--- Parte Prima: Il Villaggio Di Taraah ---
Prologo
Un Villaggio Prigioniero
Della Foresta
Il
buio polveroso di quello scantinato fu attraversato da un frastuono di vetri
infranti, poi da un tonfo sordo e da un susseguirsi di voci.
-Cammy...
Che cavolo stai combinando?!- esclamò una ragazza.
Ci
fu un fruscio. Una della persone calpestò i vetri facendoli scricchiolare, poi,
finalmente, si udì un leggero scatto e una luce gialla, proveniente da una
plafoniera coperta di polvere, si diffuse timidamente nella stanza. Pareti
costruite con grossi mattoni di pietra vennero illuminati pallidamente.
La
luce calda illuminò pian piano tutto lo scantinato, rivelando una libreria in cui
erano incastrati una moltitudine di volumi pesanti, rilegati in pelle con
titoli indecifrabili, alcuni ritratti di paesaggi campagnoli appesi alle pareti
e un tavolino rettangolare al centro della sala. Era piccolo, di legno d’acero,
accompagnato da una seggiola scricchiolante dello stesso materiale già divorata
dalle termiti. Era proprio accanto a questa sedia solitaria che stava in piedi
una ragazzina smilza, dai corti capelli biondi, legati in due codini ai lati
della nuca. Sembrava terrorizzata, e guardava a terra l’inchiostro versatosi
quando aveva dato una gomitata alla boccetta che lo conteneva.
-Arissa...
Mi dispiace...- lo disse quasi piangendo. I suoi occhi blu erano già lucidi.
La
ragazza che aveva acceso la luce si fiondò verso di lei e le prese il volto tra
le mani affusolate.-Non piangere, non è nulla di grave... Guardami Cammy. Non è
nulla di grave.- Ripetè, più a sé stessa che alla compagna.
Arissa
Saguraku era una ragazza molto bella, a suo modo. Che fossero i tratti gentili
e la grazia che aveva nei movimenti a donargli quella bellezza o la sua infinta
disponibilità, lei era bella. Aveva lunghi capelli corvini, che teneva sempre
sciolti sulle spalle. La frangia spostata verso destra faceva da sipario ad un
viso ovale, su cui erano disposti due occhi neri, grandi e allungati sopra cui
si trovavano due sopracciglia nere e allungate, un naso elegante e labbra
sottili. Teneva ancora in mano il viso dell’amica e la guardava incoraggiante.
-Mi
spiace Arissa... Giuro che non volevo.-
-Lo
so, lo so. Adesso vediamo di andarcene da qui, va bene? Se mia madre mi becca,
mi fa pulire la casa da cima a fondo...- disse frettolosamente la giovane mora,
mentre afferrava un libro nero sul tavolino e lo infilava nella sacca che teneva
a tracolla.-Andiamo Cammy... O ci cacceremo nei guai.-
Cammy
tirò su con il naso e annuì, poi si diressero verso la porticina di legno da
cui erano entrate, Arissa spense la luce e dopo essere uscita insieme a Cammy
si chiuse la porta alle spalle. Tirò un sospiro.-Quando mio padre tornerà si
accorgerà di quel macello...-
Quell’affermazione
fece sussultare Cammy.-Avevi detto che non era importante! Lo sapevo! Ti ho
messa nei guai!-
Arissa
le sorrise.-Ma no, che stai dicendo...?- percorsero uno stretto corridoio buio,
fino ad arrivare ad una rampa ripida di scalette di pietra. Già si intravedeva
la luce del sole, sarebbe bastato salire i piccoli gradini grigi e finalmente
sarebbero uscite da quell’antro buio e polveroso.
La
giovane moretta mise un piede sul primo gradino e si fermò.-Dopotutto sono io
che devo scusarmi con te!- allungò una mano verso la guancia bagnata di Cammy. -Se
non ti avessi trascinata fin qui a prendere questo libro, non avremmo corso
nessun rischio, no?- fece con affetto.
Cammy
la guardò spaesata.-Ma non è colpa tua-
-Neanche
tua. Quindi se vogliamo stare qui a giocarcela a morra cinese, facciamo pure...
altrimenti usciamo e nascondiamo il libro- rise Arissa.
-Hai
ragione.- Finalmente Cammy sorrise.
