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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Prologo. Un Villaggio Prigioniero Della Foresta *** Capitolo 2: *** Capitolo 1. Shanks Il Rosso *** Capitolo 3: *** Capitolo 2. Alla Scoperta Del Mondo *** Capitolo 4: *** Capitolo 3. L'uomo Del Battello *** Capitolo 5: *** Capitolo 4. Svolta *** Capitolo 6: *** Parte 2 - Capitolo 1 ***
Capitolo 1 *** Prologo. Un Villaggio Prigioniero Della Foresta ***
--- Parte Prima: Il Villaggio Di Taraah ---
Prologo
Un Villaggio Prigioniero
Della Foresta
Il
buio polveroso di quello scantinato fu attraversato da un frastuono di vetri
infranti, poi da un tonfo sordo e da un susseguirsi di voci.
-Cammy...
Che cavolo stai combinando?!- esclamò una ragazza.
Ci
fu un fruscio. Una della persone calpestò i vetri facendoli scricchiolare, poi,
finalmente, si udì un leggero scatto e una luce gialla, proveniente da una
plafoniera coperta di polvere, si diffuse timidamente nella stanza. Pareti
costruite con grossi mattoni di pietra vennero illuminati pallidamente.
La
luce calda illuminò pian piano tutto lo scantinato, rivelando una libreria in cui
erano incastrati una moltitudine di volumi pesanti, rilegati in pelle con
titoli indecifrabili, alcuni ritratti di paesaggi campagnoli appesi alle pareti
e un tavolino rettangolare al centro della sala. Era piccolo, di legno d’acero,
accompagnato da una seggiola scricchiolante dello stesso materiale già divorata
dalle termiti. Era proprio accanto a questa sedia solitaria che stava in piedi
una ragazzina smilza, dai corti capelli biondi, legati in due codini ai lati
della nuca. Sembrava terrorizzata, e guardava a terra l’inchiostro versatosi
quando aveva dato una gomitata alla boccetta che lo conteneva.
-Arissa...
Mi dispiace...- lo disse quasi piangendo. I suoi occhi blu erano già lucidi.
La
ragazza che aveva acceso la luce si fiondò verso di lei e le prese il volto tra
le mani affusolate.-Non piangere, non è nulla di grave... Guardami Cammy. Non è
nulla di grave.- Ripetè, più a sé stessa che alla compagna.
Arissa
Saguraku era una ragazza molto bella, a suo modo. Che fossero i tratti gentili
e la grazia che aveva nei movimenti a donargli quella bellezza o la sua infinta
disponibilità, lei era bella. Aveva lunghi capelli corvini, che teneva sempre
sciolti sulle spalle. La frangia spostata verso destra faceva da sipario ad un
viso ovale, su cui erano disposti due occhi neri, grandi e allungati sopra cui
si trovavano due sopracciglia nere e allungate, un naso elegante e labbra
sottili. Teneva ancora in mano il viso dell’amica e la guardava incoraggiante.
-Mi
spiace Arissa... Giuro che non volevo.-
-Lo
so, lo so. Adesso vediamo di andarcene da qui, va bene? Se mia madre mi becca,
mi fa pulire la casa da cima a fondo...- disse frettolosamente la giovane mora,
mentre afferrava un libro nero sul tavolino e lo infilava nella sacca che teneva
a tracolla.-Andiamo Cammy... O ci cacceremo nei guai.-
Cammy
tirò su con il naso e annuì, poi si diressero verso la porticina di legno da
cui erano entrate, Arissa spense la luce e dopo essere uscita insieme a Cammy
si chiuse la porta alle spalle. Tirò un sospiro.-Quando mio padre tornerà si
accorgerà di quel macello...-
Quell’affermazione
fece sussultare Cammy.-Avevi detto che non era importante! Lo sapevo! Ti ho
messa nei guai!-
Arissa
le sorrise.-Ma no, che stai dicendo...?- percorsero uno stretto corridoio buio,
fino ad arrivare ad una rampa ripida di scalette di pietra. Già si intravedeva
la luce del sole, sarebbe bastato salire i piccoli gradini grigi e finalmente
sarebbero uscite da quell’antro buio e polveroso.
La
giovane moretta mise un piede sul primo gradino e si fermò.-Dopotutto sono io
che devo scusarmi con te!- allungò una mano verso la guancia bagnata di Cammy. -Se
non ti avessi trascinata fin qui a prendere questo libro, non avremmo corso
nessun rischio, no?- fece con affetto.
Cammy
la guardò spaesata.-Ma non è colpa tua-
-Neanche
tua. Quindi se vogliamo stare qui a giocarcela a morra cinese, facciamo pure...
altrimenti usciamo e nascondiamo il libro- rise Arissa.
-Hai
ragione.- Finalmente Cammy sorrise.
Quella
ragazzina dagli occhi blu era la migliore amica di Arissa. Non solo perché
erano vicine di casa, ma anche perché Arissa sapeva che Cammy in casa subiva
vari maltrattamenti e deisderava davvero aiutarla. Suo padre era una persona
abbastanza violenta, ed era conosciuto e allontanato da molta gente.
Il
villaggio di Taraah era una piccola chiazza di terra su un’isola ricorperta
maggiormente da alberi. Il settanta percento di quell’isolotto sperduto nel
mare era ricoperto dalla foresta, e il villaggio sorgeva nell’unico punto libero
dagli alberi, al centro di tutto. Erano poche case, un paio di vie e molti
campi. La popolazione non aveva contatti con l’esterno da un paio di
generazioni ormai, e viveva grazie ai frutti della terra, escogitando sempre
nuovi meccanismi di coltivazione.
Il
paesello si sviluppava maggiormente ai lati della via principale, dove si
trovavano i negozi e l’emporio del medico Eichiro Saguraku, il padre di Arissa.
Per quanto paradossale, quell’uomo era l’unico medico del villaggio, aveva un
solo aiutante (anche piuttosto imbranato), e aveva una passione smoderata per
la botanica. La sua casa, un villino bianco a due piani, era stata costruita in
periferia, e attorno possedevano un giardino dove Eichiro amava creare nuovi
tipi di piante incrociandone altre.
Alla
destra di casa Saguraku si trovava la casa della famiglia di Cammy. Mentre la
prima era una villa lucida e splendente, anche grazie al severo rigore della
signora Kaguya in fatto di pulizie, la seconda era una sporca e malmessa. La
madre di Cammy era morta tempo prima, in circostanze misteriose. Nel villaggio
non esistevano investigatori, figuriamoci polizia o roba del genere, così
nessuno aveva potuto far luce sul mistero.
Cammy
era stata sola per molto tempo, poi Arissa aveva deciso di vincere la timidezza
e presentarsi per fare amicizia. Per quanto triste, Cammy amava stare in
compagnia.
Quella
mattina, Arissa aveva terminato di leggere l’ultimo volume sulle erbe velenose
che aveva preso dallo scantinato di suo padre, così l’aveva convinta a
prenderne un altro. Ed ecco com’erano finte lì sotto.
Le
due ragazze misero la testa fuori da una botola. Il sole era alto, doveva
essere minimo mezzo giorno.
-Cavolo-
sbottò Arissa.-Dobbiamo sbrigarci.-
Lo
scantinato si trovava sotto la casa di Arissa, ma era accessibile solo da una
botola sul retro. La giovane aveva dovuto sperare che la madre fosse abbastanza
impegnata, da non vederla uscire dalla finestra della propria camera al primo
piano, altrimenti sarebbero stati guai grossi.
Kaguya
Saguraku era una donna che amava fare la madre, ma in modo tutto suo. Era il
classico tipo severo, andava sempre vestita con un abito bordeaux in stile
antico, pieno di pizzi e fronzoli, e si divertiva a girare per la casa passando
il dito su ogni mobile. Quella mattina aveva detto che sarebbe stata impegnata
nella pulizia del camino, cosa che avrebbe richiesto più tempo rispetto al
solito.
Arissa
riuscì a salutare Cammy e a rientrare in camera sua. Nascose il libro sotto il
letto, alzando un lembo della trapuntabianca che lo ricopriva. Poi aprì le ante dell’armadio di legno e ci
gettò dentro la sacca. Richiuse tutto e si appoggiò con le spalle
all’armadio.Dovette prendere dei
profondi respiri, poi si riassestò l’abito di lino bianco, colpendolo per
liberarlo dalla polvere, strinse la creativa cintura di cordoncini rossi che
aveva legato alla vita, e si preparò a sorridere.
La
passione segreta per le erbe medicinali, i veleni, gli antidoti e varie, era
una cosa che la madre non doveva assolutamente sapere. Kaguya la voleva pronta
per diventare una moglie dedita e una madre di famiglia impeccabile,
esattamente come riteneva essere lei. Per Arissa, che aveva soltanto diciannove
anni, questa imposizione suonava come una condanna a morte. Lei voleva essere
libera di studiare quello che le piaceva e diventare un giorno ciò che avrebbe
voluto essere. Era presto per pensare al matrimonio. Non si era mai neanche
innamorata, perché il pensiero comune del villaggio era lo stesso di sua madre
e lei non voleva vivere una vita di recusione.
Da
piccola si era sempre chiesta se avesse qualcosa che non andava, poi erano
arrivati degli uomini dall’esterno. Erano uomini della marina, avevano detto.
Cercavano un bambino che secondo loro sarebbe dovuto essere il figlio di un
famoso pirata, Gol D. Roger. Erano venuti per due anni di seguito, poi avevano
fatto controlli regolari negli anni seguire, anche se questi erano sempre meno
frequenti.
Erano
uomini che solcavano i mari, aveva pensato Arissa, quando li aveva visti il
giorno del suo sesto compleanno. Aveva seguito di nascosto uno di loro che si
era perso per la foresta, quella foresta che lei ormai conosceva a menadito.
L’uomo aveva cercato di mangiare delle bacche, ma Arissa glielo aveva impedito
perché sapeva che erano velenose.
Fu
allora che la sua passione crebbe, perché capì di non essere pazza.
-Fortuna
che c’eri tu, piccoletta!- le aveva detto l’uomo, assestandole una pacca sulla
testa.
Era
cresciuta in segreto, ma era una passione che Arissa non avrebbe mai
abbandonato. Un giorno, si era promessa, rivelerò tutto a mia madre.
Si
affacciò in corridoio. Sua madre lo stava attraversando proprio in quel momento,
con le spalle dritte. Quando le passò davanti le fece cenno di seguirla in
tinello, dove la tavola era già apparecchiata per il pranzo. La tovaglia di
pizzo pendeva per tutti e quattro i lati della tavola squadrata, e sopra
tovaglioli, piatti e posate erano disposti in maniera impeccabile.
Arissa
notò che mancavano solo i bicchieri.
-Vai
a prenderli- disse la madre, mentre si riassestava i capelli ingrigiti.
La
giovane tornò poco dopo con tre bicchieri in mano, che dispose davanti ai
piatti sotto lo sguardo inquietante della madre.
-Bene-
sentenziò Kaguya, mentre si accertava che intorno fosse tutto perfetto.
-Cosa
c’è per pranzo?- chiese Arissa, mentre si soffermava davanti al suo posto a
tavola con lo stomaco che protestava.
Kaguya
le lanciò uno sguardo per accertarsi che anche fosse in ordine, poi
rispose:-Pasta, condita con sugo al ragù.-
Arissa
sorrise.-Comincio ad avere fame...-
-Prenditela
con tuo padre. È lui che è in ritardo.- Disse Kaguya, in tono severo.
-Vuoi
che vada a cercarlo in negozio?- domandò Arissa, continuando a sorridere.
Kaguya
scosse la testa.-No. Lo aspettiamo. Forse ha avuto molto lavoro oggi. Ho
sentito che il figlio del vecchio Kakuri sta male. Ha la febbre altissima da
molti giorni e non può muoversi dal letto.-
-Mi
dispiace per lui- disse Arissa, senza troppa sincerità. In realtà, quel ragazzo
non le era mai stato simpatico: l’aveva sempre presa in giro per qualsiasi
cosa, e così facendo non si era certamente guadagnato la sua amicizia.
Le
due rimasero qualche minuto in silenzio, poi Kaguya assottigliò lo sguardo e
fissò torvamente la figlia.-Arissa... Sei andata da qualche parte stamattina?-
Arissa
ebbe quasi un sussulto, ma riuscì a trattenersi appena in tempo e a rispondere:-Ma
certo che no, mamma. Sono stata nella mia stanza.-
-Ti
ho già detto che lo scantinato di tuo padre è tabù per te, vero?- domandò
ancora Kaguya, sicura di aver colto nel segno.
-Certo...-
mormorò Arissa, abbassando la testa.-Lo so.-
Kaguya
sorrise.-Fortunatamente ho una figlia responsabile e giudiziosa.-
Arissa
avrebbe sbuffato se avesse potuto. Avrebbe anche gridato alla madre che niente
di tutto quello che le faceva fare le piaceva, e che non era né responsabile,
né giudiziosa. Anzi, era una vera e propria calamita per i guai, sia che li
andasse a capare, sia che fossero loro a stanarla. E se non si fosse vergognata
così tanto a pensare una cosa del genere, le avrebbe detto che sarebbe anche potuta
salpare con la prossima nave della marina.
Erano
tutti pensieri che le frullavano per la testa, ma che si spegnevano non appena le
tornava il buon umore e si accorgeva quanto bene volesse ai suoi genitori.
Dopotutto, erano pur sempre sua madre e suo padre.
(...)
Le
abitudini di Eichiro avevano portato Kaguya a fissare l’ora del pranzo per le
una precise. Nessuno dei due coniugi aveva mai infranto la regola per più di
vent’anni di matrimonio, mentre quel giorno sembrava proprio che il buon padre
di famiglia avesse avuto voglia di prendersi un’oretta di ritardo.
Arissa
aveva cominciato a preoccuparsi.-Non sarà meglio che lo vada a cercare?-
insitè.
-No.
Stai lì e zitta. Un uomo va atteso con un pasto caldo in mano, non si va a
cercare. E poi tuo padre è un tipo molto responsabile.-
Arissa
sbuffò. Ancora quella parola!
-Mamma,
è un’ora di ritardo! Un’ora! Insomma... Altro che pasto caldo!- protestò.-Non
vorrei che gli fosse successo qualcosa!-
-Eichiro
ha un valido aiutante, se gli fosse successo qualcosa lo sapremmo di sicuro!-
ribattè Kaguya, cocciuta.
-Non
ne sarei così sicura- replicò Arissa, puntando i piedi.
-Ti
ho detto di no!- tagliò corto la madre.-Quando sarai sposata capirai che gli
uomini hanno i loro tempi, e che i loro tempi vanno rispettati. Non si vanno a
cercare.-
-Mamma...-
sbuffò Arissa.-Possibile che tu non sia minimamente preoccupata da andare a
fare un salto da lui?-
Nessuna
risposta.
Passarono
ben tre ore, ed Eichiro non si era fatto ancora vivo. Il pranzo ormai era
andato a farsi benedire, e piuttosto che mangiare senza il marito, Kaguya aveva
preferito rovinarlo.
Arissa
non sapeva più cosa pensare. Suo padre era un abitudinario. Tornava a casa dal
lavoro, mangiava, si metteva in giardino a fare un paio di esperimenti, poi se
ne andava a lavorare di nuovo, tornava a cena, mangiava e andava a dormire. Sempre
così, ogni giorno per tutti i cinquant’anni della sua vita.
La
giovane era passata da in piedi al divano, dal divano alla poltrona, dalla
poltrona ad ammirare un quadro che non aveva mai notato essere così bello;
infine si era seduta a tavola, con i gomiti appoggiati sulla tovaglia e l’aria
annoiata.
Kaguya
era rimasta in piedi come una statua per tutto il tempo. Ogni tanto, aveva
notato Arissa, il suo labbro inferiore aveva avuto dei leggeri tic, forse
dovuti all’ansia dell’attesa. Eppure non aveva mai smesso di essere
impeccabile. Anche lei, in cinquant’anni non aveva fatto altro che riverire il
marito. Un po’ come tutte le donne del villaggio, comunque. Forse un tempo non
era così, pensò Arissa ad un certo punto, forse alla sua età diventerò così anche
io.
Eichiro
tornò verso le sette, aprì la porta con un giro di chiave e apparve alla soglia
con il camice da medico tutto stropicciato. Il volto paffuto era sudato e tutto
rosso, in particolare le guance, inoltre sembrava avere un’aria molto stanca che
aveva aumentato le rughe sotto gli occhi e in mezzo alle folte sopracciglia
nere.
Kaguya
gli saltò praticamente addosso, gli prese il camice, lo ripose con cura
sull’appendiabiti, poi lo scortò fino in tinello e lo fece sede a capotavola,
curandosi di spostare la sedia per farlo sedere.
Finalmente
fu servito il pranzo, anche se in qualità di cena.
Arissa
cercò di mantere un contegno mentre mangiava, anche se avrebbe desiderato
trangugiare tutto in pochi secondi. Colpa di mamma se mi sento un percello, le venne
da pensare.
Nessuno
parlò durante la cena. Kaguya non si azzardò a fare domande, quando tutti
ebbero terminato di mangiare sparecchiò e si rinchiuse in cucina per lavare i
piatti.
Arissa
rimase a guardare suo padre che si lasciava andare sulla sedia, con una mano
sul pancione.-Che mangiata- commentò.
-Papà...
Perché sei tornato così tardi?- domandò Arissa.
Il
volto del padre sembrò illuminarsi di gioia quando glielo chiese.
-Io
e la mamma eravamo preoccupate.-
Eichiro
lanciò un’occhiata dubitosa in direzione della cucina.-Perché non è venuta a
cercarmi?-
Arissa
lasciò perdere tutto quello strano discorso sui tempi degli uomini che le aveva
fatto la madre e si limitò a scrollare le spalle.
-Certo,
cosa ne puoi sapere tu di cosa succede nella testolina di tua madre?- domandò
Eichiro, con una nota di disappunto.-Comunque, sono tornato tardi perché ho
dovuto curare un uomo. Era ferito gravemente.-
-Quanto
gravemente?-
-Molto-
sussurrò Eichiro.-Io... Ho fatto tutto il possibile per salvarlo.-
-Era
il figlio del signor Kakuri?- domandò Arissa, con un groppo in gola.
Eichiro
iniziò a tamburellare le dita sulla sua pancia, assorto nei suoi pensieri.-No,
tesoro mio. Non era il figlio del signor Kakuri.-
Arissa
lo fissò con sguardo interrogativo.
-Era
un mozzo di una nave- spiegò Eichiro, a tratti.
-Una
nave della marina?-
-No.
Una nave pirata.-
Arissa
sgranò gli occhi.-Una... Nave pirata? Ha attraccato qui?-
Il
padre annuì gravemente.-Il capitano della nave ha assicurato che non ha
intenzione di depredare il villaggio, né di farci del male. Ha chiesto un posto
dove seppellire il mozzo e un posto dove riposare mentre riparano la nave.
Nient’altro.-
Arissa
lo guardò con interesse e paura insieme.-Dei pirati al villaggio? Pirati veri?-
-Sono
tornato così tardi perché mi hanno portato alla loro nave, ma per quel ragazzo non
c’era nulla da fare. Io... Mi sono sentito impotente.-
-Non
dire così...- mormorò Arissa, dispiaciuta.
-Sai
tesoro... Speravo davvero che stavolta tua madre sarebbe venuta a cercarmi.-
Ammise Eichiro, deviando lo sguardo da Arissa a un punto indefinito del
tinello.-Ma mi sbagliavo.- Concluse, mentre si alzava con uno sforzo enorme.
Sembrava invecchiato di cent’anni.
-Mi
spiace papà... Sarei venuta a cercarti io- fece Arissa per consolarlo.
-No.
Con quei pirati in giro non c’è da fidarsi. Meglio se non vai troppo a spasso
nei prossimi giorni. Almeno finchè non se ne saranno andati.-
-Non
preoccuparti...- si sbrigò a dire Arissa, mentre arrossiva violentemente.
