The Lost Years Of Lily

di LadyMorgan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa Importante ***
Capitolo 2: *** Capitolo I - Figlia Inglese e Figlia Irlandese ***
Capitolo 3: *** Capitolo II - La Fantasia fa Volare ***
Capitolo 4: *** Capitolo III - Un Amico ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV - Diagon Alley ***
Capitolo 6: *** Capitolo V - Gelosia ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI - Il Binario 9¾ ***
Capitolo 8: *** Capitolo 1 - Unità Spezzata ***
Capitolo 9: *** Capitolo 2 - Solo Lily e Solo Severus ***
Capitolo 10: *** Capitolo 3 - Palloni Gonfiati e Interrogazioni ***
Capitolo 11: *** Capitolo 4 - Mezzosangue, Sanguesporco e Purosangue ***
Capitolo 12: *** Capitolo 5 - Scacchi e Svenimenti ***
Capitolo 13: *** Capitolo 6 - Voli Mentali e Materiali ***
Capitolo 14: *** Capitolo 7 - Di Delusioni e Patti Mancati ***
Capitolo 15: *** Capitolo 8 - Grifondoro VS Serpeverde ***
Capitolo 16: *** Capitolo 9 - Unicorni e Giganti ***
Capitolo 17: *** Capitolo 10 - Feste Noiose e Fotografi Schizofrenici ***
Capitolo 18: *** Capitolo 11 - Cuore d'Inverno ***
Capitolo 19: *** Capitolo 12 - Magia Persa e Ritrovata ***
Capitolo 20: *** Capitolo 13 - Sull'Espresso per Hogwarts ***
Capitolo 21: *** Capitolo 14 - A Casa ***
Capitolo 22: *** Capitolo 15 - Riprendermi ***
Capitolo 23: *** Capitolo 16 - Imbarazzo e Rimorso ***
Capitolo 24: *** Capitolo 17 - Spina nella Zampa ***
Capitolo 25: *** Capitolo 18 - Stress Pre-Vacanze ***



Capitolo 1
*** Premessa Importante ***


Introduzione – Da Leggere, se volete capirci qualcosa, almeno nella prima parte

Ave a tutto il popolo di EFP!

Allora, come mi è già capitato di annunciare un paio di volte, per tutto il prossimo anno scolastico non sarò qui ad ammorbarvi con le mie storie in quanto sarò negli USA a fingere di farmi una vita.

Evviva, potrebbe essere il commento.

Ma siccome io sono sadica e vi voglio male, ho qui preparata una storia a capitoli – il mio primo tentativo da anni, quindi aspettatevi una discreta schifezza – appositamente ideata e creata per non lasciarvi all’asciutto tutto l’anno. Che animo nobile il mio, vero?

La gestione della pubblicazione dei capitoli e delle risposte alle recensioni sono lasciate interamente a mia sorella, _Milady_, che avrà un più costante accesso a internet di quanto non potrò fare io e che ha gentilmente, nobilmente etc.etc. accettato di assumersi quest’onore e onere.

Ho lasciato alla fine di ogni capitolo uno spazio personale, riguardo al capitolo in sé e per sé e ovviamente precedente a qualunque tipo di commento, recensione et similia possibili. Ergo, saranno fuori contesto rispetto a quello che potrete dirmi voi.

Mi dispiace non poter avere con voi il solito rapporto che si instaura solitamente fra autore e recensori, ma purtroppo è estremamente improbabile che io abbia un’intensa vita EFPiana mentre sono in America, quindi posso solo accludere fin d’ora i miei ringraziamenti a chiunque si prenderà la briga di recensire, aggiungere a preferite/seguire/da ricordare questa storia (se ce ne saranno).

Ciò detto, passerò un attimo a parlare della stessa.


Come i più perspicaci fra voi avranno notato, parlerà di Lily Evans, e in particolare della sua prima infanzia e del suo primo anno ad Hogwarts.

Il racconto è scritto in prima persona da Lily, senza ulteriori punti di vista. Ciò non vuole dire che se deciderò di continuare non cambierò punti di vista, vuol dire solo che questo primo, malaugurato tentativo descrive solo la sua personale esperienza, ed è quindi necessariamente di parte. Vorrei sottolineare che il linguaggio dei dialoghi non è sempre aderente a quello che terrebbe una bambina di quell’età, ma ipoteticamente è scritto col senno di poi, e nessuno ha una memoria tale da ricordarsi parola per parola come si esprimeva a quell’età, e riempirle la bocca di ‘gaga’ non mi sembrava il massimo. Quindi, se ogni tanto il lessico è più elevato di quello comunemente usato da una bambina di sette-dodici anni, fatemi il favore di abbonarmelo come licenza letteraria. Per dirlo con le parole che ho usato una volta per spiegarlo a una mia amica, Lily “racconta al passato immergendosi nel presente”, intendendo con questo il fatto che pur raccontando successivamente si immerge nelle situazioni, quasi rivivendole.

Gli altri personaggi di cui mi sono maggiormente trovata a trattare sono, ovviamente, Severus Piton, Petunia Evans, i signori Evans (da me chiamati Alan e Cecilia), e durante il periodo a Hogwarts i Malandrini ed altri compagni delle altre case.

La storia è divisa in due parti, la prima che parla dell’infanzia di Lily fino al suo arrivo ad Hogwarts, la seconda del suo primo anno ad Hogwarts. Sarebbe utile sapere che inizialmente la storia era nata come un'unica, lunghissima one-shot (una “panlogos”, ancora meglio -.-), e sebbene intorno al… credo capitolo 8 della prima parte ho finalmente deciso di dividere effettivamente in capitoli, quelli prima erano un’unica storia. Ora, ovviamente ho modificato alcune cose, soprattutto nei primi capitoli, ma vorrei scusarmi per le interruzioni a volte brusche fra un capitolo e l’altro.

Inoltre, siccome esistono già diverse storie di questo tipo e io non le ho lette tutte, vorrei scusarmi con qualunque autore dovesse trovare rassomiglianze o simili con le proprie storie, non è stato fatto volontariamente. Non subito perché sono via, ma appena sarò tornata, se me le vorrà segnalare, cercherò di modificare debitamente.


In base ad alcune fonti (a partire da Harry Potter e la Pietra Filosofale, Capitolo 1), la guerra del mondo magico era già iniziata nel 1971, primo anno di scuola di Lily, ragion per cui la tensione fra Purosangue e non è già accesa, per quanto una ragazzina di undici anni ancora non riesca a percepirlo appieno.

A questo proposito, vorrei sottolineare un piccolo cambiamento che ho operato nella traduzione di alcuni termini inglesi resi diversamente in italiano: nei sette libri di Harry Potter in italiano si parla solo di Purosangue e Mezzosangue, nel caso di Nati Babbani. Ora, nella versione originale esiste un terzo termine, “mudblood”, che letteralmente potrebbe essere reso come “sangue di fango” e che io ho preferito rendere come “Sanguesporco”. Per intendersi, un Sanguesporco è un mago nato in una famiglia babbana, senza quindi nessun antenato magico. Lily è una Sanguesporco, Piton è un Mezzosangue. La persecuzione dei Purosangue è rivolta ai Sanguesporco, con un pizzico di disprezzo verso i Mezzosangue dai puristi. La cosa, per quanto in italiano si percepisca poco, è chiaramente visibile nella differenza di atteggiamento già solo di Draco Malfoy nei confronti delle origini di Harry (un Mezzosangue) e di Hermione (una Sanguesporco).

Inoltre, credo di dover segnalare un piccolo cambiamento che ho fatto rispetto al Canon: in base a quanto detto in Harry Potter e i Doni della Morte, Lily è nata il 30 gennaio 1960 e James il 27 marzo 1960. Senza farmi troppi problemi, ho invertito le date. Spero che la cosa non risulti troppo sgradevole ai lettori.

Ancora, in base ad un’intervista con la Rowling sembra che James abbia giocato come Cacciatore nella squadra di Grifondoro. Ora, ovviamente durante il primo anno James non può giocare (sappiamo che Harry è il più giovane giocatore di Quidditch da un secolo), ma in base ad alcuni commenti o attitudini io intendo farlo diventare un Cercatore e non un Cacciatore (anche perché ne “Il peggior ricordo di Piton” di Harry Potter e l’Ordine della Fenice James gioca con un boccino, e con i boccini di solito ci giocano i Cercatori, secondo me).

Per orientarsi ad Hogwarts, ho usato questa cartina, e l’unica modifica rilevante è stata che la Guferia si trova separata dal resto dell’edificio (ovviamente luoghi e percorsi qui citati fanno riferimento alla saga di Harry Potter, non alla mia u.u).

Tutorial Photoshop

Se ci sarà qualcuno che sente l’irrevocabile necessità di parlare personalmente con me sarò sempre più o meno raggiungibile al “contatta autori”, ma è molto, molto probabile che le risposte tarderebbero molto a venire, vista l’annunciata mancanza di una connessione stabile in casa e i quasi certi impegni di scuola/amici/lingua/famiglia contratti in un paese straniero.


A parte questo, non credo ci sia altro da aggiungere a priori.

Quindi, termino qui. Buona lettura!


PS: ovviamente, io non posseggo niente, né che io sappia ci guadagno qualcosa. I personaggi, i luoghi, gli oggetti et similia appartengono a quel gran genio di Mamma Row, per quanto me ne abbia fatto morire la maggior parte -.-

Le immagini messe a inizio capitolo al 90% non sono mie, tutt’al più le rielaborazioni sono mie, provengono dal Web (purtroppo prese anche tempo fa e quindi innominate).



Salve a tutti!

Io sono la suddetta sorella che si occuperà della storia e fingerà di esserne capace (vedete quindi di non smascherami subito -.-). Sono fermamente convinta di non essere in grado di gestire tutto perché nella famiglia quella brava con le parole è Lei (il genio di Sil alias LadyMorgan), ma tenterò per non lasciarvi a secco di storie e perché altrimenti tutto il lavoro di questi mesi va in fumo e noi non vogliamo questo...

Cose importanti da sapere sono:

  • Dato che ho a disposizione ben 27 capitoli già pronti, ho intenzione di aggiornare una volta a settimana, probabilmente di domenica, quando non studio. Cercherò di essere il più regolare possibile e nel caso di ritardi o problemi dovrei essere in grado di avvisare nel capitolo precedente.

  • Lei è quella che scrive, ma io sono quella demente, quindi se a volte parlo da sola o al plurale non vi spaventate.

  • So che il rapporto tra autore-lettore non ci sarà, ma io cercherò comunque di rimpiazzarlo con un rapporto sorella dell'autrice-lettore, cioè risponderò alle recensioni in modo personale e dato che alcune volte sono stata presente alla stesura della storia o mi è stato illustrato il processo nei minimi dettagli potrei persino rispondere a domande inerenti alla storia che non sono state sviscerate nelle note della vera autrice.

Pubblicherò il primo capitolo poco dopo questa pagina o altrimenti domani perché a mio parere tutto ciò è estremamente importante e quindi andrebbe letto.

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Capitolo 2
*** Capitolo I - Figlia Inglese e Figlia Irlandese ***


The Lost Years Of Lily

Posso credere a qualunque cosa, purché sia incredibile

Oscar Wilde

Premessa: Prima di Scuola

Capitolo I – Figlia Inglese e Figlia Irlandese

Tutorial Photoshop

Non so quali pianeti si fossero messi d’accordo per rendere la mia nascita così difficile, ma fu così: trentasei ore di travaglio piene, in cui mia madre fece del suo meglio e del suo peggio per dare vita ad un essere di tre chili e mezzo che come primo ringraziamento la fissò con due occhi grandi come metà faccia.

Dice che fu uno dei momenti più belli della sua vita, che un raggio di sole penetrò la spessa coltre di nubi che addobbava Dublino in quella uggiosa giornata di marzo, ma non so quanto sia realtà e quanto sia solo affetto materno.

So che mio padre mi prese subito in braccio e, dopo avermi guardata con grande attenzione ed aver ricevuto in cambio uno sguardo perplesso, esclamò compiaciuto: «Ha i tuoi occhi, Cecy! I tuoi stessi, bellissimi occhi!»

La terza persona che mi vide fu una bambina di poco più di due anni che, dopo essersi sporta sul braccio di mio padre per capire cosa stava guardando, incontrò come terza persona quegli stessi occhi e saltò indietro esclamando: «Bruuuutta!» Ma poi, guardando meglio, aggiunse: «Sembra bambola. È mia nuova bambola!»

I miei risero e io fui finalmente libera di gridare. Non credo che avrei smesso tanto preso, non fosse stato per il fatto che mi madre cominciò ad allattarmi a tradimento.

Quando era nata mia sorella, il primo commento del migliore amico di mio padre, William Caulfield, era stato “Ecco la tua figlia inglese, Alan. Quello che si ottiene a lasciarsi stregare dagli occhi verdi delle britanniche…” Entrambi i miei genitori avevano riso.

Quando gli presentarono me, invece, mi guardò con grande attenzione fino a quando io non mi risvegliai e lo fissai con quello che, mi dissero successivamente, era uno sguardo molto dignitoso. Lui scoppiò a ridere ed esclamò lanciandomi in aria e riprendendomi al volo – con gran scorno delle mie nonne, entrambe preoccupatissime che quel pazzo furioso di Irishman ferisse la loro piccola e preziosa nipotina – e guardando mio padre maliziosamente: «Ecco la tua figlia irlandese, Alan. Con gli occhi dell’inglese, ma dello stesso colore della nostra bandiera… Ah, lei la educherò io…»

«Certo che lo farai» ribatté mia madre – donna di estrema energia, dato che neanche un’ora dopo il parto era di nuovo in piedi. «Sei il suo padrino.»

Pare che dalla sorpresa quel buontempone che doveva diventare il terzo adulto più responsabile della mia sicurezza mi abbia quasi lasciata cadere, con mio gran scorno. Ricominciai a piangere e mio padre mi riprese in braccio esclamando: «Col cavolo che nomino padrino questo deficiente, Cecy! Ci vuole qualcuno con la testa sulle spalle per questo genere di lavoro!»

«Se tu puoi fare il padre, io posso fare il padrino» aveva ribattuto William ancora su di giri andando a schioccare un bacio sulla guancia di mia madre. «E poi Cecy si fida di me, e se la nostra razionalissima, ponderatissima e intelligentissima Cecy si fida tu non puoi fare altro che attaccarti, Alan! La tua piccola figlia irlandese sarà il mio fiorellino!»

Non fu possibile toglierci quell’appellativo, “figlia inglese” e “figlia irlandese”, per molti anni.

Alan Evans era un uomo di trentacinque anni alto e sempre sorridente, laureato in letteratura e appassionato di cultura celtica. Aveva i capelli color mogano e lo sguardo franco e leale di una persona che non conosce sotterfugi. Era nato a Limerick e si era trasferito a Dublino per seguire i corsi della Dublin University. Intorno ai ventisette anni era andato a fare un seminario di qualche settimana a Cambridge e lì aveva conosciuto mia madre.

Cecilia Hallen era una bella donna, bionda e dagli stupefacenti occhi verde chiaro, piena di quell’ironia british che le valevano la nomea di donna di indubbio fascino. Nata a Plymouth nella casa di famiglia, una volta cresciuta si era iscritta, contro il volere del padre, all’università di Cambridge, ed aveva intrapreso con lode la facoltà di scienze matematiche. Malgrado questo, aveva anche un’indiscussa passione per la storia antica e in particolare la storia e la lingua latina: era stato seguendo un seminario sulla presenza romana in Britannia e gli influssi che aveva portato su lingua e abitudini che aveva conosciuto mio padre.

Inizialmente erano solo due ragazzi intelligenti uniti da una passione comune, ma successivamente avevano cominciato a frequentarsi e, anche quando mio padre era tornato in Irlanda, scriversi. Una volta che entrambi si furono laureati, tornarono ad incontrarsi e, dopo aver finalmente compreso che si erano innamorati, si sposarono (mio padre, sebbene irlandese, era di professione protestante).

Si trasferirono a Dublino quello stesso anno ed iniziarono entrambi a lavorare come insegnanti in una High School vicino a casa nostra.

Qualche anno dopo nacque Petunia, la “figlia inglese”, così nominata, probabilmente, perché aveva un carattere pignolo e ordinato e controllato che mal si accordava, secondo Will, almeno, all’esuberanza della gioventù irlandese.

Secondo lui io avevo un sorriso più aperto e ridevo più spesso, anche se come avesse fatto alla nostra nascita per indovinare tutto questo non l’ho mai capito.

Quando entrai nella loro vita, i miei genitori, oltre al loro lavoro, stavano seguendo un tirocinio sempre alla Dublin University, e fra università, figlie e lavoro era un miracolo, per loro, che i nostri nonni di Limerick ci facessero visita spessissimo per prendersi cura di noi. Will, poi, era sempre in casa.

Cominciai a parlare a sette mesi, e a detta di tutti non c’era modo di farmi star zitta, nonostante il mio vocabolario comprendesse solo le parole “mamma”, “papà”, “tata”, “pappa”, e, credo, “ciccia”, anche se non so a cosa allora fosse riferito. Forse a Will, dato che ogni volta che entrava nella stanza io mi illuminavo e lo salutavo con uno squillante “ciccia!” tutta orgogliosa di me stessa, tanto da valermi l’affettuoso appellativo di “figlioccia degenere”.

Non mi tirai in piedi prima dei sedici mesi, e passai le mie prime esperienze su e giù per le scale di casa mia, facendo impazzire i miei genitori dato che i gradini erano quasi più alti di me. Tunia mi aiutava sempre a salire le scale, sembrava orgogliosa e fiera di prendersi delle responsabilità su di me, a patto che poi le successive tre ore potesse passarle a pettinarmi i capelli, infilarmi – o meglio provarci, visto che ero una bambina molto grossa – negli abitini striminziti delle sue bambole e rifilarmi il tè peggio preparato di tutta l’Irlanda e il Regno Unito, visto che usava quello liofilizzato in quantità tali che c’era più tè che acqua, anche se sembrava allora che io gradissi molto versarlo addosso a qualunque cosa si trovasse davanti a me in quel momento.

A due anni mi esprimevo più o meno correttamente, almeno per quanto ci si possa aspettare da una bimba di quell’età, e i nostri genitori erano talmente fieri di me e di Petunia che non era rado che ci portassero a delle cene di lavoro, a volte anche con i loro stessi professori. Erano felicissimi di poter mostrare la nostra educazione, dato che a quattro anni Tunia sapeva già quale forchetta scegliere fra le possibili e io non interrompevo mai qualunque discorso stessero facendo.

Quando fui in grado di cominciare a correre e a saltare, ci si rese subito conto che per qualche strano motivo la forza di gravità aveva meno effetto su di me che sugli altri comuni mortali: se volevo, potevo atterrare in modo da cadere sempre in piedi, anche se allora non me ne accorgevo: come si fa a considerare strana una cosa che risulta del tutto naturale?

Avevo cinque anni la prima volta che mi resi conto appieno di quel mio strano potere, e se me ne accorsi fu solo perché, a detta di tutti, avevo un inconsueto spirito di osservazione per la mia età e mi rendevo conto che cose che io davo per scontate, come l’atterrare sempre in piedi, come i gatti, non erano affatto normali nei miei coetanei.

Ma allora credevo ancora fermamente nei folletti, nei lepricani, nelle fate e nella magia che popolavano le storie di mio padre, e se c’era qualcosa che mi sembrava diverso dai miei compagni cominciavo a credere di essere una fata.

Comunque, i miei genitori coglievano solo di sfuggita l’aspetto per me assolutamente magico di quella strana capacità. Mi avevano addirittura iscritto a ginnastica artistica, per mettere meglio a frutto quelle mie “abilità innate”: era una delle poche palestre irlandesi, e già il fatto che fosse capitata vicino alla nostra casa veniva da me considerato un segno del destino. Mia madre aveva partecipato una volta ad una esibizione delle loro ragazze, e le ero subito venuta in mente io e i salti che facevo, credendo che fossero tutte doti naturali. In fondo, quando vedi un salto ben eseguito il tuo primo pensiero non è che provenga dalla magia. Io invece ne ero fermamente convinta. Mi divertivo a pensare di essere una fata in incognito, forse affidata dal re e dalla regina delle fate a dei comuni mortali per proteggermi da un grave pericolo.

Tunia mi prendeva sempre in giro per queste mie fantasie, quando gliele raccontavo. Ma io ribattevo mostrandole i miei voli, chiedendole di guardarmi la schiena per vedere se mi erano spuntate le ali, raccontandole storie straordinarie che erano frutto della mia sfrenata fantasia. Lei mi ascoltava sempre quando io volevo parlarne, si divertiva a inframmentare commenti sarcastici qui e là per smorzare quell’incontrollabile vena di fantasia che premeva in ogni mia parola. A Tunia la magia non piaceva, diceva che era solo un modo per farci dimenticare quanto squallida fosse la vita reale, ma che una volta realizzato che non esisteva si restava delusi per troppo tempo. Per i suoi sette anni e mezzo, era una delle persone più concrete che abbia mai conosciuto.

Io non davo retta a quella che Will definiva la sua “flemmatica razionalità inglese”.

Mio padre, da buon irlandese, non smentiva né accoglieva mai le mie fantasie, ma era impossibile sbagliarsi sul luccichio del suo sguardo quando, la sera, gli raccontavo com’era andata la giornata facendo permeare in ogni avvenimento, ogni parentesi la magia che dicevo ci circondasse. Era lui che la sera, per farmi addormentare, mi raccontava le straordinarie leggende della sua terra, mimandomi ogni movimento con le mani o con piccoli oggetti attorno. Persino Tunia si divertiva in quei casi.

Mia madre, da brava inglese, di solito cercava di controbilanciare l’influenza del marito insegnandoci la logica, il ragionamento razionale, e io adoravo le sue lezioni quasi quanto i racconti di mio padre. Cecilia Evans era una donna gentile, affettuosa, intelligente: fin da bambine ci aveva trattato come adulte in miniatura, sostenendo che, sebbene fosse loro compito in quanto genitori guidarci sulla via migliore, lei e mio padre dovevano insegnarci a fare le nostre scelte da sole, come individui indipendenti. Non credo le sarò mai abbastanza grata per questo.

Volevo ad entrambi un bene immenso, e ne volevo anche a Tunia, sebbene mi dispiacesse che non riuscisse a condividere la mia vena irrimediabilmente fantasiosa.

Per lei tutto ciò che dicevo erano stupidaggini e che quando mi sarei risvegliata dal mio sogno incantato ci avrei sofferto tantissimo, e cercava quindi di dimostrarmi in tutti i modi che la magia non esisteva.

Ma io la sentivo dentro di me quando camminavo, quando correvo, quando mi destreggiavo con le parallele, la trave, il volteggio, persino nel corpo libero: la mia insegnante mi aveva fatto i complimenti quando, superato il primo anno e mezzo di semplice allenamento fisico, avevo mostrato la mia capacità di fare atterraggi perfetti senza nessun apparente sforzo. Ma per me era normale.

A scuola ero popolare per quello, se si può parlare di popolarità ai primi anni delle elementari: avevo un selezionato gruppetto di amiche intime che conoscevo fin dalla materna e stavo spesso con loro, ma quando andavamo nel piccolo giardino della scuola e facevo vedere loro cosa mi facevano fare a ginnastica, non erano in pochi quelli che mi venivano a vedere.

Era un periodo libero da qualunque preoccupazione, io ero felice, felice della mia vita, dell’affetto dei miei genitori, dell’amicizia dei miei compagni, del fatto che tutto sembrasse riuscirmi facile.

Tunia, da parte sua, stava diventando quella che mia madre definiva “una piccola damina”, teneva molto all’apparire perfetta, precisa e ordinata, la sua stanza, contrariamente alla mia, era sempre in ordine e si divertiva ad atteggiarsi a signora.

Io ero molto più per le corse, le gite, le arrampicate… alcuni dei momenti più belli della mia infanzia era quando arrivava Will per portare il suo “fiorellino” con sé a fare una gita mentre i miei genitori non potevano guardarci, perché lui sopportava e anzi incoraggiava la mia esuberanza, mi spingeva a mostrargli i miei esercizi, mi faceva salire sugli alberi avvicinandomi ai rami dove non arrivavo, mi faceva fare capriole lungo il suo corpo, e poi mi prendeva in braccio e mi faceva ballare: per me non esisteva felicità più grande che ballare con Will mentre Tunia, che veniva sempre con noi anche se non partecipava ai nostri rumorosi giochi, ci guardava con indulgenza. Di solito, quando uscivamo con Will, lei si faceva preparare una borsa da mamma con dentro una piccola merenda e una tovaglia da pic-nic. Completava il tutto portandosi una o più bamboline con cui giocare mentre Will mi faceva volare sugli albero o sopra la sua testa: per lei eravamo come due bambini che si stanno divertendo in maniera simpaticamente infantile, ma lei era superiore a queste cose, sebbene a volte avessimo provato a coinvolgerla rifiutava sempre con un sorriso e si preoccupava di farci trovare pane e marmellata quando tornavamo dal punto dove si era seduta.

In quelle occasioni, appena ci allontanavamo Will mi si avvicinava per sussurrarmi all’orecchio: «Figlia inglese…» e io ridevo e lo abbracciavo mentre cominciavamo una lotta scherzosa.

In modo del tutto infantile e privo di malizia, ero innamorata del mio padrino, pensavo che fosse la persona più bella del mondo e con lui mi sentivo felice e al sicuro, il suo sorriso era sempre in grado di rischiararmi la giornata, e in generale il suo arrivo era collegato per me ad un tale benessere che un giorno, dopo che stavamo tornando a casa da una lunga escursione nelle campagne intorno a Dublino, gli avevo chiesto con grande serietà: «Will, quando sarò più grande mi sposerai?»

Tunia aveva subito alzato gli occhi, stupita e indignata più dal fatto che fosse la donna a proporsi all’uomo che non che io stessi chiedendo in matrimonio un uomo dell’età di mio padre.

Lui invece era scoppiato a ridere e aveva levato una mano dal volante per stringere la mia dicendo: «Sì, fiorellino, quando sarai più grande ti sposerò, se tuo padre non mi ammazza prima!»

Io ero completamente fiduciosa sulla magnanimità di mio padre e quindi non mi porsi neanche il problema, anche perché quando annunciai a mia madre che da grande avrei sposato Will lei mi guardò con un sorriso e una risata appena trattenuta e disse a mio padre: «Alan, dì a quel pazzo scatenato del tuo migliore amico che è troppo vecchio per mia figlia!»

Io avevo protestato e loro avevano continuato a ridere, e mio padre aveva detto: «Quando sarai più grande, Lils, se ancora vorrai sposare quel cretino, vedrò di darvi la mia benedizione.»

Quindi per me non c’erano assolutamente problemi, anche se non capivo perché gli adulti dovessero ridere su quella che per me era una questione della massima serietà.

Fu quando ci trasferimmo a Manchester, in Inghilterra, che dovetti fare i conti con quella che mia sorella chiamava “realtà”: in Irlanda, in mezzo al verde ed alle tradizioni popolari, era facile immaginare che il mondo fosse pieno di fate e folletti, ma in quella città inglese caotica e non a caso chiamata “the town of the tall chimneys” tutto sembrava molto più cupo, più impossibile. Smisi di credere alle fate solo quando i miei nuovi compagni mi cominciarono a prendere spietatamente in giro, chiamandomi l’“Irlandese visionaria”. Avevo otto anni.

I miei genitori avevano entrambi terminato il tirocinio e pubblicato un paio di libri che avevano, a quando pareva, catturato l’attenzione di alcuni professori. Avevano ricevuto un’ottima proposta dalla University of Salford, un posto davvero buono per persone della loro età: a entrambi era proposta una cattedra fissa nella stessa sede, e quindi avevano colto al volo l’occasione. Inoltre, anche se questo lo capii solo dopo, erano entrambi inquieti per la situazione a Dublino: nel ’66 era stata fatta esplodere la colonna di Nelson e fin da quando ero piccola mi ricordavo che c’erano molte case che venivano abbattute; allora non sapevo che erano edifici giorgiani eliminati per un feroce senso di nazionalismo contro gli ex dominatori inglesi.

Per me, allontanarmi dall’Irlanda fu un tuffo al cuore, sebbene col tempo ci avrei fatto l’abitudine.

Per una persona abituata a muoversi per spazi vedi, a correre, ridere, dire quello che mi pareva, l’atmosfera pesante e grigia di quella città era opprimente. Magra consolazione, c’era una palestra di ginnastica non troppo lontano da casa nostra, grazie a dio. Ma intanto non avevo più nemmeno il conforto di Will e la felicità di poter credere nella magia che Tunia continuava a ripetermi non esisteva, come ormai avevo accettato anch’io per forza maggiore.

Eppure io sentivo ancora il mio potere, riuscivo ancora a fare quei salti e quegli atterraggi che mi erano valsi due medaglie d’oro alle gare di ginnastica artistica. Anzi, quando compii nove anni riuscii addirittura ad accendermi una fiammella sull’indice. La prima volta mi spaventai e la spensi cacciando un urlo. Solo Petunia accorse per vedere cosa fosse successo, mamma e papà erano in giardino e stavano discutendo, e io avevo soffocato il mio grido sul nascere.

«Lily, cos’è successo?» mi chiese precipitandosi in camera mia. Io mi stavo ancora guardando la mano, stupefatta. Tunia mi prese per le spalle e mi scosse. «Lily, rispondimi immediatamente! Cos’è successo?»

Io alzai gli occhi su di lei, ancora incredula, poi soffiai: «La mia mano… ha… preso fuoco!»

Lei mi guardò per un attimo come se temesse per la mia sanità mentale. «Oh, smettila con tutte queste sciocchezze, Lily» sbuffò alla fine lasciandomi andare. «Credevo che da quando fossimo qui avessi lasciato perdere tutte queste stupide fantasie!»

«Non è una stupida fantasia, Tunia!» esclamai offesa. «Era reale, è successo sul serio… guarda!» aggiunsi aprendo la mano e concentrandomi. Due secondi dopo, una fiammella mi brillava sul palmo, placida, calda ma senza essere ustionante.

Vidi Petunia impallidire. «Cosa…?» cominciò mentre si avvicinava per vedere la fiammella, osservandola da tutte le angolazioni possibili. «Come fai?» chiese in un soffio sfiorando appena il mio piccolo miracolo.

Io mi strinsi nelle spalle e il fuocherello si spense. «Non lo so, Tunia» risposi, ancora un po’ scioccata. «É… istintivo, quasi.»

Il suo sguardo era quasi bramoso mentre si fissava sulla mia mano. «Non lo deve sapere nessuno, Lily, lo capisci vero?»

Io rimasi confusa. Uno dei miei primi pensieri era stato quello di farlo vedere ai ragazzi che mi avevano preso in giro la prima volta per dimostrargli che la magia esisteva. Non sapevo neanche più se era vero, ma ero sicura che qualcosa fosse, e quindi potevo benissimo spacciarla per magia.

«Lily, mi hai capito?»

Io scossi il capo. «Perché?» chiesi infantilmente. «Cosa può esserci di male?»

Tunia sospirò. «Potrebbero credere che sei strana, che sei diversa…»

«Ma è vero!» protestai io vivacemente.

«Ma non lo devono sapere!» rispose lei. «Potrebbero farti del male, potrebbero essere pericolosi, potrebbero spaventarsi…»

Io stavo per ribattere quando una nuova scena mi apparve davanti agli occhi: un ragazzino di quarta della nostra scuola, magro e pallido, che veniva pestato a sangue da alcuni ragazzi poco più grandi di noi perché aveva fatto alcuni trucchetti di magia, forse per impressionare alcuni dei bambini lì attorno. E sebbene credevo che a me non sarebbe successo – oltre a essere abbastanza veloce, ero sicura che non avrebbero picchiato allo stesso modo una ragazza – accettai il consiglio di Petunia.

E non parlai a nessuno di quel mio piccolo dono.

Intanto la vita continuava più o meno tranquilla, sebbene continuassi ad odiare i miei compagni ed a rimpiangere l’Irlanda: non riuscivo ad omologarmi, ero più brava a scuola, stavo sempre per i fatti miei o con Petunia, quando credevo di non disturbarla. A nessuno, lì, interessavano le mie storie o i miei salti, ero poco più che invisibile, un’ombra abbastanza molesta che si aggirava attorno a loro. Non erano interessati o curiosi verso di me, ma indifferenti e in alcuni casi addirittura ostili. Non sapevo nemmeno se era per colpa mia o per colpa loro, ma ogni volta che incontravo altri ragazzi della mia classe mi sembrava sempre che mi guardassero stranamente o che sussurrassero alle mie spalle, tanto che a volte avrei voluto sbottare: “Sì, sono diversa, e allora?!”. Diventavo sempre più introversa, anche se cercavo di fare buon viso a cattivo gioco. Non dico che diventassi scontrosa, ma nascondevo i miei pensieri dietro una maschera più o meno sorridente.

I miei genitori ne erano consapevoli, anche perché glielo raccontavo io il più delle volte, ma non sapevano bene cosa fare: si erano trasferiti perché tutti e due per il loro lavoro e, per quanto riguardava solamente loro, andava tutto benissimo. Quindi si dispiacevano per me e mi consolavano, sollevavano e facevano ridere, ma non potevano cambiare la situazione presente nella mia scuola. E di fatto era colpa mia se prendevo tutto così male: il posto non era orribile, non avevamo preso una casa in centro e quindi c’erano alcuni prati attorno alla nostra casa, la mia scuola era molto più grande di quella in Irlanda e c’erano molti più bambini della mia età. Forse era semplicemente il fatto che io mi trovavo meglio con le persone più grandi, gli adulti o a volte anche i vecchi. E poi ero piombata fra capo e collo a metà delle elementari in una scuola in cui già tutti si conoscevano da tempo, con cognizioni diverse, e spesso più approfondite, grazie al fatto di avere due insegnanti come genitori ed una smodata passione per le ricerche e gli approfondimenti. Il fatto che fossi in poco tempo diventata la prima della classe non mi aiutava, anzi, faceva sì che quelli che prima del mio arrivo erano i più bravi mi guardassero di sbieco e spingessero anche gli altri a considerarmi una So-tutto-io snob. Ho paura che ad un certo punto lo fossi diventata sul serio, anche se cercavo di rimanere più imparziale possibile verso di loro.

Normalmente mi rifugiavo nei miei mondi immaginari, creandomi amici fra le creature fantastiche che avevo imparato a considerare solo frutto della mia fantasia. Adoravo Carnevale e Halloween, quando potevo mascherarmi e recitare e fingere di essere solo una dei tanti bambini che passavano da porta a porta.

Anche Tunia stava cambiando: per lei l’arrivo a Manchester non aveva significato una sorta di autoimposta emarginazione, ma un cambiamento più profondo. Aveva fatto amicizia con alcune ragazze della sua età che io consideravo tremendamente superficiali e, per adattarsi meglio ed essere accettata nel loro gruppo, aveva cominciato a comportarsi come loro, esasperando la sua abitudine alla precisione in una maniacale attenzione per il suo aspetto e per l’ordine delle sue cose, ostentando un atteggiamento che aveva dello sprezzante verso gli altri ragazzi e parlando con vocaboli elaborati che le davano solo un’aria obsoleta, anche perché la maggior parte delle volte non sapeva nemmeno cosa volessero dire. Inoltre, poiché relazionarsi da pari con una sorella minore era considerato da sfigati, raramente mi rivolgeva la parola in pubblico.

Tutto questo mi urtava e a volte mi faceva anche piangere, tuttavia non sarebbe stato giusto definirmi infelice: ero troppo giovane per crogiolarmi in una malinconica depressione perpetua. Dopo il primo periodo di riassestamento, in cui era risultato che provare a fare amicizia con i miei compagni era un tentativo fallimentare, avevo accettato il fatto che la situazione era cambiata radicalmente dall’Irlanda ed avevo quindi cambiato completamente prospettiva; non provavo più a farmi degli amici fra persone che consideravo prevenute nei miei confronti, e era più facile che mi ritirassi nel mio mondo fantastico, popolato dagli amici immaginari con cui potevo parlare liberamente e di tutto e che mi salvavano dalla solitudine, e poi avevo cominciato a divorare dozzine di libri e riuscivo ad immedesimarmi tanto bene nei personaggi che potevo piangere quando un amico moriva come ridere di gusto per una battuta divertente.

In base a questa nuova realtà, io e Tunia restavamo insieme molto meno rispetto a quando eravamo più piccole, e spesso, soprattutto in presenza dei suoi compagni, Petunia assumeva nei miei confronti un atteggiamento di superiorità davvero irritante. Credevo di capirne le cause, e provavo ad accettarlo, ma era veramente difficile.

Anche se ormai nessuno ci chiamava più così, eravamo rimaste la “figlia inglese” e la “figlia irlandese” che Will aveva riconosciuto così tanto tempo prima.




ANGOLO AUTRICE

Buongiorno, buon pomeriggio o buonasera, lettori. Un saluto a tutti quelli che sono arrivati fin qui, e un paio di note per chi vuole prendersi la briga di leggerle.


Allora, che io sappia non ci sono notizie sul luogo di nascita di Lily né su dove ha trascorso la sua infanzia. Riguardo al primo ho lavorato di fantasia, riguardo al secondo ho scelto Manchester perché, come ho già detto nel capitolo, veniva chiamata “la città delle alte ciminiere”. Inoltre, nello spazio del Lexicon dedicato all’identificazione di Spinner’s End, Manchester viene identificata come la più probabile località proprio per la sua natura industriale. Ciò nonostante, si dice anche che è improbabile che fosse in centro (ho pensato che il quartiere di Salford fosse il più indicato). Mi sono attenuta ad entrambe le descrizioni, basandomi anche sulla necessità di trovare un fiume vicino. Effettivamente c’è un fiume che scorre a Manchester, l’Irwell, e ci sono anche numerose fabbriche, molte delle quali di natura tessile (uno dei significati di “Spinner” in inglese è filatore). In base a quanto ho scritto io, Lily non vive direttamente a Spinner’s End, ma solo abbastanza vicino; stando alla descrizione infatti Spinner’s End sembra un quartiere operaio, e per mia scelta ho preferito fare i genitori di Lily professori e non operai o comunque lavoratori del settore industriale. In questa scelta sono stata anche supportata dall’evidente disprezzo di Petunia per Spinner’s End ne “La Storia del Principe” di Harry Potter e i Doni della Morte.

L’Irlanda è una scelta che può avere numerose motivazioni. Volevo qualcosa che rendesse Lily più propensa a credere alla magia, che le desse un temperamento nettamente contrapposto a quello della sorella, e la nota – non me ne vogliano gli esperti – “vena magica” dell’Irlanda è giunta fino alle mie orecchie. Inoltre, mi sembrava un posto molto migliore per crescere di una grigia città industriale inglese. Il trasloco mi serviva, oltre che per tornare nel Canon, anche per poter dare a Lily quel senso di spaesamento che, secondo me, l’avevano portata a comprendere ed apprezzare Severus Piton, anche se di questo parleremo nel prossimo capitolo.

William Caulfield è, di fatto, la personificazione dell’Irlanda. È l’amico adulto, introdotto fra l’altro un po’ successivamente a livello cronologico, e devo dire che per descriverlo un po’ mi sono ispirata ad un altro famoso padrino di Harry Potter, a.k.a. Sirius Black, anche se la crudeltà della Rowling ci ha impedito di vederlo in tale veste.

La ginnastica artistica è un omaggio a mia madre, da sempre appassionata di questo sport. Inoltre, per un personaggio dinamico come la Lily che ho sempre immaginato io, uno sport bello e coreografico come questo era l’ideale. Di nuovo, gli esperti o gli appassionati mi perdonino le possibili ingenuità in materia.

Le università/scuole citate sono effettivamente esistenti, e spero che il fatto che nei loro annali non siano riportati i coniugi Evans non sia considerato oltraggio alle cattedre.

Bene, credo sia tutto.

Ciao a tutti coloro che hanno letto!


ANGOLO PUBBLICANTE


Salve a tutti!

Dato che quel gran genio di mia sorella ha già sviscerato ogni singolo punto del capitolo, come è giusto che sia, io non ho molto da dirvi...

Ringrazio subito chi ha letto l'avviso iniziale e chi leggerà questo capitolo (sempre che qualcuno lo faccia... EVVIVA L'OTTIMISMO! -.-)

Grazie a...

purepura: sono felice che la storia di interessi e se adori il personaggio di Lily... questa è veramente la storia giusta dato che è interamente concentrata su di lei e sui suoi pensieri, e non lo dico solo per fare pubblicità (o forse sì... vi lascerò il beneficio del dubbio!)


Grazie anche alle persone che hanno inserito la storia tra le seguite.


Ho ricevuto scrupolose e arrabbiate istruzioni in cui mi si intimava di aggiornare ogni DUE settimane, io obbedisco e mi dispiaccio per il mio errore nella presentazione. Alla prossima!

(Tutto questo rivolgermi ad un inesistente pubblico non giova alla mia, poca, sanità mentale...)

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Capitolo 3
*** Capitolo II - La Fantasia fa Volare ***


Premessa: prima di scuola

Capitolo II – La Fantasia fa Volare

Tutorial Photoshop


La nostra casa non era, fortunatamente, in un quartiere industriale, per quanto in lontananza si potesse vedere la ciminiera di una industria tessile che svettava tutt’attorno, ma non si poteva pretendere più di tanto in una città all’insegna dello sviluppo imprenditoriale; l’aria era relativamente pulita e la nostra scuola era abbastanza vicina, tanto che avevamo preso l’abitudine di andarci in bici. Non troppo lontano da casa nostra scorreva anche un fiume, l’Irwell, ma era talmente sporco che difficilmente ci avvicinavamo, per la puzza.

Però attorno alla nostra casa c’erano dei campi in cui potevo più o meno sfogarmi, anche se dovevo allontanarmi parecchio dalla strada per non essere presa per pazza. Sognavo ancora, ma con molta più maturità, dei pic-nic con Will, e inconsciamente mi ritrovavo a replicare ciò che allora facevamo insieme: correre, ballare, arrampicarci, saltare, esercitarmi… con la differenza che ormai Tunia non veniva più con me e che quindi lo zainetto munito di merenda e dell’ormai immancabile libro era mio.

Mi piaceva andare lontano da tutti, di fronte a casa nostra c’era un prato non particolarmente grande ma con un bellissimo albero in mezzo su cui io passavo i pomeriggi più caldi, appollaiata su un ramo quasi orizzontale che fungeva da sdraio. Passavo le ore a leggere su quell’albero, a volte mi appisolavo o contavo le nuvole, oppure tiravo fuori un blocco da disegno e facevo degli schizzi stentati di ciò che mi circondava, cercando di coglierne l’essenza. A volte intavolavo anche discussioni con il mio folletto immaginato preferito, Beagduille, spiegandogli quello che pensavo e ascoltando con attenzione le risposte che mi dava. Lì potevo anche cercare di capire cosa fossero quelle specie di “poteri” contro i quali Tunia mi metteva in guardia, ed esercitarmi a controllarli; dopotutto, se davvero c’era qualcosa di diverso in me il minimo che potevo fare era cercare di tenere tutto sotto controllo, no?

Non era facile, ci riuscivo solo in parte e solo concentrandomi con attenzione. Inoltre non c’era nessuno a cui potessi parlarne, nessuno che potesse condividere i miei successi, a parte Beagduille, e per quanto partecipe era solo una parte di me. In particolare mi allenavo a mantenere l’equilibrio ed a saltare facendo buoni atterraggi, forse perché mi riusciva bene, forse perché mi veniva richiesto più volte a settimana dagli allenamenti: ero capace di camminare senza sforzo sul ramo dell’albero senza aggrapparmi, riuscendo a inserirci anche una ruota di tanto in tanto, e se mai fossi caduta avevo la certezza che non mi sarei fatta niente. Non mi facevo mai niente.

Ne avevo avuto l’ennesima riconferma una volta che nostra madre ci aveva portate al parco giochi vicino casa nostra, quando ero andata sull’altalena. Mi piacevano le altalene, mi piaceva dondolarmi più in alto possibile.

Ma a Tunia no. Quando ero andata troppo in alto aveva urlato e per la sorpresa mi aveva fatto lasciare la presa. Ero letteralmente volata per un paio di metri mentre mia madre correva velocissima verso di noi ed ero atterrata in piedi, flettendo appena le ginocchia per attutire il colpo. Ma non mi ero fatta assolutamente niente, anche se questa volta il salto non era programmato. Ero atterrata come se non avessi atteso altro tutto il tempo.

Mia madre si era avvicinata e mi aveva preso per le spalle, esclamando: «Lily, ma sei impazzita?! Cosa ti è saltato in mente, potevi farti male!»

«Sto benissimo, mamma» le dissi, un po’ urtata da quel rimprovero immeritato. «Non ho fatto apposta, ho solo…»

«Lily, non devi andare così in alto!» si inserì la voce petulante di Petunia. «Potevi farti male, meno male che sei atterrata…»

«Be’, sarei davvero una stupida se dopo anni di ginnastica non fossi nemmeno in grado di atterrare come si deve!»

«Lily, non devi farlo mai più» rispose mia madre con fermezza. «Potevi farti male, lo sai, e non venirmi a dire che sei capace» aggiunse severamente vedendo che stavo aprendo la bocca. «Non dirmi che hai fatto apposta, perché non ci credo.»

«No, mi stavo solo dondolando, ma poi Tunia ha urlato e…»

«Ah, adesso la colpa è mia, vero?» esclamò lei offesa.

Le feci una smorfia prima di tornare a guardare mia madre. «Dai, mamma, ti sei sempre divertita a vedere i miei salti, dici sempre che sono brava…»

La sua espressione si addolcì appena. «Lo so… ma mi hai colto di sorpresa, ora, lo sai che potevi farti male…»

Più tranquilla, io sorrisi. «No, se c’è un motivo per cui Miss Lasdun mi adora è che riesco sempre ad atterrare in piedi» risposi abbracciando mia madre – Miss Lasdun era la mia insegnante di ginnastica artistica inglese.

Lei mi accarezzò la testa con un sorriso. «Lo so, Lils, ma preferirei davvero che non andassi più così in alto. Se una volta ti distraessi…»

Io non commentai, ma quando tornammo a casa intercettai un’occhiata ostile di Petunia. Non le piaceva quando “davo sfoggio di me”, per usare una sua espressione, lo trovava stupido e infantile. Spesso mi faceva arrabbiare, assumeva un atteggiamento di disapprovazione ogni volta che mi vedeva esercitarmi in ginnastica o correre o non comportarmi “come si deve”. Stavo cominciando ad odiare quella frase, specie considerando che, siccome i miei genitori passavano quasi tutto il giorno all’università, passavamo quasi tutto il pomeriggio solo noi due, con lei che poteva in tutta calma disapprovare la mia educazione e la mia “infantile mania di muovermi”, sebbene entrambe uscissimo, lei per andare dalle sue stupide amiche e io per andare al mio albero da Beagduille, che sembrava aver stabilito la sua sempiterna dimora sui rami fronzuti di Crann, il suo piccolo regno verde.

Era divertente vederlo attendermi eccitato ogni volta che arrivavo di corsa fino all’albero, saltellando da ramo a ramo ed esclamando “Corri, avanti, perché sei così lenta? C’è tutto il nostro regno qui, perché ritardi? Muoviti, su!”. Per qualche motivo, sebbene avesse le fattezze di un bambino più o meno della mia età con lo sguardo malizioso, la sua voce era simile a quella di Will, rideva come lui e mi chiamava “fiorellino” come lui e nessun altro poteva fare.

A scuola continuavo ad andare bene senza troppi sforzi, malgrado ora non avessi più l’appoggio ulteriore dei miei genitori. Ma tanto, se avevo dubbi aspettavo che tornassero a casa e gliene parlavo, erano sempre contenti di potermi spiegare qualcosa di più delle mie materie. E in ogni caso, se c’era una cosa che decisamente non mancava a casa mia erano libri, ivi comprese varie enciclopedie. Nel dubbio, andavo nella sala, dove li tenevamo, e li consultavo.

Il rapporto fra me e Tunia si alternava in alti e bassi senza mai giungere ad una conclusione definitiva, lei continuava a “insuperficialirsi”, come avevo detto una volta indignata a Beagduille, e le sue amiche non mi piacevano affatto. Specialmente Prudence. Era una ragazzina straviziata, convinta che tutto il mondo dovesse essere ai suoi piedi e trattava tutti con un’aria di superiorità sprezzante fino a quando non potevano in qualche modo tornarle utili, sempre vestita all’ultima moda – che fra l’altro le stava anche malissimo – sempre pronta a umiliare e trattare male gli altri, mi detestava anche se mi aveva visto circa quattro volte perché ero più che in grado di tenerle testa, vista la sua sconcertante ottusità da oca. E Tunia letteralmente la venerava. Assumeva nei suoi confronti un atteggiamento di sottomissione dandole sempre ragione e mi dava sui nervi ancora peggio di quanto non facesse Prudence, il che non era facile. Cosa ci trovava in quella, proprio non lo sapevo. Non era neanche carina! Aveva degli occhi da pesce di un colore slavato che non si riusciva a distinguere, la faccia tonda, la bocca sottile e insignificante, i capelli di un colore stupido e era anche abbastanza grassa. Però i suoi genitori erano davvero molto ricchi e per questo a scuola era considerata “popolare”, quindi Tunia si era affettata, appena arrivata, ad arruffianarsela. Lei aveva accettato di buon grado, primo perché aveva sempre piacere a circondarsi da adulatori, poi perché Tunia la incoraggiava a parlare ma era anche in grado di risponderle, e poi perché anche i nostri genitori, col lavoro all’università, stavano guadagnando bene. Sapevo però che la metteva contro di me, sapeva che tra noi c’era stato un legame forte, specie prima di venire qui, e non voleva che io mi intromettessi fra loro, come facevo ogni volta che ero sola con Tunia.

Una volta stavamo discutendo proprio di quello, una giornata piovosa e noiosa in cui non me l’ero sentita di andare da Beagduille ed ero rimasta a casa con un buon libro.

Tunia era tornata un po’ più tardi e mi era venuta incontro con la faccia rossa e mi aveva apostrofato: «È vero o no che oggi a scuola hai detto a Prudy che le persone come lei non dovrebbero avere il diritto di parlare?»

Io avevo chiuso in tutta calma il libro che stavo leggendo e l’avevo guardata. «Non lo pensi anche tu?» avevo chiesto, sinceramente curiosa.

Era arrossita ulteriormente. «Non capisco perché prendi questo atteggiamento. È una persona perfettamente normale, anzi, mi permette di omologarmi a scuola, ha fatto tanto per me quando siamo arrivati qui…»

«Sì, come cercarsi una nuova schiavetta per divertirsi un po’» avevo ribattuto io disgustata. «Ma l’hai vista, Tunia? Ti sembra che ti parli come meriteresti? Vorrei capire cosa ci trovi in lei!»

«Lei è una mia amica, Lily Evans, vedi di ficcartelo bene in testa!» aveva esclamato arrabbiatissima. «Mi ha aiutato molto più di quanto non abbia fatto tu, con quelle tue arie da diversa, sempre a parlare di cose che gli altri non vedono, sempre chiusa e scontrosa, una secchioncella che nessuno vorrebbe conoscere… credi davvero che sia strano che io non mi sia voluta escludere? Solo perché tu stai sempre fuori da tutto, credi che anche io debba essere così?!»

Ero rimasta senza parole. Da quanto tempo si teneva dentro tutto questo rancore?

«E davvero credi che una persona come Prudence possa aiutarti a omologarti, Tunia? Ma per favore! Tutto quello che ha fatto è stato renderti uguale a quelle stupide con cui sta sempre insieme, non ti calcolerebbe neanche se non le dicessi quello che vuole sentirsi dire…»

«Credi che sia stato facile per me?!» aveva ribattuto rossa di rabbia. «Credi che sia facile rifarsi una vita dove tutti si conoscono da sempre, con una sorella che non fa niente per sembrare normale, che si mette a saltare e a raccontare storie assurde…»

«Ah, quindi sono io il problema, ora!» avevo urlato. «Almeno io non mi sono dovuta mettere con una cretina piena di sé per farmi notare! Bello vedere come tutti ti apprezzano per le tue qualità, Tunia, davvero bello…»

«Sei proprio stupida, Lily!» mi aveva gridato contro. «Proprio non capisci che è grazie a lei se io ho una vita sociale, se gli altri mi rivolgono la parola, se…»

«E davvero tu vuoi farti rivolgere la parola da persone del genere?» avevo ribattuto io sprezzante. «Che bella soddisfazione, Tunia! Ti sei trasformata in un’oca uguale a loro solo per poter starnazzare in coro, che bel risultato, complimenti…»

«Sempre meglio di te, che non parli con nessuno se non con gli insegnanti e passi le giornate a fare quegli stupidi esercizi e a parlare al vento e a…»

«A cercare di diventare una persona, non una marionetta, Tunia!» avevo urlato io. Mi stava veramente facendo arrabbiare.

Lei mi aveva guardato rancorosa ed aveva cercato un nuovo punto da dove attaccarmi. «E che cosa significa che quando avete cominciato a litigare il suo cappello nuovo è volato via ed è finito in una pozza di fango?» mi sputò contro in tono di accusa.

Io rimasi a bocca aperta. Era vero che il cappello, l’orribile cappello di Prudy era volto via non appena mi ero arrabbiata, ma che diavolo c’entravo io? «Tunia, non so se te ne sei accorta, ma viviamo in uno stato ventoso» le feci notare. «Cosa cavolo c’entro io col cappello di quell’oca?»

«Sei stata tu, lo so che sei stata tu!» Era quasi isterica. «Tu fai accadere cose strane come quella fiammella, o i salti, o…»

«Certo, magari sono una fata, vero, Tunia?» avevo ribattuto io sarcastica, facendo il verso a tutte le volte che mi aveva preso in giro per le mie fantasie.

«Non so cosa sia!» aveva esclamato a voce acutissima. «Ma devi lasciare in pace Prudy, lei non c’entra con te, non voglio che tu facci allontanare l’unica vera amica che ho qui…»

«L’unica vera amica?! Ma fammi il favore, Tunia, l’unica cosa di vero che ha quella ragazza sono il caratteraccio e la stupidità…»

«E tu credi di essere tanto meglio?» aveva urlato lei. «Sempre a darti quelle arie, non parli con nessuno come se non ne fossero degni solo perché ti accendi uno stupido fuoco sulla mano?!»

A questa non avevo ribattuto. Avevo visto bene che non ne valeva la pena. Ero uscita dalla stanza, prendendo lo zainetto che tenevo sempre vicino a me e mettendoci dentro il libro, prima di avviarmi verso l’ingresso per prendere la giacca.

Tunia mi venne dietro cominciando a dire: «Scusa, Lils, non intendevo dire…»

Io non la ascoltai e mi diressi fuori, sotto la pioggia, mentre lei mi veniva dietro cercando di fermarmi. «Lily, non volevo, non volevo…»

Io mi liberai con uno strattone e corsi fuori, seguita dalle sue grida: «Lily, scusa, mi dispiace, non uscire che sta piovendo…»

Io non la ascoltai e fui quasi felice di uscire con la pioggia, che almeno nascondeva le mie lacrime impedendo di mostrare quel segno di debolezza.

Quando tornai a casa ero fradicia e malinconica, ma almeno mi ero calmata. Tunia mi era subito venuta incontro abbracciandomi e dicendomi che non voleva dire quello che aveva detto, che era una stupida e che ero sempre la sua sorellina, ma malgrado questo, e il fatto che l’avessi perdonata, una parte di me continuava a ripetermi le sue parole. C’era abbastanza verità da farmi riflettere ed arrabbiare. Sapevo che non avevo amici e che nessuno mi parlava a meno che non fosse costretto, nemmeno per gentilezza, ma sentirmelo sbattere in faccia da mia sorella era tutta un’altra cosa. Secondo lei, io ero solo una palla al piede fastidiosa, ero scontrosa, poco malleabile e snob. Avrei potuto accettare critiche del genere con la massima tranquillità da chiunque, ma non da lei. Non dalla mia Tunia, che mi preparava pane e marmellata quando uscivo, che mi diceva di non credere alla magia per non farmi subire una cocente disillusione, che mi proteggeva e mi faceva giocare quando glielo chiedevo.

Comunque da allora, forse perché si sentiva in colpa, forse perché credeva giusto quello che le avevo detto anch’io, si ammorbidì nei miei confronti e non mi fece più una sparata come quella. Dopo un po’ passò nel dimenticatoio e tornò tutto come prima.

Con il ritorno della bella stagione io e Tunia a volte tornavamo a fare dei pic-nic insieme, a volte i nostri genitori ci portavano da qualche parte a vedere un museo o un bel paesaggio, oppure solamente a visitare negozi.

Fu in quel periodo che assunsi un controllo maggiore di quella strana forza in me che inquietava tanto Petunia. Ora riuscivo a indirizzarla come preferivo, con ancora qualche incertezza ma molta più consapevolezza, anche se restava un lato di me prettamente istintivo.

I miei genitori non lo sapevano, non gliene avevo mai parlato, però con Tunia sì, ed era a lei che mostravo tutti i miei progressi, anche se meno frequentemente rispetto al passato perché vedevo chiaramente che non le piaceva.

Io invece ci prendevo sempre più gusto. Continuavo a non trovare una spiegazione sensata per quei fatti, visto che sembrava succedessero solo a me, ma ora che avevo imparato a controllarli mi si aprivano un sacco di allettanti possibilità: come in un assolato giorno di maggio in cui, vedendo che alcuni ragazzi stavano inseguendo un ragazzino mingherlino perché, a quanto pareva, aveva risposto loro come io facevo con Prudence, avevo ordinato ai lacci delle loro scarpe di allacciarsi fra loro e si erano ritrovati tutti a terra senza capire come fosse successo.

Nessuno capì cosa era accaduto, ma mezzo cortile scoppiò a ridere e i ragazzi si rialzarono furenti senza la possibilità di trovare nessun colpevole su cui sfogarsi. E intanto l’altro ragazzino era riuscito a scappare e loro avevano subito una meritata umiliazione. Mi sentii una moderna Robin Hood, anche se la mia mente incontestabilmente pignola precisava che in realtà non rubavo ai ricchi per dare ai poveri. Diciamo che avevo umiliato i prepotenti per aiutare i deboli. Mi faceva sentire molto importante.

Fu quello stesso pomeriggio che entrai in contatto con il mio mondo.

Tunia mi aveva chiamato nel primo pomeriggio dicendomi che mi doveva parlare. Avevo accettato, non erano molte le volte in cui era lei a invitarmi e volevo approfittarne.

Eravamo andate al parco giochi vicino casa, e stavamo discutendo di una cosa che da qualche tempo preoccupava seriamente lei e divertiva maliziosamente me: i miei strani “poteri”. Lei era l’unica che aveva in qualche modo collegato lo strano incidente della mattina a me.

Continuava a dire che doveva esserci una spiegazione logica e razionale, che probabilmente era a causa di qualche principio scientifico che ancora non avevamo letto o che non avevamo capito, ma io ridevo mentre mi dondolavo sull’altalena, sempre più in alto, fino ad arrivare a sfiorare il cielo con i piedi.

«Lily, non farlo!» strillò Petunia sotto di me mentre io cominciavo a ridere. Perché non avrei dovuto farlo? Stavo quasi volando, era la sensazione più bella del mondo, mi sembrava di poter tornare fino in Irlanda via aria. Arrivai nel punto più alto dell’arco e mi lasciai andare con una capriola, come mi avevano insegnato a ginnastica artistica, per poi atterrare con leggerezza per terra.

«La mamma ti ha detto di non farlo!» Tunia aveva inchiodato per terra per venirmi incontro e mi guardava con aria severa.

Io continuai a ridere mentre eseguivo degli inchini tutt’intorno, come ad una invisibile platea, la mente ancora proiettata nel mio volo. «Ma dai, Tunia!» esclamai entusiasta. «Non mi sono fatta niente, e poi è fantastico, stavo volando! E poi, guarda, l’ho scoperto l’altro giorno!»

Mi chinai per raccogliere un fiorellino caduto e lei, dopo essersi guardata con circospezione attorno, probabilmente per controllare che nessuno dei suoi snob amici ci vedesse, si avvicinò, incuriosita suo malgrado. Sapevo che, nonostante cercasse di non darlo a vedere, amava vedere i miei poteri quasi quanto me.

La guardai per accertarmi che fosse attenta e raggiunsi nuovamente quella bolla nella mia mente che mi permetteva di compiere i miei piccoli prodigi. E dopo essere certa che avesse funzionato, tesi la mano verso di lei e le mostrai il fiore chiudere ed aprire i petali a comando.

«Smettila!» disse Petunia dopo essere rimasta a guardarli per un po’.

Io risi di nuovo. «Non ti fa niente, Tunia, è solo un fiore!» Ma il suo sguardo mi indusse comunque a gettare a terra il bocciolo.

«Non è giusto» mugugnò lei guardando il fiore per terra. «Come fai?»

Stavo per risponderle per l’ennesima volta che non lo sapevo, non ne avevo idea, quando una voce dietro di me disse sferzante: «È ovvio, no?»

Una figura imbacuccata, simile ad un ragno, saltò fuori dal cespuglio dietro cui ci trovavamo, facendo strillare ed arretrare Petunia fino alle altalene. Io ebbi un attimo di terrore, ma mi ripresi abbastanza in fretta, anche se sentivo ancora il cuore battere forte per lo spavento.

Era un ragazzo. Anzi, un ragazzino, di sicuro più piccolo di Tunia, magro ed emaciato. Il suo sguardo era incerto, sembrava quasi pentito di essere uscito. Cosa ci faceva dietro il cespuglio? Mi chiesi lì per lì. Perché non era venuto a giocare? E poi, cosa intendeva dire?

«Cosa è ovvio?» chiesi perplessa.

Il ragazzo si stava strofinando le mani, sembrava agitato. Lo vidi gettare un’occhiata in tralice a Tunia e mi girai anch’io. Stava gironzolando attorno alle altalene, sembrava indecisa se farsi avanti o no. Tornai a guardare quello strano ragazzo. Un cappotto troppo grande lo imbacuccava da capo a piedi, minacciando di farlo inciampare ad ogni passo. Mi chiesi perché non se lo levasse, doveva avere caldo in quella tenuta, ma la sua frase successiva mi fece scordare di chiederglielo.

«Io so che cosa sei» sussurrò nervoso.

Rimasi spiazzata e piegai la testa di lato, come facevo di solito quando ero perplessa. «Cioè?»

«Tu sei… sei una strega» bisbigliò lui a voce così bassa che dovetti avvicinarmi per coglierla.

Arruffai subito il pelo. Strega? Be’, non era proprio un complimento. «Non è una cosa carina da dire» osservai offesa. Mi girai per andare verso Tunia.

«No!» mi fermò la sua voce. Sembrava stranamente disperata, tanto da farmi voltare un’altra volta. Si stava muovendo verso di noi a saltelli, e quello strano, spropositato cappotto gli aleggiava attorno dandogli l’aria di un pipistrello gigante.

Mi aggrappai ad uno dei pali dell’altalena e lo guardai da sotto in su. Chi era quel ragazzo? Cosa poteva volere da me? Tunia sembrava pensarla come me. Aveva afferrato l’altro palo e gli stava riservando il suo migliore sguardo raggelante. Forse perché lui non sembrava affatto badare a lei, non la guardava nemmeno. I suoi occhi, così scuri da sembrare neri, erano fissi su di me, quasi imploranti.

«Lo sei» insistette. «Sei una strega. È un po’ che ti tengo d’occhio. Ma non c’è niente di male. Anche mia mamma è una strega, e io sono un mago.»

La mia prima reazione fu qualcosa alla “poverino, questo è pazzo”. Poi uno scoppio di risa mi fece voltare verso mia sorella.

«Un mago!» gridò baldanzosa, catturando infine la sua attenzione. «Io so benissimo chi sei! Sei il figlio dei Piton! Abitano già a Spinner’s End, vicino al fiume» aggiunse rivolta verso di me. Conoscevo Spinner’s End di fama, e sapevo che era abitato da persone poco raccomandabili. Mi era capitato di andare lì con mamma una volta, ma solo perché uno dei suoi migliori studenti abitava lì e lei era certa che fosse mancato a scuola per problemi in famiglia, ed avevo visto solo delle casette di mattoni tutte uguali, con dei minuscoli cortili davanti sormontate da una grossa ciminiera fumante. E Petunia ne parlava sempre con disprezzo perché lì abitavano le persone che lei e il suo gruppo consideravano “inferiori”. Il suo sguardo infatti era aggressivo mentre si spostava su di lui. «Perché ci stai spiando?» chiese sospettosa portando automaticamente una mano alla piccola borsa in cui teneva gli spicci.

«Non vi spio!» ribatté lui indignato guardando con disgusto il movimento di Tunia. A ben pensarci, non sembrava pazzo. Era solo un ragazzo mingherlino, accaldato e indeciso, anche se nel suo sguardo verso mia sorella si poteva notare un certo sprezzo. «Non te, comunque» disse sdegnoso. «Tu sei solo una Babbana.»

Lì per lì mi chiesi cosa volesse dire, ma era evidentemente un insulto perché il tono era inequivocabile. E nessuno poteva insultare mia sorella! Perciò guardai quel ragazzo con più rabbia. Perché era venuto qui solo per insultarci? Obbedii immediatamente a Petunia quando mi disse perentoria: «Lily, su, andiamo via!»

La seguii lanciando uno sguardo di sbieco a quel Piton. Sembrava infinitamente triste ora che ci guardava andare, e qualcosa dentro di me si mosse.

«Ma chi si crede di essere!» stava borbottando Petunia mentre mi portava a passo di carica verso di casa. «Figlio di un ubriacone, probabilmente è completamente pazzo. Ma hai visto come si vestiva?»

Io annuii automaticamente, anche se la mia mente era mille miglia lontana, tornava al parco giochi ed a quel ragazzo. Tunia diceva che suo padre era un ubriaco e sua madre una casalinga, che lui non usciva mai se non per andare a scuola, e che era uno scandalo che persone del genere venissero accettate alla nostra scuola. Quest’ultima frase mi riscosse. «Viene a scuola con noi?» chiesi stupita.

Lei annuì con malcelato disgusto. «Sì, ha la tua età, è nell’ultima sezione… non te ne sei accorta, è quello che stava scappando oggi! Non che non si meritasse una buona dose di botte… be’, è già pazzesco che l’abbiano fatto entrare! Santo cielo, se solo penso a quel ridicolo cappotto che aveva prima… deve essere un insulto a tutto il vicinato…»

Ma… quello strano ragazzo aveva detto che io ero una strega. Una strega!

Per un momento ci pensai su, anche se la parte più razionale di me diceva che erano tutte assurdità e che quel ragazzo evidentemente non era ancora cresciuto abbastanza. Eppure… essere una strega sarebbe stata la risoluzione a molti, troppi, interrogativi irrisolti che mi ponevo da un po’ di tempo a questa parte. Come facevo ad accendere il fuoco con le mani, a “volare”, a far muovere gli oggetti a mio piacimento?

Però avevo già visto cosa intendevano gli inglesi quando dicevano “strega”. Di solito voleva dire arpia, megera o qualcosa del genere. Sbuffai. Cosa voleva dire quel ragazzo?

«… e se ti avvicina di nuovo, Lily, devi ignorarlo, assolutamente! Non rivolgergli mai più la parola, ok?»

D’accordo, questo faceva un po’ a pugni con la mia idea di chiedergli cosa volesse dire. Be’, potevo sempre farlo all’insaputa di Petunia. Perciò annuii solamente mettendo a tacere la mia coscienza.



ANGOLO AUTRICE

Salute lettori, recensori etc.etc (se ce ne sono xD).

Siamo di nuovo qui, con il secondo capitolo della premessa.

Qualche nota di fine capitolo per farvi sentire più annoiati.


Allora, tutte le spiegazioni locali le ho già date nello scorso capitolo e non ho intenzione di ripeterle, quindi per chi non sapesse cos’è l’Irwell o trovasse strana la presenza di industrie tessili lì intorno si vada a rivedere le precedenti note (oppure vada avanti ignaro, dubito che faccia grande differenza).

Dunque, l’incontro con Piton è, credo, la prima scena che abbia mai scritto di questa storia. Per la precisione, credo risalga a più di un anno fa, anche se poi ci ho aggiunto tutte le premesse e le infiocchettature che avete appena finito di leggere. Mi sono ovviamente basata sulle informazioni date ne “Il Racconto del Principe” in Harry Potter e i Doni della Morte, che nello stendere tutta questa storia è ovviamente stato la mia bibbia. Ora, nel libro non si parla di capriole ma ho pensato di poterci passare sopra. Il dialogo, invece, è riportato praticamente parola per parola.

Ho cercato di rendere il rapporto fra Petunia e Lily come già controverso anche prima del suo ingresso nel mondo della magia, come le due diverse attitudini delle sorelle si manifestassero già da prima dell’avvento di Hogwarts, per quanto non fossero ancora così profondi.

Beagduille è un personaggio che mi sono divertita a inventare quasi per segnare il passaggio fra i tempi “di Will” e quelli “di Severus”, per quanto questi ultimi siano ancora all’inizio. Il suo nome è frutto della fusione delle due parole celtiche “beag”, piccolo, e “duille”, foglia. Insieme, piccola foglia. Non è che una traduzione sgrammaticata, ma mi divertiva dargli un tono più esotico. Grazie a mia sorella me lo sono sempre immaginato come è raffigurato nell'immagine d'inizio capitolo. “Crann” vuol dire semplicemente albero.

Credo che per questo capitolo non ci sia altro.

Alla prossima, lascio spazio a mia sorella.


ANGOLO PUBBLICANTE


Salve a tutti amati e assidui lettori!!

...Cri cri... cri cri...

Ehm... SALVE A TUTTI!

Bene! Non ho la più pallida idea di cosa scrivere dato che tutti i punti trattabili nel capitolo sono stati discussi nell'Angolo dell'Autrice. Ma siccome il mio compito è stare qui e fare scena, mi inventerò qualcosa... Spettacolino di Jazz? Entrata libera...

Ci tengo ad informare i precedenti recensori delle storie di mia sorella che non c'è bisogno che mi informino di chi sono, io so tutto di voi e vi sto osservando... nel senso che prima di accettare questo lavoro ho studiato e quindi so TUTTO!!

Dato che mi sto pendendo di aver accettato perché non ho idea di cosa sto scrivendo passo a rispondere alle recensioni:

  • S_marti_es: non ti preoccupare riguardo alla parte di Hogwarts, arriverà tra un paio di capitoli e Lily si sofferma un po' anche sul comportamento di James. Sono felice che la caratterizzazione di Lily riscontri così tanto successo e non piacciono nemmeno a me quelle FF che la descrivono come una fotocopia di Hemione del passato. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto come il precedente!

    P.S. Sì, si era capito ^.^

  • purepura: il collante per pagine lo vendiamo in saldo al negozio dietro casa, è molto richiesto xD! Will è un personaggio veramente stupendo, ironico e simpatico e vuole molto bene a Lily. Riguardo a Petunia non sei l'unica ad odiarla, anche se poi per me si riscatta un po' negli ultimi libri... resta comunque un personaggio molto precisino e abbastanza odioso, ma ha subito una grande delusione! Le etichette per sorelle sono un'idea che è nata spontanea dai loro caratteri, ma sono comunque geniali! Al prossimo capitolo!

  • lyrapotter: non preoccuparti per il controllo, ti vorrei ricordare che quando tu e Sil stavate chattando io era la sorella idiota che voleva il link degli “orsacchiotti pucciosi”-.- quindi non c'è pericolo. Come ho già detto Hogwarts arriva tra poco e ci sarà da ridere!

    In effetti Lily e Petunia non potrebbero essere più diverse e quindi l'idea di paragonarle a due stati vicini ma diversi ci piaceva molto. Will è ispirato ad principalmente a Sirius anche se ricorda un po' James... non conoscevo il detto ma mi pare che calzi a pennello :D

    Il trasferimento principalmente serviva a quello e quindi lieta che lo scopo sia stato raggiunto e infatti l'attuale incontro con il piccolo Piton è avvenuto senza troppi intralci.

    Silvia Beta mi chiede di dirti: pensavi davvero che ti avrei abbandonata? Dopo tutto quello che c'è stato tra noi?

  • malandrina4ever: so perfettamente chi sei e ho sempre amato le tue recensioni, infatti ho inviato a Sil quella a Forse un Angelo perché era troppo bella! La apprezzata molto e mi ha detto di salutarti e che non ti devi sforzare troppo a lucidare il trono che poi si consuma diventando di un fuori moda indaco.

    Figurati! A me piace farlo anche se sono abbastanza negata e non so mai cosa scrivere. Grazie per tutto e modestamente questa storia è veramente perfetta!


Bene! Considerando la fatica che mi è costata rispondere a queste quattro recensioni tremo al pensiero di cosa accadrà dopo! Quando i lettori si accavalleranno per scrivere recensioni e ci saranno pagine e pagine di complimenti...

AAAAAAAAAAAAAAAAAAHH!! So che succederà... ma io non sono pronta per questo! SONO TROPPO GIOVANE PER IMMOLARMI SU UNA FF!!!

Bene! Dopo aver dato fondo alla mia demenza vado a fare matematica -.- le dannatissime equazioni fratte mi perseguitano già dopo due ore di lezione.

Ci vediamo tra due settimane!!




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Capitolo 4
*** Capitolo III - Un Amico ***


Premessa: prima di scuola


Capitolo III – Un Amico


 

Nonostante non l’avrei ammesso con nessuno, se non forse con Beagduille, le parole di quello strano ragazzo mi erano rimaste in testa e continuavano a tornare nei momenti meno opportuni. Sei una strega… “Strega” era una parola che avevo sempre considerato del ramo “cattivo” della magia. Una strega era una persona che usava i suoi poteri solo per sé stessa, per gabbare o addirittura fare del male agli altri… Eppure…

Continuavo a pensarci mentre, sul mio albero, continuavo a far muovere le foglie a un tocco delle mie dita, o ad accendere un fuocherello per continuare a leggere se il cielo si oscurava o le foglie nascondevano troppa luce… sei una strega… ne parlai con Beagduille più volte, mentre ci arrampicavamo insieme fino ai rami più alti per godere di una visuale migliore sul nostro quartiere. Per lui la cosa non aveva grande importanza: diceva sempre che la magia era dappertutto, che non c’era bisogno di un genio per capire che io ne avevo, e che esistevano anche streghe buone. Io obbiettavo che quelle erano fate, e lui rispondeva che le fate in realtà erano vanitose e stupide, le streghe erano molto più interessanti. Però restava il fatto che ormai ero troppo grande per credere veramente alla magia, sebbene non riuscissi a spiegarmi gli strani… fenomeni?… che riuscivo a causare. Ma una strega… era troppo da accettare, persino per me.

E poi quel ragazzo, che con quella sua frase continuava a tornare a intervalli scomodi nella mia testa, mi era del tutto estraneo, non l’avevo mai visto né ci avevo mai parlato. Come faceva lui a sapere se ero o meno qualcosa, quando a malapena ne ero consapevole io stessa? Mi lambiccai per parecchio tempo su quello che poteva voler dire, fino a quando non giunsi alla conclusione che la cosa migliore da fare era cercare lui direttamente e chiedergli spiegazioni, alla faccia di Tunia che non voleva.

Nei giorni seguenti cercai diversi stratagemmi per poter parlare con lui, ma l’occasione non si presentò fino a due settimane dopo. L’avevo visto correre via inseguito da alcuni dei bulli di quartiere che Petunia e il suo gruppo continuavano a lecchinare ed avevo notato che non aveva con sé la borsa. Così, mentre Tunia e gli altri guardavano fuori, ero rimasta indietro con una scusa ed ero tornata nella sua classe per prenderla. Il suo posto era accanto alla cattedra, l’unico che non fosse già vuoto, e i suoi quaderni, sebbene spiegazzati e macchiati in alcuni punti, erano scritti con una precisione maniacale. Incuriosita, guardai alcune delle pagine di quella che evidentemente era matematica e mi accorsi che i risultati alle operazioni erano tutti corretti, esatti, e senza un solo segno di cancellatura. Che fosse un… come aveva detto che si chiamavano, mio padre?… autista? Autistico? Una cosa del genere, insomma. Però papà diceva che avevano reazioni anormali ad ogni situazione, che vedevano le cose da un altro punto di vista, mentre lui mi sembrava comunque ragionare con la nostra mentalità. Mi riscossi e rimisi le sue cose nella borsa appesa allo schienale della sedia, che sembrava essere servita come scudo per diverse difese accanite.

Tralasciando ulteriori dettagli, mi diressi all’uscita. Avevo detto a Tunia di non aspettarmi, che alcune amiche mi avevano invitata per un giro, e lei, sebbene chiaramente scettica, si era avviata verso casa, o forse verso casa di alcune sue amiche, con le altre ragazze. Probabilmente non le dispiaceva l’idea che la sua sorellina rompiscatole la lasciasse un po’ in pace. Quindi presi la bici e, dopo averci messo dentro sia la mia che la sua borsa, cominciai a pedalare.

Il problema è che non ero sicura di dove si fosse diretto. Fu solo per un colpo di fortuna se alla fine lo trovai, parecchio lontano dalla scuola, vicino ad un albero seminascosto. Parcheggiai la bici lì vicino e mi diressi verso di lui, che al rumore dei miei passi alzò la testa di scatto, lo sguardo vigile, ma parve rilassarsi quando si accorse che ero io.

Avevo deciso di essere il più diplomatica possibile, così sorrisi e gli porsi la borsa. «Tieni» dissi porgendogliela. «Ho pensato che ti facesse più comodo averla.»

Il suo sguardo era… indecifrabile. Sembrava indeciso se prendere la borsa ringraziando o se considerare tutto uno scherzo. Alla fine tese la mano anche lui, tendendo le labbra sottili in un sorriso stirato. Io allargai il mio per incoraggiarlo.

«Grazie…» mi disse lui indeciso. Sembrava ancora aspettarsi qualche trucchetto nascosto.

Risi leggermente. «Tranquillo, non ci ho nascosto un serpente, sai?»

Funzionò: il suo sorriso perse l’aria tirata e divenne molto più naturale, come i suoi movimenti, meno impacciati. Mi ricordava comunque un ragno, ma non importava, era solo un ragnetto spaventato. Forse era simpatico.

«Ho visto che sei bravo a scuola» dissi per rompere il silenzio che si era formato.

Lui rispose con una strana smorfia. «Sì, qui sì» disse. «Ma per quello che vale…»

«A me sembra importante andare bene a scuola» obbiettai. «I miei sono insegnanti, dicono che è sui banchi che si formano le persone migliori…»

«Io non sono fra loro» borbottò lui guardandosi i piedi, che calzavano scarpe a occhio qualche numero più grande del suo.

«E che ne sai?» chiesi mentre cominciavamo a camminare. «E poi sei sempre in tempo per diventarlo, no?»

Lui taceva, ma era evidente che stava soppesando le mie parole. «Anche tu vai bene» buttò lì ad un certo punto. Ma non era una domanda.

«Come lo sai?» chiesi un po’ stupita.

«Abbiamo la stessa insegnante di lettere» disse dopo un attimo di silenzio. «Ci ha letto uno dei tuoi temi in classe, per mostrarci un corretto uso degli aggettivi ed una buona fluidità linguistica.»

Mio malgrado, arrossii. Ero lusingata sia della stima della signorina Reynolds che dall’evidente ammirazione che traspariva dai suoi occhi scuri.

«Senti» disse dopo un po’ fermandosi di botto. «Grazie, davvero. Non volevo essere scorbutico, è solo che…»

«Ehi, tranquillo» lo interruppi io prendendogli una mano. «È tutto a posto.»

Lui tacque, ma il suo viso olivastro assunse una leggera sfumatura rosata. Io gli lasciai andare la mano, arrossendo appena anch’io. «A proposito, io sono Lily Evans» dissi tendendogli la mano con aria fintamente ufficiale.

Lui rimase per un attimo indeciso, poi la strinse. «Severus Piton» disse piano.

«Molto piacere, Severus.»

Rimanemmo in silenzio per un altro po’, continuando a camminare.

«Senti» dissi alla fine decidendo di mettere le carte in tavola, «cosa… cosa stavi dicendo l’altro giorno, al parco giochi?»

E fu da allora che cominciò la nostra amicizia. Lui mi mostrò alcune delle magie che era in grado di compiere e mi spiegò tutto quello che sapeva sul mondo nascosto in cui, a quanto pareva, sarei presto entrata. Superai a piè pari la fase dello scetticismo, perché ogni parola che diceva collimava con le domande che ero solita pormi, e poi perché sembrava tutto una fiaba stupenda. Anche se stava mentendo, anche se era matto, il gioco valeva la candela. Perché le storie che raccontava erano meravigliose, mi parlava della storia dei maghi, di quando, intorno al 1600, i maghi erano entrati in clandestinità, e soprattutto mi parlava di Hogwarts, la scuola di magia a cui entrambi saremmo andati, mi parlava della sua storia, delle sue materie, dei suoi professori. Un paio di volte, sottraendoli alla custodia della madre, che appresi essere una strega sposata ad un Babbano, cioè un non-mago, mi portò alcuni dei suoi vecchi libri di scuola, che ci divertimmo a sfogliare insieme in alcuni degli infiniti pomeriggi che passavamo insieme, sulle rive dell’Irwell o nei campi poco fuori dalla nostra scuola.

Per me fu un nuovo inizio, l’inizio di una fase della mia vita che non si sarebbe conclusa prima di molti anni.

Avevo di nuovo un amico, uno in carne ed ossa, che si sostituì gradatamente a Beagduille fino a quando questo non sparì del tutto, un amico con cui potevo condividere i miei sogni, i miei dubbi e le mie speranze, e con cui, soprattutto, potevo parlare senza timore di essere presa per pazza o infantile. Con Severus non capitava mai: se gli mostravo una nuova magia che avevo appena scoperto, non si spaventava né mi guardava ostile, ma anzi si entusiasmava e mi faceva i complimenti, provando immediatamente a replicarla. Fu il solo essere vivente che condussi con me a Crann, anche se era evidente che non era molto pratico di alberi. Ma io salii e gli tesi la mano per aiutarlo, e da allora quello divenne uno dei nostri rifugi preferiti. Di fatto era una specie di nuovo Will, finalmente una persona con cui potevo sfogarmi ed essere me stessa senza nessuna remora, con cui potevo parlare di tutto quello che mi passava in mente perché ero sicura di vederlo interessato e che per di più mi spiegava tantissime cose, mi apriva letteralmente un mondo davanti agli occhi. Abbandonai i folletti e le fate per passare alle creature che c’erano sui libri di cui riusciva ad impossessarsi, come gli ippogrifi, le acromantule e gli unicorni.

Né i miei genitori né tantomeno Petunia sapevano inizialmente con chi passassi le giornate, ma vedendomi arrivare sempre più felice ed eccitata credettero che avessi finalmente trovato un’amica, e io non feci mai nulla per fargli cambiare idea.

Fu solo parecchio tempo dopo, quando mia madre mi invitò a far venire a casa nostra chiunque volessi, che mi aprii con loro. Non avevo mai accennato con loro a quella che, ora lo sapevo, era la mia magia, e quindi per loro inizialmente fu uno shock: decisamente l’ultima cosa che si sarebbero aspettati, soprattutto considerando che avevano visto il mio passaggio alla razionalità e quindi non mi credevano più capace di fantasie che considerassi ancora “reali”. Gli raccontai tutto per filo e per segno, dandogli alcune dimostrazioni della mia magia e parlandogli di tutto quello che Severus mi aveva raccontato.

La loro prima reazione fu decisamente incredula. Mi accusarono di dire sciocchezze e fu solo quando dalla frustrazione feci levitare il tavolino del salotto che cominciarono a credermi.

Inizialmente non la presero bene. L’idea che esistesse un intero mondo nascosto ad ogni angolo, e ancora più che io ne facessi parte, era tale da lasciarli costernati. Quando poi seppero dalle mie confuse spiegazioni di Hogwarts e capirono che sarei andata a studiare per sette anni in una boarding school di magia rifiutarono recisamente di accettarlo e dissero che non potevo andare senza che nessuno sapesse niente di questa scuola.

Ci misi più di un mese per farli abituare all’idea, e ancora di più per strappargli la promessa che almeno ci avrebbero pensato.

Quella che non avrei mai potuto prevedere fu la reazione di Petunia. Ovviamente avevo raccontato anche a lei tutto, e mano a mano che il racconto proseguiva vedevo il suo viso contrarsi sempre di più, farsi sempre più duro ed astioso. La sua posizione era innaturalmente rigida, e quando finii di parlare disse soltanto: «Sono tutte bugie! La magia non esiste, e tu sei solo una sciocca ragazzina che ha dato retta ai vaneggiamenti di un pazzo!»

Il tono era talmente velenoso che indietreggiai come se mi avesse tirato uno schiaffo. «Tunia, cosa stai dicendo?»

«Proprio non lo capisci, vero, stupida?» rispose Petunia avanzando verso di me e facendomi indietreggiare spaventata. «Ti sta mentendo, vuole solo una scusa per poter restare con te, visto che non ha uno straccio di amico e si sarà accorto che tu hai un cuore troppo tenero.»

«E questo cosa pensi che sia, Tunia?» urlai furibonda mentre, a comando delle mie dita, il suo cuscino si sollevava e veniva verso di lei.

Lì per lì mi divertii quasi allo spettacolo: mia sorella cacciò un urlo parecchie ottave al di sopra delle possibilità di un normale essere umano e cercò di allontanarsi il più possibile dal cuscino, accucciandosi nel davanzale della finestra e tenendolo a distanza mulinando le mani. «Smettila, smettila!» strillava.

Uno schiocco di dita, e il cuscino cadde a terra, innocuo, e lei si sollevava ancora pallida. «Non farlo mai più, strega!»

Ciò detto, mi voltò le spalle mentre io cominciavo a richiamarla, inorridita da ciò che avevo fatto, ed uscì dalla stanza quasi di corsa. Non mi rivolse la parola se non lo stretto indispensabile per tutta la settimana successiva.

Io ne avevo parlato con Severus un giorno, ma lui non sembrava vedere la cosa dalla mia stessa ottica. Mi stava spiegando con grande entusiasmo alcune delle leggi magiche.

Eravamo seduti in un boschetto vicino all’Irwell, e lui mi guardava con solennità mentre diceva: «Il Ministero può punirti se fai magie fuori dalla scuola, ti mandano delle lettere e se succede più volte ti espellono.»

«Ma io le ho fatte!» esclamai, subito preoccupata di non poter andare in quel meraviglioso posto che era Hogwarts.

«Noi siamo a posto» mi spiegò lui con pazienza. «Non abbiamo ancora la bacchetta. Ti lasciano stare, quando sei un bambino e non puoi farci niente. Ma a undici anni cominciano ad istruirti, ed allora devi stare attento.»

Bacchetta magica… non so cosa avrei dato per averne una. Chissà com’era… presi uno dei rametti sparsi attorno a noi e lo agitai, quasi aspettandomi di vedere delle stelline uscire dall’estremità. Poi feci un sospiro profondo e tornai a guardare il mio compagno. «Non è uno scherzo, vero?» chiesi, un po’ incerta. «Petunia dice che sono tutte bugie. Dice che Hogwarts non esiste.» Sospirai di nuovo. «Ma invece sì, vero?»

«Esiste per noi» mi spiegò lui strappando dei ciuffetti d’erba. «Non per lei. Ma noi riceveremo presto una lettera, io e te.»

«Sul serio?»

«Certo» annuì lui con solennità.

Io ci pensai su. «E arrivano davvero con un gufo?»

«Di solito sì» rispose Severus. «Ma tu sei figlia di Babbani, quindi dovrà venire anche qualcuno della scuola a spiegarlo ai tuoi genitori.»

«Gliene ho parlato un po’ di tempo fa, e credo siano ancora convinti che sia tutto uno scherzo» confessai giocherellando con il rametto. Poi mi venne un dubbio. «È diverso se si è figli di Babbani?»

Lo vidi esitare. Il suo sguardo sembrava esaminare ogni dettaglio del mio aspetto, come per valutare la risposta.

«No» dichiarò infine. «Non lo è.»

Trassi un sospiro di sollievo. «Meno male» commentai.

«Tu hai un sacco di magia, sei una strega potente» disse lui con foga. «Ho visto come la controlli, è raro per la nostra età, e io ti guardavo sempre…»

La voce si affievolì sulle ultime parole. Non volevo metterlo in imbarazzo, quindi mi sdraiai sull’erba fingendo di non aver sentito l’ultima parte. Rimanemmo così per un po’, in uno di quei silenzi che erano parte integrante della nostra amicizia ma che non disturbavano né me né lui.

«Come vanno le cose a casa tua?» gli chiesi alla fine. Da alcuni suoi accenni piuttosto confusi, mi era risultato evidente che suo padre non aveva preso bene la notizia di aver sposato una strega quando sua madre gliel’aveva detto, e da allora c’erano stati sempre più litigi e incomprensioni.

Ci fu un impercettibile attimo di silenzio prima che lui rispondesse: «Bene.»

Mi girai verso di lui. «Non litigano più?» chiesi cercando i suoi occhi.

«Oh, sì, litigano» ribatté lui con amarezza, seguendo il movimento delle proprie mani che avevano preso a strappare alcune delle foglie cadute. «Ma tanto fra poco me ne andrò.»

«A tuo papà non piace la magia?» chiesi cercando di isolare il problema.

Si strinse nelle spalle. «A mio padre non piace praticamente niente.»

«Severus?» chiesi per cambiare argomento visto che si era incupito.

Fu la parola magica: sorrise e l’espressione aggrottata sparì dalla sua fronte. «Sì?»

«Puoi parlarmi ancora… dei Dissennatori?» domandai inventando sul momento.

«Perché?»

E ora cosa potevo dire? «Be’, se uso la magia fuori dalla scuola…»

«Non ti daranno ai Dissennatori per questo!» esclamò lui inorridito alla sola idea. «I Dissennatori sono per chi fa cose veramente gravi. Sono le guardie della prigione dei maghi, Azkaban, ma tu non potresti mai finirci, sei troppo…»

Si interruppe arrossendo e prese a strappare le foglie con più rabbia di prima. Io lasciai cadere il discorso, quando un fruscio alle nostre spalle ci fece voltare entrambi: dietro un cespuglio c’era Petunia, che aveva evidentemente seguito la conversazione da lì dietro.

«Tunia!» esclamai tirandomi su verso di lei. Ero contenta di vederla, forse così avrebbe accettato quello che ero.

Ma Severus reagì diversamente: saltò in piedi arrabbiato e le sputò contro: «Chi è adesso la spia? Che cosa vuoi?»

Ero inorridita: il mio migliore amico e mia sorella si guardavano come se solo la mia presenza gli impedisse di saltarsi al collo. Tunia era arrossita violentemente, ma non si era arresa. Il suo sguardo vagò sui suoi vestiti e disse con sprezzo: «Che cos’è che hai addosso? La camicetta di tua madre?»

