Nel Cuore Dei Sogni

di Tico_Sarah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Un Villaggio Prigioniero Della Foresta ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. Shanks Il Rosso ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. Alla Scoperta Del Mondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. L'uomo Del Battello ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. Svolta ***
Capitolo 6: *** Parte 2 - Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo. Un Villaggio Prigioniero Della Foresta ***


--- Parte Prima: Il Villaggio Di Taraah ---

 

Prologo

 

Un Villaggio Prigioniero Della Foresta

 

 

Il buio polveroso di quello scantinato fu attraversato da un frastuono di vetri infranti, poi da un tonfo sordo e da un susseguirsi di voci.

-Cammy... Che cavolo stai combinando?!- esclamò una ragazza.

Ci fu un fruscio. Una della persone calpestò i vetri facendoli scricchiolare, poi, finalmente, si udì un leggero scatto e una luce gialla, proveniente da una plafoniera coperta di polvere, si diffuse timidamente nella stanza. Pareti costruite con grossi mattoni di pietra vennero illuminati pallidamente.

La luce calda illuminò pian piano tutto lo scantinato, rivelando una libreria in cui erano incastrati una moltitudine di volumi pesanti, rilegati in pelle con titoli indecifrabili, alcuni ritratti di paesaggi campagnoli appesi alle pareti e un tavolino rettangolare al centro della sala. Era piccolo, di legno d’acero, accompagnato da una seggiola scricchiolante dello stesso materiale già divorata dalle termiti. Era proprio accanto a questa sedia solitaria che stava in piedi una ragazzina smilza, dai corti capelli biondi, legati in due codini ai lati della nuca. Sembrava terrorizzata, e guardava a terra l’inchiostro versatosi quando aveva dato una gomitata alla boccetta che lo conteneva.

-Arissa... Mi dispiace...- lo disse quasi piangendo. I suoi occhi blu erano già lucidi.

La ragazza che aveva acceso la luce si fiondò verso di lei e le prese il volto tra le mani affusolate.-Non piangere, non è nulla di grave... Guardami Cammy. Non è nulla di grave.- Ripetè, più a sé stessa che alla compagna.

Arissa Saguraku era una ragazza molto bella, a suo modo. Che fossero i tratti gentili e la grazia che aveva nei movimenti a donargli quella bellezza o la sua infinta disponibilità, lei era bella. Aveva lunghi capelli corvini, che teneva sempre sciolti sulle spalle. La frangia spostata verso destra faceva da sipario ad un viso ovale, su cui erano disposti due occhi neri, grandi e allungati sopra cui si trovavano due sopracciglia nere e allungate, un naso elegante e labbra sottili. Teneva ancora in mano il viso dell’amica e la guardava incoraggiante.

-Mi spiace Arissa... Giuro che non volevo.-

-Lo so, lo so. Adesso vediamo di andarcene da qui, va bene? Se mia madre mi becca, mi fa pulire la casa da cima a fondo...- disse frettolosamente la giovane mora, mentre afferrava un libro nero sul tavolino e lo infilava nella sacca che teneva a tracolla.-Andiamo Cammy... O ci cacceremo nei guai.-

Cammy tirò su con il naso e annuì, poi si diressero verso la porticina di legno da cui erano entrate, Arissa spense la luce e dopo essere uscita insieme a Cammy si chiuse la porta alle spalle. Tirò un sospiro.-Quando mio padre tornerà si accorgerà di quel macello...-

Quell’affermazione fece sussultare Cammy.-Avevi detto che non era importante! Lo sapevo! Ti ho messa nei guai!-

Arissa le sorrise.-Ma no, che stai dicendo...?- percorsero uno stretto corridoio buio, fino ad arrivare ad una rampa ripida di scalette di pietra. Già si intravedeva la luce del sole, sarebbe bastato salire i piccoli gradini grigi e finalmente sarebbero uscite da quell’antro buio e polveroso.

La giovane moretta mise un piede sul primo gradino e si fermò.-Dopotutto sono io che devo scusarmi con te!- allungò una mano verso la guancia bagnata di Cammy. -Se non ti avessi trascinata fin qui a prendere questo libro, non avremmo corso nessun rischio, no?- fece con affetto.

Cammy la guardò spaesata.-Ma non è colpa tua-

-Neanche tua. Quindi se vogliamo stare qui a giocarcela a morra cinese, facciamo pure... altrimenti usciamo e nascondiamo il libro- rise Arissa.

-Hai ragione.- Finalmente Cammy sorrise.

Quella ragazzina dagli occhi blu era la migliore amica di Arissa. Non solo perché erano vicine di casa, ma anche perché Arissa sapeva che Cammy in casa subiva vari maltrattamenti e deisderava davvero aiutarla. Suo padre era una persona abbastanza violenta, ed era conosciuto e allontanato da molta gente.

Il villaggio di Taraah era una piccola chiazza di terra su un’isola ricorperta maggiormente da alberi. Il settanta percento di quell’isolotto sperduto nel mare era ricoperto dalla foresta, e il villaggio sorgeva nell’unico punto libero dagli alberi, al centro di tutto. Erano poche case, un paio di vie e molti campi. La popolazione non aveva contatti con l’esterno da un paio di generazioni ormai, e viveva grazie ai frutti della terra, escogitando sempre nuovi meccanismi di coltivazione.

Il paesello si sviluppava maggiormente ai lati della via principale, dove si trovavano i negozi e l’emporio del medico Eichiro Saguraku, il padre di Arissa. Per quanto paradossale, quell’uomo era l’unico medico del villaggio, aveva un solo aiutante (anche piuttosto imbranato), e aveva una passione smoderata per la botanica. La sua casa, un villino bianco a due piani, era stata costruita in periferia, e attorno possedevano un giardino dove Eichiro amava creare nuovi tipi di piante incrociandone altre.

Alla destra di casa Saguraku si trovava la casa della famiglia di Cammy. Mentre la prima era una villa lucida e splendente, anche grazie al severo rigore della signora Kaguya in fatto di pulizie, la seconda era una sporca e malmessa. La madre di Cammy era morta tempo prima, in circostanze misteriose. Nel villaggio non esistevano investigatori, figuriamoci polizia o roba del genere, così nessuno aveva potuto far luce sul mistero.

Cammy era stata sola per molto tempo, poi Arissa aveva deciso di vincere la timidezza e presentarsi per fare amicizia. Per quanto triste, Cammy amava stare in compagnia.

Quella mattina, Arissa aveva terminato di leggere l’ultimo volume sulle erbe velenose che aveva preso dallo scantinato di suo padre, così l’aveva convinta a prenderne un altro. Ed ecco com’erano finte lì sotto.

Le due ragazze misero la testa fuori da una botola. Il sole era alto, doveva essere minimo mezzo giorno.

-Cavolo- sbottò Arissa.-Dobbiamo sbrigarci.-

Lo scantinato si trovava sotto la casa di Arissa, ma era accessibile solo da una botola sul retro. La giovane aveva dovuto sperare che la madre fosse abbastanza impegnata, da non vederla uscire dalla finestra della propria camera al primo piano, altrimenti sarebbero stati guai grossi.

Kaguya Saguraku era una donna che amava fare la madre, ma in modo tutto suo. Era il classico tipo severo, andava sempre vestita con un abito bordeaux in stile antico, pieno di pizzi e fronzoli, e si divertiva a girare per la casa passando il dito su ogni mobile. Quella mattina aveva detto che sarebbe stata impegnata nella pulizia del camino, cosa che avrebbe richiesto più tempo rispetto al solito.

Arissa riuscì a salutare Cammy e a rientrare in camera sua. Nascose il libro sotto il letto, alzando un lembo della trapunta  bianca che lo ricopriva. Poi aprì le ante dell’armadio di legno e ci gettò dentro la sacca. Richiuse tutto e si appoggiò con le spalle all’armadio.  Dovette prendere dei profondi respiri, poi si riassestò l’abito di lino bianco, colpendolo per liberarlo dalla polvere, strinse la creativa cintura di cordoncini rossi che aveva legato alla vita, e si preparò a sorridere.

La passione segreta per le erbe medicinali, i veleni, gli antidoti e varie, era una cosa che la madre non doveva assolutamente sapere. Kaguya la voleva pronta per diventare una moglie dedita e una madre di famiglia impeccabile, esattamente come riteneva essere lei. Per Arissa, che aveva soltanto diciannove anni, questa imposizione suonava come una condanna a morte. Lei voleva essere libera di studiare quello che le piaceva e diventare un giorno ciò che avrebbe voluto essere. Era presto per pensare al matrimonio. Non si era mai neanche innamorata, perché il pensiero comune del villaggio era lo stesso di sua madre e lei non voleva vivere una vita di recusione.

Da piccola si era sempre chiesta se avesse qualcosa che non andava, poi erano arrivati degli uomini dall’esterno. Erano uomini della marina, avevano detto. Cercavano un bambino che secondo loro sarebbe dovuto essere il figlio di un famoso pirata, Gol D. Roger. Erano venuti per due anni di seguito, poi avevano fatto controlli regolari negli anni seguire, anche se questi erano sempre meno frequenti.

Erano uomini che solcavano i mari, aveva pensato Arissa, quando li aveva visti il giorno del suo sesto compleanno. Aveva seguito di nascosto uno di loro che si era perso per la foresta, quella foresta che lei ormai conosceva a menadito. L’uomo aveva cercato di mangiare delle bacche, ma Arissa glielo aveva impedito perché sapeva che erano velenose.

Fu allora che la sua passione crebbe, perché capì di non essere pazza.

-Fortuna che c’eri tu, piccoletta!- le aveva detto l’uomo, assestandole una pacca sulla testa.

Era cresciuta in segreto, ma era una passione che Arissa non avrebbe mai abbandonato. Un giorno, si era promessa, rivelerò tutto a mia madre.

Si affacciò in corridoio. Sua madre lo stava attraversando proprio in quel momento, con le spalle dritte. Quando le passò davanti le fece cenno di seguirla in tinello, dove la tavola era già apparecchiata per il pranzo. La tovaglia di pizzo pendeva per tutti e quattro i lati della tavola squadrata, e sopra tovaglioli, piatti e posate erano disposti in maniera impeccabile.

Arissa notò che mancavano solo i bicchieri.

-Vai a prenderli- disse la madre, mentre si riassestava i capelli ingrigiti.

La giovane tornò poco dopo con tre bicchieri in mano, che dispose davanti ai piatti sotto lo sguardo inquietante della madre.

-Bene- sentenziò Kaguya, mentre si accertava che intorno fosse tutto perfetto.

-Cosa c’è per pranzo?- chiese Arissa, mentre si soffermava davanti al suo posto a tavola con lo stomaco che protestava.

Kaguya le lanciò uno sguardo per accertarsi che anche fosse in ordine, poi rispose:-Pasta, condita con sugo al ragù.-

Arissa sorrise.-Comincio ad avere fame...-

-Prenditela con tuo padre. È lui che è in ritardo.- Disse Kaguya, in tono severo.

-Vuoi che vada a cercarlo in negozio?- domandò Arissa, continuando a sorridere.

Kaguya scosse la testa.-No. Lo aspettiamo. Forse ha avuto molto lavoro oggi. Ho sentito che il figlio del vecchio Kakuri sta male. Ha la febbre altissima da molti giorni e non può muoversi dal letto.-

-Mi dispiace per lui- disse Arissa, senza troppa sincerità. In realtà, quel ragazzo non le era mai stato simpatico: l’aveva sempre presa in giro per qualsiasi cosa, e così facendo non si era certamente guadagnato la sua amicizia.

Le due rimasero qualche minuto in silenzio, poi Kaguya assottigliò lo sguardo e fissò torvamente la figlia.-Arissa... Sei andata da qualche parte stamattina?-

Arissa ebbe quasi un sussulto, ma riuscì a trattenersi appena in tempo e a rispondere:-Ma certo che no, mamma. Sono stata nella mia stanza.-

-Ti ho già detto che lo scantinato di tuo padre è tabù per te, vero?- domandò ancora Kaguya, sicura di aver colto nel segno.

-Certo...- mormorò Arissa, abbassando la testa.-Lo so.-

Kaguya sorrise.-Fortunatamente ho una figlia responsabile e giudiziosa.-

Arissa avrebbe sbuffato se avesse potuto. Avrebbe anche gridato alla madre che niente di tutto quello che le faceva fare le piaceva, e che non era né responsabile, né giudiziosa. Anzi, era una vera e propria calamita per i guai, sia che li andasse a capare, sia che fossero loro a stanarla. E se non si fosse vergognata così tanto a pensare una cosa del genere, le avrebbe detto che sarebbe anche potuta salpare con la prossima nave della marina.

Erano tutti pensieri che le frullavano per la testa, ma che si spegnevano non appena le tornava il buon umore e si accorgeva quanto bene volesse ai suoi genitori. Dopotutto, erano pur sempre sua madre e suo padre.

 

(...)

 

Le abitudini di Eichiro avevano portato Kaguya a fissare l’ora del pranzo per le una precise. Nessuno dei due coniugi aveva mai infranto la regola per più di vent’anni di matrimonio, mentre quel giorno sembrava proprio che il buon padre di famiglia avesse avuto voglia di prendersi un’oretta di ritardo.

Arissa aveva cominciato a preoccuparsi.-Non sarà meglio che lo vada a cercare?- insitè.

-No. Stai lì e zitta. Un uomo va atteso con un pasto caldo in mano, non si va a cercare. E poi tuo padre è un tipo molto responsabile.-

Arissa sbuffò. Ancora quella parola!

-Mamma, è un’ora di ritardo! Un’ora! Insomma... Altro che pasto caldo!- protestò.-Non vorrei che gli fosse successo qualcosa!-

-Eichiro ha un valido aiutante, se gli fosse successo qualcosa lo sapremmo di sicuro!- ribattè Kaguya, cocciuta.

-Non ne sarei così sicura- replicò Arissa, puntando i piedi.

-Ti ho detto di no!- tagliò corto la madre.-Quando sarai sposata capirai che gli uomini hanno i loro tempi, e che i loro tempi vanno rispettati. Non si vanno a cercare.-

-Mamma...- sbuffò Arissa.-Possibile che tu non sia minimamente preoccupata da andare a fare un salto da lui?-

Nessuna risposta.

Passarono ben tre ore, ed Eichiro non si era fatto ancora vivo. Il pranzo ormai era andato a farsi benedire, e piuttosto che mangiare senza il marito, Kaguya aveva preferito rovinarlo.

Arissa non sapeva più cosa pensare. Suo padre era un abitudinario. Tornava a casa dal lavoro, mangiava, si metteva in giardino a fare un paio di esperimenti, poi se ne andava a lavorare di nuovo, tornava a cena, mangiava e andava a dormire. Sempre così, ogni giorno per tutti i cinquant’anni della sua vita.

La giovane era passata da in piedi al divano, dal divano alla poltrona, dalla poltrona ad ammirare un quadro che non aveva mai notato essere così bello; infine si era seduta a tavola, con i gomiti appoggiati sulla tovaglia e l’aria annoiata.

Kaguya era rimasta in piedi come una statua per tutto il tempo. Ogni tanto, aveva notato Arissa, il suo labbro inferiore aveva avuto dei leggeri tic, forse dovuti all’ansia dell’attesa. Eppure non aveva mai smesso di essere impeccabile. Anche lei, in cinquant’anni non aveva fatto altro che riverire il marito. Un po’ come tutte le donne del villaggio, comunque. Forse un tempo non era così, pensò Arissa ad un certo punto, forse alla sua età diventerò così anche io.

Eichiro tornò verso le sette, aprì la porta con un giro di chiave e apparve alla soglia con il camice da medico tutto stropicciato. Il volto paffuto era sudato e tutto rosso, in particolare le guance, inoltre sembrava avere un’aria molto stanca che aveva aumentato le rughe sotto gli occhi e in mezzo alle folte sopracciglia nere.

Kaguya gli saltò praticamente addosso, gli prese il camice, lo ripose con cura sull’appendiabiti, poi lo scortò fino in tinello e lo fece sede a capotavola, curandosi di spostare la sedia per farlo sedere.

Finalmente fu servito il pranzo, anche se in qualità di cena.

Arissa cercò di mantere un contegno mentre mangiava, anche se avrebbe desiderato trangugiare tutto in pochi secondi. Colpa di mamma se mi sento un percello, le venne da pensare.

Nessuno parlò durante la cena. Kaguya non si azzardò a fare domande, quando tutti ebbero terminato di mangiare sparecchiò e si rinchiuse in cucina per lavare i piatti.

Arissa rimase a guardare suo padre che si lasciava andare sulla sedia, con una mano sul pancione.-Che mangiata- commentò.

-Papà... Perché sei tornato così tardi?- domandò Arissa.

Il volto del padre sembrò illuminarsi di gioia quando glielo chiese.

-Io e la mamma eravamo preoccupate.-

Eichiro lanciò un’occhiata dubitosa in direzione della cucina.-Perché non è venuta a cercarmi?-

Arissa lasciò perdere tutto quello strano discorso sui tempi degli uomini che le aveva fatto la madre e si limitò a scrollare le spalle.

-Certo, cosa ne puoi sapere tu di cosa succede nella testolina di tua madre?- domandò Eichiro, con una nota di disappunto.-Comunque, sono tornato tardi perché ho dovuto curare un uomo. Era ferito gravemente.-

-Quanto gravemente?-

-Molto- sussurrò Eichiro.-Io... Ho fatto tutto il possibile per salvarlo.-

-Era il figlio del signor Kakuri?- domandò Arissa, con un groppo in gola.

Eichiro iniziò a tamburellare le dita sulla sua pancia, assorto nei suoi pensieri.-No, tesoro mio. Non era il figlio del signor Kakuri.-

Arissa lo fissò con sguardo interrogativo.

-Era un mozzo di una nave- spiegò Eichiro, a tratti.

-Una nave della marina?-

-No. Una nave pirata.-

Arissa sgranò gli occhi.-Una... Nave pirata? Ha attraccato qui?-

Il padre annuì gravemente.-Il capitano della nave ha assicurato che non ha intenzione di depredare il villaggio, né di farci del male. Ha chiesto un posto dove seppellire il mozzo e un posto dove riposare mentre riparano la nave. Nient’altro.-

Arissa lo guardò con interesse e paura insieme.-Dei pirati al villaggio? Pirati veri?-

-Sono tornato così tardi perché mi hanno portato alla loro nave, ma per quel ragazzo non c’era nulla da fare. Io... Mi sono sentito impotente.-

-Non dire così...- mormorò Arissa, dispiaciuta.

-Sai tesoro... Speravo davvero che stavolta tua madre sarebbe venuta a cercarmi.- Ammise Eichiro, deviando lo sguardo da Arissa a un punto indefinito del tinello.-Ma mi sbagliavo.- Concluse, mentre si alzava con uno sforzo enorme. Sembrava invecchiato di cent’anni.

-Mi spiace papà... Sarei venuta a cercarti io- fece Arissa per consolarlo.

-No. Con quei pirati in giro non c’è da fidarsi. Meglio se non vai troppo a spasso nei prossimi giorni. Almeno finchè non se ne saranno andati.-

-Non preoccuparti...- si sbrigò a dire Arissa, mentre arrossiva violentemente.

Eichiro la guardò con orgoglio.-Una bella bambina come te non deve avvicinarsi a quella gentaglia!-

-Oh, papà...- ridacchiò Arissa.

