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There's a little creepy house,
In a little creepy place.
Little creepy town,
In a little creepy world.
Little creepy girl,
With her little creepy face.
Saying funny things that you have never heard.
Do you know what it's all about?
Are you brave enough to figure out?
La casa blu era appena poco
distante dalla strada asfaltata che conduceva nel Posto Ignoto.
Era una piccola casa, dai muri di un blu acceso. Un blu più blu
del cielo non appena è calato il sole dietro le colline ad ovest
della piccola casa. Era una casa assai strana: stretta ed alta, senza fiori
alle finestre, rose morte nel giardinetto su cui si apriva la porta di legno
scuro. Così scuro che sembrava nero chiaro.
La signora coi lunghi capelli bianchi era solita sedere dietro la
finestra più in alto della casa, seduta sulla sua sedia a dondolo. Non
pronunciava parola da anni, si diceva. Se ne stava semplicemente lì seduta ad
osservare la strada, senza preoccuparsi dell’imposta della finestra che
sembrasse molto vicina al cadere giù.O
dei bambini spaventati che lanciavano uova sulla porta nero chiaro.
Quel che risultava certo era che non si era mai vista in tutta la
Scozia una signora simile.
Non ce n’era nemmeno una simile alla signora terrorizzata che ogni
tanto faceva capolino dalla porta nero chiaro, con i capelli grigio topo
perennemente crespi, gli occhi storti e le ossa sporgenti. Se ne stava lì,
puliva la porta nero chiaro e tornava dentro, chiudendosi velocemente la porta
alle spalle; ma non prima di aver dato uno sguardo in giro, per controllare di
non essere osservata.
Ma ciò che teneva i bambini lontani dalla piccola casa blu non era il
fantasma bianco alla finestra, o la strabica terrorizzata. Era una ragazzina,
coi capelli neri lunghi fino ai gomiti; il volto pallido sembrava emanare luce
propria, e gli occhi erano talmente chiari che una persona superficiale avrebbe
certamente pensato che fossero bianchi quanto i capelli del fantasma alla
finestra. Portava un vestito nero, lungo fino alle ginocchia, e teneva stretti
al petto sempre una serie di libri che di certo avevano poco a che spartire con
i bei libri colorati e pieni di figure degli altri bambini.
Ma Johanne Evans di certo non amava gli altri bambini.
Non era mai riuscita, che lei ricordasse, a fare la strada che separava
scuola dalla sua piccola casa blu senza che quei maledetti bambini le
combinassero qualcosa. Una volta un grasso bambino le appiccicò una gomma da
masticare nei capelli; un’altra volta una bambina coi lunghi capelli biondi,
con l’autista che l’aspettava per riportarla nella sua ricca casa dai suoi
ricchi genitori, le gettò i libri in una pozzanghera.
Ma quello che Johanne Evans odiava maggiormente era quel nomignolo.
Quel maledetto nomignolo.
Creepy Johanne.
Tutta colpa di quel bambino che la vide, inginocchiata a terra, tentare
di ripulire i libri che qualcuno aveva avuto la brillante idea di insozzare di
tempera rossa. La vide lì, le mani e parte del viso sporchi di un rosso scuro
(così simile a sangue), e scappò via urlando: “Creepy Johanne ha ucciso ancora!”.
Era un pomeriggio afoso dell’estate appena cominciata, quando la
piccola casa blu spuntò da dietro l’angolo, e Johanne si chiese per quale
motivo quel giorno avessero scelto di lasciarla stare per conto suo. Non finì
neppure di formulare il pensiero, che si trovò davanti la ricca bionda che
aveva l’insana abitudine di prendersela coi suoi libri.
“Oggi ce la farai ad andare a casa a farti una doccia e magari a
cambiarti il vestito, Creepy Johanne?”, le chiese con l’aria di una bambina che
passa la sua vita fra le finte braccia amorevoli di due genitori che per
colmare la propria assenza riempivano la loro unica figlia di agi e regali.
Johanne alzò appena la testa, per osservare il punto migliore dove
sviare per tornare a casa senza problemi almeno per un giorno. Quando le passò
accanto, tuttavia, la maledetta bionda allungò una gamba; prima di riuscire a
formulare un pensiero coerente, Johanne si trovò con la faccia a terra e la
risata ovattata della maledetta bionda che si allontanava nelle orecchie. Qualcosa
di caldo le scivolò sul naso.
“Maledizione”, mormorò. Senza sorpresa vide che le sue dita erano
rosse, dopo essersele passate sulla fronte. Bel modo di tornare a casa
tranquillamente.
Si mise seduta e cercò i fazzoletti nella vecchia borsa di pelle, che
sembrava aver conosciuto anni migliori; ma, ovviamente, doveva esserseli
scordati in classe nella fretta di uscire prima di tutti gli altri. Come ogni
giorno.
Rimase seduta, una mano premuta sulla fronte sanguinante, quando vide
un fazzoletto spuntarle davanti agli occhi; osservò la piccola mano che glielo
tendeva, c’era dello sporco sotto le unghie. Seguì il magro braccio, coperto da
una leggera camicia a quadri blu, fino al viso di un bambino dai lineamenti
dolci, coi capelli rossi e l’aria preoccupata.
“Stai bene?”, le disse.
Johanne afferrò il fazzoletto, senza distogliere lo sguardo dal suo
volto. Nervosa e diffidente.
Chi era quel bambino, che mai aveva visto prima di allora, e che si dimostrava
quasigentile nei suoi confronti? Perché si dimostrava quasi gentile nei suoi confronti?
“Allora, stai bene?”, chiese di nuovo. Non appena si piegò sulle
ginocchia per osservarla meglio, lei con uno scatto lo spinse e si allontanò un
poco aiutandosi con le mani. “Ma che diavolo fai?”, chiese lui prendendosi il
polso nella mano; si era piegato in malo modo nel tentativo di parare la
caduta.
Il bambino sollevò un sopracciglio nel vedere una grossa quantità di
sangue uscire dal graffio sulla fronte e scenderle lentamente sul sopracciglio;
le ferite alla testa sanguinavano sempre così tanto. “Mi chiamo Billy”, disse,
“e mi sono appena trasferito lì”. Alzò il braccio dolorante e indicò una casa
di un bel verde pastello; due uomini stavano scaricando scatoloni, a volte
piccolissimi, a volte enormi, da un camioncino bianco posteggiato di fronte al
giardinetto, seguendo le istruzioni di una donna dai capelli rosso scuro.
Johanne non guardò la casa.
Non guardò la donna ridere mentre un uomo se ne stava seduto sul divano
momentaneamente posizionato in giardino a fumare una sigaretta. Non guardò il
bell’armadio giallo trasportato dagli uomini in tuta dentro la casa.
Continuava a tenere gli occhi su quel bambino, chiedendosi di nuovo
perché stesse parlando con lei.
“Perché parli con me?”, chiese.
Billy la guardò sorpreso: “Ho visto quello che ti ha fatto quella
bambina e sono venuto a vedere se ti eri fatta male”, disse e inclinò la testa
da un lato. “E poi perché non dovrei parlare con te?”.
“Perché hanno paura di me”.
“Chi?”.
“Gli altri bambini”.
“E perché dovrebbero aver paura di te?”.
“Sono Creepy Johanne”.
“Non è una cosa carina da dire di sé stessi”.
Johanne alzò la testa così in fretta da farsi male al collo. Il bambino
si era tirato su ed aveva allargato le labbra: il primo sorriso che qualcuno le
avesse mai rivolto.
Mentre il primo istinto di Johanne fu di allontanarsi di nuovo, ma
rimase immobile. Seduta sull’asfalto, piccola e pallida, con quel rivolo rosso
che le scendeva lungo la guancia.
“Vieni a casa mia”, disse Billy. “Mamma sa curare queste cose. Mia
sorella si fa costantemente male”.
Johanne rimase silenziosa mentre Billy raccoglieva i suoi libri, la sua
vecchia borsa di pelle e le tendeva una mano per aiutarla ad alzarsi; ma quando
lei rimase immobile lui si inchinò, le prese una mano e la fece alzare quasi di
forza. Rimase in silenzio mentre il bambino la tirava verso la casa verde, e
una vaga sensazione di nausea si mischiava ad un leggero calore dentro di lei.
Lost in the darkness
Hoping for a sign.
Instead there's only silence
Can't you hear my screams?
Never stop hoping,
Until you know where you are.
Il vento freddo le scosse i capelli, così tirò su la sciarpa fino a che
il naso non fu nascosto.
Chi l’avesse incrociata lungo la strada deserta l’avrebbe considerata
un fantasma, col cappuccio sulla testa per proteggersi dalla neve, e gli occhi,
quegli occhi color ghiaccio, che risaltavano in quella maniera particolare.
Improvvisamente si fermò e voltò la testa verso una casa verde
dall’altra parte della strada. Era una settimana che Billy se ne stava chiuso
in casa con l’influenza. Rimase immobile qualche secondo, inclinando la testa
da un lato; la scuola non sembrava la stessa senza di lui. Mosse qualche passo
verso la bella casa verde, col bel giardino in fiore, e prima di accorgersene
si trovò di fronte alla porta.
Sollevò appena un braccio per bussare, ma ripensandoci avrebbe fatto
meglio ad andarsene; si voltò e tornò sui suoi passi, finché la piccola casa
blu fu pienamente visibile innanzi a lei.
Erano passati otto anni dal giorno in cui Billy l’aveva portata dentro
la casa verde, prendendosi cura di lei, e da quel giorno i due bambini erano
diventati quasi amici.
A Johanne piaceva stare con Billy. A Johanne piaceva Billy, lo trovava
divertente. Le aveva insegnato a ridere, a chiedere le cose con cortesia, a
domandare scusa quando commetteva un errore. Lui era sempre gentile con lei,
anche se gli era stato severamente proibito di avvicinarsi alla piccola casa
blu.
La chiamava Jo, soprannome
che le stava bene.
A Johanne piaceva Billy.