Eichiro
la guardò con orgoglio.-Una bella bambina come te non deve avvicinarsi a quella
gentaglia!-
-Oh,
papà...- ridacchiò Arissa.
Eichiro
le andò vicino e le schioccò un bacio sulla guancia.-Fortuna che ci sei tu,
angelo mio.-
Arissa
sorrise. Voleva bene a sua madre, ma sentiva che se suo padre se ne fosse
andato, si sarebbe portato via una parte della sua vita.-Papà... tu rimarrai
con me... Vero?-
-Io
vivo per te, angelo.-
Mamma
non mi rivolge la parola, pensò Arissa con angoscia, se tu vai via, io con chi
rimarrò?
-E
mi raccomando. Rimetti a posto il libro che hai preso- ridacchiò Eichiro.
Arissa
arrossì.-L’hai già scoperto?!-
-Ovvio-
rispose il padre.
-Ma
come fai?!-
-Segreto!-
-Papà!!!-
esclamò Arissa, rossa come un pomodoro.
Dopotutto,
la vita a Taraah non era male. A parte una madre despota, Arissa aveva tutto
ciò che una ragazza poteva desiderare: una casa, una famiglia e un padre da
amare. Aveva una migliore amica e un guardaroba pieno di vestiti color
pastello. La vita le sorrideva, e Arissa ricambiava ammiccandole.
Non
si stava male.
Era
un villaggio circondato dalla foresta, Taraah. Ma ora erano arrivati i pirati!
Chissà che tipo di gente era. Che fossero davvero cattivi come sosteneva Eichiro?
Kaguya diceva addirittura che portavano malattie da oltreoceano. Ma qual era la
verità?
(...)
La
camera era illuminata da un candelotto tremolante, che bastava a far luce
soltanto su un letto su cui era poggiato un ventenne dall’aria stravolta dalla
fatica e dalla malattia. I capelli ricci erano sudati e bagnati dalla pezza
impregna d’acqua che gli avevano poggiato sulla fronte.
Erano
le una di notte, e il cielo stellato e sereno che si intravedeva fuori dalla
finestra faceva a botte con l’atmosfera pesante che regnava nella stanza.
Eichiro
era stato svegliato di soprassalto dal bussare frenetico alla porta di casa,
era sceso dal letto ed era andato ad aprire al signor Kakuri, che gli aveva
detto c he le condizioni del figlio erano peggiorate.
Il
dottore non aveva esitato, era uscito con le ciabatte e il pigiama ancora
addosso, dopo aver afferrato la sua valigetta contenenti gli attrezzi medici.
Ora
Eichiro era lì, con la mano che si
muoveva sul petto gracile del ragazzo, nel tentativo di capire cosa stesse
succedendo al suo interno. Sebbene le tecniche arrestrate, la mancanza di
strumentazione e le poche conoscenze delle nuove malattie che invece circolavano
liberamente per il mondo in evoluzione, non si erano mai avuti grossi problemi,
forse proprio grazie alla reclusione in cui viveva il villaggio. Invece il caso
di Kakuri sembrava andare al di là dell’ignoto, per Eichiro, tanto che arrivò a
dubitare se vivere senza contatti esterni fosse davvero la cosa migliore per il
villaggio.
-La
febbre è salita- sentenziò Eichiro, che si sentiva impotente per la seconda volta
in meno di due giorni.-Sembra che i polmoni funzionino correttamente... Sembra
tutto a posto... A parte quest’anomala febbre...- esaminò meglio il ragazzo.
Il
signor Kakuri tremava alle sue spalle.-Eppure era stabile fino a qualche ora
fa...-
-Sembra
una malattia misteriosa...- disse Eichiro, preoccupato.-A questo punto mi
chiedo se io l’abbia sottovalutata...-
-Cosa
intende dire signor Saguraku?- domandò il signor Kakuri, sempre più spaventato.
-Potrebbe
anche essere una malattia infettiva.- Sentenziò Eichiro.
-I-
Infettiva?- balbettò Kakuri, terrorizzato.-Intende dire che ci ammaleremo anche
noi?-
Eichiro
non rispose, tirò via la coperta dal ragazzo e continuò ad esaminarne il
corpo.-Tuttavia, cosa avrebbe potuto portarla? La marina è quasi un anno che
non si fa sentire, e non ci sono state incursioni estranee da parte di esterni,
a parte questa mattina.-
-Mio
figlio è ammalato da un mese.-
-Appunto.
Possibile che ancora non sia passato?-domandò il dottore, più a sé stesso che
al padre del ragazzo. I suoi occhi grandi e attenti si spostavano sulle gambe
del giovane, poi improvvisamenteEichiro
tirò fuori una lente d’ingrandimento dalla sua borsa e la portò vicino al
malleolo del piede. Osservò lo stesso punto svariati istanti.-Un morso-
sentenziò.
Kakuri
si fece avanti.-Un morso... Di che cosa?-
-Non
ne ho idea...- rispose il dottore, confuso.-Non ho mai visto niente del
genere... nessun veleno che io conosca entra in circolo e uccide una persona in
un mese. Devo concludere quindi...- guardò ancora i quattro, bizzarri, buchi
che il giovane aveva sul piede,- che l’animale che lo ha morso abbia potuto
trasmettergli la malattia.-
-Ma
questo vuol dire che potrebbe davvero essere contagiosa!- esclamò Kakuri.
Il
dottore ricoprì il ragazzo, preoccupato.-Non è il caso di essere così
affrettati. Potrebbe anche essere soltanto un caso isolato. Io e lei siamo
stati in contatto con suo figlio per quaranta giorni e non ci è successo
niente. Aspettiamo a tirare le conclusioni. Intanto... meglio che prenda un po’
del suo sangue, così potrò esaminarlo.- Il problema era come. Erano trent’anni
che Eichiro faceva finta di esaminare il sangue. Tutti credevano che fosse in
grado di farlo, ma non era la verità. Non aveva né un laboratorio attrezzato
per lo scopo, né le condizioni sanitarie per poterlo fare.
-Mio
figlio starà bene?- si azzardò a chiedere Kakuri.
Eichiro
si costrinse a sorridere.-In meno di un battito di ciglia.-
Kakuri
sorrise, sollevato, andò a sedersi accanto al figlio malato e gli prese una
mano con cura.
-La
febbre starà reagendo alla malattia- disse Eichiro.-Probabilmente domani
mattina sarà già in grado di alzarsi.-
A
Eichiro quella notte non rimase altro che pregare.
Angolino
dell’autrice:
Salve!!!
Innanzitutto, vorrei fare un saluto a tutti quelli di questa sezione. Io non vi
conosco e voi non conoscete me XD, ma è normale. È la prima volta in assoluto
che metto piede qui dentro, e lo faccio pubblicando (mossa azzardata, direte
voi) XD. Dovete sapere che ho un laboratorio segreto dove mi rinchiudo per evitare
le orde di lettori infuriati (e hanno ragione XD) e dove tengo legato e
imbavagliato Sephiroth (Final Fantasy VII, non so se avete presenteXD) U.u
Comunque,
intanto mi presento io, e lo faccio proponendovi questa fan fiction. Non so
quanti capitoli saranno, per ora ho scritto solo la trama. Per quanto riguarda
gli spoiler, dovete sapere che ci saranno solo nell’ultima fase della storia, perché
coincide con alcuni volumi di One Piece. Non preoccupatevi, metterò gli
avvertimenti nei capitoli precendenti. La storia è inventata di sana pianta,
perciò dovrò fare il solito edit: rendiamo onore al grande Oda! Tutti i personaggi
appartenenti al Manga sono suoi, mentre quelli originali sono di mia
invenzione. Eh già... a questo punto vi chiederete “ma non ha nient’altro di
meglio da fare?” e la mia risposta è “NO!” Xd. Insomma, credo di aver finito
gli avvisi... e le presentazioni.
Spero
di conoscere sia gli scrittori che i lettori di questa sezione, pubblicando e
recensendo io stessa.
Inoltre,
vorrei invitarvi ad esprimere un parere: se la storia non vi piace ditemi “fa
schifoooo” (includendo anche il motivo ovviamente, altrimenti non è
costruttivo), mentre se vi interessa scrivete “mi interessaaaaa”. XD Vorrei che
lo faceste per rispetto di chi scrive, non per altro. Scrivere
costa fatica. E non vale solo per me ovviamente O.o, parlo a nome di
tanti altri autori.
Che
altro...? Ah, beh... scrivo questa fict per due motivi. Uno è per prendermi una
pausa dalla mia ultima fict prima della prossima pubblicazione, mentre l’altro
non posso ancora dirlo XD
Special
Thanks:
Vorrei dedicare la fan fiction a delle persone che mi sono molto care U.u
La mia migliore
amica Ayumi_L, con cui passo delle
splendide giornate e che mi consola ogni volta che sono disperata, come negli
ultimi giorni*occhiolino*.
La carissima YunixChan, di cui non ricordo mai come
si scrive il nickname XD. La ringrazio per tutto l’aiuto che mi dà e per le
mega chiacchierate su msn!!! XD
La mia Faxy, per il video che mi ha dedicato e
per tutte le storie fantastiche che scrive. Sono veramente felice di averti
conosciuta ^^
Beh, io vado! E
non scordate il mio nome XD (dieci minuti dopo: Chi era? Ah, non ricordo.)
A domenica
prossima con il primo chappy.
So che questo
prologo è un po’ noioso, ma del resto serve a conoscere le abitudini, le caratteristiche
del villaggio e i nuovi personaggi.
Il
dottor Eichiro avrebbe avuto molto da fare quella mattina. Avrebbe dovuto
trovare una diagnosi alla malattia del figlio di Kakuri, dunque si era
rinchiuso nello scantinato e aveva iniziato la sua ricerca sui libri. Arissa lo
aveva seguito dalla finestra, immaginandosi nei panni della dottoressa
Saguraku, l’unica donna che praticasse un mestiere all’interno del villaggio.
Le piaceva giocare con la fantasia, ma si rendeva conto che niente di ciò aveva
immaginato in diciannove anni si sarebbe realizzato.
Alle
nove di mattina, si era messa a guardare la porta d’ingresso con aria
pensierosa. Aveva voglia di andare a chiamare Cammy e fare una passeggiata, ma
aveva paura per la storia dei pirati. Sospirò.
-Cosa
fai lì davanti?- Kaguya si affacciò dalla cucina con un bicchiere in una mano e
uno straccio nell’altra.
-Vorrei
uscire- disse Arissa.
-Devi
proprio? Con quei pirati che sono arrivati ieri... Hai sentito tuo padre, no?-
domandò Kaguya, scuotendo la testa.
Arissa
annuì lentamente.-Non ho voglia di rimanere chiusa in casa. Andrò a fare un
giro al villaggio... ti serve niente?-
Kaguya
la guardò male, poi si ritirò in cucina e un attimo dopo uscì senza né straccio
né bicchiere in mano, le si avvicinò e le porse un foglietto.-Prendi queste
cose, sono tutte scritte qui.-
La
ragazza prese il foglio.-Va bene- andò a prendere la sacca a tracolla dal suo
armadio e ci infilò il foglietto.-Vado a chiamare Cammy, va bene?-
-Basta
che ritorni per le una.- Si raccomandò Kaguya.-E non dare spago a quella
gentaccia.-
-Stai
tranquilla mamma- la rassicurò Arissa, dopodichè uscì, diretta prima di tutto a
casa di Cammy.
Ci
volle un bel po’ prima che Cammy aprisse uno spiraglio della porta.-Arissa...-
mormorò.-Che ci fai qui?-
Arissa
tentò di sbirciare dentro casa, ma Cammy fece di tutto per non farle vedere
niente.-Ero passata a chiamarti... vuoi uscire con me?-
-Non
posso...- Cammy declinò la proposta senza neanche pensarci.
-Qualcosa
non va?- s’informò Arissa, preoccupata.- È successo qualcosa?-
Cammy
era pallidissima.-Mio padre non sta molto bene...- disse.-Devo prendermi cura
di lui.-
-Ha
alzato un po’ troppo il gomito anche stavolta?- sbottò Arissa, infuriata con il
padre di Cammy.
La
ragazzina scosse la testa e si lanciò un’occhiata dietro le spalle.-No, ha solo
un po’ di febbre...-
-Davvero?
Hai chiamato mio padre?-
Un
sorriso timido.-Certo. Il signor Eichiro ha detto che deve stare a letto e che
devo prendermi cura di lui. Non è niente di grave, starà in piedi prima di
quanto si pensi.-
Arissa
le mollò un buffetto sulla guancia.-Ma certo. Io vado allora. Buona fortuna con
tuo padre!-
-Certo!-
esclamò Cammy, ripreso spirito.-Ci vediamo presto, Arissa!- e rientrò chiudendo
la porta.
La
ragazza rimase a fissare la porta sgangherata con una certa perplessità,
chiedendosi perché Cammy fosse stata così elusiva. Se ne stette in piedi per
almeno due minuti, poi diede le spalle all’abitazione, si sistemò la tracolla e
si diresse verso la via principale, continuando a lambiccarsi il cercello con
le ipotesi più improbabili.
Era
davvero preoccupata. Cammy era fragile, e molte volte non sapeva come
comportarsi di fronte a situazioni difficili. Beh, neanche Arissa in realtà,
per quello si cacciavano spesso nei guai. Come quella volta che i soccorritori
le avevano dovute recuperare dal fondo di un pozzo perché a Cammy era caduta
una moneta e voleva recuperarla. Arissa aveva tentato di afferrarla, ma la sua
scarsa forza fisica e il suo fisico leggero non avevano retto lo sforzo,
facendola precipitare insieme all’amica. Per fortuna non si erano fatte niente;
a parte i vestiti fradici e la moneta persa non c’erano stati danni
irrecuperabili.
Arissa
sbucò nel viottolo principale, una strada dritta, ricoperta di ghiaia. Il
mercato si trovava di fronte al Bazar del Cuoco, in fondo alla via. Si avviò
con una certa circospezione, stando attenta a notare se in giro ci fossero
facce nuove. Sembrava tutto normale. La sbadata signora Hakane era con il suo
nipotino di cinque anni, di fronte alla macelleria. I suoi novant’anni di
maldestria si facevano sentire tutti, soprattutto quando la gente incespicava
su di lei perchè tentava di riacchiappare il nipotino pestifero.
Niente
pirati in giro, si disse Arissa sollevata.
Superò
gli ultimi due negozietti e arrivò al negozio, dove fuori erano state disposte
casse piene di frutta di ogni genere e dimensione. Il proprietario era un uomo
sui cinquant’anni, con la schiena tutta rotta e la testa quasi calva.
Arissa
si fermò e lo vide buttare per terra una scatola di legno, sollevando unnugulo di polvere.-Signor Kunoichi!- lo
salutò.
L’uomo
si buttò all’indietro e fece scricchiolare la schiena, poi la fissò.-Ah,
Arissa. Sei venuta comprare della frutta per la signora Kaguya?-
-Sì...-
Arissa incominciò a frugare nelle tasche in cerca del foglietto.-Mi ha dato
questo...- lo tirò fuori e glielo diede.
Kunoichi
lo guardò, assorto, poi annuì e iniziò a fare avanti e indietro con un
sacchetto in mano. Infilò con cura un po’ di pesche, poi prese un melone e lo
mise in un’altra bustina. Quando ebbe finito consegnò tutto ad Arissa, che
sorrise e ripose le buste nella tracolla.-Facciamo come al solito?-
Kunoichi
rise.-Ma certo. Dì alla signora che la aspetterò nel pomeriggio per il
pagamento. Tanto io sono sempre qui... almeno credo- aggiunse, in tono triste.
-Qualcosa
non va?- domandò Arissa, perlessa.
-Hai
sentito dei pirati?-
-Mio
padre me l’ha accennato- rispose la ragazza, congiungendo le sopracciglia
sottili.
Il
fruttivendolo sospirò pesantemente e si aggiustò la camicia a quadri.-Ragazza
mia, quando hai una figlia di sette anni a cui badare, non fa piacere sapere
che i pirati gironzolano a pochi metri da casa...-
-Mio
padre ha detto che non hanno intenzione di ferire nessuno...- disse Arissa.
-E
tu ci credi? Non bisogna mai fidarsi dei pirati, hai capito?- affermò Kunoichi,
in tono serio.-Sono la feccia della peggior specie, e in giro si dice che
uccidono e poi imbalsamano la gente per farne dei trofei...-
Arissa
rabbrividì, mentre nella testa le si disegnavano immagini terrificanti. Le
rimosse muovendo una mano davanti al viso come se stesse cacciando una
mosca.-Mi ha messo paura, signor Kunoichi...-
L’uomo
fece un’espressione che ad Arissa fece gelare il sangue nelle vene.-Dovresti
averne, ragazza mia...-
La
ragazza ridacchiò nervosamente.-Vado... A vedere che frutta c’è, okay?-
Kunoichi
la seguì con lo sguardo mentre si spostava qualche metro più in là per
esaminare un cesto di prugne. La vide lanciargli occhiate spaventate di tanto
in tanto, poi, improvvisamente, scorse qualcuno arrivare alle spalle della
ragazza. Impallidì.
-I
PIRATI!- gridò qualcuno.
Lo
sbattere di porte e di finestre seguivano e precedevano l’avanzata di un uomo
dai capelli rossi, che sembrava muoversi senza curarsi della gente che
scappava. Guardava dritto di fronte a sé, con il mantello sulle spalle che gli
sventolava alle caviglie.
Quando
fu abbastanza vicino al bazar, Kunoichi lo sentì sbottare:-Neanche un buco per
mangiare un po’ di ramen in santa pace...-
Arissa
si raddrizzò e quando si voltò lo vide passare dietro di lei. Quasi saltò
dietro le casse di frutta per lo spavento.
Il
pirata si fermò davanti a Kunoichi.-Mi scusi buon uomo...- esordì.
Kunoichi
passò da bianco, a verde a blu per la paura e corse via
strillando:-PIRATIIIII!!!-
-Cos’ho
fatto adesso...?- domandò l’uomo a sé stesso. Si guardò intorno perplesso. Si
soffermò a fissare la cassa dietro cui si era nascosta Arissa, poi sospirò e
riprese a camminare per la via principale, da solo.
La
testa nera di Arissa fece capolino dietro un mucchio di albicocche.-Era un
pirata...- mormorò, pallida come un cencio.-Uno vero...-
Guardò
il mantello dell’uomo, poi i suoi capelli rossi e non ebbe difficoltà ad
affibbiargli il titolo di “scuoiatore di persone innocenti”. Rabbrividì al
pensiero di quello che avrebbe potuto farle, quindi solo quando se ne fu andato
uscì fuori dal proprio nascondiglio. Fece il giro della cassa e si preparò ad
avviarsi verso casa, quando lo sguardo le cadde a terra. Aveva calpestato un
foglio piegato in quattro. Con molta riluttanza lo prese e lo esaminò
rigirandolo tra le dita, poi lo aprì.
-Il
frutto Tam-Tam...- lesse. Non c’erano immagini di illlustrazione, ma soltanto
parole scritte velocemente e senza preoccuparsi troppo che fossero scritte in
modo leggibile.-Il frutto Tam-Tam è un frutto del diavolo che ha una strana proprietà
curativa... si dice che possa curare tutti i mali del mondo e che renda immuni
alle malattie. Inoltre...- il resto della frase era praticamente illegibile.
Alla fine del foglio c’era scritto:-Tam-Tam è un frutto molto raro che cresce
solamente su un’isola, Taraah.-
Arissa
fissò a lungo il foglio, poi alzò lo sguardo per sbirciare la via deserta che
le correva di fronte e strinse la pagina tra le mani. Era caduta a quel pirata
dai capelli rossi. Che fosse una cosa importante? Imboccò la via, decisa a
seguirlo.