Eichiro le andò vicino e le schioccò un bacio sulla guancia.-Fortuna che ci sei tu, angelo mio.-

Arissa sorrise. Voleva bene a sua madre, ma sentiva che se suo padre se ne fosse andato, si sarebbe portato via una parte della sua vita.-Papà... tu rimarrai con me... Vero?-

-Io vivo per te, angelo.-

Mamma non mi rivolge la parola, pensò Arissa con angoscia, se tu vai via, io con chi rimarrò?

-E mi raccomando. Rimetti a posto il libro che hai preso- ridacchiò Eichiro.

Arissa arrossì.-L’hai già scoperto?!-

-Ovvio- rispose il padre.

-Ma come fai?!-

-Segreto!-

-Papà!!!- esclamò Arissa, rossa come un pomodoro.

Dopotutto, la vita a Taraah non era male. A parte una madre despota, Arissa aveva tutto ciò che una ragazza poteva desiderare: una casa, una famiglia e un padre da amare. Aveva una migliore amica e un guardaroba pieno di vestiti color pastello. La vita le sorrideva, e Arissa ricambiava ammiccandole.

Non si stava male.

Era un villaggio circondato dalla foresta, Taraah. Ma ora erano arrivati i pirati! Chissà che tipo di gente era. Che fossero davvero cattivi come sosteneva Eichiro? Kaguya diceva addirittura che portavano malattie da oltreoceano. Ma qual era la verità?

 

(...)

 

La camera era illuminata da un candelotto tremolante, che bastava a far luce soltanto su un letto su cui era poggiato un ventenne dall’aria stravolta dalla fatica e dalla malattia. I capelli ricci erano sudati e bagnati dalla pezza impregna d’acqua che gli avevano poggiato sulla fronte.

Erano le una di notte, e il cielo stellato e sereno che si intravedeva fuori dalla finestra faceva a botte con l’atmosfera pesante che regnava nella stanza.

Eichiro era stato svegliato di soprassalto dal bussare frenetico alla porta di casa, era sceso dal letto ed era andato ad aprire al signor Kakuri, che gli aveva detto c he le condizioni del figlio erano peggiorate.

Il dottore non aveva esitato, era uscito con le ciabatte e il pigiama ancora addosso, dopo aver afferrato la sua valigetta contenenti gli attrezzi medici.

Ora  Eichiro era lì, con la mano che si muoveva sul petto gracile del ragazzo, nel tentativo di capire cosa stesse succedendo al suo interno. Sebbene le tecniche arrestrate, la mancanza di strumentazione e le poche conoscenze delle nuove malattie che invece circolavano liberamente per il mondo in evoluzione, non si erano mai avuti grossi problemi, forse proprio grazie alla reclusione in cui viveva il villaggio. Invece il caso di Kakuri sembrava andare al di là dell’ignoto, per Eichiro, tanto che arrivò a dubitare se vivere senza contatti esterni fosse davvero la cosa migliore per il villaggio.

-La febbre è salita- sentenziò Eichiro, che si sentiva impotente per la seconda volta in meno di due giorni.-Sembra che i polmoni funzionino correttamente... Sembra tutto a posto... A parte quest’anomala febbre...- esaminò meglio il ragazzo.

Il signor Kakuri tremava alle sue spalle.-Eppure era stabile fino a qualche ora fa...-

-Sembra una malattia misteriosa...- disse Eichiro, preoccupato.-A questo punto mi chiedo se io l’abbia sottovalutata...-

-Cosa intende dire signor Saguraku?- domandò il signor Kakuri, sempre più spaventato.

-Potrebbe anche essere una malattia infettiva.- Sentenziò Eichiro.

-I- Infettiva?- balbettò Kakuri, terrorizzato.-Intende dire che ci ammaleremo anche noi?-

Eichiro non rispose, tirò via la coperta dal ragazzo e continuò ad esaminarne il corpo.-Tuttavia, cosa avrebbe potuto portarla? La marina è quasi un anno che non si fa sentire, e non ci sono state incursioni estranee da parte di esterni, a parte questa mattina.-

-Mio figlio è ammalato da un mese.-

-Appunto. Possibile che ancora non sia passato?-domandò il dottore, più a sé stesso che al padre del ragazzo. I suoi occhi grandi e attenti si spostavano sulle gambe del giovane, poi improvvisamente  Eichiro tirò fuori una lente d’ingrandimento dalla sua borsa e la portò vicino al malleolo del piede. Osservò lo stesso punto svariati istanti.-Un morso- sentenziò.

Kakuri si fece avanti.-Un morso... Di che cosa?-

-Non ne ho idea...- rispose il dottore, confuso.-Non ho mai visto niente del genere... nessun veleno che io conosca entra in circolo e uccide una persona in un mese. Devo concludere quindi...- guardò ancora i quattro, bizzarri, buchi che il giovane aveva sul piede,- che l’animale che lo ha morso abbia potuto trasmettergli la malattia.-

-Ma questo vuol dire che potrebbe davvero essere contagiosa!- esclamò Kakuri.

Il dottore ricoprì il ragazzo, preoccupato.-Non è il caso di essere così affrettati. Potrebbe anche essere soltanto un caso isolato. Io e lei siamo stati in contatto con suo figlio per quaranta giorni e non ci è successo niente. Aspettiamo a tirare le conclusioni. Intanto... meglio che prenda un po’ del suo sangue, così potrò esaminarlo.- Il problema era come. Erano trent’anni che Eichiro faceva finta di esaminare il sangue. Tutti credevano che fosse in grado di farlo, ma non era la verità. Non aveva né un laboratorio attrezzato per lo scopo, né le condizioni sanitarie per poterlo fare.

-Mio figlio starà bene?- si azzardò a chiedere Kakuri.

Eichiro si costrinse a sorridere.-In meno di un battito di ciglia.-

Kakuri sorrise, sollevato, andò a sedersi accanto al figlio malato e gli prese una mano con cura.

-La febbre starà reagendo alla malattia- disse Eichiro.-Probabilmente domani mattina sarà già in grado di alzarsi.-

A Eichiro quella notte non rimase altro che pregare.

 

 

 

Angolino dell’autrice:

 

Salve!!! Innanzitutto, vorrei fare un saluto a tutti quelli di questa sezione. Io non vi conosco e voi non conoscete me XD, ma è normale. È la prima volta in assoluto che metto piede qui dentro, e lo faccio pubblicando (mossa azzardata, direte voi) XD. Dovete sapere che ho un laboratorio segreto dove mi rinchiudo per evitare le orde di lettori infuriati (e hanno ragione XD) e dove tengo legato e imbavagliato Sephiroth (Final Fantasy VII, non so se avete presente  XD) U.u

Comunque, intanto mi presento io, e lo faccio proponendovi questa fan fiction. Non so quanti capitoli saranno, per ora ho scritto solo la trama. Per quanto riguarda gli spoiler, dovete sapere che ci saranno solo nell’ultima fase della storia, perché coincide con alcuni volumi di One Piece. Non preoccupatevi, metterò gli avvertimenti nei capitoli precendenti. La storia è inventata di sana pianta, perciò dovrò fare il solito edit: rendiamo onore al grande Oda! Tutti i personaggi appartenenti al Manga sono suoi, mentre quelli originali sono di mia invenzione. Eh già... a questo punto vi chiederete “ma non ha nient’altro di meglio da fare?” e la mia risposta è “NO!” Xd. Insomma, credo di aver finito gli avvisi... e le presentazioni.

Spero di conoscere sia gli scrittori che i lettori di questa sezione, pubblicando e recensendo io stessa.

Inoltre, vorrei invitarvi ad esprimere un parere: se la storia non vi piace ditemi “fa schifoooo” (includendo anche il motivo ovviamente, altrimenti non è costruttivo), mentre se vi interessa scrivete “mi interessaaaaa”. XD Vorrei che lo faceste per rispetto di chi scrive, non per altro. Scrivere costa fatica. E non vale solo per me ovviamente O.o, parlo a nome di tanti altri autori.

Che altro...? Ah, beh... scrivo questa fict per due motivi. Uno è per prendermi una pausa dalla mia ultima fict prima della prossima pubblicazione, mentre l’altro non posso ancora dirlo XD

 

 

Special Thanks: Vorrei dedicare la fan fiction a delle persone che mi sono molto care U.u

 

La mia migliore amica Ayumi_L, con cui passo delle splendide giornate e che mi consola ogni volta che sono disperata, come negli ultimi giorni*occhiolino*.

La carissima YunixChan, di cui non ricordo mai come si scrive il nickname XD. La ringrazio per tutto l’aiuto che mi dà e per le mega chiacchierate su msn!!! XD

La mia Faxy, per il video che mi ha dedicato e per tutte le storie fantastiche che scrive. Sono veramente felice di averti conosciuta ^^

 

Beh, io vado! E non scordate il mio nome XD (dieci minuti dopo: Chi era? Ah, non ricordo.)

A domenica prossima con il primo chappy.

So che questo prologo è un po’ noioso, ma del resto serve a conoscere le abitudini, le caratteristiche del villaggio e i nuovi personaggi.

 

Ma quanto chiacchiero °_°

Tico_Sarah

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. Shanks Il Rosso ***


Capitolo 1

 

Shanks Il Rosso

 

 

Il dottor Eichiro avrebbe avuto molto da fare quella mattina. Avrebbe dovuto trovare una diagnosi alla malattia del figlio di Kakuri, dunque si era rinchiuso nello scantinato e aveva iniziato la sua ricerca sui libri. Arissa lo aveva seguito dalla finestra, immaginandosi nei panni della dottoressa Saguraku, l’unica donna che praticasse un mestiere all’interno del villaggio. Le piaceva giocare con la fantasia, ma si rendeva conto che niente di ciò aveva immaginato in diciannove anni si sarebbe realizzato.

Alle nove di mattina, si era messa a guardare la porta d’ingresso con aria pensierosa. Aveva voglia di andare a chiamare Cammy e fare una passeggiata, ma aveva paura per la storia dei pirati. Sospirò.

-Cosa fai lì davanti?- Kaguya si affacciò dalla cucina con un bicchiere in una mano e uno straccio nell’altra.

-Vorrei uscire- disse Arissa.

-Devi proprio? Con quei pirati che sono arrivati ieri... Hai sentito tuo padre, no?- domandò Kaguya, scuotendo la testa.

Arissa annuì lentamente.-Non ho voglia di rimanere chiusa in casa. Andrò a fare un giro al villaggio... ti serve niente?-

Kaguya la guardò male, poi si ritirò in cucina e un attimo dopo uscì senza né straccio né bicchiere in mano, le si avvicinò e le porse un foglietto.-Prendi queste cose, sono tutte scritte qui.-

La ragazza prese il foglio.-Va bene- andò a prendere la sacca a tracolla dal suo armadio e ci infilò il foglietto.-Vado a chiamare Cammy, va bene?-

-Basta che ritorni per le una.- Si raccomandò Kaguya.-E non dare spago a quella gentaccia.-

-Stai tranquilla mamma- la rassicurò Arissa, dopodichè uscì, diretta prima di tutto a casa di Cammy.

Ci volle un bel po’ prima che Cammy aprisse uno spiraglio della porta.-Arissa...- mormorò.-Che ci fai qui?-

Arissa tentò di sbirciare dentro casa, ma Cammy fece di tutto per non farle vedere niente.-Ero passata a chiamarti... vuoi uscire con me?-

-Non posso...- Cammy declinò la proposta senza neanche pensarci.

-Qualcosa non va?- s’informò Arissa, preoccupata.- È successo qualcosa?-

Cammy era pallidissima.-Mio padre non sta molto bene...- disse.-Devo prendermi cura di lui.-

-Ha alzato un po’ troppo il gomito anche stavolta?- sbottò Arissa, infuriata con il padre di Cammy.

La ragazzina scosse la testa e si lanciò un’occhiata dietro le spalle.-No, ha solo un po’ di febbre...-

-Davvero? Hai chiamato mio padre?-

Un sorriso timido.-Certo. Il signor Eichiro ha detto che deve stare a letto e che devo prendermi cura di lui. Non è niente di grave, starà in piedi prima di quanto si pensi.-

Arissa le mollò un buffetto sulla guancia.-Ma certo. Io vado allora. Buona fortuna con tuo padre!-

-Certo!- esclamò Cammy, ripreso spirito.-Ci vediamo presto, Arissa!- e rientrò chiudendo la porta.

La ragazza rimase a fissare la porta sgangherata con una certa perplessità, chiedendosi perché Cammy fosse stata così elusiva. Se ne stette in piedi per almeno due minuti, poi diede le spalle all’abitazione, si sistemò la tracolla e si diresse verso la via principale, continuando a lambiccarsi il cercello con le ipotesi più improbabili.

Era davvero preoccupata. Cammy era fragile, e molte volte non sapeva come comportarsi di fronte a situazioni difficili. Beh, neanche Arissa in realtà, per quello si cacciavano spesso nei guai. Come quella volta che i soccorritori le avevano dovute recuperare dal fondo di un pozzo perché a Cammy era caduta una moneta e voleva recuperarla. Arissa aveva tentato di afferrarla, ma la sua scarsa forza fisica e il suo fisico leggero non avevano retto lo sforzo, facendola precipitare insieme all’amica. Per fortuna non si erano fatte niente; a parte i vestiti fradici e la moneta persa non c’erano stati danni irrecuperabili.

Arissa sbucò nel viottolo principale, una strada dritta, ricoperta di ghiaia. Il mercato si trovava di fronte al Bazar del Cuoco, in fondo alla via. Si avviò con una certa circospezione, stando attenta a notare se in giro ci fossero facce nuove. Sembrava tutto normale. La sbadata signora Hakane era con il suo nipotino di cinque anni, di fronte alla macelleria. I suoi novant’anni di maldestria si facevano sentire tutti, soprattutto quando la gente incespicava su di lei perchè tentava di riacchiappare il nipotino pestifero.

Niente pirati in giro, si disse Arissa sollevata.

Superò gli ultimi due negozietti e arrivò al negozio, dove fuori erano state disposte casse piene di frutta di ogni genere e dimensione. Il proprietario era un uomo sui cinquant’anni, con la schiena tutta rotta e la testa quasi calva.

Arissa si fermò e lo vide buttare per terra una scatola di legno, sollevando un  nugulo di polvere.-Signor Kunoichi!- lo salutò.

L’uomo si buttò all’indietro e fece scricchiolare la schiena, poi la fissò.-Ah, Arissa. Sei venuta comprare della frutta per la signora Kaguya?-

-Sì...- Arissa incominciò a frugare nelle tasche in cerca del foglietto.-Mi ha dato questo...- lo tirò fuori e glielo diede.

Kunoichi lo guardò, assorto, poi annuì e iniziò a fare avanti e indietro con un sacchetto in mano. Infilò con cura un po’ di pesche, poi prese un melone e lo mise in un’altra bustina. Quando ebbe finito consegnò tutto ad Arissa, che sorrise e ripose le buste nella tracolla.-Facciamo come al solito?-

Kunoichi rise.-Ma certo. Dì alla signora che la aspetterò nel pomeriggio per il pagamento. Tanto io sono sempre qui... almeno credo- aggiunse, in tono triste.

-Qualcosa non va?- domandò Arissa, perlessa.

-Hai sentito dei pirati?-

-Mio padre me l’ha accennato- rispose la ragazza, congiungendo le sopracciglia sottili.

Il fruttivendolo sospirò pesantemente e si aggiustò la camicia a quadri.-Ragazza mia, quando hai una figlia di sette anni a cui badare, non fa piacere sapere che i pirati gironzolano a pochi metri da casa...-

-Mio padre ha detto che non hanno intenzione di ferire nessuno...- disse Arissa.

-E tu ci credi? Non bisogna mai fidarsi dei pirati, hai capito?- affermò Kunoichi, in tono serio.-Sono la feccia della peggior specie, e in giro si dice che uccidono e poi imbalsamano la gente per farne dei trofei...-

Arissa rabbrividì, mentre nella testa le si disegnavano immagini terrificanti. Le rimosse muovendo una mano davanti al viso come se stesse cacciando una mosca.-Mi ha messo paura, signor Kunoichi...-

L’uomo fece un’espressione che ad Arissa fece gelare il sangue nelle vene.-Dovresti averne, ragazza mia...-

La ragazza ridacchiò nervosamente.-Vado... A vedere che frutta c’è, okay?-

Kunoichi la seguì con lo sguardo mentre si spostava qualche metro più in là per esaminare un cesto di prugne. La vide lanciargli occhiate spaventate di tanto in tanto, poi, improvvisamente, scorse qualcuno arrivare alle spalle della ragazza. Impallidì.

-I PIRATI!- gridò qualcuno.

Lo sbattere di porte e di finestre seguivano e precedevano l’avanzata di un uomo dai capelli rossi, che sembrava muoversi senza curarsi della gente che scappava. Guardava dritto di fronte a sé, con il mantello sulle spalle che gli sventolava alle caviglie.

Quando fu abbastanza vicino al bazar, Kunoichi lo sentì sbottare:-Neanche un buco per mangiare un po’ di ramen in santa pace...-

Arissa si raddrizzò e quando si voltò lo vide passare dietro di lei. Quasi saltò dietro le casse di frutta per lo spavento.

Il pirata si fermò davanti a Kunoichi.-Mi scusi buon uomo...- esordì.

Kunoichi passò da bianco, a verde a blu per la paura e corse via strillando:-PIRATIIIII!!!-

-Cos’ho fatto adesso...?- domandò l’uomo a sé stesso. Si guardò intorno perplesso. Si soffermò a fissare la cassa dietro cui si era nascosta Arissa, poi sospirò e riprese a camminare per la via principale, da solo.

La testa nera di Arissa fece capolino dietro un mucchio di albicocche.-Era un pirata...- mormorò, pallida come un cencio.-Uno vero...-

Guardò il mantello dell’uomo, poi i suoi capelli rossi e non ebbe difficoltà ad affibbiargli il titolo di “scuoiatore di persone innocenti”. Rabbrividì al pensiero di quello che avrebbe potuto farle, quindi solo quando se ne fu andato uscì fuori dal proprio nascondiglio. Fece il giro della cassa e si preparò ad avviarsi verso casa, quando lo sguardo le cadde a terra. Aveva calpestato un foglio piegato in quattro. Con molta riluttanza lo prese e lo esaminò rigirandolo tra le dita, poi lo aprì.

-Il frutto Tam-Tam...- lesse. Non c’erano immagini di illlustrazione, ma soltanto parole scritte velocemente e senza preoccuparsi troppo che fossero scritte in modo leggibile.-Il frutto Tam-Tam è un frutto del diavolo che ha una strana proprietà curativa... si dice che possa curare tutti i mali del mondo e che renda immuni alle malattie. Inoltre...- il resto della frase era praticamente illegibile. Alla fine del foglio c’era scritto:-Tam-Tam è un frutto molto raro che cresce solamente su un’isola, Taraah.-

Arissa fissò a lungo il foglio, poi alzò lo sguardo per sbirciare la via deserta che le correva di fronte e strinse la pagina tra le mani. Era caduta a quel pirata dai capelli rossi. Che fosse una cosa importante? Imboccò la via, decisa a seguirlo.

 

(...)

