And then you.

di Joey Melian
(/viewuser.php?uid=26625)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduction. ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 3: *** Capitolo due. ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei. ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette. ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto. ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove. ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci. ***
Capitolo 12: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Introduction. ***


And then you.

 

There's a little creepy house,
In a little creepy place.
Little creepy town,
In a little creepy world.
Little creepy girl,
With her little creepy face.
Saying funny things that you have never heard.
Do you know what it's all about?
Are you brave enough to figure out?

 

 

La casa blu era appena poco distante dalla strada asfaltata che conduceva nel Posto Ignoto.

Era una piccola casa, dai muri di un blu acceso. Un blu più blu del cielo non appena è calato il sole dietro le colline ad ovest della piccola casa. Era una casa assai strana: stretta ed alta, senza fiori alle finestre, rose morte nel giardinetto su cui si apriva la porta di legno scuro. Così scuro che sembrava nero chiaro.

La signora coi lunghi capelli bianchi era solita sedere dietro la finestra più in alto della casa, seduta sulla sua sedia a dondolo. Non pronunciava parola da anni, si diceva. Se ne stava semplicemente lì seduta ad osservare la strada, senza preoccuparsi dell’imposta della finestra che sembrasse molto vicina al cadere giù.  O dei bambini spaventati che lanciavano uova sulla porta nero chiaro.

Quel che risultava certo era che non si era mai vista in tutta la Scozia una signora simile.

Non ce n’era nemmeno una simile alla signora terrorizzata che ogni tanto faceva capolino dalla porta nero chiaro, con i capelli grigio topo perennemente crespi, gli occhi storti e le ossa sporgenti. Se ne stava lì, puliva la porta nero chiaro e tornava dentro, chiudendosi velocemente la porta alle spalle; ma non prima di aver dato uno sguardo in giro, per controllare di non essere osservata.

Ma ciò che teneva i bambini lontani dalla piccola casa blu non era il fantasma bianco alla finestra, o la strabica terrorizzata. Era una ragazzina, coi capelli neri lunghi fino ai gomiti; il volto pallido sembrava emanare luce propria, e gli occhi erano talmente chiari che una persona superficiale avrebbe certamente pensato che fossero bianchi quanto i capelli del fantasma alla finestra. Portava un vestito nero, lungo fino alle ginocchia, e teneva stretti al petto sempre una serie di libri che di certo avevano poco a che spartire con i bei libri colorati e pieni di figure degli altri bambini.

Ma Johanne Evans di certo non amava gli altri bambini.

Non era mai riuscita, che lei ricordasse, a fare la strada che separava scuola dalla sua piccola casa blu senza che quei maledetti bambini le combinassero qualcosa. Una volta un grasso bambino le appiccicò una gomma da masticare nei capelli; un’altra volta una bambina coi lunghi capelli biondi, con l’autista che l’aspettava per riportarla nella sua ricca casa dai suoi ricchi genitori, le gettò i libri in una pozzanghera.

Ma quello che Johanne Evans odiava maggiormente era quel nomignolo. Quel maledetto nomignolo.

Creepy  Johanne.

Tutta colpa di quel bambino che la vide, inginocchiata a terra, tentare di ripulire i libri che qualcuno aveva avuto la brillante idea di insozzare di tempera rossa. La vide lì, le mani e parte del viso sporchi di un rosso scuro (così simile a sangue), e scappò via urlando: “Creepy Johanne ha ucciso ancora!”.

 

Era un pomeriggio afoso dell’estate appena cominciata, quando la piccola casa blu spuntò da dietro l’angolo, e Johanne si chiese per quale motivo quel giorno avessero scelto di lasciarla stare per conto suo. Non finì neppure di formulare il pensiero, che si trovò davanti la ricca bionda che aveva l’insana abitudine di prendersela coi suoi libri.

“Oggi ce la farai ad andare a casa a farti una doccia e magari a cambiarti il vestito, Creepy Johanne?”, le chiese con l’aria di una bambina che passa la sua vita fra le finte braccia amorevoli di due genitori che per colmare la propria assenza riempivano la loro unica figlia di agi e regali.

Johanne alzò appena la testa, per osservare il punto migliore dove sviare per tornare a casa senza problemi almeno per un giorno. Quando le passò accanto, tuttavia, la maledetta bionda allungò una gamba; prima di riuscire a formulare un pensiero coerente, Johanne si trovò con la faccia a terra e la risata ovattata della maledetta bionda che si allontanava nelle orecchie. Qualcosa di caldo le scivolò sul naso.

“Maledizione”, mormorò. Senza sorpresa vide che le sue dita erano rosse, dopo essersele passate sulla fronte. Bel modo di tornare a casa tranquillamente.

Si mise seduta e cercò i fazzoletti nella vecchia borsa di pelle, che sembrava aver conosciuto anni migliori; ma, ovviamente, doveva esserseli scordati in classe nella fretta di uscire prima di tutti gli altri. Come ogni giorno.

Rimase seduta, una mano premuta sulla fronte sanguinante, quando vide un fazzoletto spuntarle davanti agli occhi; osservò la piccola mano che glielo tendeva, c’era dello sporco sotto le unghie. Seguì il magro braccio, coperto da una leggera camicia a quadri blu, fino al viso di un bambino dai lineamenti dolci, coi capelli rossi e l’aria preoccupata.

“Stai bene?”, le disse.

Johanne afferrò il fazzoletto, senza distogliere lo sguardo dal suo volto. Nervosa e diffidente.

Chi era quel bambino, che mai aveva visto prima di allora, e che si dimostrava quasi gentile nei suoi confronti? Perché si dimostrava quasi gentile nei suoi confronti?

“Allora, stai bene?”, chiese di nuovo. Non appena si piegò sulle ginocchia per osservarla meglio, lei con uno scatto lo spinse e si allontanò un poco aiutandosi con le mani. “Ma che diavolo fai?”, chiese lui prendendosi il polso nella mano; si era piegato in malo modo nel tentativo di parare la caduta.

“Chi sei?”, chiese Johanne osservandolo sottecchi.

Il bambino sollevò un sopracciglio nel vedere una grossa quantità di sangue uscire dal graffio sulla fronte e scenderle lentamente sul sopracciglio; le ferite alla testa sanguinavano sempre così tanto. “Mi chiamo Billy”, disse, “e mi sono appena trasferito lì”. Alzò il braccio dolorante e indicò una casa di un bel verde pastello; due uomini stavano scaricando scatoloni, a volte piccolissimi, a volte enormi, da un camioncino bianco posteggiato di fronte al giardinetto, seguendo le istruzioni di una donna dai capelli rosso scuro.

Johanne non guardò la casa.

Non guardò la donna ridere mentre un uomo se ne stava seduto sul divano momentaneamente posizionato in giardino a fumare una sigaretta. Non guardò il bell’armadio giallo trasportato dagli uomini in tuta dentro la casa.

Continuava a tenere gli occhi su quel bambino, chiedendosi di nuovo perché stesse parlando con lei.

“Perché parli con me?”, chiese.

Billy la guardò sorpreso: “Ho visto quello che ti ha fatto quella bambina e sono venuto a vedere se ti eri fatta male”, disse e inclinò la testa da un lato. “E poi perché non dovrei parlare con te?”.

“Perché hanno paura di me”.

“Chi?”.

“Gli altri bambini”.

“E perché dovrebbero aver paura di te?”.

“Sono Creepy Johanne”.

“Non è una cosa carina da dire di sé stessi”.

Johanne alzò la testa così in fretta da farsi male al collo. Il bambino si era tirato su ed aveva allargato le labbra: il primo sorriso che qualcuno le avesse mai rivolto.

Mentre il primo istinto di Johanne fu di allontanarsi di nuovo, ma rimase immobile. Seduta sull’asfalto, piccola e pallida, con quel rivolo rosso che le scendeva lungo la guancia.

“Vieni a casa mia”, disse Billy. “Mamma sa curare queste cose. Mia sorella si fa costantemente male”.

Johanne rimase silenziosa mentre Billy raccoglieva i suoi libri, la sua vecchia borsa di pelle e le tendeva una mano per aiutarla ad alzarsi; ma quando lei rimase immobile lui si inchinò, le prese una mano e la fece alzare quasi di forza. Rimase in silenzio mentre il bambino la tirava verso la casa verde, e una vaga sensazione di nausea si mischiava ad un leggero calore dentro di lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo uno. ***


Lost in the darkness
Hoping for a sign.
Instead there's only silence
Can't you hear my screams?

Never stop hoping,
Until you know where you are.

 

Il vento freddo le scosse i capelli, così tirò su la sciarpa fino a che il naso non fu nascosto.

Chi l’avesse incrociata lungo la strada deserta l’avrebbe considerata un fantasma, col cappuccio sulla testa per proteggersi dalla neve, e gli occhi, quegli occhi color ghiaccio, che risaltavano in quella maniera particolare.

Improvvisamente si fermò e voltò la testa verso una casa verde dall’altra parte della strada. Era una settimana che Billy se ne stava chiuso in casa con l’influenza. Rimase immobile qualche secondo, inclinando la testa da un lato; la scuola non sembrava la stessa senza di lui. Mosse qualche passo verso la bella casa verde, col bel giardino in fiore, e prima di accorgersene si trovò di fronte alla porta.

Sollevò appena un braccio per bussare, ma ripensandoci avrebbe fatto meglio ad andarsene; si voltò e tornò sui suoi passi, finché la piccola casa blu fu pienamente visibile innanzi a lei.

Erano passati otto anni dal giorno in cui Billy l’aveva portata dentro la casa verde, prendendosi cura di lei, e da quel giorno i due bambini erano diventati quasi amici.

A Johanne piaceva stare con Billy. A Johanne piaceva Billy, lo trovava divertente. Le aveva insegnato a ridere, a chiedere le cose con cortesia, a domandare scusa quando commetteva un errore. Lui era sempre gentile con lei, anche se gli era stato severamente proibito di avvicinarsi alla piccola casa blu.

La chiamava Jo, soprannome che le stava bene.

