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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Black, Grey and White. Let' s rock! *** Capitolo 2: *** Relative fields, forever *** Capitolo 3: *** Here comes the clone, durududu *** Capitolo 4: *** While my gOn gently kills *** Capitolo 5: *** Let it be... Wincent *** Capitolo 6: *** With a little help from my friend Neville ***
Capitolo 1 *** Black, Grey and White. Let' s rock! ***
I tre uomini erano seduti sui loro tre troni
Non sono mai stato bravo nelle fan fiction a capitoli.
Tuttavia, in questa voglio dare il massimo. Vi prego di commentare se vi è
possibile.
I tre uomini erano seduti sui loro tre troni all’ interno
di questa zona così relativa.
Erano identici, congelati nella stessa posizione. Tre riproduzioni
granitiche raffiguranti dei gentiluomini in completo e bombetta, con le gambe
accavallate ed il mento poggiato sulle nocche.
Vi era però un particolare che rendeva quelle figure alquanto
inquietanti: non avevano un viso.
Come un sol uomo, i tre si alzarono in piedi, puntando un indice
verso un punto imprecisato di fronte a loro. L’ oscurità
o il tutto, a preferenza, iniziò un moto vorticoso.
''Il potere di creare” disse il primo.
“Il potere di cambiare” disse il secondo.
“Il potere di distruggere” disse il terzo.
Lasciate cadere le braccia, all’ unisono si
sostennero su tre ombrelli, ognuno abbinato all’ abito del proprietario,
contemplando con le loro facce vuote ciò che si trovava dinanzi a loro.
Il nulla... o il tutto.
La loro esistenza era permeata dal relativo. Lo stesso universo non
li aveva riconosciuti come appartenenti al suo disegno, i tre uomini non
avevano un destino, una determinazione. Erano dei reietti.
Serviva loro uno strumento, per iniziare l’
opera senza destare allarme. Non potevano permettersi di allertare la forza
della terra, il Lifestream.
Nonostante il loro potere, erano pur sempre cellule tumorali nel
corpo universale. Dovevano essere cauti.
Nel relativo si avvertì una vibrazione, un
segnale.
“Compagni, ho trovato” affermò improvvisamente il primo, vestito di
bianco, Create.
“Sei sicuro? Ti ricordo che ci serve un
elemento veramente potente per svolgere il compito. Noi non
possiamo muoverci purtroppo, la nostra esistenza –se così si può chiamare- è
tale che desterebbe subito i meccanismi difensivi del pianeta” disse il
secondo, vestito di grigio, Change.
“Vincent Valentine?
Non è forse...” fece il terzo, vestito di nero, Destroy.
“Sì, compagno, proprio come stavo dicendo. Colui in cui risiede la protomateria, il contenitore di Chaos”, rispose impassibile Create.
“Chaos, l’ araldo!
Si, lui potrebbe essere in grado di attivare il
meccanismo” urlò eccitato Destroy.
“Piano con l’ entusiasmo compagno, dobbiamo
ancora assoldare il nostro killer” ribatté pacato Create.
“Appunto, che metodologia utilizzeremo?” disse seccato Change.
Se avessero avuto un volto, i tre avrebbero
sorriso.
“La più divertente” si limitarono a dire sogghignando.
Si sentì un ticchettio, poi una strana
musichetta molto simile a quella di un carillon. I tre individui estrassero
contemporaneamente tre orologi da taschino, rimirando assorti i quadranti come
se vi fossero impresse importanti informazioni. Scrocchiati in sincronia i
colli, Create, con uno schiocco di dita, fece comparire degli strumenti
musicali.
“Ok, compagni, ora un po’ di Rock n Roll!”
disse Destroy.
La fine del mondo era ormai prossima.
Nello stesso lasso di tempo, Vincent Valentine si stava godendo il suo benedetto caffè nero
delle 7.30 (ora del mondo reale) al 7th Heaven. La
notte prima aveva dato fondo alla sua esperienza di pistolero per acciuffare
una banda di trafficanti di materia, pesci piccoli rispetto alla Deepground, ma comunque fonte di guadagno. Ad aiutarlo vi
era l’ onnipresente Yuffie,
voluta da Vincent in mancanza di un cane da Materia, tipologia che il pistolero
avrebbe proposto prima o poi, così da liberarsi della logorroica ninja il tempo
sufficiente a sopravvivere senza ingurgitare pinte di caffè. Era fin troppo
chiaro che il 70% della sua apparenza tenebrosa era dovuto alla mancanza di
sonno.
Da quando Yuffie aveva deciso di
insediarsi in casa sua per motivi che lui stava ancora cercando di comprendere,
Vincent non aveva più avuto un attimo di relax, ma,
anzi, stava ricevendo dall’ esterno fin troppi imput
appartenenti alla tipologia: “prendi la pistola e crivellala, poi fallo
sembrare un incidente”.
Dal canto suo, Yuffie non faceva altro che
andare dietro al tipo interessante con il mantello rosso: evidentemente non
aveva recepito nella sua testolina la nozione di
quanto fosse pericoloso disturbare un uomo assonnato.
Quella mattina, durante il rituale del caffè, Vincent avrebbe
volentieri sparato a qualunque essere vivente gli avesse rivolto la parola. Il
difetto più grande di una ninja linguacciuta è quello
di possedere abbastanza resistenza per parlare durante il sonno, fatto che lo
aveva spinto a togliere i proiettili dalla Cerberus
per non cedere a malsane tentazioni.
Emesso un sospiro, Vincent affondò la testa nelle braccia, cercando
di convincersi che era perfettamente riposato e che non avrebbe sentito nessuna
ragazzina isterica urlare come una bomba sonica per le successive ventiquattro
ore. Vana speranza.
Proprio in quel momento infatti, una voce
squillante e vivace irruppe nel bar, portando Vincent ad emettere una piccola
considerazione riguardo alle prese d’ aria aggiuntive nei corpi umani ed alla
più dolorosa metodologia per apportarle. Come se non bastasse, la tremenda
ragazzina salutò il mezzo cadavere con una pacca sulla spalla, facendolo
sussultare.
“Buongiorno Vinnie” esclamò Yuffie, perfettamente in forma.
“...' orno..” biascicò Vincent, ormai sul
punto di prendere a testate il bancone per svenire e così dormire un poco.
Il dialogo fra i due non era mai stato dei più vari. Di certo non si
poteva negare la costanza della ninja, la quale aveva
cercato insistentemente di inserirsi in un dialogo con cui avvicinarsi a
Vincent, continuando ad ignorare l’ argomento su cui lui avrebbe scritto
volentieri un trattato dal titolo: 'Il silenzio ed i suoi effetti terapeutici”.
Consumato il quinto caffè nel giro di dieci minuti, Vincent si alzò
barcollando dal bancone, sotto lo sguardo preoccupato di Tifa e quello freddo ed apparentemente indifferente di Cloud.
Lasciati distrattamente i soldi, decise di tornare a casa, erigere una barriera
magica e ronfare per due o tre ore. Il sonno ormai era diventato la sua raisond' etre.
Giunto a stento all’ uscio di casa sua,
faticò a percepire le strane presenze all’ interno dell’abitazione.
Nella stanza adibita a salotto, i tre figuri si stavano dilettando
nella degustazione di Tè pregiati, mugolando ogni tanto per manifestare la loro
soddisfazione.
Quando Vincent vide tre tizi senza volto in completo e bombetta
degustare del tè nel suo salotto, per prima cosa uscì dalla stanza, contò fino
a tre per poi prendere un profondo respiro.
Rientrato, faticò ancora a credere ai propri occhi, rimanendo per un
minuto buono a boccheggiare come un pesce fuor d’ acqua
nel tentativo di articolare almeno tre parole di fila. Ci riuscì.
“Ma che cazzo..”
I tre uomini si voltarono verso il padrone di casa, fingendo
sorpresa.
“”Mr. Valentine”
iniziò Change “è un vero piacere conoscerla. Le
faremo un’ offerta che non potrà rifiutare”
“Citazione alquanto abusata e, mi creda, viene
bene solo con la giusta espressività del viso. Ops...” disse sarcastico Vincent.
La fine del mondo era decisamente vicina.
Grazie ad Alister per il betaggio.
Bisogna mettersi alla prova. Questa fic mi
ha permesso di utilizzare dei cattivi da me creati nel 2007 e mai dimenticati. Sono
molto orgoglioso di loro e spero che possano piacere a tutti.