(...)
Il
pirata si era inoltrato nel folto della foresta per tornare alla sua nave.
Infatti per raggiungere la costa si doveva attraversare la foresta che
racchiudeva il villaggio. Fortunatamente Arissa conosceva quel posto meglio di
chiunque altro, e anche se aveva perso di vista il suo obiettivo era riuscita
lo stesso a trovare la nave.
Si
era seduta dietro ad una roccia bianca abbastanza grande da poterla nascondere,
si era tolta la tracolla che iniziava a pesarle e l’aveva poggiata dietro il
masso. Solo dopo che ebbe preso il foglietto e il coraggio a due mani riuscì a
sbriciare al di là del suo nascondiglio.
La
battigia distava dal limite della foresta almeno cinque metri. Cinque metri di
sabbia dorata e finissima, per poi terminare nell’oceano. La vista dell’orizzonte
era bloccata da una nave enorme, un’imbarcazione che Arissa non aveva mai visto
in vita sua. Seguì la gente indaffarata che correva sul ponte, incantata, poi
guardò l’albero maestro e alzò lo sguardo verso la bandiera. Era un rettangolo
nero svolazzante, con un teschio che aveva dietro di sè due spade incrociate.
Aguzzò la vista, e le sembrò di distinguere alcuni graffi su un occhio. Non
aveva mai visto una bandiera pirata. Era affascinante e spaventoso allo stesso
tempo.
Tornò
con gli occhi alla battigia.
Gli
uomini sembravano proprio impegnatissimi a riattoppare la nave con travi e
martelli. C’era un flusso di gente che portava alcuni materiali a bordo, e a
terra l’uomo dai capelli rossi stava parlando con uno della ciurma.
Sarà
il capitano, pensò Arissa.
La
ragazza guardò il foglio che aveva ancora in mano, dubitosa. Forse avrebbe
dovuto portarglielo, avvicinandosi così in modo spaventoso a quella nave
terrificante, oppure avrebbe dovuto chiamare il capitano e costringerlo a
raggiungerla? Si immaginò le scene nella propria testa, ma entrambe finivano
con cattura, morte e scuoiamento. Era stato un errore arrivare fin lì e giacchè
a quella distanza nessuno l’avrebbe vista, di disse che era meglio tornare al
villaggio e tenersi il foglio, che fosse importante oppure no.
Riemerse
dai suoi pensieri con quest’obiettivo, ma non fece in tempo ad agguantare la
tracolla, che il volto dell’uomo dai capelli rossi fece capolino da dietro alla
roccia, e indicò il foglio che Arissa teneva stretto tra le dita.-Ah, eccone
una coraggiosa! Ti dispiace? Quel foglietto è mio...-
Arissa
strillò, lasciò cadere la borsa e corse via gridando.-UN PIRATAAAA!-
L’uomo
non esitò a correrle dietro, con l’intento di riprendersi la pagina che si era
perso.-Fermati ragazzina!-
Si
infilarono entrambi nel folto, Arissa gridando come una forsennata e il pirata
che le la seguiva cercando di non perdersi tra gli alberi. Si domandò dove
l’avrebbe portato quell’inseguimento, sempre che la ragazza stesse capendo
quale fosse la direzione della sua corsa...
-Ragazzina!
Non voglio farti del male! Fermati un attimo!-
Arissa
altò radici sporgenti, si infilò in cespugli pieni di rovi e fece almeno tre
volte il lo stesso giro, mentre l’uomo continuava a non perderla di vista
neanche un attimo. come lei, dovette evitare di sbattere contro le numerose
cortecce, e almeno un paio di volte riuscì a ritrovarla soltanto grazie alle
sue urla.
-VUOLE
UCCIDERMIII!-
-Non
voglio farti niente!-
Continuarono
così per un bel po’, finchè Arissa presa dalla stanchezza inciampò sulla radice
di un albero. In quel punto gli arbusti erano più radi, ma i tronchi erano
molto più imponenti. L’erba era umida, e gli unici rumori erano il fiato corto
di Arissa, insieme allo scricchiolare di bastoncini e il frinire dei grilli.
Arissa
cadde in ginocchio, ma si rialzò subito e corse a nascondersi dietro al tronco
dello stesso albero in cui era incappata .
Il
pirata la raggiunse e si piegò un po’ sulle ginocchia per riprendere fiato,
posandoci sopra l’unica mano che gli era possibile usare.-Caspita... ne hai di
fiato per essere una ragazzina...-
-Stai
lontano da me! Capito?! Lontano!-
Shanks
ci mise poco a riprendersi, dopodichè allungò la mano verso la ragazza e le
sorrise nel modo più confortante che conosceva.-Mi hai fatto correre per tutta
la foresta, sai?-
-Cosa
pretendi?! Tu vuoi uccidermi!- gridò Arissa, con quanto fiato aveva in
gola.-AIUTO! UN PIRATA VUOLE UCCIDERMI!-
La
sua voce si spense tra le folte chiome degli alberi.
Shanks
fece un passo avanti e lei ne fece automaticamente uno indietro, cadendo di
nuovo a terra, seduta. Mosse una mano tra le foglie e l’erba, fino a sentire
qualcosa di duro tra le dita. Teneva sempre il foglietto nell’altra mano, non
l’aveva mai abbandonato. Chissà perché, pensava che fosse la sua garanzia per
continuare a vivere. Se il pirata cercava soltanto quello, lei sarebbe stata
ben felice di darglielo.
-Davvero,
non voglio farti del male... Solo che tu hai una cosa che mi appartiene...-
disse, mentre le si avvicinava con l’intento di aiutarla.
Non
appena fu a meno di un metro, dovette tirarsi indietro perché Arissa aveva
brandito un bastone e aveva tentato di colpirlo.-Indietro!- gli intimò,
alzandosi subito in piedi. Barcollò, poi agitò il bastone nella direzione di
Shanks. Era un tentativo piuttosto ridicolo, ma pur sempre un tentativo.
-Stai
calma ragazzina, così mi fai paura- le fece notare l’uomo con una punta di
studiato sarcasmo.-Non c’è bisogno di agitarsi... Vedi... Temo che tu abbia un
foglio che per me è molto importante...- lo disse con gentilezza.
Arissa
corrugò le sopracciglia, dubitosa, poi lo guardò dall’alto in basso, e
improvvisamente gli apparve ancora più pauroso di quando l’aveva visto da
lontano.-Riprenditelo pure, va bene?! Tanto io non ci faccio niente! Ma in
cambio devi lasciarmi andare!-
-In
realtà la mia intenzione era quella fin dall’inizio.- Ricevette un’
occhiataccia.-Giuro. Lo giuro sul mio nome. Adesso... Potresti darmi quel
foglio...?-
La
ragazza fece un passo indietro e gli mostrò la pagina.-Lo metto per terra... Poi
mi allontano... Tu lo prendi... E mi lasci tornare a casa. Va bene?-
Shanks
annuì, serio.
Arissa,
senza togliergli gli occhi di dosso, si piegò e poggiò il fogliettino a terra,
dopodichè si alzò, fece un salto all’indietro e si appoggiò con le spalle ad
una quercia.
Il
pirata, finalmente, prese il pezzo di carta e se lo infilò in tasca, sollevato.
-Adesso
non mi ucciderai, vero?- domandò Arissa, con il fiato sospeso.
Shanks
si guardò intorno.-In realtà... Avrei un favore da chiederti...-
Di
nuovo, la ragazza era sul chi va là.
-Mi
hai portato troppo lontano dalla mia nave. Non so dove siamo.- Ammise
Shanks.-Non ti dispiacerebbe riportarmi alla spiaggia?-
Lei
lo guardò, diffidente.-Non è un trucchetto per catturarmi, vero?-
-Credimi,
se avessi voluto, l’avrei già fatto- fu la risposta.
Si
guardarono negli occhi per svariati minuti, uno in piedi tra due alberi e
l’altra ancora con le spalle al tronco della quercia, con il bastone tra le
mani e un’aria alquanto dubitosa negli occhi. Si ricordò che nella foga aveva
lasciato la tracolla al nascondiglio, e per un attimo fu tentata
dall’accompagnarlo.
-Per
favore.- Insistè Shanks, con un sorriso affabile.
-Non
sembri un bugiardo- commentò Arissa, in tono poco convinto.- Chi sei?-
-Mi
chiamo Shanks. E sono il capitano della nave che hai visto...-
-Sei
un pirata.-
-Certo.
Ma non sono qui per farti del male.-
Arissa
sbattè le palpebre diverse volte, indecisa se fidarsi o meno. C’era qualcosa
nello sguardo di quell’uomo che la rassicurava, ma non doveva dimenticare che
era un pirata, e che in quanto tale non bisognava abbassare la guardia. Non
voleva finire scuoiata.
-Facciamo
così allora- propose Shanks.-Ti seguo da lontano, va bene?-
Lei
non era ancora convinta, ma alla fine decise e gli disse:-E va bene. Ma stammi
almeno a tre metri di distanza, okay?-
L’uomo
rise e si allontanò da lei.-Così...?- domandò.
Lei
contò mentalmente la distanza che aveva messo tra loro, e considerandola
sufficiente, annuì. Disse: -Bene. Adesso andiamo.- Non lasciò il bastone, però.
Camminarono
nella foresta, in silenzio per svariati minuti.
-Non
mi hai ancora detto il tuo nome!- le fece notare il capitano, dopo aver
superato l’ennesimo arbusto. Ogni tanto la figura della ragazza scompariva
dietro gli alberi, per poi riapparire seria e rigida, con il bastone tra le
mani.
Lei
gli lanciò un’occhiata in tralice e non rispose.
-Arissa-
disse inaspettatamente, dopo un lungo periodo d’attesa.
-Un
bel nome- osservò Shanks, per essere cordiale. La vedeva molto tesa.
La
ragazza per tutta risposta lo guardò spaventata.-Ripetimi come ti chiami, non
ho capito.-
-Vuoi
vedere?- domandò Shanks, e così facendo estrasse una pergamena arrotolata.
Arissa
si fermò, e lui fece lo stesso.-Che cos’è?- chiese, curiosa.
-Qui
c’è il scritto il mio nome- disse Shanks.-Ma se vuoi vederlo devi avvicinarti.-
-Non
ci penso nemmeno. Non cado nei tuoi tranelli.-
-Puoi
fidarti di me per un secondo?-
-No.-
Fu la fulminea risposta.-Non ci penso nemmeno.-
Shanks
sorrise e poggiò la pergamena a terra, dopodichè si allontanò di almeno altri
tre metri.-Forza!- la incitò.
Arissa
lo fissò sconcertata, poi si avvicinò con cautela e raccolse la pergamena. La
srotolò con molta fatica perché non voleva lasciare il bastone. Quando portò a
compimento l’operazione, vide la foto di Shanks.-C’è scritto “Wanted”. È così
che ti chiami?-
-No-
rise Shanks.
Arissa
arcuò le sopracciglia e lesse il nome:-“Shanks Il Rosso”. La tua taglia è
altissima- lo disse con preoccupazione.
-Non
scappare di nuovo!- si affrettò a dire Shanks.
La
ragazza prese a lanciare sguardi nervosi alui e alla sua taglia, tanto che Shanks si pentì di avergliela mostrata.
Il fatto era che lei sembrava diffidente come un animale in trappola.
-Il
tuo nome è Shanks...- mormorò Arissa.-Un bel nome... credo.-
Lui
si rilassò.-Allora ti sei calmata?-
-Forse
non vuoi uccidermi- commentò la ragazza, porgendogli la pergamena.
Se
avesse voluto farlo non ci avrebbe pensato due volte, si disse Arissa.
Quell’uomo aveva una taglia da capogiro.
Shanks
si avvicinò con cautela e prese l’oggetto.-Manca molto per arrivare alla nave?-
Arissa
si diede un’occhiata in giro.-Non penso. Comunque è da questa parte, seguimi.-
-Devo
stare a tre metri?-
-Non
ce n’è bisogno- rispose lei, d’un fiato.-Ma non farmi del male...-
Shanks
sospirò. Era proprio cocciuta, eh?
(...)
Arrivarono
alla spiaggia verso mezzogiorno. La ragazza si riprese la tracolla e la indossò
senza fiatare, mentre Shanks aspettava per ringraziarla.
-Ti
ringrazio Arissa, non so come sdebitarmi- disse, nel tono più gentile che
conosceva.
Per
la prima volta, la ragazza gli sorrise e arrossì.-In realtà un modo ci
sarebbe... tu sei un pirata, no?-
Lui
annuì. La risposta ormai era ovvia.
-E
quindi hai solcato mari e mari... Vero?-
-Certo.-
Arissa
incrociò le mani dietro le schiena e mosse gli occhi neri da tutte le parti,
come se si vergognasse di arrivare al sodo.-Beh... Forse potresti raccontarmi
qualcosa del mondo esterno...-
-Credevo
che avessi paura dei pirati.- Osservò Shanks. Infatti la ragazza non aveva mai
lasciato il bastone.
-Ne
ho.- Rispose lei, gettando a terra il bastone.- Ma vorrei tanto conoscere
qualcosa del mondo esterno. Per favore...- lo implorò, congiungendo le mani.-Ci
terrei davvero tanto...-
Shanks
la fissò.-Io dovrò partire tra sette giorni.- La informò.-Fino ad allora... Puoi
farmi tutte le domande che vuoi.- Sorrise.
Lei
fu felicissima.-Davvero?!-
-Sempre
se non ti faccio paura- scherzò l’uomo.
-Ho
sempre desiderato sapere qualcosa sul mondo esterno!- esultò Arissa.
-Adesso
torna a casa però.- La redarguì il pirata.-Altrimenti i tuoi genitori si
preoccuperanno.- Le rivolse un altro sorriso gentile, dopodichè si avviò verso
la sua nave.
Arissa
lo seguì con gli occhi, eccitata, poi si infilò di nuovo tra gli alberi e sparì
nella foresta.
(...)
-Ora
del decesso: undici e trenta del 14 maggio.- Sentenziò Eichiro, in tono grave.
Il
signor Kakuri cadde a terra, in lacrime.-Avevi detto che sarebbe stato bene...-
L’aiutante
del dottore, un ragazzone di trent’anni di nome Yuki, gli cinse le spalle per
dargli conforto ma fu brutalmente scansato.
-L’ho
detto, signor Kakuri- disse Eichiro, mentre si detergeva il sudore sulla fronte
con un fazzoletto di stoffa.-Infatti suo figlio è morto per arresto cardiaco,
la febbre non c’entra niente.-
Il
signor Kakuri continuava a piangere.
-Portalo
via di qui, Yuki- si raccomandò Eichiro, accennando al signor Kakuri.
Yuki
annuì in tono grave e cercò di fa alzare l’uomo, che però tentò di divincolarsi
con tutte le sue forze. Allora lo prese su con la forza dei suoi tent’anni e lo
scortò fuori da quella stanza che fino ad allora era stata la camera di suo
figlio.
Eichiro
rimase a fissare la salma, sconvolto. Temeva che l’arresto cardiaco c’entrasse
eccome con la malattia, ma non aveva il coraggio di ammetterlo ad alta voce. Nei
suoi libri non esisteva niente di simile, e lui brancolava nel buio. Le
preghiere non erano servite a niente, e ora lui si ritrovava da solo con i
rimorsi della coscienza. Avrebbe dovuto stare più attento. Il padre di Cammy si
era ammalato proprio quella mattina, inaspettatamente. Aveva la febbre e
delirava.
Cammy
era spaventata, ma Eichiro le aveva garantito che suo padre sarebbe stato bene
in un lampo. Deglutì sonoramente. Un giovane di vent’anni aveva resistito tutto
quel tempo, ma non era sopravvissuto. Quali effetti avrebbe avuto quella
misteriosa malattia sulla gente più avanti con gli anni?
Eichiro
ricoprì la salma con il lenzuolo e si passò una mano sul viso, poi cadde seduto
sulla sedia accanto al letto, distrutto. Se la malattia era contagiosa voleva
dire che erano tutti in pericolo. Aveva scoperto con orrore che il padre di
Cammy era andato a trovare Kakuri proprio venti giorni prima. Quando lo aveva
saputo si sarebbe volentieri dato una coltellata.
Aveva
sottovalutato la questione, e ora si ritrovava con un numero di probabili
contagiati non indifferente. Il padre di Cammy e sua figlia, Eichiro stesso, il
signor Kakuri e Yuki. Senza contare che anche Arissa e Kaguya non erano da
escludere dalla lista. Ma quel che era peggio era la segretezza con cui doveva
gestire la faccenda. Se si fosse saputo che il dottore non riusciva a capire
niente di quel malanno, avrebbe perso la professione, oltre che la faccia.
È
meglio aspettare, si disse, forse mi sto facendo un sacco di problemi per
niente. Dopotutto, il padre di Cammy non sta malissimo.
Tirò
un sospiro di sollievo, si alzò, prese la borsa e uscì dalla stanza.
Non
voleva pensare a cosa sarebbe successo se fosse scoppiata un’epidemia. Probabilmente
il pandemonio, perchè il villaggio non era abituato a gestire i contagi.
Sarebbe
stato un disastro.
No,
meglio pensare positivo.
Angolino
dell’autrice:
Come
non detto. Ho riflettuto a lungo sul pubblicare anche il primo capitolo, e alla
fine mi sono detta che si poteva fare, tanto era pronto. Visto che sono qui,
vorrei fare un paio di chiarimenti che non ho fatto (me ne sono dimenticata, lo
ammetto).
Innanzitutto, il motivo che non ho detto
sull’altro capitolo. Perché pubblico questa storia? Perché semplicemente, come
tanti altri ho già notato, non mi è andata giù la morte di Ace XD. Allora mi
sono messa a scrivere.
Poi, devo specificare che per il frutto
del diavolo ho scelto un nome a caso (che mi sembra in One Piece non ci sia...).
Come per il villaggio.
Inoltre, la storia è divisa in più
parti, ognuno con un ambiente diverso. Ma questo si vedrà a tempo debito.
Penso di aver detto tutto? Mi ero
proprio dimenticata di fare questi avvisi, pardon. È che ero davvero emozionata
per la pubblicazione...
Capitolo 3 *** Capitolo 2. Alla Scoperta Del Mondo ***
Capitolo 2
Alla Scoperta
Del Mondo!
-Cammy! Cammy! Apri la porta! Devo
raccontarti una cosa!-
Nessuna risposta.
Arissa
smise di bussare alla porta e fece il giro della casa. Le finestre erano
sprangate e le imposte chiuse, come se non ci fosse nessuno, eppure non Cammy
non aveva detto che sarebbe andata via.
Un
rumore di passi la fece voltare.-Ah... Papà...-
Eichiro
fu colto di sorpresa nel vedere la figlia lì, sbiancò e le rivolse un sorriso
affettuoso.-Sei venuta a chiamare la tua amica?- domandò. Era strano. Nervoso.
-Sì...
Ma non risponde nessuno.- Disse Arissa, preoccupata.-Ieri Cammy mi ha detto che
suo padre sta male.-
Il
dottore percorse il piccolo giardino della casa di Cammy senza distogliere gli
occhi dalla figlia.-Il signor Nakashima ha un po’ di febbre- disse, nel pietoso
tentativo di risuonare spensierato.
Arissa
si insospettì.-Papà... Sei sicuro che vada tutto bene? Sono due giorni che non
mangi. Non sarà per la storia del signor Kakuri... Insomma, anche i medici più
bravi a volte commettono errori, e poi esistono delle malattie incurabile, lo
sai.- Gli sorrise dolcemente.
Eichiro
le accarezzò la testa con una mano.-Perché non vai a fare un giro, angelo mio?
Sono sicuro che Cammy è lì dentro. Dovevo visitare suo padre e le ho detto di
non togliergli gli occhi di dosso.- Le fece l’occhiolino.-Altrimenti avrebbe
alzato di nuovo il gomito, e curarlo sarebbe stato piuttosto difficile.-
Arissa
guardò il padre, esitante.-Posso entrare? Voglio vedere Cammy!- esclamò.