 

Il pirata si era inoltrato nel folto della foresta per tornare alla sua nave. Infatti per raggiungere la costa si doveva attraversare la foresta che racchiudeva il villaggio. Fortunatamente Arissa conosceva quel posto meglio di chiunque altro, e anche se aveva perso di vista il suo obiettivo era riuscita lo stesso a trovare la nave.

Si era seduta dietro ad una roccia bianca abbastanza grande da poterla nascondere, si era tolta la tracolla che iniziava a pesarle e l’aveva poggiata dietro il masso. Solo dopo che ebbe preso il foglietto e il coraggio a due mani riuscì a sbriciare al di là del suo nascondiglio.

La battigia distava dal limite della foresta almeno cinque metri. Cinque metri di sabbia dorata e finissima, per poi terminare nell’oceano. La vista dell’orizzonte era bloccata da una nave enorme, un’imbarcazione che Arissa non aveva mai visto in vita sua. Seguì la gente indaffarata che correva sul ponte, incantata, poi guardò l’albero maestro e alzò lo sguardo verso la bandiera. Era un rettangolo nero svolazzante, con un teschio che aveva dietro di sè due spade incrociate. Aguzzò la vista, e le sembrò di distinguere alcuni graffi su un occhio. Non aveva mai visto una bandiera pirata. Era affascinante e spaventoso allo stesso tempo.

Tornò con gli occhi alla battigia.

Gli uomini sembravano proprio impegnatissimi a riattoppare la nave con travi e martelli. C’era un flusso di gente che portava alcuni materiali a bordo, e a terra l’uomo dai capelli rossi stava parlando con uno della ciurma.

Sarà il capitano, pensò Arissa.

La ragazza guardò il foglio che aveva ancora in mano, dubitosa. Forse avrebbe dovuto portarglielo, avvicinandosi così in modo spaventoso a quella nave terrificante, oppure avrebbe dovuto chiamare il capitano e costringerlo a raggiungerla? Si immaginò le scene nella propria testa, ma entrambe finivano con cattura, morte e scuoiamento. Era stato un errore arrivare fin lì e giacchè a quella distanza nessuno l’avrebbe vista, di disse che era meglio tornare al villaggio e tenersi il foglio, che fosse importante oppure no.

Riemerse dai suoi pensieri con quest’obiettivo, ma non fece in tempo ad agguantare la tracolla, che il volto dell’uomo dai capelli rossi fece capolino da dietro alla roccia, e indicò il foglio che Arissa teneva stretto tra le dita.-Ah, eccone una coraggiosa! Ti dispiace? Quel foglietto è mio...-

Arissa strillò, lasciò cadere la borsa e corse via gridando.-UN PIRATAAAA!-

L’uomo non esitò a correrle dietro, con l’intento di riprendersi la pagina che si era perso.-Fermati ragazzina!-

Si infilarono entrambi nel folto, Arissa gridando come una forsennata e il pirata che le la seguiva cercando di non perdersi tra gli alberi. Si domandò dove l’avrebbe portato quell’inseguimento, sempre che la ragazza stesse capendo quale fosse la direzione della sua corsa...

-Ragazzina! Non voglio farti del male! Fermati un attimo!-

Arissa altò radici sporgenti, si infilò in cespugli pieni di rovi e fece almeno tre volte il lo stesso giro, mentre l’uomo continuava a non perderla di vista neanche un attimo. come lei, dovette evitare di sbattere contro le numerose cortecce, e almeno un paio di volte riuscì a ritrovarla soltanto grazie alle sue urla.

-VUOLE UCCIDERMIII!-

-Non voglio farti niente!-

Continuarono così per un bel po’, finchè Arissa presa dalla stanchezza inciampò sulla radice di un albero. In quel punto gli arbusti erano più radi, ma i tronchi erano molto più imponenti. L’erba era umida, e gli unici rumori erano il fiato corto di Arissa, insieme allo scricchiolare di bastoncini e il frinire dei grilli.

Arissa cadde in ginocchio, ma si rialzò subito e corse a nascondersi dietro al tronco dello stesso albero in cui era incappata .

Il pirata la raggiunse e si piegò un po’ sulle ginocchia per riprendere fiato, posandoci sopra l’unica mano che gli era possibile usare.-Caspita... ne hai di fiato per essere una ragazzina...-

-Stai lontano da me! Capito?! Lontano!-

Shanks ci mise poco a riprendersi, dopodichè allungò la mano verso la ragazza e le sorrise nel modo più confortante che conosceva.-Mi hai fatto correre per tutta la foresta, sai?-

-Cosa pretendi?! Tu vuoi uccidermi!- gridò Arissa, con quanto fiato aveva in gola.-AIUTO! UN PIRATA VUOLE UCCIDERMI!-

La sua voce si spense tra le folte chiome degli alberi.

Shanks fece un passo avanti e lei ne fece automaticamente uno indietro, cadendo di nuovo a terra, seduta. Mosse una mano tra le foglie e l’erba, fino a sentire qualcosa di duro tra le dita. Teneva sempre il foglietto nell’altra mano, non l’aveva mai abbandonato. Chissà perché, pensava che fosse la sua garanzia per continuare a vivere. Se il pirata cercava soltanto quello, lei sarebbe stata ben felice di darglielo.

-Davvero, non voglio farti del male... Solo che tu hai una cosa che mi appartiene...- disse, mentre le si avvicinava con l’intento di aiutarla.

Non appena fu a meno di un metro, dovette tirarsi indietro perché Arissa aveva brandito un bastone e aveva tentato di colpirlo.-Indietro!- gli intimò, alzandosi subito in piedi. Barcollò, poi agitò il bastone nella direzione di Shanks. Era un tentativo piuttosto ridicolo, ma pur sempre un tentativo.

-Stai calma ragazzina, così mi fai paura- le fece notare l’uomo con una punta di studiato sarcasmo.-Non c’è bisogno di agitarsi... Vedi... Temo che tu abbia un foglio che per me è molto importante...- lo disse con gentilezza.

Arissa corrugò le sopracciglia, dubitosa, poi lo guardò dall’alto in basso, e improvvisamente gli apparve ancora più pauroso di quando l’aveva visto da lontano.-Riprenditelo pure, va bene?! Tanto io non ci faccio niente! Ma in cambio devi lasciarmi andare!-

-In realtà la mia intenzione era quella fin dall’inizio.- Ricevette un’ occhiataccia.-Giuro. Lo giuro sul mio nome. Adesso... Potresti darmi quel foglio...?-

La ragazza fece un passo indietro e gli mostrò la pagina.-Lo metto per terra... Poi mi allontano... Tu lo prendi... E mi lasci tornare a casa. Va bene?-

Shanks annuì, serio.

Arissa, senza togliergli gli occhi di dosso, si piegò e poggiò il fogliettino a terra, dopodichè si alzò, fece un salto all’indietro e si appoggiò con le spalle ad una quercia.

Il pirata, finalmente, prese il pezzo di carta e se lo infilò in tasca, sollevato.

-Adesso non mi ucciderai, vero?- domandò Arissa, con il fiato sospeso.

Shanks si guardò intorno.-In realtà... Avrei un favore da chiederti...-

Di nuovo, la ragazza era sul chi va là.

-Mi hai portato troppo lontano dalla mia nave. Non so dove siamo.- Ammise Shanks.-Non ti dispiacerebbe riportarmi alla spiaggia?-

Lei lo guardò, diffidente.-Non è un trucchetto per catturarmi, vero?-

-Credimi, se avessi voluto, l’avrei già fatto- fu la risposta.

Si guardarono negli occhi per svariati minuti, uno in piedi tra due alberi e l’altra ancora con le spalle al tronco della quercia, con il bastone tra le mani e un’aria alquanto dubitosa negli occhi. Si ricordò che nella foga aveva lasciato la tracolla al nascondiglio, e per un attimo fu tentata dall’accompagnarlo.

-Per favore.- Insistè Shanks, con un sorriso affabile.

-Non sembri un bugiardo- commentò Arissa, in tono poco convinto.- Chi sei?-

-Mi chiamo Shanks. E sono il capitano della nave che hai visto...-

-Sei un pirata.-

-Certo. Ma non sono qui per farti del male.-

Arissa sbattè le palpebre diverse volte, indecisa se fidarsi o meno. C’era qualcosa nello sguardo di quell’uomo che la rassicurava, ma non doveva dimenticare che era un pirata, e che in quanto tale non bisognava abbassare la guardia. Non voleva finire scuoiata.

-Facciamo così allora- propose Shanks.-Ti seguo da lontano, va bene?-

Lei non era ancora convinta, ma alla fine decise e gli disse:-E va bene. Ma stammi almeno a tre metri di distanza, okay?-

L’uomo rise e si allontanò da lei.-Così...?- domandò.

Lei contò mentalmente la distanza che aveva messo tra loro, e considerandola sufficiente, annuì. Disse: -Bene. Adesso andiamo.- Non lasciò il bastone, però.

Camminarono nella foresta, in silenzio per svariati minuti.

-Non mi hai ancora detto il tuo nome!- le fece notare il capitano, dopo aver superato l’ennesimo arbusto. Ogni tanto la figura della ragazza scompariva dietro gli alberi, per poi riapparire seria e rigida, con il bastone tra le mani.

Lei gli lanciò un’occhiata in tralice e non rispose.

-Arissa- disse inaspettatamente, dopo un lungo periodo d’attesa.

-Un bel nome- osservò Shanks, per essere cordiale. La vedeva molto tesa.

La ragazza per tutta risposta lo guardò spaventata.-Ripetimi come ti chiami, non ho capito.-

-Vuoi vedere?- domandò Shanks, e così facendo estrasse una pergamena arrotolata.

Arissa si fermò, e lui fece lo stesso.-Che cos’è?- chiese, curiosa.

-Qui c’è il scritto il mio nome- disse Shanks.-Ma se vuoi vederlo devi avvicinarti.-

-Non ci penso nemmeno. Non cado nei tuoi tranelli.-

-Puoi fidarti di me per un secondo?-

-No.- Fu la fulminea risposta.-Non ci penso nemmeno.-

Shanks sorrise e poggiò la pergamena a terra, dopodichè si allontanò di almeno altri tre metri.-Forza!- la incitò.

Arissa lo fissò sconcertata, poi si avvicinò con cautela e raccolse la pergamena. La srotolò con molta fatica perché non voleva lasciare il bastone. Quando portò a compimento l’operazione, vide la foto di Shanks.-C’è scritto “Wanted”. È così che ti chiami?-

-No- rise Shanks.

Arissa arcuò le sopracciglia e lesse il nome:-“Shanks Il Rosso”. La tua taglia è altissima- lo disse con preoccupazione.

-Non scappare di nuovo!- si affrettò a dire Shanks.

La ragazza prese a lanciare sguardi nervosi a  lui e alla sua taglia, tanto che Shanks si pentì di avergliela mostrata. Il fatto era che lei sembrava diffidente come un animale in trappola.

-Il tuo nome è Shanks...- mormorò Arissa.-Un bel nome... credo.-

Lui si rilassò.-Allora ti sei calmata?-

-Forse non vuoi uccidermi- commentò la ragazza, porgendogli la pergamena.

Se avesse voluto farlo non ci avrebbe pensato due volte, si disse Arissa. Quell’uomo aveva una taglia da capogiro.

Shanks si avvicinò con cautela e prese l’oggetto.-Manca molto per arrivare alla nave?-

Arissa si diede un’occhiata in giro.-Non penso. Comunque è da questa parte, seguimi.-

-Devo stare a tre metri?-

-Non ce n’è bisogno- rispose lei, d’un fiato.-Ma non farmi del male...-

Shanks sospirò. Era proprio cocciuta, eh?

 

(...)

 

Arrivarono alla spiaggia verso mezzogiorno. La ragazza si riprese la tracolla e la indossò senza fiatare, mentre Shanks aspettava per ringraziarla.

-Ti ringrazio Arissa, non so come sdebitarmi- disse, nel tono più gentile che conosceva.

Per la prima volta, la ragazza gli sorrise e arrossì.-In realtà un modo ci sarebbe... tu sei un pirata, no?-

Lui annuì. La risposta ormai era ovvia.

-E quindi hai solcato mari e mari... Vero?-

-Certo.-

Arissa incrociò le mani dietro le schiena e mosse gli occhi neri da tutte le parti, come se si vergognasse di arrivare al sodo.-Beh... Forse potresti raccontarmi qualcosa del mondo esterno...-

-Credevo che avessi paura dei pirati.- Osservò Shanks. Infatti la ragazza non aveva mai lasciato il bastone.

-Ne ho.- Rispose lei, gettando a terra il bastone.- Ma vorrei tanto conoscere qualcosa del mondo esterno. Per favore...- lo implorò, congiungendo le mani.-Ci terrei davvero tanto...-

Shanks la fissò.-Io dovrò partire tra sette giorni.- La informò.-Fino ad allora... Puoi farmi tutte le domande che vuoi.- Sorrise.

Lei fu felicissima.-Davvero?!-

-Sempre se non ti faccio paura- scherzò l’uomo.

-Ho sempre desiderato sapere qualcosa sul mondo esterno!- esultò Arissa.

-Adesso torna a casa però.- La redarguì il pirata.-Altrimenti i tuoi genitori si preoccuperanno.- Le rivolse un altro sorriso gentile, dopodichè si avviò verso la sua nave.

Arissa lo seguì con gli occhi, eccitata, poi si infilò di nuovo tra gli alberi e sparì nella foresta.

 

(...)

 

-Ora del decesso: undici e trenta del 14 maggio.- Sentenziò Eichiro, in tono grave.

Il signor Kakuri cadde a terra, in lacrime.-Avevi detto che sarebbe stato bene...-

L’aiutante del dottore, un ragazzone di trent’anni di nome Yuki, gli cinse le spalle per dargli conforto ma fu brutalmente scansato.

-L’ho detto, signor Kakuri- disse Eichiro, mentre si detergeva il sudore sulla fronte con un fazzoletto di stoffa.-Infatti suo figlio è morto per arresto cardiaco, la febbre non c’entra niente.-

Il signor Kakuri continuava a piangere.

-Portalo via di qui, Yuki- si raccomandò Eichiro, accennando al signor Kakuri.

Yuki annuì in tono grave e cercò di fa alzare l’uomo, che però tentò di divincolarsi con tutte le sue forze. Allora lo prese su con la forza dei suoi tent’anni e lo scortò fuori da quella stanza che fino ad allora era stata la camera di suo figlio.

Eichiro rimase a fissare la salma, sconvolto. Temeva che l’arresto cardiaco c’entrasse eccome con la malattia, ma non aveva il coraggio di ammetterlo ad alta voce. Nei suoi libri non esisteva niente di simile, e lui brancolava nel buio. Le preghiere non erano servite a niente, e ora lui si ritrovava da solo con i rimorsi della coscienza. Avrebbe dovuto stare più attento. Il padre di Cammy si era ammalato proprio quella mattina, inaspettatamente. Aveva la febbre e delirava.

Cammy era spaventata, ma Eichiro le aveva garantito che suo padre sarebbe stato bene in un lampo. Deglutì sonoramente. Un giovane di vent’anni aveva resistito tutto quel tempo, ma non era sopravvissuto. Quali effetti avrebbe avuto quella misteriosa malattia sulla gente più avanti con gli anni?

Eichiro ricoprì la salma con il lenzuolo e si passò una mano sul viso, poi cadde seduto sulla sedia accanto al letto, distrutto. Se la malattia era contagiosa voleva dire che erano tutti in pericolo. Aveva scoperto con orrore che il padre di Cammy era andato a trovare Kakuri proprio venti giorni prima. Quando lo aveva saputo si sarebbe volentieri dato una coltellata.

Aveva sottovalutato la questione, e ora si ritrovava con un numero di probabili contagiati non indifferente. Il padre di Cammy e sua figlia, Eichiro stesso, il signor Kakuri e Yuki. Senza contare che anche Arissa e Kaguya non erano da escludere dalla lista. Ma quel che era peggio era la segretezza con cui doveva gestire la faccenda. Se si fosse saputo che il dottore non riusciva a capire niente di quel malanno, avrebbe perso la professione, oltre che la faccia.

È meglio aspettare, si disse, forse mi sto facendo un sacco di problemi per niente. Dopotutto, il padre di Cammy non sta malissimo.

Tirò un sospiro di sollievo, si alzò, prese la borsa e uscì dalla stanza.

Non voleva pensare a cosa sarebbe successo se fosse scoppiata un’epidemia. Probabilmente il pandemonio, perchè il villaggio non era abituato a gestire i contagi.

Sarebbe stato un disastro.

No, meglio pensare positivo.

 

 

Angolino dell’autrice:

 

Come non detto. Ho riflettuto a lungo sul pubblicare anche il primo capitolo, e alla fine mi sono detta che si poteva fare, tanto era pronto. Visto che sono qui, vorrei fare un paio di chiarimenti che non ho fatto (me ne sono dimenticata, lo ammetto).

Innanzitutto, il motivo che non ho detto sull’altro capitolo. Perché pubblico questa storia? Perché semplicemente, come tanti altri ho già notato, non mi è andata giù la morte di Ace XD. Allora mi sono messa a scrivere.

Poi, devo specificare che per il frutto del diavolo ho scelto un nome a caso (che mi sembra in One Piece non ci sia...). Come per il villaggio.

Inoltre, la storia è divisa in più parti, ognuno con un ambiente diverso. Ma questo si vedrà a tempo debito.

Penso di aver detto tutto? Mi ero proprio dimenticata di fare questi avvisi, pardon. È che ero davvero emozionata per la pubblicazione...

Scusate ancora ^^

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. Alla Scoperta Del Mondo ***


Capitolo 2

 

Alla Scoperta Del Mondo!

 

  -Cammy! Cammy! Apri la porta! Devo raccontarti una cosa!-

  Nessuna risposta.

Arissa smise di bussare alla porta e fece il giro della casa. Le finestre erano sprangate e le imposte chiuse, come se non ci fosse nessuno, eppure non Cammy non aveva detto che sarebbe andata via.

Un rumore di passi la fece voltare.-Ah... Papà...-

Eichiro fu colto di sorpresa nel vedere la figlia lì, sbiancò e le rivolse un sorriso affettuoso.-Sei venuta a chiamare la tua amica?- domandò. Era strano. Nervoso.

-Sì... Ma non risponde nessuno.- Disse Arissa, preoccupata.-Ieri Cammy mi ha detto che suo padre sta male.-

Il dottore percorse il piccolo giardino della casa di Cammy senza distogliere gli occhi dalla figlia.-Il signor Nakashima ha un po’ di febbre- disse, nel pietoso tentativo di risuonare spensierato.

Arissa si insospettì.-Papà... Sei sicuro che vada tutto bene? Sono due giorni che non mangi. Non sarà per la storia del signor Kakuri... Insomma, anche i medici più bravi a volte commettono errori, e poi esistono delle malattie incurabile, lo sai.- Gli sorrise dolcemente.

Eichiro le accarezzò la testa con una mano.-Perché non vai a fare un giro, angelo mio? Sono sicuro che Cammy è lì dentro. Dovevo visitare suo padre e le ho detto di non togliergli gli occhi di dosso.- Le fece l’occhiolino.-Altrimenti avrebbe alzato di nuovo il gomito, e curarlo sarebbe stato piuttosto difficile.-

Arissa guardò il padre, esitante.-Posso entrare? Voglio vedere Cammy!- esclamò.