Le piaceva anche se un giorno l’aveva visto dalla finestra, mentre lui
osservava la finestra dove sua nonna era solita sedersi a fissare il vuoto. Le
piaceva perché non le aveva mai chiesto chi fosse quella donna che sicuramente
l’aveva terrorizzato. Le piaceva quando Billy prendeva le sue difese, nella
nuova classe dove si erano trovati insieme, quando avevano abbandonato le
elementari.
“Sei in ritardo”, disse sua madre non appena Johanne spinse la porta
nero chiaro per entrare nell’ingresso polveroso. Su un tavolino rotondo era
posato un bel vaso viola, contenente una rosa che doveva esser stata rossa,
quando ancora aveva le sembianze di una rosa. Ora era marrone, cadente, morta.
L’ultimo regalo di suo padre prima del Giorno Più Brutto.
“Scusa”, mormorò Johanne in risposta.
Sua madre le voltò le spalle e con mani tremanti rimise dritta la rosa
morta, come se servisse a rendere più allegra la scura cucina dagli scuri mobili
e le pareti così simili ad una scacchiera; Johanne ricordò il giorno in cui
Derek Evans aveva posto quella rosa nel vaso e si era diretto al bagno al piano
superiore. Ma quel giorno Johanne non pensò che suo fratello avrebbe varcato
quella soglia e che per sempre ci avrebbe lasciato la sua mente. Non pensò che
suo padre sarebbe uscito da quel bagno con un lenzuolo a coprirgli la faccia e
due paramedici che lo trasportavano in barella. Non pensò che la loro vita da
quel momento sarebbe cambiata per sempre.
Pensò al bacon nella padella. All’odore che emanava, al sapore che
avrebbe avuto. Al fatto che di lì a qualche momento avrebbe mandato giù il
miglior bacon del vicinato, che sarebbe stato ottimo, perché sua madre era in
uno dei suoi giorni positivi. E i suoi giorni positivi erano rari.
Ma non avrebbe mangiato mai più il miglior bacon del vicinato.
“C’è dell’insalata nel frigo”, mormorò sua madre, tornata a lavorare a
maglia i calzini che Johanne usava per dormire. Perché senza calzini non
riusciva proprio a dormire.
“Non mi piace l’insalata”, disse Johanne.
“Allora vedi di fartela piacere”, rispose sua madre sollevando gli
occhi, “perché c’è solo quello per pranzo”.
Proprio quando Johanne iniziò a pensare che per quel giorno poteva
rimanere senza mangiare fino all’ora di cena il telefono fece due lunghi
squilli.
Billy la veniva sempre a salvare.
“So che non ti piace l’insalata”, le disse la sua squillante voce al
telefono.
Con naturalezza.
Come se fosse normale sapere già qualcosa che stava succedendo proprio
in quel momento a cinquanta metri da casa propria. “Io ti ho fatto preparare
del pollo da mia madre. Mi sento meglio, quindi la padrona ha dato il suo
permesso perché tu possa venirmi a trovare”, le disse.
Attaccò il telefono senza dire una parola. Lui sapeva già quale fosse
la risposta.
“Non mi piace l’insalata”, disse a sua madre.
Prese la borsa di pelle e uscì dalla casa. Non la turbò il rumore dei
ferrettiper fare la maglia che si
schiantavano sulla porta, né il grido d’odio che si levò da dietro la porta
nero chiaro. Ormai si era abituata.
Non levò lo sguardo per vedere quei maledetti ragazzini che
ridacchiavano osservando la finestra più alta della casa, dove il Fantasma Bianco
era affacciato; proseguì dritta, quasi come una sonnambula, lungo la strada che
aveva ormai percorso centinaia di volte.
Il cuore in petto le martellava un poco quando arrivò alla casa verde
chiaro e si apprestò a bussare alla porta. Ma non pensò che anche quello per
lei potesse essere un altro Giorno più Brutto.
Non lo pensò, perché mai avrebbe creduto che un Giorno più Brutto
potesse avvenire insieme a Billy. Ma quando una ragazza coi capelli castano
chiaro e due occhi così verdi da far sciogliere perfino le pietre aprì la porta
avvertì la sensazione di qualcosa che era troppo profondamente sbagliato.
E quando Billy nell’avvicinarsi le mise un braccio attorno alla vita,
Johanne sentì qualcosa dentro di lei andare in mille pezzi. Ma il suo volto, quel
volto dalla pelle diafana, rimase imperscrutabile. Rigido, senza espressione
alcuna.
“Ehi, Jo”, disse Billy.
“Ehi, Billy”, rispose Johanne. Senza distogliere lo sguardo dal volto
della ragazza con gli occhi verdi. Come se il continuare a guardarla la rendesse
meno reale.
“Io sono Lucy”, disse lei imbarazzata. “Stavo andando via, ma volevo
conoscere la migliore amica del mio fidanzato prima di tornare a casa mia”,
aggiunse lei tendendole una mano che Johanne non prese. Che nemmeno guardò.
Nessun suono uscì dalle sue labbra quando si voltò per percorrere quel
vialetto costeggiato di fiorellini gialli un po’ appassiti dall’arrivo del
vento autunnale. Non disse una parola nemmeno quando Billy la chiamò, fermo
sulla soglia. Non parlò nemmeno quando lui la rincorse, tenendola per mano.
Non parlò quando uscì dal cancello, tenendo lo sguardo fisso sulla
porta nero chiaro di casa sua. Il posto che più di tutti aveva odiato, ma
l’unico che in quel momento potesse darle protezione. Perché Billy non avrebbe
rotto la promessa. Billy le manteneva le promesse, e non si sarebbe avvicinato
alla casa.
Quando si chiuse la porta alle spalle il telefono già squillava, ma
stavolta non avrebbe risposto.
If I walk down this hallway,
tonight, it's too quiet.
So I pat through the dark
and call you on the phone.
Push your old nummers,
and let your house ring,
‘till I wake your ghost.
Il telefono non smise di
squillare.
Né quel giorno, né i
giorni seguenti.
Poi, un giorno, più
niente.
Il giorno del diploma il
telefono smise di squillare del tutto.
E tutto ciò che si
lasciò alle spalle fu il vuoto.
“Posso offrirti
qualcosa?”.
La seconda volta che
quel ragazzo le ripetè la stessa frase Johanne si ritrovò fra due scelte:
accettare di bere gratis, oppure mandarlo al diavolo con un pugno sul naso.
Ma prese di buon grado
la prima opzione.
“Come ti chiami?”, le
chiese il ragazzo.
“Jo”, rispose lei
sollevando gli occhi dal suo bicchiere di tequila. Il ragazzo che in quel
momento le sorrideva aveva i capelli biondicci, gli occhi azzurri e le guance
rosse di chi anche quella sera ha alzato un po’ troppo il gomito. “E tu come ti
chiami?”, si vide costretta a chiedere.
“Dominic”, rispose lui.
“Tanto piacere”. Si, un grandissimo
piacere.
“Sai, domani mattina
devo alzarmi presto”, disse Johanne terminando il suo bicchiere di tequila;
“magari ci becchiamo in giro qualche volta”, disse.
Anche se ci credeva
molto poco.
“Sai, anche io domani
devo alzarmi presto”, disse Dominic scolandosi il suo whiskey come fosse acqua,
“e sotto il mio albergo c’è la fermata dell’autobus. Potresti venire con me e
prendere l’autobus lì”.
Non c’era niente di
male, in fondo.
Dato che era solo la sua
terza sera a Wellington, Nuova Zelanda, pensò che avrebbe fatto meglio a
prendere un autobus insieme a qualcuno con la faccia di uno appena uscito da
Happy Days, piuttosto che da sola in quella via putrida.
Ma non prese l’autobus
quella notte.
Fece sesso con Dominic
tre volte, prima di addormentarsi stordita fra le sue braccia, nel suo letto, nella
sua stanza d’albergo. Come aveva fatto negli ultimi sette anni della sua vita,
d’altra parte.
A diciassette anni aveva
perso la verginità in un parcheggio nei pressi di casa sua, insieme ad un
chitarrista ubriaco che aveva appena suonato nel pub dietro casa di Johanne. Da
quella notte era iniziato una specie di circolo, che l’aveva portata fra le
braccia di un ragazzo di nome Dominic, che sembrava appena uscito da Happy
Days.
Quando la sveglia suonò
alle cinque e mezza della mattina dopo, Johanne quasi faticò nel ricordarsi
dove si trovava. O cosa dovesse fare quel giorno.
Poi, quando osservò
Dominic che ancora dormiva beato fra i cuscini bianchi di quell’albergo
scadente le tornò in mente l’appuntamento delle sette del mattino dall’altra
parte della città.
Scese dal letto e
osservò la sua nuda immagine riflessa nello specchio: le ginocchia nodose, i
residui della calda notte ancora sul ventre piatto, il piccolo seno che aveva
urgente bisogno di uno sguardo di un chirurgo plastico e la cicatrice sulla
coscia destra ancora ben visibile da prima del Giorno più Brutto.
Il suo primo Giorno più
Brutto.
Si infilò nella doccia,
con gli occhi chiusi e l’acqua calda che le sfiorava i capelli. Non pensava a
niente Johanne, mentre Dominic si svegliava lentamente dal suo sonno beato. Non
pensava a niente Johanne, mentre Dominic rimaneva ad occhi spalancati a fissare
il soffitto giallognolo della propria stanza, sentendo che il suo brillante
futuro stava per arrivare, finalmente.
“La tua doccia fa
schifo”, disse Johanne uscendo nuda dal bagno.
Fecero sesso di nuovo,
prima che Johanne si infilasse nuovamente le sue cose e prendesse l’autobus che
avrebbe dovuto prendere la sera prima. Ma stavolta sarebbe scesa davanti agli
studi cinematografici di vattelappesca,
in cui avrebbe fatto l’assistente per qualcuno di cui non ricordava il nome, un
qualche regista con cui probabilmente sarebbe andata a letto una sera di
quelle.
E che l’avrebbe
licenziata appena la moglie l’avrebbe scoperto. Ormai conosceva la prassi.