A Johanne piaceva Billy.

Le piaceva anche se un giorno l’aveva visto dalla finestra, mentre lui osservava la finestra dove sua nonna era solita sedersi a fissare il vuoto. Le piaceva perché non le aveva mai chiesto chi fosse quella donna che sicuramente l’aveva terrorizzato. Le piaceva quando Billy prendeva le sue difese, nella nuova classe dove si erano trovati insieme, quando avevano abbandonato le elementari.

“Sei in ritardo”, disse sua madre non appena Johanne spinse la porta nero chiaro per entrare nell’ingresso polveroso. Su un tavolino rotondo era posato un bel vaso viola, contenente una rosa che doveva esser stata rossa, quando ancora aveva le sembianze di una rosa. Ora era marrone, cadente, morta.

L’ultimo regalo di suo padre prima del Giorno Più Brutto.

“Scusa”, mormorò Johanne in risposta.

Sua madre le voltò le spalle e con mani tremanti rimise dritta la rosa morta, come se servisse a rendere più allegra la scura cucina dagli scuri mobili e le pareti così simili ad una scacchiera; Johanne ricordò il giorno in cui Derek Evans aveva posto quella rosa nel vaso e si era diretto al bagno al piano superiore. Ma quel giorno Johanne non pensò che suo fratello avrebbe varcato quella soglia e che per sempre ci avrebbe lasciato la sua mente. Non pensò che suo padre sarebbe uscito da quel bagno con un lenzuolo a coprirgli la faccia e due paramedici che lo trasportavano in barella. Non pensò che la loro vita da quel momento sarebbe cambiata per sempre.

Pensò al bacon nella padella. All’odore che emanava, al sapore che avrebbe avuto. Al fatto che di lì a qualche momento avrebbe mandato giù il miglior bacon del vicinato, che sarebbe stato ottimo, perché sua madre era in uno dei suoi giorni positivi. E i suoi giorni positivi erano rari.

Ma non avrebbe mangiato mai più il miglior bacon del vicinato.

“C’è dell’insalata nel frigo”, mormorò sua madre, tornata a lavorare a maglia i calzini che Johanne usava per dormire. Perché senza calzini non riusciva proprio a dormire.

“Non mi piace l’insalata”, disse Johanne.

“Allora vedi di fartela piacere”, rispose sua madre sollevando gli occhi, “perché c’è solo quello per pranzo”.

Proprio quando Johanne iniziò a pensare che per quel giorno poteva rimanere senza mangiare fino all’ora di cena il telefono fece due lunghi squilli.

Billy la veniva sempre a salvare.

“So che non ti piace l’insalata”, le disse la sua squillante voce al telefono.

Con naturalezza.

Come se fosse normale sapere già qualcosa che stava succedendo proprio in quel momento a cinquanta metri da casa propria. “Io ti ho fatto preparare del pollo da mia madre. Mi sento meglio, quindi la padrona ha dato il suo permesso perché tu possa venirmi a trovare”, le disse.

Attaccò il telefono senza dire una parola. Lui sapeva già quale fosse la risposta.

“Non mi piace l’insalata”, disse a sua madre.

Prese la borsa di pelle e uscì dalla casa. Non la turbò il rumore dei ferretti  per fare la maglia che si schiantavano sulla porta, né il grido d’odio che si levò da dietro la porta nero chiaro. Ormai si era abituata.

Non levò lo sguardo per vedere quei maledetti ragazzini che ridacchiavano osservando la finestra più alta della casa, dove il Fantasma Bianco era affacciato; proseguì dritta, quasi come una sonnambula, lungo la strada che aveva ormai percorso centinaia di volte.

Il cuore in petto le martellava un poco quando arrivò alla casa verde chiaro e si apprestò a bussare alla porta. Ma non pensò che anche quello per lei potesse essere un altro Giorno più Brutto.

Non lo pensò, perché mai avrebbe creduto che un Giorno più Brutto potesse avvenire insieme a Billy. Ma quando una ragazza coi capelli castano chiaro e due occhi così verdi da far sciogliere perfino le pietre aprì la porta avvertì la sensazione di qualcosa che era troppo profondamente sbagliato.

E quando Billy nell’avvicinarsi le mise un braccio attorno alla vita, Johanne sentì qualcosa dentro di lei andare in mille pezzi. Ma il suo volto, quel volto dalla pelle diafana, rimase imperscrutabile. Rigido, senza espressione alcuna.

“Ehi, Jo”, disse Billy.

“Ehi, Billy”, rispose Johanne. Senza distogliere lo sguardo dal volto della ragazza con gli occhi verdi. Come se il continuare a guardarla la rendesse meno reale.

“Io sono Lucy”, disse lei imbarazzata. “Stavo andando via, ma volevo conoscere la migliore amica del mio fidanzato prima di tornare a casa mia”, aggiunse lei tendendole una mano che Johanne non prese. Che nemmeno guardò.

Nessun suono uscì dalle sue labbra quando si voltò per percorrere quel vialetto costeggiato di fiorellini gialli un po’ appassiti dall’arrivo del vento autunnale. Non disse una parola nemmeno quando Billy la chiamò, fermo sulla soglia. Non parlò nemmeno quando lui la rincorse, tenendola per mano.

Non parlò quando uscì dal cancello, tenendo lo sguardo fisso sulla porta nero chiaro di casa sua. Il posto che più di tutti aveva odiato, ma l’unico che in quel momento potesse darle protezione. Perché Billy non avrebbe rotto la promessa. Billy le manteneva le promesse, e non si sarebbe avvicinato alla casa.

Quando si chiuse la porta alle spalle il telefono già squillava, ma stavolta non avrebbe risposto.

Non avrebbe alzato mai più quella cornetta.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo due. ***


If I walk down this hallway,
tonight, it's too quiet.
So I pat through the dark
and call you on the phone.
Push your old nummers,
and let your house ring,
‘till I wake your ghost.

 

Il telefono non smise di squillare.

Né quel giorno, né i giorni seguenti.

Poi, un giorno, più niente.

Il giorno del diploma il telefono smise di squillare del tutto.

E tutto ciò che si lasciò alle spalle fu il vuoto.

 

 

“Posso offrirti qualcosa?”.

La seconda volta che quel ragazzo le ripetè la stessa frase Johanne si ritrovò fra due scelte: accettare di bere gratis, oppure mandarlo al diavolo con un pugno sul naso.

Ma prese di buon grado la prima opzione.

“Come ti chiami?”, le chiese il ragazzo.

“Jo”, rispose lei sollevando gli occhi dal suo bicchiere di tequila. Il ragazzo che in quel momento le sorrideva aveva i capelli biondicci, gli occhi azzurri e le guance rosse di chi anche quella sera ha alzato un po’ troppo il gomito. “E tu come ti chiami?”, si vide costretta a chiedere.

“Dominic”, rispose lui. “Tanto piacere”. Si, un grandissimo piacere.

“Sai, domani mattina devo alzarmi presto”, disse Johanne terminando il suo bicchiere di tequila; “magari ci becchiamo in giro qualche volta”, disse.

Anche se ci credeva molto poco.

“Sai, anche io domani devo alzarmi presto”, disse Dominic scolandosi il suo whiskey come fosse acqua, “e sotto il mio albergo c’è la fermata dell’autobus. Potresti venire con me e prendere l’autobus lì”.

Non c’era niente di male, in fondo.

Dato che era solo la sua terza sera a Wellington, Nuova Zelanda, pensò che avrebbe fatto meglio a prendere un autobus insieme a qualcuno con la faccia di uno appena uscito da Happy Days, piuttosto che da sola in quella via putrida.

Ma non prese l’autobus quella notte.

Fece sesso con Dominic tre volte, prima di addormentarsi stordita fra le sue braccia, nel suo letto, nella sua stanza d’albergo. Come aveva fatto negli ultimi sette anni della sua vita, d’altra parte.

A diciassette anni aveva perso la verginità in un parcheggio nei pressi di casa sua, insieme ad un chitarrista ubriaco che aveva appena suonato nel pub dietro casa di Johanne. Da quella notte era iniziato una specie di circolo, che l’aveva portata fra le braccia di un ragazzo di nome Dominic, che sembrava appena uscito da Happy Days.

Quando la sveglia suonò alle cinque e mezza della mattina dopo, Johanne quasi faticò nel ricordarsi dove si trovava. O cosa dovesse fare quel giorno.

Poi, quando osservò Dominic che ancora dormiva beato fra i cuscini bianchi di quell’albergo scadente le tornò in mente l’appuntamento delle sette del mattino dall’altra parte della città.

Scese dal letto e osservò la sua nuda immagine riflessa nello specchio: le ginocchia nodose, i residui della calda notte ancora sul ventre piatto, il piccolo seno che aveva urgente bisogno di uno sguardo di un chirurgo plastico e la cicatrice sulla coscia destra ancora ben visibile da prima del Giorno più Brutto.

Il suo primo Giorno più Brutto.

Si infilò nella doccia, con gli occhi chiusi e l’acqua calda che le sfiorava i capelli. Non pensava a niente Johanne, mentre Dominic si svegliava lentamente dal suo sonno beato. Non pensava a niente Johanne, mentre Dominic rimaneva ad occhi spalancati a fissare il soffitto giallognolo della propria stanza, sentendo che il suo brillante futuro stava per arrivare, finalmente.

“La tua doccia fa schifo”, disse Johanne uscendo nuda dal bagno.

Fecero sesso di nuovo, prima che Johanne si infilasse nuovamente le sue cose e prendesse l’autobus che avrebbe dovuto prendere la sera prima. Ma stavolta sarebbe scesa davanti agli studi cinematografici di vattelappesca, in cui avrebbe fatto l’assistente per qualcuno di cui non ricordava il nome, un qualche regista con cui probabilmente sarebbe andata a letto una sera di quelle.

E che l’avrebbe licenziata appena la moglie l’avrebbe scoperto. Ormai conosceva la prassi.

“Mi piacerebbe rivederti”, le aveva detto Dominic mentre si rivestiva. Lo dicevano tutti, ma nessuno lo pensava mai realmente. Anche di questo aveva imparato presto la prassi.