Il titolo è correlato ai personaggi, chissà se riuscirete a capire
il nesso
Ci sono situazioni che nemmeno un superuomo mutaforma di recente
promosso a semi-dio può affrontare
Grazie a tutti quelli che hanno letto (anche se non
commentato..grrr, mi fa
innervosire la funzione che ti fa vedere quanti leggono. Da andare in
depressione.) e soprattutto grazie a quelli che hanno recensito Golconda, specie a Wicked Soul
che ha scritto una recensione lunghissima e dannatamente professionale,son rimasto così: “O.O”. Un giorno ricambierò, senza
promettere, per sicurezza.
Bando alle ciance, iniziamo.
Ci sono due situazioni che nemmeno un superuomo mutaformadi recente promosso a semi-dio può affrontare. Una di queste è
sostenere una vita insieme alla coinquilina più stressante del pianeta, l’ altra è stare a discutere con soggetti che solitamente
avrebbero lo stesso coefficiente di realtà degli elefantini rosa con le ali.
Il problema principale del suddetto superuomo mutaforma di recente promosso a
semi-dio, in quel preciso momento, rientrava nella seconda tipologia. Vincent
si chiese se dipendesse dall’ intossicazione da
caffeina o semplicemente dal fatto che le sue capacità cerebrali stavano per
raggiungere drammaticamente la zona rossa: ovvero il livello di Yuffie. Tutto, fino a quel momento, gli era sembrato
abbastanza assurdo ed irreale. Più del solito almeno.
Accettò titubante una tazza di Tè offertagli da Create, il
quale sembrò comprendere lo stato del suo interlocutore, non che ci volessero
grandi capacità deduttive, le occhiaie sul viso pallido parlavano da se.
Bevuto in un sorso il suo tè, Vincent si accomodò sul
divanetto di fronte a Create, chiedendosi a malapena da dove fosse saltato
fuori, quel divanetto, per non parlare dello strano contrabbasso posto accanto all’ uomo vestito in grigio.
I misteriosi intrusi, come poté notare, erano vestiti
elegantemente, con dei completi che Vincent stimò intorno ai 5.000 guil. La cosa che lo incuriosì, però, fu l’
eccessivo effetto monocromatico del loro vestiario: le camicie, le
giacche, le cravatte, i pantaloni.. tutti i capi d’ abbigliamento erano dello
stesso identico colore, persino gli accessori seguivano quella strana regola.
Notò inoltre che il loro viso non era del tutto assente, ma
piuttosto sfuocato, come se la loro identità appartenesse ad
una dimensione diversa, lontana dalla solida realtà. Ciò perlomeno spiegava
come diavolo facessero a bere il tè.
Ragionando in questo modo, Vincent rischiò di cadere
addormentato sul tavolino, tuttavia Create ricominciò a parlare, tenendolo
sveglio.
“Mr. Valentine”
iniziò “Mi permetta di presentarmi. Il mio nome è Create. Non faccia
quella faccia, è un nome come un altro ed i nomi
spesso non fanno altro che rappresentare l’ essenza del portatore. Questi due
gentiluomini sono i miei compagni, Mr. Change..” Change fece un elegante
inchino. “..E Mr. Destroy” che,
invece, si limitò a salutare con un cenno della testa.
“Per etichetta dovrei presentarmi anche io,
ma visto che sapevate già il mio nome e dove trovarmi, salterò questo
passaggio” rispose Vincent. “Cosa desiderate? Vi prego
di essere sintetici perché, a causa di fastidiosi imprevisti riguardanti una
certa materiomane, non sono ancora riuscito a
chiudere occhio. Complimenti per i nomi comunque,
hanno un che di rassicurante, specie l’ ultimo.”
Create si schiarì la voce mentre
era intento ad appoggiare la tazza di tè, ormai vuota, sul tavolino.
“Noto come il suo stato di sonnolenza alimenti il suo
sarcasmo, Mr. Valentine-“
“Mi chiami Vincent” lo interruppe lui “Detesto certe
formalità. E comunque si, di questi tempi il sarcasmo
è l’ unica cosa, insieme al caffè, a tenermi in piedi”
“E sia” riprese Create “Vincent, io personalmente apprezzo
le persone sarcastiche. Trovo che il sarcasmo sia un
ultimo pezzetto di libertà per ognuno di noi. Noi intesi come uomini, non mi
guardi con quell’ espressione al limite dell’
incredulità. Nonostante il nostro aspetto siamo esseri
umani, magari con qualche marcia in più…”
Vincent l’ aveva già notato. Quei
tizi, non era sicuro di poterli definire uomini, stavano emanando un’ aura terrificante. La loro presenzaera.. di troppo, come se lo
spazio-tempo in cui lui risiedeva non fosse pronto o disposto a tollerare una
simile invasione.
“Di certo in questo siamo simili” disse Vincent “Se avete
fatto ricerche approfondite sul mio conto, e sono sicuro che le
avete fatte, sarete già a conoscenza della mia.. potremo chiamarla
‘natura’?”
“Lei è perspicace anche nelle sue attuali condizioni
Vincent, me ne compiaccio. Per non rubarle altro tempo arriverò subito al punto”
“Grazie, lo apprezzerei molto”
“Ci serve un assassino, un sicario, un killer. E noi vogliamo lei”
A Vincent scappò una smorfia: la posizione ed il tono del suo interlocutore erano precisamente identiche
a quelle degli slogan per l’ arruolamento militare. Mancava solo una tuba a
stelle e strisce.
Per un attimo ebbe l’ istinto di
chiedere a Create se per caso non facesse Sam di secondo nome, ma si trattenne.
“Non sono un killer, al massimo qualche
volta ho lavorato come cacciatore di taglie. E se sta per riferirsi ai
miei trascorsi da Turk, posso dirle che è acqua
passata, una parte della mia vita morta e sepolta.. letteralmente.”
disse secco Vincent.
“Possiamo pagarla profumatamente, con qualcosa di ben più
utile del vile denaro” incalzò Create, marcando sulle ultime parole.
Vincent parve incuriosito. I suoi occhi lo tradirono.
“Vada avanti” disse.
“La cura per la sua mutazione” fece Create “Noi possiamo
fornirgliela”
Quante volte aveva sognato di dormire senza che la paura di
diventare un mostro viola in gonnella lo perseguitasse? Per un attimo sembrò
prendere in considerazione la proposta.
“Prima di accettare, vorrei vedere il bersaglio”
“Più che giusto”
Create fece un cenno a Destroy, il
quale lasciò scivolare sul tavolino una fotografia consumata sui bordi. L’ immagine ritraeva una bambina di circa sette anni, con
lunghi capelli neri e due occhi verdi privi di emozione, di vita. Tradita dal
mondo, rinchiusa nella bara della solitudine. Un’ espressione
che Vincent conosceva fin troppo bene.
Senza una parola, puntò la pistola contro Create, non
distogliendo lo sguardo dalla foto.
“Se pensate che io possa accettare un incarico del genere”
disse calmo “Allora non posso che etichettarvi come feccia, per di più stupida”
Ben lontano dallo scomporsi, Create
schioccò le dita. Prima che se ne potesse accorgere, Vincent si ritrovò tra le
mani una pistola giocattolo e Change a stringergli il
collo.
“Il potere di cambiare” spiegò Create “Nella vostra
dimensione i nostri poteri sono alquanto limitati ma..
sufficienti.”
Dopo l’ ultima parola, Change strinse ancor di più la sua morsa, arrivando a
sollevare Vincent da terra con una sola mano. Quest’ ultimo
tentò di divincolarsi, ma la stanchezza l’ aveva ormai prosciugato di quasi
tutte le sue forze.
“Vede Vincent” continuò Create “Noi siamo potenti. Abbiamo
un potere tale da poterci paragonare a degli dei. Tuttavia non possiamo mettere
in mostra la nostra forza, né interagire in maniera incisiva. Rischieremo di
trovarci contro il Pianeta stesso”
“Quindi in pratica non potete farmi
niente” disse Vincent.
“Noi no..” Create tagliò con delle
forbici comparse dal nulla una ciocca dei capelli di
Vincent “..Ma lei si”
“Cosa volete fare?”
“Farle capire che non scherziamo”
D’ improvviso si sentì il rumore di
una chiave, poi una voce squillante fin troppo familiare riempì o, per meglio
dire, cacciò a pedate il silenzio teso nella casa.
“Vinnieeee!
Sono tornata!” urlò Yuffie.
Ancora nella morsa di Change,
Vincent rivolse gli occhi al cielo, immaginando il casino che avrebbe potuto
combinare quella pazza vedendo quella situazione.