Quella
ragazzina dagli occhi blu era la migliore amica di Arissa. Non solo perché
erano vicine di casa, ma anche perché Arissa sapeva che Cammy in casa subiva
vari maltrattamenti e deisderava davvero aiutarla. Suo padre era una persona
abbastanza violenta, ed era conosciuto e allontanato da molta gente.
Il
villaggio di Taraah era una piccola chiazza di terra su un’isola ricorperta
maggiormente da alberi. Il settanta percento di quell’isolotto sperduto nel
mare era ricoperto dalla foresta, e il villaggio sorgeva nell’unico punto libero
dagli alberi, al centro di tutto. Erano poche case, un paio di vie e molti
campi. La popolazione non aveva contatti con l’esterno da un paio di
generazioni ormai, e viveva grazie ai frutti della terra, escogitando sempre
nuovi meccanismi di coltivazione.
Il
paesello si sviluppava maggiormente ai lati della via principale, dove si
trovavano i negozi e l’emporio del medico Eichiro Saguraku, il padre di Arissa.
Per quanto paradossale, quell’uomo era l’unico medico del villaggio, aveva un
solo aiutante (anche piuttosto imbranato), e aveva una passione smoderata per
la botanica. La sua casa, un villino bianco a due piani, era stata costruita in
periferia, e attorno possedevano un giardino dove Eichiro amava creare nuovi
tipi di piante incrociandone altre.
Alla
destra di casa Saguraku si trovava la casa della famiglia di Cammy. Mentre la
prima era una villa lucida e splendente, anche grazie al severo rigore della
signora Kaguya in fatto di pulizie, la seconda era una sporca e malmessa. La
madre di Cammy era morta tempo prima, in circostanze misteriose. Nel villaggio
non esistevano investigatori, figuriamoci polizia o roba del genere, così
nessuno aveva potuto far luce sul mistero.
Cammy
era stata sola per molto tempo, poi Arissa aveva deciso di vincere la timidezza
e presentarsi per fare amicizia. Per quanto triste, Cammy amava stare in
compagnia.
Quella
mattina, Arissa aveva terminato di leggere l’ultimo volume sulle erbe velenose
che aveva preso dallo scantinato di suo padre, così l’aveva convinta a
prenderne un altro. Ed ecco com’erano finte lì sotto.
Le
due ragazze misero la testa fuori da una botola. Il sole era alto, doveva
essere minimo mezzo giorno.
-Cavolo-
sbottò Arissa.-Dobbiamo sbrigarci.-
Lo
scantinato si trovava sotto la casa di Arissa, ma era accessibile solo da una
botola sul retro. La giovane aveva dovuto sperare che la madre fosse abbastanza
impegnata, da non vederla uscire dalla finestra della propria camera al primo
piano, altrimenti sarebbero stati guai grossi.
Kaguya
Saguraku era una donna che amava fare la madre, ma in modo tutto suo. Era il
classico tipo severo, andava sempre vestita con un abito bordeaux in stile
antico, pieno di pizzi e fronzoli, e si divertiva a girare per la casa passando
il dito su ogni mobile. Quella mattina aveva detto che sarebbe stata impegnata
nella pulizia del camino, cosa che avrebbe richiesto più tempo rispetto al
solito.
Arissa
riuscì a salutare Cammy e a rientrare in camera sua. Nascose il libro sotto il
letto, alzando un lembo della trapunta
bianca che lo ricopriva. Poi aprì le ante dell’armadio di legno e ci
gettò dentro la sacca. Richiuse tutto e si appoggiò con le spalle
all’armadio. Dovette prendere dei
profondi respiri, poi si riassestò l’abito di lino bianco, colpendolo per
liberarlo dalla polvere, strinse la creativa cintura di cordoncini rossi che
aveva legato alla vita, e si preparò a sorridere.
La
passione segreta per le erbe medicinali, i veleni, gli antidoti e varie, era
una cosa che la madre non doveva assolutamente sapere. Kaguya la voleva pronta
per diventare una moglie dedita e una madre di famiglia impeccabile,
esattamente come riteneva essere lei. Per Arissa, che aveva soltanto diciannove
anni, questa imposizione suonava come una condanna a morte. Lei voleva essere
libera di studiare quello che le piaceva e diventare un giorno ciò che avrebbe
voluto essere. Era presto per pensare al matrimonio. Non si era mai neanche
innamorata, perché il pensiero comune del villaggio era lo stesso di sua madre
e lei non voleva vivere una vita di recusione.