Eichiro sobbalzò.-No, tesoro. Non puoi entrare ora. Vai a farti un giro.- Ordinò. Quel tono autoritario colse di sorpresa  Arissa, che gli lanciò un’occhiata incredula.- Ci vediamo a pranzo.- Concluse lui.

La ragazza corrugò la fronte e se ne andò, offesa. Suo padre non le aveva mai parlato in quel tono. Solitamente era la madre che usava essere poco cortese e autoritaria, mentre suo padre non aveva mai imposto la sua volontà a nessuno. Perché quel cambiamento? Cosa stava succedendo al villaggio?

Ripensò automaticamente al foglio che Shanks aveva rivoluto indietro. Il frutto Tam-Tam, si ripetè mentalmente. Cos’era? E perché i pirati lo cercavano?

Percorse un vicoletto stretto e arrivò in prossimità della foresta, dove trovò Shanks. Gli si fermò davanti, a un paio di metri di distanza. Sempre meglio essere cauti.-Sei venuto.- Osservò.

Lui sorrise.-Niente bastone stamattina?-

Arissa infilò una mano nella famosa tracolla e ne estrasse un coltello da cucina che brillò in modo sinistro alla luce del sole.

-Proprio non molli...- ridacchiò Shanks.

-Devo tutelarmi, capisci?- disse.

Lui le rivolse un’occhiata divertita.-Certo che hai un bel caratterino.-

-Dove andiamo?- chiese Arissa, riponendo il coltello nella tracolla.

-Non ne ho idea, non sono mica io che ho insistito per... -  esordì Shanks.

Arissa fece un passo e si petrificò, si voltò di scatto verso di lui e lo guardò agitata.

-Va bene, va bene!- esclamò Shanks, portandosi la mano dietro la nuca.-Senti ragazzina… Non è che da queste parti esiste un posto dove si può bere del buon sake?-

Arissa gli rivolse un sorriso luminoso.

 

(...)

 

Intanto, su un’isola sconosciuta del Nuovo mondo, in un’osteria malfamata di un paese piccolo e spesso saccheggiato, un giovane dai capelli neri era inento a svuotare la dispensa del povero proprietario del locale. L’ometto, un cinquantenne basso e tarchiato, ma fiero della propria chioma bionda palesemente tinta, guardava terrorizzato il ragazzo esaurire l’ennesima porzione di cibo.

-Ma sei sicuro che non scoppierai da un momento all’altro?- gli domandò, perplesso.

Ace di tutta risposta lo guardò.

L’uomo sospirò.-Va bene, vado a prendere qualcos’altro...-

Tornò almeno due minuti dopo con un altro mucchio di piatti stracolmi di cibo.-E guarda che non ho mai incontrato nessuno come te...- s’immobilizzò. Ace aveva appoggiato la testa sul bancone e si era messo a ronfare.-... Ma come?! Si è addormentato di nuovo?!?-

 

Ci volle almeno mezz’ora perché l’oste riuscisse a portare via la montagna di piatti che aveva ammucchiato Ace, lavarli, asciugarli e metterli a posto. Aveva avuto perfino il tempo di andare a chiamare sua sorella per chiederle di rifare la spesa. Lei, una vecchia zitella che viveva da sola con il suo gatto, era stata restia ad accettare l’incarico. C’era voluto un bel po’ di tempo per convincerla che un ragazzo di appena vent’anni si era sbafato tutto il cibo della dispensa, ma alla fine aveva ceduto e si era decisa ad imboccare la via per il mercato.

Il tutto era accaduto in un’oretta.

Quando tornò, l’uomo trovò Ace appena sveglio che si strofinava il naso lanciando grossi sbadigli.

-Tu hai qualcosa che non va, ragazzo- commentò l’uomo, mentre si sistemava di nuovo dietro il bancone e faceva segno al suo sostituto di andarsene.-Sicuro di stare bene, vero?-

-Che domande. Certo.- Rispose Ace; e sbadigliò.-Comunque... Mi stava dicendo prima di quell’isola... Vorrei saperne di più.- Disse, appoggiando il gomito sul bancone e il mento sul palmo della mano.

L’oste fece mente locale, mentre con la coda nell’occhio, attraverso il riflesso su un bicchiere, sbirciava che i suoi capelli fossero in ordine.-Intendi l’isola di Taraah. Si trova a sei giorni da qui.- Disse.-In direzione Nord-Ovest.-

-Sei giorni... Direzione Nord-Ovest- si appuntò mentalmente Ace. Un altro traguardo per lui e la sua bagnarola alla ricerca di quell’uomo ignobile. Fece per alzarsi.

-Ma dove stai andando?!?- esclamò l’oste, pestando i piedi per terra.

-All’isola di Taraah.- Rispose Ace, facendo le spallucce.

-Nessuno va all’isola di Taraah!-

-Davvero? Beh, io non sono “nessuno”.- Replicò Ace, con un sorriso, mentre si aggiustava il cappello in testa.

L’oste lo contemplò per qualche istante, chiedendosi se fosse davvero stupido o soltanto pieno di sé.-Quell’isola è top-secret! No visitatori. No pirati. No naufraghi. Solo la marina ci fa un salto ogni tanto...-

Ace si fermò ad ascoltare, curioso.-Ma davvero?-

-Sì!- esclamò l’oste.-E non è solo questo. Gli abitanti non vedono i turisti di buon occhio. Vivono rinchiusi nelle loro piccole casette, con le loro piccole famiglie... E non guardarmi in quel modo!- aggiunse in risposta allo sguardo interrogativo di Ace.-C’è la foresta intorno al villaggio! Se non conosci quel posto a memoria non ne uscirai vivo!-

-Suvvia, per una foresta!- rise Ace, divertito.-Le foreste non fanno del male a nessuno!-

-Senti ragazzo... Non so chi tu sia, né perché sei venuto qua... Ma esistono posti in cui un uomo non dovrebbe mai mettere piede... Tipo Amazon Lily... E qualsiasi altra cosa che può risultare dannosa per la salute!- Disse l’oste con veemenza.

-Io non mi faccio di questi problemi, buon uomo- fece Ace, posandosi una mano su un fianco.-E soprattutto non ho intenzione di fermarmi. Quindi... Io vado!- e si avviò verso la porta con passo sicuro.

L’oste guardò la porta del locale che veniva spalancata, Ace che attraversava la soglia canticchiando e poi lasciava che si chiudesse alle sue spalle scricchiolando. Poi si ricordò del conto che Ace aveva accidentalmente dimenticato di chiedere.

-FERMO! NON PUOI ANDARTENE SENZA PAGARE!-

 

(...)

 

Altra locanda, villaggio di Taraah. Stavolta non un posto malfamato, ma una piccola costruzione squadrata, completamente verniciata di uno strano verde alga che, secondo le mille ipotesi di Arissa sul perché l’oste avesse scelto un colore a lei così orrendo, avrebbe dovuto richiamare i clienti alla calma e alla tranquillità.  Le finestrelle che si affacciavano dal secondo piano erano piccole, quadrate come il resto, mentre dal piano terra si poteva accedere all’interno attraverso una porticina di legno d’ebano. Niente balconi, né altro. Solo questa scatoletta con un’insegna appesa in bella vista.

Dentro, i tavolini rotondi erano disposti ai lati di un tappeto rosso che partendo dall’entrata attraversava tutta la stanza fino al bancone. Era proprio in quella direzione che si rivolgevano gli sguardi della gente. O almeno, di quella che non era ancora scappata.

Shanks era ben consapevole dell’effetto che aveva fatto sulle persone quando era entrato con Arissa, ma la cosa non lo sfiorava minimamente. Si era seduto al bancone, suscitando un moto di terrore nei due coniugi che gestivano il locale. Lo avevano servito, e finalmente aveva potuto bere qualcosa in santa pace.

Era praticamente sicuro che Arissa l’avrebbe riempito di domande, invece si era seduta accanto a lui, a distanza di sicurezza, e aveva cominciato a osservarlo insistentemente, muovendo la testa a destra e a sinistra. Shanks aveva faticato per strozzarsi con il sake mentre beveva, doveva ammetterlo. Il fatto era che la sua espressione concentrata e quel modo di muovere la testa le ricordavano i cani quando cercano di capire le parole dei padroni...

Finalmente Arissa parlò.-Voi pirati bevete tutti così tanto?- domandò.

Shanks terminò la terza bottiglia di sake e la posò sul bancone con calma.-Non sai proprio niente sui pirati, eh?-

Arissa scrollò il capo.

-Del sake e della buona musica fanno parte della vita di un pirata.- Disse Shanks, guardando la bottiglia con aria assorta. Sbirciò anche il riflesso di Arissa, e vide che tirava fuori un taccuino e una matita dalla borsa a tracolla.

-Pirati... Amano il sake e la musica...- Arissa si appuntò tutto sul suo bloc-notes.-Fatto.-

-MA CHE STAI FACENDO?!- esclamò Shanks, preso in contropiede.

-Voglio scrivere un libro sui pirati- disse lei, furbetta.-L’ho deciso stanotte, mentre pensavo a te. Guarda. Ti ho anche disegnato- sfogliò freneticamente le pagine, poi gli parò davanti agli occhi un disegno sbilenco.-Ti piace?-

-Fa schifo.-

Arissa corrugò le sopracciglia, dispiaciuta.-A me non sembrava tanto male...-

-Dai, ho detto che fa schifo, non che non mi piace- sorrise lui.

-Grazie!- esclamò Arissa, contenta.-Sono consapevole di non essere molto brava a disegnare...-

-Sì, lo vedo.- Ridacchiò Shanks.

-Adesso dimmi... A tutti i pirati manca un braccio?- domandò lei, indicando con la matita la spalla sinistra di Shanks.

Lui ci si posò una mano sopra quasi automaticamente.-Mi sembrava strano che non l’avessi ancora chiesto...Beh... diaciamo che è il prezzo che ho pagato per aver riposto la mia fiducia in una persona.-

Ci fu un attimo di silenzio.

-L’ho sacrificato... Per la nuova generazione- aggiunse Shanks, sorridendo.

-E adesso come fai a combattere?- chiese Arissa, mentre si scriveva tutto parola per parola, utilizzando abbraviazioni comprensibili solo a lei.

-Meglio perdere un braccio che un amico.-

Arissa smise di scrivere e lo guardò negli occhi, dubbiosa.-Tu non sei uno “scuoiatore di esseri innocenti”, vero?- domandò alla fine.

-Ti assicuro che non ho mai scuoiato nessuno in vita mia.- Sentenziò Shanks.

-...Davvero...? Io... Io ti credo. Forse. Cioè... Non sembri cattivo.-

-Ma non dovevi farmi delle domande sul mondo e tutta quella roba di cui mi hai parlato?- chiese lui, lievemente imbarazzato da quello sguardo così insistente.

Arissa sembrò cadere dalle nuvole.-Ah, sì! Ma non so da dove cominciare...-

Shanks sorrise, e dopo aver infilato la mano all’interno della giacca ne estrasse un pezzo di carta arrotolato.-Tieni. Questo ti chiarirà le idee.-

-Cos’è?- domandò Arissa, mentre posava tacuino e matita sul bancone, prendeva il foglio con cura e lo spiegava  con perplessità. Quando le apparve il disegno completo se lo portò davanti alla faccia e sbattè le palpebre varie volte.

-Una cartina geografica.- Spiegò Shanks, notando la sorpresa di Arissa.

-Questo... Sarebbe il mondo?- domandò Arissa, sconcertata.

Lui rise.-Ovvio. Altrimenti perché avrei dovuto mostrartela?-

Arissa si posò il foglio sulle gambe e lo osservò incantata.-Davvero è così grande?- aguzzò la vista.-Ma dov’è la mia isola?-

Shanks allungò un dito e battè su un puntino quasi invisibile.-Proprio qui! Nel Nuovo Mondo.-

-Ma ci vuole la lente d’ingrandimento!- protestò lei.-Non si vede neanche!-

-Beh... esistono città molto grandi, sai?- fece Shanks, con tutta la pazienza del mondo.-Guarda, questa è Rogue Town... La città dell’inizio e della fine.- E la indicò.

Lei guardò prima la cartina, poi Shanks.-Perché la chiami città dell’inizio e della fine?-

-Perché è la città natale di Gol D. Roger. E anche il posto dov’è stato giustiziato.- Affermò con una certa nostalgia nella voce.

-Era tuo padre?- domandò Arissa.

Lui rise.-No. Era il mio capitano! E non solo... Era anche un grande uomo.-

-Ah... Era un pirata?-

-Il re dei pirati- specificò Shanks.

Lei fece un verso buffo, a metà tra uno sbuffo e un sospiro.-A me non piacciono i pirati.-

-Io sono un pirata.-

-Infatti tu non mi piaci- replicò Arissa.

Shanks ormai ci aveva fatto il callo, e risolse la faccenda con un sorriso.

Arissa continuò a guardare la cartina, affascinata, poi mosse un dito e lo posò sopra un’altra isola.-Cosa c’è qui?-

-Quella è Water Seven.-

-Water Seven?-

L’oste si avvicinò lentamente con un’altra bottiglia di sake.

-L’isola dei carpentieri più bravi del mondo.- Le spiegò Shanks, posando la mano sulla bottiglia appena portata.-Una citta particolarmente interessante, piena di canali...-

-Vuoi dire che hanno il mare in mezzo alle case?- chiese Arissa, piuttosto confusa.

-Esatto.-

-Mi piacerebbe vederla- concluse la ragazza con un velo di malinconia.

-Forse, un giorno...- le disse il pirata. E bevve a grandi sorsi.

Arissa non ne era tanto convinta, ma non replicò. Invece indicò un altro punto segnato in rosso.-Qui che c’è?-

-Marineford.- Borbottò Shanks.

Lei lo fissò.-A te non piace questo posto?-

-Beh, diciamo soltanto che un pirata non lo sceglierebbe per una passeggiatina.- Rise lui.

-C’è la Marina qui?- domandò Arissa.

Shanks annuì.-C’è di più della Marina. Lì vicino si trova la sede del governo mondiale... E Impel Down.-

-Impel down?- fece eco Arissa.

-Una prigione.-

-Capisco... Non mi sembra del tutto fuori luogo. Se quelli della Marina catturano un pirata devono pur metterlo da qualche parte, no? Tanto io non ci andrò mai qui.-  Si vantò Arissa.

Shanks scosse il capo sorridendo.-Dimmi un po’... Se non conosci niente del mondo esterno... Perché ce l’hai tanto con i pirati?-

La domanda cadde nel vuoto.

Arissa arrotolò la cartina geografica e rimase a fissarla, stringendola tra le dita.-Mi hanno detto che voi siete malvagi. Uccidete le persone e le imbalsamate per portarle in giro come dei trofei. Forse sono solo pregudizi... Tu non sei cattivo- giudicò alla fine.-Mi piace il tuo sorriso.-

Shanks non seppe cosa dirle, quindi ripiegò su un semplice:-Tieni la cartina, almeno potrai guardarla ogni volta che vuoi.-

-Posso?-

-Ma certo- disse lui.-Tanto noi ne abbiamo a centinaia.-

Finalmente il volto di Arissa si distese, e le sue labbra si aprirono in un sorriso raggiante.-Non so come ringraziarti!-

-Inizia a stare attenta con quel coltello che ti porti dietro, va bene?- domandò lui, nervoso. Omise la parte del “potresti farti male” per non urtare il suo orgoglio femminile.

Arissa annuì, sorridendo.-E dimmi... Come mai cerchi tanto quel frutto?-

-Ah... Il frutto Tam-Tam, dici?- domandò Shanks.

-Certo! Ho letto qualcosa su alcuni frutti strani... c’è un libro che mio padre si tiene molto gelosamente... Pensa che non me lo fa mai leggere.-

-Fa parte dei Frutti del Diavolo- rispose Shanks.-Sono frutti molto preziosi, che possono donare a chi li mangia abilità molto particolari.-

Arissa lo ascoltò, curiosa.

-Eravamo venuti qua a cercare quel frutto... Un tempo ne avevamo uno, ma una certa persona se l’è mangiato- sorrise. Arissa non capiva.- I poteri di Tam-Tam sono ancora sconosciuti, ma si dice che chi lo mangia divenga immune dalle malattie e possa guarire ogni male. Si trasforma in un dottore... No, in un guaritore.-

-E può curare la gente dalle malattie?- Domandò lei. Era curiosa. Anzi, la cosa le interessava parecchio.

-Ah... E che ne so io?- fece Shanks.

-MA...!- tentò di protestare Arissa. Aveva lanciato il sasso e ora ammetteva con nonchalance di non saperne niente?-Hai detto che lo cerchi! Ci sarà un motivo... Quel foglietto...-

-Quello? Me l’ha dato un vecchio che vive all’arcipelago Sabaody... un tale di nome Rayleigh...-

Arissa non aveva idea né di cosa fosse un “Sabaody”, né di cosa fosse un “Rayleigh”, quindi scosse la testa e disse:-Quindi perché lo stai cercando?-

-Te l’ho detto. Quei frutti sono preziosi. E non solo... Quello in particolare lo cercano molti dottori, per esaminarlo e capire se è possibile farne una medicina per molte malattie incurabili. Anche il tipo che ha curato tuo padre lo stava cercando.-

-Il... Tipo? Ma non era un mozzo della TUA nave?- domandò Arissa, mentre si ricordava di mettere la cartina  nella tracolla.

Shanks assottigliò la vista, perplesso.-Mozzo? Nave? La mia nave? Non credo proprio, ragazzina!-

-Mio padre ha detto che una nave era approdata all’isola e che aveva un ferito grave a bordo... Ha detto che tu hai chiesto il suo aiuto e che volevi anche un posto dove seppellirlo... L’ha detto mio padre, dannazione!- esclamò Arissa, sinceramente turbata.

Shanks bevve l’ultimo sorso di sake e si preparò ad affrontare la battaglia verbale con Arissa.-Senti, se fosse morto un mozzo della mia nave lo saprei. Io tengo molto al mio equipaggio. È vero, sicuramente l’avrei seppellito qui se la storia fosse vera. Ma ti assicuro che quell’uomo l’ho trovato sulla spiaggia in fin di vita.-

Si prese un attimo di pausa, poi proseguì.-Noi siamo arrivati qua perché cercavamo il frutto, ma la spiaggia è rocciosa e la nave si è danneggiata. Così ci siamo fermati per le riparazioni, e intanto i miei uomini  hanno iniziato a farsi un giro per l’isola. Il medico era sulla spiaggia, e stava tentando di curare quell’uomo da prima che arrivassimo noi. Non sapevo che fosse tuo padre.-

-E che ci faceva sulla spiaggia, a curare un uomo sconosciuto?!- esclamò Arissa.

-Ah, non ne ho idea. A me ha detto che era un abitante del villaggio...-

No. Non lo era, pensò Arissa. Se fosse morto qualcuno le chiacchiere lo avrebbero fatto sapere in meno di mezza giornata. Così come era successo con Kakuri.

-Shanks...Tu... Tu stai dicendo la verità?- domandò, con un groppo in gola.

Lui si fece serio e si sporse verso di lei.-E perché dovrei mentirti?-

Si guardarono negli occhi il tempo necessario perché Arissa si fidasse di nuovo di lui. Sembrava che il contatto visivo fosse necessario perché quella ragazza così diffidente gli credesse. Ogni volta che Shanks le parlava senza guardarla negli occhi, lo aveva notato grazie all bottiglia del sake, lei andava nel panico, e iniziava a torturare la gonna. Era come se dovesse essere sicura che l’altro la stesse ascoltando, o che le stesse dicendo la verità.