“Beh, mio caro Vincent” gli sussurrò Create “Noi adesso
dobbiamo proprio andare. Non parli a nessuno di questo incontro, qualcuno
potrebbe farsi molto male, lo capisce, giusto? Ed
attenda nostre notizie. Mi creda, resterà di stucco..”
Change mollò la presa lasciando
cadere Vincent come un sacco.
L’ ultima cosa che riuscì a vedere,
prima di svenire, fu la teatrale uscita del misterioso trio, che con eleganza e
disinvoltura stava letteralmente passeggiando fuori dalla finestra, sospeso a
mezz’ aria.
L’ ultima
cosa che riuscì a pensare, invece, fu: ‘Golconda’.
Grazie a Gareth Drake per il
betaggio.
Spazio autore
Odio i quiz, quindi darò qualche ragguaglio, per farvi
capire meglio in modo da rendere la storia più gradevole.
Golconda (In originale Golconde) è il titolo di un quadro di Magritte, dove si
possono vedere dei tizi in abito e bombetta sospesi in aria, senza nessuna
possibilità per l’ osservatore di sapere cosa stia
succedendo effettivamente nella scena, visto che gli uomini sembra non si
rendano conto della situazione, passeggiando normalmente a mezz’ aria. Non sto
qui a fare il critico d’ arte, faccio filosofia
dopotutto. Per commenti sul quadro chiedete a Sgarbi.
Il tema di Golconda, qui
introdotto più chiaramente (E superficialmente, i significati allegorici non
sono implicati) raggiungerà il pieno significato tra
qualche capitolo.
I tre antagonisti vestono alla moda
degl’ anni ’50 del 1900, per me. Tuttavia, ogni lettore può immaginarseli come
vuole e quella descrizione potrà benissimo essere quella giusta, per motivi che
saranno poi chiari.
NOTA IMPORTANTE: questa storia ha una trama.. come dire, di per sé seria. Il genere commedia non vuol
dire che si tratta di una storia demenziale, semplicemente i toni e l’ atmosfera non saranno eccessivamente angosciosi (spero),
sebbene qualche scena drammatica ci scapperà. Quindi, non leggete Golconda se la vostra intenzione è quella
di farvi due risate –potreste rimanere delusi/e- ma leggetela se siete
intenzionati a leggere una storia.
Affannati, praticamente esausti per lo
sforzo compiuto, stavano seduti stravacati sui loro troni, a rimirare il
soffitto o il pavimento, a preferenza, del loro mondo.
Change utilizzò il suo potere per mutare
il suo ombrello in kendama, con cui iniziò a giocare,
seppur pigramente.
Destroy, invece, era intento a distruggere
i pezzi degli scacchi che mangiava a se stesso, il suo
passatempo preferito. Create stava cominciando a stufarsi di fornirgli sempre
nuove scacchiere.
Quest’ ultimo era l’ unico, malgrado la
stanchezza, ad essere rimasto operativo.
Osservò meditabondo la ciocca di capelli prelevata a Vincent,
grattandosi la bombetta ogni tanto per manifestare un certo grado di incertezza. Se l’ avesse avuto,
avrebbe inarcato un sopracciglio.
“Ehi compagno” fece Destroy, ormai rimasto
a corto di pezzi “pensi sia servito il nostro sforzo? Manipolare il grado di
relatività delle cose è molto faticoso, servirà tempo per recuperare le forze”
“Infatti” disse Change, intrufolandosi
nella discussione “sarebbe bastato torturarlo un poco per ottenere da lui tutti
i servigi di cui avremo potuto avere bisogno, senza simili accorgimenti”
“No” rispose Create “quell’ uomo ha passato
sofferenze fisiche e psicologiche tremende, una semplice tortura non sarebbe
servita allo scopo, ci avrebbe fornito un servo instabile e poco efficiente. Penso sia meglio lasciare tutto al caso”
Create mangiò la ciocca di capelli, masticandola lentamente, come
per comprenderne meglio il sapore, o forse per convincersi ad
ingoiarla trattenendo il disgusto.
Dopo l’ assimilazione del materiale
genetico, le mani di Create si illuminarono di un’ intensa luce verde.
“Con un piccolo aiuto da parte nostra, immagino” disse Change, intento ad osservare l’
operazione.
“Naturalmente” concluse Create.
Qualcosa stava prendendo forma.
Vincent aprì improvvisamente gli occhi.
Notò di trovarsi nel suo letto, e che a svegliarlo era stato un
odore non molto rassicurante.
“Yuffie.. dove
sei?” chiese con voce soffocata ed incerta.
“In cucina!” rispose lei.
“E cosa stai facendo in cucina?” il tono di voce era leggermente
allarmato.
“Preparo il pranzo!”
Vincent fu scosso da un lampo di terrore. Saltò fuori dal letto, in
preda ad una paura primordiale, ancestrale e
soprattutto giustificata: mai lasciare i fornelli in balia di Yuffie.
Come durante un’ irruzione, Vincent si
gettò a capofitto nella stanza con un’ acrobatica capriola, constatando con una
nota di sollievo il fatto che non fosse ancora stata distrutta.
Prima di far degenerare le cose, afferrò la
ninja per i fianchi, la sollevò di peso e la condusse a forza fuori dalla
cucina, mettendo a distanza di sicurezza i suoi fornelli.
“Quante volte ti ho detto che devi rimanere perlomeno a tre metri di
distanza da questa stanza?” disse Vincent con la voce pacata
e modulata in modo tale da assomigliare ad un rimprovero.
“Ma insomma!” fece Yuffie “Mi sembra
abbastanza scortese da parte tua riporre così poca fiducia in me”
“Ti devo forse ricordare quella volta in cui non eri riuscita a
trovare l’ accendino per accendere il fornello e hai
deciso di usare una materia?”
“ehm.. non mi ero accorta..”
“che fosse una materia Fire3 dall’ immane
potere distruttivo? Lo so, me ne sono accorto perfettamente io quando ho dovuto
comprare una cucina nuova”
“Ok, ma a parte quello io non..”
“Pensa, prima di parlare. Sicura che fosse l’ unica
volta in cui la mia cucina ha rischiato di esplodere, collassare a livello
dimensionale o essere usata come laboratorio per la preparazioni di veleni e
gas nocivi?”
“Sei cattivo! Vinnie,
io volevo cucinare perché in questo periodo ti ho visto molto giù e mi sarebbe
piaciuto trasmetterti un po’ di allegria. Sei sempre così tenebroso e depresso..”
Vincent emise un sospiro, dopotutto Yuffie
era -tutto sommato- una brava ragazza colma di buone intenzioni.
Tralasciando la sua carriera di ladra.
Non considerando che per una materia avrebbe venduto un organo, non
necessariamente suo.
Ignorando la sua innata e geniale capacità di provocare un
esaurimento anche ad un ex-Turk
perfettamente addestrato.
Si passò la mano buona tra i lunghi capelli corvini, riflettendo su
come risolvere la situazione. Era fin troppo persuaso che anche solo farle usare
il microonde per un lasso di tempo inferiore al minuto,
comportasse un insostenibile rischio.
Yuffie sfoderò il suo miglior sguardo da
cerbiatto. Vincent non poté che arrendersi.
“Facciamo così” iniziò Vincent con tono rassegnato. “Ti lascerò
usare la cucina per mezz’ ora. Se in questo periodo
non provocherai incendi, esplosioni, nubi tossiche o altre cose che non oso
immaginare, potrei iniziare a darti una piccola percentuale in più di fiducia,
diciamo uno 0, 01%”
“Va bene!” Disse Yuffie portandosi una
mano sulla fronte a mo di saluto militare “ce la metterò tutta!”
Si recò nuovamente nella sua stanza, contemplando la città dalla
finestra. Pensò a quei tre, a cosa diavolo fossero e
al perché volessero uccidere una bambina.
Esaminò il giocattolo che un tempo fu la Cerberus:
aveva decisamente bisogno di una pistola nuova.
Indossò il mantello ed
uscì di casa in tutta fretta, salutando a malapena Yuffie,
fin troppo concentrata sulla preparazione di uno strano impasto che Vincent
preferì non approfondire per non alimentare le proprie ansie.
“Non
gli assomiglia granché” disse perplesso Change,
massaggiandosi il mento.
“Non
essere così pignolo compagno, devo forse ricordarti di averlo creato in
condizioni non ottimali?” ribatté Create, ansimante.