Da
piccola si era sempre chiesta se avesse qualcosa che non andava, poi erano
arrivati degli uomini dall’esterno. Erano uomini della marina, avevano detto.
Cercavano un bambino che secondo loro sarebbe dovuto essere il figlio di un
famoso pirata, Gol D. Roger. Erano venuti per due anni di seguito, poi avevano
fatto controlli regolari negli anni seguire, anche se questi erano sempre meno
frequenti.
Erano
uomini che solcavano i mari, aveva pensato Arissa, quando li aveva visti il
giorno del suo sesto compleanno. Aveva seguito di nascosto uno di loro che si
era perso per la foresta, quella foresta che lei ormai conosceva a menadito.
L’uomo aveva cercato di mangiare delle bacche, ma Arissa glielo aveva impedito
perché sapeva che erano velenose.
Fu
allora che la sua passione crebbe, perché capì di non essere pazza.
-Fortuna
che c’eri tu, piccoletta!- le aveva detto l’uomo, assestandole una pacca sulla
testa.
Era
cresciuta in segreto, ma era una passione che Arissa non avrebbe mai
abbandonato. Un giorno, si era promessa, rivelerò tutto a mia madre.
Si
affacciò in corridoio. Sua madre lo stava attraversando proprio in quel momento,
con le spalle dritte. Quando le passò davanti le fece cenno di seguirla in
tinello, dove la tavola era già apparecchiata per il pranzo. La tovaglia di
pizzo pendeva per tutti e quattro i lati della tavola squadrata, e sopra
tovaglioli, piatti e posate erano disposti in maniera impeccabile.
Arissa
notò che mancavano solo i bicchieri.
-Vai
a prenderli- disse la madre, mentre si riassestava i capelli ingrigiti.
La
giovane tornò poco dopo con tre bicchieri in mano, che dispose davanti ai
piatti sotto lo sguardo inquietante della madre.
-Bene-
sentenziò Kaguya, mentre si accertava che intorno fosse tutto perfetto.
-Cosa
c’è per pranzo?- chiese Arissa, mentre si soffermava davanti al suo posto a
tavola con lo stomaco che protestava.
Kaguya
le lanciò uno sguardo per accertarsi che anche fosse in ordine, poi
rispose:-Pasta, condita con sugo al ragù.-
Arissa
sorrise.-Comincio ad avere fame...-
-Prenditela
con tuo padre. È lui che è in ritardo.- Disse Kaguya, in tono severo.
-Vuoi
che vada a cercarlo in negozio?- domandò Arissa, continuando a sorridere.
Kaguya
scosse la testa.-No. Lo aspettiamo. Forse ha avuto molto lavoro oggi. Ho
sentito che il figlio del vecchio Kakuri sta male. Ha la febbre altissima da
molti giorni e non può muoversi dal letto.-
-Mi
dispiace per lui- disse Arissa, senza troppa sincerità. In realtà, quel ragazzo
non le era mai stato simpatico: l’aveva sempre presa in giro per qualsiasi
cosa, e così facendo non si era certamente guadagnato la sua amicizia.
Le
due rimasero qualche minuto in silenzio, poi Kaguya assottigliò lo sguardo e
fissò torvamente la figlia.-Arissa... Sei andata da qualche parte stamattina?-
Arissa
ebbe quasi un sussulto, ma riuscì a trattenersi appena in tempo e a rispondere:-Ma
certo che no, mamma. Sono stata nella mia stanza.-
-Ti
ho già detto che lo scantinato di tuo padre è tabù per te, vero?- domandò
ancora Kaguya, sicura di aver colto nel segno.
-Certo...-
mormorò Arissa, abbassando la testa.-Lo so.-
Kaguya
sorrise.-Fortunatamente ho una figlia responsabile e giudiziosa.-
Arissa
avrebbe sbuffato se avesse potuto. Avrebbe anche gridato alla madre che niente
di tutto quello che le faceva fare le piaceva, e che non era né responsabile,
né giudiziosa. Anzi, era una vera e propria calamita per i guai, sia che li
andasse a capare, sia che fossero loro a stanarla. E se non si fosse vergognata
così tanto a pensare una cosa del genere, le avrebbe detto che sarebbe anche potuta
salpare con la prossima nave della marina.