Senza contare che lei stessa non avrebbe voluto più rivederli.

“Il signor Jackson la sta aspettando, signorina”, le disse l’odiosa segretaria all’entrata, indicandole una porta sulla destra. Ma Johanne si sarebbe aspettata di trovare chiunque, ma non la persona che vide quando aprì la porta.

Un ometto basso e ciccione, con barba e capelli fitti e neri, e due occhiali che avrebbero fatto invidia al televisore che Johanne si ritrovava nella stanza del suo albergo.

No. Decisamente non ci avrebbe fatto sesso.

Parlarono per un ora e mezza, prima che il signor Vattelappesca le desse il posto di porta caffè e porta non si sa che cosa per il regista. Avrebbe iniziato quello stesso pomeriggio, quando il signor Vattelappesca regista si sarebbe trovato sul set di Hobbiqualcosa.

Ma Johanne non ascoltava.

Pensava che le sarebbe piaciuto fare di nuovo sesso con Dominic.

Ma no, non si poteva. Solo per una notte, quelle erano le regole del gioco.

Anche se Dominic faceva un sesso da Oscar, per la miseriaccia.

E proprio mentre pensava tutte quelle cose, fuori dalla stanza del Vattelappesca signor regista, lo vide. Entrava ridendo dal grande portone d’ingresso, con un borsone in spalla e un amico vicino. Un tipo magrolino, coi capelli rosso scuro, che indossava dei grossi occhiali da sole.

Johanne inclinò la testa da un lato, chiedendosi perché quella scena le avesse fatto smuovere lo stomaco, quando l’amico magrolino fissò lo sguardo su di lei. Allora se ne rese conto.

Ma il suo viso rimase di nuovo imperturbabile, come quel giorno, nonostante dentro di lei avvenisse una battaglia all’ultimo sangue. Una enorme, fottuta, rumorosa battaglia.

 

“Ascoltami”.

“Non voglio starti a sentire”.

“Devo pur dirti qualcosa!”.

“Risparmia il fiato”.

“Lucy è …”

“Non mi importa niente di chi lei sia”.

“Jo, ti prego, ascoltami”.

“Per quanto mi riguarda questa conversazione è finita”.

“Ma …”

“Finita per sempre, Billy”.

 

Quando Billy sollevò gli occhiali per vedere se fosse pazzo o meno, Johanne era sparita.

“Ehi, ma mi ascolti?”, chiese Dominic.

Billy guardò l’amico con gli occhi stralunati: “Si, ti ascolto, Dom”, disse.

“Sembra che tu abbia visto un fantasma”, disse Dominic, “ma credo sia più importante quella specie di tigre che mi sono portato a letto ieri notte, piuttosto che il tuo fantasma”.

“Andiamo, amico, non crederò mai che fosse così tigre come dici”, disse Billy scuotendo la testa e credendo veramente di aver immaginato il tutto. “Sarà stato un agnellino docile docile”, aggiunse sorridendo.

Dominic si mise dinnanzi a lui e gli posò la mano sulla spalla, facendo la sua solita espressione alla amico-io-ne-so-più-di-te-in-fatto-di-donne. “Fidati di me, signor Boyd”, disse, “quando ti dico che quella era una vera e propria furia. Sembrava proprio una furia scatenata, seriamente! Il giusto mix fra rabbia, voglia, bravura e passione che ogni uomo cerca in una donna”.

“Se lo dici tu”, disse Billy, tornando a guardare il punto dove il suo fantasma era scomparso.

Si. Decisamente aveva immaginato tutto.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo tre. ***


All of my memories keep you near.
In silent moments,
Imagining you here.
All of my memories keep you near,
In silent whispers, silent tears.

 

La colazione di quella mattina ancora galleggiava nel bagno di quei maledetti studios.

Maledizione, maledizione!

Billy Boyd, attore scozzese. Che aveva appena ricevuto una parte nel famosissimo film del regista Vattelappesca con cui aveva parlato poco prima. Come aveva potuto essere così stupida?

 

“Da quant’è che non vedi Billy?”

“Un po’, mamma”.

“Sai, so che è entrato nella scuola di arte drammatica dove voleva tanto andare”.

“L’ho letto da qualche parte a scuola”.

“Non te l’ha detto lui?”.

“Non ci parlo più, mamma, l’hai dimenticato?”.

“Non credi che in un momento simile dovresti capire quando perdonare?”

“E’morta la nonna, mamma, non fare finta di ritenerla una situazione importante”.

“Non dire stupidaggini, tua nonna era importante per me”.

“Si, certo mamma, come no”.

“Era importante tua nonna per me”.

“Ovviamente”.

“EraMoltoImportantePerMeTuaNonnaStupidaPuttanaPsicopatica”.

 

Dopo aver tirato la catena, Johanne uscì dal bagno e si guardò allo specchio. Le occhiaie sotto gli occhi e la bocca pallida non lasciavano nessun dubbio a chi l’avesse guardata.

A chi avesse guardato la StupidaPuttanaPsicopatica non sarebbe sfuggito il fatto che avesse appena vomitato, così alla sua lista di prese in giro avrebbe dovuto aggiungere Bulimica.

Grande giornata.

Proprio una grande giornata.

Aprì la porta bianca con su disegnata una donnina rosa e si guardò attorno. Billy era sparito, assieme a Dominic, da qualche parte.

E Johanne sentì chiaro l’istinto di correre via. Proprio come aveva fatto quel giorno Billy, in cui aveva deciso di andarsene dal piccolo paese che l’aveva ospitato per anni, pronto a dirigersi incontro alla scuola di arte drammatica che tanto l’aveva tormentato. E che l’avrebbe accolto a braccia aperte il MaledettoTraditore. In fondo Johanne era riuscita a capire quanto una bugia potesse essere semplice per una persona così dotata. Perché Billy era dotato. Era molto dotato.

Ma aveva avuto anche coraggio il MaledettoTraditore.

Aveva avuto molto coraggio a fermarsi dinnanzi ai muri blu, più blu del cielo non appena è calato il sole dietro le colline ad ovest della piccola casa.

Aveva avuto coraggio nel percorrere il vialetto costeggiato di rose ormai morte da tempo. Morte, come il cuore delle persone che abitavano dietro la porta nero chiaro. Coraggio nel bussare a quella porta che gli era stato vietato perfino di guardare.

Aveva avuto molto coraggio il MaledettoTraditore a guardarla negli occhi, dicendole di star andando via. Non molto più lontano di quanto non lo fosse ormai per Johanne, perché in fondo era a Glasgow che andava. A meno di venti chilometri dal loro piccolo paese.

E Johanne era rimasta in piedi, la mano sulla porta, ad osservarlo parlare.

E parlare.

E parlare ancora.

Non disse una parola Johanne, nemmeno quando, dopo averla fissata negli occhi ed aver fatto un passo verso di lei, le mormorò “Mi mancherai Jo”.

Aveva gli occhi rossi il MaledettoTraditore. Che grande attore.

Quando Billy voltò le spalle per salire sul taxi che l’avrebbe portato via, Johanne chiuse la porta. E avvertì una sola, amara lacrima scenderle lungo il volto. L’ultima evidenza di qualcosa di umano nel suo cuore, che scacciò con un semplice gesto distratto della mano.

E nessuna lacrima rigò più il viso di Johanne Evans. L’ultimo frammento del suo cuore era salito su quel taxi, che si allontanava di gran carriera da quelle case colorate, e che Johanne non avrebbe più visto tornare.

Pensava a tutte quelle cose mentre percorreva il piccolo corridoio che l’avrebbe condotta al grande salone, dove l’odiosa segretaria la guardò sottecchi, quasi aspettandosi che tirasse fuori la pistola per uccidere tutti; il dito poggiato delicatamente contro il pulsante d’emergenza.

Ma non era nei piani di Johanne uccidere qualcuno.

Non in quel momento, almeno.

“Lo sapevo che eri tu”, disse una voce dietro di lei. Una maledetta voce.

Ecco, ora avrebbe anche potuto uccidere qualcuno.

Voltandosi, Johanne ebbe una rapida visione di quegli enormi occhiali da sole che venivano tolti e gli occhi verdi che uscivano allo scoperto, timorosi e insieme curiosi. Il MaledettoTraditore la osservava con lo sguardo stupito, la testa inclinata da un lato e il sorriso a mezza bocca che le aveva rivolto il Giorno del Fazzoletto. Quindici anni prima.

Una vita intera prima.

Rimasero immobili, da una parte all’altra della grande stanza, guardandosi.

“Aspettate”, disse una voce ovattata. “Ma voi due vi conoscete?”.

Ah, giusto.

Dominic.

“Non l’ho mai visto in vita mia”, disse Johanne aprendo la porta a vetri che dava sull’esterno. E stavolta Billy non chiamò il suo nome. Non la seguì.

Non fece nulla di simile.

“Mi sei mancata, Jo”, mormorò semplicemente.

E la mano di Johanne tremò sul maniglione della porta, che tuttavia lasciò andare. Lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle, che quelle parole rimanessero nell’aria profumata di lavanda della grande stanza degli studios.

Uscì in strada.

E cominciò a correre.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo quattro. ***


What a day to be alive.
What a day to realize I'm not dead.
What a day to save a dime.
What a day to die trying.
What a way to say goodbye.
What a wonderful life now all a lie.
What a way that you survive.
What a day to say good night.

La voce ovattata continuava a parlare al suo fianco.

Dominic doveva star esaurendo tutte le parole del suo stupido inglese di Manchester.

Ma Billy non lo ascoltò e fece un passo avanti: “Mi sei mancata, Jo”. Non vide la sua mano tremare, non vide la rabbia delle sue nocche bianche strette sul maniglione della porta, non ascoltò il suo respiro disturbato dall’ansia di fuggire via.

Non riuscì mai a comprendere pienamente perché avesse detto quelle parole. In quel momento avrebbe solo voluto che Dominic smettesse di parlare.

“Come fai a conoscerla?”, chiese Dominic.

