Riporto l’autorizzazione dell’autrice alla traduzione della sua storia:
“Thank you! I'm so glad you
liked it! As long as I get credit for the story, I don't mind one bit if you
translate it. Could I have a link to the story once you're finished? I wish I could
speak Italian!
Thanks again for reading! Be sure to check out the sequel - "Sherlock
Holmes and the Lost Boys."
Take care!
Silvre-Musgrave”
Spero vi piaccia, buona lettura!!
Nota del 2015: questa storia è in fase di betaggio. Dopo tanti anni mi sono resa conto che alcune parti erano a dir poco imbarazzanti quindi, nel caso siate dei nuovi lettori, sappiate che la traduzione potrebbe rilutarvi un po' altalenante. Per tutte le parti decenti, invece, ringraziate silviabella, che si sta facendo un discreto mazzo per metterla a porto :)Capitolo Uno: Una
cliente molto singolare.
Erano le sette meno un quarto di una fredda mattina di marzo
quando Sherlock Holmes fu svegliato dalla padrona di casa.
"Signor Holmes!"
L’unica risposta del detective fu di tirarsi le coperte sopra la testa.
“Signor Holmes!”
Ripeté la signora Hudson spazientita, spalancando la finestra. La luce del sole
fece irruzione illuminando la stanza disordinata.
Un borbottio arrivò da sotto le coperte, completamente
incomprensibile eccezion fatta per “vada via”.
“Signor Holmes,” disse
lei, con voce alta più che poteva senza rischiare di svegliare il Dr. Watson al piano di sopra. “É arrivato un biglietto da parte di
vostro fratello! Credo sia urgente...”
Alla parola “fratello” il lenzuolo volò da una parte,
rivelando la testa scura e arruffata di Sherlock Holmes. I suoi occhi
brillavano di curiosità mentre strappava il telegramma dalle mani della signora
Hudson e lo apriva. Indicò la porta con un gesto svolazzante. “Grazie signora
Hudson…” disse in tono distante, con la voce ancora leggermente assonnata.
Lei sbuffò
silenziosamente e uscì.
Holmes diede una veloce occhiata al biglietto e, senza altre
esitazioni, saltò giù dal letto.
“Che cosa potrebbe mai essere? Non dice nulla nel suo
telegramma!” Esclamò Holmes con una voce in cui erano chiare sia curiosità che
irritazione. Continuò a parlare mentre
considerava le ragioni per cui suo fratello avrebbe potuto contattarlo.
Intanto il Dr. John Watson si era seduto di fianco a lui, ascoltando solo in parte. Era
rimasto alzato fino a tardi la notte precedente, dopo aver visitato un paziente
con una caviglia slogata, ed era
un po’ irritato dal fatto che Holmes avesse trovato necessario svegliarlo a
quell’ora impossibile.
Non che gli
dispiacesse veramente, ma
perché queste cose dovevano succedere sempre così presto?
Lesse il biglietto scarabocchiato attraverso gli occhi
semichiusi dagli sbadigli, come se questa volta potesse effettivamente comprenderlo. Aveva già visto prima
altri biglietti di Mycroft ed erano sempre a mala pena leggibili.
Sherlock,
Una cliente molto
singolare è venuta a trovarmi e
ha chiesto di te. Non è sicuro lasciarla senza assistenza. Vieni subito. Puoi
portare con te Watson.
Mycroft
“È certamente
vago,” commentò Watson, restituendolo a Holmes.
Holmes lo prese, ma non rispose; Watson poteva vedere dallo sguardo lontano negli occhi del
detective che stava considerando le
possibilità e appoggiò la schiena alla carrozza.
La mente di Holmes vorticava,
piena di domane. Perché andare da
Mycroft? Perché non andare direttamente a Baker Street se era suo desiderio
contattarlo? Come conosceva Mycroft, in primo luogo? Sapere dove e chi fosse
era infatti curioso…
…Mycroft poteva essere
in pericolo a causa del suo arrivo?
Mise da parte questo suo ultimo pensiero tanto velocemente
quanto era arrivato. Le facoltà mentali di Mycroft superavano di gran lunga le
sue e, se avesse percepito qualunque pericolo arrivare con la sua cliente, non
avrebbe scritto il biglietto così tranquillamente. Sebbene la sua scrittura
fosse comunque uno scarabocchio, Sherlock conosceva il modo di scrivere di suo
fratello. Mycroft non era di fretta.