“Mi piacerebbe
rivederti”, le aveva detto Dominic mentre si rivestiva. Lo dicevano tutti, ma
nessuno lo pensava mai realmente. Anche di questo aveva imparato presto la
prassi.
Senza contare che lei
stessa non avrebbe voluto più rivederli.
“Il signor Jackson la
sta aspettando, signorina”, le disse l’odiosa segretaria all’entrata,
indicandole una porta sulla destra. Ma Johanne si sarebbe aspettata di trovare
chiunque, ma non la persona che vide quando aprì la porta.
Un ometto basso e
ciccione, con barba e capelli fitti e neri, e due occhiali che avrebbero fatto
invidia al televisore che Johanne si ritrovava nella stanza del suo albergo.
No. Decisamente non ci
avrebbe fatto sesso.
Parlarono per un ora e
mezza, prima che il signor Vattelappesca le desse il posto di porta caffè e
porta non si sa che cosa per il regista. Avrebbe iniziato quello stesso
pomeriggio, quando il signor Vattelappesca regista si sarebbe trovato sul set
di Hobbiqualcosa.
Ma Johanne non
ascoltava.
Pensava che le sarebbe
piaciuto fare di nuovo sesso con Dominic.
Ma no, non si poteva.
Solo per una notte, quelle erano le regole del gioco.
Anche se Dominic faceva
un sesso da Oscar, per la miseriaccia.
E proprio mentre pensava
tutte quelle cose, fuori dalla stanza del Vattelappesca signor regista, lo
vide. Entrava ridendo dal grande portone d’ingresso, con un borsone in spalla e
un amico vicino. Un tipo magrolino, coi capelli rosso scuro, che indossava dei
grossi occhiali da sole.
Johanne inclinò la testa
da un lato, chiedendosi perché quella scena le avesse fatto smuovere lo
stomaco, quando l’amico magrolino fissò lo sguardo su di lei. Allora se ne rese
conto.
Ma il suo viso rimase di
nuovo imperturbabile, come quel giorno, nonostante dentro di lei avvenisse una
battaglia all’ultimo sangue. Una enorme, fottuta, rumorosa battaglia.
“Ascoltami”.
“Non voglio starti a sentire”.
“Devo pur dirti qualcosa!”.
“Risparmia il fiato”.
“Lucy è …”
“Non mi importa niente di chi lei sia”.
“Jo, ti prego, ascoltami”.
“Per quanto mi riguarda questa conversazione è finita”.
“Ma …”
“Finita per sempre, Billy”.
Quando Billy sollevò gli
occhiali per vedere se fosse pazzo o meno, Johanne era sparita.
“Ehi, ma mi ascolti?”,
chiese Dominic.
Billy guardò l’amico con
gli occhi stralunati: “Si, ti ascolto, Dom”, disse.
“Sembra che tu abbia
visto un fantasma”, disse Dominic, “ma credo sia più importante quella specie
di tigre che mi sono portato a letto ieri notte, piuttosto che il tuo
fantasma”.
“Andiamo, amico, non
crederò mai che fosse così tigre come dici”, disse Billy scuotendo la testa e
credendo veramente di aver immaginato il tutto. “Sarà stato un agnellino docile
docile”, aggiunse sorridendo.
Dominic si mise dinnanzi
a lui e gli posò la mano sulla spalla, facendo la sua solita espressione alla amico-io-ne-so-più-di-te-in-fatto-di-donne.
“Fidati di me, signor Boyd”, disse, “quando ti dico che quella era una vera e
propria furia. Sembrava proprio una furia scatenata, seriamente! Il giusto mix
fra rabbia, voglia, bravura e passione che ogni uomo cerca in una donna”.
“Se lo dici tu”, disse
Billy, tornando a guardare il punto dove il suo fantasma era scomparso.
All of my memories keep you near.
In silent moments,
Imagining you here.
All of my memories keep you near,
In silent whispers, silent tears.
La colazione di quella mattina ancora galleggiava nel bagno di quei
maledetti studios.
Maledizione, maledizione!
Billy Boyd, attore scozzese. Che aveva appena ricevuto una parte nel
famosissimo film del regista Vattelappesca con cui aveva parlato poco prima.
Come aveva potuto essere così stupida?
“Da quant’è che non vedi Billy?”
“Un po’, mamma”.
“Sai, so che è entrato nella
scuola di arte drammatica dove voleva tanto andare”.
“L’ho letto da qualche parte a
scuola”.
“Non te l’ha detto lui?”.
“Non ci parlo più, mamma, l’hai
dimenticato?”.
“Non credi che in un momento
simile dovresti capire quando perdonare?”
“E’morta la nonna, mamma, non
fare finta di ritenerla una situazione importante”.
“Non dire stupidaggini, tua nonna
era importante per me”.
Dopo aver tirato la catena, Johanne uscì dal bagno e si guardò allo
specchio. Le occhiaie sotto gli occhi e la bocca pallida non lasciavano nessun
dubbio a chi l’avesse guardata.
A chi avesse guardato la StupidaPuttanaPsicopatica non sarebbe sfuggito
il fatto che avesse appena vomitato, così alla sua lista di prese in giro
avrebbe dovuto aggiungere Bulimica.
Grande giornata.
Proprio una grande giornata.
Aprì la porta bianca con su disegnata una donnina rosa e si guardò
attorno. Billy era sparito, assieme a Dominic, da qualche parte.
E Johanne sentì chiaro l’istinto di correre via. Proprio come aveva
fatto quel giorno Billy, in cui aveva deciso di andarsene dal piccolo paese che
l’aveva ospitato per anni, pronto a dirigersi incontro alla scuola di arte
drammatica che tanto l’aveva tormentato. E che l’avrebbe accolto a braccia
aperte il MaledettoTraditore. In fondo Johanne era riuscita a capire quanto una
bugia potesse essere semplice per una persona così dotata. Perché Billy era
dotato. Era molto dotato.
Ma aveva avuto anche coraggio il MaledettoTraditore.
Aveva avuto molto coraggio a fermarsi dinnanzi ai muri blu, più blu del
cielo non appena è calato il sole dietro le colline ad ovest della piccola
casa.
Aveva avuto coraggio nel percorrere il vialetto costeggiato di rose
ormai morte da tempo. Morte, come il cuore delle persone che abitavano dietro
la porta nero chiaro. Coraggio nel bussare a quella porta che gli era stato
vietato perfino di guardare.
Aveva avuto molto coraggio il MaledettoTraditore a guardarla negli
occhi, dicendole di star andando via. Non molto più lontano di quanto non lo
fosse ormai per Johanne, perché in fondo era a Glasgow che andava. A meno di
venti chilometri dal loro piccolo paese.
E Johanne era rimasta in piedi, la mano sulla porta, ad osservarlo
parlare.
E parlare.
E parlare ancora.
Non disse una parola Johanne, nemmeno quando, dopo averla fissata negli
occhi ed aver fatto un passo verso di lei, le mormorò “Mi mancherai Jo”.
Aveva gli occhi rossi il MaledettoTraditore. Che grande attore.
Quando Billy voltò le spalle per salire sul taxi che l’avrebbe portato
via, Johanne chiuse la porta. E avvertì una sola, amara lacrima scenderle lungo
il volto. L’ultima evidenza di qualcosa di umano nel suo cuore, che scacciò con
un semplice gesto distratto della mano.
E nessuna lacrima rigò più il viso di Johanne Evans. L’ultimo frammento
del suo cuore era salito su quel taxi, che si allontanava di gran carriera da
quelle case colorate, e che Johanne non avrebbe più visto tornare.
Pensava a tutte quelle cose mentre percorreva il piccolo corridoio che
l’avrebbe condotta al grande salone, dove l’odiosa segretaria la guardò
sottecchi, quasi aspettandosi che tirasse fuori la pistola per uccidere tutti;
il dito poggiato delicatamente contro il pulsante d’emergenza.
Ma non era nei piani di Johanne uccidere qualcuno.
Non in quel momento, almeno.
“Lo sapevo che eri tu”, disse una voce dietro di lei. Una maledetta
voce.
Ecco, ora avrebbe anche potuto uccidere qualcuno.
Voltandosi, Johanne ebbe una rapida visione di quegli enormi occhiali
da sole che venivano tolti e gli occhi verdi che uscivano allo scoperto,
timorosi e insieme curiosi. Il MaledettoTraditore la osservava con lo sguardo
stupito, la testa inclinata da un lato e il sorriso a mezza bocca che le aveva
rivolto il Giorno del Fazzoletto. Quindici anni prima.
Una vita intera prima.
Rimasero immobili, da una parte all’altra della grande stanza,
guardandosi.
“Aspettate”, disse una voce ovattata. “Ma voi due vi conoscete?”.
Ah, giusto.
Dominic.
“Non l’ho mai visto in vita mia”, disse Johanne aprendo la porta a
vetri che dava sull’esterno. E stavolta Billy non chiamò il suo nome. Non la
seguì.
Non fece nulla di simile.
“Mi sei mancata, Jo”, mormorò semplicemente.
E la mano di Johanne tremò sul maniglione della porta, che tuttavia
lasciò andare. Lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle, che quelle
parole rimanessero nell’aria profumata di lavanda della grande stanza degli
studios.
What a day to be alive.
What a day to realize I'm not dead.
What a day to save a dime.
What a day to die trying.
What a way to say goodbye.
What a wonderful life now all a lie.
What a way that you survive. What
a day to say good night.
La voce ovattata continuava a parlare al suo fianco.
Dominic doveva star esaurendo tutte le parole del suo stupido inglese
di Manchester.
Ma Billy non lo ascoltò e fece un passo avanti: “Mi sei mancata, Jo”.
Non vide la sua mano tremare, non vide la rabbia delle sue nocche bianche
strette sul maniglione della porta, non ascoltò il suo respiro disturbato
dall’ansia di fuggire via.
Non riuscì mai a comprendere pienamente perché avesse detto quelle
parole. In quel momento avrebbe solo voluto che Dominic smettesse di parlare.
“Come fai a conoscerla?”, chiese Dominic.