Eichiro
sobbalzò.-No, tesoro. Non puoi entrare ora. Vai a farti un giro.- Ordinò. Quel
tono autoritario colse di sorpresaArissa, che gli lanciò un’occhiata incredula.- Ci vediamo a pranzo.-
Concluse lui.
La
ragazza corrugò la fronte e se ne andò, offesa. Suo padre non le aveva mai
parlato in quel tono. Solitamente era la madre che usava essere poco cortese e
autoritaria, mentre suo padre non aveva mai imposto la sua volontà a nessuno.
Perché quel cambiamento? Cosa stava succedendo al villaggio?
Ripensò
automaticamente al foglio che Shanks aveva rivoluto indietro. Il frutto
Tam-Tam, si ripetè mentalmente. Cos’era? E perché i pirati lo cercavano?
Percorse
un vicoletto stretto e arrivò in prossimità della foresta, dove trovò Shanks.
Gli si fermò davanti, a un paio di metri di distanza. Sempre meglio essere
cauti.-Sei venuto.- Osservò.
Lui
sorrise.-Niente bastone stamattina?-
Arissa
infilò una mano nella famosa tracolla e ne estrasse un coltello da cucina che
brillò in modo sinistro alla luce del sole.
-Proprio
non molli...- ridacchiò Shanks.
-Devo
tutelarmi, capisci?- disse.
Lui
le rivolse un’occhiata divertita.-Certo che hai un bel caratterino.-
-Dove
andiamo?- chiese Arissa, riponendo il coltello nella tracolla.
-Non
ne ho idea, non sono mica io che ho insistito per... - esordì Shanks.
Arissa
fece un passo e si petrificò, si voltò di scatto verso di lui e lo guardò agitata.
-Va
bene, va bene!- esclamò Shanks, portandosi la mano dietro la nuca.-Senti
ragazzina… Non è che da queste parti esiste un posto dove si può bere del buon sake?-
Arissa
gli rivolse un sorriso luminoso.
(...)
Intanto,
su un’isola sconosciuta del Nuovo mondo, in un’osteria malfamata di un paese
piccolo e spesso saccheggiato, un giovane dai capelli neri era inento a
svuotare la dispensa del povero proprietario del locale. L’ometto, un
cinquantenne basso e tarchiato, ma fiero della propria chioma bionda
palesemente tinta, guardava terrorizzato il ragazzo esaurire l’ennesima
porzione di cibo.
-Ma
sei sicuro che non scoppierai da un momento all’altro?- gli domandò, perplesso.
Ace
di tutta risposta lo guardò.
L’uomo
sospirò.-Va bene, vado a prendere qualcos’altro...-
Tornò
almeno due minuti dopo con un altro mucchio di piatti stracolmi di cibo.-E
guarda che non ho mai incontrato nessuno come te...- s’immobilizzò. Ace aveva
appoggiato la testa sul bancone e si era messo a ronfare.-... Ma come?! Si è
addormentato di nuovo?!?-
Ci
volle almeno mezz’ora perché l’oste riuscisse a portare via la montagna di
piatti che aveva ammucchiato Ace, lavarli, asciugarli e metterli a posto. Aveva
avuto perfino il tempo di andare a chiamare sua sorella per chiederle di rifare
la spesa. Lei, una vecchia zitella che viveva da sola con il suo gatto, era
stata restia ad accettare l’incarico. C’era voluto un bel po’ di tempo per
convincerla che un ragazzo di appena vent’anni si era sbafato tutto il cibo
della dispensa, ma alla fine aveva ceduto e si era decisa ad imboccare la via
per il mercato.
Il
tutto era accaduto in un’oretta.
Quando
tornò, l’uomo trovò Ace appena sveglio che si strofinava il naso lanciando
grossi sbadigli.
-Tu
hai qualcosa che non va, ragazzo- commentò l’uomo, mentre si sistemava di nuovo
dietro il bancone e faceva segno al suo sostituto di andarsene.-Sicuro di stare
bene, vero?-
-Che
domande. Certo.- Rispose Ace; e sbadigliò.-Comunque... Mi stava dicendo prima
di quell’isola... Vorrei saperne di più.- Disse, appoggiando il gomito sul
bancone e il mento sul palmo della mano.
L’oste
fece mente locale, mentre con la coda nell’occhio, attraverso il riflesso su un
bicchiere, sbirciava che i suoi capelli fossero in ordine.-Intendi l’isola di
Taraah. Si trova a sei giorni da qui.- Disse.-In direzione Nord-Ovest.-
-Sei
giorni... Direzione Nord-Ovest- si appuntò mentalmente Ace. Un altro traguardo
per lui e la sua bagnarola alla ricerca di quell’uomo ignobile. Fece per alzarsi.
-Ma
dove stai andando?!?- esclamò l’oste, pestando i piedi per terra.
-All’isola
di Taraah.- Rispose Ace, facendo le spallucce.
-Nessuno
va all’isola di Taraah!-
-Davvero?
Beh, io non sono “nessuno”.- Replicò Ace, con un sorriso, mentre si aggiustava il
cappello in testa.
L’oste
lo contemplò per qualche istante, chiedendosi se fosse davvero stupido o soltanto
pieno di sé.-Quell’isola è top-secret! No visitatori. No pirati. No naufraghi.
Solo la marina ci fa un salto ogni tanto...-
Ace
si fermò ad ascoltare, curioso.-Ma davvero?-
-Sì!-
esclamò l’oste.-E non è solo questo. Gli abitanti non vedono i turisti di buon
occhio. Vivono rinchiusi nelle loro piccole casette, con le loro piccole
famiglie... E non guardarmi in quel modo!- aggiunse in risposta allo sguardo
interrogativo di Ace.-C’è la foresta intorno al villaggio! Se non conosci quel
posto a memoria non ne uscirai vivo!-
-Suvvia,
per una foresta!- rise Ace, divertito.-Le foreste non fanno del male a
nessuno!-
-Senti
ragazzo... Non so chi tu sia, né perché sei venuto qua... Ma esistono posti in
cui un uomo non dovrebbe mai mettere piede... Tipo Amazon Lily... E qualsiasi
altra cosa che può risultare dannosa per la salute!- Disse l’oste con veemenza.
-Io
non mi faccio di questi problemi, buon uomo- fece Ace, posandosi una mano su un
fianco.-E soprattutto non ho intenzione di fermarmi. Quindi... Io vado!- e si
avviò verso la porta con passo sicuro.
L’oste
guardò la porta del locale che veniva spalancata, Ace che attraversava la
soglia canticchiando e poi lasciava che si chiudesse alle sue spalle
scricchiolando. Poi si ricordò del conto che Ace aveva accidentalmente dimenticato di chiedere.
-FERMO!
NON PUOI ANDARTENE SENZA PAGARE!-
(...)
Altra
locanda, villaggio di Taraah. Stavolta non un posto malfamato, ma una piccola
costruzione squadrata, completamente verniciata di uno strano verde alga che,
secondo le mille ipotesi di Arissa sul perché l’oste avesse scelto un colore a
lei così orrendo, avrebbe dovuto richiamare i clienti alla calma e alla
tranquillità.Le finestrelle che si
affacciavano dal secondo piano erano piccole, quadrate come il resto, mentre
dal piano terra si poteva accedere all’interno attraverso una porticina di
legno d’ebano. Niente balconi, né altro. Solo questa scatoletta con un’insegna
appesa in bella vista.
Dentro,
i tavolini rotondi erano disposti ai lati di un tappeto rosso che partendo
dall’entrata attraversava tutta la stanza fino al bancone. Era proprio in
quella direzione che si rivolgevano gli sguardi della gente. O almeno, di
quella che non era ancora scappata.
Shanks
era ben consapevole dell’effetto che aveva fatto sulle persone quando era
entrato con Arissa, ma la cosa non lo sfiorava minimamente. Si era seduto al
bancone, suscitando un moto di terrore nei due coniugi che gestivano il locale.
Lo avevano servito, e finalmente aveva potuto bere qualcosa in santa pace.
Era
praticamente sicuro che Arissa l’avrebbe riempito di domande, invece si era
seduta accanto a lui, a distanza di sicurezza, e aveva cominciato a osservarlo
insistentemente, muovendo la testa a destra e a sinistra. Shanks aveva faticato
per strozzarsi con il sake mentre beveva, doveva ammetterlo. Il fatto era che
la sua espressione concentrata e quel modo di muovere la testa le ricordavano i
cani quando cercano di capire le parole dei padroni...
Finalmente
Arissa parlò.-Voi pirati bevete tutti così tanto?- domandò.
Shanks
terminò la terza bottiglia di sake e la posò sul bancone con calma.-Non sai
proprio niente sui pirati, eh?-
Arissa
scrollò il capo.
-Del
sake e della buona musica fanno parte della vita di un pirata.- Disse Shanks,
guardando la bottiglia con aria assorta. Sbirciò anche il riflesso di Arissa, e
vide che tirava fuori un taccuino e una matita dalla borsa a tracolla.
-Pirati...
Amano il sake e la musica...- Arissa si appuntò tutto sul suo
bloc-notes.-Fatto.-
-MA
CHE STAI FACENDO?!- esclamò Shanks, preso in contropiede.
-Voglio
scrivere un libro sui pirati- disse lei, furbetta.-L’ho deciso stanotte, mentre
pensavo a te. Guarda. Ti ho anche disegnato- sfogliò freneticamente le pagine,
poi gli parò davanti agli occhi un disegno sbilenco.-Ti piace?-
-Fa
schifo.-
Arissa
corrugò le sopracciglia, dispiaciuta.-A me non sembrava tanto male...-
-Dai,
ho detto che fa schifo, non che non mi piace- sorrise lui.
-Grazie!-
esclamò Arissa, contenta.-Sono consapevole di non essere molto brava a
disegnare...-
-Sì,
lo vedo.- Ridacchiò Shanks.
-Adesso
dimmi... A tutti i pirati manca un braccio?- domandò lei, indicando con la
matita la spalla sinistra di Shanks.
Lui
ci si posò una mano sopra quasi automaticamente.-Mi sembrava strano che non
l’avessi ancora chiesto...Beh... diaciamo che è il prezzo che ho pagato per
aver riposto la mia fiducia in una persona.-
Ci
fu un attimo di silenzio.
-L’ho
sacrificato... Per la nuova generazione- aggiunse Shanks, sorridendo.
-E
adesso come fai a combattere?- chiese Arissa, mentre si scriveva tutto parola
per parola, utilizzando abbraviazioni comprensibili solo a lei.
-Meglio
perdere un braccio che un amico.-
Arissa
smise di scrivere e lo guardò negli occhi, dubbiosa.-Tu non sei uno “scuoiatore
di esseri innocenti”, vero?- domandò alla fine.
-Ti
assicuro che non ho mai scuoiato nessuno in vita mia.- Sentenziò Shanks.
-...Davvero...?
Io... Io ti credo. Forse. Cioè... Non
sembri cattivo.-
-Ma
non dovevi farmi delle domande sul mondo e tutta quella roba di cui mi hai
parlato?- chiese lui, lievemente imbarazzato da quello sguardo così insistente.
Arissa
sembrò cadere dalle nuvole.-Ah, sì! Ma non so da dove cominciare...-
Shanks
sorrise, e dopo aver infilato la mano all’interno della giacca ne estrasse un
pezzo di carta arrotolato.-Tieni. Questo ti chiarirà le idee.-
-Cos’è?-
domandò Arissa, mentre posava tacuino e matita sul bancone, prendeva il foglio
con cura e lo spiegavacon perplessità.
Quando le apparve il disegno completo se lo portò davanti alla faccia e sbattè
le palpebre varie volte.
-Una
cartina geografica.- Spiegò Shanks, notando la sorpresa di Arissa.
-Questo...
Sarebbe il mondo?- domandò Arissa, sconcertata.
Lui
rise.-Ovvio. Altrimenti perché avrei dovuto mostrartela?-
Arissa
si posò il foglio sulle gambe e lo osservò incantata.-Davvero è così grande?-
aguzzò la vista.-Ma dov’è la mia isola?-
Shanks
allungò un dito e battè su un puntino quasi invisibile.-Proprio qui! Nel Nuovo
Mondo.-
-Ma
ci vuole la lente d’ingrandimento!- protestò lei.-Non si vede neanche!-
-Beh...
esistono città molto grandi, sai?- fece Shanks, con tutta la pazienza del
mondo.-Guarda, questa è Rogue Town... La città dell’inizio e della fine.- E la
indicò.
Lei
guardò prima la cartina, poi Shanks.-Perché la chiami città dell’inizio e della
fine?-
-Perché
è la città natale di Gol D. Roger. E anche il posto dov’è stato giustiziato.-
Affermò con una certa nostalgia nella voce.
-Era
tuo padre?- domandò Arissa.
Lui
rise.-No. Era il mio capitano! E non solo... Era anche un grande uomo.-
-Ah...
Era un pirata?-
-Il
re dei pirati- specificò Shanks.
Lei
fece un verso buffo, a metà tra uno sbuffo e un sospiro.-A me non piacciono i
pirati.-
-Io
sono un pirata.-
-Infatti
tu non mi piaci- replicò Arissa.
Shanks
ormai ci aveva fatto il callo, e risolse la faccenda con un sorriso.
Arissa
continuò a guardare la cartina, affascinata, poi mosse un dito e lo posò sopra
un’altra isola.-Cosa c’è qui?-
-Quella è Water Seven.-
-Water Seven?-
L’oste
si avvicinò lentamente con un’altra bottiglia di sake.
-L’isola
dei carpentieri più bravi del mondo.- Le spiegò Shanks, posando la mano sulla
bottiglia appena portata.-Una citta particolarmente interessante, piena di
canali...-
-Vuoi
dire che hanno il mare in mezzo alle case?- chiese Arissa, piuttosto confusa.
-Esatto.-
-Mi
piacerebbe vederla- concluse la ragazza con un velo di malinconia.
-Forse,
un giorno...- le disse il pirata. E bevve a grandi sorsi.
Arissa
non ne era tanto convinta, ma non replicò. Invece indicò un altro punto segnato
in rosso.-Qui che c’è?-
-Marineford.-
Borbottò Shanks.
Lei
lo fissò.-A te non piace questo posto?-
-Beh,
diciamo soltanto che un pirata non lo sceglierebbe per una passeggiatina.- Rise
lui.
-C’è
la Marina qui?- domandò Arissa.
Shanks
annuì.-C’è di più della Marina. Lì vicino si trova la sede del governo
mondiale... E Impel Down.-
-Impel
down?- fece eco Arissa.
-Una
prigione.-
-Capisco...
Non mi sembra del tutto fuori luogo. Se quelli della Marina catturano un pirata
devono pur metterlo da qualche parte, no? Tanto io non ci andrò mai qui.- Si vantò Arissa.
Shanks
scosse il capo sorridendo.-Dimmi un po’... Se non conosci niente del mondo
esterno... Perché ce l’hai tanto con i pirati?-
La
domanda cadde nel vuoto.
Arissa
arrotolò la cartina geografica e rimase a fissarla, stringendola tra le
dita.-Mi hanno detto che voi siete malvagi. Uccidete le persone e le
imbalsamate per portarle in giro come dei trofei. Forse sono solo pregudizi...
Tu non sei cattivo- giudicò alla fine.-Mi piace il tuo sorriso.-
Shanks
non seppe cosa dirle, quindi ripiegò su un semplice:-Tieni la cartina, almeno
potrai guardarla ogni volta che vuoi.-
-Posso?-
-Ma
certo- disse lui.-Tanto noi ne abbiamo a centinaia.-
Finalmente
il volto di Arissa si distese, e le sue labbra si aprirono in un sorriso
raggiante.-Non so come ringraziarti!-
-Inizia
a stare attenta con quel coltello che ti porti dietro, va bene?- domandò lui,
nervoso. Omise la parte del “potresti farti male” per non urtare il suo
orgoglio femminile.
Arissa
annuì, sorridendo.-E dimmi... Come mai cerchi tanto quel frutto?-
-Ah...
Il frutto Tam-Tam, dici?- domandò Shanks.
-Certo!
Ho letto qualcosa su alcuni frutti strani... c’è un libro che mio padre si
tiene molto gelosamente... Pensa che non me lo fa mai leggere.-
-Fa
parte dei Frutti del Diavolo- rispose Shanks.-Sono frutti molto preziosi, che
possono donare a chi li mangia abilità molto particolari.-
Arissa
lo ascoltò, curiosa.
-Eravamo
venuti qua a cercare quel frutto... Un tempo ne avevamo uno, ma una certa persona se l’è mangiato- sorrise.
Arissa non capiva.- I poteri di Tam-Tam sono ancora sconosciuti, ma si dice che
chi lo mangia divenga immune dalle malattie e possa guarire ogni male. Si
trasforma in un dottore... No, in un guaritore.-
-E
può curare la gente dalle malattie?- Domandò lei. Era curiosa. Anzi, la cosa le
interessava parecchio.
-Ah...
E che ne so io?- fece Shanks.
-MA...!-
tentò di protestare Arissa. Aveva lanciato il sasso e ora ammetteva con
nonchalance di non saperne niente?-Hai detto che lo cerchi! Ci sarà un
motivo... Quel foglietto...-
-Quello?
Me l’ha dato un vecchio che vive all’arcipelago Sabaody... un tale di nome Rayleigh...-
Arissa
non aveva idea né di cosa fosse un “Sabaody”, né di cosa fosse un “Rayleigh”,
quindi scosse la testa e disse:-Quindi perché lo stai cercando?-
-Te
l’ho detto. Quei frutti sono preziosi. E non solo... Quello in particolare lo
cercano molti dottori, per esaminarlo e capire se è possibile farne una medicina
per molte malattie incurabili. Anche il tipo che ha curato tuo padre lo stava
cercando.-
-Il...
Tipo? Ma non era un mozzo della TUA
nave?- domandò Arissa, mentre si ricordava di mettere la cartinanella tracolla.
Shanks
assottigliò la vista, perplesso.-Mozzo? Nave? La mia nave? Non credo proprio, ragazzina!-
-Mio
padre ha detto che una nave era approdata all’isola e che aveva un ferito grave
a bordo... Ha detto che tu hai chiesto il suo aiuto e che volevi anche un posto
dove seppellirlo... L’ha detto mio padre, dannazione!- esclamò Arissa,
sinceramente turbata.
Shanks
bevve l’ultimo sorso di sake e si preparò ad affrontare la battaglia verbale
con Arissa.-Senti, se fosse morto un mozzo della mia nave lo saprei. Io tengo
molto al mio equipaggio. È vero, sicuramente l’avrei seppellito qui se la
storia fosse vera. Ma ti assicuro che quell’uomo l’ho trovato sulla spiaggia in
fin di vita.-
Si
prese un attimo di pausa, poi proseguì.-Noi siamo arrivati qua perché cercavamo
il frutto, ma la spiaggia è rocciosa e la nave si è danneggiata. Così ci siamo
fermati per le riparazioni, e intanto i miei uominihanno iniziato a farsi un giro per l’isola. Il
medico era sulla spiaggia, e stava tentando di curare quell’uomo da prima che
arrivassimo noi. Non sapevo che fosse tuo padre.-
-E
che ci faceva sulla spiaggia, a curare un uomo sconosciuto?!- esclamò Arissa.
-Ah,
non ne ho idea. A me ha detto che era un abitante del villaggio...-
No.
Non lo era, pensò Arissa. Se fosse morto qualcuno le chiacchiere lo avrebbero
fatto sapere in meno di mezza giornata. Così come era successo con Kakuri.
-Shanks...Tu...
Tu stai dicendo la verità?- domandò, con un groppo in gola.