“Tsk, l’ importante è che funzioni”
“Non
preoccuparti di ciò, gli unici difetti considerevoli sono a livello mentale,
oltre alla più totale mancanza di melanina, ma sono dettagli. Tuttavia, per
cominciare andrà benissimo”
“Lo
spero compagno, detesto stancarmi per niente”
La
creatura di fronte a loro emise un verso stizzito.
Era
impegnata a limarsi le unghie, contemplando ora il suo creatore, ora gli altri
due tizi senza faccia.
Non
era stata una nascita piacevole la sua, dopotutto essere clonati comportava
sempre un complesso d’ inferiorità nei confronti dell’
originale, inoltre era assolutamente convinto riguardo al mandare a quel paese
il suo imprinting, dato che riconoscere un ruolo a quei tre tizi senza faccia
nella sua vita sarebbe risultato una presa in giro. Rifletté sulla situazione
fin troppo seriamente, dando occhiate casuali a quella che, riluttante, avrebbe
potuto definire la sua “casa”.
Create
emise un colpo di tosse, con l’ intenzione di attirare
l’ attenzione della creatura, invano.
Questa,
con una dose sconcertante di menefreghismo, stava tranquillamente osservando i
rapidi mutamenti dell’ ambiente circostante con aria
vaga, rimanendo perfettamente impassibile.
“Bello”
disse improvvisamente la creatura, con una voce leggermente gutturale “Mi
sembra di vedere l’ interno della mia testa.”
Sorrise.
I denti erano bianchissimi, aguzzi, come la sua pelle ed
i suoi capelli. Un sorriso maligno e canzonatorio che, se abbinato ai due folli occhi vermigli, dava quel certo non so che, tipo:
incubo delle tre di notte.
“Creatura”
disse Create “io ti ordino di-“
“Un
cazzo” rispose questa, sempre sorridente.
“Come
sarebbe?”
“Non
sono una creatura, né un tuo servitore. Io sono io e mi comando da solo.
Altrimenti che senso avrebbe avere una propria coscienza?”
“D’accordo”
disse Create, leggermente sorpreso da quell’ atto di
disobbedienza. Tuttavia non poteva farci niente, dato che aveva creato quel
clone quando non era nel pieno delle forze. Avrebbe dovuto portare pazienza.
“Come ti dovremo chiamare?”
“Non
ci ho ancora pensato” ammise lui “per adesso avrei solo una richiesta..”
“Ossia?”
“..Una 44 Magnum,
datemi una fottuta 44 Magnum!”
Grazie a Wicked Soul per il betaggio.
Vi ricorda qualcuno questo fantomatico clone? Dopotutto gli avevo
promesso una fic con lui protagonista, quindi
rispetterò i patti.
Il motivo per cui il clone era arrabbiato era molto semplice
Mettere
citazioni ad inizio capitolo fa figo,
basta che non siano di Oscar Wilde.
-Mankind17_13
Vincent era diretto verso il
negozio d’ armi.
Camminando per le grigie strade della città di Edge,
ancora ben lontane dal potersi definire gradevoli, si rese conto di quanto il
suo abbigliamento fosse un pugno in un occhio rispetto al grigiore imperante.
Già da tempo aveva abbandonato quel suo
gusto malsano per le cinghie e per le calzature pop-art, preferendo un
abbigliamento più comodo e meno appariscente, come potevano essere i completi
eleganti e le scarpe che aveva iniziato a sfoggiare da qualche mese. Reminiscenze
del suo passato da Turk.
Tuttavia, non era ancora riuscito a rinunciare ad
una bandana tra i capelli ed al suo mantello, ormai paragonabile ad una coperta
di Linus, banchetto di tarme e proiettili.
Maschere tribali di ogni forma,
colore e dimensione stavano appese sui muri, incutendo profondo timore ai
clienti meno coraggiosi o matti. A parte il bancone, inoltre non vi era un solo
mobilio che ospitasse sulla sua superficie un’ arma.
Appoggiate ai muri laterali,
incorniciate dalle maschere, vi erano delle imponenti cristalliere d’ epoca, contenenti paradossalmente pupazzi e bambole di
porcellana, tutte perfettamente sistemate, vestite e curate. Sembravano vive.
Seduto al bancone
stava invece il proprietario di quella pazzia: Roger “Dracula” Schweinsteiger. Era un uomo enorme, sui due metri di
altezza, con dei lunghi mustacchi impomatati ad
evidenziare le labbra carnose. Ormai andava per la sessantina, ma il suo fisico
scultoreo ed il suo sguardo austero e imperscrutabile
facevano venire la tremarella a molti ventenni palestrati.
Il soprannome Dracula era dovuto alla sua agorafobia, che gli impediva di
uscire dal suo maniero, non consentendogli di prendere il di sole. Vincent aveva
riflettuto spesso su chi, tra i due, fosse più pallido.
“Salve Roger” salutò Vincent.
Roger Schweinsteiger alzò lo sguardo dal suo ultimo lavoro: un
fucile a cinque canne disposte a pentagono.
Esaminò per un momento il
cliente appena entrato, stringendo leggermente gli abbaglianti occhi azzurri a
causa di una leggera miopia.
“Vincent Valentine! Il mio miglior cliente dall’ ultima volta che
ho avuto una scottatura! Che piacere averti qui! Ancora alla
ricerca di armi strane?” ricambiò Roger.
Vincent abbozzò un mezzo
sorriso. Roger era veramente una persona strana, ma riusciva a metterlo a suo
agio. Inoltre, proprio nel suo strambo negozio era riuscito a trovare la Cerberus,
una delle sue creazioni. Si ritrovò quasi imbarazzato a chiedere una pistola
nuova.
“Non ti preoccupare! Quella
pistola non era nulla di speciale, sapevo che con un pistolero come te non
sarebbe durata. A grandi uomini vanno grandi pistole. Lo dico sempre!”
“Hai qualcosa per me?”
“Uhm..
fammi pensare..”
Scomparve dietro una tenda
posta in ombra oltre il bancone. Si sentì un forte fragore metallico, come di
un uomo che si mette a frugare tra annate intere di pistole di ogni specie.
Riemerse dal suo antro con un’ arma a dir poco
assurda.
Era un revolver, forse. Di
certo non aveva mai visto un tamburo a venti colpi ed
una canna di sessanta centimetri. Il calcio e la canna erano ricoperti da fini
decorazioni in argento, rappresentanti dei motivi floreali, ninfee, per la
precisione.
“Bella
vero?” chiese entusiasta Roger.
“Sì…insolita” rispose
stranito Vincent.
“Eh eh,
ed ha una storia tremenda alle spalle, non è una mia creazione”
“Una storia?”
“Sì, era
stata fatta costruire da un milionario proprietario di una miniera. Mi segui?
Questo tizio era appassionato di pistole e, per lasciare il segno, aveva
preteso di farsi costruire una pistola che portasse il suo nome. Solo che l’ armaiolo incaricato, era l’ amante della giovane moglie
annoiata del nostro riccone. La pistola che ne venne fuori era così potente,
che per il rinculo a quel poveraccio saltò via il braccio. Passò in molte altre
mani, tutte fatte saltare via dalla potenza di quest’ arma.
L’ ultimo proprietario è stato un SOLDIER.”
“Che fine ha fatto?”
“Frantumazione
di tutte le ossa dalla punta delle dita fino alla spalla. Fortunatamente quegli strafatti sono dei
tipi duri, quindi il braccio è rimasto attaccato al corpo”
“E cosa ti fa pensare che il
mio possa resistere? Date le mie condizioni, non è certo una valutazione molto
saggia”
“Perché tu sei speciale, lo
so.”
Vincent toccò la micidiale
arma. Sentì una voce.
Tu chi sei Bocconcino?
Vincent si guardò intorno
per trovare la sorgente di quella voce.
Non guardarti intorno Bocconcino, sono qui. Mi
stai toccando.
La voce era nella sua testa.
“Sei la pistola?” pensò
Vincent.
Si, ho sconfitto talmente tanti
uomini da aver sviluppato una mia coscienza, perché sono più forte. Ma tu, tu non sei un semplice uomo Bocconcino, tu potrai
usarmi.
“Hai un nome?”
Il mio creatore di Cognome faceva Harrison. Chiamami Gon,
Harrison Gon.
“E sia” disse Vincent
ad alta voce “La prendo”
“Ottima scelta” disse Roger.
Senza ulteriori
parole, Roger tornò nel magazzino oltre la tenda, da cui sbucò pochi minuti
dopo con un enorme fodero di cuoio nero, completo di imbragature.