Una volta elaborato
questo pensiero, il suo cervello lo spinse via e tornò al biglietto. La donna è stata seguita o osservata da
molto vicino. È sicuramente in
qualche terribile tipo di pericolo o Mycroft l’avrebbe mandata da me con una
carrozza. Ha detto che lei è “molto singolare”. Mi chiedo cosa la renda così…
Arrivarono a Pall Mall in pochi minuti. Dopo aver pagato il
vetturino, si diressero direttamente dentro al Diogenes Club. Dopo aver
spiegato la loro faccenda, vennero condotti dal maggiordomo in pantofole su per le grandi rampe di scale e lungo corridoi
silenziosi fino a che raggiunsero la stanza con doppia porta che Watson
associava al primo incontro con Mycroft Holmes.
Il maggiordomo bussò piano alla porta che venne
immediatamente aperta per rivelare la forma
corpulenta e robusta del fratello più vecchio di Sherlock.
“Ah, Sherlock. Watson,” disse con quella sua voce grave e posata. Nella mano sinistra teneva una scatola in tartaruga, che il
dottore sapeva contenere tabacco da fiuto.
“Mycroft.” Sherlock sorrise brevemente.
“Il suo nome è Christine Andrews,” disse Mycroft, andando
direttamente al punto della situazione. “Da questa parte.” Condusse
Sherlock e Watson attraverso la stanza con le finestre ad arco, finché
arrivarono a un salotto più piccolo e appartato.
Fece un cenno del capo attraverso la porta.
Né Sherlock né Watson parlarono, ma guardarono attraverso.
La stanza era al buio. L’unica luce proveniva dal caminetto che aveva bisogno di un altro ceppo; le tende erano state tirate fino in fondo.
Tre sedie circondavano il caminetto, a
un tavolino rotondo su cui era posata una tazza di tè ancora fumante.
Accanto a questo,
seduta su un divano rivolto verso il
fuoco, c’era la loro cliente.
Era una piccola, slanciata creatura che non poteva ancora
avere trent’anni. I suoi capelli castano dorato non erano acconciati verso
l’alto, ma sciolti e arrivavano fino a metà schiena, anche se alcune ciocche
ondulate restavano in sospeso sulla sua fronte. I suoi occhi erano di colore chiaro, forse azzurro o verde; era difficile da
stabilire alla luce del fuoco. Era molto attraente, notò Watson, e molto…
audace. Decise che era la parola giusta.
Holmes sarebbe stato d’accordo. Sedeva dritta, con la testa alta ed entrambi i piedi fermamente al
suolo; il suo respiro era quasi regolare. La sua calma era tradita soltanto dal
fatto che torceva e intrecciava incessantemente le dita intorno a un vecchio medaglione attorno al collo.
Queste osservazioni erano banali e molto tipiche… proprio il contrario dei suoi vestiti
che lasciavano perplesso il detective.
Indossava dei pantaloni e una camicia, come un uomo, ma i
vestiti erano ovviamente tagliati per una donna. I pantaloni erano di un tipo di
cui Holmes aveva visto indossare da alcuni americani, specialmente minatori e
uomini della classe operaia, fabbricati col denim e tinti di blu. Le maniche della camicia bianca finivano
un poco dopo il gomito, e lui cominciò a fare ulteriori deduzioni.
Le sue braccia sono ben
muscolose, eppure non appartiene alla
classe operaia perché le sue
mani non sono ruvide e il suo aspetto è, per la maggior parte, molto pulito.
Quindi fa esercizi per tenersi in forma. Potrebbe lavorare in un ufficio o
qualcosa di simile; i gomiti della camicia sono consumati e quello destro
ha una macchia di grafite o inchiostro. Ha camminato un po’ per venire qui
e viene dalla campagna; l’orlo
dei pantaloni è rovinato e coperto di fango…
…Ma non piove da una
settimana. E che strane scarpe… Non posso dire di quale materiale siano fatte.
Un tipo di materiale marrone flessibile… e la suola… forse gomma? C’è un
simbolo su un lato che sembra come un segno di spunta. C’è la sua giacca sul bracciolo del divano di fianco a lei. O forse è del fratello,
o del padre, è troppo grande per la sua corporatura.