“Era mia amica. Quando eravamo piccoli”, disse Billy e si accorse di
avere il fiato corto come chi, in barba all’asma, si fuma un pacchetto di
sigarette. Guardò l’amico. “E tu come la conosci?”, domandò. Ma senza sapere
perché, già aveva in mente quale sarebbe stata la risposta.
“Hai presente la furia scatenata di cui ti parlavo prima?”, disse
Dominic, assumendo di nuovo l’aria da uomo vissuto. “Era precisamente quella
strana tipa che era qui prima”.
Rimasero in silenzio, mentre l’espressione di Dominic andava
esaurendosi. “Piccolo il mondo”, disse l’inglese.
“Già. E’davvero piccolo”, rispose Billy tornando ad osservare la porta.
“Staremo insieme per sempre, non
è vero Jo?”
“Il per sempre è lungo, Bill”.
“Lo so quant’è lungo, ma credo
che con te potrebbe essere anche abbastanza breve”.
“Questa frase non ha senso,
Bill”.
“Lo so, ma l’ho letta in qualche
libro. E dopo i due facevano l’amore”.
“Ma che razza di libri leggi?”
“Era sul comodino di mia madre”.
“Sarà. Comunque di tempo per fare
l’amore ce n’è anche troppo”.
“Il per sempre è lungo”.
“E’vero, Bill”.
Quando la pioggerella mattutina cessò di cadere dal cielo Johanne quasi
si sorprese. Credeva che la pioggia potesse durare in eterno, piangendo per lei
lacrime che i suoi occhi non riuscivano a far uscire. Sollevò la testa,
osservando la cima dei palazzi che aveva attorno; e solo in quel momento si
accorse di non aver mai osservato la città di giorno.
Trascorreva le mattinate nel letto della sua stanza d’albergo, o a fare
sesso con qualche malcapitato notturno. Dormiva qualche ora ed usciva di nuovo
quando ormai era buio, alla ricerca di qualcosa che potesse alleviarle il vuoto
che sentiva nel petto.
Un vuoto a cui non pensava, a cui non voleva pensare.
Proprio quel vuoto che sembrava essersi riempito di nuovo di oscurità
in quella grande stanza degli studios.
E ricordò il rumore del piatto che andava in frantumi e il sangue che
le sgorgava dalla gamba che in quel momento non riusciva quasi a sentire più.
Non aveva fatto male, non allora.
Sembrò allora che il sangue che usciva a fiotti non fosse il suo, ma
fosse come in uno di quei film che lei e Billy guardavano in tv nella casetta
verde dove le piaceva tanto andare. Dove c’è il palloncino pieno di colore
rosso che esplode quando il finto colpo di pistola colpisce la vittima. Era un
ottimo trucco; Billy gliel’aveva insegnato e un giorno si erano così divertiti
a fare uno scherzo alla sorella di Billy usando uno di quei palloncini.
Si era spaventata tanto.
Ma Johanne non si era spaventata nel vedere tutto quel sangue uscirle
dalla ferita aperta sulla coscia. L’aveva spaventata molto di più sentire sua
madre gridarle “PuttanaPsicopatica”
mentre le lanciava ogni genere di cosa addosso. E tutto perché quella mattina
aveva trovato qualche goccia di sangue nelle mutandine.
Stupida, stupida mamma.
Johanne aveva provato ad alzarsi, ma la gamba ferita cedette. E così si
trascinò fuori dalla cucina, verso la porta nero chiaro che l’avrebbe portata
all’esterno, dove sua madre non usciva mai.
Ma proprio mai.
E dove forse Billy l’avrebbe aspettata; quindi fu con poca sorpresa che
lo vide correrle incontro, il volto pallido e sudato. Non si stupì quando Billy
la prese in braccio e la portò lontana dalla porta da dove giungeva una voce
rauca che gridava “SiPortalaViaQuellaPuttanaPsicopatica”.
Ma la gamba aveva iniziato a fare veramente male, così Johanne gridò.
“Ti porterò via di lì, Jo”.
“E come?”
“Non lo so ancora. Ma so che un
giorno ti porterò via da quella casa blu”.
“Ehi, Bill. Oggi il tuo aspetto
è quasi peggiore del solito”, disse Elijah entrando sorridendo in una delle
grandi roulotte allestite per il trucco.
“Lascialo stare”, disse Dominic, “oggi abbiamo scoperto di avere molto
in comune”. Scoppiò a ridere.
Ma Billy non sentì quelle parole. A dire il vero non aveva sentito
niente di niente per tutto il giorno, in cui era stato sballottato a destra e
manca, legato sulle spalle di un tizio col costume che puzzava di polistirolo e
cera per i pavimenti.
Non aveva sentito niente.
“Mi ha chiamato Ali, prima, dicendomi che è tutto il giorno che non ti
fai vivo”, disse Dominic. “Le ho detto che non ti sentivi molto bene”, aggiunse
in un sussurro, “ma io credo che dovresti dire alla tua fidanzata che cosa è
successo oggi”.
“Non ho niente da dire alla mia fidanzata, Dom”, disse Billy
distogliendo lo sguardo dalle protesi per i piedi che stava fissando da una
buona mezz’ora.
Dom annuì. “Certo, amico”, disse.
E la sensazione fu chiara nella sua mente. Come era stata chiara il
giorno del SiPortalaViaQuellaPuttanaPsicopatica.
Quella sensazione profonda quanto la propria anima, che qualcosa si avvicinava.
Che lei si avvicinava.
Sentì la sua voce parlare con Peter Jackson. Ma la voce non arrivava da
fuori il camper, ma dalla sua testa. Era come se lei fosse dentro la sua testa,
insieme al regista che le chiedeva quante volte avesse letto il libro; e lei
gli rispondeva che, si, l’aveva letto, ma una volta sola. Da piccola.
Quando era ancora troppo piccola perché un normale bambino potesse
anche solo sperare di capirlo.
Ma lei si. Lei l’aveva capito.
Perché lei era diversa.
Lei era speciale.
Specialissima.
Billy scosse la testa, sperando che quelle voci sparissero, e la voce
da cartone animato di Dominic gli inondò nuovamente le orecchie.
“Credo sia ora”, disse Sean interrompendo il monologo di Dominic senza
mezzi termini. Osservava l’orologio, impaziente. “Si, è proprio ora”, aggiunse.
“Ehi, amico, calmati”, disse Elijah, “che il set non scappa via”.
Billy sollevò gli occhi quando Dominic gli prese un braccio per tirarlo
su dalla sedia su cui ormai aveva deciso di mettere le proprie radici.
Era spaventato, Billy. Come lo può essere un bambino che si sente
andare incontro ad un patibolo.
E infatti la vide, dritta in piedi accanto a Peter Jackson. Un fantasma
pallido, coi capelli neri ora corti fino alle spalle e quegli occhi che
sembravano scrutarti nella parte più profonda del tuo essere.
Ma i suoi occhi non sorridevano mai: erano imperturbabili ancor più del
suo volto. Né tristi, né felici.
Era andata al suo albergo a cambiarsi, evidentemente. Portava dei
leggins scuri, che mettevano in risalto le ginocchia nodose e una maglietta fin
troppo grande per lei, a righe bianche e nere.
You know that I know you well.
I've written all myself, if you can't tell,
With a melody that climbs and then falls.
Then falls, without you.
And then there's you.
Then there's you.
Stupido, stupido Billy.
Stupido Billy che sa
recitare così bene.
Uno dei migliori attori
drammatici alla stramaledetta accademia di recitazione scozzese.
La stramaledetta
accademia.
Johanne odiava quella
stramaledettissima accademia.
Odiava anche quello
sguardo che Billy le aveva lanciato appena finita la sessione di riprese di
quel giorno, mentre tornava al camper per togliersi tutto quel trucco di dosso.
L’aveva guardata, con
quegli occhi troppo verdi e le si era avvicinato lentamente, quasi come in quei
vecchi film, dove quando i due protagonisti si incontrano dopo tanto tempo si
corrono incontro al rallentatore.
Ma quello non era un
film di cui loro erano i protagonisti, anche se Billy indossava una ridicola
parrucca ricciuta e delle enormi protesi ai piedi.
“E’bello rivederti”, le
disse.
“E’bello che mostri di
nuovo le tue grandi doti di attore”, disse Johanne voltandosi per tornare di
nuovo al fianco del signor regista Vattelappesca.
Ma stavolta Billy le
afferrò il polso, facendola voltare di nuovo verso di lui. Il suo sguardo, quel
suo maledetto sguardo, era impaurito, arrabbiato, nervoso. Johanne sentì l’impulso
di dargli un pugno.
Rimasero lì, immobili.
Il polso di Johanne stretto nella mano di Billy, che non sembrava avere la
minima intenzione di lasciarla andare.
“Dovrai tornare a
parlarmi un giorno, Jo”, le mormorò infine. “Dovrai perdonarmi qualcosa che non
ho mai capito di aver fatto”.
“Quel giorno è molto
lontano”, disse lei distogliendo gli occhi dal suo viso.
La paura cominciò ad
insinuarsi del suo cuore quando sentì che il suo braccio veniva leggermente
tirato in avanti. Ma non sollevò gli occhi quando Billy le passò le braccia
dietro la schiena, stringendola a sé. Inspirando il suo profumo, sentendo i
suoi capelli sul viso, tenendo ancora stretto il suo polso per paura che
fuggisse di nuovo, lontano.
Troppo lontano. Come
quel giorno di tanti anni prima, nel ridente giardinetto della sua casetta
verde.
Continuò a tenerla
stretta, forse per un momento, forse per qualche ora, prima di lasciarla
andare. Ma il volto di Johanne continuava a fissare il vuoto.
Vuoto, come il cuore che
lentamente sembrava scaldarsi nel suo petto.
Come quindici anni
prima, sul marciapiede che portava alla casa blu di cui tutti i bambini avevano
paura.
E Johanne seppe che
stava per accadere, ancor prima che succedesse.
Sapeva che Billy avrebbe
lasciato andare il suo polso, che avrebbe messo una mano sotto al suo mento e
un'altra fra i suoi capelli neri come la notte. Sapeva che l’avrebbe baciata,
ancor prima che succedesse.