“Beh, ad
una pistola grande serve una fondina grande. Pensavi di nasconderla nei
pantaloni?” disse Roger vedendo l’ espressione
dubbiosa del suo cliente.
Quest’ ultimo indossò l’ imbragatura, in modo tale
che il fodero si trovasse sulla sua schiena, in mezzo alle scapole.
“Però il mantello ti sarà d’ intralcio. Oltretutto è un colabrodo.”
Vincent rifletté un momento,
poi si tolse il mantello, piegandolo accuratamente.
“Come iniziare una nuova
vita” disse tra sé.
“O vivere quella che si ha
già. Buona fortuna Vincent, sento di dovertela augurare.”
“Grazie
Roger, arrivederci.”
La mattina successiva, in sella al suo chocobo,
il clone avanzava rapidamente, rimproverando spesso al suo destriero di non
saper galoppare; rovinando così l’ ipotetica atmosfera
western che aveva tanto desiderato per la sua entrata.
Arrivò alle porte di Edge, un po’ deluso
dalla bruttezza del luogo, così differente dalla città che si era immaginato
con Saloon e cowboy.
Il duello, pensò, ci sarebbe comunque stato, sissignore, e l’ avrebbe fatto fuori il suo originale, così da diventare
il vero protagonista della storia.
Dopotutto, cosa aveva in più l’ originale?
La melanina, un semi-dio al suo interno, uno stuolo di
fan ed un ruolo da protagonista in un sequel…
“Accidenti, non leggere così nei miei pensieri.
Piuttosto, concentriamoci sulla storia!” disse a se stesso.
Prese la cartina che gli era stata consegnata dal damerino in-sfregiabile, gentile regalo per compensare un senso dell’ orientamento paragonabile a quello di una bussola
nella terra delle calamite. Zone del cervello, sconosciute allo scrittore,
erano state irrimediabilmente danneggiate, o per meglio dire, costruite alla
ben meglio dal creatore. Quindi, non solo il clone era completamente sprovvisto
di senso dell’ orientamento, ma anche la sua
personalità ed il suo gusto estetico avevano raggiunto parabole di assurdità o
idiozia -a dir si voglia- potenzialmente infinite.
Come non citare il bizzarro soprabito nero a
quadretti rossi, i pantaloni mimetici bianchi e neri o il cravattino texano
bene in vista sulla camicia bianca. E che dire, poi,
dei ridicoli occhiali da sole a forma di stella.
“Ehi, non sono ridicoli” ribatté al vento il clone.
“Ma che vento e vento, ti sento benissimo,
stupida voce narrante” disse scioccamente, non rendendosi conto di non essere
per nulla concentrato sulla storia.
“Va bene, non lo faccio più.” Concluse, fortunatamente.
Girò e continuò a rigirare la cartina con fare dubbioso per un bel
pezzo, trovando complesso persino orientarsi su di essa. Quando, con estreme
difficoltà, trovò il verso giusto, si diresse a galoppo verso il suo obiettivo,
o almeno lui credeva di galoppare, dopotutto era ancora sopra ad un chocobo.
Dopo circa tre ore, durante le quali era
riuscito a perdersi su almeno quattro sensi unici, vide un angelo.
Era una ragazza bellissima, dai lunghi capelli castano scuro e gli
occhi rossi ma soprattutto, notò il clone, dall’ enorme
seno.
Ma, come poté notare il nostro antieroe dal suo punto d’ osservazione, quella mirabile visione era pedinata da tre
balordi, non più belli dello sterco di un moguri
affetto da diarrea e, dall’ espressione, non più intelligenti di un cane con la
testa fracassata.
Il clone, bisogna dirlo, non aveva la minima concezione di concetti
come: discrezione, umiltà o diplomazia. Il non-tempo passato nel relativo gli era servito solamente a visionare tutti i film di Clint
Eastwood e John Wayne, oltre che per divorare annate
di Tex. Non sorprende dunque, se la sua prima azione fu:
BANG!
La gente per la strada rivolse lo sguardo verso la direzione del
rumore. Sconcerto e paura, miste a curiosità sorsero alla vista del bizzarro
albino in sella ad un chocobo.
Sembrava decisamente un cowboy, passato per sbaglio in
un concerto rock anni ’80 e finito in una rosticceria a chiedere una
cavalcatura.
I tre balordi, terrorizzati dal proiettile passato a circa due
millimetri dalle loro teste, videro quella stranezza ambulante avvicinarsi.
Come già spiegato, discrezione e diplomazia appartenevano a quella serie
di comportamenti che il clone aveva elegantemente buttato nello scarico del
water. Si fece sempre più vicino, la 44 Magnum bene in
vista ed un sorriso ben poco rassicurante sul viso.
“Ehi voi, feccia. Vi ho visto, sapete? Cosa
volevate fare a quella ragazza?”
I tre non risposero. Il clone puntò la pistola in aria, sparando tre
colpi.
“L-lastavamo
pedinando!” balbettarono, colmi di panico.
Il clone scese dalla sella, arrivando a puntare la pistola alla
fronte delle sue vittime.
Come dal nulla, un possente pugno andò a schiantarsi sul suo zigomo,
sbalzandolo a qualche metro di distanza, mandandolo irrimediabilmente a terra.
Nel frattempo i tre balordi erano riusciti a scappare.
“Ehi!” disse rialzandosi “Ti stavo aiutando”
“Grazie tante” ribatté la ragazza “Se per aiutare intendi mandare
quasi nel panico un’ intera via solo per fare lo
spaccone con tre smidollati devo proprio dirtelo, sei un idiota.”
“Ho il cervello un po’ bacato, lo ammetto, tuttavia mi devi
concedere una cosa: l’ entrata era molto western.”
“Ti concedo tre secondi per dirmi chi sei e cosa ci fai qui armato
con quel cannone.”
Il clone rimase interdetto. Non poteva certo dirle
la verità, dopotutto la sua storia, ad una mente razionale, poteva risultare l’
allucinazione provocata da una canna di ponpon di moguri…da un bel
quantitativo di canne per essere precisi. Insomma, essere il clone di un mutaforma posseduto da un semi-dio, creato da tre tizi
senza volto residenti in un non-spazio a cavallo tra esistenza ed inesistenza non era certo una storia credibile.
Pensò velocemente, in modo tale da crearsi un background credibile.
Ma, come già ribadito ai lettori, il suo cervello non
era dei più sani.
“Sottolinea ancora questo aspetto e passo a
narrare in prima persona” minacciò il clone.
“Come?” chiese un poco alterata la ragazza.
“Ehm, sono un ex cavia della Shinra, ho perso la memoria in seguito ad un rigetto dell’
energia mako nel mio corpo e ad una successiva caduta
da chocobo, dimenticando il mio nome ed i miei
ricordi in generale. Ho vagato per mesi e mesi, sono finito ad
un concerto dei TwistedSisters
e mi son ritrovato con questi vestiti la mattina successiva, durante le prove
dei Boston. Dopo di che ho vagato senza meta fino a giungere in questa città dimenticata da…non ricordo, abbiamo una divinità su questo
pianeta? Infine eccomi qui”
“Santo cielo, è una storia talmente assurda
che non potrei crederci nemmeno vivendola.”
“Eppure dico la verità mia cara…posso
sapere il tuo nome?”
“Beh, dopotutto ti ho rifilato un pugno, inoltre uno che mente così
male non può essere poi così cattivo. Mi chiamo Tifa. Tu non ricordi il tuo, esatto?”
“Uh? A questo si può rimediare. Beh, puoi
chiamarmi…Wincent, è un nome che mi è sempre
piaciuto.”.
Inconsciamente, il clone si era appena auto-battezzato.
“Ehm…per caso non avresti del ghiaccio?”. Disse, toccandosi un po’
dolorante lo zigomo dove la ragazza gli aveva mollato il pugno.
“Non qui” fece lei, guardandolo impietosita “gestisco un locale poco più di là” disse
indicando il fondo della via “lì ho tutto il ghiaccio che vuoi.”.
Ho provato a fare
ben due descrizioni, ce la metterò tutta per completarmi un pochino di più. è_é
E con questo
capitolo abbiamo quasi finito di inserire i personaggi principali, ne mancano
giusto un paio.
Come avete potuto
notare, Wincent non ha per nulla lo stesso carattere
di Vincent ma anzi, è più simile ad un Kefka sotto anfetamine e psicofarmaci, per non includere le
mille varietà di droghe pesanti e leggere. Anche il suo stile di battaglia ed alcuni poteri saranno inediti, ma quelli principali (Le
mutazioni) rimarranno invariati.
