Holmes' Private Life [Il cassetto delle memorie perse] di ginnyx (/viewuser.php?uid=71909)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Holmes' Private Life [Il cassetto delle memorie perse] ***
Capitolo 2: *** Ossia, la strana giornata della sincerità ***
Capitolo 3: *** Il breve caso dell'innominato [Parte uno] ***
Capitolo 4: *** Ossia, il breve caso dell'innominato [Parte due] ***
Capitolo 5: *** Ossia, il breve caso dell'innominato ***
Capitolo 6: *** Gli orologi di Baker Street ***
Capitolo 7: *** L’avventura dei tre Garrideb, i postumi. ***
Capitolo 8: *** Tempi Moderni ***
Capitolo 9: *** Combattere per il sole ***
Capitolo 10: *** Scorci di vita, scorci di cuore ***
Capitolo 11: *** Promesse ***
Capitolo 12: *** Eroi e confronti ***
Capitolo 13: *** Priorità e scelte ***
Capitolo 14: *** L'ultimo caso. Un epilogo ***
Capitolo 1 *** Holmes' Private Life [Il cassetto delle memorie perse] ***
Holmes' Private Life1-Il cassetto delle memorie perse
Holmes’ Private
Life
[Il
cassetto delle memorie perse]
Il
vento soffia, il sole splende e due tombe, ingrigite dal tempo, si ergono nel
fondo di un cimitero di una piccola cittadina del Sussex.
Queste
due, ferme nella loro posizione, vicine, quasi attaccate, affrontano le
intemperie del tempo come i loro proprietari affrontarono anni prima le
intemperie della vita.
Ma,
cercando di perdere quel brutto vizio tipico degli impazienti, partirò
dall’inizio, da come e chi scelse quelle due tombe.
Faceva
freddo, ma la primavera era ormai alle porte. In una casetta a nord del Sussex,
due uomini erano seduti davanti al camino acceso, a scaldarsi le membra
intorpidite dall’età che avanzava. Accomodati ognuno sulla propria poltrona,
leggevano in silenzio, in quel silenzio senza pretese tipico delle persone che
si conoscono da tanto tempo.
Uno
dei due, un uomo con dei floridi baffi grigi, non prestava molta attenzione
allo scritto che teneva in mano e, dopo aver passato dieci minuti sulla stessa
frase, decise di riporlo e di
concentrarsi sul fuoco e sui suoi pensieri.
L’altro,
un uomo di straordinaria statura, osservava le mosse del suo compagno nascosto
dietro le pagine del proprio libro.
A
un primo esame parevano semplici signori di una certa età, ma a un attento
osservatore non sarebbero sfuggiti gli occhi luccicanti di entrambi. Occhi che
celavano segreti, complotti e scandali. Era lampante che gli anni migliori
erano passati per tutti e due, lasciando solo la dolcezza dei ricordi di una
gioventù sbiadita. Ne avevano da raccontarsi, da rievocare, di avventure.
Eppure,
nonostante il passaggio delle primavere si facesse sentire, erano sempre loro.
Sherlock
Holmes, unico e celeberrimo consulting detective londinese, e il dottor John H.
Watson, suo biografo e fido compagno di avventure.
Se
al loro primo incontro nel lontano 1881, li univano necessità e curiosità,
adesso, dopo aver affrontato mille avventure, c’era un bisogno diverso.
Il
bisogno di avere qualcuno con cui parlare, confidarsi, ridere, piangere e
ricordare.
Bisogno
di un amico.
Perché
era proprio questo che erano.
Amici,
semplicemente amici.
Così
semplicemente che ormai non potevano più farne a meno.
Qualcosa
più forte del sangue, dell’amore e della necessità li teneva uniti, aggrappati
l’uno all’altro. Neanche i due matrimoni di Watson avevano potuto tenerle
quest’ultimo lontano troppo a lungo dal suo amico Sherlock Holmes.
Ed
ora, entrambi soli al mondo, passavano le giornate assieme, finché la sera non
calava e ognuno si ritirava nella rispettiva stanza.
-La
vedo pensieroso, Watson. Qualcosa la turba?-, chiese il famoso detective,
rinunciando al suo libro sul medioevo.
L’interpellato
si riscosse dal torpore dei suoi pensieri e si girò verso l’amico.
-Niente
di preoccupante, Holmes. Sono solo un po’ stanco.
-Così
stanco da abbandonare il libro che l’altra sera l’ha tenuta sveglio fino a
notte inoltrata?
Il
buon dottore rise di cuore a quella osservazione, era proprio vero che il lupo
perde il pelo, ma non il vizio.
-Mi
ha scoperto, come al solito, ma capiterà la volta in cui riuscirò a prenderla
in contropiede e avrò la mia piccola rivincita!
L’altro
sbuffò divertito e si accoccolò meglio sulla poltrona.
-Mio
caro Watson, forse lei non se n’è reso conto, ma l’ha già fatto molte volte,
troppe per i miei gusti.
L’ex
soldato sorrise a quell’implicito elogio, ma la sua mente era concentrata su
altro. Infatti subito dopo tornò a far vagare il suo sguardo e, quando si
soffermò sull’orologio, si rese conto dell’ora tarda. Fece perno sulle braccia
per alzarsi, ma appena in piedi una piccola smorfia sul suo viso annunciò
quello che sarebbe accaduto successivamente. Holmes, notando quei chiari
segnali, si lanciò velocissimo a sostenere l’amico, evitandogli una brutta
caduta.
-Vedo
che è ancora capace di quegli scatti micidiali che mi stupivano anni fa e che
mi stupiscono tutt’ora-, cercò di scherzare Watson.
-E
se ben ricordo, lei era dottore, quindi dovrebbe sapere come sta la sua gamba-,
gli rispose con bonaria ironia Holmes.
Il
detective lasciò la presa sul suo coinquilino solo quando si fu scrupolosamente
accertato della sua stabilità.
-Sa,
Holmes, mi sento veramente stanco, penso proprio che dormirò come un sasso-,
disse il dottore incamminandosi verso la camera, ma a un certo punto si fermò,
tentennò un po’ incerto sul da farsi e poi continuò a parlare. –Ormai alla mia
età si ha bisogno di dormire. Non… non mi svegli domani mattina… Mi lasci al
mio lungo sonno.
Le
parole dell’amico avevano stuzzicato la mente del detective, che fece scorrere
lo sguardo sulla figura che gli si stagliava davanti. L’abito, i baffi, il
bastone, erano sempre gli stessi di tanti anni prima. Niente pareva cambiato.
Come rincuorato da questa visione, Holmes fece cenno di aver inteso. Watson era
sempre stato un po’ pigro, ma nel momento del bisogno sapeva diventare una
tigre e questo lui lo sapeva bene.
Così
si salutarono, dandosi tranquillamente la buonanotte, ma non sapendo che quella
sarebbe stata l’ultima volta.
La
notte lasciò spazio al giorno e un meraviglioso sole illuminò il paesino del
Sussex. Holmes si svegliò abbastanza presto e fece il suo mattutino controllo
delle api. Si soffermò per annotare alcuni dettagli sul suo taccuino e poi
rientrò in casa, dove la sua governante aveva appena preparato la colazione. La
mattinata procedette tranquilla e il detective rispettò il desiderio del suo
amico di rimanere a letto, ma quando allo scoccare delle dodici il dottore non
si era ancora alzato, decise di prendersi la libertà di svegliarlo.
Con
passo tranquillo camminò lungo il corridoio, per poi bussare alla porta.
-Watson,
sono le dodici, non vorrà saltare il pasto.
Passarono
i secondi, ma il silenzio non si spezzava.
-Watson?-,
chiese questa volta con leggera preoccupazione.
Batté
più forte contro il legno, ma niente gli giunse in risposta. Il suo amico era
sempre stato molto sensibile ai rumori forti per via dell’Afghanistan, avrebbe
dovuto sentirlo subito.
Provò
ad aprire la porta, ma era chiusa a chiave. Questo spaventò ancora di più
l’uomo. Il suo amico non aveva mai chiuso la porta della sua stanza con la
serratura, neppure a Baker Street. Doveva essere sicuramente successo qualcosa.
Con
una certa agitazione, la mente più macchinosa di tre continenti si mise
all’opera per buttare giù la porta.
Ma
quando ci riuscì, rimase senza fiato davanti alla più orrida delle visioni.
Watson,
il suo biografo, il suo compagno di avventure, il suo amico, era sdraiato sul
letto.
Pallido,
come solo la morte può essere.
Subito
gli corse al fianco, ma invano gli cinse il polso in cerca di qualche battito.
Holmes
si strinse le mani fino a sbiancarsi le nocche, quasi irato per la sua
impotenza, per la sua stupidità. Come aveva potuto non capire? Eppure ieri sera
era così strano, avrebbe dovuto intuirlo. Dalle sue parole, dai suoi gesti.
Come aveva potuto ignorare quei segnali che il dottore gli aveva lanciato?
“Lungo sonno” aveva detto la sera prima, ma era questo quello a cui alludeva,
al sonno eterno? Sapeva che sarebbe…?
Strinse
gli occhi e aggrottò la fronte.
No,
no, no. Non era possibile, come avrebbe potuto capirlo? Una sensazione, un
presagio? E anche ammesso che lo sapesse, perché non gliene aveva parlato?
Troppe
domande senza risposta gli aleggiavano nella mente. Stava giungendo a
conclusioni affrettate senza avere prove certe e questo, lo sapeva bene, era la
cosa peggiore che si potesse fare nel suo mestiere.
Sospirò
mestamente e si passò una mano sulla fronte. Adesso cosa doveva fare?
Sollevò
lo sguardo su quel viso di cui conosceva ogni minima espressione.
Sorrideva
il buon dottore, sorrideva.
Con
lo stesso sorriso che il detective gli aveva visto in volto il giorno in cui si
erano incontrati.
Il
mondo poteva cambiare, evolversi, girare al contrario, ma Watson sarebbe
rimasto sempre lo stesso. L’unico perno fisso in un epoca di cambiamenti.
E
lui l’aveva perso, perso per sempre.
Quel
pensiero gli trapassò il petto, doloroso come non mai.
Sherlock
Holmes era una macchina, Sherlock Holmes era solo l’appendice del suo cervello,
Sherlock Holmes non si lasciava andare a blandi sentimenti.
Ma
quello era blando? Quel dolore che sentiva all’altezza del petto, dove avrebbe
dovuto esserci solo pietra, era veramente così increscioso?
Lo
stava distruggendo, lo stava distruggendo dall’interno, eppure era l’unica cosa
che ancora lo teneva legato a quel corpo morto disteso sul letto.