Lei abbassò lo sguardo e prese il taccuino.-Domani... Voglio ispezionare la spiaggia.- Terminò, in tono tetro.

-Fai bene. Quell’uomo non dev’essere arrivato a nuoto- disse Shanks.

-Accompagnami Shanks.- Gli disse.-Ti prego!-

-Per me non c’è problema. Avevo intenzione di farlo, perché ho un sospetto...-

-Davvero?!- esclamò Arissa, raggiante.-Sei così gentile! Ti abbraccerei!-

-Tranquilla, puoi sempre farlo co tutta calma domani mattina- rise Shanks, sapendo che si sarebbe rimangiata tutto. Era davvero divertente quella ragazzina.

-Ma dicevo così per dire!- protestò Arissa, avvampando.-Shanks!!!-

Però era strano. Se l’uomo che Eichiro aveva tentato di salvare non era né un abitante del villaggio né un membro della ciurma dei pirati... Chi diavolo era in realtà? E che ci faceva sull’isola?

 

 

 

Angolino dell’autrice

 

Insomma, eccomi qui a rompere di nuovo le scatole con le mie chiacchiere inutili. Cooomunque: intanto ringrazio chi ha dato fiducia a questa storia. Credo che non ci sia niente da dire... almeno credo. Se avete domande, commenti e osservazioni fatele pure, vi risponderò. Intanto apro l’angolino dell’autrice con le risposte alle recensioni ^^

 

Kgm92: Ciao  X3 che bello sentirti! Trovare qualcuno come me è sempre un gran sollievo (se poi è un autore ed è fan di Ace, è ancora meglio XD) ^^

Intanto ti ringrazio della recensione! Eh... hai ragione a dire che se si fosse trovata davanti Teach sarebbe stato diverso XD. Anche io, mentre scrivevo, non ho potuto fare a meno di pensarci (quell’essere mi rabbrividire U.u, senza offesa a chi piace)... Ma a parte questo... Il frutto è praticamente tutte e due le cose che hai detto, ma non preoccuparti, sono io che non ho lasciato trapelare notizie specifiche. È un po’ complicato come frutto, ma serve al mio scopo XD.

Beh, ti saluto mirabile autrice/sorella XD. Ci sentiamo!! ^^

 

  Akemichan: Ah!!! Wow, che recensione professionale che hai lasciato ^^. Comunque ciao *_*, paicere di conoscerti! Quello che hai detto è tutto vero! Infatti ho pensato anche io che ci fossero troppi personaggi originali nel prologo, però mi piaceva e l’ho lasciato così... Anche per questo ho pubblicato il primo capitolo in anticipo, e sinceramente parlando, ero anche un po’ nervosa. Se non prendo confidenza con la sezione mi sento come se fossi alle prime armi XD. Inoltre, lo ammetto, non ho mai pensato di scrivere una ficcy di One Piece finchè non è morto Ace... quindi è come se questa fosse la mia prima fic XD. Comunque non ti preoccupare per dove andrà a parare la fic XD A quello ci penso io, anzi... io credevo che fosse anche troppo facile... X3.

Ti ringrazio per i complimenti e soprattutto per i consigli. Come hai detto tu, devo anche adeguarmi allo stile di Oda e non rendere la fic troppo pesante... XD In genere evito i prologhi perchè preferisco l’incipit in medias res, ma stavolta ho cambiato scelta perché sto facendo un esperimento... comunque grazie per tutto quello che mi hai detto ^^ e per la recensione che hai lasciato. Beh, vedremo come andrà avanti la ficcy e se ti piacerà non potrò altro che esserne felice! Se invece no... beh, avrò fallito nel mio intento XD. Ah, se hai dei consigli utili, dimmi! Ho visto che sei molto brava e semmai volessi aiutarmi nel migliorare, non potrò altro che esserne felice ^^

PS: Il frutto mi è venuto in mente così... >.<  Mi spiace... è che la scelta era tra Tam-Tam e Cura-Cura... Um...  non so... Forse dovrei cambiare?

 

Ayumi_L: XD Salve!!! Come ho detto di sopra, ci penso io a preoccuparmi di dove va a parare la storia =D. XD Domani ricomincia la scuola anche per me... e vai con l’accoglienza ai pargoli del primo ^^

 

tre 88: Ciaooo! ^^ Siamo d’accordissimo io e te. Erigiamo un comitato per la protezione di Ace! *_*. Comunque, passando alle cose serie, ti ringrazio per la recensione e per aver aggiunto la storia tra le seguite ^^. Mi fa piacere che ti piaccia. Alla prossima ^^

 

the one winged angel: NUUU!!! LA NIPOTE ANCHE QUIII! SALVATEMI XD Sto scherzando ovviamente. Sei fantastica nipote!!! Hai una pazienza infinita a leggere tutte le cavolate che scrivo!!! Devo dirlo io W la nipote!!! A proposito, non sapevo che ti piacesse One Piece... A saperlo ti avrei messo tra le dediche... Ma comunque don’t worry perché ti sto preparando una sorpresa (no, non è il calendario di Genesis, nipote. Né una pentola per fare il sugo con i suoi capelli XD) ^^. Dovrebbe essere pronta tra due o tre settimane... dipende se Vegas e la mia testa decidono di collaborare... Ma passiamo alla storia (sì sì, cambia argomento – nd tutti) ! Wow... anche mia nonna è una maniaca del pulito XD. Abbiamo due nonne maniache xd. Ma vabbè... I personaggi originali tanto non me li porterò dietro fino alla fine. Ancora un po’ di capitoli e me ne libererò (bastarda di un’autrice – nd personaggi), li rinchiuderò nel mio laboratorio segreto senza cibo né acqua insieme al Sepho impazzito XD. Rimarrà solo Arissa. E poi qualche comparsa, ogni tanto. Questo è il progetto...

Nipote, non so che farei senza di te, il tuo sostegno è molto importante per me ^^. Comunque ho messo nella mia pagina la nuova Ficcy, il seguito di Homless... dovrei pubblicarla il dieci ottobre se tutto va bene *_*

Ti ringrazio ancora per tutta la tua pazienza e per quanto mi segui e mi incoraggi!!! Io sono commossa. Invece di farla a Tseng la dovevo fare a te, la statua  ç_ç

W LA NIPOTE  ^^ è *Cartellone: Nipote For President!*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. L'uomo Del Battello ***


Capitolo 3

 

L’uomo Del Battello

 

  Arissa si era svegliata molto presto, quella mattina. Il primo pensiero che le venne in mente fu di preoccuparsi per come avrebbe reagito la madre una volta saputo che voleva scansare le faccende domestiche per il quarto giorno di fila.

La ragazza si alzò dal letto in fretta, indossò un abito di cotone lillà e afferrò la solita tracolla contente il Lumacofono, il coltello da cucina e la carta geografica. Considerava quegli oggetti come un piccolo tesoro e ormai li portava sempre con sé.

Alle nove uscì dalla stanza e si diresse verso la porta facendo meno rumore possibile. Stava per entrare in sala, quando udì le voci dei suoi genitori dalla cucina. Sembrava che i toni fossero piuttosto accesi, e il volume delle loro voci superava di gran lunga quanto Arissa avesse mai sentito in vita sua.

Incuriosita, si avvicinò alla cucina. La porta era chiusa.

-Sono stufo del tuo comportamento!- stava dicendo il padre.-E parla, almeno!-

Arissa tese le orecchie, cercò di guardare dallo spioncino senza risultati e alla fine si appiccicò alla porta. Sentì un mugugnare sommesso, probabilmente appartenente alla madre, ma non seppe distinguerne le parole.

Il nervosismo del padre aveva raggiunto limiti allarmanti se aveva deciso di sfogarsi con la moglie. Arissa sapeva quanto Eichiro soffrisse dell’indifferenza della moglie, ma non aveva mai rotto l’equilibrio che regnava in casa per amre della tranquillità familiare. Del resto, era lo stesso dolore che provava Arissa quando cercava di parlare con la madre e il massimo che ne ricavava era una specie di rimprovero su come dovrebbe comportarsi una moglie. Era fissata, per qualche strano motivo.

-A volte vorrei soltanto sentirmi amato da te, Kaguya! Ma tu non ne sei capace! Invece di pensare a lucidare e rilucidare questa casa dovresti occuparti di più della tua famiglia!-

Arissa non ebbe bisogno di sentire la risposta, per sapere che sarebbe stata una cosa del genere:-Mi sono sempre occupata di questa casa, e voi mi ripagate così?- e con quel “voi”, intendeva anche Arissa, che spesso aveva deciso evadere da casa senza il suo permesso.

-Ti ho accontantata in tutto!- replicò Eichiro, con rabbia- Non mi pare di essere un ingrato!-

A questo punto anche Kaguyaalzò la voce:-Perché non ti prendi cura di tua figlia? Lo sai che ultimamente se ne va sempre a spasso per la foresta? Non posso mica pensare a tutto, io!-

-L’unica cosa a cui devi pensare è smettere di comportarti come la cameriera!- esclamò Eichiro.-Andrebbe anche bene, se solo dimostrassi di avere dei sentimenti! E mia figlia, come hai detto tu, vale molto più di te!-

Un rumore di passi.

Arissa scappò per raggiungere l’ingresso e attese che uno dei suoi genitori facesse la sua comparsa.

Eichiro sbucò dal corridoio con le sopracciglia congiunte e le labbra ridotte a una linea sottile. Sembrava infuriato. Quando la vide le rivolse una domanda secca:-Dove vai?-

-A fare un giro- farfugliò Arissa.

-Nella foresta?-

-No. Al villaggio.- Rispose la ragazza, posando una mano sulla tracolla e stringendo la stoffa tra le dita. Non aveva mai visto il padre in quello stato, e doveva ammettere che la cosa iniziava a spaventarla.

-Non ti avvicinare alla spiaggia, Arissa!- ordinò Eichiro, in un tono che proibiva ogni replica.

Arissa annuì lentamente e abbassò lo sguardo.-Papà... cosa sta succedendo?-

Lui si avvicinò all’attaccapanni e prese il camice, se lo infilò e quando la ragazza gli fece quella domanda poco mancò che sbiancasse.-Niente.-

-Sei molto nervoso da un po’ di giorni. È colpa dei pirati?- domandò ancora Arissa, preoccupata.-So che sono successe delle cose tremende, ma non ti ho mai visto comportarti così...-

Eichiro si chinò e raccolse la borsa ai piedi dell’attaccapanni. Gli angoli della sua bocca erano inchiodati all’ingiù, e la sua espressione era severa.-Non ti deve interessare.- Disse, in tono stentoreo.-Sei una ragazzina ancora, Arissa.-

-Sono abbastanza grande per decidere da sola- replicò lei, seria.-E quindi non trattarmi come una bambina. Cosa sta succedendo? Perché sei così nervoso? Se ne parli con me ti sentirai meglio, vedrai!- esclamò infine, prendendo la mano libera del padre tra le sue.

Lui ritrasse la mano immediatamente e la guardò spaesato.-Ho detto di no. E non fare altre storie Arissa. Il discorso è chiuso!- quasi gridò, mentre aprìva la porta.-Non posso correrti dietro ogni volta che ti cacci nei guai, capito? Non vivrò per sempre! Da quando sei nata sei stata solo un peso per questa famiglia! Tutti commettono errori, hai sempre detto. Beh, tu vedi di non commetterne più!- e uscì sbattendo la porta.

La ragazza rimase di sasso. Scorse il viso di Kaguya che si affacciava in lacrime dalla cucina e la guardava, poi le diede le spalle e uscì di corsa.

Si sentiva così male che l’unica cosa che desiderava era correre tra gli alberi. Si sarebbe fermata solo quando non avrebbe più avuto energie, o quelle si sarebbero trasformate in lacrime.

 

(...)

 

-È parecchio in ritardo.- Disse Shanks, in piedi sul ponte della nave.

Accanto aveva il suo vice, Ben Backman, che fissava a sua volta il limitare della foresta con una sigaretta tra le labbra. Non disse niente, e per un po’ rimase a fissare la fila di alberi che gli si stagliava davanti, poi esordì:-Sei sicuro che sia davvero una buona idea frequentare quella ragazza?-

Shanks voltò gli occhi e gli lanciò uno sguardo divertito.

-Non è che si fissa come Rufy e ci chiede di entrare nella ciurma? - Rimarcò Backman.

Il capitano sorrise flebilmente.-Ha paura dei pirati.- Rispose.

-Non vorrei che qualcosa ti sfuggisse di mano. Perché secondo me quella ragazzina non sopravviverebbe tre giorni in mare aperto...- soffiò il fumo verso il cielo e rimase a contemplare quella distesa di azzurro limpido per qualche istante.-Chissà perché quest’isola è così chiusa al contatto esterno.-

-Credo che abbiano soltanto paura di quello che potrebbe esserci, fuori da questa foresta.-

Backman annuì e lanciò un’occhiata alla spiaggia. I capelli neri di Arissa risaltavano particolarmente sulla sabbia dorata.-Eccola che arriva. Buon divertimento.- Concluse Backman, indicando con il mento la figura che usciva dalla foresta in quel momento.

Shanks gli lanciò un’ultimo sguardo penetrante e scese dalla nave.

La raggiunse, e la prima cosa che notò era il nervosismo con cui si torceva le dita delle mani.

-Ciao!- gridò lei, visibilmente affaticata.

-Hai corso fin qui?- domandò Shanks, fissandola con aria perplessa. Era tutta sudata e aveva le guance rosse.

Lei gli sorrise e nel frattempo cercò di riprendere fiato.-Avevo voglia di farmi una corsetta- disse.

-Se non sbaglio è molta strada da qui al villaggio- osservò Shanks. Quella ragazza aveva un talento naturale per la corsa.

-Andiamo?- Arissa eluse le domande successive e lo invitò a prendere la destra.

La spiaggia si stendeva a vista d’occhio, e mano a mano che si allontanavano, la nave rimpicciolì fino a scomparire. La sabbia era pulita e il mare la bagnava delicatamente.

I due camminavano in silenzio, perché Arissa sembrava su un altro mondo.

-Dove sono gli scogli?- chiese Shanks.

Lei cadde dalle nuvole.-Scogli? Vuoi andare a pescare?-

-Non credo proprio- fece Shanks, perplesso.-Sto pensando che quell’uomo potrebbe essere approdato qui su una nave.-

-Quale uomo?-

-Arissa...- la rimbrottò.

-Ah! Giusto. Sì, scusa, non ci sto con la testa- gli disse, mentre accellerava il passo.

-Lo vedo!- esclamò Shanks.-Sei agitata.-

-Che? Agitata io? Ma no!- rise la ragazza.

Di nuovo silenzio, e presto Shanks cominciò ad annoiarsi. Aveva catalogato Arissa come una persona limpida, senza segreti. Per questo gli piaceva. Faceva parte di quel gruppo ormai esiguo di persone che si mostrano per quello che sono, e la cosa lo aveva piacevolmente sorpreso. Tuttavia, pensò che insistere nel voler sapere cosa le fosse successo avrebbe avuto l’effetto di renderla di nuovo diffidente, e la cosa era da evitare.

Arissa si fermò quando arrivarono agli scogli, un’ammasso di rocce scure che si trovava tutt’intorno all’isola, ma che lì spuntavano chiaramente superando di almeno tre di metri il livello dell’acqua

-Gli scogli- disse Arissa, indicandoli.

Shanks diede un’occhiata d’insieme, poi disse: -Forse il battello di quell’uomo è stato trascinato qui dalle correnti. Magari si è danneggiato in modo irreparabile... il tipo era ridotto piuttosto male, è probabile che sia stato sbalzato sulle rocce e si sia ferito.-

-La tua nave è molto grande. Se qui ce ne fosse un’altra si vedrebbe.- Gli fece notare Arissa.

-Non necessariamente quell’uomo doveva avere una nave come la mia- rispose Shanks, avviandosi verso gli scogli.-Per gestire una nave come quella serve un’equipaggio, cosa che qui non ho ancora trovato.-

Lei lo vide saltare sulle rocce e guardare in tutte le direzioni, poi si arrampicò a sua volta con molta fatica. Shanks le porse la mano e la aiutò a salire.

-Uff... che fatica- sbottò Arissa, mentre si aggiustava il vestito. Proprio un abbigliamento inadatto per quel genere di cose...

Shanks gettò lo sguardo alla base della scogliera e intravide nell’acqua, qualcosa che assomigliava ad una trave di legno.-Forse siamo sulla pista giusta.-

A ridosso del lato destro della scogliera si allargava una piccola secca che s’insinuava in un seno scavato nella roccia dal mare. Shanks balzò di sotto, poi invitò Arissa ad imitarlo e, dopo averla convinta a saltare con un notevole sforzo, l’afferrò al volo. Ormai Arissa si fidava per quanto detestasse ammetterlo.

In quella cavità c’era ciò che stavano cercando: un piccolo battello a vapore, un’imbarcazione allungata con una cabina stretta al posto del timoniere . Arissa notò che era piuttosto malconcia. Lo scafo era gravemente danneggiato, il timone completamente abbattuto e la cabina era stata squarciata  come una scatoletta.

-Distrutto- giudicò Shanks, con una rapida occhiata.-Avevo visto giusto. L’uomo è stato trascinato verso gli scogli. In questo punto le rocce sono incredibilmente grandi, inoltre il battello non è molto grande... Si perde facilmente il controllo con un coso come questo.-

-Mi spiace per chi lo guidava- commentò Arissa, intrecciando le dita delle mani con fare dispiaciuto.

-Già...- rispose Shanks.-La corrente intorno a quest’isola è forte... e se non sbaglio qualche giorno fa c’era anche l’alta marea...-

-Non sbagli- annuì lei, mentre dava un’occhiata timorosa alla piccola imbarcazione. Non doveva essere piacevole essere sbatacchiato di qua e di là, in preda alla furia del mare. Quel mare che sapeva essere estremamente clemente e calmo, ma che improvvisamente era in grado di cambiare umore tramutandosi in una vera furia.

Arissa si voltò a guardare Shanks, che a sua volta fissava la barca assorto nei suoi pensieri. Quel mare che lui amava così tanto, il suo strumento di libertà... L’ignoto, l’immensità, il timore. Questo rappresentava il mare per Arissa. E gli uomini che venivano dal mare non erano da meno.

Shanks si voltò di colpo e intercettò il suo sguardo, facendola sobbalzare.-Andiamo sottocoperta e scopriamo cosa c’è...- Concluse con un ampio sorriso.

 

L’abitacolo che scovarono era una stanza per una sola persona, con una brandina rovesciata da una parte e un forziere che le era rotolato contro. Arissa gli si avvicinò e lo rovesciò, in modo da poter analizzare la serratura dorata che lo chiudeva ermeticamente.

Shanks dietro di lei stava dando un’occhiata in giro. C’erano alcuni libri sparsi sul pavimento, alcuni aperti, altri no, ammucchiati l’uno sull’altro disordinatamente. Ne prese uno in mano. “L’arte della chirurgia”.

-Si direbbe che quel tipo fosse un medico- stabilì il pirata, dopo aver notato che anche tutti gli altri volumi trattavano di medicina.