Harrison Gon, la nuova pistola di Vincent. Inizialmente volevo
fargli costruire una nuova Cerberus, maWicked Soul mi ha dato l’ ideona e perciò la ringrazio. Il nome Harrison Gon ha due fonti: innanzitutto Harrison Ford, attore che
spero tutti conosciate. In secondo luogo Gon, era il
nome di un fucile nella versione britannica di “uomini d’ arme”,
bellissimo Fantasy-Thriller-Commedia dell’ autore inglese
Terry Pratchett, sempre sia lodato. Naturalmente Gon è la parodia di Gun.
Il mitico (almeno
per me) Roger “Dracula” Schweinsteiger, è
basato sull’ ideale di uomo che vorrei diventare.
Soprattutto per i baffi ben curati ed impomatati, un
mio sogno fin da quando ho visto la serie Tv di Hercule Poirot.
Il cognome l’ ho preso dal giocatore della nazionale
tedesca di calcio dato che, senza rendermene conto, mi sono ritrovato a
pronunciarlo incessantemente. Adoro i cognomi tedeschi, eccetto quello dei
gemelli dei Tokio Hotel, perché non sono ancora ben
riuscito a pronunciarlo.
Infine, grazie a
tutti per i commenti che mi avete fatto e che mi farete, a Wicked
Soul, OWA (il The lo ometto perché non so quale dei millemila sei: Con CrisisCore le monoali sono diventate
una moda, per giunta un po’ cretina, o almeno, io preferirei averne due di ali,
per simmetria o, ancora meglio, ventiquattro, per appagare il mio smisurato ego.)
Arysan e tutti quelli che hanno letto, con la
speranza che un giorno commentino, in modo da non essere vittime di anatemi
lanciati dall’ autore. Ètutto!
Anzi no, vorrei
rendervi partecipi delle musiche che ascolto mentre immagino le gesta dei miei
personaggi. Come? Non ve ne frega nulla? Fic mia,
gestione mia cari.
Ecco una breve
lista:
Create: Daft Punk - Harder, Better, Faster, Stronger.
Quello che Vincent Valentine non poteva proprio sopportare della sua
coinquilina era la sua straordinaria illogicità
Solo Dio può disporre della vita. Quindi io
scrivo, per creare mondi in cui possa essere l' unico
e solo Dio.
Mankind17_13
Quello che Vincent Valentine non poteva
proprio sopportare della sua coinquilina era la sua straordinaria capacità di
sovvertire qualunque regola logica lui desse per scontata. Insomma, lui era Chaos, diamine, un mostro rabbioso potente quasi quanto un
dio. Geneticamente parlando era un’accozzaglia di DNA messi a caso, certo, ma
si era dimostrato resistente a veleni, mostri, invecchiamento e malattie.
Probabilmente nemmeno una bomba H avrebbe avuto un effetto considerevole su di
lui. Eppure, Yuffie era stata in grado di preparare
una pietanza talmente letale che avrebbe steso persino Gon,
che era una pistola.
Quel giorno nefasto, subito dopo aver preso possesso della sua nuova
arma, era tornato a casa di “buon” umore, che nel mondo di Vincent aveva lo
stesso significato che una persona normale darebbe ad
una leggera malinconia.
Entrato in casa -un appartamento talmente
brutto che, solo a descriverlo, farebbe pensare anche al lettore che vive in
una baracca di lamiere di essere la persona più fortunata dell’ universo - era
stato accolto sulla soglia da una Yuffie in modalità
“espressione trionfante”, col mento leggermente alzato e le mani sui fianchi,
postura che ricordò a Vincent un celebre dittatore che aveva studiato a scuola
da piccolo.
In quel momento seppe di non avere scampo.
Come di consueto, Vincent controllò le scorte di antidoti presenti
in casa, più qualche coda di fenice per le emergenze gravi.
Assicuratosi di essere relativamente al
sicuro contro eventuali morti premature, si sedette a tavola, studiando almeno
cento strategie diverse per poter scappare al momento opportuno, e notando, suo
malgrado, di avere da tempo esaurito le menzogne credibili su impegni di
lavoro, chiamate dalla WRO o salvataggi del mondo.
Con un sorriso spaventosamente soddisfatto, Yuffie
servì in tavola quello che a Vincent sembrò una frittata a base di tutto ciò
che non dovrebbe essere presente in una frittata, compreso del cioccolato ed un possibile frammento di tessuto alieno rimediato chissà
dove.
“Yuffie”, disse Vincent, scuro in volto,
“che cos’ è questo piatto?”
“Ti piace? È una mia
nuova ricetta, si tratta di-“ rispose Yuffie.
“No! Non dire niente, preferisco rimanere nella mia beata ignoranza
culinaria. Piuttosto, l’ hai per caso assaggiato
mentre lo preparavi?”
“Certo che no! Non ce n’ era bisogno. Sono
sicura che è buonissimo”.
“Ah..” concluse Vincent, con un tono più o
meno simile al rantolo di un soldato semplice, appena finito sopra una mina
anti uomo.
Come risultato, Vincent passò il resto della giornata a letto a
sopportare i crampi allo stomaco, annotando mentalmente di alzare l’ affitto di Yuffie del 200%,
giusto per iniziare.
Sentì una rauca risata nella sua testa.
Ahrahrahr.
Bocconcino, sei stato steso da una femmina, mi deludi.
“Taci” pensò Vincent. “Se tu avessi una bocca ed
uno stomaco non saresti lì a deridermi”
Tutte scuse, un vero uomo non
si lascia sconfiggere così da una femmina. Mi sembri il tipo che si massacra il
cervello pensando alla stessa donna per trent’ anni.
“Io non.. ok, se la metti così, scommetto
che tra le antiche ricette di Wutai esiste persino
uno speciale unguento per lucidare le armi. Vogliamo provare?”
È una minaccia?
“Più reale di quanto possa apparire”
Lasciò perdere la sua arma, tornando a
concentrarsi sul motivo per cui aveva avuto bisogno di comprarla: potere. Era
innegabile che per avere la minima possibilità di sconfiggere quei mostri avrebbe avuto bisogno di una forza superiore, perché era
certo che, in confronto ad i suoi nuovi nemici, gli avversari finora affrontati
non fossero che degli insetti.
Lasciò cadere lo sguardo sul suo comodino, un grosso cubo nero alto un metro, e contemplò una foto che ritraeva tutto il
gruppo dei salvatori del mondo. Non gli erano mai piaciute le foto ed anche in quell’ occasione aveva abbassato lo sguardo, mentre quella
ninja rompiscatole gli stava praticamente appesa al collo.
Sì, in fondo era una presenza divertente, era riuscita a bilanciare l’ oscurità presente in quella casa e nel suo animo. Una
sorellina stressante ma divertente.
Tuttavia le avrebbe comunque aumentato l’ affitto, per punizione.
In un bar a qualche isolato di distanza, Wincent
era intento a contemplare la stessa fotografia, appesa ad
un muro dietro il bancone.
Sapeva fin dall’ inizio che
la ragazza con cui si era scontrato aveva avuto qualche rapporto con il suo
originale, ma non avrebbe mai creduto che quel rapporto fosse così tranquillamente
di pubblico dominio. Si era infatti convinto che per
trovare Vincent avrebbe dovuto scalare montagne, cacciare mostri, squartare
vampiri vegetariani dalla dubbia natura luccicante ed infine vedersela con
qualche organizzazione segreta di strani figuri in accappatoio nero a nuvolette
rosse.
Invece, come nel più classico dei western, le informazioni migliori
le aveva trovate in un Saloon, per giunta gestito da
un gran bel pezzo di ragazza. Per essere nato il giorno prima, la sua vita
stava prendendo una gran bella piega.
Sfortunatamente avrebbe dovuto farla fuori, non poteva permettersi
che il suo bersaglio si avvantaggiasse nei suoi confronti con qualche aiuto da
parte di terzi. Doveva essere cauto, anche uno scontro diretto
uno contro uno sarebbe risultato rischioso per lui: dopotutto aveva una carenza di Chaos
nel corpo, fatto che di certo non l’ avrebbe aiutato nel caso lo scontro si
fosse fatto veramente impegnativo.
Sentì un cigolio, poi Tifa emerse dalla porta posta dietro al banco
con un’ enorme borsa del ghiaccio, grande abbastanza
per conservare al fresco un pesce di circa sessanta centimetri.