Lui
si fece serio e si sporse verso di lei.-E perché dovrei mentirti?-
Si
guardarono negli occhi il tempo necessario perché Arissa si fidasse di nuovo di
lui. Sembrava che il contatto visivo fosse necessario perché quella ragazza così
diffidente gli credesse. Ogni volta che Shanks le parlava senza guardarla negli
occhi, lo aveva notato grazie all bottiglia del sake, lei andava nel panico, e
iniziava a torturare la gonna. Era come se dovesse essere sicura che l’altro la
stesse ascoltando, o che le stesse dicendo la verità.
Lei
abbassò lo sguardo e prese il taccuino.-Domani... Voglio ispezionare la
spiaggia.- Terminò, in tono tetro.
-Fai
bene. Quell’uomo non dev’essere arrivato a nuoto- disse Shanks.
-Accompagnami
Shanks.- Gli disse.-Ti prego!-
-Per
me non c’è problema. Avevo intenzione di farlo, perché ho un sospetto...-
-Davvero?!-
esclamò Arissa, raggiante.-Sei così gentile! Ti abbraccerei!-
-Tranquilla,
puoi sempre farlo co tutta calma domani mattina- rise Shanks, sapendo che si
sarebbe rimangiata tutto. Era davvero divertente quella ragazzina.
-Ma
dicevo così per dire!- protestò Arissa, avvampando.-Shanks!!!-
Però
era strano. Se l’uomo che Eichiro aveva tentato di salvare non era né un
abitante del villaggio né un membro della ciurma dei pirati... Chi diavolo era
in realtà? E che ci faceva sull’isola?
Angolino
dell’autrice
Insomma,
eccomi qui a rompere di nuovo le scatole con le mie chiacchiere inutili.
Cooomunque: intanto ringrazio chi ha dato fiducia a questa storia. Credo che
non ci sia niente da dire... almeno credo. Se avete domande, commenti e
osservazioni fatele pure, vi risponderò. Intanto apro l’angolino dell’autrice
con le risposte alle recensioni ^^
Kgm92: CiaoX3 che bello sentirti! Trovare qualcuno come
me è sempre un gran sollievo (se poi è un autore ed è fan di Ace, è ancora
meglio XD) ^^
Intanto ti
ringrazio della recensione! Eh... hai ragione a dire che se si fosse trovata
davanti Teach sarebbe stato diverso XD. Anche io, mentre scrivevo, non ho
potuto fare a meno di pensarci (quell’essere mi rabbrividire U.u, senza offesa
a chi piace)... Ma a parte questo... Il frutto è praticamente tutte e due le
cose che hai detto, ma non preoccuparti, sono io che non ho lasciato trapelare
notizie specifiche. È un po’ complicato come frutto, ma serve al mio scopo XD.
Beh, ti saluto
mirabile autrice/sorella XD. Ci sentiamo!! ^^
Akemichan:
Ah!!! Wow, che recensione professionale che hai lasciato ^^. Comunque ciao *_*,
paicere di conoscerti! Quello che hai detto è tutto vero! Infatti ho pensato
anche io che ci fossero troppi personaggi originali nel prologo, però mi
piaceva e l’ho lasciato così... Anche per questo ho pubblicato il primo
capitolo in anticipo, e sinceramente parlando, ero anche un po’ nervosa. Se non
prendo confidenza con la sezione mi sento come se fossi alle prime armi XD.
Inoltre, lo ammetto, non ho mai pensato di scrivere una ficcy di One Piece
finchè non è morto Ace... quindi è come se questa fosse la mia prima fic XD.
Comunque non ti preoccupare per dove andrà a parare la fic XD A quello ci penso
io, anzi... io credevo che fosse anche troppo facile... X3.
Ti
ringrazio per i complimenti e soprattutto per i consigli. Come hai detto tu,
devo anche adeguarmi allo stile di Oda e non rendere la fic troppo pesante...
XD In genere evito i prologhi perchè preferisco l’incipit in medias res, ma
stavolta ho cambiato scelta perché sto facendo un esperimento... comunque
grazie per tutto quello che mi hai detto ^^ e per la recensione che hai
lasciato. Beh, vedremo come andrà avanti la ficcy e se ti piacerà non potrò
altro che esserne felice! Se invece no... beh, avrò fallito nel mio intento XD.
Ah, se hai dei consigli utili, dimmi! Ho visto che sei molto brava e semmai
volessi aiutarmi nel migliorare, non potrò altro che esserne felice ^^
PS:
Il frutto mi è venuto in mente così... >.<Mi spiace... è che la scelta era tra Tam-Tam
e Cura-Cura... Um...non so... Forse
dovrei cambiare?
Ayumi_L: XD Salve!!!
Come ho detto di sopra, ci penso io a preoccuparmi di dove va a parare la
storia =D. XD Domani ricomincia la scuola anche per me... e vai con
l’accoglienza ai pargoli del primo ^^
tre 88: Ciaooo! ^^
Siamo d’accordissimo io e te. Erigiamo un comitato per la protezione di Ace!
*_*. Comunque, passando alle cose serie, ti ringrazio per la recensione e per
aver aggiunto la storia tra le seguite ^^. Mi fa piacere che ti piaccia. Alla
prossima ^^
the one winged
angel:
NUUU!!! LA NIPOTE ANCHE QUIII! SALVATEMI XD Sto scherzando ovviamente. Sei
fantastica nipote!!! Hai una pazienza infinita a leggere tutte le cavolate che
scrivo!!! Devo dirlo io W la nipote!!! A proposito, non sapevo che ti piacesse
One Piece... A saperlo ti avrei messo tra le dediche... Ma comunque don’t worry
perché ti sto preparando una sorpresa (no, non è il calendario di Genesis,
nipote. Né una pentola per fare il sugo con i suoi capelli XD) ^^. Dovrebbe
essere pronta tra due o tre settimane... dipende se Vegas e la mia testa
decidono di collaborare... Ma passiamo alla storia (sì sì, cambia argomento –
nd tutti) ! Wow... anche mia nonna è una maniaca del pulito XD. Abbiamo due
nonne maniache xd. Ma vabbè... I personaggi originali tanto non me li porterò
dietro fino alla fine. Ancora un po’ di capitoli e me ne libererò (bastarda di
un’autrice – nd personaggi), li rinchiuderò nel mio laboratorio segreto senza
cibo né acqua insieme al Sepho impazzito XD. Rimarrà solo Arissa. E poi qualche
comparsa, ogni tanto. Questo è il progetto...
Nipote, non so
che farei senza di te, il tuo sostegno è molto importante per me ^^. Comunque
ho messo nella mia pagina la nuova Ficcy, il seguito di Homless... dovrei
pubblicarla il dieci ottobre se tutto va bene *_*
Ti ringrazio
ancora per tutta la tua pazienza e per quanto mi segui e mi incoraggi!!! Io
sono commossa. Invece di farla a Tseng la dovevo fare a te, la statua ç_ç
W LA NIPOTE^^ è
*Cartellone: Nipote For President!*
Capitolo 4 *** Capitolo 3. L'uomo Del Battello ***
Capitolo 3
L’uomo Del
Battello
Arissa si era svegliata molto presto, quella
mattina. Il primo pensiero che le venne in mente fu di preoccuparsi per come
avrebbe reagito la madre una volta saputo che voleva scansare le faccende
domestiche per il quarto giorno di fila.
La
ragazza si alzò dal letto in fretta, indossò un abito di cotone lillà e afferrò
la solita tracolla contente il Lumacofono, il coltello da cucina e la carta
geografica. Considerava quegli oggetti come un piccolo tesoro e ormai li
portava sempre con sé.
Alle
nove uscì dalla stanza e si diresse verso la porta facendo meno rumore
possibile. Stava per entrare in sala, quando udì le voci dei suoi genitori
dalla cucina. Sembrava che i toni fossero piuttosto accesi, e il volume delle
loro voci superava di gran lunga quanto Arissa avesse mai sentito in vita sua.
Incuriosita,
si avvicinò alla cucina. La porta era chiusa.
-Sono
stufo del tuo comportamento!- stava dicendo il padre.-E parla, almeno!-
Arissa
tese le orecchie, cercò di guardare dallo spioncino senza risultati e alla fine
si appiccicò alla porta. Sentì un mugugnare sommesso, probabilmente
appartenente alla madre, ma non seppe distinguerne le parole.
Il
nervosismo del padre aveva raggiunto limiti allarmanti se aveva deciso di
sfogarsi con la moglie. Arissa sapeva quanto Eichiro soffrisse
dell’indifferenza della moglie, ma non aveva mai rotto l’equilibrio che regnava
in casa per amre della tranquillità familiare. Del resto, era lo stesso dolore
che provava Arissa quando cercava di parlare con la madre e il massimo che ne
ricavava era una specie di rimprovero su come dovrebbe comportarsi una moglie.
Era fissata, per qualche strano motivo.
-A
volte vorrei soltanto sentirmi amato da te, Kaguya! Ma tu non ne sei capace!
Invece di pensare a lucidare e rilucidare questa casa dovresti occuparti di più
della tua famiglia!-
Arissa
non ebbe bisogno di sentire la risposta, per sapere che sarebbe stata una cosa
del genere:-Mi sono sempre occupata di questa casa, e voi mi ripagate così?- e
con quel “voi”, intendeva anche Arissa, che spesso aveva deciso evadere da casa
senza il suo permesso.
-Ti
ho accontantata in tutto!- replicò Eichiro, con rabbia- Non mi pare di essere
un ingrato!-
A
questo punto anche Kaguyaalzò la voce:-Perché non ti prendi cura di tua figlia?
Lo sai che ultimamente se ne va sempre a spasso per la foresta? Non posso mica
pensare a tutto, io!-
-L’unica
cosa a cui devi pensare è smettere di comportarti come la cameriera!- esclamò
Eichiro.-Andrebbe anche bene, se solo dimostrassi di avere dei sentimenti! E mia figlia, come hai detto tu, vale
molto più di te!-
Un
rumore di passi.
Arissa
scappò per raggiungere l’ingresso e attese che uno dei suoi genitori facesse la
sua comparsa.
Eichiro
sbucò dal corridoio con le sopracciglia congiunte e le labbra ridotte a una
linea sottile. Sembrava infuriato. Quando la vide le rivolse una domanda
secca:-Dove vai?-
-A
fare un giro- farfugliò Arissa.
-Nella
foresta?-
-No.
Al villaggio.- Rispose la ragazza, posando una mano sulla tracolla e stringendo
la stoffa tra le dita. Non aveva mai visto il padre in quello stato, e doveva
ammettere che la cosa iniziava a spaventarla.
-Non
ti avvicinare alla spiaggia, Arissa!- ordinò Eichiro, in un tono che proibiva ogni
replica.
Arissa
annuì lentamente e abbassò lo sguardo.-Papà... cosa sta succedendo?-
Lui
si avvicinò all’attaccapanni e prese il camice, se lo infilò e quando la
ragazza gli fece quella domanda poco mancò che sbiancasse.-Niente.-
-Sei
molto nervoso da un po’ di giorni. È colpa dei pirati?- domandò ancora Arissa,
preoccupata.-So che sono successe delle cose tremende, ma non ti ho mai visto
comportarti così...-
Eichiro
si chinò e raccolse la borsa ai piedi dell’attaccapanni. Gli angoli della sua
bocca erano inchiodati all’ingiù, e la sua espressione era severa.-Non ti deve
interessare.- Disse, in tono stentoreo.-Sei una ragazzina ancora, Arissa.-
-Sono
abbastanza grande per decidere da sola- replicò lei, seria.-E quindi non
trattarmi come una bambina. Cosa sta succedendo? Perché sei così nervoso? Se ne
parli con me ti sentirai meglio, vedrai!- esclamò infine, prendendo la mano
libera del padre tra le sue.
Lui
ritrasse la mano immediatamente e la guardò spaesato.-Ho detto di no. E non
fare altre storie Arissa. Il discorso è chiuso!- quasi gridò, mentre aprìva la
porta.-Non posso correrti dietro ogni volta che ti cacci nei guai, capito? Non
vivrò per sempre! Da quando sei nata sei stata solo un peso per questa
famiglia! Tutti commettono errori, hai sempre detto. Beh, tu vedi di non
commetterne più!- e uscì sbattendo la porta.
La
ragazza rimase di sasso. Scorse il viso di Kaguya che si affacciava in lacrime
dalla cucina e la guardava, poi le diede le spalle e uscì di corsa.
Si
sentiva così male che l’unica cosa che desiderava era correre tra gli alberi.
Si sarebbe fermata solo quando non avrebbe più avuto energie, o quelle si
sarebbero trasformate in lacrime.
(...)
-È
parecchio in ritardo.- Disse Shanks, in piedi sul ponte della nave.
Accanto
aveva il suo vice, Ben Backman, che fissava a sua volta il limitare della
foresta con una sigaretta tra le labbra. Non disse niente, e per un po’ rimase
a fissare la fila di alberi che gli si stagliava davanti, poi esordì:-Sei
sicuro che sia davvero una buona idea frequentare quella ragazza?-
Shanks
voltò gli occhi e gli lanciò uno sguardo divertito.
-Non
è che si fissa come Rufy e ci chiede di entrare nella ciurma? - Rimarcò
Backman.
Il
capitano sorrise flebilmente.-Ha paura dei pirati.- Rispose.
-Non
vorrei che qualcosa ti sfuggisse di mano. Perché secondo me quella ragazzina
non sopravviverebbe tre giorni in mare aperto...- soffiò il fumo verso il cielo
e rimase a contemplare quella distesa di azzurro limpido per qualche
istante.-Chissà perché quest’isola è così chiusa al contatto esterno.-
-Credo
che abbiano soltanto paura di quello che potrebbe esserci, fuori da questa
foresta.-
Backman
annuì e lanciò un’occhiata alla spiaggia. I capelli neri di Arissa risaltavano
particolarmente sulla sabbia dorata.-Eccola che arriva. Buon divertimento.-
Concluse Backman, indicando con il mento la figura che usciva dalla foresta in
quel momento.
Shanks
gli lanciò un’ultimo sguardo penetrante e scese dalla nave.
La
raggiunse, e la prima cosa che notò era il nervosismo con cui si torceva le
dita delle mani.
-Ciao!-
gridò lei, visibilmente affaticata.
-Hai
corso fin qui?- domandò Shanks, fissandola con aria perplessa. Era tutta sudata
e aveva le guance rosse.
Lei
gli sorrise e nel frattempo cercò di riprendere fiato.-Avevo voglia di farmi
una corsetta- disse.
-Se
non sbaglio è molta strada da qui al villaggio- osservò Shanks. Quella ragazza
aveva un talento naturale per la corsa.
-Andiamo?-
Arissa eluse le domande successive e lo invitò a prendere la destra.
La
spiaggia si stendeva a vista d’occhio, e mano a mano che si allontanavano, la
nave rimpicciolì fino a scomparire. La sabbia era pulita e il mare la bagnava
delicatamente.
I
due camminavano in silenzio, perché Arissa sembrava su un altro mondo.
-Dove
sono gli scogli?- chiese Shanks.
Lei
cadde dalle nuvole.-Scogli? Vuoi andare a pescare?-
-Non
credo proprio- fece Shanks, perplesso.-Sto pensando che quell’uomo potrebbe
essere approdato qui su una nave.-
-Quale
uomo?-
-Arissa...-
la rimbrottò.
-Ah!
Giusto. Sì, scusa, non ci sto con la testa- gli disse, mentre accellerava il
passo.
-Lo
vedo!- esclamò Shanks.-Sei agitata.-
-Che?
Agitata io? Ma no!- rise la ragazza.
Di
nuovo silenzio, e presto Shanks cominciò ad annoiarsi. Aveva catalogato Arissa
come una persona limpida, senza segreti. Per questo gli piaceva. Faceva parte
di quel gruppo ormai esiguo di persone che si mostrano per quello che sono, e
la cosa lo aveva piacevolmente sorpreso. Tuttavia, pensò che insistere nel voler
sapere cosa le fosse successo avrebbe avuto l’effetto di renderla di nuovo
diffidente, e la cosa era da evitare.
Arissa
si fermò quando arrivarono agli scogli, un’ammasso di rocce scure che si
trovava tutt’intorno all’isola, ma che lì spuntavano chiaramente superando di
almeno tre di metri il livello dell’acqua
-Gli
scogli- disse Arissa, indicandoli.
Shanks
diede un’occhiata d’insieme, poi disse: -Forse il battello di quell’uomo è
stato trascinato qui dalle correnti. Magari si è danneggiato in modo
irreparabile... il tipo era ridotto piuttosto male, è probabile che sia stato
sbalzato sulle rocce e si sia ferito.-
-La
tua nave è molto grande. Se qui ce ne fosse un’altra si vedrebbe.- Gli fece
notare Arissa.
-Non
necessariamente quell’uomo doveva avere una nave come la mia- rispose Shanks, avviandosi
verso gli scogli.-Per gestire una nave come quella serve un’equipaggio, cosa
che qui non ho ancora trovato.-
Lei
lo vide saltare sulle rocce e guardare in tutte le direzioni, poi si arrampicò
a sua volta con molta fatica. Shanks le porse la mano e la aiutò a salire.
-Uff...
che fatica- sbottò Arissa, mentre si aggiustava il vestito. Proprio un
abbigliamento inadatto per quel genere di cose...
Shanks
gettò lo sguardo alla base della scogliera e intravide nell’acqua, qualcosa che
assomigliava ad una trave di legno.-Forse siamo sulla pista giusta.-
A
ridosso del lato destro della scogliera si allargava una piccola secca che
s’insinuava in un seno scavato nella roccia dal mare. Shanks balzò di sotto,
poi invitò Arissa ad imitarlo e, dopo averla convinta a saltare con un notevole
sforzo, l’afferrò al volo. Ormai Arissa si fidava per quanto detestasse
ammetterlo.
In
quella cavità c’era ciò che stavano cercando: un piccolo battello a vapore,
un’imbarcazione allungata con una cabina stretta al posto del timoniere .
Arissa notò che era piuttosto malconcia. Lo scafo era gravemente danneggiato,
il timone completamente abbattuto e la cabina era stata squarciatacome una scatoletta.
-Distrutto-
giudicò Shanks, con una rapida occhiata.-Avevo visto giusto. L’uomo è stato
trascinato verso gli scogli. In questo punto le rocce sono incredibilmente
grandi, inoltre il battello non è molto grande... Si perde facilmente il
controllo con un coso come questo.-
-Mi
spiace per chi lo guidava- commentò Arissa, intrecciando le dita delle mani con
fare dispiaciuto.
-Già...-
rispose Shanks.-La corrente intorno a quest’isola è forte... e se non sbaglio
qualche giorno fa c’era anche l’alta marea...-
-Non
sbagli- annuì lei, mentre dava un’occhiata timorosa alla piccola imbarcazione.
Non doveva essere piacevole essere sbatacchiato di qua e di là, in preda alla
furia del mare. Quel mare che sapeva essere estremamente clemente e calmo, ma
che improvvisamente era in grado di cambiare umore tramutandosi in una vera
furia.
Arissa
si voltò a guardare Shanks, che a sua volta fissava la barca assorto nei suoi
pensieri. Quel mare che lui amava così tanto, il suo strumento di libertà... L’ignoto,
l’immensità, il timore. Questo rappresentava il mare per Arissa. E gli uomini
che venivano dal mare non erano da meno.
Shanks
si voltò di colpo e intercettò il suo sguardo, facendola sobbalzare.-Andiamo
sottocoperta e scopriamo cosa c’è...- Concluse con un ampio sorriso.
L’abitacolo
che scovarono era una stanza per una sola persona, con una brandina rovesciata
da una parte e un forziere che le era rotolato contro. Arissa gli si avvicinò e
lo rovesciò, in modo da poter analizzare la serratura dorata che lo chiudeva ermeticamente.
Shanks
dietro di lei stava dando un’occhiata in giro. C’erano alcuni libri sparsi sul
pavimento, alcuni aperti, altri no, ammucchiati l’uno sull’altro
disordinatamente. Ne prese uno in mano. “L’arte della chirurgia”.