Un rumore secco le fece alzare la testa giusto per vedere un ramo spezzarsi e caderle addosso.

Io balzai in piedi atterrita mentre lei scoppiava a piangere e fuggiva via.

«Tunia!» cercai di richiamarla. Ma ormai era fuori dalla mia visuale. Mi voltai furiosa verso Severus. «Sei stato tu?!»

«No» mi rispose lui arrogantemente, anche se sembrava un po’ spaventato.

«Sì invece!» esclamai io arrabbiata e ferita. «Sei stato tu! Le hai fatto male!»

«No… no, non sono stato io…» Ma era chiaramente sulla difensiva.

Lo guardai cercando di trattenere le lacrime e corsi dietro Petunia per scusarmi con lei. Ecco una delle stonature più evidenti nella mia nuova vita: Sev e Tunia non si potevano sopportare. Se potevano, evitavano anche di vedersi. Non riuscivo a capire bene quale fosse il problema, ma mi sembrava che entrambi avessero un sacco di pregiudizi l’uno verso l’altra, Sev perché Tunia era una Babbana e Tunia perché Sev veniva da una famiglia “poco raccomandabile”. Solo che mentre Sev non ne parlava mai, cercando semplicemente di scansare l’argomento, Tunia molte volte mi guardava con rabbia e mi diceva di lasciarlo perdere, che una persona del genere mi avrebbe solamente riempito la testa di idiozie nate dalla sua mente malata e che alla prima occasione mi avrebbe fatto male. Soffrivo per quella situazione, ma non era mai successo niente di così grave come quel pomeriggio. Era la primissima volta che si ritrovavano faccia a faccia o quasi, di sicuro la prima che si rivolgevano la parola da quel giorno nel parco giochi, e gli effetti di quell’incontro non mi piacevano. Neanche un po’. Quindi corsi dietro Tunia a tutta velocità, rimpiangendo il fatto di non essere venuta in bici e quindi di essere più lenta.

Quando la trovai, era già a casa e si era messa un blocco di ghiaccio sul bernoccolo e stava snocciolando a mia madre il racconto di tutto ciò che era successo, ingigantendo l’incidente tanto da farmi passare da sorella partecipe a strenua paladina di Severus. Infatti, sebbene fossi arrabbiata con lui per aver fatto male a mia sorella, mi rendevo conto che quando ci arrabbiavamo non riuscivamo a controllarci bene, l’avevo sperimentato sulla mia pelle, e la provocazione era stata forte, perciò sapevo che non era del tutto colpevole, e l’ipocrisia di Tunia, che da quello che raccontava sembrava appena uscita da uno scontro con una specie di orco in miniatura malvagio e perverso, mi fece infuriare.

Fu la prima volta in assoluto che litigammo così seriamente, giungendo vicino ad accapigliarci. Ne stavo soffrendo enormemente, soprattutto per l’espressione acida che Tunia aveva stampata in viso. Alla fine dovette intervenire nostro padre per dividerci, ma a quel punto io corsi in camera mia e mi buttai sul letto scoppiando a piangere.

Poco dopo mi raggiunse mio padre e mi chiese cosa fosse successo. Io lo abbracciai e gli raccontai tutto, cercando il suo conforto. Sembrava titubante.

«Lils, tesoro mio, questo tuo amico… è una brava persona?» mi chiese alla fine.

Io tirai su la testa. «Sì! È una persona molto migliore di come non potesse essere, visto tutti i problemi che ha avuto in famiglia, ma è buono! Solo che… solo che non riesce a giostrarsi bene con le persone! È tanto introverso, credo che abbia un po’ paura… o che si senta estraniato… o…»

«Perché ha colpito Tunia?»

Io tirai su col naso. «Non ha fatto apposta, papà, non riusciamo ancora a controllare bene… la nostra magia.» Lo guardai di sottecchi. «Non è facile, sai, se ci arrabbiamo poi è praticamente impossibile controllarsi… va da sola!»

Lui annuì mordendosi le labbra. «Lils, è possibile che faccia del male anche a te?»

Io scossi con foga il capo. «No, papà, no! È quasi un anno che ci frequentiamo e non mi ha mai fatto niente! Ma neanche a Tunia avrebbe fatto niente se lei non gli avesse detto… quello che ha detto!»

«Cos’ha detto?» chiese lui facendomi sedere sulle sue ginocchia.

Io lo abbracciai. «Lo ha… lo ha cominciato a prendere in giro.» Tacqui un attimo cercando di bloccare le lacrime, odiavo piangere. «Vedi, la sua famiglia non ha… tanti soldi, e quindi si mette più che altro vestiti smessi. Tunia ha cominciato ad insultare i suoi vestiti, e lui è sensibile su cose del genere, quindi si è arrabbiato, e…»

«D’accordo, tesoro, calmati!» disse lui interrompendo il flusso di parole che stava fuoriuscendo dalla mia bocca. «Mi fido di te, Lils, so che sei troppo schizzinosa per non stare con una persona a posto.» Mi guardò con un grosso sorriso. «La mia piccola principessa.» Poi tornò triste. «Cerca di essere buona con Tunia, d’accordo? Credo che… stia soffrendo molto con tutta questa storia, sai… magia e simili.»

«Ma tu mi credi, vero papà?» gli chiesi guardandolo attentamente.

Lui sorrise di nuovo. «Io credo che tu sia una bambina davvero speciale. E credo anche» aggiunse mentre sia alzava tenendomi in braccio, «che se non andiamo a cena subito la mamma si arrabbierà molto.»

Dopo questa chiacchierata riuscii a recuperare la mia pace mentale, ma non riuscii a riconciliarmi con Tunia. Mi evitava, non mi parlava più, se entravo in una stanza lei era sempre la prima ad uscire.

Io per ripicca, dopo i primi tentativi andati a vuoto, decisi di non parlarle più e di passare tutto il mio tempo libero con Severus. Un giorno lo portai anche a casa per farlo conoscere ai miei, ma lui era estremamente impacciato e riuscì a sciogliersi solo dopo che Tunia ebbe lasciato la stanza disgustata. I miei genitori furono entrambi molto gentili e nessuno dei due mi ripeté più che forse frequentarlo era pericoloso. Ne uscii molto soddisfatta.

E lo fui ancora di più quando, a luglio, arrivò la mia lettera da Hogwarts accompagnata da niente di meno che la vicepreside, la professoressa Minerva McGranitt. Era una donna alta e secca, dal naso pronunciato e lo sguardo severo, che si presentò ad i miei genitori e rimase alquanto sorpresa quando seppe che sapevamo già molto cose. Interrogata, le spiegai della mia amicizia con un altro mago della zona, al che lei annuì e tornò a spiegare tutte le sfaccettature di una permanenza ad Hogwarts.

Si offrì anche di accompagnarmi ad acquistare tutto il necessario, ed i miei genitori acconsentirono a patto di accompagnarci.

«Temo che non sarà possibile per entrambi» rispose la professoressa. «Il modo più veloce per arrivare è la Materializzazione – nel nostro mondo è chiamato così il potere di poter sparire e riapparire in due posti diversi in pochi secondi – e io non posso portare con me più di due persone.»

I miei erano titubanti. «Non sarebbe possibile usare mezzi più… convenzionali? Che so, una macchina, o un treno…»

«Forse, ma abbiamo poco tempo» ribatté lei estraendo un orologio da taschino e guardandolo. «E come avete potuto vedere le cose da comprare sono parecchie.» Li guardò attraverso gli occhiali. «Posso accompagnare uno di voi, signori, assieme alla signorina Evans.»

I miei si guardarono un attimo. Entrambi sembravano indecisi su chi dovesse accompagnarmi. Alla fine mia madre disse: «Caro, forse è meglio se vai tu.» Lo guardò sorridendo. «In fondo sei sempre stato tu quello che credeva nella magia… E poi forse è meglio se io rimango con Petunia. Ha bisogno di me per accettare il fatto.»

Lui rise ad accettò sprizzando gioia da tutti i pori: era chiaro che la proposta era proprio quello che sperava. Perciò, dopo aver preso un braccio della professoressa McGranitt attendemmo di assistere alla prima vera magia “matura” che ci fosse mai capitato di vedere. Fu una sensazione indimenticabile: come venir pressati in un tubo di gomma troppo stretto a tempo indefinito.



ANGOLO AUTRICE

Ave a tutti, vivi e morti, belli e brutti, che hanno letto questo capitolo.

Potete come sempre saltare queste note e passare subito all’angolo ringraziamenti di mia sorella, o potete farvi due p… ehm, scatole così leggendo quelle tre idiozie che devo con certosina precisione puntualizzare.


Dunque, come avete letto il capitolo è incentrato sull’inizio dell’amicizia fra Lily e Severus, e la conclusione brusca è dovuta ad un fatto che avevo già indicato nell’introduzione, e cioè che inizialmente tutta la storia era formata da un unico capitolo.

Ho leggermente ampliato il dialogo rispetto a come lo troviamo ne “La storia del Principe”, ma spero che la cosa non crei troppo disturbo.

Quanto al fatto che fosse la McGranitt ad accompagnare Lily, ho pensato che probabilmente per spiegare le cose ad una famiglia come quella di Lily, che quindi non doveva sapere assolutamente niente di magia (contrariamente ai Dursley, che invece si dava per scontato sapessero già tutto), sarebbe stato più saggio mandare un soggetto meno… diciamo impressionate di Hagrid. Con rispetto per Hagrid parlando, ma secondo me può fare davvero impressione a persone non preparate. La McGranitt invece era probabilmente già vicepreside all’epoca (io l’ho considerata tale, almeno) e a quanto risulta in Harry Potter e il Principe Mezzosangue era Silente, insegnante di Trasfigurazione e probabilmente vicepreside, che si occupava di informare i ragazzi provenienti dal mondo babbano e le loro famiglie, qualora ne avessero, di Hogwarts (come nel caso di Tom Riddle). Quindi mi sono attenuta a questa teoria.

Per il resto, nient’altro di particolare, non mi sono potuta abbandonare troppo all’introspezione dei vari personaggi perché Lily ha comunque undici anni ed è lei che narra l’azione (e pur facendolo dal futuro la visuale è filtrata dalla percezione di allora u.u).


Quindi, saluti a tutti e grazie a quanti si sono presi la briga di recensire, aggiungere la storia a preferite/seguite/da ricordare e a quanti stanno semplicemente leggendo (se presenti, ovviamente). Non posso parlarvi direttamente, ma sinceramente grazie!

E ora lascio spazio alle risposte alle recensioni.

ANGOLO PUBBLICANTE

HI! Assecondiamo la Globalizzazione e salutiamo in English!

Mi scuso per il ritardo di un giorno, ma ieri ero in viaggio e quindi impossibilitata di aggiornare, avrei potuto avvisarvi, ma non lo sapevo nemmeno io xD So che non è una scusa... ma voi siete persone sagge e comprensive e non mi lincerete vero? Glascie!

Allora! Passiamo alle faccende UTILI e IMPORTANTI al fine del mio discorso: inizierei subito col ringraziare le 10 persone che hanno aggiunto la storia tra le seguite e le 2 che la preferiscono! Grazie di esserci e se qualche volta volete lasciare un commento, non siamo persone tirchie e malevole e quindi vi faremo entrare nel nostro esclussivissimo Club dei Recensori! (Magari potreste anche portare idee innovative per il nome del Club -.-).

Passo ora a rispondere ai nostri già colleghi del Circolo:

  • A malandrina4ever: diciamo che la loro amicizia si svilupperà sempre di più nel corso della storia e questo capitolo ne parla parecchio. Petunia è comprensibile, ma comunque detestabile, concordo con te, ma dato che viene descritta in questo modo non possiamo migliorarla, anzi! Diventa sempre più detestabile nel corso della storia -.- (E la cosa NON è facile!) Secondo me per quanto riguarda Piton cerca di difendersi, credo che nella sua ottica distorta sia anche colpa sua se Lily ha accettato di andare a Hogwarts e quindi lo detesta e il loro odio aumenta a dismisura. Concordo su Lily, è una bambina veramente speciale!

    Tu mi fai recensioni serie, io rispondo seriamente, ecco! Per curiosità... cosa diavolo è un “fungo huacciuhuari”? Non credo sia qualcosa, ma non si finisce mai di imparare...

    P.S. In bocca al lupo con la fenice, magari Silente ne ha un paio di riserva! Altrimenti prova il pratico flacone “Fenix” della Fenix&Co. xDxD

    P.P.S. Mica pensavi di essere l'unica a dover riportare la risposta alla recensione ad un livello sufficientemente idiota vero?


  • A purepura: è questo il fatto! Loro ci hanno anche parlato, ma è lei che è un'ottusa imbecille! A MORTE, A MORTE!

    Ok... sfogo inutile a parte, credo che anche io mi sentirei così se improvvisamente la mia sorellina piccola (in questo caso io, considerando che sono la minore xD) partisse per un mondo magico a cui io non avrò mai accesso, le maggiori devono sempre aver già fatto tutto! È uno dei loro tanti compiti... (Non me ne vogliano le sorelle maggiori, le stimo e trovo che siamo molto utili *_*)

    Grazie mille per i complimenti! Ci sentiamo alla prossima!

  • A lyrapotter: salve a te sorella di spirito della mia sorella normale! (pare 'no scioglilingua!). Non può esistere un rapporto tra sorelle senza un po' di sane pestate, ma questo non significa che poi non ci si debba più rivolgere la parola per tutta la vita! Si fa la pace e si risolve tutto! Magari anche DUE giorni senza parlare, ma poi scleri! O almeno questo per quanto riguarda me...

    Per la mia felicità, Prudence è stata ispirata ad una mia vera compagna di classe, il suo comportamento era VERAMENTE così e concordo che ispiri le randellate in testa! Anche qualcosa di più permanente e doloroso -.- la cosa assurda, è che era veramente popolare! Tutti le baciavano i piedi! Mah! Misteri...

    Il triangolo Lily-Piton-Petunia proseguirà ancora per un bel po' di chap e diciamo che la situazione non sarà delle più rosee xD

    çç... çç... °-°... Una persona mi vuole veramente chiamare “sorellina d'adozione” senza avermi mai parlato! Ti Voglio Tanto Bene! Io ti chiamerò... mumble mumble... S³ (Saggia Sorella di Spirito)! Nome veramente ridicolo, ma adatto xDxD


Sono molto felice di come la gente apprezzi la storia! È un po' come un tributo alla mia Sorella Americana!

Adesso dirò una di quelle inutili frasi di circostanza che rendono l'atmosfera più formale...

Grazie di essere stati con noi! Vi auguriamo un piacevole soggior... OPS! Sbagliato circostanza...

Spero di ritrovarvi tutti qui! Alla prossima puntata!!

(Come sono squallide le frasi di circostanza...)

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Capitolo 5
*** Capitolo IV - Diagon Alley ***


Premessa: prima di scuola


Capitolo IV – Diagon Alley

Quando finalmente arrivammo, fu solo grazie a mio padre, che mi afferrò al volo da sotto le ascelle, che non caddi per terra.

La professoresse McGranitt ci guardò attraverso i suoi grossi occhiali e si limitò a dire: «Può avere uno strano effetto la prima volta.»

Si diresse velocemente attraverso il locale in cui eravamo atterrati, che sembrava una sorta di pub buio e non particolarmente pulito che ospitava clienti fra i più strampalati: da strane vecchie dai capelli stopposi, il cappello a punta simile a quello che io avevo indossato lo scorso Halloween e delle unghie di almeno cinque centimetri a uomini dal viso bitorzoluto e completamente pelato vestiti in modo estremamente eccentrico. Per non parlare poi dello strano personaggio all’angolo, completamente ricoperto di bende a mo’ di mummia se non per una fessura all’altezza della bocca da cui beveva una strana sostanza fumosa.

La mano di mio padre, ferma sulla mia spalla, si stava contraendo appena alla vista di tutti quegli strani personaggi, ma la professoressa McGranitt procedeva come se non esistessero facendoci strada verso un’altra porta.

«Professoressa! Che piacere vederla!» esclamò quello che probabilmente era il barman. «Un’Acquaviola piccola, al solito, Minerva?»

«No, Tom, la ringrazio» rispose lei spiccia senza fermarsi. «In questo momento sono in servizio per Hogwarts.»

Lo sguardo dell’uomo si calamitò irresistibilmente verso di noi. «Oh! Nuove acquisizioni?» chiese sinceramente curioso guardandomi. «E belle acquisizioni, anche!» aggiunse compiaciuto. «Oh, spero che ci rivedremo ancora, signorina…?»

«Evans» risposi io automaticamente. Nonostante non lo conoscessi, mi piaceva quell’uomo. «Lily Evans.»

«Bene, signorina Evans, è stato un vero piacere» commentò lui continuando a guardarmi. «E un grande piacere anche conoscere lei, ovviamente» aggiunse cortese guardando mio padre, che era ancora leggermente circospetto.

«La ringrazio, signor Tom» risposi io sorridendo.

Anche lui sorrise, mettendo in mostra la bocca sdentata. «Solo Tom, signorina Evans» ridacchiò. «Signore non è un termine che mi si addica.»

«Signor Evans, signorina Evans, da questa parte, per favore!» ci richiamò la voce della professoressa McGranitt.

Con un ultimo cenno di saluto a Tom, mio padre mi guidò inesorabilmente verso la porta, anche se io tornavo a girarmi spesso verso quel mio primo contatto con il mondo della magia.

Ci ritrovammo in un angusto spazio pieno di bidoni di fronte ad un muro di mattoni, e per qualche secondo mi chiesi cosa mai dovessimo fare lì. Poi la professoressa tirò fuori quella che presupposi essere la sua bacchetta e colpì un mattone poco sopra uno dei cestini. Poi altri due.

E con nostro grandissimo stupore si aprì un arco capace di farci comodamente passare tutti e tre. Solo che mentre la McGranitt si fece avanti subito, io e mio padre rimanemmo per un po’ a guardare stupefatti quello strano miracolo. Ma niente in confronto allo stupore che provammo quando guardammo oltre l’arco.

Eravamo appena sbarcati in una viuzza su cui si affacciavano i negozi più affascinanti del mondo. Da una parte all’altra della strada c’erano più vetrine che nel centro di Dublino e un’incredibile quantità di persone vestite tutte in modo simile con quelle strane, lunghe vesti che gli coprivano completamente il corpo. Effettivamente, io e mio padre sembravamo un po’ fuori posto, lui in jeans e polo e io con un vestito bianco crema.

Guardandomi attorno potei notare alcune esposizione di strane pentole – che appresi dal cartello chiamarsi “calderoni” – di varie dimensioni, poi un enorme negozio pieno di tutti i tipi di gufi e famiglia, altri ancora con abiti simili a quelli indossati da tutti, un altro che vendeva manici di scopa ed era fra i più frequentati…

Ogni tanto mio padre richiamava l’attenzione su alcuni dei passanti o su altri negozi, e la professoressa McGranitt, pur senza girarsi, ci spiegava i vari usi dei materiali esposti e ci elencava quelli che sarebbe stato più urgente procurarsi.

Per prima cosa, tuttavia, si diresse decisamente verso la fine della strada, dove si trovava un edificio candido come la neve, con scritto sopra in caratteri elaborati “Gringott”.

«La Gringott è la banca dei maghi» spiegò la McGranitt con aria molto accademica fermandosi poco distante dall’edificio che io e mio padre continuavamo a scrutare. «E viene custodita da folletti, che sono le creature più esperte di tesori del mondo magico.»

Folletti? Effettivamente, a guardia della porta che la professoressa stava oltrepassando c’era una strana creatura poco più bassa di me che sembrava essere stata stirata alle estremità: aveva dita lunghissime, piedi lunghissimi, barba appuntita e un naso a matita. Si inchinò al nostro passaggio senza cambiare espressione.

Se la mia faccia era simile a quella di mio padre, quel folletto doveva essere molto professionale per non aver mostrato nessun tipo di emozione.

Subito dietro c’era una seconda porta che recitava una filastrocca, e dietro la porta c’era un enorme salone di marmo in cui centinaia di folletti si occupavano di servire le richieste delle dozzine di maghi presenti. Vidi alcuni di quegli strani esseri pesare smeraldi grossi come tazze ed altri muoversi velocemente attraverso le centinaia di porte che si aprivano per tutto il perimetro della sala, oltre ad altri ancora che, da dietro alti scanni sistemati simmetricamente rispetto alla porta, compilavano e firmavano alcuni libri grandi quanto loro.

La professoressa McGranitt si fermò al centro della sala e ci guardò con la sua aria severa. «Dunque, maghi e… non maghi usano monete diverse.» Da una tasca dell’abito tirò fuori una moneta d’oro grande come un piattino da caffè, una d’argento un po’ più piccola e una di bronzo che non poteva avere più di un centimetro di diametro. «Questo d’oro» spiegò alzando la moneta, «è un Galeone. Diciassette Falci – che sono le monete d’argento» proseguì prendendo la seconda moneta, «fanno un Galeone, e ventinove Zellini» ci mostrò la più piccola, di bronzo, «fanno un Falci. Tutto chiaro?»

Noi annuimmo e le fece altrettanto. «Bene. Ora, è possibile effettuare un cambio per le famiglie provenienti dal… mondo non magico.» Sembrava evitare accuratamente la parola “Babbano”, forse nell’intento di non offenderci. «Ed è meglio procedere subito visto che la maggior parte dei maghi non conosce né sa contare secondo il vostro sistema monetario.» Si girò con uno dei suoi movimenti veloci verso uno dei banconi.

Del cambio si occupò mio padre, e mi parve di capire che lo scambio non era molto vantaggioso per le sterline, ma a essere onesta in quel momento non mi interessava più di tanto. Continuavo a guardarmi attorno, cercando di assorbire tutto quello che vedevo. Per quanto mi riguardava, mio padre finì troppo presto di effettuare il cambio.

La professoressa McGranitt ci portò immediatamente fuori per i primi acquisti. Accanto alla banca si trovava il negozio contrassegnato Madama McClan: abiti per tutte le occasioni.

Quando entrammo, una strega sorridente vestita di color lavanda ci venne incontro seguita a poca distanza da quella che sembrava essere la figlia, che doveva avere più o meno vent’anni.

«Oh, professoressa McGranitt, buon giorno!» esclamò andandole incontro. Il suo sguardo si spostò su di noi. «Hogwarts, immagino? Nuove acquisizioni?»

«Esattamente» annuì l’altra. «Questa è la signorina Evans, e questo è suo padre.»

«Molto piacere» dissi con un sorriso. Con quella donna risultava molto facile sorridere.

Anche mio padre sorrise e si fece avanti per stringerle la mano. Lei la accettò e chiese: «Irlanda, vero? Nei pressi di… Limerick, giusto?»

Mio padre la guardò stupito ed annuì.

Lei mosse saggiamente la testa. «È impossibile fraintendere l’aria eccitata di un Babbano di Limerick… date un’incredibile soddisfazione» concluse con un altro sorriso placido. «Ma» aggiunse guardandomi, «noi siamo qui per te, vero piccolina?» Fece un cenno alla figlia. «Rosie, tu vai a guardare quell’altro ragazzo.» L’altra annuì e se ne andò. «Bene, e ora a noi. Se vuoi seguirmi, cara, andiamo a provarti la divisa.»

Mi condusse nel retro del negozio continuando a chiacchierare con mio padre dell’Irlanda e facendogli domande su come era cambiata da quando c’era stata l’ultima volta, poi, senza smettere di parlare, mi fece salire su uno sgabello e, dopo avermi fatto indossare una lunga tunica nera, cominciò a prendermi le misure ed ad appuntare spilli in ogni centimetro di stoffa raggiungibile.

Dall’Irlanda erano passati al suo negozio, e ora stava spiegando a mio padre che ormai si riteneva un po’ troppo vecchia per lavorare a tempo pieno e che pensava di lasciare tutto nelle mani della figlia, che tanto si era mostrata un’ottima sarta ed una degna erede. Mio padre rispondeva con altrettanto entusiasmo, mentre la professoressa McGranitt stava sulla porta e ci guardava con sguardo indecifrabile. Dopo un po’, Madama McClan finì di prendere tutte le sue misure e mi fece scendere dallo sgabello. «Sono sicura che ci rivedremo, Lily» era passata dal cognome al nome senza nessun problema dopo pochi minuti di conversazione, «e grazie per avermi risposto, Alan, so quanto sono diventata logorroica in questi ultimi tempi…»

«Affatto» rispose mio padre sorridendo, «era tempo che non avevo una conversazione del genere, e poi mi manca molto l’Irlanda…»

«Ah, sì, un posto magnifico» annuì lei. «A presto, buoni acquisti!» ci salutò dopo che mio padre ebbe pagato.

«Che donna simpatica» commentò mio padre quando fummo andati.

«Sì, molto» annuii io mentre seguivamo la professoressa McGranitt che falciava la folla davanti a noi.

«Ah, il Girigoro» disse quando fummo arrivati davanti ad una libreria fermandosi così bruscamente che per poco non le andammo a sbattere contro. «La migliore libreria del mondo, a mio parere.»

Io mi ero già fiondata dentro senza che nessuno dei due se ne fosse accorto. Mio padre – così mi disse in seguito – era riuscito a vedermi solo perché era facile riconoscere la mia chioma fiammante in mezzo alle vesti scure dei maghi.

Ma non mi importava: le librerie erano il mio negozio preferito in assoluto, e quella in particolare era più straordinaria di tutte quelle in cui ero stata fino ad allora. C’erano libri grandi e libri microscopici, alcuni con le copertine spesse e filigranate ed altri talmente sottili che pareva si potessero rompere solo guardandoli. Poi ce n’erano diversi che, avrei giurato, cambiavano colore quando li guardavi, moltissimi le cui immagini in copertina si muovevano, e inoltre, prendendone alcuni a caso ed aprendoli, scoprii che vari erano scritti a caratteri strani e difficilmente leggibili ed altri erano completamente bianchi. Uno ad un certo punto mi saltò via dalla mano e, dopo avermi fatto una pernacchia, tornò al suo posto sullo scaffale.

Alla fine mio padre mi riagguantò e assieme alla professoressa McGranitt mi portò a vedere i libri che mi servivano per scuola, anche se vedevo chiaramente che pure lui era affascinato dal posto. La McGranitt considerò con indulgenza la mia scappata e cominciò a radunare i libri necessari con l’efficienza di un generale, mentre io scappavo di nuovo a cercarne altri da esaminare. Riuscirono a scollarmi da lì solo quando la professoressa mi informò che Hogwarts aveva una biblioteca altrettanto fornita ed a cui tutti gli studenti potevano accedere ogni giorno.

Ma non fu l’unico momento in cui rischiai di andare fuori controllo: mi successe anche nella “farmacia”, un luogo affascinante dall’odore nauseabondo ma talmente pieno di piante ed ingredienti strani da ripagarlo ampiamente. Stavo controllando alcune boccette di veleno e diverse piante medicinali (che mi avevano sempre affascinato), quando papà mi chiamò per mostrarmi alcuni corni di unicorno e per farmi concentrare poi – facendo violenza su sé stesso – sugli ingredienti necessari per le pozioni di base.

Nel negozio lì accanto acquistammo anche una bilancia ed un meraviglioso telescopio che, promisi a mio padre, avremmo usato anche a casa per vedere le stelle, di cui entrambi eravamo appassionati. Un po’ più in là c’era il negozio di calderoni che avevo notato all’andata, alcuni talmente grandi da sembrare vasche da bagno ed altri poco più piccoli di una macchinetta per il caffè.

La professoressa McGranitt restava di una calma olimpica, ma non credo che il nostro entusiasmo le dispiacesse. Sempre più spesso incontrava conoscenti che la salutavano o le tributavano un leggero inchino, ma lei non rispondeva mai se non con un cenno della testa ed un leggerissimo sorriso.

Alla fine, ci condusse in un negozio un po’ appartato dall’insegna polverosa in cui comunque si leggeva “Olivander: fabbrica di bacchette di qualità superiore dal 382 a.C.”. La mia mente ebbe un tuffo. Dal 382 avanti Cristo? Da quanto caspita stava lì quell’uomo?

Ma prima che potessi chiedere, la professoressa McGranitt ci spinse dentro il locale. Un lievissimo scampanellio, tanto debole che per un istante mi chiesi se non l’avessi solo immaginato, accolse il nostro ingresso in quell’ambiente buio ed assolutamente vuoto a parte per una sedia dalle gambe sottili su cui la McGranitt si sedette giungendo le lunghe dita nervose.

Io guardavo verso l’alto gli scaffali colmi di strane scatolette basse e lunghe che occupavano per tutta la sua altezza la stanza, quando ebbi la strana sensazione di essere osservata. Non feci in tempo a voltarmi che uno strano personaggio già avanti negli anni, dai capelli bianchi e disordinati e gli occhi grandi e luminosi entrò facendo sobbalzare mio padre quando disse a bassa voce: «Buon pomeriggio.»

«Salve» feci io un po’ imbarazzata tendendo la mano, che però lui non strinse. Mi stava scrutando con quei suoi occhi brillanti.

«Ah… una nuova strega, quindi» mormorò guardandomi attentamente. «E dagli occhi di giada, vedo. Un grande potere, è evidente.» Alzò lo sguardo verso mio padre. «Il genitore, senza dubbio?» mormorò fra sé e sé.

«Signor Olivander, buon giorno» disse la professoressa McGranitt, che si era alzata in piedi non appena l’uomo era entrato.

«Ah, Minerva McGranitt» disse lui spostando lo sguardo da noi a lei. «Mogano, nove pollici, rigida, mi sbaglio forse?»

«No, signore, la sua memoria è buona come sempre» rispose la professoressa con il primo, vero sorriso che le avessi mai visto.

«Sì… sì, credo sia così» disse lui con quella sua voce piana, pacata, quasi assente. «Bene, vediamo un po’ cosa si può fare…»

Si avvicinò a me tanto che potevo contare le rughe attorno ai suoi occhi d’argento. «Quale mano usa per la bacchetta?»

«La destra, signore» risposi io in un soffio. Sembrava maleducato parlare ad un livello di voce normale.

«Molto bene. Alzi il braccio, per favore.» Un metro a nastro cominciò a prendermi varie misure che una penna d’oca annotava su un foglio di pergamena sospeso per aria. Intanto lui si aggirava attorno a me come per vedermi da diverse angolazioni, e al contempo diceva: «Ogni bacchetta da me costruita, signorina Evans» non seppi mai come faceva a sapere il mio nome, visto che io non glielo avevo detto, «ha per nucleo una potente sostanza magica. Io uso solamente peli di unicorno, penne di coda di fenice e fibre di cuore di drago. Non esistono due bacchette da me costruite che siano perfettamente uguali, signorina Evans, come non esistono due maghi che abbiano un potere magico perfettamente uguale, e quindi naturalmente non si hanno mai risultati altrettanto buoni con la bacchetta di un altro mago.» Dopo avermi osservata con attenzione cominciò a muoversi fra gli scaffali mentre mi spiegava: «È la bacchetta a scegliere il mago, signorina Evans, non lo dimentichi mai. Loro ci sentono, si adattano a noi ed eleggono uno solo di noi come loro padrone. È una grande onore essere accettati da una bacchetta, ed è per questo che loro rimangono fedeli al loro padrone, se non dopo la sua sconfitta. Una bacchetta sconfitta può accettare come padrone il vincitore, ma è un caso raro. Può bastare così» disse senza interrompersi, ed il metro a nastro si afflosciò a terra immobile. Lui si girò verso di me così in fretta che io sobbalzai. «Bene, cominciamo allora, signorina Evans. Sequoia e cuore di drago, otto pollici e tre quarti, flessibile. La prenda e la agiti.»

Ero talmente emozionata che per poco non mi tremava la mano. La mia prima bacchetta!

La presi e la stavo sollevando per agitarla quando il signor Olivander me la strappò di mano e la sostituì con un’altra. «Cedro e piume di fenice, nove pollici, elastica.»

Provai ad agitare anche quella, ma non avevo neppure completato il movimento che Olivander me la tolse per sostituirla con un’altra. «Assolutamente no. Tasso e peli di unicorno, sette pollici e mezzo, rigida. Su, la provi.»

Ma non era quella, né quella successiva. Fu solo al settimo tentativo che trovammo quella adatta a me: dieci pollici e un quarto, legno di salice, con il cuore di peli di unicorno, “sibilante”.

«Bene!» esclamò Olivander riprendendo la bacchetta e mettendola nella sua scatola. «Un’ottima bacchetta per il lavoro d’incanto, potente, e molto fedele. Può ritenersi soddisfatta, signorina Evans, è una delle prime che abbia mai costruito, ha rifiutato decine di mani prima di lei.»

«Sì» sussurrai io. Ero ancora su di giri per l’emozione. Avevo una bacchetta. Avevo una bacchetta con cui avrei potuto fare magie, che aveva sprizzato scintille dorate al mio tocco, che mi aveva riconosciuta come padrona! Mio padre mi strinse forte le spalle con un gran sorriso mentre io ricevevo il pacchetto ancora sotto shock. Mi riscossi abbastanza per ringraziare il signor Olivander, che rispose con un leggero inchino prima di tornare nei meandri del negozio.

«Su, andiamo» ci incitò la professoressa McGranitt, anche se sorrideva. «Ormai dovrebbe mancare poco, ci mancano le pergamene e le penne d’oca e poi dovremmo aver finito.»

Io annuii, anche se ero ancora in uno stato di trance. Riuscii a riprendermi solo quel tanto che bastava per chiederle: «Come faceva il signor Olivander a sapere il mio nome? Io non gliel’ho detto!»

La sua risposta fu un sorriso enigmatico e l’altrettanto enigmatica frase: «Olivander non è un mago come molti. Come faccia a ricordarsi tante cose, o a indovinarne altrettante, è un mistero ancora irrisolto per i più.»

Mi dovetti accontentare, ma accantonai presto quei pensieri. Non vedevo l’ora di far vedere i miei acquisti alla mamma ed a Severus!

Ma non ebbi modo di parlarne con mia madre se non il giorno dopo. Approfittando della nostra assenza, aveva deciso di portare Tunia in centro e di farla divertire lì, per distrarla, col risultato che quando tornarono – aveva lasciato un biglietto a mio padre per dirgli che cenavano lì – io stavo già dormendo con la mia nuova bacchetta sul comodino e un ricordo indimenticabile nel cuore.


ANGOLO AUTRICE

Speravate di esservi liberati delle mie noiosissime e puntigliose note di fine capitolo, vero? Ebbene, non è così, è l’unico modo in cui posso esprimere la mia voce e non intendo rinunciarvi solo per farvi piacere u.u

Quindi, chi ha voglia e modo di darmi retta legga qui e chi non ce l’ha passi direttamente ai ringraziamenti che mia sorella così generosamente ha accettato di scrivere in mia vece.


Dunque, Diagon Alley. Una miniera di cose da dire e appuntare.

Allora, tanto per cominciare ho mantenuto alcune vecchie conoscenze, come Tom il barista e Olivander, perché Diagon Alley non sarebbe Diagon Alley senza di loro. Per entrambi sappiamo già dal Canon che si trovavano già lì ai tempi di Lily, Tom per quanto detto da Silente a Tom Riddle in Harry Potter e il Principe Mezzosangue, per Olivander in base alla sua insegna (Fabbrica di bacchette di qualità superiore dal 382 a.C.).

Per madama McClan, devo dire che ho finto che il negozio fosse di gestione familiare: la signora in questione sarebbe quindi la madre della madama McClan di Harry Potter, e ho inserito anche una breve visione della futura madama McClan – ovviamente la figlia che presto dovrà subentrarle, il nome Rosie è dovuto puramente alla mia fantasia. Lo so che in base al titolo si potrebbe pensare che McClan fosse il nome del presunto marito della signora, ma siccome anche nella versione inglese non si parla di Mrs (il titolo, appunto, delle donne sposate) ma di Madame (che può essere l’equivalente francese di Mrs o un modo onorifico di chiamare una signora straniera), ho finto che ci fosse ambiguità nella forma e mi sono arrangiata di conseguenza.

In quanto al fatto che il padre di Lily, un Babbano, vi possa avere accesso malgrado tutto, dal secondo libro noi sappiamo che anche i genitori di Hermione erano potuti entrare a Diagon Alley. Qui in più sono accompagnati dalla McGranitt.


Bene, credo anche questa volta di aver finito.

Lascio spazio alle più gradevoli risposte di mia sorella, e ovviamente accludo anche i miei più vivi ringraziamenti a tutti coloro che si sono presi la briga di recensire, leggere, aggiungere a preferiti/seguite/da ricordare questa storia (sempre se ce ne sono, cosa che io dal passato non so).


ANGOLO PUBBLICANTE


Non mi guardate così! Non è colpa mia! Non me lo sono dimenticato... o forse sì...

D'ACCORDO E' VERO! ME LO SONO SCORDATO! Ma non è stata tuttatutta colpa mia! Siate clementi! Ero piena di compiti e... dovevo fare tante cose e... andiamo mi poteta anche perdonare per una volta! Prometto che non succederà mai più!!


Bene! Dopo essermi prostrata ai vostri piedi e essere stata perdonata (spero...), passo a rispondere alle recensioni di Voi, nostro amatissimo pubblico!


  • A purepura: LadyMorgan ringrazia per l'apprezzamento del suo ragionamento! Non sei l'unica a volere la prematura dipartita di Petunia (ma tu guarda che paroloni!), ma purtroppo muore prima Lily :( che disperazione... credo che i genitori abbiamo avuto una reazione un po' fredda perché erano in stato di shock! Pensa se ad un certo punto della tua vita, ti compare davanti una tizia strana che ti dice che i maghi esistono e che tua figlia piccola è parte di loro! Come reagiresti?

    P.S. Complimenti per il/la nuovo/a arrivato!

  • A malandrina4ever: se in questo capitolo ti sta più antipatica voglio proprio vedere come sarà nei prossimi... la situazione peggiora! Condoglianze per il bastonicidio mancato, c'est la vie! Non tutto è possibile, sigh! Sono andata su Youtube e la mia faccia è diventata più o meno così O.o ------> XD è una cosa assurda quella canzoncina! È completamente priva di significato! La SSP ringrazia violettamente la sua adorata vice.

  • A googletta: non c'è problema! Il Club è sempre aperto a nuovi vogliosi (non prendetela male, pervertiti!) adepti! La tessera socio ti sarà inviata al più presto xD

    Ovviamente più avanti i Malandrini avranno la loro parte nello show, ma per ora lasciamoli nel loro bel cassetto a progettare idiozie! In effetti è una cosa nuova e prima che Lily e James possano solo pensare di mettersi insieme...

    Fa sempre piacere vedere nuove persone leggere la nostra FF! Allora benvenuta di nuovo! Grazie per l'immagine! *_* Sei la prima persona che la nota!

Mi scuso ancora per il ritardo e mi accerterò che questo non accada mai più! Croce sul cuore!

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Capitolo 6
*** Capitolo V - Gelosia ***


Premessa: prima di scuola


Capitolo V – Gelosia

 


Il giorno dopo mi svegliai tanto presto da sconvolgere anche me stessa: ero sempre stata una pigrona, di solito facevo una fatica tremenda ad addormentarmi ma, una volta che ci riuscivo, non volevo svegliarmi più. Tuttavia alle sette e un quarto del giorno dopo ero in piedi e saltellavo verso la cucina con uno dei miei nuovi libri sottobraccio. Mi preparai una tazza di cereali e cinque minuti dopo arrivò mia madre, che si trovò immediatamente tempestata di racconti, dimostrazioni e crisi di felicità a cui assistette con un sorriso sulle labbra ma uno sguardo leggermente angosciato negli occhi. All’inizio non me ne accorsi, ma quando lo notai e le chiesi il motivo scoprii che nonostante tutto era molto preoccupata al pensiero che sarei stata lontana per tanto tempo. Non voleva doversi separare da me quando avevo ancora solo undici anni, e per di più aveva paura per Petunia, che il giorno prima le aveva parlato e che sembrava tormentarsi dalla rabbia.

«Ma perché?» chiesi io dopo un po’. «Perché è così arrabbiata? Che cosa le ha preso?»

Mia madre sospirò e mi prese sulle ginocchia. «Non capisci, tesoro? È gelosa. Chiunque vorrebbe avere un dono del genere, pensi che sia facile per Tunia, che per di più è anche la maggiore, vedere la sua sorellina partire per un meraviglioso mondo magico senza che lei possa farne parte?»

Ora che me la faceva vedere sotto questa ottica, mi accorgevo di essere stata estremamente egocentrica per non averci pensato prima. «Ma… ma Tunia detesta la magia» osservai debolmente. «Diceva continuamente che la magia era una cosa per bambini stupidi, che era inutile crederci…»

«Sì, questo perché credeva che non esistesse.» Mi guardò con i profondi occhi verdi che avevo ereditato. «Tunia ha smesso di credere nella magia perché temeva di restare disillusa, ma ora che sa che esiste è normale che ne voglia far parte! Se non fossi così grande anche io ti invidierei un po’! Ti rendi conto dell’occasione meravigliosa che hai avuto e che Tunia non può avere?»

Le buttai le braccia al collo mentre riflettevo sulle sue parole. «Forse posso parlare col preside» azzardai titubante. «Posso chiedergli di fare entrare anche Tunia… sono sicura che imparerebbe presto, non è così difficile…»

Non potei continuare perché in quel momento l’oggetto delle nostre discussioni entrò assonnata in cucina, strofinandosi gli occhi. Mia sorella era molto più mattiniera di me, non si alzava mai dopo le otto e mezza, nemmeno in vacanza.

Ma appena mi vide in braccio alla mamma, fece una smorfia schifata e fece per uscire nuovamente dalla camera. Io mi districai dall’abbraccio e le corsi dietro. «Tunia! Tunia aspettami!»

Ma lei continuò a correre fino in camera sua, e sebbene io fossi più veloce, lei aveva le gambe più lunghe ed era partita in vantaggio. La sentii chiudere la porta a chiave e cercai di guardare dalla serratura. «Tunia! Tunia, per favore! Ti voglio solo parlare!»

«E io non voglio parlare con te, Lily Evans!»

D’accordo, quando Tunia cominciava a chiamarmi per nome e cognome era solitamente segno che avevo fatto qualcosa di grave. «Tunia, per favore! Non puoi ignorarmi tutta la vita!»

Ci fu un attimo di silenzio, poi la chiave girò nella toppa e io mi ritrovai a pochi centimetri di distanza dal viso scarlatto di mia sorella, i capelli biondi completamente spettinati e l’espressione furiosa. «Ah, non posso, eh? E che importanza ha, visto che fra un po’ te ne va in quella scuola di matti? Non ti vedrei comunque per tutto l’anno, quindi sarà meglio fare pratica, non credi?»

«Petunia, adesso basta.» Mia madre ci aveva appena raggiunto e la guardava inflessibile. «Quello che è successo non è colpa di Lily.»

«Certo! Non è mai colpa di Lily per voi, vero?» urlò lei rossa in faccia. «No, ovviamente no! Lily è una santa, Lily è la figlia perfetta, Lily è la figlia con la magia, che andrà ad imparare ad essere una strega! Che peccato che non sia figlia unica!»

«Tunia, cosa stai dicendo?» Ero inorridita: non mi aspettavo quel fiume di bile, né tanto meno avevo mai visto Petunia così vicina a perdere il controllo. «Io non… »

«Tu devi solo stare zitta!» mi strillò lei. «Stai zitta e non fare altri danni, piccola strega!» Mi guardava con tanta rabbia che indietreggiai.

«Petunia, stai facendo una scenata inutile» rispose mia madre, sempre inflessibile. «Smettila di comportarti come una bambina!»

Per lei fu come ricevere uno schiaffo. Guardò la madre ferita e scoppiò a piangere, per poi rinchiudersi di nuovo in camera sua. «No, Tunia, per favore!» le gridai bussando a più non posso.

«Cosa sta succedendo, qui?» chiese mio padre uscendo assonnato dalla sua camera. Guardò la mia faccia sconvolta, il viso dolente della moglie e sentì i singhiozzi provenienti dalla camera di Petunia. «Cos’è successo?» chiese guardando interrogativo la mamma.

Lei sospirò pesantemente e gli spiegò l’accaduto. Io li ascoltavo solo per metà. Cercavo ancora di comunicare con Petunia attraverso il buco della serratura, ma era evidente che parlavo a vuoto: dalla sua camera provenivano solo singhiozzi secchi e discontinui, tali che stavo per cominciare a piangere anch’io.

Poco dopo i miei genitori vennero a prendermi per allontanarmi, ma io rimasi in camera mia tutto il giorno, senza andare da Severus come avevo pensato. Solo i miei nuovi libri riuscirono a distrarmi per un po’, ma quando udii il rumore di una porta che si apriva scattai come una velocista e corsi incontro a mia sorella che era appena uscita dalla sua reclusione con una lettera in mano e si era precipitata giù per le scale per poi uscire velocemente ignorando i miei ripetuti appelli.

Sconsolata, tornai in camera e ripresi a sfogliare il Manuale per gli incantesimi, Volume Primo che avevo comprato il giorno prima. Provai anche a fare un paio di magie, e la concentrazione era tale che solo a malapena udii la mamma chiamarmi per il pranzo.

Il pomeriggio avevo una delle ultime lezioni di ginnastica artistica, ed ero decisissima a non mancare: mi piaceva quello sport, forse perché ero brava, e mi sarebbe spiaciuto abbandonarlo.

E, con mia grande sorpresa, scoprii che spiaceva anche alla mia insegnante. «Sei l’allieva migliore che abbia mai avuto da tanto tempo a questa parte, Lily» mi disse quando la informai che fra meno di un mese me ne sarei andata in una boarding school. «Se ti fossi allenata più di frequente saresti potuta entrare nella nazionale, questo è indubbio.» Mi guardò con una certa tristezza. « Ti sarà possibile continuare ad allenarti, in questa tua scuola?»

Io risposi che non lo sapevo, ed ero perfettamente sincera. Tanto per cominciare, non sapevo cosa aspettarmi da Hogwarts e non avevo idea di cosa ci sarebbe potuto o meno essere, ma mi ci voleva un grosso sforzo di fantasia per vedermi allenare a ginnastica in una scuola di magia.

Tuttavia, non perse particolare tempo in convenevoli. «Alle parallele per il riscaldamento, ora!» mi disse perentoria, tornando ad essere l’insegnante inflessibile che conoscevo.

Obbedii immediatamente: erano il mio attrezzo preferito in assoluto, e quella era probabilmente l’ultima volta che potevo usarle.

Quando tornai a casa ero stanca e soddisfatta, e corsi subito a farmi una doccia.

L’ultimo mese con la mia famiglia fu un continuo alternarsi di alti e bassi: da una parte, divoravo i libri che avevo comprato e memorizzavo incantesimi su incantesimi, esercitandomi con Severus dove eravamo certi di non essere visti, dall’altra Tunia non mi rivolgeva la parola e mi ignorava ostentatamente, passando la maggior parte del suo tempo fuori casa.

Un pomeriggio, mentre stavo tornando a casa con Sev e stavamo parlando eccitati di quello che ci aspettava e degli incantesimi che avevamo imparato quel giorno, lo vidi affilare lo sguardo: stava fissando la finestra della camera di Petunia, da cui si poteva vedere mia sorella con in mano una lettera e una busta lacerata dal sigillo di ceralacca.

«Cosa…?» borbottò avvicinandosi.

Io lo presi per una spalla. «Che succede, Sev?»

Per tutta risposta, lui mi indicò mia sorella. «Che cos’ha Tunia?» chiesi un po’ stupita.

Lui strinse gli occhi. «La lettera. Viene da Hogwarts.»

Lì su due piedi rimasi completamente spiazzata. Poi battei le mani eccitata. «È meraviglioso! Significa che anche Tunia è una strega! Riprenderà a parlarmi!»

Ma il mio entusiasmo andò a scontrarsi con il suo sguardo. «Cosa c’è, Sev?»

«Tua sorella non è una strega» mi disse a bassa voce. «Te l’ho detto vi… vi avevo già notato, in precedenza» disse di malavoglia. «Un mago mostra i suoi poteri fin da quando è bambino, e lei non ne ha mai mostrata una goccia.»

Guardai con occhi diversi mia sorella. Ora che la vedevo meglio, stava piangendo, e poco dopo buttò la lettera per terra per poi allontanarsi dalla finestra. Pochi secondi dopo era uscita, stringendo uno spolverino.

Si fermò quando ci vide, ci rivolse uno sguardo disgustato e proseguì per la sua strada senza averci detto niente.

Io mi voltai verso Severus. «Ma… se non è una lettera di ammissione… che cos’è?»

«Non lo so» mi rispose lui in un soffio avvicinandosi alla nostra casa. «Cioè, probabilmente alle poste ci sono dei maghi che controllano le lettere dei maghi in incognito, però… è strano. I Babbani non possono prendere contatto con il nostro mondo.» Mi guardò per un attimo, titubante, poi proseguì: «Andiamo a controllare?»

Io esitai. «Non so…» dissi. «In fondo… sono affari di Petunia…»

«È del nostro mondo che stiamo parlando» mi fece osservare lui. «Possiamo vantare su quella lettera molti più diritti di lei… in fondo, tutto ciò che riguarda Hogwarts riguarda anche noi, no?»

Il ragionamento, in modo nebuloso, mi convinse, così entrammo entrambi in casa mia.

«Oh, ciao Severus» lo salutò mia madre dalla cucina.

Lui esitò un secondo prima di dire: «Buonasera, signora Evans.»

Salimmo al piano di sopra ed entrammo nella camera di Tunia. Come al solito, era tutto in ordine, a parte per la lettera, gettata a terra, e la busta, posata sul davanzale. Fu lì che io mi diressi, guardando l’ormai familiare pergamena gialla, l’inchiostro verde ed una sottile grafia un po’ obliqua che non mi pareva fosse la stessa delle nostre lettere.

«Lily, vieni qui!» mi chiamò Severus, che aveva preso in mano la lettera e la stava esaminando.


Cara signorina Evans,

sono dolente di doverLe recare spiacevoli notizie, ma sfortunatamente la frequenza ad Hogwarts è garantita solo per quegli studenti in possesso di particolari capacità innate che, purtroppo, non sono comuni a tutti.

La mitizzazione di questi poteri è tuttavia sbagliata ed esagerata, ed ho conosciuto numerose persone che, pur prive, conducono vite soddisfacenti senza farsi mancare nulla.

Con l’augurio che Lei rientri fra queste, La saluto calorosamente,

Albus P. W. B. Silente,

Direttore


Ci guardammo negli occhi. I suoi erano maliziosi, i miei solo tristi.

«Ma tu pensa…» commentò con un sorrisetto divertito. Scorse di nuovo la lettera e trasse un profondo sospiro. «Chi l’avrebbe mai detto che tua sorella sotto sotto bramava quel potere tanto schifoso?»

Io guardai tristemente la lettera. «Dici che Tunia abbia fatto richiesta di ammissione e… e l’abbiano rifiutata?»

«Be’, tu che dici?» mi chiese continuando a guardare la pergamena sorridendo.

Sospirai pesantemente. «Adesso sarà ancora più difficile farmi perdonare.»

Mi si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla. Poi il suo sguardo corse per un secondo alla finestra e una ruga si formò fra i suoi occhi. «Che dici, andiamo in camera tua?» mi chiese accennando alle nostre borse.

Io annuii senza dire niente, ed uscimmo nell’esatto momento in cui sentii la porta di casa aprirsi ed il passo di mia sorella salire le scale.

Ci incontrammo davanti alla porta di camera mia, e lei lanciò ad entrambi uno sguardo in cui il disgusto si univa alla rabbia. «Cosa ci fa lui qui?» chiese riservando a Severus lo stesso sguardo che avrebbe riservato ad uno scarafaggio.

«È mio amico, Tunia» ribattei alzando il mento. «E mamma dice che possiamo invitare gli amici.»

Non ribatté, ma il suo sguardo non cambiò di una virgola mentre si spostava su di noi. Poi entrò in camera sbattendo la porta.

Mi voltai con un sorriso di scuse verso Severus, che però non aveva ancora perso quella sua aria per metà maliziosa e per metà divertita. «Vuoi restare a cena con noi?»

Scosse il capo. «Credo che tua sorella avrebbe un infarto, se restassi.»

Sapevo che quando prendeva una decisione non cambiava idea, perciò non insistetti.

Il primo settembre arrivò troppo presto – o troppo lentamente, a seconda dei punti di vista.

Io e Petunia non ci eravamo più parlate e lei non mi aveva mai nemmeno guardato, se non una volta a pasto e solo per fissarmi disgustata.

Mamma e papà si sforzavano di comportarsi come se nulla fosse, e la loro allegria fu un balsamo per l’abbandono di mia sorella. Petunia ormai trascorreva più tempo fuori casa che dentro, tornava solo per i pasti e la notte. Ma siccome lei faceva colazione molto prima di me e spesso pranzava fuori, l’unica occasione che avevo di vederla era a cena, e sempre per lo stretto indispensabile, visto che se ne andava senza aver neppure deglutito l’ultimo boccone.

In quei giorni io mi consolavo con Severus e con i miei genitori, o con entrambi contemporaneamente, visto che da quando Petunia si era auto-esiliata si vedeva molto più spesso Severus da noi.



ANGOLO AUTRICE

Buonsalve a tutti voi che siete arrivati fino qui!

Le mie solite tre idiozie prima di lasciarvi nelle più rassicuranti braccia di mia sorella.


Di nuovo, non me ne vogliano gli esperti di ginnastica artistica se ho sparato (involontariamente, lo giuro!) qualche castroneria relativamente a questo bellissimo sport.

La lettera scritta da Albus Silente è ovviamente inventata, ho cercato di ricalcare, ove possibile, il suo stile e il suo modo di esprimersi, se ho miseramente fallito fatemelo notare, sigh.

Chiedo inoltre scusa per la brevità del capitolo, quelli della prima parte sono tutti un po’ più corti, anche perché quando ho spezzato il “Panlogos” iniziale ho dovuto trovare delle giunture là dove avevo appositamente scritto affinché non ce ne fossero, quindi…

Inoltre, ho cercato di rendere come una Lily undicenne potesse sentirsi nei confronti della sorella, ma non sono andata troppo nello specifico e nello “psicologicheggiante” per non renderlo troppo innaturale. O almeno, ci ho provato xD


Bene, credo che per questa puntata sia tutto. I miei soliti ringraziamenti a tutte le persone che mia sorella più profusamente ringrazierà, appena torno vedrò di scrivervi più nello specifico.




ANGOLO PUBBLICANTE


Buon inizio Novembre a tutti! E buon Halloween in ritardo ^_^ Scusate ancora se non ho aggiornato ieri, ma ero ad una festa *_*! Quindi non starò 3 ore a chiedere perdono a voi sagge persone perché mi sono divertita, quindi automaticamente io sono felice, voi siete felici... vero?

Dato che mi sto arrampicando sugli specchi, glisserò amabilmente il mio ritardo e passero a rispondere alle vostre stupende recensioni!

Aggiungo anche un ringraziamento speciale alle 14 persone che hanno aggiunto la storia tra le seguite e alle 6 che la preferiscono! Grazie mille ragazzuoli (mi raccomando, le due Z sono strascicate xD!)

  • a googletta: liete che il capitolo ti sia piaciuto! In quanto a compiti... non me ne parlare! Io sono al liceo e lì provano un sadico piacere nel caricarti di lavoro -.- non per spaventarti per il tuo prossimo futuro xD! Per quanto riguarda le immagini, se ti riferisci al disegno in sé lo abbiamo trovato su internet, se ti riferisci alle cornici & co. le faccio io ^^ grazie e alla prossima!!

  • a malandrina4ever: ti informo che ti dovresti sentire in colpa, perché se sono demente è solo colpa della tua recensione -.- La mia carica di serietà non è bastata fino alla fine! REQUIEM e qualche minuto di silenzio! Insomma e io cosa ti dovrei rispondere? Mai visto una recensione così puramente demente! Forse la cosa dovrebbe farmi paura... NO!! Ti amo! Per curiosità con che verdura avresti accompagnato lo stufato di gufo?? La cucina mi interessa e sono molto aperta a nuove tecniche culinarie! Io ci vedrei bene un po' di funghi, anche se non disprezzerei delle patate arrosto croccanti fuori e morbide dentro *__________________* Mi sta venendo fame! E per pranzo c'è il CusCus... BUOOONO!!

  • a S_marti_es: ho letto anche la tua recensione al capitolo precedente e ti ringrazio anche per quella! Ci ha fatto molto piacere leggerla! Figurati che io Harry Potter l'ho aperto la prima volta a 6 anni *O* e riguardo all'essere stati a Diagon Alley... concordo pienamente! Inizia a conoscerla come le tue tasche dopo il 3° libro xD e inizi ad amarla quando Fred e Gerorge aprono il negozio di scherzi!!

  • a purepura: grazie mille! Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto! La partenza si avvicina davvero! La partenza con l'immediata comparsa dell'esemplare “Potter”, rarissima specie sotto sorveglianza xD Spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento! Alla prossima!

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Capitolo 7
*** Capitolo VI - Il Binario 9¾ ***


Premessa: prima di scuola


Capitolo VI – Il binario 9 ¾

 

Io e Sev non andammo insieme alla stazione, come non eravamo andati insieme a Diagon Alley. Lui andò con sua madre prendendo il treno delle sei e un quarto per King’s Cross, da cui dovevamo partire. Anche noi andammo in treno, ma la nostra prenotazione era successiva, il nostro treno partiva alle otto e un quarto. I miei costrinsero anche Petunia a venire con noi, ma lei fece di tutto per mettersi più lontano possibile da me e rimase zitta tutto il tempo, mentre i miei continuavano a chiacchierare fra loro o con me. Mia madre non la smetteva di darmi suggerimenti e consigli vari su come comportarmi e su cosa fare. Era chiaramente preoccupata, anche se lo nascondeva bene. Infatti ad un certo punto le presi la mano e strinsi forte: qualunque cosa fosse successa, lei sarebbe comunque rimasta mia madre, ed io sua figlia. Questo nemmeno tutta la magia del mondo poteva cancellarlo. Mi guardò sorridendo ed in quel momento il treno arrivò.

«Forza, principessa!» disse mio padre mentre mi aiutava a tirare giù il pesante baule. «Allora, la professoressa aveva detto binario nove… e tre quarti, giusto?»

Io annuii. Petunia sbuffò. «Oh, per favore!» esclamò uscendo suo malgrado dal suo mutismo. «Non esiste un binario del genere!»

Io mi girai. Mi ero veramente stufata di tutto quel suo atteggiamento. «Sì, Tunia, come non esisteva la magia, vero?»

Mi guardò velenosa e cominciò a guardare i treni che arrivavano e partivano.

«Ragazze, adesso basta!» esclamò mia madre. Poi si rivolse verso di me. «Come si arriva?»

Io esitai un secondo. «Severus ha detto che mi aspettava per mostrarmelo.»

Mia madre annuì appena ed imboccammo la piattaforma delle linee nove e dieci. A metà strada circa, appoggiato ad uno dei piloni, c’era Severus che si guardava attorno impaziente e che quando ci vide arrivare scattò come spinto da una molla. «Lily! Finalmente siete arrivati! Cominciavo a temere!»

«Sev!» risposi io correndogli incontro. «No, siamo qui, siamo arrivati.»

«Buongiorno, Severus» sorrise mio padre.

«Buongiorno, signor Evans. Signora Evans» rispose lui piegando appena la testa verso entrambi. Ignorò Petunia come lei ignorava lui e si rivolse a me colmo di eccitazione. «Devi assolutamente vederlo, è meraviglioso!» mi disse cominciando a tirarmi per mano verso il pilone dov’era appoggiato.

«Aspetta! Sev!» Cominciavo a spaventarmi perché stava andando dritto contro i mattoni, che oltre a non accennare a muoversi avevano anche l’aria molto solida. «Sev! Rallenta! Andremo a sbattere contro…» Ma non ci fu nessun impatto. Attraversammo come in un sogno mattoni e pilastro per ritrovarci in un altro binario completo di locomotiva a vapore rosso fiammante ed un cartello con su scritto Binario Nove e Tre Quarti. Mi accorsi solo dopo un po’ che ero a bocca aperta. Severus mi guardava sorridendo, godendo del mio stupore, per poi indicarmi la vera folla di maghi e streghe che si accalcavano sul binario. Non avevo mai visto un così grande numero di maghi della mia età. C’erano ragazzi di tutti i colori che ciarlavano chiassosamente, i loro genitori che tentavano invano di controllarli e decine di gufi, barbagianni, civette, gatti e rospi che saltellavano da tutte le parti, il tutto avvolto dal morbido fumo bianco del treno.

Fu in quel momento che realizzai che oltre a me ed a Severus non c’era nessuno. I miei genitori dovevano essere ancora fuori, senza capire dove fossi. Con un enorme sforzo su me stessa, mi costrinsi a distogliere gli occhi e fissai uno sguardo colpevole sul mio amico. «Credo… di dover andare a prendere i miei genitori» gli spiegai. «Probabilmente si staranno chiedendo dove sia finita…»

Lui mi guardò imperscrutabile per qualche secondo, poi annuì. «Dobbiamo chiedere al capostazione di darci il via, lui controlla che non ci siano Babbani che stiano guardando.»

Poco dopo potemmo uscire e la prima cosa che vidi furono i miei genitori poco distanti dall’espressione spaventata. Mia madre mi venne incontro e mancò poco che mi tirasse uno schiaffo. «Lily, non farlo mai più!» mi gridò contro. «Ci hai fatto prendere un infarto!»

«Scusa, mamma» risposi, sinceramente pentita. «Non volevo farvi preoccupare, è solo che…» le mie scuse si persero in un borbottio inintelligibile.

Fu mio padre il primo a rimettere pace. «Non importa, Lils, vedi solo di fare più attenzione.» Mi guardò sorridendo. «Non sempre avrai la scusa dell’eccitazione.»

Io annuii e li spinsi verso il pilastro. «Dovete…» cominciai, poi mi accorsi che stavo quasi urlando e mi avvicinai per sussurrare. «Dovete attraversare il pilastro. Il binario è dall’altra parte.»

Mio padre annuì.

Poco dopo eravamo tutti e quattro dall’altra parte e loro si stavano guardando attorno con tanto d’occhi.

Solo Petunia continuava a far finta che non le interessasse niente e rifiutava recisamente di guardare il treno.

In quel momento provai più pietà per lei di quanto non mi fosse successo fino ad allora. «Tunia…» cominciai cercando di prenderle la mano. Lei si scansò senza neanche guardarmi. «Mi dispiace, Tunia, mi dispiace! Ascolta…» riuscii a prenderle la mano e lei fu costretta a guardarmi, anche se continuava a cercare di liberarsi. «Forse quando sarò là… no, ascolta, Tunia! Forse quando sarò là riuscirò a convincere il professor Silente a cambiare idea!» Ero più che convinta di quello che dicevo: per mia sorella ero più che disposta a fare di tutto per aiutarla.

«Io non… voglio… venirci!» esclamò lei strattonando la mano più forte che poteva. «Tu credi che io voglia andare in quello stupido castello per imparare ad essere una… una…»

Ma nonostante il tono sprezzante, vedevo i suoi occhi vagare quasi involontariamente su tutto il binario, guardare il serraglio di animali che schizzavano da tutte le parte, gli studenti che si mischiavano ed urlavano, gli adulti scuotere la testa rassegnati.

«Credi che io voglia… voglia essere un… un mostro?» mi chiese puntandomi finalmente in faccia due occhi gelidi e senza ombra di affetto.

Fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso. Mia sorella credeva che io fossi un mostro. Mia sorella. La mia Tunia. La mia stretta si allentò tanto che riuscì a liberarsi.

«Io non sono un mostro» bisbigliai. «Non lo sono!»

«È là che stai andando» ribatté mia sorella compiaciuta. «In una scuola speciale per mostri. Tu e quel… Piton…» proseguì rabbrividendo al solo nome, «due aberrazioni, ecco cosa siete! È giusto separarvi dalla gente normale, per la nostra sicurezza.»

Altro schiaffo, forte, potente, senza pietà. Chi era quella ragazza? Di certo non mia sorella. Tunia non mi avrebbe mai detto cose così cattive. Mi stava facendo soffrire, mi stava facendo arrabbiare. Guardai un attimo i miei genitori, che invece sembravano entusiasti di tutto il binario, e nella mia mente si affacciò un modo per vendicarmi: «Non pensavi che fosse una scuola per mostri quando hai scritto al Preside per supplicarlo di ammetterti.»

Feci centro: Petunia arrossì così tanto che quasi mi aspettai di vederle uscire fumo dalle orecchie. «Supplicare? Io non l’ho supplicato!»

«Ho letto la sua risposta» le comunicai io senza pietà, come lei poco prima. Ora ero io in vantaggio. «Era molto gentile.»

Lo sguardo che mi rivolse spense tutta la momentanea baldanza. «Non dovevi…» sussurrò. «Era una cosa personale… come hai potuto…?»

Era tornata tutta la pena. Non solo non mi sentivo più in vantaggio, ma ora mi stavo caricando anche del peso della colpa. Lì per lì, mentre Severus mi spiegava i come ed i perché, era sembrato tutto logico, ma ora… lo guardai di sottecchi: era con sua madre, una donna su cui non riuscivo a farmi un’opinione, forse perché non avevamo mai parlato sul serio. Per qualche ragione, sembrava sempre evitarmi. Assomigliava moltissimo a Severus.

Tunia dovette intercettare il mio sguardo, perché cominciò a boccheggiare. «L’ha trovata quel ragazzo! Siete entrati di nascosto in camera mia!»

«No…» feci io sulla difensiva. «Non di nascosto…» Non sapevo bene cosa dire, come giustificarmi, e iniziai a parlare a vanvera. «Severus ha visto la busta e non poteva credere che una Babbana avesse preso contatti con Hogwarts, tutto qui! Dice che alle poste devono esserci dei maghi che lavorano in incognito per…»

«A quanto pare i maghi ficcano il naso dappertutto!» mi rinfacciò Petunia pallida dalla rabbia, tanto da farmi temere per la sua salute. «Mostro!» mi sibilò contro per poi precipitarsi dai miei genitori, dove sapeva che non avremmo potuto continuare la discussione. Rimasi lì impalata come un’idiota mentre ondate di dolore e colpa mi sommergevano alternativamente. Avevo perso mia sorella. Forse ero stata stupida. Forse avrei dovuto tenere Severus a distanza e rifiutare di andare ad Hogwarts, così sarei potuta restare amica di Tunia. Anche se lei preferiva stare con le sue amiche… ma almeno avrebbe continuato a parlarmi… sarebbe potuto essere tutto come prima…

«Lily! Lily, muoviti, il treno parte fra cinque minuti!» Mio padre mi stava chiamando. Cercando di reprimere le lacrime, mi avvicinai a loro, molto commossi, e li abbracciai più forte che potevo. Mi sarebbero mancati tantissimo, ne ero più che certa, ma almeno su di loro ero tranquilla, sapevo che mi volevano bene e che erano orgogliosi di me. Era Tunia il punto dolente.

Salii sul treno assieme al mio baule e mi trovai uno scompartimento miracolosamente vuoto: avevo bisogno di restare da sola per potermi sfogare in santa pace.

Poco dopo arrivò un ragazzo più o meno della mia età dai capelli un po’ lunghi, neri e gli occhi grigi dalle palpebre pesanti. «Posso?» chiese con l’aria di non interessarsi affatto del mio permesso.

Io annuii senza smettere di guardare fuori. Non volevo far vedere che avevo pianto.

Si sedette di fronte a me nel sedile centrale senza dire niente, mentre io continuavo a cercare di trovare una soluzione al mio problema. Ormai era fatta, stavo andando ad Hogwarts, dovevo convincermi che non potevo cambiare ciò che era già stato. Probabilmente Tunia aveva solo bisogno di tempo per adattarsi… anche se in quel momento non riuscivo a crederci.

«Ehi, posso venire qui? Il treno è pieno zeppo…» Un ragazzino dai capelli neri sparati in tutte le direzione e due occhi nocciola scintillanti di malizia nascosti dietro un paio di occhiali si era affacciato con un sorriso. Mi girai appena ma tornai subito a guardare fuori. Addio al mio sogno di solitudine.

«Ma prego» disse sarcastico il mio compagno di scompartimento indicando il posto di fronte a lui, accanto a me.

«Grazie» rispose l’altro prendendo posto. «Non credevo fosse così difficile trovare un posto decente…»

Mi disinteressai alla conversazione mentre tornavo a pensare ai miei problemi. Avevo appoggiato la testa al vetro, nella speranza che riuscissi a liberarmi di diversi pensieri che mi assillavano. Forse avrei dovuto dormire un po’. Non sapevo quanto lungo fosse il viaggio, visto che non sapevo dove fosse Hogwarts, ma presupponevo un bel po’, visto che Sev diceva che si arrivava per ora di cena e la partenza era alle undici.

Sospirai pesantemente e il mio sospiro appannò il vetro. Se avessi dato retta a Tunia e non gli avessi mai parlato, forse ora non sarei stata in quel pasticcio.

Parli del diavolo, in quel momento Severus si catapultò all’interno dello scompartimento, già con la divisa, per sedersi di fronte a me, senza badare agli altri due che intanto stavano chiacchierando a voce troppo alta, per i miei gusti.

Gli rivolsi una breve occhiata e mi girai di nuovo. «Non voglio parlare con te» mormorai infantilmente.

Rimase spiazzato. «Perché?» mi chiese cercando di incontrare i miei occhi.

Trassi un altro sospiro. «Tunia mi… mi odia. Perché abbiamo letto la lettera di Silente.»

Aggrottò la fronte, sembrava non capire. «E allora?» mi chiese perplesso.

Lo guardai con profonda avversione. «E allora è mia sorella!» ribattei gelida passandomi rabbiosamente una mano sugli occhi. Mi sembrò che stesse dicendo qualcosa, ma non capii cosa e quando alzai lo sguardo si stava mordendo le labbra.

«Ma ci stiamo andando!» esclamò gioioso, forse per farmi pensare ad altro. «Ci siamo, finalmente! Stiamo andando ad Hogwarts!»

In effetti era un pensiero tanto meraviglioso da farmi sorridere, sebbene non avrei dovuto. Ma pensare ad Hogwarts era sufficiente per farmi stare meglio.

«Speriamo che tu sia una Serpeverde» concluse lui soddisfatto appoggiandosi allo schienale.

Ne avevamo parlato tante volte, e a me sembravano tutte buone case, anche se lui insisteva nel dire che a Grifondoro ci andassero solo gli zucconi gonfi di steroidi, a Corvonero i secchioni ed a Tassorosso quelli non abbastanza abili per finire nelle altre tre. In compenso aveva una vera venerazione per…

«Serpeverde?» chiese il ragazzo accanto a me con un certo disprezzo che mi fece inalberare subito. «Chi vuole finire a Serpeverde? Io credo che lascerei la scuola, e tu?» aggiunse rivolgendosi al ragazzo di fronte a lui.

Aggrottai le sopracciglia mentre l’altro rispondeva con quella stessa vena di arroganza che lo aveva caratterizzato quando mi aveva chiesto del posto: «Tutta la mia famiglia è stata in Serpeverde.»

«Oh, cavolo» commentò l’altro guardandolo con un pizzico di compatimento. «E dire che sembravi a posto…»

L’altro sogghignò. «Forse io andrò contro la tradizione.» Inarcò un sopracciglio, guardandolo. «Dove vorresti finire, se potessi scegliere?»

Quasi mio malgrado ero interessata alle loro discussioni, anche se tutto quel razzismo di case mi dava un po’ sui nervi.

Lui rispose brandendo una spada invisibile: «‘Grifondoro, culla dei coraggiosi di cuore!’ Come mio padre.»

Severus se ne uscì con un verso sprezzante. Tutti e tre ci voltammo verso di lui.

«Qualcosa che non va?» chiese il ragazzo alzando il mento.

«No» sogghignò Severus. «Se preferisci i muscoli al cervello…»

«E tu dove speri di finire, visto che non hai nessuno dei due?» commentò l’altro ragazzo facendomi scattare in piedi. Chiunque fossero quei due e qualunque sarebbe stata la mia Casa, speravo ardentemente che non fosse anche la loro.

«Andiamo, Severus, cerchiamo un altro scompartimento» dissi ad alta voce per sovrastare le loro fragorose risate.

«Ooooooh…» ribatterono quelli facendomi il verso e spingendomi a tirargli un calcio negli stinchi quando gli passai davanti. Il ragazzo moro cercò anche di far inciampare Severus, spingendomi a lanciargli un’occhiataccia.

«Ci si vede, Mocciosus!» gridarono quando fummo usciti.

Io ero partita a passo di marcia. «Idioti!» commentai rabbiosa. «A persone del genere non dovrebbe essere dato il diritto di parlare, sono solo dei cretini pieni di sé dalla testa vuota!»

Severus camminava accanto a me annuendo, mentre la divisa di Hogwarts gli svolazzava attorno.

Mi fermai di scatto di fronte ad uno scompartimento semivuoto, a parte per un ragazzo in un angolo che pareva o addormentato, o intento a guardare fuori dalla finestra.

«Vieni, tutti gli altri sono occupati» dissi entrando e scoccando uno sguardo al resto della carrozza, da cui provenivano numerosi chiacchiericci. «Scusa…» esordii aprendo la porta. Il ragazzo si girò mostrandomi due intelligenti occhi castani e un viso un po’ malandato. «Non è che potremmo sederci? Il treno è tutto occupato…»

«Certo, fate pure» rispose lui cortesemente accennando ai posti davanti a lui. Ci guardò sorridendo finché non ci posizionammo. Mi piaceva quel ragazzo, malgrado avesse i vestiti consunti e il volto con diverse cicatrici aveva un’aria tranquilla che ispirava fiducia. Gli tesi la mano. «Io sono Lily, Lily Evans, e questo è Severus Piton, un mio amico.»

«Remus Lupin» rispose lui stringendomi la mano sempre con quel suo pacato sorriso.

«Molto piacere, Remus.»

«Piacere mio…»

Severus si limitò a fargli un cenno con la testa a cui Remus rispose con un leggero sorriso.

Ci fu un attimo di assoluto silenzio. Severus sembrava in preda ad una delle sue “crisi di umore nero”, come le chiamavo io, e Remus Lupin ci stava guardando senza dire una parola.

Alla fine fui io a rompere il silenzio. «Anche tu del primo anno?» chiesi per sciogliere un po’ la tensione.

Annuì e poi, apprezzando lo sforzo, proseguì: «È stato un momento bellissimo quando ho ricevuto la lettera la prima volta…»

Io risposi come di dovuto e dopo poco ci ritrovammo a chiacchierare amabilmente del più e del meno, mentre io cercavo di far intervenire anche Severus, che però rispondeva a monosillabi e senza sciogliere quella maschera di acidità che lo prendeva di tanto in tanto.

Intorno all’ora di pranzo arrivò una strana signora grassoccia che spingeva un carrello carico di dolci di tutte le forme. «Qualcosa dal carrello, cari?» chiese guardandoci con un grasso sorriso.

Io mi avvicinai, più per curiosità che per vera fame, e quando le arrivai vicino non me ne pentii: il carrello era pieno di dolci che non avevo mai sentito nominare, nemmeno da Severus, come Gelatine Tuttigusti+1, gomme Bolle Bollenti, Cioccorane, Bacchette Magiche alla Liquirizia, Zuccotti di Zucca ed un’infinità di altre cose. Papà mi aveva lasciato alcuni spicci da spendere come preferivo per il mio periodo a scuola, perciò presi alcuni campioni di tutto – con particolare enfasi sulle Cioccorane, ad essere onesta, visto che io adoravo il cioccolato – e lo portai dentro.

Severus mi guardava con l’espressione un po’ ammorbidita di chi vede un bambino eccitato e Remus Lupin sembrava divertito. Anch’io stavo sorridendo a trentadue denti, e lo feci ancora di più quando riuscii a posare tutto su un sedile. «Volete favorire?» chiesi amabilmente, di nuovo di ottimo umore.

Per un po’ ci divertimmo a scartare le Cioccorane e provare a prenderle mentre saltellavano attraverso tutto lo scompartimento, per poi fermarci e guardare le figurine all’interno, ma fu quando arrivammo alle Gelatine Tuttigusti+1 che davvero cominciammo ad eccitarci: facevamo a gara a chi trovava il sapore più assurdo, e vinse Severus a cui toccò, poveretto, il gusto di terra bagnata.

Verso metà pomeriggio, quando ormai ci eravamo cambiati con le divise – Remus ne portava una di seconda mano un po’ troppo lunga, ma a lui non faceva differenza – e Severus era riuscito a perdere almeno un po’ il suo cipiglio, udimmo dei rumori venire da fuori ed un ragazzino pacioccone cadde lungo disteso di fronte al nostro scompartimento, facendoci balzare tutti e tre in piedi.

Stava piagnucolando qualcosa mentre una forma più alta di noi di tutta la testa e le spalle gli incombeva sopra con un sorrisetto. Fui la prima ad arrivare allo sportello, che aprii con un colpo secco. Lupin era dietro di me, sempre tranquillo ma con gli occhi attenti, e Severus sembrava indeciso se immischiarsi o no.

«Cosa succede?» chiesi guardando alternativamente la figura a terra e il ragazzo sopra di lui. Due occhi metallici si fissarono su di me mentre un sorriso che aveva dello sprezzante mi percorreva dalla punta dei piedi alla cima dei capelli.

«Niente che possa interessare una primina come te» rispose con voce lenta e strascicata. «Puoi tornare nel tuo scompartimento.»

Non lo stavo già più ascoltando: mi ero chinata verso il ragazzo a terra, che sembrava abbastanza incolume anche se traumatizzato. «Tutto a posto?» gli chiesi mentre i suoi occhi acquosi si fissavano su di me tremando.

Provò ad annuire ma gli uscì dalla bocca solo un singulto. Guardai indignata il ragazzo dagli occhi metallici mentre anche Lupin si chinava a vedere cosa fosse successo. «Cosa gli avete fatto?»

Il ragazzo sembrava sul punto di ridere. «Niente di irreversibile» rispose mentre si rizzava in piedi dominandoci tutti e tre dalla sua notevole altezza. «E ora andatevene.»

Tesi la mano al ragazzo per terra, e lo stavo aiutando ad alzare insieme a Lupin quando mi ritrovai una bacchetta puntata alla gola. Mi immobilizzai, stupefatta e spaventata. «Lui resta qui» rispose la voce odiosa.

In un secondo tutti, nel corridoio, avevano la bacchetta alla mano, compresi Severus e Lupin. «Oh, giochiamo a fare gli eroi?» chiese divertito mentre io, ripreso un po’ il controllo, mi allontanavo la bacchetta dalla gola e sguainavo la mia dalla tasca. «Tutti futuri Grifondoro, immagino?»

Notai Severus fare una smorfia a quelle parole e abbassare la bacchetta. «O forse tutti meno uno?» proseguì il ragazzo mentre i suoi occhi d’acciaio si posavano su di lui. «Effettivamente tu non sembreresti uno di quegli idioti…»

Severus sembrò prenderlo come un complimento, poiché sogghignò. «Spero di no» commentò.

«No, spero anch’io» annuì l’altro che si era improvvisamente fatto pensoso. E, con gran sconcerto mio e di Lupin – e anche del resto della carrozza, a giudicare dagli sguardi stupiti – abbassò la bacchetta. «Andiamo ragazzi» ordinò agli altri studenti dietro di lui. Tuttavia fu l’ultimo ad andarsene. Continuava a fissare alternativamente me, Severus e Remus, come a chiedersi perché stessimo tutti insieme. «Vuoi venire con noi?» chiese a Severus guardandolo. «Non sei costretto a restare con loro» aggiunse guardando me e Remus con disgusto.

Lo vidi esitare un attimo. «Sono miei amici…» mormorò alla fine con un filo di voce.

«Davvero?» La voce del ragazzo era colma di stupore. «Be’, immagino ti passerà presto» concluse. «Ci rivediamo al banchetto.» Si allontanò mentre la divisa gli svolazzava attorno ed i suoi strani capelli d’oro bianco scintillavano. Si girò solo alla fine della carrozza per lanciare un nuovo incantesimo al ragazzo dagli occhi acquosi, facendolo cadere di nuovo lungo disteso. Poi scoppiò a ridere ed uscì.

«Ma pensa tu!» commentai mentre lo aiutavamo ad entrare nello scompartimento. «Ma chi si crede di essere quello là?»

Il ragazzino continuava ad inciampare nei suoi piedi. «Finite Incantatem» ordinai alle sue gambe – era uno degli incantesimi che io e Sev avevamo imparato per primi, quando ci esercitavamo – ed il suo equilibrio sembrò migliorare.

«Tutto a posto?» gli chiese Remus mentre ci sedevamo nuovamente.

Lui annuì. «Grazie» mormorò senza fiato. «Non avevo idea di come…»

«Be’, ora è finita» disse Severus di malavoglia, mentre tornava ad appoggiarsi allo schienale mettendo via la bacchetta.

Lo guardai, stupita dal suo tono. «Cosa c’è, Sev?»

Sembrò riscuotersi e fissò su di me i suoi occhi scuri, come sempre incerti. «Niente» disse alla fine tornando a guardare un punto fisso davanti a lui.

Ma non mi convinceva gran che. «Sicuro?» chiesi inquisitoria.

Lui annuì senza guardarmi. Sembrava totalmente preso dai miei pensieri, e dopo un po’ anch’io caddi nei miei. Quel ragazzo – di cui per altro non conosceva neppure il nome – aveva detto che sarei stata una Grifondoro. Be’, non avevo idea di dove sarei andata, ma se tutti i Serpeverde erano come lui… Una ruga mi passò fra gli occhi mentre ripensavo al dialogo. Secondo lui io e Severus saremmo finiti in case diverse. Cercai di accantonare il pensiero e, per distrarmi, ricominciai a chiacchierare con Remus e con l’altro ragazzo, che scoprii si chiamava Peter Minus.

Severus restò in silenzio per tutto il viaggio, nonostante i miei sforzi di riallacciare uno straccio di conversazione. Fu solo quando scendemmo dal treno e lo presi da parte che sembrò riscuotersi. Mi guardava senza quasi battere le palpebre. «Tu… tu vorresti finire a Grifondoro?» mi chiese con un filo di voce.

«Oh, Sev!» esclamai abbracciandolo. «È questo che ti preoccupa? No, non voglio finire a Grifondoro più di quanto voglia finire da qualunque altra parte.»

Mi sorrise debolmente.

«E poi, Sev, siamo ad Hogwarts! Se davvero dovessimo finire in due case diverse – e non è assolutamente detto! – che differenza credi ci farebbe? Resteremmo comunque amici, no?»

Non perse del tutto l’espressione angosciata, ma il suo passo era più sicuro mentre ci muovevamo verso il gigantesco uomo irsuto che ci stava accompagnando. Era davvero un gigante, alto come due uomini alti e con una voce parecchio più bassa delle possibilità di un essere umano medio.

Severus sbuffò sonoramente. «Cosa c’è?» sussurrai mentre cominciavamo a muoverci.

«Un Mezzogigante» mi rispose lui con una smorfia.

«Ma i Giganti non erano…?»

«Sì, appunto.»

Guardai meglio l’omone irsuto. «Non sembra malvagio» provai a dire.

Lui si strinse nelle spalle, ma qualunque risposta stesse per darmi gli morì sulle labbra alla vista della prima panoramica di Hogwarts: un castello accoccolato su un promontorio a picco su un enorme lago, con torri e torrette che svettavano a diverse altezze dominando il paesaggio e centinaia di finestre illuminate che lanciavano riflessi gialli sull’acqua.

«Avanti, su!» gridò il Mezzogigante. «Non più di quattro per battello!»

Riuscendo a fatica a distogliere lo sguardo da Hogwarts, ci accorgemmo di essere arrivati in riva al lago e che ci aspettavano alcune dozzine di barchette munite di lanterna per attraversarlo. Severus ancora guardava il castello, e gli occhi gli brillavano tanto che dovetti scuoterlo per farlo salire su una barchetta.

Remus Lupin e Peter Minus ci seguirono, e una volta che tutti fummo saliti le piccole imbarcazioni si staccarono dalla riva e cominciarono a navigare verso il castello. Era uno spettacolo incredibile: incombeva su di noi mano a mano che ci avvicinavamo, avvolto da un cielo stellato meravigliosamente bello.

Le barchette attraversarono un passaggio nell’edera della scogliera ed arrivarono ad un porto interno contro cui le barchette urtarono dolcemente. Scendemmo velocemente e seguimmo il Mezzogigante su per uno stretto tunnel di pietra, per arrivare alla fine all’ombra del castello, su un prato verdissimo che conduceva dritto ad un immenso portone a cui la nostra guida, dopo essersi accertato che fossimo tutti presenti, bussò tre volte.



ANGOLO AUTRICE

Ave a tutti voi che state leggendo queste parole.

Sì, anche io vorrei non ci fosse nulla da puntualizzare, ma visto che è l’unica cosa che posso fare dal tempo in cui mi trovo, eccomi qui.


Riguardo alle prime scene, niente di particolare da dire, mi sono attenuta il più possibile a quanto racconta la Rowling in Harry Potter e i Doni della Morte e non mi pare di essere andata contro il Canon.

Per la seconda parte, lo so che deve essere stato davvero un’incredibile coincidenza del fato ad averla portata direttamente nello scompartimento dei due malandrini mancanti all’appello, ma di solito storie e fiction abbondano di questi strani casi e quindi mi sono detta: perché non infierire?

Abbiamo fatto conoscenza anche con un altro futuro amicone, indovinate chi può mai essere, e in quanto al fatto che una ragazzina di undici anni possa rispondere ad uno di sedici lo so che sembra assurdo ma l’ho visto succedere. E francamente credo che Lily fosse abbastanza avventata (o forse abbastanza stupida) da farlo.

In quanto alle bacchette facili, ne ho già parlato nell’introduzione a proposito dei dissapori più marcati fra Purosangue e Sanguesporco. Nulla, nel Canon, induce a pensare che Peter Minus fosse un Sanguesporco, anzi personalmente tenderei più all’ipotesi che sia se non proprio un Purosangue un Mezzosangue, ma a essere onesti, da come viene descritto, mi pare il classico esempio di vittima del bullismo. Quindi qui si tratta più di una questione di principio che di sangue.

Inoltre, da quando incontrano Hagrid fino allo smistamento ho abbastanza ricalcato le scene di Harry Potter e la Pietra Filosofale.


Per il resto, niente di particolare. Vi congedo dalla premessa della storia e vi condurrò per mano (metaforicamente parlando, ovviamente) verso la prima parte.

I miei soliti ringraziamenti A Chi Sapete Voi (e no, non sto parlando di un redivivo Voldemort u.u). E ora lancio la palla a chi ne farà un uso migliore.



ANGOLO PUBBLICANTE


*me schiva la palla lanciata dall'America*

Salve a tutti cari lettori!

Come vi va la vita? Passato un bel week-end?

Bene! Buon per voi -.-

Il mio è stato uno schifo! Ma dato che vi voglio bene e non posso ritardare ancora la pubblicazione, vi scrivo dal letto su cui sono confinata da un po', causa influenza. Nel caso vi dovessero servire dei germi per saltare la settimana di verifiche io sono disponibile -.-


*Pausa soffio naso e qualche colpo di tosse*


Dopo avervi annoiato con la mia vita, ho una piccola comunicazione da fare: dal prossimo capitolo la numerazione ricomincerà da 1 dato che inizia il periodo ad Hogwarts e finisce la premessa sul Pre-Scuola. Mi pareva giusto puntualizzarlo, anche se è una cosa abbastanza inutile, ma nel caso dovesse causare stordimento io vi avevo avvisati ^^


Passiamo ora alle recensioni, che stanno crescendo sempre di più da chap a chap *____*

  • A malandrina4ever: assolutamente no! È cosa buona e giusta mangiare patatina ad ogni ora del giorno e della notte! È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di felicità? SI!

    ...

    Ehm... non so da dove mi sia uscita la parentesi da omelia O.o

    Hai detto “Scorpius”? Che nome bizzarro! S-C-O-R-P-I-U-S... il suono mi è familiare anche se non mi riesco a ricordare dove potrei mai averlo sentito...

    di sicuro all'ultima lezione di Astronomia! Quella dove dovevamo calcolare l'altezza delle costellazioni sull'orizzonte... BRUTTI RICORDI!

    Invece “insalata” deve essere una vera e propria allucinazione collettiva, come i CAVOLETTI DI BRUXELLES! Che non hanno nemmeno il diritto di essere nominati in questa sede e che quindi da ora in poi verranno censurati!

    *_________________________________________* Il ketchup! Questo sì che è un suono poetico! Ma mai piccante concordo! Anche se subito dopo aver fatto colazione con il cappuccino con i croissant, il ketchup forse stonava u.u o forse no??

  • A 9Anny7: oooooooooh! Che bello! Una nuova lettrice! Benvenuta e lieta che il chap ti sia piaciuto! Sono contenta che ti sia decisa ad uscire dall'ombra! Spero che questo chap non ti ci faccia tornare xD

  • A purepura: non sei assolutamente pignola! Anzi! Grazie di avermelo fatto notare! Ho corretto subito e da ora in poi rileggerò i chap meglio, anche se mi fidavo dell'occhio di falco di Sil... che stia perdendo colpi O.O

    In effetti qui il piccolo Sev è un po' antipatico, ma direi che anche Petunia se lo meritava! Lo tratta alla stregua di uno straccio sporco! E noi conosciamo l'odio di Petunia per lo sporco! Un saluto anche a te!

  • A mimmyna: è una cosa un po' complicata, allora: mia sorella ha scritto questa storia, ma ora è un anno all'estero per imparare meglio l'inglese e quindi mi ha chiesto se potevo pubblicare i chap al suo posto, io ho accettato e quindi eccoci qua! Lei lascia le sue note in “Angolo Autrice” e invece io rispondo alle recensioni nel'”Angolo Pubblicante”. Quindi dato che siamo sorelle, nell'angolo autrice la sorella a cui di riferisce sono io e nell'angolo pubblicante è lei (l'autrice). Spero di essermi spiegata e di non averti solo scombussolato le idee!

  • A googletta: grazie mille! Allora, è una foto di Lily e Petunia da piccole che viene bruciata da un'ipotetica Petunia adulta! Lo so che è un po' complicato, ma rendeva bene l'idea della gelosia! Come se quello che era il loro rapporto non ci fosse più e quindi si dovevano eliminare le prove! Sono contenta che tu ti sia divertita alla festa! Pare che Halloween sia stato bello per tutti!

    P.S. Lo riferirò! xDxD

  • A S_marti_es: anche per me Piton qui è un po' stronzetto! Ma dobbiamo capirlo! È un modo per semi vendicarsi della tizia che lo sfotte dalla prima volte che l'ha visto! E poi i bambini sanno essere perfidi!

    Arriva il fatidico incontro con James e Sirius! Contenta? Finalmente li potremo ammirare dall'alto della loro magnificenza! *_______________________* e d'ora in poi faranno presenza fissa!


