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Autore: Joey Melian    24/05/2010    0 recensioni
Una piccola storia, riguardante uno dei miei attori preferiti. Un attore molto dotato, ma notato assai poco. Scritta in un momento di profonda depressione. Tutta vostra.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billy Boyd
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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And then you.

 

There's a little creepy house,
In a little creepy place.
Little creepy town,
In a little creepy world.
Little creepy girl,
With her little creepy face.
Saying funny things that you have never heard.
Do you know what it's all about?
Are you brave enough to figure out?

 

 

La casa blu era appena poco distante dalla strada asfaltata che conduceva nel Posto Ignoto.

Era una piccola casa, dai muri di un blu acceso. Un blu più blu del cielo non appena è calato il sole dietro le colline ad ovest della piccola casa. Era una casa assai strana: stretta ed alta, senza fiori alle finestre, rose morte nel giardinetto su cui si apriva la porta di legno scuro. Così scuro che sembrava nero chiaro.

La signora coi lunghi capelli bianchi era solita sedere dietro la finestra più in alto della casa, seduta sulla sua sedia a dondolo. Non pronunciava parola da anni, si diceva. Se ne stava semplicemente lì seduta ad osservare la strada, senza preoccuparsi dell’imposta della finestra che sembrasse molto vicina al cadere giù.  O dei bambini spaventati che lanciavano uova sulla porta nero chiaro.

Quel che risultava certo era che non si era mai vista in tutta la Scozia una signora simile.

Non ce n’era nemmeno una simile alla signora terrorizzata che ogni tanto faceva capolino dalla porta nero chiaro, con i capelli grigio topo perennemente crespi, gli occhi storti e le ossa sporgenti. Se ne stava lì, puliva la porta nero chiaro e tornava dentro, chiudendosi velocemente la porta alle spalle; ma non prima di aver dato uno sguardo in giro, per controllare di non essere osservata.

Ma ciò che teneva i bambini lontani dalla piccola casa blu non era il fantasma bianco alla finestra, o la strabica terrorizzata. Era una ragazzina, coi capelli neri lunghi fino ai gomiti; il volto pallido sembrava emanare luce propria, e gli occhi erano talmente chiari che una persona superficiale avrebbe certamente pensato che fossero bianchi quanto i capelli del fantasma alla finestra. Portava un vestito nero, lungo fino alle ginocchia, e teneva stretti al petto sempre una serie di libri che di certo avevano poco a che spartire con i bei libri colorati e pieni di figure degli altri bambini.

Ma Johanne Evans di certo non amava gli altri bambini.

Non era mai riuscita, che lei ricordasse, a fare la strada che separava scuola dalla sua piccola casa blu senza che quei maledetti bambini le combinassero qualcosa. Una volta un grasso bambino le appiccicò una gomma da masticare nei capelli; un’altra volta una bambina coi lunghi capelli biondi, con l’autista che l’aspettava per riportarla nella sua ricca casa dai suoi ricchi genitori, le gettò i libri in una pozzanghera.

Ma quello che Johanne Evans odiava maggiormente era quel nomignolo. Quel maledetto nomignolo.

Creepy  Johanne.

Tutta colpa di quel bambino che la vide, inginocchiata a terra, tentare di ripulire i libri che qualcuno aveva avuto la brillante idea di insozzare di tempera rossa. La vide lì, le mani e parte del viso sporchi di un rosso scuro (così simile a sangue), e scappò via urlando: “Creepy Johanne ha ucciso ancora!”.

 

Era un pomeriggio afoso dell’estate appena cominciata, quando la piccola casa blu spuntò da dietro l’angolo, e Johanne si chiese per quale motivo quel giorno avessero scelto di lasciarla stare per conto suo. Non finì neppure di formulare il pensiero, che si trovò davanti la ricca bionda che aveva l’insana abitudine di prendersela coi suoi libri.

“Oggi ce la farai ad andare a casa a farti una doccia e magari a cambiarti il vestito, Creepy Johanne?”, le chiese con l’aria di una bambina che passa la sua vita fra le finte braccia amorevoli di due genitori che per colmare la propria assenza riempivano la loro unica figlia di agi e regali.