Eppure rimase immobile;
e lasciò che accadesse.
“Promettimi una cosa, Billy”.
“Che cosa?”
“Non avvicinarti mai alla mia casa”.
“E perché non dovrei?”
“E’maledetta quella casa, Billy”.
“Oh, andiamo, scherzi”.
“No. Non scherzo”.
Fu per qualche secondo.
I più lunghi della sua vita.
Non riuscì a capire come
le loro bocche potessero trovarsi così, quasi come se l’avessero fatto sempre.
Ma, al diavolo, in quel
momento non gliene importava proprio niente.
Sentiva i suoi capelli
nella mano, così fini e folti; il suo profumo di bagnoschiuma misto con il
forte odore dell’erba dove avevano girato per tutto il pomeriggio. Sentiva
alcuni sguardi puntati su di loro.
E, si, stava tradendo la
piccola ed ingenua Ali, che non meritava per niente una cosa simile. Ma nemmeno
di questo gli importava.
Né gli importava dei
sette anni di silenzio dietro le loro spalle, né pensava minimamente alle
ripercussioni che una cosa simile avrebbe potuto comportare.
Era lì, adesso.
Con Jo.
E tutti i mali del mondo
sembravano essere dietro di lui, inesistenti.
Quando il bacio si
interruppe rimasero per qualche secondo a guardarsi negli occhi. E Billy guardò
gli occhi di Johanne, vedendoci per la prima volta qualcosa di diverso dal
solito vuoto a cui si era abituato molti anni prima. La guardò negli occhi e
tutto quello che riuscì a vederci fu l’odio più profondo che avesse mai visto.
Spaventato tolse le mani
dal suo viso e la guardò indietreggiare, voltarsi ed allontanarsi.
Lentamente, quasi
barcollando.
E fu con terrore che
osservò una mano di lei salire sul volto, per scacciare qualcosa di troppo
scomodo per essere mostrato.
Qualcosa che
probabilmente faceva più male del dolore stesso che sentiva nel petto.
“Sai di doverci qualche
parola, amico?”, disse una voce dietro di lui. E non fu sorpreso, nel voltarsi,
di vedere davanti a sé tre paio di occhi accusatori. Elijah aveva parlato anche
a nome degli altri, forse un po’ troppo disorientati per poter perfino
biascicare qualcosa.
Billy rimase in silenzio
mentre il peso di ciò che era appena accaduto cominciava a stordire un po’
anche lui.
My name it means nothing.
My fortune is less.
My future is shrouded in dark wilderness.
Sunshine is far away, clouds linger on;
everything I possess, now they are gone.
Oh where can I go to and what can I do?
Nothing can please me only thoughts are of you.
You just laughed when I begged you to stay.
I've not stopped crying since you went away.
The world is a lonely place you're on your own,
guess I will go home sit down and moan.
Crying and thinking is all that I do;
memories I have remind me of you.
Dominic dormiva già beatamente quando sentì una presenza scivolare
lentamente sotto le sue coperte. Una presenza che gli sussurrò di rimanere in
silenzio.
E lui voleva davvero fermarla, ma quando sentì quelle fresche mani
sfilargli la maglietta ed insinuarsi nei pantaloni del pigiama grigio con cui
aveva avuto davvero intenzione di dormire, tutto ciò che riuscì a fare fu di
abbandonarsi all’inevitabile. Un inevitabile davvero invitante.
“Sei innamorato di lei?”
“Non lo so”.
“Come puoi dire di non saperlo quando
dieci minuti fa avevi la bocca incollata alla sua?”
“Dico di non saperlo
semplicemente perché davvero non lo so”.
“Non avevi detto che erano anni
che non la vedevi né la sentivi?”
“E’così”.
“E ti metti a baciarla? Giusto
per rivangare i vecchi tempi?”
“E’successo e basta”.
“Sarà pure successo e basta,amico,
ma con Ali come hai intenzione di metterla?”
“Sai che Billy è innamorato di te, vero?”, domandò Dominic alla sua
amante dai capelli neri quando ormai il fresco mattino aveva cominciato ad
inondare la sua enorme roulotte.
Johanne si voltò così rapidamente che sentì le ossa del collo
scricchiolare leggermente, le mani rigide mentre chiudeva i bottoni della
sottile camicetta bianca che indossava. “No”, disse, “non lo è”.
“Padrona tu di dire una cosa simile”, disse Dominic cadendo nuovamente
nei cuscini. “Eppure io so quello che ho visto e che poi mi ha raccontato. So
quello che aveva su quella faccia da scozzese dopo averti baciata”. Avrebbe
voluto dire altro, ma Johanne si affrettò a chiudergli la bocca con un bacio.
Non voleva che Dominic parlasse. Voleva solo che chiudesse quella stramaledetta
bocca e la lasciasse tornare nella sua roulotte in tutta tranquillità. Era
forse chiedere un po’ troppo?
“E quindi hai intenzione di tornare qui e fare sesso con me tutte le
volte che ti pare e piace?”, chiese Dominic mentre Johanne si avvicinava
all’entrata della roulotte.
Lei posò una mano sulla maniglia di ferro e rimase in silenzio per
qualche momento. “Vedo che hai centrato il punto”, disse.
Quindi uscì silenziosamente nel campo erboso che avevano allestito a
piccolo campeggio, di modo che la
mattina dopo sarebbero stati pronti ad affrontare una nuova giornata di riprese
senza intoppi da lungo viaggio o qualcosa di simile che la produzione aveva
detto un giorno, ma che Johanne non aveva ascoltato.
Non ascoltava mai gli altri.
Le parole sembravano rimbalzarle da un orecchio all’altro, senza
giungere a destinazione.
Ed era un problema. Si, era un grande problema.
Grande quasi come il fatto che dovesse cominciare a lavorare di lì a
mezz’ora e aveva dormito al massimo un paio d’ore quella notte.
Con un’alzata di spalle iniziò a spogliarsi per gettarsi nella doccia
della sua roulotte, ma il suo sguardo cadde sul polso che Billy aveva stretto
per non farla andare via, e dove ora c’era una leggera chiazza viola.
Quel brutto idiota aveva stretto troppo.
Stupido, stupido Billy.
E la sentì di nuovo, quella voglia di prenderlo a pugni. Pugni così
forti da fargli uscire sangue perfino dai punti dove uno non si aspetterebbe mai
di poterlo perdere. Si passò la mano sul viso, dove un’altra di quelle
maledette goccioline trasparenti e salate scendeva di nuovo.
Era arrabbiata, Johanne.
Era furiosa.
“A cosa stai pensando? Ora, in
questo preciso istante”.
“Alla tua domanda, Jo”.
“Prova ad essere serio per una
volta!”
“Sto pensando a te”.
“Quanto sei noioso”.
“Sto pensando ai dieci figli che
avremo fra vent’anni, quando finalmente ti avrò portata via da casa tua e
saremo liberi”.
“Okay. Ora va molto meglio”.
“Ciao! E’la segreteria di Billy
che state chiamando. Lasciate un messaggio e vi richiamerò quando mi ricorderò
di ascoltare la segreteria telefonica!”
“Ehi. Forse ti ricordi di me. Sono la tua fidanzata, Ali. Probabilmente
alla tua ragazza farebbe piacere sentirti ogni tanto, invece di parlare sempre
o con Dominic o con questa maledetta segreteria telefonica! Richiamami”.
Billy sollevò quasi a fatica il cellulare, tentando di mettere a fuoco
lo schermo.
La bottiglia di scotch era ancora sul comodino accanto al letto della
sua roulotte, quasi finita. Nella testa avvertiva un fastidioso ronzio, come
quando le zanzare si mettono a ronzarti intorno la notte, quando ti stai per
addormentare e arrivano proprio sul più bello.
Non avrebbe dovuto bere. Era stata proprio una pessima idea.
Ma quella bottiglia di scotch era stata così dannatamente invitante.
A fatica si sollevò dal letto, prendendosi la testa fra le mani;
credendo di essersi appena svegliato da un brutto sogno. Uno di quelli che
quando ti svegli senti così reali da averne quasi paura.
Compose il numero di Ali, ma dopo il secondo squillo cambiò idea. Se ne
sarebbe fatta una ragione se per un altro giorno non l’avesse chiamata, in
fondo. Molto in fondo.
“Okay”, mormorò a sé stesso alzandosi dal letto. Bevve un paio di
lunghe sorsate dalla bottiglia d’acqua posata accanto ai fornelli inutilizzati
ed uscì nell’aria fresca della mattina. Senza una doccia, senza lavarsi i
denti; solo con una impellente urgenza nella testa. E infatti dopo qualche
passo osservò Jo uscire furtivamente dalla roulotte di Dominic ed avviarsi
rapidamente verso un'altra roulotte poco lontana da lì.
Non sapeva da quanto tempo sentisse quel tipo di sensazione, come se
una parte della testa di lei fosse nella propria. Avvertiva quando lei era in
pericolo, sapeva quando le stava capitando qualcosa di piacevole e che cosa
stava succedendo. Conosceva i suoi desideri più profondi, le sue paure, senza
bisogno che lei gliene parlasse mai.
E forse quel tipo di sensazione l’aveva portato su quel marciapiede,
proprio quel giorno. Così come ora lo stava spingendo a fare una cosa così
stupida, ma che quel dannato scotch che ancora gli viaggiava nel corpo non gli
impediva di fare.
Si passò una mano sul viso, desiderando ardentemente che l’erba sotto i
suoi piedi non continuasse a moltiplicarsi, e muoversi, e ondeggiare. Ma per
qualcuno che non beve da parecchio tempo è veramente troppo da desiderare.
Bussò tre volte, con forza, alla porta metallica della roulotte. E
quando lei gli aprì, con un asciugamano stretto attorno al corpo e i capelli
bagnati che andavano in tutte le direzioni, non poté impedire alle sue
ginocchia di cedere, così dovette appoggiarsi allo stipite della porta per non
crollare a terra.