“Era mia amica. Quando eravamo piccoli”, disse Billy e si accorse di avere il fiato corto come chi, in barba all’asma, si fuma un pacchetto di sigarette. Guardò l’amico. “E tu come la conosci?”, domandò. Ma senza sapere perché, già aveva in mente quale sarebbe stata la risposta.

“Hai presente la furia scatenata di cui ti parlavo prima?”, disse Dominic, assumendo di nuovo l’aria da uomo vissuto. “Era precisamente quella strana tipa che era qui prima”.

Rimasero in silenzio, mentre l’espressione di Dominic andava esaurendosi. “Piccolo il mondo”, disse l’inglese.

“Già. E’davvero piccolo”, rispose Billy tornando ad osservare la porta.

 

“Staremo insieme per sempre, non è vero Jo?”

“Il per sempre è lungo, Bill”.

“Lo so quant’è lungo, ma credo che con te potrebbe essere anche abbastanza breve”.

“Questa frase non ha senso, Bill”.

“Lo so, ma l’ho letta in qualche libro. E dopo i due facevano l’amore”.

“Ma che razza di libri leggi?”

“Era sul comodino di mia madre”.

“Sarà. Comunque di tempo per fare l’amore ce n’è anche troppo”.

“Il per sempre è lungo”.

“E’vero, Bill”.

 

Quando la pioggerella mattutina cessò di cadere dal cielo Johanne quasi si sorprese. Credeva che la pioggia potesse durare in eterno, piangendo per lei lacrime che i suoi occhi non riuscivano a far uscire. Sollevò la testa, osservando la cima dei palazzi che aveva attorno; e solo in quel momento si accorse di non aver mai osservato la città di giorno.

Trascorreva le mattinate nel letto della sua stanza d’albergo, o a fare sesso con qualche malcapitato notturno. Dormiva qualche ora ed usciva di nuovo quando ormai era buio, alla ricerca di qualcosa che potesse alleviarle il vuoto che sentiva nel petto.

Un vuoto a cui non pensava, a cui non voleva pensare.

Proprio quel vuoto che sembrava essersi riempito di nuovo di oscurità in quella grande stanza degli studios.

E ricordò il rumore del piatto che andava in frantumi e il sangue che le sgorgava dalla gamba che in quel momento non riusciva quasi a sentire più.

Non aveva fatto male, non allora.

Sembrò allora che il sangue che usciva a fiotti non fosse il suo, ma fosse come in uno di quei film che lei e Billy guardavano in tv nella casetta verde dove le piaceva tanto andare. Dove c’è il palloncino pieno di colore rosso che esplode quando il finto colpo di pistola colpisce la vittima. Era un ottimo trucco; Billy gliel’aveva insegnato e un giorno si erano così divertiti a fare uno scherzo alla sorella di Billy usando uno di quei palloncini.

Si era spaventata tanto.

Ma Johanne non si era spaventata nel vedere tutto quel sangue uscirle dalla ferita aperta sulla coscia. L’aveva spaventata molto di più sentire sua madre gridarle “PuttanaPsicopatica” mentre le lanciava ogni genere di cosa addosso. E tutto perché quella mattina aveva trovato qualche goccia di sangue nelle mutandine.

Stupida, stupida mamma.

Johanne aveva provato ad alzarsi, ma la gamba ferita cedette. E così si trascinò fuori dalla cucina, verso la porta nero chiaro che l’avrebbe portata all’esterno, dove sua madre non usciva mai.

Ma proprio mai.

E dove forse Billy l’avrebbe aspettata; quindi fu con poca sorpresa che lo vide correrle incontro, il volto pallido e sudato. Non si stupì quando Billy la prese in braccio e la portò lontana dalla porta da dove giungeva una voce rauca che gridava “SiPortalaViaQuellaPuttanaPsicopatica”.

Ma la gamba aveva iniziato a fare veramente male, così Johanne gridò.

 

“Ti porterò via di lì, Jo”.

“E come?”

“Non lo so ancora. Ma so che un giorno ti porterò via da quella casa blu”.

 

 “Ehi, Bill. Oggi il tuo aspetto è quasi peggiore del solito”, disse Elijah entrando sorridendo in una delle grandi roulotte allestite per il trucco.

“Lascialo stare”, disse Dominic, “oggi abbiamo scoperto di avere molto in comune”. Scoppiò a ridere.

Ma Billy non sentì quelle parole. A dire il vero non aveva sentito niente di niente per tutto il giorno, in cui era stato sballottato a destra e manca, legato sulle spalle di un tizio col costume che puzzava di polistirolo e cera per i pavimenti.

Non aveva sentito niente.

“Mi ha chiamato Ali, prima, dicendomi che è tutto il giorno che non ti fai vivo”, disse Dominic. “Le ho detto che non ti sentivi molto bene”, aggiunse in un sussurro, “ma io credo che dovresti dire alla tua fidanzata che cosa è successo oggi”.

“Non ho niente da dire alla mia fidanzata, Dom”, disse Billy distogliendo lo sguardo dalle protesi per i piedi che stava fissando da una buona mezz’ora.

Dom annuì. “Certo, amico”, disse.

E la sensazione fu chiara nella sua mente. Come era stata chiara il giorno del SiPortalaViaQuellaPuttanaPsicopatica. Quella sensazione profonda quanto la propria anima, che qualcosa si avvicinava.

Che lei si avvicinava.

Sentì la sua voce parlare con Peter Jackson. Ma la voce non arrivava da fuori il camper, ma dalla sua testa. Era come se lei fosse dentro la sua testa, insieme al regista che le chiedeva quante volte avesse letto il libro; e lei gli rispondeva che, si, l’aveva letto, ma una volta sola. Da piccola.

Quando era ancora troppo piccola perché un normale bambino potesse anche solo sperare di capirlo.

Ma lei si. Lei l’aveva capito.

Perché lei era diversa.

Lei era speciale.

Specialissima.

Billy scosse la testa, sperando che quelle voci sparissero, e la voce da cartone animato di Dominic gli inondò nuovamente le orecchie.

“Credo sia ora”, disse Sean interrompendo il monologo di Dominic senza mezzi termini. Osservava l’orologio, impaziente. “Si, è proprio ora”, aggiunse.

“Ehi, amico, calmati”, disse Elijah, “che il set non scappa via”.

Billy sollevò gli occhi quando Dominic gli prese un braccio per tirarlo su dalla sedia su cui ormai aveva deciso di mettere le proprie radici.

Era spaventato, Billy. Come lo può essere un bambino che si sente andare incontro ad un patibolo.

E infatti la vide, dritta in piedi accanto a Peter Jackson. Un fantasma pallido, coi capelli neri ora corti fino alle spalle e quegli occhi che sembravano scrutarti nella parte più profonda del tuo essere.

Ma i suoi occhi non sorridevano mai: erano imperturbabili ancor più del suo volto. Né tristi, né felici.

Era andata al suo albergo a cambiarsi, evidentemente. Portava dei leggins scuri, che mettevano in risalto le ginocchia nodose e una maglietta fin troppo grande per lei, a righe bianche e nere.

“La nostra amica”, disse Dominic al suo orecchio.

Ma Billy non lo ascoltava.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo cinque. ***


You know that I know you well.
I've written all myself, if you can't tell,
With a melody that climbs and then falls.
Then falls, without you.

And then there's you.
Then there's you.

 

Stupido, stupido Billy.

Stupido Billy che sa recitare così bene.

Uno dei migliori attori drammatici alla stramaledetta accademia di recitazione scozzese.

La stramaledetta accademia.

Johanne odiava quella stramaledettissima accademia.

Odiava anche quello sguardo che Billy le aveva lanciato appena finita la sessione di riprese di quel giorno, mentre tornava al camper per togliersi tutto quel trucco di dosso.

L’aveva guardata, con quegli occhi troppo verdi e le si era avvicinato lentamente, quasi come in quei vecchi film, dove quando i due protagonisti si incontrano dopo tanto tempo si corrono incontro al rallentatore.

Ma quello non era un film di cui loro erano i protagonisti, anche se Billy indossava una ridicola parrucca ricciuta e delle enormi protesi ai piedi.

“E’bello rivederti”, le disse.

“E’bello che mostri di nuovo le tue grandi doti di attore”, disse Johanne voltandosi per tornare di nuovo al fianco del signor regista Vattelappesca.

Ma stavolta Billy le afferrò il polso, facendola voltare di nuovo verso di lui. Il suo sguardo, quel suo maledetto sguardo, era impaurito, arrabbiato, nervoso. Johanne sentì l’impulso di dargli un pugno.

Rimasero lì, immobili. Il polso di Johanne stretto nella mano di Billy, che non sembrava avere la minima intenzione di lasciarla andare.

“Dovrai tornare a parlarmi un giorno, Jo”, le mormorò infine. “Dovrai perdonarmi qualcosa che non ho mai capito di aver fatto”.

“Quel giorno è molto lontano”, disse lei distogliendo gli occhi dal suo viso.

La paura cominciò ad insinuarsi del suo cuore quando sentì che il suo braccio veniva leggermente tirato in avanti. Ma non sollevò gli occhi quando Billy le passò le braccia dietro la schiena, stringendola a sé. Inspirando il suo profumo, sentendo i suoi capelli sul viso, tenendo ancora stretto il suo polso per paura che fuggisse di nuovo, lontano.

Troppo lontano. Come quel giorno di tanti anni prima, nel ridente giardinetto della sua casetta verde.

Continuò a tenerla stretta, forse per un momento, forse per qualche ora, prima di lasciarla andare. Ma il volto di Johanne continuava a fissare il vuoto.

Vuoto, come il cuore che lentamente sembrava scaldarsi nel suo petto.

Come quindici anni prima, sul marciapiede che portava alla casa blu di cui tutti i bambini avevano paura.

E Johanne seppe che stava per accadere, ancor prima che succedesse.

Sapeva che Billy avrebbe lasciato andare il suo polso, che avrebbe messo una mano sotto al suo mento e un'altra fra i suoi capelli neri come la notte. Sapeva che l’avrebbe baciata, ancor prima che succedesse.