-Si
direbbe che quel tipo fosse un medico- stabilì il pirata, dopo aver notato che
anche tutti gli altri volumi trattavano di medicina.
Arissa
si alzò e indicò il forziere.-Non credi che dovremmo aprirlo?-
Shanks
scosse la testa.-Per adesso lasciamo perdere.-
-Oh...-
Lei sembrò delusa.-Va bene...-
Sarebbe
stato divertente aprire un forziere. Chissà, poteva anche esserci un tesoro.
Il
pirata continuò a guardarsi in giro, finchè non notò una grossa scatola squadrata
seminascosta sotto un telo verde a ridosso di una parete.-E quella?- Andò a
togliere il telone.
Arissa
corse a vedere.-Una gabbia?- Probabilmente, anche quella era rotolata via come
tutto il resto, perché dentro la pagliuzza era rovesciata a terra.
-Che
ci fa una gabbia qui?- si chiese Shanks, continuando ad osservare la gabbia
vuota.-Mi chiedo che animale abbia contenuto.-
Arissa
si mise a giocare con la porticina rotta che avrebbe dovuto chiudere la gabbia.
-Non ci sono trespoli, quindi non poteva contenere uccelli- osservò.
-Sì,
giusto.- Rispose Shanks. Calcolò che un pavone avrebbe potuto fare la sua ruota,
all’interno di quella stia.-La paglia che ricopriva il fondo è macchiata di
sangue-
-Sangue?!-
esclamò Arissa, inorridendo.
-Forse
era un animale carnivoro.-
-Carnivoro?!-
-Devi
ripetere per forza tutto quello che dico?-
-Se
non la smetti di dire queste cose orripilanti, sì!- esclamò Arissa, avvampando.
Shanks
scosse il capo.-Guarda. È talmente poco che si vede a malapena.-
Arissa
era preoccupata.-Qualsiasi cosa fosse... si è liberato.-
-Saranno
stati gli scogli.- Disse Shanks, inginocchiandosi accando alla gabbia.-L’animale
sarà scappato quando il battello si è scontrato con gli scogli...-
La
ragazza si adombrò.-Quindi vuoi dire che un animale sconosciuto si aggira per
l’isola?-
Il
pirata si alzò e la guardò intensamente.
-Questa
non ci voleva...- sospirò Arissa, andandosi a sedere sul forziere con aria
imbronciata.
Shanks
la seguì con lo sguardo e notò che aveva gli occhi lucidi.-Cosa c’è che non
va?- domandò.
-Stamattina
i miei genitori hanno litigato.- Gli confidò Arissa, senza scendere nei
dettagli.- Non mi sento tranquilla... Prima
mio padre che cura uno sconosciuto, poi questo battello distrutto e adesso
l’animale...- si passò una mano sugli occhi.-e non vorrei che mio padre fosse
nervoso perché è a conoscenza di qualcosa di losco...-
Shanks
s’impietosì. Dopotutto era soltanto una ragazzina indifesa.-Non saltare subito
alle conclusioni. Potrebbero anche essere soltanto delle coincidenze.-
Arissa
spinse la mano sugli occhi per frenare le lacrime, e intanto cercava di
nascondere con la lunga frangia corvina quelle che già erano scese. Si alzò di
scatto e si allontanò dal baule, preoccupandosi principalmente di dare le
spalle al pirata. Cercò di asciugare le lacrime cercando di non far intuire
nulla a Shanks, e intanto pensava a quanto patetica potesse sembrare,
combortandosi in quel modo.
Lei,
che voleva diventare una dottoressa. Una studiosa... lei che voleva diventare
una persona che solca l’ignoto e scava nei segreti più profondi dell’essere
umano, aveva paura. Paura del mare aperto, paura dei misteri, paura di tutto
ciò che non può essere facilmente risolto. Si rendeva conto da sola di essere
viziata. Una codarda. Trasse dei profondi respiri e lasciò scivolare le braccia
lungo i fianchi.-Possiamo aprire il baule.- Disse, piuttosto duramente.
Shanks
le lanciò uno sguardo compassionevole e si avvicinò al baule sguainando la
spada. Gli bastò un colpo secco, dato con la punta dell’elsa per rompere la
serratura del forziere.
Non appena udì lo scatto secco e il
tintinnio metallico, Arissa si voltò e sorrise flebilmente.
Il coperchio del forziere venne
rapidamente sollevato dal pirata, rivelando un’interno profondo rivestito di
raso rosso. C’erano poche cose adagiate sul fondo: un volume con la copertina
macchiata dall’inchiostro che si era versato dal calamaio che lo accompagnava.
La bottiglietta dell’inchiostro si era rotta in mille pezzi, macchiando buona
parte della stoffa e del libro.
Arissa si appostò al lato del forziere e
ci infilò dentro la mano. Afferrò il libro saldamente e sentì con orrore che
l’inchiostro non si era ancora seccato.-Cavolo...- Biascicò, mentre tirava
fuori il volume.
Shanks ridacchiò e notò che il libro in
realtà era un diario dalla copertina rigida, arancione, quasi interamente
ricoperta di inchiostro nero, lo stesso con cui si era macchiata Arissa.-Un
diario di bordo- disse, interessato.
Arissa fece una smorfia con il naso e lo
aprì a caso.-Oh... Guarda che peccato... tante parole sono state cancellate
dall’inchiostro.-
-La copertina è illeggibile- affermò
Shanks, poi prese il libro dalle mani di Arissa e contemplò le due pagine. La
sua espressione si tramutò da rilassata a preoccupata mano a mano che i suoi
occhi scorrevano le parole.
-C’è qualcosa di interessante?- domandò
Arissa, notando il cambio di atteggiamento del pirata.
Shanks chiuse il diario con uno scatto
secco.-Andiamo. Non c’è più niente da vedere qui.-
-Posso tenere il diario? Vorrei
esaminarlo...-
Lui esitò, ma alla fine rispose: -...
Per me va bene.-
(...)
Eichiro uscì dalla casa di Cammy con la
fronte madida di sudore e un’espressione sconvolta. Chiuse la porta con le mani
che gli tremavano e tornò a casa.
Appena entrò, notò subito qualcosa di
diverso.
Erano le una. Solitamente Kaguya aveva
preparato il pranzo per quell’ora, e il profumo del cibo si spandeva per tutta
la casa. Invece quel giorno non c’era né la moglie ad aspettarlo, né il cibo.
Il primo pensiero che lo colpì fu che la moglie poteva essersene andata di casa
a causa del litigio della mattina, ma poi scollò la testa, pensando che Kaguya
non fosse proprio il tipo adatto per una fuga.
Con cautela, senza neanche togliersi il
camice, si avventurò per la casa in cerca della moglie. Controllò in sala da
pranzo, nella cucina linda e pulita, nella camera di Arissa e nel bagno.
Niente. Decise che sarebbe stato meglio salire al primo piano. Si aggrappò alla
ringhiera e iniziò a salire i gradini uno dopo l’altro, con il cuore in gola.
Per fortuna trovò la moglie in camera da
letto, distesa sul materasso, efu un
sollievo. La tensione si allentò e la fronte di Eichiro si spianò.
Kaguya posò il libro che stava leggendo
sulle ginocchia e lo guardò, con gli occhiali quadrati poggiati sulla punta del
naso acquilino.
Ad Eichiro bastò un solo sguardo per
inorridire e fare un passo indietro. Rimse agghiacciato sulla soglia della
porta, a fissare la moglie che si calava gli occhiali e gli rivolgeva un
sorriso stanco.
-Mi spiace se oggi il pranzo non è
pronto- disse.
-Cosa ti succede... Kaguya?- ansimò
Eichiro, con un velo di puro terrore negli occhi.
-Un po’ di febbre- rispose la moglie.-Ho
sentito che ultimamente gira, non c’è da sorprendersi.-
L’ha detto!, pensò Eichiro, disperato.
-Adesso mi alzo e vado a preparare il
pranzo- disse Kaguya, e con un grosso sforzo si liberò delle coperte. Mise i
piedi nelle pantofole con molta lentezza e si alzò.
Eichiro si fece da parte, quando passò.
Una volta che la moglie se ne fu andata
si chiuse in camera, si tolse il camice e lo gettò su una sedia addossata ad
una parete. Si slacciò i primi bottoni della camicia perché non riusciva a
respirare.
La malattia era contagiosa. E lui aveva
permesso che dilagasse nel villaggio. Solo quella mattina aveva ricevuto tre
chiamate di soccorso, e a tutti aveva detto che si trattava di mali di
stagione. Come al solito aveva prescritto delle tisane alle erbe, aveva raccomandato
con gentilezza di stare a casa a riposo...
Si sedette sul letto e si infilò le mani
nei capelli.
Ma non era questione di riposo. La
questione era il contagio! La malattia era forte, sconosciuta e pericolosa!
Si alzò e si piantò davanti allo specchio.
Era più magro, più pallido e più invecchiato. Iniziò a pensare che prima o poi
si sarebbe ammalato pure lui e sarebbe morto. E chi avrebbe curato il
villaggio? Sarebbe stato il caos!
No... non sarebbe stato il caos, perché
la malattia si sarebbe spenta da sola, un giorno.
Sarebbe impazzito se il villaggio fosse
stato decimato per colpa sua. Aveva sottovalutato il problema e adesso ne
pagava le conseguenze.
Cosa ne sarebbe stato di sua moglie? E
di sua figlia?... E di lui?
Doveva risolvere il problema a tutti i
costi.
Ma come?
(...)
Diario Di Bordo
Giorno 50
La bestia sembra
aver reagito bene all’esperimento: ora mangia e si comporta normalmente.
Manifesta una certa aggressività verso l’uomo, ma niente che non si possa
tenere sotto controllo. Entro una settimana o poco più dovrei riuscire a
raggiungere l’isola di Taraah e lasciarla libera di muoversi e cercare il
frutto Tam-Tam.
Giorno 67
Oggi la bestia è
riuscita a mordermi. Non so perchè, ma sembrava stranamente soddisfatta di se
stessa. Non credo che sia un problema, ma meglio prenderne nota.
Giorno 70
Dopo il morso
della bestia, hanno cominciato a manifestarsi dei sintomi sospetti: febbre
alta, confusione e dolori muscolari. Temo che ci sia qualcosa che non va...
Sono entrato nella zona di Taraah e ho contattato il medico del villaggio. Per
fortuna hanno ancora dei contatti con la marina e non sono del tutto isolati.
Una volta arrivato lì mi farò curare e starò bene.
Tornerò per la
data stabilita con il frutto e la bestia.
Angolino
dell’autrice:
La scuola è
ricominciata (disastro, tragedia, evento funesto e quant’altro), ma spero di
mantenere il regolare aggiornamento della storia... intanto ecco il terzo
chappy e la risposta alle recensioni.
In più,
ringrazio the one winged angel, aliena
e tre88 che l’hanno messa tra le
seguite ^^
Sono davvero felice^^
Akemichan: eccomi ^^! A rapporto XD. Sì, era un
errore mio... non so perché facesse in quel modo, ma era colpa del codice. Mi
sono dimenticata di correggere città, ma lo farò appena possibile *_*. Avevo
dato al correttore di word il compito di notare errori che a me erano sfuggiti,
ma a quanto pare si è degnato di segnalare solo gi errori inesistenti,
tralasciando quello che in realtà doveva proporre XD.
Lo stile sì, è
cambiato. Ma perché sto cercando di adeguarmi a quello di One Piece e non è facile,
perché il mio è molto differente. Sto cercando “la via di mezzo”, e comunque
l’altro chappy non sarebbe stato comunque troppo descrittivo.
Per il fatto
della bussola hai ragione, mi è passato proprio di mente... ç_ç
Adesso corro a
finire la versione di latino XD. L’ho lasciata a metà xdxdxd.
Un bacio
Kgm92: Sorella! XD Sono felice che Arissa ti
piaccia ^^. Non preoccuparti, quello che hai scritto va benissimo ^^, anzi...
devo ringraziarti per aver recensito nonstante dovessi partire *_*. Grazie ^^
Spero di
risentirti presto e di leggere il tuo nuovo aggiornamento *_*!
tre88: grazie dei complimenti ^^ Già, neanche
io penso che Ace abbia tutti quei soldi da pagarsi tutto quello che si mangia
XD
Sono contenta
anche del fatto che apprezzi Arissa, ci sto mettendo molto impegno per
caratterizzarla *_*
Grazie davvero
X3
Ps: La storia è
ambientata prima di Marineford ^^
Ayumi_L: hello!!! ^^ Che depressione questi
giorni, non puoi capire... >.< Almeno qui trovo un po’ di svago ...
the one winged angel: ma no, tu non
mi stanchi mai ^^
Ma passiamo al
capitolo XD: Arissa è curiosa, e quindi per curiosità si fida di Shanks, con la
conseguenza che alla fine lo trova simpatico... dopotutto lui ispira una certa
fiducia secondo me, nell’ aspetto.
Ace invece si
sbafa tutto a scrocco, come al solito XD Tipico di lui. XD
Ti piace Cammy?
Anche a me ^^. Non dico che avrà un ruolo rilevante, ma quasi ^^
Per la sorpresa
non preoccuparti XD è una stupidaggine, ma vorrei fare qualcosa per
ringraziarti ^^
I tuoi
incoraggiamenti sono sempre speciali per me, soprattutto in questo periodo che
per me non è il massimo dello splendore ^^. Ti ringrazio dal più profondo del
cuore *_*
Il
cielo scuro avvolgeva tutta l’isola e, indistinamente, anche tutto il resto di
quel mondo che Arissa conosceva così poco. La luna piena si rivolgeva agli
abitanti della terra, osservando tutta la vita che le scorreva al di sotto con
indifferenza, attirando a sua volta gli sguardi di molta gente. Così, i suoi
pallidi raggi si diffondevano con grazia ed eleganza sul territorio, bussando
delicatamente alla finestra già aperta di Arissa, entravano e s’insinuavano
debolmente nella piccola stanza della ragazza, illuminando il viso della
ragazza, seduta sul davanzale della finestra con la schiena poggiata al muro e
le gambe raccolte al petto. Di fronte a lei era stesa la mappa che le aveva
regalato Shanks, e un fermacarte impediva che il lieve venticello la favesse
volar via.
Gli
occhi neri di Arissa vagavano sul cielo, inerti e vacui, alla ricerca di
qualcosa. Pregava silenziosamente, senza incrociare le dita delle mani né
sussurrare nulla. Semplicemente guardava il cielo, con aria supplice.
Sul
letto, il vento soffiava sulle pagine del diario sporco che aveva trovato sulla
nave.
Arissa
ascoltò il rumore della carta che veniva sfogliata, poi reclinò il capo e lo
appoggiò al muro, e spostò lo sguardo sulla carta geografica. C’erano così
tanti posti sconosciuti... Ma lei trovava così ingiusto quel desiderio di
scappare, ora che sua madre stava male.
Chiuse
gli occhi e li riaprì subito dopo.
Eppure
c’era qualcosa di non completo in lei. Una strana ansia, un buco nel cuore...
Qualcosa che non sapeva definire. Sentì le lacrime che le salivano agli occhi,
di nuovo, ma stavolta lasciò che le scivolassero leggere sulla guancia e
cadessero dal suo volto.
Era
davvero un desiderio così ingiusto, il suo? Partire, scoprire e studiare il mondo
e i suoi abitanti... Shanks era davvero così libero come diceva? Fare il pirata
significava avere la libertà assoluta? E la libertà da cosa...?
I
suoi occhi vagarono sul limitare della foresta che si intravedeva da casa sua.
Libertà
di viaggiare e imparare, di diventare una studiosa. Cosa che in quel paese non
era affatto possibile. E poi tornare, un giorno.
Di
nuovo immaginò un futuro lontano, in cui lei tornava a bordo di una grande nave
maestosa, con alle spalle anni di ricerca e di carriera... E tutti che
l’attorniavano per complimentarsi con lei... Le ragazze che cercavano di
imitarla. Sarebbe stata una svolta.
Taraah
sarebbe tornata ad avere contatti con l’esterno. Avrebbero ricevuto visitatori,
marinai e medici da tutto il mondo...
Arissa
accarezzò con lo sguardo la cartina e sorrise lievemente tra le lacrime.
Allora
sì che sarebbero stati liberi. La foresta non li avrebbe più fermati.
Tirò
su con il naso e si asciugò le lacrime, quando all’improvviso udì un rumore
indistinto. Rimase in ascolto, attenta, e ben presto capì che erano passi pesanti
e strascicati. Balzò giù dal davanzale, afferrò la carta e la nascose in fretta
sotto il letto.
La
porta scricchiolò e si aprì.
-Non
stai ancora dormendo, Arissa?- domandò una voce.
Lei
si sedette sul letto e aspettò che la porta si aprisse del tutto, che Eichiro
entrasse e se la chiudesse alle spalle senza fare troppo rumore. Un leggero
scatto, e l’uomo si adagiò con le spalle al legno.
Non
sembrava assonnato. Stanco, ma non assonnato.
-Anche
tu non stai dormendo- osservò Arissa, seduta sul letto con le gambe incrociate.
Si passò una mano tra i capelli, nervosa, e se li spostò sulla spalla destra.
Quella cascata nera risaltò chiaramente sulla camicia da notte di seta bianca.
Arissa
amava risparmiare, se significava avere a disposizione i soldi per comprare
eleganti capi di vestiario.
Eichiro
la guardò in silenzio, poi indicò la finestra.-Hai freddo?-
-No,
papà- rispose lei, senza entusiasmo.
Lui
le sorrise, ma non appena individuò il diario aperto ai piedi del letto, quel
sorriso stentato gli morì sulle labbra in un istante.-Stai leggendo? Cosa?-
Arissa
si fece dura. Era imbarazzata, non avrebbe voluto avere quella discussione con
il padre proprio in quel momento, ma sembrava che la cosa si rendesse necessaria.
E per sostenerla doveva accantonare l’imbarazzo e la tristezza.
Eichiro
si avvicinò lentamente e, senza distogliere gli occhi dalla figlia, prese il
diario in mano. Gli diede un’occhiata e deglutì sonoramente.
-L’ho
trovato sul battello di un uomo. Avevi detto che era il mozzo della nave dei
pirati.- Disse lei, frigida.
Lui
strinse la copertina tra le dita, furente.-E a me pare di averti detto di stare
lontana da quella gente.-
-Non
sono cattivi- si giustificò Arissa, sulla difensiva.-Anzi, mi hanno dimostrato
di godere di fiducia più di quanto abbia fatto tu!-
-Abbassa
la voce!- la rimproverò Eichiro, tirando il diario sul letto con
stizza.-Possibile che tu debba sempre cacciarti nei guai...?-
-Come
l’hai contattato, papà? Credevo che la rete di lumacofoni fosse inutilizzabile
per contattare i luoghi esterni all’isola...- disse Arissa, tagliente.
Eichiro
le rivolse un’occhiata dispetata.- Tu non capisci Arissa... Non è stata colpa
mia...- e dicendo ciò si avvicinò alla figlia per prenderle le mani, ma lei si
ritrasse e scese dal letto, portandosi di nuovo davanti alla finestra. Il vento
scosse i suoi capelli, e per un attimo la sua sagoma interruppe il flusso della
luce lunare.
Eichiro
rimase avvolto nel buio.
-Quell’uomo
portava con sè un animale infetto. Lo sapevi?-
L’uomo
trasalì, e nella sua mente riaffiorò chiaramente il ricordo dei morsi rinvenuti
sul corpo del figlio di Kakuri, nitido e doloroso.-Vuoi dire che...-
Arissa
annuì.-Leggi quel diario, papà. È l’unica cosa che posso raccomandarti.-
Lui
si rivolse al diario e lo afferrò con avidità.-Potrebbe esserci la soluzione!-
bofonchiò.