Erano
tutti pensieri che le frullavano per la testa, ma che si spegnevano non appena le
tornava il buon umore e si accorgeva quanto bene volesse ai suoi genitori.
Dopotutto, erano pur sempre sua madre e suo padre.
(...)
Le
abitudini di Eichiro avevano portato Kaguya a fissare l’ora del pranzo per le
una precise. Nessuno dei due coniugi aveva mai infranto la regola per più di
vent’anni di matrimonio, mentre quel giorno sembrava proprio che il buon padre
di famiglia avesse avuto voglia di prendersi un’oretta di ritardo.
Arissa
aveva cominciato a preoccuparsi.-Non sarà meglio che lo vada a cercare?-
insitè.
-No.
Stai lì e zitta. Un uomo va atteso con un pasto caldo in mano, non si va a
cercare. E poi tuo padre è un tipo molto responsabile.-
Arissa
sbuffò. Ancora quella parola!
-Mamma,
è un’ora di ritardo! Un’ora! Insomma... Altro che pasto caldo!- protestò.-Non
vorrei che gli fosse successo qualcosa!-
-Eichiro
ha un valido aiutante, se gli fosse successo qualcosa lo sapremmo di sicuro!-
ribattè Kaguya, cocciuta.
-Non
ne sarei così sicura- replicò Arissa, puntando i piedi.
-Ti
ho detto di no!- tagliò corto la madre.-Quando sarai sposata capirai che gli
uomini hanno i loro tempi, e che i loro tempi vanno rispettati. Non si vanno a
cercare.-
-Mamma...-
sbuffò Arissa.-Possibile che tu non sia minimamente preoccupata da andare a
fare un salto da lui?-
Nessuna
risposta.
Passarono
ben tre ore, ed Eichiro non si era fatto ancora vivo. Il pranzo ormai era
andato a farsi benedire, e piuttosto che mangiare senza il marito, Kaguya aveva
preferito rovinarlo.
Arissa
non sapeva più cosa pensare. Suo padre era un abitudinario. Tornava a casa dal
lavoro, mangiava, si metteva in giardino a fare un paio di esperimenti, poi se
ne andava a lavorare di nuovo, tornava a cena, mangiava e andava a dormire. Sempre
così, ogni giorno per tutti i cinquant’anni della sua vita.
La
giovane era passata da in piedi al divano, dal divano alla poltrona, dalla
poltrona ad ammirare un quadro che non aveva mai notato essere così bello;
infine si era seduta a tavola, con i gomiti appoggiati sulla tovaglia e l’aria
annoiata.
Kaguya
era rimasta in piedi come una statua per tutto il tempo. Ogni tanto, aveva
notato Arissa, il suo labbro inferiore aveva avuto dei leggeri tic, forse
dovuti all’ansia dell’attesa. Eppure non aveva mai smesso di essere
impeccabile. Anche lei, in cinquant’anni non aveva fatto altro che riverire il
marito. Un po’ come tutte le donne del villaggio, comunque. Forse un tempo non
era così, pensò Arissa ad un certo punto, forse alla sua età diventerò così anche
io.
Eichiro
tornò verso le sette, aprì la porta con un giro di chiave e apparve alla soglia
con il camice da medico tutto stropicciato. Il volto paffuto era sudato e tutto
rosso, in particolare le guance, inoltre sembrava avere un’aria molto stanca che
aveva aumentato le rughe sotto gli occhi e in mezzo alle folte sopracciglia
nere.
Kaguya
gli saltò praticamente addosso, gli prese il camice, lo ripose con cura
sull’appendiabiti, poi lo scortò fino in tinello e lo fece sede a capotavola,
curandosi di spostare la sedia per farlo sedere.
Finalmente
fu servito il pranzo, anche se in qualità di cena.
Arissa
cercò di mantere un contegno mentre mangiava, anche se avrebbe desiderato
trangugiare tutto in pochi secondi. Colpa di mamma se mi sento un percello, le venne
da pensare.