Perfetto! Grazie mille a voi che recensite e anche a voi che leggete e basta!

*La palla che è riuscita a schivare prima torna indietro stile boomerang e la mette K.O.*

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Capitolo 8
*** Capitolo 1 - Unità Spezzata ***


The Lost Years Of Lily

Non approvo alcun intervento collettivo sull’ignoranza naturale.

L’ignoranza è come un delicato frutto esotico: come lo si tocca, il fascino è perduto.

Tutta la moderna teoria dell’istruzione è radicalmente infondata.

Per fortuna, in Inghilterra non sortisce alcun effetto.

Oscar Wilde

Prima parte: I anno

Capitolo 1 – Unità Spezzata

 

La porta si spalancò come se non avesse atteso altro tutta la sera. Probabilmente era così.

In quel momento ero eccitata al massimo, e da come si agitava direi che anche Severus era in quello stadio. Il sorriso di Lupin, alla mia destra, era più largo del solito, e Peter Minus si stava mangiando le unghie con una voracità davvero notevole.

Dietro c’era la professoressa McGranitt con un abito verde smeraldo, e ci stava scrutando tutti con quel suo cipiglio severo che pareva parte integrante del suo viso.

«Questi sono gli allievi del primo anno, professoressa McGranitt» fece il Mezzogigante accennando a noi.

«Grazie, Hagrid, da qui in poi li accompagno io.»

La porta si spalancò. La sala in cui entrammo era talmente grande che ci sarebbe comodamente entrato un cottage di medie dimensioni. Il soffitto poi era così alto da fare quasi impressione. Davanti a noi c’era uno scalone di marmo, che presumibilmente conduceva ai piani superiori, ed a cui passammo accanto quando la professoressa ci portò in una piccola stanza oltre la Sala d’Ingresso e quella vasta alla sua destra da cui proveniva un insistente brusio.

«Benvenuti ad Hogwarts» cominciò scrutandoci attentamente uno per uno, «dunque, fra qualche minuto attraverserete questa porta per unirvi al banchetto di inizio anno, ma prima di prendere posto nella Sala Grande, verrete smistati nelle vostre Case; la cerimonia dello Smistamento costituisce un evento molto importante in quanto per il tempo che sarete qui, la vostra Casa sarà un po’ come la vostra famiglia. I trionfi che otterrete le faranno guadagnare punti. Mentre ogni infrazione delle regole le farà perdere punti. Alla fine dell’anno, alla Casa con più punti verrà assegnata una Coppa delle Case, il che costituisce un grande onore per la Casa che la riceve. Le quattro case sono Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde. Ognuna di queste ha una nobile storia e da ognuna di esse sono nati maghi e streghe di prim’ordine.

«La cerimonia dello Smistamento inizierà fra pochi minuti. Nell’attesa, vi consiglio di fare del vostro meglio per rendervi… presentabili.» I suoi occhi vagarono su tutti noi, tanto da farci sentire ancora più disordinati ed a disagio di quanto già non fossimo.

In effetti, durante tutto il suo discorsetto, la McGranitt non aveva accennato né a come dovevamo venir smistati né a cosa dovessimo fare mentre lei se ne andava. Guardai Severus con una punta di panico e notai che sembrava più immusonito del solito, ma normalmente questo era un sintomo di stress.

«Tu sai come avviene la cerimonia dello Smistamento?» chiesi in un sussurro.

Lui si strinse nelle spalle. «Mia madre parlava di un cappello che dovrebbe esaminare le nostre capacità, ma non me lo ha mai spiegato bene…»

Guardai Remus e Peter Minus in cerca di lumi, ma non ne arrivavano: il primo aveva perso il sorriso e si stava guardando le mani intrecciate, il secondo aveva ripreso a mangiarsi le unghie ma senza l’espressione eccitata di poco prima.

«Credi che dovremo dare una dimostrazione pratica di ciò che sappiamo fare?» chiesi mentre la mia mente partiva a ricordare tutti gli incantesimi che avevamo studiato quest’estate e cominciavo a chiedermi quali avrebbero potuto chiedere e cosa sarebbe successo se me ne avessero chiesti altri. L’ipotesi era così terrificante che cercai di non pensarci, anche se la mia mente continuava a tirare brutti scherzi, come sempre quando ero nervosa. Al solito, mi venivano in mente solo le ipotesi peggiori, e cioè che non fossi all’altezza, che mi chiedessero cose al di sopra delle mie possibilità, che dovessi tornare a casa, che non potessi più praticare nessuna magia… ero così terrorizzata che mi accorsi solo dopo un po’ di aver stretto un lembo della tunica di Severus. «Scusa» mormorai quando me ne avvidi avvampando.

Lui si strinse nelle spalle e non disse niente. Parlò solo dopo un po’. «Non credo che… che abbiano messo ostacoli insormontabili da… da superare. In fondo dobbiamo solo capire in che Casa andare…»

Io annuii, grata per quelle parole. «E poi ci siamo esercitati, giusto?» dissi per fare coraggio ad entrambi. «Sappiamo comunque diversi incantesimi che potrebbero tornarci utili…»

Lui annuì debolmente.

Remus era mortalmente zitto, mentre Peter Minus continuava a farfugliare parole inintelligibili. Mi guardai attorno: gli unici a sembrare del tutto indifferenti alla situazione erano i due ragazzi che erano venuti nel mio scompartimento ed avevano preso in giro me e Sev ed altri due che stavano di lato e parlottavano fra loro. A guardarli non sembravano del nostro anno: uno era grosso e nerboruto, dall’espressione truce, l’altro era più smilzo ma più alto e sembrava trovare tutta la faccenda mortalmente noiosa.

Ad un certo punto, una ragazzina strillò, facendoci voltare tutti come un sol uomo: davanti a noi c’era una specie di… di fantasma bluastro con un ridicolo papillon rosso a pois gialli che ci stava guardando con due occhietti maligni. «Oooooooooooooh! Pivellini del primo anno! Ma che gioia!» sogghignò venendoci incontro.

Forse per paranoia o forse per sicurezza, portai la mano all’impugnatura della bacchetta.

«Pix!» urlò qualcuno, ed un istante dopo la testa di quello che sembrava un fantasma dal rassicurante color perlaceo uscì dal muro facendo sobbalzare alcuni studenti. «Questa volta l’hai fatta grossa, Pix! È inutile che scappi, ti prenderemo, schifoso, stupido, piccolo Poltergeist!»

Quasi sobbalzai dall’acidità di quella voce. E non era finita…

«Sir Lionel, vi prego!» Il fantasma di un frate grassoccio stava facendo la sua apparizione. «Dovete perdonare, dargli una seconda…»

«Mio caro frate, gli abbiamo dato tutte le possibilità che meritava e anche di più.» Un terzo fantasma in calzamaglia e gorgiera aveva fatto la sua apparizione e guardava con profondo disgusto il primo essere, il Poltergeist, che nel frattempo stava rivolgendo sonore linguacce a tutti con profondo piacere.

Nessuno sembrava essersi accorto della nostra presenza. Fu solo dopo un po’ che il frate grasso guardò verso di noi e quasi fece un salto all’indietro, facendo sobbalzare anche l’uomo in calzamaglia che per poco non perse la testa.

«Nuovi studenti!» disse abbracciandoci tutti con lo sguardo. «Aspettate di essere smistati, immagino?»

«Indovinato, capo!» confermò la voce del ragazzo dai capelli scompigliati del mio scompartimento.

Lui rise come ad una battuta divertente. «Oh, meraviglioso, assolutamente meraviglioso!»

Nessuno degli altri fantasmi sembrava trovare la cosa meravigliosa. Sir Lionel stava ancora guardando in cagnesco Pix, che dal canto suo non faceva nulla per migliorare la situazione continuando ad esibirsi in una nutrita collezione di sberleffi, e l’altro sembrava deciso a mettere fine alla loro disputa prima di passare a noi. «Mio caro Lionel, vi prego di darvi una calmata! Se ne occuperà il barone, come sempre, e dopo aver saputo cos’è successo sta sicuro che non lo tratterà coi guanti…» concluse guardando velenosamente il Poltergeist, che da parte sua gli rivolse un’ultima boccaccia prima di passare attraverso il muro, subito inseguito da un belligerante sir Lionel accompagnato dal fantasma in calzamaglia, mentre il frate grasso continuava a dedicarci la sua attenzione. «Oooooooh, spero sarete tutti Tassorosso!» commentò guardandoci. «Sapete, era la mia…»

«Bene, e ora può andare, frate» ribatté una voce spiccia alle nostre spalle, e tutti ci voltammo verso la professoressa McGranitt di ritorno da… da qualunque fosse il posto in cui era andata. «Lo Smistamento sta per iniziare. In fila dietro di me.»

Uscì senza guardare se la seguivamo o meno e ci guidò in un salone ancora più enorme di quello d’ingresso: una sala gigantesca attraversata per tutta la lunghezza da quattro lunghissimi tavoli e dominata, in fondo, da un soppalco su cui si trovava il tavolo degli insegnanti. Migliaia e migliaia di candele fornivano l’illuminazione, e guardando verso l’alto notai che il soffitto era assente. Un esame più attento mi svelò che era una magia, e mi ricordai, dandomi mentalmente dell’idiota, di un passo letto in un interessante libro intitolato Storia di Hogwarts a cui avevo dato una sfogliata molto distratta d’estate.

La professoressa ci fece imperturbabilmente attraversare tutta la sala, sottoponendoci all’esame delle centinaia di altri studenti presenti e ci condusse fino al tavolo degli insegnanti, di fronte al quale c’era uno sgabello a quattro gambe con sopra poggiato il cappello più consunto che avessi mai visto. Se davvero dovevamo mettere il cappello, allora forse era un vantaggio che Tunia non fosse stata ammessa: non si sarebbe mai sottoposta ad un’onta del genere. Chissà cosa faceva… me lo stavo ancora chiedendo quando uno strappo vicino al bordo si spalancò ed iniziò ad intonare:


Se fossi bello di viso ed aspetto

come i cappelli che avete in assetto

forse sarei in testa a uno studente

ma senza muovermi, muto e silente

e forse il mio compito non finirei

perché una mente io no, non avrei

e sarei soltanto un pezzo di pezza

che sfiora il capo con una carezza.

Ma è certo invece, o miei signori,

che fra i cappelli, io son dei migliori

perché solo io sono in grado di fare

uno Smistamento che non abbia eguale

e se Grifondoro, amici cari, è la via

che volete imboccare, parola mia,

posso affermar che non farà difetto

mai coraggio, virtù ed intelletto.

E se è Tassorosso la vostra via

ogni pensiero sarà in armonia

con la lealtà, giustizia ed onore

che recano seco i buoni di cuore.

E se imboccherete poi Corvonero,

lì dove alberga il genio più vero,

la vostra strada sarà la saggezza,

l’integrità e l’assennatezza.

Se Serpeverde sarà infine l’opzione

che guiderà ogni nobile azione

menti acute avrete e ambiziose

capaci di far scelte pericolose.

E ora che ho detto ciò che vedrete

in quelle Quattro a cui apparterrete

saprete che vi avrò ben giudicato

state tranquilli, non ho mai sbagliato

perché ogni errore è sciocco e pedante

ed io sono il Cappello Parlante!


Lo shock del cappello canterino mi sottrasse per qualche secondo la parola, e cominciai ad applaudire in ritardo. «Quindi dobbiamo solo provare il cappello?» sussurrai a Severus.

«Pare di sì» commentò lui, e, dopo aver battuto un paio di volte le mani, tornò perfettamente immobile, il viso sempre più corrucciato.

Effettivamente, per quanto la prospettiva di indossare il cappello fosse meno terrificante di tutti gli scenari possibili che si erano affacciati alla mia mente ansiosa, ora cominciavo a sperare che, qualunque cosa dovesse fare quel cappello, potessimo farlo in separata sede, e non sotto gli occhi di tutti.

Intanto i primi studenti venivano smistati, ci furono tre Corvonero, due Tassorosso, due Serpeverde e un Grifondoro – il ragazzo dallo sguardo arrogante che c’era nel mio scompartimento, e che aveva causato una marea di applausi dal tavolo rosso-oro senza precedenti – prima di arrivare al famigerato: «Evans, Lily!»

Sentii la mano di Severus stringere la mia quasi con rabbia, poi la stretta si allentò e lui mi guardò andare con la stessa ansia che probabilmente era specchiata nei miei occhi. Cercai di farmi forza il più possibile, ma mi sentivo le gambe di gelatina. Il percorso fino allo sgabello sembrava lunghissimo, sentivo centinaia di occhi puntati su di me e la sensazione non era affatto gradevole.

Alla fine arrivai, e sentii il cappello scivolarmi lentamente sugli occhi.

«Allora, dunque» esordì una vocina nel mio orecchio facendomi sobbalzare, «qui c’è un’intelligenza davvero notevole, parecchio coraggio e una bella lealtà… senza contare anche un bel desiderio di… riuscire in questo mondo, giusto?»

«Ehm… sì» sussurrai quasi senza muovere le labbra.

«Sì, lo vedo. C’è di tutto nella tua testa, devo ammettere, ma probabilmente la Casa più adatta a te sarebbe… Grifondoro!»

Sentii le ginocchia cedermi mentre il cappello urlava a tutta la sala il suo verdetto e mi affrettai a togliermelo dalla testa per alzarmi ed andare verso il mio tavolo, ma a metà strada mi girai: non ero a Serpeverde, come Severus avrebbe voluto. Gli rivolsi un sorriso che doveva essere orrendo, perché non ero proprio nella disposizione di spirito adatta per poter essere felicissima come avrei voluto, e lo vidi guardarmi con gli occhi imploranti, infelici che aveva avuto la prima volta che l’avevo visto.

Continuai la mia lenta avanzata verso il mio nuovo tavolo, dove il ragazzino che ci aveva presi in giro mi faceva spazio con quel suo insopportabile sorriso; mi girai con decisione: anche se era un Grifondoro, non intendevo diventare amica di una persona così disposta a prendere in giro gli altri. Mi sedetti dall’altra parte e guardai con ansia il resto dello Smistamento.

I due ragazzi che erano nello scompartimento assieme a me e Severus finirono tutti e due a Grifondoro – anche se per Peter Minus si dovette aspettare parecchio prima che il cappello desse un verdetto – e cercai di consolarmi dicendomi che almeno uno dei miei nuovi compagni sembrava simpatico, ma in quel momento avevo la testa altrove.

Quando la professoressa arrivò alla P mi rizzai sulla panca su cui ero seduta, le dita incrociate sotto il tavolo. Guardai Severus avanzare al suo nome e cercai – osai – sperare ancora.

Ma il cappello gridò: «Serpeverde!» quasi nello stesso momento in cui gli toccò la testa, e lui dovette andare all’altro tavolo, quello dalla parte opposta della sala, dove venne accolto da quello stesso ragazzo dai capelli platinati che aveva preso in giro Peter Minus sul treno.

Rivolsi un sospiro sconfortato al mio piatto al pensiero di aver perso così in fretta l’unico amico che mi fossi fatta fino ad allora. Remus dovette accorgersene perché mi riservò il suo solito sorriso, al che cercai di tirarmi un po’ su di morale: in fondo significava solo che non avremmo dormito nello stesso dormitorio, no?

Neanche trenta secondi dopo il secondo ragazzo del mio primo scompartimento venne smistato a Grifondoro e si sedette di fronte a me, con mio gran disgusto. Mi fece persino l’occhiolino!

Ero più che certa che avrei passato metà delle mie giornate a litigare con quell’idiota e il suo degno compare alla sua sinistra. Lo Smistamento si protrasse ancora per un po’, poi finalmente finì. Francamente non ne potevo più ed incominciavo ad avere una fame tremenda.

Il professor Silente, il preside, si alzò non appena l’ultimo ragazzo venne smistato e ci guardò aprendo le braccia: «Benvenuti!» esclamò mentre i suoi occhi percorrevano tutta la sala. «Benvenuti ad un nuovo anno ad Hogwarts! Ci sono i soliti annunci di inizio anno da fare, ma credo di interpretare il pensiero di tutti dicendo che possono aspettare. Dateci dentro!»

Tutti risero e puntarono lo sguardo sui loro piatti. Un po’ perplessa, lo feci anch’io e mi accorsi in quel momento che si erano riempiti di una quantità incredibile di cibo. Senz’altro non poteva essere tutto per noi!

Guardandomi meglio attorno tuttavia dovetti giungere alla conclusione che era così, soprattutto a giudicare da come stavano mangiando i ragazzi di fronte a me: sembrava che non toccassero cibo da giorni! Con un certo disgusto, distolsi lo sguardo e mi voltai verso Remus, alla mia sinistra, con cui iniziai a chiacchierare del più e del meno. Un’altra ragazzina, Alice McDougal, si unì a noi nella discussione: aveva un viso tondo e cordiale, morbidi capelli chiari e sottili come fili di seta e sembrava ancora nervosa e vagamente sopraffatta dal trovarsi lì.

Però proveniva da una famiglia purosangue, quindi conosceva già Hogwarts da quando era nata ed era assolutamente tranquilla al contatto con qualunque tipo di magia potesse avvenire. Fu lì che conobbi per la prima volta la distinzione: tre classi, a seconda della propria nascita, Purosangue, Mezzosangue e Sanguesporco. Io appartenevo all’ultima categoria, senza un briciolo di magia che derivasse dalla mia discendenza, senza nessun parente che potesse definirsi mago.

«Ma è un insulto razzista e disgustoso» proseguì Alice mentre mangiava. «Sanguesporco… come dire sangue contaminato! È la scusa che i Purosangue più estremisti adducono ad alcune persecuzioni di maghi come… di maghi nati in famiglie Babbane. E in ogni caso ormai non ci sono quasi più maghi che non abbiano almeno una goccia di sangue Babbano nelle vene, se non avessimo sposato Babbani ci saremmo estinti.»

Io annuii mentre immagazzinavo il termine. «E i Mezzosangue?»

«Be’, loro sono i figli di un mago e di un Babbano» mi spiegò lei mettendosi in bocca una patata. «Non so, soffrono di meno discriminazione, devo dire, però…»

Pensai a Severus: quindi lui era un Mezzosangue e io una Sanguesporco. Bella accoppiata, non c’è che dire…

Dopo un po’ io e Remus cominciammo a discutere delle lezioni e delle nostre cognizioni attuali, e Alice gradatamente si disinteressò all’argomento. La Prefetto che ci aveva salutato quando ci eravamo seduti aveva accettato di chiacchierare con noi, e ci stava spiegando come raggiungere le aule nel minor tempo possibile, oltre a illustrarci i fondamenti della magia.

Alla fine, dopo esserci serviti di porzioni più che abbondanti, i cibi sparirono nuovamente dai piatti e tornarono immacolati. Il preside si alzò ed abbracciò tutti con un sorriso di benvenuto.

«Dunque, ora che siamo tutti sazi e dissetati, ho alcune parole da dirvi prima di abbandonarvi ad un meritato riposo.

«Il primo anno prenda nota del fatto che l’accesso alla foresta che circonda la scuola è severamente proibito a tutti gli alunni, anche ai più anziani, salvo essere accompagnati da un insegnante su richiesta di un insegnante.

«Il nostro nuovo custode, il signor Gazza, mi ha inoltre pregato di ricordarvi che i duelli e le gare nei corridoi sono vietati, come lo sono anche un elenco di oggetti magici che potete trovare nel suo studio.

«I provini per le squadre di Quidditch si terranno a partire dalla seconda settimana scolastica, e chiunque sia interessato a partecipare come giocatore della sua Casa deve rivolgersi all’insegnante di volo, la signora Powell, o ai direttori delle rispettive Case. La prima partita, Grifondoro-Serpeverde, si terrà il quattordici novembre.

«E ora vi prego di salutare con calore la nostra nuova insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, la professoressa Harvey, che ha preso il posto del professor Cox trovandosi il medesimo nell’impossibilità di insegnare, al momento attuale.»

Una donna piccola e segaligna si alzò e ricevette l’educato applauso con una smorfia, per poi tornare a sedersi legnosamente.

«Dunque, credo che questo sia tutto» concluse Silente guardandoci tutti con un sorriso. «A letto ora, su!»

Ci fu un improvviso caos mentre le centinaia di ragazzi presenti si alzavano quasi contemporaneamente per salire. Speravo di riuscire a vedere Severus per parlargli, prima di sera, ma a giudicare dalla confusione attuale non sarebbe stato possibile.

Intercettai solo per un secondo il suo sguardo quando uscii dalla sala a seguito della Prefetto con cui avevamo chiacchierato, ma non riuscimmo né ad avvicinarci né a parlarci.

La Prefetto ci guidò su per diverse rampe di scale, fino al ritratto di una donna decisamente in carne con indosso un abito rosa, apparentemente di seta. Se mia madre fosse stata presente sarebbe probabilmente stata in grado di dirmi chi fosse l’autore di quel quadro e il periodo in cui era stato dipinto, ma personalmente l’unica cosa che potevo notare era che mi ricordava vagamente alcuni ritratti di Leonardo da Vinci, un pittore italiano per cui avevo sempre avuto una grandissima predilezione.

La cosa assolutamente incredibile era che, come tutti i quadri nel castello, si muoveva. Le sue movenze erano lente e calcolate. «Parola d’ordine?» chiese guardando la Prefetto.

«Faber fati» scandì quella lentamente.

E con nostra sorpresa il ritratto girò su sé stesso aprendo un passaggio circolare attraverso cui passammo tutti, ritrovandoci in una stanza di belle proporzioni, rotonda, che ospitava diverse soffici poltrone di velluto rosso, uno scaffale con parecchi libri ed era ricoperta di arazzi rosso oro per tre quarti delle pareti. Da una parte, poi, c’era un camino con già acceso il fuoco.

La Prefetto si girò verso di noi. «Questa è la Sala Comune di Grifondoro» disse dopo essersi accertata che ci fossimo tutti. «È un po’ il nostro luogo di ritrovo fra una lezione e l’altra, a cui si accede, come avete visto, con una parola d’ordine che non dovete dare a nessuno esterno alla nostra Casa e che dovete tenere a mente. Altrimenti, semplicemente, non potete entrare. I dormitori dei ragazzi sono oltre quella scala a chiocciola a sinistra, per le ragazze lo stesso a destra. Tutti gli effetti che avete lasciato sul treno sono già nelle vostre camere. Per qualunque dubbio possa venirvi, rivolgetevi pure a me o ad un altro Prefetto.»

Le nostre stanze erano sempre circolari, più o meno, con cinque letti a baldacchino dalle tende di velluto scarlatto. Il mio letto era il più vicino alla finestra, quello di Alice era accanto a me. Le altre due ragazze stavano già chiacchierando fra loro, e poco dopo anche Alice si unì a loro. Io mi misi il pigiama e mi avvicinai, ma il mio unico contributo alla discussione fu la mia presentazione e qualche assenso nei momenti giusti. Non so perché, ma ero sempre stata in leggero imbarazzo in compagnia di ragazze. Mi trovavo meglio con i ragazzi, forse perché erano meno… subdoli. In realtà, stavo pensando di cominciare a scrivere una lettera ai miei genitori, anzi, avevo già iniziato a comporla quando mi si parò davanti agli occhi l’immagine della faccia disgustata e furiosa di Tunia quando eravamo alla stazione. Mi gelò letteralmente dentro. Sembrò quasi che mi fosse scivolato un blocco di ghiaccio nello stomaco, e mancò poco che non scoppiassi a piangere quando pensai che mia sorella mi vedeva come un mostro. Un mostro!

Non sapevo più cosa scrivergli. Se gli avessi descritto tutto quello che avevo visto mi avrebbe odiata ancora di più, soprattutto se mamma aveva ragione ed era davvero gelosa di me, però volevo anche raccontare ai miei tutto quello che avevo visto. Sentivo di essere di fronte ad un grosso dilemma, perché non volevo ferire Tunia ma volevo anche rendere i miei genitori partecipi della mia gioia, di tutto quello che avevo visto.

Ci rimasi a pensare per tutto il tempo in cui le altre ragazze chiacchierarono, lambiccandomi il cervello nel tentativo di trovare una soluzione valida.

Andai a dormire con la testa che ancora mi congetturava di ipotesi analizzate e scartate, che mi tennero a lungo sveglia nonostante la stanchezza mi fosse piombata addosso tutta insieme.

Quando finalmente mi addormentai, feci un sogno strano: ero completamente avviluppata nello stendardo rosso-oro dei Grifondoro e stavo cercando di liberarmi le mani per prendere la bacchetta quando, davanti a me, si materializzò l’immagine di Tunia. Continuava a chiamarmi, dicendomi che dovevo raggiungerla, e cambiando espressione in quella furente e disgustata vedendo che non potevo. Cercavo disperatamente di liberarmi per poter andare da lei, ma lo stendardo si avvinghiava sempre più stretto intorno a me e non riuscivo a fare niente. «Mostro!» era l’ultima cosa che mi diceva. Poi il suo viso si trasformava in quello di Severus, lo sguardo distrutto e abbattuto come quando mi aveva vista andare a Grifondoro, poi la sua espressione diventava gelida, maligna, similissima a quella del ragazzo platinato del treno, mentre diceva: «Tutti futuri Grifondoro, immagino…»

Non mi svegliai, ma immagini sconnesse di mia sorella e del mio migliore amico continuarono a turbare i miei sogni fino alla mattina dopo.



ANGOLO AUTRICE

Allora, lo so che siete tutti lì con i pomodori per questo sfoggio di disabilità compositive, ma francamente se c’è una cosa che non ho mai capito è Come. Accidenti. Fa. Quello. Stupido. Cappello. A inventare una nuova canzone tutto gli anni -.-

Io non sono Shakespeare e non sono Montale, non sono Leopardi e non sono Milton, sono solo me stessa e francamente già cercare di mantenere gli endecasillabi è stata una faticaccia. Quindi vi prego di perdonarmi e di mostrare pietà.

*LadyMorgan si prostra in cerca di pietà*

Allora, a parte la mia perdita di dignità a seguito delle mie scarse capacità compositive, sono sicura che ci fossero alcune note. Quindi ora mi rimetto la testa a posto e cerco di concentrarmi di nuovo su quello che dovevo dire. Sì. Certo.


Ah, ecco. Tanto per cominciare, il discorso iniziale della McGranitt è praticamente uguale a quello tenuto nel libro e nel film di Harry Potter e la Pietra Filosofale. Per esperienza so che i discorsi di inizio anno raramente variano quando devono dire così poche cose.

Anche la rapida panoramica dei fantasmi è un’idea che mi è venuta pensando al primo Harry Potter. Forse perché voglio mettere il più possibile in parallelo le esperienze di questi due personaggi che, secondo me, sono sotto molti aspetti assai simili. In questa linea è anche l’inserimento del sogno a fine capitolo.

Per quanto riguarda gli allievi del primo anno delle varie case, alcuni sono puramente inventati, altri solo in parte (come il cognome da nubile della futura Alice Paciock).

Avendo tenuto in italiano il cognome di Piton, ovviamente nell’ordine alfabetico veniva prima di Potter, a differenza di quanto accade ne “La storia del Principe”, dove l’ordine è quello inglese e quindi Snape viene dopo Potter.

La parola d’ordine è un’altra castroneria campata là per aria che spero non dia troppo fastidio agli autentici latinisti presenti. Grammaticalmente non è scorretta, ma è una vera idiozia.


E anche per oggi abbiamo finito, puff!

Lascio a mia sorella il compito di rimediare agli irrimediabili danni fatti da questo capitolo. E, come sempre, grazie. A tutti voi.


ANGOLO PUBBLICANTE


Hola a voi, mio amatissimo pubblico! Come state? Inutile domanda di circostanza dato che non mi potete rispondere -.- Si deve allungare il brodo no? Come previsto la numerazione è ripartita da 1, ma, come voi attenti signori avrete notato, non è più in cifre romane.

Smetterò di annoiarvi e passerò a rispondere alle vostre meravigliose recensioni:

  • A mimmyna: mi dispiace che tu non abbia capito :C mi fa sentire negata a spiegare le cose, e non è una bella cosa considerando la prossima interrogazione di storia :S

    Sono comunque felice che il capitolo ti sia piaciuto senza capire chi lo abbia scritto ^_^ Mia sorella ringrazia molto per i complimenti!

  • A 9Anny7: purtroppo il topo è necessario alla stesura del testo -.- anche se tutti noi l'avremmo censurato volentieri! Le recensioni non infastidiscono mai tranquilla! E data la stagione sono a corto di pomodori xD ma anche se li avessi avuti non li tirerei mai a persone che recensiscono questa meravigliosa storia! Grazie e spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!

  • A S_marti_es: yes! Forever and ever! E noi smentiamo quelle inutili voci che dicono che in realtà sono morti tutti! Sono sporche calunnie! I miei Malandrini (vanno onorati con la lettera maiuscola u.u) sono tutti V-I-V-I! Tranne la pantegana -.- esso è inutile e privo di scopo!

    Dopotutto anche Malfoy Senior ha un suo scopo nella vita (non come il topo che, ribadisco, è inutile!), lui serve a portare un po' di spessore alla Nobile et Antichissima Casa di Serpeverde! Altrimenti con tutti pazzoidi privi di personalità non c'era gusto no? Povero Mocc... Piton! Diamogli ancora un po' di capitoli di tregua! Non iniziamo da subito! Il povero piccolo Moccy non sa ancora cosa gli riservano i prossimi 7 anni! Lasciamolo nella sua pace!

    Grazie mille per tutti i complimenti sulla stesura del capitolo! Dall'America sono molto apprezzati ^^ tutti noi siamo con una Lily meno secchiona e più grintosa! FORZA LILY VAI COSì (clap clap), FORZA LILY VAI COSì (clap clap)

  • A googletta: *me arrossisce* prima o poi mi farai morire a suon di complimenti per le immagini! Grazie davvero tanto! È bello essere apprezzati in questo modo! In quanto ad Harry Potter 7 io me lo sono visto tossendo come una scema per tutto il tempo :C :C ma diciamo che nel cinema c'era di peggio xD Diciamo però che all'inizio James e Sirius sono un po' stronzetti! Ancora non lo consci e già gli affibbi un soprannome idiota? (Per chi non lo avesse capito, parlo di Mocciosus). Spero che anche questo capitolo (con relativa immagine xD) riscontri il tuo apprezzamento!

  • A malandrina4ever: una Gelatina Tuttigusti+1 al McDonald? O.o e di cosa dovrebbe sapere? Di patatine con hamburger, CocaCola e... non so che altro?? *_________* ma che bella (e buona) cosa! Anche se è meglio quella allo zucchero filato! Che si mangia una volta all'anno perché ingrassa -.- perché i dolci devono ingrassare?! Uno non potrebbe ingrassare mangiando, che so... BROCCOLI? Almeno hai una buona scusa per non mangiarli: «No, grazie! La verdura mi finisce tutta sui fianchi!», che bel mondo che sarebbe *______________________________________________*

    Povero Piton che ha fatto adesso! Non ha ancora parlato e già sprigiona odio (notare come basti cambiare una sola lettera oDio oLio xD)... Devo dire però che a me all'inizio James stava sulle scatole! Non puoi dare giudizi così, a priori! Solo all'inizio, giuro! Poi mi sono ricreduta e lo venero *.* come tutti noi dovremo fare! Ma James senza Sirius è come la pasta senza il sugo! O peggio... le patatine senza ketchup! Brrrr. Orrore.


Bene! Dopo aver risposto io vado a fare i compiti: SISTEMI DI EQUAZIONI LINEARI! Come non amarli -.-









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Capitolo 9
*** Capitolo 2 - Solo Lily e Solo Severus ***


Prima parte: I anno

Capitolo 2 – Solo Lily e Solo Severus

 

La mattina del mio primo, ufficiale giorno ad Hogwarts mi svegliai intorno alle sei e, dopo aver rivolto uno sguardo disgustato alla sveglia, mi accorsi che durante le ore di incoscienza la mia mente doveva aver incessantemente lavorato al problema “lettera” perché mi ritrovai con l’illuminazione di scriverne due, una per Tunia e una per i miei genitori, e le stesse già stampate in mente. Mi vestii e mi lavai la faccia, poi scesi in una Sala Comune completamente vuota e tirai fuori dalla borsa che mi ero preparata penna e pergamena, guardando con poca fiducia quei due strumenti. Con le penne stilografiche me la cavavo, ma le penne d’oca…


Cara Tunia,

come stai? Da me tutto a posto, il viaggio è stato molto tranquillo e siamo arrivati intorno alla sera. A ben pensarci, la mia è una scuola esattamente come le altre, a parte per le materie: ci hanno divisi in vari dormitori e poi abbiamo cenato, c’erano dozzine di pietanze compresi degli orribili dolci alla menta che ho avuto la sfortuna di assaggiare. Ti lascio immaginare lo stato del mio stomaco dopo…

Ho conosciuto solo un paio di ragazzi, due sono veramente antipatici e stupidi, continuavano a disturbare ed a ridere in maniera sgradevole. Uno invece sembra a posto, si chiama Remus Lupin e mi è sembrato abbastanza intelligente.

Ci sono personaggi che potrebbero essere il corrispondente della nostra vecchia scuola: abbiamo un Sam Hawkins biondo platino con gli occhi di metallo che se ne va in giro tutto tronfio come un pallone gonfiato, una Sally Cook che è il nostro prefetto ed è molto gentile e disponibile, persino un Bobby Allys – che però qui si chiama Peter Minus – che è riuscito a farsi mettere sotto il primo giorno di scuola.

Stanotte ho dormito malissimo, non so neanche perché, non riuscivo a prendere sonno.

Gli insegnanti sembrano usciti da un libro, ce n’è uno piccolo dai capelli bianchi – sarà alto un metro, una cosa assurda – una è vecchia e legnosa, uno grosso e grasso ma con lo sguardo cordiale, e poi c’è la professoressa McGranitt, che hai visto anche tu. Ce ne sono anche altri, ma molto più anonimi.

Il preside mi sembra un’ottima persona, ha i capelli bianchissimi e due strani occhiali a mezzaluna, ma parla con molto affetto a tutti noi e… be’, sembra a posto.

L’unica cosa un po’ bizzarra è che i ritratti si muovono, fanno prendere certi spaventi…

Fammi sapere come invece procede da te!

Lily


La rilessi, accigliata. Non era una lettera chilometrica, ma era passata solo una notte, non potevo – o non volevo far credere di – avere dozzine di cose da raccontare. Non mi sembrava neanche di averla fatta in modo da farle rimpiangere troppo di non esserci, avevo raccontato solo le cose più noiose.

Dopo averla riletta un’ultima volta, aspettai che l’inchiostro si asciugasse e cominciai quella per i miei genitori.


Cari mamma e papà,

non fate leggere questa lettera a Tunia!

Non voglio che si senta ancora più dispiaciuta.

Qui è tutto meraviglioso, ho avuto un viaggio in treno molto movimentato, prima ho incontrato due ragazzi tremendamente arroganti che hanno preso in giro me e Severus, poi siamo andati in un altro scompartimento dove c’era un ragazzo tranquillo del nostro stesso anno molto simpatico, si chiama Remus Lupin ed è con me a Grifondoro – è uno dei dormitori– credo che potremo diventare buoni amici; Sev è finito a Serpeverde, invece . Poi è arrivato un altro ragazzino, Peter Minus, che veniva preso in giro da un grosso prepotente platinato, però poi siamo intervenuti io, Sev e Remus e se n’è andato. Peter Minus è un ragazzo strano, tremendamente ansioso e pacioccone, ma immagino ce ne sia sempre uno così.

La scuola è a dir poco fantastica! È un castello medievale che sorge a precipizio su un lago enorme, con intorno montagne ricoperte di una foresta in cui non è permesso andare. Avreste dovuto vederlo ieri notte quando siamo arrivati! Ci si arriva in barca – o almeno, noi siamo arrivati in barca – ed era uno spettacolo meraviglioso, c’era la scuola circondata da stelle con le finestre illuminate.

Poi siamo stati smistati, lo Smistamento avviene grazie ad un cappello che può capire quali sono le tue qualità, ci sono quattro Case, Grifondoro è per i coraggiosi, Corvonero per gli intelligenti, Tassorosso per i buoni e Serpeverde per gli ambiziosi, più o meno. Io sono a Grifondoro, come vi ho già detto, non è pazzesco? Non mi sembra di essere tanto più coraggiosa del normale…

Comunque, mi dispiace da morire che Sev sia finito a Serpeverde, perché è da lì che viene il tronfio platinato e perché non siamo insieme, però sono sicura che potremo vederci comunque molto spesso. In fondo, significa solo che siamo in dormitori diversi, che diamine!

La Sala Grande, la sala dove mangiamo, è enorme, ci sono quattro lunghi tavoli per ogni Casa e uno per i professori, ma la cosa più incredibile è che il soffitto è stregato per fare in modo che rifletta il cielo sopra! E ho visto anche dei fantasmi, stavano litigando fra loro a proposito di Poltergeist, una sorta di fantasma mal riuscito. Pensate che qui i ritratti si muovono, e la Prefetto che ci ha accompagnato nella Sala Comune dice che a volte si muovono anche le scale!

La Sala Comune di Grifondoro sorge su una torre, è una bella stanza sul rosso e il mio dormitorio ha quattro letti, ci sono altre tre ragazze, con una ci ho parlato e si chiama Alice MacDougal, sembra abbastanza simpatica, le altre due… be’, devo dire che ci ho parlato poco.

Finisco qui perché sennò si nota troppo che la lettera è più lunga di quella di Tunia, e non voglio che la legga. A lei ho scritto che qui non è niente di straordinario, quindi, ve lo ripeto, non fatele avere questa lettera! E per favore fingete che vi abbia scritto che qui è carino e che sto bene e nient’altro.

Vi scriverò presto, intanto vi mando tutto il mio affetto,

Lily


Rilessi anche questa e soffiai sopra per farla asciugare più in fretta, con l’unico risultato che dove l’inchiostro era più fresco si mosse e sbavò alcune lettere. Sospirai. Prima mi abituavo ad usare quelle dannate cose e meglio sarebbe stato.

Guardai il mio orologio da polso: erano già le sette e mezza. Forse avrei fatto meglio a muovermi per inviarla. Mi bloccai dopo aver finito di scrivere l’indirizzo sulle due lettere. Come facevo ad inviarle? Io non avevo un gufo, né niente di simile, quindi…

Fu una fortuna, senza dubbio, che la Prefetto della sera prima stava scendendo in quel momento insieme ad un altro paio di ragazzi. Mi avvicinai un po’ indecisa, non sapevo se disturbare. Fu lei a togliermi d’impaccio.

«Oh, ciao piccola!» mi disse non appena mi vide. «Come mai già sveglia?»

Io esitai un attimo. «Non riuscivo a dormire» dichiarai alla fine, onesta. Poi le chiesi a bruciapelo: «Scusa, non è che potresti dirmi come faccio ad inviare una lettera a casa? Avevo promesso ai miei di dargli informazioni immediate.»

Sorrise, probabilmente si stava trattenendo dal ridacchiare come facevano i suoi accompagnatori solo per gentilezza. «Vieni, ti faccio vedere.»

Mi portò fuori dalla Sala Comune fino ad una torre un po’ discosta dalle altre dove c’erano dozzine e dozzine di gufi.

«Questa è la Guferia» mi spiegò accennando alla torre aperta. «Ci sono sia i gufi della scuola per gli allievi che non ne hanno uno proprio che quelli personali. Puoi usare tranquillamente quelli della scuola, sanno trovare gli indirizzi da soli.»

«Grazie mille» mormorai mentre guardavo tutti quegli uccelli. «Come faccio a capire se un gufo è della scuola?» chiesi vergognandomi un po’ della domanda.

Lei rise appena ed accennò ad alcuni nastrini che diversi gufi avevano legati alla zampa destra. «Quello è il simbolo che i gufi sono della scuola» mi spiegò. Stava per andarsene, quando esitò e si voltò nuovamente. «Hai mai… consegnato una lettera via gufo?»

Io scossi la testa arrossendo furiosamente per la mia ignoranza.

«Allora forse è meglio se ti faccio vedere.»

Mi prese le lettere dalle mani ed alzò un braccio schioccando la lingua. Uno dei gufi col nastrino si avvicinò con fare molto professionale e tese una zampa. «Vedi, devi legare le lettere al nastrino, in modo che il gufo sia libero di volare più liberamente, e poi basta che dici la destinazione a voce. Semplice, no?»

Detto e fatto da lei sembrava semplice, infatti, ma per riuscire a farlo dovetti fare un paio di tentativi, a cui lei assistette con calma olimpica e un piccolissimo sorriso. C’era poi il fatto che i gufi avevano delle unghie niente male e che erano pure abbastanza grossi, per non dire proprio pesanti. E poi non avevo una grande dimestichezza con i gufi, non sapevo bene come trattarli.

Al secondo tentativo, tuttavia, riuscii con successo a legare le lettere alla zampa del gufo ed a dargli l’indirizzo. Quello sembrò annuire, come per confermare che aveva capito, poi spiccò il volo fuori dalla finestra.

«Sei stata brava» commentò la ragazza guardandomi sempre con quel sorriso. «Mi ricordo che a me ci vollero quattro tentativi e diverso aiuto per riuscire ad ottenere un risultato accettabile.»

La guardai con un timido sorriso. «Be’, tu evidentemente sei un’insegnante migliore…»

«Oppure tu sei un’allieva più abile» dichiarò lei con molta nonchalance. «A proposito, io sono Debbie Meadowes, dichiarata Sanguesporco dai Serpeverde e Prefetto-Perfetto dai Grifondoro.»

«Lily Evans» risposi io ridacchiando. «Matricola per tutti e due, credo. Forse Sanguesporco per i Serpeverde» aggiunsi.

«Bene, Lily Evans. Andiamo a fare colazione, sono quasi le otto, ormai.»

Una volta giù mi accorsi che la sala era ancora mezza vuota, non c’era ancora nessun Serpeverde, solo cinque Grifondoro, una dozzina scarsa di Corvonero e, più numerosi di tutti, almeno venti Tassorosso.

Individuai Remus fra i Grifondoro presenti ed andai a sedermi vicino a lui, dopo aver salutato Debbie Meadowes ed averla ringraziata per l’aiuto.

Remus mi sorrise e mi guardò sedermi, anche se sembrava un po’ reticente per motivi che non capivo.

«Allora?» chiesi avvicinandomi il porridge. «Com’è andata la nottata?»

Lui esitò un attimo. «James Potter e Sirius Black non sono stati zitti un secondo.»

Lo guardai un attimo, confusa. «I due ragazzi che erano di fronte a noi ieri sera» mi spiegò lui. «Quello con gli occhiali e quello…»

«… con quell’espressione da strafottente, sì, ho capito» sbuffai. «Sono una bella accoppiata, idioti allo stesso modo…»

«Credo si conoscessero già» commentò lui. «Non da molto, ma almeno da un po’. Continuavano a saltare sui letti e a prendersi a cuscinate. Frank stava per avere una crisi isterica.»

«Chi?»

«Frank Paciock, un altro ragazzo. Non ci avevo fatto caso ieri sera, ma sembra a posto.»

«Peter Minus?» chiesi affondando il cucchiaio nel porridge.

Remus si strinse nelle spalle. «Lui guardava Potter e Black con gli occhi fuori dalle orbite e ogni tanto guardava me con aria colpevole.»

Ridacchiai nel porridge, e anche lui sorrise leggermente. «Tu, invece? Qualcosa di interessante?»

«Non così tanto» sbuffai. «Le altre ragazze si sono messe a parlare di trucchi e vestiti, non le seguivo molto, in realtà. Diamine, abbiamo undici anni!» aggiunsi. «Pensavo che l’età dell’idiozia cominciasse tutt’al più a dodici-tredici! E poi mi annoio a sentir parlare di trucchi.»

Fu il suo turno di ridacchiare.

«In compenso ho dormito malissimo e stamattina mi sono svegliata alle sei» aggiunsi con una smorfia. «Però almeno sono riuscita a scrivere e spedire una lettera per i miei, la mattinata non è andata tutta persa…»

Ridacchiò più ad alta voce. «Be’, se ti può confortare, Frank e Peter russano prodigiosamente, è come stare su un picco quando soffia la tempesta! E James parla ininterrottamente dalle sei in poi, sembra trovarsi di fronte ad una conferenza!»

Risi anch’io. «D’accordo, parità» dissi di cuore. Mangiammo per un po’ in amichevole silenzio mentre la sala si riempiva.

Quando Severus arrivò avevo quasi finito e la professoressa McGranitt era già passata per consegnarci gli orari. Gli andai subito incontro e, dopo un attimo di esitazione, arrivò pure lui. «Dobbiamo parlare» dichiarai risolutamente. Lui sembrò incerto, e io mi ammorbidii. «Scusa, non volevo assalirti di prima mattina» sorrisi. «Possiamo parlare quando hai finito la colazione?»

Si sciolse anche lui. «No, andiamo ora» disse piano. «Sono già le otto e un quarto e alle nove abbiamo lezione.»

Annuii, grata che avesse accettato. Andammo nel parco, vicino ad un albero al centro del prato, e ci sedemmo lì sotto.

Ci fu un minuto di silenzio prima che potessimo dire alcunché, poi io cominciai: «Tu sei e resti il mio migliore amico, Severus. Anche se il mio cravattino ha un colore diverso dal tuo.»

Lui annuì. «E tu sei la mia… migliore amica, anche.»

Sorrisi, anche se stavo guardando il lago. Faceva bene sentirselo dire, di tanto in tanto. Erano secoli che nessuno me lo diceva. Anzi, a ben pensarci non credevo che nessuno me lo avesse mai detto.

«Quindi, chissenefrega di tutta questa faccenda Grifondoro contro Serpeverde, ok? Io sono Lily e tu sei Severus, giusto?»

«Giustissimo» approvò lui. Poi fece una smorfia. «Anche se ancora non riesco a credere che tu sia a Grifondoro. Grifondoro! Se me lo avessero detto ieri non ci avrei creduto.»

Sorrisi di nuovo. Ero troppo contenta anche solo per sentirmi offesa. «Credi che sia così fifona?» gli chiesi ironica.

«No!» si precipitò a dire lui. «No, assolutamente no, cosa…»

Cominciai a ridere. «Stavo scherzando, Sev!»

Si rilassò appena, anche se il suo atteggiamento restava più rigido di prima. Alla fine disse, guardandosi le mani intrecciate: «Credo che Grifondoro e Serpeverde condividano… solo la lezione di Pozioni…»

Annuii anch’io guardandomi i piedi. «Sì, mi pare di sì.»

Ci fu un altro momento di silenzio. «Ma tanto» aggiunsi alzandomi, «i principi di base sono gli stessi, i programmi anche, quindi possiamo comunque studiare insieme… e poi, sono sei ore al giorno. Il giorno ha ventiquattro ore, quindi abbiamo comunque diciotto ore da passare insieme. Ora, diciamo che otto dormiamo, quindi sono comunque dieci ore.» Lo guardai sorridendo mentre lui cominciava a sogghignare, probabilmente mi avrebbe somministrato una nuova base di calcoli molto più complicati dei miei se ne avesse avuta la possibilità. «Direi che per mantenere la nostra amicizia bastano e avanzano, no?» Gli tesi la mano.

Rise appena mentre si alzava aiutato dalla mia mano. Non l’avevo quasi mai sentito ridere. «Tesi impeccabile, professoressa» commentò con quel suo sogghigno. «Allora ci vediamo a Pozioni ed a… be’, facciamo dopo pranzo?»

«E dopo l’ultima ora» annuii io. Mi guardai l’orologio: erano le nove meno un quarto. «Credo sia meglio se ci muoviamo, o rischiamo di arrivare in ritardo. Ed è il primo giorno, non credo sia una buona idea…»

Sorrise. Poi, mentre mi giravo, mi afferrò per un braccio, facendomi girare: aveva di nuovo lo sguardo triste ed implorante. «Per sempre?»

Sembrava così piccolo quando faceva così. Tremendamente fragile. D’impulso, lo abbracciai. «Per sempre» confermai con decisione.

Poi cominciammo a correre verso la scuola perché era tardi e trovare la strada non era esattamente facile: c’erano circa centoquaranta scalinate a Hogwarts, a quanto sapevo, e non tutte portavano sempre allo stesso posto. Senza contare la nutrita gamma di tranelli e trabocchetti che sembravano fatti apposta per far perdere la testa agli studenti in ritardo.

Tuttavia, grazie ad una corsa da campione del mondo, riuscii a raggiungere l’aula della professoressa McGranitt – grazie anche ai consigli del fantasma di Grifondoro, quello in gorgiera che avevo visto il giorno prima – alle nove spaccate al secondo. Mi ero appena seduta al primo banco, vicino a Remus, quando la professoressa entrò tacitando tutti con la sua sola presenza.

A quei due a cui la sua presenza non bastava – mi riferisco ovviamente alle due piaghe umane altresì nominate Potter e Black – riservò un’occhiata che avrebbe incenerito un rinoceronte africano, poi si schiarì la gola e cominciò: «Siete qui per imparare la difficile arte magica della Trasfigurazione, probabilmente una delle materie più complesse che studierete qui. Chiunque venga sorpreso a commettere infrazioni nella mia aula verrà espulso senza fallo. Vi ho avvisati.»

Poi trasformò la sua cattedra in una tigre e viceversa, prima che una sola studentessa avesse il tempo di urlare.

Il resto della lezione la passammo a prendere complicati appunti sulla teoria della Trasfigurazione, che dovemmo mettere in pratica nella seconda metà della lezione dimostrando di saper cambiare una manciata di fiammiferi in aghi.

In realtà non era così difficile, se riuscivi a trovare la preparazione mentale giusta, ma a riuscirci al primo colpo fummo solo io e il ragazzo con i capelli a cespuglio, Potter. Remus ci riuscì al secondo tentativo, da quanto era concentrato gli si era scavata una profonda ruga in mezzo agli occhi. Black ci riuscì in ritardo probabilmente perché sembrava più impegnato a guardare il soffitto che a seguire la lezione. Pochissimi altri ci riuscirono, e solo alla fine della lezione.

La professoressa tuttavia sembrava soddisfatta, ed assegnò cinque punti a tutti quelli che c’erano riusciti velocemente, cioè io, Remus, Potter e Black. Vabbè, forse li avevo giudicati troppo presto, magari era solo un modo per sfogare l’agitazione da primo giorno…

Una lezione di Incantesimi bastò a dimostrare che le cose non erano affatto così: mentre io e Remus ci posizionavamo di nuovo ai primi banchi, chiacchierando sulla lezione, loro due si misero in fondo e dopo neanche dieci minuti di lezione sembravano intenti a tirare palline di carta a chiunque fosse a portata di lancio. Alla seconda pallina che mi arrivò mi girai così di scatto tirando fuori la bacchetta che il pezzo di carta diretto verso la mia testa prese fuoco e si accartocciò a metà strada, ottenendo come unico risultato quello di farli scoppiare a ridere e prescegliermi come bersaglio principale. E sebbene avessi dato fuoco a molti, erano di più quelli che arrivavano, tanto che alla fine anche Remus non ne poté più e li guardò con uno sguardo tale da farli smettere per un po’. O meglio, da farli smettere di concentrarsi su di me, visto che cominciarono a prendere di mira tutto il resto della classe.

Il professore di Incantesimi, una sorta di folletto dalla barba bianca e le dita lunghe, non sembrò farci minimamente caso e continuò la sua lezione come se niente fosse.

Il pranzo passò in fretta, mangiai a fianco di Remus; mi stava sempre più simpatico mentre parlavamo, aveva quell’aria di riservatezza e calma ideali per farmi tranquillizzare. Discutemmo sulle lezioni, sui compagni – in particolare due – e sui professori, scambiandoci opinioni, sebbene fossero passate solo tre ore. Forse era solo perché era straordinariamente facile parlare con Remus: qualunque cosa mi venisse in mente, lui trovava sempre qualcosa da dire, o faceva domande così intelligenti che era un piacere rispondergli.

Subito dopo pranzo potei finalmente parlare con Severus, che mi aspettava nella Sala d’Ingresso, come convenuto. Uscimmo di nuovo nel parco, c’erano più studenti ora, e cominciammo a chiacchierare delle rispettive lezioni: lui aveva avuto Erbologia con i Corvonero e un’ora di Difesa Contro le Arti Oscure, che aveva trovato straordinariamente stimolante.

Mi stava giusto descrivendo un nuovo incantesimo a cui non avevamo fatto particolare caso durante l’estate che la professoressa aveva citato in classe, quando la campanella suonò e ci ritrovammo nuovamente a correre per non fare tardi.

Anche io avevo lezione di Difesa Contro le Arti Oscure, e dovevo ammettere che Severus non si era sbagliato: era davvero straordinariamente stimolante. La professoressa Harvey ci tenne una conferenza di venti minuti sull’importanza della sua materia, oltre che a scuola, nella vita reale, sui rischi che bisognava affrontare nella vita e cominciò a citare gli incantesimi che avremmo dovuto saper eseguire a fine corso. Poi cominciò a dettarci appunti sugli incantesimi più facili, come quello in Inciampo, utile per far cadere un possibile aggressore, e l’incantesimo della Pastoia, che aveva lo scopo di bloccare le gambe al suddetto aggressore.

Negli ultimi venticinque minuti della lezione ci fece anche esercitare, ma il massimo che io e Remus riuscimmo a fare fu farci cadere contemporaneamente a terra e scoppiare a ridere dopo esserci guardati in faccia. Fu probabilmente il risultato migliore di tutta la classe, comunque. Gli altri si limitavano a guardarsi in faccia spaventati ed a chiudere gli occhi quando l’altro provava l’incantesimo.

Alla fine, la professoressa Harvey separò me e Remus per far fare esercizio anche agli altri, ma così era molto più noioso: tutto ciò che riuscivamo a fare era incantare il nostro avversario e guardarci intorno mentre quello cadeva.

Frank Paciock e Peter Minus, che si erano messi insieme, si stavano guardando atterriti: sulla faccia di Frank stava cominciando ad apparire una strana acne violetta, mentre i lobi di Peter si erano allungati di diversi centimetri colorandosi di arancione.

Due delle mie compagne di Casa si stavano guardando strizzando gli occhi per la concentrazione. Alice MacDougal era senza un compagno e si alternava con le altre due. In quel momento stava guardando le bacchette con aria vagamente terrorizzata.

Dall’altra parte della stanza, Potter e Black sembravano intenti in un duello senza esclusione di colpi che comprendeva evidentemente una più vasta gamma di incantesimi e maledizioni di quelli appena spiegati. Stavano ridendo come matti, continuando a ballonzolare in giro per la stanza per evitare le rispettive fatture, tanto che alla fine dovette intervenire la professoressa con un potente incantesimo di scudo per separarli, anche se restavano in preda a risatine isteriche.

Complessivamente la prima giornata mi sembrava buona. Quando finirono le ore di lezione, e mi ritrovai con Severus, il nostro bilancio fu decisamente positivo: aveva avuto Trasfigurazione il pomeriggio, e anche se trovava la materia noiosa pensava che sarebbe comunque stata utile.

Tornammo nel parco: era un posto veramente notevole, e per di più c’erano molte più possibilità di stare soli. Forse saremmo dovuti andare in biblioteca per cominciare a studiare, ma nessuno dei due ne aveva voglia, preferivamo chiacchierare, visto che eravamo rimasti separati tutto il giorno. In realtà, intorno alle sei andammo anche in biblioteca per cominciare a prendere le informazioni che ci aveva chiesto la professoressa Harvey per Difesa Contro le Arti Oscure, ma già alle sette tornammo nelle rispettive Sale Comuni per poggiare le nostre cose e cominciare a prepararci per la cena.

Vi trovai Remus appartato in un angolo intento a scrivere il tema che la professoressa McGranitt ci aveva chiesto. Quando mi avvicinai, alzò lo sguardo e mi guardò con un piccolo sorriso.

«Non fai un po’ fatica a studiare qui?» chiesi indicando con un ampio gesto della mano tutta la sala. «Insomma, c’è una confusione…»

«Forse, ma in camera mia ce n’è ancora di più e la Biblioteca chiude alle sette, ho chiesto ad un prefetto…»

Mi sedetti accanto a lui. «Come mai lo cominci subito?» chiesi aggrottando le sopracciglia. «Voglio dire, non abbiamo Trasfigurazione fino a giovedì…»

«Sì, ma… ma oggi ho avuto alcune difficoltà a Trasfigurare i fiammiferi, ho pensato che fosse meglio… portarmi avanti col lavoro…»

«Ehi, non era un rimprovero» sorrisi. «Probabilmente hai ragione tu e sono io che sono un’immatura… Posso studiare un po’ con te?»

Lui annuì e mi fece spazio, e passammo la successiva mezz’ora a completare la traccia per il tema che la professoressa aveva richiesto. Forse non era proprio una meraviglia, ma senz’altro era una sufficienza. Remus sembrava deciso a continuare, ma gli feci notare che dovevamo scendere a cena prima che sparecchiassero, così andammo a poggiare le cartelle nei dormitori e scendemmo.



ANGOLO AUTRICE


Allora, prima che possano esserci proteste riguardo alla facilità con cui Lily riesce ad affrontare i primi incantesimi vorrei difendermi dicendo che Hagrid definisce lei e James Potter “I migliori del loro anno ad Hogwarts”, che Severus Piton, per quanto ancora bambino, la definisce sua propria manu “Una strega potente” e che oltretutto si erano probabilmente esercitati insieme durante l’estate sugli incantesimi più elementari.

Bene, messo in chiaro ciò (sì, ho la coda di paglia -.-), buonsalve a tutti, gentili lettori, amici e affiliati vari! È tanto che non ci si sente u.u


Per quanto riguarda il resto, stavolta non ho praticamente niente da dire (sì, sto esultando anch’io, non è meraviglioso?! ^^), se non forse che non avendo dei programmi veri e propri dei corsi del primo anno vado e andrò molto a naso, e probabilmente dovrò introdurre anche qualche novità, visto che così come vengono messi nei libri lasciano molto, molto, moooooooooolto spazio all’immaginazione -.-

Bene, a parte questo grazie a chiunque sia arrivato fin qui a leggere senza vomitare e alla prossima, ciao ciao!



ANGOLO PUBBLICANTE


Hola! Scusate per non aver pubblicato il capitolo ieri, ma non ho avuto tempo. È già tanto se ci riesco oggi dato che domani mi attende una quadrupla interrogazione di latino :S

Vi auguro anche buon Dicembre! Il Natale di avvicina e dobbiamo ancora comprare tutti i regali per i vari parenti... è strano, ma quando si avvicinano le feste si moltiplicano. Devono essere inversamente proporzionali ai soldi.

Perdonatemi, la vicinanza di una verifica di mate si fa sentire (anche se non ci saranno assolutamente le funzioni... MAGARI CI FOSSERO!)

Ringrazio le 17 persone che anno aggiunto la storia tra le seguite e le 11 che la preferiscono! Grazie mille!

Rispondiamo ora alle recensioni! Che scriverò colorate per festeggiare!

  • A 9Anny7: che ti aspettavi? È sempre la madre di Harry no? XD Lieta anche questo capitolo ti sia piaciuto e aspetto con ansia il parere per questo! L'idea del sogno non è proprio originale, ma ci stava! Alla prossima!

  • A mimmyna: si infatti! Quella dell'Angolo Autrice è, per l'appunto, l'autrice! Sono contenta che tu ci sia arrivata finalmente! Per la poesia ci abbiamo passato una nottata intera, non solo per “rispettare gli endecasillabi”, ma anche per trovare delle rime che avessero un senso u.u Grazie mille per i complimenti, pensiamo che sia molto importante attenersi ai fatti scritti dal libro per rendere il tutto ancora più realistico e dopo tutto... tale madre, tale figlio! Aspetto con ansia un parere anche su questo! Ciaoo

  • A maladrina4ever: ti dirò una cosa, a me Bellatrix sta estremamente sulle scatole, ma non così tanto da farla uccidere da MOLLY! Vabbè che si meritava una morte squallida come quella che ha fatto fare al mio Sirius, ma così per me è troppo... non me ne vogliano le fan di Molly...

    Grazie mille per la canzone del Cappello, non è stato facile, ma siamo riuscite nel compito di farla xD

    SALSA MADONNA??? Cedi di recensirlo in fretta questo capitolo, devo sapere cos'è! Ha un nome strano O.o

    Mi vuoi dire che tu sei parte della famosa categoria “mangio come un troll, ma ho un fisico da sbav?”?! E perché non sei in un museo, o per lo meno sotto tutela come specie protetta?? NON È GIUSTO! Io sono un fisico da “anche solo guardare una torta mi fa prendere 9000000kg” -.- quindi spero do non morire di diabete per lo meno... sarebbe squallido...”Non mangiò mai un dolce, ma perì per il troppo fissarli” che epitaffio triste =(

  • a googletta: come mai stai male? Qualche problema? Il film non era poi così male, fatto bene e praticamente identico a quello che dice il libro! Poi per me gli attori fanno pena e Daniel Radcliffe fa veramente schifo però in quanto ad effetti è fatto molto bene! L'immagine rappresenta i due stemmi: quello di Grifondoro (il Grifone in campo rosso) e quello di Serpeverde (il Serpente in campo verde) come se fossero fusi assieme per simboleggiare che loro non si separeranno mai!

    Per quanto riguarda Molly e Arthur sono stati a scuola prima di loro, Molly è del 1949, mentre Arhtur è del 1950! James e Lily sono degli anni 60! Quindi avevano già finito da un po', per esattezza sono andati a scuola dal '61 al '68. Diciamo che si sono mancati per poco xD

    Per concludere ti volevo chiedere un favore personale: potresti evitare tutte quelle abbreviazioni? Non è che mi diano fastidio, ma faccio fatica a capirne il senso ^^' sono veramente un'imbranata... Scusa!

  • A Ipswich Rochester Clearwater: che bello! Un nuovo lettore *.* Benvenuto/a! Grazie mille per i complimenti! Sono contenta che la storia ti piaccia! Buona scuola xD


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Capitolo 10
*** Capitolo 3 - Palloni Gonfiati e Interrogazioni ***


Prima parte: I anno

Capitolo 3 – Palloni Gonfiati e Interrogazioni


La mia prima settimana fu generalmente tranquilla: mi alzavo la mattina, facevo colazione con Remus e poi chiacchieravo una mezzoretta con Severus, di solito nel parco, a volte anche girovagando per i corridoi, poi andavo a lezione, pranzavo di nuovo con Remus, stavo con Severus, tornavo a lezione e tornavo da Severus. La sera poi stavo sempre con Remus, molto più diligente di me in fatto “compiti”, che infatti mi spingeva a completarli il giorno stesso in cui me li davano, cosa che non avevo mai fatto prima.

Anche Debbie Meadowes ebbe una parte importante nel mio primo periodo ad Hogwarts: sembrava avermi preso in simpatia, ed ogni volta che ci incrociavamo mi rivolgeva un sorriso e qualche parola gentile. Inoltre, era sempre pronta ad aiutarmi o a consigliarmi quando ne avevo bisogno, per qualunque tipo di informazione o suggerimento ero sicura di poter contare su di lei. Era come avere una sorella maggiore… o almeno, una sorella maggiore a cui stessi simpatica.

Mi rivelò addirittura che il suo vero nome era “Dorcas”, ma che lo odiava tanto che a tutti si presentava come “Debbie” ed ormai era conosciuta così.

In breve presi ad adorarla: era intelligente, gentile e, secondo me, bellissima; aveva lunghi capelli biondo-oro morbidi e spumosi, due intelligenti occhi scuri sempre sorridenti, delle mani meravigliosamente affusolate e un sorriso capace di conquistare i cuori più duri.

E poi, c’erano le lezioni.

Erbologia era forse quella che mi riusciva peggio, probabilmente perché ero sempre stata scarsa a trattare le piante. Non che ci avessi mai provato sul serio, però sembravo avere la sconfortante capacità di farle morire con incredibile velocità. In ogni caso, l’utilizzo delle piante mi interessava enormemente, e anche se non ero un asso riuscivo comunque a cavarmela.

Pozioni fu una rivelazione: il professor Lumacorno era un omone grasso vestito con abiti costosi, e sembrava scrutarci tutti come in attesa di vedere cosa saremmo riusciti a combinare. Ma preparare pozioni… era una cosa meravigliosa, era facile, era logico. Stavo sempre vicina a Severus durante quelle lezioni, e anche se a volte mi sentivo in colpa verso Remus, lui sembrava accettare il fatto con tutta calma. Mi ero accorta che ogni tanto Severus lo guardava storto, ma pensavo fosse solo una mia impressione. Alla fine della settimana il professore sembrava averci già catalogato, ed il mio bilancio era stato nettamente positivo: mi sorrideva spesso e già un paio di volte mi aveva fatto i complimenti per i miei risultati. Anche Severus era nelle sue grazie, il che sembrava compiacerlo parecchio.

Storia della Magia era indubbiamente la materia più noiosa a cui avessi mai assistito: il professor Rüf era un uomo vecchio e mogio dalla voce monotona sempre uguale, che ci leggeva o raccontava eventi storici senza cambiare mai intonazione causando uno sconfortante torpore. Di conseguenza passavo più tempo a studiarla di sana pianta con Remus o con più raramente Severus (anche se a lui chiaramente non importava niente) che ad ascoltare in classe, e si scoprì che invece, se letta o spiegata in tono umano, era davvero interessante.

La cosa più irritante in assoluto, invece, erano Black e Potter, non necessariamente in quest’ordine: Remus aveva ragione, dovevano conoscersi già da prima, perché non passava momento senza che stessero insieme, normalmente al centro dell’attenzione. Erano diversi, però: Black più facilmente sogghignava invece di ridere, ed uno strano sguardo che ogni tanto gli spuntava negli occhi mi dava da riflettere, sembrava stesse cercando di trattenersi dall’urlare; Potter invece aveva sempre un sorriso che gli inghiottiva metà faccia, non uno di quei sorrisi che ti rendono spontaneo ricambiarlo, ma un sorriso che sembrava avvisarti che da un momento all’altro il soffitto ti sarebbe caduto addosso e lui avrebbe potuto sghignazzare in santa pace mentre tu ti liberavi delle macerie.

In una settimana riuscirono ad allagare il secondo piano, causare un incendio in Guferia e far venire una crisi isterica alla Signora Grassa, tutto senza mai smettere di sghignazzare come iene ubriache! E in più, sembravano aver preso di mira Severus: ogni volta che erano nel raggio di cinquanta metri gli uni dall’altro si ingegnavano per lanciargli contro incantesimi e fatture fra le più odiose. E Severus, sebbene non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, era sensibile di carattere e sapevo che ci rimaneva male tutte le volte, caricandosi di un rancore sempre pronto ad esplodere.

Perciò, mentre il tempo passava fra lezioni stimolanti o meno, ragazzini idioti, lettere a casa e compiti scritti che facevo sempre insieme o a Remus o a Severus, decisi che era arrivato il momento di imparare un bell’incantesimo di Scudo che ci permettesse di difenderci da quei pazzi furiosi.

Fu sorprendentemente difficile: ci volle più di un mese per permettermi di padroneggiare completamente l’incantesimo, e fu un mese di ci volle più di un mese per permettermi di padroneggiare completamente l'sforzi e concentrazioni mai raggiunto. Fu solo quando sia io che Sev riuscimmo a controllarlo che ci accorgemmo di un dettaglio che fino ad allora non avevamo notato: era citato come a livello dei G.U.F.O., gli esami del a livello dei GUFO. quinto anno.

In realtà era ancora approssimativo, ma contro le fatture minori e medie funzionava. E in ogni caso non ci aspettavamo di venir maledetti tanto presto; doveva solo servire a bloccare persone come (un nome a caso) Black e Potter quando cominciavano a fare i cretini, e cioè con allarmante frequenza.

Era anche vero che non avevamo molto tempo per rafforzare lo Scudo: avevamo troppo da fare con le lezioni, che dopo le prime basi si stavano facendo veramente interessanti, anche se difficili.

Incredibilmente, la materia in cui riuscivo meglio era Pozioni. Un’autentica vergogna, secondi i Grifondoro, visto che il professore, Lumacorno, era il direttore di Serpeverde, e ci era voluto davvero poco per farmi capire che le due case si odiavano visceralmente. Eppure non potevo farci niente. Mi piaceva, e mi veniva istintiva. Forse il segreto del mio successo stava nel fatto che non seguivo mai le istruzioni alla lettera, visto che mi sembravano costantemente imperfette; all’inizio non capivo neanche perché, era come leggere un libro con degli errori grammaticali quando hai cominciato a leggere da relativamente poco tempo, c’era qualcosa che non mi tornava ma non riuscivo ancora a definire cosa. Di grandissimo aiuto era stato un rotolo di pergamena che ci aveva dato il professore il primo giorno, con scritti i principali ingredienti per preparare pozioni, quelli che avremmo usato nel primo periodo, e i loro effetti: la cosa mi era interessata fin da subito, e quindi avevo mosso una discreta ricerca in biblioteca per approfondire, trovando un piccolo, polveroso volumetto che illustrava le principali reazioni degli ingredienti fra di loro.

E leggendo quelle poche pagine, studiandomele, mi era sembrato come se qualcosa fosse scattato nel mio cervello, non era quasi a livello cosciente, era come una lampadina nel mio subconscio che si accendeva ogni volta che cominciavo a leggere le quantità degli ingredienti richiesti per pozioni; avevo cominciato a definire più chiaramente gli errori che il nostro libro faceva: insomma, descriveva i risultati, ma il metodo per arrivarci era approssimativo.

Le prime volte avevo cercato di ignorare quella strana sensazione, dicendomi che dopotutto erano i libri che sapevano, non io, qual era il modo migliore di procedere. Eppure… grammatica errata. Non potevo farci niente, la sensazione era la stessa, anche se non riuscivo a capire perché. Quelle istruzioni mi… irritavano. Particolarmente quando il risultato non era perfetto. Il professore sembrava sempre e comunque molto soddisfatto, ma io non lo ero. Se c’era un punto dove la “grammatica” era corretta nel nostro libro, era nella descrizione dei risultati, che mancavo ogni volta. Anche quando, con tutta la mia pignoleria e autocritica, riuscivo ad ammettere di aver seguito ogni passaggio alla perfezione, contato anche i secondi richiesti fra un passaggio e l’altro, c’era sempre qualcosa che non andava.

E visto che, di lezione in lezione, si faceva più persistente la sensazione che se invece avessi seguito quel mio curioso istinto, quel calcolo del subconscio, sarei riuscita ad ottenere un risultato migliore, in capo a due settimane ero già mortalmente seccata con il mio libro, fatto senza precedenti.

Tuttavia non ero ancora così sicura di me da permettermi di fidarmi, tantomeno di me stessa; trascorsi il primo mese a dirmi che ero senz’altro io che sbagliavo qualcosa, o che perdevo qualche passaggio. E una fastidiosa vocina interiore commentava “Sì, fidarti di te stessa”; di solito aveva la voce di mia madre.

Per un mese, un mese intero, buon senso e istinto avevano combattuto una dura battaglia conclusasi alla fine con un compromesso: l’istinto aveva una occasione, non di più. Una possibilità, e se quella possibilità falliva, allora non se ne sarebbe parlato più.

Malgrado questo, la prima volta era stato quasi traumatico, perché non ero sicura che avrei ottenuto un risultato accettabile e quella parte di me che aveva combattuto strenuamente per evitare pasticci mi stava supplicando in ginocchio di lasciar perdere, ma alla fine avevo rischiato il tutto per tutto trattando gli ingredienti in modo diverso da quello descritto sul libro e spegnendo la pozione un po’ prima, quando già mi sembrava pronta. Avevo, diciamo… cambiato leggermente le carte in tavola, ecco.

Ricordo che Severus mi aveva guardato perplesso, stupido e anche un po’ preoccupato, visto che non capiva cosa stessi combinando, ma non aveva commentato: dopotutto anche lui era alle prese con la sua pozione.

Il risultato fu migliore di quanto avessi potuto sperare: era esattamente quello descritto dal libro, e il professor Lumacorno l’aveva guardato con notevole soddisfazione, lodandolo poi, con mio grande imbarazzo, di fronte a tutta la classe. Di solito si limitava a farmi un grosso e grasso sorriso e ad assegnare punti a Grifondoro, invece quella volta volle che tutta la classe vedesse, fece avvicinare gli altri al mio calderone e mostrò a tutti la pozione. Io ero arrossita furiosamente. Ora, non voglio dire che non mi facesse piacere ricevere delle lodi così entusiaste, ma avrei preferito che non lo facesse pesare anche a tutta la classe. Notai gli sguardi sprezzanti o seccati dei Serpeverde, quelli condiscendenti dei Grifondoro, il sorriso di Remus e la faccia un po’ corrucciata di Severus.

«Come hai fatto?» mi chiese non appena uscimmo. Eravamo rimasti indietro, il professore aveva voluto parlare ad entrambi per invitarci ad una piccola cenetta che intendeva organizzare con alcuni studenti, ed il corridoio era deserto. O così sembrava.

Io aprii la bocca per rispondere ed in quel momento qualcuno dietro di noi urlò: «Aguamenti!»

Feci appena in tempo a tirare fuori la bacchetta quando uno schizzo d’acqua mi investì all’altezza della nuca.

«Protego!» gridai, e lo schizzo si bloccò di fronte alla punta della mia bacchetta.

Accanto a me Severus aveva fatto lo stesso, anche se aveva le punte dei capelli gocciolanti. Era talmente furente che gli si era arrossato il viso. Letteralmente, non ci vedeva più dalla rabbia. «Exulcero!» ululò puntando la bacchetta contro Potter e Black (e chi altri?), che stavano sghignazzando poco distanti.

Era evidente che nessuno dei due si aspettava una qualche contromossa: l’incantesimo colpì Black in pieno, spegnendone la risata e facendo apparire delle orribili bolle sul suo viso.

«Basta!» urlai io, ma parlavo al vento: ora Potter era altrettanto furioso di Sev.

«Tarantallegra!» gridò quasi contemporaneamente a me. Le gambe di Severus cominciarono a muoversi.

«Smettetela!» urlai mentre Potter, anche se con la bacchetta alzata, si chinava verso Black. Lo vidi bene solo in quel momento: la sua pelle sembrava il campo di battaglia di un esercito di aerei. O di talpe. Era ricoperto di strane vesciche simili ad ustioni che lo rendevano assolutamente irriconoscibile. Accanto a me, Sev cercava disperatamente di tenersi in piedi mentre le sue gambe si dimenavano. Un attimo prima che cadesse, ordinai: «Finite Incantatem!» e il movimento convulso finì, facendolo barcollare pesantemente.

Tornai a guardare gli altri due: gli occhi occhialuti di Potter erano fissi su di me, accusatori. Aveva di nuovo la bacchetta in posizione d’attacco contro Severus, che dal canto suo sembrava sul punto di scagliare un’altra fattura, cosicché mi misi velocemente in mezzo con le palme rivolte verso entrambi. «Basta adesso!» ordinai inflessibile. «Avete fatto più che abbastanza.»

Nessuno dei due sembrava pensarla così, anzi continuavano a guardarsi con odio come se io fossi trasparente.

Lo sguardo di Potter tornò su di me. «Guarda cos’ha fatto la tua amica serpe, Evans» disse velenoso indicandomi Black.

Io mi morsi un labbro. «Deve andare in Infermeria» dissi alla fine.

«No che non deve» ribatté Potter impaziente. «Non è permesso fare incantesimi nei corridoi, finiremmo tutti nei guai!»

I miei incisivi affondarono nel labbro inferiore mentre riflettevo. «Non potreste trovare una scusa?» proposi.

Potter rise. «Madama Challoner non è un’idiota, riconoscerà subito la fattura!»

Guardai un attimo Severus, che tuttavia era tranquillissimo. Sorrideva, anzi. Questo mi infastidì. «Va bene» dissi freddamente a tutti e tre. «Sev, ci vediamo dopo pranzo. Potter, porta Black nell’aula di Pozioni.»

«Lily…» cominciò Severus.

«No, Sev» lo interruppi io con decisione. «Ci hai messo in questo pasticcio e ora dobbiamo uscirne. A dopo.»

Lui sembrò mortificato e si allontanò, facendomi sentire in colpa. Lo trattenni per un polso. «Scusa, non volevo essere brusca» gli dissi dispiaciuta.

Lui annuì con una certa freddezza e se ne andò. Quando mi girai, Potter e Black erano ancora in mezzo al corridoio.

«Che ci fate lì?» domandai incredula. «Nell’aula di Pozioni, su!»

«Cosa intendi fare?» domandò Potter mentre io prendevo Black per un braccio e lui per l’altro: aveva pustole anche sulle mani, e sulla faccia erano tanto fitte che non riusciva né a parlare né quasi ad aprire gli occhi.

«Secondo te?» ribattei seccata. «Sto cercando di rimediare alla stupidità di voi ragazzi.»

Entrammo nell’aula, fortunatamente vuota: sicuramente erano tutti a pranzo.

Poggiai la borsa, presi un calderone ed il libro di pozioni ed accesi il fuoco.

«È stato Mocciosus» ringhiò Potter. «Prenditela con…»

«Voi avete cominciato, Potter» ribattei gelida cominciando a prendere gli ingredienti. «E non era neppure la prima volta» proseguii severa. «Si può sapere cosa cavolo vi abbiamo fatto?» aggiunsi voltandomi a guardarlo.

Lui si strinse nelle spalle mentre si sedeva accanto a Black, che gemeva appena grattandosi le bolle.

«Tienilo fermo» gli ordinai prima che potesse parlare. «Se si gratta via quelle cose gli verranno le cicatrici.» Bastò l’ammonimento a fermare Black. Evidentemente ci teneva al suo viso.

Potter tornò a seguire i miei movimenti. Non lo guardavo, ma sentivo il suo sguardo perforarmi la nuca.

Restammo qualche minuto in silenzio, io che preparavo la pozione, Potter che guardava me e Black che cercava di stare fermo.

«Perché stai con lui?» mi chiese di punto in bianco Potter facendomi sobbalzare – a rischio di sbagliare il dosaggio di ortiche secche, accidenti a lui. «Tu sei una di noi.»

Misi con un gesto brusco l’ultimo ingrediente e cominciai a mescolare. «Severus è il mio migliore amico» spiegai algida. «Fine della storia. Sai dove posso trovare un bicchiere?»

Lui si alzò ed andò verso la credenza in un angolo mentre io spegnevo il fuoco. Controllai con una certa ansia la pozione, temendo di aver sbagliato qualcosa, ma era della precisa sfumatura verde oliva descritta nel libro. Rilasciava anche la leggera nebbiolina semi-trasparente che la ricetta indicava come segno che era pronta.

Potter tornò poco dopo con un calice che mi porse in silenzio. Io vi versai dentro la pozione e mi avvicinai a Black. A vederlo così parecchia della rabbia che provavo verso di lui stava sparendo.

«Tieni» gli dissi porgendogli il calice. «È l’antidoto, devi berlo tutto.»

«Sei sicura che non lo avvelenerai?» chiese Potter guardandomi ironico.

Mi alzai. «So quello che faccio, Potter» risposi gelida. «Ma se non ti fidi» aggiunsi perfidamente, «puoi sempre portarlo in Infermeria. Sono certa che madama Challoner non lo avvelenerà…»

Potter aprì la bocca per rispondere quando dietro di me Black mandò giù la pozione in un sol sorso. Ci voltammo entrambi verso di lui, guardando le vesciche ritrarsi progressivamente lasciando la pelle liscia ed intatta. L’effetto durò quasi un minuto, ma a me parve mostruosamente lungo.

La pozione era fatta a dovere, ne ero sicura, e all’inizio delle istruzioni la ricetta diceva chiaramente “contro forme ostinate di acne da pubertà o da incantesimo”, quindi era adatta, ed in più era molto facile, era la terza che avevamo provato in classe e Lumacorno mi aveva fatto i complimenti per come era venuta, però… c’era sempre la possibilità che qualcosa andasse storto. In fondo facevo pozioni solo da un mese…

Tuttavia le mie ansie furono frustrate dallo stesso Black, che balzò in piedi non appena la pozione finì di agire e dopo essersi tastato il viso per accertarsi che fosse tutto a posto, si diresse verso la porta dichiarando: «Io vado a uccidere Mocciosus!»

«Oh, no che non lo fai, Black!» ribattei io mentre tutta la pietà evaporava come neve al sole. «Potter ti ha già vendicato, e io ti ho aiutato, quindi ora lasci in pace Severus!»

Mi guardò incredulo. «Evans, nemmeno tu puoi veramente pensare che gliela faccia passare liscia dopo quello che mi ha fatto!»

«Sì che lo penso, invece!» esclamai io veementemente. «Senti, Severus è amico mio, e io ti ho guarito, quindi il debito è saldato!»

«Non è la stessa cosa.» Ma bene, ci si doveva mettere pure Potter, ora?

«Non mi interessa» esclamai con fermezza. «È da quando siamo arrivati che lo tormentate, ora siete pari, e basta. La prossima volta non comportatevi da bambini!»

«Oh, Evans, non ricominciare!» disse Potter seguendomi fuori dall’aula. «Noi non gli abbiamo mai fatto niente di simile…»

«No, ma è un mese che gli andate contro» ribattei io muovendomi a passo di marcia verso la Sala Grande. «Ora smettetela.»

Si fermarono tutti e due di scatto, nello stesso istante, nella Sala d’Ingresso, facendo fermare anche me.

«Evans, in questo momento siamo in debito con te» cominciò Black solennemente.

«Ci hai aiutato, nonostante tutto, quindi sei fuori dal nostro mirino» proseguì pomposamente Potter con quel suo solito ghigno irritante.

«Ma per quanto riguarda Mocciosus…»

«… abbiamo un conto aperto con lui.»

Remus aveva ragione, quei due sembravano davvero fratelli. Si completavano pure le frasi a vicenda!

Entrarono senza darmi il tempo di ribattere e, una volta nella Sala, non riuscii più a parlargli. Perciò mi sedetti vicino a Remus schiumando di rabbia ed avvicinandomi un piatto d’arrosto con un gesto brusco.

Mi guardò sorpreso ma non disse niente. Era questa la cosa meravigliosa di Remus: non si faceva mai gli affari tuoi.


Non riuscii a parlare con Sev dopo pranzo, quindi dovetti aspettare la fine delle lezioni per poterlo incontrare. Era sotto il nostro solito albero e stava leggendo un libro con la fronte aggrottata e l’espressione arcigna.

«Ciao, Sev» dissi per annunciare la mia presenza quando fui vicinissima, visto che lui non aveva alzato lo sguardo.

«Ciao» rispose lui scontroso.

Mi sedetti accanto a lui, aprii il libro di Pozioni e cominciai a sfogliarlo: segnavo sempre le modifiche che facevo a bordo pagina, e a volte le riguardavo pure, ma in quel momento servivano solo come scusa per tenere gli occhi occupati. Nessuno dei due diceva niente, tutti e due fingevamo con grande diligenza di leggere i libri di scuola per non incrociare gli occhi dell’altro.

«Potter e Black hanno giurato vendetta» lo informai dopo un po’ seguendo sempre la ricetta della “Bevanda Balbettante”, che a detta del libro faceva balbettare chi la beveva. «Ho provato a trattare, ma non hanno ceduto.» Sbirciai nella sua direzione: aveva ancora il viso incollato alle pagine. «Quindi forse faresti meglio a stare attento.»

Chiuse il libro così bruscamente che sobbalzai. «Certo, immagino che sia quello che mi merito per aver aggredito i tuoi poveri amichetti innocenti, vero?»

Rimasi sbalordita. «Cosa stai dicendo, Sev? Lo so che hanno torto marcio, volevo solo…»

«Ma non ti è venuto in mente, ovviamente, mentre li aiutavi!»

«Cosai avrei dovuto fare, Sev?» ribattei io cominciando a seccarmi. «Black non riusciva neanche a parlare e Potter si rifiutava di portarlo in Infermeria. Immagino che secondo te avrei dovuto lasciarlo lì a sbrogliarsela, vero?»

Questo lo mise a tacere, anche se il suo sguardo diceva chiaramente di sì. Rimanemmo a fissarci qualche secondo, poi io riaprii il libro con un colpo secco e ripresi a leggere.

«Lily?» tentò lui dopo un po’.

Io finsi di non averlo sentito e girai rumorosamente pagina, ancora arrabbiata.

«Lily, lo sai che non intendevo questo!» esclamò lui, ora implorante.

Io chiusi il libro e mi appoggiai al tronco chiudendo gli occhi. «Lo so, Sev…» dissi stancamente. «E so che quei due se le tiravano per i capelli. Hanno avuto la sfrontata faccia tosta di dirmi che mi avrebbero lasciata fuori perché li avevo aiutati, figurati! Giuro che li avrei picchiati, ma sono entrati in Sala Grande e quindi… Io gli avevo chiesto di lasciarti in pace, e loro hanno risposto che erano in debito solo con me! Sono i più stupidi, tronfi, egoisti palloni gonfiati che conosca!» conclusi con tanta veemenza da stupire me stessa. Effettivamente mi avevano notevolmente seccata con quel loro odiosissimo atteggiamento.

Intanto però Sev si era tranquillizzato e io mi ero sfogata, col risultato che riprendemmo a chiacchierare ed a studiare come se niente fosse.

Dopo un po’ gli chiesi se poteva interrogarmi a Pozioni, visto che il professor Lumacorno mi aveva annunciato la sua intenzione di farmi una sorta di… quiz, l’aveva definito, per mettermi un giudizio definitivo sul primo mese, mandandomi nel pallone: sono assolutamente, completamente, irrevocabilmente terrorizzata dalle interrogazioni, la mia testa va democraticamente in vacanza, tabula rasa al posto di idee e arrivederci, se non so vita, morte e miracoli di quella materia, cosa che non mi capita mai.

Tuttavia, farmi interrogare da Severus era un ottimo tranquillizzante, visto che non esisteva insegnante al mondo capace di fare domande più subdole: se scampavo da un’interrogazione con lui, allora ero in grado di superare quella di qualunque professore.

Solitamente seguivano uno schema preciso: prima le domande difficili, poi quelle più probabili ed infine quelle impossibili.

Di solito superavo le prime due fasi più o meno tranquillamente e poi mi schiantavo contro la terza. Ora, visto che stavamo parlando di Pozioni, la mia materia preferita, riuscivo, concentrandomi seriamente, a superarle tutte e tre.

L’ultima domanda di quella seduta mi mise però particolarmente in difficoltà: «Qual è la differenza fra Aconitum Napellus e Aconitum Lycoctonus?»

Maledizione a lui, Severus sapeva perfettamente che Erbologia era la materia con cui facevo più a pugni!

E dal sorrisetto soddisfatto con cui osservava il mio andirivieni davanti a lui credo fosse certo di avermi messa nel sacco.

Sì, facile sogghignare quando hai il libro aperto davanti!

Aconitum Napellus… Aconitum Lycocta… Lycoctonum… Cosa cavolo avevano di diverso? Nelle pozioni avevamo usato l’aconito, ma…

Mi fermai di scatto di fronte a lui. «Ma non erano la stessa pianta?» domandai guardinga.

Lui sogghignò ancora più calorosamente e chiuse il libro. «Sì, era una domanda a trabocchetto.»

«Infame!» lo accusai ridendo. «Mi hai fatto fondere le meningi su quei dannati Aconitum…»

«Ma ora lo sai e non te lo dimenticherai più» ribatté lui, inattaccabile.

Io fui costretta a dargli ragione, ma non intendevo dargliela vinta. «Scommetto che tu non lo avresti saputo se non avessi avuto davanti il libro!»

Lui mi guardò con sufficienza, anche se un po’ sorrideva. «Lily, per quanto riguarda queste questioni elementari, io so assolutamente tutto!»

Gli feci una linguaccia. «Bene, e allora cosa ottengo se verso della radice di Asfodelo in polvere in un infuso di Artemisia?»

Si bloccò in mezzo al prato e io lo guardai perfidamente: avevo letto quella pozione quasi per sbaglio, durante una ricerca, ed era al livello dei M.A.G.O. Ero quasi sicura che non sapesse la risposta.

In quel momento stava guardando fisso davanti a sé con le sopracciglia talmente corrugate che quasi si toccavano e io stavo un passo davanti a lui: ora era il mio turno di sogghignare guardando i suoi sforzi per ricordare.

Alla fine però ne ebbi abbastanza e dissi: «Tranquillo, questo è il genere di domanda che se la chiedessi ad un nostro compagno ti guarderebbe con lo sguardo vacuo balbettando a malapena i nomi.»

Lui mi guardò storto ma non disse niente.

«È a livello dei M.A.G.O., Sev, sei autorizzato a non saperlo. Io mi ci sono imbattuta per puro caso. Lo chiamano Distillato della Morte Vivente, è il…»

«… narcotico più potente possibile da preparare, tale da far sembrare il sonno uno stato di morte, quasi una coma» concluse lui con una smorfia. «Sì, lo so. E tu sei l’essere più infido del mondo!»

«Io?!» protestai. «Sei tu quello che prima mi chiede di quei dannati aconiti e poi dice di sapere tutto!»

«Avevo detto ‘questioni elementari’» ribatté lui piccato. «Queste non sono questioni elementari. E comunque se mi avessi fatto pensare un altro po’ ci sarei arrivato!»

«Sì, come no!» lo sbeffeggiai io.

Riprendemmo ad avviarci verso il portone, nuovamente in ottimi rapporti, parlavamo e scherzavamo come se niente fosse. Anche lui riusciva a sorridere di quel suo strano, incerto sorriso.



ANGOLO AUTRICE


Buondì, compagni di tante sventure, primi scontri all’orizzonte e con essi, immancabili nuove note.


Allora, lo so che Aguamenti è un incantesimo che nel Canon viene citato come abbastanza avanzato (mi pare che compaia per la prima volta nel sesto o nel quinto libro), qui ho finto che fosse un incantesimo a livello del primo anno. Abbuonatemela, siate gentili!

La pozione contro i foruncoli è la prima che Piton insegna nella sua classe, al primo anno, quindi era ragionevole supporre che entro il primo mese sarebbe stata spiegata anche da quella buonanima di Lumacorno. Non so se la definizione dicesse sul serio che era “contro forme ostinate di acne da pubertà o da incantesimo”, ma siccome era contro i brufoli fingiamo che valesse anche per i brufoli magici e ciccia, ai fini della storia.

Dorcas Meadowes è un personaggio Canon membro del primitivo Ordine della Fenice, secondo Moody una strega tanto abile da venir uccisa da Voldemort in persona. Mi era interessata, ma siccome il nome Dorcas, con tutto rispetto per le Dorcas del mondo, non mi piaceva, l’ho addolcito in Debbie.

In ultimo, l’“interrogazione” fra Severus e Lily è strettamente parallela a quella a cui Piton sottoporrà Harry al primo anno. Ho pensato che forse avrebbe voluto vedere se il figlio era abile quanto la madre in quella materia. Ah, gli appassionati di erbe non me ne vogliano per la negazione delle differenze fra Napellus e Lycoctonum, che a quanto ho visto esistono, in questo caso mi sono rimessa a mamma Row per poter meglio seguire il suo schema.