“Ecco qui, spero che il dolore si affievolisca un poco” disse lei,
non nascondendo una nota ironica nella voce.
“Non ti sopravvalutare, ragazza” ribatté Wincent. “Sarò vestito in maniera
eccentrica, ma non sono solo uno sbruffone. Ho la pellaccia dura, sebbene sia
bianca come un muro appena riverniciato.”
“In effetti me lo stavo chiedendo. Come mai
la tua pelle ed i tuoi capelli sono così.. bianchi?”
“Totale mancanza di melanina in corpo. A causa degli esperimenti,
sai, e delle canzoni di Avril Lavigne.. quelle ti
fanno sbiancare orribilmente.”
“Avril Chi?”
“Una strimpellatrice delle mie parti”.
“Ah, capisco. In effetti anche i gruppi che
hai citato prima mi erano sconosciuti”.
“E i Beatles?”
“Beh, quelli li conoscono tutti.”
“Giustamente. Chiunque, in qualsiasi dimensione, conosce i Beatles”.
Tifa lo guardò attentamente per qualche istante, riflettendo sulla
somiglianza che il suo bizzarro ospite aveva con qualcuno di sua conoscenza.
Doveva ammettere che nonostante lo strano gusto nei vestiti era un uomo
affascinante, e lei era ormai stanca di rodersi il fegato cercando di farsi
notare da un tizio che la considerava semplicemente un’ amica.
Era davvero frustrata.
“Senti..”, proposeTifa. “Ti va una birra? Oggi è domenica,
giorno di chiusura, e non verrà nessuno. Mi faresti compagnia?”
“Ti piacerebbe. Non sono così disperata da andare dietro al primo
pazzo con gli occhiali a stella”.
“Ehi, stavo scherzando. Sei troppo tesa ragazza mia. Ci credo che hai il cazzotto facile”.
Tifa sospirò appoggiando la fronte sul bancone. Poi con uno sforzo
di volontà andò a prendere due grandi boccali in cui versò della birra chiara,
molto schiumosa. Wincentl’ accettò
con entusiasmo.
Bevettero assieme, brindando sarcasticamente al loro incontro. Fu
allora che il clone decise di porre la domanda che da qualche tempo lo
assillava.
“Dimmi Tifa…”, iniziò. “Conosci per caso un
certo Vincent Valentine?”
Molto lontano da Edge, ma comunque ancora
nei limiti del pianeta, un uomo sulla trentina vestito di scuro, un uomo
qualunque, stava pacificamente a fumare una pregiata pipa seduto ad un grande tavolo Ottagonale di ebano.
L’ uomo stava leggendo con ghigno divertito
dei documenti appena ricevuti dal suo corpo di spionaggio, notizie riguardanti
una parte fondamentale per il suo piano.
Intorno al tavolo, molteplici figure nascoste nella penombra di
quella stanza male illuminata attendevano con impazienza il prossimo ordine del
loro signore, frementi.
L’ uomo comune prese la parola schiarendosi
la voce, per poi recitare:
“Gentiluomini e nobildonne, finalmente l’ ora
è giunta! Noi, che abbiamo oltrepassato i limiti dell’ umana
stirpe, noi che siamo l’ anello mancante tra l’ uomo ed il divino! Ascoltate
queste mie parole: il tempo che abbiamo passato ad attendere affinché la nostra
arma si sviluppasse adeguatamente è infine terminato. Voi tutti, che detestate
gli uomini e le bestie, la natura e l’ artificiale. A
tutti voi che sognate di bruciare questo mondo inadatto alla nostra potenza,
preparatevi! Presto si scatenerà una guerra di proporzioni mai viste.
La parola d’ ordine è: HarmfulCarnival”
Uno
scrosciante applauso rimbombò nella stanza oscura. Un nuovo nemico stava per
fare il suo ingresso, una nuova pedina sarebbe stata condotta verso il nulla
eterno.
Come sempre i ringraziamenti a
quelle due gatte che commentano TOWA e Wicked Soul.
Sono frustrato, poche letture e
pochissimi commenti. Penso che non ci si possa far niente, giusto? Dopotutto se
non si hanno degli effetti personali le bambole voodoo
non funzionano.. ehm.. ma veniamo ai commenti di questo nuovo capitolo!
La relazione Yuffie
e Vincent è come al solito la tipica relazione cane e
gatto, ma non aspettatevi nulla di più (si, dico proprio a voi che leggete
nella speranza di una yuffientine) Al massimo si
instaurerà un rapporto di reciproca fiducia ed amicizia, questi concetti
sconosciuti e dispersi in un mare di yaoi.
Tifa e Wincent
sinceramente li vedrei bene assieme ma vabè,
dopotutto Wincent è un folle che sente le voci, non
saprei proprio se sviluppare una loro relazione. Farò come tutti i grandi
scrittori attenti e scrupolosi: tirerò una moneta, vada come vada.
L’ organizzazione
HarmfulCarnival,
letteralmente Carnevale nocivo. Mi piacciono le organizzazioni.
Riferimenti a vampiri vegetariani
sbrilluccicanti e tizi in accappatoio nero a nuvole
rosse sono riferimenti puramente casuali. Non ci credete? Pazienza!
Il boss dell’ organizzazione inspirò un’ ampia
boccata dalla sua pipa. Era soddisfatto se non addirittura eccitato dal suo proposito.
Non era un uomo considerevole, bensì un anonimo trentenne che
nessuna donna si sarebbe girata a guardare perstrada, una persona comune, priva di
qualità rilevanti, fatta eccezione per una tremenda, crudele scintilla malvagia
nel profondo dei suoi occhi verdi. Un incendio oscuro nascosto dietro un’ espressione serafica, una fiamma in grado di attirare le
persone a lui affini come se fossero delle stupide falene.
Seduto sulla sua sedia a dondolo nella sala delle riunioni, il capo
stava osservando entusiasta le reazioni dei suoi accoliti in merito al suo progetto.
Non era riuscito ad attuarlo prima a causa di elementi di disturbo, tra i quali
Jenova, Sephiroth e la Deepground.Non certo
avversari temibili per lui, ma comunque tasselli indesiderati nel suo mahjong di follia.
Si sentì un ronzio, poi la luce penetrò intensa nella stanza,
rischiarando l’ ambiente.
“Finalmente hanno riparato il generatore” annunciò uno degli
accoliti.
La sala si rivelò per quello che era: un vecchio bar completo di
tavoli da biliardo e videopoker, dall’ aspetto sciupato
e decadente, una rovina di ciò che realmente era stato. Al Capo di tutto questo
non importava granché; il suo desiderio e la sua ambizione non avevano bisogno
di un quartier generale di classe, bensì di uomini capaci, dotati di braccia
forti e soprattutto di una mente solida.
Sbuffò una nuvola di fumo, poi un uomo di colore dalla curiosa
chioma rosso fuoco, vestito in maniera bizzarra fece
capolino nel bar, il tono di voce deformato dall’ eccitazione.
“Leader” esordì “abbiamo una traccia precisa”.
Il Leader sorrise, la bocca assurdamente larga per il viso su cui
era montata, tanto da farlo apparire come un predatore in procinto di dilaniare
coi denti la sua preda. Un carnivoro troppo spaventoso
persino per il mondo di mostri in cui era nato.
“Eccellente! E dimmi Venerdì, qual è la sua posizione?”
“Si trova in un quartier generale della WRO, Leader.”
La bocca del Leader si allargò ancor di più.
“Bene, partirai insieme aJΩ Wayne. Immagino che non ti servano molti
uomini, giusto?”
Venerdì sorrise, i denti bianchissimi in contrasto con lapelle nera come l’
ebano.
“Per una base della WRO, dieci elementi saranno più che sufficienti”.
“Ottimo, presto la cara bambina ingrosserà le nostre
fila. Procedete.”
Quella mattina, mentre il suo clone era intento a documentarsi su di
lui, Vincent era rimasto solo nel suo appartamento, dati gli impegni
universitari della sua coinquilina. Rimaneva ancora stupito dalla passione per l’ antropologia culturale dimostrata da quella matta,
tuttavia ne era felice: se non altro se la sarebbe tolta dai piedi per qualche
ora.
Sentì un brontolio allo stomaco: doveva ancora fare colazione.
Cincischiò nella credenza alla ricerca dei suoi cereali preferiti, quelli con
le scaglie di cioccolato, tuttavia tutto ciò che trovò
fu… CaithSith.
Richiuse violentemente lo sportello, facendo finta di nulla.
Nessun movimento.