Nessuno
parlò durante la cena. Kaguya non si azzardò a fare domande, quando tutti
ebbero terminato di mangiare sparecchiò e si rinchiuse in cucina per lavare i
piatti.
Arissa
rimase a guardare suo padre che si lasciava andare sulla sedia, con una mano
sul pancione.-Che mangiata- commentò.
-Papà...
Perché sei tornato così tardi?- domandò Arissa.
Il
volto del padre sembrò illuminarsi di gioia quando glielo chiese.
-Io
e la mamma eravamo preoccupate.-
Eichiro
lanciò un’occhiata dubitosa in direzione della cucina.-Perché non è venuta a
cercarmi?-
Arissa
lasciò perdere tutto quello strano discorso sui tempi degli uomini che le aveva
fatto la madre e si limitò a scrollare le spalle.
-Certo,
cosa ne puoi sapere tu di cosa succede nella testolina di tua madre?- domandò
Eichiro, con una nota di disappunto.-Comunque, sono tornato tardi perché ho
dovuto curare un uomo. Era ferito gravemente.-
-Quanto
gravemente?-
-Molto-
sussurrò Eichiro.-Io... Ho fatto tutto il possibile per salvarlo.-
-Era
il figlio del signor Kakuri?- domandò Arissa, con un groppo in gola.
Eichiro
iniziò a tamburellare le dita sulla sua pancia, assorto nei suoi pensieri.-No,
tesoro mio. Non era il figlio del signor Kakuri.-
Arissa
lo fissò con sguardo interrogativo.
-Era
un mozzo di una nave- spiegò Eichiro, a tratti.
-Una
nave della marina?-
-No.
Una nave pirata.-
Arissa
sgranò gli occhi.-Una... Nave pirata? Ha attraccato qui?-
Il
padre annuì gravemente.-Il capitano della nave ha assicurato che non ha
intenzione di depredare il villaggio, né di farci del male. Ha chiesto un posto
dove seppellire il mozzo e un posto dove riposare mentre riparano la nave.
Nient’altro.-
Arissa
lo guardò con interesse e paura insieme.-Dei pirati al villaggio? Pirati veri?-
-Sono
tornato così tardi perché mi hanno portato alla loro nave, ma per quel ragazzo non
c’era nulla da fare. Io... Mi sono sentito impotente.-
-Non
dire così...- mormorò Arissa, dispiaciuta.
-Sai
tesoro... Speravo davvero che stavolta tua madre sarebbe venuta a cercarmi.-
Ammise Eichiro, deviando lo sguardo da Arissa a un punto indefinito del
tinello.-Ma mi sbagliavo.- Concluse, mentre si alzava con uno sforzo enorme.
Sembrava invecchiato di cent’anni.
-Mi
spiace papà... Sarei venuta a cercarti io- fece Arissa per consolarlo.
-No.
Con quei pirati in giro non c’è da fidarsi. Meglio se non vai troppo a spasso
nei prossimi giorni. Almeno finchè non se ne saranno andati.-
-Non
preoccuparti...- si sbrigò a dire Arissa, mentre arrossiva violentemente.
Eichiro
la guardò con orgoglio.-Una bella bambina come te non deve avvicinarsi a quella
gentaglia!-
-Oh,
papà...- ridacchiò Arissa.
Eichiro
le andò vicino e le schioccò un bacio sulla guancia.-Fortuna che ci sei tu,
angelo mio.-
Arissa
sorrise. Voleva bene a sua madre, ma sentiva che se suo padre se ne fosse
andato, si sarebbe portato via una parte della sua vita.-Papà... tu rimarrai
con me... Vero?-
-Io
vivo per te, angelo.-
Mamma
non mi rivolge la parola, pensò Arissa con angoscia, se tu vai via, io con chi
rimarrò?
-E
mi raccomando. Rimetti a posto il libro che hai preso- ridacchiò Eichiro.
Arissa
arrossì.-L’hai già scoperto?!-
-Ovvio-
rispose il padre.
-Ma
come fai?!-
-Segreto!-
-Papà!!!-
esclamò Arissa, rossa come un pomodoro.
Dopotutto,
la vita a Taraah non era male. A parte una madre despota, Arissa aveva tutto
ciò che una ragazza poteva desiderare: una casa, una famiglia e un padre da
amare. Aveva una migliore amica e un guardaroba pieno di vestiti color
pastello. La vita le sorrideva, e Arissa ricambiava ammiccandole.