Zzz…

Avvisatemi quando ho finito.

Ah, sì, ora, vero?

Comincio ad annoiarmi da sola con queste stupide note -.- Dovrò perderlo il viziaccio di puntualizzare tutto, levano parecchio gusto a tutto il racconto. Ma vabbè, ormai ho iniziato e immagino di dover bere l’amaro calice.

Sì, certo -.-

Vabbè, concludo con calorosi saluti e ringraziamenti a tutti coloro che si sono dati pena di seguire la storia fin qui, a risentirci a presto – spero xD



ANGOLO PUBBLICANTE


Ave popolo di EFP!

Come va la vita?

Io sono raffreddata come al solito, colpa anche delle pallate di neve che mi hanno raggiunto ieri... Ma non conta perché io amo la neve e quindi lei ha il diritto di farmi ammalare, soprattutto perché la mia scuola era chiusa sabato e quindi mi ha evitato 2h di latino e 2h di matematica *_____________________*

Il fatto che ci sia la neve mi ha ricordato una cosa importante: la domenica fissata per il prossimo aggiornamento dovrebbe essere il 2, allora è probabile che io sia in vacanza e quindi ci sta che l'aggiornamento sarà rimandato o alla domenica successiva o un qualsiasi altro giorno dopo le vacanze di Natale.

Quindi, essendo questo l'ultimo aggiornamento prima delle feste, BUON NATALEE!!

Scusate ma non faccio in tempo a rispondervi personalmente perché vado di fretta =(

Grazie comunque a tutti!!

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Capitolo 11
*** Capitolo 4 - Mezzosangue, Sanguesporco e Purosangue ***


Prima parte: I anno

Capitolo 4 – Mezzosangue, Sanguesporco e Purosangue

 

Nei giorni seguenti tuttavia Severus ebbe molte meno occasioni di sorridere: Black e Potter si fecero scopo di rendergli la vita impossibile, e per quanto io potessi urlargli contro loro proseguivano imperterriti. Sev reagiva come meglio poteva, ma spesso era in svantaggio, uno contro due, visto che raramente lo attaccavano quando era con me, e lui non aveva ancora i riflessi abbastanza pronti per poter evitare entrambi.

Una reazione a quella persecuzione che non avevo previsto fu l’accrescersi dell’“amicizia” fra Sev e il ragazzo platinato del treno, Lucius Malfoy. Passava tutto il tempo in cui non era in mia compagnia con lui e la sua banda di smargiassi, e spesso e volentieri quando ci dovevamo incontrare arrivava in ritardo, col respiro affannato, le guance rosse e gli occhi brillanti balbettando qualcosa a proposito del fatto che “Lucius gli doveva far vedere…”

In breve presi a detestare quel ragazzo più di quanto non credessi possibile.

Cercai di dirmi che era solo una mia impressione, che magari quel ragazzo non era realmente così male; insomma, Severus non era così stupido da farsi prendere al laccio da un ragazzo come io credevo fosse Malfoy! Ma avevo paura: avevo sempre avuto un certo istinto per capire le persone, quasi un sesto senso, visto che spesso non era neppure a livello cosciente, e Malfoy non mi piaceva. Non mi piaceva neanche un po’.

Ne parlai con Debbie, promossa ormai al ruolo di confidente e consigliera, e quando la vidi affilare gli occhi e stamparsi una piega amara sulle labbra capii che i miei sentimenti erano giustificati.

«È un bullo straviziato che si crede un dio solo perché si chiama Malfoy» mi disse con disprezzo. «Un Serpeverde della specie peggiore, arrogante, ambizioso e senza scrupoli. Con un notevole carisma personale, potrei aggiungere.» Mi guardò con gli occhi un po’ tristi. «È difficile capire questa mentalità quando non ci si è nati, Lily, ma anche i maghi hanno loro dogmi derivanti dalla loro storia e convinzioni che nei Serpeverde sono più radicate che mai. Vedi» proseguì facendomi sedere vicino a lei, «Serpeverde è per eccellenza la Casa più conservatrice delle quattro, la tradizionalista, e i Malfoy sono fra le famiglie più tradizionaliste di tutte, e di conseguenza esercitano una grande influenza su tutto il mondo magico e per riflesso su Serpevede. Lucius Malfoy è l’epitome dei Malfoy, e quindi dei Serpeverde. Ciò gli concede automaticamente una grandissima autorità su tutta la sua Casa, che essendo legata alle tradizioni più conservatrici vede in lui un modello da imitare ed un leader da seguire.» Intrecciò le dita, pensosa. «È un buon oratore, devo dire, ed è abilissimo a non esporsi in prima persona. Seduce a parole i più piccoli e li spinge a diventare delle specie di subordinati, insegnandogli incantesimi proibiti ed inducendoli a violare le regole, solitamente a scopo di tormentare tutti coloro che secondo Serpeverde ed i tradizionalisti non dovrebbero trovarsi ad Hogwarts, come i Mezzosangue, i Sanguesporco ed i Filobabbani. Lui però resta dietro le quinte, non si sporca mai le mani. Ricordo che l’anno scorso un ragazzo, Robert Selwyn, ha rischiato l’espulsione a causa sua.»

Io ero inorridita. Era quello il grande amico e leader di Sev? In che pasticcio si stava mettendo?

«In realtà non è tutta farina del suo sacco» proseguì Debbie assorta. «Quando avevo più o meno la tua età c’era un’altra Serpeverde, Bellatrix Black, che dirigeva la sua Casa con un pugno di ferro, anche se era capace di esporsi di più. I Black sono un’altra di quelle famiglie tradizionaliste risalenti a prima del Medioevo, rigidamente Purosangue e Antibabbane. Lei in particolare era una concentrazione di tutte le loro convinzioni; a volte mi chiedo persino se non fosse un po’ pazza. Era come una tarantola, o una vedova nera, silenziosa, in qualche modo affascinante e letale. Preferiva però agire in prima persona, al contrario di Malfoy. Una volta ha addirittura rischiato l’espulsione per l’accusa di aver torturato un Tassorosso, Bob Hawkins.» Si prese le tempie fra le mani e sospirò. «Ricordo che ci fu uno scandalo tremendo: i suoi genitori, i genitori del suo fidanzato e l’intera Casata del Black lottò a pugni chiusi per mantenerla a scuola e smentire le voci, e alla fine l’ebbero vinta grazie ad una speciale intercessione del Consiglio Scolastico.» Strinse i denti. «È quello che succede ad avere un padre influente e tonnellate d’oro. Malfoy ha cominciato sotto di lei ed ha proseguito il suo lavoro quando se n’è andata, anche se con maggior discrezione: si limita a muovere i fili dietro le quinte. È promesso alla sorella minore di Bellatrix, Narcissa Black.»

Rimasi molto segnata da quel dialogo: avevo capito che ad Hogwarts vigevano diverse regole non scritte indipendenti dalla nostra abilità e dalle nostre capacità, ma non mi ero mai accorta di quanto fossero profonde, forse perché a Grifondoro nessuno me lo aveva mai fatto pesare. Ma se a Serpeverde erano così evidenti… rimasi preoccupata a lungo per Severus, ma non riuscii mai a parlargliene. Lui sembrava sempre soprappensiero, ma non infelice; distratto, a volte, o in preda ad una felicità febbricitante che mi preoccupava più della sua apatia. Ma c’era una sorta di blocco che non riuscivo ad abbattere che mi impediva di capire cosa gli stesse succedendo. Gli unici momenti in cui veramente si arrabbiava era quando comparivano in scena Potter e Black. Loro ero sicura riuscissero a ferirlo, e per riflesso soffrivo anch’io e mi tormentavo per giorni.

Debbie se ne accorse e me ne chiese il motivo, ma io scansai l’argomento. Non ero sicura di volerne parlare. Avrei voluto i miei genitori, per poter chiedere consiglio a loro, ma siccome non ero ancora sicura di cosa avrei voluto chiedergli e non riuscivo a rendere per scritto le sensazioni che mi agitavano dovetti rinunciare.

Stavo mano a mano scoprendo che l’amicizia fra una Grifondoro e un Serpeverde non era così scontata come mi era sembrata dapprincipio. Ma non ebbi chiaro quanto fosse impossibile fino alla settimana prima di quella di Halloween.

Stavo tornando in Sala Comune con Remus dalla Biblioteca, e come al solito avevamo scelto la via meno trafficata (sia io che lui odiavamo la folla), cioè una sorta di passaggio segreto, quando udimmo uno strillo acuto provenire da dietro l’angolo del corridoio che stavamo percorrendo, qualche metro avanti a noi. Ci guardammo un attimo negli occhi e ci precipitammo nel luogo di provenienza del lamento, ritrovandoci davanti una scena che mi fece ribollire il sangue: una ragazzina di Tassorosso più o meno della mia età appesa per aria a testa in giù con la divisa rovesciata che continuava a dimenarsi; intorno a lei, intenti a spanciarsi dalle risate, almeno quattro Serpeverde più grandi di noi, fra cui Lucius Malfoy, che pur senza ridere sogghignava calorosamente e faceva sobbalzare la ragazza con dei secchi movimenti del polso che teneva la bacchetta.

Lasciai cadere la borsa ed afferrai la mia, urlando molto stupidamente: «Fermi!»

Sebbene inutile, il mio tentativo ebbe il vantaggio di ammutolirli per quasi un secondo, durante il quale si accorsero che a parlare era stata una primina e ripresero a ghignare.

«Vuoi unirti anche tu alla tua amichetta Sanguesporco, rossa?» mi chiese beffardo Malfoy.

«Rimettetela giù!» urlai io per tutta risposta.

«Altrimenti?» sogghignò un altro ragazzo tremendamente alto e grosso. «Tu e il tuo amichetto ci maledirete? Andrete a piagnucolare dal Preside?»

«Lasciatela in pace» rispose Remus con la sua solita calma, che gli invidiai un po’: io ci mettevo un niente a prendere fuoco.

«Oh, ma perché? Era tanto che non mi divertivo così…Flagramus!»

Un lampo di luce biancastra partì dalla sua bacchetta, e io per riflesso involontario urlai: «Protego!»

Il mio Scudo attutì il peggio, ma sia io che Remus barcollammo e rischiammo di cadere.

«Ohoh… sai come si gioca, piccola rossa» commentò Malfoy continuando a sballottare la Tassorosso. «Dovremo impegnarci, allora… e sia.»

Io ero pronta ad evocare un nuovo Scudo, ma il suo incantesimo non era diretto a me, bensì all’altra ragazza ancora per aria.

Sobbalzai, e lei cominciò ad urlare quando gli incisivi cominciarono a crescerle fino a superarle il labbro inferiore.

Io la stavo guardando inorridita, distraendomi, e fu solo grazie a Remus, che mi si buttò addosso di peso, che non venni colpita da una maledizione. Tuttavia, a quella ne seguirono altre sempre più frequenti, costringendoci a restare sulla difensiva e ad indietreggiare sempre di più. Adesso ero spaventata; non avevo mai respinto tanti incantesimi contemporaneamente e non ero sicura che avrei retto a lungo. Accanto a me Remus era nelle mie stesse condizioni, anche se il viso trasmetteva solo una concentrazione assoluta. Era riuscito ad evocare uno Scudo, ma evidentemente si accorgeva che non sarebbe bastato. Da soli era ovvio che non potevamo far niente, perciò al di sopra degli scoppi degli incantesimi gli dissi con un coraggio che non sentivo: «Tu vai a cercare qualcuno, io provo a trattenerli!»

Una pietra esplose poco sopra la mia testa, ricoprendoci di detriti.

«Non essere sciocca, Lily» disse soltanto lui parando una fattura diretta al suo viso.

«Remus, da soli non ce la facciamo!» esclamai spostandomi per evitare il vaso cinese che qualcuno mi aveva tirato addosso.

«Vai tu!» ribatté cocciuto senza staccare gli occhi dai Serpeverde.

Io ovviamente non mi mossi, ma mi guardai freneticamente attorno cercando una via di fuga. Il mio sguardo corse casualmente ad una cornice vuota qualche metro più in là.

«Dobbiamo spostarci a destra!» gli dissi mentre lui, con un incantesimo ben piazzato, distruggeva il soprammobile che minacciava la sua testa.

Annuì al di sopra degli scoppi e, in un attimo di tregua, corremmo entrambi verso la cornice, saltando letteralmente gli incantesimi. Vidi Remus immobilizzare uno dei nostri aggressori con l’incantesimo delle Pastoie Total-Body e sospirai di sollievo, ma solo per un attimo: un lampo di luce rossa, e Remus mi cadde accanto semisvenuto.

«Rem!» urlai parando un incantesimo.

Mi rispose con un sorriso tirato. «Sono ancora vivo» disse, ma io non ero affatto tranquilla: Remus aveva una salute cagionevolissima, si era già ammalato due volte dall’inizio della scuola e avevo paura che quell’incantesimo l’avesse colpito duramente.

«Ce la fai ad alzarti?» gli chiesi abbassandomi verso di lui.

«Ma che quadretto commovente» commentò una voce melliflua.

Mi rialzai di scatto con la bacchetta alzata. Nel tempo in cui mi ero distratta i Serpeverde si erano avvicinati ed ora ci premevano contro il muro a circa tre metri di distanza.

«È quello che succede a sfidare i superiori» proseguì quell’odiosa voce con sprezzo.

«Vai via, Malfoy!» gli gridai sparandogli incontro il primo incantesimo che mi venne in mente. Lui lo parò con facilità e reagì con tanta prontezza che riuscii a malapena a schivare.

Ricominciarono a serrarmi da vicino, diverse volte riuscii a salvarmi per puro miracolo, ed ero talmente preoccupata a coprire anche Remus che più di una volta rischiai di espormi.

«Chiama il ritratto!» urlai a Remus parando l’ennesima fattura: ero più che certa che se non fosse arrivato qualcuno in tempi brevi avrei perso, e non mi sarebbe piaciuto.

Udii Remus parlare concitatamente alla cornice, ma ero troppo concentrata sul “duello” per capire cosa stesse dicendo, o se c’era qualcuno a rispondergli.

Ero distrutta, e sentivo i miei riflessi rallentare penosamente. Loro sorridevano tutti: stavano giocando con noi, si divertivano dei nostri tentativi ed attaccavano uno alla volta, come a sfidarmi a capire verso dove avrei dovuto puntare lo Scudo la volta successiva. Remus riprese possesso della sua bacchetta e ricominciò ad aiutarmi, ma anche lui era chiaramente provato.

Poco dopo una fattura di Malfoy aggirò le mie barriere e mi scaraventò contro il muro, facendomi sbattere la testa e cadere.

Nel mio cervello confuso c’era solo la certezza che dovevo rialzarmi e continuare ad evocare scudi, ma il mio fisico si rifiutava di obbedire e in ogni caso non trovavo la bacchetta.

«Lo vedi, Sanguesporco?» soffiò una voce suadente nel mio orecchio. «Mai sfidare i superiori.»

In qualche modo riuscii a ritrovare il controllo delle mie braccia e gli tirai uno schiaffo. In realtà avevo tanta poca forza che fu poco più che una carezza, ma non mi tagliavo le unghie da un po’ e quindi lo graffiai.

Lo udii imprecare e sorrisi per un attimo, ma poi una forza violenta mi artigliò alla gola, soffocandomi e terrorizzandomi. La presa si strinse ed io cominciai a boccheggiare, cercando invano di inviare aria ai polmoni, ma la gola era bloccata, dovevo assolutamente respirare o sarei morta.

La vista mi stava scemando, ma mi accorsi che osservavo la scena da una strana prospettiva: ero più in alto di Malfoy e compagnia, Remus era ai miei piedi, apparentemente svenuto, e, in uno sforzo di concentrazione, mi accorsi che la mia schiena poggiava contro qualcosa di duro.

Tuttavia il mio cervello era troppo affamato di ossigeno per permettermi di elaborare quelle informazioni. Soffocavo sempre di più, ero terrorizzata e non riuscivo a trovare un appiglio.

Stavo per svenire quando udii una voce gridare: «Petrificus Totalus!»

La morsa attorno alla mia gola svanì quasi all’istante, e io scivolai lungo una superficie dura per atterrare, o meglio cadere, vicino a Remus.

Ansimavo pesantemente, cercando di recuperare aria, ma avevo ancora i muscoli percorsi da spasmi e la gola che mi bruciava come se avessi ingoiato un ferro incandescente. Dopo qualche profondo respiro il mio cervello tornò in attività e riprese ad analizzare lentamente la situazione: Remus era a pochi centimetri da me, sanguinava da un taglio sopra il sopracciglio destro e sembrava incosciente, ma respirava. Gli cominciai a tamponare il taglio, quando uno scoppio mi fece girare di scatto: i Serpeverde mi davano le spalle, concentrati su due piccole figure di fronte a loro intente, a quanto sembrava, ad una sorta di danza fatta di capriole e flessioni. Uno sguardo più attento ed una messa a fuoco migliore mi informò che le due figure erano Potter e Black che si stavano esibendo in uno spettacolare numero di acrobazie per evitare gli incantesimi degli altri… tre? Due? Come mai solo due?

Uno di quei due si voltò e lanciò un incantesimo poco distante da me, facendo rinvenire due figure rigide che poco prima non avevo notato.

In un angolo ce n’era anche una terza che identificai come la Tassorosso, pietrificata e con gli incisivi mostruosamente lunghi.

Un secondo scoppio, più forte del primo, richiamò la mia attenzione sui contendenti: Malfoy, che si era appena rialzato, si stava facendo avanti con l’espressione furente ed i capelli scomposti, la bacchetta minacciosamente alzata ed i gesti rigidi.

Se Potter e Black, com’era evidente, non conoscevano l’incantesimo di Scudo, erano nei guai.

Mi guardai freneticamente attorno e finalmente trovai la mia bacchetta. Gattonai fino a prenderla ed urlai: «Protego!» nello stesso istante in cui Malfoy muoveva bruscamente la bacchetta come una frusta.

Il mio incantesimo arrivò prima, slanciato fra i due schieramenti, facendo apparire uno scintillante muro semi-trasparente e parando, almeno in parte, la fattura di Malfoy. Sia Potter che Black barcollarono fin quasi a cadere, ma riuscirono a restare in piedi. Gli sguardi di tutti si calamitarono su di me: i Serpeverde erano stupiti e furiosi, Potter e Black sembravano solo colti di sorpresa.

Ma in quel momento non mi importava: mi sentivo nuovamente sull’orlo dello svenimento, sembrava che l’incantesimo si stesse alimentando della mia stessa forza vitale, lasciandomi sempre più esausta.

I miei compagni di Casa comunque si ripresero più velocemente e corsero raso muro verso di me prima che i Serpeverde, ancora scioccati, potessero reagire.

Io ero praticamente sdraiata per terra e tenevo la bacchetta con entrambe le mani. Potter e Black mi raggiunsero poco prima che io capitolassi e ritraessi lo Scudo. Le ginocchia mi cedettero, e se Potter non mi avesse afferrato da sotto le ascelle mi sarei spalmata a pelle d’orso sul pavimento.

«Tutto bene, Evans?» mi chiese aiutandomi ad alzarmi.

Io annuii col fiatone e riuscii a dire: «La formula è… Protego…»

Lui annuì e mi buttò a terra quasi nello stesso secondo, mentre un incantesimo volava sopra la mia testa. Black era alla mia sinistra ed aveva i denti scoperti in uno strano sorriso mentre, con perfetta incoscienza, continuava a lanciare incantesimi contro gli altri.

Formavamo una sorta di barriera fra i Serpeverde e Remus, e io mi costrinsi a riprendermi per evocare un nuovo Scudo, visto che né Potter né Black ci avevano mai provato ed era improbabile che ci riuscissero al primo colpo. Io stessa ci avevo messo quasi due mesi per impararlo correttamente, e solo perché io e Severus ci eravamo spalleggiati fin dall’inizio.

«Protego!» ordinai fiaccamente alla mia bacchetta, radunando ogni brandello di potere rimasto in mio possesso nel sorreggere l’incantesimo. Potter mi aiutò a restare in piedi, quasi prendendomi in braccio, mentre Black scagliava gli incantesimi più fantasiosi da dove si trovava.

Io potei soltanto ringraziare il cielo che solo Malfoy fosse del sesto anno: sembrava l’unico dotato di una certa intelligenza, gli altri erano solo molto grossi e molto arrabbiati. Se avessero conosciuto le stesse fatture che Malfoy si stava decidendo ad usare contro di noi saremmo quantomeno finiti male, e saremmo finiti anche peggio se Malfoy le avesse usate dall’inizio.

«Tranquilli!» urlò una voce dietro di me. «Stanno arrivando, tenete duro!»

Io mi girai appena per capire chi aveva parlato e vidi il ritratto di una signora di mezza età sbracciarsi. Annuii e detti nuova forza all’incantesimo, ravvivata dalla speranza di aiuti in arrivo. Raddrizzai anche le spalle mentre una scarica di adrenalina mi inondava le vene.

«Brava Evans!» commentò Potter vicino al mio orecchio allentando la presa e riprendendo a scagliare fatture.

Fu quando ricominciai a cedere che udii una voce urlare dall’altra parte della stanza: «Stupeficium!»

Il lampo rosso colpì Malfoy in pieno petto facendolo collassare. Un secondo incantesimo bloccò il ragazzo grosso e prima che potessero reagire un terzo ragazzo era tenuto fermo da grosse corde.

Debbie era arrivata e teneva sotto tiro l’ultimo Serpeverde, disarmato.

«Signorina Meadowes!» esplose una voce dietro di lei. «Lo sa che non è permesso praticare incantesimi nei corridoi!» Era arriva la professoressa McGranitt.

Debbie non abbassava la bacchetta. «Gli ho ordinato di fermarsi» ribatté impassibile. «Quando non l’hanno fatto mi sono ritenuta autorizzata ad intervenire.»

La professoressa la guardò seccata a non disse niente. Il suo sguardo abbracciò invece tutta la scena: ebbe un’esclamazione sorpresa quando vide la Tassorosso per terra e il Serpeverde legato, strinse le labbra a vedere Malfoy schiantato e l’altro pietrificato, poi il suo sguardo andò a me, nuovamente aggrappata a Potter, a Black, ancora con la bacchetta alzata, ed a Remus, che cominciava a muoversi solo in quel momento.

«Violet!» abbaiò alla fine. «Si può sapere cos’è successo qui?»

«È semplice, Minerva» ribatté il quadro animatamente. «Ero uscita dalla mia cornice per fare una visita al ritratto del monaco ubriaco – è un po’ giù in questo periodo – quando ho sentito gridare aiuto da questo quadro ed ho visto quel simpatico ragazzo» accennò a Remus, «barcollante ed in difficoltà chiedermi di andare a chiamare aiuto mentre l’altra ragazza» mi indicò, «evocava uno Scudo.» Scoccò un’occhiata sprezzante ai Serpeverde. «Naturalmente ho capito subito che era una situazione d’emergenza e che dovevo cercare qualcuno, perciò sono uscita e non appena ho visto Debbie» le fece l’occhiolino, «l’ho subito informata e lei è accorsa, e lo stesso è successo con lei poco dopo, Minerva. Quando sono ritornata si erano aggiunti anche quei due ragazzi» accennò a Potter e Black, «lui» indicò Remus, «era a terra e sanguinava e anche la ragazza era debole, anche se cercava di tenere su lo Scudo. Loro due stavano evitando le maledizioni come potevano, poveri cari. Poi è arrivata Debbie e li ha colti di sorpresa, ha schiantato Malfoy, pietrificato Selwyn e incatenato Dolohov; Rowle invece l’ha solo disarmato.»

«Rowle è del terzo anno» si giustificò Debbie a mezza voce.

La professoressa la ignorò e ci guardò severamente. «È quello che è successo?»

Io annuii stancamente e stavo per cominciare a raccontare quando Potter mi strinse più forte in vita e dichiarò: «Professoressa, credo sia meglio se io e Sirius portiamo Evans e Lupin in Infermeria. Possono rispondere più tardi.»

Black si unì subito su quella scia e persino Debbie sembrò d’accordo. Io volevo protestare, ma Potter mi pizzicò il braccio e, per qualche motivo che a posteriori non seppi spiegarmi, tacqui.

«Anche lei dovrebbe andare in Infermeria» osservò Remus indicando la Tassorosso.

«A lei ci penseremo io e la signorina Meadowes fra poco, quando avremo finito con questi qui» rispose la McGranitt guardando truce i Serpeverde. Malfoy si era appena ripreso e ci stava fissando con quello sguardo con cui si informa un uomo di essersi fatto un nemico mortale, e continuò a fissarci fino a quando non fummo fuori dalla sua vista.



ANGOLO AUTRICE


- Mi sta tanto che il cu** di Harry era ereditario u.u

- Buongiorno, duchessa -.-


Bene, dopo questo scambio di finesse posso augurare buonsalve a tutti i presenti. Senz’altro potrei trovare un’altra volta un sacco di cose da dire tutte insieme, ma francamente non mi va, mi sono stufata e quindi se c’è qualcosa che non torno la cercherò nei prossimi capitoli o la accannerò, come dicono dalle parti mie.

L’unico appunto forse è che i Serpeverde dovrebbero imparare a mettersi un palo o almeno una sentinella per avvisarli quando arriva qualcuno, ma sarebbe fuori contesto. E in fondo quando vai appositamente in un corridoio segreto non è che ti aspetti che improvvisamente ci piombi tutto il mondo giusto per guastarti le uova nel paniere, no? No. O almeno, secondo me no. Non quando ci si sente molto sicuri di sé.

Ah, il Lexicon dice che Lucius Malfoy è del ‘54, quindi in teoria dovrebbe avere 17 anni (siamo ancora nel ‘71). Ciò nonostante, è al sesto anno, avendo cominciato la scuola nel ’65.

Non saltatemi addosso perché sono riusciti a cavarsela, non sarà sempre così e ho cominciato a inserire le mie motivazioni in mezzo al capitolo (sì, se cercate ci sono u.u) e verranno ampliate leggermente nel prossimo. E poi, per quanto questo sia il film (in questo preciso secondo non ho sottomano il libro e non posso controllare se c’era anche lì -.-), li caro Lucius, parlando con Harry, dichiara “Anche i tuoi genitori erano degli stupidi ficcanaso”. Diciamo che ho deciso di dargli motivo di pensarla così.

Il capitolo inizialmente era più lungo e comprendeva questo e il prossimo, ma siccome preferisco non superare un dato numero di pagine ho preferito spezzare a metà e farne due più brevi. Anche perché erano legati di fatto solo dal “panlogos” iniziale -.-


Comunque, la vicenda riprenderà nel prossimo capitolo. Riusciranno i nostri eroi a… ehm, no, sbagliato formula u.u

Alla prossima, gente, vi lascio nelle capaci mani di mia sorella, salutatela da parte mia ;p



ANGOLO PUBBLICANTE


Salve a tutti!

Per prima cosa vi volevo augurare un bel BUON NATALE in ritardo, condito da un più probabile Buon Anno.

Non ho molte cose da dire, e soprattutto devo scappare a fare i compiti delle vacanze, dato che domani la scuola ricomincia -.-

Prima di tutto però, volevo fare una piiiicola richiesta a mia sorelle: Sil, se mai leggerai queste mie parole, aiutami! Puoi fare i titoli un po' più corti?? Questo non mi entrava nell'immagine e ho dovuto modificare la S con Paint, rendendo il tutto un vero schifo -.- GRAZIE!

Passiamo quindi a rispondere subito alle vostre recensioni!

Allora:

  • A BabbaNatala (malandrina4ever): tu non sei Babba Natala? Questo spiega come mai quest'anno mi sono arrivati solo libri -.-

    *O* quando uno anche senza aver studiato prende un voto più che decente, è un cosa PIU' che meritata! È un dovere pubblico! Perché se uno riesce a cavarsela senza sapere niente, o è un genio o ha un culo pazzesco.

    Sono a corto di cereali Cheros... e dato che Lily è il personaggio principale... accettano anche gli Special? Sono l'unica cosa che posseggo al momento ^^'

    Come puoi ben vedere, appena udita la minaccia, Sirius si ferma. Ci tiene alla sua faccia xD

  • A 9Anny7: Renato Zero?? Povero Piton! Lo sono che sono quasi uguali... ma, non se lo merita! Grazie mille e alla prossima!

  • A S_marti_es: brillante deduzione collega! Io sono riuscita a fare fuori un'epifite! Ma io dico, non hanno bisogno di NIENTE se non di un po' d'acqua spruzzata col nebulizzatore una volta a settimana, ma IO ci sono riuscita lo stesso -.-

    Tranquilla, JvsL ci sarà per taaaaanto tempo! Per non parlare di JeSvsP xD

    Buon anno anche a te!

  • A mimmyna: grazie mille! Dopotutto James e Sirius sono quasi come fratelli! È abbastanza ovvio che si intendano così tanto da completarsi a vicenda!

    Buon anno anche a te!

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Capitolo 12
*** Capitolo 5 - Scacchi e Svenimenti ***


Prima parte: I anno

Capitolo 5 – Scacchi e Svenimenti

 

«Accidenti, questo sì che è stato un bello scontro!» commentò Potter ridendo non appena uscimmo dal corridoio, dando un cinque a Black.

Io lo guardai incredula. «Stai scherzando, vero? Per poco non ci ammazzavano!»

«Oh, no, avevamo quel tuo fichissimo Scudo che ci proteggeva» ribatté lui sogghignando.

«Quel mio “fichissimo” Scudo non è contro le maledizioni, e infatti per poco non morivo soffocata!»

«Comunque» intervenne Remus a voce alta per zittirci, «come avete fatto voi due a trovarci?»

«Oh, stavamo attraversando un passaggio che avevamo trovato qualche tempo fa che portava a quel corridoio e quando abbiamo sentito degli scoppi abbiamo deciso di andare a vedere» rispose Black con una scrollata di spalle.

«Quando siamo arrivati abbiamo visto quattro Serpeverde che ci davano le spalle e quello platinato con la bacchetta alzata verso Evans che era appesa al muro e si stava contorcendo» proseguì Potter. «A proposito, non te l’ha mai detto nessuno che è meglio stare fermi quando ti stanno strangolando?» aggiunse rivolgendosi a me.

Per poco non gli tirai un schiaffo. «Sai, non ero proprio nelle condizioni ideali per pensare» ribattei piccata.

Lui aprì la bocca, ma Remus fu più veloce e chiese a Black, che sembrava divertirsi molto: «E poi? Cosa è successo?»

«Be’, li abbiamo colti di sorpresa, quindi James ha potuto pietrificare Malfoy e io ho fatto lo stesso con Selwyn, perciò loro si sono rivoltati contro di noi e hanno cominciato a scagliarci fatture, poi hanno liberato Malfoy e Selwyn e ce la stavamo vedendo brutta quando Evans ha alzato uno Scudo fra noi e loro.»

Remus mi guardò con le sopracciglia aggrottate. «Hai evocato uno Scudo fino a loro due?» mi chiese sorpreso.

Io annuii.

«Ed ha retto i colpi dei Serpeverde?» domandò sempre più stupito.

Io assentii nuovamente.

«Accidenti, Lily» commentò lui. «Questa è magia a livello dei G.U.F.O., se non di più.»

Arrossii per il complimento e Potter ridacchiò. Gli lanciai un’occhiataccia e lui si zittì, anche se continuava a sogghignare. Mi staccai bruscamente da lui.

«Mi spieghi perché cavolo devi ridacchiare come una scimmia ubriaca?» Non riuscivo a capire perché, ma quel ragazzo riusciva ad esasperarmi come pochi.

«Le scimmie non si ubriacano» disse alla fine.

«E tu che ne sai? E poi non cavillare! Se preferisci posso chiederti perché cavolo ridacchi sempre come un demente, ho reso meglio l’idea?» Era strano, da parte mia, essere così velenosa: di solito facevo del mio meglio per sembrare cortese, come mi avevano insegnato i miei genitori, ma in quel momento vedevo rosso.

«Più o meno» ribatté lui. «Ridacchio come una scimmia ubriaca – mi piace di più questa immagine – perché sto meglio se prendo le cose alla leggera, contenta? E poi mi diverto: scontri del genere interrompono la monotonia delle nostre giornate!»

«Già, almeno potremo dire che non abbiamo sprecato il pomeriggio» intervenne Black. «Una bella rissa con i Serpeverde è un ottimo metodo per colorare una giornata grigia. E poi dà soddisfazione: non hai idea di come mi sono sentito quando ho visto Malfoy e Selwyn pietrificati, sapendo che eravamo stati noi…»

«Sì, dev’essere una bella soddisfazione pietrificare il fidanzato diciassettenne di tua cugina, vero?» commentò Potter malizioso.

«L’hai detto» confermò Black aiutando Remus a scendere le scale. «E poi ne siamo usciti bene, no? Nessuna punizione e nessuno è rimasto ferito.»

Io mi schiarii rumorosamente la gola e indicai eloquentemente la fronte di Remus, ancora sanguinante.

Black cominciò a rispondere, ma Potter lo interruppe in un irritante tono conciliante: «Per questo, Evans, vi stiamo portando in Infermeria.»

Lo guardai con sguardo omicida. «Già, mi avevi quasi fatto credere che l’avessi fatto per noi. Posso capire Remus, ma io non ho bisogno di andare in Inferme…» Non riuscii nemmeno a completare la frase: mi si oscurò la vista e prima di toccare terra persi i sensi.

Quando mi risvegliai ero sdraiata su un lettino e mi sembrava di avere un riflettore puntato in faccia. Sbattei le palpebre un paio di volte e mi accorsi che quella che mi era sembrata una luce accecante era solo una tendina posta ai piedi della mia branda.

«Ah, ti sei ripresa, allora» commentò una voce alla mia destra.

Girai la testa e vidi Remus, Potter e Black seduti sul lettino accanto al mio, fissandomi con attenzione; Remus aveva una benda sulla fronte ed era l’unico che non sorrideva. «Stai bene, Lily?» mi chiese con una certa ansia.

«Sto benissimo» mentii io tirandomi su.

Con un movimento tanto rapido che quasi non lo notai, Potter si alzò e mi respinse giù. «A cuccia, miss Io-non-ho-bisogno-di-andare-in-Infermeria!» mi disse con un sorriso tanto stranamente affettuoso che mi venne spontaneo rispondere.

«Oh, brava!» approvò lui. «Allora quella serpe di Mocciosus non ti ha completamente inacidito!»

Il sorriso mi si spense come una lampadina fulminata. «Lascia in pace Severus» ringhiai. «Lui non ha fatto niente!»

«Lui è uno di loro» ribatté Potter inappellabile. «Aspetta un paio d’anni e poi ne riparliamo.»

«Tu non lo conosci» sibilai io a denti stretti. «Non hai idea di cosa abbia passato, misuri tutto sul tuo metro, senza mai chiederti perché fa così, senza mai provare a capire…»

«Se volevi farmi mettere nei panni di Mocciosus bastava dirlo, Evans» ribatté lui con un sorriso sornione. «Non devo far altro che evitare di lavarmi i capelli per qualche mese e starmene sempre ingrugnito…»

Black esplose in una risata uggiolante simile al latrato di un cane e io mi incupii. «Ti credi così divertente, Potter?» ringhiai sferzante.

«Vuoi davvero saperlo? Sì!» rispose lui con perfetta impudenza.

Io rimasi spiazzata quasi un secondo, poi dissi con decisione: «Be’, non è così! Non si è mai divertenti alle spalle degli altri!»

«E questa dove l’hai letta? È il modo migliore, invece!»

«Non se quel qualcuno sei tu o i tuoi amici» replicai io in tono definitivo.

Per amor di pace, Remus intervenne nuovamente prima che Potter potesse ribattere. «James, adesso basta! La stai facendo stancare!»

Rimasi quasi scioccata: da quando Remus chiamava Potter “James”?!

Lui mi guardò un secondo, poi tutta la sua animosità parve sparire e tornò a sorridere con vivacità. «Hai ragione, Rem.» Sobbalzai. Rem?! «Scusa, Evans, tu hai ragione e io ho torto, Mocciosus è un santo ed ha i capelli meravigliosamente setosi.»

Black scoppiò a ridere mentre io gli facevo una linguaccia. «James, nemmeno quegli occhi possono averti spinto a mentire così!»

Anche Potter rise. «No, qui sbagli, Sir: per quegli occhi mentirei a mio padre!»

Black letteralmente ululò dalle risate, io arrossii furiosamente e persino Remus sorrise.

«Idiota!» dissi, anche se non riuscii a trattenere un sorriso: nonostante riuscissi a tenerlo sotto controllo, ero sensibile all’adulazione e mi piacevano i miei occhi; in effetti, erano l’unica parte di me che mi piacesse ancora, visto che stavo entrando in quella fase d’età in cui il proprio corpo è solo una brutta prigione.

Il suo sorriso si allargò, ma riuscì, mordendosi la lingua, a tacere.

«Comunque, da quanto tempo sono qui?» dissi per sviare l’argomento.

«Un paio d’ore» mi rispose Black. «In effetti, stavamo per andare a cena.»

Mi tirai lentamente su: il capogiro che mi aveva accolto da appena sveglia si stava attenuando, e potei mettermi seduta senza effetti collaterali, a parte quello di portare Potter a sedersi sul mio lettino invece che su quello di Remus. Lo ignorai con quella che sperai sembrasse dignità offesa e mi rivolsi a Remus: «Cos’è successo in queste due ore?»

«Niente di particolare» rispose lui con una scrollata di spalle. «A dir la verità, siamo rimasti rinchiusi qui, visto che Madama Challoner temeva un ritorno di fiamma simile al tuo. Mi ha fasciato perché dice che i tagli da maledizione guariscono più in fretta se sono supportati da un riscontro fisico.» Alzò gli occhi al cielo. «Invece era più indecisa su cosa fare su te. A essere onesto, lì per lì ci siamo spaventati: un attimo prima stavi bene e quello dopo…»

«Eri a terra come se un Bolide ti avesse colpito sulla nuca» completò Potter.

«Io ero ancora un po’ rintronato da quell’incantesimo che Malfoy o chi per lui mi aveva lanciato» proseguì Remus come se niente fosse, «perciò sono stati James e Sirius a portarti fino a qui. A Madama Challoner stava per venire un colpo quando ti ha visto così.»

«Ero così terrificante?» domandai sinceramente incuriosita.

«Be’, no, non credo sia terrificante la parola» rispose lui pensoso. «Più che altro sembravi addormentata, perché respiravi, però eri pallidissima…»

«E avevi il battito lento» specificò Potter.

«E la bocca un po’ aperta» aggiunse Black.

«E sembrava che ti avessero tagliato i fili, avevi le braccia che penzolavano come se avessero voluto staccarsi» precisò Potter col suo solito tatto.

«Ero svenuta» risposi ironica.

«Appunto» continuò Remus imperturbabile. «Madama Challoner ci ha fatto raccontare tutto ed ha detto che probabilmente era dovuto ad un qualche rigetto dell’incantesimo, o meglio del tuo fisico nei confronti dell’incantesimo.»

«Più o meno si era tenuto dentro troppa energia negativa che ha fatto uscire solo a fatti finiti» si premurò di spiegarmi Potter.

«Perciò si è limitata a metterti sul lettino e farti bere a forza una pozione per controllare altri possibili effetti, ha dato un calmante a me e James e si è occupata di Remus» concluse Black. «In realtà non ti sei persa niente. Non sappiamo nemmeno cosa faranno a Malfoy e compagnia bella!»

«Lo sapremo presto però» commentò Remus. «Non credo che ci lasceranno in pace per molto, vorranno la nostra versione dei fatti.»

«Quella ragazza di Tassorosso…?» cominciai a chiedere io.

«È già stata dimessa» rispose Remus. «Più che altro ha subito un grave shock psicologico, ma le hanno dato un filtro per calmarsi e Madama Challoner le ha messo a posto i denti in un attimo.»

«Perché le stavano facendo quello?» chiesi scontenta. «Cosa gli aveva fatto, si è saputo?»

Tutti e tre scossero la testa.

«Probabilmente volevano punirla per il sangue che le scorre nelle vene» disse Potter con disprezzo.

«Oppure era al posto sbagliato al momento sbagliato, anche se ne dubito» disse Black alzando le spalle.

«Ah, e Meadowes è venuta a vedere come stavamo circa un’ora fa, e ci ha chiesto di dirti che era incredibilmente orgogliosa di te» specificò puntigliosamente Remus.

Aggrottai le sopracciglia. «Ma non ho cacciato tutti in un pasticcio?»

«Si è complimentata con tutti e quattro, in realtà» raccontò Potter. «Dice che ci siamo comportati da veri Grifondoro e che dobbiamo essere fieri di noi perché abbiamo tenuto testa a quattro Serpeverde più grandi. E quando ha saputo dell’incantesimo di Scudo ha detto che… be’, Remus ti ha già detto cos’ha detto.»

«E ha aggiunto che deve restare fra noi» puntualizzò Black ridacchiando. «La McGranitt non sarebbe contenta di nessuno di noi se lo sapesse, perché in ogni caso fare magie nei corridoi è proibito» citò con una voce così simile a quella della nostra insegnante che fece ridere tutti e tre.

«In effetti siamo degli assoluti geni» disse compiaciuto Potter. «Insomma, siamo usciti vincitori da uno scontro con degli studenti più grandi praticamente incolumi…»

Io mi incupii di nuovo. «Non credo che la prossima volta sarà così» dissi pessimista. «Prima che arrivaste voi ci stavano prendendo in giro, non usavano incantesimi di grande potenza. In qualche modo, volevano farci fiaccare prima di darci il colpo finale, stavano giocando con noi come farebbe un gatto col topo. E dopo hanno avuto troppo poco tempo per farlo.»

«Per me siamo comunque dei geni» ribatté Potter. «E non fare l’uccello del malaugurio, Evans! Questa è l’influenza nefasta di Mocciosus…»

«Guarda che è grazie a Severus se ho imparato l’incantesimo di Scudo!» esclamai io. «Quindi dovresti essergli grato, visto che è servito a salvare tutti e quattro!»

«Io sono d’accordo con Lily» intervenne Remus. «Se avessero voluto sconfiggerci subito avrebbero potuto farlo. Hanno semplicemente commesso l’errore di usare una strategia di logoramento. Non credo lo faranno anche la prossima volta.»

Io annuii. «In effetti ci siamo salvati solo perché non pensavano che sarebbe arrivato qualcuno e che quindi avrebbero avuto tutto il tempo del mondo per coprire le loro tracce… Abbiamo nel complesso avuto una fortuna sfacciata.»

«Be’, anche quella serve in uno scontro» commentò placidamente Black accomodandosi meglio. «Una parte di abilità, una di imprudenza e due di fortuna, ecco il segreto per vincere.»

«Un’ottima ricetta, dottore» disse Potter. «La prego, mi consentirà di usarla?»

«Può darsi. Ma voglio i diritti d’autore, e non mi accontenterò di meno del dieci percento su qualunque profitto tu possa avere da tali regole.»

«Mostro! Già cinque sarebbe un furto…»

«Insomma, che sta succedendo qui?» Madama Challoner si avvicinava a grandi passi verso di noi accompagnata dalla professoressa McGranitt con stampata in viso l’espressione più severa del suo repertorio.

Noi ci sedemmo immediatamente più composti.

«Signorina Evans, lei dovrebbe essere a riposo, ora!» mi sgridò madama Challoner. «Il suo fisico ha subito uno sforzo tremendo e deve riprendersi.»

«Ma io sto benissimo!» protestai. «Non mi gira neanche la testa!»

Lei mi ignorò e mi prese il polso con la sinistra, mentre con la destra versava un liquido fumante dall’aspetto poco invitante in un calice.

«Beva» mi ordinò spiccia mettendomelo in mano.

Io lo guardai con palese disgusto. Non ho mai sopportato i medicinali, faranno anche bene ma secondo me questo non giustifica il loro sapore disgustoso.

«Beva in fretta, signorina Evans!»

Io mi morsi le labbra, poi avvicinai il calice alle labbra e bevvi tutto d’un fiato. Aveva un sapore nauseante come il suo aspetto, tanto che in un primo momento temetti di dover rimettere. Cosa diavolo c’era dentro quel beverone?

«Bene, per questa notte lei resterà qui in Infermeria, preferisco tenerla sotto controllo.»

«Ma…» cominciai a protestare io, ma stavolta a interrompermi fu la McGranitt, che era rimasta a parlare con Remus. «Evans, se la metà di quello che mi sta dicendo il signor Lupin è vero lei rimarrà tassativamente in Infermeria questa notte. E lo stesso vale anche per lei, signor Lupin, quindi non voglio sentir proteste.»

L’autorità nella sua voce era tanto esplicita che dovetti capitolare, anche se non mi andava per niente di restare in Infermeria tutta una notte come un’agonizzante quando invece stavo benissimo. Però non ero ancora abbastanza sicura di me da riuscire a sfidare apertamente la McGranitt, perciò mi riaccomodai sul lettino con un’espressione ribelle ed il forte desiderio che tutta la faccenda venisse messa a tacere.

Ovviamente non fu così. Anzi, nel breve arco di tempo che separava la nostra avventura dalla mattina dopo scoprii che aveva fatto il giro della scuola.

Io cercavo di schivare tutte le occhiate possibili che mi venivano rivolte, restando per conto mio, con Severus o Remus.

In realtà all’inizio fu difficile parlarne con Sev: gli raccontai la mia versione dei fatti, e lo vidi stringere le labbra e distogliere lo sguardo. Mi aspettavo almeno un minimo di partecipazione, un voltafaccia nei confronti di Malfoy, ma non quel silenzio.

Alla fine intervenni bruscamente: «Sev, dì qualcosa!»

Lui sobbalzò e mi guardò quasi spaventato, ma continuò a tacere.

Sospirai. «Debbie mi ha parlato un po’ di Malfoy… Sev, temo che tu ti stia mettendo nei guai: non è una brava persona, anzi, potrebbe spingerti ad andare contro le regole, o…»

«E allora?» mi interruppe lui senza guardarmi. «Tutti vanno contro le regole almeno un po’, non credo ci sia niente di male…»

Lo guardai incredula. «Sev, mi ha aggredito. Mi stava strozzando. Credi che non ci sia niente di male?»

Mi guardò implorante. «Forse non intendeva davvero fare una cosa del genere, magari era solo arrabbiato…»

«Tu quando sei arrabbiato cerchi di uccidere le persone?» ribattei io impietosa.

«Non ti avrebbe ucciso» disse lui debolmente. «Forse… forse voleva solo spaventarti…»

«E con che diritto?» chiesi io retorica. «Non ho fatto niente che potesse giustificare il suo attacco…»

Lui rimase in silenzio per un po’. «Lui… lui ti stava davvero strozzando?»

Io annuii bruscamente.

Si sedette al tavolo della Biblioteca, dove ci incontravamo da quando stava diventando troppo freddo per poterci vedere fuori, sotto l’albero, e si prese le tempie fra le mani.

Io mi sedetti accanto a lui. «Che cosa c’è, Sev?» domandai con una dolcezza perfettamente in contrasto con l’asprezza di poco prima.

Lui alzò la testa per guardarmi, fece per parlare e ricadde nuovamente in un silenzio scoraggiato.

«Sev, a me puoi dirlo, lo sai!» insistetti. Era da un po’ che avevo l’impressione che Severus avesse qualche problema che mi teneva nascosto, ed ero decisissima a sapere cosa, visto che sembrava causargli solo tristezza. «Magari posso aiutarti…»

«No» scattò lui guardando lo scaffale di fronte a sé. «No, Lily, no. Non è… tu non puoi capire» concluse scoraggiato.

Trassi un profondo sospiro. «Aiutami tu, allora» lo incoraggiai stringendogli una mano.

Stavolta mi guardò, ma probabilmente fu peggio ancora: odiavo quello sguardo che recentemente aveva negli occhi, lo sguardo di un animale in trappola senza via d’uscita. Ribollivo al pensiero che ero impotente di fronte a quella specie di intima disperazione.

Lui però scosse il capo e quando lo rialzò i suoi occhi erano nuovamente impenetrabili. «E Potter e Black, allora?» mi disse velenoso. «Loro vanno in giro sparando incantesimi che neppure conoscono contro le persone e nessuno gli dice niente. Com’è che invece Lucius è finito in punizione?»

Io mi irrigidii nuovamente. «Potter e Black sono solo dei bambini deficienti, ma quello che ha fatto Malfoy non aveva niente a che vedere con loro. Era Magia Oscura, ci scommetterei una mano! Sono d’accordo che anche Potter e Black sono insopportabili, ma non usano la Magia Oscura.»

«Solo perché non ne hanno le facoltà» ribatté lui con un sogghigno. «Non sarebbero capaci di usarla nemmeno…»

Lo guardai incredula. «Ma loro non vorrebbero usarla! Tutto quello che fanno è un mucchio di confusione e basta, Malfoy ha deliberatamente attaccato me, Remus e Annis McMillian!»

«Tu dici che è solo confusione, ma anche loro “attaccano deliberatamente” me e anche altri studenti, a quanto ho visto…»

«Ma non gli fanno del male» dissi io stancamente. «E comunque non stiamo parlando di quei due. Cosa cavolo c’entrano?»

«Niente» rispose lui scontroso tornando a fissare la libreria.

«Non fare così» gli dissi a metà fra l’imperioso ed il supplice. «Se ti chiudi non ti posso aiutare!»

Questo lo fece sorridere appena. «Tu mi aiuti sempre» disse a bassa voce. Tornò a guardarmi, stavolta senza astio. «Mi hai sempre aiutato, non sai neanche quanto…»

Rimasi nuovamente sorpresa, stavolta dalla nota carezzevole della sua voce. «Sono la tua migliore amica, Sev, cosa c’è di più naturale?»

«Niente. Giochiamo a scacchi» disse con perfetta incoerenza.

Aggrottai le sopracciglia. «E dove pensi di poter trovare una scacchiera?»

Lui sorrise, stavolta con malizia, e mi condusse in una grande stanza al quinto piano, a cui si accedeva dal grosso quadro di cinque maghi presi da una partita di scacchi, apparentemente poco usata, ma che ospitava diverse scacchiere di diverse dimensioni.

«Che posto è questo?»

Lui mi portò avanti ed accese un braciere in un angolo con un incantesimo. «Il vecchio circolo degli scacchi di Hogwarts» mi disse sedendosi ad una delle scacchiere più piccole. «È in disuso da anni, ma funziona ancora.»

«Come l’hai trovato?» gli chiesi sedendomi di fronte a lui.

Si strinse nelle spalle. «Mi è stato detto dai quadri» disse evasivo.

Poi mi mostrò la scacchiera: sapevo giocare a scacchi, i miei mi avevano insegnato, ma non ero mai stata una campionessa. E poi quegli scacchi mi confondevano. Tanto per cominciare, quando capii che avevano volontà e pensiero indipendente quasi mi presi un colpo; e poi continuavano a darmi consigli contraddittori che mi facevano solamente perdere la testa. Alla fine dovetti zittirli con un tonante e quasi isterico: «Silenzio!» per riuscire a riprendere una partita degna di questo nome.

L’unico danno era che cercare di battere Severus a scacchi era come cercare di sfondare il muro di Berlino a testate: semplicemente impossibile. C’erano delle cose in cui battere Severus era fuori discussione, e comprendevano la matematica, Difesa Contro le Arti Oscure e scacchi, per elencare le principali. A suo svantaggio potrei dire che non aveva molta fantasia, ma una logica schiacciante lo compensava ampiamente: mentre io mi inventavo le strategie più improbabili, lui seguiva un suo schema mentale che lo portava in poco tempo dove voleva arrivare, e cioè a farmi scacco. Non riuscivo neanche a restarci male, vista la spettacolarità di alcune sue mosse.

Presto fare una seduta di scacchi tutti i giorni subito dopo pranzo divenne quasi un rituale. Non sempre, mano a mano che diventavo più brava, finivamo le partite in quello spazio di tempo, ma in quel caso riprendevamo il giorno dopo, visto che sembrava fossimo gli unici a conoscere ed usare quella stanza. Era il nostro angolo privato, quello dove né Malfoy, né Potter, né Black, né Rowle né nessun altro studente poteva disturbarci.



ANGOLO AUTRICE


Sha…

Mi sci piasciono tanto gli scacchi… **

Ma questo non c’entra niente. *riprende il tono professionale*

Buonsalve (quanto adoro questo saluto) a tutti, voi sfaticati che non avete niente di meglio da fare in questo momento che leggere queste idiozie. Sì, io vi vedo! A distanza di diversi mesi, a essere onesti, ma vi vedo… e quindi vi stringo calorosamente la mano e vi dico «Anch’io, signori, anch’io…». Siamo colleghi nella sfaticaggine. Almeno parlando per il mio presente che è il vostro passato, ma non perdiamoci nei meandri della relatività del tempo o anche il povero Einstain viene a farmi causa, e non mi va.

Forse avrei fatto meglio a intitolarlo “Lily, lo scudo umano!”. Ma in fondo il primo motivo per cui Lily è stata introdotta dalla Row è che aveva fatto perfettamente da scudo al suo bambino, insomma la conosciamo in funzione della sua qualità di scudo, quindi scudi per sempre WW!

Ok, torno nel grigio mondo della realtà -.-

Anche qui, niente da annotare che mi vada di annotare, quindi vi lascio in pace dopo avervi porto i miei soliti saluti e ringraziamenti. A mia sorella la palla, allora!


ANGOLO PUBBLICANTE


Passi la palla alla sorelle che non è degna di pubblicare il capitolo... Scusate veramente per il ritardo, ma nel rientro dalle vacanze i professori si sono ricordati che il loro compito è fare lezione e non guardare il soffitto e quindi si sono messi a spiegare a tutto spiano.

Scusatemi ancora!

Allora, dato che voi mi avete certamente perdonata, passerò ai ringraziamenti.

Partiamo, e concludiamo, con le persone che hanno recensito il chap:

  • A mymmina: sono molto contenta che anche questo capitolo ti sia piaciuto e ringrazio anche per i complimenti! Spero che anche questo ti soddisfi! Alla prossima!

  • A 9Anny7: mica pensavi fosse tutta farina del suo sacco! Dopotutto, tale padre, tale figlio! Meno male che le descrizioni andavano bene, perché a quanto mi pare di aver capito sono sempre uno scoglio =D

  • A malandrina4ever: ti informo che domenica ho parlato con la SSP e mi ha detto che hai il suo permesso di invadere il mondo a patto che non diventi come Voldy e che ti ricordi di costruire un obelisco viola per ogni città conquistata u.u

    Santi siti dove c'è gente volenterosa che pubblica le versioni di latino *O* li LOVVO tantissimo! Anche se poi finisci col prendere 4 alle versioni -.- Ma io ho inventato un modo originale! Le copi solo una volta ogni 2 frasi! Così c'è del tuo, ti sei sforzata et voilà! =D

  • A ElleH: che bello, una nuova lettrice! Benvenuta! Sono contenta che tu sia uscita dalla tua pigrizia per scriverci quello che ne pensavi! E sopratutto perché sono complimenti XD Spero che questo chap non ti faccia tornare nel buio.

  • A S_marti_es: stai tranquilla che i JvsL arriveranno a breve! Anche più accentuati di quanto non siano qui! Mi fa piacere che lo scorso chap ti sia piaciuto e comprendo che tu abbia visto solo James e Lily, dopotutto sono i protagonisti! Tranquilla, come disse un vecchio saggio, è meglio vivere le illusioni!


Grazie a tutti e alla prossima!



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Capitolo 13
*** Capitolo 6 - Voli Mentali e Materiali ***


Prima parte: I anno

Capitolo 6 – Voli Mentali e Materiali


Pochi giorni dopo la nostra piccola avventura apparve un annuncio nella bacheca della Sala Comune che mandò in visibilio la maggior parte dei miei compagni: Mercoledì all’ultima ora si terrà la prima lezione di volo per gli studenti del primo anno.

Ad essere onesta, anche io ero eccitata: avevo sempre adorato l’idea di volare, quando ero piccola ero capace di stare ore ed ore a guardare stormi di uccelli per capire come facessero, per cercare di indovinare quel meraviglioso senso di libertà… Forse era per questo che a ginnastica artistica il mio strumento assolutamente preferito erano le parallele asimmetriche: avevo sempre l’impressione che il mio corpo non avesse peso, che potessi sollevarmi in aria da un momento all’altro per volare via. Fino ad allora le lezioni erano state rimandate per causa maltempo, ma finalmente era arrivato il momento.

E poi erano tenute in concomitanza con i Serpeverde, quindi avrei avuto anche un’altra occasione per stare con Severus!

Lui però non sembrava molto entusiasta. Ci volle del bello e del buono (e tre spettacolari scacchi matti a mie spese) per fargli dire quale fosse il problema.

Aveva appena ordinato ai suoi pezzi di tornare ai loro posti quando io affrontai la questione. Tutto ciò che fece, tuttavia, fu stringere le labbra in una linea sottilissima e distogliere lo sguardo. A quel punto scattai. «Insomma, Sev, cosa c’è di così grave nel volo? Dev’essere una cosa meravigliosa, invece! Pensa a quando si è in aria, liberi da qualunque cosa! Senza nessun legame, senza niente di niente che ti leghi a…»

«Non voglio volare» brontolò lui a bassa voce.

Lo guardai cercando di capire. «Vuoi dirmi perché?» domandai con garbo estremo.

Lui prese la sua regina e cominciò a giocherellarci. Io non gli misi fretta, conoscendolo come lo conoscevo sapevo che insistere era praticamente inutile. Perciò aspettai con tutta la tranquillità di cui ero capace che parlasse.

«Io non so volare» buttò lì alla fine.

Quasi risi per il sollievo. «Tutto qui? Neanch’io so volare, se è per questo…»

«Tu non capisci!» L’urlo mi fece quasi sobbalzare: Severus si era alzato in piedi così di scatto che sia la sedia che la scacchiera si erano rovesciate. «Tu sarai brava, hai una grazia innata, sai atterrare, sai già volare, io ti ho visto! Io invece sarò praticamente l’unico a non aver mai preso una scopa in mano, se non per spazzare!»

«Sev» cominciai, «ci sono dozzine di figli di Babb…»

«Sì, ma io non sono fra loro!» sputò lui muovendosi rabbiosamente su e giù per l’aula. Poi si calmò tutt’a un tratto e si prese la testa fra le mani. «Non capisci, Lily…» disse con voce sepolcrale. «Io sono a Serpeverde, è scontato che debba già conoscere queste cose. So fare di tutto, finché riguarda la mente… ma volare… non ho mai provato in vita mia…» Tacque un attimo e riprese il suo andirivieni. «Devi capire che potrei distruggere tutto» proseguì concitato stropicciandosi le mani. «Io non posso non essere già capace di fare qualunque cosa!»

Mi alzai anch’io e lo presi per le spalle. «Sev, è normale non essere capaci di fare tutto a questa vita» gli dissi con voce rassicurante. «Guarda me: sono… abbastanza brava a pozioni e poi non mi ricordo il nome scientifico dell’aconito! Tu dici che sarò capace, ma non è assolutamente detto! Magari cadrò a metà strada e mi rovescerò…»

«Per te sarebbe normale» ribatté lui pallido. «Nessuno si aspetterebbe che tu fossi capace, ma io…»

«Sev, io e te abbiamo avuto gli stessi inizi!»

«Ma non le stesse radici!» Ora stava di nuovo urlando. «Mia madre era una strega, Lily, e anche se mio padre è solo uno schifoso Babbano ubriacone, mia madre resta l’ultima discendente di una famiglia Purosangue antica di generazioni! Non è nemmeno pensabile che io non sia capace di fare qualcosa che riguardi la magia!»

«Sev, ma guarda i miei compagni!» esclamai impaziente. «Credi che persone come Paciock, o Alice MacDougal, quanto a questo, riuscirebbero a restare su una scopa per più di cinque secondi? E loro sono Purosangue puri quanto i Malfoy!»

«Loro sono a Grifondoro» soffiò lui sedendosi sul davanzale di una delle finestre.

Mi sedetti accanto a lui. «E tu sei Serpeverde» ribattei tranquillamente. «Questo ti crea dei problemi?»

«Tu non capisci» ripeté per l’ennesima volta. «Per restare a galla, devo saperlo fare. Punto, non ci sono storie.»

«Senti, non è ancora detto che tu non sia capace» obbiettai con molto buonsenso. «E poi i principiante sono tutti uguali. Ho sentito Avery vantarsi di quanto è bravo su una scopa, ma dieci a uno sono tutte balle. E dovresti sentire Potter poi! Da far venire il voltastomaco. Insomma, se sono queste le persone brave a volare, allora preferisco non esserlo!» esclamai con decisione.

Lui mi rivolse un mesto sorriso, ma durò solo un secondo. «E se faccio la figura dell’idiota?»

«Tu non puoi fare la figura dell’idiota» ribattei io immediatamente. «Non con Peter Minus, Frank Paciock e Jane Vane nella stessa classe!»

Vane era una mia compagna di classe, la persona più sciocca che avessi mai conosciuto (e ne avevo conosciute parecchie). Una definizione azzeccata? “Oca Giuliva” sarebbe andata a pennello…

Comunque funzionò abbastanza da farlo smettere di tremare e fargli nascere un piccolo, riluttante sorriso. Incoraggiata, proseguii su quella strada. «E poi magari scopriamo che invece sei un campione e che volare è tutta la tua vita» proseguii di buon umore. «Come è successo a me con la ginnastica artistica.»

«Mi sarebbe piaciuto vederti» commentò lui abbracciandosi le ginocchia.

Io lasciai penzolare una gamba giù dal davanzale. «A me piacerebbe continuare» annuii. «Non so che darei per avere una palestra qui… credo che non avrei più niente da desiderare.»

Lui rimase in silenzio.

Ne parlai anche con Remus e, come al solito, lui non sembrò né entusiasta né terrorizzato. Guardava alla cosa con moderato piacere, ma non stava né martoriando le orecchie di tutta la sala come Potter né cadendo vittima di crisi isteriche come Severus. Probabilmente era per quello che mi piaceva.

Remus era diverso.

Ci avevo messo un po’ a capirlo, ma avevo scoperto che ero tremendamente innamorata di lui, convintissima che fosse l’amore della mia vita e che non avrei mai potuto amare altri che lui, con tutta la determinazione dei miei undici anni e della prima volta. Cercavo di trattarlo da amica, perché in ogni caso preferivo essere amica che “fidanzata” dei ragazzi, ma non potevo fare a meno di godere di quella piacevolissima sensazione che mi ostinavo a chiamare amore. Dal mio punto di vista, Remus aveva tutto ciò che avrei potuto chiedergli: era molto carino, con quei capelli biondo cenere e gli occhi scuri, sognanti, intelligente, simpatico, tranquillo e capace di mettermi a mio agio. Insomma, era perfetto. O almeno lo era nella mia mente.

E in qualche modo quel sentimento mi divertiva perché mi piaceva analizzarlo: lo comparavo più o meno inconsciamente con le descrizioni che avevo letto nelle tonnellate di libri della biblioteca dei miei genitori, cercavo punti d’accordo con i grandi amori della storia o della letteratura. A volte ero convinta che fosse “più che amicizia, ma meno che amore; si poteva definire affetto” e l’attimo dopo mi beavo nella sensazione di provare un amore non corrisposto e senza speranza. Insomma, mi crogiolavo in quella nuova sensazione che fino ad allora avevo conosciuto solo nei libri.

Mi convinsi che mi bastava vederlo per essere felice ed abbellii la mia cotta infantile di tanti dettagli che a volte mi veniva voglia di buttarla giù come racconto, anche se poi non lo feci mai. Non vedevo l’ora che arrivassero le vacanze di Natale per poterne parlare con i miei genitori.


La lezione di volo arrivò troppo lentamente secondi i miei gusti e troppo velocemente secondo quelli di Severus.

La professoressa Powell era una donna alta e secca, simile, effettivamente, ad un manico di scopa, con un naso a punta modello lapis e vestita completamente di color senape. Aveva una voce spiccia e nasale, i suoi movimenti erano scatti e ci accolse senza neanche presentarsi.

Il gruppo di noi Grifondoro arrivò tutto insieme, i Serpeverde erano già lì ad aspettarci. C’erano due file di manici di scopa ordinatamente allineate l’una di fronte all’altra, e tutti i Serpeverde erano già accanto ad una. Io mi misi fra Remus e Alice MacDougal, di fronte a Severus, a cui rivolsi un sorriso d’incoraggiamento che lui non ricambiò. Era un po’ verdastro.

«A sinistra del vostro manico di scopa, su!» sbraitò l’insegnante non appena arrivammo. «Be’, cosa state lì a gingillarvi? Per contare quante lentiggini avete, avete sbagliato corso, e ora a sinistra della scopa!»

I pochi ragazzi che erano rimasti indietro di affrettarono ad obbedire.

«Bene, ora voglio che stendiate la mano destra sulla vostra scopa e diciate ‘su’ con tutta la decisione di cui siete capaci. State ordinando alla scopa di salire! Ora, avanti!»

Io la guardai un secondo: sembrava perfettamente inanimata. Mi ricredetti quando accanto a me Remus urlò: «Su!» e quella si alzò di un paio di centimetri, prima di ricadere.

Potter, a sinistra di Remus, aveva già la scopa in mano e l’espressione molto soddisfatta.

Tornai a guardare la mia scopa. Aveva detto tono imperioso, giusto?

«Su!» ordinai seccamente, e con mio grande stupore quella filò su a tutta birra urtandomi dolorosamente il palmo aperto. La afferrai, ma ebbi l’impressione di essermi rotta alcune falangi. Probabilmente ero stata troppo imperiosa. «Ahi!» sussurrai prima di mordermi le labbra, mentre mi salivano le lacrime agli occhi.

Di fronte a me, Severus stava ancora combattendo con la sua scopa, che sembrava divertirsi a rotolare per terra. Alla fine, esasperato, urlò: «Su!» e quella salì, un po’ debolmente, fino alla sua mano.

Poco distante, due ragazzi di Serpeverde erano riusciti a prenderla ma una ragazza gridò: «SU!» con troppa veemenza e si vide arrivare la scopa sul naso.

Nascosi un sorriso nella mano e mi guardai attorno. Alice MacDougal aveva ancora la scopa saldamente piantata a terra e la stava supplicando.

«Prova… prova ad usare un tono più deciso, fagli vedere chi comanda» le suggerii un po’ impacciata.

Lei mi guardò con gratitudine e riprovò, riuscendo ad afferrarla con la punta delle dita. Ci scambiammo un sorriso.

«Bene, ora che avete afferrato la scopa dovete imparare a tenerla. Non vogliamo incidenti qui» sbraitò l’insegnante passando in rassegna tutta la scolaresca e correggendo le prese. La mia era abbastanza corretta e non suscitò particolari commenti, e quella di Sev anche.

«Ora che avete imparato la presa giusta per la scopa, voglio che la montiate. Non sedetevi troppo in fondo. Non vorrete scivolare a terra!» Ci seguì attentamente mentre ci posizionavamo e nuovamente venne a correggerci. «Ora ricordate che per quanto la scopa sia un oggetto magico animato siete voi e nessun altro che comanda. Una scopa riesce a capire quando siete indecisi o preoccupati e potrebbe prendervi la mano. Perciò, state attenti e soprattutto siate sicuri di voi. Non correte alcun rischio.»

Ci guardò tutti con occhi truce. Non so cos’avrei dato per vederle battere le palpebre.

«Bene. Quando suonerò il fischietto, vi darete una spinta, forte, per far sollevare la scopa. Salite fino a circa un metro di altezza, le mani ben salde sulla scopa, poi inclinatela in avanti e ritoccate terra. Pronti? Al mio fischio, tre, due…» Soffiò nel fischietto d’argento che aveva legato al collo e tutti ci demmo una spinta. La mia fu un po’ troppo forte e mi innalzò sopra un metro, ma bastò inclinare appena la scopa per tornare giù.

Mi sentivo estremamente frustrata: stavo per volare e non potevo fare altro che stare ad un metro di altezza! Fosse dipeso da me sarei già partita per le nuvole…

Una persona che sembrava avere la mia stessa idea era Potter, che fregandosene dell’avvertimento era salito sopra di noi e stava svolazzando tranquillamente a cerchi concentrici sopra tutti noi.

Un fischio della professoressa ci segnalò di scendere, e io ritoccai terra con profondo sconforto.

Accanto a me, Alice MacDougal sembrava invece estremamente sollevata di avere i piedi di nuovo saldamente a terra.

«Bene. Questo è il primo esperimento per farvi capire cosa si prova. Ora potete sollevarvi a massimo due metri e coloro che se la sentono possono muoversi un po’ intorno al giardino, restando comunque a portata di vista, di udito e di voce, chiaro? Al mio fischio, tre, due…» Fischiò nuovamente.

Stavolta mi detti una spinta più calibrata e raggiunsi velocemente i due metri. Potter era alla mia stessa altezza ed aveva già virato, altri due Serpeverde stavano per fare altrettanto ed il resto della classe ci stava raggiungendo.

Un venticello fresco mi scompigliava i capelli parlandomi di libertà, di velocità… come resistere a quel richiamo? E poi aveva detto che potevamo muoverci, se anche salivamo un po’ più su di due metri non moriva nessuno…

Inclinai appena la scopa in su e quella immediatamente salì, come se glielo avessi ordinato. Trattenni un urlo di sorpresa e rafforzai la presa, tenendomi in equilibrio. Dopo i primi secondi mi rilassai nuovamente e sentii il mio cuore rallentare. Poi puntai dritta verso un angolo del parco e la sentii accelerare. Sentivo i miei capelli muoversi dietro di me e mi venne spontaneo sorridere. Come avevo fatto fino ad allora senza quella inebriante sensazione di libertà?

Frenai – non seppi neanche come avevo fatto – e mi guardai indietro. Severus non era imbranato come temeva, solo un po’ rigido. Senz’altro era dovuto al fatto che era la prima volta. In fondo anche io avevo le dita talmente contratte che mi stavano cominciando a fare male.

Remus si stava sollevando con precauzione, allontanandosi dal mucchio per aver maggiore libertà di movimento, ma sembrava stesse più o meno bene.

Frank Paciock non era impacciato come sembrava di solito, però teneva entrambe le mani saldamente incollate alla scopa e sembrava rifiutarsi di muoversi. Sotto di lui c’era Alice MacDougal, pallida come un lenzuolo.

Peter Minus stava già ritornando a terra.

Controllai di essere ancora saldamente a cavalcioni del manico e mi chinai leggermente davanti per raggiungerlo. Dopotutto prima aveva funzionato… funzionò: mi diressi con un sorriso verso Severus. «È meraviglioso, vero?» chiesi felice.

Lui annuì, concentratissimo sul tenere la scopa in rotta.

«Allontaniamoci da qui, c’è troppa gente, rischieremo di urtare qualcuno» proposi, e diressi la mia scopa verso il castello facendola accelerare. C’era voluto poco a capire il meccanismo, non era così difficile, e poi … Dio, quanto amavo quella straordinaria velocità. Mi fermai a metà strada e mi volsi verso Severus, che mi stava raggiungendo un po’ più lentamente.

«È diecimila volte meglio della bicicletta» gli dissi quando mi raggiunse. «Verrebbe quasi voglia di non scendere più…»

Un brusco sobbalzo della scopa mi fece ingoiare le parole. Strinsi le mani più forte sul manico, stupita. Ero perfettamente immobile, perché aveva scartato?

Anche Severus aggrottò le sopracciglia. «Tutto a posto?» chiese.

Io annuii e stavo per rispondere quando lo fece di nuovo, solo che più violentemente. Era come se stesse cercando di disarcionarmi. Cominciò a sobbalzare con più frequenza, e io la guardai un po’ stupita ed un po’ spaventata: com’era che quella normalissima scopa voleva buttarmi giù?

«Devo scendere» mormorai cercando di inclinare la scopa in avanti: invano. Non riuscivo più a sterzare. Mi dette un altro strattone e cominciò a salire. «Sev!» gridai mentre mi portava ancora più su, dieci metri, quindici metri…

Ero terrorizzata, ma ancora lucida. La mia scopa stava cercando di buttarmi giù. Quali potevano essere i lati positivi? Mi spremetti le meningi, ma non ne trovai neanche uno.

E intanto la mia scopa mi aveva portato lontano dalla lezione, lontano dai miei compagni, ora solo puntini neri su sfondo verde, e continuava a darmi violenti scossoni, tanto che dovevo aggrapparmi con tutte e due le mani per reggermi.

«Sev!» urlai di nuovo, e in quel momento la mia scopa fece una capriola, ribaltandomi e facendomi restare attaccata solo per una mano.

Concentrati, mi dissi mentre il panico mi invadeva lo stomaco. Attacca l’altra mano!

Fortuna che avevo una presa salda… per l’ennesima volta mi trovai a ringraziare gli anni che avevo passato appesa alle parallele.

Afferrai la scopa anche con l’altra mano, anche se quella per poco non mi sfuggì ricominciando ad agitarsi. Cosa diavolo stava succedendo?

Sotto di me si stavano radunando alcuni studenti. Forse si erano finalmente accorti che avevo la scopa fuori controllo? Ma dov’era la professoressa? Stavo per cadere, non volevo cadere, ero troppo in alto, non sarei riuscita a tenermi ancora a lungo…

La scopa mi dette un altro strattone e io mi ritrovai a fissare la finestra del castello di fronte alla quale mi trovavo. Affacciato da dietro, con gli occhi fissi su di me, c’era un’inconfondibile testa platinata completa di ghigno, nonostante continuasse a muovere silenziosamente le labbra.

«Tu…» sibilai mentre un nuovo scossone minacciava di buttarmi giù.

Bene, dissi al ragazzo che mi stava fissando, è la guerra che vuoi, giusto?

Cominciai a dondolarmi con le mani appese alla scopa per provare a tornare su. Un esercizio elementare, provai a ripetermi, l’avevo fatto centinaia di volte. No, non importava il fatto che fossi a quindici metri d’altezza. No, non avrei lasciato la presa.

Stavo per tornare nuovamente in sella quando la scopa fece una nuova capriola, lasciandomi nuovamente appesa per un solo braccio e facendomi urlare.

«Evans!» gridò una voce sotto di me.

Coordinato ai movimenti pazzi della mia scopa, sincronizzato come se stesse eseguendo un balletto, c’era Potter, stavolta senz’ombra di spavalderia nel viso concentrato.

«Dammi la mano!» mi incitò portandosi alla mia altezza.

Io provai, ma la scopa dette un altro strattone che per poco non mi fece cadere.

«Non ce la faccio!» dissi portando nuovamente la mano al manico.

«Sì che ce la fai, invece! Devi darmi la mano, subito!»

Io provai di nuovo, ma non ce la facevo a lasciare andare. Non riuscivo a fidarmi.

«Evans, lasciati andare! Ti prometto che ti prendo!» mi disse, sempre sincronizzato ai miei movimenti.

Io mi morsi le labbra, ma un nuovo strattone mi fece alzare di diversi metri. «Non posso!»

«Evans, guardami!»

Mi voltai verso di lui. I suoi occhi nocciola erano determinati, sembravano bruciare.

«Lasciati andare!»

Annuii e mi dondolai, cercando di portarmi verso di lui.

«Perfetto! Al momento in cui sei più vicina a me, lascia!»

Annuii nuovamente ed eseguii chiudendo gli occhi per un secondo. Non so neanche come, ma quando li riaprii ero sulla sua scopa, miracolosamente sotto controllo.

Lo strinsi in vita e ci mancò poco che cominciassi a piangere sulla sua spalla.

«Tranquilla» mi disse lui mentre ricominciavamo a scendere. «É tutto finito, sei al sicuro.»

Mossi la testa per segnalare che avevo capito. «Portami giù, ti prego…»

La professoressa stava arrivando in quel momento. «Cos’è successo?» sbraitò seguendoci nella discesa.

«La mia scopa…» dissi io ancora ansimante. «Ha cominciato a sbandare, a salire… sembrava impazzita…»

«Da quanto ne so io sembrava sotto malocchio» commentò Potter portandomi a terra con stile impeccabile ed aiutandomi a scendere.

Io rimisi piede per terra e per poco non barcollai. Gli altri studenti si stavano riunendo intorno a noi, i Grifondoro e Severus preoccupatissimi, i Serpeverde leggermente annoiati. O divertiti, a seconda dei casi. Serrai la mascella.

«Stai bene, Lily?» mi chiese Severus prendendomi per le spalle e scuotendomi.

«Lily, tutto a posto?» La voce di Remus era insolitamente ansiosa.

Tutto attorno a noi cresceva un mormorio discontinuo mentre si avvicinavano sempre di più.

«Sto bene…» risposi io incerta, cercando Potter con gli occhi. «Non è successo niente…» Incrociai alla fine il suo sguardo. Era fuori dal cerchio, con la professoressa, ma mi stava guardando ancora leggermente ansioso. «Grazie» gli dissi a fior di labbra, e lui riprese a sorridere, spaccone.

La professoressa annuì bruscamente e strepitò: «Potter! Evans! Con me, ora. Tutti gli altri devono tenere i piedi saldamente a terra. Anzi, parlino col custode per le scope e vedano di tornare in fretta nelle Sale Comuni. Subito, avanti!»

Io mi mossi attraverso la massa, che si aprì in due ali per farmi spazio, e seguii la professoressa insieme a Potter, ancora chiedendomi cosa altro avrei dovuto sopportare in quei primi mesi di permanenza ad Hogwarts.

Lui sembrava assolutamente tranquillo, sorrideva addirittura, ma sebbene fosse un po’ irritante come atteggiamento non potevo sottovalutare che mi avesse appena salvato la vita.



ANGOLO AUTRICE

Questa povera ragazza avrà anche il cu… ehm, la fortuna di suo figlio ma c’ha pure la sua sfiga -.-

Tutte a lei capitano…

Fortuna che ci sta in giro qualcuno a soccorrerla, immagino…

Però dopotutto è poco probabile che la lasciassero in pace dopo “quello che aveva fatto”, e se lei era tanto stupida da andare lontano dagli altri cacchi suoi u.u

Forse dovrei ricordarmi che l’ho scritto io questo capitolo. Sì, giusto.

Dunque, la vicenda ovviamente continuerà nel prossimo capitolo, anche questi due erano legati, inizialmente, quindi lo stacco brusco continuerà in una ripresa altrettanto brusca.

Non me ne vogliano le fan delle Lily/James, di cui io sono parte, ma nella vita si amano più persone e pensare che avesse il suo primo amore a diciassette anni è un po’ utopico, quindi per ora andiamo nel platonico e sul sicuro col nostro lupacchiotto preferito. In più, quei due insieme come prima cotta mi ispirano. Non linciatemi!

E rileggendo quello che ho appena scritto mi rendo conto che come al solito non ho detto niente che non potesse venir omesso con la solita, patetica scusa di voler partecipare un po’ a tutto anche come persona, oltre che come astratta autrice… ma vabbè, immagino di non poterci fare niente -.-


Tutto quello che posso fare da qui dove sono ora quindi è salutarvi, mandarvi tanti baci e ringraziarvi personalmente (anche se non cito i nick per non infrangere i diritti d’autore e lascio questa sfida a mia sorella u.u). Sì, ho capito, lascio spazio alle Cose Davvero Importanti, ossia gli autentici e personalissimi ringraziamenti. Fuoco alle polveri, Mary…


ANGOLO PUBBLICANTE


Buon San Valentino a tutti! Auguri a tutte le Valentine presenti!

Scusate per il mancato postamento di ieri, ma data la totale assenza di compiti per oggi, ieri mi sono data alla pazza gioia :D Ma dato che oggi è stata una giornata stupenda, non mi scalfirete con la vostra indignazione!

Spero che voi stiate tutti bene!

Passiamo ai ringraziamenti, l'unica cosa importante qui sotto:

  • A googletta: come odio le visite mediche -.- Anzi, diciamo che odio i dottori in generale! Grazie mille per l'immagine e buon per te sulla scuola -.-x2. Spero che anche questo capitolo ti piaccia!

  • A malandrina4ever: … mi piacerebbe rispondere alla tua recensione, ma ho un piccolo problema: a) mi sto rotolando dalle risate sulla tastiera e quindi non posso scrivere aesrahglkjshgapnut'ebvypawoiyvbiuyrbvicugyhvbaoiutyhoeiutvybseoitvy; b) devo ancora capire alcuni passaggi O.o Sono comunque felice che il chap ti sia piaciuto e che tu non voglia perdere il tuo naso u.u Pensa che vita triste senza! Riguardo a James, diciamo che d'ora in poi ci sarà quasi sempre ;-)

  • A ElleH: ringrazio anche te per l'immagine ^^ mi fa sentire taaanto fiera di me stessa sapere che le mie immagini sono apprezzate! Il fatto che ti sia piaciuto anche il chap... è la ciliegina sulla torta! Spero che anche questo ti piaccia!

  • A mimmyna: dopotutto Lily è nata per essere uno scudo! Per affinare la sua capacità ci deve pur aver messo un po' di tempo, no? James e Sirius non si smentiscono mai :D

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Capitolo 14
*** Capitolo 7 - Di Delusioni e Patti Mancati ***


Prima parte: I anno

Capitolo 7 – Di Delusioni e Patti Mancati

 

«Grazie» ripetei mentre la professoressa ci conduceva attraverso vari corridoi e diverse scalinate.

Lui sorrise. «Figurati. Ero ancora in debito di uno, ora siamo pari…»

Aggrottai appena la fronte. «Pensavo che con la storia di Malfoy fossimo pari…»

Lui si strinse nelle spalle. «Tecnicamente tu dopo ci hai salvato di nuovo, piazzando quello scudo in mezzo e mettendoci nell’imbarazzante posizione di essere di nuovo in debito con te.»

Sorrisi appena anch’io. «Comunque grazie» dissi sincera. «Ho… davvero avuto paura, prima.»

Lui mi tirò un amichevole pugno sul braccio. «Be’, è normale. Era la prima volta, immagino, vero?»

Annuii.

«E allora sei stata fin troppo brava. Un ragazzo che conosco si è schiantato a neppure due metri di altezza, e ci andava già da un po’. E la sua scopa non era neanche impazzita! Come hai fatto a reggerti?»

Io arrossii appena. «Ho… vedi, esiste uno sport babbano che io facevo che mi ha… dato una presa più forte. Quindi… riuscivo a restare aggrappata.»

«Sei stata molto brava» commentò lui. «Ti stavo osservando, ti muovi bene lassù. Come si chiama questo sport che dici?»

«Ginnastica artistica» risposi io. Wow, era la prima conversazione civile che riuscivamo a tenere! «È meraviglioso, è uno sport sia per maschi che per femmine che utilizza diversi tipi di attrezzi per montarci sopra delle coreografie… oh, dovresti vederle per capire, alcune sono spettacolari, sembra che gli atleti volino! Per esempio, i miei attrezzi preferiti sono le parallele asimmetriche, sono due… due specie di aste messe ad altezze diverse per orizzontale, alle quali si attaccano le atlete e… e si muovono. Non so come descriverlo, esistono tanti tipi di movimenti diversi, alcune sono giravolte, altre salti mortali… dipende dal livello. Mi piacerebbe farti vedere alcune coreografie delle Olimpiadi… dei campionati del mondo» aggiunsi a mo’ di spiegazione di fronte al suo sguardo confuso. «Alcune sono… sono incredibili. Gli atleti non sembrano nemmeno umani.» Mi accorsi che avevo parlato a ruota libera ed arrossii, cercando di ricompormi. «E comunque ho visto che anche tu sei bravo! Come hai fatto ad accostare la mia scopa?»

Il suo sorriso riacquistò l’aria spavalda. «Be’, con modestia parlando, credo che il Quidditch sia una delle cose che mi vengono meglio al mondo.»

«Quidditch?» ripetei io stupita.

«Godric, Evans, dimenticavo che tu vieni dai Babbani! Certo però… non conoscere il Quidditch…»

«Cos’è?» domandai interessata.

«Uno sport… lo sport più meraviglioso del mondo, il primo sport in assoluto!» Gli brillavano gli occhi mentre cominciava a spiegarmi: «Ci sono due squadre di sette giocatori che si sfidano, ogni squadra ha tre Cacciatori, che si passano una palla grande rossa chiamata “Pluffa”, due Battitori, che tengono lontani dagli altri giocatori due palle incaricate di buttarne giù più possibile, i Bolidi, un Portiere, che difende gli anelli in cui i Cacciatori devono infilare la Pluffa, e un Cercatore, che è il ruolo più importante di tutti e uno dei più difficili. Il Cercatore deve trovare e acchiappare una pallina d’oro grande come una noce chiamata…»

«Dentro, ora!» lo interruppe la professoressa facendoci entrare in una stanza che non conoscevo, con diversi tavoli dentro e un armadio a muro di lato. La vista della professoressa McGranitt seduta ad uno dei tavoli con una penna in mano mi fece comprendere di trovarmi in Sala Professori.

«Agatha! Cos’è successo?» Guardò verso di noi. «Evans? Potter?»

«Buongiorno, professoressa» rispose Potter tranquillissimo sedendosi su uno dei tavoli e ricevendo due occhiate fulminanti.

«Scendi subito da lì, Potter!» gli intimò la McGranitt, e lui alzò le mani in segno di resa tornando in piedi. Lei gli rivolse un’ultima occhiataccia prima di tornare a rivolgersi alla professoressa Powell. «Cos’è successo? Cos’hanno combinato?»

«La scopa di Evans ha perso il controllo» rispose lei spiccia. «Se non fosse stato per Potter sarebbe caduta da circa quindici metri.»

La McGranitt sbiancò. In effetti, raccontato così faceva impressione. «C-cosa?» chiese, quasi certa di aver capito male.

«La scopa di Evans è andata fuori controllo» ripeté l’altra. «Sbandava, si scuoteva e ad un certo punto ha persino fatto una capriola.» Fece una pausa e guardò eloquentemente la professoressa negli occhi. «E solo… un certo tipo di incantesimi può far sbandare una scopa.»

«Conosco quel tipo di incantesimi, professoressa» dissi stancamente. In effetti, li avevo trovati in un interessante tomo chiamato Libro Standard degli Incantesimi, ed avevo approfondito. «Può chiamarla tranquillamente “magia oscura” o “malocchio” senza mandarmi nel panico.»

Lei mi guardò storto. «Benissimo» disse acida. «La scopa è stata chiaramente manomessa. Un malocchio di potenza considerevole, considerato che le scope della scuola sono stregate apposta per evitare questa eventualità. Dubito che uno studente…»

«Forse uno degli ultimi anni» buttò lì Potter come per caso.

Gli occhi di tutti si calamitarono su di lui. «Prego?» chiese altera la professoressa McGranitt.

Lui si appoggiò a un banco e la guardò con aria serafica. «Se non sbaglio gli studenti degli ultimi anni possono diventare in grado di compiere tali incantesimi» spiegò calmo.

«Dove vorresti andare a parare, Potter?» domandò, ora più attenta, la professoressa McGranitt.

Lui incrociò le braccia. Possibile che si fosse accorto di ciò che io avevo notato per caso? «Evans non è molto in buoni rapporti con alcuni studenti degli ultimi anni…» spiegò vago.

Ma non avrebbe potuto essere più esplicito. Era verità nota ed universalmente riconosciuta che la maggior parte dei Serpeverde avesse giurato vendetta contro la sottoscritta, Remus, Potter e Black per aver fatto mettere in punizione il loro capo.

La McGranitt strinse le labbra ma non disse niente.

A parlare fu la professoressa Powell. «Potter…» Per la prima volta la sua voce era incerta. Poi si voltò di scatto verso di me. «Signorina Evans, lei ha visto niente?»

Perfetto, e cosa le avrei dovuto dire, di grazia? Che avevo visto Malfoy guardarmi maligno senza sbattere le palpebre e mormorando a bassa voce qualcosa che certamente non era un augurio di tanta felicità e figli maschi?

A giudicare dalla faccia di Potter avrei dovuto fare proprio così. «Io…» cominciai esitante. Sentirsi tre paia d’occhi puntate su di me non contribuì. Nessuno si era accorto che non ero esattamente tranquilla? Diamine, avevo appena rischiato di morire sfracellata! Il mio errore fu incrociare lo sguardo di Potter. Era talmente persuasivo che prima di essermene resa conto risposi: «Sì. Ho visto uno… studente… dietro la finestra del… credo che fosse il terzo o il quarto piano. Mi fissava e stava mormorando qualcosa.» Alzai la testa. «Non credo fosse un augurio di buon Halloween.»

«Evans…» La professoressa McGranitt sembrava stupefatta. «Se questo è vero… sarebbe un fatto molto grave! Sei riuscita a vedere chi fosse?»

Ci fu un altro attimo di esitazione. Alla fine optai per la verità. «Lucius Malfoy» risposi con un sospiro. «Ma sono più che sicura che smentirebbe e comincerebbe a dire che si trovava altrove.»

«Questo è poco ma sicuro» rispose la McGranitt alzandosi e cominciando a muoversi su e giù per l’aula. «Ne sei sicura, assolutamente sicura?»

Sorrisi appena. «Non è una persona che si confonda con tanta facilità» dissi soltanto.

«Potter?» chiese la McGranitt voltandosi verso di lui.

Lo guardai anch’io: aveva uno strano sorrisetto stampato in viso e si era nuovamente seduto sul banco. «Confermo, professoressa» annuì. «Fortunatamente la finestra non era a vetrata, ci si vedeva attraverso benissimo, e quando sono arrivato Evans era esattamente alla sua altezza. Lei conosce l’incantesimo, immagino: doveva mantenere il contatto visivo, e lui non sbatteva neanche le palpebre.»

Io annuii per confermare.

La professoressa riprese a camminare su e giù con più veemenza di prima. Alla fine, con un gesto brusco, si voltò verso il caminetto e buttò un po’ di polvere nel caminetto, facendovi balenare delle fiamme verdi. «Horace!» abbaiò facendomi sobbalzare. «Vieni subito, devo parlarti!»

E con mio sommo stupore, dalle fiamme emerse la figura ben pasciuta del professor Lumacorno, che dopo essersi scrollato la fuliggine di dosso si guardò attorno e sorrise non appena mi vide. «Lily! Che bellissima sorpre…»

«La scopa che la signorina Evans stava cavalcando è impazzita, Horace» gli comunicò freddamente la professoressa.

Lui mi guardò inorridito. «Lily! Non ti sei fatta niente, vero?»

«No, professore, sto bene» risposi un po’ impacciata. Dietro di me, Potter sghignazzava alla grande.

«Abbiamo motivo di pensare, Horace» disse la professoressa Powell, «che c’entri un tuo studente.»

Lui le guardò sorpreso, non capendo – o fingendo di non capire. «Un mio… studente?» ripeté. «Come può un mio studente…?»

«Nessuna scopa impazzisce perché ne ha voglia, Horace!» disse impaziente l’insegnante di volo. «Serve una vasta conoscenza della magia per pronunciare un malocchio del genere!»

«Lo so» ribatté lui. «Appunto!»