Ecco,
doveva pensare come se fosse uno dei suoi soliti casi e quello a fianco a lui
fosse un cadavere come un altro.
Ma
era Watson, per Dio, Watson, non un essere qualunque.
Calma,
calma, non doveva perdere la calma. Prima o poi tutti muoiono soprattutto
quando l’età avanzava, lo sapeva benissimo. Suo fratello era morto anni prima e
gli era dispiaciuto moltissimo, ma non gli aveva fatto questo effetto.
Perché?
Ecco
la domanda giusta, la traccia giusta.
Perché
Watson sì e Mycroft no? Quali erano le differenze? Entrambi erano morti sereni,
nelle loro case e quando avevano già speso molti anni della loro vita. Mycroft
morto d’infarto fulminante, invece Watson… Watson di cosa era morto?
Il
suo sguardo s’illuminò e con passo marziale si diresse fuori dalla stanza.
Incurante delle proteste e delle domande della governante, rientrò nella stanza
dell’amico senza aver cenato o accennato ai fatti successi e dando alla donna
la giornata libera.Quando si fu chiuso la porta alle spalle in mano aveva uno
dei suoi vecchi ferri del mestiere, un attrezzo speciale in grado di
aprire qualsiasi serratura.
-Mi
dispiace, vecchio mio- disse mentre si avvicinava alla vecchia scrivania
proveniente da Baker Street, –Ma devo scoprire la verità.
Cercava
telegrammi, documenti, fatture, qualsiasi cosa che potesse dargli informazioni
sulla salute di Watson.
Non
aveva ancora trovato niente quando, alle prese con l’ultimo cassetto, un doppio fondo si svelò ai suoi occhi.
Se
chiedi a qualcuno cosa si tiene nei cassetti, sicuramente ti risponderà “sogni”
oppure “calzini”, ma se lo chiedi a chi conosceva il dottore ti dirà “documenti
medici”, “l’elenco dei clienti”, magari lo stetoscopio. Ma in un doppio fondo?
Cosa poteva tenere Watson in un doppio cassetto di cui neanche lo stesso Holmes
sapeva l’esistenza?
Delicatamente
il detective lo sollevò, mostrando la soluzione del problema.
Gli
venne quasi da sorridere.
Piena
di polvere e mezza sfilata dal suo astuccio faceva la sua comparsa la vecchia
siringa ipodermica di Holmes, tanto odiata dal suo amico. Ci aveva messo anni
per liberarsene e senza l’aiuto di Watson non ce l’avrebbe mai fatta, ma
nonostante il pericolo fosse ormai lontano il dottore aveva voluto nasconderla,
“onde evitare future ricadute” aveva detto. Di fianco ad essa, però, c’erano
cose ben più interessanti che attirarono l’attenzione di Holmes.
Fogli
ingialliti, tanti fogli ingialliti, tutti racchiusi in un'unica cartella su cui
si stagliava l’inconfondibile calligrafia del suo amico.
Dopo
averla osservata per bene prese una sedia e, spostatala vicino al letto, ci si
accomodò sopra.
-E
così, Watson, è riuscito a sorprendermi anche questa volta, è riuscito a
prendersi la sua rivincita per l’ultima volta-, disse con nostalgia, sorridendo
pallido al corpo affianco a sé.
Strinse
la carpetta tra le mani e per un attimo chiuse gli occhi. Quando li riaprì era
pronto. Pronto a leggere di nuovo, per l’ultima volta, le avventure narrate da
Watson, suo biografo e compagno d’avventure ma, soprattutto, suo amico.
Questa
cartella racchiude in sé memorie perse, nascoste, custodite, verità celate
anche ai propri cuori.
Questa
cartella è stata creata per nasconderle al mondo, ma al tempo stesso per non
dimenticarle.
Questa
cartella contiene cose così private, che io stesso ho convenuto che non sono
sicure neanche in mano mia, preferendo lasciare a questo cassetto l’onere di
custodirle.
Questa
cartella potremmo chiamarla “Holmes’ Private Life”.
***Angolino
della squinternata***
*Si
percuote da sola, essendo cosciente di aver ucciso Watson*
Mi
dispiace, mi dispiace veramente, ma non uccidetemi, se no non saprete mai il
contenuto della cartella! La morte del dottore era una cosa inevitabile, ma io
l’ho fatta nella maniera più dolce e tranquilla possibile. Forse Holmes vi sarà
sembrato un po’ OOC, ma a me no. Insomma, non sarebbe mai rimasto freddo come
un ghiacciolo davanti alla morte di Watson! Ho sempre voluto sfatare il mito
dell’ Holmes polaretto, perché sì sarà un po’ austero ma non insensibile e il
Canone ce lo dimostra in 200 modi diversi. Ma non sono qui per polemizzare. Mi
dispiace se avete trovato il mio Holmes OOC, ma per me non lo è. Naturalmente
pensarla diversamente da me, non vi impedisce di dirmi le vostre impressioni,
sono sempre aperta a nuove interpretazioni se ben argomentate.
Ma
passiamo alla cosa che c’interessa di più (?), la storia.
Questa
storia è un po’ strana, ma cosa non lo è nell’appartamento di Baker Street?
Questa
raccolta inizia così, inizia dalla fine, visto che questo brutto vizio l’ho
sempre avuto xD. Dalla cartella e da dove è trovata, viene il titolo di ciò che
state leggendo. Questo è il prologo, la vera raccolta inizierà con il prossimo
racconto. Avviso subito che nessuna delle avventure che presenterò saranno
scritte in stile Doyleiano, essendo che la qui presente autrice non ci riesce.
Questa
raccolta è un po’ speciale, per non dire strampalata. Nella cartella non sono
raccolti casi, misteri o simili. Ci sono
solo tanti piccoli squarci della vita quotidiana del 221B Baker Street e dei
suoi inquilini. Il titolo parla chiaro, si tratterà la vita privata di Holmes.
Per esempio non vi piacerebbe sapere qualcosa in più sulla infanzia del nostro
consulting detective preferito? Ecco, io vi propongo questo. Quindi niente
gialli, purtroppo.
Tutto
ciò che avete letto è ambientato in un anno non precisato, ma quando sia Holmes
che Watson erano molto avanti con l’età. Sicuramente dopo la prima guerra
mondiale, comunque. Non ho preso una data precisa perché era già troppo
difficile far morire Watson, se poi dovevo scegliere anche quando… Comunque,
come ho specificato, sono “entrambi soli al mondo” e la seconda moglie di
Watson? Morta xD, io non so neanche il suo nome quindi me ne frega poco.
Pensate al povero Watson senza moglie, solo in casa, senza nessuno a cui
appoggiarsi, mi pareva ovvio che sarebbe tornato a vivere con il suo vecchio
amico Holmes, il quale sarebbe stato felicissimo di riaverlo con lui.
Se
la governante vi è sembrata strana, pensate al fatto che né Holmes né Watson
sanno cucinare, pulire o tenere dietro a una casa. Il resto viene da sé, però
per essere precisi, vi informo che la governante non vive con loro, ma in una
casa limitrofa a quella di Holmes, in modo di essere sempre pronta nel bisogno,
ma nello stesso momento di lasciare il dovuto spazio ai due coinquilini.
Ho
cercato di scrivere la storia in maniera molto rilassata, dolce. Senza ritmi
serrati o ansia. Con una serena consapevolezza, oserei dire. Spero che tutto
questo vi sia passato e che non vi sia risultata noiosa.
Vi
ringrazio tantissimo della vostra pazienza, perché sciropparsi tutto questo non
è certamente un divertimento. La mia unica speranza è di avervi provocato
qualche sentimento, di qualsiasi natura esso sia.
Grazie
ancora e al prossimo aggiornamento con il primo documento della cartella, ossia
“La strana giornata della sincerità”
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Capitolo 2 *** Ossia, la strana giornata della sincerità ***
Holmes' Private Life2-Ossia, la strana giornata della sincerità
1. Ossia, la strana giornata della sincerità.
Si
era nella primavera del 1895. Quello fu uno degli anni più prosperi che il
nostro appartamento da scapoli in Baker Street vide.
Era
stata una mattinata stranamente tranquilla. Mi ero insolitamente svegliato verso
le sette e fui sorpreso di vedere il mio coinquilino Sherlock Holmes senza la
sua vestaglia color topo, ma già vestito di tutto punto. Era seduto vicino al
tavolo, dove era stata servita una fumante colazione.
-Buon
giorno, Watson-, mi augurò calorosamente.
-Buon
giorno a lei, Holmes-, risposi cortesemente per poi sedermi vicino a lui.
Sembrava
di ottimo umore e sia il suo appetito che la sua loquacità escludevano
qualsiasi altra ipotesi. Non chiesi nulla su quella sospetta allegria per non
rompere quell’idillio che mi era stato concesso. Quando voleva, Holmes sapeva
essere di eccellente compagnia.
Finito
quel pasto abbondante, il mio amico si alzò di scatto preso da uno di quei suoi
momenti d’iperattività. Io lo seguì con lo sguardo mentre zampettava verso la
sua camera.
Sbattei
più volte gli occhi, incredulo per quella visione. Raramente avevo visto Holmes
così felice. I suoi occhi grigi brillavano di un insolita luce. Proprio due
giorni prima aveva concluso un importante caso, ma poi era caduto nella sua
solita pigrizia. Cosa poteva essere cambiato dal giorno alla notte? Mi alzai da
tavola e ispezionai la stanza, ma non vi trovai niente di rilevante, nessuna
proposta di consulti, nessun caso irrisolto.
-Watson,
cosa ci fa ancora in vestaglia? Si vesta che andiamo a fare una passeggiata!
A
quelle parole mi girai di scatto. Holmes si ergeva di fronte a me, in tutta la
sua altezza, con già il cappotto e il cappello in testa. Non mi stupii della
sua velocità quanto della proposta. Di solito ero io che insistevo per farlo
uscire in quelle occasioni. Accettai immediatamente e non riuscii a reprimere
un ampio sorriso. Decisi di accantonare le mie inutili congetture, che sapevo
non mi avrebbero portato da nessuna parte.
Ci
godemmo la giornata. Londra fu accondiscendente e ci regalò un magnifico sole.
Passeggiammo a lungo e visitammo diversi parchi. Feci notare a Holmes diversi
fiori e uccelli, ma invece delle sue solite risposte secche, ricevetti delle
piacevoli osservazioni.
Passammo
ore serene, finché il tempo non si guastò, obbligandoci a ritornare a casa.
Quando
arrivammo, ordinammo subito alla signora Hudson di preparare il pranzo, che ci
fu servito poco dopo. Durante il pasto, cedendo alla mia smisurata curiosità,
provai a chiedere ripetutamente a Holmes quale fosse il motivo di tanta gioia.