Non
si stava male.
Era
un villaggio circondato dalla foresta, Taraah. Ma ora erano arrivati i pirati!
Chissà che tipo di gente era. Che fossero davvero cattivi come sosteneva Eichiro?
Kaguya diceva addirittura che portavano malattie da oltreoceano. Ma qual era la
verità?
(...)
La
camera era illuminata da un candelotto tremolante, che bastava a far luce
soltanto su un letto su cui era poggiato un ventenne dall’aria stravolta dalla
fatica e dalla malattia. I capelli ricci erano sudati e bagnati dalla pezza
impregna d’acqua che gli avevano poggiato sulla fronte.
Erano
le una di notte, e il cielo stellato e sereno che si intravedeva fuori dalla
finestra faceva a botte con l’atmosfera pesante che regnava nella stanza.
Eichiro
era stato svegliato di soprassalto dal bussare frenetico alla porta di casa,
era sceso dal letto ed era andato ad aprire al signor Kakuri, che gli aveva
detto c he le condizioni del figlio erano peggiorate.
Il
dottore non aveva esitato, era uscito con le ciabatte e il pigiama ancora
addosso, dopo aver afferrato la sua valigetta contenenti gli attrezzi medici.
Ora
Eichiro era lì, con la mano che si
muoveva sul petto gracile del ragazzo, nel tentativo di capire cosa stesse
succedendo al suo interno. Sebbene le tecniche arrestrate, la mancanza di
strumentazione e le poche conoscenze delle nuove malattie che invece circolavano
liberamente per il mondo in evoluzione, non si erano mai avuti grossi problemi,
forse proprio grazie alla reclusione in cui viveva il villaggio. Invece il caso
di Kakuri sembrava andare al di là dell’ignoto, per Eichiro, tanto che arrivò a
dubitare se vivere senza contatti esterni fosse davvero la cosa migliore per il
villaggio.
-La
febbre è salita- sentenziò Eichiro, che si sentiva impotente per la seconda volta
in meno di due giorni.-Sembra che i polmoni funzionino correttamente... Sembra
tutto a posto... A parte quest’anomala febbre...- esaminò meglio il ragazzo.
Il
signor Kakuri tremava alle sue spalle.-Eppure era stabile fino a qualche ora
fa...-
-Sembra
una malattia misteriosa...- disse Eichiro, preoccupato.-A questo punto mi
chiedo se io l’abbia sottovalutata...-
-Cosa
intende dire signor Saguraku?- domandò il signor Kakuri, sempre più spaventato.
-Potrebbe
anche essere una malattia infettiva.- Sentenziò Eichiro.
-I-
Infettiva?- balbettò Kakuri, terrorizzato.-Intende dire che ci ammaleremo anche
noi?-
Eichiro
non rispose, tirò via la coperta dal ragazzo e continuò ad esaminarne il
corpo.-Tuttavia, cosa avrebbe potuto portarla? La marina è quasi un anno che
non si fa sentire, e non ci sono state incursioni estranee da parte di esterni,
a parte questa mattina.-
-Mio
figlio è ammalato da un mese.-
-Appunto.
Possibile che ancora non sia passato?-domandò il dottore, più a sé stesso che
al padre del ragazzo. I suoi occhi grandi e attenti si spostavano sulle gambe
del giovane, poi improvvisamente Eichiro
tirò fuori una lente d’ingrandimento dalla sua borsa e la portò vicino al
malleolo del piede. Osservò lo stesso punto svariati istanti.-Un morso-
sentenziò.
Kakuri
si fece avanti.-Un morso... Di che cosa?-
-Non
ne ho idea...- rispose il dottore, confuso.-Non ho mai visto niente del
genere... nessun veleno che io conosca entra in circolo e uccide una persona in
un mese. Devo concludere quindi...- guardò ancora i quattro, bizzarri, buchi
che il giovane aveva sul piede,- che l’animale che lo ha morso abbia potuto
trasmettergli la malattia.-
-Ma
questo vuol dire che potrebbe davvero essere contagiosa!- esclamò Kakuri.
