walter in modo
strano.
“Dove l’ha trovata?”Chiese.
“L’ho trovata in casa mia.” Mentì Walter. “In un
vecchio baule.”
“Infatti è una chiave molto vecchia. Antica,
oserei dire. Ma credo che ci sia ancora la cassetta. Da questa parte.”
Walter fu condotto lungo alcune scale, in una
serie di corridoi e attraverso molte stanze la cui unica funzione sembrava
quella di deposito. L’uomo sembrava sapere dove stava andando e Walter seguiva fiducioso.
Alla fine, terminato un corridoio scarsamente illuminato, l’uomo aprì un
armadio e, dopo aver rovistato dentro, tirò fuori una cassa di stagno ammaccata
e consumata. Sembrava che un tempo ci fosse scritto un nome, ma ora era
irriconoscibile.
“Può portarla con sé.” Disse il signor Kay, guardando
la scatola con curiosità. “Dal momento che ha la chiave, credo le appartenga.
Stiamo cercando comunque di liberarci di queste cose.”
“Grazie.”
Quando Walter raggiunse casa sua, aspettò a
malapena di portare la cassa all’interno. Prese la chiave e l’aprì, contento e
stupito che il lucchetto non fosse arrugginito.
La scatola era stipata di carte ingiallite e
arrotolate, molte tenute insieme con dello spago. Ne tirò fuori alcune; non
riconobbe la scrittura, ma individuò le parole “Dr. John Watson” in molte di
esse.
In fondo alla scatola c’era un fascio di carte,
impilate accuratamente e unite con un nastro rosa. La prima aveva la scritta Walter Birmingham.
Riconobbe la scrittura di Christine, anche se
raramente scriveva in corsivo. La carta era vecchia e puzzava di muffa e
sembrava fosse stata scritta con una stilografica, o qualcosa di simile.
Aprì il nastro e scoprì che il fascio di carte
erano una serie di brevi lettere che illustravano la vita di Christine. Erano
tutte datate, dal 1895 fino ai primi anni del 1900. Cautamente prese la prima
lettera, ma qualcosa volteggiò dalla pila sul pavimento e si fermò per recuperarlo.
Era una fotografia.
Il respiro di Walter si fermò e gli occhi si
riempirono di lacrime quando riconobbe Christine. Aveva qualche anno in più,
malgrado non fossero tanti, i capelli erano acconciati in vecchio stile, con un
vestito dal collo alto. Un leggero sorriso le illuminava i lineamenti mentre
era appoggiata ad una poltrona. Su di essa vi era seduto un uomo alto con i
capelli neri e il naso aquilino che Walter poté assumere fosse Sherlock Holmes.
Esistevano poche preziose foto del detective, ma
in quella foto Walter capì che doveva essere un uomo con una volontà di ferro.
Ma sotto quella forte volontà, nel modo in cui era inclinato in direzione di
Christine, capì che era stato buono con lei.
L’aveva amata ed era tutto ciò che contava.
------
Finita.
Spero proprio vi sia piaciuta :). Nel caso qualcuno di voi volesse
scrivere all'autrice, posso girarle io i vostri commenti. Mi ha chiesto
se potevo tradurle alcuni commenti lasciati, ma per me è una
cosa un po' lunga (soprattutto vista la mia difficoltà nella
traduzione in quel senso). Comunque ci proverò. Volevo anche
dirvi che esiste un seguito, nel caso foste interessati, per ora fermo
solo al 4 capitolo. Avevo il timore che la storia girasse intorno a
Christine e Holmes, magari approfondendo la loro relazione, invece
Silvre Musgrave ha fatto una cosa che ho apprezzato molto: la relazione
va avanti con molta calma, visto il background e l'età diversi,
con la signora Hudson che fa da chaperone e li controlla assiduamente.
Anche l'indagine sembra interessante e spero non lasci la storia a
metà. Questo per dirvi che vorrei pubblicare anche quello, se
non mi dite che questa vi ha fatto schifo, ma tendenzialmente
aspetterei a vederla conclusa. Ringrazio tutti quelli che l'hanno
seguita, magari ci rivedremo presto con una storia originale ^_^.
Un saluto a tutti,
Anne London.
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