«Saprai anche, immagino» intervenne la McGranitt, «che la signorina Evans non è… nelle grazie di alcuni tuoi studenti, ultimamente.»

Lui mi guardò e io abbassai lo sguardo, arrossendo. Perché diavolo mi sentivo colpevole anche quando non avevo fatto assolutamente niente?

La discussione si protrasse per più tempo di quanto avessi potuto supporre: infatti, sebbene il professor Lumacorno fosse costernato dalla notizia del mio quasi-incidente ed invocasse immediate punizioni per il colpevole, stentava a credere che il suddetto potesse essere Lucius Malfoy, con il quale aveva parlato personalmente dopo il primo incidente e che, ne era sicuro, non si sarebbe comportato più in modo così infantile. Io già cominciavo a rimpiangere di aver fatto il suo nome, visto che avevo anche immaginato che comunque non avrebbe portato a niente, però lì su due piedi mi era sembrato giusto…

Alla fine ci fecero andare, e la prima cosa che feci non appena fummo soli fu chiedere a Potter: «Pensi che abbia fatto bene a dirglielo?» Ora, sarebbe opportuno notare che se io chiedevo conferma di qualcosa a James Potter la faccenda si era davvero complicata.

Lui tuttavia prese la cosa con la massima tranquillità rispondendomi con cristallina fermezza: «Sì.»

Mi morsi le labbra. «Non credo che cambierà qualcosa, e servirà solo a far infuriare ancora di più Malfoy…»

«E allora?» ribatté lui precedendomi. «Varrebbe la pena averlo detto solo per farlo…»

Io alzai gli occhi al cielo e mi rifiutai di rispondere. Stava tornando il James Potter che mi faceva urlare. E pensare che lo stavo cominciando a trovare simpatico prima di entrare nell’aula… Guardai l’orologio.

«Accidenti, sono già le cinque! Sono in ritardo!» esclamai voltandomi di scatto per tornare sui miei passi.

Lui mi afferrò un polso facendomi girare. «Dove stai andando, Evans?»

«Da Severus» risposi io come se fosse ovvio. «Ci incontriamo sempre nel pomeriggio, sono già in ritardo…»

«E credi che lui sia rimasto lì bel bello ad aspettare i tuoi comodi?» ribatté malignamente lui.

Lo guardai con occhi di fuoco. «Al contrario di ciò che succede a te, signor Penso-Di-Essere-Davvero-Importante Potter, noi riusciamo a trascorrere il tempo in modo proficuo anche senza stare a venti centimetri di distanza! Sev mi avrà aspettato studiando o leggendo, o facendo qualunque altra cosa avesse voglia di fare in quel momento, come sempre!»

«Sì, come andare dietro Lucius Malfoy chiedendogli se aveva bisogno di un fazzoletto da naso, offrendosi volontario.»

Strappai la mano dalla sua stretta. «Non ti azzardare mai più a dire una cosa simile» soffiai, simile ad un gatto arrabbiato. «Severus ne vale dodici, di Lucius Malfoy.»

«Questo lo dici tu! E non credo tu sia un giudice molto imparziale. Mi piacciono i tuoi occhi quando sei arrabbiata!»

Lo lasciai con quell’ultima, incoerente osservazione sulle labbra, schiumando di rabbia e cercando, con scarso successo, di controllarmi. Non fosse stato per il fatto che non mi sembrava corretto gli avrei tirato uno schiaffo. E cosa diavolo c’entrava il fatto che gli piacessero i miei occhi con tutto il resto?

Severus (sia detto per inciso) non stava correndo dietro Lucius Malfoy, anzi stava sfogliando un libro di Difesa Contro le Arti Oscure con aria estremamente interessata. Non appena mi vide, comunque, alzò gli occhi e mi guardò ansiosamente: «Lily! Tutto a posto?»

Io annuii, ancora furiosa, e mi sedetti di schianto sulla panca. «Lo odio!» esclamai con veemenza facendo sobbalzare diversi studenti attorno a me e guadagnandomi un’occhiataccia da parte della bibliotecaria.

Severus mi guardò come se temesse per la mia sanità mentale. «Chi odi?»

«Potter!» esplosi io.

«Silenzio, insomma!» mi redarguì la bibliotecaria guardandomi male.

«Quella stupida, inutile, odiosa, pomposa, egocentrica ameba di Potter!» sibilai a voce più bassa.

Lui mi guardò con un mezzo sorriso e poggiò il libro. «Che ha fatto?» mi chiese comprensivo.

Io strinsi i pugni. «È… è… non riesco neanche a dirlo! Oh, perché non l’ho picchiato?»

«Lily, che ti ha fatto?» mi chiese lui più preoccupato.

«Fatto?» ripetei. «Non mi ha fatto niente, se non prendere in giro te e me. Lo odio! È un ragazzino stupido, egoista e viziato!»

Severus mi consolò con molto entusiasmo ed uno strano sorriso sulle labbra. Sembrava che tutta la mia tirata lo compiacesse molto.

Andai avanti per un bel po’ prima di accettare il fatto che stavo facendo una montagna di un granellino. Però non ne potevo francamente più di quel suo atteggiamento. Insomma, non poteva ignorarci e tanti saluti?

Alla fine presi di malavoglia il tema di Trasfigurazione che dovevo finire e cercai di concentrarmi. In realtà metà della mia testa era ancora impegnata a lanciare insulti fra i più improbabili a quell’essere di dubbia provenienza umana comunemente noto come Potter Odiosus, ma non importa, riuscii a finirlo e rimasi anche abbastanza soddisfatta del risultato. Severus continuò a leggere il libro con cui l’avevo trovato, mostrandomi ogni tanto alcuni incantesimi che pensava mi potessero interessare. Intorno alle sei e mezza, poco prima della chiusura della biblioteca, andammo nella sala degli scacchi per esercitarci con gli incantesimi.

Alle sette andai da Remus ed ebbi l’improbabile quanto raro piacere di constatare che doveva ancora finire il tema di Trasfigurazione, lo stesso che io avevo già finito. Mi sentii molto importante: io che finivo qualcosa prima di Remus? Non stava né in cielo né in terra.

«Ciao!» mi salutò quando fui vicina.

«Ciao» risposi io con un sorriso. «Sempre a studiare in mezzo a questa confusione?»

«Già» confermò lui grattandosi il naso con la penna. «Ma come ti ho già detto in camera mia è impossibile e oggi non sono nemmeno riuscito ad andare in biblioteca…»

«Mi pareva infatti di non averti visto» annuii sedendomi accanto a lui. «Serve una mano?» proposi.

Lui mi guardò un po’ incerto. «Solo se ti va» disse alla fine con molta diplomazia.

Io ovviamente accettai con un gran sorriso e trassi a me diversi libri. Finì che riscrissi anche alcune parti del mio tema, integrandone altre che trovavo e confrontandomi con Remus. Sarebbe stata proprio una sera perfetta, non fosse stato per il Potter Odiosus.

«Rem! Che stai facendo?» Ma farsi gli affari suoi no, eh? «Ancora appresso a quei libri? Stacci ancora un po’ e ti verranno lacrime d’inchiostro! E lo stesso vale anche per te, Evans.»

Io inarcai un sopracciglio – avevo imparato da poco a farlo e ne andavo molto fiera – e stavo per dirgliene quattro quando Remus intervenne: «James, la consegna di questo tema è per domani e non sono riuscito a finirlo. Quindi devo farlo ora.»

«Oh, era per questo che oggi pomeriggio dicevi che dovevi andare?» Black si appoggiò alla spalla di Potter guardandolo interrogativo.

«Esatto» confermò Remus.

«Ci dispiace Remus…» disse la vocetta sottile di Peter Minus, sbucato da una postazione ignota dietro altri due.

«No, non ci dispiace affatto» ribatté Potter con un gran sorriso. «Se te li avessimo fatti fare oggi pomeriggio non li avresti potuto fare con Evans, ed è tutto dire…»

Sia io che Remus arrossimmo furiosamente mentre i tre ridacchiavano. «I vostri temi dove sono, invece?» chiesi sarcastica.

Potter e Black si strinsero nelle spalle. «Appariranno per domani mattina» promise Black. «In un modo o nell’altro.»

«Questa mi piacerebbe vederla…» mormorai io in un ‘a parte’.

Potter mi rivolse un falsissimo sorriso a trentadue denti. «Oh, la vedrai, Evans, la vedrai… o meglio, vedrai i risultati» precisò con un sorriso furbo. «Piuttosto, parlando di cose serie, vieni a fare un giro su un manico di scopa con me?»

Lo guardai talmente esterrefatta che cominciò a ridere. Ero più che sicura di aver capito male. «Ti dispiacerebbe ripetere?»

«No, affatto. Vuoi venire a fare un giro su un manico di scopa con me?»

Ok, ora ero sicura che fosse impazzito. E la faccia sghignazzante di Black lì accanto non contribuiva. «Potter» dissi con calma estrema. «Sei sicuro di sentirti bene? Non avverti strani giramenti di testa, vista offuscata e simili?»

«Oh, per la vista offuscata mi basta fare questo» ribatté togliendosi gli occhiali. «Ma in generale no» concluse rimettendoseli.

«Potter» ripresi io con la stessa calma con cui si parla ai malati di mente. «I ragazzi del primo anno non hanno una scopa, e quelle della scuola sono sotto custodia.»

«Sto limando i dettagli» ribatté lui. «Vieni, allora?»

Rimasi interdetta per un attimo. «Fai sul serio?» gli chiesi incredula.

Sbuffò. «Merlino, Evans, non era un’offerta così difficile! La domanda era molto precisa, bastava che rispondessi ‘sì’ o ‘no’!»

«No!» esclamai io stupefatta. «Lo sai che non è permesso! Sei completamente impazzito?»

«No» rispose lui tranquillissimo. «E ti ricordo che sei in debito con me» aggiunse con un mezzo ghigno.

Se mi era rimasta in corpo un po’ di gratitudine per lui evaporò velocemente. «Sei tu che mi hai assicurato che eravamo alla pari, non più tardi di oggi pomeriggio» gli ricordai gelida. «Soffri già di demenza senile?»

«Io no, ma tu evidentemente sì» ribatté lui furbetto. «Sbaglio o eri tu a sentirti in debito non più tardi di oggi pomeriggio?»

«Me lo stai facendo passare molto in fretta» risposi io. «E poi fra un po’ è ora di cena, come la metteresti con questo insignificantissimo dettaglio?»

«D’accordo, basta così.» Remus si alzò in piedi e si mise fra noi, una mano sul petto di entrambi come per assicurarsi che non stessimo per saltarci addosso. «James, l’offerta è stata rifiutata. Lily, non comportarti da bambina.»

«Non mi sto comportando da bambina!» ribattei io offesissima. «È lui che se le tira per i capelli!»

«Incolpare gli altri è sempre il primo sintomo del comportarsi da bambina» mi fece graziosamente presente il Potter Odiosus con voce soave.

Mi trattenni dal fargli una linguaccia e cercai una rispostaccia in breve tempo. «E insistere su un argomento chiuso è da muli» risposi dopo una pausa infinitesimale.

«Questo…»

«Ragazzi, Remus ha ragione, adesso basta.» Black guardò Potter e me con un sorrisetto. «Vi state comportando come una coppietta di sposi.»

Per la prima volta d’accordo, sia io che Potter cominciammo ad andargli contro in quarta fino a quando non intervenne nuovamente Remus prendendomi per un braccio e rimettendomi a sedere accanto a lui.

«Sirius, ti prego non mettertici anche tu! Mi bastano questi due» lo pregò stancamente Remus sedendosi accanto a me.

Io lo guardai, ferita, e fu solo dopo che mi ebbe rivolto un discreto occhiolino che ricominciai a valutare con razionalità la situazione. Perciò feci un respiro profondo e dissi con tutta la diplomazia che riuscii a trovare: «Grazie per la proposta, Potter, preferirei di no. Ti sono anche molto grata per ciò che hai fatto oggi pomeriggio e, se c’è qualcosa che posso fare per aiutarti, chiedimela. Se è fattibile posso impegnarmi a farla. E mi dispiace esserti saltata agli occhi, prima» aggiunsi computamente. Non riuscii però a trattenere un sorriso: se non riusciva a cogliere il lato comico di tutto quel discorso allora non avevo davvero più speranze per lui.

Invece ridacchiò e mi disse con la stessa ironica solennità: «Accetto le tue scuse, Evans, e ti porgo le mie per aver fatto altrettanto. Figurati, per oggi pomeriggio è stato un piacere, oltre ad un’ottima occasione per averti…»

Un’occhiataccia congiunta mia e di Remus lo fece interrompere con un sorriso e riprendere poco dopo: «… ripagata di un favore. Cosa pensavate, pervertiti? E per quanto riguarda il resto, figurati. Appena mi viene in mente qualcosa che valga la pena farti fare sarai la prima… o forse è meglio dire la quarta, a saperlo.»

«Quindi pace?» chiesi tendendogli la mano.

«Pace» confermò lui stringendomela.

«Evviva, tanti auguri e figli maschi!»

«Sirius!»

«Black!»

«Che c’è?» chiese lui in risposta alle nostre facce furibonde. A essere onesti, Potter aveva ripreso a ridere come la solita scimmia ubriaca, ma io avrei tanto voluto staccargli il naso a morsi. No, non esattamente questo, ma come vena violenta ero su quella strada.

Cercai di controllarmi nuovamente: non volevo davvero passare per una bambina litigiosa davanti a Remus. E comunque avevamo dimostrato che un compromesso era raggiungibile. Il barlume di un’idea mi si affacciò nella mente. «È negoziabile una tregua?» chiesi guardando alternamente Potter e Black.

Si sedettero entrambi di fronte a me. «I termini?»

Anche Peter Minus si avvicinò di più e si accucciò vicino al tavolo, visto che le sedie erano finite. «Peter, se preferisci sederti qui…» gli indicai la mia sedia.

Lui arrossì con violenza e cominciò a balbettare penosamente: «N-no, n-non è as-solutamente ne-ecessario…»

«Insomma, Pete! Faresti alzare una ragazza?» gli chiese Black con una finta severità che evidentemente non venne colta come tale, visto che lo sprofondò in nuove crisi di imbarazzo.

Gli rivolsi un’occhiataccia e tornai a guardare Peter. «Guarda, io preferisco restare in piedi.» E glielo dimostrai alzandomi.

«I termini?» ripeté Potter con l’aria di non aver seguito una parola dello scambio appena avvenuto.

Feci mente locale mentre appoggiavo le mani sul tavolo. «Ripartire da zero» dissi dopo un po’. «Non abbiamo più debiti gli uni verso gli altri, non ci sono conti in sospeso e quindi possiamo riprendere a trattarci civilmente, e…»

«Ci sto!» disse subito Potter senza neanche lasciarmi finire.

Lo guardai con un sorriso tanto falso quanto scintillante, lieta che avesse abboccato così in fretta. «Sicuro?»

«Certo!» ribatté lui poggiandosi allo schienale.

«Black?» domandai io volgendomi verso di lui.

Mi guardò con una certa diffidenza, ma disse: «Si può fare.»

«È la vostra risposta definitiva? Promesso?»

«Sì, Evans, sì» mi rispose Potter spazientito. «È la quinta volta che ce lo chiedi!»

«Bene!» conclusi io soddisfatta risedendomi – visto che Peter Minus non aveva voluto saperne. «Perché l’accordo comprende anche Severus.»

Si scatenò immediatamente un pandemonio. Sarebbe valsa la pena di fregarli anche solo per vedere le loro facce in quel momento: Potter passò dal tronfio trionfo allo scorno più nero, e Black dall’incertezza alla furia più totale.

«No! Così non vale!»

«Non hai mai parlato di Mocciosus!»

«Forse perché non mi hai lasciato finire, Potter?»

«Non se ne parla!» rispose categorico Black.

«Avete promesso, Black» gli feci presente io con grande soddisfazione.

«Ce lo hai estorto!»

«Come Potter ha così carinamente fatto notare, ve l’ho chiesto cinque volte per sapere se eravate sicuri. La prossima volta fatemi finire di parlare!»

«Non ci pensare neanche, Evans» ribatté Potter con fermezza.

«Avete promesso, Potter» ripetei inflessibile. «Vorreste essere i primi Grifondoro che non sanno mantenere una promessa?»

Lui mi guardò con un’aria di accusa a cui io risposi con un sorrisetto simile al suo di poco prima: ero estremamente soddisfatta di me stessa, certa com’ero di averli messi con le spalle al muro.

Remus accanto a me rideva silenziosamente, Peter mi guardava con gli occhi sgranati come a chiedersi come potessi osare tanto.

«I termini dell’accordo non prevedevano Mocciosus» disse Potter in extremis.

«Solo perché tu non me li hai fatti finire, Potter.»

«Noi non abbiamo promesso per una cosa che riguardasse anche Mocciosus!»

«Ma non avete fatto neanche il contrario» gli feci presente io.

«Il nome di Mocciosus non è stato neanche fatto!»

«Non cercare di scivolare così, Potter! Se prendi me, prendi anche Severus!» Lo guardai con un ghigno soddisfatto. «Accetteresti di stringere un accordo con me senza Black?»

«Non potrebbe giurare al posto mio» ribatté Black.

«Oh, sì, visto che è il tuo migliore amico e sa come la pensi.» Inarcai un sopracciglio. «E comunque non mi hai mai dato l’impressione di dare tanta importanza al giuramento di Severus…»

«Non è al suo giuramento che do importanza, è alla sua presenza nel…»

«Aspetta, Sir» disse Potter lentamente. Si girò a guardarmi. «Mocciosus non è presente, in questo momento.»

«Complimenti per l’arguzia, Potter» commentai io.

Mi ignorò. «Quindi non possiamo sapere il suo parere, mancando uno dei membri dell’accordo.»

«Mi ha autorizzato a fare da portavoce» ribattei io con molta nonchalance.

«Ma così usurpi i suoi diritti!»

Alzai gli occhi al cielo. «Non siamo in un ufficio legale, Potter. Diciamo che io sono l’avvocato del diavolo.»

«Ecco, allora torna dal tuo datore di lavoro e portagli i miei saluti…»

«Sirius, sta’ zitto un secondo!» Potter mi guardò. «Se l’accordo prevedeva anche Mocciosus, avrebbe dovuto essere presente visto che cambierebbe molto il comportamento di tutti…»

«Siete sempre voi che attaccate, lui si difende soltanto!» Stavo cominciando ad arrabbiarmi un’altra volta. «Basterebbe che voi interrompeste…»

Mi fermai di fronte alle loro facce incredule. «Evans, credi davvero che siamo solo noi ad attaccarlo?» mi chiese Potter.

Lo guardai gelida. «Lo so, Potter, vi ho visti!»

«E non credi che lui faccia altrettanto?»

Sbuffai. «Come potrebbe non farlo visto che siete sempre due contro uno e in qualche modo deve difen…?»

«Due contro uno? Evans, ma in che mondo vivi?» Potter mi guardò sinceramente stupito. «Davvero credi che siamo solo noi?»

Stavo andando in svantaggio e lo sapevo, ma non volli darlo a vedere. «Siete stati voi a cominciare, Potter, da quel giorno sul treno! Diamine, neppure vi conoscevate e già…»

«Credo che questa conversazione sia inutile, Jamie» fu il parere di Black mentre si alzava guardandomi con alterigia. «A quanto pare la signorina qui presente non sa vedere oltre il suo naso…»

«Smettila, Sirius!» disse Remus con fermezza. Li guardò entrambi severamente. «Lily ha ragione a dire che avete cominciato voi, sono sicuro che se discuteste della cosa…»

«Discutere? Con Mocciosus?» fece James incredulo. «Non ne avremmo il tempo materiale, Rem, non so se ti sei accorto di come si svolgono i nostri soliti incontri…»

«Cosa vorresti dire con questo, Potter?» chiesi alzandomi anche io.

«Semplicemente che non dovresti prendere per oro colato tutto ciò che dice quella serpe, Evans» mi rispose Potter. Fece passare lo sguardo su tutti noi e guardò un orologio da taschino. «È meglio se scendiamo a cena, si sta facendo tardi» sospirò andando al ritratto della Signora Grassa con Black e Peter.

Io rimasi con Remus e mi accasciai sconfortata sulla sedia. Eppure ero così sicura di aver finalmente trovato una risoluzione al nostro comune problema… «Non è giusto!» dissi esattamente come una bambina piccola a Remus.

Lui mi dette una pacca comprensiva sulle spalle. «Lo so» annuì. «Ma non lo fanno per cattiveria, è solo che sono tanto… tanto…»

«Stupidi» borbottai io.

«Era ‘giovani’ la parola che avevo in mente, ma credo possa andare comunque» sorrise lui. «Dai, almeno ci hai provato…»

«E ho fallito» risposi io cupa.

«Sono sicuro che… Piton… saprebbe apprezzarlo per il suo giusto valore» mi confortò lui. «Ma è difficilissimo far cambiare idea a quei due una volta che hanno preso posizioni…»

«Sì, ma perché le hanno prese contro Severus?» sbottai io. «Che gli avrà mai fatto di male, proprio non riesco a capirlo! E a cosa si riferiva Potter prima?» aggiunsi rabbiosa.

Lui esitò un attimo. «Non lo so» disse alla fine.

«Rem» lo pregai, «almeno tu non mentirmi!»

«Non ti sto mentendo» mi rispose lui cominciando a mettere le sue cose in borsa. «Poco tempo fa, James e Sirius avevano accennato ad alcuni… episodi… avvenuti fra loro e alcuni Serpeverde, fra cui Piton, ma niente di più. Non so i dettagli.»

«A me sembra normale che Severus voglia reagire» dissi con un certo astio. «Insomma, chi starebbe a guardare gli eventi precipitargli addosso senza fare niente?»

Una piuma gli scivolò di mano e lui riuscì ad afferrarla prima che toccasse terra. «Sì, probabilmente è vero» concluse.



ANGOLO AUTRICE


Primo tentativo di tregua rotto, aspetteremo il prossimo, si’ore e si’ori, per fare scommesse…

E intanto nessuno è morto neanche questa volta. Be’, non possono morire persone a ogni capitolo, parrebbe quantomeno innaturale, nonostante siamo negli anni di Voldemort…

Abbiamo in compenso assistito al nostro primo tentativo di approccio, che si è concluso con un… due di picche. Dovranno passare diversi anni prima che le cose cambino, anche se qui è più per una presa in giro che per una cotta. Ma sorvoliamo.

Sì, lo so che sto di nuovo parlando di aria fritta -.- Ma non è carino farmelo notare, ecco.


Dovrò salutarvi un’altra volta senza avere la più pallida idea di chi siate, e questo per me è molto sconfortante… forse modificherò alcune conclusioni, nel caso riesca a venire fuori durante uno di questi capitoli… vedremo, per ora sono ancora a giugno ’10 e quindi non ne ho idea. Dovrà ancora passare del tempo prima che possa trovare alcunché da dire di personale.

Ma questo non vi interessa, quindi di nuovo devo scappare.

Ringraziamenti a tutti, fingete che quello che scriverà Mary sia di mio pugno (anche se probabilmente io non saprei farlo così bene -.- altro pensiero sconfortante…).

Be’, insomma, ciao a tutti!


ANGOLO PUBBLICANTE


Buonasssssssssssssssssssssssssera!

Prima di tutto volevo informare le S.V. che per tutto il mese di Marzo la storia verrà aggiornata ogni settimana. I comandi vengono dal quartier generale, e chi sono io per dissentire? Questi aggiornamenti sprint sono anche per festeggiare i 18 della mia amata sorellona che li compirà a breve u.u

Da quello che ho capito, da Aprile le cose torneranno normali.

Ciancio alle bande, passerò ai ringraziamenti:

  • A googletta: *__________________* Così gonfi troppo il mio ego u.u grazie mille per l'immagine e sono felice che anche il chap ti sia piaciuto. Evidentemente il cu** della famiglia è ereditario u.u Lo so che Sirius non si vede molto in quel chap, ma dopotutto tra lui e Lily non c'è tutto 'sto gran rapporto prima del fidanzamento dei due piccioncini *_______* Al prossimo chap!

  • A malandrina4ever: più che della colla in generale a me piace quello della Coccoina! Sembra di MANDORLE! E io adoro le mandorle u.u In effetti la fisica è abbastanza incomprensibile e te lo dice una che fa lo scientifico .________.

    Come ti vengono queste immagini? Ahahaha! Io non ci avrei mai pensato! Anche se, effettivamente, non è molto dignitoso u.u

    Per il resto, spero che anche questo chap ti sia piaciuto!

  • A _NEMO: non avevo notato la recensione, chiedo venia! Ma già che ci sono, ti ringrazio anche per quella.

    In quanto a Madama Chips, hai ragione, sono andata a controllare su Wiki ed è vero, ma io sono innocente u.u È mia sorelle che scrive la storia, vedrò di farglielo sapere e in tanto ti ringrazio io per avercelo fatto notare :D Spero che in questo non ci siano altri errori, nel caso non esitare e farmelo notare ^^

  • A S_marti_es: credo che il “ci sta” renda l'idea perfettamente u.u era tutto un faccino puccioso *_____* Della serie strapazzami di coccole! Anche se non credo che Lily lo vedesse così :D Spero che tu ti ritenga soddisfatta anche di questo chap! Alla prossima!

  • A ElleH: sono contenta che la cosa di Lily-Remus abbia riscosso successo! Anche secondo me era una cosa molto carina *____________* Spero che questo chap non ti deluda!

Scusatemi le risposte sono un po' corte, ma, data l'ora, sto crollando dal sonno :D Solo che lo volevo postare oggi u.u

Notte!

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Capitolo 15
*** Capitolo 8 - Grifondoro VS Serpeverde ***


Prima parte: I anno

Capitolo 8 – Grifondoro vs Serpeverde

 

Pochi giorni dopo si tenne la festa di Halloween. Non avevo mai, fino ad allora, visto una celebrazione tanto magnifica: la Sala Grande era probabilmente l’epitome di tutto ciò. Centinaia di gigantesche zucche intagliate galleggiavano a mezz’aria insieme alle candele, orde di pipistrelli vivi svolazzavano attorno ai tavoli e un affascinante strato di polvere copriva tutte le superfici. Il cibo poi era ancora più incomparabilmente delizioso del solito; avevo sempre sentito dire che nelle scuole il cibo cucinato era sempre di pessima categoria, ma o Hogwarts non era a conoscenza di questo fatto o lo aveva deliberatamente reinterpretato. Fatto sta che quando la sera arrivai nella Sala Grande per il banchetto il profumo delle varie pietanze servite quasi mi fece cadere in catalessi.

La serata trascorse tranquilla, se così si può dire, ci fu più confusione del solito ed alcuni ragazzi spararono in aria incantesimi che fecero apparire degli spettacolari fuochi d’artificio che ingaggiarono una furibonda lotta fra Case, ma a parte quello l’unico avvenimento degno di una certa nota fu l’interpretazione da parte dei fantasmi del momento della loro morte; mi divertii particolarmente quando Sir Nicolas ci mostrò i movimenti maldestri del boia che l’aveva mal decapitato.

Passai la festa a fianco di Remus, e l’unica pecca fu che anche Potter e Black, accompagnati da Peter Minus, si sedettero vicino a noi. Io non mi lasciai coinvolgere per lealtà verso Severus e mi limitai a scambiare diverse osservazioni con Peter Minus – avevo scoperto che era di nuovo diventato un bersaglio, e non solo per Lucius Malfoy ma anche per diversi membri della nostra stessa Casa – e ovviamente con Remus, che divise la sua attenzione a metà fra me e gli altri due. La crescente intimità fra i tre mi stava cominciando a preoccupare. Remus era completamente diverso da Potter e Black, ed avevo una paura quasi folle che lo corrompessero e lo rendessero uguale a loro. O peggio ancora che lo allontanassero da me; ero più che sicura che non sarei riuscita a sopportarlo: non avrei mai parlato con Remus come facevo con quei due, lo promisi solennemente a me stessa. Eppure non riuscivo ad evitare di essere inquieta. Forse perché avevo già classificato Potter e Black come irrecuperabili.

Due giorni dopo Remus era di nuovo ammalato.

Andai a cercarlo in infermeria la mattina dopo, e lo trovai a letto, il viso più sciupato e smagrito del solito e l’aria abbattuta. Mi sembrava anche che si fosse fatto un nuovo graffio, ma non ne ero sicurissima.

«Ehi!» lo salutai sedendomi accanto al suo lettino. «Come va?»

Mi rivolse un sorriso tirato. «Insomma… questa stupida influenza!» Cercò di sorridere più naturalmente ma riuscì solo a fare una smorfia. «Vorrei sapere perché me le prendo tutte io…» aggiunse cercando di buttarlo sul leggero.

A ben guardarlo, aveva proprio l’aria di chi è stato malato o sta appena cominciando a guarire. «Cos’ha detto Madama Challoner?» chiesi trattenendomi a stento dall’accarezzargli una mano.

Si irrigidì appena. «Devo restare ancora un paio di giorni, a seconda di come si sviluppa la… la malattia.» Deglutì. «Ma prima della fine della settimana dovrei essere come nuovo.»

Annuii e restai un po’ con lui a parlare, promettendogli scherzosamente che gli avrei preso gli appunti per tutti i giorni che avrebbe saltato e lasciandolo quando Madama Challoner mi cacciò letteralmente fuori dall’Infermeria.

Come promesso, Remus tornò in circolazione qualche giorno dopo e io gli passai i miei appunti, facendogli un rapido ripasso di tutto ciò che si era perso – in realtà, non moltissimo.

Con Severus ero tornata alla normalità. Non gli avevo parlato dei miei sospetti su Lucius Malfoy né di quello che Potter mi aveva detto sui loro scontri, ma ci limitavamo a chiacchierare delle nostre giornate, delle nostre scoperte, di ciò che più ci interessava; avevo cominciato a spiegargli come facevo a ottenere voti così straordinari a Pozioni, dicendogli che secondo me le istruzioni date erano imperfette e quindi, in base agli effetti dati dalle varie erbe, era molto meglio modificarle un po’. Lui ascoltava con molta attenzione e un paio di volte mi fece domande a cui io non seppi dare una risposta precisa: forse perché quella tecnica era, anche per me, molto approssimativa.

Lui mi faceva esercitare di continuo in Difesa Contro le Arti Oscure, che era in assoluto la materia che gli riusciva meglio. Passavamo pomeriggi sani a “giocare” a combattere, io interpretavo le parti più disparate, fingendomi una volta una strega ribelle, un’altra un vampiro dotato di poteri o qualunque altra creatura che la mia fantasia inventasse sul momento, divertendomi come una matta, mentre lui restava sempre concentratissimo e con un leggero sogghigno sulle labbra.

Io ero quella che si muoveva di più, saltava dappertutto, faceva capriole e salti per evitare gli incantesimi, fingendo di essere in pericolo, di essere abile.

Lui era quello che affrontava le cose con calma, con razionalità, senza scomporsi per poter usare la sua forza al massimo della sua notevole estensione.

Eppure eravamo, in qualche modo, pari. Certo, io stavo sempre più sulla difesa che non sull’attacco, come invece capitava a lui, e conoscevo solo incantesimi meno potenti dei suoi, ma in compenso i miei scudi erano più forti dei suoi e i miei riflessi più pronti. Perfettamente equilibrati, la nostra era una danza di incantesimi che si interrompeva sempre troppo presto.

Poco tempo dopo si tenne la prima partita di Quidditch della stagione. Da quando Potter aveva cominciato a parlarmi di quello sport, avevo sentito la mia curiosità accrescersi continuamente, volevo conoscere anche quell’aspetto della vita magica, volevo vedere cosa delle persone allenate riuscivano a combinare a cavallo di un manico di scopa.

Non ero l’unica, comunque: tutta la scuola non parlava d’altro, e se fossi passata per i corridoi più frequentati avrei potuto vedere le due squadre, spalleggiate da entrambe le Case, farsi avanti con dei tentativi di sabotaggio che né i professori né il custode riuscivano a bloccare.

Intanto, iniziato novembre, il termometro era precipitato facendo sprofondare Hogwarts in una coltre di gelo; il prato era brinato tutte le mattine, sul Lago Nero si stava cominciando a formare un sottile strato di ghiaccio e passare per i corridoi stava diventando un’impresa non da poco. Il fatto che non finii assiderata fu dovuto in gran parte a Remus, che mi insegnò un semplice incantesimo che permetteva di portare un fuocherello chiuso in un barattolo, fornendo di fatto una stufetta portatile. Gliene fui estremamente grata: ero sensibile al freddo, specialmente alle mani, e non era raro che dovessi portare uno spesso strato di guanti anche nelle aule, complicandomi il compito di prendere appunti: infatti, mentre nella Sala Comune e in Sala Grande erano accesi ampi bracieri che riscaldavano l’ambiente, per i corridoi e nelle aule faceva tanto freddo che non era raro vedere il proprio respiro condensarsi.

Invece, con quel nuovo sistema, la temperatura delle mie mani migliorò sensibilmente e mi permise di proseguire come se niente fosse.

Fu di Remus anche il suggerimento di leggere il libro Il Quidditch attraverso i secoli, una lettura molto interessante che forniva un sacco di dettagli su quello sport, fra l’altro estremamente complicato, almeno sulla carta: c’erano settecento modi per fare un fallo! E la cosa pazzesca era che nel corso di una partita nel 1473 si erano anche verificati tutti…

Una partita finiva quando il Cercatore, il giocatore che secondo Potter doveva essere il più abile, acchiappava una pallina dorata chiamata “Boccino d’oro”, che oltre a concludere il gioco dava anche centocinquanta punti alla squadra che l’aveva preso. Per quello, probabilmente, i Cercatori erano i giocatori presi più di mira dalla squadra avversaria.

Ogni goal dei Cacciatori valeva dieci punti, ed esistevano quindi dei casi, sebbene rari, in cui una squadra aveva vinto anche senza prendere il Boccino.

Il resto lo appresi dalle conferenze che Potter si sentiva in dovere di farci subire ogni venerdì durante le ore di Storia della Magia, in cui si studiava e dibatteva di tutto fuorché delle ribellioni dei Goblin del Medioevo.

Finalmente, domenica 14 arrivò il giorno della partita. Fui buttata giù dal letto ad un orario barbaro (le sette meno dieci! Di domenica!) dai sussurri non poi tanto sussurrati di Jane Vane e Mary McDonald, che per qualche ragione ignota ai più erano già in piedi.

Guardai con desiderio il mio cuscino. Potevo sempre girarmi dall’altra parte e riprendere a dormire, no?

«Dai, Jane, non possiamo!»

«Sono sicura di sì, invece! Mia sorella ha detto che lo permettono!»

«Sì, ma tua sorella ha quindici anni! Credi che accetterebbero anche noi?»

«Certo che sì! Perché no? E poi non dobbiamo dirgli necessariamente la nostra età…»

Sì, perché infatti senza dubbi tutti vi scambieranno per navigate donne di mondo, vero? A proposito, chi è quel “tutti”?

«Insomma, Mary, non essere così fifona! Sei anche a Grifondoro!»

«Non sono una fifona!» C’era un certo astio nella voce di Mary. «Penso solo che sia troppo presto…»

Ah, l’avevo detto io che Mary era la mente pensante di quel duo…

«Va bene, tu fai quello che preferisci. Io mi preparo e scendo.»

Sì, te ne prego! Strinsi forte gli occhi calmando il respiro e cercando di continuare a dormire. Il ronfare, simile alle fusa di un gatto, di Alice alla mia destra poteva aiutarmi. Come faceva a dormire? Non sentiva tutto il rumore che facevano quelle due?

«Santo cielo, Jane, cosa stai facendo?»

«Non ti sembra evidente?»

No, affatto. E non può sembrarti evidente a voce più bassa?

«Dove li hai presi?» C’era una punta di desiderio nella voce di Mary.

«Me li ha dati Anne» fu la distratta risposta.

Passò un po’ di tempo in cui riuscii, con mio grande gaudio, a riaddormentarmi, salvo essere nuovamente buttata giù dal letto quando Vane lanciò uno strilletto compiaciuto: «Fatto! Sono assolutamente perfetta!»

Mary mormorò qualcosa di inintelligibile.

Io grugnii qualcosa di altrettanto inintelligibile e mi tirai su per guardare la sveglia sul comodino. Le otto e cinque.

Strabuzzai gli occhi e guardai meglio. Senz’altro, vista l’ora, avevo la vista confusa… le lancette segnavano inesorabilmente le otto e cinque.

Come facevano ad essere le otto e cinque se pochi secondi prima erano le sette meno dieci?

«Jane, sei proprio sicura…?»

«Oh, Mary, non fare la guastafeste! È perfetto, invece!»

Detti uno schiaffo al mio cuscino e mi tirai su. «Ragazze, potreste abbassare un po’ la voce, per favore?» chiesi con un’ottima imitazione di una voce impastata dal sonno – non che dovessi imitare poi tanto.

Dal bagno uscì la testa bionda di Mary.

«Oh, ciao Lily… scusa» disse imbarazzata. «Non volevamo svegliarti…»

«Sì, scusa Evans, ma sai…»

Buttai di nuovo la testa sul cuscino mentre Vane cominciava a parlarmi dell’importanza di fare una buona prima impressione, in particolare quando quella prima buona impressione doveva colpire i membri della squadra di Quidditch. Alla fine apparve in tutto il suo splendore e mancò poco a che scoppiassi a ridere: aveva gli occhi cerchiati da una matita nera, sembrava che qualcuno l’avesse presa a pugni, le labbra di un colore troppo acceso – non riuscii a identificare, nell’ombra, se fosse rosso o fucsia – e qualcosa di cremoso sparso un po’ su tutta la faccia. Non osavo immaginare come dovesse presentarsi alla luce del sole.

Tossii un attimo e poi dissi con il massimo della diplomazia: «Scusa se mi intrometto, Vane, ma non credi di… di aver un po’ esagerato?»

Lei si fiondò in bagno per guardarsi con attenzione allo specchio. «Santo cielo, Evans, mi hai fatto prendere un colpo» disse uscendo esattamente come prima.

Cercai con cura le parole adatte nella mia testa. «Non pensi che… così… truccata… potresti dare un’impressione… sbagliata?»

Mi guardò come se temesse per la mia sanità mentale e scoppiò in una risata chioccia. «Oh, Evans, sei tanto tanto piccina!»

Arruffai il pelo. Piccina?

«Tutte le ragazze si truccano così, non credo che staranno a notare me…»

Io veramente non avevo mai visto ragazze conciate a quel modo, ma non mi pareva molto utile dirlo. «Ehm… Vane?» la richiamai visto che lei era tornata ad ammirare la sua opera. «Non per sembrare una rompiscatole, ma tu sei del primo anno…»

«Oh, ancora con questa storia!» esclamò lei in tono capriccioso. «Non vado in giro con un cartello “primo anno” in fronte, sai, Evans?»

Sapevo, ma mi astenni dal fare i numerosi commenti che mi sarebbero venuti spontanei. La partita iniziava alle undici, tanto valeva cominciare ad alzarsi. Misi un piede giù dal letto e mi accorsi di aver appena toccato la stoffa di una maglietta. Stupita, mi guardai in giro con più attenzione e mi accorsi che effettivamente tutta la camera era disseminata di numerosi e vari capi d’abbigliamento di origine ignota.

«Cosa. Cavolo. È. Successo. Qui?!» chiesi a scatti guardando il resto del campo di battaglia.

Mary ebbe quantomeno il buon gusto di parere imbarazzata. Vane, invece, sembrava deliziata di tutta la situazione, di tutta la sua vita, e di tutto il suo aspetto. «Oh, ho dovuto cercare taaaaanto per trovare uno straccetto da mettermi» si giustificò. «Non trovavo assolutamente niente di adatto, ma ci credi, Evans?»

La mia risposta fu una sorta di ringhio. Tuttavia mi girai con un sorriso dolcissimo che già avrebbe dovuto metterla in allarme e dissi con garbo estremo: «Immagino allora, Vane, che tu voglia rimediare al disastro che hai combinato in questa stanza…»

Lei scoppiò a ridere. «Ma Evans, sai perfettamente che così non farei in tempo…» il resto della frase le si spense sulle labbra alla vista del mio sguardo. «Dicevi sul serio?» mi chiese, vivente immagine dello stupore.

Non fosse stato per il fatto che era troppo stupida per poterci prendere gusto, mi sarei cominciata a strappare i capelli. «Sì, Vane, dicevo sul serio. Siamo in quattro a vivere in questa camera, è terreno pubblico…»

Vedere la sua espressione sgonfiarsi come un palloncino era uno spettacolo esilarante. Rimase con una faccia abbattutissima, apparentemente non in grado di spiccar verbo.

«Ma Evans…» piagnucolò alla fine.

«Sì, Vane?»

Mi guardò con gli occhi luccicanti di lacrime. «Ci metterei una vita a mettere tutto a posto…»

«Lo so, Vane.»

«E oggi c’è la partita!»

«Lo so, Vane.»

Due grossi lucciconi le cominciarono a ballare ai lati degli occhi. «Arriverò in ritardo! Dopo tutta la fatica che ho fatto…»

«Non piangere, Vane, ti si scioglierà il trucco» le raccomandai soavemente io. «E se “tutta la fatica che hai fatto” consiste nel rendere impresentabile la nostra camera…»

«Sei cattiva, Evans!» rispose scoppiando in lacrime e facendomi reprimere un singulto di riso.

«Vane» le ricordai, «se piangi ora ti rovinerai tutto il trucco, e sarebbe un peccato, dopo tutta la fatica che hai fatto…»

Mi guardò con occhi imploranti ma perfettamente asciutti. «Non posso farlo!» pronunciò drammaticamente.

Io mi sedetti con uno sbuffo. «Va bene, facciamo così» proposi. «Ora prendi solamente le tue cose e le metti nella tua parte di camera e stasera le rimetti a posto.»

Non l’avessi mai detto: Vane se ne uscì in un urlo inarticolato di gioia e venne presa dall’impellente desiderio di privarmi della testa attraverso una stretta letale, che dovetti allentare a poco a poco mentre lei non finiva più di darmi della santa, mitica e altri aggettivi che non ricordo.

«Ehm… sì, Vane, sì» dissi quando alla fine riuscii a riprendere possesso della mia gola. «Ora… raccogli le tue cose, o farai tardi…»

Come un ciclone, raccolse velocemente tutti i vestiti sparsi in giro e li ammucchiò sul suo letto, per poi uscire di corsa con un sorriso che le tagliava la faccia a metà. Mary mi salutò velocemente e la seguì mentre anche Alice dava segni di vita.

«Mhm…» fu il suo primo commento. «È già mattina?»

Io mi stavo infilando la divisa. «Sì, Alice, sono le otto e trentacinque.»

«Uffa…» borbottò lei spostando le coperte. Condividevo ampiamente i suoi sentimenti, odiavo alzarmi presto soprattutto la domenica.

«Non dirlo a me» ribattei abbottonandomi la camicia. «È dalle sette che quelle due mi tengono sveglia!»

Mi rivolse un assonnato sguardo solidale e scese dal letto. «Brr! Fa freddo, vero?» mi chiese stringendosi nella sua camicia da notte bianca.

Presi il maglione e me lo infilai, poi andai al comodino e presi il barattolo del fuoco. «Tieni» le dissi porgendoglielo. «Tranquilla, non scotta. Però riscalda.»

Lo prese in mano e lo strinse a sé mentre io finivo di mettermi il grembiule.

«Posso usare il bagno prima io?» le chiesi mentre si alzava, ancora col fuoco al petto. Accennò di sì con la testa e io andai a lavarmi la faccia.

L’acqua era gelata e mi svegliò notevolmente, anche se mi congelò le dita. Cominciai poi a pettinarmi i capelli, sempre arruffati di prima mattina. Li odiavo: avevano un colore idiota e una forma amorfa. Insomma, non significavano niente. E poi risaltavano subito.

Guardai la mia immagine allo specchio e sbuffai, poi mi passai una fascia fra i capelli e uscii. Alice si era già vestita e si stava strofinando gli occhi.

Le sorrisi mentre si avviava al bagno, poi presi la bacchetta e il mio fuocherello, oltre al mantello e ad un paio di guanti e scesi. Avrei preso la sciarpa dopo colazione.

Remus era immancabilmente già arrivato, ma stava chiacchierando con Potter e Black, quindi feci per sedermi un po’ più in là quando lui mi vide e mi invitò vicino a loro. Non potei che accettare, ma rimasi in silenzio per gran parte della conversazione – o per meglio dire, per gran parte del duetto fra Potter e Black.

Peter Minus arrivò dopo un bel po’ tutto affannato balbettando scuse sconnesse, ma gli altri gli fecero spazio senza problemi ed inclusero anche lui nella conversazione.

Alle dieci e mezza cominciammo a muoverci verso lo stadio. Io ero avviluppata nella mia sciarpa ed avevo dei pesanti guanti di lana che quasi mi impedivano qualsiasi movimento, ma ero euforica: non vedevo l’ora di assistere alla partita. L’unica pecca era che non potevo assolutamente tifare con Severus, visto che le due case a sfidarsi erano proprio Grifondoro e Serpeverde.

Un peccato, ma a quanto pareva indispensabile.

Perciò andai sulle tribune opposte a quelle di Serpeverde a tifare per la squadra della mia Casa.

Non eravamo gli unici ad essere arrivati prima, comunque: quasi tutte le tribune erano già piene a metà, e continuavano ad affluire ragazzi. La maggior parte dello stadio, alle undici meno cinque, era in rosso e oro, mentre solo un quarto, o poco più, era in verde e argento. Forse Grifondoro aveva una squadra più popolare?

Alle undici in punto le due squadre uscirono dagli spogliatoi e si radunarono ad anello attorno al centro del campo, dove la professoressa Powell aveva poggiato un baule con dentro i palloni.

Osservai i capitani scambiarsi una stretta di mano per poi salire in sella alle scope.

«Bene, signore e signori, sta per iniziare! Con la partita Grifondoro-Serpeverde di quest’oggi diamo ufficialmente il via alla stagione di Quidditch. I capitani Goldwyn per Grifondoro e Malfoy per Serpeverde si stringono la mano mentre le loro squadre cominciano a sollevarsi…»

A fare la telecronaca era uno studente dell’ultimo anno di Tassorosso che non conoscevo. «Madama Powell libera i Bolidi, seguiti dal velocissimo e quasi indistinguibile Boccino d’Oro!»

«Accidenti, se è veloce!» fu il mio commento nel vedere quella pallina sparire praticamente subito.

Nel posto avanti a me, Potter sogghignò. «No, Evans, guarda! È lì!» mi indicò un punto parecchio sopra le nostre teste in cui si riusciva a vedere un minuscolo bagliore d’oro, scomparso poco dopo. Ma era pressoché invisibile. Come diavolo aveva fatto?

Mi stava guardando col sorriso malizioso che aveva quando stava per farmi uscire dalle staffe. «Sì, lo so che probabilmente sei stupefatta di fronte alle mie straordinarie capacità, ma almeno chiudi la bocca, Evans!»

Non riuscii a impedirmi di sorridere. «Fammi il favore di andare al diavolo, Potter» gli dissi molto educatamente tornando a concentrarmi sulla partita.

«La Pluffa viene liberata e la partita ha inizio! Intercettata immediatamente da Penny Clark di Grifondoro, un’ottima cacciatrice che alla finale dell’anno scorso ha segnato da sola undici goal, passa al capitano Roger Goldwyn che vola alto a tutta birra verso i pali della porta, schiva un Bolide lanciatogli da Percival Rowle e passa la Pluffa a Rose Jones e… no, Jones viene colpita da un colpo di Bolide dietro la testa e Robert Selwyn recupera la Pluffa, schiva un Bolide lanciato da John Morris e passa… ah, la Pluffa è stata intercettata dal capitano di Grifondoro Goldwyn, che la passa velocemente a Clark, che la passa a Jones, che si libera, davanti a lei non c’è nessuno… il Portiere Pucey si tuffa… ma la Pluffa passa! Grifondoro ha segnato ed è in vantaggio!»

Mi accorsi di stare urlando solo quando udii la mia voce mischiarsi a centinaia di altre. Erano incredibili: volavano, si incrociavano, si scontravano, si passavano quella palla come se avessero calamite alle mani… una cosa straordinaria, da non credersi!

«E mentre dagli spalti i tifosi rosso-oro esultano la palla torna ai Serpeverde, più agguerriti che mai, ecco Selwyn che si dirige a tutta velocità verso la parte opposta del campo, schiva due Bolidi, Clark e Jones e passa a Price, che si esibisce in una capriola per evitare un Bolide e prosegue la sua corsa verso la porta. Goldwyn si fa avanti… ah! Ma viene colpito da un Bolide di Rowle e barcolla, Price si avvicina inesorabilmente alla porta di Grifondoro, sta per tirare… no, la Pluffa gli cade di mano mentre un Bolide di Moore lo colpisce al braccio, e Clark con una spettacolare giravolta la afferra! Cecil Deverill si fa avanti per bloccarla… fallo! Selwyn commette un clamoroso Blurting1 e per poco non sbalza Clark dalla scopa, madama Powell fischia un rigore…»

«Tu, sporco inutile figlio di una…!»

«James!»

«Oh, andiamo, Remus! Hai visto cosa a fatto quell’inutile mucchio di…»

«Potter, calmati!» sibilai io a denti stretti anche se ero altrettanto indignata: come si permetteva quell’essere inutile di commettere un fallo del genere? «Non gliene manca una, vero?» commentai guardando Penny Clarck mettere in rete e portarci ancora in vantaggio. «Sleali, razzisti, snob e pure maschilisti!»

Tre teste si girarono in contemporanea a guardarmi. «Maschilisti?» ripeterono ad una voce Potter e Black.

«Insomma, guardateli!» sbuffai io mentre Deverill volava davanti a noi con la Pluffa in mano. «Non c’è una sola giocatrice in tutta la squadra di Serpeverde! Grifondoro ne ha due e sono pure fra le più brave!» esclamai con veemenza mentre Rose Jones strappava la palla a Price e la tirava a Penny Clark, dall’altra parte del campo.

«Sì, e sono anche piuttosto carine…»

«Sirius, te lo ha mai detto nessuno che hai il cervello di un Kappa rintronato?»

«Sì, Remus, tu!»

«I Grifondoro dirigono la partita per trenta a zero e sono in possesso di palla, Goldwyn esegue un’abile doppietta con Clark ed entrambi vanno verso la porta… ma aspettate! Sembra che il capitano di Serpeverde Lucius Malfoy abbia avvistato il Boccino, sta scendendo in una picchiata spettacolare verso gli spalti di Tassorosso… il Cercatore di Grifondoro William Taylor gli è alle calcagna, ma parte svantaggiato… picchiata sempre più veloce, questi due si schianteranno al suolo…»

Accanto a me, James gemette. «Non farlo, stupido! Non vedi che è una Finta Wronsky?»

«Una che?»

Ma non ebbi bisogno di risposte: in quel momento, Malfoy interruppe la picchiata e tornò a sollevarsi, mentre Taylor non ci riuscì e si schiantò a terra.

Dagli spalti verde-argento si levò un coro di fischi ed incoraggiamenti al loro capitano.

«… e pare che Taylor sia appena rimasto vittima di una Finta Wronsky, una pericolosa azione diversiva fra Cercatori… intanto il capitano Goldwyn chiede ed ottiene un time-out mentre la sua squadra e madama Powell scendono per verificare le condizioni di Taylor.»

Io gemetti insieme a tutta la mia curva e dall’altra parte i Serpeverde esplosero in fischi e recriminazioni.

«Non ce la farà…» dissi con voce roca. «Quello schianto… è un miracolo che non l’abbia ucciso…»

Accanto a me, pallido come un lenzuolo, Remus sembrava avere la mia stessa opinione, mentre Black sembrava divertito e Potter furioso. «Macché ucciso e ucciso!» ribatté spazientito. «È solo un po’ rintronato, ma tanto lo era anche prima, non abbiamo perso un gran che…»

«Potter, non fare il bambino!»

«Non sto facendo il bambino! Andiamo, anche uno stupido si sarebbe accorto che era una finta…»

«Io non me n’ero accorto» obbiettò quietamente Remus.

James lo guardò impaziente. «Intendo dire un bravo giocatore!» ribatté. «Insomma, Malfoy non vola neanche così bene!» Poi tornò a sedersi. «Perderemo» annunciò con voce sepolcrale. «Non possiamo vincere se quello è il nostro Cercatore…»

«Andiamo, James, non fare l’uccello del malaugurio…»

«Uccello del malaugurio un corno, Remus!» rispose lui arrabbiatissimo. «Ti rendi conto che sarà Malfoy a vincere? Come fai a sopportarlo?»

Effettivamente, da quel punto di vista aveva ragione. Puntai gli occhi sulla nostra squadra a terra e vidi che Taylor si stava rialzando. «I nostri Cacciatori sono parecchio più bravi» tentai. «Forse riusciamo ad andare in vantaggio…»

Lui mi guardò immusonito. «Dovremmo avere più di centocinquanta punti di vantaggio, Evans, è praticamente impossibile» rispose tetro. «Ora, sono d’accordo che i nostri Cacciatori sono molto migliori di quegli altri, ma senza Cercatore non si vince…»

Tuttavia sembrò quasi che potessi aver ragione io: Clark, Jones e Goldwyn segnarono altre cinque reti nei successivi dieci minuti, mentre Serpeverde riuscì a scavalcare il Portiere Carter una volta sola. Ora conducevamo il gioco per ottanta a dieci.

Avevo artigliato lo schienale della sedia di Potter davanti a me e continuavo a sussurrare come in una nenia: «Ce la possiamo fare… Ce la possiamo fare… Ce la possiamo fare…»

Al nono goal Potter si girò verso di me e commentò: «Sì, Evans, forse ce la possiamo fare, ma questo non è un buon motivo per strapparmi la pelle della schiena.»

Stupita, abbassai lo sguardo alle mie mani e mi accorsi che, insieme allo schienale della poltrona, avevo afferrato anche il mantello di Potter. «Scusa» fu tutto quello che riuscii a dire.

Poco dopo Serpeverde segnò un’altra volta e io mi accasciai sul mio sedile: lo spirito pessimistico di Potter sembrava avermi presa.

«Ma figurati! Se non altro farmi afferrare da te darebbe un senso alla giornata…»

Guardai in cagnesco la sua nuca. «Potter» gli dissi avvicinandomi al suo orecchio, «se proprio la tua vita ha così poco senso, sono disposta ad afferrarti, ma per la gola!»

E dopo avergli dato una rapida dimostrazione, tornai al mio posto incrociando le braccia ed accavallando le gambe, giusto in tempo per non perdermi il nuovo fallo di Serpeverde: «… il Portiere Pucey scatta in avanti per bloccare la Cacciatrice Jones… un momento, quello era Cobbing2

Un fischio prolungato di madama Powell gli dette ragione.

Jones mise in rete un altro goal, e riuscirono a segnarne altri due prima che i due Cercatori partissero di corsa alla vista del Boccino d’Oro.

Potter era balzato in piedi non appena i due si erano mossi e ora li stava guardando ad occhi semi-socchiusi, concentratissimo come se ci fosse stato lui su quella scopa.

Molti altri si erano alzati in piedi per seguire meglio, ma andavano tanto in alto che era difficile seguirli.

«Tieni, usa questo» mi disse Remus passandomi il binocolo.

Non era un normale binocolo: aveva una messa a fuoco particolare e diverse manovelle a lato che permettevano varie opzioni come ‘replay’ e ‘azione per azione’, ma non mi importava: quello che volevo vedere io era cosa stava succedendo lassù. Malfoy era in vantaggio, ma non riusciva ancora a prendere il Boccino, Taylor era un po’ indietro ma stava al passo.

Passai nuovamente il binocolo a Remus e mi accorsi che, senza, i due erano praticamente invisibili. Remus se lo stava portando agli occhi quando Potter glielo strappò di mano dicendo un distratto: «Scusami un attimo, Rem…»

Poi se lo incollò agli occhi.

Io sbuffai e tornai a guardare il campo. Grifondoro aveva segnato un’altra volta e così Serpeverde, perciò il punteggio attuale era centotrenta a venti.

Potter davanti a me sospirò profondamente e si tolse il binocolo. «Malfoy non solo non è un giocatore eccezionale, ma non è neppure un buon capitano» mugugnò restituendo il binocolo a Remus. «Insomma, guarda la sua squadra! Dipendono in tutto e per tutto dal Cercatore! Se solo Taylor avesse un po’ di sale in zucca gli daremmo una di quelle batoste…»

«Taylor se ne va, l’anno prossimo» lo informò Black che si era appropriato del binocolo e seguiva i due Cercatori. «Puoi sempre…»

Ma Potter lo aveva afferrato per la gola e stretto così forte da soffocargli le parole. «Davvero? Dici sul serio? Oh, Sir, questa è la notizia migliore che tu potessi darmi! Meraviglioso! Allora l’anno prossimo sì che gli daremo una di quelle…»

«… batoste che si sognano la notte, sì, l’hai già detto, James» gli fece cortesemente notare Remus guardando con aria rassegnata il suo binocolo.

«Sì» confermò Potter con gli occhi scintillanti. «Te lo prometto, Rem!»

Io alzai gli occhi al cielo. Davvero credeva di essere così bravo? A me pareva che i giocatori per aria fossero straordinari, mentre lui continuava a parlarne come se fossero degli incapaci. Come poteva essere certo di essere più bravo di ragazzi che si allenavano da molto più tempo di lui?

Grifondoro segnò un’altra volta. Ora, il nostro Cercatore poteva essere quello che gli pareva, ma i nostri Cacciatori erano mitici. Oppure il Portiere avversario stava dormendo sulla scopa. O forse entrambi.

In quel momento un urlo si alzò dagli spalti dei Serpeverde e, alzando lo sguardo, noi notammo che Malfoy stava scendendo con un caloroso sogghigno tenendo nel pugno destro una pallina dorata.

«Ebbene, sì, signore e signori, il capitano di Serpeverde Lucius Malfoy conquista il Boccino d’Oro portando la sua squadra alla vittoria per un punteggio di centoquaranta a centosettanta!»

Gli spalti verde-argento sembravano esplodere mentre il resto della scuola scuoteva la testa abbattuto.

«Guarda quell’idiota come sogghigna…» ringhiò Potter guardando Malfoy.

«Non so te, fratello, ma io ho una grande, impellente voglia di tirargli un pugno e spaccargli qualcuno di quei dentini da castoro» rimarcò Black guardandolo truce.

Annuirono entrambi mentre quel sorriso canagliesco che pur su due visi differenti si specchiava perfettamente su entrambi faceva la sua comparsa.

«Sir, lasciami dire che sei un mito!»

«Oh, no, James, al contrario, il mito sei tu…»

«Ma no, no, troppo gentile!»

Mi voltai sconfortata verso Remus. «È un’impressione mia o soffrono di disturbi da personalità multipla?»

Lui mi rispose con un sorrisetto complice ma non disse niente. Davanti a noi i due stavano proseguendo per il loro sproloquio e Peter Minus si sforzava ansiosamente di tenere il passo, con scarsi risultati a giudicare dalla sua faccia sempre più disperata.

Sospirai e guardai l’orologio: era l’una e mezza. La partita era durata due ore e mezzo. Un tempo non indifferente.

«Sarà meglio scendere» dissi a Remus imbronciata. «O ci ritroveremo circondati da tutta la calca dei ragazzi che escono…»

Lui annuì e ci allontanammo dagli altri tre, che per conto loro continuavano a confabulare. Ma avevamo sottovalutato l’orda di tifosi rosso-oro che si stava riversando fuori dagli spalti, investendoci come un’ondata di maremoto.

Per quanto stessimo cercando di restare insieme tenendoci per mano, avevamo solo undici anni ed eravamo circondati da ragazzi molto più alti e grandi di noi. In breve, finimmo per separarci. Io cercavo disperatamente una via di fuga, non sapevo dove andare ma volevo a tutti i costi uscire da quella marea di persone. Mi muovevo diagonalmente, certa che ci fosse un limite a tutta quella folla e che dovevo raggiungerlo velocemente.

Quando finalmente riuscii a guadagnare spazio, cioè dopo il ponte che attraversava il sottile fiumiciattolo che scorreva fra Hogwarts e lo stadio, mi mossi ancora più velocemente per restare finalmente senza centinaia di persone attorno e alla fine ci riuscii andando praticamente sotto gli alberi della Foresta Proibita che scorreva parallela al percorso. Un po’ più in là c’erano vari studenti che commentavano la partita, urlavano o facevano a botte. Scossi la testa con repulsione e feci un passo indietro, verso la foresta.


ANGOLO AUTRICE


Haloa a tutti, giovani, vecchi, belli, brutti, maschi, femmine e ermafroditi!

Mi siete mancati in queste due settimane (sempre che mia sorella abbia rispettato le scadenze; di solito è così)…

E così assistiamo alla prima partita della stagione. Ma a parer mio Hogwarts senza Quidditch è decapitata. Mi mancherebbe…

Spero di essere riuscita a rendere ciò che volevo mostrare, anche se ho dovuto descrivere tutto dagli spalti per ovvie ragioni di POV. In quanto ai falli, provengono da fonte certa quanto Wikipedia, che a sua volta trae informazioni, credo, da Il Quidditch attraverso i Secoli, direttamente dalla penna di Mamma Row, quindi pienamente Canon.

E indovinate cosa sto per dire? Anche questo è uno dei capitoli tagliati a metà, nel senso che il prossimo continuerà da dove questo finisce, quindi prendete appunti. *sogghigna*


Sì, ora me ne vado -.-

E ovviamente tanti grazie, inchini e salamelecchi a chiunque stia leggendo queste (e le precedenti xD) parole, a chi le segue, le preferisce e le ricorda u.u


ANGOLO PUBBLICANTE


Tua sorella rispetterebbe le scadenze se TU non rompessi le PLUFFE! Quindi diciamo che ti sono mancati in questA settimanA e non in questE settimanE u.u


Perdonate questo piccolo sfogo contro la quasi-diciottenne, anche detta autrice della FF, ma non mi può fare questi commenti, ecco -.-


Rispettando le sue volontà aggiorno dopo una settimana invece di due e ringrazio le persone che hanno recensito e quelle che hanno aggiunto la storia trai preferiti/seguiti/ricordati. Rispettivamente grazie alle 15 persone che preferiscono, alle 32 che seguono e alle 2 che ricordano. Vorrei inoltre dire che... abbiamo superato le 60 recensioni totali!!! Gioite anche voi!


Passiamo ora a ringraziare le persone che hanno recensito questo chap:

  • A _NEMO: ti ripeto di non preoccuparti! Mi dispiace se non ho corretto, ma dopotutto le correzioni spettano all'autrice... quando la sento la informerò :D Sono contenta che questo chap ti sia piaciuto e che, almeno qui, non ci siano stati errori ;) La cara Lily deve ancora rifletterci su, ma dopotutto ha ancora 11 anni! Quindi non possiamo pretendere troppo u.u La sorella, cioè moi, ringrazia per l'apprezzamento del suo lavoro sporco ^^

  • A S_marti_es: in effetti sì, io ho già letto tutto e sono anche stata presente alla stesura dei capitoli di tanto in tanto ^^ Quindi, IO detengo il potere! Diciamo che potrei dare informazioni, ma vi leverei tutto il gusto, no?

    Quindi se in questo chap c'è James sappiamo già che ti piace? A priori? COMODO! Spero che gli altri personaggi non ti guastino il quadretto con il vecchio Jamie <3 Alla prossima!

  • A malandrina4ever: sono belli a pari merito *___________________* Oppure dobbiamo creare due classifiche diverse... Mister Hogwarts: Sirius e Mister Grifondoro: James! È fattibile! Però poi non vorrei che il povero Jamie pensasse di essere più brutto di Piton essendo solo di Grifondoro... e poi magari Siriuccio pensa di essere più brutto di Frank!! AAAAAAAAAH! *_Milady_ segue malandrina e fugge*


Buon divertimento a tutti e alla prossima!

1 Blurting: incrociare un manico di scopa di un altro giocatore con il proprio

2 Cobbing: eccessivo uso di spinte e gomitate contro gli avversari

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Capitolo 16
*** Capitolo 9 - Unicorni e Giganti ***


Prima parte: I anno

Capitolo 9 – Unicorni e Giganti

 

La foresta non era così spaventosa come sembrava: fitta senz’altro lo era, ma c’era uno scarso sottobosco e i passaggi fra gli alberi erano ampi. Non dubitavo che addentrandosi sarebbe diventata più intricata, però così vicina alla strada era percorribile.

La stavo guardando con discreto interesse quando notai un bagliore argentato ai limiti della mia zona visibile. Curiosa, aguzzai la vista per vedere cosa fosse, e feci qualche passo avanti il più silenziosamente possibile.

Non avevo dimenticato gli avvertimenti di Silente il primo giorno: avevo la bacchetta a portata di mano ed ero sul chi vive, però volevo anche assolutamente scoprire cosa fosse quella cosa.

Mi avvicinai lentamente e alla fine riuscii a distinguerlo: sembrava un cavallo. Ma al mio approssimarsi alzò la testa e notai un corno scintillante al centro della fronte, che mi lasciò stupefatta: non era un cavallo, era un unicorno.

I suoi occhi d’argento liquido mi fissavano interrogativi ed un po’ spaventati, e sembrava sul punto di scappare.

Mi immobilizzai: era troppo bello per permettergli di scappare così in fretta. Perciò, con la massima calma, alzai la mano per mostrargli che non avevo cattive intenzioni, e per fargli sentire il mio odore; magari così non si sarebbe spaventato troppo.

Sembrava ancora incerto: il suo sguardo continuava a saettare da me a tutte le possibili vie di fuga, ma sembrava stranamente restio ad andarsene. Il perché lo capii poco dopo.

Un cespuglio poco distante da noi si mosse, facendomi girare di scatto, ed un puledrino d’oro puro mi venne fiduciosamente incontro con gli occhi colmi di innocenza. Era uno spettacolo straordinario: piccolo, magro e nervoso, ma straordinariamente toccante. Si avvicinò a me senza nessuna paura e cominciò a leccarmi la mano.

Mi inginocchiai il più lentamente possibile per portarmi alla sua altezza e cominciai ad accarezzarlo. Lui emise un leggero, musicale nitrito e scosse la bella chioma.

L’altro unicorno vicino a me era sembrato molto nervoso all’apparizione del piccolo, ma ora si era tranquillizzato un po’. Si era anche avvicinato di più e mi aveva messo la testa su una spalla, dandomi fiducia e controllandomi al tempo stesso.

Osai tendere una mano per accarezzare anche lui e lo accettò con tranquillità, nitrendo appena.

Il piccolo era tutto contento, si agitava sulle zampe sottili e saltellava da una parte all’altra prima di tornare da me. Poi tornava a dirigersi verso la foresta e di nuovo da me. Sembrava volesse invitarmi a casa sua. Alla fine mi prese eloquentemente un lembo della divisa fra i denti e mi tirò appena verso il cuore della foresta. Anche l’altro sembrava deciso a portarmi verso di là, mi spingeva col muso – attento a non mettere il corno in posizione d’attacco – invitandomi a seguire il piccolo.

Mi ero appena alzata dopo aver preso la decisione di seguirli in barba al buon senso quando una profonda voce rauca esclamò: «Perdinci! Che ci fai qui?»

Mi girai di scatto, spaventata, ma gli unicorni sembravano tranquilli e perciò cercai di tranquillizzarmi anch’io.

Di fronte a me c’era il Mezzogigante, Hagrid mi sembrava si chiamasse.

«Io…» cominciai a dire cercando una scusa adeguata. «Io…»

Lui mi si avvicinò e mi guardò da capo a piedi. Faceva impressione: un omone alto più di due metri e mezzo con una barba fitta ed incolta che lasciava a malapena vedere occhi e naso e una balestra dall’aria minacciosa sulla schiena.

Poi fece una cosa che non mi sarei mai aspettata: scoppiò a ridere e dette una leggera carezza sul dorso dell’unicorno d’argento. «Ti ci piacciono, eh?» mi chiese con un sorriso. «Gli unicorni, dico?»

Io annuii guardandolo. Sembrava tranquillo ed ero quasi sicura sorridesse. «Non ne avevo mai visti, prima» mi giustificai.

«Davvero? Questo è un peccato! Sono creature meravigliose gli unicorni» rispose mentre il piccolo cominciava a saltellargli attorno tutto felice. «Non so neppure se mi piacciono di più da cuccioli o da adulti» proseguì indicandomeli entrambi. «Belle bestie, davvero. Tremendamente gentili, e timide. Si fanno avvicinare solo dalle femmine, di solito. Da cuccioli sono più socievoli» mi spiegò poi dando un buffetto al puledro. «Quasi quasi ci piacciono pure i maschi. Le femmine adulte invece» aggiunse indicandomi l’altro, abbastanza tranquillo, «sono nervose. Hanno paura che ci colpiscono i piccoli, per questo.» Mi guardò dall’alto. «È strano che una femmina col cucciolo si fa avvicinare. Di solito stanno appartati, non vengono mai fino a quaggiù. Questa deve avere un motivo…» Mi superò e guardò attentamente gli alberi attorno a sé. «Ah, eccolo il perché» commentò guardando la corteccia degli alberi. «Vieni, vieni, guarda» mi invitò poi indicandomi il muschio che cresceva sull’albero. «Lo vedi questo? È muschio di Persia. Rarissimo, in Gran Bretagna non cresce, quasi affatto. Servono alberi molto molto vecchi per farlo crescere. È il cibo preferito degli unicorni, e questa mamma voleva che il cucciolo lo prendesse… gli fa bene, il corno ci diventa più forte e migliora la salute.»

Guardai attentamente il “muschio di Persia”. Nulla, a vederlo, indicava qualche caratteristica particolare, ma aveva un odore penetrante e, guardando molto attentamente, si potevano notare dei minuscoli fiorellini bianchi all’interno.

Sentii qualcosa tirarmi per la mano e vidi che il piccolo unicorno aveva preso la manica della mia tunica fra i denti e mi stava tirando.

«Gli piaci» mi disse Hagrid tutto orgoglioso. «Gli piaci proprio. E anche alla mamma.»

Infatti l’unicorno bianco-argento era vicina a me e mi guardava senza quella paura istintiva che aveva all’inizio.

Mi venne spontaneo sorridere: erano davvero creature straordinarie. «Sono meravigliosi» sussurrai chinandomi nuovamente per accarezzare il piccolo.

«Eh, sì» annuì Hagrid. Non sembrava più così spaventoso ora che gli stavo parlando, anche se aveva una pronuncia buffa. «Devi averci il tocco, per trattare con gli unicorni, e se li prendi in un momento no è meglio avere alle spalle un albero e buoni riflessi, o potresti finire su uno di quei corni. Mai infastidire una mamma unicorno, se vuoi la mia. Non sono aggressivi ma se ci tocchi i piccoli…» Lasciò in sospeso la frase e prese alcuni ciuffetti di muschio dalla parte più alta dell’albero, dov’era fuori dalla portata dell’unicorno, porgendolo alla madre. «Piuttosto, che ci fai tu qui?»

«Io…» ricominciai un po’ intimidita. Decisi che la verità era la strada migliore. «Stavo tornando dal campo da Quidditch» spiegai alzandomi nuovamente in piedi. «E stavo passando vicino alla foresta, sa, per levarmi dalla calca. Poi però ho visto uno scintillio d’argento fra gli alberi e sono venuta a vedere.» Lo guardai implorante. «Lo so che è proibito, signore, ma non mi sono allontanata tanto, e poi non è successo niente di grave, non crede…»

«Perdinci, ragazzina, non chiamarmi signore! Chiamami Hagrid e dammi del tu. Mi ci fai sentire vecchio, a chiamarmi signore!» ribatté lui guardandomi con un sorriso.

Io annuii e mi tranquillizzai. «Va bene, sign… voglio dire, Hagrid» mi corressi in fretta. «Ero solo venuta…»

«Tranquilla, perdiana, non ti mangio mica!» ribatté lui velocemente. «Non mi devi dire niente, volevo solo saperlo! È normale voler vedere la Foresta, ricordo che quando ero un soldo di cacio come te anche io ci andavo! È un posto troppo bello per non attirare l’attenzione…» Guardò nuovamente gli unicorni, poi fissò il cielo. «È già tardi…» commentò quasi fra sé. Tornò a guardarmi. «Immagino che tu non hai mangiato, vero?»

Io mi accorsi solo in quell’istante che dovevo ancora andare a pranzo e che doveva essere tardi, ormai. «Accidenti, è vero! Che stupida, mi ero completamente dimenticata…»

«Tranquilla, tranquilla…» ribatté lui bonariamente. «Puoi venire a pranzo da me, anche io devo mangiare…»

A essere onesta avevo un po’ di paura: insomma, quando sei cresciuta a Hansel e Gretel e Pollicino e un gigante simile ad un orco ti invita a pranzo a casa sua non puoi non sentirti leggermente nervosa. Però fino ad allora non mi aveva fatto niente di male, e in ogni caso qualcuno se ne sarebbe pur accorto se fossi sparita senza lasciare traccia. Quindi non dovevano esserci troppi problemi. Annuii.

Lui sorrise di nuovo. «Brava ragazza!» approvò facendomi ridere. «L’altro giorno ho visto dei ragazzini sul limite della foresta. Ma quando ci ho parlato sono scappati a gambe levate. Sai» aggiunse ridendo mentre ci allontanavamo, «credo che ci avevano paura di me!»

Io risi insieme a lui e ci avviammo verso la sua casetta discutendo del più e del meno, come vecchie conoscenze. Aveva un modo di fare burbero e schietto che invitava alla fiducia, e i suoi occhi, nerissimi, erano comunque così buoni che dopo un attento esame era impossibile ritenerlo ancora un violento barbaro.

La sua casa era una specie di grossa capanna, o piccolo cottage, a monolocale, con appesi al soffitto il prodotto di una fruttuosa cacciagione e altri oggetti che non riconoscevo; in un angolo c’era un letto imponente ed un grosso camino scoppiettava su una parete. Era abbastanza grande da poterci entrare in piedi, ma visto vicino ad Hagrid sembrava di proporzioni medie.

Feci appena in tempo a notare tutto ciò che un grosso animale – lì per lì mi sembrò un lupo, ma poi si rivelò solo essere un cane enorme – mi si avventò contro poggiandomi le zampe sulle spalle e cominciando a leccarmi indiscriminatamente tutta la faccia. Se non ci fosse stato Hagrid dietro di me sicuramente sarei finita a terra. Lui mi resse e scoppiò in una risata che nonostante i toni bassi sembrava affabile. «Ci piaci pure a Thor! Ma allora ci sai proprio fare, eh?»

Io non potevo rispondere in quanto avevo la faccia tutta impiastricciata di saliva e l’aggressione del cane non era ancora finita: dopo avermi ripulito la faccia cominciò a saltellarmi intorno e ad aggrapparsi a me nei momenti in cui meno me lo aspettavo, facendomi barcollare tutte le volte.

Hagrid ancora rideva, ma mi portò una bacinella d’acqua gelida con cui potessi lavarmi. Quando tornai più o meno in possesso della mia vista, notai che aveva messo sul fuoco una grossa teiera di rame che controllava di tanto in tanto.

Per quanto non amassi il tè come il latte – e in questo ero una pessima inglese, con gran disperazione di mia madre – ero contenta di avere qualcosa con cui scaldarmi dopo il freddo della partita. Hagrid imbandì un autentico festino, offrendomi dei dolci fatti in casa della consistenza di un dischetto da hockey e alcune tartine, fortunatamente commestibili. Thor aveva appoggiato la testa sulle mie ginocchia e di questo gli ero abbastanza grata, in quanto se non altro potevo rifilare a lui i biscotti senza sembrare scortese.

Era facile parlare con Hagrid, e in più sapeva assolutamente tutto dei dintorni del castello: era come avere una mappa vocale a disposizione. Mi raccontò delle varie creature che vivevano nella foresta (oltre agli unicorni scoprii che ospitava una colonia di centauri, alcuni lupi mannari, diversi ippogrifi e qualche grifone, oltre ad altre creature che Hagrid curava personalmente), delle loro abitudini, di cosa si nutrivano… mi raccontò persino alcuni aneddoti sulla Piovra Gigante del Lago! A quanto sapeva era lì da sempre, o almeno fin da quando lui era arrivato a scuola. A volte sospettava che figliasse e quando i piccoli diventavano grandi la piovra spariva, ma non ne era sicuro.

«È una scuola sempre in movimento, mai un momento di pace» mi spiegò mentre bevevamo il tè. «Pensa che quest’anno Silente ha fatto importare direttamente dal sud Italia un Platano Picchiatore per farlo crescere qui.» Bevve una gran sorsata e, dopo essersi pulito la bocca col dorso della mano, proseguì: «Mica facile, sai, farli crescere in Inghilterra. Ci piace un clima più caldo, di solito, ma il nostro insegnante di Erbologia sa il fatto suo, credi a me! Ha dovuto cambiare il terreno apposta per lui, è una pianta che se non ci dai quello che vuole picchia, e forte, anche, oh!» Bevve nuovamente. La sua tazza era grande più o meno come una pentola media.

«In che senso» chiesi sorseggiando il tè, «picchia?»

«Be’, mica si chiama Platano Picchiatore perché è scemo, sai?» mi disse con un sorriso. «È per questo che è così difficile da tenere: se ti avvicini troppo, pam!, lui ti picchia coi suoi rami. Quindi non ti avvicinare mai, il nostro è ancora giovane ma quei rami in testa fanno male, credi a me!»

Annuii riflettendo un po’ su quella strana pianta. «E perché l’ha fatta importare qui?» chiesi curiosa. «Voglio dire, è pieno zeppo di studenti, gli incidenti potrebbero capitare…»

«Ah, sì…» disse lui vago. Aveva la faccia di uno che si sta avventurando su un sentiero pericoloso. «Be’, credo che il professor Wrightii vuole farci esercizi con quelli più grandi, sai, gli studenti del settimo anno… e siccome non sono facili da capire se non li vedi, Silente lo ha fatto venire qui. Una nuova opportunità, no?» esclamò forzatamente.

Il suo tono non mi convinceva affatto. Aveva l’aria di uno che si sta arrampicando sugli specchi. Forse non mi stava mentendo, ma ero più che sicura che non mi stesse neppure dicendo tutta la verità. «Secondo me è pericoloso» dissi con decisione.

Lui scosse la testa. «La gente dice che sono pericolose un mucchio di cose» osservò con saggezza. «Ma sono quasi sempre pregiudizi. Insomma, la gente ha paura dei Thestral! Come si può…»

«Cosa sono i Thestral?» chiesi io subito.

«Delle specie di cavalli alati, un po’ più magri» mi spiegò lui.

Aggrottai la fronte. «Perché la gente ne ha paura, allora?»

«Be’, vedi» cominciò, «li può vedere solo chi ha visto la morte in faccia, ecco. Per tutti gli altri sono invisibili, anche se se li colpisci senti, eccome…»

«Ah» fu il mio unico commento mentre riflettevo sulle implicazioni che questo comportava. «Ma perché la gente ne ha paura?» chiesi nuovamente.

«Be’, perché sono stupidi, ecco!» rispose lui con forza. «La gente non li può vedere se non vede la morte e allora tutti saltano su e dicono che portano jella e balle simili…»

«Che assurdità» annuii io. La mentalità scettica della mia famiglia, specie dai tempi di Manchester, aveva lasciato poco spazio alle superstizioni. In questo ero una pessima irlandese: ma mio padre non se l’era mai presa a male.

«Appunto» approvò lui riservandomi un’occhiata di apprezzamento. «Sono intelligentissimi ed hanno un senso dell’orientamento pazzesco. Riescono a portarti in un posto anche se non ci sono mai stati…»

«Comodo» commentai pensando a quanto sarebbero stati utili anche per i Babbani.

«Già.»

Rimasi a chiacchierare fino a pomeriggio inoltrato, e quando tornai insieme a lui a scuola eravamo diventati ottimi amici e lui mi aveva strappato la promessa di venirlo a trovare per il tè il sabato successivo.

Ci andai, naturalmente, e consolidammo la nostra amicizia. Mi portò persino al limitare della foresta, facendomi vedere alcune delle creature che allevava lui personalmente.

Quando ne parlai con Severus, lui scosse la testa con aria scettica e non commentò, ma i suoi occhi mostravano palesemente che non approvava. «Potrebbe essere pericoloso, Lily» mi avvertì un pomeriggio dopo che ero tornata da una nuova visita da Hagrid. «I Giganti sono creature rozze, incontrollate e con una estrema propensione alla violenza. In più sono ottusi e barbari. Quell’Hagrid è un Mezzogigante, ci scommetterei la mia media a Difesa Contro le Arti Oscure!»

«E allora deve aver preso più dalla parte umana che da quella di Gigante» ribattei io inflessibile. Alzai lo sguardo da sopra la scacchiera a cui stavamo giocando. «Hai mai provato a parlarci, Sev? Non riuscirebbe a fare del male ad una mosca, nemmeno involontariamente! Torre in A4.»

«Mossa stupida» ribatté lui. «Hai lasciato scoperto l’alfiere. Cavallo in D3.»

«Sapevo lo avresti fatto» ribattei gongolando. «Alfiere nero in A5. Scacco.»

«Bella tattica» ribatté lui. «Ma non funziona. Continui a sottovalutare le pedine, ed è una grandissima stupidaggine. Pedina in B6.»

«Uffa, Sev!» esclamai io poggiandomi allo schienale della poltrona. «Credevo di esserci riuscita per una volta.»

Lui sogghignò. «Pensi troppo alle mosse più immediate. Dovresti costruirti una strategia flessibile.»

«Sì, come se fosse facile» borbottai io guardando la scacchiera. «E in ogni caso sono riuscita a mangiarti la regina, quindi non sono proprio una schiappa!»

«No» concesse lui continuando a sogghignare. «A volte le tue strategie sono talmente pazze da non essere prevedibili. Ma sei ancora una principiante.»

Io ordinai all’alfiere di spostarsi e continuai il gioco in silenzio.

«Ma comunque è pericoloso» riprese lui mentre io continuavo a chiedermi cosa fosse meglio muovere. «Un Mezzogigante non è una compagnia raccomandabile.»

«Oh, ma chi sei, mio padre, Sev?» ribattei io ancora impegnata a pensare alla prossima mossa. «Non ha mai attentato alla mia vita, se non dandomi dei biscotti più duri del cemento, e in ogni caso l’ha fatto in perfetta buona fede!»

«Non sai cos’altro potrebbe fare in perfetta buona fede!» ribatté lui impaziente. «Potrebbe avere un raptus e farti del male! Non si sanno controllare, sono come dei bambini! Dei bambini stupidi, rozzi e maneschi! E malvagi! Insomma, non sai cosa…»

«Sev» risposi io con calma pericolosa. «Hagrid è amico mio. E so che non mi farebbe del male. Fine della storia.»

«No, adesso mi stai a sentire, Lily!» ribatté lui arrossandosi appena per la rabbia. «Forse tu puoi continuare a ignorare quello che ti sta sotto il naso, ma siccome sei mia amica non posso permetterti di farti del male! Lily, i Giganti sono pericolosi, lo vuoi capire? Quello che ha detto la professoressa Harvey non ti ha insegnato niente?»

«Hagrid non è un Gigante» ribattei io muovendo una torre. «E non è pericoloso. Altrimenti Silente non lo lascerebbe stare a scuola, a contatto con i suoi alunni, insomma! È guardiacaccia e custode delle chiavi, e in più gode della più completa fiducia di Silente.»

Rimase per un attimo in silenzio prima di dire: «Silente… è un mago eccezionale, e su questo siamo d’accordo, ma ha anche una grande propensione a… a fidarsi troppo delle persone. Da a tutti una seconda possibilità, anche quando non se la meritano. Insomma, quello che sto cercando di dire è…»

«Ho capito perfettamente cosa stai cercando di dire, Sev» replicai io gelida. «Ma mi fido di Hagrid.»

Si alzò dalla sedia così di scatto che sobbalzai. Prese la sua borsa di prepotenza e ne trasse fuori quello che sembrava un giornale spiegazzato. «Guarda!» mi incitò mettendomelo sotto il naso. «Lo vedi, questo?» Mi indicò la foto in prima pagina: mostrava un paesaggio totalmente devastato da quello che sembrava un ciclone di notevoli proporzioni: alberi sradicati, case semi distrutte, persone che urlavano dappertutto… «È opera di un Gigante» mi disse dopo avermi fatto osservare bene le immagini. «Anzi, probabilmente di più Giganti, ma che importa? Capisci? I Giganti sono incontrollati, e molto, molto forti. In più resistono agli incantesimi, e quindi è tremendamente difficile abbatterli. Sono un pericolo per tutti, te ne rendi conto? Senti un po’ qui» proseguì riprendendo il giornale e cominciando a leggere: «Nella tarda mattinata di ieri si è verificato il passaggio di un clan di Giganti nel basso Norfolk, a poche miglia da Long Stratton. Le creature, non ancora catturate, hanno portato devastazione nel territorio ferendo gravemente quindici persone fra maghi e Babbani ed uccidendo un mago, Thomas Carrey, 54 anni, trovato sepolto nelle macerie della sua casa. La moglie, sconvolta dal lutto, ha dichiarato… Capisci cosa intendo? Neppure i maghi sono al sicuro! Ascolta!» proseguì febbrilmente. «No, ascoltami Lily!» aggiunse quando vide che io stavo per parlare. «Nemmeno il Ministero sa che cosa fare! Il Ministro della Magia ha commentato: “Disgraziata vicenda, ma gli Auror sono già sulle loro tracce e confidiamo di riuscire a riprenderli ed abbatterli prima che combinino altri danni”. Bisognerà poi decidere se credere a queste affermazioni o alle testimonianze di diversi maghi che hanno dichiarato di aver trovato segni inequivocabili della presenza di Giganti nei pressi delle loro case.»

«Quante sciocchezze!» ribattei io piccata. «Se si fossero trovati davvero nei pressi delle loro case non sarebbero in grado di raccontarlo.»

«La gente fa di tutto per farsi notare» commentò lui stringendosi nelle spalle. «Ma non è questo il punto! I Giganti per nessun motivo vanno avvicinati. Non sono come noi, sono poco più che bestie, ottusi e brutali, e…»

«Hagrid non è né ottuso né brutale!» esclamai io. Stavo cominciando ad arrabbiarmi e mi sentivo le guance in fiamme. «Anzi, ha una conoscenza davvero notevole di tutta la foresta e delle creature che lo abitano! Ed è anche tanto cordiale, mi tratta con gentilezza anche se sono figlia di Babbani!» esclamai quasi con ferocia. «Non gli importa niente che il mio albero genealogico non sia puro come quello dei tuoi compagni, mi tratta per quello che sono!»

«Anche io ti tratto per quello che sei, Lily!» esclamò lui ferito.

Ma io ero troppo arrabbiata per controllare quello che dicevo. «Sì, e per quanto ancora durerà, Sev? Hai visto come mi guardano i tuoi compagni, sai cosa la pensano la maggior parte dei maghi sui… su quelli come me! Quanto ci vorrà perché riescano a corrompere anche te? Fra quanto credi che…»

«Lily!» esclamò lui arrabbiato e anche mortificato. «Credi davvero che… credi davvero…»

Tutta la mia rabbia parve sparire come per magia. In un attimo, ebbi orrore di quello che avevo appena detto. «Sev, io…» cominciai mentre mi venivano le lacrime agli occhi. «No, Sev, no, assolutamente no, sono solo…»

«Pensi davvero che riuscirei a fare una cosa del genere?»

«No!» esclamai cercando di rimediare al gigantesco pasticcio che avevo creato. «Scusami, sono una stupida, una ragazzina, è che… oh, Sev!» esclamai scoppiando a piangere e rannicchiandomi appoggiata al muro. «Sono stanca, Sev, e non so neppure cosa dico! Cosa c’è di sbagliato nell’essere venuti dai Babbani? Che differenza c’è? Cosa ho fatto io di male?» Nascosi la testa nelle ginocchia.

Lo sentii accucciarsi accanto a me e poco dopo la sua mano strinse forte la mia spalla. «Shh, Lily, non cambia assolutamente niente» sussurrò. «Tu sei una strega bravissima, sei una delle prime, qui! Insomma, il professor Lumacorno ti adora!»

Risi fra le lacrime. «Sì. È ridicolo, vero?» Tirai su col naso e mi asciugai gli occhi. «Sono una stupida» dissi stizzosamente. «Una stupida bambina piagnucolosa. Odio piangere! E per cosa, poi? Per idioti come… come Malfoy, o Avery, o chi so io…»

Mi passò, con mia grande sorpresa, una mano dietro le spalle, in un gesto di conforto che non mi sarei mai aspettata da lui. Sevreus semplicemente non sopportava le manifestazioni di affetto, ancor meno se richiedevano il contatto fisico. Poteva ancora ancora sopportare una stretta di mano, o un abbraccio di massimo un secondo cronometrato, ma niente più. Aveva una tale repulsione per ogni tipo di vicinanza che aveva contagiato anche me: gli unici abbracci che ora potevo sopportare erano quelli dei miei genitori e quelli che decidevo di dare io di mia spontanea volontà. Se una persona mi abbracciava troppo a lungo o troppo intensamente rimanevo totalmente imbarazzata o provavo un vago senso di disagio misto a fastidio. Però quella stretta era leggerissima ed esprimeva solo conforto, quindi mi ci adattai velocemente. Anzi, mi fece molto meglio di quanto avrebbe fatto quella di chiunque altro proprio per la sua rarità.

Perciò mi aggrappai in silenzio alla sua mano e rimanemmo così per un tempo che sembrò passare subito durando un’eternità.



ANGOLO AUTRICE

La guerra si avvicina…

Ok, enorme cacchiata: la guerra è fuori ed è ancora a stato embrionale, quindi ciccia. Però si è parlato parecchie volte delle devastazioni dei Giganti ai tempi di Voldemort, particolarmente in Harry Potter e il Calice di Fuoco, quindi mi è sembrato normale introdurre l’argomento in relazione ad Hagrid…

Ah, e ovviamente questa è la prima presentazione di Hagrid come amico e non come figura marginale, ma in vari accenni sparsi qua e là per i libri mi è sembrato che conoscesse abbastanza bene sia Lily che James, quindi in qualche modo dovevo introdurlo.

Ah, ho cercato di inserire nel suo parlato alcuni degli errori che avevo notato anche nei libri, non so se ci sono riuscita bene: più che altro ho evitato i congiuntivi ed ho inserito più “ci” del dovuto…


Immagino che potrei puntualizzare un altro paio di cose, ma non mi va, a essere onesta: attirerei i vostri sguardi su alcuni errori che ho cercato di camuffare, e da parte mia non sarebbe propriamente una furbata…

Perciò, arrivederci a tutti, vivi morti e anche brutti (minsk, ho fatto la rima… O.O).


ANGOLO PUBBLICANTE


Minsk, che per chi non lo sapesse, è la capitale della Bielorussia!


Perdonate, ma è un giochetto che facciamo sempre io e Sil.