Eppure rimase immobile; e lasciò che accadesse.

 

“Promettimi una cosa, Billy”.

“Che cosa?”

“Non avvicinarti mai alla mia casa”.

“E perché non dovrei?”

“E’maledetta quella casa, Billy”.

“Oh, andiamo, scherzi”.

“No. Non scherzo”.

 

Fu per qualche secondo. I più lunghi della sua vita.

Non riuscì a capire come le loro bocche potessero trovarsi così, quasi come se l’avessero fatto sempre.

Ma, al diavolo, in quel momento non gliene importava proprio niente.

Sentiva i suoi capelli nella mano, così fini e folti; il suo profumo di bagnoschiuma misto con il forte odore dell’erba dove avevano girato per tutto il pomeriggio. Sentiva alcuni sguardi puntati su di loro.

E, si, stava tradendo la piccola ed ingenua Ali, che non meritava per niente una cosa simile. Ma nemmeno di questo gli importava.

Né gli importava dei sette anni di silenzio dietro le loro spalle, né pensava minimamente alle ripercussioni che una cosa simile avrebbe potuto comportare.

Era lì, adesso.

Con Jo.

E tutti i mali del mondo sembravano essere dietro di lui, inesistenti.

Quando il bacio si interruppe rimasero per qualche secondo a guardarsi negli occhi. E Billy guardò gli occhi di Johanne, vedendoci per la prima volta qualcosa di diverso dal solito vuoto a cui si era abituato molti anni prima. La guardò negli occhi e tutto quello che riuscì a vederci fu l’odio più profondo che avesse mai visto.

Spaventato tolse le mani dal suo viso e la guardò indietreggiare, voltarsi ed allontanarsi.

Lentamente, quasi barcollando.

E fu con terrore che osservò una mano di lei salire sul volto, per scacciare qualcosa di troppo scomodo per essere mostrato.

Qualcosa che probabilmente faceva più male del dolore stesso che sentiva nel petto.

“Sai di doverci qualche parola, amico?”, disse una voce dietro di lui. E non fu sorpreso, nel voltarsi, di vedere davanti a sé tre paio di occhi accusatori. Elijah aveva parlato anche a nome degli altri, forse un po’ troppo disorientati per poter perfino biascicare qualcosa.

Billy rimase in silenzio mentre il peso di ciò che era appena accaduto cominciava a stordire un po’ anche lui.

 

 

 

 

 

littleblow: Accontentata ;)

FieryRedhead: partendo dal presupposto che adoro il tuo nick, ti ringrazio é.è

                               E’vero, non ci sono molte storie che hanno Billy come protagonista, purtroppo.

                               Io starei ore a leggere solo quelle *-*

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo sei. ***


My name it means nothing.
My fortune is less.
My future is shrouded in dark wilderness.
Sunshine is far away, clouds linger on;
everything I possess, now they are gone.
Oh where can I go to and what can I do?
Nothing can please me only thoughts are of you.
You just laughed when I begged you to stay.
I've not stopped crying since you went away.
The world is a lonely place you're on your own,
guess I will go home sit down and moan.
Crying and thinking is all that I do;
memories I have remind me of you.

 

Dominic dormiva già beatamente quando sentì una presenza scivolare lentamente sotto le sue coperte. Una presenza che gli sussurrò di rimanere in silenzio.

E lui voleva davvero fermarla, ma quando sentì quelle fresche mani sfilargli la maglietta ed insinuarsi nei pantaloni del pigiama grigio con cui aveva avuto davvero intenzione di dormire, tutto ciò che riuscì a fare fu di abbandonarsi all’inevitabile. Un inevitabile davvero invitante.

 

“Sei innamorato di lei?”

“Non lo so”.

“Come puoi dire di non saperlo quando dieci minuti fa avevi la bocca incollata alla sua?”

“Dico di non saperlo semplicemente perché davvero non lo so”.

“Non avevi detto che erano anni che non la vedevi né la sentivi?”

“E’così”.

“E ti metti a baciarla? Giusto per rivangare i vecchi tempi?”

“E’successo e basta”.

“Sarà pure successo e basta,amico, ma con Ali come hai intenzione di metterla?”

 

“Sai che Billy è innamorato di te, vero?”, domandò Dominic alla sua amante dai capelli neri quando ormai il fresco mattino aveva cominciato ad inondare la sua enorme roulotte.

Johanne si voltò così rapidamente che sentì le ossa del collo scricchiolare leggermente, le mani rigide mentre chiudeva i bottoni della sottile camicetta bianca che indossava. “No”, disse, “non lo è”.

“Padrona tu di dire una cosa simile”, disse Dominic cadendo nuovamente nei cuscini. “Eppure io so quello che ho visto e che poi mi ha raccontato. So quello che aveva su quella faccia da scozzese dopo averti baciata”. Avrebbe voluto dire altro, ma Johanne si affrettò a chiudergli la bocca con un bacio.

Non voleva che Dominic parlasse. Voleva solo che chiudesse quella stramaledetta bocca e la lasciasse tornare nella sua roulotte in tutta tranquillità. Era forse chiedere un po’ troppo?

“E quindi hai intenzione di tornare qui e fare sesso con me tutte le volte che ti pare e piace?”, chiese Dominic mentre Johanne si avvicinava all’entrata della roulotte.

Lei posò una mano sulla maniglia di ferro e rimase in silenzio per qualche momento. “Vedo che hai centrato il punto”, disse.

Quindi uscì silenziosamente nel campo erboso che avevano allestito a piccolo campeggio, di modo che la mattina dopo sarebbero stati pronti ad affrontare una nuova giornata di riprese senza intoppi da lungo viaggio o qualcosa di simile che la produzione aveva detto un giorno, ma che Johanne non aveva ascoltato.

Non ascoltava mai gli altri.

Le parole sembravano rimbalzarle da un orecchio all’altro, senza giungere a destinazione.

Ed era un problema. Si, era un grande problema.

Grande quasi come il fatto che dovesse cominciare a lavorare di lì a mezz’ora e aveva dormito al massimo un paio d’ore quella notte.

Con un’alzata di spalle iniziò a spogliarsi per gettarsi nella doccia della sua roulotte, ma il suo sguardo cadde sul polso che Billy aveva stretto per non farla andare via, e dove ora c’era una leggera chiazza viola.

Quel brutto idiota aveva stretto troppo.

Stupido, stupido Billy.

E la sentì di nuovo, quella voglia di prenderlo a pugni. Pugni così forti da fargli uscire sangue perfino dai punti dove uno non si aspetterebbe mai di poterlo perdere. Si passò la mano sul viso, dove un’altra di quelle maledette goccioline trasparenti e salate scendeva di nuovo.

Era arrabbiata, Johanne.

Era furiosa.

 

“A cosa stai pensando? Ora, in questo preciso istante”.

“Alla tua domanda, Jo”.

“Prova ad essere serio per una volta!”

“Sto pensando a te”.

“Quanto sei noioso”.

“Sto pensando ai dieci figli che avremo fra vent’anni, quando finalmente ti avrò portata via da casa tua e saremo liberi”.

“Okay. Ora va molto meglio”.

 

Ciao! E’la segreteria di Billy che state chiamando. Lasciate un messaggio e vi richiamerò quando mi ricorderò di ascoltare la segreteria telefonica!

“Ehi. Forse ti ricordi di me. Sono la tua fidanzata, Ali. Probabilmente alla tua ragazza farebbe piacere sentirti ogni tanto, invece di parlare sempre o con Dominic o con questa maledetta segreteria telefonica! Richiamami”.

Billy sollevò quasi a fatica il cellulare, tentando di mettere a fuoco lo schermo.

La bottiglia di scotch era ancora sul comodino accanto al letto della sua roulotte, quasi finita. Nella testa avvertiva un fastidioso ronzio, come quando le zanzare si mettono a ronzarti intorno la notte, quando ti stai per addormentare e arrivano proprio sul più bello.

Non avrebbe dovuto bere. Era stata proprio una pessima idea.

Ma quella bottiglia di scotch era stata così dannatamente invitante.

A fatica si sollevò dal letto, prendendosi la testa fra le mani; credendo di essersi appena svegliato da un brutto sogno. Uno di quelli che quando ti svegli senti così reali da averne quasi paura.

Compose il numero di Ali, ma dopo il secondo squillo cambiò idea. Se ne sarebbe fatta una ragione se per un altro giorno non l’avesse chiamata, in fondo. Molto in fondo.

“Okay”, mormorò a sé stesso alzandosi dal letto. Bevve un paio di lunghe sorsate dalla bottiglia d’acqua posata accanto ai fornelli inutilizzati ed uscì nell’aria fresca della mattina. Senza una doccia, senza lavarsi i denti; solo con una impellente urgenza nella testa. E infatti dopo qualche passo osservò Jo uscire furtivamente dalla roulotte di Dominic ed avviarsi rapidamente verso un'altra roulotte poco lontana da lì.

Non sapeva da quanto tempo sentisse quel tipo di sensazione, come se una parte della testa di lei fosse nella propria. Avvertiva quando lei era in pericolo, sapeva quando le stava capitando qualcosa di piacevole e che cosa stava succedendo. Conosceva i suoi desideri più profondi, le sue paure, senza bisogno che lei gliene parlasse mai.

E forse quel tipo di sensazione l’aveva portato su quel marciapiede, proprio quel giorno. Così come ora lo stava spingendo a fare una cosa così stupida, ma che quel dannato scotch che ancora gli viaggiava nel corpo non gli impediva di fare.

Si passò una mano sul viso, desiderando ardentemente che l’erba sotto i suoi piedi non continuasse a moltiplicarsi, e muoversi, e ondeggiare. Ma per qualcuno che non beve da parecchio tempo è veramente troppo da desiderare.

Bussò tre volte, con forza, alla porta metallica della roulotte. E quando lei gli aprì, con un asciugamano stretto attorno al corpo e i capelli bagnati che andavano in tutte le direzioni, non poté impedire alle sue ginocchia di cedere, così dovette appoggiarsi allo stipite della porta per non crollare a terra.