Osservò la giacca, non aveva mai visto niente del genere. Era di pelle
marrone o montone, con un fitto pelo intorno al colletto. Era vecchia, molto
usurata, e con una toppa con la bandiera inglese sulle spalle. Dove avrebbero
dovuto esserci i bottoni, c’erano due linee metalliche simili a denti.
I suoi occhi corsero lungo la giacca, lungo la manica, visto
che era sistemata sul divano in modo che un braccio toccava il pavimento. Di
fianco a questo, appoggiato al divano, c’era un largo, vecchio, sacco da
montagna.
Holmes camminò attraverso la porta e accese la lampada a gas sul tavolo di fianco a lui.
La donna si alzò dritta come un fuso quando la stanza fu
illuminata intensamente, allora raggiunse il sacco da montagna, ma si fermò a
metà del movimento. I suoi occhi, che poterono vedere ora essere di un
affascinante grigio-azzurro, si
allargarono. La bocca si aprì per la sorpresa e lentamente. Rimase lì in
silenzio, con uno strano sguardo di – venerazione? – sul viso.
“Signor Holmes?” Disse finalmente, chiedendo con una chiara
voce ferma. I suoi occhi passarono a Watson e sembrarono aprirsi ancora di più.
“Dottor Watson?”
“Signorina Andrews.” Holmes si tolse il cilindro e lo
appoggiò sul tavolo; il dottor Watson fece lo stesso.
Una mano della donna
corse involontariamente alla bocca, come per incredulità, e camminò
verso di loro, porgendo la mano.
“Signor Holmes, signore, è un tale onore. Dottor Watson, un onore.”
Era sicura di sé; il suo atteggiamento, il suo passo, la sua
stretta di mano erano fermi e sicuri. Malgrado questo, Holmes non poteva negare di avvertire una sensazione di disagio, di paura.
Dopo che ebbe stretto le loro mani, Christine sedette di
nuovo sul divano. Sherlock, Watson e Mycroft fecero lo stesso. L’ultimo prese
la sedia più vicina al calore del fuoco
per ascoltare tutti e si mise in ascolto, sebbene qualcuno avrebbe
pensato che stesse dormendo.
“Come posso aiutarla, signorina Andrews?” Chiese Sherlock
Holmes nel suo solito modo sbrigativo.
Finite le
presentazioni e giunti al reale problema, lei sembrò stanca. “Lei è
l’unico che possa aiutarmi, signor Holmes.” Si fermò per un momento per
sfregarsi gli occhi. “Ho bisogno di dirle alcune cose prima che le racconti la
mia storia”. Sentì il leggero rumore della carta e alzò lo sguardo per vedere
il dottor Watson tirar fuori un piccolo taccuino
e una penna.
“Se posso.” Chiese lui.
“Ovviamente, prego.” Christine annuì. “Va bene… primo, vi
starete probabilmente chiedendo
perché non sono andata alla polizia. Il fatto è, signor Holmes, e lei lo sa
meglio di tutti, che strane cose
succedono. Ci sono cose tanto
bizzarre, così strane, così… inverosimili
che la polizia o le liquiderà
come uno scherzo o una sciocchezza, o si fisserà su quella che sembra la
spiegazione più ovvia. Ma lei no.
Lei scava tanto profondamente quanto può fino a scoprire la vera soluzione… non
importa quanto fantastica sia la situazione. E secondo, voglio che una cosa sia perfettamente chiara.” Guardò Sherlock,
poi Watson.
“Cos’è, signorina Andrews?”
“Non vi sto mentendo.”
“Non abbiamo nessuna ragione di credere che lo stia facendo.” Replicò Watson, sollevando lo sguardo dal suo taccuino
con sorpresa.
“Lo so, ma volevo soltanto assicurarvi di questo. Non vi mentirò… la mia storia non è facile
da accettare. Mentirvi potrebbe essere uno spreco non solo del vostro tempo, ma anche del mio.”
“Capiamo, signorina Andrews.” Holmes si protese verso di lei, con le punte delle dita unite.
“Esponete il vostro caso.”
Lei fece un profondo respiro e poi, guardando Holmes
dritto negli occhi, disse, “Vengo dal XXI secolo.”