Perdonate anche il mio tremendo ritardo nell'aggiornare, ma domenica scorsa non ero a casa e invece questa domenica cercavo di sopravvivere con le stampelle -.- Non è affatto facile! Se poi considerate tutte le persone che a scuola te le fregano con frasi tipo: “Guardatemi! Sono il Dottor House” o minchiate del genere capirete il mio umore -.-

Fortuna che tra un po' me le levo...


Ehm... Tornando alla storia, chiedo ancora scusa e prometto che farò pubblica ammenda in qualche modo u.u

Passiamo alle recensioni!

  • _NEMO: scusa non l'ho rifatto, ma le mie giustificazioni sono presentate abbastanza su ^^ Sono contenta che il chap ti sia piaciuto! Anche io adoro il Quidditch, anche se senza James <3 non è la stessa cosa u.u Diciamo che ci rifaremo i prossimi anni :D Lily è trooooppo carina e pucciosa *_________* E le Serpi sono maschiliste -.- Quindi non meritano di vivere u.u Tranne Tom <3 Alla prossima!

  • malandrina4ever: BOCCOLI D'ORO!!! Ti giuro che mi sto ancora sganasciando dalle risate! Povero Malfoy! Lui, l'unico che fa swiiish grazie a Pantene, declassato a BOCCOLI d'oro... XD Ti ho amato u.u Anche per la grassezza della pantegana -.- Non si merita nemmeno un fottutissimo cuore -.-

    A chi piace l'insalata? È... erba venuta male! C'è anche gente che la mangia scondita... a 'sto punto va a fare compagnia alle mucche -.-

  • S_marti_es: ahahahahaha! Povero Malfoy! Nessuno lo apprezza! :D Non diamogli la soddisfazione di vedersi finalmente con dei capelli maschili! Si, sono maschili anche se non ci sono u.u Le donne non sono pelate -.- Gli uomini sì -.- Grazie mille per le immagini! Sono contenta che ti piacciano!

    Muahahaha!! Io detengo il ppppotere!! POTERE!!!

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Capitolo 17
*** Capitolo 10 - Feste Noiose e Fotografi Schizofrenici ***


Prima parte: I anno

Capitolo 10 – Feste Noiose e Fotografi Schizofrenici

 

Il primo dicembre Remus mancò da scuola dicendoci che sua madre era gravemente ammalata. Mi spaventai un po’ a quella notizia, ma tornò poco tempo dopo dicendoci che fortunatamente era guarita e, sebbene fosse ancora molto debole, non temevano ricadute immediate.

Il tempo dalla partita al mio ritorno a casa trascorse così velocemente che a volte mi chiesi che fine avesse fatto; il fatto è che era straordinariamente facile abituarsi alla routine di Hogwarts: lezioni, compiti, chiacchierate, incantesimi…

Il giorno prima dell’inizio delle vacanze, il professor Lumacorno organizzò un’altra delle sue cenette, invitando sia me che Severus, i migliori del suo corso.

In realtà ero un po’ imbarazzata: cosa mi sarei dovuta mettere per un’occasione del genere? Non avevo portato nessun tipo di vestito… il mio sguardo sconsolato cadde nella mia sezione di armadio e si calamitò sulla semplicissima veste da mago nera che mio padre aveva insistito per prendermi da Madama McClan quando lei me l’aveva fatta vedere. Era quanto di più semplice si potesse immaginare, ma in mancanza di meglio…

La tirai fuori dall’armadio e la guardai meglio: complessivamente era un bel capo, non attirava l’attenzione e poteva essere adatta a qualunque circostanza. Mi cambiai velocemente e mi guardai allo specchio del bagno, critica.

In quel momento entrò Alice. «Ehi! Stai bene così, Lily!» esclamò guardandomi attentamente.

Io mi voltai di nuovo verso la mia immagine riflessa. «Dici?» commentai scettica.

«Sì, è proprio bella questa veste!» rispose lei guardandomi con attenzione. «Girati!»

Ruotai su me stessa e mi sottoposi al suo esame. «Mhm» commentò lei girandomi attorno come una sarta. «Allora, hai un aspetto molto… molto… come dire?… una via di mezzo fra serioso e chic. Sì, mi piace! Ma» aggiunse prendendo una ciocca dei miei capelli e guardandoli con aria critica, «questi vanno sistemati.»

Rivolsi un’occhiata esasperata al mio riflesso. «Lo so, ma non ho assolutamente idea di come…»

«Lascia fare a me!» mi interruppe allegramente lei. «Hai dei capelli talmente meravigliosi che sarà semplicissimo… oh, non ti farò niente di troppo elaborato» aggiunse in risposta al mio sguardo guardingo, «lo so anche io che non ti piacciono, e credo di essere d’accordo… però lasciami fare, ho sempre desiderato poter sistemare i tuoi capelli, sono così belli… lisci, soffici, setosi…»

La guardai a bocca aperta mentre cominciava a trafficare con spazzola e pettine. «Stai scherzando, vero? Pendono mosci come delle tende e per di più hanno un colore assolutamente pazzo!»

«Hanno un colore meraviglioso» ribatté lei. «E non penderanno affatto mosci quando avrò finito. Siediti.»

Mi sedetti sul mio letto scoraggiata e la sentii trafficare con i miei capelli per quasi un quarto d’ora, prima che ritirasse la spazzola e dichiarasse trionfante: «Fatto! Ora prova di nuovo a dire che sono mosci!»

Mi condusse davanti allo specchio e mi sottopose al mio stesso esame. Aveva detto la verità, non aveva fatto niente di complicato: i miei capelli erano semplicemente tirati indietro in una specie di grossa coda che lasciava tutti i capelli spumeggianti attorno. Non sapevo come riuscissero a sfidare la gravità a quel modo, fatto sta che lo stavano facendo e ci stavano anche riuscendo bene. Si movevano anche appena, come sospinti da una piccolissima, insistente brezza di vento.

«É…» cominciai stupefatta, sfiorando appena lo specchio con la punta delle dita. «…Strano» conclusi guardandomi. Quella ragazza non sembravo io.

«Sei bellissima, invece» rispose Alice guardandomi soddisfatta. «E credo tu sia anche in ritardo» aggiunse guardando l’orologio. «Per che ora dovevi essere lì?»

«Io e Severus pensavamo di ritrovarci alle otto nel Salone di Ingresso» risposi distrattamente, intenta a guardarmi da tutte le angolature possibili.

«Ehm, Lily?» disse Alice picchiettandomi su una spalla.

«Sai, credo che dopotutto non sto così male» conclusi stando ferma. «Grazie mille, Alice, non so cosa avrei fatto senza di te…»

«Lily? Non perché non mi faccia piacere, ma… ecco, adesso sono lo otto passate…»

Mi voltai di scatto verso di lei – i miei capelli assecondarono con grazia il mio movimento. «Passate da quanto, esattamente?» chiesi con un principio di orrore.

«D-dieci minuti? Più o meno…»

Non riuscì a terminare perché io me ne uscii con un urlo strozzato e mi precipitai fuori. Ritornai tre secondi dopo perché avevo dimenticato la bacchetta e le scoccai un veloce bacio sulla guancia mormorando: «Grazie!» prima di scendere a precipizio dal dormitorio.

La Sala Comune era affollata, come sempre, ma non ci feci caso perché fortunatamente riuscii a raggiungere il ritratto della Signora Grassa molto più in fretta di quanto non mi sarei aspettata. Mi sembrava quasi che tutte le persone che stavano fra me e quello si fossero ritratte…

Percorsi le scale a velocità massima, e grazie ad alcune delle scorciatoie che avevo scoperto con Remus o con Severus riuscii ad essere nella Sala d’Ingresso in un tempo ottimo, anche se avevo li fiatone.

Severus era lì ad aspettarmi, anche lui vestito di nero. «Scusa, Sev» ansimai quando finalmente lo raggiunsi. «È che Alice mi ha aiutato e non mi sono accorta di che ore fossero…»

Non mi dava l’aria di ascoltarmi: era rimasto vagamente scioccato dal mio arrivo. Ovvio, dovevo avere un aspetto terrificante, sentivo il fiato andare e venire ed ero più che sicura di aver rovinato l’acconciatura, se così si poteva chiamare, che mi aveva fatto Alice. Inoltre senz’altro avevo il viso arrossato dalla corsa. Insomma, povero Severus, dovevo averlo sconvolto arrivando in quello stato.

«Mi dispiace, ti giuro che non ci avevo proprio fatto caso…»

«Non importa, figurati» mi rispose lui con aria assente. Si riscosse appena e sorrise. «Stai benissimo, sai?»

Arrossii appena e scrollai le spalle. «È tutto merito di Alice, in realtà, io ero lì a disperarmi, ma poi è arrivata lei e… puff! Un secondo dopo non mi riconoscevo più.»

«Ha fatto un ottimo lavoro» disse lui prima di arrossire e cambiare precipitosamente discorso: «Lucius mi ha detto che le cenette del professor Lumacorno si tengono nel suo ufficio.»

«Andiamo allora!» esclamai io allegramente per dissolvere quel momento di imbarazzo.

Ci avviammo e quando arrivammo per un attimo credetti di aver sbagliato porta: ci ritrovavamo infatti in un grande stanzone addobbato con metri e metri di seta verde, rossa, blu, oro… dava l’impressione di trovarsi in una tenda. Inoltre era affollata all’inverosimile, c’erano dozzine e dozzine di persone. In un angolo riuscii a scorgere un piano orchestra e al centro era riservato uno spazio per le danze.

«Ah, Lily, Severus!» urlò la voce del professor Lumacorno mentre lui stesso parve materializzarsi davanti a noi. «Vi stavo proprio aspettando… una festa ben riuscita, vero?» disse poi orgoglioso, guardandosi attorno.

Indossava una specie di marsina color verde acqua con passamaneria argentata e le calvizie incipienti erano coperte da un cappello da mago coordinato. Mi afferrò per una spalla e ci trascinò fra la folla, salutando di tanto in tanto i numerosi ospiti.

«Ah, Augustus!» chiamò ad un certo punto facendoci sobbalzare. «Ragazzi, vi presento Augustus Wooster, un mio vecchio studente, grande distillatore di Pozioni e direttore della rivista Mille e uno modi per usare le Pozioni. E questi, Augustus, sono Lily Evans e Severus Piton, sono sicuro che ti ricordi quando ti ho parlato di loro due, gli studenti più versati per la mia materia che abbia mai conosciuto… questa signorina mi ha preparato non più tardi di ieri un perfetto Liquore Distensivo, ne ho provato una goccia ieri sera e mi sono addormentato come un fringuello… e in più è riuscita anche a controbilanciare gli effetti collaterali dell’oppio aggiungendo un pizzico di estratto di arabica. Dico, come ti può venire in mente di aggiungere arabica ad una pozione per il sonno?»

«Notevole, davvero notevole» commentò un mago basso e esilissimo dai sottili baffetti neri. «La ragazza chiaramente ha un dono…»

«Proprio così!» annuì entusiasticamente Lumacorno. «Pensa che ieri il Liquore non aveva neppure quel sapore di stantio che assume di solito, ma, indovina?, sembrava di mandar giù un sorso di cognac! Ah, non so come abbia fatto ma è stato geniale…»

«Geniale davvero» annuì l’altro pensoso guardandomi attentamente. «La signorina Evans senz’altro ha un futuro appena uscita da Hogwarts… hai già pensato a cosa ti piacerebbe diventare?» mi chiese continuando a scrutarmi.

«Veramente no, signore» risposi un po’ imbarazzata. «Non ho… ancora fatto in tempo a guardarmi attorno come si deve…»

«Be’, dovresti pensarci» mi incalzò lui. «È sempre meglio cominciare a farsi un’idea fin dall’inizio…»

«Sì, signore» risposi io.

«Ah, e Severus sarebbe uno studente assolutamente eccezionale, l’unica pecca è che è capitato in classe con questo piccolo genio… ma la professoressa Harvey ne parla benissimo e dice che è il migliore della sua classe…»

Vidi Severus arrossire appena e sorrisi.

Parlammo con il signor Wooster ancora un po’, poi Lumacorno si allontanò per salutare qualcun altro e noi con una scusa ci defilammo verso il tavolo dei rinfreschi.

«Fiu…» commentai io. «Credevo che non saremmo riusciti a liberarci più da lì…»

Lui annuì e prese una limonata, mentre io mi servivo acqua. «Hai visto qualcun altro del nostro anno?»

Io mi guardai attorno, cercando di scorgere qualche volto familiare, ma non trovai nessuno. «Non mi pare» risposi sorseggiando l’acqua. «Ma c’è tanta confusione che non ne sono sicura…»

Lui annuì.

«I signori mi scusino» disse quello che sembrava un tavolino ambulante avvicinandosi.

Aggrottai le sopracciglia spostandomi. «Cosa…?» cominciai a chiedere quando una creatura buffissima, dalla pelle di una strana tonalità di verde e con due enormi orecchie, alzò il vassoio che reggeva sulla testa e cominciò a metterci sopra altre pietanze.

«Cosa sei?» chiesi infine completamente sbalordita.

Lui alzò verso di me due acquosi occhi a palla. «Pecky è Elfo Domestico, signorina» rispose riuscendo, non capii come, a inchinarsi tenendo fermo il vassoio.

Guardai Severus in cerca di lumi e, siccome non ne arrivavano, chiesi ancora: «Cos’è un… un Elfo Domestico?»

«Percky è umilissimo servitore dei signori» trillò lui in risposta. «Percky aiuta a tenere in ordine la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.»

Aggrottai la fronte. «Una sorta di… di inserviente, diciamo?» chiesi cercando di non offenderlo.

Ma lui parve solo raggiante che avessi afferrato così in fretta. «Sì, signorina, sì!» esclamò entusiasta. «Percky vive per tenere pulita la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts! È il suo scopo nella vita!»

«Ah!» esclamai io sempre più perplessa.

«Percky può fare qualcosa per la signorina?» aggiunse continuando a scrutarmi.

«No, no, grazie Percky» risposi io in fretta con un sorriso.

Lui sprofondò in un nuovo inchino e, dopo aver finito di caricare il vassoio, tornò a mischiarsi con la folla.

«Che buffa creatura» commentai con Severus guardando il punto da cui era sparita.

«Già» annuì lui. «Mia madre mi aveva accennato una volta agli Elfi Domestici, ma non ne avevamo più parlato… hanno lo scopo di servire, è uno stile di vita, per loro.»

«Solo servire?» chiesi curiosa.

Lui annuì. «Ma a quanto so a loro piace» aggiunse scrollando le spalle. «È l’unica cosa che sappiano fare…»

Lasciammo cadere il discorso quando Lumacorno ci venne nuovamente incontro, trascinando più o meno per un braccio un altezzoso Lucius Malfoy. Rimasi stupefatta quando si fermò davanti a noi assieme al suo improbabile accompagnatore. «Lily, so che tu e Lucius avete avuto alcune divergenze in passato, ma sono sicuro che tutti e due sareste lieti di metterci sopra la parola fine» attaccò subito afferrando anche un mio braccio e avvicinandomi a loro due.

Incontrai i freddi occhi metallici di Malfoy e strinsi le labbra. Saremmo stati lieti di fare cosa?

«Ma certamente, professore» disse cerimoniosamente Malfoy riservandomi uno sguardo beffardo. «Quale magnifica idea…»

Si stava prendendo gioco di me. Sarebbe stato palese agli occhi di chiunque, se non a quelli parziali del professore. Ora, sapevo che era uno studente più grande, che conosceva più incantesimi di quanti io ne avrei saputi prima di raggiungere il sesto anno e che non aveva neanche una particolare inclinazione alla pietà, ma il suo nemmeno troppo celato disprezzo stuzzicava una parte di me che era meglio lasciare a riposare: quando mi arrabbiavo facilmente perdevo il controllo pur di guadagnare alcuni punti. Quindi alzai il mento e gli rivolsi un sorriso tanto scintillante quanto falso. «Ovviamente, professore» annuii con molto più coraggio di quanto in realtà non provassi.

«Splendido!» esclamò lui stropicciandosi le mani. «Quindi è tutta acqua passata?»

«Tutta» ripeté strascicato Malfoy prendendomi una mano e chinandosi a baciarmela.

Rimasi a dir poco sconvolta da quel gesto, ma cercai di non darlo a vedere. E non appena incrociai i suoi occhi, potei nuovamente vedere che lo stava facendo solo per mostrarmi quanto fossi inferiore.

Perciò sorrisi ancora e mi inchinai con tutto il garbo che mi aveva insegnato mia nonna prima di morire. Testa alta, piega appena il collo, fai sembrare tutto un unico movimento.

Era assurdo, pensavo fra me e me, che la mia prima occasione di sperimentare una riverenza fosse di fronte ad un ragazzo che mi odiava solo per prendermi una ripicca. Forse stavo sbagliando. Ma non riuscivo a non reagire. Ogni insulto, pur venendo da parte di un ragazzo più grande, pur cerimoniosamente velato, andava ripagato allo stesso modo.

Il suo sorriso si allargò appena mentre io mi ritiravo su.

«Una riverenza degna di una regina» disse una voce dietro di me.

Voltandomi, vidi una delle ragazze più belle su cui avessi mai poggiato lo sguardo: capelli biondissimi, con una coroncina di fiori gentilmente poggiata sui boccoli ordinati, il vestito più bianco e spumoso di una nuvola, gli occhi della più chiara tonalità di azzurro, era una visione capace di mozzare il fiato a qualunque uomo di buon senso. Mi sembrava una delle principesse delle fiabe che leggeva mia madre.

«Cissy» la salutò Malfoy inchinandosi appena e prendendola sotto braccio dopo averle sfiorato entrambe le mani con le labbra. Si voltò di nuovo verso di me. «Permettimi di presentarti la mia fidanzata. Narcissa Black. Cissy, questa è Lily Evans.»

Piegai appena la testa di fronte alla ragazza e lei mi rispose con un’ironica riverenza. «Così questa è la piccola Evans» fu il suo commento mentre mi squadrava da capo a piedi con un sorriso scintillante, ma freddo. «Ho saputo tante cose su di te…»

«E noi su te, Black» rispose una voce musicale dietro di me mentre due mani mi si poggiavano sulle spalle. Alzai la testa e vidi Debbie in abito dorato rivolgermi un sorriso di complicità. Poi alzò nuovamente uno sguardo vagamente critico sulla coppia. «Stringiamo nuovi legami di amicizia, vedo» commentò con estrema cortesia.

«Pensavo fossi tu la maggiore promotrice della fratellanza fra Case» rispose Malfoy con voce di velluto.

«È chiaro, Malfoy» replicò dolcemente Debbie. «Quali incredibili perdite subiremmo altrimenti?»

«Nessuna che sapremmo sopportare» ribatté con egual dolcezza Narcissa Black.

Vidi un sorriso leggermente sdegnoso dipingersi sulle labbra di Debbie mentre le due si squadravano sempre con falsa e ostentata amichevolezza. Erano probabilmente le ragazze più belle di tutta la sala; tutte e due bionde, ma in modo completamente diverso: i capelli di Debbie potevano ricordare il grano maturo, o l’oro, quelli di Narcissa sembravano piuttosto raggi di luna, tanto erano chiari. La prima aveva gli occhi profondi e vellutati, la seconda freddi e ghiacciati. La carnagione di Debbie era quasi dorata, morbida, quella di Narcissa ricordava l’alabastro o la porcellana di una bambola.

Lumacorno ci stava guardando con attenzione, una mano sulla spalla di Severus. Dovevamo formare uno strano quadretto: da una parte due ragazzi platinati sottobraccio, di fronte a loro una ragazzina rossa vestita di nero con dietro una bionda sedicenne in oro, e in mezzo, ma un po’ indietro, un grosso professore con accanto un altro ragazzino pallido in abito nero.

Qualcun altro dovette pensarla così perché un ometto ossuto spuntato fuori dal nulla ci scattò una fotografia prima che chiunque di noi se ne potesse accorgere.

«Ah, Grenville!» esclamò il professor Lumacorno facendosi avanti. «Vieni, vieni, ti voglio presentare i miei ragazzi!»

«Degli ottimi soggetti» rispose lui guardando con soddisfazione la macchina fotografica.

Il nostro quadro si era sciolto, Debbie mi aveva levato le mani dalle spalle e si era messa a fianco a me, strizzandomi l’occhio. Si era avvicinato anche il capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro, Roger Goldwyn, e le aveva passato una mano in vita.

Dall’altra parte Malfoy e Black si erano cominciati ad allontanare e io mi ero avvicinata a Severus, riprendendo il mio bicchiere.

«Ragazzi!» stava cinguettando intanto Lumacorno. «Voglio presentarvi Grenville Winkworth, il più grande fotografo che La Gazzetta del Profeta abbia mai avuto e mio ex allievo! Credo ci abbia immortalato tutti con uno dei suoi scatti a sorpresa!»

«Proprio così, Horace carissimo» rispose lui mellifluo. «Formavate un bel quadro, un bel quadro davvero… Tu, ragazza!» proseguì rivolto a Debbie. «Dì, mai pensato ad una carriera come modella?»

«Decisamente no, signore» rispose lei scioltamente.

«Ah, la signorina Meadowes è una che crede nelle virtù del cervello!» spiegò Lumacorno al fotografo. «La vedremo Capo Dipartimento entro pochi anni, se vuoi la mia…»

Mi eclissai discretamente con Severus mentre gli altri continuavano a ciarlare di foto e carriere.

Bevvi di getto un sorso d’acqua, ma era chiaro che avevo bisogno di ben altro… guardai Severus.

«Be’, cosa ne pensi?» gli chiesi mentre anche lui beveva la sua limonata.

Lui si strinse nelle spalle. «Sto pensando che mai, per tutto l’oro del mondo, farei il fotografo» disse con una certa forza.

Ridacchiai. «A essere onesta, neanche io» confessai. «Mi sembra un lavoro particolarmente noioso.»

Lui non rispose e continuò a guardasi attorno. Io mi avvicinai alla finestra più vicina e mi sedetti nella nicchia, facendogli segno di venire a sedersi accanto a me.

«Credi che dovremmo venire la prossima volta?» gli chiesi indicando con un ampio gesto del bicchiere tutta la sala.

Si strinse nuovamente nelle spalle. «Non lo so» rispose cauto. «Voglio dire, non sono particolarmente divertenti e su questo sono d’accordo, però potrebbero tornarci utili, specie fra qualche anno…»

«Sarà…» dissi io sorseggiando l’acqua, «ma per quanto mi riguarda ne riparleremo fra qualche anno.»



ANGOLO AUTRICE


Festino di Lumacorno? Qualche lume sulla dinamica?

Qui ho inventato quasi completamente di sana pianta: mi è sembrato logico presupporre che il professor Lumacorno, che secondo l’autorevole parere di Silente “formava una specie di club dei suoi prediletti con sé stesso al centro, presentava l’uno all’altro, creava utili contatti tra i membri…”, avrebbe fatto del suo meglio per sanare la spaccatura fra uno dei suoi studenti più promettenti per nascita, ricchezza, contatti e, probabilmente, “fascino personale” e uno dei suoi nuovi astri nascenti delle Pozioni.

In quanto al resto, non credo ci sia altro da dire. “Grifondoro e Serpeverde si detestavano per principio”, come dice Harry, quindi niente di cui stupirsi se quattro ragazzi delle due Case opposte e dello stesso anno si detestassero, specie considerando che qui ho fatto Debbie Sanguesporco.


Bene, nient’altro. O forse sì. Be’, se me ne ricorderò vi farò un fischio e spererò che qualcuno si volti. Per ora, solo i miei più calorosi arrivederci e grazie a chiunque sia in linea ;p

Parola alla mia più soddisfacente sorella, che potrà riuscire lì dove io ho fallito (profezia per la vita, fra l’altro…).


ANGOLO PUBBLICANTE


Profezia per la vita un par di palle -.- In questo momento TU sei in America a goderti un anno lontano dalla pazzia familiare mentre io sono qui a studiare matematica cercando di non venire rimandata a Giugno -.-

Ah, sappi che odio i tuoi titoli di 2000000000000 km -.- Non mi entrano nelle immagini -.-

Ma ti Lovvo un casino lo stesso u.u

Ehm...

… …

Voi fate finta di non aver sentito niente ok ^^

Avete apprezzato la mia puntualità? Credo che sia una delle prime volte che aggiorno puntuale *ç* Un applauso a moi! Vorrei avvisare che i capitoli a mia disposizione prima o poi finiranno, ora come ora ne mancano sette.

Bastano fino al ritorno di mia sorella, poi non mi sentirete più :(

ECCHISSENEFREGA! Penserete, ma sappiate che mi mancherete.


Recensioni Time!

  • A _Celeno: che bello! Sono felicissima che questa storia ti abbia indotta a recensire per la prima volta *____________* So' soddisfazioni! Grazie mille per tutte le tue osservazioni, l'originalità è una cosa molto importante per una FF! Altrimenti si rischia di scadere nel banale u.u Spero che anche questo capitolo ti piaccia! Alla prossima!

  • A malandrina4ever: tanti patpat per le stampelle, grazie a Dio ora me le sono tolte, ma non mi scorderò mai quello che ne hanno fatto... anche io ho visto gente che usava le mie stampelle per combattere dicendo frasi epiche mentre la gente urlava “Guardate che portano sfiga!” ci spero brutti bastardi, così imparate a fregarmi le stampelle! Ehm... tornando persone serie, si dai ce la possiamo fare u.u

    Ti giuro che i “deliziosi cereali Sirius” mi hanno fatto rotolare dalle risate! Calza troppo bene! Mi sa che per un paio di capitoli James e Sirius (siano sempre lodati) non ci saranno per un po'... francamente non mi ricordo! Dopotutto ancora non si sopportavano u.u

    Al prossimo capitolo!

  • A _NEMO: grazie mille! La mia sorellina, pardon sorellona, è sempre stata geniale in queste cose *ç* Chi non vorrebbe un puledrino dorato *__________* Sono così puccioserrimi! Tanto lo sappiamo che prima o poi Sev distruggerà tutto :'/ Buaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!!!! Con questa disperazione in corpo, mi ritiro! Alla prossima!

Bene! Compiuto il mio compito e fatto il mio fattito, scappo a studiare Biologia <3 per il compito di domani! Fatemi un in bocca al lupo!!

Bye bye!

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Capitolo 18
*** Capitolo 11 - Cuore d'Inverno ***


Prima parte: I anno

Capitolo 11 – Cuore d’Inverno


Trascorsi il viaggio di ritorno con Severus, Remus andò in un altro scompartimento con Potter, Black e Minus, che era entrato a far parte del trio dopo che i primi due lo avevano soccorso in una circostanza poco chiara. Probabilmente l’avevano soccorso e basta, come sembrava necessario fare ad ogni ora del giorno: Peter Minus non era assolutamente quel tipo di persona in grado di badare a sé stesso, aveva bisogno di qualcuno che lo proteggesse, ed aveva scelto Potter e Black, e in misura minore anche Remus. Ora, ad essere completamente onesti e totalmente obbiettivi, quei due riuscivano a sopravvivere ad ogni cosa e ad atterrare anche sulle gambe. Insomma, irritanti al massimo.

Io e Sev, in compenso, eravamo più legati che mai: in qualche modo era il fratello che non avevo mai avuto, se avevo un problema era lui la prima persona con cui ne parlavo, se c’era qualcosa che non mi tornava nelle lezioni era lui che mi aiutava a risolverla, e lo stesso capitava anche al contrario.

Più si avvicinava il momento di tornare a casa e più mi sentivo nervosa: mentre mamma e papà mi avevano mandato spesso delle lunghe lettere colme di affetto, non avevo ricevuto neanche due righe da Tunia. Un silenzio che i miei genitori non commentavano e che mi faceva tremendamente male. Io avevo continuato a scriverle, sperando che un giorno lei avrebbe risposto, ma non l’aveva mai fatto.

Cercavo di renderla partecipe dei miei sogni, delle mie esperienze, dei miei pensieri, ma senza scambio. Nei primi tempi avevo sperato che fosse tutto dovuto al fatto che non si fosse ancora abituata all’idea, che avesse paura dei gufi, che si fosse rotta un polso… me le inventavo tutte per cercare di giustificare quel suo ostinato silenzio, ma passati i primi mesi mi ero dovuta arrendere all’evidenza che Tunia non mi voleva scrivere. Non voleva. Mia sorella non mi voleva parlare.

Su questo Sev non riusciva a consolarmi. Cercava di farmi godere di più il mondo magico, di distrarmi, di farmi pensare ad altro, ma non poteva annullare quel vuoto che sentivo dentro, all’altezza dello sterno, quando ad ogni lettera dei miei genitori non ne corrispondeva una di Tunia.

Una volta arrivati alla stazione, quasi dimenticai di prendere il baule per la fretta di scendere, e una volta sulla banchina mi guardai ansiosamente attorno alla ricerca della mia famiglia. Ma non riuscivo a trovarla da nessuna parte. Guardai sorpresa Severus, che stava tranquillamente trascinando il suo baule senza cercare i suoi genitori.

«I Babbani non possono superare la barriera se non sono accompagnati da un mago» mi spiegò vedendo la mia faccia confusa.

Aggrottai le sopracciglia. «E non potrebbero farsi un elenco dei genitori dei ragazzi nati Babbani per accompagnarli dentro?» chiesi seccata.

Si limitò a stringersi nelle spalle mentre si avvicinava alla barriera. Lo seguii di corsa. «Tua madre non li può accompagnare?» chiesi cercando di trascinare il baule a passo con me.

Si fermò e fece un respiro profondo. «Mia… mia madre non può venire, oggi» disse alla fine mantenendo un tono atono. «Mi ha mandato il biglietto del treno un paio di giorni fa.»

«Stai scherzando!» esclamai sbigottita. «Perché non l’hai detto subito? Ti accompagniamo a casa noi, è ovvio!»

«Lily…» cominciò lui.

«Lily!»

L’espressione di Severus si irrigidì, ma io mi ero girata immediatamente: avevo riconosciuto la voce. Remus mi stava venendo incontro con il suo baule malandato e il suo solito sorriso. Si era liberato di Potter e Black.

«Volevo augurarti buon Natale, a scuola non abbiamo più avuto tempo…» disse arrossendo lievemente.

Arrossii anch’io, probabilmente con molta più violenza. «Oh! Grazie Remus. Anche a te! Saluta tua madre da parte mia, anche.»

«Sì, certo. Ehi, se ho qualche difficoltà con quel tema sulle Pozioni Refrigeranti per Lumacorno…»

«Mi sentirò profondamente offesa se non mi scriverai» conclusi io sorridendo di felicità. Essere la migliore a Pozioni aveva i suoi vantaggi…

«Grazie. Allora ciao!» Sembrò esitare un attimo, poi mi porse la mano che io strinsi sorridendo. Si voltò verso Severus, continuando a sorridere ma con più timidezza. «Buon Natale anche a te, Piton.»

«Lupin…» si limitò a ringhiare lui con una espressione che nemmeno i più ottimisti avrebbero potuto interpretare come lieta.

«Ciao, Lily» concluse lui per colmare il momento di imbarazzo che si era creato. Si allontanò dirigendosi verso una donna dagli stessi capelli biondi e lo stesso viso segnato, probabilmente la madre. La guardai incuriosita. Stanca, lo era senz’altro, ma non sembrava essere stata malata.

Severus continuava a guardare storto nella sua direzione.

Ciò mi fece tornare in mente la sua scortesia precedente. Perciò gli cominciai a dire in tono di rimprovero: «Sev, non potresti almeno provare…»

«Lily!»

Mi voltai nuovamente mentre Alice MacDougal mi correva incontro. Mi abbracciò di slancio e per poco non mi fece cadere, ma sorrisi comunque alla sua irruenza: da quando l’avevo aiutata con una pozione che assolutamente non le riusciva ero per qualche arcana e misteriosa ragione stata nominata sua principale amica, e per quanto fossi più legata a Severus e in misura minore a Remus, e lei al ragazzino dalla faccia tonda, Frank Paciock, era bello avere anche un’amica femmina. Anche perché potevamo parlare nel dormitorio e non dovevamo fingere di interessarci a tutte quelle altre sciocchezze che riempivano i discorsi di Jane Vane e Mary McDonald.

«Promettimi che mi scriverai, questo è il mio indirizzo Babbano, la posta arriva e ce la recapitano via normale, quindi non fare storie che non hai un gufo» mi ammonì con severità. «Io posso mandarti un gufo, vero? Non ho mai capito niente di quello strano modo che usano i Babbani per portare la posta, quei… cosi, come si chiamano? … francofoni? Bolletti?»

«Francobolli» le suggerii io cercando di non ridere.

«Sì, quelli. Insomma, non ci capisco niente, ma tanto i tuoi non si spaventano se vedono Avis, vero?»

«No, direi di no» risposi io. «Solo che la posta Babbana è più lenta…»

«Oh, allora ti scriverò io e tu darai la risposta a Avis, direi che è il modo migliore» concluse lei sciogliendomi dall’abbraccio. «Promettilo!»

Scoppiai a ridere. «Prometto che ti manderò una minuziosa e noiosissima descrizione del nostro albero di Natale e del vestito che metterà mia sorella, contenta?»

«Sì!» trillò lei deliziata stritolandomi un’altra volta le costole e correndo verso i genitori.

Debbie era poco distante, così ne approfittai per fare un cenno di saluto anche a lei, che rispose con una strizzatina d’occhi e un sorriso.

«Andiamo, Lily» mi disse Sev di malavoglia afferrandomi per un braccio e guidandomi fuori dal passaggio.

Poco distanti da lì c’erano i miei genitori. Caspita, non mi ero resa conto di quanto mi fossero mancati…

Lasciai bellamente cadere il baule e corsi loro incontro, abbracciandoli come se avessi avuto le braccia larghe il doppio.

«Tesoro, sei qui…»

«Lils, sei qui…»

«Cucciolo! Ci sei mancata così tanto…»

«Lils, ma quanto sei cresciuta?» aggiunse mio padre quando ci fummo separati quanto bastava per vederci. Rimasi a bocca aperta: quando ero partita, non arrivavo nemmeno alle sue spalle: ora la mia testa sbatteva contro il suo mento.

«Io… io non lo so» balbettai cercando di capacitarmene.

Anche mia madre mi osservò meglio. «Sei sempre più bella» concluse prima di riabbracciarmi.

Mi allontanai dopo essermi guardata attorno. «Tunia non c’è?» chiesi mentre il sorriso mi si incrinava.

I miei esitarono.

«Non c’è?» ripetei mentre un grosso macigno mi sprofondava nel petto.

«Ha… preferito restare in macchina» spiegò alla fine mia madre. «Non… non è stata molto bene, ed ha paura per il freddo…»

«Per il freddo?» ripetei io incredula. «Non viene a salutarmi perché ha paura del freddo?»

«Lils…»

«Perché mi fa questo?» chiesi scoppiando finalmente a piangere. «Cosa le ho fatto?»

Mia madre mi abbracciò forte mentre mio padre mi stringeva le spalle. «Ciao, Severus» disse dopo, forse cercando di cambiare argomento.

Lo udii confusamente rispondere: «Buongiorno, signor Evans.»

«È andato bene, il primo trimestre?»

«Molto bene, la ringrazio…»

«Perché? Perché?» continuavo a balbettare io aggrappata a mia madre. «Credevo l’avesse superato, che non mi volesse scrivere solo perché…»

«Tesoro, lo sai che Tunia è… è ostinata» disse mia madre. «È solo un po’… solo un po’ preoccupata, ha paura di perdere sua sorella…»

«Perdermi?» ripetei io. «Come fa ad aver paura di perdermi se neanche mi vuole vedere?»

«Lily…»

«Tunia non mi vuole bene, non me ne vuole perché sono una…»

«Lily, abbassa la voce!» mi sibilò Severus.

«È meglio se andiamo a casa, tesoro» mi disse mia madre cominciando a pilotarmi fuori.

«Aspettate» mormorai io. «Sev è da solo, può venire con noi?»

Ci fu un attimo di silenzio. Alzando gli occhi, vidi mia madre e mio padre scambiarsi uno sguardo preoccupato.

«Cosa c’è?» chiesi tirando su col naso.

Li vidi nuovamente esitare.

Capii in quell’istante. «È per colpa di Tu… di Petunia?» chiesi gelida.

Non mi risposero, ma i loro sguardi erano eloquenti.

«Sev ha la mia età» risposi con forza, guardandoli tutti e due. «Ed è da solo. Non mi importa niente di cosa voglia o non voglia Tunia, non può tornare a casa…»

«Lily, è tutto a posto.» Mi girai: Severus mi stava guardando con quel suo sorriso amaro che tanto odiavo. «Te l’ho già detto, ho un biglietto per il treno…»

«Me ne infischio!» urlai io per tutta risposta. «Se l’unico problema è che Petunia non riesce a fare i conti con sé stessa…»

«Cecy, Lils ha comunque ragione» intervenne mio padre. «Severus non può fare il viaggio di ritorno da solo, non alla sua età…»

«Lo so, Al.» Si girò verso Severus e gli sorrise, come solo mia madre sapeva sorridere. «Vieni, Severus, ti portiamo a casa.»

Lo vidi fare un istintivo gesto di repulsa. «Non è necessario, non c’è bisogno di…»

«Sev, per favore!» esclamai io. «Mi sentirei davvero meglio se venissi con noi.»

Avevo toccato un tasto sensibile ribaltando la situazione. Nonostante cercasse di mostrare indifferenza, Sev mi era sinceramente affezionato, quanto io lo ero a lui, e sapevo che non mi avrebbe mai volontariamente fatto male. Quindi sarebbe venuto, almeno per me. E in quel momento avevo bisogno di lui.

Vedevo la mia richiesta pesare e fare breccia nella sua mente come se avessi avuto una didascalia accanto. «Se non è un problema…»

«Ma certo che non lo è!» rispose mio padre prendendo anche il suo baule. «Così se Lils si dimentica di raccontarci qualcosa puoi rimediare tu…»


Il viaggio in macchina fu quanto di più angosciante avessi mai sperimentato.

Tunia era lì, con le braccia conserte e le labbra serrate. Quando malgrado tutto le corsi incontro e la abbracciai rimase ferma immobile, irrigidendosi soltanto quanto bastava per farmi capire che la mia stretta non era gradita. Mi ritrassi ferita e mormorai: «Ciao, Tunia…»

«Ciao» rispose brevemente lei, voltando la testa. Quando però notò Severus, che stava aiutando mio padre con i bagagli, il suo sguardo divenne di odio puro. «Lui cosa ci fa qui?» ringhiò.

«Lui è mio amico, Tunia» risposi io irrigidendomi all’istante. «E farà il viaggio di ritorno con noi.»

Si voltò così velocemente che sobbalzai. «Cosa?» ringhiò chinandosi verso papà, che era entrato in quell’istante al posto del guidatore.

«Sua madre non è potuta venire a prenderlo, quindi lo accompagniamo noi» spiegò lui allacciandosi la cintura.

«Cos’ha la tua mammina?» sibilò Petunia quando Sev entrò accanto a me. «Ha cercato di dimenticarsi di avere te come figlio?»

Mia madre si voltò e le vibrò un sonoro schiaffo sulla guancia. «Non ti azzardare mai più a dire una cosa del genere, sono stata chiara, Petunia?» esclamò con la mano ancora alzata mentre mia sorella la guardava stupefatta. «Non sei venuta a salutare Lily, sono mesi che tieni il muso per niente, se ora intendi anche diventare di una maleducazione come questa ti posso garantire che resterai in punizione per un tempo così lungo che sarai vecchia prima di averla scontata!»

Lo sguardo di Tunia era quello di un cane che viene azzannato dal padrone: accusavano mia madre, le dicevano chiaramente “traditrice”. Spostò la mano dalla guancia e si girò verso il finestrino, dandomi le spalle e facendo di tutto per non guardare né me né Severus. Tuttavia, dal movimento delle sue spalle capii che stava piangendo. Provai a stringerle la spalla, ma appena la sfiorai si ritrasse come se fossi stata un ragno, perciò rinunciai, sebbene per poco non scoppiai a piangere anch’io.

«Non ci pensare» mi sussurrò Severus quando mi voltai verso di lui.

«Allora, Lils, racconta! Com’è stato il primo periodo di scuola?»

Cominciai, dapprima esitante, poi sempre più tranquilla, cercando di non rendere la narrazione troppo brillante per non intristire ulteriormente Petunia. Fu comunque uno sforzo vano: dove io cercavo di contenermi, Severus interveniva ampliando e lodando, con un entusiasmo non da lui. Cioè, sapevo che Sev era innamorato di Hogwarts, ma ora sembrava insistere sui particolari più insignificanti, per caricarli di nuovo fascino, trasformava le faccende più banali in eventi straordinariamente magici. I miei genitori ascoltavano e facevano domande, cercando di figurarsi come dovesse apparire, ridendo e divertendosi come se anche loro fossero stati lì. Anche io mi stavo rasserenando, solo l’ostinato mutismo di Tunia, il suo sguardo furente verso il finestrino mi impedivano di essere completamente felice.

Arrivammo a Spinner’s End quando il sole stava già tramontando, e attendemmo che la madre di Severus venisse ad aprire prima di andarcene. Eileen Piton era più magra e lacera dell’ultima volta che l’avevo vista, i suoi abiti erano più consunti e mal curati e i suoi occhi erano ora completamente privi di quella luce che invece animava quelli di suo figlio: erano gelidi e vuoti, e facevano pensare a due tunnel immersi nel buio1. Ricordo che accolse Severus senza palesate manifestazioni di affetto, ma il modo in cui gli passò una mano attorno alle spalle e in cui lo guardò significò più di mille parole. Gli occhi cambiarono d’improvviso espressione: d’un tratto aveva lo stesso sguardo di Severus quando era infelice, quando si sentiva senza via d’uscita, lo stesso modo in cui mi aveva guardato quando ero stata smistata a Grifondoro. Per un attimo, provai una grande pena per lei, cercando di capire cosa poteva aver provocato quello sguardo senza speranze. Quasi in risposta al mio pensiero, quei due occhi nerissimi si alzarono e mi trapassarono, dandomi la sensazione che quella donna potesse leggermi fino in fondo all’anima. Cercai di sorridere, ma lei non ricambiò, e la strana sensazione rimase fino a quando non distolse lo sguardo.

Con un cenno di saluto, mio padre rimise in moto, e io continuai a guardare Severus e sua madre fino a quando non sparirono dalla nostra vista.

Arrivammo a casa in silenzio, anche se scendendo non potei fare a meno di sorridere: anche la casa mi era mancata, con tutte le sue piccole imperfezioni, i fiori alle finestre, il piccolo giardino un po’ trasandato (a parte per l’angolo sotto la supervisione di Tunia, meticolosamente in ordine) e il tappetino con la scritta “Benvenuti”.

Dentro non era cambiato assolutamente niente, se non per una mia grande fotografia che ora capeggiava sul camino del salotto, sorridendo a chiunque entrasse. Sorrisi in risposta e alzai lo sguardo verso i miei genitori, entrambi dietro di me, palesemente felici di avermi di nuovo a casa. Solo Petunia, senza parlare a nessuno, era salita di corsa in camera sua e ci si era chiusa dentro.

Sospirai profondamente e guardai i miei. «Quanto pensate che durerà?» chiesi sperando forse che qualcuno mi rassicurasse con un “Pochissimo, anzi, in questi giorni chiedeva sempre di te, deve essere stata l’emozione…”.

Invece i miei si guardarono e passò qualche minuto prima che mia madre dicesse: «Non molto, credo. Ormai tiene il muso più per abitudine che per altro, il riaverti qui la farà tornare come prima…»

Ma per testardaggine o per altro, Tunia non cambiò per tutta la mia permanenza a casa.




ANGOLO AUTRICE

I bambini sono sempre più ostinati degli adulti nel concedere il perdono… e sappiamo che Petunia non perdonerà mai sua sorella.

Bene, primo scontro a casa Evans registrato dall’inizio dell’anno, primo cammeo di Eileen Prince (tranquilli ai fan, avrà più spazio nel prossimo capitolo) e pausa da Hogwarts e tutto ciò che comporta.

Non credo ci sia molto da dire in relazione a questo capitolo, le cose importanti sono poche e spero che le reazioni descritte risultino realistiche.

Non so se sono riuscita a lasciarlo trasparire (a volte il dover descrivere tutto da un solo punto di vista può risultare limitativo) ma fra Petunia e Severus è stata dichiarata guerra, solo che Severus è uno stratega molto più sottile – il sottolineare lo splendore di Hogwarts sapendo come Petunia avrebbe reagito è una mossa molto più furba di insultarlo davanti ai propri genitori.

Ma forse avrei fatto meglio a lasciare che lo notaste da soli.

Pardonnez-moi ^^”


E ora, prima di fare altri danni, lascio spazio a forze maggiori e allego, come di consueto, i miei più vivi, profondi e sentiti ringraziamenti a chiunque sia ancora qui ad annoiarsi dietro questa storia.


ANGOLO PUBBLICANTE


In questo momento sono divisa in due parti, una è felice per essere tornata a pubblicare la storia, l'altra è annoiata e incazzosa per l'interrogazione di diritto di domani -.- Quindi non fate caso a idiozie su processi o sulla Corte Costituzionale che potrebbero sfuggirmi ^^

La parte felice è contenta di risentirvi e vi porta i saluti personali di LadyMorgan che sono andata a trovare in America per Pasqua! :D Nel caso vi interessi sta bene ed è felice u.u

La parte incazzosa mi ricorda che sto cercando di non ricordarvi quanto io sia in ritardo con l'aggiornamento cianciando di cose inutili...

Chiedo quindi perdono e mi cospargo il capo di cenere, anche se non mi metterò a giurare che non succederà mai più perché dato che la scuola sta per finire, manca un mese esatto senza contare le domeniche :DDD, i prof ci sfondano di verifiche e interrogazioni, come la sopracitata di diritto per cui ora dovrei essere a studiare -.-


Ciancio alle bande, passiamo ora a rispondere alle vostre recensioni!

  • A malandrina4ever: torna esattamente il 29 giugno! Quindi data la frequenza con cui aggiorno, potrebbe anche tornare prima di 7 capitoli ^^ Chi dice che io mi voglia liberare di te ;) Sappi che anche io sono una tua grande fan, anche se non recensisco mai... Adoro soprattutto CaS e le parodie *_____________________* ma anche quelle sui malandrini sono MITICHE! Insomma, amo tutte le tue storie :D Tranquilla per la nuova generazione, mi fa veramente schifo u.u Secondo me è stata scritta solo per impedire che qualcuno scrivesse sui loro figli e quindi è inutile ù.ù James e Sirius torneranno tra un bel po' mi sa, ora come ora ci sono le vacanze e quindi loro non ci sono u.u Spero che tu non smetta di leggere per questo ;) Alla prossima!

  • A Ravenwood: oooooh! Che bello! Un nuovo lettore *O* Ti do il benvenuto :) Sono felice che la caratterizzazione ti piaccia, ti assicuro che è davvero mooolto curata da quella perfezionista dell'autrice! Spero che continuerai a seguirci!

  • A _NEMO: che figata gli scambi culturali! Il fatto che io abbia una sorella che lo sta facendo ora come ora non ha influito sul mio giudizio u.ù Sono felice che la festa sia stata ben riuscita, in tutti i sensi ;) L'unicornino puccioso arriverà! Sono riuscita a non farmi infilzare e quindi prima o poi te lo spedisco! In bocca al lupo con la tua francese!

  • A _Celeno: grazie mille per avermelo fatto notare, a costo di sembrare ignorante, ti dico che credevo che si scrivesse con due Z e che quindi non si è trattato di un errore di battitura ^^” Sono comunque felice che la festa ti sia piaciuta e che Lily rientri nei normali canoni di un'undicenne :D

1 Citazione volutamente presa da Harry Potter e la Pietra Filosofale, capitolo 8, “Il maestro di pozioni”. Nell’originale designava lo stesso Piton. [N.d.A.]

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Capitolo 19
*** Capitolo 12 - Magia Persa e Ritrovata ***


Prima parte: I anno

Capitolo 12 – Magia Persa e Ritrovata

 

Natale arrivò senza gran clamore, con il solito cenone preparato da mia madre ed alcuni amici di famiglia che venivano fin da quando ero piccola. I miei nonni irlandesi non potevano venire, rimasero a Dublino senza dimenticarsi di mandarci i nostri regali, mentre i genitori di mia madre arrivarono portando con loro il solito mega-gigante pudding di mia nonna, completo di monetina d’argento che quasi spaccò i denti di Tunia, sempre torva ma almeno meno di quando ero arrivata.

Era tutto molto bello, ma avevo ancora la sensazione che mancasse qualcosa.

E quando, mentre ci stavamo mettendo a tavola, suonò il campanello di casa, capii finalmente cos’era.

Mio padre era andato ad aprire, e dalla porta avevo sentito la sua voce scoppiare a ridere d’improvviso e parlare esultante, mentre un’altra, altrettanto nota per quanto non la sentissi da più tempo di quanto fossi disposta a sopportare, si sovrapponeva alla sua.

«Will!» esclamai balzando giù dalla sedia e precipitandomi incontro al mio padrino. Gli saltai in braccio senza nemmeno accorgermene, perché fra noi era sempre stato così, e per poco non lo feci cadere. Non sembrò curarsene, stava ridendo, e il modo in cui mi strinse a sé mormorando: «Ciao, fiorellino!» era lo stesso di sempre.

Non riuscii a staccarmi da lui per molto, molto tempo. Mi era mancato da morire, da quando eravamo arrivati a Manchester potevo averlo visto massimo quattro volte e la cosa mi era pesata incredibilmente. E ora era lì. Il mio padrino, il mio primo amore, il mio primo migliore amico, era lì.

«Mi sei mancato» mormorai affondandogli il naso nel collo. «Mi sei mancato proprio tanto!»

Lui continuò a stringermi senza dire niente, ma muovendosi lentamente verso il salotto. Era diverso da come me lo ricordavo: si era lasciato crescere un po’ di barba, i suoi capelli erano più lunghi e c’era qualche segno in più attorno ai suoi occhi. Ma il sorriso era sempre lo stesso.

Mia madre corse subito incontro ad abbracciarlo e ci furono diverse strette di mano fra lui e i miei nonni e gli altri ospiti presenti, e quando finalmente riuscimmo a metterci tutti a tavola mi sembrò che anche Tunia stesse tornando a sorridere.

La neve fuori rendeva ancora più piacevole l’atmosfera, le fiamme del caminetto, i regali erano meravigliosi: un maglione verde smeraldo da parte di nonna Georgie (quella inglese), da cui avevo ereditato gli occhi, di lana pesante con una treccia fatta a lato, un nuovo orologio da polso da nonno Justin, suo marito, una bellissima scatola di matite per colorare da parte di nonna Micky e un album coordinato da nonno Gerry, un pacco di libri di una delle sue autrici preferite da mia madre, uno interamente sullo spazio da papà, e vari vestiti o oggetti da parte degli altri.

Ero felice, scherzavo con gli amici di mio padre e poi correvo dai nonni per ringraziarli, riscaldata dall’atmosfera gioiosa, allegra e spensierata che si sentiva ovunque. Il nostro piccolo salotto era completamente invaso, la musica invitava a ballare e stavamo parlando tutti insieme contemporaneamente, e quando Will mi prese in braccio e cominciò a ruotare su sé stesso a tempo di musica sentii che difficilmente sarei potuta essere più felice. Era sparito tutto, in quel momento non ricordavo che Tunia mi odiava, che Sev non era con me, che non avrei mai avuto speranze con Remus e che Hogwarts mi mancava da morire, ma solo che ero con le persone che più amavo e che niente poteva distruggere quella felicità. Quando ci mandarono a letto era passata la mezzanotte ed io avevo avuto il tempo di rivolgere il solito pensiero a Severus, deplorando il fatto che non avesse accettato il mio invito, ed a Remus, di cui avevo parlato con mia madre che era stata molto comprensiva verso di me e che si era detta ansiosa di conoscerlo.

Il giorno dopo andai in autobus a trovare Severus, con la ferma sensazione che il suo Natale non fosse stato bello come il mio. Lo trovai davanti alla porta di casa sua, seduto sui gradini e con la testa sulle ginocchia. Tutta la felicità che avevo accumulato nelle precedenti ventiquattro ore svanì non appena alzò lo sguardo. Ora i suoi occhi assomigliavano a quelli di sua madre anche nell’espressione, aveva la stessa aria abbattuta, senza speranze, ma la cosa più terrificante era un grosso livido che gli spiccava sulla guancia sinistra, tanto gonfio da deformargli la faccia.

«Cosa è successo, Sev?» urlai correndogli incontro.

Quando gli venni vicina il suo sguardo divenne terrorizzato. «Lily, non puoi restare qui!» esclamò alzandosi in piedi di scatto, con un subitaneo gemito di dolore. «Vattene via, Lily, vattene!»

Non gli prestai nemmeno ascolto: gli corsi incontro e gli guardai il viso, trasalendo d’orrore: aveva il labbro spaccato, oltre alla guancia tumefatta, e faceva fatica a muoversi senza trasalire. «Che ti hanno fatto, Sev?» sussurrai con le lacrime agli occhi.

Levò le mie mani dal suo viso e mi spinse lontano da casa sua. «Lily, devi andartene, vattene!» esclamò cercando di allontanarmi.

«Va bene, vieni con me così ti porto da un medico!» esclamai dirigendomi di nuovo verso la stazione dell’autobus.

Si fermò. «No, Lily, vai tu.»

Mi fermai anch’io. «Non scherzare, Sev, devi andare da un medico!»

Lui scosse il capo.

«Perché no?» esclamai impaziente, cercando di portarlo con me.

Esitò. «Lily, se vedo un medico comincerà a chiedermi cosa è successo, come me le sono fatte e non posso rispondere…»

«Non puoi rispondere? Sev, qui andrebbe chiamata la polizia, altro che un medico! E ora vieni con me, se non vuoi andare da qualcuno ci penserà mia madre, o mio padre, non importa chi ma devi mettere del ghiaccio su quel livido! Puoi restare da noi, e…»

«Lily.» Pronunciò il mio nome senza intonazioni particolari, come una constatazione. «Non posso lasciare mia madre.»

«E può venire anche lei, allora!» ribattei io. «Che problema pensi che ci sia, abbiamo spazio, tu puoi dormire con me e lei…»

«Lily, non lo accetterebbe mai.»

Stavo per mettermi a gridare. «Sev, ti sei visto in faccia? Hai bisogno di cure, di un pasto abbondante e di un buon letto, e poi potremo discutere dei come e dei perché!»

«Lily, se i tuoi genitori mi vedessero così cosa pensi che…?» Si interruppe e si voltò di scatto quando sentì la porta aprirsi dietro di lui.

Istintivamente alzai anch’io lo sguardo e vidi un uomo alto ed emaciato, dai capelli neri e sporchi e le guance insipide per la barba non fatta. Solo gli occhi erano grigi e di notevole bellezza, ma in quel momento erano appannati, sembravano non vedere niente di ciò che c’era davanti a lui, e comunque non riuscivano a controbilanciare un naso troppo adunco e la generale trascuratezza del suo aspetto.

«Lily, vai via!» mi sussurrò Severus mentre l’uomo abbassava lo sguardo e sembrava metterci a fuoco.

Io rimasi aggrappata al suo braccio. Stavo facendo una cosa estremamente stupida, ne ero consapevole, ma Sev non voleva venire, e io senza di lui non mi muovevo. Specie poi se era stato ridotto in quello stato dal padre, non intendevo lasciarlo solo con lui.

L’uomo mosse quattro passi barcollanti verso di noi e fissò il suo sguardo su di me. «Ah, questa è l’amichetta che ti sei fatto in quella gabbia di mostri, vero, Severus?» chiese guardandomi dall’alto. «Sì, capisco perché l’hai presa… speri già di andare lontano, vero?» Si avvicinò fino a sfiorarci e tese la mano verso il mio viso.

«Non la toccare!» sibilò Severus allontanandogli la mano.

Per tutta risposta l’uomo scoppiò a ridere. Non avevo mai sentito una risata così piena di follia. «Cos’è, hai paura che ci faccio male, alla tua ragazzina? Ah! Le ragazzine non sono il mio forte, mostriciattolo.» Mi scrutò spostandosi i capelli dalla faccia. «Cosa hai da spartire con lui? È solo un povero fallito, come sua madre!»

«Non parlare così della mamma!»

Il suo sguardo si indurì mentre si spostava verso Severus. «Ah, è questo che ti insegnano in quella gabbia di matti, vero? Ti ficcano in testa che puoi dare ordini a tutti, solo perché puoi sputacchiare un po’ di formule con quel pezzo di legno! Be’, ho già insegnato io a tua madre che non può, e non avrò problemi a insegnarlo anche a te, mostro!» Alzò la mano per colpirlo. Riuscii a tirarlo indietro abbastanza per evitare il colpo, ma questo sembrò farlo solo infuriare ulteriormente. «Ah, tu sei dalla sua parte, vero? Sei solo un nuovo mostriciattolo che avvelena questo schifo di mondo! Dovreste morire tutti, dovreste essere abbattuti!» Continuavamo ad indietreggiare mentre lui barcollava verso di noi. «Vieni qui, Severus, vieni da tuo padre! Ti insegno io cosa fare con questa magia, con questi poteri! Anche a te, streghetta, vieni qui, vieni, coraggio!»

«Lasciala in pace!» urlò Sev mentre da uno dei muretti incompiuti si staccava un mattone e levitava velocissimo verso la testa dell’altro. Lo colpì con precisione alla tempia, facendolo cadere a terra. «Corri!»

Corremmo lungo tutta Spinner’s End, cercando di mettere la maggiore distanza possibile fra noi e quell’uomo, cercando di non scivolare sul ghiaccio. Arrivammo giusto in tempo per vedere le portiere dell’autobus che ci avrebbe portato nel mio quartiere chiudersi, ma con uno scatto riuscii ad arrivarci vicino ed a farle riaprire. Aspettai poi Severus, che aveva perso parecchie forze in tutta quella corsa, e lo feci entrare prima di me. Pagai il biglietto sia per me che per lui direttamente all’autista, che non fece domande e partì.

Guardai il mio migliore amico ridotto in quello stato, la fronte appoggiata contro il vetro gelido, lacrime silenziose di rabbia e di dolore che gli scorrevano lungo le guance, e mi sentii un verme per essermi sentita così felice solo poche ore prima, senza pensare a lui, senza essermi chiesta cosa stesse passando. Lo abbracciai forte, stringendogli le mani gelate, e lo tenni stretto fino a quando non arrivammo vicino a casa mia.

Una volta scesi, mi voltai verso di lui. «Preferisci che chieda ai miei di aiutarti o che prenda io un po’ di ghiaccio o qualcosa che possa servire e ci penso io?»

Mi guardò. «Potresti pensarci tu?»

Perciò entrammo in casa e salimmo diretti verso camera mia, mentre io annunciavo con voce più disinvolta possibile che ero tornata a casa. Poi scesi in cucina e mi procurai un bel po’ di ghiaccio, che avvolsi in un canovaccio. Quindi tornai su.

Sev era accoccolato nel davanzale della finestra e guardava la neve che aveva cominciato a scendere con un’espressione profondamente abbattuta. Gli poggiai il ghiaccio sulla guancia e mi sedetti accanto a lui. Continuava ad evitare i miei occhi, guardava alternativamente le sue ginocchia o fuori dalla finestra, ma notavo lo stesso che aveva gli occhi lucidi. I suoi vestiti erano fradici, quindi ero andata al mio armadio e gli avevo preso un golf pesante, che lui aveva sostituito al suo solito cappotto.

Rimanemmo in silenzio per parecchio tempo, io che continuavo a scrutarlo pensando al modo migliore per aiutarlo e lui che teneva il ghiaccio e guardava altrove.

Alla fine, poggiò il canovaccio di lato e sospirò profondamente.

«Ne vuoi parlare?» gli chiesi con tutta la dolcezza possibile.

Ed il racconto arrivò, dapprima esitante, poi sempre più fluido.

Quando era arrivato a casa, suo padre non era ancora tornato. Sua madre si era arrabbiata perché ci aveva coinvolto, non voleva che dovessero dipendere da noi, e riteneva che chiedere aiuto a dei Babbani fosse peggio della loro stessa situazione; aveva paura che ci saremmo immischiati nei loro affari e che avremmo cercato di dargli un qualche appoggio non richiesto. Lui si era limitato a portare le sue cose su, e dopo un po’ sua madre era salita e gli aveva detto con aria stanca che probabilmente per lui sarebbe stato meglio restare ad Hogwarts per Natale. Lui aveva ribattuto che non intendeva lasciarla sola e lei allora gli aveva detto che sarebbe stato più facile con lui al sicuro, a scuola. Si era addormentato dopo un po’, stanco dalla lunga giornata, ed il giorno successivo era andato tutto bene, aveva parlato a lungo con sua madre del primo periodo di scuola e le aveva mostrato i suoi libri per farle vedere a che punto erano arrivati.

Poi era arrivato suo padre. Chiaramente era ubriaco, ma quella non era una novità, per lui. Sua madre si era immediatamente messa fra loro due, ma Tobias Piton lo aveva comunque notato. Il suo benvenuto era stato un “Ah, se qui, mostriciattolo. Non vuoi fare altre stregonerie, vero?”. Aveva spostato sua madre con una spinta ed era andato verso di lui. Eileen si era di nuovo fatta avanti, cercando di fermarlo, ed allora tutta la sua furia si era rivolta verso di lei.

Sev piangeva mentre mi raccontava di come i suoi genitori avessero ripreso a litigare, con più forza del solito, mentre il padre picchiava la madre con tutta la sua forza. Ora però non era più un bambino inerme, era in grado di difendersi. Per un attimo aveva avuto paura di essere espulso da Hogwarts, ma era passato tutto quando aveva sentito sua madre urlare. Prima che se ne fosse reso conto, li tavolino della cucina si era sollevato ed era andato dritto contro suo padre, tramortendolo per qualche istante. Sua madre si era alzata, il labbro spaccato, e lo aveva condotto quasi di peso su per le scale, in camera sua, sussurrandogli: «Chiuditi dentro! Fra qualche ora dovrebbe uscire di nuovo, magari non si ricorderà più che sei qui… non si ricorda mai niente. Non uscire per nessun motivo, hai capito? E non usare la magia! O potrebbero venire a vedere che succede!»

Quindi lo aveva chiuso dentro e, quando era tornata, era mattina, e Piton era già andato via. Era Natale.

Comunque, la madre sapeva che sarebbe tornato, o per ora di cena o un po’ più tardi, quindi verso le sette lo aveva riportato in camera e lo aveva nuovamente chiuso dentro. Tuttavia, all’alba si era svegliato a causa delle grida provenienti dal piano di sotto, del rumore di mobili rovesciati, e nonostante la porta chiusa a chiave era riuscito ad uscire e si era ritrovato di fronte il padre più ubriaco del solito che aveva strappato una gamba del tavolo e la stava usando per picchiare la madre, gridando: «Ora non sei più tu la padrona, vero? Chi è che comanda qui? Chi?»

Si era aggrappato alla sua schiena e gli aveva fermato il braccio, ma non era riuscito a bloccarlo, ovviamente. Il padre lo aveva scaraventato a terra, senza più la gamba del tavolo ma infuriato, ed aveva cominciato a picchiare anche lui mentre la madre urlava. Alla fine era riuscita a raggiungere la bottiglia di birra che l’uomo aveva lasciato cadere e gliela aveva data in testa, facendolo cadere di botto. Ma lui non aveva nessun posto dove andare comunque, sua madre si rifiutava categoricamente di rendere pubblica la sua disgrazia, aveva portato nuovamente Severus in camera sua e gli aveva impartito le prime medicazioni lì per lì, con quei pochi strumenti che aveva. Il giorno dopo, quando Sev si era svegliato, era sceso dalla finestra fino al vialetto, per non essere costretto ad ascoltare un’altra volta le litigate dei suoi genitori.

E poi ero arrivata io.

Oltre al racconto in sé, che da solo sarebbe bastato a farmi inorridire, era terrificante anche il modo in cui veniva raccontato, con la voce spezzata, amara, a volte ferma e gelida. E poi, quella era la prima volta in tutta la mia vita che vedevo Severus piangere. Non aveva mai pianto, né quando i bulli della nostra scuola l’avevano pestato a sangue, in quarta, né quando Potter o Black lo prendevano in giro, né in nessun’altra circostanza. Era una sensazione stranissima, anche il semplice prendere coscienza che Sev sapeva piangere. Anche se lo stress psicologico che stava sopportando avrebbe piuttosto reso strano il contrario.

«Perché?» mi uscì dopo un po’ che Severus aveva finito il suo racconto. «Perché non cercate aiuto, Sev? Ci sono delle persone…»

«Lily, quand’è che ti deciderai ad usare il cervello di cui sei dotata?» mi interruppe lui prendendo nuovamente il ghiaccio e distogliendo lo sguardo dalla finestra. «Se ci rivolgessimo ad una qualche autorità magica, verrebbe fuori tutta la situazione di mia madre, il suo matrimonio e le nostre faccende private verrebbero messe su piazza, e lei non vuole. I Prince sono antichi di secoli, e nonostante lei sia considerata una traditrice del suo sangue ha ancora il suo orgoglio. Non intende infangare ulteriormente il suo nome, non è una cosa che riuscirebbe ad accettare.»

«Nemmeno per aiutare te?» sbottai io guardandolo con rabbia.

Sospirò, esasperato. «Lily, cosa pensi che potrebbero fare? Modificare la memoria di mio padre in modo da fargli dimenticare tutto e poi trasferirci da qualche altra parte? Ah!» Il suono, che sarebbe dovuto essere sarcastico, venne spezzato da un gemito quando mosse i muscoli del viso. «Non ne hanno il diritto, in base a non mi ricordo più quale legislazione il Ministero della Magia non ha autorità bastante per immischiarsi in affari multipli fra mondo magico e Babbano.» Si prese la testa fra le mani. «E per di più è una legge recente, quindi avranno tutti gli interessi a farla rispettare.» Sospirò. «E il mondo Babbano, oltre a non essere accessibile per ragioni… etiche, ha la sgradevole tendenza a immischiarsi negli affari altrui.» Mi guardò con i suoi profondi occhi neri. «Cosa pensi che succederebbe se degli assistenti sociali venissero a trovarci? O se portassero tutto in un tribunale?» Rise: era evidente che considerava l’ipotesi talmente surreale da poterci scherzare sopra. «Se mio padre si rivolgesse a un avvocato, e lui decidesse, secondo la prassi Babbana, di ritrarre mia madre come una persona poco rispettabile scavando nel suo passato, cosa pensi che troverebbe? Mia madre non ha un passato, Lily. Non esistono documentazioni della nascita di mia madre, né certificati medici, codici fiscali, certificati di frequenza scolastica o niente del genere. È una persona fantasma, per il mondo Babbano. Certo, quando si è sposata si era provvista di alcuni documenti indispensabili, e immagino che abbiano il suo nome da qualche parte visto che continuano a mandarci le tasse, ma crollerebbe tutto di fronte ad un’analisi approfondita. E allora? Ne verrebbe fuori un disastro, e se siamo riusciti ad andare avanti fino ad ora senza nessun tipo di aiuto, ora che ho Hogwarts che senso pensi che avrebbe?»

Aprii la bocca per ribattere, ma mi accorsi di essere a corto di argomenti. Come al solito, la logica di Sev non faceva una grinza, e non ero abbastanza informata di sistemi legislativi e giudiziari – anzi, a essere onesta non ci capivo proprio niente – per poter offrire alternative valide.

Mi appoggiai scoraggiata allo stipite della finestra. «Cosa pensi di fare, allora?» chiesi dopo un po’. «La mia casa è a tua disposizione, lo sai, se ti dà fastidio non è neanche necessario informare i miei genitori…»

Mi guardò con una punta di incredulità. D’accordo, era difficile fare qualcosa a casa mia a insaputa dei miei genitori, specie considerando che mi fidavo tanto di entrambi che difficilmente tenevo segreti con loro, ma per Sev ero disposta a provare. Non avevo la minima intenzione di permettergli di tornare a casa sua, non ora che sapevo per certo quello che vi succedeva.

Rimasi schioccata per tutti gli anni che lui aveva passato in una situazione simile senza che io me ne fossi mai accorta, senza che fossi mai andata ad indagare…

«Cosa preferisci fare?» chiesi di nuovo.

Lui esitò. Chiaramente non aveva proposte da avanzare e sapeva che senza proposte lo avrei tenuto legato al davanzale fino alla fine delle vacanze. Si raggomitolò su sé stesso e poggiò la testa alle ginocchia. Dopo un po’ la rialzò e mi guardò dritto negli occhi, sussurrando: «Lily, se fossi al mio posto e io al tuo, lasceresti davvero sola tua madre?»

Eccolo qui. Scacco matto, come al solito.

Per un istante mi arrabbiai anche con lui, per quella sua straordinaria capacità di mettermi con le spalle al muro in una sola mossa, ma poi dovetti fare i conti con la ragione. Sapevo perfettamente cosa avrei fatto se fossi stata al suo posto, e ovviamente anche lui lo sapeva. Mi conosceva troppo bene.

Lanciai un mezzo grido di esasperazione e mi alzai cominciando a camminare su e giù per la stanza. «Non è la stessa cosa» dissi alla fine dopo un paio di giri. «La tua è una situazione concreta, non una speculazione filosofica!»

«Appunto» ribatté lui, impassibile. «A maggior ragione essendo la mia una situazione concreta, credi che concretamente la lascerei da sola? Lily, pensaci!»

Ringhiai e ricominciai il mio andirivieni.

Eravamo di nuovo nel bel mezzo di una partita a scacchi che non avevo intenzione di perdere, anche se la mia sconfitta già si profilava. «Va bene, Sev» dissi ad un certo punto bloccandomi. «Riprendiamo in mano la situazione se fossi io al posto tuo e tu al mio.» Lo guardai: a giudicare dallo sguardo aveva capito dove volevo andare a parare. «Se tu fossi al posto mio, davvero mi lasceresti tornare a casa sapendo cosa mi aspetta?»

I suoi occhi dicevano chiaramente “no”.

Scacco. Probabilmente non matto, conoscendo Severus, ma comunque un buon scacco.

Cercò a lungo una risposta, ma sapevo che anche lui, come me, non mi avrebbe mai materialmente permesso di farmi del male. Piuttosto sarebbe andato dal mio supposto padre e gli avrebbe lanciato una fattura. Era più o meno così che mi sentivo anch’io.

Effettivamente non arrivò nessuna risposta, ma non era necessaria. Aveva preso la sua decisione, e la mia non lo avrebbe influenzato.

Mi sedetti sconfortata accanto a lui. «Cosa dovrei fare, Sev?» chiesi, improvvisamente stanca. «Non posso lasciarti andare. Non sapendo cosa ti aspetta.»

«Può darsi che mio padre non si ricordi niente» ribatté lui con un cinismo che mi raggelò. «La sua memoria è completamente corrosa, dopo la botta che ha preso è possibile che non si ricordi niente per un po’.»

«Ma dopo potrebbe tornare in sé stesso» risposi io appoggiandomi allo stipite della finestra. «Lo ha già dimostrato, mi pare.»

Non disse niente, si limitò ad appoggiarsi all’altro stipite.

Io intanto continuavo a pensare. Come facevo a risolvere una situazione del genere? Doveva pur esserci qualcosa che potevo fare…

«Tua madre non può usare la magia per tranquillizzare tuo padre?» chiesi dopo un po’, lentamente.

Lui arrossì e non rispose.

Lo guardai: teneva di nuovo gli occhi bassi.

«Sev?»

Ispirò profondamente e disse: «Mia madre… la sua magia…» Si interruppe come per raccogliere le idee. «La magia di mia madre non funziona più bene.» La confessione gli costava molto, era evidente. «Lei… è vissuta troppo a contatto con mio padre.» Raccolse altra aria prima di continuare. «La magia può essere influenzata dalle emozioni, sai. Mia madre è… è vissuta in un polo negativo troppo tempo. L’influenza continua del mondo babbano, unita alla violenza di mio padre… hanno spento la sua magia.»

«Può succedere?» sussurrai stupefatta.

Lui annuì.

Mi appoggiai di nuovo alla finestra mentre assorbivo il concetto. Perdere la magia… rabbrividii al solo pensiero. La magia era una cosa istintiva, faceva parte di te stesso, ne eri così intimamente legato che era assurdo pensarla scissa dalla tua mente. Pensai a come dovesse essere per qualcuno che nella magia c’era nato e cresciuto e d’improvviso capii l’espressione tormentata e vuota di Eileen Piton. Io mi sarei potuta adattare ad una vita normale, dopotutto c’ero cresciuta fino ad allora, ma lei? Se davvero discendeva da una famiglia purosangue probabilmente non aveva mai imparato a fare niente senza magia…

Cercai di accantonare il pensiero per concentrarmi sul presente, ma l’immagine della madre di Sev continuava a entrarmi nella testa. Ci volle diverso tempo prima che riuscissi a fare nuovamente mente locale sul nostro problema. Al momento, la magia era evidentemente fuori dalla nostra portata. Ed era altamente frustrante, se solo pensavo che c’erano alcuni incantesimi anche semplicissimi che sarebbero potuti servirci, se solo avessimo potuto usarli…

Mi tirai su talmente di scatto che anche lui sobbalzò.

«Ma certo!» esclamai battendomi una manata sulla fronte.

Mi guardò come se temesse per la mia sanità mentale. In effetti, conoscevo i sintomi di quando ero eccitata: gli occhi mi diventavano febbricitanti, i capelli assecondavano la mia pazzia agitandosi e i miei muscoli erano tutti contratti, tanto che i miei movimenti erano scatti. Non proprio la classica immagine della persona sana di mente.

«Sev, qual è la materia in cui noi eccelliamo di più, e che non necessita magia?» chiesi io guardandolo con occhi da pazza. «Pozioni! Oh, certo, solo perché non si sta a strillare formule tutto il tempo non lo monitoreranno, è sicuro… preparare Pozioni non è controllato, ne sono sicura, quel modulo non diceva che il controllo dipendeva dalla bacchetta e dagli incantesimi? Non servono bacchette per preparare Pozioni, Sev, né incantesimi!»

In un attimo anche lui era entrato in quello stato di euforia, aveva seguito perfettamente il mio pensiero. «Certo!» sussurrò mentre i suoi occhi neri si animavano. «Come ho fatto a non pensarci prima?»

«Perché io sono un genio!» mi pavoneggiai scherzosamente, mentre mi tuffavo verso il mio baule cercando il libro di pozioni, salvo ricordarmi, una volta aver rivoltato tutto il suo contenuto, che l’avevo tirato fuori qualche giorno prima e che era sulla mia scrivania.

Non dovemmo sfogliare tanto: la pozione soporifera era una delle più elementari, a detta del professor Lumacorno. Sfogliai gli ingredienti e lessi velocemente il procedimento, mentre la mia mente cominciava a rivisitare automaticamente alcuni passaggi.

Ero esultante: era una cosa che potevamo fare, era una cosa che sapevamo fare ed era una cosa che avrebbe aiutato Severus. Cominciammo subito, rubai di nascosto il fornelletto a gas che mia madre usava tanto di rado da non ricordarsi dove fosse e corsi nuovamente su, premunita anche di una piccola pentola visto che il calderone era troppo grande per starci su, e fra l’altro non ero neanche sicura che avrebbe retto il suo peso.

«Allora, gli ingredienti ci sono tutti?» chiesi mentre mi legavo i capelli per non essere intralciata nel mio lavoro.

Non ci fu risposta: entrambi ci mettemmo efficientemente al lavoro per controllare, e risultò, con un colpo di fortuna insperato, che in effetti c’erano. Meno male che era una pozione semplice! Ci fu qualche problema con l’estratto di camomilla albina, ma alla fine riuscii a trovarlo in fondo alle mie scorte, in quantità appena sufficiente. Tirammo un sospiro di sollievo e andammo avanti.

Non era una pozione lunga, ci volevano meno di due ore per prepararla, e ce la sbrigammo alla svelta. Io, forte della mia media impeccabile, mi ero improvvisata chef, e Severus mi seguiva con il solito ghigno che dimostrava che tanto non lo avrei comandato mai e che mi stava solo assecondando, come si fa con i bambinetti. Ma ne ero felice: mi dimostrava che era tornato sé stesso.



ANGOLO AUTRICE

Buonsalve a tutti i presenti che hanno voglia di leggere anche queste poche parole prima di passare ai ringraziamenti, molto più piacevoli.


Dunque, in questo capitolo ci sono molte cose che ho inventato in quanto non sono riuscita a trovarle (forse per qualche mia negligenza, forse perché non sono mai state specificate).

Prima fra tutte, la legislazione magica: non sono una laureata in Magisprudenza e non sono neppure Hermione, quindi non so se ho sparato un mucchio di fesserie a raffica, ma in ogni caso siccome tutti i Purosangue si lamentavano sempre di più delle infiltrazioni di Babbanofili al Ministero e dell’eccessiva tolleranza degli stessi verso i Babbani, ho pensato che una legge che regolasse le unioni miste non fosse così lontana dalla possibile realtà.

Secondo, per quanto riguarda Eileen Prince ho cercato di interpretare il più possibile il suo carattere in base a quanto risulta nei libri, cioè la sua incapacità di bloccare il marito e il suo rifiuto di chiedere aiuto. La seconda faccenda l’ho attribuita all’orgoglio, la prima ad un eccessivo stress emotivo. Non sono sicurissima che la magia si possa veramente “perdere”, ma che sia pesantemente influenzata dalle emozioni si è già visto, ad esempio quando vengono fuori peggio se un mago è troppo agitato, fino a casi estremi come Merope Gaunt che sembrava una Maganò finché era restata sotto l’influenza del padre e del fratello; diciamo che il suo è il caso a cui mi sono maggiormente ispirata.

Terzo, in quanto al fatto che le pozioni non siano monitorate, è una conclusione dovuta all’esperienza: in Harry Potter e il Principe Mezzosangue Silente dichiara “Si può intercettare la magia, ma non chi la compie”, dando per scontato che si debba quindi applicare una magia. Creare pozioni, se non si usano incantesimi ulteriori, non è un vero e proprio incantesimo, è più lento e in qualche modo più subdolo, quindi a parer mio non era monitorato.


E questo è quanto per questa puntata, spero che non abbiate trovato troppe incongruenze.

Quindi, dopo i miei più sentiti ringraziamenti a chiunque si prenda la briga di leggere, mi resta solo una parola da dirvi: hasta la vista!


ANGOLO PUBBLICANTE


Hola, tanto per rimanere in tema spagnolo ^^

Come state? Non sentite il caldo che vi risveglia i muscoli e gli uccellini che cinguettano sotto la doccia? Come non li sentite?! AMPLIFON! Il primo mese è gratis u.u Io sono troppo felice per il quasi arrivo dell'estate, e quindi della fine della scuola :D:D, da passare la vita a saltellare senza pensare alle verifiche finali :D Come si fa a pensare allo studio quando fuori c'è il sole! E soprattutto quando al cinema c'è Pirati dei Caraibi *________________* Nel caso voi non lo abbiate ancora visto non vi rivelo niente u.u Solo una cosa piccola piccola... I PERSONAGGI MASCHILI SONO UNO PIU' FIGO DELL'ALTRO! E non dico sono Jack, partono cori angelici, ma anche il missionario fa la sua porca figura *_____________* E quindi io prima o poi me lo rivedrò u.u Anche se devo tornare al cinema e spendere 10€ IO CI TORNERO' ù.ù E voi non me lo potete impedire!


Spero che abbiate apprezzato la mia puntualità u.u Mi sono sforzata e mi sono attaccata memo ovunque e alla fine eccomi qui! Puntuale per la prima volta dopo il 2 o il 3 chap! Parlando di capitoli, siamo quasi arrivati a 20! Come siamo bravi neh? Insomma la storia cresce, la trama si infittisce e... non esultate troppo -.- L'essere quasi arrivati a 20 non vi salverà dagli altri 40000 capitoli che sono in cantiere -.-

Dopo questo sclero dovuto al mal di testa, passo a rispondere alle vostre mitiche recensioni!

  • A _Celeno: io non ci avevo nemmeno pensato, me lo sono trovato scritto così, il computer non protestava con le sue simpaticissime sottolineature rosse, o forse sì ma non ci ho fatto caso ^^, e quindi non mi era proprio venuto in mente ^^”

    In effetti la povera Petunia fa un po' pena a tutti inizialmente, ma se poi pensi che non la perdonerà mai... allora mi fa incavolare -.- Anche io sarei stata gelosa, ma non puoi tenerle il muso a vita e trattare suo figlio come uno straccio! Spero che Elieen Prince non ti abbia delusa! Bye bye!

  • A malandirina4ever : dove vai di bello? In vacanza in un luogo esotico ad abbronzarti tanto tanto? *_____________* Si vede che sono in mentalità estiva... non faccio altro che pensare al MARE! E il fatto di pensarci anche durante le spiegazioni sulle equazioni irrazionali è del tutto irrilevante è.è Molto meglio il mare della matematica *_____________* Se tu sei un'amante della matematica, mi scuso, ma io la detesto -.- Infatti non sono allo scientifico, cioè luogo dove si studia matematica, ma sono al BIOLOGO, luogo dove si fa taaaanta biologia e matematica non esiste -.- XD Che bel mondo sarebbe senza matematica :D

    Tornando alla storia... Piton è mooolto meglio in quanto a strategia! Lei lo insulta e lui le rinfaccia Hogwarts! Chissà chi dei due riesce meglio... Mi-mi-mi-mistero! XD

  • A Crazymoonlight: sono contenta che ti sia piaciuta! In effetti non ne girano molte di storie sulla vita di Lily, chissà perché ma viene sempre associata a James -.- Va bene che sono una bellissima coppia, ma inizialmente si odiavano! Spero che la caratterizzazione di Elieen Prince ti sia piaciuta, LadyMorgan ci si è impegnata un sacco ^^ È sempre bello reclutare nuovi lettori! Al prossimo capitolo!


Vorrei ringraziare anche le 19 persone che hanno messo questa storia tra le preferite, le 4 che l'hanno messa tra le ricordate e le 38 che l'hanno messa tra le seguite! Grazie mille!

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Capitolo 20
*** Capitolo 13 - Sull'Espresso per Hogwarts ***


Prima parte: I anno

Capitolo 13 – Sull’Espresso per Hogwarts

 

La separazione dalla mia famiglia fu dura come l’altra volta, se non di più. Tunia non ci accompagnò alla stazione: disse che un’amica l’aveva invitata a pranzo e che lei aveva accettato. Immagino sia superfluo soffermarmi sui miei sentimenti di allora.

In quei giorni, grazie alle nostre Pozioni soporifere e tranquillizzanti, eravamo riusciti ad arginare almeno un po’ il problema Piton, anche se io e Sev avevamo deciso in comune accordo di non farne parola con Eileen per paura che considerasse anche questa una volgare e non richiesta intrusione nei suoi affari privati. In realtà, quando alla fine Severus era tornato a casa, io mi ero messa a preparare una nuova pozione, più difficile, che però intendevo assolutamente finire prima del giorno dopo. Anche in questo caso fui fortunata: gli ingredienti bastarono (anche se dovetti saccheggiare un po’ le siepi e gli orti dei vicini per procurarmi alcuni delle erbe meno magiche che quindi non avevo fra le mie scorte) e anche il tempo, per quanto passai una notte quasi in bianco. Avevo deciso di seguire le istruzioni alla lettera, visto che era più complicata, ma a metà operazione avevo già rinunciato. Insomma, non era colpa mia se il procedimento era scritto male!

La pasta arancione collosa che ottenni guarì rapidamente i lividi e le ferite di Severus, così ebbi anche un’ottima scusa per invitarlo più spesso a casa mia e cercare di ignorare il fatto che, da Natale, Tunia non mi guardava neanche più.

Capodanno ci vide nuovamente separati, perché lui preferì nuovamente non venire. Malgrado le mie insistenze. Sapevo che lo faceva per non complicare ulteriormente il mio difficile rapporto con Petunia, ma la cosa dava comunque fastidio, perché l’atteggiamento di Tunia non sarebbe cambiato e io non avrei potuto avere il mio amico accanto. Ma cercai di fare buon viso a cattivo gioco.

Tuttavia, non riuscii a non divertirmi: era l’ultimo giorno che Will sarebbe rimasto con noi, e quindi andammo a fare un giro per il centro di Manchester, e io risi un sacco a sentire Will criticare con le stesse parole che avrei voluto usare io quella brutta città e tutto il suo grigio, fumoso e industriale splendore.

Prima della fine delle vacanze, insistetti anche per andare a Diagon Alley: avevo tutte le intenzioni di prendere un regalo a Severus. Dopotutto, dodici anni erano comunque un compleanno importante…

Ci misi un po’ a ricordarmi come si faceva ad aprire il portale, ma mio padre mi aiutò e riuscimmo ad entrare. Mi diressi spedita al Ghirigoro: avevo già una mezza idea di cosa prendere, e fui quanto mai lieta di constatare che c’era ancora.

Separarmi dai miei genitori, un’altra volta, fu una pugnalata che la felicità di tornare ad Hogwarts contribuì a guarire. Anche Sev era felice, e in qualche modo più tranquillo: da quando non c’erano più segreti fra noi lo sguardo angosciato che odiavo così tanto non era più venuto a galla. Anzi, quando ci incontrammo a King’s Cross era felice come non ricordavo di averlo visto da tantissimo tempo, sembrava sul punto di saltellare – cosa alquanto incompatibile con l’idea che avevo di Severus Piton.

«Bene, eccoci di nuovo a galla» dissi con un sospiro guardando i miei genitori che mi salutavano dal binario.

Lui seguì il mio sguardo e vide cosa aveva causato la mia tristezza. «Dai, in estate li potrai rivedere» disse in un tentativo di ottimismo.

«Sì, lo so» risposi io cercando di non sospirare nuovamente. «Ma è veramente tanto tempo…»

«Oh, dai, ti ricordi come è volato il primo trimestre?»

Da quel punto di vista dovevo ammettere che aveva ragione, ma erano comunque cinque mesi. Cinque mesi! Sembravano davvero tanti…

Nonostante io fossi abbattuta, lui era in brodo di giuggiole. Non riusciva neppure a stare seduto fermo. «Non hai idea di come mi sia mancata Hogwarts in questi giorni…» disse con un sospiro di contentezza guardando il panorama filare fuori.

Sorrisi a sentire il suo entusiasmo. Quando parlava così, Sev sembrava un ragazzo normale e non l’adulto in miniatura che si sforzava di diventare. Passammo la prima mezzora del viaggio in uno scompartimento completamente vuoto in coda al treno, probabilmente l’ultimo, a discutere di cosa avremmo fatto nel prossimo pentamestre. Mi distrassi: riuscii a relegare Tunia ed i miei genitori in un angolo della mia mente.

Poi arrivò Alice. Era paonazza, palesemente aveva corso, ma quando arrivò mi fece un sorriso che le andava da un orecchio all’altro. «Lily! Se qui! Ma perché vi siete nascosti quaggiù, vi ho cercato dappertutto!»

«Buon anno anche a te, Alice!» scherzai alzandomi per abbracciarla.

Ricambiò con entusiasmo l’abbraccio e poi mi prese le mani. «Dai, vieni, siamo tutti di là! Io, Frank, Remus, James…»

«James?» feci io irrigidendomi un attimo. «Intendi Potter?»

«Sì, e Sirius e Peter!» concluse lei entusiasta. «E Remus mi ha chiesto dov’eri, e io ho risposto che non lo sapevo, e allora ti siamo venuti a cercare, e ti ho trovata!»

Ero un po’ dispiaciuta che non mi avesse trovata Remus, ma a parte quello ero felicissima di vedere Alice. «Ma non sono sei posti per ogni scompartimento?» obbiettai con molta ragionevolezza.

Lei scosse il capo. «Non in tutto il treno, alcune carrozze hanno otto sedili, non so perché…»

Stavo per accettare quando mi ricordai dei… rapporti… che c’erano fra Potter, Black e Severus. «Alice, non so se…»

«Oh, lo so che tu e Potter non riuscite ad andare d’accordo, ma lui ha promesso di fare il bravo, e…»

«Fammi indovinare» intervenne la voce sarcastica di Severus dietro di me. «Ha detto che sarebbe stato un piacere averla con voi e che saresti dovuta andarla a cercare.»

«Sì, è andata così» annuì Alice guardando sorpresa il mio amico. «Come lo sapevi?»

Lui si strinse nelle spalle e tornò a guardare fuori dal finestrino. Alice guardò me. «Come lo sapeva?» sussurrò.

Io feci un sorrisetto. «Sev è più perspicace di quanto non pensino quelli che non lo conoscono» risposi ridacchiando del suo stupore.

Lei scosse la testa scacciando il pensiero e tornò alla carica. «Ma verrai?»

Il sorriso mi si spense.

«Oh, dai, non potete stare qui da soli come due emarginati…» protestò lei.

«Ehm, Alice…» iniziai io esitante. «Potter e Black non vanno molto d’accordo con Severus…»

«Sai, Lily, a volte sei davvero un po’ troppo ingenua» sbottò Sev voltandosi a guardarmi. «Pensi davvero che l’invito comprenda anche me?»

Rimasi per un attimo in silenzio. Non avevo assolutamente soppesato quella possibilità, a essere onesta. Come al solito, Sev ci era arrivato prima di me. Forse perché per me era abbastanza assurdo pensare ad un viaggio verso Hogwarts senza Sev.

«Lui non può venire?» chiesi incredula ad Alice.

Lei sembrò stupida da quell’idea. «No, naturalmente può venire, se lo vuole» rispose senz’ombra di imbarazzo. Be’, se non altro non era lei quella che non lo voleva. «Ti va?» chiese poi educatamente rivolgendosi direttamente a Severus.

Eccolo lì, il sorriso amaro che avevo sperato di non rivedere più per il più lungo intervallo di tempo possibile. «Non credo che i vostri amichetti sarebbero molto contenti di vedermi arrivare.»

Be’, immagino che questo risolvesse la faccenda. «Vi vengo a trovare quando passa la strega del pranzo, che ne dici?»

«Oh!» esclamò lei delusa. «Proprio no?»

Scossi la testa. Mi dispiaceva, inutile negarlo, ma mi sarei sentita molto peggio lasciando Severus o costringendolo a subire la compagnia di due ragazzi che odiava recisamente, e non senza ragione.

Sospirò. «A Remus dispiacerà» commentò tornando verso la porta. «E anche io speravo che avremmo potuto fare il viaggio insieme…»

Cercai di sorridere, nonostante il mio cuore si fosse congelato. «Dai, sono sicura che avremo dozzine di occasioni per vederci durante tutto il viaggio. O al massimo al banchetto. A scuola. Alle lezioni. Alla fine non ne potrai più di me!» scherzai.

Lei mi fece un sorrisino triste e uscì.

Tornai a sedermi vicino a Sev, che non aveva ancora abbandonato quell’espressione odiosa. «Non sei obbligata a restare con me, lo sai, vero?» chiese con notevole sforzo. «Non ho intenzione di obbligarti a restare qui.»