Arissa si alzò e indicò il forziere.-Non credi che dovremmo aprirlo?-

Shanks scosse la testa.-Per adesso lasciamo perdere.-

-Oh...- Lei sembrò delusa.-Va bene...-

Sarebbe stato divertente aprire un forziere. Chissà, poteva anche esserci un tesoro.

Il pirata continuò a guardarsi in giro, finchè non notò una grossa scatola squadrata seminascosta sotto un telo verde a ridosso di una parete.-E quella?- Andò a togliere il telone.

Arissa corse a vedere.-Una gabbia?- Probabilmente, anche quella era rotolata via come tutto il resto, perché dentro la pagliuzza era rovesciata a terra.

-Che ci fa una gabbia qui?- si chiese Shanks, continuando ad osservare la gabbia vuota.-Mi chiedo che animale abbia contenuto.-

Arissa si mise a giocare con la porticina rotta che avrebbe dovuto chiudere la gabbia. -Non ci sono trespoli, quindi non poteva contenere uccelli- osservò.

-Sì, giusto.- Rispose Shanks. Calcolò che un pavone avrebbe potuto fare la sua ruota, all’interno di quella stia.-La paglia che ricopriva il fondo è macchiata di sangue-

-Sangue?!- esclamò Arissa, inorridendo.

-Forse era un animale carnivoro.-

-Carnivoro?!-

-Devi ripetere per forza tutto quello che dico?-

-Se non la smetti di dire queste cose orripilanti, sì!- esclamò Arissa, avvampando.

Shanks scosse il capo.-Guarda. È talmente poco che si vede a malapena.-

Arissa era preoccupata.-Qualsiasi cosa fosse... si è liberato.-

-Saranno stati gli scogli.- Disse Shanks, inginocchiandosi accando alla gabbia.-L’animale sarà scappato quando il battello si è scontrato con gli scogli...-

La ragazza si adombrò.-Quindi vuoi dire che un animale sconosciuto si aggira per l’isola?-

Il pirata si alzò e la guardò intensamente.

-Questa non ci voleva...- sospirò Arissa, andandosi a sedere sul forziere con aria imbronciata.

Shanks la seguì con lo sguardo e notò che aveva gli occhi lucidi.-Cosa c’è che non va?- domandò.

-Stamattina i miei genitori hanno litigato.- Gli confidò Arissa, senza scendere nei dettagli.- Non mi sento tranquilla...  Prima mio padre che cura uno sconosciuto, poi questo battello distrutto e adesso l’animale...- si passò una mano sugli occhi.-e non vorrei che mio padre fosse nervoso perché è a conoscenza di qualcosa di losco...-

Shanks s’impietosì. Dopotutto era soltanto una ragazzina indifesa.-Non saltare subito alle conclusioni. Potrebbero anche essere soltanto delle coincidenze.-

Arissa spinse la mano sugli occhi per frenare le lacrime, e intanto cercava di nascondere con la lunga frangia corvina quelle che già erano scese. Si alzò di scatto e si allontanò dal baule, preoccupandosi principalmente di dare le spalle al pirata. Cercò di asciugare le lacrime cercando di non far intuire nulla a Shanks, e intanto pensava a quanto patetica potesse sembrare, combortandosi in quel modo.

Lei, che voleva diventare una dottoressa. Una studiosa... lei che voleva diventare una persona che solca l’ignoto e scava nei segreti più profondi dell’essere umano, aveva paura. Paura del mare aperto, paura dei misteri, paura di tutto ciò che non può essere facilmente risolto. Si rendeva conto da sola di essere viziata. Una codarda. Trasse dei profondi respiri e lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi.-Possiamo aprire il baule.- Disse, piuttosto duramente.

Shanks le lanciò uno sguardo compassionevole e si avvicinò al baule sguainando la spada. Gli bastò un colpo secco, dato con la punta dell’elsa per rompere la serratura del forziere.

Non appena udì lo scatto secco e il tintinnio metallico, Arissa si voltò e sorrise flebilmente.

Il coperchio del forziere venne rapidamente sollevato dal pirata, rivelando un’interno profondo rivestito di raso rosso. C’erano poche cose adagiate sul fondo: un volume con la copertina macchiata dall’inchiostro che si era versato dal calamaio che lo accompagnava. La bottiglietta dell’inchiostro si era rotta in mille pezzi, macchiando buona parte della stoffa e del libro.

Arissa si appostò al lato del forziere e ci infilò dentro la mano. Afferrò il libro saldamente e sentì con orrore che l’inchiostro non si era ancora seccato.-Cavolo...- Biascicò, mentre tirava fuori il volume.

Shanks ridacchiò e notò che il libro in realtà era un diario dalla copertina rigida, arancione, quasi interamente ricoperta di inchiostro nero, lo stesso con cui si era macchiata Arissa.-Un diario di bordo- disse, interessato.

Arissa fece una smorfia con il naso e lo aprì a caso.-Oh... Guarda che peccato... tante parole sono state cancellate dall’inchiostro.-

-La copertina è illeggibile- affermò Shanks, poi prese il libro dalle mani di Arissa e contemplò le due pagine. La sua espressione si tramutò da rilassata a preoccupata mano a mano che i suoi occhi scorrevano le parole.

-C’è qualcosa di interessante?- domandò Arissa, notando il cambio di atteggiamento del pirata.

Shanks chiuse il diario con uno scatto secco.-Andiamo. Non c’è più niente da vedere qui.-

-Posso tenere il diario? Vorrei esaminarlo...-

Lui esitò, ma alla fine rispose: -... Per me va bene.-

 

(...)

 

Eichiro uscì dalla casa di Cammy con la fronte madida di sudore e un’espressione sconvolta. Chiuse la porta con le mani che gli tremavano e tornò a casa.

Appena entrò, notò subito qualcosa di diverso.

Erano le una. Solitamente Kaguya aveva preparato il pranzo per quell’ora, e il profumo del cibo si spandeva per tutta la casa. Invece quel giorno non c’era né la moglie ad aspettarlo, né il cibo. Il primo pensiero che lo colpì fu che la moglie poteva essersene andata di casa a causa del litigio della mattina, ma poi scollò la testa, pensando che Kaguya non fosse proprio il tipo adatto per una fuga.

Con cautela, senza neanche togliersi il camice, si avventurò per la casa in cerca della moglie. Controllò in sala da pranzo, nella cucina linda e pulita, nella camera di Arissa e nel bagno. Niente. Decise che sarebbe stato meglio salire al primo piano. Si aggrappò alla ringhiera e iniziò a salire i gradini uno dopo l’altro, con il cuore in gola.

Per fortuna trovò la moglie in camera da letto, distesa sul materasso, e  fu un sollievo. La tensione si allentò e la fronte di Eichiro si spianò.

Kaguya posò il libro che stava leggendo sulle ginocchia e lo guardò, con gli occhiali quadrati poggiati sulla punta del naso acquilino.

Ad Eichiro bastò un solo sguardo per inorridire e fare un passo indietro. Rimse agghiacciato sulla soglia della porta, a fissare la moglie che si calava gli occhiali e gli rivolgeva un sorriso stanco.

-Mi spiace se oggi il pranzo non è pronto- disse.

-Cosa ti succede... Kaguya?- ansimò Eichiro, con un velo di puro terrore negli occhi.

-Un po’ di febbre- rispose la moglie.-Ho sentito che ultimamente gira, non c’è da sorprendersi.-

L’ha detto!, pensò Eichiro, disperato.

-Adesso mi alzo e vado a preparare il pranzo- disse Kaguya, e con un grosso sforzo si liberò delle coperte. Mise i piedi nelle pantofole con molta lentezza e si alzò.

Eichiro si fece da parte, quando passò.

Una volta che la moglie se ne fu andata si chiuse in camera, si tolse il camice e lo gettò su una sedia addossata ad una parete. Si slacciò i primi bottoni della camicia perché non riusciva a respirare.

La malattia era contagiosa. E lui aveva permesso che dilagasse nel villaggio. Solo quella mattina aveva ricevuto tre chiamate di soccorso, e a tutti aveva detto che si trattava di mali di stagione. Come al solito aveva prescritto delle tisane alle erbe, aveva raccomandato con gentilezza di stare a casa a riposo...

Si sedette sul letto e si infilò le mani nei capelli.

Ma non era questione di riposo. La questione era il contagio! La malattia era forte, sconosciuta e pericolosa!

Si alzò e si piantò davanti allo specchio. Era più magro, più pallido e più invecchiato. Iniziò a pensare che prima o poi si sarebbe ammalato pure lui e sarebbe morto. E chi avrebbe curato il villaggio? Sarebbe stato il caos!

No... non sarebbe stato il caos, perché la malattia si sarebbe spenta da sola, un giorno.

Sarebbe impazzito se il villaggio fosse stato decimato per colpa sua. Aveva sottovalutato il problema e adesso ne pagava le conseguenze.

Cosa ne sarebbe stato di sua moglie? E di sua figlia?... E di lui?

Doveva risolvere il problema a tutti i costi.

Ma come?

 

(...)

 

Diario Di Bordo

 

Giorno 50

 

La bestia sembra aver reagito bene all’esperimento: ora mangia e si comporta normalmente. Manifesta una certa aggressività verso l’uomo, ma niente che non si possa tenere sotto controllo. Entro una settimana o poco più dovrei riuscire a raggiungere l’isola di Taraah e lasciarla libera di muoversi e cercare il frutto Tam-Tam.

 

Giorno 67

 

Oggi la bestia è riuscita a mordermi. Non so perchè, ma sembrava stranamente soddisfatta di se stessa. Non credo che sia un problema, ma meglio prenderne nota.

 

Giorno 70

 

Dopo il morso della bestia, hanno cominciato a manifestarsi dei sintomi sospetti: febbre alta, confusione e dolori muscolari. Temo che ci sia qualcosa che non va... Sono entrato nella zona di Taraah e ho contattato il medico del villaggio. Per fortuna hanno ancora dei contatti con la marina e non sono del tutto isolati. Una volta arrivato lì mi farò curare e starò bene.

Tornerò per la data stabilita con il frutto e la bestia.

 

 

 

 

 

 

Angolino dell’autrice:

 

La scuola è ricominciata (disastro, tragedia, evento funesto e quant’altro), ma spero di mantenere il regolare aggiornamento della storia... intanto ecco il terzo chappy e la risposta alle recensioni.

In più, ringrazio the one winged angel, aliena e tre88 che l’hanno messa tra le seguite ^^

Sono davvero felice^^

 

Akemichan: eccomi ^^! A rapporto XD. Sì, era un errore mio... non so perché facesse in quel modo, ma era colpa del codice. Mi sono dimenticata di correggere città, ma lo farò appena possibile *_*. Avevo dato al correttore di word il compito di notare errori che a me erano sfuggiti, ma a quanto pare si è degnato di segnalare solo gi errori inesistenti, tralasciando quello che in realtà doveva proporre XD.

Lo stile sì, è cambiato. Ma perché sto cercando di adeguarmi a quello di One Piece e non è facile, perché il mio è molto differente. Sto cercando “la via di mezzo”, e comunque l’altro chappy non sarebbe stato comunque troppo descrittivo.

Per il fatto della bussola hai ragione, mi è passato proprio di mente... ç_ç

Adesso corro a finire la versione di latino XD. L’ho lasciata a metà xdxdxd.

Un bacio

 

Kgm92: Sorella! XD Sono felice che Arissa ti piaccia ^^. Non preoccuparti, quello che hai scritto va benissimo ^^, anzi... devo ringraziarti per aver recensito nonstante dovessi partire *_*. Grazie ^^

Spero di risentirti presto e di leggere il tuo nuovo aggiornamento *_*!

 

tre88: grazie dei complimenti ^^ Già, neanche io penso che Ace abbia tutti quei soldi da pagarsi tutto quello che si mangia XD

Sono contenta anche del fatto che apprezzi Arissa, ci sto mettendo molto impegno per caratterizzarla *_*

Grazie davvero X3

Ps: La storia è ambientata prima di Marineford ^^

 

Ayumi_L: hello!!! ^^ Che depressione questi giorni, non puoi capire... >.< Almeno qui trovo un po’ di svago ...

 

the one winged angel: ma no, tu non mi stanchi mai ^^

Ma passiamo al capitolo XD: Arissa è curiosa, e quindi per curiosità si fida di Shanks, con la conseguenza che alla fine lo trova simpatico... dopotutto lui ispira una certa fiducia secondo me, nell’ aspetto.

Ace invece si sbafa tutto a scrocco, come al solito XD Tipico di lui. XD

Ti piace Cammy? Anche a me ^^. Non dico che avrà un ruolo rilevante, ma quasi ^^

Per la sorpresa non preoccuparti XD è una stupidaggine, ma vorrei fare qualcosa per ringraziarti ^^

I tuoi incoraggiamenti sono sempre speciali per me, soprattutto in questo periodo che per me non è il massimo dello splendore ^^. Ti ringrazio dal più profondo del cuore *_*

Grazie nipotuccia mia... ^^

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. Svolta ***


Capitolo 4

 

Svolta

 

Era notte.

Il cielo scuro avvolgeva tutta l’isola e, indistinamente, anche tutto il resto di quel mondo che Arissa conosceva così poco. La luna piena si rivolgeva agli abitanti della terra, osservando tutta la vita che le scorreva al di sotto con indifferenza, attirando a sua volta gli sguardi di molta gente. Così, i suoi pallidi raggi si diffondevano con grazia ed eleganza sul territorio, bussando delicatamente alla finestra già aperta di Arissa, entravano e s’insinuavano debolmente nella piccola stanza della ragazza, illuminando il viso della ragazza, seduta sul davanzale della finestra con la schiena poggiata al muro e le gambe raccolte al petto. Di fronte a lei era stesa la mappa che le aveva regalato Shanks, e un fermacarte impediva che il lieve venticello la favesse volar via. 

Gli occhi neri di Arissa vagavano sul cielo, inerti e vacui, alla ricerca di qualcosa. Pregava silenziosamente, senza incrociare le dita delle mani né sussurrare nulla. Semplicemente guardava il cielo, con aria supplice.

Sul letto, il vento soffiava sulle pagine del diario sporco che aveva trovato sulla nave.

Arissa ascoltò il rumore della carta che veniva sfogliata, poi reclinò il capo e lo appoggiò al muro, e spostò lo sguardo sulla carta geografica. C’erano così tanti posti sconosciuti... Ma lei trovava così ingiusto quel desiderio di scappare, ora che sua madre stava male.

Chiuse gli occhi e li riaprì subito dopo.

Eppure c’era qualcosa di non completo in lei. Una strana ansia, un buco nel cuore... Qualcosa che non sapeva definire. Sentì le lacrime che le salivano agli occhi, di nuovo, ma stavolta lasciò che le scivolassero leggere sulla guancia e cadessero dal suo volto.

Era davvero un desiderio così ingiusto, il suo? Partire, scoprire e studiare il mondo e i suoi abitanti... Shanks era davvero così libero come diceva? Fare il pirata significava avere la libertà assoluta? E la libertà da cosa...?

I suoi occhi vagarono sul limitare della foresta che si intravedeva da casa sua.

Libertà di viaggiare e imparare, di diventare una studiosa. Cosa che in quel paese non era affatto possibile. E poi tornare, un giorno.

Di nuovo immaginò un futuro lontano, in cui lei tornava a bordo di una grande nave maestosa, con alle spalle anni di ricerca e di carriera... E tutti che l’attorniavano per complimentarsi con lei... Le ragazze che cercavano di imitarla. Sarebbe stata una svolta.

Taraah sarebbe tornata ad avere contatti con l’esterno. Avrebbero ricevuto visitatori, marinai e medici da tutto il mondo...

Arissa accarezzò con lo sguardo la cartina e sorrise lievemente tra le lacrime.

Allora sì che sarebbero stati liberi. La foresta non li avrebbe più fermati.

Tirò su con il naso e si asciugò le lacrime, quando all’improvviso udì un rumore indistinto. Rimase in ascolto, attenta, e ben presto capì che erano passi pesanti e strascicati. Balzò giù dal davanzale, afferrò la carta e la nascose in fretta sotto il letto.

La porta scricchiolò e si aprì.

-Non stai ancora dormendo, Arissa?- domandò una voce.

Lei si sedette sul letto e aspettò che la porta si aprisse del tutto, che Eichiro entrasse e se la chiudesse alle spalle senza fare troppo rumore. Un leggero scatto, e l’uomo si adagiò con le spalle al legno.

Non sembrava assonnato. Stanco, ma non assonnato.

-Anche tu non stai dormendo- osservò Arissa, seduta sul letto con le gambe incrociate. Si passò una mano tra i capelli, nervosa, e se li spostò sulla spalla destra. Quella cascata nera risaltò chiaramente sulla camicia da notte di seta bianca.

Arissa amava risparmiare, se significava avere a disposizione i soldi per comprare eleganti capi di vestiario.

Eichiro la guardò in silenzio, poi indicò la finestra.-Hai freddo?-

-No, papà- rispose lei, senza entusiasmo.

Lui le sorrise, ma non appena individuò il diario aperto ai piedi del letto, quel sorriso stentato gli morì sulle labbra in un istante.-Stai leggendo? Cosa?-

Arissa si fece dura. Era imbarazzata, non avrebbe voluto avere quella discussione con il padre proprio in quel momento, ma sembrava che la cosa si rendesse necessaria. E per sostenerla doveva accantonare l’imbarazzo e la tristezza.

Eichiro si avvicinò lentamente e, senza distogliere gli occhi dalla figlia, prese il diario in mano. Gli diede un’occhiata e deglutì sonoramente.

-L’ho trovato sul battello di un uomo. Avevi detto che era il mozzo della nave dei pirati.- Disse lei, frigida.

Lui strinse la copertina tra le dita, furente.-E a me pare di averti detto di stare lontana da quella gente.-

-Non sono cattivi- si giustificò Arissa, sulla difensiva.-Anzi, mi hanno dimostrato di godere di fiducia più di quanto abbia fatto tu!-

-Abbassa la voce!- la rimproverò Eichiro, tirando il diario sul letto con stizza.-Possibile che tu debba sempre cacciarti nei guai...?-

-Come l’hai contattato, papà? Credevo che la rete di lumacofoni fosse inutilizzabile per contattare i luoghi esterni all’isola...- disse Arissa, tagliente.

Eichiro le rivolse un’occhiata dispetata.- Tu non capisci Arissa... Non è stata colpa mia...- e dicendo ciò si avvicinò alla figlia per prenderle le mani, ma lei si ritrasse e scese dal letto, portandosi di nuovo davanti alla finestra. Il vento scosse i suoi capelli, e per un attimo la sua sagoma interruppe il flusso della luce lunare.

Eichiro rimase avvolto nel buio.

-Quell’uomo portava con sè un animale infetto. Lo sapevi?-

L’uomo trasalì, e nella sua mente riaffiorò chiaramente il ricordo dei morsi rinvenuti sul corpo del figlio di Kakuri, nitido e doloroso.-Vuoi dire che...-

Arissa annuì.-Leggi quel diario, papà. È l’unica cosa che posso raccomandarti.-

Lui si rivolse al diario e lo afferrò con avidità.-Potrebbe esserci la soluzione!- bofonchiò.

-Papà...- mormorò Arissa, spostandosi dalla finestra e avvicinandosi al padre.