Lui cambiò più volte discorso, così mi rassegnai ad aspettare, come avevo fatto
tante altre volte in passato. Avrebbe deciso lui il momento opportuno in cui
parlarmene.
Dopo
esserci saziati ci sedemmo ognuno sulle rispettive poltrone e, concedendoci una
fumata, ci apprestammo a leggere i giornali del giorno.
Dopo
pochi minuti, Holmes se ne uscì con una strana domanda.
-Lei
crede nella psicologia, Watson?
Alzai
lo sguardo dal quotidiano per posarlo sulla figura rannicchiata di fronte a me.
-Come
prego?
Lui
piegò il giornale buttandolo sul tavolo con fare non curante.
-Le
ho chiesto se crede nella psicologia.
Lo
guardai negli occhi, per cercare uno dei suoi soliti trabocchetti, ma notai
solo una serietà rilassata che non aveva niente a che fare con la sua solita
ironia.
-Uhm,
credo che la psicologia sia una rispettabile scienza e che sia stata molto
utile in molti casi medici, ma non capisco dove vuole arrivare.
Sul
suo volto si fece largo un piccolo ghigno che sparì dietro il giornale appena
recuperato.
-L’articolo
di quest’oggi sul Times parla di un nuovo studio psicologico che spiega
come la sincerità umana venga dall’istinto.
Era
un argomento strano, ma vista la giornata non mi feci troppi problemi.
-Si
spieghi meglio-, chiesi con un briciolo di curiosità.
Lui
alzò lo sguardo verso l’alto e fece un rapido ripasso delle macchie d’umidità
presenti sul nostro soffitto, prima di rispondermi.
-Una
persona sarà sincera solo se seguirà il suo istinto, il suo subconscio.
Io
annuii in segno di comprensione e mi sistemai meglio sulla poltrona. Era
insolito che Holmes s’interessasse a campi di lavoro che non riguardassero il proprio
o che non gli fossero utili per le indagini.
-Qualche
nuovo caso?-, domandai tentando di mettere a tacere la mia curiosità.
Lui
riportò gli occhi di me e mi sorrise.
-Ottimo
ragionamento, Watson-, disse, rispondendo come al solito più ai miei pensieri
che alle mie parole. –Forse sì, forse ne avrò uno più tardi.
Il
suo sguardo per un attimo si fece vacuo e lontano, ma subito ritornò a brillare
di quello strano scintillio che si era risvegliato in lui quella strana
giornata.
-Ora,
invece, voglio testare la veridicità di questo articolo.
-E
come?-, chiesi interessato.
Holmes
si allungò verso di me, concedendomi la sua totale attenzione.
-Proverò
mettendo in atto un semplice giochetto. Io dico un nome e lei mi dice la prima
cosa che le viene in mente, la prima cosa a cui la collega.
Si
buttò contro lo schienale della poltrona e alzò gli occhi con uno sguardo
assorto.
-Per
esempio…
-Lestrade!-,
esclamai io e non senza ragione.
Infatti
il noto poliziotto aveva fatto irruzione della stanza completamente fradicio.
-Yarder!-,
disse Holmes, senza dare all’uomo il tempo per dire niente; -Che, sapendo cosa
penso di Scotland Yard, vuol dire tutto.
Vedendo
la faccia perplessa di Lestrade e il sorriso malizioso di Holmes, non potei
trattenere uno sbuffo divertito.
-Non
so a che giochetto stiate giocando, signori-, sbottò un po’ irritato, –ma…
ispettore Gregson!
Il
poliziotto nominato si fece largo nel nostro piccolo salotto, ma non ci fu
tempo per spiegazioni.
-Lestrade!-,
esclamò il mio camerata continuando imperterrito nel suo esperimento. –Che poi,
in verità, ricollego a Yarder quindi…
Questa
volta non seppi resistere e scoppiai a ridere sotto lo guardo sbigottito dei
due ispettori e quello soddisfatto di Holmes.
Dopo
essermi ricomposto con un lieve colpo di tosse, ma con un malcelato sorriso,
chiesi il motivo di quella duplice visita.
-Abbiamo
già sprecato troppo tempo con i vostri giochetti! Avrete tutte le informazioni
sulla carrozza che ci sta aspettando giù-, proferì con fare sbrigativo Gregson.
Lestrade
fece per ribattere, quando Holmes si alzò in piedi e con un gesto imperioso li
zitti immediatamente. Era in momenti come questi che comprendevo sempre di più
quale ascendente il mio coinquilino avesse sulle persone, di qualsiasi rango,
genere e sesso.
-Avremo
tempo di ascoltare entrambi. Aspettateci giù, arriviamo subito.
I
due poliziotti si avviarono giù per le scale borbottando, ma senza obbiettare
la decisone presa dal mio coinquilino.
Quando
la porta si chiuse, Holmes mi lanciò una maliziosa occhiata d’intesa.
-La
prego, non mi guardi così, se no le risa avranno il sopravvento.
Quell’implicito
elogio sembrò bastargli, infatti si preparò subito per uscire, mettendosi in
tasca i suoi ferri del mestiere.
-Alla
fine, il suo esperimento?-, chiesi mentre cercavo con lo sguardo il mio
cappello disperso nel caos del nostro salotto.
Holmes,
già pronto sulla soglia della porta, me lo sventolò davanti agli occhi.
-Devo
ammettere la veridicità di quell’articolo-, ammise mentre mi aiutava ad
indossare il cappotto. -Se avessi aspettato di più a rispondere, sarebbero
sopraggiunte altre parole alla mia mente, ma quelle che ho detto sono le più
adatte e sincere
Dopo
essermi sistemato il colletto, mi girai verso di lui per rispondergli.
-Allora
mi complimento per la riuscita del suo esperimento e…
-Signor
Holmes!-, m’interruppe una voce imperiosa dal basso.
Rimasi
un attimo a bocca socchiusa, con la frase ancora in gola.
Subito,
in neanche un secondo, la parola che inconsciamente associavo al nome di Holmes
o alla sua figura dinoccolata si fece largo nella mia mente, e la pronunciai
con un sorriso.
-Amico-,
dissi soltanto.
Alzai
gli occhi e li incrociai con i suoi. Per un attimo mi sembrò che ci fosse di
più nascosto tra quei riflessi d’acciaio. Vidi il suo sguardo farsi perso, poi
in neanche un secondo illuminarsi della consapevolezza delle mia affermazione e
infine vidi un sentimento che non riuscii a capire, che non volli capire.
Mi
voltai rapidamente verso le scale e, aperta la porta, uscii. Sentivo lo sguardo
di Holmes bruciarmi sulla nuca, ma lo ignorai continuando a scendere.
Appena
fuori, l’odore di strada bagnata m’inondò le narici. Il tempo incostante di
Londra era cambiato ed ora solo una lieve pioggerellina primaverile
picchiettava sui marciapiedi.
Vedendomi,
Lestrade mi venne subito incontro e mi condusse sulla sua carrozza.
-E
il signor Holmes?-, mi domandò.
Immediatamente
quella parola mi lampeggiò nella mente e io mi ritrovai a sorridere di
cuore davanti alla più pura e semplice verità.
Sarò
stato uno sciocco, sarò stato un ingenuo ma sapevo, so, che Holmes ogni
volta che sentiva il mio nome pensava alla mia stessa medesima parola. Amico.
Non
avevamo bisogno d’altro.
***Angolino
della squinternata***
1) “Si era nella primavera del 1895”. Questa
frase che introduce alla storia non è una mia sbadataggine grammaticale. L’ho
trovata leggendo il Canone e da quel momento mi sono innamorata di questa forma
ormai inutilizzata ai giorni nostri. C’è un perché anche per la data. Gli anni
dal 1894 fino al ritiro di Holmes, come ben sappiamo, sono stati i più proficui
per il nostro consulente investigativo. Ho escluso 1894 perché era stato un
anno un po’ agitato sia per Watson che per Holmes, le cascate erano una ferita
troppo recente e il detective aveva troppe cose di cui preoccuparsi in quella
primavera. Quindi mi sono detta “se il 1894 no, perché non concentrarsi sul
1895 che nei racconti del dottore viene sempre descritto come un anno
straordinario?”. Infatti quell’anno viene risolto brillantemente il caso dei
piani di Bruce-Partigton, avventura che io amo moltissimo e in cui c’è un
Holmes da infarto (rileggetelo e capirete u.u). In più Watson lo chiama per la
prima e ultima volta solo Sherlock. Insomma un anno misterioso, rilassato e
strampalato proprio come questa ff.
2)Sherlock
Holmes è euforico, il perché forse Watson lo scoprirà un giorno o forse no.
Anche se il motivo di questa gioia è ben chiaro nella mia mente, non era
importante ai fini della one-shot così mi sono presa la libertà di ometterlo.
Chiedo perdono, ma non avrei saputo dove inserirlo senza creare divagazioni
assolutamente fastidiose. Comunque conoscendo gli interessi del detective non
dovrebbe essere difficile da intuire.
3)La
psicologia. Qui vi chiedo di concedermi una piccola licenza letteraria. Non so
se nell’epoca tardo vittoriana esistessero articoli di psicologia come quello
letto da Holmes, quindi chiudiamo un occhio e diciamo che, sì, il Times avrebbe
potuto pubblicare un pezzo del genere. Data questa premessa, la domanda nasce
spontanea “Perché Holmes se ne interessa?”, Watson (forse contagiato dalla
deduzione del suo coinquilino) ha indovinato? Qui mi tocca alzare le spalle,
perché non lo so neanche io.
4)L’esperimento
di Holmes è stata la cosa più divertente da scrivere, nonché quella che ha
fatto scattare il resto della storia. Personalmente vedo molto il nostro
consulente destreggiarsi con questo tipo di scherzi. Sappiamo benissimo che la
sua vena ironica è grande quasi quanto quella teatrale, quindi per me è stato
normalissimo vedere Holmes divertirsi così. Se qualcuno non ha apprezzato o ha
opinioni differenti in merito sarò felicissima di sentirle. Sono aperta a nuove
interpretazioni, visto che potrei sbagliarmi. L’unica cosa potrebbe rendervi
perplessi è l’opinione di Holmes su Lestrade. Personalmente penso che i due,
dopo tanti anni, siano diventati praticamente amici. Watson nei suoi racconti
dice che Lestrade passava ogni sera a Baker Street per una chiacchierata e
qualche informazione. Per questo penso che Holmes si sia preso la libertà di
scherzare così. In verità, sia lui che l’ispettore, sanno di avere il rispetto
reciproco. Quindi non prendete le parole con cattiveria, ma come uno scherzo
tra conoscenti di vecchia data.