«Dai, Sev, pensi davvero che riuscirei a sopportare Potter, o Black quanto a questo, senza il tuo vitale supporto?» lo presi in giro cercando di buttare la faccenda sul ridere. «E sarebbe davvero sleale da parte tua farmeli affrontare da sola…»

Funzionò. Tornò a sorridere e continuammo a chiacchierare piacevolmente come se non fosse successo niente. In realtà, la mia mente era lontana, stavo pensando a Remus. Non potevo farci niente, era più forte di me. A Remus che mi voleva con loro, a Remus che mi aveva cercata, a Remus a cui sarebbe dispiaciuto non avermi lì… anziché scoprirmi guarita dalla mia “infatuazione”, come l’aveva descritta mia madre, era evidente che fosse più forte che mai.

Tuttavia, essendo una donna, riuscivo a pensare a più cose contemporaneamente e quindi, mentre un angolo della mia mente rimuginava su Remus, l’altra stava discorrendo con Severus. Uno dei vantaggi nello stare in uno degli ultimi scompartimenti del treno era che non passava quasi mai nessuno a controllare, e quindi potemmo finalmente esercitarci in tutti gli incantesimi di cui avevamo letto durante le vacanze. Non in quelli offensivi, ovviamente, c’era troppo poco spazio, ma prima dell’una io avevo trasfigurato un libro in un cuscino e viceversa e Severus aveva fatto svolazzare alcune penne per tutta la stanza, prima che io ordinassi ad alcune delle mie pergamene di inseguirle. Eravamo nel bel mezzo di quel combattimento giocoso quando arrivò la strega del carrello.

Prendemmo solo qualche dolcetto, particolarmente Cioccorane e Gelatine TuttiGusti+1, a cui mi ero particolarmente affezionata dopo averne trovata una ad un gusto stranissimo ma che era in assoluto la cosa più buona che avessi mai assaggiato. Sev era molto più cauto, anzi, per essere onesti non si fidava affatto, ma tanto Sev era diffidente per natura, quindi poco danno. Finito il nostro mezzo pranzo, ci mettemmo d’accordo in modo che io potessi andare da Alice e lui da alcuni suoi compagni di Casa, e decidemmo che ci saremmo rivisti nello scompartimento intorno alle tre.

Perciò io percorsi il treno in tutta la sua lunghezza cercando il loro scompartimento, dandomi mentalmente dell’idiota per non aver chiesto ad Alice dove fosse. Alla fine, tuttavia, li trovai. O per meglio dire, trovai quello che restava del loro scompartimento: uno spazio di pochi metri quadrati completamente ripieno di una schiuma densa e violetta che bloccava tutti al loro posto. Stupefatta, aprii la porta con una certa cautela e dovetti fare un salto indietro per evitare di essere investita dall’autentica onda che il mio gesto provocò.

«Lily!» sputacchiò Alice mentre la sua testa emergeva, completamente bagnata, dal sedile più vicino all’uscita.

«Cosa diavolo avete combinato?» chiesi io talmente interdetta da non fare niente.

«James… e Sirius… non so cosa abbiano fatto, ma ha cominciato a venir fuori questa schiuma…» cominciò lei mentre un nuovo getto le soffocava le parole in bocca.

Estrassi velocemente la bacchetta. «Finite incantatem!» ordinai puntandola a caso verso lo scompartimento.

Non funzionò proprio benissimo, ma quando bastava per permettermi di entrare, preceduta da un getto di aria calda che feci sgorgare dalla punta della bacchetta e riusciva a… sciogliere, per così dire, le bolle. Riuscii a raggiungere Alice e le insegnai l’incantesimo, prima di spostarmi verso il posto accanto a lei: Frank Paciock aveva evidentemente tentato di raggiungere la bacchetta e ci era quasi riuscito, ma aveva la bocca talmente piena di bolle da non riuscire a sillabare nessun incantesimo. Di fronte ad Alice c’era Remus, letteralmente immobilizzato, che saltò su non appena lo raggiunsi con le sopracciglia aggrottate e l’aria di chi vuole commettere un omicidio con aggravante.

Lo lasciai mentre liberava Peter Minus e mi diressi verso gli ultimi due posti ancora pieni di bolle, provando una gioia feroce mentre ordinavo alla mia bacchetta: «Aguamenti!» ed un getto da idrante finiva dritto in faccia a qualunque dei due pazzi sadici fosse che aveva dato il via a tutta quella baraonda. Mentre la schiuma si scioglieva, riconobbi i capelli spettinati. «Potter» ringhiai mentre, per riflesso alla mia rabbia, anche il getto aumentava di potenza.

Dietro di me, Remus stava riservando lo stesso trattamento a Black, con un profondo piacere personale, almeno a giudicare dall’espressione vendicativa.

Quando alla fine ritenni che Potter fosse abbastanza zuppo, interruppi l’incantesimo. «Cosa cavolo vi è saltato in testa, mentecatti?» fu il mio benvenuto mentre lui cominciava a sputare acqua e bolle.

«Ah, Evans, eri tu» ribatté tuttavia lui in tutta calma. «Avrei dovuto immaginarlo, non tutti sono così violenti…»

«Cosa pensavate di fare, nel nome di Merlino?» ribattei io tenendo la bacchetta sollevata.

Lui si strinse nelle spalle. «Stavo mostrando a Sirius un incantesimo che avevo scoperto frugando negli archivi di casa mia…»

«… e stavamo cominciando a scoprirne gli effetti…» proseguì Black da dietro strizzandosi i capelli e sorridendo sfacciatamente a Remus.

«… quando quella stupida porta si è chiusa, il getto è aumentato improvvisamente e ci siamo trovati tutti immobilizzati prima di poter dire ‘Aiuto’» concluse Potter serafico, asciugandosi gli occhiali.

«E abbiamo tremato aspettandoci l’arrivo di qualche Prefetto fino a quando non sei arrivata tu» specificò Black.

Rimasi lì per qualche istante a passare lo sguardo dall’uno all’altro, appoggiata alla finestra, fino a quando tutto il peso della loro stupidità mi precipitò addosso e mi ritrovai in preda ad un’irrefrenabile risata prima ancora che fossi riuscita a capire come poteva essere successo.

Gli altri mi guardarono stupefatti. Alice si stava ancora finendo di liberare delle bolle, Frank ne aveva una che gli usciva dall’orecchio sinistro e diverse ancora attaccate alla divisa, Peter Minus ne sfoggiava due sulla sommità della testa simili alle orecchie di Topolino e Potter e Black sembravano due pulcini bagnati. Remus torreggiava ancora fra quei due, la bacchetta puntata verso Black e un sorriso un po’ colpevole rivolto verso di me. Nonostante questo, poche bolle erano sopravvissute alla sua bacchetta.

Continuai a ridere fino a quando non dovetti appoggiarmi ad un sedile per non cadere. Piano piano anche gli altri avevano cominciato a scorgere il lato comico della situazione e stavano iniziando a ridacchiare, così che quando riuscii finalmente a calmarmi anche gli altri erano nelle mie stesse condizioni. Mi asciugai gli occhi e guardai Potter e Black. «Voi due siete in assoluto, i più deficienti, pazzi, stupidi, immaturi…»

«Ottusi» mi suggerì cortesemente Remus.

«…ottusi, limitati, insulsi mentecatti che io abbia mai conosciuto!» conclusi riprendendo a ridere. «Eravate… eravate così-ì buffi!»

Mi rimasero a guardare un altro po’, poi Potter mi si avvicinò e disse: «Evans, non vorrei dirtelo, ma non mi sembra una grande idea da parte tua continuare a ridere…»

«E perché no?» chiesi io con la voce ancora tremante. «Non hai visto la tua faccia…»

«Perché ti farei notare che in quanto stupidi, pazzi, immaturi e bla bla bla, non siamo in grado di controllare i nostri gesti.»

Mi interruppi di colpo, d’un tratto vigile. «Non oseresti!» sibilai cercando di nascondere un sorriso.

Lui sogghignò. La sua mano corse alla bacchetta così velocemente che feci appena in tempo a prendere la mia prima che un getto d’acqua, combinato con uno d’aria proveniente da Black investissero me e Remus. Di fatto ci ritrovammo in mezzo ad un miniciclone, e fu una fortuna che avessi preso in mano la bacchetta perché sicuramente non sarei riuscita a raggiungerla altrimenti. Evocai velocemente uno scudo e ci riparammo dietro di questo mentre l’acqua schizzava tutto attorno a noi, gelida ma incontestabilmente innocua.

«Siete completamente pazzi?» chiese Remus stupefatto (e anche abbastanza fradicio) mentre il getto si interrompeva.

Ma ormai io ero partita: un ghigno mi si disegnò sulle labbra, mentre guardavo alternativamente Potter e Black – ghigno che, bisognerebbe aggiungere, fece guadagnare velocemente l’uscita sia a Alice che a Frank, che si trascinò dietro anche Peter, in avida contemplazione dell’accaduto.

«Carica!» esclamai scagliandogli contro la prima fattura che mi venne in mente e cominciando a schivare le loro, mentre anche Remus, con una natural riluttanza, su univa a me in quella memorabile battaglia.

La situazione sarebbe probabilmente degenerata – erano entrambi molto veloci, e dovevo ringraziare i mesi di allenamento con Severus se riuscivo a restare in piedi – quando passò una pattuglia di Prefetti che, con una rapida occhiata a tutti quanti bloccarono gli incantesimi, ci disarmarono e ci immobilizzarono tutti.

La scena che si presentò era simile ad villaggio devastato da un uragano particolarmente acquoso: c’era schiuma dappertutto, le pareti grondavano acqua e i sedili erano tutti ammaccati, noi quattro, fradici, stavamo ansimando – Potter e Black per la verità stavano ridendo come matti – e Remus e Black presentavano affascinanti graffi sulla guancia.

«Che cosa sta succedendo qui?» urlarono in mezzo a quel caos guardando alternativamente i colpevoli.

Quattro voci cominciarono a rispondergli contemporaneamente, tanto che alla fine dovettero zittire tre di noi per capire cosa fosse successo. L’unica a cui venne concesso il permesso di parlare – e di spiegarsi – fui io.

«C’era un ragno» spiegai io inventando sul momento con la più sfrontata faccia tosta, «Potter» specificai indicando il ragazzo, «aveva un enorme ragno in testa e non se ne era accorto. Per levarlo senza fargli del male, gli ho lanciato un incantesimo, ma lui si è spostato e, credendo che lo stessi attaccando, mi ha attaccata, così Remus» ed accennai al mio amico immobilizzato, «mi ha difeso, e Black» lo indicai, «ha preso le difese di Potter, e la cosa è degenerata.»

I due Prefetti mi guardarono scettici e liberarono Black . «Non era un ragno, era una tarantola!» disse subito lui seguendo la mia linea d’onda con ammirevole prontezza, «io l’ho visto solo dopo, ma ormai era troppo tardi per farlo capire a James, e non potevo certo permettere che venissimo attaccati così, impunemente!»

«Un ragno gigante, grande almeno quanto la mia mano!» disse Potter entrando con entusiasmo in campo e sventolando la mano davanti al viso del Prefetto per enfatizzare il discorso. «L’ho visto quando stava scappando, era enorme!»

«E per di più di una specie velenosa, anzi, velenosissima!» spiegò Remus inventando sul momento. «Si poteva capire dalla caratteristica strisciolina rossa… sul dorso… che ho potuto vedere mentre quell’intelligente animale batteva in ritirata!»

«E fra l’altro non potevi dirmi “hai un ragno in testa” invece di attaccarmi, razza di stupida?!» esclamò Potter guardandomi e cercando di non ridere. «Proprio tipico di te!»

«Be’, lo sai che Remus sviene ogni volta che vede un ragno, non volevo causare uno… svenimento in piena serata!»

«Non svengo sempre!» protestò Remus indignato. Il mio sguardo lo ammonì e lui sospirò. «Svengo solo quando sono grandi e pelosi!»

«Esattamente come questo!» intervenne Black mimando il movimento di un ragno. «Era un ragno nerissimo con una striscia a forma di teschio sul dorso, peloso peggio di uno yeti e con le zampe lunghe dieci centimetri!»

Tutti lo guardammo compassionevoli. «Sai, Black, un bel paio di occhiali non guasterebbero» intervenni guardandolo con compatimento.

I poveri Prefetti ci guardarono sconvolti e, dopo aver asciugato il tutto, ci liberarono. «Bene, vedo che c’era una spiegazione…» disse il primo stralunato. «Un ragno può causare… reazioni inconsulte…» Ci guardò ancora una volta, poi assunse un’aria severa. «Ma non fatelo mai più, la prossima volta non saremo così… indulgenti.»

Noi prontamente ci lanciammo in promesse di condotta impeccabile giurando che Prefetti giusti e con ampio discernimento come loro servivano per creare un mondo migliore e stavamo ancora promettendo quando i due uscirono sperando di non dover tornare mai più in questa gabbia di matti.

Potter controllò che se ne fossero andati e si girò verso di me. «Un ragno!» disse con disgusto. «Di tante scuse che potevi inventarti, tu vai a cercare un ragno!»

«Be’, provaci, tu genio delle scuse, a trovarne una decente mentre sei immobilizzato, ricoperto di schiuma e per di più bagnato fino all’osso!» ribattei io piccata sedendomi sui sedili nuovamente perfetti. «E poi ha funzionato, li abbiamo sconvolti abbastanza da scappare, no?»

«Avranno pensato che siamo dei matti senza cervello» sogghignò Black sedendosi.

«Il che non sarebbe neanche così lontano dalla realtà» mormorò Remus in un a parte.

Ci guardammo tutti in faccia e scoppiammo nuovamente a ridere. Servì l’intervento combinato di Alice, Frank e Peter per farci smettere.

«Ero venuta convinta di trovarvi normali o arrabbiati e vi ritrovo così?» chiese Alice guardandoci scettica. «Allora quei Prefetti non sono davvero serviti a niente…»

«Devo ammettere di… no» disse Potter con un sorrisetto. «Anzi, è colpa loro se stiamo ridendo…»

«Ah, e, per inciso, ce li avete mandati voi?» chiese Black giocherellando pericolosamente con la bacchetta.

Frank assunse un’aria vagamente colpevole, Alice invece sorrise con una punta di malizia. «In realtà sì» confessò ridacchiando. «Ma che potevamo fare? Quando ho visto Lily fare quella faccia ho temuto che stesse arrivando il peggio…»

«Sì, devo ammettere che quando vuole fa spavento» convenne Potter in tono elogiativo.

Io chinai la testa in un ironico inchino e alzai lo sguardo verso Remus. C’era sempre quel leggero senso di colpa dietro il suo sorriso. «Ehi, tutto bene?» chiesi guardandolo attentamente.

Lui si riscosse e annuì, arrossendo leggermente. Senza sapere nemmeno perché, mi sentii arrossire anch’io. Merlino, quant’era carino…

«Credo che Remus sia ancora sconvolto per il suo primo richiamo ufficiale» dichiarò Black sorridendo malizioso e tirandogli una gomitata. «Il nostro aspirante Prefettino non può sopportare una simile onta sulla sua immacolata fedina penale…»

Remus se ne uscì in una poco immacolata linguaccia e Black aveva quasi rimesso mano alla bacchetta quando lo colpii con un Petrificus Totalus e, per sicurezza, riservai lo stesso trattamento anche a Potter. Mi ritrovai fissata da sette paia di occhi stupefatte (due delle quali immobili). Con un sorrisetto, soffiai sopra la punta della bacchetta come avevo visto fare in un film western che avevo visto al cinema con i miei e la rimisi a posto.

«Stavamo dicendo?» chiesi affabilmente.

«Nel nome di Merlino, perché hai…?» cominciò Frank guardandomi annichilito mentre io sfoderavo un sorriso sornione.

«Nel caso non te ne fossi accorto, Frank, Black stava per ricominciare a fare magie» cominciai guardando il soffitto. «E direi che per oggi hanno fatto abbastanza. E Potter lo avrebbe senza dubbio liberato, quindi sarebbe stato tutto inutile.» Sorrisi e mi trattenni a malapena dal canticchiare. «Sono stata fortunata a sfruttare il fattore sorpresa, vero?» chiesi cercando di non gongolare troppo rivolgendomi alle due figure pietrificate vicino a me, che nonostante tutto riuscivano a guardarmi con sguardo accusatore.

Remus stava ridacchiando e Peter Minus era ancora sulla soglia, la bocca spalancata e lo sguardo ebete, tanto da farmi temere che se una mosca solitaria gli fosse finita in bocca non se ne sarebbe nemmeno accorto.

«Prometto che vi libererò prima di uscire, e voi potrete liberamente vendicarvi a scuola» conclusi con nonchalance, battendo un colpetto sulla mano immobile di Potter accanto a me. D’un tratto però mi accigliai. «Vendicarvi di me, ovviamente» sottolineai.

Remus mi assecondò velocemente sedendosi di fronte a me e chiedendo ad Alice con aria amabile: «Vuoi un po’ di queste Cioccorane, Alice?»

Lei ridacchiò appena e si sporse per prenderne alcune, senza riuscire a non guardare le due figure statuarie accanto a noi.

Frank si rimise tranquillamente accanto ad Alice e prese una Gelatina TuttiGusti+1, porgendone anche una a Minus, che sembrava indeciso se sedersi o no.

«Non pensate che… che li dovremmo liberare?» chiese dubbioso accennando a Potter e Black.

«No, non lo penso affatto» ribattei io scioltamente, accettando la Cioccorana che Remus mi offriva. «Può solo fargli bene stare fermi per un po’, e poi non apprezzi questo silenzio, finalmente?» aggiunsi sognante accennando al fatto che non udivamo più nessun tipo di schiamazzi o niente del genere.

«Sì, ma…» Minus sembrava disperatamente alla ricerca di argomentazioni per farci liberare gli altri due. «Insomma, non hanno fatto niente per… meritarsi questo» disse debolmente. «Stavano solo scherzando…»

«Appunto» ribattei io staccando un pezzo di cioccolato con i denti. «Chi scherza paga, si dice dalle mie parti…»

Remus rise nuovamente. «Dalle mie “chi rompe paga”» osservò guardando i due.

Feci un gesto noncurante con la mano. «Sì, fa lo stesso» risposi. «Direi che stavano anche rompendo, no? E poi» aggiunsi guardando nuovamente Minus, «non posso rimetterli in libertà ora, no? Si vendicherebbero subito, visto che non ho ancora la garanzia che mi attaccheranno solo a scuola. Quindi è fuori questione» conclusi.

Questo lo zittì per la successiva mezz’ora. Restammo a chiacchierare per un po’ e solo io non continuai a gettare occhiate di striscio alle due figure immobili, ma anzi li ignorai con tanta ostentazione che ogni tanto Alice guardava prima loro e poi me e poi cercava di non ridere.

Saremmo probabilmente andati avanti fino alle tre, quando me ne dovevo andare, se Minus, con una prontezza di spirito che non mi sarei mai aspettata da parte sua, non avesse finto di voler andare a vedere qualcosa vicino alla finestra e invece, sebbene me ne sarei accorta solo più tardi, non avesse pronunciato a mezza voce l’incantesimo per liberarli.

Io stavo ridendo ed ero come sempre di spalle, quindi quando Potter mi saltò addosso senza più badare alla magia finii completamente sbilanciata e mi ritrovai a terra di pancia con il suo naso vicino alla nuca e la sensazione che una delle mie rotule non avesse retto allo schianto.

«Chi è che deve aspettare fino al castello, Evans?» mi soffiò in un orecchio senza comunque prendere la bacchetta ma limitandosi a bloccarmi le mani dietro la schiena.

«Potter…» ringhiai cercando di riprendere il respiro. «Ti ricordi di quella discussione che abbiamo avuto poco dopo l’incidente con la scopa?»

Colto di sorpresa lui annuì senza fare niente, dandomi il tempo di reagire. «Allora credo che sarebbe carino informarti che è grazie a quello sport che ti dicevo se ora posso fare questo!» Mi passai con uno strattone le braccia sopra la testa ruotando su me stessa al contempo e allontanandolo con un calcio. Mi tirai velocemente in piedi, massaggiandomi i muscoli delle braccia: erano secoli che non facevo quell’esercizio e non mi ricordavo quanto facesse male. Di conseguenza, non ebbi la prontezza di reagire all’istante quando Potter mi lanciò contro un nuovo incantesimo. Mi colpì di striscio, ma solo perché Remus, liberatosi di Black che non era minimamente intervenuto per aiutare Potter, mi allontanò con un soffio di aria calda tanto forte da farmi barcollare e, di conseguenza, spostare.

«Adesso basta!» ruggì una voce dietro di noi e tutt’un tratto sia io, che Remus che Black che Potter eravamo senza bacchette, mentre Frank e Alice le tenevano tutte e quattro saldamente in mano.

«Queste le teniamo noi fino a quando voi non vi date una calmata» dichiarò Frank severo di fronte al nostro sguardo stupefatto. «E non provate a prenderle» aggiunse guardandoci storto. «Per oggi avete fatto più che a sufficienza.»

Di fronte a quel risvolto inatteso, tutti noi prendemmo un respiro profondo e ci preparammo a calmarci, sedendoci di nuovo.

Ci continuammo a guardare in cagnesco dopo un po’, poi, ad un tratto, Potter mi fece una smorfia talmente buffa che non potei fare a meno di ridacchiare. Lui si unì subito a me, e quando anche Remus, Black e, con un pizzico di incertezza, Minus si aggiunsero fu difficile per Frank e Alice mantenere la parte di severi guardiani di bacchette.

«Sei assolutamente stupido!» annunciai a Potter quando riuscii ad articolare una frase. «Mi hai fatto male!»

Lui, senza alcuno spirito cavalleresco, si strinse nelle spalle con offensiva noncuranza e ribatté: «Anche io non ero proprio comodo in quella posa assurda!»

«Te l’eri cercata» ribattei io senza esitare. «Erano tre ore che non stavate più fermi.»

«E che senso ha stare fermi?» intervenne Black interrompendo Remus che gli stava per parlare. «Abbiamo una giornata da dover occupare su questo stupido treno, il minimo che si possa fare è cercare di divertirsi…»

«Riempiendo di bolle lo scompartimento?» chiese Remus sarcastico guardandolo, nello stesso istante in cui io ribattevo: «Infatti pietrificarvi è stato proprio divertente…»

«E per inciso, voi due vi siete divisi le vittime a parte o è stato istintivo?» proseguì lui passando lo sguardo dall’uno all’altro. «Voglio dire, avevate un copione secondo il quale James doveva attaccare Lily e Sirius me o era tutto improvvisato?»

«Be’…» cominciò Potter con un sorrisetto, «in parte era improvvisato… dopotutto tu sei più vicino a Sirius e Evans a me… però immagino che ci sia messa anche una buona dose di organizzazione premeditata.»

Gli rivolsi una smorfia mentre Black cominciava a ridere sguaiatamente. Mi passai di nuovo, distrattamente, una mano sulle spalle, cercando di calmare il dolore dovuto allo sforzo dei muscoli a freddo senza essere notata, ma Potter si girò verso di me nel momento in cui lo facevo e quindi mi vide.

Smise subito di sorridere. «Seriamente, ti sei fatta male?» chiese guardandomi un po’ accigliato.

Aggrottai le sopracciglia – in tutta onestà non mi aspettavo quella domanda – e pensai ad una risposta adeguata. Non trovandola, mi strinsi nelle spalle – cosa che, per altro, mi provocò una nuova fitta. «Era tanto che non facevo quell’esercizio» dissi solamente. «E tu hai una bella presa» aggiunsi cercando di buttarla sullo scherzoso.

Le tre arrivarono senza che nessuno avesse più cercato di uccidere qualcun altro, anzi, stavamo tutti chiacchierando piacevolmente quando lo sguardo mi cadde sull’orologio da polso di Remus e mi fece balzare in piedi.

«Caspita, sono già le tre!?» esclamai agguantando il polso di Remus e controllando meglio. Ad una conferma delle lancetta, lo lasciai andare e mi risedetti per un attimo, salvo rialzarmi per rivolgermi a Frank. «Devo tornare da Sev, Frank. Posso riavere la bacchetta?»

Lui mi guardò un po’ scettico.

Sbuffai. «Ti prometto che non incanterò i due mentecatti» dissi scocciata. «Almeno fino al castello» aggiunsi a bassa voce.

Borbottando, lui me la porse.

«Be’, ci vediamo al banchetto, allora» dissi con un piccolo cenno di saluto a tutti quanti prima di dirigermi verso la porta.

«Evans, spiegami per quale motivo dovresti stare in compagnia di Mocciosus invece che di noi» disse Black guardando per aria.

Inarcai un sopracciglio. «Perché è il mio migliore amico e ci eravamo messi d’accordo così?» chiesi retorica avviandomi verso la porta. «E non chiamarlo Mocciosus.»

«Oh, dai, Evans, lo sai anche tu che è adattissimo, invece!» esclamò Potter con una smorfia. «E poi è un mortorio. E un mortorio unticcio, per di più!»

Mi bloccai mentre automaticamente irrigidivo i muscoli. «Potter» dissi a denti stretti, «non costringermi a infrangere la promessa che ho appena fatto a Frank.» E prima che potesse aggiungere altro schizzai fuori dallo scompartimento per non sentire altre malignità su Sev.

Raggiunsi lo scompartimento quasi di corsa, chiudendomi la porta alle spalle con un gesto brusco. Sev non era ancora arrivato, quindi mi accinsi ad aspettarlo tirando fuori il libro di Pozioni e cominciando a leggere.



ANGOLO AUTRICE

Dunque, il viaggio di ritorno è stato ispirato ad un’altra fanfiction che non ho mai pubblicato che avevo scritto con mia sorella, alla quale devo il primitivo suggerimento del ragno come scusa e a cui faccio quindi tanto di cappello, con i miei più sentiti ringraziamenti.

I Prefetti sicuramente non ci sono cascati, ma dopotutto non si può mettere in punizione quattro bambinetti deficienti così come se niente fosse… ovviamente i prefetti in questione non erano di Serpeverde e non comprendevano Debbie, altrimenti non se la sarebbero cavata così a buon mercato. Ma non importa, in fondo ce ne sono molti altri che avrebbero avuto la possibilità di intervenire.

Mi diverto come un’idiota a scrivere dei loro litigi… mi ispirano, non so perché.

Ma in ogni caso ora devo lasciare il resto della pagina libero affinché mia sorella possa compiere il suo pio dovere, vero? E va bene, passo e chiudo anche per questa volta, vi saluto da un altro tempo e da un altro luogo.


ANGOLO PUBBLICANTE


Buona domenica a tutti!

Non ho molto da dire dato che sono puntuale di nuovo :D e di solito questo spazio prevede che io mi prostri ai vostri piedi implorando perdono. Quindi, posso solo augurarvi una buona giornata e una prossima fine della scuola!

Volevo anche informarvi che questo è il penultimo capitolo in cui dovrete sopportare la mia presenza, infatti il 29 torna la vera autrice, alias mia sorella, e quindi sarà lei a proseguire la pubblicazione. Diciamo che mi mancherete, ma i saluti veri e propri li lascio alla prossima volta u.u

Ora passo invece a rispondere alla recensione ^^


  • A malandrina4ever: *_______________________* Maaaaaaaare!! A me sci piasce il mare! Infatti non vedo l'ora di andarci u.u Non solo perché è taaanto bello, ma perché se ci vado significa che non ho compiti e se non ho compiti significa che la scuola è finita e se la scuola è finita significa che sono in vacanza *O*

    Ora mi posso deprimere perché io non sto andando al mare e quindi significa che io ho compiti e quindi significa che la scuola non è finita e che quindi io non sono in vacanza ç____________________ç Bwaaaaaaaaaaa! Perchèèèèèè? Resisti, manca poco alla fine! E se manca poco alla fine significa che... ok basta u.u

    Perdonami se ti ho associata alla matematica! Ma, sai, esiste gente a cui piace! E quindi forse tu eri una di quelle rare creature u.u Nel caso ti avrei chiesto il trucco per farsela, non dico piacere, ma per lo meno sopportare!

    Parlando della storia, Sev fa un po' pena, ma dopotutto la sua situazione familiare non era un mistero! Comunque sono riusciti a risolvere la situazione e ora stanno tornando ad Hogwarts. Spero che tu abbia apprezzato James e Sirius xD Alla prossima!

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Capitolo 21
*** Capitolo 14 - A Casa ***


Prima parte, I Anno

Capitolo 14 – A Casa

Non posso dire in tutta sincerità che gennaio fu un mese tranquillo. Nemmeno per gli standard di Hogwarts.

Il nove mattina mi precipitai in Sala Grande ad un orario insolitamente mattiniero per me, il regalo per Sev stretto in mano e profondamente felice all’idea che fra poco gli avrei fatto una sorpresa. Non riuscii quasi a mandar giù niente a colazione, tanto che Alice e Frank mi guardarono un po’ stupiti, ma io non dissi nulla: a undici anni, avere un segreto o uno pseudo segreto mi dava ancora un gradevolissimo senso di importanza e mistero. Non appena vidi Sev entrare in sala assieme a due o tre dei suoi compagni balzai in piedi, poi mi ricordai che doveva ancora fare colazione e mi immusonii. Uffa.

Però, con la sua solita prontezza, lui aveva colto il mio movimento e, conoscendomi come mi conosceva, aveva capito che volevo parlargli, quindi prese alcuni toast dal tavolo e si diresse verso l’uscita cominciando a mangiare quelli. Io, felice come una pasqua, corsi verso la porta per incontrarlo, dopo aver velocemente salutato Alice e Frank che probabilmente avevano capito o capito male. Ma la cosa non mi interessava più di tanto.

Lo raggiunsi davanti alla porta che dava sul Salone di Ingresso, ed entrambi uscimmo insieme dopo esserci salutati. Appena fuori dal raggio di visuale della Sala Grande, gli misi in mano di prepotenza il mio regalo ed esclamai sorridendo: «Buon compleanno, Sev!»

Se gli avessi detto che aspettavo un bambino non avrebbe potuto fare una faccia più sorpresa. Passò ripetutamente lo sguardo da me al regalo e poi di nuovo a me, come a volersi capacitare del fatto che era davvero in mano a lui.

Io gongolavo: ero estremamente soddisfatta di me per il risultato ottenuto. Lui continuava a guardare il pacchetto come se da un momento all’altro avesse dovuto cominciare a morderlo. Era estremamente buffo.

Quando decisi che avrebbe dovuto superare il suo imbarazzo, lo esortai: «Be’, coraggio! Aprilo!»

Continuando a guardarmi con lo stesso sguardo che mi aveva rivolto anni prima quando gli avevo restituito lo zaino, lui lo aprì e gli occhi gli diventarono talmente tondi che ebbi l’improvvisa impressione di guardare un pesce palla.

Alla fine, con molte esitazioni e sussulti ogni volta che la più piccola porzione del regalo veniva fuori, riuscì a tirarlo fuori. E a quel punto la sua espressione fu impagabile.

«Lily…» riuscì solo a balbettare mentre guardava il volume I della nuovissima collezione Magia Difensiva Pratica: Come Usarla contro le Arti Oscure. L’avevo notato il primo giorno a Diagon Alley e avevo subito pensato che fosse un bel libro. Una volta che l’abilità di Sev per Difesa Contro le Arti Oscure era emersa, non avevo potuto non pensare a lui ogni volta che mi tornava in mente.

Con mano tremante, lo aprì e cominciò a sfogliarlo: era pieno di illustrazioni animate a colori, che mostravano i corretti movimenti per la bacchetta e gli effetti dell’incantesimo, con relative spiegazioni teoriche a fianco.

I suoi occhi parevano sfocati mentre percorrevano le pagine, le annotazioni e i consigli per fatture e contro fatture…

«Lily…» ripeté di nuovo continuando a sfogliare sempre più velocemente. «… È meraviglioso. Il più bel regalo che abbia mai ricevuto…»

I migliori soldi che avessi mai speso.

«Non so davvero come…»

Lo abbracciai ridendo. «Passa dei buoni dodici anni, Sev, sarà più che sufficiente…»

Passammo il giorno nella sala degli scacchi a provare e riprovare tutti gli incantesimi citati nel primo capitolo. Studiavamo anche la teoria, per avere una visione a trecentosessanta gradi ed aiutarci nella pratica, ma di fatto era molto maggiore il tempo che passavamo a esercitarci che non a leggere. Un’autentica fortuna che fosse domenica…

Scendemmo a pranzo appena in tempo per rubare qualche fetta di pane, un po’ di roast beef e del succo di zucca, poi ritornammo nella nostra aula a continuare a provare. Il giorno dopo tutti e due avevamo Difesa Contro le Arti Oscure, quindi non dovemmo neppure sentirci troppo in colpa per aver passato il pomeriggio a quel modo, visto che grazie al libro riuscimmo ad ampliare notevolmente i nostri temi sul funzionamento degli incantesimi di paralisi.

Intorno alle cinque arrivò un elfo domestico con una torta. Sev rimase sbigottito e io ripresi a ridere: era un’idea che mi era venuta tornando a scuola ma che non avevo idea di come mettere in pratica, inizialmente. Volevo che Sev avesse un compleanno che si rispettasse, visto che sapevo che non aveva mai tenuto in considerazione quel giorno, nemmeno quando eravamo diventati amici. Perciò avevo deciso che, oltre ad un regalo, era giusto che avesse anche una torta. E lì era sorto il problema: come ottenere una torta? Non potevo certo portarmene una da casa, né comprarne una (dove, poi…); non avevo assolutamente idea di dove fossero le cucine di Hogwarts, né mi ricordavo di aver mai sentito parlare di un cuoco o qualcosa del genere: normalmente sembrava che il cibo si producesse da solo. Avevo soppesato per qualche tempo l’idea di chiedere a un professore, ma non ero sicura fosse legale andare nelle cucine, e in più ero certa che Sev non avrebbe approvato: era sempre tanto chiuso… però magari il professor Lumacorno… ed era lì che era scattata la lampadina: Lumacorno, festini, Percky, “Percky è umilissimo servitore dei signori”, “Percky può fare qualcosa per la signorina?”… forse Percky mi avrebbe potuto aiutare. Ero già pronta a saltare in piedi per la contentezza quando un nuovo, più concreto problema mi aveva raggiunto: come cavolo facevo a chiamare Percky? Non l’avevo più visto dopo il festino di Lumacorno, né sapevo dove potesse essere… al che, forse in preda alla disperazione, forse in preda ad un improvviso lampo di genio, avevo chiamato come sperando che mi potesse sentire: «Percky?»

Ed in un attimo mi ero ritrovata a rimirare la testa grossa e glabra dell’elfo, che si era subito inchinato vedendomi ed aveva chiesto con la sua vocetta acuta: «La signorina ha…?»

Non aveva fatto in tempo a finire: ero saltata in piedi ed ero corsa ad abbracciarlo ringraziandolo a profusione, fino a quando non mi ero accorta che la situazione lo imbarazzava parecchio. Allora, ridendo, gli avevo chiesto scusa e mi stavo cominciando a giustificare quando lui mi aveva interrotto esclamando: «La signorina non deve scusarsi, la signorina è tanto buona! Perky solo era sorpreso, nessuno lo aveva mai trattato così prima di allora…»

Imbarazzatissima, ero tornata a chiedergli scusa, ma lui aveva scosso il testone dicendo: «Non era brutta sensazione per Percky, signorina, solo… strana.»

Al che mi ero un po’ tranquillizzata ed avevo cercato il modo migliore per fargli la mia richiesta. Alla fine, avevo optato per un diplomatico: «Percky, per caso sai dove sono le cucine e se c’è un cuoco a cui mi devo rivolgere per un favore?»

«La signorina vuole andare nelle cucine?» aveva chiesto lui ascoltandomi attentamente.

Io avevo annuito. «Ora, non so se è possibile, ma mi faresti davvero un grandissimo…»

Non mi aveva nemmeno lasciato finire: aveva stretto le sue lunghe dita attorno al mio polso e avevo sentito una strana sensazione di occlusione comprimermi i polmoni, finita nel momento in cui Percky mi aveva lasciato il polso. Guardandomi intorno, mi ero accorta di trovarmi veramente nelle cucine di Hogwarts. Era un’enorme stanza dal soffitto altissimo che mi ricordò per qualche secondo la Sala Grande, salvo per il fatto che alle pareti erano accatastati tutti i tipi di pentole, padelle e tegami che potessi immaginarmi, oltre ad ospitare un gigantesco focolare di mattoni dall’altra parte. La sala era attraversata da quattro lunghi tavoli, e capii che era stato questo a rendere così prepotente la somiglianza con la Sala Grande.

Oltre un centinaio di piccoli Elfi domestici scorrazzavano per la cucina portando piatti, ingredienti, pentole, scope… mi sembrava di essere entrata per sbaglio in un gigantesco formicaio.

«Noi ha ospiti!» aveva esclamato Percky a voce altissima, attirando l’attenzione di tutti.

Non avevo fatto in tempo a guardarmi intorno che una dozzina di Elfi mi si era fatta attorno con dei sorrisi che andavano da un orecchio all’altro e mi avevano spinto verso un tavolino a parte, riempita di biscotti e tartine e munita di tazza con tè fumante. Una volta accertatisi che non mi mancasse niente, Percky mi era tornato vicino chiedendomi qual’era il favore che volevo chiedere.

E così io gli avevo chiesto se il nove gennaio (in realtà due giorni dopo) avrebbero potuto portare una torta nel vecchio circolo di scacchi di Hogwarts – ero sicura che saremmo andati lì, quel giorno. Avevo cominciato a indicargli la strada, ma la sapevano già. Certo, probabilmente la conoscevano anche da molto prima che io venissi a sapere di essere una strega.

Comunque, erano sembrati talmente entusiasti della mia idea che non ero neppure riuscita a sentirmi in colpa per averli sobbarcati di nuovo lavoro, quando evidentemente ne avevano già tanto di per loro.

Perciò, quel giorno avemmo anche una torta con tutti i crismi d’occasione: panna, pan di Spagna e dodici candeline. La mangiammo seduti per terra o sul davanzale, continuando a muoverci, a chiacchierare e a ridere: era uno dei giorni più belli che passavamo da tanto tempo a quella parte. Sev, in particolare, non sembrava più lui: gli occhi gli luccicavano, continuava a sorridere con una punta di incredulità, la sua mano continuava a correre verso il libro per sfiorarne le lettere dorate del titolo, o per contemplare l’immagine di una fattura. Oppure anche solo per prendere una fetta di torta, per infilare un dito nella panna, come avevo sempre fatto io quando cucinava mia madre, come fanno tutti i bambini. Solo che per lui era tutto nuovo. Era la prima volta che lo vedevo così felice che fosse il suo compleanno.


I giorni seguenti un po’ di quella felicità si era conservata, e ci riunivamo spesso nella nostra aula per giocare a scacchi, discutere e provare incantesimi. Il vantaggio nell’essere entrambi bravi a scuola era che non rimanevamo mai troppo sbilanciati: eravamo più o meno allo stesso livello, per incantesimi, a volte vincevo io e a volte vinceva lui, a parte a scacchi in cui vinceva regolarmente lui. Solo una volta, quasi per sbaglio, riuscii a dargli scacco matto; e alla partita successiva mi stracciò in sei mosse, tanto da farmi riflettere se la volta prima mi avesse lasciato vincere.

Le lezioni proseguivano, impegnative come al solito.

Intorno al quindici il professor Lumacorno se ne uscì con una pozione che mise in crisi quasi tutta la classe, tanto che Alice e Remus vennero a chiedermi di rispiegargliela. Fiera di poter usufruire della mia abilità, e intimamente lieta di poter passare altro tempo con Remus, mi misi tanto d’impegno nelle spiegazioni che dopo un po’ si aggiunsero anche Peter Minus e Frank Paciock, così che mi ritrovai con quattro allievi a cui dare ripetizioni. In realtà, a parer mio Remus non aveva bisogno di ripetizioni, e glielo dissi anche, ma lui rispose che il risultato non lo soddisfaceva affatto e non era per niente sicuro di aver ben compreso il procedimento, così rinunciai: mi faceva troppo piacere stare con lui per insistere affinché se ne andasse.

Alice si impegnava seriamente e Frank era così concentrato che gli si formavano tante piccole rughe sulla fronte, ma nessuno dei due era particolarmente portato; in quanto a Peter, lui si sforzava, ne ero sicura, ma non riusciva assolutamente a indovinare la sequenza degli ingredienti, o a contare i minuti, o a correggerla dopo aver sbagliato: su di lui ci volle un lavoro molto più lungo.

A volte ne parlavo con Severus, addirittura cercai ottimisticamente di coinvolgerlo, ma non servì a niente: con me si trovava bene, ma non intendeva passare più dello stretto indispensabile con gli altri miei compagni.

Mi dispiaceva ma non potevo dire niente: dopotutto anche a me non piacevano i suoi compagni. Per niente, a essere onesti. Soprattutto Malfoy, con cui Sev passava tutto il tempo che non passava con me. Ma in fondo, con quello che era successo nel primo trimestre, non c’era neanche di che stupirsi, no?

In ogni caso, lui sembrava aver deposto l’ascia da guerra dopo quella sera da Lumacorno, e io cercavo di ripetermi che era più che normale che uno studente del sesto anno, per quanto tortuoso come Malfoy, si disinteressasse completamente di una del primo. Ero quasi contenta di essere così poco importante.

Solo qualche tempo dopo riuscii a capire che non era così: la vendetta, nei Serpeverde, cresce fredda, come tutto. Viene analizzata e calcolata e quando avviene è esattamente al momento giusto, né troppo presto né troppo tardi.

Ma non potevo ancora capirlo.

Era tutto facile allora, o quasi. Il ciclo scuola, amici e compiti si alternava ad un ritmo confortante, inframmentato dalle quasi quotidiane lettere dei miei genitori. Ero felice, felice perché Sev non aveva più messo il muso dopo il suo compleanno, felice perché Potter e Black non ci stavano tormentando, felice perché potevo parlare con Remus tutte le volte che volevo senza che gli altri si mettessero in giro a malignare… felice, insomma.

Quindi non ero assolutamente preparata a quello che sarebbe successo quella sera. Stavo tornando dall’aula degli scacchi, dove avevo passato le ultime ore prima del coprifuoco con Sev, e stavo percorrendo un corridoio in quel momento deserto, tanto da farmi sospettare che l’ora fosse più tarda di quanto non avessi inizialmente pensato. Fu un attimo, un fruscio da dietro una statua.

Quando mi girai, non c’era niente. Quando però tornai a camminare, successe qualcosa.

Quando infine mi risvegliai ero in Infermeria, ed avevo l’impressione che tutte le costole mi andassero a fuoco.

Davanti a me mi sembrava di vedere alcuni visi distorti, e le mie orecchie credevano di captare qualche suono, ma ci volle un altro intero minuto prima che riuscissi a sentire cosa stessero dicendo, e quando le loro voci riuscirono a penetrare nella mia testa mi trafissero il cervello con tanta violenza che avrei voluto tapparmi le orecchie, non fosse stato per il fatto che le braccia non rispondevano più ai miei comandi.

Fortunatamente, Madama Challoner – santa donna – non appena si accorse che ero rinvenuta per prima cosa fece allontanare tutti e li zittì con una sola, minacciosa occhiataccia, poi si chinò su di me.

Mi sentivo la testa confusa, pesante… non riuscivo a mettere in fila due pensieri.

«Cosa… è… successo?» riuscii alla fine a sillabare, facendo saettare lo sguardo su tutti i visi attorno a me: Madama Challoner, che stava versando un liquido fumante in un bicchiere, Alice, il viso tondo smagrito per l’angoscia, Remus, più pallido del solito e Potter e Black.

Scossi la testa per vederci meglio. Potter e Black? Cosa ci facevano Potter e Black al mio capezzale?

In quel momento realizzai che l’Infermeria era inondata di luce.

«Che ore sono?» chiesi cercando, senza risultati, di tirarmi su.

Alice, forse sollevata del fatto che riuscissi a formulare un pensiero coerente, mi rispose con un piccolo tremito nella voce: «Sono le… le dieci e mezzo, in realtà.»

Le dieci e mezzo? Di mattina? Ma se un secondo prima era sera…?

Un nuovo, terrificante dubbio mi prese. «Che giorno è oggi?» chiesi guardandoli uno per uno.

«È il ventitré gennaio, Lily» mi rispose Remus.

Il ventitré gennaio, il ventitré gennaio… un momento. Cinque minuti prima era il ventuno gennaio o sbagliavo?

«Cosa… è…?» Deglutii l’intruglio che Madama Challoner mi aveva ficcato in bocca a tradimento.

«Lasciatela in pace, potrebbe essere ancora un po’ confusa» li ammonì severamente.

«Non sono confusa!» ribattei debolmente senza convincere nessuno. «Voglio sapere cosa è…»

«Non ora, signorina Evans» ribatté Madama Challoner con la solita energia. «Ha subito uno shock tremendo, è incredibile che si sia ripresa in due soli giorni…»

«In due… cosa diamine è successo qui?» Quasi urlai, visto che nessuno sembrava intenzionato a darmi risposte. La pozione, quale che fosse, che mi aveva dato Madama Challoner aveva notevolmente contribuito a ridarmi le forze.

Lei per tutta risposta mi prese il polso e confrontò il mio battito con un orologio che teneva nell’altra mano, poi eseguì un incantesimo che fece apparire a mezz’aria una strana linea ondeggiante.

«Devo andare a prendere altro ricostituente» borbottò contrariata guardandoci tutti male. «Non fatela agitare, sono stata chiara? È già abbastanza provata di suo…»

Non appena se ne andò, comunque, tutti mi si fecero intorno.

Prima che potessero dire niente, comunque, li anticipai io. «Cosa è successo? Come fa a essere il ventitré? Era il ventuno cinque minuti fa!»

«Lily» cominciò Remus parlando con grande lentezza, «sei… sei stata aggredita.» La voce gli si incrinò appena. «Non sappiamo ancora di preciso chi sia stato, ma qualcuno ha usato diverse fatture su di te… e… e pare anche delle Maledizioni Senza Perdono.» Deglutì e sembrò incapace di proseguire.

Potter si sostituì a lui. «Ti abbiamo trovata io e Sirius il ventuno notte… o forse sarebbe meglio dire il ventidue presto» si corresse scrupolosamente.

Aggrottai la fronte. «Cosa ci facevate fuori a quell’ora?»

Alzò gli occhi al cielo. «Cosa Merlino te ne importa, Evans? Eravamo fuori, e meno male, visto che ti abbiamo trovata completamente svenuta in mezzo a un corridoio deserto!»

Corridoio deserto… ero in un corridoio deserto nel mio ultimo ricordo.

«Ti abbiamo portata subito in Infermeria, ovviamente» proseguì Black. «Madama Challoner non era molto contenta di essere stata svegliata, ma quando ti ha visto… be’, credo che stesse per perdere il controllo. Ci ha mandato persino a chiamare il professor Silente…»

Ok, ora mi stavo seriamente innervosendo.

«Ma perché? Che cos’ho?»

«Lily, sei rimasta in coma per due giorni» disse Alice con un singhiozzo nella voce. «Hanno usato la Maledizione Cruciatus, Lily, quando Remus me l’ha detto… ho… temuto… il peggio…»

«Hai ferite su tutto il corpo, e Madama Challoner dice che è un miracolo se non ti si è incrinata una costola, visto che pare che le Cruciatus possano farlo…» proseguì Potter guardandomi con un’espressione seria ed arrabbiata che non pareva neanche sua.

Stavo per porre una nuova domanda quando la porta si spalancò e qualcuno entrò correndo e urlando: «Lily!»

Era Sev. Si precipitò accanto al letto, pallido come non l’avevo mai visto, e spaventatissimo.

«Cosa ti hanno fatto, Lily, ho appena sentito dire il professor Lumacorno che ti hanno aggredita…»

«Ah, l’hanno aggredita, vero?» Mi voltai di scatto verso Potter, che stava guardando Sev con un’espressione talmente velenosa che istintivamente mi ritrassi. «Non l’hanno solamente aggredita, piccolo Serpeverde da strapazzo, l’hanno torturata e le hanno cancellato la memoria! Ti rendi conto di cosa significhi questo?!» aggiunse urlando.

Il poco colore rimasto sul viso di Severus svanì. «Cosa…?» riuscì solo a balbettare terrorizzato.

«Lo sai cosa possono averle fatto, vero?» sibilò Potter. Mi stava veramente spaventando, sembrava invecchiato improvvisamente. «Immagino che passiate tanto tempo a discutere come ammazzare i sudici Sanguesporco da voi, vero?»

«Io…» balbettò Severus.

«Cosa? Hai idea di cosa le abbiano fatto?!»

Non ero solo io a guardare Potter con un misto di orrore e incredulità: anche Remus sembrava sconcertato da quello scoppio improvviso e Alice si era allontanata quasi d’istinto. Black invece continuava a spostare uno sguardo cupo da me a Sev a Potter.

Lui invece era assolutamente furioso, fuori di sé. Ad un certo punto mi afferrò il braccio destro. «Guarda!» ordinò a Severus sollevandomi la manica del pigiama fino alla spalla. «Guarda!» Sulla pelle, vicino alla scapola, c’era uno strano segno nero simile ad un ragno stilizzato che affondava le punte nel mio braccio.

D’istinto, sottrassi il mio braccio dalla presa di Potter e cercai di osservare meglio il segno. «Che cos’è?» chiesi guardando le… le zampe, se così si potevano chiamare quelle specie di rombi storti, muoversi sulla mia spalla.

«Chiedilo alla tua amica serpe, Evans» ribatté Potter con voce gelida mentre, dietro di me, Alice e Remus trattenevano il fiato alla vista di quella specie di tatuaggio.

Mi voltai verso Sev: i suoi occhi erano dannatamente simili a quelli di sua madre, due tunnel vuoti senza luce e senza speranza. «Sev?» chiesi.

Lui aprì la bocca per parlare un paio di volte, senza emettere un suono, guardò me pieno di spavento e passò poi lo sguardo a Potter, che lo fissava inflessibile dalla mia destra.

Lo guardai anche io. «Che cos’è?» ripetei guardandoli tutti, uno per uno.

Fu stranamente Black a rispondermi. «È il sigillo degli schiavi, Evans» mi rispose con la voce che fremeva di rabbia. «Quando ancora si praticava la schiavitù umana i maghi erano soliti marchiare i loro schiavi con un sigillo simile a quello, per riconoscerli e controllarli.» Si strinse nelle spalle. «Sono secoli che non si usa, non sapevo nemmeno che qualcuno si ricordasse ancora quell’incantesimo, pensavo fosse perso da tempo…»

«Un simbolo di inferiorità» sottolineò Potter guardando Sev senza pietà. «Un marchio per riconoscere quelle sottospecie di maghi che sono i Nati Babbani, come dicono, un nome a caso, i Serpeverde!» Accompagnò la frase con una nuova occhiataccia a Severus.

Lo guardai. «Lui non è come loro» dissi d’istinto, contrapponendomi a quel fiume di bile che gli stava riversando addosso senza che lui reagisse. «È stato lui a dirmi che ero una strega, che non c’erano differenze…»

«Prova a chiedergli di ripetertelo» ribatté lui continuando a fissare Sev. «Vediamo se è già diventato così ipocrita…»

D’istinto, strinsi la mano del mio migliore amico. «Sev non è così» ripetei più decisa. «Non ho bisogno di conferme, lo so che non è così…»

Lo sguardo che lanciò a me era una via di mezzo fra frustrazione e rabbia. Senz’altro avrebbe continuato per quella strada, se dietro di lui non fosse apparsa Madama Challoner accompagnata da niente meno che il preside, Albus Silente.

Era la prima volta che lo vedevo così da vicino, e il mio primo impulso fu quello di alzarmi in piedi. Quando quattro paia di mani mi respinsero giù, capii che non sarebbe stata un’idea grandiosa.

«Bene, allora, ci siamo riprese, signorina Evans?» mi chiese pacatamente avvicinandosi al mio lettino mentre gli altri si allontanavano per lasciarlo passare.

Avevo la bocca arida. «Mi… mi stavano raccontando cosa era successo, professore» riuscii a dire incrociando i suoi occhi.

Lo sguardo gli si venò di tristezza. «Ah, sì. Immagino che lei non conservi nessun ricordo dell’accaduto, vero?»

Io scossi la testa, rimpiangendo subito dopo di averlo fatto perché il movimento mi fece aumentare il dolore. «Ricordo solo che stavo tornando al dormitorio, il ventuno sera, poco prima del coprifuoco, ero da sola in un corridoio, poi ad un tratto ho sentito un… una specie di fruscio, mi sono girata e non ho visto niente e poi d’improvviso ero qui.» Lo guardai frustrata. «Cosa è successo, professore?»

Lui aveva allungato una mano verso il comodino ed aveva preso la mia bacchetta. «Temo che sarà molto difficile ricostruire l’accaduto, signorina Evans, specialmente senza la sua testimonianza.» Avvicinò la punta della sua bacchetta a quella della mia e mormorò una formula che non riconobbi.

Subito si formò una specie di striscia d’argento unita ad un sibilo, poi un velo sempre d’argento simile agli scudi che evocavo di solito, poi un altro simile…

Confusa, stavo guardando quelle immagini quando il professor Silente sospirò più profondamente e interruppe l’incantesimo.

«Cos’erano quelli?» chiesi prima di riuscire a trattenermi.

Due occhi azzurro ghiaccio si puntarono su di me. «Quelli, signorina Evans, sono gli unici testimoni che abbiamo al momento di quanto era successo» mi rispose pacato. «Sono gli incantesimi che questa bacchetta ha compiuto… in ordine inverso. Pare che lei si sia difesa per tutto il tempo possibile da chiunque l’abbia attaccata.»

Mi riappoggiai ai cuscini, mentre una nuova ondata di stanchezza si abbatteva su di me. «Non mi ricordo niente… niente!» gemetti cercando di spremermi le meningi e, al contempo, di controllare le lacrime. «Non esiste un modo per farmi tornare la memoria, o…»

«Gli incantesimi di memoria sono di potenza diversa in base al mago che li pratica, ma eliminarli del tutto è difficilissimo, per non dire impossibile, e mai privo di dolore.» Con la coda dell’occhio scorsi gli altri ascoltare attentissimi. «Per ricordare completamente servono stimoli esterni molto forti o incantesimi tali da mandare la mente fuori controllo. In parole povere, signorina Evans» concluse senza staccare lo sguardo dal mio, «dovremmo farle ripetere quell’esperienza o rischiare la sua pazzia.»

«No!» esclamarono ad una voce Sev, Remus e Potter, prima di scambiarsi un’occhiata. Remus sembrava stupefatto e indignato per la proposta, Sev e Potter erano stranamente simili nell’espressione, stavano entrambi guardando il preside come a sfidarlo a farmi una cosa del genere.

Un vago sorriso si disegnò sulle labbra di Silente. «Il che ovviamente è fuori discussione» li rassicurò con dolcezza.

Tornai ad appoggiarmi ai cuscini. Gli occhi mi pizzicavano per le lacrime che cercavo di non mostrare. «Cosa si può fare, allora?» mormorai temendo di conoscere già la risposta.

«Per prima cosa, lei deve riposarsi e riprendere le forze.» Lo sguardo del preside si fece tagliente. «E i suoi aggressori verranno trovati, e puniti.»

Annuii, sentendomi stranamente confortata da quel discorso anche se non avevo idea di come avrebbero potuto trovarli.

«Ah, signorina Evans, credo sia bene informarla che ci siamo sentiti in dovere di informare i suoi genitori dell’accaduto. Dovrebbero essere qui tra poco.»

Mi tirai su di scatto facendo sobbalzare tutti. «Qui? Mamma e papà?»

«Signorina Evans, lei non deve compiere sforzi!» mi redarguì immediatamente Madama Challoner cercando, senza successo, di farmi riappoggiare ai cuscini.

La ignorai completamente, ero spaventatissima. «Saranno al sicuro, professore?»

Mi scrutò attentamente, come cercando qualcosa dietro ai miei occhi. «Le posso garantire che non succederà loro niente.»

«Mai, vero? Nessuno userà incantesimi su di loro, vero? Perché sarebbero completamente inermi qui, non hanno magia, non potrebbero difendersi…»

«Non entreranno in contatto con gli studenti, signorina Evans, e la loro visita sarà strettamente confidenziale» mi rassicurò lui. «Un membro del corpo docenti li accompagnerà dentro e fuori la scuola per accertarsi che non gli succeda niente durante la loro permanenza qui.»

Mi riappoggiai ai cuscini, riprendendo a respirare. Avevo avuto l’impressione che il cuore mi si fermasse quando avevo capito che mamma e papà, due Babbani, sarebbero entrati in un edificio pieno di maghi razzisti e potenzialmente violenti. «La ringrazio, signore» mormorai con voce rotta.

Lui annuì appena e si diresse verso la porta, aprendola per far entrare di gran carriera i miei genitori.

Rimasi nuovamente sorpresa: erano già lì? Come facevano tutti ad arrivare esattamente nel momento in cui mi ero ripresa?

«Lils!» esclamò mia madre gettandosi accanto al lettino ed abbracciandomi strettamente, mentre mio padre cingeva sia me che lei. «Lils, stai bene? Cosa è successo, abbiamo ricevuto una lettera ieri sera…»

Ieri sera… con un giorno di ritardo, quindi…

In quel momento però ero talmente felice di vederli che cominciai a piangere, cercando di farlo il più silenziosamente possibile. Lo stress però era forte, non riuscivo a controllarmi… e poi mi sentivo stranamente al sicuro: i miei genitori erano lì, mia madre mi stava accarezzando la testa e mio padre mi stava stringendo, non poteva succedermi niente.

Mi lasciarono sfogare senza dire niente, solo continuando ad abbracciarmi, poi mio padre si alzò e guardò Silente. «Cosa è successo?» chiese con una vena di rabbia nella voce. «La lettera che abbiamo ricevuto diceva solo che Lily era stata aggredita e si trovava in condizioni critiche…»

«Tesoro, come ti senti?» Mia madre mi stava ancora stringendo come se avesse paura di vedermi scappare via.

«Molto meglio, ora» risposi io continuando ad abbracciarla, mentre Silente spiegava la situazione a mio padre, sempre più scioccato. Quando il preside ebbe finito, fece un passo indietro, lo guardò incredulo e tornò da noi.

«Lily, non puoi restare qui» disse con fermezza. «Non così. Non se la situazione è così grave.»

Mi sembrò di aver d’improvviso inghiottito un buco nero, qualcosa che mi risucchiava tutto da dentro senza lasciar niente al suo posto.

«Co… cosa?» riuscii a balbettare mentre Sev alzava uno sguardo sconvolto su mio padre.

Mi prese per le spalle. «Lils, ti rendi conto di cosa è successo?» mi disse stringendomi. «Hai visto come sei ridotta? Se questo è quello che ti succede stando qui, diamine, non ti terrò qui un minuto di più!»

«Papà, non è questo quello che mi succede qui… è stato solo un episodio, solo un caso…»

«Solo un caso» ripeté lui con una smorfia incredula guardando mia madre.

La guardai anch’io: aveva un’espressione frustrata e dolente che non ricordavo di averle mai visto. «Lily, da quello che ci hai raccontato a Natale non era la prima volta che avvenivano scontri fra studenti, anche più grandi» disse con lentezza, guardandomi negli occhi. «Fin’ora sei stata fortunata, ma come hai visto la fortuna non dura per sempre… non voglio che tu sia in pericolo.»

«E poi cos’è questa storia che non ricorda niente?» aggiunse mio padre guardando tutti i presenti. «Cos’è, le hanno indotto amnesia o… o qualcosa del genere?»

«Alcuni incantesimi riescono a manipolare la memoria» rispose Sev con lentezza, mentre gli occhi di mio padre si calamitavano verso di lui. «Ma sono ad un livello molto, molto avanzato… non credo che ci siano più di sette o otto studenti capaci di evocarlo…»

«E allora non sarebbe possibile trovare il colpevole?» esclamò mio padre frustrato, tornando a guardare Silente. «Se solo sette o otto studenti possono provocarlo…»

«Il difficile non è trovare il colpevole, papà» risposi io lentamente. «Il difficile è provare che sia stato lui.»

Calò un silenzio significativo e imbarazzato.

«Gli incantesimi non lasciano tracce tangibili?» chiese alla fine mia madre, senza smettere di accarezzarmi la testa.

Io annuii. «Ma vi ricordate quando ho detto che siamo ancora in un sistema tipo feudale? Ecco, immaginate di dover accusare il conte…»

«Lily, se davvero c’è la possibilità che il colpevole rimanga a piede libero tu non resterai in questo posto un momento di più!» esclamò mio padre furibondo.

«Non è così semplice» disse una voce dietro di lui cogliendoci tutti di sorpresa. Alice si era fatta avanti, mentre io sbattevo le palpebre: mi ero completamente dimenticata che gli altri erano ancora qui.

«Mamma, papà, lei è Alice» dissi un po’ in ritardo, indicandola. «E quelli sono Remus Lupin, James Potter e Sirius Black.»

Notai un piccolo sorriso apparire sulle labbra di mia madre al nome di Remus e arrossii. Tuttavia, lei strinse la mano a tutti con la stessa gentilezza e non fece niente per mettermi in imbarazzo, cosa di cui le fui immensamente grata.

«Cosa vuol dire “non è così semplice”?» chiese mio padre tornando a guardare Alice.

«Vuol dire che Lily non sarebbe molto più al sicuro là fuori che qui dentro» intervenne Potter guardandolo senza esitazioni. «Anzi, qui almeno ha la possibilità di imparare a difendersi.» Sorrise senza allegria. «Nel mondo dei maghi, per quanto stiamo facendo passi avanti negli ultimi tempi, esistono ancora degli estremisti che credono nell’idea del sangue puro» spiegò guardandoli entrambi. Non l’avevo mai visto così serio.

«E molti di questi estremisti sono molto, molto più pericolosi di quanto non potranno mai essere un paio di ragazzini esaltati» proseguì Black con la stessa intensità. «E non si limitano a colpire gli studenti, colpiscono anche i Bab… le persone come voi, solo per sentirsi più forti.»

«Se le persone come Lily venissero tolte dalla scuola sarebbe un po’ come dargliela vinta» aggiunse Potter. «È esattamente questo che vogliono, eliminare quelli che secondo loro non dovrebbero studiare la magia, anche quando sono dotati come lei.»

«Abbiamo bisogno di lei per dimostrare che sbagliano» intervenne Alice guardandomi con uno dei suoi luminosi sorrisi. «È la prova vivente che quello che affermano è assurdo.»

Mi sentii arrossire violentemente.

«Senza contare» si intromise Remus dopo avermi guardata per qualche secondo, «che lascerebbe un vuoto notevole dietro di sé.»

Se prima ero arrossita, non era niente in confronto ad ora.

«Non lascerò che le succeda qualcos’altro» mormorò Sev a voce così bassa che quasi faticai a sentirlo.

E allora, forse per la prima volta da tantissimo tempo a quella parte, mi sentii finalmente a casa.



ANGOLO AUTRICE

Lucius, mio viscido amico… Mi dicono che non hai ripudiato le vecchie abitudini, anche se davanti al mondo presenti un volto rispettabile. Sei ancora pronto a prendere il comando in una battuta di caccia al Babbano, suppongo…”

L’aristocrazia inglese ha strani gusti in fatto di prede, direi -.-

Ma in fondo, non potevo fare che Lily la passa tutta liscia così, come se niente fosse. Immagino che l’unico rimpianto del colpevole sia stato non poter dichiarare pubblicamente che era stato lui.

Comunque, capitolo denso, forse, ma necessario. Con la tensione al massimo fra Grifondoro e Serpeverde, oltre che fra Purosangue e Sanguesporco, non potevo, come ho già detto, lasciare Lily incolume. Sarebbe stato innaturale. Quindi eccoci qui.


Nessuna nota particolare, non credo ci sia molto altro da aggiungere…

A parte i miei ringraziamenti a chiunque sia in ascolto sull’altra linea, ovviamente.

Mi sento quasi stupida a ripeterlo tutte le volte, ma grazie. Grazie a chiunque si prenda la briga di seguire questa storia, non so ancora chi siete ma vi ringrazio sinceramente. Appena tornerò vedrò di farlo meglio, più personalmente. Intanto, lascio questo felice compito a mia sorella, sono certa saprà farlo molto meglio di me. Alla prossima!


ANGOLO PUBBLICANTE


Ebbene sì, maledetto Carter!

Oops... sbagliato copione ^^

Ehm, ehm...

La tristezza è suprema :( Sappiate che questa è l'ultima volta che leggerete il mio Angolo Pubblicante. Dal prossimo chap Autrice e Pubblicante si fondono in una sola persona... E questo è un bene, perché significa che mia sorella sta per tornare *______________*, ed è uno male perché io non sarò più con voi...

*Bang! Pubblicante spara a lettore che stappava lo champagne scoprendo che torna l'autrice

IETTATORE! Lo so che voi siete felici di avere di nuovo LadyMorgan, ma per lo meno fate finta u.u

Quindi questa è l'ultima volta che sono io a rispondere alle vostre recensioni.

Questa storia ha significato tanto anche per me, mi ha accompagnata in questo anno di assenza di mia sorella e scandiva le settimane. Anche se molte volte mi sono dimenticata di aggiornare puntualmente, me ne dispiacevo sempre e poi cercavo di rimediare in qualche modo idiota.

Insomma mi mancherà tutto questo, è stata una parte di quest'esperienza.


Passerò quindi a rispondere per l'ultima volta alle vostre recensioni.

  • A Milka: grazie mille. Sia io, sia Silvia apprezziamo molto i complimenti ^^ Io personalmente sono molto felice che la caratterizzazione ti sia piaciuta, anche se il merito è suo ;) Sono lieta che tu apprezzi anche la mia collaborazione, però :D

    Sono anche molto contenta che i personaggi suscitino in te emozioni diverse, una conferma in più del fatto che sono scritti bene XD Insomma, la tua recensione mi ha fatto molto piacere e spero vivamente che continuerai a seguire la storia anche senza la mia fondamentale presenza ;)

  • A malandrina4ever: mi mancherai o SorellaXDPrugna. Non mi sono presa la briga di controllare, ma mi pare che il tuo soprannome fosse questo XD

    ODDIO! Ti sei veramente prostrata hai piedi di Peter?! Della pantegana! Del mostro traditore! Del lurido, viscido, inutile, inetto, stupido, senza cervello, privo di scopo, vile, ottuso, e taaaaante altre cose che ora non mi va di scrivere? COME HAI OSATO! Io mi fidavo di te, sniff. E tu mi tradisci così? Non ti rivolgerò più la parola u.u

    Dalla regia mi fanno notare che non ci siamo mai parlate, ecco perché odio la regia è.é

    Non avrai nemmeno la possibilità di chiedermi scusa! Rimarrai per sempre con il rimorso di esserti inchinata a Peter. Peter!

    Diciamo che prima o poi ti perdonerò, infatti suppongo che l'ira della SSP sarà peggio del mio disprezzo LOL.

    In bocca al lupo mannaro!


Vorrei anche ringraziare tutti quelli che hanno aggiunto nelle preferite/seguite/da ricordare. E anche tutti quelli che hanno recensito i capitoli precedenti.

Grazie a tutti!

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Capitolo 22
*** Capitolo 15 - Riprendermi ***


Prima parte: I Anno

Capitolo 15 – Riprendermi


Seduta in Guferia, pensavo. Non mi muovevo da tanto tempo, sentivo le mie lacrime gelate contro le guance.

I miei genitori se ne erano andati.

E io avevo improvvisamente realizzato che in loro presenza dovevo essere forte, perché loro non conoscevano il mio nuovo mondo e ne avevano più paura di me. Avevo pianto con loro, per lo stress emotivo subito. Avevo pianto perché con loro potevo piangere. Ma non mi potevano aiutare. Non c’erano modi per aiutarmi, l’avevo capito fin da subito.

E quello strano marchio lasciato sulla mia spalla non era neanche lontanamente spaventoso come il marchio che torturava la mia mente.

Non ricordavo niente.

Poteva essermi successa qualunque cosa in quell’ora, anche se le diagnosi di Madama Challoner avevano ricostruito con abbastanza efficacia quello che mi avevano fatto.

Non volevo che mi vedessero piangere.

Per questo ero scappata in quell’angolo solitario e gelato. Volevo piangere. No, non volevo piangere. Non volevo ma ne avevo bisogno, e allora cercavo di non farmi vedere.

Non ero più rimasta sola da quando Madama Challoner mi aveva dimessa: Severus, Alice e Remus facevano la ronda, a volte accompagnati da Black, Potter, Paciock o Minus. Inoltre, la mia disavventura aveva fatto il giro della scuola, quindi capitava che venissi salutata nei corridoi da dei perfetti sconosciuti.

La notizia che una primina Grifondoro dal dubbio stato di sangue fosse finita in Infermeria per lesioni da incantesimi era trapelata. A quanto mi avevano raccontato i miei amici, c’era stata un’ondata di rabbia da parte di tutta la nostra Casa ed un notevole incrinarsi dell’amicizia fra Grifondoro e Serpeverde, come se fosse stato necessario. Tassorosso e Corvonero erano rimasti neutrali, ma si vedeva bene che non approvavano assolutamente l’aggressione. Alcuni studenti di entrambe le Case con cui potevo aver rivolto al massimo una dozzina di parole mi erano venuti a trovare per informarsi della mia salute e tre giorni dopo il mio ricovero Madama Challoner aveva accettato di far entrare un Hagrid notevolmente sporco di terra e dotato di un mazzo di… fiori, credo, nella sua ottica, straordinariamente simili a carciofi e che emettevano un inquietante sibilo ogni volta che la conversazione si interrompeva.

In tutta quella confusione, i miei genitori se ne erano dovuti andare solo due giorni dopo essere arrivati, dopo essersi assicurati che ricevevo cure costanti e che mi sarei rimessa presto: il rischio che la notizia della loro presenza si diffondesse era troppo alto, a Hogwarts la velocità con cui circolavano le voci aveva un che di particolarmente magico. Malgrado tutto, ero riuscita a impormi di insistere con loro affinché se ne andassero, visto che ero terrorizzata che qualcuno potesse in qualche modo aggredirli. A volte sospettavo che fra ritratti, gargoyle parlanti e quant’altro fosse impossibile mantenere un segreto.

Era stato da un ritratto che avevo saputo che, a quanto pareva, a numerosi studenti di Serpeverde erano capitati strani incidenti non ben spiegati: il martedì dopo il mio ricovero, Rowle era stato portato in Infermeria per via di un’eruzione di pustole su tutto il corpo che non erano riusciti a guarire, Avery poco tempo dopo aveva saltato tutte le lezioni per un inspiegato quanto improvviso attacco di febbre e mi fu riferito che Malfoy andava in giro con aria talmente furiosa che tutti erano certi gli fosse successo qualcosa.

Severus non ne parlava e non commentava, e in sua presenza sia Remus che Alice non ne parlavano, per quanto possibile. Curiosamente, nemmeno Potter e Black ne parlavano più di tanto, anche se quando Remus mi raccontò dell’accaduto cominciarono a sghignazzare senza neppure troppo ritegno, chiaramente divertiti.

Ma ora dovevo piangere. E chissà, forse il trovarmi in Guferia mi faceva sentire più vicina ai miei genitori. Mi mancavano. Mi mancavano tremendamente, e Tunia ancora di più.

Rimasi lì seduta a rimuginare per non so quanto tempo. Cercavo di tranquillizzarmi, e non ci riuscivo. Non sapevo neppure più se volevo stare sola o in compagnia, se per orgoglio volevo rifiutare qualunque conforto o se volevo solo appoggiarmi alla spalla di qualcuno e sentirmi consolare.

Il tempo continuava a peggiorare, ma più i miei muscoli si intorpidivano per il freddo più perdevo la voglia di andarmene.

E poi, sembrava quasi che la neve lenisse il mio dolore… come un anestetico, come se riuscissi ad addormentarmi, senza incubi. Cara neve…

«Evans!»

Alzai la testa, infastidita da quell’urlo.

«Evans!»

La porta della Guferia si aprì ed entrò niente di meno che James Potter, con la bacchetta illuminata alta e l’espressione più preoccupata che gli avessi mai visto.

Quando mi scorse, mi parve di notare una scintilla di rabbia nei suoi occhi, ma tutto avveniva così da lontano… “Dove sei stata?”, “Tutto il pomeriggio che ti cerchiamo…”, “Che ti salta in testa…” erano frasi prive di significato, per me. Giunse invece nettamente chiaro un suo esasperato “Merlino!” mentre la finiva di scuotermi e pronunciava un incantesimo che non ricordavo. D’improvviso mi sentii caldissima, e l’ovatta che occludeva le mie orecchie sparì.

«Vieni, hai un principio di congelamento, di questo passo finirai metà dell’anno in Infe…»

«No!» esclamai con forza trattenendo bruscamente il suo braccio.

Mi guardò stupito. «No cosa?»

«Non voglio andare in Infermeria» dissi freneticamente artigliandogli il mantello. «Andiamo… andiamo in Sala Grande, ho fame…»

Mi guardò stranito. «Evans, il banchetto è finito da almeno un’ora…»

Che ore erano?

«Allora… allora andiamo in Sala Comune, non voglio che restino tutti preoccupati…»

«Su quello non c’è problema.» Mentre mi pilotava giù per le scale, tirò fuori dai meandri del grembiule un piccolo specchietto rotondo. «Sir? L’ho trovata. La porto in Sala Comune appena si è riscaldata un po’, era in Guferia. Trova gli altri, arriviamo tra una mezz’oretta.»

«Se sta bene, dille da parte mia che è un’idiota» brontolò la voce di Black dallo specchietto, facendomi sobbalzare. «C’è Remus che stava per avere una crisi isterica…»

Io arrossii furiosamente e Potter rise. «Non mancherò di riferire, tranquillo.» Richiuse lo specchietto e se lo mise in tasca. «Sirius dice che sei idiota» mi informò con un mezzo sogghigno.

Continuò a trainarmi verso il castello.

«Cos’era quel coso?» chiesi dopo un po’. Mi accorsi che stavo battendo i denti e strinsi forte la mascella per coprire il rumore.

«Uno specchio a doppio senso» mi rispose lui come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Io ne ho uno e Sirius ha l’altro, ci consentono di comunicare a distanza.»

«Bello» mormorai mettendomi le mani sotto le ascelle. Mi ero improvvisamente resa conto di quanto facesse freddo. «Sembrano dei telefoni che si possono portare in giro.»

«Dei che?» chiese lui mentre ci allontanavamo sempre di più dalla Guferia.

«Telefoni. Sono…» Una nuova raffica di vento coprì le mie parole. Il fatto che la Guferia fosse separata dal resto del castello si stava rivelando più scomodo di quanto non credessi.

Poco prima di arrivare al portone, Potter mi fece fare una brusca deviazione verso la zona più incolta delle mura esterne.

«Che fai?» gli chiesi in un soffio mentre ci dirigevamo verso una cortina d’edera.

«Evans, mi ascoltavi prima quando parlavo? Il banchetto è finito, stiamo infrangendo il coprifuoco, il portone è chiuso.»

Sentii un crampo di paura afferrarmi lo stomaco. «Siamo… chiusi fuori?» gracchiai con voce resa stridula dal freddo.

Sorrise appena. «Ho detto questo?» Si avvicinò al muro fino a toccarlo e scosse un po’ l’edera, facendoci cadere addosso una considerevole quantità di neve. «Entra, su» mi disse spingendomi verso il piccolo pezzo di muro liberato dall’edera.

Ero troppo debole per ribattere; feci come mi diceva, aspettandomi di sbattere contro le pietre compatte che vedevo… ma non ci fu nessun impatto: attraversai il muro come se non esistesse e piombai nell’oscurità più completa. Non riuscivo a vedermi neppure le mani. E dopo l’ululato continuo del vento fuori, l’improvviso silenzio faceva quasi impressione. Quando mi sentii afferrare la spalla non potei impedirmi di sobbalzare. «Tranquilla, sono io» disse Potter tirando fuori la bacchetta. «Lumos!»

Ora che riuscivo a vederlo, ci trovavamo in uno stretto passaggio di pietra dal soffitto basso molto umido, con l’aria di non essere stato usato per molto tempo.

«Che posto è questo?» chiesi mentre continuava a spingermi avanti. Prima che potesse rispondermi, come se mi fossi appena ricordata di qualcosa, tirai fuori la bacchetta e la accesi anch’io.

«Ah, non ti eri completamente rimbecillita, allora» commentò lui lasciandomi andare. «Cominciavo a temere che parte del tuo cervello si fosse congelato. Comunque, questo è uno dei passaggi più brevi che conducono fuori dalla scuola, io e Sirius ci siamo imbattuti mentre cercavamo di scappare da Gazza…»

«Com’è che voi due state sempre scappando dal custode?» chiesi mentre il sangue cominciava a rifluirmi nelle vene. Molto. Molto dolorosamente.

Lo sentii sogghignare. «È un uomo senza senso dell’umorismo» disse soltanto.

Feci una smorfia che non poté vedere mentre proseguivamo in quello spazio angusto e vuoto. «Sgattaiolate spesso fuori di notte?» mi informai in tono mondano, per ignorare la paura che quel luogo buio e pieno di ragni mi ispirava.

Ridacchiò. «Solo quando dobbiamo recuperare compagne troppo orgogliose per chiedere aiuto.»

Trattenni una rispostaccia. «E vi capita spesso?»

Lo udii ingoiare una risata. «Ultimamente sì.»

Mi stavo per girare, quando lo udii dichiarare dietro di me: «Pallone, rigetto, arancia, stecchito.»

Spalancai la bocca. «Hai fuso l’ultimo neurone che ti rimaneva o è un indovinello?»

Dietro di me qualcosa scattò e una lama di luce penetrò nel buio del passaggio.

Potter mi superò con un sogghigno. «Mai sentito parlare di parole d’ordine, Evans?»

«Mai così stupide» borbottai senza accettare la mano che mi aveva teso per aiutarmi ad uscire.

Mi scrutò con aria critica. «Non hai l’aria molto sana» mi informò senza un minimo di tatto. «Sei praticamente blu.»

Mi passai una mano sugli occhi. «Devo essere rimasta lì per più tempo di quanto non sembrasse… non ci ho fatto caso.»

«Sì, ho notato» mormorò lui abbassando la voce. «Credo che oggi ci siano Anderson e Hawkins di Corvonero e Flit e Selwyn di Serpeverde di ronda, senza contare Gazza e la Harvey.»

Non gli domandai neppure come lo sapeva. Probabilmente aveva rubato i turni da qualche incauto Prefetto. «Dove siamo?» chiesi guardandomi attorno. La stanza era piccola e la luce sembrava non avere una provenienza precisa.

«Nello sgabuzzino delle scope e dei solventi dietro il bagno delle ragazze del secondo piano» mi informò lui premendo uno dei mattoni che componevano il muro. Il passaggio si aprì e lui mi fece cenno di passare con un ironico inchino.

Passai con la bacchetta in guardia e mi guardai attorno. Conoscevo quel bagno, anche se di solito lo evitavo: c’era un fantasma non molto simpatico che lo infestava, che non faceva altro che piangersi addosso. «Immagino sia inutile chiederti come diavolo siete finiti nel bagno delle ragazze per sfuggire al custode, vero?»

Nascose una risata in una mano. «In realtà ci siamo infilati nella prima porta che abbiamo trovato e Sirius è riuscito a abbagliare abbastanza il fantasma che ci stava per portarla dalla nostra parte. Io stavo correndo e sono scivolato e sbattendo contro il muro ho aperto questo passaggio. È stato buffo…»

«Immagino…» dissi con un sorriso immaginandomi la scena. Stavo per ridere, ma i muscoli mi facevano ancora male per il freddo e mi ero appena accorta che il mio stomaco stava brontolando.

Potter mi guardava attentamente, anche se sempre con quel piccolo sorriso di scherno. «Confesso che non so bene cosa fare, se non vuoi andare in Infermeria» disse alla fine. «Voglio dire, tu hai bisogno di mangiare e in Sala Comune non c’è niente… o meglio, forse riusciamo a fare una colletta di dolci, ma tu hai bisogno di qualcosa di caldo, e non mi sembra che…»

«Andiamo nelle cucine» suggerii debolmente appoggiandomi al muro. La stanchezza continuava a piombarmi addosso ad ondate, e se un secondo prima mi sembrava di stare bene, quello dopo i miei muscoli venivano presi da un tremito incontrollabile che mi infiacchiva sia fisicamente che psicologicamente. Forse aspettare che il freddo lenisse il mio dolore non era stata una grande idea.

Siccome non avevo ancora ricevuto una risposta alzai lo sguardo: Potter mi fissava con gli occhi spalancati e la bocca un po’ aperta.

«Che c’è?» chiesi io cercando di riprendere fiato.

«Nelle cucine?»

Io annuii. «Sai, credo che tu abbia ragione, un po’ di cibo mi farebbe bene» ammisi con un piccolo sorriso. «E tanto ormai sanno che mi hai trovata, quindi anche se tardiamo qualche minuto non credo che…»

«Tu sai dove sono le cucine?» mi chiese a metà fra lo stupefatto e il deliziato.

Io annuii di nuovo. «Perché…?»

«Tu mi stai dicendo che vivi nella mia stessa Casa da quattro mesi e non mi hai ancora detto dove stanno le cucine?» mi chiese alzando tanto la voce che dovetti fargli cenno di abbassare tono.

«Non ti eccitare, lo so da meno di un mese» mormorai.

«Be’, dobbiamo andarci» dichiarò lui risolutamente. «Assolutamente. Io e Sirius le stavamo cercando già da un po’ e…»

Mi concessi un sogghigno. «Be’, essere bravi a Pozioni servirà a qualcosa…»

«Cosa c’entrano le Pozioni, per Merlino?» chiese lui abbassando la voce mentre metteva fuori la testa dal bagno per controllare che non ci fosse nessuno. Lo sentii borbottare contrariato. «Accidenti, Evans, se avessi saputo che ci sarebbe voluto così tanto avrei portato il…» S’interruppe di scatto e ritirò la testa. «Be’, dove stanno le cucine?»

«Sotto la Sala Grande, si entra da un quadro con la frutta. Lo stesso sotterraneo che porta alla Sala Comune dei Tassorosso, a quanto so, almeno, non se sai dove…»

«Certo che lo so, Evans, per chi mi hai preso?» chiese quasi offeso. Si appoggiò alla parete e cominciò a contare. «Quindi sono circa… quattro piani, giusto, per arrivare? E il fatto che sia vicino a una Sala Comune non aiuta…»

«Possiamo anche andare direttamente alla Torre, magari è più…»

«Non è più facile, Evans, e se ti degnassi anche solo di contare i piani lo capiresti anche tu» mi disse stizzito. «Quanto vorrei avere il…» Lo vidi stringere i pugni e rilassarli d’improvviso. Ora stava di nuovo sorridendo. «Be’, dovremo improvvisare, immagino» disse alla fine di buonumore. «È sempre il piano migliore.»

Ciò detto, mi prese per un polso ed uscì nel corridoio, muovendosi molto velocemente vicino alle pareti.

Arrivammo al primo piano senza difficoltà, ma lì incontrammo Pix. Ci muovemmo immediatamente per una delle scorciatoie che evidentemente conoscevamo entrambi prima che ci raggiungesse. Ci guardammo un attimo e proseguimmo lungo il passaggio fino ad arrivare al Salone d’Ingresso.

A gesti, gli indicai la porta per i sotterranei e lui annuì. Ci arrivammo di corsa ed entrammo nel corridoio illuminato a passi felpati. Se fosse arrivato qualcuno ci avrebbe per forza visti, eravamo in piena luce e non c’erano né nicchie né armature in cui ci saremmo potuti nascondere. L’unico vantaggio era che il corridoio era un’unica, lunga curva e quindi, in teoria, chi entrava non ne aveva una visuale completa. Un’arma a doppio taglio.

«Credo ci convenga correre» mormorai sfiorandogli il braccio. «Non ci sono nascondigli da qui al quadro.»

«Mi sa…» Il rumore di una porta che si apriva ci fece sobbalzare tutti e due. «Vai!»

Corremmo il più silenziosamente possibile lungo il corridoio, pregando che non venisse nessuno dall’altra parte. A metà corridoio, mi fermai di fronte a uno dei quadri più grandi, quello con una ciotola d’argento piena di frutta, e una volta fatto il solletico alla pera spinsi la maniglia verde apparsa e mi fiondai dentro le cucine il più velocemente possibile.

Dietro di me, Potter chiuse velocemente la porta e alzò la testa, guardandosi attorno.

«Signorina! Buonasera!» Percky mi stava venendo incontro strofinandosi le lunghe dita in un canovaccio e guardandomi con un sorriso.

«Ciao, Percky» mormorai io sorridendo in risposta. «Spero tu stia bene…»

«Percky sta benissimo, signorina.» Mi guardò e le sue orecchie parvero afflosciarsi. «Ma la signorina sembra non stare benissimo…»

«Ho… ho avuto una settimana intensa, Percky…» dissi vagamente, in imbarazzo.

Lui annuì con il testone, comprensivo. «E benvenuto al signorino, anche!» disse facendo una riverenza verso Potter.

Mi voltai a guardarlo: sembrava gli avessero appena annunciato che le vacanze estive sarebbero durate tutto l’anno. «È magnifico!» sussurrò guardandosi attorno. «Elfi Domestici… certo, è talmente ovvio…»

«Percky può fare qualcosa per i signorini?» chiese lui guardandoci in radiosa attesa.

Questo parve scuotere Potter. «Sì, potremmo avere due cioccolate calde? La signorina qui è gelata…»

«Se non crea troppo dist…» iniziai io, di nuovo in imbarazzo, ma non mi ascoltò neppure: era già partito alla volta dei fornelli per dare l’allarme generale.

Altri due elfi ci si avvicinarono. «Se i signorini vogliono accomodarsi…» ci dissero rispettosamente facendoci strada verso un tavolino sistemato lì su due piedi.

«È meraviglioso…» mormorò Potter sedendosi e guardandomi con un sorriso che gli tagliava la faccia in due.

Mi venne da sorridere in risposta, anche se mi sentivo un po’ in colpa: in fondo li stavo solo caricando di nuovo lavoro…

«I signorini vogliono panna sulla cioccolata?» Percky si era avvicinato e ci stava guardando interrogativo.

Prima che io potessi rispondere, Potter annuì entusiasta. «Sì, la panna sarebbe l’ideale!»

Percky parve squittire di felicità e corse a portare il nuovo ordine: dopo neanche un minuto due tazze di fumante, deliziosa cioccolata calda con panna ci vennero scarrozzate davanti su un vassoio argentato assieme a un piattino con biscotti e una zuccheriera, per ogni evenienza.

«Grazie, siete stati molto gentili» dissi con un sorriso mentre ci poggiavano il vassoio sul tavolino. Si inchinarono fino a terra come se gli avessi fatto il più grande favore del mondo e si ritirarono per lasciarci bere tranquillamente.

«Evans» scandì Potter mentre si portava la tazza alle labbra guardandosi attorno, «non so come hai fatto a trovare questo posto ma sei un genio!»

«Grazie» mormorai arrossendo appena e chiudendo le mani sulla tazza bollente per assorbirne il calore. «E grazie anche per avermi portata via dalla Guferia» aggiunsi, riscuotendomi. «Credo che ci sarei rimasta, altrimenti.»

«Figurati» rispose lui con noncuranza bevendo dalla tazza.

Cominciai anch’io a sorseggiare la mia cioccolata: aveva una temperatura perfetta, né così bollente da scottare il palato né troppo fredda per riscaldare dentro. Aveva un effetto benefico istantaneo. Chiusi gli occhi per poterne meglio assaporare il calore e la dolcezza. Senza ombra di dubbio, era la miglior cioccolata che avessi mai assaggiato.

«Evans, mi hai fatto uno dei migliori regali di compleanno che potessi chiedere» commentò la soddisfatta voce di Potter.

Riaprii gli occhi. «È il tuo compleanno?» chiesi stupita.

Si strinse nelle spalle. «Fra un paio d’ore sì» mi disse con un sorriso.

Lo guardai e cominciai a ridacchiare.

«Che c’è?» chiese abbassando la tazza.

«Hai due baffi di panna» lo informai ridacchiando più forte.

«Ah sì?» Incrociò gli occhi per cercare di vedersi. Era estremamente buffo. Se li leccò via e parve degustarli per un attimo. «Be’, in quel caso erano i baffi più buoni che avessi mai avuto» commentò girando la cioccolata.

«Me lo immagino» confessai sempre ridendo. Il freddo sembrava un ricordo lontanissimo, nel caldo delle cucine di Hogwarts. «Be’, buon compleanno in anticipo, allora» dissi dopo un po’.

«Grazie» rispose lui con aria compita.

Ci guardammo per un attimo, serissimi tutti e due, e riprendemmo a ridere.

«Seriamente, come hai fatto a trovare le cucine?» chiese continuando a girare la cioccolata.

Così cominciai a raccontargli del festino di Lumacorno, del mio primo incontro con Percky e del desiderio che avevo di far passare un buon compleanno a Severus, e di tutto ciò che ne era conseguito.

«Quindi, come ti ho già detto, essere bravi a Pozioni torna utile, a volte» conclusi soddisfatta prendendo un cucchiaio di panna.

Non mi aveva interrotto una sola volta, e verso la fine aveva abbassato gli occhi. «Sai, continuo a non capire perché stai con Mocciosus…» cominciò. Gli rivolsi un’occhiataccia. «Però sei una brava amica» concluse imperturbabile.

Mi spiazzò: non mi aspettavo quel commento.

Alzò gli occhi verso di me e sogghignò. «Sai, se me lo dicevi prima che bastava farti un complimento per zittirti avrei passato l’anno a complimentarmi con te» mi informò, bastardo.

Gli rivolsi una poco aristocratica linguaccia. «Allora sono contenta che non lo sapessi» commentai finendo l’ultimo sorso della mia buonissima cioccolata.

«Ah, ma ora lo so» commentò lui in tono saggio. «E quindi non ti risparmierò, d’ora in avanti.»

Lo guardai male. «Non ci provare» lo ammonii.

Poggiò il cucchiaio e la tazza sul piattino e incrociò le dita, sogghignando. «Altrimenti, Evans?»

Gli rivolsi una nuova occhiataccia. «Altrimenti… chiederò a Percky di non farti più entrare qui» improvvisai. Era un bluff bello e buono, non pensavo che gli Elfi Domestici avrebbero mai impedito a qualcuno di andarli a trovare, ma sorprendentemente funzionò: i suoi occhi persero l’aria spavalda.

«Non lo faresti» disse subito, allarmato.

Mi portai la tazza alle labbra, anche se era vuota. «Scommettiamo, Potter?»

«Non sei così sadica, Evans…»

Finsi di mandare giù un sorso. «Sei tu che dici sempre che stare a contatto con i Serpeverde mi fa male…»

«Lo vedo» commentò lui imbronciato. Sospirò. «Va bene, niente complimenti fuori contesto. Contenta?»