“Perché eri con Dominic stanotte?”, le chiese. Un tremito nervoso nella
voce.
“Sei ubriaco”, disse Jo.
Cattiva, cattiva Jo.
“Non sono mai stato tanto meglio in vita mia”, disse Billy.
E senza riuscire più a trattenere quell’istinto primitivo nel corpo, la
baciò con rabbia. La stessa rabbia che tratteneva da sempre, che non era mai
riuscito a sfogare come fanno i normali esseri umani, compiendo azioni stupide
o cedendosi completamente allo sport.
Quello era il suo sfogo.
E la sentì premere il corpo nudo contro i suoi vestiti, l’asciugamano
perso chissà dove, e baciarlo con la stessa rabbia. Con la sua stessa ferocia.
Col suo stesso istinto.
Non fu come la sera prima.
Poi Billy sentì vagamente le mani di Jo salirgli sul petto e, senza un
minimo di riguardo, spingerlo lontano. Così improvvisamente da mandare lui, e
il suo stupido cervello di ubriaco, con la schiena a terra, nell’erba fuori dalla
roulotte.
Cominciò seriamente a darsi dell’idiota quando sentì la porta metallica
che si chiudeva con un tonfo.
In quel momento si diede davvero dell’idiota patentato.
Odio “l’utilizzo” che sto facendo
di Dominic Monaghan.
Lo adoro, e sto tentando in tutti
i modi di dargli un tono migliore.
Here I stand, helpless and left for
dead.
Close your eyes, so many days go by.
Easy to find what's wrong, harder to find what's right.
I believe in you, I can show you that I can see right through all your empty
lies.
I won't stay long, in this world so wrong.
Say goodbye, as we dance with the devil tonight.
Don't you dare look at him in the eye, as we dance with the devil tonight?
“Allora, amico”, disse Dominic sedendosi vicino a lui nella roulotte
che ancora puzzava di scotch. “Oggi noi quattro Hobbit non abbiamo riprese in
programma, quindi possiamo darci alla bella vita e lasciare il lavoro sporco
alle altre povere, piccole razze della Terra di Mezzo!”.
“Bella vita di che genere, amico?”,
chiese Billy sottolineando il nomignolo con cui ormai erano soliti chiamarsi.
“Oh, non lo so”, disse Dominic osservando la bottiglia di scotch sul
comodino. “Già ti sei sbronzato ieri sera, quindi la sbronza per stasera
possiamo risparmiarcela. Potremmo prendere Elijah e andarcene un po’ in giro
per la città, firmare qualche autografo, farci fare qualche foto. Sai, roba da
grandi attori”.
“Non credo di averne voglia”, rispose Billy. “Scusa, amico”.
“Di far cosa non hai voglia?”, chiese Elijah entrando nella roulotte,
con il suo solito sorriso brillante. Portava uno zaino sulla spalla e le chiavi
della sua enorme macchina in mano. “Di certo non hai voglia di far altro se non
di andare a fare un po’ di surf coi tuoi vecchi amici!”.
“Siamo troppo a Nord per il surf, Lij!*”, esclamò Dominic con una
risata.
Elijah assunse l’espressione da bambino ferito che di solito meritava
mesi e mesi di prese in giro, e Billy non riuscì a trattenerlo. Sentì il
proprio petto iniziare a tremare e proruppe in una risata che sorprese
piacevolmente Dominic che già lo vedeva appeso per il collo ad una corda nel
bagno della roulotte.
E Billy continuò a ridere, tenendosi la pancia perché aveva la
nettissima sensazione che se l’avesse lasciata andare tutto quello che aveva
nel corpo sarebbe uscito da qualche parte. Le lacrime agli occhi e le guance
rosse lo fecero somigliare in maniera impressionante ad una di quelle scimmie
che da bambino gli piaceva da morire rimanere a guardare allo zoo.
“Cosa c’è di tanto divertente?”, domandò uno stralunato Sean Astin entrando
nella roulotte.
“Oggi si va a fare del buon vecchio surf, mio caro Sean”, disse Billy
senza smettere di ridere.
“Oh, andiamo, non può essere
tanto male!”
“Stai scherzando, vero? E’una
tragedia!”
“Jo, stiamo solo cambiando classe.
Certo che non è una tragedia!”
“Forse non lo sarà per te”.
“No, non lo sarà. E vuoi sapere perché?”
“E sentiamo Bill, perché non lo
sarà?”
“Perché saremo insieme qualunque
cosa succeda, Jo”.
“Okay, si, sarà una tragedia”.
“Tu sei pazza, credi a me”.
Dominic aveva avuto maledettamente ragione.
L’acqua era troppo mossa e troppo fredda per poter anche solo sognare
di fare un bagno. Figuriamoci poi per salire su una tavola di legno.
“Non se ne parla”, disse Sean.
“Oh, andiamo Mr. Sicurezza Personale! Cos’è, hai paura di bagnarti un po’?”,
disse Dominic.
“No, ho paura di affogare”, rispose Sean mettendosi le mani sui
fianchi. Lo faceva sempre quando era nervoso. O quando non si metteva a fare gesti
agli elicotteri in atterraggio per paura che si schiantassero al suolo.*
Billy si sedette sulla sabbia bianca, ad osservare l’Oceano Pacifico
che si stendeva innanzi a lui. E in quel momento non poté far altro che
sentirsi il punto più piccolo nell’universo. Sarebbe stata una sensazione
meravigliosa se solo si fosse ricordato di spegnere il cellulare che teneva in
tasca e che continuava a vibrare da almeno cinque minuti.
“Pronto”, disse.
“Finalmente riesco a sentire la tua voce!”, disse la squillante voce di
Ali nel telefono.
“Eh già”, rispose Billy sentendosi osservato. Alzando lo sguardo notò
gli azzurri occhi di Dominic puntati su di sé, lo sguardo serio. Lo sguardo
alla sono-tuo-amico-e-non-ti-giudicherò-ma-stai-facendo-la-cosa-sbagliata.
“Come stai?”, si ricordò di chiedere. Sapeva che Ali odiava quando non la
faceva sentire almeno un po’ importante; quando lui non si interessava alla sua
vita.
“Oh, sto benissimo!”, rispose lei. “Mi manchi”, gli mormorò dopo
qualche secondo di pausa.
“Ah”, gemette Billy. Improvvisamente cominciò a sentire molto caldo
sotto la tuta da surf. I suoi sensi di colpa iniziavano a farsi sentire, ma
niente poté eguagliare il terrore puro che avvertì quando Ali parlò ancora: “Sai,
domani prendo un aereo e vengo in Nuova Zelanda. Mi hanno dato due settimane di
ferie”.
Billy rimase in silenzio.
Aveva la bocca secca e il calore si era trasformato in gelo.
Rimase in silenzio perché gli parve che il gelo gli avesse bloccato
ogni funzione vitale.
“Ma non dici niente?”, disse Ali fingendosi offesa. O forse lo era
davvero.
“Che bello!”, riuscì a dire Billy. “E’tanto ormai che non ci vediamo”,
aggiunse sperando di ricordarsi bene l’ultima volta che lei aveva preso un
aereo da Edimburgo a Wellington.
“Quasi un mese”, disse Ali, improvvisamente allegra. “E mi sei mancato
ogni giorno”, mormorò di nuovo.
E di nuovo Billy non seppe risponderle.
Perché non gli era mancata. Non era lei che gli era mancata ogni
giorno, sia che si trovasse a Glasgow o a Londra o in Nuova Zelanda. Non era
lei l’unica persona a cui aveva detto la frase “Mi sei mancata” non appena l’aveva
rivista.
“Senti Ali, ora devo andare”, riuscì ad articolare. “Dominic mi sta
chiamando e sembra una cosa importante. Ci vediamo domani tanto”.
“Non vedo l’ora”, disse Ali. “Ti amo”.
“Anche io”, rispose Billy chiudendo la chiamata.
Di nuovo il solito problema.
Non era mai riuscito a dire “Ti amo”, sia che si trattasse di Ali, sia
che si trattasse di Lucy, con cui aveva condiviso perfino un vecchio
appartamento di Glasgow ai tempi della Scuola di Arte Drammatica.
“Bello mio”, disse Dominic avvicinandosi. “Sei in un mare di casini”.
Ma nemmeno Dominic riusciva ad immaginarsi quanto fosse grosso quel
casino.
vMatamata, il luogo dove si sono svolte le
riprese di Hobbiville, si trova quasi sull’Oceano Pacifico, a Nord della Nuova
Zelanda.
Too much love will kill you,
If you can't make up your mind .
Torn between the lover ,
And the love you leave behind .
You're headed for disaster ,
'Cos you never read the signs .
Too much love will kill you, every time.
Non seppe che tipo di
sensazione si sentì nel cuore Johanne quando la vide arrivare. I capelli biondi
che svolazzavano col vento, quella pelle chiara tipica di chi ha passato
parecchio tempo in Gran Bretagna; ma evidentemente lei non era di quelle parti.
Aveva un portamento quasi da principessa delle favole, con quel golfino bianco
che non faceva altro che evidenziare quanto fosse più donna di quanto Johanne
lo sarebbe stata mai. I tacchi alti la facevano risultare quasi più alta di
Billy, che si era avvicinato a lei abbastanza per poterle permettere di
saltargli al collo.
Non seppe che tipo di
sensazione si sentì nel cuore Johanne quando la vide baciare Billy.
Non seppe che cos’aveva
nel cuore, quando vide le mani di Billy rimanere rigide e semplicemente posate
sui fianchi da modella di quella maledetta biondina americana.
Continuava a guardarli,
come succede quando vedi qualcosa di così orribile che ti volteresti per
vomitare, ma che affascina così tanto la tua mente da non riuscire a staccarne
lo sguardo. Però quando la vide saltellare per la gioia, Johanne decise di aver
sopportato abbastanza e si voltò, trovandosi davanti Dominic ed Elijah.
“Non provarci nemmeno”,
disse Dominic indietreggiando con fare fintamente drammatico.
“A far cosa?”, rispose
Johanne.
“A saltarmi addosso
soltanto perché Billy ti fa star male”.