5)Perché
proprio Gregson e Lestrade? Lestrade lo
volevo mettere fin dall’inizio perché lo adoro, però a quel punto mi mancava il
2° Yarder. Chi scegliere? Subito avevo optato per l’ispettore McDonald, poi
avevo pensato a Hopkins, ma nessuno dei due mi convinceva del tutto. Poi mi è
venuto un flash e sghignazzando la mia scelta è caduta inesorabilmente su
Gregson. Vi ricordate Uno Studio in Rosso? Lo so che è una domanda cretina, ma
vi ricordate? Proprio lì per la prima volta ci vengono presentati sia Lestrade
che Gregson e cosa si dice di loro? Che sono in competizione, essendo i
migliori di Scotland Yard. Durante il sopralluogo sulla scena del delitto
gareggiano e si mandano frecciatine, ovviamente non come faremmo noi del 21°
secolo, le definirei “frecciatine vittoriane” xD Rende l’idea? Bhe, detto
questo avrete sicuramente capito il perché della mia scelta.
6)L’ultimo
punto, spero, è lo sguardo di Holmes. Quante descrizioni avrò letto dei suoi
occhi tra le pagine del Canone! Watson ormai li conosce troppo bene e non
avrebbe fatto fatica a identificare quel terzo sentimento che si celava dietro
quel grigio brillante. Perché non l’ha fatto? Le possibilità sono tante.
Partiamo dal presupposto che Holmes non si aspettasse la parola “amico” da
Watson. Certo, loro sono amici, guai a dire il contrario, ma lui si aspettava
qualcosa del tipo “confusionario”, “geniale”, “coinquilino”, qualcosa che
Holmes avrebbe ribattuto con una delle sue affermazioni secche e sarcastiche.
Scommetto che alla parola “Watson” Holmes avrebbe risposto “Boswell”, non
“amico”. Non per sfiducia o perché non lo consideri un amico vero, ma per il
semplice fatto che Holmes difficilmente ammette apertamente (e a parole) i suoi
sentimenti. Lo fa con i fatti, basta ricordare il finale de”L’avventura dei tre
Garrideb”, ma questa è un'altra storia. Torniamo a Watson, a Watson che guarda
negli occhi Holmes. Immaginate la sua faccia, immaginate la faccia di Sherlock
Holmes stupito. Non capita spesso che il dottore riesca a stupire Holmes.
Quindi si sofferma a guardarlo. Prima vede uno sguardo, per un secondo, perso
(perché Holmes non aveva ricollegato la parola al loro gioco), in seguito dopo
aver fatto i legittimi collegamenti diventa cosciente di come lo definisce
Watson. E poi? Watson preferisce non saperlo, preferisce ignorare quello
sguardo e fare finta di non capire. Per paura di leggerci qualcosa che
l’avrebbe ferito? Per non imbarazzare Holmes? O semplicemente perché sapeva
quale era il sentimento che gli riempiva gli occhi? Lascio a voi la scelta,
sicuramente migliore della mia. (anche se io propendo per tutte e tre insieme,
della serie “incasiniamo gli occhi di Holmes” xD).
Vi
ringrazio ancora della vostra pazienza, perché sorbirsi questo popò di roba non
è cosa da poco.
Infine
dedico questa one-shot a tutti quelli che, finita di leggerla, hanno sorriso.
Se
con le labbra, come Watson, o con gli occhi, come Holmes, non importa.
Grazie
ancora.
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Capitolo 3 *** Il breve caso dell'innominato [Parte uno] ***
Holmes' Private Life3-Il breve caso dell'innominato1
3. Il breve caso dell’innominato.
[Parte uno.]
Era
una tipica serata invernale e le strade di Londra erano praticamente deserte.
Io e il mio amico Sherlock Holmes camminavamo tenendoci a braccetto, stretti
nei nostri lunghi cappotti, come se insieme avessimo potuto sconfiggere il
freddo.
-Allora,
ragazzo mio, cosa ne dice di quest’opera?-, mi chiese il mio amico.
-Se
devo essere sincero, mio caro Holmes, mi aspettavo qualcosa di più.
Lui
si lasciò andare a una delle sue tipiche risatine soffocate.
-L’avevo
intuito. Per tutto il tempo non ha fatto che muoversi sulla poltrona e fissare
il libretto del copione. Solo durante la morte di Euridice l’ho vista
particolarmente attenta.
Io
risi di cuore e scossi la testa.
-E
a quanto pare non è piaciuta neanche a lei, visto che ha passato tutto il tempo
ad osservarmi.
A
quell’affermazione Holmes si portò la mano libera al petto.
-Colpito-,
disse soltanto per poi rivolgermi un occhiata divertita.
Stavo
per ribattere, quando una ventata gelata mi fece rabbrividire. Holmes sentendo
il mio corpo irrigidirsi decise di cercare una carrozza, ma a quanto pare
quella sera nessuno si era attentato ad uscire.
Continuammo
a camminare, finché non arrivammo vicino al porto del Tamigi. Lì, tutta
ammassata, c’era una folla di persone che parlottavano.
Io
feci per andare avanti, ma Holmes si bloccò istantaneamente.
Mi
voltai verso di lui, ma quando vidi i suoi occhi brillare, capì che i miei
piedi non avrebbero rivisto il nostro camino tanto presto.
Staccandosi
dal mio braccio, il mio compagno si diresse verso la folla e io gli fui subito
dietro. Con la sua stazza e il suo comportamento autoritario si fece
velocemente largo tra la gente.
Appena
riuscimmo ad uscire, un fortissimo odore d’alcool mi colpì le narici.
Steso
per terra, sotto una lanterna rotta, stava un corpo. Un corpo morto.
-Via,
via! Fate largo!-, sentimmo prima di vedere apparire la figura dell’ispettore
Lestrade.
-Buona
sera, ispettore-, dissi cortesemente, ma non parve sentirmi.
Ci
squadrò per un lungo attimo, poi sospirò rumorosamente.
-Io
non capirò mai come voi facciate sempre ad essere sul posto dell’omicidio prima
della polizia!
Io
sorrisi bonario e lo rassicurai che quella volta era solamente un caso.
-Vero,
Holmes?-, chiesi girandomi verso il mio amico.
Lo
trovai accucciato vicino al cadavere. I suoi occhi scrutavano nel buio della
notte in cerca di qualche indizio. Non mi sarei stupito se neanche avesse
sentito l’arrivo di Lestrade.
Con
uno scatto si alzò velocemente in piedi e prese a girare intorno al corpo, due
volte in senso orario, due in antiorario.
Io
distinguevo a malapena il suo viso, non riuscivo a capire come potesse anche
solo scorgere il contorno del cadavere.
Improvvisamente
si arrestò e avvicinò il naso alla bocca dello sconosciuto. Vidi quello che mi
sembrò un sorriso amaro, ma sparì velocemente.
-Lestrade,
qui non ci sarà bisogno sicuramente del mio aiuto, il caso è assolutamente
elementare.
Io
e l’ispettore ci guardammo perplessi.
-Quindi
ha capito come è morto l’uomo?-, chiesi interessato.
-Sì,
ma scommetto che Lestrade sarà più che capace di illustrarci la situazione.
Quando
Holmes delegava le spiegazioni agli altri, voleva proprio dire che non ne
avrebbe tratto nessun divertimento. Considerava veramente quel caso troppo elementare
per le sue capacità.
L’ispettore
intanto si era avvicinato al corpo e l’aveva velocemente ispezionato.
-Bhe,
che sia ubriaco mi sembra ovvio ma…
Un
piccolo colpo di tosse ironico provenne dalla gola del mio amico.
-Lo
guardi bene, Lestrade-, lo invitò Holmes con un piccolo sorrisino malizioso.
-Insomma
Holmes, mi vuole spiegare cosa dovrei dedurre da un corpo che emette un
nauseabondo odore di alcol, se non uno stato di ebbrezza?
-Lei
ha ragione, Lestrade, nella maggior parte dei casi sarebbe così, ma non le pare
strano che tutto il corpo sia
cosparso d’alcool?
-Bhe,
magari era così ubriaco che si è sparso addosso la bottiglia-, azzardai io.
Holmes
scosse la testa e ci invitò a chinarci. Un tremendo olezzo ci assalì le narici.
-Non
vi sembra che sia stato sparso un po’ troppo alcool su questo corpo? Gli abiti
sono umidi. E poi, la cosa più interessante sono le labbra.
-Le
labbra?- domandai perplesso.
-Sì,
annusando le labbra mi sono accorto che quest’uomo non ha bevuto neanche un goccio di brandy o qualsiasi altro
alcolico. Non ne aveva traccia neanche sui contorni della bocca, dove per un
ubriacone dovrebbero esserci diverse sbavature.
Una
ventata di vento ci trapassò le ossa. Ci guardammo per un attimo, ognuno perso
nelle proprie elucubrazioni. Ovviamente io continuavo a pensare alle piccole
particolarità di questa avventura.
-E
quindi se non era ubriaco, perché si trova qui morto e zuppo d’alcool?-, chiesi
perplesso, mentre mi strofinavo le mani ghiacciate.
Holmes
mi sorrise leggermente e tornò in posizione retta, seguito immediatamente da
noi.
-Vedo
che non ha perso le sue capacità riassuntive, Watson. Ma proviamo a ragionare.
Possiamo affermare senza dubbio che non si tratta di suicidio, quindi un agente
esterno deve aver provocato la morte di quest’uomo. Visto che solo una persona
può riuscire a fare una cosa del genere, possiamo anche escludere un fattore
casuale o un fenomeno naturale.
Io
e Lestrade annuimmo e ci apprestammo a seguire il resto della spiegazione.
-La
domanda successiva è “perché fare questo? Perché l’alcool?”. Per scoprire il
motivo della morte bisognerà risalire all’identità dell’uomo, e per scoprire la
causa del decesso avere un po’ di luce. Per quanto riguarda l’utilizzo
dell’alcool, la risposta è scontata. Serviva per sbarazzarsi del corpo, per
bruciarlo e non lasciare tracce.
Ancora
una volta, nonostante gli anni, mi stupii della bravura del mio compagno e di
quanto in verità fossero semplici ed elementari le soluzioni.
-Sembra
che così tutto quadri-, disse Lestrade; -L’unica domanda che mi martella in
testa è come mai abbiano lasciato qui il cadavere. Se doveva essere bruciato,
in un posto del genere non sarebbe passato inosservato.
Holmes
si avvicinò all’ispettore assentendo con il capo.