«Sì» risposi poggiando la tazza e guardandolo con un sorriso. «Abbiamo un accordo?» chiesi tendendo la mano.

Improvvisamente ridacchiò. «Non credo che l’avresti fatto, in ogni caso» disse stringendomi la mano. «Ma vabbè, al massimo posso ignorare il tutto.»

«Non ci provare» lo ammonii ritirando la mano.

Sogghignò. «Vedremo, Evans» disse spettinandosi i capelli. «Dopotutto non era un giuramento, il tuo…»

«Infame!» lo accusai, non sapevo se arrabbiarmi o ridere.

Si strinse nelle spalle con aria modesta.

Presi un biscotto mentre riflettevo. «Sai» dissi all’improvviso, riportando i suoi occhi su di me. «Io proprio non ti capisco.»

«Comprensibile, col cervello mezzo congelato che hai» mi disse in tono partecipe, battendomi alcuni colpetti sulla spalla.

Lo ignorai. «Insomma, a volte non so che darei per poterti prendere a schiaffi, mi esasperi davvero. Non so, con Sev, per esempio, o quando fai di tutto per provocarmi.» Sospirai e affondai i denti nel biscotto. Di solito non mi piacciono, i biscotti, ma quello era veramente buono. «E poi ci sono dei casi in cui sembri solo un amico.» Sbuffai: non capivo davvero.

Si strinse nelle spalle. «Forse perché entrambi mi divertono» commento sorridendo. «La parte di me stesso e la parte del fido amico…»

«James!»

Sobbalzai: quella sembrava proprio la voce di Black…

Infatti, Potter tirò fuori il suo specchietto e lo aprì. «Sirius, non indovinerai mai dove sono!»

«Spero all’inferno o in paradiso, James Potter, o non ti giustificherò, non questa volta!»

«Meglio: molto meglio, Sir! Sono nelle cucine!»

«Nelle cucine?» La voce di Black si fece improvvisamente eccitata. «Le hai trovate, alla fine? Perché non mi hai chiamato? Dove sono? Come hai fatto?»

«In realtà le ha trovate Evans» disse lui di malavoglia. «Sono nel corridoio dei Tassorosso, dietro un quadro con un cesto di frutta. Se fai il solletico alla pera appare una maniglia e dietro…»

«Evans? Che c’entra lei? È ancora lì con te?»

«Certo che è ancora qui con me, idiota! Pensavi che l’avrei lasciata andare in Sala Comune da sola con un principio di congelamento?»

Uno sbuffo forte e impaziente si alzò dallo specchio. «Cosa vuoi che possa pensare quando mi avevi detto che tornavi in una mezzora e ne sono passate tre?»

«Lo so, ma mi ha detto delle cucine! Non avrai pensato che mi lasciavo sfuggire un’occasione del genere!»

«È lì vicino a te?»

Potter alzò le sopracciglia. «Chi?»

«Evans, idiota!»

Potter alzò gli occhi su di me. «Proprio accanto, amico.»

«Passamela!»

Potter mi tese lo specchio ridacchiando. «Una chiamata interscolastica per lei, signorina.»

Presi lo specchio e sobbalzai quando vidi il viso di Black riflettersi dove normalmente si sarebbe dovuto trovare il mio. «Evans» mi disse solennemente il ragazzo, «non so come tu abbia fatto a trovare le cucine, ma sei un genio e noi ti siamo debitori.»

Alzai lo sguardo verso Potter. «Voi due sembrate proprio fratelli» commentai passando lo sguardo dall’uno all’altro. «Non credo sia passata più di un’ora da che Potter mi ha detto la stessa, precisa, identica cosa» spiegai a Black.

Si strinsero contemporaneamente nelle spalle.

«Poteva andarci peggio» commentò Potter ridendo e riprendendosi lo specchietto. «Oh, e Sir, non indovinerai mai chi c’è qui: Elfi Domestici!»

«Elfi Dom… oh, no!» esclamò Black con una smorfia. «E come vi trattano?»

«Benissimo! Ci hanno preparato due cioccolate calde da favola…»

«James, non ti sembra un po’ presto per le cioccolate?»

«Sirius Black, fammi il favore di…»

Mi accorsi di star perdendo la conversazione, ora i discorsi mi arrivavano come attraverso una radio mal sintonizzata: una nuova ondata di stanchezza mi aveva raggiunto, e lottava per abbassarmi le palpebre.

Era estremamente piacevole trovarmi lì, al caldo ed asciutta, ascoltando i bisbigli di Potter e Black e i rumori di sottofondo degli elfi che ripulivano la cucina per il giorno dopo. Non credevo mi sarei potuta sentire di nuovo così bene, eppure era così. Ero tranquilla…

«Credo che dovremmo tornare in Sala Comune prima che ti addormenti» mi disse, lontanissima, una voce che riconobbi vagamente come quella di Potter.

Mugugnai di disappunto. «Posso dormire qui…» dissi mentre cercavo di tenere gli occhi aperti. «Domani è domenica, non morirà nessuno se per oggi sto qui…»

«Evans… Evans! Smettila! Non puoi addormentarti qui!»

«Perché no?» chiesi con la voce impastata dal sonno. «È comodo…»

Mi parve di sentirlo afferrarmi il braccio e scuoterlo. «Evans! Avanti, non puoi dormire…»

Poi, sempre da più lontano, una vocetta acuta, diversa: «Percky può aiutare i signorini?»

La voce esasperata di Potter: «Sì, sapete come farci tornare in dormitorio…»

Sentii qualcosa afferrarmi un braccio. «Aspetta, prima di cadere in catalessi: giurami che non andrai di nuovo a congelarti non appena ti sarai svegliata.»

Senza comprendere la richiesta, io annuii.

«Perché tu non sei inferiore, Evans: non permettere a quei deficienti razzisti di fartici diventare, ok?»

Non compresi del tutto, ma mi parve una bella frase: sorrisi e annuii di nuovo. In qualche modo la mia mano trovò la sua e la strinse, per fargli capire che avevo capito.

Poi la mia testa andò definitivamente in vacanza.

 

 

Angolo Autrice

Mi sono divertita a scrivere questo capitolo…

Credo sia stato quello che mi ha fatto penare di più: ne ho scritti circa tre diversissimi fra loro, fino a quando, in un’assolata (ma dove? -.-)  nottata di giugno il buio mi ha portato consiglio: quindi eccolo qui. Una piccola parte in realtà è tratta dagli altri tentativi, ma la maggior parte è frutto dell’ispirazione del momento. “Mai scrivere di getto”, direbbe la mia insegnante di italiano. Ma tanto io lo faccio sempre comunque, quindi credo di poter sopravvivere anche stavolta.

 

Piccolo appunto: nei libri, la Guferia è una delle torri del castello, qui ho adottato la versione del film secondo cui invece la Guferia è un edificio a sé. Espediente letterario, abbuonatemelo, please!

 

E ovviamente, i miei soliti, triti e ritriti grazie a chiunque sia arrivato fino qui con sempiterna costanza e buona fede. Non vi posso vedere da qui, ma sinceramente: grazie.

Angolo Autrice Bis

Dunque, siccome pare che sia tornata prima che i capitoli siano finiti e che mia sorella si sia infine liberata dell’ingrato compito di pubblicare, eccomi qua a fare gli onori di casa. Innanzitutto, scusatemi fra il ritardo ma fra jet leg, vita da riprendere e palle varie sono stata leggermente occupata e sono infelice di annunciarvi che probabilmente lo sarò anche per il prossimo mese e quindi non so quanta regolarità ci sarà negli aggiornamenti.

Ad ogni modo, quello che dovrei fare è ringraziare tutto e tutti per la prima volta direttamente, ma ho deciso che siccome EFP si è evoluto dalla mia ultima visita aggiungendo la fichissima opzione “rispondi ai recensori” me ne avvarrò anch’io e quindi la risposta precisa ai vostri gentilissimi commenti appariranno come per magia nel vostro account. E speriamo bene xD

Qui quindi ringrazio i 24 che hanno trovato questa storia degna di entrare fra i loro preferiti, i 4 che la ricordano e i 49 (O.O) che la seguono. Sapete come fare un autore felice, ragazzi!

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Capitolo 23
*** Capitolo 16 - Imbarazzo e Rimorso ***


Prima Parte, I Anno

Capitolo 16 – Imbarazzo e Rimorso

La mattina dopo mi risvegliai tranquillamente nel mio letto. Mi sentivo stranamente riposata, e ci volle qualche momento perché comprendessi le ragioni di tale benessere: la sera prima, la cioccolata calda, quella strana dichiarazione… tu non sei inferiore… curiosa la nitidezza con cui quella frase si era impressa nella mia mente, considerando che stavo praticamente dormendo quando me l’aveva detta.

E pensare che era stato Potter a dirmelo… curioso. Davvero curioso.

Tirai su la testa e mi guardai attorno: tutti i letti, compreso quello di Alice, erano già vuoti. Un po’ stupita, guardai il mio orologio. Le dodici e mezzo.

Strabuzzai gli occhi e guardai meglio, ma erano incontestabilmente le dodici e mezzo. Come mai nessuno mi era venuto a svegliare?

Mi vestii in fretta e furia e mi precipitai fuori dal dormitorio in Sala Comune, praticamente deserta, fino alla Sala Grande, dove il pranzo stava per cominciare.

Cercai Severus con gli occhi: la mattina prima mi aveva detto che il pomeriggio sarebbe dovuto restare in dormitorio, non avevo capito bene a fare cosa, e quindi non sapeva del mio quasi-congelamento. Non che avessi intenzione di andare a piangere da lui, stavo sorprendentemente meglio, ma di domenica ci incontravamo sempre la mattina e volevo rassicurarlo. Tuttavia non era al tavolo dei Serpeverde, né da nessun’altra parte. Perciò mi diressi al tavolo dei Grifondoro e mi sedetti vicina ad Alice.

«Buongiorno, dormigliona» mi salutò con un sorriso. «Le serate in Guferia mettono sonno, eh?»

La guardai un secondo, sorpresa che lo sapesse, prima di ricordarmi che Potter aveva detto a Black della mia piccola disavventura e probabilmente lui l’aveva riferito a Remus e Alice.

«Già» commentai soltanto attirando verso di me il piatto del passato di verdure e servendomi. «Non mi ero accorta di avere tanto sonno…» Gettai un’occhiata veloce lungo il tavolo: riuscii a scorgere Potter, Black e Minus un po’ lontani da noi, ma non riuscivo a trovare… «Dov’è Remus?» chiesi immergendo il cucchiaio nel passato.

«In Infermeria» mi comunicò con un sospiro. «Malato. Influenza o qualcosa del genere, già ieri sembrava star male, in realtà…»

Remus malato. Di nuovo. Sembrava non passasse mese senza che Remus cadesse malato.

«Ma come fa a prenderle tutte lui?» chiesi un po’ a lei e un po’ a me stessa.

Lei si strinse nelle spalle. «Forse è sensibile al freddo… in fondo è del Kent, può darsi che il salto di temperatura gli faccia male…»

Come teoria non mi convinceva un gran che, in realtà. Dopotutto Remus non era l’unico ragazzo del sud della Gran Bretagna…

In quel momento, Frank Paciock si sedette accanto ad Alice. «Ciao ragazze» ci salutò con un sorriso avvicinandosi un piatto. «Passato una bella mattinata?»

«Lily ha dormito fin’ora» commentò Alice con una risatina.

Io le feci una discreta linguaccia. «Avevo sonno ed è domenica» dissi soltanto in tono sostenuto.

«E le cioccolate calde con James stancano, vero?» chiese Frank con un sorrisetto.

Quasi mi strozzai con l’acqua. «C-come, scusa?» chiesi asciugandomi la bocca.

Frank guardò verso l’Ancora Per Poco Vivente Potter e sorrise. «È tutta la mattina che James ne parla a Sirius… siete andati nelle cucine a prendere una cioccolata, vero?»

Anche Alice, ora, mi guardava interessata. Io ero estremamente imbarazzata e non sapevo cosa dire. Furiosamente, mi accorsi di arrossire. «Ero stanca, Frank, ed ero infreddolita» dissi controllando la voce. «E siccome sapevo dove erano le cucine, ho pensato che fosse una buona idea…»

«Con James?» mi chiese lui, malizioso.

D’accordo, da quando il buono, tranquillo Frank Paciock si divertiva a mettermi in imbarazzo?

«Be’, è lui che mi ha… mi ha trovata, o insomma…»

«Ah, meglio ancora» commentò lui masticando un boccone di roast beef. «Salvataggio e cioccolata, secondo le migliori tradizioni…»

Alice ridacchiò. Io ero probabilmente viola. «Non è stato niente del genere» dissi tuttavia, complimentandomi con me stessa per il tono disinvolto. «Io avevo freddo e lui si è offerto di aiutarmi, tutto qui.»

«Esattamente quello che ho detto io» rispose lui divertito. «Salvataggio e cioccolata, niente di meno…»

«Frank, basta, dai…» Per un secondo benedissi Alice in tutte le lingue che conoscevo. «Non vedi che la stai mettendo in imbarazzo?»

Mi guardavano entrambi con un sorriso. Mi stavano solo prendendo bonariamente in giro, lo sapevo, ma mi sentivo comunque incandescente: una cosa che non avevo mai potuto tollerare erano i pettegolezzi, soprattutto se riguardavano me e un ragazzo. Cercavo di muovermi il più cautamente possibile anche per quello.

«Lily, tranquilla, ti stavo solo prendendo in giro» mi disse infatti Frank con un gran sorriso. «Lo so che non è stato niente di più…»

Ciò nonostante, non riuscii a tranquillizzarmi e rimasi sul chi vive fino alla fine del pranzo.

Corsi subito da Severus.

Mi stava aspettando con un piccolo sorriso, che mi fece sospettare che non sapesse niente di quello che era successo la sera prima. Vigliaccamente, perché sapevo che poteva diventare più apprensivo di mio padre, preferii non raccontarglielo.

Ma ovviamente mi conosceva troppo bene per non notare la differenza. «Va tutto bene?» mi chiese mentre salivamo verso la sala degli scacchi per la sua solita vittoria.

Annuii appena.

Mi guardò, una smorfia insoddisfatta sulle labbra. «Lily, non sono stupido» mi informò. «Sei… strana.»

«Strana in che senso?» chiesi rimandandogli la domanda.

Dette la parola d’ordine al quadro e lo oltrepassò. «Be’, tanto per cominciare stai andando in giro con la testa piegata» disse sedendosi. «E poi ogni tanto la alzi e se fossi qualcun altro ti metteresti ad imprecare.» Mi guardò con un pallido sorriso. «E nonostante questo il tuo sguardo è diverso rispetto a ieri e i giorni prima.» Piegò leggermente la testa. «Non sei più terrorizzata. Pedone in E4. Sembri più rilassata rispetto a… alla settimana scorsa.»

Finsi di osservare con molta attenzione la scacchiera. «Pedone in E5» ordinai alla fine, nonostante fosse una mossa talmente scontata da non giustificare il mio precedente mutismo. «Forse sono riuscita a… a superarlo, ecco.»

«Sarebbe la cosa migliore, credo. Alfiere in C4.» Mi guardò attentamente mentre il suo alfiere bianco si muoveva.

«Pedone in D6» mormorai distratta, senza concentrarmi realmente sul gioco. Stavo continuando a riflettere sul fatto che qualcosa dentro di me che mi bloccava e terrorizzava si era spezzato. Ero ancora spaventata, certo, ma non più terrorizzata. E stando a Sev, si notava.

«Cavallo in C3. Cos’è cambiato?» chiese, continuando a cercare i miei occhi. «Ieri sembravi più abbattuta del solito…»

Sussultai e mi morsi un labbro. «Stavo pensando ai miei genitori» confessai portandomi una ciocca di capelli dietro le orecchie. «Cavallo in C6.» Sospirai pesantemente e alzai la testa. «Sai, al fatto che… che non sono qui, e non possono capire fino in fondo il mondo di qui…» Affondai nuovamente i denti nel labbro per impedirmi di piangere. «Loro non sono di qui, Sev, e questo li può spaventare… non posso spaventarli ancora di più io…»

Lui rimase in un silenzio cogitabondo riflettendo sulle mie parole. «Cavallo in F3» disse alla fine. «Be’, penso sia abbastanza normale, Lily» commentò. «Dopotutto significa solo che stai crescendo.» Sorrise appena. «Non potrai appoggiarti per sempre ai tuoi genitori…»

«Lo so, ma anche loro… sono preoccupati» confessai. «E io ho solo undici anni, Sev, e gli voglio bene, e non voglio che arrivino a non capirmi più…» Sbiancai mentre pensavo ai miei genitori, fermi accanto a Tunia e con lo stesso sguardo disgustato, a dirmi “Mostro”. «Non posso essere contemporaneamente un mostro e una Sanguesporco, Sev, non ce la faccio!» dissi muovendo l’alfiere bianco.

Lui annuì. «Lily, puoi essere quello che ti pare, ma sei perfetta per entrambi i mondi.» Mi guardò quasi timidamente. «Insomma, pensa alla faccia che ha fatto Lumacorno quando ha visto i tuoi genitori!»

Mi venne quasi da ridere mentre ripensavo alla scena: era apparso misteriosamente in Infermeria quando i miei genitori stavano ancora tentennando sul ritirarmi o meno per vedere come stavo e complimentarsi personalmente con loro per i miei risultati, spettacolo già buffo di suo, ma quando poi aveva capito che i miei genitori erano entrambi Babbani e che il professor Silente gli chiedeva di controllare che non entrassero in contatto con nessuno studente era rimasto talmente sorpreso che non era stato in grado di rispondere subito. Si era ovviamente ripreso in fretta, ma alla lezione successiva mi aveva guardato in modo strano per tutto il tempo e alla fine della lezione mi aveva chiesto, incredulo: «Ma erano i tuoi veri genitori quelli che erano in Infermeria la scorsa domenica?»

Ero rimasta un po’ stupita e avevo annuito.

«E… e sono tutti e due Babbani?» mi aveva chiesto sempre più incredulo.

Mi ero sentita sprofondare: avrebbe cominciato anche lui a detestarmi perché ero figlia di Babbani? Non ero decisamente nelle condizioni mentali per sopportarlo, ed avevo risposto in modo forse un po’ sgarbato: «Sì, sono Babbani, e sono stati dei genitori molto migliori di tutti quei maghi Purosangue che insegnano ai figli a odiare tutti quelli diversi!»

Era rimasto stupito dal mio sfogo ed aveva subito specificato: «Lily, lo dicevo perché ero sorpreso, non per altro! Non ho pregiudizi io, figurati!» Mi aveva rivolto un grasso sorriso di incoraggiamento e mi ero un po’ rassicurata. «Merlino, ho visto io stesso i tuoi risultati… per questo ero sorpreso! Ero convinta provenissi dagli Evans del Galles, Gisbert Jen Evans è il fondatore della Società per il Catalogo e la Ricerca di Filtri, Infusi e Pozioni, e Louisa Kristin Haefs-Evans è l’inventrice della pozione contro l’ipnosi dei vampiri, pensavo foste imparentati… con un talento come il tuo, sembrava lampante che provenissi da una rispettabile famiglia di maghi…»

«E invece vengo da una rispettabile famiglia di Babbani, signore» avevo detto io con un piccolo sorriso.

«In ogni caso, Lily, resto convinto che saresti dovuta venire a Serpeverde» mi aveva risposto lui guardandomi con una smorfia. «Con un cervello come il tuo e una tale abilità nelle pozioni sei proprio sprecava a Grifondoro…»

Ero rimasta per un attimo a bocca aperta: nel corso di cinque mesi ero stata aggredita tre volte dai Serpeverde e lui mi veniva a dire che sarei stata bene con loro? «Grazie, signore, ma sto bene dove sto» avevo detto alla fine optando per la diplomazia.

«Continua a dirmi che dovrei stare a Serpeverde» dissi con una smorfia mentre spostavo l’alfiere che lui aveva appena minacciato col suo pedone.

«L’avrei voluto anch’io» mormorò, ma talmente piano che quasi non lo sentii. Rimanemmo in silenzio per un po’, mentre io continuavo a riflettere sulla mia situazione.

«Ma non mi hai ancora detto cos’è cambiato, Lily» mi fece osservare, riscuotendomi.

Ebbi un attimo di panico: mi sentivo ingiustamente colpevole verso di lui, anche se in realtà non avevo fatto niente… «Cosa ti fa pensare che sia cambiato qualcosa, Sev?» chiesi in extremis, prendendo tempo.

Lui sospirò e mi guardò con una punta di esasperazione. «Dal fatto che in circostanze normali non ti saresti mai fatta battere da uno scacco tanto palese» mi disse indicandomi la scacchiera. Come al solito, aveva vinto.

Abbassai le spalle e sospirai. «Devo essere distratta» mormorai. «Scusa.»

Rise appena. «Tu perdi e ti scusi con me?» Mi guardò con un mezzo sogghigno. «Lily, sei ancora più illogica di quanto tu non sia già normalmente.»

Gli feci una linguaccia.

«E se c’è una cosa che ho notato in questa settimana in cui eri completamente fuori di te è che non sei mai arrivata così vicina a battermi a scacchi» riprese appoggiandosi allo schienale.

Mi dedicai un attimo di raccoglimento prima di alzare la testa. «Sev… ora non ti arrabbiare, ma ieri pomeriggio ero davvero fuori di testa… sai, tutta la storia dei miei genitori,  quella specie di marchio sulla spalla, la sensazione di… la sensazione di…» Feci un respiro profondo e inghiottii. «La sensazione di non appartenere a nessun mondo» conclusi a bassissima voce. Lui si limitava ad osservarmi, attento. «Ecco… credevo di aver bisogno di stare sola. Volevo stare sola, tu non c’eri, e non avevo voglia di parlare con nessuno.» Gli rivolsi uno sguardo interrogativo: era sembrato sul punto di parlare, ma poi aveva scosso la testa ed era tornato immobile. «Solo che dall’incidente non… non sono più stata lasciata sola, quindi mi… mi sono liberata di Alice e Remus e sono andata in Guferia.» Lo guardai di sottecchi.

Ci fu una pausa di silenzio.

«E fin qui mi sembra che non ci sia niente di così sconvolgente» disse alla fine invitandomi a proseguire.

Sospirai. «Credo di essere rimasta lì più tempo di quanto non credessi, perché Remus e Alice si sono preoccupati e… e hanno cominciato a cercarmi.» Non cambiò espressione. «Con Potter e Black» precisai. Osservai la sua mascella irrigidirsi. «È finita che… che mi ha trovato Potter.» L’ansia mi fece parlare a raffica. «Io mi ero quasi addormentata in Guferia, ma sai com’è, lì fa freddo, è sempre aperta, e mi stavo congelando, anche se non me ne ero accorta, Potter mi ha detto che dovevo tornare dentro, e poi mi ha detto che era già passata l’ora di cena e che quindi i portoni erano chiusi, quindi siamo entrati da un passaggio segreto e siccome io avevo freddo siamo andati nelle cucine e gli Elfi mi hanno portato una cioccolata calda per riscaldarmi.» Respirai profondamente, avevo parlato tutto d’un fiato. «E poi mi sono addormentata in Cucina e quando mi sono risvegliata ero in camera ed era mezzogiorno.»

Era di una rigidità innaturale, non aveva mosso un muscolo per tutta la durata del mio racconto. Il suo sguardo era fisso sul vuoto, la bocca contratta in una piega amara.

«E quindi, cos’è cambiato tanto da riscuoterti?» chiese alla fine. Quasi sobbalzai dal suo tono aspro.

Guardai con molta attenzione fuori dalla finestra. «Mentre mi stavo addormentando… ero congelata, Sev, ero rimasta fuori tutto il tempo e fuori nevicava, ero stanchissima… Potter ha detto una cosa che… che credo che siccome era stata l’ultima cosa che avevo sentito prima di cadere in catalessi mi abbia un po’ suggestionato.» Osai incrociare i suoi occhi. «Non ero del tutto in me, vedi, avevo addosso una stanchezza terrificante, e credo che…»

«Cosa ti ha detto, Lily?» mi interruppe lui senza cambiare espressione.

«Solo… solo che non ero inferiore» dissi in un soffio. «E che non dovevo permettere agli altri di farmelo credere. E mi ha fatto promettere di non andare nuovamente a cercare di congelarmi.»

Stavolta il silenzio si prolungò per parecchi minuti. Io non osavo dire altro, e lui dal canto suo si era rifugiato in quella quasi ostentata immobilità.

Alla fine emise un ringhio esasperato ed esclamò: «Mi spieghi perché non posso voltare un attimo le spalle senza che tu vada a ficcarti in qualche altro pasticcio?»

Abbassai la testa. «Non ho fatto apposta, Sev, ero solo stanca e volevo stare sola e…»

«Mi spieghi perché non riesci a stare tranquilla cinque minuti?» Si alzò di scatto e mi venne praticamente addosso, girando verso di lui la poltrona su cui mi trovavo. «Lily, come faccio a impedirti di farti male? Tu…» Si allontanò di scatto, esasperato.

Mi alzai e gli andai incontro, poggiandogli una mano sulla spalla. «Sev, io sto benissimo, non mi è successo niente…»

«Lily, ti rendi conto che è dovuto intervenire Potter per salvarti?» ringhiò velenoso. «Potter! Hai idea di come questo mi faccia…?»

«Sev, l’unica differenza è stata che tu non sapevi che stavo male!» esclamai, interrompendolo. «Lo so perfettamente che saresti venuto anche tu, prima tu, perché mi conosci meglio, e…»

«Lily, è una settimana che provo a consolarti» mi fece notare sempre con quel tono basso e ringhiante. «E ci è voluta una sola serata con Potter perché tu stessi meglio?»

Mi impietrii, non avevo valutato quell’aspetto della situazione. «È… è stato solo il misto di stanchezza, freddo e suggestione, Sev!» esclamai aggrappandomi al suo braccio. «Sev, sai perfettamente cosa penso di Potter! Lo sai! Ci sei anche tu quando litighiamo, sai cosa…»

«Sì, Lily, lo so. O almeno dovrei…» Si portò una mano alla fronte, chiudendo gli occhi.

Io ero immobile. «Sev… Sev, ti giuro che mi dispiace, è che ero depressa, e confusa, e non capivo cosa volevo, e quindi non ho pensato prima di…»

«È proprio questo il problema, Lily: non hai pensato prima di agire!» Si voltò verso di me, esasperato. «Tu non pensi mai prima di agire, ti butti e conti sul fatto che atterrerai in piedi! È un atteggiamento che hai sempre avuto, sempre! Da quando ti conosco…»

Mi sentii in colpa perché effettivamente era così: di solito mi buttavo perché ero abituata ad atterrare in piedi. Ero sempre atterrata in piedi, sia fisicamente che psicologicamente.

«Sev, io ci provo, ma stavo male, e non volevo che gli altri… che gli altri mi vedessero in quello stato, e non sapevo cosa… fare…»

Sospirò pesantemente e andò a sedersi nel vano della finestra, portandosi le ginocchia al petto.

«Sev?» Mi avvicinai lentamente a lui, cercando i suoi occhi, ostinatamente rivolti verso il panorama fuori. Mi sedetti anch’io. «È possibile che entro la prossima era geologica tu mi perdoni?»

Sbuffò di nuovo e affondò la testa nelle ginocchia, prima di alzarla di nuovo. «Lily, sei una cosa impossibile!»

Lo guardai interrogativa.

«Non solo commetti le peggio idiozie come se fossero normali» cominciò guardandomi scontento. «Ma poi metti anche su quella faccia mortificata che mi fa sentire un verme finché non ti ho scusato. Non è giusto!»

Sorrisi, più rilassata. «Se mi dici quale faccia devo fare per farti più contento ci provo, Sev, solo che… davvero, mi dispiace, scusami, non volevo…»

Ispirò a fondo ed espirò ancora più lentamente. «È ovvio che ti scuso, testa di Grifondoro che non sei altro» borbottò alla fine, distogliendo lo sguardo. «Ma vorrei davvero capire cosa devo fare con te. Avevo promesso a tuo padre che ti avrei impedito di farti ancora del male…»

«Sì, ma come hai detto tu non puoi passare tutta la vita appiccicato a me» gli dissi in tono incoraggiante. «Non è colpa tua se ogni volta che ti allontani io vengo presa dallo sconforto e agisco senza usare la testa…»

Sorrise suo malgrado, tornando a incrociare i miei occhi. «La prossima volta compro un guinzaglio da cani babbano e quando me ne vado ti lego da qualche parte e ti ci lascio fino a quando non torno» mi informò. «Oppure uso un qualche incantesimo per introdurmi nella tua testa vuota e ficcarci dentro un po’ di buon senso…»

«Quando vuoi» risposi, felice che fosse tornato a sorridere. «E in ogni caso è stato solo un episodio, Sev, di solito non vado a ficcarmi nei guai…»

Mi guardò estremamente scettico.

«D’accordo, ogni tanto mi ficco nei guai, ma raramente…»

Inarcò un sopracciglio.

«Va bene, sono nei guai un giorno sì e uno no, ma non lo faccio mai apposta!»

«No, infatti» confermò lui storcendo le labbra. «Ed è esattamente di questo che mi lamento. Se almeno lo facessi apposta sapresti anche come evitarli, invece lo sei perché non pensi, e quindi vai avanti confidando solo in qualche magia che ti impedisca di farti del male. E per quanto tu abbia una discreta fortuna, quella non dura per sempre.»

«La fortuna è cieca» commentai io.

Fece una smorfia. «Forse, ma la sfiga ci vede benissimo» disse tetro facendomi ridere. «Non c’è niente da ridere, ragazzina spudorata!» Ma non mi ingannava, anche lui stava sorridendo.

«Che dovevi fare ieri pomeriggio, comunque?» chiesi abbracciandomi le ginocchia.

Si strinse nelle spalle con aria noncurante, ma i suoi occhi erano improvvisamente vigili. «Un… una specie di… gruppo di studio, direi» disse alla fine. «Una riunione fra compagni in cui abbiamo discusso del più e del meno…»

«Hai aiutato tutti a fare i compiti?» chiesi con un sorriso: se c’era una cosa di cui Severus non aveva bisogno era aiuto per la scuola.

«Non proprio» disse ostentando un tono tranquillo. «Più che altro abbiamo parlato, sai come capita…»

Annuii: anche io e Remus e Alice quando ci mettevamo lì per studiare passavamo prima parecchio tempo a chiacchierare, fino a quando il più diligente della situazione, alias Remus, non ci richiamava all’ordine.

«Ti sei divertito?»

Annuì, guardando fuori. «Il tempo non promette bene, vero?»

Mi strinsi nelle spalle. «Magari appena smette di nevicare possiamo fare una battaglia a palle di neve» proposi, infiammandomi all’idea. «Oppure possiamo pattinare sul lago, credo che la scuola metta a disposizione dei pattini, io non sono molto brava ma Tunia una volta mi ha accompagnato e non era troppo…»

«Lily, se c’è una cosa che non farò di sicuro è pattinare sul lago» mi disse lui con fermezza. Notando il mio sguardo deluso, aggiunse nello stesso tono: «Per la battaglia a palle di neve vedremo.»

«Grazie!» esclamai balzando in piedi e scoccandogli un velocissimo bacio sulla fronte. «E ora combattiamo!» conclusi tirando fuori la bacchetta e cominciando a spostare le scacchiere.

Lui non parlava: era impietrito al suo posto con lo sguardo fisso, esattamente com’era quando lo avevo lasciato.

«Sev?» chiesi incerta guardando i suoi occhi vitrei.

Si girò verso di me lentamente, senza perdere l’espressione sgranata.

«Sev, su! Sono quasi le quattro, ormai!»

Si alzò sciogliendo un muscolo dopo l’altro e mi aiutò a spostare le ultime scacchiere.

 

 

Angolo Autrice

Lo so, anche io mi sono odiata per questo capitolo e visto che appena lettolo mia sorella ha commentato solo “Povero Severus!” immagino che il mio non fosse solo un parere di parte.

 A volte il tentativo di restare il più possibile IC ti porta più in là di dove uno vorrebbe andare, senza nemmeno avere la garanzia di esserci riuscito… però era una conseguenza logica di quello che era successo nel precedente capitolo, mi dispiace ma è così. Sì. Ecco. Almeno è quello che mi vado ripetendo da un po’ di tempo a questa parte…

Però poi fanno pace, no? *sorride in modo incoraggiante*

Ditemi almeno che non state odiando Lily per quello che ha fatto, anche se temo che sia così… ma diamine, gente, ha undici anni, è piccola! È piccola ed ha subito una cosa malvagia, non può già tenere tutto sotto controllo… credo. A parer mio, almeno.

Quindi basta, mi sto lasciando una recensione da sola e non è questo il motivo per cui mi pagate. Ah no, dimenticavo l’assenza di fini lucrosi. Vabbè, dev’essere che sto scrivendo all’una e mezzo di notte e quindi ho una certa tendenza al discorso indiretto libero. E poi il caldo di giugno soffoca…

 

Perciò ringraziamenti a chiunque ci sia, se c’è ancora qualcuno, e lascio campo libero a chi avrà la responsabilità di scusare i miei scritti ^^

Angolo Autrice Bis

Questo era l’ultmio capitolo in cui esistevano delle noti da autrice assente, dal prossimo quindi, se deciderò di continuare a metterle, saranno direttamente della me dell’attuale presente e non della me del presente di, ormai, più di un anno fa.

Pare assurdo che sia passato già un anno… vuol dire che questa storia compie più o meno due anni xD Mi fa sentire assurdamente vecchia, specie con la crisi scrittoria che mi ha presa da quando sono tornata dalla Virginia… Oh, be’, con un po’ di fortuna mi riprenderò.

Intanto sono qui solo per ringraziare chi continua a seguirmi nonostante gli aggiornamenti discontinui e la schizofrenia delle note, in particolare i 27 che preferiscono questa storia, i 5 che la ricordano e i 54 che la seguono.

Inutile aggiungere altro, vero?

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Capitolo 24
*** Capitolo 17 - Spina nella Zampa ***


Prima Parte, I Anno

Capitolo 17 – Spina nella Zampa

Febbraio portò con sé tanta nebbia e tanta apatia, almeno per me. Dopo le emozioni di gennaio non avevo più incrociato i miei presunti aggressori, le indagini, se di tali si poteva parlare, erano cadute nel dimenticatoio e io avevo ripreso il controllo della mia mente quanto bastava per avvicinarmi ad essere la Lily di prima.

Io e Sev non andammo a pattinare sul ghiaccio né a fare a palle di neve, ma un pomeriggio riuscii a convincere Alice e Frank ad accompagnarmi fuori e ci divertimmo per qualche ora tutti contro tutti, mentre Severus era nella sua Sala Comune con il gruppo di studio di cui mi aveva parlato la prima volta a fine gennaio.

Le lezioni proseguivano imperturbate come sempre, anche se le interrogazioni e i test si stavano facendo più serrati: i professori erano infatti risoluti ad avere un quadro di metà anno prima della fine di marzo, cosa che comportava parecchio studio extra per tutti. Se non fosse stato per il fatto che avevo Sev come migliore amico e Remus come coscienza probabilmente sarei rimasta indietro, vista la mia malsana tendenza a ridurmi sempre all’ultimo minuto.

In ogni caso, uscii fuori da quel periodo senza troppe difficoltà, anche se ricevetti un nuovo rimprovero da Severus per la mia scarsa serietà e uno più scherzoso da Remus che, testuale, “non se lo sarebbe mai aspettato da me”.

Black e Potter ovviamente non studiarono neppure per sbaglio, fecero quasi venire una crisi isterica a Remus quando la McGranitt li sgridò in classe perché i loro tre compiti erano identici e saltarono strategicamente i giorni in cui si sarebbero tenuti i test più difficili. Ovviamente passarono in punizione metà del tempo che non passavano in classe.

Dopo la tregua di gennaio, a febbraio si aprirono nuove ostilità per la loro decisa e ostinata avversione verso Severus. Tuttavia, siccome avevano deciso che io ero fuori dal mirino, ne approfittavano quando io andavo via con Remus per occuparsi di Severus, forti del fatto che era solo. Di conseguenza ogni accenno di buoni sentimenti gli uni verso gli altri andò democraticamente a farsi benedire.

Raggiungemmo il picco i primi giorni di marzo, quando stavo riaccompagnando Remus in Sala Comune dopo l’ennesimo malanno.

Stavamo chiacchierando di quello che si era perso in quei giorni, in particolare delle ultime consegne della McGranitt, quando arrivammo ad un corridoio scarsamente frequentato dove comunque c’era un drappello di persone che assisteva ad una scena che non riuscivo a vedere bene. Sia io che Remus, incuriositi, ci avvicinammo per capire cosa stesse succedendo.

In mezzo al cerchio c’erano Potter e Black che ridevano sguaiatamente, e dalla parte opposta c’era Severus che si stava muovendo dissennatamente, la bacchetta a terra lontano dalla sua portata.

Senza neanche accorgermene lasciai il braccio di Remus e mi mossi a suon di gomitate fino alla prima fila. C’erano studenti di tutte le età. E nessuno di loro aveva mosso un muscolo per aiutare Sev.

Tirai fuori la bacchetta e la puntai contro Severus. «Finite Incantatem!» ordinai mentre la rabbia montava progressivamente.

Lui barcollò e cadde, vittima probabilmente di un incantesimo Tarantallegra. Corsi verso di lui e lo aiutai ad alzarsi, mentre intorno a me gli altri cominciavano a protestare.

«Evans, che stai facendo, per Merlino?» mi chiese seccato Potter tenendo la bacchetta alzata.

Black, dal canto suo, spedì nuovamente Severus per terra rendendogli scivoloso il terreno sotto i piedi.

«Smettila! Smettetela subito, tutti e due! Non è divertente!»

«Questo lo dici tu, Evans» commentò Black mentre con uno sbuffo allontanava la bacchetta dalla mia portata. Uno dei ragazzi del drappello la prese al volo e la tirò a Potter, che la afferrò al volo senza distogliere lo sguardo da Severus.

«Ridammela!» gli ordinai perentoria.

Entrambi risero, accompagnati anche dagli altri. Mi guardai attorno: erano pure più grandi di noi, possibile che si divertissero ancora in quel modo infantile?

«Altrimenti, Evans?»

Alzai la bacchetta. «Ridammela, Potter» ringhiai mentre pensavo a quale incantesimo fosse più opportuno usare.

Vidi Black avvicinare la testa a Potter in un sussurro udibilissimo. «Ah, stai attento ora Jim, questa ha tirato fuori gli artigli…»

Tutti attorno a noi risero e io mi sentii arrossire. Finsi di non accorgermene e mi chinai verso Severus, aiutandolo nuovamente ad alzarsi e cercando di ignorarli.

«Tutto a posto?» gli sussurrai mentre si rimetteva dentro. Se io ero arrossita non era niente in confronto a lui: era praticamente viola, e negli occhi aveva un bagliore omicida che non mi ricordavo di avergli mai visto.

«Tu…» ringhiò guardando Potter che continuava a sventolare la sua bacchetta come trofeo.

Lui per tutta risposta sogghignò e la agitò più platealmente.

Tornai ad alzare la mia. «Potter, ridammi subito quella bacchetta!»

Dal nostro pubblico si alzarono nuovi risolini e la mia stretta sulla bacchetta aumentò mentre sentivo il sangue affluirmi alle guance.

«Non riesci nemmeno a dargli uno scontro alla pari? Bravo, davvero, coraggioso a prendertela con un avversario disarmato…»

«Ma bene, Mocciosus, ora ti fai difendere dalle ragazzine?» chiese Black beffardo guardando Severus.

«Che cosa sta succedendo qui?»

Gli studenti si aprirono subito in due per lasciar passare il possessore di quella voce. Molti se ne andarono più discretamente possibile, prevedendo guai.

Sentii ogni muscolo del mio corpo contrarsi mentre cercavo di illudermi di aver confuso la sua voce, di essermi ingannata in qualche modo…

«Evans, Potter, Black, incantesimi nei corridoi? Sono proibiti dal regolamento, dieci punti in meno a Grifondoro.» Alto, pallido e sogghignante, Malfoy stava avanzando verso di noi spalleggiato dai soliti Rowle e Selwyn. «Ma bene, ci si batte anche?» aggiunse beffardo guardando le nostre bacchette puntate gli uni contro gli altri. «Altri dieci punti in meno a Grifondoro. Potter, credo che quella sia la bacchetta di Severus. Usare incantesimi contro gli altri studenti è proibito, quindi questi sono altri cinque punti in meno a Grifondoro. Congratulazioni, credo che nessuno sia mai riuscito a fare una tale tripletta in una sola ora al primo anno…»

Ero paralizzata: anche se era passato più di un mese, il mio corpo stesso si ribellava all’idea che Malfoy fosse così vicino e per di più in una posizione di potere. Avevo i muscoli talmente rigidi che temevo mi sarebbe venuto un crampo.

«Severus, grazie per il coraggioso tentativo di interromperli ma era superfluo» aggiunse avvicinandosi a Sev e passandogli una mano sulle spalle.

Mi accorsi che stavo trattenendo bruscamente il respiro e lo rilasciai andare più lentamente possibile, cercando di essere silenziosa. Non mi ero ancora mossa, non ci riuscivo.

«Evans, se non abbassi subito quella bacchetta i punti diventeranno venti.»

In qualche modo mi riscosse: abbassai di scatto il braccio e altrettanto velocemente mi girai verso di lui, alla mia sinistra; mi stava guardando sogghignando, come Rowle e Selwyn, il braccio ancora attorno alle spalle di Severus, che stava accuratamente evitando il mio sguardo.

«Sei veramente un idiota platinato, Malfoy.» La voce di Potter era fredda, sprezzante. «Bravo a rigirare la situazione come ti fa comodo, ma qui ci stanno circa venti testimoni che ti possono dire…»

«Non mi sembra che nessuno di loro sia intervenuto per fermarvi» gli comunicò dolcemente Malfoy, tirandomi inconsciamente una scudisciata: era vero. «E non si insultano i Prefetti della scuola: altri dieci punti in meno a Grifondoro. Vogliamo proseguire fino ad arrivare a cinquanta? Siete sulla buona strada, mi pare…»

«Va all’Inferno, Malfoy» ribatté per tutta risposta Black.

«Dieci punti in meno a Grifondoro, Black. Su, siete vicini, ormai siete a quarantacinque…» Ci guardò tutti con un mezzo sogghigno e incontrò i miei occhi. Ero di nuovo immobile, furiosa mentalmente e terrorizzata fisicamente, un misto niente affatto gradevole, che lui contribuì ad peggiorare aggiungendo: «Dovreste prendere esempio da Evans, se non sbaglio lei ha imparato la lezione…»

Mi parve una frase tanto mostruosa, contornata dalle risatine di scherno di Rowle e Selwyn, che per poco non gli lanciai una fattura. Sentii le dita contrarsi lungo la bacchetta e stavo per alzarla quando sentii una mano stringermi la spalla e mi voltai: era Remus, che mi stava facendo segno di no con la testa. Malfoy seguì divertito quello scambio.

«Ecco, siamo già diventate più brave a controllarci, vero?» sottolineò delicatamente quando tornai a guardarlo, rancorosa ma di nuovo immobile: Remus sembrava irradiare calma, o quantomeno pazienza. «Alla fine abbiamo imparato come trattare i superiori, vero?»

Sentii la mano di Remus attanagliarmi la spalla e dentro di me contai mentalmente fino a dieci. Non reagire. Non reagire, è giusto quello che vuole…

Guardai Severus, che dall’inizio del dialogo era rimasto fermo e si stava guardando le scarpe, senza dire niente. E ferendomi come le parole di Malfoy non avrebbero mai potuto fare.

«Questo è troppo!»

E prima che io o Remus avessimo potuto bloccarli, Potter e Black gli avevano lanciato contro un incantesimo a testa, che lui ovviamente parò. «Punizione, Potter, Black» comunicò con voce flautata. «Credo che la professoressa McGranitt non sarà molto lieta di sentire il mio rapporto…»

«Ficcatelo nel…!»

«James, no!» Remus alzò una mano verso di lui. «No» disse poi più a bassa voce mentre tutti e due lo guardavano furiosi.

Malfoy lo guardò. «Bene, se non fossi un Mezzosangue pezzente e Grifondoro, Lupin, credo che ti farei i complimenti per la sagacia» commentò facendomi girare di scatto furiosa, tanto da spingere Remus a darmi uno strattone per rimettermi a posto.

«Lily, per Merlino, non capisci che è esattamente quello che vuole?!»

Stavo ansimando pesantemente e sentivo che lo sforzo di restare ferma mi stava facendo dolere i muscoli. «Va’ via, Malfoy» dissi alla fine, cercando di controllare la voce. Non intendevo scoppiare davanti a lui. «Hai avuto quello che vuoi, ora vai via!»

«Non mi faccio dare ordini dalle Sanguesporco, Evans, pensavo l’avessi imparato» rispose lui con sufficienza.

«Lucius…» Mi girai a sentire la voce di Severus e lo vidi lanciare uno sguardo implorante a Malfoy, che per tutta risposta gli batté sulle spalle con aria compassionevole.

«Non farti tradire da un eccessivo amor di pace, Severus» lo ammonì quasi con delicatezza. Tornò a fissarmi con alterigia. «Non verso i Sanguesporco. Devono capire qual è il loro posto…»

Udii un mormorio di protesta alzarsi dai pochi ragazzi rimasti ad assistere, e vidi Potter e Black rischiare di scattare un’altra volta, frenati appena in tempo da Remus, che lasciò me per precipitarsi dagli altri due.

«Io sono lenta a capire» mormorai facendo voltare un esasperato Remus verso di me.

Malfoy scoppiò a ridere. «Sì, me n’ero accorto.» Mi guardò con disprezzo. «Ma dopotutto non potevamo aspettarci niente di meno, non credi?» E sempre ridendo cominciò a pilotare Severus e gli altri Serpeverde venuti fuori dal corridoio.

Io continuai a fissare Severus che si allontanava in silenzio, senza osare voltarsi in dietro.

Come aveva potuto? Come aveva potuto?!

«Perché ci hai bloccato?» Black stava praticamente urlando verso Remus. «Lo hai visto, quello schifoso… quello schifoso cane bastardo figlio di…»

«Sirius Black, metti in moto quell’unico neurone che non si è ancora fuso!» Non avevo mai sentito Remus parlare così aspramente: suonava quasi strano sentire la sua voce sempre pacata e gentile così graffiante. «Non capisci che non aspettava altro?»

«E allora?» chiese Potter con sufficienza. «Potevamo fargliela vedere a quel brutto…!»

«Non che non potevate, Potter!» ringhiai io voltandomi per la prima volta verso loro due. «Malfoy sarà pure un deficiente dalla testa montata, ma è del sesto anno, quindi puoi stare tranquillo che conosce incantesimi che tu ti sogni soltanto, non era solo, c’erano altri quattro Serpeverde, tutti più grandi di noi, e avrebbe avuto anche un discreto alibi per giustificarsi.» Lo guardai mentre il suo sguardo fiammeggiante si puntava su di me. «Non capisci che ci avrebbe guadagnato molto di più lui che non voi?»

Lo vidi contrarre la mascella. «È successo altre volte, Evans, e abbiamo vinto noi!»

Eravamo rimasti soli.

«E credi che questo basti? Ah!» Mi ritrovai a ridere istericamente, sotto i loro sguardi stupefatti. «Li avevamo presti alla sprovvista, e ci avevano sottovalutati, ma ora l’hanno capito, non sono stupidi! Non lo sono…» Mi appoggiai al muro mentre mi accorgevo che stavo per mettermi a piangere.

Sev non era intervenuto. Non aveva fatto niente.

Vidi Potter cercare invano una risposta.

«E perché ti sei messa in mezzo, comunque?» intervenne di punto in bianco Black, guardandomi storto. «Stava andando tutto liscio prima che venissi tu ad aiutare quella serpe…»

«Una serpe che non ha alzato un dito mentre quel bastardo ti dava della Sanguesporco, aggiungerei…» puntualizzò Potter con ferocia.

Alzai la testa verso di loro: mi stavano guardando tutti e tre, e notai vagamente anche Minus avvicinarsi.

«Sta’ zitto…» sussurrai mentre mi accorgevo che stavo cominciando a piangere.

Remus mosse un passo verso di me, ma io stavo guardando Potter e Black. «State zitti!» urlai prima che la voce mi si spezzasse.

Raccolsi la bacchetta, che mi era scivolata fra le dita quando Severus e Malfoy erano usciti, e corsi via, corsi lontano da loro, senza ascoltare Remus che mi richiamava, o i passi che mi rincorrevano, senza sentire più niente…

Avevo le orecchie foderate di ovatta e il respiro spezzato dai singhiozzi mentre ripensavo alla scena appena avvenuta. Sev non aveva fatto niente. Niente. Era rimasto a guardare mentre quello mi dava della Sanguesporco, mentre mi ricordava del marchio praticamente sparito, mentre riapriva una ferita che Severus sapeva quanto era stata profonda…

Non provai a giustificarlo, ero troppo ferita per farlo. Non ci sarei riuscita.

Corsi fino ad uscire dal castello, al freddo, scansando chiunque incontrassi, cercando di non singhiozzare… Attraversai i prati di corsa, ansimando, cercando di recuperare ossigeno, sperando che lo sforzo fisico servisse in qualche modo a distrarmi…

Crollai vicino alle serre, dove mi sedetti e abbracciai le gambe, scoppiando finalmente a piangere. Cominciarono a cadere le prime gocce di pioggia e rimasi lì, accogliendo l’acqua come un conforto perché nascondevano le mie lacrime. Nascosi la testa sulle ginocchia, lasciandomi andare fino a quando le lacrime finirono e singhiozzi cominciarono ad intervallarsi più raramente.

«Lily! Perdiana, cos’è successo?»

Alzai la testa e vidi Hagrid venirmi incontro; il cappotto di pelo che indossava lo rendeva ancora più enorme.

«Ciao Hagrid» mormorai alzando lentamente la testa.

Lo vidi aggrottare le sopracciglia. «Che ti è successo, Lily?» mi chiese mentre la pioggia cominciava a cadere più fitta. «Che ci fai qui fuori sola? Sta piovendo, sono quasi le sei…»

«Sto bene» dissi in un tono che non avrebbe convinto nessuno. «Sono solo stanca…»

«Sembri un Diricawl bagnato» mi disse aiutandomi ad alzarmi e stringendomi a sé. Emanava un calore confortante. «Vieni, prendiamo un tè.»

Mi accompagnò fino a casa sua, dove era acceso un fuoco, e mise il mio mantello ad asciugarsi mentre preparava il tè. Quasi non me ne accorsi: ero in piedi dietro una sedia e stavo scorrendo lo schienale con la mano, continuando a pensare a quanto era appena successo. Sev praticamente non aveva parlato. Non aveva fatto niente per aiutarmi. Io avevo provato ad aiutarlo…

Tirai su col naso e Hagrid si girò. «Che ti hanno fatto, Lily?» mi chiese mentre si infilava un grembiule rosa a fiori. Il suo sguardo si fece improvvisamente minaccioso. «Ti hanno attaccata di nuovo? Perché se è così io vado dal professor Silente e li faccio buttare fuori a calci nel…»

«No» dissi con un filo di voce. «Non proprio…» Mi guardai attorno. «Thor non c’è?» chiesi accorgendomi in quell’istante che il cane non mi era ancora zompato addosso.

Lui si avvicinò ad un angolo della stanza e sollevò una coperta: in un grosso cesto foderato di cuscini c’era Thor, semi-addormentato.

«Cosa gli è successo?» chiesi avvicinandomi per fargli dei grattini dietro le orecchie.

«Spina nella zampa» bofonchiò lui controllando la teiera. «Gli si è ficcata fino all’osso, ieri è stato malissimo, per poco non si infettava… era un po’ che zoppicava, doveva avercela da qualche giorno. Comunque, l’ho levata e ho chiesto a Madama Challoner un anestetico e ce ne ho dato un po’. Il peggio è passato, ormai…»

Levò la teiera dal fuoco. Io ero ancora vicina a Thor, assente. Il peggio è passato… la mia spina era stata davvero levata? Ripensai a Severus e riflettei amaramente che la mia spina era appena stata conficcata.

«Lily! Lily!» Mi girai di scatto e scoprii Hagrid che mi fissava con una punta d’ansia. «Tu hai pianto» dichiarò osservandomi. «Che ti è successo, dimmi!»

Mi avvicinai al tavolo e presi una tazza di tè, fissando il liquido ambrato a lungo e soffiando lentamente per intiepidirlo. «Prima, Malfoy…» Sospirai e chiusi gli occhi. «No, devo partire da prima» mormorai mentre cercavo di raccogliere le parole.

Non mi mise fretta, rimase a guardarmi in attesa che parlassi.

E ovviamente parlai: almeno avevo davanti un ascoltatore imparziale, e dovevo fare ordine nella mia mente. Quando però arrivai al momento in cui Malfoy mi aveva chiamata “Sanguesporco” Hagrid saltò su indignatissimo. «Cos’ha fatto?» ruggì facendomi sobbalzare.

Mi strinsi nelle spalle. «Non è la prima volta» dissi evitando i suoi occhi.

Era furente. «La prossima volta che lo vedo ci penso io a spiegargli un paio di cosette» sputò, la barba fremente. Faceva davvero paura.

Poggiai la tazza. «Grazie, Hagrid.» Esitai un attimo e proseguii: «Ma ho paura che non servirebbe a molto, e potresti metterti nei guai…»

Si sedette e mi guardò arrabbiato. «È tutta colpa dell’aria. C’è cattiva aria in giro.» Si voltò. «La tensione si taglia con un coltello, sta per scoppiare…» Batté una mano sul tavolo tanto all’improvviso che sobbalzai, spaventata. «Sono secoli che gli idioti come Malfoy cercano di mandare via i figli di Babbani. Colpa di Serpeverde, quel vecchio pazzo…» Bevve una lunga sorsata di tè. «E ormai siamo lì, e poi salterà in aria…» Sospirò pesantemente. «Malfoy è solo uno spocchioso idiota che fa il galletto.» Mi guardò. «E nessuno ha detto niente?!» esclamò, di nuovo indignato. «Sono tutti così fifoni?!»

Scossi lentamente la testa. «I due ragazzi che stavano attaccando Severus… gli stavano per lanciare un incantesimo, ma Remus li ha bloccati.»

Borbottò un po’ ma poi osservò: «Sì, era la cosa più furba da fare. Ma mi fa attorcigliare il fegato pensare…» S’incupì di scatto. «E il tuo amico? Lui non ha detto niente?»

Trattenni bruscamente il fiato. «…No» dissi alla fine pianissimo.

Si arrabbiò parecchio. «Ma che razza di persona è?! E tu lo avevi appena aiutato…»

Bevvi il tè. «Lui è di Serpeverde, forse ha… ha avuto paura…»

«E allora è un coniglio» dichiarò lui senza mezze misure. «Serpeverde! Lily, non dovresti stare con uno di Serpeverde. Marci dentro, tutti quanti, ecco come sono…»

«Sev no…» dissi io in automatico, e mi morsi le labbra. Siccome mi stava guardando interrogativo, proseguii: «Insomma, mi ha sempre… sempre difeso. Solo che lo avevano appena attaccato, e umiliato…» Cominciai a parlare, più a me stessa che a lui. «E a un certo punto ha provato a parlare, ma Malfoy l’ha zittito…» Mi venne comunque un groppo in gola: aveva chiamato Malfoy “Lucius”… io non avevo mai chiamato Black o Potter “Sirius” e “James” perché l’avrei considerato un tradimento verso di lui, quasi un simpatizzare con il nemico… «E mi dice sempre che sono una brava strega, e che non ci sono differenze, che sto bene anche in questo mondo…» La mia mente, automaticamente, stava costruendo una difesa per Severus. «Credo che fosse spaventato, Malfoy ha molta influenza a Serpeverde e quella è la sua Casa…» Sì, questo poteva starci, era più plausibile. «Dopotutto siamo al primo anno, e ci… ci stiamo ancora costruendo un ambiente, non è facile stare contro uno del sesto anno…» E Malfoy sembrava esattamente il genere di persona da prendersela con uno del primo solo perché era stato contraddetto… «Sì, doveva essere una situazione difficile per lui, è per questo che… che non è riuscito a intervenire…» Tacqui, mentre riflettevo a questo aspetto della situazione.

Hagrid rispettò il mio silenzio, la sua esperienza con gli animali doveva avergli suggerito che quando un cucciolo inquieto si stava riprendendo era meglio lasciare tempo al tempo.

Alla fine, forse per distrarmi da tutto quello speculare ozioso, chiese: «Chi erano i due ragazzi che avevano attaccato il tuo amico? Non dovevano essere due simpaticoni…»

Sbuffai: decisamente non erano due simpaticoni. «Non so se li conosci, sono di Grifondoro anche loro, si chiamano James Potter e Sirius Black…»

Quasi si strozzò nel tè. «J-James e Sirius?» chiese guardandomi da sopra la tazza.

Lo guardai sorpresa. «Li conosci, quindi?»

Si passò una mano sulla bocca. «Perdici se non li conosco!» esclamò con un sorriso. «Vengono spesso qui per un tè, mi fanno fare delle risate…»

Mi irrigidii. «Sono due ragazzini stupidi» fissi a denti stretti. «Stupidi e immaturi! Lanciano incantesimi su chiunque sia a portata di tiro e continuano a prendersela con Severus…»

Si accarezzò la barba, pensoso. «Be’, sono un po’ vivaci, quello sì, ma attaccare qualcuno così, come dici tu… be’, mi pare strano…»

«È dall’inizio dell’anno che lo hanno preso di mira» dissi cupa. «Fin da quando eravamo in treno, si comportano in modo veramente odioso, ogni volta che possono, e…»

«Ma dai!» esclamò lui incredulo.

«Giuro!» proseguii io infervorandomi. «Anzi, all’inizio avevano preso di mira anche me, ma quando poi li ho aiutati…»

«Sì, me ne hanno parlato.» Hagrid mi guardò sovrappensiero. Poi si batté una mano sulla fronte con quella che mi parve la forza necessaria per ribaltare un camioncino. «Era di questo che parlavano, allora!»

«Cioè?» chiesi io provando ad inzuppare un biscotto nel tè, sperando di ammorbidirlo un po’.

«Be’, quando parlano di te dicono sempre che ti ficchi in cose più grosse di te» disse lui scrutandomi con sguardo indagatore.

Poggiai la tazza e tirai fuori il biscotto, duro come prima. «Parlano di me?» chiesi sorpresa.

Lui annuì. «Quando mi raccontano delle baraonde che fanno c’entri spesso tu» commentò. «E dicono sempre che non dovresti immischiarti.»

Aggrottai le sopracciglia. «Io non mi immischierei se loro non lo rendessero indispensabile» dissi offesa. «Ma attaccano sempre Sev due contro uno, e…»

«Due contro uno?» ripeté lui aggrottando le sopracciglia. «No, Lily, qui devi averci capito male, loro dicono che si azzuffano più che altro con alcuni gruppetti di Serpeverde del primo o del secondo anno, e spesso sono pure di meno…»

Contrassi la mascella. «Non è affatto vero» risposi, risentita da quella ipocrisia. «Quando attaccano Severus è sempre da solo, ne approfittano quando non ci sono io, io li ho visti, Hagrid, lo stavano facendo anche questa volta, c’erano loro due che avevano disarmato Sev e tutti quegli idioti attorno a fare il tifo come se fosse stato un incontro di boxe, e Sev che non poteva difendersi e non c’era nessuno che dicesse niente, e loro avrebbero continuato a umiliarlo a quel modo e a…» La troppa rabbia mi bloccò le parole in gola.

Hagrid aveva ancora quell’espressione confusa, incerta. «Lily, ne sei sicura?»

Lo guardai incredula. «Certo che ne sono sicura, Hagrid, li ho visti!»

Sorseggiò pensosamente il suo tè, e dopo un po’ lo imitai.

 

Circa un’ora dopo mi avviai verso il castello più leggera, mentre pensavo nuovamente a giustificazioni o anche solo motivazioni che potessero scusare il comportamento di Severus. Ero giunta alla conclusione che il suo mancato intervento era giustificato dalle circostanze, ma che la sua apparente familiarità con Lucius Malfoy fosse qualcosa di cui avremmo assolutamente dovuto parlare.

Camminavo lentamente, cercando di capire…

Quando arrivai in Sala Grande la cena era già cominciata, perciò andai a sedermi vicina ad Alice e Frank e li ascoltai chiacchierare con la mente ancora assente, mentre scrutavo il tavolo di Serpeverde cercando Severus. Lo trovai che mangiava a testa bassa con i capelli che gli ricadevano davanti agli occhi.

Avevo pensato diecimila volte a quello che gli avrei detto e a come avrei affrontato l’argomento, ma quando lo vidi alzarsi, ben prima che l’ultima portata fosse servita, mi alzai così di scatto anch’io che i bicchieri tintinnarono, attirando l’attenzione di tutti i ragazzi più vicini. Non mi importava, ero totalmente concentrata su ciò che dovevo fare.

Scavalcai con un gesto automatico la panca prendendo la borsa che non avevo più riportato in Sala Comune e mi precipitai verso l’uscita. Misurai i passi senza guardarmi attorno, tenevo gli occhi fissi su un punto morto ignorando le poche teste che si alzavano al mio passaggio e mi guardavano interrogative. Tenni i miei muscoli sotto controllo fino a quando non fui uscita, poi allungai progressivamente la falcata fino a cominciare a correre, per raggiungere il mio migliore amico.

Quasi gli sbattei contro quando me lo ritrovai fermo in mezzo al corridoio che portava ai sotterranei, la testa abbassata e le mani strette a pugno. Lo evitai per un pelo e mi bloccai anch’io.

«Non dovresti correre nei corridoi» mi disse piano senza girarsi. «Rischi di scivolare e farti male…»

«Voglio che parliamo» dissi in un sussurro stranamente forte. «Ho bisogno che parliamo, e fra un po’ scatta il coprifuoco.»

Continuando a rivolgermi le spalle, lui annuì. «Nella… nella nostra stanza, allora?»

«Sì.»

Senza guardarci, camminammo fianco a fianco lungo tutti i corridoi fino al quinto piano, nella “nostra stanza”. Io mi diressi filata fino alla finestra e mi sedetti lì a braccia incrociate, fissando risolutamente i suoi occhi.

Lui rimase in prossimità della porta a testa bassa, sfiorando con le dita la scacchiera più vicina.

«Sev?» lo richiamai abbastanza bruscamente, continuando a scrutarlo. Volevo arrivare fino in fondo una volta per tutte, ma ero anche abbastanza risentita da potermi dimenticare di essere gentile. «Vorresti avere l’estrema cortesia di spiegarmi cosa ti è successo oggi pomeriggio?»

Non era questa la domanda che gli volevo fare. Non era per quello che volevo spiegazioni, me ne ero già create abbastanza di mio, e inconsciamente non volevo vedere Severus incapace di darmi una risposta. Perciò aggiunsi subito dopo: «No, lascia perdere. Per quello posso capire che l’influenza di Malfoy su Serpeverde è troppo grande, e dopotutto tu sei di Serpeverde. Posso capire che era una situazione difficile per te, e posso anche accettare che non eri in condizione di fare niente.» Interruppi il mio monologo solo per lanciargli un’occhiata un po’ obliqua. I capelli gli ricadevano davanti agli occhi, contribuendo ulteriormente a nasconderli. «Sev, mi faresti il favore di guardarmi mentre ti parlo?» gli chiesi sforzandomi di mantenere la voce tranquilla. Con scarsi risultati. Sembrava piuttosto quella di una bambina stizzita.

Alzò la testa e mi guardò quanto bastava per farmi rimpiangere di averglielo chiesto. Forse che non conoscevo quello sguardo? Non avevo fin troppo presenti i suoi occhi neri, disperati, tristi?

Sev non lasciava quasi mai che le emozioni prendessero il sopravvento, ma i suoi occhi lo tradivano sempre.

Ed erano un’arma molto più potente contro la mia rabbia di quanto non lo sarebbero mai state scuse e giustificazioni.

Non ero fisicamente capace di restare arrabbiata con lui come avrei voluto quando mi rivolgeva quello sguardo. Mi sembrava che la mia rabbia, il mio risentimento fossero ben poca cosa comparati al suo dolore, alla sua paura.

«Sev, mi spieghi di preciso cosa ti ha fatto Malfoy?» chiesi stancamente, senza più ombra di stizza. Mi sentivo improvvisamente come se tutto il peso del suo sguardo si fosse poggiato sulle mie spalle.

Continuò semplicemente a guardarmi, senza dire niente.

«Sev, che ti ha fatto? È tutto l’anno che va avanti questa storia, cos’è successo?»

Di fronte al suo ostinato mutismo, sospirai e provai a indovinare: «È come aveva detto Debbie? Malfoy vi… vi parla e vi incanta con le sue parole, e siccome ha tanta influenza sulla tua casa vi sentite in dovere di fare quello che dice?»

«No» disse lui, quasi automaticamente. Poi si morse le labbra. «Lily, non è… facile.»

«Vedrò di essere all’altezza» risposi io inarcando un sopracciglio.

Abbassò nuovamente la testa e si appoggiò al muro. Il suo silenzio era tuttavia in qualche modo diverso, sembrava stesse raccogliendo le idee. Lo lasciai fare, cercando di reprimere la miriade di sensazioni che mi invadevano.

Alla fine cominciò, reticente e stranamente formale: «Serpeverde è sempre stata la Casa più impopolare di tutte e quattro, lo sai questo, vero?» Senza darmi nemmeno il tempo di rispondere, proseguì: «Ciò porta a una certa… introversione in noi stessi. La nostra amicizia è strana anche perché i Serpeverde di solito non hanno amici fuori dalla loro Casa, né le altre Case vorrebbero per amico un Serpeverde. Perciò, come ti dicevo, siamo molto… sulle nostre.» Fece un profondo respiro e proseguì: «Lucius… Malfoy è uno dei Serpeverde più anziani e, come anche tu hai capito, uno dei più influenti.» Si morse le labbra. «Quindi prende come parte dei suoi compiti anche il far coesistere a livello efficiente tutti i membri della nostra Casa, in modo che almeno al nostro interno siamo coesi e siamo quindi più forti.» Mi scoccò un rapido sguardo e vedendo che stavo per parlare aggiunse in fretta: «Siamo sempre attaccati dall’esterno, Luc… Malfoy semplicemente esagera nel reagire e nel prevenire questi attacchi. Ci aiuta tutti, è come essere in una specie di squadra, in un gruppo… con le sue regole, ovviamente.» Fissò un punto morto e proseguì: «Non contraddirci gli uni con gli altri, supportarci sempre, cercare di pensare sempre agli interessi della nostra Casa…»

«Come attaccare i Sanguesporco, Severus?» chiesi io gelida mentre, non richiesta, nelle mie orecchie risuonava la voce di Potter: vediamo se è già diventato così ipocrita…

Il suo sguardo si incupì e disperò, prima di abbassarsi. «No. Più che altro… più che altro gruppi di… studio… ricerche, interessi comuni…» Non avevo mai visto Severus così in difficoltà con le parole. Non era normale… «Sai, come tu con… Lupin…» Lo vidi contrarre automaticamente la mascella. «O quella MacDougal, qualcosa del genere…»

«Malfoy con gruppi di studio con voi?» chiesi io inarcando un sopracciglio.

«No…» Si morse le labbra e io lo guardai più da vicino. Era davvero strano tutto quell’imbarazzo, da parte di Severus. Severus non era mai imbarazzato con me. La mia mente pignola cominciò ad elencare le accezioni. «Lui… monitora, credo sia la parola. Ci controlla. E sorveglia. E se ritiene sia necessario ci… aiuta» concluse, scegliendo con gran cura le parole.

«A fare i compiti?» chiesi io ancora più scettica. E urtata. C’era qualcosa che Severus non voleva dirmi. Qualcosa che aveva a che fare con questi suoi gruppi di studio e con Malfoy che non riteneva opportuno condividere con la sua migliore amica.

«No…» Non gli piaceva la piega presa dalla discussione. Mi chiedevo cosa si fosse aspettato. «Ci aiuta… in situazioni… come quelle con… Potter. E Black. Prima» disse. I suoi occhi assumevano sempre una sfumatura più tempestosa quando anche solo il pensiero di quei due lo raggiungeva.

Se pensavo a tutta la sua filippica sulla solidarietà interna alle case il discorso filava. Però non mi era mai venuto che veramente si fosse infilato in pasticci così grandi da richiedere addirittura l’intervento di Malfoy. Contro Potter e Black?

Un pensiero mi colse all’improvviso. «Malfoy aveva già avuto scontri con Potter e Black?» chiesi incredula.

Mi guardò come se mi fosse sfuggito qualcosa di ovvio. «Luciu… Malfoy non si scontra con Potter e Black, non ne ha bisogno.» Mi rivolse una mezza occhiata. «È un prefetto. Di solito… aiuta solo a risolvere situazioni come quella… quella… quella di oggi.»

Di nuovo, sembrava tutto sensato; ma sembravo aver appena sviluppato una… repellenza alle spiegazioni sensate. Sembravano tutte mezze verità. Se non altro, questo spiegava perché i rubini nella nostra clessidra sembrassero sempre diminuire un po’ quando Severus veniva, per così dire, attaccato.

 

 

Angolo Autrice

Ebbene, nonostante questo capitolo abbia più di un anno, sto scrivendo le note dal presente presente. Non siete anche voi emozionati?

Potevate almeno avere la decenza di fingere eccitazione, io non chiedo tanto -.-

Ad ogni modo *ehm ehm*

Strascichi di quanto successo pochi capitoli fa – dopotutto, per quanto forte, non è pensabile che Lily esca dalla sua situazione con Malfoy completamente intonsa. Inoltre, dovevo darle un motivo nuovo di zecca per odiare meglio Potter e Black, e la scenetta di cui sopra mi pareva quanto mai appropriata, nonché simile a quello che, sappiamo, andranno avanti a fare per almeno i quattro anni successivi.

L’incantesimo Tarantallegra è una fattura di livello medio-basso, può essere usato anche come fattura offensiva per distrarre l’avversario se si è più esperti, ma siccome qui i nostri pargoli hanno solo dodici anni la fattura in questione ha provocato solo movimenti convulsi da parte di Severus. Molto divertenti se sei un bullo con un pubblico da divertire u.u

En passant, mi piace troppo scrivere di Malfoy come del viscido codardo che è. Non so, è una figura che mi ispira, punto. Soprattutto per dare un’occasione per mostrare le reazioni più probabili da parte dei futuri Malandrini, con James e Sirius che ovviamente lo mandano a quel paese e Remus che cerca di pacificare i deficienti. Laddove Severus serve a mostrare il loro lato più antipatico, quello prepotente e arrogante, Malfoy li riporta al loro ruolo più da eroi pazzi. Dicotomia che io trovo estremamente interessante.

Altro… ah, sì, ovviamente Hagrid conosce sia Sirius che James, mi sembra proprio il genere di persona che i due farebbero in fretta ad aggraziarsi, considerando conoscenze varie e carattere.

E per la cronaca i dirikawl sono i nostri dodo. “Sembri un Diricawl bagnato” ho pensato potesse essere una traduzione hagridesca del nostro “Sembri un pulcino bagnato”.

E immagino che questo sia tutto.

Vi lascio a rimuginare sui “gruppi di studio” dei Serpeverde e i loro scontri con James e Sirius.

Non che ce ne sia un gran bisogno, immagino…

 

Ma me ne devo andare perché ora che non ho più freni rischio veramente di fare note più lunghe del capitolo stesso – sarà che ho fatto in tempo a riprendermi dall’ultima volta.

Quindi ora sarà bene ringraziarvi per la costanza malgrado gli aggiornamenti discontinui e passare a pubblicare il capitolo – una volta trovata l’immagine adatta, ovviamente.

 

I miei speciali ringraziamenti, come sempre, ai 29 che hanno messo questa storia fra i preferiti, i 5 che ce l’hanno fra le ricordate e i 56 che la seguono :)

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Capitolo 25
*** Capitolo 18 - Stress Pre-Vacanze ***


Prima Parte, I Anno

Capitolo 18 – Stress Pre-Vacanze

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Più Marzo si avvicinava alla fine, più mi sentivo grata del fatto che presto ci sarebbero state le vacanze di Pasqua. Sentivo di averne veramente bisogno: amavo Hogwarts ed era veramente stata come una seconda casa per me, ma in quel momento tutto quello che volevo era correre alla mia prima casa e sentirmi dire che mi volevano bene e che tutto andava per il meglio.

Pasqua era sempre stato un periodo che adoravo nella nostra famiglia. Primo, perché ero golosissima di cioccolato e i miei nonni mi portavano sempre almeno un uovo. Secondo, semplicemente, perché a Pasqua sembrava che niente potesse andare storto. Perciò era con discreta esaltazione che aspettavo quel momento, anche e soprattutto perché il mio compleanno sarebbe caduto proprio il lunedì della settimana di Pasqua, praticamente il primo giorno di vacanza, ed ero felicissima di poterlo festeggiare in famiglia. In realtà, ero molto ansiosa di entrare a pieno termine nella mia adolescenza – tanto ansiosa quando determinata a non diventare una classica “oca” come mia nonna diceva che tutti gli adolescenti fossero. Per una questione di principio, io non volevo esserlo. Mi ripromisi che sarei rimasta semplicemente uguale a me stessa.

La settimana che precedette le vacanze parve la vendetta dei professori per il fatto che stessimo per andare in vacanza: ci caricarono di tanti compiti che passai quasi tutti i pomeriggi in sala comune o in biblioteca a studiare con Severus e Remus fino, e a volte anche oltre, l’ora di cena.

Certo, studiare con Remus poteva essere distraente: il più delle volte mi fissavo a guardare il movimento ritmico con cui si passava un dito nel nodo della cravatta per annodarlo mano a mano che la serata andava avanti, o la scrittura minuta e precisa con cui scriveva. A essere onesta gliela invidiavo appassionatamente: non avevo una calligrafia orribile, ma ero mille miglia lontana dalla precisione stampata del suo corsivo. In compenso stavo diventando sempre più brava a fare la gnorri quando lui si girava verso di me, e il fissare la pergamena con aria concentratissima non aveva più misteri per me. Da quel che mi dicevano le mie guance, non avevo ancora imparato ad impedirmi di arrossire, ma speravo di arrivarci prima di dover dare spiegazioni imbarazzanti.

«Uff, non ho la più pallida idea di cosa significhi tutto ciò» commentò la penultima sera prima delle vacanze poggiando con forza la piuma sul tavolo e facendomi sobbalzare.

Lo guardai da sopra il tema che stavo scrivendo: aveva le braccia incrociate e una ruga profonda fra le sopracciglia, e le sue labbra erano atteggiate in un adorabile broncio. Non l’avevo mai visto perdere il controllo a quel modo.

«Cosa?» chiesi interrompendo il mio lavoro.

Si girò verso di me, quasi irritato, e sbottò: «Perché c’è bisogno di un incantesimo di torsione per il ginkgo?»

Dovetti controllare la mia mascella per impedirle di cadere a terra. Remus sosteneva ancora di avere problemi in Pozioni, il che io non ritenevo vero, e si divertiva a scherzare con me e Alice sul fatto che non ne capisse niente. Non era mai scattato così solo per una difficoltà sull’uso di una pianta.

Alice, di fronte a me, sembrava pensarlo allo stesso modo. «Be’, le foglie del ginkgo biloba sono famose per aiutare la circolazione cerebrale ossigenandone maggiormente le cellule.»

Guardai Alice con un mezzo sorriso: erbologia, sia magica che babbana, era qualcosa in cui non aveva minimamente rivali. A parte forse Frank Paciock, difficile a dirsi – dopotutto quando parlavano insieme sembrava di ascoltare due giardinieri in fase di dibattito.

«E quindi cosa c’entra con una pozione per dimenticare? E perché l’incantesimo di torsione?» La voce di Remus risuonò come uno schiocco di frusta.

Lo guardai ancora più stupita. «Be’, il ginkgo da solo aiuta la memoria, l’incantesimo di torsione serve a invertirne gli effetti e quindi permette alla pozione di cominciare una reazione chimica che…»

«Sì, sì, grazie tante» sbuffò lui incrociando nuovamente le braccia.

Sia io che Alice ci scambiammo uno sguardo incredulo. «Remus, ti senti bene?» chiese cautamente lei.

«Benissimo, perché?» ribatté lui piantandole due occhi dilatati addosso.

«Sembri… diverso» dissi io studiando con attenzione i suoi movimenti.

Sbuffò e si passò una mano fra i capelli. Sobbalzai: era un gesto così alla Potter che per un attimo mi sembrò quasi di trovarmelo di fronte. Poi però chiuse gli occhi e trasse tre respiri profondi, tornando ad essere il mio Remus. Quando tornò a guardarci, l’ombra dietro il suo sguardo era sparita. «Scusate, ragazze» ci disse piano, rilassando i muscoli della schiena. «È solo che… dev’essere lo stress da fine trimestre.» Ci rivolse un sorriso un po’ debole e tornò a guardare il tema. «Tanto non riuscirò a finirlo per domani» disse all’improvviso raccogliendo le sue cose. «Meglio che dorma un po’, così magari domani non sarò un tale piccolo insopportabile idiota. Buonanotte.»

Io stavo per protestare, ma la mano di Alice trovò la mia e me la strinse, bloccandomi. Nel tempo che le rivolsi un’occhiataccia, Remus si trovava già sulle scale del suo dormitorio e stava superando un Frank Paciock alquanto sorpreso.

Ci venne incontro e si sedette sulla sedia lasciata libera da Remus. «Lo avete accoltellato con una piuma, quel povero ragazzo?» ci chiese passando lo sguardo dall’una all’altra.

«No» rispose Alice, indignata per tutte e due. «Non so, stavamo finendo i nostri temi di pozioni e d’un tratto gli si è storta la luna.»

Io stavo ancora guardando nella direzione in cui Remus era sparito e quindi mi persi la battuta successiva, ma quando Alice sbottò: «Non è colpa mia se voi maschi siete soltanto un gruppo di disturbati lunatici!», mi trovai costretta a girarmi.

«Eppure non sono io quello che sta strillando» osservò Frank guardandola con un misto di affetto e divertimento.

«È interamente colpa tua, Frank Paciock» fu la molto dignitosa risposta di Alice, che però stava sorridendo in risposta.

Per un attimo rimasero a guardarsi e io, trovando un’occasione per vendicarmi dei loro commenti di quasi due mesi prima – e no, non ero assolutamente una persona che portava rancore – ne approfittai per commentare: «Sapete, sareste una bellissima coppia.»

Ebbi la soddisfazione di farli violentemente arrossire entrambi, ma il piacere di una loro risposta mi fu sottratto da una voce che dietro di me commentò: «È esattamente quello che sostengo anche io, Evans.» Spettinato come sempre, immancabilmente accompagnato da Black e Minus, Potter si era noncurantemente appoggiato allo schienale della mia sedia e ci stava guardando tutti dall’alto in basso.

«Per inciso, non è che Remus ha lasciato qui il suo tema?» s’informò in tono salottiero Black facendo scorrere lo sguardo sul tavolo. «No, perché non sputerei in faccia all’occasione di levarmelo dai piedi…»

Benedissi mentalmente Remus e la sua previdenza nel portarsi via il tema. «Invece di copiare e fare arrabbiare sia Remus che i professori, non potreste sforzare quei quattro neuroni che non sono ancora morti di solitudine del vostro cervello?» ribattei altezzosamente riarrotolando il mio tema.

Black mi guardò con un sopracciglio inarcato. «A volte vorrei che mi fosse possibile comprenderti, Evans» commentò storcendo appena il labbro. «Ma purtroppo non è così, quindi ti prego di voler risparmiare il fiato.»

«Allora lo porto all’altezza della tua comprensione» ribattei io bellicosamente inarcando anch’io un sopracciglio – non potevo certo permettergli di mantenere il primato. «Smettetela – di – copiare – da – Remus. Capito?»

«Concetto interessante, forma difficile» commentò Potter da sopra la mia testa.

«E tu levati dalla mia sedia» gli dissi alzando lo sguardo verso di lui.

«Na, ci sto comodo» ribatté lui appoggiandocisi ancor più pesantemente.

Alice alzò gli occhi al cielo e scambiò un’occhiata con Frank, che per tutta risposta roteò gli occhi e sorrise.

Probabilmente quello mi irritò più del commento di Potter, perché mi alzai in piedi di scatto spedendogli, con grande soddisfazione, la sedia nello stomaco e chiusi con un colpo secco il libro per dar maggior teatralità alla cosa. Poi mi voltai a fronteggiare Potter, che si stava massaggiando lo stomaco. «Tu ti rendi conto che solo per pozioni abbiamo un tema sulla corretta preparazione della pozione per dimenticare, una relazione sui dodici usi del sangue di drago e tre capitoli da studiare, vero?»

«Evans, smettila di essere così bacchettona» ribatté tranquillamente lui. «Ti verranno le rughe.»

Mia nonna diceva sempre che prima di rispondere a qualcuno quando si era arrabbiati era meglio contare fino a dieci. Non arrivai neppure a sette. «E tu smettila di essere così idiota!» gli strillai poco signorilmente contro. Mi voltai di scatto dalla sua faccia sogghignante a quella di Black. «E anche tu, dov’è la pergamena di Remus, devo copiare questo tema, devo copiare quest’elenco! Cosa ci venite a fare qui a scuola, ne avete una qualche idea?»

Udii vagamente Alice dirmi qualcosa da dietro ma non ci feci caso, troppo concentrata a fulminare con gli occhi Potter e Black. «Non me ne importerebbe niente dei vostri casini, se solo riusciste a tenerveli per voi, ma invece dovete sempre coinvolgere altri, ed è la cosa più egoista e disg…»

«Che cosa succede qui? Lily, perché stai urlando?» Debbie era arrivata da dietro di Black e ci stava fissando tutti con sguardo severo.

Io mi morsi le labbra. Non approvavo i metodi di Potter e Black ma non li avrei denunciati per principio, non mi sarei mai abbassata al livello di una spia. «Io…» balbettai sentendomi le guance andare a fuoco. «Io… stavo solo…» Il sogghigno di Potter a pochi centimetri dalla mia faccia incandescente non aiutava.

«È stata semplicemente provocata, signorina, è stato tutto un… un malinteso» mi venne in aiuto Alice, alzandosi dalla sedia.

«Sì, è stato solo un brutto fraintendimento» le diede manforte Frank. «Vero Lily?»

Passai lo sguardo da loro due a Potter e Black. «Ovviamente» gli sillabai in faccia, per poi rilassare di nuovo i muscoli e guardare Debbie. «Mi dispiace, Debbie, ho perso le staffe, non avrei dovuto…»

«Che non succeda mai più, Lily» mi disse lei guardandomi negli occhi. «Urlare in Sala Comune non è soltanto sbagliato, è maleducato nei confronti degli altri ragazzi che sono qui e che hanno diritto a un luogo tranquillo per studiare.»

Avevo gli occhi lucidi e le guance rossissime, ma tenni gli occhi bassi e sussurrai appena: «Mi dispiace, lo giuro, è solo che…»

«Va bene così, Lily» disse soltanto lei prima di tornare alla sua poltrona e ai suoi amici accanto al fuoco.

Mi sentivo negli occhi le lacrime dell’umiliazione e le unghie che mi ero affondata nel palmo dall’inizio del rimbotto stavano cominciando a farmi veramente male.

Mi morsi le labbra a sangue e mi girai di scatto a prendere le mie cose, che scaraventai senza grazia in borsa, prima di dirigermi in dormitorio.

«Lily…» mi chiamò Alice venendomi incontro, ma io la scansai con un gesto secco e mi diressi quasi di corsa verso il mio dormitorio, dove Vane e McDonald stavano chiacchierando di fronte ad una collezione di smalti magici.

Alzarono la testa alla mia brusca entrata. «Evans, vuoi provare?» mi chiese graziosamente Vane indicandomi l’ampia gamma di colori a sua disposizione.

«Lasciami in pace» fu la mia poco diplomatica risposta mentre buttavo la borsa sul letto e mi chiudevo in bagno. Aprii l’acqua del rubinetto per soffocare il rumore e mi sedetti sul bordo della finestra, ginocchia al petto, a piangere per il bruciante senso di mortificazione che le parole di Debbie avevano lasciato.

Poco tempo dopo, sentii bussare alla porta e la voce di Alice mi raggiunse: «Lily? Lily, sei qui?»

Mi immobilizzai e mi asciugai velocemente le lacrime.

«Lily? Possiamo parlarne, dai…»

Mi strinsi più forte le ginocchia al petto.

«Lily? Su, dai, vieni fuori…»

Mi morsi le labbra e sbloccai lentamente le braccia, alzandomi dal davanzale cercando di non fare rumore.

«Lily! Guarda che vengo dentro io!»

Non avevo pensato a quell’eventualità. Mi scervellai in cerca di un incantesimo che mi permettesse di bloccare la porta, ma non me ne venne in mente neanche uno. Ero più che sicura che ne avessi letto uno almeno una volta, ma in quel momento proprio non riuscivo a ricordarmi né la formula né se avevo mai imparato a farlo.

«Lily! Conto fino a tre!»

Venni velocemente a patti con il fatto che farmi stanare come una bambina riottosa sarebbe stato molto meno dignitoso che aprire la porta di persona, e lanciai quindi un’occhiata veloce allo specchio per accertarmi che i miei occhi non recassero troppe tracce di pianto.

«Uno…»

Mi lavai velocemente la faccia per cercare di far passare il rossore che me li contornava.

«Due…»

Le aprii la porta in faccia sul tre, la tirai dentro prima che potesse reagire e richiusi la porta dietro di lei senza neanche preoccuparmi di guardare le reazioni di Vane e McDonald. E tanti cari saluti alla dignità salva.

Alice ci mise qualche secondo per riprendersi dal brusco cambio di stanza. Mi guardò incerta qualche secondo, mentre io contraevo la mia faccia per non mostrare assolutamente niente. Con scarsi risultati. Una rapida sbirciatina allo specchio mi mostrò una faccia a metà fra l’imbronciato e il furioso.

Intanto, Alice aveva ripreso fiato. «Senti, lo so che quei tre sono cretini e che Debbie è stata ingiusta, ma, davvero, non importa a nessuno…»

«Ero solo stanca» risposi senza convincere nessuno.

Alice storse le labbra, probabilmente offesa da quell’insulto alla sua intelligenza.

Sospirai pesantemente e mi preparai a rendere la mia recita più convincente. «Sono stanca, Alice» ripetei, e siccome non era così falso non dovetti nemmeno sforzarmi tanto per far assumere al mio tono una nota strascinata. «Con tutti questi compiti, e gli esami che si avvicinano, e…»

«Lily, agli esami mancano mesi» puntualizzò lei.

Risi debolmente. «Quando hai per amici Sev e Remus è difficile tenerlo presente…»

Rise anche lei. «Sì, quei due insieme devono essere una macchina da guerra» osservò con un sorriso. «Insomma, Remus è sempre convinto di non sapere niente e poi è il cocco di tutti i professori, e anche Piton… è sempre così… così concentrato, come se quello che stesse facendo fosse la cosa più importante al mondo…»

Sorrisi a quella descrizione molto azzeccata del mio migliore amico.

«Ma seriamente, Lily, non dovresti permettergli di stancarti, sei comunque una delle studentesse migliori della scuola, perfino Jack stava dicendo…»

«Chi è… Jack?» chiesi cercando freneticamente nella memoria un nome da collegare alla faccia.

Lei rise di nuovo. «Certo, Lily, a volte veramente… Jack Boot, Corvonero del nostro anno. Non puoi non sapere chi è, è seduto tre banchi più in là a Incantesimi…»

Ci misi un secondo per focalizzare un viso appuntito e lentigginoso, non brutto, ma con ancora tutta l’infanzia addosso. Era molto bravo a Incantesimi, in effetti, uno dei migliori. «L’ho sempre chiamato Boot, al massimo John, non mi era mai…»

«Ecco, altro problema di frequentare due patiti dello studio» sottolineò Alice con aria perfida. «Ti perdi tutti i moti sotterranei della scuola…»

Sorrisi in un tentativo di humor. «Per i sotterranei di solito mi affido a Sev, in effetti…»

La sua risata e le sue successive chiacchiere su John/Jack Boot mi informarono che almeno per il momento ero salva da una discussione sulle mie reazioni emotive.

 

Angolo Autrice

Sì, lo so che non è affatto cortese tornare dopo mesi di assenza con un capitolo di transizione. Non è neppure giusto. Ma questo è quello che passa per il convento, e chissà perché per il convento passa solo quello che vuole passare.

Non mi dilungherò ulteriormente sulle abitudine di vari ritrovi religiosi.

 

Capitolo non particolarmente ricco, e che non arriva neppure dove mi aspettavo di farlo arrivare – anche perché ho cominciato a scriverlo prima che iniziasse la scuola e l’ho finito, aehm, oggi, quindi l’idea originale per giocoforza si doveva modificare.

Se a qualcuno interessa guardare il calendario lunare del 1972, anno in cui ci troviamo, saprà che la luna piena di Marzo era il 29, ergo Pasqua cadeva il 2 aprile, cosa di cui ci interessa relativamente, ma vuol dire che il malumore di Remus è effettivamente, come ha così argutamente osservato Alice, dovuto alla “luna storta”.

Per i più attenti, il cognome “Boot” è una vecchia conoscenza. Se non sbaglio nella versione italiana veniva reso come “Steeval” o qualcosa del genere, per resa di nomi parlanti, ma siccome non me lo ricordavo e non mi andava di andare a guardare, sono andata per la versione inglese e grazie tante.

Ah, che durante le vacanze pasquali fosse possibile tornare a casa l’ho dedotto dal fatto che nel terzo HP i Dursley pregano Harry di “restare a scuola per le vacanze di Natale e di Pasqua” e che nel settimo, se non sbaglio, Ginny non torna più a scuola “dopo le vacanze di Pasqua”. Non ho i libri sottomano, non posso citarvi le pagine ma da qualche parte c’è, parola di nerd.

 

Che altro dire, sono ancora in preda a questa specie di blocco scrittorio che mi sta consumando le risorse psichiche e quindi non posso promettere niente riguardo al prossimo capitolo. Posso solo dire che non ho intenzioni di sospendere questa storia fino a quando non si mostrerà chiaro che il contrario è una mera presa in giro, ma ho paura che gli aggiornamenti continueranno a essere discontinui. Credetemi, sono la prima a rammaricarmene.

 

Intanto, però, ho tutti i diritti di compiacermi del fatto che malgrado la mia carenza di disciplina sono arrivata per la prima volta nella mia storia di autrice a ben 94 recensioni totali J Bene, avete appena fatto di me una scrittrice felice. Idem con patate per i 32 che hanno messo questa storia fra i preferiti, i 6 fra le ricordate e i 61 (61!) fra le seguite.

Applausi!

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