Sospirando rassegnato, Vincent riaprì controvoglia lo sportello
della credenza, trovando l’ odioso felino ancora lì,
seduto con quella sua espressione di malefica cordialità. Non che lo trovasse
antipatico, ma se Caith era lì, voleva dire che la
situazione era quanto meno tragica. Un uccello del
malaugurio in forma felina. Non per niente era un gatto nero.
“Ciao!” salutò Caith.
“Jenova è resuscitata?
Sephiroth con lei? Hojo è
ancora vivo nel cyberspazio? Una nuova Weapon?”
ricambiò Vincent.
“Nulla di tutto ciò! Ci serve la tua assistenza per proteggere una
persona”
“Se è un politico mi rifiuto, insieme agli
scienziati pazzi ed agli squilibrati megalomani sono la categoria di persone
che odio di più.”
“Nahhh, si tratta di una bambina”.
“Declassato a baby – sitter.. sarà per via della mia esperienza quotidiana.. chi è il
soggetto?”
“Per questioni di sicurezza i dettagli ti verranno
forniti una volta arrivati a destinazione, accetti?”
“Come se avessi di meglio da fare. Dammi cinque
minuti per fare colazione.”
Nel frattempo, Wincent si ritrovò
impegnato ad affrontare un tremendo nemico.
Era enorme, del colore della pietra: se anche avesse avuto delle
emozioni, il suo volto granitico non le avrebbe potute esprimere. Un avversario
ostico, dalle impressionanti capacità tattiche. Chissà cosa si celava dietro
quella sua assoluta immobilità.
Il suo nome era Vicolo Cieco, e Wincent se
lo era trovato sulla sua strada.
“Forse era tre isolati dritto e poi girare
a sinistra” mormorò Wincent.
Vicino a lui Neville, il suo Chocobo
bianco addobbato con un cinturone ed un cappello da
cow boy emise un “queck!” di disperazione. Quello era
il quarto ostacolo che avevano incontrato nella stessa via. Neville, nella sua
mente di Chocobo, si chiese se fosse normale per un
senza-piume riuscire a smarrire la strada in un senso unico per quattro volte
di fila. La risposta naturalmente era sì, visto l’ esempio
offerto dal suo padrone.
Wincent sembrò studiare il muro del
vicolo, invitandolo ad una gara di sguardi. Niente, il
muro non ebbe timore.
Quindi provò a far finta di andarsene,
fischiettando un’ allegra canzoncina per enfatizzare la sua finta resa. Ancora
nulla, il muro non se la bevve nemmeno per un secondo.
A quel punto iniziò un profondo dibattito filosofico con se stesso.
“Dunque, se questo è un vicolo cieco, qualcosa mi dice che mi è
impossibile passare, tuttavia se sono arrivato in questo vicolo probabilmente
da qualche parte sarò pur venuto. Ergo, probabilmente,
se girerò su me stesso di 180 gradi, forse dovrei riuscire ad
uscire da qui”.
Con sua grande soddisfazione, il suo ragionamento fu esatto. Dopo
circa trenta minuti era riuscito a trovare la via di uscita dal vicolo. Neville
emise un “queeeck” di sollievo.
“Eh, visto che genio, Neville?” disse Wincent, pieno di sé.
Il Chocobo piegò la testa di lato con
sguardo perplesso: ancora non era riuscito ad abituarsi al suo padrone.
Quando Create creò l’ arma per Wincent, quest’ ultimo pretese, non senza fare storie, una
cavalcatura degna di lui. Se il creatore avesse dato retta al clone albino,
probabilmente le sue creazioni non sarebbero arrivate nemmeno adEdge, quindi optò per un
destriero decisamente più furbo ed intelligente del suo fantino.
Solo una cosa fu lasciata come negli iniziali progetti di Wincent: Neville era in grado, infatti, di canticchiare
tutte le arie dei western, specialmente quelle dei film di Sergio Leone.
Quindi, data la sua intelligenza superiore, tutto ciò che Neville rispose fu un “queck..” di
sufficienza.
Usciti finalmente dal vicolo, fantino e destriero
incrociarono uno strano tipo in Smoking con una curiosa bandana nera in testa
ed un’ enorme pistola finemente decorata sulla schiena.
Dopo il fugace incontro, Wincent avanzò
per un altro chilometro, perdendosi sei volte, dopodiché si arrestò.
“Quel tipo mi era familiare..”
Neville, che aveva una memoria visiva decente, aveva tentato di
avvertire il suo padrone con degli allarmanti “queck! queck!”,
tuttavia Wincent, intento ad ascoltare musica hard rock sull’ i–
pod, non se ne accorse.
“Non suggerire Neville, voglio arrivarci da solo..”
disse Wincent al suo Chocobo.
Passarono le ore, parecchie ore. La città
di Edge, vista dall’ alto,
con le sue luci ed i suoi odori riusciva a dare quell’ immagine di discarica a
cielo aperto che gli abitanti avevano avuto sin dal primo giorno. Cani, gatti,
umani e magari qualche sporadico mostro, comunque tutti ubriachi, formavano un
curioso apparato sonoro che dava quel non so che di squallido
allo schifo generale.
Ci fu un solo, terribile rumore a spezzare l’ effetto:
“MEEEEEEEEEEEEEEEEEEEERDAAAAAA!”
A cui si unì un:
“QUEEEEEEEEEEEEEEEEECK!”
A cui seguì un:
“AUUUUUUUUUUUUUUUU!”
Che provocò un:
“E BASTA CON ‘STO BACCANO!”
In un’ elegante stanza bianca decorata con
curiosi ghirigori di oro zecchino applicati alle pareti, Create stava vincendo
per la settantesima volta a scacchi contro Destroy.
L’ aver mandato Wincent
a fare illavoro sporco era stata un’
idea assurda, ma dopotutto era soltanto una prova: era la prima volta che
clonava un essere già esistente con i suoi poteri di creazione.
La stanza svanì, al suo posto comparve una tetra ed
umida grotta.
“Senti compagno, sai bene che questo posto cambia forma a seconda del nostro umore. Puoi per
cortesia evitare di rabbuiare il tuo animo per una partita a scacchi?” disse
Create, serafico.
“Se non fosse la settantesima volta non mi
deprimerei” rispose Destroy un poco adirato.
Sul fondo della grotta, Change stava leggendo
un libro vicino al lume di una lampada in stile liberty ricavata da un grosso
masso lì vicino.
“Sentite, compagni”, iniziò Change, “va
davvero bene restare qui con le mani in mano mentre
lasciamo tutto il lavoro a quel clone difettoso?”
Create sospirò amaramente.
“Come ti ho già spiegato, l’ introduzione
di.. Wincent, così si è chiamato, nella sfera dell’
esistenza ha costretto il disegno a cambiare i suoi piani. Naturalmente,
essendo un clone di Vincent, per forza di cose i due sono legati e destinati ad incontrarsi. Basta avere pazienza. Quando avverrà il contatto vedremo come se la caverà l’ originale. Voglio
essere sicuro di ricevere dati più precisi su Chaos,
così da poter preparare eventuali contromisure nel caso non risultasse
sufficientemente potente per eliminare la bambina”.
“Ancora non ci hai spiegato perché la bambina sarebbe in grado di
fare quello che hai detto”.
“Lei è un’ appartenente ad una nuova razza
di esseri umani, la stessa razza che compone quella strana organizzazione che stiamo
attualmente monitorando. Sono tutti conseguenze dell’
attività riparatrice del pianeta nei confronti degli “errori”, sono
incarnazioni.”
“Incarnazioni di cosa?”
“Incarnazioni dell’ anima del Pianeta o
meglio, della parte più corrotta ed instabile”.
“Quindi quella bambina è..”
“Precisamente. Quell’ essere
innocente è l’ incarnazione della calamità che rischiò di distruggere il mondo.
In quella bambina risiede il tremendo potere di Meteor”.
Grazie a tutti per le recensioni, a Shin,
Wicked, Alister, TOWA ed al nuovo commentatore Franky9397. Grazie di cuore.
Eventuali indicazioni sui nomi dei personaggi le metterò nel
prossimo capitolo. In verità avevo scritto un papiro di note ma l’ ho perso, e non c’ ho testa per riscriverlo, sorry.
Un ringraziamento speciale a Sarah che, volontariamente o
meno, mi ha insegnato a scrivere Fiction leggibili. Thanks.
Grazie ad Alister per il betaggio, così come nel precedente capitolo. In querllo prima ancora grazie a Wicked Soul sempre per lo stesso motivo. Sono uno
sbadato.