-Esatto,
Lestrade. Ma per risalire agli assassini, bisogna conoscere alla vittima.
Chieda ai suoi uomini se possono portarci una lanterna cieca.
Subito
un ragazzotto in divisa ci consegnò ciò che avevamo richiesto.
Fremevamo
tutti per la curiosità, ma quando la luce inondò il volto dell’uomo, vidi lo
sguardo di Holmes gelare.
Era
stato un attimo, come era arrivato era sparito, ma non me l’ero immaginato.
-Uhm,
si è fatto tardi, Lestrade. Io e Watson siamo stanchi e ormai non c’è più nulla
da fare. Potremmo usufruire di una delle carrozze di ordinanza? Grazie e a
presto.
Velocemente
salimmo sul mezzo e non fu spesa neanche una parola.
Holmes
non era pensieroso, in realtà in quel momento non sapevo come classificarlo.
Non l’avevo mai visto con uno sguardo simile, nonostante i tanti anni passati
insieme.
Tentai
più volte di parlare, ma i diversi grugniti che mi rivolse come risposta,
valevano più di mille spiegazioni. Non era il momento, come tante volte non lo
era stato in passato. Avrei aspettato che fosse Holmes a parlarmene per primo.
Quando
arrivammo davanti a casa però fui l’unico a scendere.
-Salga
in casa, Watson, e non mi aspetti alzato. Tornerò il più presto possibile.
-Dove
vuole andare, Holmes? Se posso esserle utile…
Non
mi lasciò finire la frase e sorrise, sorrise veramente. Non per un attimo, non
per un secondo. Quello era uno dei suoi rari e meravigliosi sorrisi.
-Grazie,
vecchio mio, ma devo fare da solo-, disse tornando dentro la carrozza; -E poi
se il mio Boswell si ammala, sarei perso.
Avrei
voluto dirgli tante cose in quel momento, ma bastò incrociare i nostri sguardi.
La
carrozza partì e io mi avviai verso il letto, su cui mi addormentai
all’istante.
***Angolino
della squinternata***
Ed
eccomi di nuovo qui ad aggiornare questa raccoltina =D
Dovete
sapere che, in verità, “Il breve caso dell’innominato” non è tanto breve xD.
Mi
spiego meglio, in verità non è lunghissimo, ma ho preferito darvelo a piccoli
pezzi, invece di farvi aspettare un eternità per l’episodio completo.
Questa,
come avete letto, è solo la prima piccolissima parte. Il tutto si dovrebbe
risolvere in 1-2 capitoli, niente di cui preoccuparsi.
Ora,
vorrei chiedere il vostro perdono per questo scempio, io non sono brava con i
gialli o i misteri, quindi chiedo venia per aver inventato questo scempio, ma
mi serviva per introdurre i prossimi capitoli, quelli in cui si spiegherà tutto
sull’ “Innominato”.
Intanto,
così per giocare, vorrei sapere chi pensate che sia l’uomo morto trovato vicino
al porto del Tamigi. Sarà molto difficile indovinare, ma visto che sono buona
vi do un indizio: nel canone non è mai citato, ma è strettamente legato a
Holmes.
Si
aprono le scommesse! A chi indovina dedico il prossimo capitolo =D
Ma
diamo piccole spiegazioncine su questo capitolo.
1)Come avrete intuito,
Holmes e Watson erano al ritorno da uno spettacolo teatrale, più precisamente “Orfeo
e Euridice”. Watson è un grande appassionato di tragedia greca e anche del
teatro in generale, quindi non mi è sembrato strano che si fossero presi una
serata, nonostante il freddo gelido.
2) Lestrade sbuffa a
vedere lì Holmes e Watson, poverino xD. Capitelo, si sente spodestato dal suo
ruolo di “protettore dei cittadini” visto che alla fine è sempre Holmes che
salva la situazione. Ovviamente nelle sue parole non c’è risentimento.
3) La dote riassuntiva
elogiata di Watson non me la sono inventata, ma compare in “Uno studio in rosso”,
dove Watson fa un meraviglioso punto della situazione e anche lì viene elogiato
da Holmes.
4)”Se il mio Boswell si
ammala, sarei perso” Qui non penso che ci sia molto da spiegare, ma per i più
smemorati ricordo “Uno scandalo in Boemia” dove Holmes afferma molto convinto “I’m
lost without my Boswell”.
Ed
ora rispondo ai meravigliosi commenti che mi sono stati lasciati allo scorso
capitolo **.
Anne London: Ti ringrazio molto per i
complimenti ^^. Per quanto riguarda lo slash, è una cosa spinosa anche per me.
Nonostante io abbia scritto e letto slash, non riesco a immaginarmi un Holmes e
un Watson canonici che sono innamorati. Ovviamente apprezzo comunque le slash
H/W però… bho, diciamo che nel mio immaginario non potrebbero essere altro che
amici. Per Freud hai ragione, ma non so se i giornali inglesi fossero così
aperti da pubblicare le sue teorie (per esempio quella di Edipo aveva sconvolto
tantissime persone). Sperando di non averti fatto aspettare troppo per questo
misero capitolo, mi auguro che ti sia piaciuto ugualmente ^^.
Miss Adler: Non sei l’unica ad essere una
Sherlockomane xD Ti garantisco che io sono uguale e ti capisco! Per fortuna non
avete cercato di accopparmi quando ho fatto volare via il dottore (non sai
quanto mi è dispiaciuto!).
“Hanno una specie di
tacita e silenziosa intesa: ognuno sa quanto vale per l'altro ,ma non
l'ammetterebbero mai!!” con questa frase hai capito alla perfezione ciò che
volevo far trasparire <3. Visto, non ti ho fatto aspettare a lungo ^^. Ciao
e grazie ancora.
DataLore1001001: xD A te rispondo per entrambe
le meravigliose recensioni!
Sono contenta che sia riuscita a passarti la dolcezza della
scena della morte di Watson. La tua recensione non è assolutamente insulsa,
anzi mi ha fatto molto piacere sapere la tua opinione, mi hai tolto un po’ di
dubbi xD. Questo è che hai appena letto è uno di quelli che introdurrà il
passato nascosto di Holmes. xD per fortuna che nessuno crede che Holmes sia un
polaretto se no poveri noi! xD
Per la seconda recensione, sono contenta che i commentini di
Holmes ti abbiano fatto ridacchiare un po’ =D. Il 1895 è uno dei miei anni
preferiti quindi non potevo non inserirlo. In questa ff non c’è un anno
preciso, per lo meno non l’ho ancora deciso. Per quanto riguarda lo sguardo di
Holmes, non c’è né giusto, né sbagliato. È così e basta. Spero vivamente che
anche questo capitolo sia di tuo gusto =D. Grazie ancora del sostegno!
Ovviamente
ringrazio anche chi legge, chi segue (Alchimista Bellis DataLore1001001), chi
ricorda(DataLore1001001) e chi
preferisce (DataLore1001001)
Alla
prossima con la seconda parte de “Il breve caso dell’innominato”!
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Capitolo 4 *** Ossia, il breve caso dell'innominato [Parte due] ***
Holmes' Private Life-4 Il breve caso dell'innominato2
3. Ossia, il breve caso dell’innominato.
[Parte 2]
Quando
mi svegliai la mattina dopo, Holmes si era appena tolto il capello. Con un
cenno della testa mi salutò e si mise a sedere, contemplando la colazione. Non
mi fu difficile intuire che aveva passato la notte fuori e che non aveva chiuso
occhio per tutto il tempo. Eppure non riuscivo a capire il motivo del suo
turbamento, perché c’era qualche problema se non mi rivolgeva neanche un buon
giorno.
Il
caso non doveva essere elementare?
Cos’era cambiato?
Osservai
Holmes vezzeggiare con il cibo con noncuranza, ma sapevo che la sua mente stava
macchinando. Il mio dubbio era sempre su cosa.
Nonostante
entrambi avevamo la fiducia reciproca, c’erano molte cose taciute, tanti
segreti inviolati. Soprattutto da parte di Holmes.
Io
non me ne sono mai lamentato, conosco il mio amico da troppi anni per
prendermela per una simile sciocchezza. Eppure sarei un ipocrita, se non
ammettessi la mia curiosità verso il suo passato, il suo presente e il suo
futuro.
Ma
in quel momento ero concentrato su altro. L’unica cosa che m’interessava era capire
la causa dei suoi pensieri funesti.
Il
grigio intenso dei suoi occhi non poteva che portare tempesta. Nonostante tutto
mi pareva di leggerci qualcosa in più. Un’idea di rassegnazione. Come quando
dopo aver letto l’ultima pagina di un libro, lo richiudi e senti quel gusto
amarognolo in bocca, perché sai che è finito e che i personaggi non potranno
tornare indietro.
Una
rassegnazione al sapore di consapevolezza.
Rendendosi
conto del mio sguardo fisso su di lui, Holmes mi ricambiò con un occhiata
veloce. Alla fine abbandono il piatto praticamente intatto e si sedette sulla
poltrona.
Non
voleva parlarne e l’occhiata di prima era stata l’ennesima conferma.
Così
gli concessi altro tempo per schiarirsi le idee. Mangiai tranquillamente e
ringraziai la nostra padrona di casa. Poi mi sedetti nella mia solita poltrona
e mi misi a leggere il quotidiano ancora intoccato.
Holmes
si era abbandonato ad un attento, non che milionesimo, esame di quelle
macchioline di umidità che caratterizzavano il nostro soffitto. Sembrava
completamente assorto, con la mente lontana, in un’altra dimensione.
All’improvviso
si alzò in piedi e prese il suo amato Stradivari. Si risedette appoggiando lo
strumento sulle gambe e incominciò a pizzicare lentamente le corde.
Sospirai
senza trattenermi, ma lui non ci fece caso. Sapevo che la musica era l’ultima
spiaggia, in verità la penultima se si conta la droga, ma quella l’aveva
abbandonata da tempo e con non poca fatica.
Finii
il mio giornale e pensai di uscire a fare una passeggiata, visto che il tempo
sembrava clemente. Non lo proposi neanche ad Holmes, probabilmente non avrebbe
nemmeno sentito la domanda. Così uscii ben avvolto nel mio cappotto, lasciando
il mio camerata nella stessa posizione di prima.
Mani
sul violino e sguardo perso, perso in quel mondo che solo lui era capace di
vedere.
Tornai
poche ore dopo, poiché avevo bisogno di qualcosa di caldo da mettere nello
stomaco. Quando entrai in casa la signora Hudson mi fermò e mi diede un
telegramma appena arrivato per Holmes. Io la ringraziai e la pregai di portarci
un pasto caldo appena possibile. Lei annuì cortesemente e si ritirò in cucina,
mentre io salivo le scale contemplando felice quel biglietto.