-Non capisci Arissa...! Qui c’è la soluzione!- fece, fuori di sé. Girò le pagine come se da ciò dipendesse la sua vita, senza neanche  leggere le parole. Finì il diario e lo riaprì di nuovo dall’inizio, ricominciando a sfogliarlo in modo quasi maniacale.-Giorno uno... giorno ventitrè... Giorno settanta...-

Mano a mano che l’operazione  procedeva però, la velocità diminuiva. Alla fine Arissa, prima che potesse ricominciare a sfogliare il diario daccapo per la terza volta, si avvicinò e gli prese le mani tremanti tra le sue.-Non c’è niente. L’ho già letto io. Non c’è niente- sussurrò.

Lacrime di amarezza scivolarono dal volto di Eichiro.

Arissa avvertì un peso al cuore, ma cercò di mostrarsi più forte di quanto non fosse in realtà.

-Non capisci... La malattia è contagiosa... E la colpa è mia... Ho permesso che quell’uomo attraccasse qui...-

-L’avrebbe fatto comunque- intervenne Arissa, con voce spezzata.-Hai visto? Cercava il frutto Tam-Tam... Cercava il frutto che cura tutti i mali...-

Eichiro singhiozzava.-Tu non capisci...-

-Si sarebbe fermato comunque a Taraah...- ripetè Arissa, a un passo dallo scoppiare in lacrime.

Arissa lasciò le mani del padre di scatto e corse ad affacciarsi alla finestra, portandosi un braccio davanti alle labbra per soffocare i singhiozzi. Si sentì morire dentro in quel momento.

A cosa serviva sognare, se la realtà andava in pezzi?

Eichiro rimase immobile a piangere, poi si voltò e uscì dalla camera. Aprì la porta e prima di andarsene aggiunse:-Cammy sta male. Mi spiace non avertelo detto prima. Suo padre è morto. Ho cercato di nascondere la faccenda. Mi diaspiace angelo. Ho tradito la tua fiducia.-

Uscì, lasciando Arissa affacciata alla finestra, con gli occhi chiusi e il viso rigato di lacrime.

Non appena la porta si chiuse, lei si gettò sul letto, affondò la testa nel cuscino e si sfogò.

 

(...)

 

La spiaggia era bellissima.

Arissa barcollò sulla sabbia, trascinandosi sulla sabbia dorata come un’automa. Guardava fisso il mare che si stendeva oltre l’orizzonte, azzurro e cristallino. Limpido. Puro.

Arrivò con i piedi nell’acqua e si fermò, distrutta. La vista era stupenda da lì. Il cielo si sposava con il mare, alla linea d’orizzonte, e i due sembravano unirsi in intenso abbraccio.

Eppure quella bellezza non compensava il fatto che la nave di Shanks non ci fosse più. Niente più vessillo dei pirati del Rosso in giro, niente più uomini indaffarati, niente più pirati di cui non potersi fidare. Niente più pericoli venuti dal mare. Era tornato tutto come prima, alla spiaggia. Il sole abbagliava e si rifletteva sull’oro e sull’azzurro, allegro e confortante.

Arissa si voltò e guardò il limitare buio della foresta e sentì una forte rabbia assalirla, oltre che allo sconforto.

Shanks se n’era andato senza dire nulla. Aveva detto che sarebbe partito, ma non quel giorno. Non l’aveva neanche salutata. Perché?

Non che la cosa la facesse disperare. Dopotutto era sempre uno sconosciuto, ma lui con la sua presenza le aveva infuso quel po’ di determinazione che le serviva. Era arrivato dal mare, e attraverso il mare era scomparso. Come un soffio.

Arissa strinse tra le dita la stoffa della tracolla, dove teneva la cartina. Sarebbe sembrato egli stesso un sogno, se non le avesse lasciato quella testimonianza del suo passaggio.

Allora perché si sentiva così frustrata? Aveva bisogno di lui in quel momento. Ne aveva bisogno più di ogni altra cosa al mondo.

-Te ne sei andato senza salutarmi- disse, al vento.

Com’era naturale, non le arrivò nessuna risposta.

-Avevi detto che avresti risposto alle mie domande... Beh, non hai mantenuto la tua promessa, Shanks!- esclamò, arrabbiata. Strinse i pugni. Era imbarazzante parlare con l’aria, eppure ne aveva bisogno. Si prese una pausa per trarre un respiro profondo:- MI HAI SENTITO?! NON L’HAI MANTENUTA, LA TUA PROMESSA!-

 

...

 

-Capitano... Sei sicuro di voler andare via proprio ora?- domandò un uomo della ciurma di Shanks.

Il capitano stava in piedi sul ponte della nave e guardava il limitare della foresta con aria serena. Quando si sentì rivolgere la domanda, si curò di prendersi una pausa ad effetto prima di rispondere.

Dietro di lui, Beckman gli lanciò un’occhiata inquisitoria.

-Ovvio che sì!- esclamò Shanks, sicuro.-Salpiamo e proseguiamo il nostro viaggio! La nave è pronta, no? Allora che aspettiamo?-

L’uomo se ne andò sorridente e soddisfatto, ma Beckman si avvicinò al suo capitano e gli posò una mano sulla spalla.-Capitano...-

-Non volermene.- Disse Shanks, rabbuiandosi un po’.-Non voglio far soffrire nessuno- e con nessuno”, lui e Beckman si capirono al volo,- ma non posso continuare a farla sognare inutilmente. Potrebbe chiederci di unirsi a noi, e a quel punto cosa dovrei risponderle? Sì? No?-

-Potresti salutarla.-

-Si sta attaccando troppo a me.-

Beckman scoppò a ridere.-Non credi che sia un po’ troppo presto per dirlo?-

Shanks gli lanciò un sorriso enigmatico, ma dentro di lui sapeva che non era affatto troppo presto per dire una cosa del genere, e che il suo parlare non peccava affatto di superbia. Arissa avrebbe tentato la strada più facile per uscire dalla sua prigione, ma non era sicuramente la strada più giusta per lei.

Era soltanto una ragazzina che non sapeva niente del mondo, e in quanto tale, vivere da pirata – perché Shanks era sicuro che gli avrebbe chiesto di salire sulla sua nave – non era il modo esatto per guadagnarsi la libertà.

-Adesso andiamo- concluse il capitano, ridendo.-Ci aspetta il Nuovo Mondo!-

 

(...)

 

Arissa si costrinse ad avvicinarsi a casa di Cammy. La porta, ovviamente, era sprangata e per un attimo la ragazza temette che la sua amica non sarebbe mai più venuta ad aprirle. Alzò una mano e, riluttante, colpì il legno sgangherato per tre volte di fila.

Attese con il cuore in gola per tre minuti, poi fece per voltarsi, distrutta.

Invece, inaspettatamente, i cardini cigolarono, e un viso pallido e smunto apparve alla soglia.

Arissa rimase pietrificata.

La sua amica era ancora più magra del solito, e la sua pelle era quasi trasparente, avvolta da una coperta arancione e solare che dava un tocco d’allegria a tutta la figura. Nonstante l’eccessiva magrezza e le guance incavate, Cammy sembrava rinata. I suoi occhi celesti erano brillanti e presenti, e le sue labbra erano curvate in un sorriso timido, ma speranzoso.-Ciao...-

-Cammy...- sussurrò Arissa, avvicinandole una mano al viso pallido.-Sei... Sei tu...?-

La ragazzina ridacchiò e lasciò che Arissa l’abbracciasse così forte che, vedendo la sua struttura gracile, qualcuno avrebbe potuto pensare che si sarebbe spezzata.

I capelli biondi erano sciolti sulle spalle, e Arissa li accarezzò affettuosamente.-Ero così preoccupata per te... Sono stata così egoista questi giorni... Ho pensato solo a me, senza considerare che tu stavi male... Mi dispiace, Cammy! Perdonami!-

La bambina stette in silenzio, con gli occhi lucidi e le labbra serrate, poi mormorò:-Vieni dentro...-

 

Arissa si lasciò cadere sul divano.

La sala della casa di Cammy fungeva anche da camera da letto, e il divano si poteva aprire per godere del suo uso secondario. La copertina beige, consunta e rattoppata, si stropicciò quando Arissa ci si sedette sopra.

La luce filtrava dalle persiane chiuse in quantità sufficiente da avvolgere la stanza nella penombra.

Cammy si tolse di dosso la coperta e, dopo averla piegata in quattro, la poggiò su una sedia dondolante addossata alla parete.-Sono stata molto male questi giorni. Mio padre è...- deglutì.

Arissa le sorrise confortante e, a dirla tutta, anche in modo un po’ invadente.-Ho capito Cammy... Non c’è bisogno che tu lo dica se non vuoi...-

-... Morto.- Proseguì Cammy, con gelida calma. Si pentì subito dopo e abbassò gli occhi blu.-Sono rimasta sola e mi sono ammalata. Tuo padre veniva tutti i giorni a curarmi- sorrise dolcemente.-E adesso guardami! Sono in perfetta forma!-

Gli occhi di Arissa si fecero lucidi.-Lo vedo... Sono così contenta...-

Cammy sorrise.

-Sarei dovuta venire da te, e invece sono stata... Altrove.- Mormorò Arissa, soffocando l’ultima parola in un sussurro angosciato.

-Non preoccuparti...- Le disse Cammy, sedendosi a sua volta sul divano e guardando Arissa.

-Sei cambiata.- Osservò Arissa, commossa.-Sembri una vera donna, ora.-

Le due scoppiarono a ridere.

-Ma se tu sei guarita vuol dire che la malattia non è così grave come pensava mio padre!- esclamò Arissa, contenta.-Sarà contento di sapere che tu stai bene!-

Cammy annuì compostamente.-Certo.-

-Allora che ne dici di andare da lui a dirglielo?- rise Arissa, sollevata e al tempo stesso incredula.

-Purtroppo io non posso uscire di casa, Arissa.- Le confessò Cammy, arrossendo.-Non vorrei che qualcuno si ammalasse per causa mia... In realtà neanche tu avresti dovuto entrare, ma sono troppo stanca di stare da sola...-

-Lo capisco...- esclamò Arissa, con voce stridula. Era come un sogno. Forse Shanks se n’era andato portandosi via il resto di quell’incubo. Ecco. Era la fine dell’incubo!

-Ci vediamo dopo, magari!- le rispose Cammy, timidamente.-E non andartene troppo in giro con quei pirati...-

-Se ne sono andati!- fece Arissa, in tono trasognato.-Adesso vado e poi torno... Con una buona notizia- aggiunse a se stessa, poi si congedò da Cammy e uscì dalla porta d’ingresso chiudendola senza far rumore.

Si fermò e rimase un po’ con le mani sul legno e gli occhi chiusi. Respirò profondamente e, sollevate un po’ le palpebre, gettò un occhio a casa sua. Vide suo padre che stava sulla soglia, immobile, appoggiato alla porta esattamente come lei.

Stava piangendo silenziosamente, e intanto guardava dritto avanti a sé.

Arissa avvertì una fitta al cuore e le ginocchia le tremarono. Si raddrizzò e si diresse lentamente verso casa sua.

Quando arrivò a un paio di metri da Eichiro si fermò e lasciò che lui la guardasse senza dire niente per qualche istante.

Si fissarono l’un l’altro a lungo, nel silenzio.

-Devo darti una brutta notizia.- Disse Eichiro improvvisamente, e nel farlo si passò una mano sul viso.

Arissa divenne di pietra e un brivido le passò attraverso la schiena. Annuì.-La mamma?-

-Sì...- Mormorò Eichiro, con voce tremante.

Arissa fece un sorriso tremolante e cupo.-Posso entrare?-

Eichiro non si spostò dalla porta e deglutì sonoramente.-Devo dartene anche un’altra.-

Lei chiuse gli occhi e lasciò che le lacrime le scivolassero sul viso, snebbiandole la vista.-Allora anche tu...?-

-Ho sempre detto che sei una ragazza sveglia.-

-Quanto tempo hai?-

-Dipende.-

Arissa lasciò cadere il silenzio e si crogiolò un poco in quella nuova sensazione di smarrimento e dolore. Se Eichiro fosse morto, per tanti avrebbe significato la fine, perché non ci sarebbe più stato nessuno in grado di sostituire le sue competenze mediche. Per tanti altri sarebbe stato un sollievo, perché le voci di una sua negligenza nel preoccuparsi del nuovo virus si era sparsa in fretta come la malattia stessa.

Ma per Arissa, sarebbe stata la totale distruzione della sua amata famiglia, che era ben diverso.

-Non è stata colpa tua...- dichiaro Arissa, con voce strozzata.-Tu hai fatto il possibile.-

-Non lo credi davvero... Lo dici per pietà.- Disse Eichiro, e intanto si scansò dall’ingresso e aprì la porta.

Arissa intravide la sala buia e un senso d’angoscia le attanagliò la gola e il cuore. E di lei, cosa sarebbe stato? Era così ingiusto... Teneva troppo ai suoi sogni per vederli sfumare.

-Non entri?- domandò Eichiro, senza entusiasmo.

Lei raddrizzò le spalle cadenti a causa della frustrazione e alzò il viso per guardare suo padre.-No.-

Eichiro la fissò, glaciale e commosso al tempo stesso.-Tu sei proprio una bambina, angelo.-

-Non sono un angelo. E se me ne rimango qui rischio di rimanere una bambina per sempre!- esclamò Arissa con dignità.-E io non voglio rimanere intrappolata. Voglio vivere i miei sogni.-

-E quali sarebbero, questi sogni?- domandò Eichiro, abbassando lo sguardo a terra, sconvolto.

-Io diventerò un medico come te, papà. Anzi, molto meglio di te.- Disse Arissa, vergognandosi delle sue stesse parole. Arrossì un po’, ma non si fermò.-Perché io voglio scoprire tutto ciò che ancora non so sul mondo e sulle persone che lo abitano, in modo da diventare una persona colta e saggia! Questo è il mio sogno.-

-Ci vuole poco ad essere colti, Arissa... Ma addirittura essere saggi...- Aggiunse Eichiro, con un velo d’arroganza nella voce.-Io ci ho provato tanto, ma come vedi non ci sono riuscito. Forse è questo villaggio.Ti tiene incatenato entro un certo limite.-

Arissa prese un profondo respiro.-Adesso scusami, ma non entrerò lì dentro... Non ho bisogno di salutare un morto... Perché io credo solo nella vita. Se mia madre vorrà ascoltarmi, la saluterò da qui.-

-Dove vuoi andare?!- esclamò Eichiro, non appena vide che la figlia gli voltava le spalle con tremante decisione.

Arissa fece un paio di passi e si fermò, ancora titubante.

-Sei solo una bambina. Cosa vuoi fare?!- le gridò dietro Eichiro.

Lei non si voltò. Nuove lacrime rigarono il suo volto. Stavolta erano lacrime di terrore e di tristezza, e lei non aveva paura di mostrarle in pubblico. Perché adesso avrebbe davvero solcato l’ignoto, da sola.

-Vado a imparare, papà.- Rispose, in un singhiozzo.-E a incamminarmi verso il mio sogno!- si asciugò le lacrime con il dorso della mano e posò la stessa sulla tracolla. La cartina e il diario sembrarono infonderle la forza di riprendere a camminare.

Eichiro rimase immobile, a guardare la sua figura snella andare verso la foresta, con il vestito blu scosso dalla quella lieve brezza marina che soffiava ad ogni ora. Si sentì come svuotato. Non poteva più fare niente, a parte stare in disparte e guardarsi affogare nella malattia.

Un’ombra calò su di lui, e alzando lo sguardo al cielo, vide che una nuvola nera aveva appena coperto la luce.

Sì. Era da tanto che lui aveva imboccato una via senza luce.

Si voltò ed entrò nella sua casa, ormai buia.

 

(...)

 

 -Oh, beh!- esclamò Ace, balzando giù dalla sua imbarcazione.-Sono arrivato molto più in fretta del previsto!-

Si guardò intorno. Era approdato su una bella spiaggia dalla sabbia dorata e lucente, che però in quel momento era oscurata dall’ombra delle nuvole temporalesche, che riflettevano sul mare il loro malumore.

Il giovane si mise le mani sui fianchi e guardò il cielo. Una luce improvvisa tagliò in due il cielo per scomparire in un istante, e pochi secondi dopo la seguì il rombo di un tuono in lontananza. Proprio un momentaccio, si disse Ace, stava anche per piovere. Lasciò scivolare lo sguardo sull’ambiente che lo circondava: dalla spiaggia alla sua destra, agli alberi alti che si stagliavano a pochi metri da lui, alla sua sinistra, dove la battigia si stendeva a vista d’occhio esattamente come dall’altra parte. Si calò un po’ il cappello sul viso e sorrise. Sembrava che il tipo della locanda avesse ragione, riguardo alla foresta.

Così, Ace decise di ispezionare la spiaggia che circondava l’isola, stabilendo che poi avrebbe cercato quel villaggio di cui gli aveva parlato l’oste. In tal modo, avrebbe cercato qualche indizio su Barbanera e, soprattutto, si sarebbe rifocillato a dovere. Dopotutto, lo stomaco iniziava già a protestare!

Sbadigliò e se ne andò fischiettando.

 

 

Angolino dell’autrice:

 

Eccomi ^^! Sempre presente XD

Comunque... Spero che questo capitolo non sia stato troppo noioso, ma sinceramente io lo adoro *_*. Non so se si è notato, ma a me piace descrivere i sentimenti umani, i dolori e la gioia delle persone, e quando scrivo vorrei trasmettere questi sentimenti al lettore. Ovviamente, mi reputo ancora alle prime armi (soprattutto perché parlando di Phatos, non parliamo di noccioline), ma faccio del mio meglio. Adoro le parti comiche ovviamente, e mi piace inserirne dove posso, ma in certi passi preferisco mantenermi sui sentimenti delle persone in quanto tali, senza mutare nulla.

È come se i miei personaggi, solo allora, acquisissero una forma e una vita propria, e io riesco a sentirli in me e a caratterizzarli al meglio.

 

Un’altra osservazione. Nonstante il contrasto luce/ombra nel contesto dello smarrimento morale delle persone sia un tema abbastanza utilizzato, io lo adoro. Per me non passa mai di moda e mi piace utilizzarlo nelle mie composizioni. Così come non è un caso che Arissa all’inizio sia illuminata dai raggi della luna. Ho scelto questa situazione per rappresentare questo personaggio ancora immaturo, indeciso. Così come i raggi della luna non sono quelli intensi e caldi del sole, Arissa è delicata e ancora fragile, a volte troppo fredda e rigida.

 

Ancora, e dopo giuro che ho finito (XD), è l’attenzione che vorrei puntare sul tema della storia: i Sogni. Non a caso il titolo si chiama “Nel cuore dei sogni”, non l’ho messo soltanto perché ne avevo voglia. Mentre nella mia precedente fic “Homless” (giusto nipote? XD) è dedicata al tema della libertà personale e collettiva, (e infatti ricorre spesso questa parola nel corso della storia), questa fiction sarà dedicata ai sogni. Sogni irrealizzabili, irrealizzati e da realizzare; tema che, tra parentesi, secondo una mia visione personale, domina anche nel mondo di One Piece. Dunque, questo capitolo diventa il nodo centrale della storia: è da qui infatti, che comincerà la storia di Arissa.