“Perché eri con Dominic stanotte?”, le chiese. Un tremito nervoso nella voce.

“Sei ubriaco”, disse Jo.

Cattiva, cattiva Jo.

“Non sono mai stato tanto meglio in vita mia”, disse Billy.

E senza riuscire più a trattenere quell’istinto primitivo nel corpo, la baciò con rabbia. La stessa rabbia che tratteneva da sempre, che non era mai riuscito a sfogare come fanno i normali esseri umani, compiendo azioni stupide o cedendosi completamente allo sport.

Quello era il suo sfogo.

E la sentì premere il corpo nudo contro i suoi vestiti, l’asciugamano perso chissà dove, e baciarlo con la stessa rabbia. Con la sua stessa ferocia. Col suo stesso istinto.  

Non fu come la sera prima.

Poi Billy sentì vagamente le mani di Jo salirgli sul petto e, senza un minimo di riguardo, spingerlo lontano. Così improvvisamente da mandare lui, e il suo stupido cervello di ubriaco, con la schiena a terra, nell’erba fuori dalla roulotte.

Cominciò seriamente a darsi dell’idiota quando sentì la porta metallica che si chiudeva con un tonfo.

In quel momento si diede davvero dell’idiota patentato.

 

 

 

 

 

 

Odio “l’utilizzo” che sto facendo di Dominic Monaghan.

Lo adoro, e sto tentando in tutti i modi di dargli un tono migliore.

Proverò ancora.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo sette. ***


Here I stand, helpless and left for dead.
Close your eyes, so many days go by.
Easy to find what's wrong, harder to find what's right.
I believe in you, I can show you that I can see right through all your empty lies.
I won't stay long, in this world so wrong.
Say goodbye, as we dance with the devil tonight.
Don't you dare look at him in the eye, as we dance with the devil tonight?

 

“Allora, amico”, disse Dominic sedendosi vicino a lui nella roulotte che ancora puzzava di scotch. “Oggi noi quattro Hobbit non abbiamo riprese in programma, quindi possiamo darci alla bella vita e lasciare il lavoro sporco alle altre povere, piccole razze della Terra di Mezzo!”.

“Bella vita di che genere, amico?”, chiese Billy sottolineando il nomignolo con cui ormai erano soliti chiamarsi.

“Oh, non lo so”, disse Dominic osservando la bottiglia di scotch sul comodino. “Già ti sei sbronzato ieri sera, quindi la sbronza per stasera possiamo risparmiarcela. Potremmo prendere Elijah e andarcene un po’ in giro per la città, firmare qualche autografo, farci fare qualche foto. Sai, roba da grandi attori”.

“Non credo di averne voglia”, rispose Billy. “Scusa, amico”.

“Di far cosa non hai voglia?”, chiese Elijah entrando nella roulotte, con il suo solito sorriso brillante. Portava uno zaino sulla spalla e le chiavi della sua enorme macchina in mano. “Di certo non hai voglia di far altro se non di andare a fare un po’ di surf coi tuoi vecchi amici!”.

“Siamo troppo a Nord per il surf, Lij!*”, esclamò Dominic con una risata.

Elijah assunse l’espressione da bambino ferito che di solito meritava mesi e mesi di prese in giro, e Billy non riuscì a trattenerlo. Sentì il proprio petto iniziare a tremare e proruppe in una risata che sorprese piacevolmente Dominic che già lo vedeva appeso per il collo ad una corda nel bagno della roulotte.

E Billy continuò a ridere, tenendosi la pancia perché aveva la nettissima sensazione che se l’avesse lasciata andare tutto quello che aveva nel corpo sarebbe uscito da qualche parte. Le lacrime agli occhi e le guance rosse lo fecero somigliare in maniera impressionante ad una di quelle scimmie che da bambino gli piaceva da morire rimanere a guardare allo zoo.

“Cosa c’è di tanto divertente?”, domandò uno stralunato Sean Astin entrando nella roulotte.

“Oggi si va a fare del buon vecchio surf, mio caro Sean”, disse Billy senza smettere di ridere.

 

“Oh, andiamo, non può essere tanto male!”

“Stai scherzando, vero? E’una tragedia!”

“Jo, stiamo solo cambiando classe. Certo che non è una tragedia!”

“Forse non lo sarà per te”.

“No, non lo sarà. E vuoi sapere perché?”

“E sentiamo Bill, perché non lo sarà?”

“Perché saremo insieme qualunque cosa succeda, Jo”.

“Okay, si, sarà una tragedia”.

“Tu sei pazza, credi a me”.

 

Dominic aveva avuto maledettamente ragione.

L’acqua era troppo mossa e troppo fredda per poter anche solo sognare di fare un bagno. Figuriamoci poi per salire su una tavola di legno.

“Non se ne parla”, disse Sean.

“Oh, andiamo Mr. Sicurezza Personale! Cos’è, hai paura di bagnarti un po’?”, disse Dominic.

“No, ho paura di affogare”, rispose Sean mettendosi le mani sui fianchi. Lo faceva sempre quando era nervoso. O quando non si metteva a fare gesti agli elicotteri in atterraggio per paura che si schiantassero al suolo.*

Billy si sedette sulla sabbia bianca, ad osservare l’Oceano Pacifico che si stendeva innanzi a lui. E in quel momento non poté far altro che sentirsi il punto più piccolo nell’universo. Sarebbe stata una sensazione meravigliosa se solo si fosse ricordato di spegnere il cellulare che teneva in tasca e che continuava a vibrare da almeno cinque minuti.

“Pronto”, disse.

“Finalmente riesco a sentire la tua voce!”, disse la squillante voce di Ali nel telefono.

“Eh già”, rispose Billy sentendosi osservato. Alzando lo sguardo notò gli azzurri occhi di Dominic puntati su di sé, lo sguardo serio. Lo sguardo alla sono-tuo-amico-e-non-ti-giudicherò-ma-stai-facendo-la-cosa-sbagliata. “Come stai?”, si ricordò di chiedere. Sapeva che Ali odiava quando non la faceva sentire almeno un po’ importante; quando lui non si interessava alla sua vita.

“Oh, sto benissimo!”, rispose lei. “Mi manchi”, gli mormorò dopo qualche secondo di pausa.

“Ah”, gemette Billy. Improvvisamente cominciò a sentire molto caldo sotto la tuta da surf. I suoi sensi di colpa iniziavano a farsi sentire, ma niente poté eguagliare il terrore puro che avvertì quando Ali parlò ancora: “Sai, domani prendo un aereo e vengo in Nuova Zelanda. Mi hanno dato due settimane di ferie”.

Billy rimase in silenzio.

Aveva la bocca secca e il calore si era trasformato in gelo.

Rimase in silenzio perché gli parve che il gelo gli avesse bloccato ogni funzione vitale.

“Ma non dici niente?”, disse Ali fingendosi offesa. O forse lo era davvero.

“Che bello!”, riuscì a dire Billy. “E’tanto ormai che non ci vediamo”, aggiunse sperando di ricordarsi bene l’ultima volta che lei aveva preso un aereo da Edimburgo a Wellington.

“Quasi un mese”, disse Ali, improvvisamente allegra. “E mi sei mancato ogni giorno”, mormorò di nuovo.

E di nuovo Billy non seppe risponderle.

Perché non gli era mancata. Non era lei che gli era mancata ogni giorno, sia che si trovasse a Glasgow o a Londra o in Nuova Zelanda. Non era lei l’unica persona a cui aveva detto la frase “Mi sei mancata” non appena l’aveva rivista.

“Senti Ali, ora devo andare”, riuscì ad articolare. “Dominic mi sta chiamando e sembra una cosa importante. Ci vediamo domani tanto”.

“Non vedo l’ora”, disse Ali. “Ti amo”.

“Anche io”, rispose Billy chiudendo la chiamata.

Di nuovo il solito problema.

Non era mai riuscito a dire “Ti amo”, sia che si trattasse di Ali, sia che si trattasse di Lucy, con cui aveva condiviso perfino un vecchio appartamento di Glasgow ai tempi della Scuola di Arte Drammatica.

“Bello mio”, disse Dominic avvicinandosi. “Sei in un mare di casini”.

Ma nemmeno Dominic riusciva ad immaginarsi quanto fosse grosso quel casino.

 

 

 

 

 

 

v  Matamata, il luogo dove si sono svolte le riprese di Hobbiville, si trova quasi sull’Oceano Pacifico, a Nord della Nuova Zelanda.

v  The Fellowship of the Ring, Behind the Scene.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo otto. ***


Too much love will kill you,
If you can't make up your mind .
Torn between the lover ,
And the love you leave behind .
You're headed for disaster ,
'Cos you never read the signs .
Too much love will kill you, every time.

 

Non seppe che tipo di sensazione si sentì nel cuore Johanne quando la vide arrivare. I capelli biondi che svolazzavano col vento, quella pelle chiara tipica di chi ha passato parecchio tempo in Gran Bretagna; ma evidentemente lei non era di quelle parti. Aveva un portamento quasi da principessa delle favole, con quel golfino bianco che non faceva altro che evidenziare quanto fosse più donna di quanto Johanne lo sarebbe stata mai. I tacchi alti la facevano risultare quasi più alta di Billy, che si era avvicinato a lei abbastanza per poterle permettere di saltargli al collo.

Non seppe che tipo di sensazione si sentì nel cuore Johanne quando la vide baciare Billy.

Non seppe che cos’aveva nel cuore, quando vide le mani di Billy rimanere rigide e semplicemente posate sui fianchi da modella di quella maledetta biondina americana.

Continuava a guardarli, come succede quando vedi qualcosa di così orribile che ti volteresti per vomitare, ma che affascina così tanto la tua mente da non riuscire a staccarne lo sguardo. Però quando la vide saltellare per la gioia, Johanne decise di aver sopportato abbastanza e si voltò, trovandosi davanti Dominic ed Elijah.

“Non provarci nemmeno”, disse Dominic indietreggiando con fare fintamente drammatico.

“A far cosa?”, rispose Johanne.