Abitando
con il consulting detective più famoso di tre continenti avevo capito che i
telegrammi volevano dire una cosa sola: informazioni. Informazioni per i casi
aperti, per quelli già chiusi e quelli ancora da ufficializzare. Finalmente
qualcosa di nuovo con cui distrarre Holmes!
Aprii
la porta che dava sul nostro salotto, ma non trovai ciò che mi aspettavo. Il
mio amico aveva riposto nella custodia il suo fidato violino e in quel momento
era alle prese con non so quale esperimento chimico.
-Buon
giorno, Watson. La vedo allegra, successo qualcosa?-, mi chiese voltandosi
brevemente verso di me.
Io
sentii il cuore più leggero sentendo il tono rilassato di quelle parole. Mi
tolsi velocemente cappello e cappotto per poi sfregarmi le mani velocemente.
-Niente
di che, amico mio, tutto regolare. Piuttosto, è arrivato questo telegramma per
voi-, gli risposi allungandogli il foglio.
Lui
sembrava abbastanza scocciato di quella interruzione e di malavoglia lesse
quelle poche righe. I suoi occhi si soffermarono un po’ troppo a lungo su quel
messaggio, ma non feci in tempo a dire niente, che lui si alzò è gettò la carta
nel camino acceso.
Rimasi
veramente sorpreso da quello scatto.
Cosa
significava? Cosa c’era scritto su quel telegramma?
La
mia testa ronzava piena di pensieri, ma mi morsi la lingua. Dovevo tenere a
freno la mia preoccupazione, se non volevo far innervosire ancora di più
Holmes.
Così
non ne feci parola e la giornata passò tranquilla. Il mio camerata era
tranquillo e parlava normalmente, l’avevo visto con umori migliori, ma anche
peggiori.
Era
ormai sera e noi, seduti comodamente davanti al camino, stavamo discutendo su
musica, teatro e arte, in particolar modo di come questi elementi si erano
evoluti nei secoli.
Holmes
mi stava parlando con trasporto di come venivano strutturati i castelli del
medioevo, quando bussarono alla porta.
Ci
guardammo negli occhi, ma nessuno dei due aspettava visite.
-Avanti!-,
disse il mio camerata con tono tranquillo.
Ci
trovammo davanti la piccola figura di Lestrade. L’uomo sembrava veramente
abbattuto e aveva gli occhi puntati su Holmes.
Mi
sfuggiva qualcosa e, a giudicare dal comportamento dell’ispettore, qualcosa d’importante.
Cosa
era successo nelle ore di mia assenza?
-Signor
Holmes, devo parlarle-, disse con urgenza.
Il
mio amico si accomodò meglio sulla poltrona, senza spostare lo sguardo dal
nostro ospite.
-Penso
di sapere quello che mi sta per dire. Il caso si è complicato, vero?
L’ispettore
annuì sorpreso ed ansioso.
-Allora
le è arrivato il telegramma! Perché non mi ha risposto?
A
quelle parole mi girai verso il mio amico, ma lui non si mosse minimamente.
Ma
se il telegramma era di Lestrade, perché l’aveva gettato nel fuoco? Come mai
Holmes rifiutava quel caso? Era veramente così elementare?
-Mi
è pervenuto il suo messaggio, ma io l’ho volontariamente ignorato, perché mi
sono già espresso riguardo a questo omicidio. Non m’interessa.
Il
suo tono era freddo come il suo sguardo, ma Lestrade non intendeva demordere.
-Holmes,
le assicuro che questo caso presenta tutti gli aspetti che la incuriosiscono
tanto. Non siamo riusciti neanche a identificare la vittima, perché…
-Le
ho detto che non m’interessa-, lo interruppe Holmes con un tono di voce
apparentemente neutro, ma io che lo conoscevo bene ci leggevo una vena di
rabbia.
Il
poliziotto tentennò davanti a quella risposta, ma tentò di nuovo.
-La
prego, è una cosa grossa, forse più di quanto immaginiamo. Le sarei grato se mi
desse qualche consiglio.
A
quelle parole vidi Holmes irrigidirsi e poi alzarsi in piedi, faccia a faccia
con l’uomo.
-Forse
lei non ha capito le mie parole. Non mi interessa né del caso, né di lei, mi
sta facendo solo perdere tempo prezioso.
Io
scattai in piedi mettendomi di fianco ai due. Avevo paura. Sia per Lestrade,
che per Holmes. In più non riuscivo a capire.
Come
mai il mio amico si era infiammato così? Non era da lui, tutta questa
situazione non era da lui.
-Ed
ora, visto che ci siamo chiariti, il dottor Watson sarà così cortese da
mostrarle la porta. Arrivederci, ispettore.
Così
disse e così fu.
Lo
accompagnai all’uscita e gli rivolsi uno sguardo di scusa. Chiusi delicatamente
la porta e mi voltai verso Holmes.
Questa
volta non avrei aspettato, volevo e mi doveva delle spiegazioni.
Lo
fissai imperterrito, ma lui non mi degnò di attenzione. Respirai per calmarmi e
poi cortesemente iniziai a parlare.
-Amico
mio, non avrebbe dovuto trattare così Lestrade, mi è sembrato scortese.
Lo
dissi con tutta la tranquillità possibile e con tatto. Non volevo litigare.
Lui,
già seduto sulla poltrona, mi guardò e alzò le spalle.
-Ho
cercato di spiegargli come stavano le cose gentilmente, ma non pareva capire.
Io
sbuffai sonoramente a quell’ennesima bugia.
-La
prego di risparmiarmi queste assurdità, Holmes. Sappiamo entrambi che c’è
qualcosa che non va!
Lui
mi guardava senza interesse, come se non ci fossi, ma io sono sempre stato
testardo di natura.
-Ho
aspettato, le ho lasciato tempo, ma se devo veder maltrattato un onesto poliziotto,
nonché buon amico, non mi trattengo!
Dissi
avvicinandomi a lui e sfidando il suo sguardo. Lui parve capire il motivo delle
mie parole e mi fece un pallido sorriso.
-Mi
dispiace di averla così amareggiata, ragazzo mio. Infondo non era mia
intenzione reagire così aspramente. Le prometto che mi scuserò con l’ispettore
al più presto-, mi rassicurò già più rilassato di prima.
Io
gli sorrisi e gli appoggiai la mano sulla spalla, prima di sedermi di nuovo di
fronte a lui.
-Sono
contento che sia tutto sistemato, però…-, non completai la frase, non sapendo
come esprimermi.
Holmes
mi guardava tranquillo, forse aveva intuito quello che pensavo.
-Vorrei
sapere come mai non mi ha parlato del caso, perché è stato fuori tutta notte e perché
si innervosito con Lestrade. E non mi
dica che è una cosa banale, perché non le credo!
Lui
scosse la testa, divertito dalle mie parole.
-Se
vuole proprio saperlo non le ho parlato del caso per non farla preoccupare,
ieri sera sono stato da mio fratello e sa che mi irritano le persone che non
comprendono le mie parole. Ho dimenticato qualcosa?-, affermò ironico.
Il
suo tono era leggero, quasi spensierato, ma era solo una maschera.
Holmes
portava spesso maschere, per proteggere se stesso e gli altri, ma con me non le
aveva mai usate. Eravamo amici, non avevamo bisogno di nasconderci, eppure…
Abbassai
lo sguardo, un po’ amareggiato, un pensiero mi tormentava.
-Holmes…
lei non si fida di me?-, chiesi.
Alzai
lentamente lo sguardo e vidi chiaramente i suoi occhi spalancarsi per poi
tornare alla normalità.
-Watson,
ancora domande di ovvia risposta?-, disse cercando di scherzare, ma non era il
momento.
Continuai
a guardarlo e sospirai. Veramente non capivo. Eravamo amici da tanti anni,
avevamo passato mille avventure assieme e mi era sembrato di aver dimostrato la
mia fedeltà nei suoi confronti. Ma ora i dubbi erano aumentati.
-Lei
ha ragione, Holmes. È ovvio, mi scusi per la domanda stupida-, abbassai lo
sguardo mentre lo dicevo, per poi continuare –Ma ora basta parlare, è tardi. Sarà
meglio che vada a letto.
Mi
alzai e, gamba permettendo, mi avviai rapido verso camera mia. Cercavo di
scacciare quel pensiero, quella sensazione, ma non ci riuscivo. Mi sentivo
ferito, nonostante non lo volessi ammettere. La cosa peggiore era sapere di
essersi sbagliato, di aver passato anni credendo in una amicizia che non c’era
mai stata.
Perché
per quanto Holmes fosse rumoroso, pieno di vizi, soggetto a frequenti malumori
e non avesse una personalità facile, io avevo fiducia in lui. Mi sarei fidato
qualsiasi fosse stata la situazione, soprattutto se così grave come prometteva
di essere quella. Eppure io…
-Watson-,
disse soltanto.
Io
mi fermai con la mano sulla maniglia della porta e con il cuore in gola.
-Si
sieda, Watson-, mi chiese; -Per favore.
Io
chiusi gli occhi e respirai. Dovevo tornare calmo, non potevo farmi vedere così
da Holmes. Con passo pesante, ritornai indietro e mi sedetti sulla mia solita
poltrona.
Lo
guardai negli occhi e mi stupii di vedere che quel grigio, di solito simile all’acciaio,
si era tinto di una strana sfumatura blu. Come un mare in tempesta.
-A
volte mi dimentico di quanto possano essere ambigue le mie frasi-, affermò
sorridendo sghembo.
Io
sbuffai col naso e scossi la testa con fare divertito. Alla fine mi era
impossibile essere arrabbiato con Holmes per troppo tempo.
-A
volte le cose mi paiono così ovvie, che finisco per trascurarle, ma per fortuna
che il mio Boswell me le ricorda-, continuò non spostando gli occhi dai miei,
come se volesse assicurarsi che il concetto era arrivato.
Io
mi misi più comodo e rilassai i muscoli.
-E
a volte-, dissi riprendendo il suo discorso, -Io dimentico quanto lei dimentica.
Lui
si concesse una risatina soffocata e io mi diedi dello stolto. In quel momento
mi sembrava una pazzia aver dubitato di Holmes.
-Ottimo,
sono contento di aver chiarito, ma se la conosco bene non si accontenterà di
questo. Lei vuole sapere del caso, giusto?
-Sì-,
affermai semplicemente e con decisione.
Il
mio amico assentì leggermente con la testa, per poi congiungere le dita tra di
loro ed alzare lo sguardo al soffitto.
-Il
corpo, il corpo trovato vicino al Tamigi, era quello di mio padre.