“Billy non mi fa star
male”, disse Johanne sulla difensiva.
Veramente sulla
difensiva.
“Si, certo”, disse
Elijah osservandola. Quegli occhi enormi, ancora più grandi di quelli di
Johanne, erano bravi a capire le persone, maledizione. “Così come Billy ora è
così felice che Ali sia arrivata”, con un cenno della testa indicò un punto
dietro di lei.
Johanne voltandosi vide la
maledetta biondina americana che continuava a parlare, quasi come fa un attore
sul palcoscenico mentre pronuncia un monologo con enfasi, e Billy faceva finta
di ascoltarla guardandosi attorno, lo sguardo perso alla ricerca di qualcuno
che potesse correre in suo aiuto.
O forse sentì solo nella
testa quel suo bisogno d’aiuto, perché era fin troppo lontano per poter
determinare che tipo di sensazione avesse sul volto quel ragazzo troppo
cresciuto, imbacuccato in un mantello marrone, coi pantaloni alla zuava e una
parrucca sulla testa.
Senza riuscire a
determinare il perché di quel suo gesto sollevò una mano e udì la propria voce
quasi urlare “Signor Boyd!”. E fu con poca sorpresa che si guardarono, da così
lontano.
Lui sapeva.
Già sapeva quello che
avrebbe fatto Johanne.
“Grazie, Jo”, le mormorò
quando si fu avvicinato a lei.
Per tutta risposta
Johanne gli ficcò in mano il copione. “E’ora di girare, Pipino”, disse.
E furono solo Dominic ed
Elijah a notare il lieve sorriso che apparve per qualche secondo sul suo volto
pallido. E, per quella manciata di secondi, fu di nuovo la bambina che entra
per la prima volta nella casetta verde ancora da arredare, mano nella mano col
suo unico amico.
Il suo unico amico.
“Come lasciare la
propria ragazza per un altra nel giro di qualche ora”, disse Dominic. “Dovresti
leggerlo, è molto istruttivo”.
Billy sbuffò mentre si
cambiava il mantello. Quel giorno avrebbero dovuto girare le scene del Grande
Fiume. E di solito a Billy piaceva stare davanti alla telecamera accesa;
sentirsi un'altra persona.
Gli piaceva da morire.
Ma quel giorno tutto ciò
a cui riusciva a pensare era quella ragazzina coi capelli neri che se ne stava
lì a chiacchierare con Peter Jackson di caffè, come se nulla fosse. Come se non
fosse successo nulla.
Come se a due metri non
ci fosse la sua fidanzata che lo osservava con gli occhi enormi e un sorriso
che mostrava tutti i suoi denti.
E lui avrebbe così tanto voluto che fosse Johanne a fissarlo con quegli occhi. Avrebbe
così tanto desiderato che Ali scomparisse in quel momento e che fosse stata Jo
a corrergli incontro quella mattina.
L’avrebbe desiderato
così tanto.
“Hai deciso cosa fare?”,
domando Sean avvicinandosi a lui. Billy sapeva bene quanto Sean stesse
disprezzando tutta quella situazione, da bravo uomo di famiglia; ma era un
amico, e come tale non lo dava poi così tanto a vedere.
“Non posso continuare a
fare questo ad Ali”, disse Billy osservando la sua fidanzata da lontano. Dire
che non l’avesse mai amata sarebbe stata una bugia di dimensioni colossali; l’aveva
amata come un pazzo. In fondo era la ragazza dei suoi sogni: pazza al punto
giusto, dolce quando la situazione lo richiedeva, sempre con la battuta pronta.
E il sesso era sempre grandioso con Ali.
Ma non era Jo.
Lei era tutt’altra
storia.
Jo era la persona che
probabilmente nei libretti Harmony era definita l’anima gemella. O forse era
perfino qualcosa di più. Era l’altra metà di sé stesso.
Johanne era la sua
persona. E lo sarebbe rimasta sempre, nonostante gli anni che li avevano
separati.
“Il nostro Billy è
diventato un poeta”, disse Viggo Mortensen con una risata.
Fantastico. Non si era
accorto di aver espresso i propri pensieri ad alta voce.
Davvero fantastico.
“I'm just the pieces
of the man I used to be …”
“Che canzone sarebbe?”
“Too much love will
kill you, dei Queen”.
“Oh, andiamo Bill. Ora ascolti i Queen?”
“Ho sempre ascoltato i Queen, io”.
“Ti facevo più tipo da Beatles”.
“Il mio cuore sa dividersi fra Queen e Beatles”.
“Forse dovresti chiarirti un po’ le idee, Bill”.
“Forse”.
“Non credevo che nel
cinema si potessero cambiare tante scene rispetto ad un libro”, disse Johanne,
lo sguardo perso nel vuoto.
Il signor regista
Vattelappesca la osservò con un misto di imbarazzo e divertimento, distogliendo
lo sguardo dal monitor dove era solito osservare una scena appena girata. “Non
si tratta di cambiare le scene”, disse, “ma di rendere adatte al grande
schermo, mantenendone però inalterato il significato profondo”.
“La cosa che più
ricordavo di Tolkien è che non ha mai scritto di grandi sentimenti, a parte l’eroismo
e l’amore per la propria razza”, disse Johanne osservando il regista. “Non ha
mai parlato di relazioni interpersonali”.
Peter Jackson osservò
con attenzione quella ragazzina, dagli occhi che mostravano un’esperienza fin
troppo vasta per la propria giovane età. Gli ricordò molto sé stesso alla sua
età.
Poi, sorprendendosi da
solo e stupendo Johanne, scoppiò a ridere. Una risata che lo avrebbe senz’alcun
dubbio inserito nella categoria degli Hobbit. E Johanne non riuscì ad
impedirselo.
La sentì nascere nel
petto e salirle alla gola. Gli occhi le bruciarono, nel tentativo di
trattenerla; fin quando capì che non sarebbe più riuscita a trattenerlo. La
risata le affiorò dalle labbra come un suono sconosciuto da anni, eppure così
familiare. Come un vecchio amico che non vedi da anni e che improvvisamente ti
ritrovi davanti in un supermercato di periferia.
Risero per parecchi
minuti, sotto lo sguardo divertito della moglie del regista e quello
spazientito del resto dell’esausta troupe. Risero per motivi diversi, per molti
motivi.
O forse ridevano senza
un perché.
Forse il bello di quel
momento era proprio il fatto che non esisteva un perché a quell’ilarità
spontanea e genuina. Ridevano. E questo bastava.
The strands in your eyes that color them wonderful.
Stop me and steal my breath.
Emeralds from mountains thrust towards the sky.
Never revealing their depth.
Tell me that we belong together Dress it up with the trappings of love.
I'll be captivated, I'll hang from your lips.
Instead of the gallows of heartache that hang from above.
I'll be your cryin' shoulder.
I'll be love suicide.
I'll be better when I'm older.
I'll be the greatest fan of your life.
Il soffitto era troppo bianco.
Tutto ciò che girava nella mente di Billy alle quattro del
mattino era che il soffitto di quella camera d’albergo era troppo bianco.
Sembrava quasi di essere in ospedale, da quanto era bianco.
Voltò la testa, per osservare la nuda schiena di Ali che
dormiva profondamente al suo fianco. Quella volta il sesso non era stato
straordinario. No, non lo era stato.
Non può essere straordinario il sesso con una donna, quando
desideri così tanto che al posto suo ce ne sia un’altra. Un’altra totalmente diversa.
Billy sospirò nel tirarsi a sedere. Non sarebbe riuscito a
dormire, così decise che una passeggiata per il corridoio l’avrebbe potuto
stancare a dovere. Infilò i jeans che aveva buttato da qualche parte nella
stanza, la prima camicia che gli capitò sotto la mano e si affrettò ad
allontanarsi da quella donna che ormai non sentiva più sua.
Si affacciò ad una delle grandi finestre del corridoio e
notò che fuori, nell’oscurità, la pioggia cadeva incessantemente. La luna era
solo una leggera sagoma dietro una nuvola scura; sospirò e fece per voltarsi. E
ancor prima di farlo, Billy seppe che era lì.
Sapeva che lei indossava una lunga maglietta bianca,
probabilmente appartenente ad uno dei suoi amanti occasionali. Sapeva che i
suoi capelli erano raccolti dietro la testa, perché troppo in disordine per
essere lasciati liberi a sé stessi. Sapeva, senza bisogno di guardarla, il modo
in cui lo stava osservando.
“Sapevo di trovarti qui”, disse Johanne.
“Sapevo che saresti venuta”, rispose Billy, voltandosi per
osservarla.
Non avrebbe mai creduto che un cuore potesse fare un simile
movimento, al solo osservare gli occhi di una persona. Gli sembrò che gli fosse
sceso fino ai talloni, che gli fosse risalito al cervello e che faticosamente
si fosse rimesso al suo posto. E tutto in meno di due secondi.
C’era qualcosa di diverso nel suo modo di osservarlo.
Qualcosa di profondamente diverso.
“Non questa volta”, disse Jo.
“E se ti dicessi di
amarti?”
“Ti direi che stai
imitando un qualche personaggio di qualche film”.
“Sii seria”.
“Sono seria. Siamo
troppo piccoli per faccende come l’amore”.
“Abbiamo dodici anni”.
“Arriverà il momento,
Billy”.
“Tu non credi nell’amore,
è questa la verità”.
“Sei tu che ci credi
fin troppo”.
“Non questa volta”, ripetè Johanne, come in un sogno.
Perché di un sogno credeva si trattasse.
“Che cosa?”, chiese Billy facendo un passo verso di lei.
“Non lascerò che un’altra ti porti via”, Johanne sentì la
propria voce uscire senza comando. “Non questa volta”, ripetè.
Billy fece un altro passo verso di lei, nel petto di nuovo
quella sensazione. “Cos’è che vuoi dirmi, Jo?”, domandò senza rendersi conto
che la sua voce si era improvvisamente spezzata.
“E se ti dicessi di amarti?”, domandò Johanne.