 

tre88: sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo ^^. Devo ammettere che mentre scrivevo avevo anche io l’impressione che quei due fossero dei detective XD. Ti ringrazio molto per aver recensito ^^ X3. È un sollievo per me sapere che trovi la storia interessante ^^

Alla prossima! Un bacione

 

Akemichan: *si appunta tutto quello che dice su un taccuino, come Arissa* Ovviamente i capitoli divertenti ci saranno all’arrivo di Ace. Per adesso sono tutti in fase cupa XD. Probabilmente hai capito bene XD... Infatti più che altro mi sto divertendo ad immaginare la storia, più che ad arrivare alla fine XD. E poi ho ancora tutti i compiti da fare XD... Che disastro!

Un bacio!!! *saluta con entusiasmo*

 

ayumi_L: eh, già... giusto su con la vita XD. Comunque secondo me sta passando... X3 Va già meglio, anche se non benissimo!

 

the one winged angel: nipoteeeee!!! Mi prendeva quasi a male pensare che non ci saremmo più sentite fino al dieci ottobre ^^!!!! Che bello!!!!

Comunque, mi spiace anche a me per Kaguya... ma era necessario per mettere in moto la nostra eroina XD.

Infatti, Shanks ha una faccia buona ^^ Non esplicitamente losca come quella di Barbanera ... (quanto lo detesto!!!)

Eh, purtroppo non è un bel periodo, no... Ma tutti voi (e tu in particolare, insieme ad altri), mi tirate sempre su il morale ^^. Per questo, qualunque sia la sorpresa, anche se piccola, non devi sentirti in imbarazzo!! *_*

Purtroppo non posso dilungarmi tanto per causa compiti, ma sappi che io ti ringrazierò sempre e mai abbastanza per tutto quello che fai per me!!! ^^

Un abbraccione fortissimo.

W la nipote!!!

 

 

 

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Capitolo 6
*** Parte 2 - Capitolo 1 ***


^ Parte 2: In Mare Aperto ^

 

Capitolo 1: Ace E La Ragazza Dell’Isola

 

 Pioveva e tuonava.

 La stanza oscura veniva illuminata un istante sì e l’altro no dai lampi, e non appena aperti gli occhi, tutto ciò che stava intorno alla ragazza stesa sul letto era appannato. Ogni tentativo di vedere più chiaramente sembrava fallire, ogni suono, compreso quello del temporale, appariva ovattato e confuso. Tutto, nella sua testa, era confuso; rimaneva soltanto uno strano odore di bruciato, un dolore lancinante al braccio destro e una spossatezza di cui non avrebbe saputo chiarire la provenienza.

Dov’era finita?

  Tentò di mettersi a sedere, ma sbattè contro qualcosa e ricadde sdraiata sul letto. Appoggiò la testa sul cuscino e cercò di capire cosa si fosse presa di petto.

-Il medico ha detto che devi stare sdraiata- l' apostrofò una voce.

Il qualcosa, pensò la ragazza, era un qualcuno.

Il braccio continuava a bruciare dolorosamente, così come la testa continuava ad essere completamente... Vuota.

-Pensavo che non l’avresti più finita di strillare- stava dicendo intanto la voce, chiaramente appartente ad un giovane.-Come hai detto che ti chiami...? Arissa, giusto?-

La ragazza aprì gli occhi e voltò la testa verso sinistra. Le tre figure sfocate che vedeva si fecero pian piano più nitide, fino a sovrapporsi. La voce apparteneva ad un ragazzo di vent’anni, che seduto a cavalcioni su una sedia di legno, parlava ignorando lo stato di semi incoscienza in cui si trovava Arissa.

-Arissa...?- borbottò la ragazza, passandosi una mano sulla fronte sudata.-Sono io?-

Lui scoppiò a ridere e si dondolò un po’ sulla sedia, ricevendo in risposta una smorfia di dolore.-Sei divertente- osservò, mentre la ragazza riusciva finalmente a mettersi seduta sul letto.

-Mi fa male il braccio- osservò Arissa, abbassando lo sguardo sulla fasciatura bianca che aveva al braccio sinistro.-Cos’ho?-

-Un’ustione- rispose il ragazzo.

-Ustione?- domandò Arissa, perplessa.-Grave? Mi brucia.-

-Abbastanza grave da lasciarti la cicatrice- rispose lui, posando una mano sul cappello per calarselo un po’ sugli occhi.

Arissa lo interruppe subito.-Cicatrice?-

Lui le sorrise amichevolemente, senza aggiungere nulla.

 -Tu chi sei?-

-Ma come, non te lo ricordi? Ci siamo già presentati prima!-

Prima? Prima quando? E prima di cosa?

-Qual è il tuo nome?- domandò Arissa, dubbiosa.

Il giovane alzò il pollice della mano come per dirle che andava tutto bene e le rispose:-Ace.-

Arissa lo guardò un pò, poi si girò a guardare il vetro della finestra che veniva colpito senza sosta dalla pioggia.-Dove siamo?-

-A dire il vero non lo so neanche io. Avevo bisogno di fermarmi all’isola più vicina che avrei trovato.- Disse Ace, ridendo.

-Non ricordo niente.- Affermò Arissa, passandosi una mano tra i capelli. Sentì che stranamente erano sudati e bagnati, e a dire il vero, anche il vestito che portava era bagnato. Addirittura puzzava di fumo!

-Non lo so neanche io cos’è successo quando sei entrata in quella casa in fiamme. Quando ti ho portata fuori eri priva di sensi.- Le riferì Ace.-... Ei, non guardarmi in quel modo.-

Arissa fece una smorfia.-Sono entrata in una casa in fiamme? E perché?-

-Ah, non chiederlo a me!- esclamò Ace, alzando gli occhi al soffitto.

-Per questo sono bruciata?- domandò Arissa, accennando alla fasciatura che le avvolgeva l’avambraccio.-E perché non ricordo niente?-

-Senti. Facciamo così: adesso riposati. Al resto ci penseremo dopo.- Propose Ace.-Una bella dormita è quello che ci vuole, dai retta a me...- Si alzò dalla sedia senza smettere di sorridere.

-Tu sai il mio nome.-

-Ci siamo presentati prima.-

-Prima quando?-

-Riposati- ordinò lui, ridendo.-Vedrai che dopo andrà meglio... Io intanto vado a fare uno spuntino...-

Arissa tentò di trattenerlo, ma prima che potesse inventarsi qualcosa da dire, Ace era già uscito dalla stanza, allegro. Lei rimase sul letto a pensare a quale avrebbe potuto essere il passo successivo per riuscire a ricordare qualcosa.

Decise che era ora di alzarsi dal letto e dare un’occhiata alla stanza.

Appoggiò i piedi a terra e si alzò lentamente. Il vestito di cotone bianco le scivolò sulle gambe, e lei lo guardò pigramente. Era sporco e anche bagnato.

Non seppe dire se la condizione pietosa in cui versava il proprio vestito fosse un segno buono o cattivo, ma tutto ciò che doveva fare era stare calma e pensare con lucidità. Forse avrebbe potuto ricordare qulcosa di quel passato che ora proprio non riusciva a capire.

S’inginocchiò e guardò sotto il letto.

Una tracolla verde scuro.

Allungò una mano e la afferrò rapidamente, la trascinò a sé e la aprì senza esitare. C’era qualcosa: una carta geografica arrotolata. Nient’altro.

La stese sul pavimento e la esaminò rapidamente. C’era un’isoletta cerchiata con un pennarello rosso: un puntino quasi invisibile su cui era stato scritto con una grafia chiara e precisa “Tharaa”.

Arissa fu contenta. Quella era la sua grafia, ne era sicura. Questo voleva dire che quell’isolotto poteva essere legato al suo passato, in qualche modo. Forse Ace le avrebbe saputo rispondere.

Tuttavia un altro problema era proprio Ace. Chi fosse, da dove arrivasse e da quanto tempo si conoscessero era un mistero, e ancor più lo era scoprire dove l’avesse portata.

La ragazza ripose la carta nella borsa e lancià quest’ultima sotto il letto. Ed ecco un’altra cosa di cui era certa: quella borsa le apparteneva.

Si alzò e si sgrullò il vestito dalla polvere, sebbene quello rimanesse infangato e bruciato.

La stanza era quadrata, dalle pareti tappezzate di carta da parati verde muschio. Nessun quadro, nessun ornamento: solo un comodino di legno su cui erano poggiate alcune bende e altre cianfrusaglie, il letto disfatto e la sedia su cui prima era stato seduto Ace. La finestra era piccola e quadrata, e la luce era davvero scarsa perché era solo quella delle due lanterne appese ai lati della porta.

Arissa avrebbe gradito specchiarsi, ma la cosa non sembrava essere possibile. Riusciva a vedere un accenno alla sua figura, attraverso il vetro della finestra. Soltanto la sagoma.

Uscì dalla stanza senza fare rumore.

Il corridoio esterno terminava alla sinistra di Arissa con un imponente armadio di ferro chiuso a chiave, mentre alla destra della ragazza le pareti correvano fino a terminare in una rampa di scale che portava al piano di sotto. Si susseguivano altre porte come quella che Arissa si era appena chiusa alle spalle, fino alla fine del corridoio.

La ragazza si spostò alla sua sinistra e guardò l’armadio, lo toccò, lo esaminò, provò a forzare la serratura, poi si mise le mani sui fianchi e sospirò. Rimase in ascolto: si sentivano delle voci provenire dal piano di sotto. Diede le spalle all’armadio e decise di raggiungere la fonte di quel parapiglia. Mano a mano che si avvicinava alle scale la baraonda aumentava di volume, fino a che Arissa potè distinguere delle voci in coro che cantavano, rumore di vetro e in più le note stonate di un pianoforte.

Si fermò quando arrivò in fondo alle scale.

È un’osteria...

La gente che cantava e brindava, annoverava per lo più pirati, alcuni più raccomandabili di altri, impegnati a perdere tempo con risate, barzellette di pessimo umorismo e liquori. I tavoli erano tutti disposti in modo confusionario, alcuni erano troppo affollati, altri completamente vuoti: uno in particolare era pieno di gente che mangiava, beveva e intanto tirava i dadi.

Le porte dell’osteria erano chiuse, ma un tipo mezzo ubriaco stava per essere accompagnato fuori da un giovane.

Arissa si guardò intorno, intimorita. Si scansò immediatamente non appena un pirata le passò accanto per salire al piano di sopra. Le rivolse uno sguardo che lei si accurò di evitare, poi sparì per le scale.

-Ah! La ragazza si è svegliata!- esclamò una voce rauca.

Il braccio di un uomo sulla trentina alto e smilzo, calvo, e dall’aria abbastanza languida, le circondò le spalle.-Come va il braccio?-

Lei si liberò immediatamente della presa e si allontanò di almeno un paio di metri da lui, poi rimase a squadrarlo con aria diffidente.-Chi sei?-

-Sono il dottor Hakabane!- esclamò lui, indicandosi.-Bel modo di ringraziare qualcuno che ti ha salvato la vita!-

-Io non so chi sei- replicò Arissa, in tono asciutto.-Dov’è Ace?-

Il medico sospirò e indicò il bancone.-Laggiù. Potresti esprimere un po’ più di gratitudine, però...-

Arissa scosse la testa freneticamente e si allontanò a passo svelto, cercando di non urtare nessuno dei pirati, né di dare fastidio ad alcuno che avrebbe potuto procurarle guai. Arrivò al bancone inciampando sugli sgabelli che una donna ingombrante e goffa le aveva rovesciato addosso, e si sedette accanto a Ace.

-Ace...-

Lui se ne stava con la testa appoggiata sul bancone, davanti a una decina di piatti vuoti.

-Ace!- esclamò Arissa, battendogli la mano sulla spalla.

-Guarda che è inutile- intervenne il medico, che intanto l’aveva raggiunta.-Quel tipo soffre di narcolessia, non si sveglia neanche con le cannonate-

Arissa gli lanciò un’occhiata sospettosa e continuò a scuotere Ace per la spalla.-Svegliati! Ho bisogno del tuo aiuto!-

-Senti ragazzina, perché non andiamo di sopra e mi fai vedere la ferita?- domandò il medico, insistente, mentre allungava una mano per afferrarle il polso.

-Lasciami stare- rispose Arissa, nervosa.-Non ti conosco.-

-Ma potremmo conoscerci meglio-

-No!- esclamò lei, sostenuta.-Devo svegliare Ace.-

In quel momento, Ace si tirò su e sbadigliò sonoramente. Sembrava ancora nel mondo dei sogni, ma per lo meno era sveglio.

-Ace!- esclamò Arissa, sollevata.

Lui si guardò intorno, individuò l’uomo alle spalle di Arissa, poi sbadigliò di nuovo e commentò:-Alla fine non mi ha dato retta.-

-Non avevo voglia di riposare- rispose Arissa.-Chi è quest’uomo?- domandò, indicando il medico che sorrideva sfregandosi le mani.

-Ah, quello è il tuo medico- fece Ace, sorridendo.-Avevo una fame...-

-Non ho bisogno di un medico- replicò Arissa, alzandosi dallo sgabello per nascondersi dietro a Ace.

-Che ti prende?- domandò il giovane, voltandosi verso di lei.

-Non mi fido di quel tizio!- esclamò Arissa.

Il medico sospirò.-Ma io non volevo fare niente di male...-

-Ace, andiamo via...-

-Dobbiamo proprio? Io ho ancora fame!- protestò Ace.-E poi non posso mica scarrozzarti a destra e a sinistra... Non sono una nave da crociera...-

Lei lo ignorò.-Vado a prendere la mia borsa e andiamo!-

 

(...)

 

-Insomma non mi stavi prendendo in giro quando dicevi di non ricordare nulla.- Disse Ace, mentre uscivano dall’osteria.

Arissa si sistemò la borsa a tracolla.-Ovvio. Non ricordo niente. Mi chiedevo se potevi darmi una mano a ricordare qualcosa...-

-Non credo di poter fare molto- disse Ace,-Io sono arrivato sulla tua isola tre giorni prima che ci incontrassero. Mi sono fermato un po’ all’osteria, ho fatto un paio di ricerche e poi ho deciso che dovevo andarmene. Soprattutto perché avevo notato che c’era qualcosa che non andava.-

Lei lo fissò.-Del tipo?-

-C’era molta gente malata, in giro.- Rispose Ace, stringendo i pugni.-Stavo per andarmene, quando una ragazzina è venuta a cercarmi. Non ricordo il suo nome, ma ha detto che una sua amica, cioè tu, era scomparsa nel bosco qualche giorno prima.-

-Sei venuto a cercarmi?-

-E fortuna che l’ho fatto. Altrimenti non ti avrei trovata stesa dentro una specie di grotta in riva al mare. C’era un mostro a fare la guardia all’entrata, ma l’ho sconfitto subito!- esclamò con orgoglio.-Poi sono venuto da te.-

Arissa chiuse gli occhi. Il mostro. Il frutto. Il libro.

-Il libro!- esclamò improvvisamente.-Non hai trovato nessun libro?-

-No. Solo quella borsa-

-Certo, il libro era nella borsa- disse Arissa. Corse a frugare nella tracolla,  ma c’era soltanto la carta geografica che le aveva dato Shanks.

Improvvisamente le accorsero alla mente vaghi ricordi ammassati alla rinfusa, piccoli scorci del passato che aveva appena vissuto. Suo padre e la sua diperata ricerca di una cura per la malattia, la partenza per cercare il frutto Tam-Tam, che aveva trovato in una grotta in riva al mare. Ricordò un mostro che l’aveva attaccata e morsa, poi la malattia che era sopraggiunta.

Si fermò e si guardò le mani.

Fisicamente non sembrava esserci stato alcun cambiamento. Forse il frutto Tam-Tam non era poi così efficace. Era soltanto un bel frutto rotondo di colore rosso cremisi che le era sembrata l’unica fonte di salvezza.

-Ti sei imbambolata per caso?- gridò Ace. Era già lontano, e lei gli corse dietro immediatamente.

-Adesso mi ricordo quasi tutto. Almeno tutto quello che c’è stato prima del mio risveglio...-

-Dopo siamo tornati al villaggio- raccontò Ace, in tono meno spensierato rispetto a poco prima.-Alcuni avevano appiccato il fuoco ad una casa, e tu sei entrata immediatamente.-

Arissa si portò una mano dietro il collo.-Ho come l’impressione che qualcuno mi abbia stordita.-  Emise un gemito.-Non riuscirò a ricordare niente se non do un’occhiata a quella casa... Avrebbe potuto essere casa mia, o casa di Cammy! Cammy era con te quando sono entrata nella casa in fiamme?- domandò preoccupata.

Ace sorrise e scosse la testa.

 

(...)

 

-Riesci a camminare?- chiede Cammy, con voce flebile, togliendo dal sentiero boscoso i rami e le foglie che erano stati rotti dalla recente tempesta.

Arissa fa una smorfia e alza gli occhi al cielo coperto da nuvole nere. Le fronde degli alberi si muovono, scosse dalla tramontana, mentre gli uccelli scappano e trovano rifugio nei posti più sicuri che può offrire il bosco.

-Sì- risponde Arissa dopo aver valutato la situazione.-Dobbiamo sbrigarci- aggiunge.

Ace la segue e si guarda intorno.-Conoscete la strada?-

-Abitiamo qui da sempre- afferma Cammy, arrossendo.-Conosciamo l’isola a memoria!-

Arissa mette a tacere tutti con un gesto rapido della mano, e a grandi falcate si mette a capo del gruppo, procedendo svelta e sicura per il sentiero. Dietro, Ace avverte l’atmosfera farsi pesante.

Arrivano così al limitare del bosco, e Arissa indica le case del villaggio.

C’è qualcosa che non va. In lontananza si vede del fumo che sale verso il cielo e viene spazzato via dal vento, senza contare le urla e gli schiamazzi che provengono dalle strade. Alcune ombre scure vengono proiettate sul muro di una casa. Sono ombre alte di uomini che in mano tengono qualcosa di fino e allungato, che termina in un forcone appuntito.

Le due ombre rimangono fisse nello stesso punto per un po’, poi si rimpiccioliscono sempre di più e scompaiono, e al loro posto spuntano i loro proprietari che corrono verso una direzione precisa.

Arissa vede i due uomini e capisce. Lancia uno sguardo a Cammy e li segue a capofitto senza dare spiegazioni.

Nella sua borsa sente rimbalzare il diario e la mappa. Corre a perdifiato per le strade, urtando la gente che corre con dei secchi d’acqua in mano. La sua mente è poco lucida, sa solo che deve arrivare in minor tempo possibile alla fonte di quel fumo. Il villaggio è piccolo, non avrebbe dovuto metterci molto tempo. Sente Ace e Cammy la stanno seguendo, intimandole di fermarsi.

Arrivata vanti una casa in fiamme, Arissa si guarda intorno: la gente che è sotto la finestra grida e alza pale e picconi al vento.

Poi il ricordo diventa più confuso, fino a svanire in una nube bianchiccia.

 

 

 

Note dell’autrice:

 

Mi scuso per l’enorme ritardo, ma non ho avuto neanche un briciolo di tempo ç_ç… Tantopiù che ho dovuto modificare l’intreccio della storia *_*… Spero di continuare durante le vacanze di natale *guarda il cielo speranzosa*. Per adesso non posso rispondere alle recensioni, ma nel prossimo capitolo tenterò di farlo... Intanto ringrazio i preferiti: milla96, the one winged angel, tre88, yunix07

E i seguiti: ayumi_L, Elly11, Killy, kirej, Miki michaelis, Sofi_Chan,  tre88, yunix07

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