***Angolino
della squinternata***
Bene,
ora avete il diritto di uccidermi.
Non
solo per avervi lasciato con un affermazione del genere, non solo per avervi
fatto aspettare, ma soprattutto per questo capitolo di MHHHH.
Ah,
ovviamente questo è il penultimo, tutte le spiegazioni nel prossimo.
Ç_ç
Spero che il buon dottore mi perdoni per averlo fatto a mò di donnetta isterica
con le paturnie! Non era mia intenzione! Il buon dottore doveva solo
arrabbiarsi e far ragionare Holmes e invece… mamma mia che schifezza.
Spero
che mi vogliate veramente perdonare.
Così
tralascio tutti i miei soliti appuntini (inutili) di fine capitolo e passo
direttamente alle risposte ai commenti dello scorso capitolo <3
409inMyCoffeeMaker: Giusvaldella mia! xD Come
al solito tu commenti anche se non dovresti, sei troppo buona, veramente.
Apprezzo lo sforzo che fai per seguire queste cavolatine. E questo è il seguito xD che alla fine non ha
aggiunto niente, abbiamo solo scoperto chi è il morto xD Dì che non l’avresti
mai immaginato xD. Grazie di tutto.
Anne London: ti prego di scusarmi per questa
cosa che neanche oso chiamare capitolo perché è orribile ç_ç. Per gli articoli
di quell’epoca sui sogni proprio non so, ma mi sembra abbastanza probabile, è
una cosa sempre interessante, indipendentemente dall’epoca. Mamma mia Orfeo ed
Euridice è veramente pesante, solo fare le versioni mi manda in crisi xD.
Apprezzo moltissimo lo sforzo che hai fatto per indovinare e ti confesso la mia
ignoranza ammettendo di non sapere niente di questo fantomatico terzo fratello
O.O Comunque, mi raccomando, vai giù duro con i rimproveri per questo capitolo,
mi saranno utili.
Miss Adler: Ehy, grazie di commentare sempre
^^. In questo capitolo come avrai visto Lestrade è un tantino maltrattato (cioè
nella nostra epoca non sarebbe stato niente, ma bisogna pensare con mente
vittoriana u.u). Ecco ç_ç mi avevi appena fatto i complimenti per la
caratterizzazione di H e W e io che faccio? Ç_ç questo orribile scempio. Spero
che tu mi sgridi per bene così il prossimo capitolo lo faccio decentemente. Non
trattenerti, le critiche fanno sempre bene ^^. Sono contenta che tu abbia
provato ad indovinare l’identità dell’uomo, mi piacciono i lettori attenti e
partecipi =D. Grazie di tutto.
Ladywho: Ciao
signorina-io-non-voglio-un-grazie! xD No, dai, adesso ti risponderò
decentemente fino alla parte ehm-hem. Ti giuro che mi è piaciuto un sacco il
tuo commento xD Al primo capitolo ero veramente preoccupata di trovarmi
assediata con forconi e fucili xD Però dai… l’ho fatto morire dolcemente. Dici
che Holmes è stato molto freddo? O.O e io che pensavo di averlo fatto troppo
emotivo! Il secondo capitolo potrebbe essere slash se inserissero la scena nel
film, ma ti assicuro che nel canone no xD. Però immaginandomi la scena con Jude
e Rob… mhh qualche pensierino viene xD. Ti concedo tutti gli Hottson che vuoi
** amo quel soprannome! Ehm… qui arriviamo alla parte dove.. mhhh si… io… io…
ma parliamo di papere! Dimmi, tu ne hai mai vista una dal vero??? xD Ciao e
grazie di tutto, veramente. (ops! Ho detto quella parola! D: )
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Capitolo 5 *** Ossia, il breve caso dell'innominato ***
Holmes' Private Life5-Il caso dell'innominato3
3. Ossia, il breve caso dell’innominato.
[Parte 3]
Rimasi
pietrificato.
-S-Suo
padre?-, chiesi, per poi mordermi la lingua.
Proprio
su un argomento del genere dovevo evidenziare l’ovvio?
Holmes
aveva ancora lo sguardo fisso sul soffitto e le dita congiunte tra di loro. Non
parve troppo infastidito dal mio intervento.
-Non
si preoccupi di farmi le condoglianze, Watson. Doveva succedere prima o poi.
Sentivo
il ghiaccio della sua voce risalirmi lungo la spina dorsale. Holmes la
macchina, Holmes l’appendice del suo cervello, era entrato in azione e non
c’era modo di fermarlo. Ma molte cose non coincidevano, troppi vuoti, troppe
reazioni inspiegate. Quante volte Holmes indossava maschere o gliele facevano
indossare, ma in quel frangente non intendevo retrocedere.
-Se
prima o poi doveva accadere, perché rinunciare ad indagare?
Mi
lanciò un occhiata veloce e sbuffò divertito.
-Vedo
che la deduzione è contagiosa, ragazzo mio-, scherzò leggero lui, per poi
continuare in tono monocorde, –La risposta è una sola. Non mi mai interessato
mio padre da vivo e non m’interesserà da morto.
Non
riuscivo a crederci, com’era possibile che la sorte di suo padre non lo
toccasse neanche un po’?
Molte
volte nei miei precedenti racconti ho scritto quanto freddo e calcolatore fosse
Holmes, ma al tempo stesso come potesse incendiarsi di sentimenti di sdegno,
rabbia e apprensione, oppure come le sue pallide guance si imporporassero
pudicamente ad ogni sincero complimento.
Che
non fosse stato un buon genitore?
-Per
questo ieri sera me ne sono andato velocemente, dovevo avvisare Mycroft. Aveva
il diritto di sapere, non crede?
-Assolutamente,
visto che dovrete preparare in fretta il funerale, vista la severità di questi
tempi.
Holmes
scosse la testa.
-Vi
siete dimenticati un piccolo dettaglio, Watson. La polizia non sa chi sia
quell’uomo.
Assunsi
un’espressione alquanto sbigottita.
-E
lei non ha intenzione d’informarli? Capisco che non gli sia mai interessato di
suo padre, ma è pur sempre la persona che l’ha cresciuta, giusto?
Solo
il picchiettare della pioggia mi rispose. Holmes era ricaduto nel suo mutismo e
non mi guardava neanche negli occhi.
Mi
chiesi quando avrei imparato a stare zitto. Niente era scontato quando si
trattava del mio amico, neanche l’amore di un padre.
-Mi
dispiace di averla urtata con le mie parole-, mi scusai, -Se avessi saputo…
-Non
si preoccupi, Watson, lo so. E proprio perché lo so, ho intenzione di
raccontarle i fatti che mi hanno condotto a fare ciò che sto facendo in questo
caso. Ah, ovviamente se lei preferisce dormire…
-Neanche
per sogno!-, esclamai io, facendolo ridere al mio entusiasmo.
Non
potei trattenermi dal sorridere vedendolo così sereno. In oltre mi sentivo
molto onorato che avesse scelto di raccontarmi la sua storia in virtù di una
sua spontanea iniziativa. Io non avrei tradito la sua fiducia, mai, avrei
preferito perdere completamente l’uso della gamba piuttosto che fargli un
torto.
-Allora
è deciso! La prego di mettersi comodo e di non interrompere la mia narrazione-,
disse guardandomi fisso negli occhi e poggiando le sommità delle dita sulla
fronte e sul naso; -Secondo i miei calcoli non sarà propriamente breve, spero
di non annoiarla.
Io
aggrottai le sopracciglia facendolo arricciare gli angoli della sua bocca.
-La
vedo impaziente, ragazzo mio. Smetterò di temporeggiare, stia tranquillo.
Volevo solo mettere in chiaro che questa storia non è cosa di cui poter
chiacchierare tranquillamente tra gente non propriamente fidata. Ovviamente,
per me lei è quanto più di fidato si possa avere, quindi se vuole trascrivere
le mie parole non ho niente in contrario.
Io
non ci riflettei neanche un attimo.
Senza
dire niente, presi alcuni appunti che avevo sotto mano e li gettai nel fuoco
scoppiettante. Il mio gesto aveva chiarito la mia posizione a Holmes che, guardandomi
riconoscente, aspettò che mi fossi riseduto prima d’incominciare a raccontare.
Per quanto posso
affidarmi ai miei labili ricordi, incominciò tutto nell’anno del mio ottavo
compleanno. Era il 1862 e noi vivevamo in una piccola cittadina di campagna. La
vita era semplice, ma eravamo abbastanza benestanti da concederci di studiare
in casa. Io e mio fratello Mycroft eravamo abbastanza svegli per capire le
spiegazioni da soli, in più i libri non mancavano. Le avrò forse accennato,
Watson, che mia nonna era la sorella del famoso pittore francese Vernet.
Infatti mia madre era di origine francese, anche se non lo parlava quasi mai in
casa. Tutto quello che avevamo in ambito culturale, era ciò che mia madre Monique si era portata appresso dalla Francia, dopo aver sposato
mio padre Siger. Nella sua patria natale lei era una ricca borghese, ma per
aver disobbedito agli ordini della famiglia, le era stato tolto tutto. Al tempo
era solo una ragazzina innamorata di un campagnolo inglese in cerca di fortuna.
Si trasferirono in Inghilterra appena sposati, poco dopo nacque mio fratello e
sette anni dopo seguii io. Avevamo una grande fattoria, con una buona quantità
di animali e piante. La farà sorridere il pensiero che il mio primo approccio
alle impronte è stato proprio quello animale, visto che non poche volte le galline
e le oche hanno tentato di fuggire. Ma non perdiamoci in futili dettagli.
Uhm, eravamo
all’elenco dei possedimenti, giusto? La fattoria era grande, infatti i nostri
prodotti in eccesso venivano venduti al mercato. Non eravamo ricchi, ma avevamo
tutti gli agi che si potessero desiderare. Eravamo dei perfetti signorotti di
campagna. Mio padre era un uomo alto, con la faccia cotta dal sole e dei folti
favoriti neri e lavorava con il bestiame. Mia madre invece si occupava della
fattoria, mentre noi fratelli ci acculturavamo come potevamo, ma a Siger pareva
non bastare. Per il poco che ricordo, aveva un orgoglio indistruttibile e teneva
sempre la testa alta. Tutto ciò, però, non lo salvò da quei tipici mali che
colpiscono gli uomini troppo ambiziosi. Incominciò a fare investimenti
azzardati e a frequentare serratamente la birreria del paese.