-Papà...-
mormorò Arissa, spostandosi dalla finestra e avvicinandosi al padre.
-Non
capisci Arissa...! Qui c’è la soluzione!- fece, fuori di sé. Girò le pagine
come se da ciò dipendesse la sua vita, senza neancheleggere le parole. Finì il diario e lo riaprì
di nuovo dall’inizio, ricominciando a sfogliarlo in modo quasi
maniacale.-Giorno uno... giorno ventitrè... Giorno settanta...-
Mano
a mano che l’operazioneprocedeva però,
la velocità diminuiva. Alla fine Arissa, prima che potesse ricominciare a
sfogliare il diario daccapo per la terza volta, si avvicinò e gli prese le mani
tremanti tra le sue.-Non c’è niente. L’ho già letto io. Non c’è niente-
sussurrò.
Lacrime
di amarezza scivolarono dal volto di Eichiro.
Arissa
avvertì un peso al cuore, ma cercò di mostrarsi più forte di quanto non fosse
in realtà.
-Non
capisci... La malattia è contagiosa... E la colpa è mia... Ho permesso che
quell’uomo attraccasse qui...-
-L’avrebbe
fatto comunque- intervenne Arissa, con voce spezzata.-Hai visto? Cercava il
frutto Tam-Tam... Cercava il frutto che cura tutti i mali...-
Eichiro
singhiozzava.-Tu non capisci...-
-Si
sarebbe fermato comunque a Taraah...- ripetè Arissa, a un passo dallo scoppiare
in lacrime.
Arissa
lasciò le mani del padre di scatto e corse ad affacciarsi alla finestra,
portandosi un braccio davanti alle labbra per soffocare i singhiozzi. Si sentì
morire dentro in quel momento.
A
cosa serviva sognare, se la realtà andava in pezzi?
Eichiro
rimase immobile a piangere, poi si voltò e uscì dalla camera. Aprì la porta e
prima di andarsene aggiunse:-Cammy sta male. Mi spiace non avertelo detto
prima. Suo padre è morto. Ho cercato di nascondere la faccenda. Mi diaspiace
angelo. Ho tradito la tua fiducia.-
Uscì,
lasciando Arissa affacciata alla finestra, con gli occhi chiusi e il viso
rigato di lacrime.
Non
appena la porta si chiuse, lei si gettò sul letto, affondò la testa nel cuscino
e si sfogò.
(...)
La
spiaggia era bellissima.
Arissa
barcollò sulla sabbia, trascinandosi sulla sabbia dorata come un’automa.
Guardava fisso il mare che si stendeva oltre l’orizzonte, azzurro e
cristallino. Limpido. Puro.
Arrivò
con i piedi nell’acqua e si fermò, distrutta. La vista era stupenda da lì. Il
cielo si sposava con il mare, alla linea d’orizzonte, e i due sembravano unirsi
in intenso abbraccio.
Eppure
quella bellezza non compensava il fatto che la nave di Shanks non ci fosse più.
Niente più vessillo dei pirati del Rosso in giro, niente più uomini
indaffarati, niente più pirati di cui non potersi fidare. Niente più pericoli
venuti dal mare. Era tornato tutto come prima, alla spiaggia. Il sole
abbagliava e si rifletteva sull’oro e sull’azzurro, allegro e confortante.
Arissa
si voltò e guardò il limitare buio della foresta e sentì una forte rabbia
assalirla, oltre che allo sconforto.
Shanks
se n’era andato senza dire nulla. Aveva detto che sarebbe partito, ma non quel
giorno. Non l’aveva neanche salutata. Perché?
Non
che la cosa la facesse disperare. Dopotutto era sempre uno sconosciuto, ma lui
con la sua presenza le aveva infuso quel po’ di determinazione che le serviva.
Era arrivato dal mare, e attraverso il mare era scomparso. Come un soffio.
Arissa
strinse tra le dita la stoffa della tracolla, dove teneva la cartina. Sarebbe
sembrato egli stesso un sogno, se non le avesse lasciato quella testimonianza
del suo passaggio.
Allora
perché si sentiva così frustrata? Aveva bisogno di lui in quel momento. Ne
aveva bisogno più di ogni altra cosa al mondo.
-Te
ne sei andato senza salutarmi- disse, al vento.
Com’era
naturale, non le arrivò nessuna risposta.
-Avevi
detto che avresti risposto alle mie domande... Beh, non hai mantenuto la tua
promessa, Shanks!- esclamò, arrabbiata. Strinse i pugni. Era imbarazzante
parlare con l’aria, eppure ne aveva bisogno. Si prese una pausa per trarre un
respiro profondo:- MI HAI SENTITO?! NON L’HAI MANTENUTA, LA TUA PROMESSA!-
...
-Capitano... Sei
sicuro di voler andare via proprio ora?- domandò un uomo della ciurma di
Shanks.
Il capitano
stava in piedi sul ponte della nave e guardava il limitare della foresta con
aria serena. Quando si sentì rivolgere la domanda, si curò di prendersi una
pausa ad effetto prima di rispondere.
Dietro di lui,
Beckman gli lanciò un’occhiata inquisitoria.
-Ovvio che sì!-
esclamò Shanks, sicuro.-Salpiamo e proseguiamo il nostro viaggio! La nave è
pronta, no? Allora che aspettiamo?-
L’uomo se ne
andò sorridente e soddisfatto, ma Beckman si avvicinò al suo capitano e gli
posò una mano sulla spalla.-Capitano...-
-Non volermene.-
Disse Shanks, rabbuiandosi un po’.-Non voglio far soffrire nessuno- e con
nessuno”, lui e Beckman si capirono al volo,- ma non posso continuare a farla
sognare inutilmente. Potrebbe chiederci di unirsi a noi, e a quel punto cosa
dovrei risponderle? Sì? No?-
-Potresti
salutarla.-
-Si sta
attaccando troppo a me.-
Beckman scoppò a
ridere.-Non credi che sia un po’ troppo presto per dirlo?-
Shanks gli
lanciò un sorriso enigmatico, ma dentro di lui sapeva che non era affatto
troppo presto per dire una cosa del genere, e che il suo parlare non peccava
affatto di superbia. Arissa avrebbe tentato la strada più facile per uscire
dalla sua prigione, ma non era sicuramente la strada più giusta per lei.
Era soltanto una
ragazzina che non sapeva niente del mondo, e in quanto tale, vivere da pirata –
perché Shanks era sicuro che gli avrebbe chiesto di salire sulla sua nave – non
era il modo esatto per guadagnarsi la libertà.
-Adesso andiamo-
concluse il capitano, ridendo.-Ci aspetta il Nuovo Mondo!-
(...)
Arissa
si costrinse ad avvicinarsi a casa di Cammy. La porta, ovviamente, era sprangata
e per un attimo la ragazza temette che la sua amica non sarebbe mai più venuta
ad aprirle. Alzò una mano e, riluttante, colpì il legno sgangherato per tre volte
di fila.
Attese
con il cuore in gola per tre minuti, poi fece per voltarsi, distrutta.
Invece,
inaspettatamente, i cardini cigolarono, e un viso pallido e smunto apparve alla
soglia.
Arissa
rimase pietrificata.
La
sua amica era ancora più magra del solito, e la sua pelle era quasi
trasparente, avvolta da una coperta arancione e solare che dava un tocco
d’allegria a tutta la figura. Nonstante l’eccessiva magrezza e le guance
incavate, Cammy sembrava rinata. I suoi occhi celesti erano brillanti e
presenti, e le sue labbra erano curvate in un sorriso timido, ma
speranzoso.-Ciao...-
-Cammy...-
sussurrò Arissa, avvicinandole una mano al viso pallido.-Sei... Sei tu...?-
La
ragazzina ridacchiò e lasciò che Arissa l’abbracciasse così forte che, vedendo
la sua struttura gracile, qualcuno avrebbe potuto pensare che si sarebbe
spezzata.
I
capelli biondi erano sciolti sulle spalle, e Arissa li accarezzò
affettuosamente.-Ero così preoccupata per te... Sono stata così egoista questi
giorni... Ho pensato solo a me, senza considerare che tu stavi male... Mi
dispiace, Cammy! Perdonami!-
La
bambina stette in silenzio, con gli occhi lucidi e le labbra serrate, poi
mormorò:-Vieni dentro...-
Arissa
si lasciò cadere sul divano.
La
sala della casa di Cammy fungeva anche da camera da letto, e il divano si
poteva aprire per godere del suo uso secondario. La copertina beige, consunta e
rattoppata, si stropicciò quando Arissa ci si sedette sopra.
La
luce filtrava dalle persiane chiuse in quantità sufficiente da avvolgere la
stanza nella penombra.
Cammy
si tolse di dosso la coperta e, dopo averla piegata in quattro, la poggiò su
una sedia dondolante addossata alla parete.-Sono stata molto male questi
giorni. Mio padre è...- deglutì.
Arissa
le sorrise confortante e, a dirla tutta, anche in modo un po’ invadente.-Ho
capito Cammy... Non c’è bisogno che tu lo dica se non vuoi...-
-...
Morto.- Proseguì Cammy, con gelida calma. Si pentì subito dopo e abbassò gli
occhi blu.-Sono rimasta sola e mi sono ammalata. Tuo padre veniva tutti i
giorni a curarmi- sorrise dolcemente.-E adesso guardami! Sono in perfetta
forma!-
Gli
occhi di Arissa si fecero lucidi.-Lo vedo... Sono così contenta...-
Cammy
sorrise.
-Sarei
dovuta venire da te, e invece sono stata... Altrove.-
Mormorò Arissa, soffocando l’ultima parola in un sussurro angosciato.
-Non
preoccuparti...- Le disse Cammy, sedendosi a sua volta sul divano e guardando
Arissa.
-Sei
cambiata.- Osservò Arissa, commossa.-Sembri una vera donna, ora.-
Le
due scoppiarono a ridere.
-Ma
se tu sei guarita vuol dire che la malattia non è così grave come pensava mio
padre!- esclamò Arissa, contenta.-Sarà contento di sapere che tu stai bene!-
Cammy
annuì compostamente.-Certo.-
-Allora
che ne dici di andare da lui a dirglielo?- rise Arissa, sollevata e al tempo
stesso incredula.
-Purtroppo
io non posso uscire di casa, Arissa.- Le confessò Cammy, arrossendo.-Non vorrei
che qualcuno si ammalasse per causa mia... In realtà neanche tu avresti dovuto
entrare, ma sono troppo stanca di stare da sola...-
-Lo
capisco...- esclamò Arissa, con voce stridula. Era come un sogno. Forse Shanks
se n’era andato portandosi via il resto di quell’incubo. Ecco. Era la fine
dell’incubo!
-Ci
vediamo dopo, magari!- le rispose Cammy, timidamente.-E non andartene troppo in
giro con quei pirati...-
-Se
ne sono andati!- fece Arissa, in tono trasognato.-Adesso vado e poi torno... Con
una buona notizia- aggiunse a se stessa, poi si congedò da Cammy e uscì dalla
porta d’ingresso chiudendola senza far rumore.
Si
fermò e rimase un po’ con le mani sul legno e gli occhi chiusi. Respirò
profondamente e, sollevate un po’ le palpebre, gettò un occhio a casa sua. Vide
suo padre che stava sulla soglia, immobile, appoggiato alla porta esattamente
come lei.
Stava
piangendo silenziosamente, e intanto guardava dritto avanti a sé.
Arissa
avvertì una fitta al cuore e le ginocchia le tremarono. Si raddrizzò e si
diresse lentamente verso casa sua.
Quando
arrivò a un paio di metri da Eichiro si fermò e lasciò che lui la guardasse
senza dire niente per qualche istante.
Si
fissarono l’un l’altro a lungo, nel silenzio.
-Devo
darti una brutta notizia.- Disse Eichiro improvvisamente, e nel farlo si passò
una mano sul viso.
Arissa
divenne di pietra e un brivido le passò attraverso la schiena. Annuì.-La
mamma?-
-Sì...-
Mormorò Eichiro, con voce tremante.
Arissa
fece un sorriso tremolante e cupo.-Posso entrare?-
Eichiro
non si spostò dalla porta e deglutì sonoramente.-Devo dartene anche un’altra.-
Lei
chiuse gli occhi e lasciò che le lacrime le scivolassero sul viso, snebbiandole
la vista.-Allora anche tu...?-
-Ho
sempre detto che sei una ragazza sveglia.-
-Quanto
tempo hai?-
-Dipende.-
Arissa
lasciò cadere il silenzio e si crogiolò un poco in quella nuova sensazione di
smarrimento e dolore. Se Eichiro fosse morto, per tanti avrebbe significato la
fine, perché non ci sarebbe più stato nessuno in grado di sostituire le sue
competenze mediche. Per tanti altri sarebbe stato un sollievo, perché le voci
di una sua negligenza nel preoccuparsi del nuovo virus si era sparsa in fretta
come la malattia stessa.
Ma
per Arissa, sarebbe stata la totale distruzione della sua amata famiglia, che
era ben diverso.
-Non
è stata colpa tua...- dichiaro Arissa, con voce strozzata.-Tu hai fatto il
possibile.-
-Non
lo credi davvero... Lo dici per pietà.- Disse Eichiro, e intanto si scansò
dall’ingresso e aprì la porta.
Arissa
intravide la sala buia e un senso d’angoscia le attanagliò la gola e il cuore.
E di lei, cosa sarebbe stato? Era così ingiusto... Teneva troppo ai suoi sogni
per vederli sfumare.
-Non
entri?- domandò Eichiro, senza entusiasmo.
Lei
raddrizzò le spalle cadenti a causa della frustrazione e alzò il viso per
guardare suo padre.-No.-
Eichiro
la fissò, glaciale e commosso al tempo stesso.-Tu sei proprio una bambina,
angelo.-
-Non
sono un angelo. E se me ne rimango qui rischio di rimanere una bambina per
sempre!- esclamò Arissa con dignità.-E io non voglio rimanere intrappolata.
Voglio vivere i miei sogni.-
-E
quali sarebbero, questi sogni?- domandò Eichiro, abbassando lo sguardo a terra,
sconvolto.
-Io
diventerò un medico come te, papà. Anzi, molto meglio di te.- Disse Arissa,
vergognandosi delle sue stesse parole. Arrossì un po’, ma non si fermò.-Perché
io voglio scoprire tutto ciò che ancora non so sul mondo e sulle persone che lo
abitano, in modo da diventare una persona colta e saggia! Questo è il mio
sogno.-
-Ci
vuole poco ad essere colti, Arissa... Ma addirittura essere saggi...- Aggiunse
Eichiro, con un velo d’arroganza nella voce.-Io ci ho provato tanto, ma come
vedi non ci sono riuscito. Forse è questo villaggio.Ti tiene incatenato entro
un certo limite.-
Arissa
prese un profondo respiro.-Adesso scusami, ma non entrerò lì dentro... Non ho
bisogno di salutare un morto... Perché io credo solo nella vita. Se mia madre
vorrà ascoltarmi, la saluterò da qui.-
-Dove
vuoi andare?!- esclamò Eichiro, non appena vide che la figlia gli voltava le
spalle con tremante decisione.
Arissa
fece un paio di passi e si fermò, ancora titubante.
-Sei
solo una bambina. Cosa vuoi fare?!- le gridò dietro Eichiro.
Lei
non si voltò. Nuove lacrime rigarono il suo volto. Stavolta erano lacrime di
terrore e di tristezza, e lei non aveva paura di mostrarle in pubblico. Perché
adesso avrebbe davvero solcato l’ignoto, da sola.
-Vado
a imparare, papà.- Rispose, in un singhiozzo.-E a incamminarmi verso il mio
sogno!- si asciugò le lacrime con il dorso della mano e posò la stessa sulla
tracolla. La cartina e il diario sembrarono infonderle la forza di riprendere a
camminare.
Eichiro
rimase immobile, a guardare la sua figura snella andare verso la foresta, con
il vestito blu scosso dalla quella lieve brezza marina che soffiava ad ogni
ora. Si sentì come svuotato. Non poteva più fare niente, a parte stare in
disparte e guardarsi affogare nella malattia.
Un’ombra
calò su di lui, e alzando lo sguardo al cielo, vide che una nuvola nera aveva appena
coperto la luce.
Sì.
Era da tanto che lui aveva imboccato una via senza luce.
Si
voltò ed entrò nella sua casa, ormai buia.
(...)
-Oh, beh!- esclamò Ace, balzando giù dalla sua
imbarcazione.-Sono arrivato molto più in fretta del previsto!-
Si guardò intorno. Era approdato su una
bella spiaggia dalla sabbia dorata e lucente, che però in quel momento era
oscurata dall’ombra delle nuvole temporalesche, che riflettevano sul mare il loro
malumore.
Il giovane si mise le mani sui fianchi e
guardò il cielo. Una luce improvvisa tagliò in due il cielo per scomparire in
un istante, e pochi secondi dopo la seguì il rombo di un tuono in lontananza.
Proprio un momentaccio, si disse Ace, stava anche per piovere. Lasciò scivolare
lo sguardo sull’ambiente che lo circondava: dalla spiaggia alla sua destra,
agli alberi alti che si stagliavano a pochi metri da lui, alla sua sinistra,
dove la battigia si stendeva a vista d’occhio esattamente come dall’altra parte.
Si calò un po’ il cappello sul viso e sorrise. Sembrava che il tipo della
locanda avesse ragione, riguardo alla foresta.
Così, Ace decise di ispezionare la
spiaggia che circondava l’isola, stabilendo che poi avrebbe cercato quel
villaggio di cui gli aveva parlato l’oste. In tal modo, avrebbe cercato qualche
indizio su Barbanera e, soprattutto, si sarebbe rifocillato a dovere.
Dopotutto, lo stomaco iniziava già a protestare!
Sbadigliò e se ne andò fischiettando.
Angolino dell’autrice:
Eccomi ^^! Sempre presente XD
Comunque... Spero che questo capitolo
non sia stato troppo noioso, ma sinceramente io lo adoro *_*. Non so se si è
notato, ma a me piace descrivere i sentimenti umani, i dolori e la gioia delle
persone, e quando scrivo vorrei trasmettere questi sentimenti al lettore.
Ovviamente, mi reputo ancora alle prime armi (soprattutto perché parlando di
Phatos, non parliamo di noccioline), ma faccio del mio meglio. Adoro le parti
comiche ovviamente, e mi piace inserirne dove posso, ma in certi passi
preferisco mantenermi sui sentimenti delle persone in quanto tali, senza mutare
nulla.
È come se i miei personaggi, solo
allora, acquisissero una forma e una vita propria, e io riesco a sentirli in me
e a caratterizzarli al meglio.
Un’altra osservazione. Nonstante il
contrasto luce/ombra nel contesto dello smarrimento morale delle persone sia un
tema abbastanza utilizzato, io lo adoro. Per me non passa mai di moda e mi
piace utilizzarlo nelle mie composizioni. Così come non è un caso che Arissa
all’inizio sia illuminata dai raggi della luna. Ho scelto questa situazione per
rappresentare questo personaggio ancora immaturo, indeciso. Così come i raggi
della luna non sono quelli intensi e caldi del sole, Arissa è delicata e ancora
fragile, a volte troppo fredda e rigida.
Ancora, e dopo giuro che ho finito (XD),
è l’attenzione che vorrei puntare sul tema della storia: i Sogni. Non a caso il
titolo si chiama “Nel cuore dei sogni”, non l’ho messo soltanto perché ne avevo
voglia. Mentre nella mia precedente fic “Homless” (giusto nipote? XD) è
dedicata al tema della libertà personale e collettiva, (e infatti ricorre
spesso questa parola nel corso della storia), questa fiction sarà dedicata ai sogni. Sogni irrealizzabili,
irrealizzati e da realizzare; tema che, tra parentesi, secondo una mia visione
personale, domina anche nel mondo di One Piece. Dunque, questo capitolo diventa
il nodo centrale della storia: è da qui infatti, che comincerà la storia di
Arissa.
tre88: sono contenta
che ti sia piaciuto il capitolo ^^. Devo ammettere che mentre scrivevo avevo
anche io l’impressione che quei due fossero dei detective XD. Ti ringrazio
molto per aver recensito ^^ X3. È un sollievo per me sapere che trovi la storia
interessante ^^
Alla
prossima! Un bacione
Akemichan: *si appunta
tutto quello che dice su un taccuino, come Arissa* Ovviamente i capitoli
divertenti ci saranno all’arrivo di Ace. Per adesso sono tutti in fase cupa XD.