Johanne alzò appena la testa, per osservare il punto migliore dove sviare per tornare a casa senza problemi almeno per un giorno. Quando le passò accanto, tuttavia, la maledetta bionda allungò una gamba; prima di riuscire a formulare un pensiero coerente, Johanne si trovò con la faccia a terra e la risata ovattata della maledetta bionda che si allontanava nelle orecchie. Qualcosa di caldo le scivolò sul naso.

“Maledizione”, mormorò. Senza sorpresa vide che le sue dita erano rosse, dopo essersele passate sulla fronte. Bel modo di tornare a casa tranquillamente.

Si mise seduta e cercò i fazzoletti nella vecchia borsa di pelle, che sembrava aver conosciuto anni migliori; ma, ovviamente, doveva esserseli scordati in classe nella fretta di uscire prima di tutti gli altri. Come ogni giorno.

Rimase seduta, una mano premuta sulla fronte sanguinante, quando vide un fazzoletto spuntarle davanti agli occhi; osservò la piccola mano che glielo tendeva, c’era dello sporco sotto le unghie. Seguì il magro braccio, coperto da una leggera camicia a quadri blu, fino al viso di un bambino dai lineamenti dolci, coi capelli rossi e l’aria preoccupata.

“Stai bene?”, le disse.

Johanne afferrò il fazzoletto, senza distogliere lo sguardo dal suo volto. Nervosa e diffidente.

Chi era quel bambino, che mai aveva visto prima di allora, e che si dimostrava quasi gentile nei suoi confronti? Perché si dimostrava quasi gentile nei suoi confronti?

“Allora, stai bene?”, chiese di nuovo. Non appena si piegò sulle ginocchia per osservarla meglio, lei con uno scatto lo spinse e si allontanò un poco aiutandosi con le mani. “Ma che diavolo fai?”, chiese lui prendendosi il polso nella mano; si era piegato in malo modo nel tentativo di parare la caduta.

“Chi sei?”, chiese Johanne osservandolo sottecchi.

Il bambino sollevò un sopracciglio nel vedere una grossa quantità di sangue uscire dal graffio sulla fronte e scenderle lentamente sul sopracciglio; le ferite alla testa sanguinavano sempre così tanto. “Mi chiamo Billy”, disse, “e mi sono appena trasferito lì”. Alzò il braccio dolorante e indicò una casa di un bel verde pastello; due uomini stavano scaricando scatoloni, a volte piccolissimi, a volte enormi, da un camioncino bianco posteggiato di fronte al giardinetto, seguendo le istruzioni di una donna dai capelli rosso scuro.

Johanne non guardò la casa.

Non guardò la donna ridere mentre un uomo se ne stava seduto sul divano momentaneamente posizionato in giardino a fumare una sigaretta. Non guardò il bell’armadio giallo trasportato dagli uomini in tuta dentro la casa.

Continuava a tenere gli occhi su quel bambino, chiedendosi di nuovo perché stesse parlando con lei.

“Perché parli con me?”, chiese.

Billy la guardò sorpreso: “Ho visto quello che ti ha fatto quella bambina e sono venuto a vedere se ti eri fatta male”, disse e inclinò la testa da un lato. “E poi perché non dovrei parlare con te?”.

“Perché hanno paura di me”.

“Chi?”.

“Gli altri bambini”.

“E perché dovrebbero aver paura di te?”.

“Sono Creepy Johanne”.

“Non è una cosa carina da dire di sé stessi”.

Johanne alzò la testa così in fretta da farsi male al collo. Il bambino si era tirato su ed aveva allargato le labbra: il primo sorriso che qualcuno le avesse mai rivolto.

Mentre il primo istinto di Johanne fu di allontanarsi di nuovo, ma rimase immobile. Seduta sull’asfalto, piccola e pallida, con quel rivolo rosso che le scendeva lungo la guancia.

“Vieni a casa mia”, disse Billy. “Mamma sa curare queste cose. Mia sorella si fa costantemente male”.

Johanne rimase silenziosa mentre Billy raccoglieva i suoi libri, la sua vecchia borsa di pelle e le tendeva una mano per aiutarla ad alzarsi; ma quando lei rimase immobile lui si inchinò, le prese una mano e la fece alzare quasi di forza. Rimase in silenzio mentre il bambino la tirava verso la casa verde, e una vaga sensazione di nausea si mischiava ad un leggero calore dentro di lei.

  
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