Il
dottore ricoprì il ragazzo, preoccupato.-Non è il caso di essere così
affrettati. Potrebbe anche essere soltanto un caso isolato. Io e lei siamo
stati in contatto con suo figlio per quaranta giorni e non ci è successo
niente. Aspettiamo a tirare le conclusioni. Intanto... meglio che prenda un po’
del suo sangue, così potrò esaminarlo.- Il problema era come. Erano trent’anni
che Eichiro faceva finta di esaminare il sangue. Tutti credevano che fosse in
grado di farlo, ma non era la verità. Non aveva né un laboratorio attrezzato
per lo scopo, né le condizioni sanitarie per poterlo fare.
-Mio
figlio starà bene?- si azzardò a chiedere Kakuri.
Eichiro
si costrinse a sorridere.-In meno di un battito di ciglia.-
Kakuri
sorrise, sollevato, andò a sedersi accanto al figlio malato e gli prese una
mano con cura.
-La
febbre starà reagendo alla malattia- disse Eichiro.-Probabilmente domani
mattina sarà già in grado di alzarsi.-
A
Eichiro quella notte non rimase altro che pregare.
Angolino
dell’autrice:
Salve!!!
Innanzitutto, vorrei fare un saluto a tutti quelli di questa sezione. Io non vi
conosco e voi non conoscete me XD, ma è normale. È la prima volta in assoluto
che metto piede qui dentro, e lo faccio pubblicando (mossa azzardata, direte
voi) XD. Dovete sapere che ho un laboratorio segreto dove mi rinchiudo per evitare
le orde di lettori infuriati (e hanno ragione XD) e dove tengo legato e
imbavagliato Sephiroth (Final Fantasy VII, non so se avete presente XD) U.u
Comunque,
intanto mi presento io, e lo faccio proponendovi questa fan fiction. Non so
quanti capitoli saranno, per ora ho scritto solo la trama. Per quanto riguarda
gli spoiler, dovete sapere che ci saranno solo nell’ultima fase della storia, perché
coincide con alcuni volumi di One Piece. Non preoccupatevi, metterò gli
avvertimenti nei capitoli precendenti. La storia è inventata di sana pianta,
perciò dovrò fare il solito edit: rendiamo onore al grande Oda! Tutti i personaggi
appartenenti al Manga sono suoi, mentre quelli originali sono di mia
invenzione. Eh già... a questo punto vi chiederete “ma non ha nient’altro di
meglio da fare?” e la mia risposta è “NO!” Xd. Insomma, credo di aver finito
gli avvisi... e le presentazioni.
Spero
di conoscere sia gli scrittori che i lettori di questa sezione, pubblicando e
recensendo io stessa.
Inoltre,
vorrei invitarvi ad esprimere un parere: se la storia non vi piace ditemi “fa
schifoooo” (includendo anche il motivo ovviamente, altrimenti non è
costruttivo), mentre se vi interessa scrivete “mi interessaaaaa”. XD Vorrei che
lo faceste per rispetto di chi scrive, non per altro. Scrivere
costa fatica. E non vale solo per me ovviamente O.o, parlo a nome di
tanti altri autori.
Che
altro...? Ah, beh... scrivo questa fict per due motivi. Uno è per prendermi una
pausa dalla mia ultima fict prima della prossima pubblicazione, mentre l’altro
non posso ancora dirlo XD
Special
Thanks:
Vorrei dedicare la fan fiction a delle persone che mi sono molto care U.u
La mia migliore
amica Ayumi_L, con cui passo delle
splendide giornate e che mi consola ogni volta che sono disperata, come negli
ultimi giorni*occhiolino*.
La carissima YunixChan, di cui non ricordo mai come
si scrive il nickname XD. La ringrazio per tutto l’aiuto che mi dà e per le
mega chiacchierate su msn!!! XD
La mia Faxy, per il video che mi ha dedicato e
per tutte le storie fantastiche che scrive. Sono veramente felice di averti
conosciuta ^^
Beh, io vado! E
non scordate il mio nome XD (dieci minuti dopo: Chi era? Ah, non ricordo.)
A domenica
prossima con il primo chappy.
So che questo
prologo è un po’ noioso, ma del resto serve a conoscere le abitudini, le caratteristiche
del villaggio e i nuovi personaggi.
Ma quanto
chiacchiero °_°
Tico_Sarah