“Ti direi che stai imitando un qualche personaggio di
qualche film”, rispose Billy facendo un altro passo avanti. Se avesse allungato
un braccio avrebbe potuto sfiorare quel volto, che finalmente mostrava il
tormento che l’aveva accompagnata per così tanto tempo.
“Sono ancora furiosa con te”, disse Johanne portandosi una
mano al viso. “Sono così furiosa con te che ti prenderei a calci e pugni lì
dove ti trovi. Ma non posso lasciarti andar via di nuovo. Perché voglio potermi
fidare di te. Voglio poter guarire da tutto questo schifo che ho intorno. Io
voglio amarti, Bill”.
Billy fece un passo avanti fin troppo lungo. Si ritrovò così
vicino a lei da poter sentire il suo odore fresco nel naso, da poter avvertire
il calore che emanava la sua pelle diafana. “Non posso continuare a baciarti io”,
mormorò Billy.
“Cosa significa?”, domandò Johanne.
“Significa che dopo tutto quello che mi hai fatto passare,
dopo tutto quello che mi hai detto in questo momento e per via della donna che
dorme nel mio letto in questo momento, non posso essere io a baciarti”, disse
Billy scostandole dal viso una ciocca di capelli sfuggita alla coda di fortuna
che la ragazza aveva sulla testa.
Johanne abbassò gli occhi. Una leggera paura aveva invaso il
suo corpo; forse nemmeno tanto leggera. Probabilmente non sarebbe mai stata in
grado di fidarsi di Billy.
Era una stupida, una grandissima stupida. E quello era stato
un errore madornale.
“Sto sperando con tutto il cuore che tu la smetta di pensare
a tutte queste stupidaggini”, disse Billy portandole una mano sotto al mento. “Lo
spero per il semplice fatto che è una vita che aspetto che tu mi dica parole
del genere, Jo”.
E pronunciò il suo nome con tanta dolcezza che lei non
riuscì a frenarsi. Non riuscì ad impedirsi di portare le mani sulle sue spalle,
di sollevarsi sulle punte dei piedi e posare le labbra sulle sue; con una
delicatezza che non era mai appartenuta al suo mondo.
Se quello si fosse trattato di un film, probabilmente i
raggi della luna li avrebbero illuminati e una vecchia canzone pop si sarebbe
sentita di sottofondo. Ma la luna era nascosta e l’unico sottofondo che c’era
in quel momento era il leggero picchiettare della pioggia sul vetro della finestra
alle spalle di Billy.
Ma fu un momento così perfetto, che il mondo sarebbe potuto
anche finire.
Mentre Billy la stringeva a sé, continuando a baciarla come
aveva desiderato per tutta la vita, si ritrovò a pensare che si. Probabilmente
così doveva andare a finire.
Così sarebbe dovuta andare. Da sempre.
Scusate il ritardo di questi due capitoli, ma sono molto
presa dagli esami di maturità …
Una parte di questo capitolo sembra una scena di Dawson’s
Creek … ma non è fatto appositamente =(
FieryRedhead: grazie per le tue recensioni *.* ... anche io tifo per Johanne ... probabilmente si è anche capito xD Spero che questo capitolo ti piaccia! <3
When I lost
faith,you believed in me.
When I stumbled,you were right there.
For every act of love you've done, I owe you one.
There were hard times, I know I survived,
just because you stayed by my side.
With all I have, with all I am,
I promise you all my life.
Whenever the road is too long,
whenever the wind is too strong,
wherever the journey may lead to,
I will be there for you.
Non c’era nessuna possibilità che Billy sopravvivesse a
quella giornata.
Nessuna, proprio nessuna.
L’aveva capito nel momento in cui Ali gli era corsa
incontro, furiosa per averla lasciata dormire da sola per tutta la notte. L’aveva
capito quando aveva visto i suoi occhi riempirsi di lacrime, intuendo forse
troppo dal suo sguardo; o forse lo capì solo dallo schiaffo, fottutamente
doloroso, che Ali gli tirò sulla guancia.
Avrebbe dovuto spiegarlo ai truccatori, ora.
“Sei un bastardo!”
La voce di Ali sapeva risultare così dolce, a volte.
Specialmente quando gridava in mezzo alla folla.
“E con questo cosa
vorresti dire?”
“Semplicemente quello
che ho detto, Jo”.
“Non posso crederci!”
“Credici, invece”.
“Sei un bastardo”.
“E tu sei una capra in
matematica e devi iniziare a crederci”.
“Doppiamente bastardo”.
“Vedo che tutto è andato per il meglio”, disse Dominic
avvicinandosi, una mano sul mento come faceva sempre quando voleva fingere di
essere una persona intelligente.
Billy gli lanciò uno sguardo di fuoco mentre continuava a
massaggiarsi la guancia che con tutte le probabilità del mondo sarebbe
diventata presto di un orribile colore blu. Improvvisamente, una risata arrivò
alle sue spalle e quando si voltò vide Johanne poggiata allo stipite di una
porta, che rideva sommessamente.
“Non c’è molto da ridere”, disse Billy fingendosi offeso.
In realtà c’era da ridere, perché Ali sembrava veramente una
pazza omicida in quel momento.
Ma una parte di lui era dispiaciuta; non così tanto da
pensare che avrebbe ritrattato la sua decisione, ma abbastanza da sentirsi
realmente un bastardo. Di quelli di prima categoria.
“Rido perché ti ha strappato un pezzo d’orecchio con quello
schiaffo”, disse Johanne indicandogli il lato sinistro della testa. Billy
sollevò una mano, tastandosi l’orecchio; quando sentì che la protesi che i
truccatori gli avevano applicato era saltata cominciò a sussurrare parole che,
di certo, non gli avrebbero permesso di entrare in chiesa per un gran numero di
anni.
E Johanne scoppiò a ridere così forte da impedirgli perfino
di pensare. E, quando Billy la guardò, improvvisamente la confusione scese su
di lui. Non sapeva cosa lei stesse pensando, cosa stesse provando o anche solo
cosa aveva intenzione di mangiare a pranzo.
Non lo sapeva, per la prima volta da quando la conosceva.
Non lo sapeva e questo lo frustrò non poco.
Dominic fece un grande sorriso, allontanandosi a piccoli
passi, come se fosse il personaggio di un cartone della Disney, quando Billy si
avvicinò a lei. E la baciò senza preoccuparsi del fatto che probabilmente Ali
era ancora nei paraggi per parlare male di lui a chiunque le capitasse a tiro, né
si preoccupò del fatto che probabilmente l’intero staff dedito al Signore degli
Anelli li stesse guardando.
Pensò al fatto che lei lo stesse baciando.
Johanne Evans gli aveva messo le braccia attorno al collo e
lo stava baciando.
Così mandò al diavolo ogni cosa, dai piedi Hobbit alla scena
che, fortunatamente, avrebbero iniziato a girare solo fra qualche ora. La prese
in braccio ed entrò velocemente in una delle roulotte che quella notte
avrebbero usato per dormire fuori dall’albergo; e fu in quella roulotte che
smise di pensare.
O forse aveva smesso dal momento in cui l’aveva vista, una
mattina di qualche settimana prima. Non ricordava nemmeno quanto tempo era
effettivamente passato.
Poi tutti pensano che siano le droghe che fanno quest’effetto.
Ma non è la droga.
Non è l’alcool.
Non è nemmeno l’adrenalina, che ti fa sentire come se fossi
il padrone del mondo intero.
Perché è così che Billy si sentì in quella roulotte anonima,
in un posto che non ricordava dove fosse, se non che era in Nuova Zelanda. Si
sentì il padrone assoluto del mondo; e senza riserve seppe di essere, almeno,
la persona più felice del mondo intero.
E, si. Probabilmente per quella giornata sarebbe
sopravvissuto.
Per quella giornata Billy Boyd avrebbe vissuto alla grande.
“A volte vorrei capire
perché certe persone fanno certe cose”.
“Per amore, Billy”.
“Si, ma addirittura
farsi uccidere per evitare che quella persona muoia?”
“E’questo che significa
amare”.
“Oh, andiamo. Tu ti
faresti uccidere mai per salvare qualcuno?”
If you can hear me and know that I’m right here.
I heard your heartbeat, It took away the fear.
‘Cause my life is sliding, I tried to ride the wave.
It came down crashing, it's time to start again.
Backwards to go forward left at every corner.
Been there and back again and when the music ends;
Your life is a flashback, a question, a photograph,
a statement, a story, a struggle,
a chance to laugh.
‘Cause if you don't laugh you cry.
A last crescendo when you die.
So hit the rewind and listen, It's the playback.
The soundtrack to your life.
Il vestito pizzicava non poco.
Johanne odiava i vestiti che pizzicavano così tanto.
E il frastuono che arrivava da fuori la macchina nera la
infastidiva quasi più dei flash che entravano dai vetri che avrebbero dovuto
impedirlo. In fondo erano vetri oscurati proprio per quello scopo.
“Sei pronta?”, le domandò Billy.
Le stringeva la mano. Nonostante il loro collegamento mentale si fosse
interrotto, Billy sapeva bene quale fosse il suo stato d’animo. Era nervosa,
fin troppo nervosa.
“Non farò mai più una cosa del genere, sappilo”, disse
Johanne con un sospiro.
“Beh, considerando che è la seconda volta che lo fai e che
dovrai farlo almeno altre due volte nel giro di questo mese”, disse Billy
ridacchiando, “e che la cosa si ripeterà per i prossimi due anni, non puoi
proprio evitarlo”.
“Rimarrò a casa a guardarmelo in televisione”, disse Johanne
guardandolo sottecchi.
Billy scoppiò a ridere, mentre la macchina nera si fermava
di fronte al tappeto rosso.“E’il
momento”, disse l’autista voltandosi per guardarli.
“Ti odio”, mormorò Johanne mentre Billy si accingeva ad
aprire la portiera della macchina.
Lui si voltò ad osservarla per qualche secondo, la mano
sulla maniglia della portiera. “Io ti amo”, disse. Le diede un bacio veloce
sulle labbra e quando si voltò i flash invasero la macchina.