Probabilmente hai capito bene XD... Infatti più che altro mi sto divertendo ad
immaginare la storia, più che ad arrivare alla fine XD. E poi ho ancora tutti i
compiti da fare XD... Che disastro!
Un
bacio!!! *saluta con entusiasmo*
ayumi_L: eh, già...
giusto su con la vita XD. Comunque secondo me sta passando... X3 Va già meglio,
anche se non benissimo!
the one winged angel: nipoteeeee!!! Mi prendeva quasi a male pensare che non
ci saremmo più sentite fino al dieci ottobre ^^!!!! Che bello!!!!
Comunque,
mi spiace anche a me per Kaguya... ma era necessario per mettere in moto la
nostra eroina XD.
Infatti,
Shanks ha una faccia buona ^^ Non esplicitamente losca come quella di Barbanera
... (quanto lo detesto!!!)
Eh,
purtroppo non è un bel periodo, no... Ma tutti voi (e tu in particolare,
insieme ad altri), mi tirate sempre su il morale ^^. Per questo, qualunque sia
la sorpresa, anche se piccola, non devi sentirti in imbarazzo!! *_*
Purtroppo
non posso dilungarmi tanto per causa compiti, ma sappi che io ti ringrazierò
sempre e mai abbastanza per tutto quello che fai per me!!! ^^
La stanza oscura veniva illuminata un istante
sì e l’altro no dai lampi, e non appena aperti gli occhi, tutto ciò che stava
intorno alla ragazza stesa sul letto era appannato. Ogni tentativo di vedere
più chiaramente sembrava fallire, ogni suono, compreso quello del temporale,
appariva ovattato e confuso. Tutto, nella sua testa, era confuso; rimaneva
soltanto uno strano odore di bruciato, un dolore lancinante al braccio destro e
una spossatezza di cui non avrebbe saputo chiarire la provenienza.
Dov’era
finita?
Tentò di mettersi a sedere, ma sbattè contro
qualcosa e ricadde sdraiata sul letto. Appoggiò la testa sul cuscino e cercò di
capire cosa si fosse presa di petto.
-Il
medico ha detto che devi stare sdraiata- l' apostrofò una voce.
Il
qualcosa, pensò la ragazza, era un qualcuno.
Il
braccio continuava a bruciare dolorosamente, così come la testa continuava ad
essere completamente... Vuota.
-Pensavo
che non l’avresti più finita di strillare- stava dicendo intanto la voce,
chiaramente appartente ad un giovane.-Come hai detto che ti chiami...? Arissa,
giusto?-
La
ragazza aprì gli occhi e voltò la testa verso sinistra. Le tre figure sfocate
che vedeva si fecero pian piano più nitide, fino a sovrapporsi. La voce
apparteneva ad un ragazzo di vent’anni, che seduto a cavalcioni su una sedia di
legno, parlava ignorando lo stato di semi incoscienza in cui si trovava Arissa.
-Arissa...?-
borbottò la ragazza, passandosi una mano sulla fronte sudata.-Sono io?-
Lui
scoppiò a ridere e si dondolò un po’ sulla sedia, ricevendo in risposta una
smorfia di dolore.-Sei divertente- osservò, mentre la ragazza riusciva
finalmente a mettersi seduta sul letto.
-Mi
fa male il braccio- osservò Arissa, abbassando lo sguardo sulla fasciatura
bianca che aveva al braccio sinistro.-Cos’ho?-
-Un’ustione-
rispose il ragazzo.
-Ustione?-
domandò Arissa, perplessa.-Grave? Mi brucia.-
-Abbastanza
grave da lasciarti la cicatrice- rispose lui, posando una mano sul cappello per
calarselo un po’ sugli occhi.
Arissa
lo interruppe subito.-Cicatrice?-
Lui
le sorrise amichevolemente, senza aggiungere nulla.
-Tu chi sei?-
-Ma
come, non te lo ricordi? Ci siamo già presentati prima!-
Prima? Prima
quando? E prima di cosa?
-Qual
è il tuo nome?- domandò Arissa, dubbiosa.
Il
giovane alzò il pollice della mano come per dirle che andava tutto bene e le
rispose:-Ace.-
Arissa
lo guardò un pò, poi si girò a guardare il vetro della finestra che veniva colpito
senza sosta dalla pioggia.-Dove siamo?-
-A
dire il vero non lo so neanche io. Avevo bisogno di fermarmi all’isola più
vicina che avrei trovato.- Disse Ace, ridendo.
-Non
ricordo niente.- Affermò Arissa, passandosi una mano tra i capelli. Sentì che
stranamente erano sudati e bagnati, e a dire il vero, anche il vestito che portava
era bagnato. Addirittura puzzava di fumo!
-Non
lo so neanche io cos’è successo quando sei entrata in quella casa in fiamme.
Quando ti ho portata fuori eri priva di sensi.- Le riferì Ace.-... Ei, non
guardarmi in quel modo.-
Arissa
fece una smorfia.-Sono entrata in una casa in fiamme? E perché?-
-Ah,
non chiederlo a me!- esclamò Ace, alzando gli occhi al soffitto.
-Per
questo sono bruciata?- domandò Arissa, accennando alla fasciatura che le
avvolgeva l’avambraccio.-E perché non ricordo niente?-
-Senti.
Facciamo così: adesso riposati. Al resto ci penseremo dopo.- Propose Ace.-Una
bella dormita è quello che ci vuole, dai retta a me...- Si alzò dalla sedia
senza smettere di sorridere.
-Tu
sai il mio nome.-
-Ci
siamo presentati prima.-
-Prima
quando?-
-Riposati-
ordinò lui, ridendo.-Vedrai che dopo andrà meglio... Io intanto vado a fare uno
spuntino...-
Arissa
tentò di trattenerlo, ma prima che potesse inventarsi qualcosa da dire, Ace era
già uscito dalla stanza, allegro.Lei rimase sul letto a pensare a quale
avrebbe potuto essere il passo successivo per riuscire a ricordare qualcosa.
Decise
che era ora di alzarsi dal letto e dare un’occhiata alla stanza.
Appoggiò
i piedi a terra e si alzò lentamente. Il vestito di cotone bianco le scivolò
sulle gambe, e lei lo guardò pigramente. Era sporco e anche bagnato.
Non
seppe dire se la condizione pietosa in cui versava il proprio vestito fosse un
segno buono o cattivo, ma tutto ciò che doveva fare era stare calma e pensare
con lucidità. Forse avrebbe potuto ricordare qulcosa di quel passato che ora
proprio non riusciva a capire.
S’inginocchiò
e guardò sotto il letto.
Una
tracolla verde scuro.
Allungò
una mano e la afferrò rapidamente, la trascinò a sé e la aprì senza esitare.
C’era qualcosa: una carta geografica arrotolata. Nient’altro.
La
stese sul pavimento e la esaminò rapidamente. C’era un’isoletta cerchiata con
un pennarello rosso: un puntino quasi invisibile su cui era stato scritto con
una grafia chiara e precisa “Tharaa”.
Arissa
fu contenta. Quella era la sua grafia, ne era sicura. Questo voleva dire che
quell’isolotto poteva essere legato al suo passato, in qualche modo. Forse Ace
le avrebbe saputo rispondere.
Tuttavia
un altro problema era proprio Ace. Chi fosse, da dove arrivasse e da quanto
tempo si conoscessero era un mistero, e ancor più lo era scoprire dove l’avesse
portata.
La
ragazza ripose la carta nella borsa e lancià quest’ultima sotto il letto. Ed
ecco un’altra cosa di cui era certa: quella borsa le apparteneva.
Si
alzò e si sgrullò il vestito dalla polvere, sebbene quello rimanesse infangato
e bruciato.
La
stanza era quadrata, dalle pareti tappezzate di carta da parati verde muschio.
Nessun quadro, nessun ornamento: solo un comodino di legno su cui erano
poggiate alcune bende e altre cianfrusaglie, il letto disfatto e la sedia su
cui prima era stato seduto Ace. La finestra era piccola e quadrata, e la luce
era davvero scarsa perché era solo quella delle due lanterne appese ai lati
della porta.
Arissa
avrebbe gradito specchiarsi, ma la cosa non sembrava essere possibile. Riusciva
a vedere un accenno alla sua figura, attraverso il vetro della finestra.
Soltanto la sagoma.
Uscì
dalla stanza senza fare rumore.
Il
corridoio esterno terminava alla sinistra di Arissa con un imponente armadio di
ferro chiuso a chiave, mentre alla destra della ragazza le pareti correvano
fino a terminare in una rampa di scale che portava al piano di sotto. Si
susseguivano altre porte come quella che Arissa si era appena chiusa alle
spalle, fino alla fine del corridoio.
La
ragazza si spostò alla sua sinistra e guardò l’armadio, lo toccò, lo esaminò,
provò a forzare la serratura, poi si mise le mani sui fianchi e sospirò. Rimase
in ascolto: si sentivano delle voci provenire dal piano di sotto. Diede le
spalle all’armadio e decise di raggiungere la fonte di quel parapiglia. Mano a
mano che si avvicinava alle scale la baraonda aumentava di volume, fino a che
Arissa potè distinguere delle voci in coro che cantavano, rumore di vetro e in
più le note stonate di un pianoforte.
Si
fermò quando arrivò in fondo alle scale.
È un’osteria...
La
gente che cantava e brindava, annoverava per lo più pirati, alcuni più
raccomandabili di altri, impegnati a perdere tempo con risate, barzellette di
pessimo umorismo e liquori. I tavoli erano tutti disposti in modo
confusionario, alcuni erano troppo affollati, altri completamente vuoti: uno in
particolare era pieno di gente che mangiava, beveva e intanto tirava i dadi.
Le
porte dell’osteria erano chiuse, ma un tipo mezzo ubriaco stava per essere
accompagnato fuori da un giovane.
Arissa
si guardò intorno, intimorita. Si scansò immediatamente non appena un pirata le
passò accanto per salire al piano di sopra. Le rivolse uno sguardo che lei si
accurò di evitare, poi sparì per le scale.
-Ah!
La ragazza si è svegliata!- esclamò una voce rauca.
Il
braccio di un uomo sulla trentina alto e smilzo, calvo, e dall’aria abbastanza
languida, le circondò le spalle.-Come va il braccio?-
Lei
si liberò immediatamente della presa e si allontanò di almeno un paio di metri
da lui, poi rimase a squadrarlo con aria diffidente.-Chi sei?-
-Sono
il dottor Hakabane!- esclamò lui, indicandosi.-Bel modo di ringraziare qualcuno
che ti ha salvato la vita!-
-Io
non so chi sei- replicò Arissa, in tono asciutto.-Dov’è Ace?-
Il
medico sospirò e indicò il bancone.-Laggiù. Potresti esprimere un po’ più di
gratitudine, però...-
Arissa
scosse la testa freneticamente e si allontanò a passo svelto, cercando di non
urtare nessuno dei pirati, né di dare fastidio ad alcuno che avrebbe potuto
procurarle guai. Arrivò al bancone inciampando sugli sgabelli che una donna
ingombrante e goffa le aveva rovesciato addosso, e si sedette accanto a Ace.
-Ace...-
Lui
se ne stava con la testa appoggiata sul bancone, davanti a una decina di piatti
vuoti.
-Ace!-
esclamò Arissa, battendogli la mano sulla spalla.
-Guarda
che è inutile- intervenne il medico, che intanto l’aveva raggiunta.-Quel tipo
soffre di narcolessia, non si sveglia neanche con le cannonate-
Arissa
gli lanciò un’occhiata sospettosa e continuò a scuotere Ace per la
spalla.-Svegliati! Ho bisogno del tuo aiuto!-
-Senti
ragazzina, perché non andiamo di sopra e mi fai vedere la ferita?- domandò il
medico, insistente, mentre allungava una mano per afferrarle il polso.
-Lasciami
stare- rispose Arissa, nervosa.-Non ti conosco.-
In
quel momento, Ace si tirò su e sbadigliò sonoramente. Sembrava ancora nel mondo
dei sogni, ma per lo meno era sveglio.
-Ace!-
esclamò Arissa, sollevata.
Lui
si guardò intorno, individuò l’uomo alle spalle di Arissa, poi sbadigliò di
nuovo e commentò:-Alla fine non mi ha dato retta.-
-Non
avevo voglia di riposare- rispose Arissa.-Chi è quest’uomo?- domandò, indicando
il medico che sorrideva sfregandosi le mani.
-Ah,
quello è il tuo medico- fece Ace, sorridendo.-Avevo una fame...-
-Non
ho bisogno di un medico- replicò Arissa, alzandosi dallo sgabello per
nascondersi dietro a Ace.
-Che
ti prende?- domandò il giovane, voltandosi verso di lei.
-Non
mi fido di quel tizio!- esclamò Arissa.
Il
medico sospirò.-Ma io non volevo fare niente di male...-
-Ace,
andiamo via...-
-Dobbiamo
proprio? Io ho ancora fame!- protestò Ace.-E poi non posso mica scarrozzarti a
destra e a sinistra... Non sono una nave da crociera...-
Lei
lo ignorò.-Vado a prendere la mia borsa e andiamo!-
(...)
-Insomma
non mi stavi prendendo in giro quando dicevi di non ricordare nulla.- Disse
Ace, mentre uscivano dall’osteria.
Arissa
si sistemò la borsa a tracolla.-Ovvio. Non ricordo niente. Mi chiedevo se
potevi darmi una mano a ricordare qualcosa...-
-Non
credo di poter fare molto- disse Ace,-Io sono arrivato sulla tua isola tre
giorni prima che ci incontrassero. Mi sono fermato un po’ all’osteria, ho fatto
un paio di ricerche e poi ho deciso che dovevo andarmene. Soprattutto perché
avevo notato che c’era qualcosa che non andava.-
Lei
lo fissò.-Del tipo?-
-C’era
molta gente malata, in giro.- Rispose Ace, stringendo i pugni.-Stavo per
andarmene, quando una ragazzina è venuta a cercarmi. Non ricordo il suo nome,
ma ha detto che una sua amica, cioè tu, era scomparsa nel bosco qualche giorno
prima.-
-Sei
venuto a cercarmi?-
-E
fortuna che l’ho fatto. Altrimenti non ti avrei trovata stesa dentro una specie
di grotta in riva al mare. C’era un mostro a fare la guardia all’entrata, ma
l’ho sconfitto subito!- esclamò con orgoglio.-Poi sono venuto da te.-
Arissa
chiuse gli occhi. Il mostro. Il frutto. Il libro.
-Il
libro!- esclamò improvvisamente.-Non hai trovato nessun libro?-
-No.
Solo quella borsa-
-Certo,
il libro era nella borsa- disse Arissa. Corse a frugare nella tracolla,ma c’era soltanto la carta geografica che le
aveva dato Shanks.
Improvvisamente
le accorsero alla mente vaghi ricordi ammassati alla rinfusa, piccoli scorci
del passato che aveva appena vissuto. Suo padre e la sua diperata ricerca di
una cura per la malattia, la partenza per cercare il frutto Tam-Tam, che aveva
trovato in una grotta in riva al mare. Ricordò un mostro che l’aveva attaccata
e morsa, poi la malattia che era sopraggiunta.
Si
fermò e si guardò le mani.
Fisicamente
non sembrava esserci stato alcun cambiamento. Forse il frutto Tam-Tam non era
poi così efficace. Era soltanto un bel frutto rotondo di colore rosso cremisi
che le era sembrata l’unica fonte di salvezza.
-Ti
sei imbambolata per caso?- gridò Ace. Era già lontano, e lei gli corse dietro
immediatamente.
-Adesso
mi ricordo quasi tutto. Almeno tutto quello che c’è stato prima del mio
risveglio...-
-Dopo
siamo tornati al villaggio- raccontò Ace, in tono meno spensierato rispetto a
poco prima.-Alcuni avevano appiccato il fuoco ad una casa, e tu sei entrata
immediatamente.-
Arissa
si portò una mano dietro il collo.-Ho come l’impressione che qualcuno mi abbia
stordita.- Emise un gemito.-Non riuscirò
a ricordare niente se non do un’occhiata a quella casa... Avrebbe potuto essere
casa mia, o casa di Cammy! Cammy era con te quando sono entrata nella casa in
fiamme?- domandò preoccupata.
Ace
sorrise e scosse la testa.
(...)
-Riesci a
camminare?- chiede Cammy, con voce flebile, togliendo dal sentiero boscoso i
rami e le foglie che erano stati rotti dalla recente tempesta.
Arissa fa una
smorfia e alza gli occhi al cielo coperto da nuvole nere. Le fronde degli
alberi si muovono, scosse dalla tramontana, mentre gli uccelli scappano e
trovano rifugio nei posti più sicuri che può offrire il bosco.
-Sì- risponde
Arissa dopo aver valutato la situazione.-Dobbiamo sbrigarci- aggiunge.
Ace la segue e
si guarda intorno.-Conoscete la strada?-
-Abitiamo qui da
sempre- afferma Cammy, arrossendo.-Conosciamo l’isola a memoria!-
Arissa mette a
tacere tutti con un gesto rapido della mano, e a grandi falcate si mette a capo
del gruppo, procedendo svelta e sicura per il sentiero. Dietro, Ace avverte
l’atmosfera farsi pesante.
Arrivano così al
limitare del bosco, e Arissa indica le case del villaggio.
C’è qualcosa che
non va. In lontananza si vede del fumo che sale verso il cielo e viene spazzato
via dal vento, senza contare le urla e gli schiamazzi che provengono dalle
strade. Alcune ombre scure vengono proiettate sul muro di una casa. Sono ombre
alte di uomini che in mano tengono qualcosa di fino e allungato, che termina in
un forcone appuntito.
Le due ombre
rimangono fisse nello stesso punto per un po’, poi si rimpiccioliscono sempre
di più e scompaiono, e al loro posto spuntano i loro proprietari che corrono
verso una direzione precisa.
Arissa vede i
due uomini e capisce. Lancia uno sguardo a Cammy e li segue a capofitto senza
dare spiegazioni.
Nella sua borsa
sente rimbalzare il diario e la mappa. Corre a perdifiato per le strade,
urtando la gente che corre con dei secchi d’acqua in mano. La sua mente è poco
lucida, sa solo che deve arrivare in minor tempo possibile alla fonte di quel
fumo. Il villaggio è piccolo, non avrebbe dovuto metterci molto tempo. Sente
Ace e Cammy la stanno seguendo, intimandole di fermarsi.
Arrivata vanti
una casa in fiamme, Arissa si guarda intorno: la gente che è sotto la finestra
grida e alza pale e picconi al vento.
Poi il ricordo
diventa più confuso, fino a svanire in una nube bianchiccia.
Note
dell’autrice:
Mi
scuso per l’enorme ritardo, ma non ho avuto neanche un briciolo di tempo ç_ç…
Tantopiù che ho dovuto modificare l’intreccio della storia *_*… Spero di
continuare durante le vacanze di natale *guarda il cielo speranzosa*. Per
adesso non posso rispondere alle recensioni, ma nel prossimo capitolo tenterò
di farlo... Intanto ringrazio i preferiti: milla96,
the one winged angel, tre88, yunix07
E
i seguiti: ayumi_L, Elly11, Killy, kirej,
Miki michaelis, Sofi_Chan, tre88,
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