“A saltarmi addosso soltanto perché Billy ti fa star male”.

“Billy non mi fa star male”, disse Johanne sulla difensiva.

Veramente sulla difensiva.

“Si, certo”, disse Elijah osservandola. Quegli occhi enormi, ancora più grandi di quelli di Johanne, erano bravi a capire le persone, maledizione. “Così come Billy ora è così felice che Ali sia arrivata”, con un cenno della testa indicò un punto dietro di lei.

Johanne voltandosi vide la maledetta biondina americana che continuava a parlare, quasi come fa un attore sul palcoscenico mentre pronuncia un monologo con enfasi, e Billy faceva finta di ascoltarla guardandosi attorno, lo sguardo perso alla ricerca di qualcuno che potesse correre in suo aiuto.

O forse sentì solo nella testa quel suo bisogno d’aiuto, perché era fin troppo lontano per poter determinare che tipo di sensazione avesse sul volto quel ragazzo troppo cresciuto, imbacuccato in un mantello marrone, coi pantaloni alla zuava e una parrucca sulla testa.

Senza riuscire a determinare il perché di quel suo gesto sollevò una mano e udì la propria voce quasi urlare “Signor Boyd!”. E fu con poca sorpresa che si guardarono, da così lontano.

Lui sapeva.

Già sapeva quello che avrebbe fatto Johanne.

“Grazie, Jo”, le mormorò quando si fu avvicinato a lei.

Per tutta risposta Johanne gli ficcò in mano il copione. “E’ora di girare, Pipino”, disse.

E furono solo Dominic ed Elijah a notare il lieve sorriso che apparve per qualche secondo sul suo volto pallido. E, per quella manciata di secondi, fu di nuovo la bambina che entra per la prima volta nella casetta verde ancora da arredare, mano nella mano col suo unico amico.

Il suo unico amico.

 

“Come lasciare la propria ragazza per un altra nel giro di qualche ora”, disse Dominic. “Dovresti leggerlo, è molto istruttivo”.

Billy sbuffò mentre si cambiava il mantello. Quel giorno avrebbero dovuto girare le scene del Grande Fiume. E di solito a Billy piaceva stare davanti alla telecamera accesa; sentirsi un'altra persona.

Gli piaceva da morire.

Ma quel giorno tutto ciò a cui riusciva a pensare era quella ragazzina coi capelli neri che se ne stava lì a chiacchierare con Peter Jackson di caffè, come se nulla fosse. Come se non fosse successo nulla.

Come se a due metri non ci fosse la sua fidanzata che lo osservava con gli occhi enormi e un sorriso che mostrava tutti i suoi denti.
E lui avrebbe così tanto voluto che fosse Johanne a fissarlo con quegli occhi. Avrebbe così tanto desiderato che Ali scomparisse in quel momento e che fosse stata Jo a corrergli incontro quella mattina.

L’avrebbe desiderato così tanto.

“Hai deciso cosa fare?”, domando Sean avvicinandosi a lui. Billy sapeva bene quanto Sean stesse disprezzando tutta quella situazione, da bravo uomo di famiglia; ma era un amico, e come tale non lo dava poi così tanto a vedere.

“Non posso continuare a fare questo ad Ali”, disse Billy osservando la sua fidanzata da lontano. Dire che non l’avesse mai amata sarebbe stata una bugia di dimensioni colossali; l’aveva amata come un pazzo. In fondo era la ragazza dei suoi sogni: pazza al punto giusto, dolce quando la situazione lo richiedeva, sempre con la battuta pronta. E il sesso era sempre grandioso con Ali.

Ma non era Jo.

Lei era tutt’altra storia.

Jo era la persona che probabilmente nei libretti Harmony era definita l’anima gemella. O forse era perfino qualcosa di più. Era l’altra metà di sé stesso.

Johanne era la sua persona. E lo sarebbe rimasta sempre, nonostante gli anni che li avevano separati.

“Il nostro Billy è diventato un poeta”, disse Viggo Mortensen con una risata.

Fantastico. Non si era accorto di aver espresso i propri pensieri ad alta voce.

Davvero fantastico.

 

“I'm just the pieces of the man I used to be …”

“Che canzone sarebbe?”

“Too much love will kill you, dei Queen”.

“Oh, andiamo Bill. Ora ascolti i Queen?”

“Ho sempre ascoltato i Queen, io”.

“Ti facevo più tipo da Beatles”.

“Il mio cuore sa dividersi fra Queen e Beatles”.

“Forse dovresti chiarirti un po’ le idee, Bill”.

“Forse”.

 

“Non credevo che nel cinema si potessero cambiare tante scene rispetto ad un libro”, disse Johanne, lo sguardo perso nel vuoto.

Il signor regista Vattelappesca la osservò con un misto di imbarazzo e divertimento, distogliendo lo sguardo dal monitor dove era solito osservare una scena appena girata. “Non si tratta di cambiare le scene”, disse, “ma di rendere adatte al grande schermo, mantenendone però inalterato il significato profondo”.

“La cosa che più ricordavo di Tolkien è che non ha mai scritto di grandi sentimenti, a parte l’eroismo e l’amore per la propria razza”, disse Johanne osservando il regista. “Non ha mai parlato di relazioni interpersonali”.

Peter Jackson osservò con attenzione quella ragazzina, dagli occhi che mostravano un’esperienza fin troppo vasta per la propria giovane età. Gli ricordò molto sé stesso alla sua età.

Poi, sorprendendosi da solo e stupendo Johanne, scoppiò a ridere. Una risata che lo avrebbe senz’alcun dubbio inserito nella categoria degli Hobbit. E Johanne non riuscì ad impedirselo.

La sentì nascere nel petto e salirle alla gola. Gli occhi le bruciarono, nel tentativo di trattenerla; fin quando capì che non sarebbe più riuscita a trattenerlo. La risata le affiorò dalle labbra come un suono sconosciuto da anni, eppure così familiare. Come un vecchio amico che non vedi da anni e che improvvisamente ti ritrovi davanti in un supermercato di periferia.

Risero per parecchi minuti, sotto lo sguardo divertito della moglie del regista e quello spazientito del resto dell’esausta troupe. Risero per motivi diversi, per molti motivi.

O forse ridevano senza un perché.

Forse il bello di quel momento era proprio il fatto che non esisteva un perché a quell’ilarità spontanea e genuina. Ridevano. E questo bastava.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo nove. ***


The strands in your eyes that color them wonderful.
Stop me and steal my breath.
Emeralds from mountains thrust towards the sky.
Never revealing their depth.
Tell me that we belong together Dress it up with the trappings of love.
I'll be captivated, I'll hang from your lips.
Instead of the gallows of heartache that hang from above.
I'll be your cryin' shoulder.
I'll be love suicide.
I'll be better when I'm older.
I'll be the greatest fan of your life.

 

Il soffitto era troppo bianco.

Tutto ciò che girava nella mente di Billy alle quattro del mattino era che il soffitto di quella camera d’albergo era troppo bianco. Sembrava quasi di essere in ospedale, da quanto era bianco.

Voltò la testa, per osservare la nuda schiena di Ali che dormiva profondamente al suo fianco. Quella volta il sesso non era stato straordinario. No, non lo era stato.

Non può essere straordinario il sesso con una donna, quando desideri così tanto che al posto suo ce ne sia un’altra. Un’altra totalmente diversa.

Billy sospirò nel tirarsi a sedere. Non sarebbe riuscito a dormire, così decise che una passeggiata per il corridoio l’avrebbe potuto stancare a dovere. Infilò i jeans che aveva buttato da qualche parte nella stanza, la prima camicia che gli capitò sotto la mano e si affrettò ad allontanarsi da quella donna che ormai non sentiva più sua.

Si affacciò ad una delle grandi finestre del corridoio e notò che fuori, nell’oscurità, la pioggia cadeva incessantemente. La luna era solo una leggera sagoma dietro una nuvola scura; sospirò e fece per voltarsi. E ancor prima di farlo, Billy seppe che era lì.

Sapeva che lei indossava una lunga maglietta bianca, probabilmente appartenente ad uno dei suoi amanti occasionali. Sapeva che i suoi capelli erano raccolti dietro la testa, perché troppo in disordine per essere lasciati liberi a sé stessi. Sapeva, senza bisogno di guardarla, il modo in cui lo stava osservando.

“Sapevo di trovarti qui”, disse Johanne.

“Sapevo che saresti venuta”, rispose Billy, voltandosi per osservarla.

Non avrebbe mai creduto che un cuore potesse fare un simile movimento, al solo osservare gli occhi di una persona. Gli sembrò che gli fosse sceso fino ai talloni, che gli fosse risalito al cervello e che faticosamente si fosse rimesso al suo posto. E tutto in meno di due secondi.

C’era qualcosa di diverso nel suo modo di osservarlo. Qualcosa di profondamente diverso.

“Non questa volta”, disse Jo.

 

“E se ti dicessi di amarti?”

“Ti direi che stai imitando un qualche personaggio di qualche film”.

“Sii seria”.

“Sono seria. Siamo troppo piccoli per faccende come l’amore”.

“Abbiamo dodici anni”.

“Arriverà il momento, Billy”.

“Tu non credi nell’amore, è questa la verità”.

“Sei tu che ci credi fin troppo”.

 

“Non questa volta”, ripetè Johanne, come in un sogno.

Perché di un sogno credeva si trattasse.

“Che cosa?”, chiese Billy facendo un passo verso di lei.

“Non lascerò che un’altra ti porti via”, Johanne sentì la propria voce uscire senza comando. “Non questa volta”, ripetè.

Billy fece un altro passo verso di lei, nel petto di nuovo quella sensazione. “Cos’è che vuoi dirmi, Jo?”, domandò senza rendersi conto che la sua voce si era improvvisamente spezzata.

“E se ti dicessi di amarti?”, domandò Johanne.

“Ti direi che stai imitando un qualche personaggio di qualche film”, rispose Billy facendo un altro passo avanti. Se avesse allungato un braccio avrebbe potuto sfiorare quel volto, che finalmente mostrava il tormento che l’aveva accompagnata per così tanto tempo.

“Sono ancora furiosa con te”, disse Johanne portandosi una mano al viso. “Sono così furiosa con te che ti prenderei a calci e pugni lì dove ti trovi. Ma non posso lasciarti andar via di nuovo. Perché voglio potermi fidare di te. Voglio poter guarire da tutto questo schifo che ho intorno. Io voglio amarti, Bill”.

Billy fece un passo avanti fin troppo lungo. Si ritrovò così vicino a lei da poter sentire il suo odore fresco nel naso, da poter avvertire il calore che emanava la sua pelle diafana. “Non posso continuare a baciarti io”, mormorò Billy.

“Cosa significa?”, domandò Johanne.

“Significa che dopo tutto quello che mi hai fatto passare, dopo tutto quello che mi hai detto in questo momento e per via della donna che dorme nel mio letto in questo momento, non posso essere io a baciarti”, disse Billy scostandole dal viso una ciocca di capelli sfuggita alla coda di fortuna che la ragazza aveva sulla testa.

Johanne abbassò gli occhi. Una leggera paura aveva invaso il suo corpo; forse nemmeno tanto leggera. Probabilmente non sarebbe mai stata in grado di fidarsi di Billy.

Era una stupida, una grandissima stupida. E quello era stato un errore madornale.

“Sto sperando con tutto il cuore che tu la smetta di pensare a tutte queste stupidaggini”, disse Billy portandole una mano sotto al mento. “Lo spero per il semplice fatto che è una vita che aspetto che tu mi dica parole del genere, Jo”.

E pronunciò il suo nome con tanta dolcezza che lei non riuscì a frenarsi. Non riuscì ad impedirsi di portare le mani sulle sue spalle, di sollevarsi sulle punte dei piedi e posare le labbra sulle sue; con una delicatezza che non era mai appartenuta al suo mondo.

Se quello si fosse trattato di un film, probabilmente i raggi della luna li avrebbero illuminati e una vecchia canzone pop si sarebbe sentita di sottofondo. Ma la luna era nascosta e l’unico sottofondo che c’era in quel momento era il leggero picchiettare della pioggia sul vetro della finestra alle spalle di Billy.

Ma fu un momento così perfetto, che il mondo sarebbe potuto anche finire.

Mentre Billy la stringeva a sé, continuando a baciarla come aveva desiderato per tutta la vita, si ritrovò a pensare che si. Probabilmente così doveva andare a finire.

Così sarebbe dovuta andare. Da sempre.

 

 

 

 

 

Scusate il ritardo di questi due capitoli, ma sono molto presa dagli esami di maturità …

Una parte di questo capitolo sembra una scena di Dawson’s Creek … ma non è fatto appositamente =(

FieryRedhead: grazie per le tue recensioni *.* ... anche io tifo per Johanne ... probabilmente si è anche capito xD Spero che questo capitolo ti piaccia! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo dieci. ***


When I lost faith,  you believed in me.
When I stumbled,  you were right there.
For every act of love you've done, I owe you one.
There were hard times, I know I survived,
just because you stayed by my side.
With all I have, with all I am,
I promise you all my life.
Whenever the road is too long,
whenever the wind is too strong,
wherever the journey may lead to,
I will be there for you.

 

Non c’era nessuna possibilità che Billy sopravvivesse a quella giornata.

Nessuna, proprio nessuna.

L’aveva capito nel momento in cui Ali gli era corsa incontro, furiosa per averla lasciata dormire da sola per tutta la notte. L’aveva capito quando aveva visto i suoi occhi riempirsi di lacrime, intuendo forse troppo dal suo sguardo; o forse lo capì solo dallo schiaffo, fottutamente doloroso, che Ali gli tirò sulla guancia.

Avrebbe dovuto spiegarlo ai truccatori, ora.

“Sei un bastardo!”

La voce di Ali sapeva risultare così dolce, a volte. Specialmente quando gridava in mezzo alla folla.

 

“E con questo cosa vorresti dire?”

“Semplicemente quello che ho detto, Jo”.

“Non posso crederci!”

“Credici, invece”.

“Sei un bastardo”.

“E tu sei una capra in matematica e devi iniziare a crederci”.

“Doppiamente bastardo”.

 

“Vedo che tutto è andato per il meglio”, disse Dominic avvicinandosi, una mano sul mento come faceva sempre quando voleva fingere di essere una persona intelligente.

Billy gli lanciò uno sguardo di fuoco mentre continuava a massaggiarsi la guancia che con tutte le probabilità del mondo sarebbe diventata presto di un orribile colore blu. Improvvisamente, una risata arrivò alle sue spalle e quando si voltò vide Johanne poggiata allo stipite di una porta, che rideva sommessamente.

“Non c’è molto da ridere”, disse Billy fingendosi offeso.

In realtà c’era da ridere, perché Ali sembrava veramente una pazza omicida in quel momento.

Ma una parte di lui era dispiaciuta; non così tanto da pensare che avrebbe ritrattato la sua decisione, ma abbastanza da sentirsi realmente un bastardo. Di quelli di prima categoria.

“Rido perché ti ha strappato un pezzo d’orecchio con quello schiaffo”, disse Johanne indicandogli il lato sinistro della testa. Billy sollevò una mano, tastandosi l’orecchio; quando sentì che la protesi che i truccatori gli avevano applicato era saltata cominciò a sussurrare parole che, di certo, non gli avrebbero permesso di entrare in chiesa per un gran numero di anni.

E Johanne scoppiò a ridere così forte da impedirgli perfino di pensare. E, quando Billy la guardò, improvvisamente la confusione scese su di lui. Non sapeva cosa lei stesse pensando, cosa stesse provando o anche solo cosa aveva intenzione di mangiare a pranzo.

Non lo sapeva, per la prima volta da quando la conosceva.

Non lo sapeva e questo lo frustrò non poco.

Dominic fece un grande sorriso, allontanandosi a piccoli passi, come se fosse il personaggio di un cartone della Disney, quando Billy si avvicinò a lei. E la baciò senza preoccuparsi del fatto che probabilmente Ali era ancora nei paraggi per parlare male di lui a chiunque le capitasse a tiro, né si preoccupò del fatto che probabilmente l’intero staff dedito al Signore degli Anelli li stesse guardando.

Pensò al fatto che lei lo stesse baciando.

Johanne Evans gli aveva messo le braccia attorno al collo e lo stava baciando.

Così mandò al diavolo ogni cosa, dai piedi Hobbit alla scena che, fortunatamente, avrebbero iniziato a girare solo fra qualche ora. La prese in braccio ed entrò velocemente in una delle roulotte che quella notte avrebbero usato per dormire fuori dall’albergo; e fu in quella roulotte che smise di pensare.

O forse aveva smesso dal momento in cui l’aveva vista, una mattina di qualche settimana prima. Non ricordava nemmeno quanto tempo era effettivamente passato.

Poi tutti pensano che siano le droghe che fanno quest’effetto.

Ma non è la droga.

Non è l’alcool.

Non è nemmeno l’adrenalina, che ti fa sentire come se fossi il padrone del mondo intero.

Perché è così che Billy si sentì in quella roulotte anonima, in un posto che non ricordava dove fosse, se non che era in Nuova Zelanda. Si sentì il padrone assoluto del mondo; e senza riserve seppe di essere, almeno, la persona più felice del mondo intero.

E, si. Probabilmente per quella giornata sarebbe sopravvissuto.

Per quella giornata Billy Boyd avrebbe vissuto alla grande.

 

“A volte vorrei capire perché certe persone fanno certe cose”.

“Per amore, Billy”.

“Si, ma addirittura farsi uccidere per evitare che quella persona muoia?”

“E’questo che significa amare”.

“Oh, andiamo. Tu ti faresti uccidere mai per salvare qualcuno?”

“Solo se quel qualcuno sei tu, Bill”.

 

 

 

 

 

Perdonatemi, perdonatemi, perdonatemi, perdonatemi.

Sono stata una cretina a lasciare questa FanFiction senza conclusione. Una completa cretina.

Ma gli esami mi hanno dato totalmente alla testa!

Perdonatemi *-*

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Epilogo. ***


If you can hear me and know that I’m right here.
I heard your heartbeat, It took away the fear.
‘Cause my life is sliding, I tried to ride the wave.
It came down crashing, it's time to start again.
Backwards to go forward left at every corner.
Been there and back again and when the music ends;
Your life is a flashback, a question, a photograph,
a statement, a story, a struggle,
a chance to laugh.
‘Cause if you don't laugh you cry.
A last crescendo when you die.
So hit the rewind and listen, It's the playback.
The soundtrack to your life.

 

Il vestito pizzicava non poco.

Johanne odiava i vestiti che pizzicavano così tanto.

E il frastuono che arrivava da fuori la macchina nera la infastidiva quasi più dei flash che entravano dai vetri che avrebbero dovuto impedirlo. In fondo erano vetri oscurati proprio per quello scopo.

“Sei pronta?”, le domandò Billy.

Le stringeva la mano. Nonostante il loro collegamento mentale si fosse interrotto, Billy sapeva bene quale fosse il suo stato d’animo. Era nervosa, fin troppo nervosa.

“Non farò mai più una cosa del genere, sappilo”, disse Johanne con un sospiro.

“Beh, considerando che è la seconda volta che lo fai e che dovrai farlo almeno altre due volte nel giro di questo mese”, disse Billy ridacchiando, “e che la cosa si ripeterà per i prossimi due anni, non puoi proprio evitarlo”.

“Rimarrò a casa a guardarmelo in televisione”, disse Johanne guardandolo sottecchi.

Billy scoppiò a ridere, mentre la macchina nera si fermava di fronte al tappeto rosso.  “E’il momento”, disse l’autista voltandosi per guardarli.

“Ti odio”, mormorò Johanne mentre Billy si accingeva ad aprire la portiera della macchina.

Lui si voltò ad osservarla per qualche secondo, la mano sulla maniglia della portiera. “Io ti amo”, disse. Le diede un bacio veloce sulle labbra e quando si voltò i flash invasero la macchina.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=509504