La vita non lo
soddisfaceva, voleva di più. All’inizio diceva che era per noi, voleva che
avessimo tutto ciò che si può desiderare, ma ben presto questa sua smania si
trasformò in lussuria, ingordigia e avidità. I peggiori difetti che un uomo
possa avere. Vede, Watson, all’epoca avevo solo otto anni e non riuscivo a
comprendere completamente, ma per mia madre sapevo troppo. Cercava di
proteggermi mentendo, ma così complicava ancora di più le cose.
Avrei potuto
aiutarla, avrei trovato un modo, ma lei non me l’ha mai concesso. Per lei ero
solo un bambino, il suo bambino, e non dovevo fare altro che vivere
spensierato. Dovetti chiedere a Mycroft, anche se mi pesava farlo. A quei tempi
non andavo troppo d’accordo con lui, nonostante lo stimassi già allora. Mio
fratello, purtroppo, era d’accordo con mia madre e non voleva che
m’invischiassi nella faccenda. Come se non avessi intuito da solo la
provenienza e la causa dei lividi che, in quel periodo, vedevo troppo spesso
sui volti dei miei cari.
Di giorno Siger non
c’era mai e, quando tornava a casa, io venivo costretto nella mia camera. Andò
avanti così per due anni, poi una sera mio padre picchiò così forte mia madre
che sentii le grida trapassarmi le orecchie. Ignorando qualsiasi divieto corsi
fuori, verso la scena del misfatto.
Lei era accasciata
sul pavimento e Mycroft si era lanciato addosso a mio padre per buttarlo fuori
casa. Intanto io ero occupato ad accertarmi delle condizioni di mia madre. Per
le poche nozioni che avevo appreso, capii che era ancora viva, ma stava
perdendo troppo sangue. Chiamammo una carrozza e un medico, ma non servì a
niente. Morì dissanguata nel giro di poco tempo. Nessuno osò dire niente,
perché tutti sapevamo.
Da lì in poi la
nostra vita cambiò. Io accantonai i miei studi e i miei hobbies per dedicarmi, quanto
possibile, alla fattoria. Mycroft invece si trovò un lavoro in paese. Mio padre
continuò come se nulla fosse successo, anzi peggiorò la sua situazione. I
debiti aumentavano, la fattoria era in uno stato di degradazione e di soldi ne
giravano pochi. Diversi uomini venivano più volte al giorno a farci visita e a
cercare Siger, ma noi ne sapevamo quanto loro, forse meno.
Non potevamo
continuare così, infatti il giorno del diciottesimo compleanno di mio fratello,
lui affrontò a viso aperto nostro padre e discussero a lungo. L’uomo alzò più
volte la voce, dando di matto, ma mio fratello mantenne la sua solita
pacatezza. Niente avrebbe potuto fargli cambiare idea.
Aveva trovato un
lavoro nella City che gli avrebbe permesso di continuare comunque gli studi e
lui aveva intenzione di trasferirsi. Lasciava tutto a mio padre. Soldi,
vestiti, mobili e fattoria. L’unico impiccio nel suo programma ero io, ma il
mio fratellino ha sempre saputo come trovare soluzioni alternative,
indipendentemente dall’età.
Aveva anche parlato
con i nostri parenti francesi e essi avevano acconsentito ad ospitarmi in
Francia, finché mio fratello non avesse potuto mantenermi da solo, o io stesso non
fossi stato autonomo. Così vissi per molti anni a Parigi, otto all’incirca.
Visto che il mio
francese era molto stentato, la mia matriarca decise di assegnarmi un
insegnante privato. Io tentai più volte di rifiutare, cercando di spiegare che
sarebbero bastati dei libri di testo, ma nessuno mi diede ascolto.
Così mi fu presentato
un Italiano circa sulla quarantina che da ormai una decina d’anni viveva in
Francia. Quest’uomo sapeva parlare tedesco, inglese, francese e italiano,
lingua che implicitamente imparai anch’io, sentendolo parlare.
Per diversi mesi ci
incontrammo, anche se in verità ci misi relativamente poco ad imparare come
esprimermi, ma quel signore era veramente interessante. Dopo non poche
insistenze, mi raccontò di essere scappato dall’Italia e, per necessità, aveva
dovuto imparare diverse lingue.
In verità la sua
professione era quella di regista. Infatti lavorava anche in un teatro di terza
categoria, ma era quello che si poteva permettere al momento. Cercava in tutti
i modi di farsi conoscere nel mondo dello spettacolo. Non si faceva scrupoli ad
usare ragazzini di strada per il volantinaggio. Ma, per quanto potesse
risultare misantropo, sapeva come accattivarsi le persone. “Se non sai parlare
con la gente, se non sai relazionarti, non potrai mai ottenere niente. La
società è basata su uno scambio equivalente, io do a te, ma tu devi dare a me.
Se vuoi diventare qualcuno, Sherlock, impara il valore dei legami e non darlo
mai per scontato”, mi disse una volta e io non lo dimenticai, anche perché
aveva ragione. Più volte glielo feci notare, ma lui storceva il naso. Da
misantropo qual’era, ripudiava la società e i suoi costumi. “Principi, duchi,
baronetti, tutta gente inutile se priva di ingegno e morale. Posso parlarti per
esperienza. Ho viaggiato in diversi stati e ho conosciuto molte persone, ma questo
non ha fatto che accreditare la mia opinione. I titoli, i soldi e i
possedimenti non contano niente perché, quando ti feriranno, il tuo sangue
scenderà nello stesso modo in cui scenderà quello dell’ultimo scugnizzo di
Parigi”, affermava convinto come non mai.
Era un individuo
particolare con interessi e compagnie particolari. Viveva ai confini del
centro, in una via poco raccomandabile, ma tutti gli facevano un segno di
saluto e lui ricambiava sempre. Sembrava più vecchio della sua età, aveva già i
capelli completamente bianchi, eppure era agile e scattante, mai in ozio, ma le
sue qualità andavano oltre a tutto questo.
Un giorno lo sorpresi
ad accarezzare un violino che avevamo in casa. Appena mi vide, risistemò lo
strumento e fece finta di niente, ma, grazie alla mia insistenza, si rassegnò a
suonare. Fu la prima volta che uno strumento mi colpì così tanto.
Il violino e la sua doppia faccia…
spettacolare.
Mi avvicinai alla
musica e alla sua cultura. Il mio insegnante era un appassionato e per lui fu
un piacere raccontarmi le luci e le ombre di quella grande arte. Fu lui a farmi
scoprire la musica classica tedesca e molto altro. In cambio io lo istruii su
tutto ciò che avevo imparato sul medioevo.
Lui aveva circa
trent’anni in più di me, ma mi trattava come un suo pari e alimentava le mie
teorie, non ignorandole come il resto della famiglia. Loro giudicavano
bislacchi i miei obbiettivi futuri. Sa com’è, Watson, il detective è
considerato un mestiere rigido e con regole e doveri precisi, mentre io avevo
una mente più aperta.
Passai veramente anni
interessanti a Parigi, al tempo era il fulcro dell’arte e della cultura e per
me non poteva esserci stimolo migliore, ma una volta cresciuto volevo tornare
dalla nostra amata regina Vittoria.
Mycroft si era ormai
fatto conoscere nella società londinese e il suo aiuto governativo già allora
era prezioso. Io rimasi qualche tempo da lui prima di iscrivermi all’università
di Londra, ma avevo così tanti interessi che mi era difficile concentrarmi in
un solo campo. Frequentai tutti i corsi che attiravano la mia attenzione, ma
pur volendo diventare un detective, non volevo fare il poliziotto, né uno di
quei ridicoli privati che pedinano mariti e mogli fedifraghi.
Un normalissimo
giorno d’estate mi arrivò una lettera e con mio sommo stupore scoprì era stata mandata dal mio vecchio mentore.
Era in tour per la
Scozia con i suoi teatranti, ma era successa una disgrazia. Mi descrisse una
situazione tragica in cui, purtroppo, era implicato anche lui. Non sapeva come
comportarsi, né come agire, ma sapendo della mia conoscenza della legislazione
inglese e ricordandosi il mio intuito, chiese il mio consiglio e aiuto.
Ovviamente io non mi
tirai indietro e presi il primo treno per raggiungerlo e per tutto il viaggio
non feci altro che rimuginare sui fatti e sulle prove.
E fu proprio in
quelle ore che maturai l’idea di consulting detective. Alla fine penso che una
parte del merito vada a quell’uomo italiano, non trova?
Ah, Watson, so già
cosa sta per chiedermi e la risposta è no. Gli racconterò un’altra volta come
risolsi quel mistero, vorrei andare a letto il prima possibile e le sue
palpebre sembrano dire la stessa cosa, ragazzo mio.
Sbrogliato quel caso
e salutato il mio vecchio conoscente, tornai a Londra e mi dedicai all’università
e occasionalmente mi occupai di qualche caso, come quello della Gloria Scott,
rammenta?
Riguardo a mio padre
non lo incontrai mai più. Ogni tanto sia io che Mycroft ricevemmo richieste di
soldi, viveri o semplicemente un posto dove dormire. Io le ho sempre ignorate,
mio fratello molto probabilmente avrà acconsentito, ma lui stesso mi ha
confermato, l’altra sera, che da molto tempo non lo sentiva.
Come le ho detto all’inizio
di questa conversazione, non m’interessa molto. Era un uomo che si era
macchiato di un brutale omicidio, che aveva abbandonato la sua famiglia.
Nonostante io non auguri a nessuno la morte, per me questa è stata la punizione
arrivata in ritardo. Poi ci ragioni, Watson. Un uomo logorato da alcool, debiti
e con un cattivo carattere, quanto poteva durare?
Ma ora basta perdersi
in futili chiacchiere. Quello che doveva essere spiegato è stato spiegato. Io,
amico mio, la ringrazio per aver sentito la mia storia e la ringrazio per non
aver fatto domande, ma solo ascoltato e capito.
Se c’era persona su
questa terra a cui potevo affidarla, quella era lei.
E ora mi faccia un
ultimo favore, vecchio mio, venga a letto e si riposi, oppure sentiremo la
signora Hudson brontolare sulla nostra pigrizia mattutina per tutto il resto della
settimana!
***Angolino
della squinternata***
*sospira*
Finalmente ce l’ho fatta a finirla!
Mi
dispiace di avervi fatto aspettare, ma come potete vedere è un capitolo molto
sostanzioso =D! Prima di rispondere alle vostre meravigliose recensioni, volevo
fare qualche appunto su questa storia, perché credo che sia molto utile, nonché
divertente, farvi capire come ho sviluppato questa idea del passato di Holmes.
1.Holmes,
come sappiamo, è parente di Vernet. Ma la nonna era materna o paterna? Ho
optato per materna, per via del trasferimento in Inghilterra, un uomo non si
sarebbe mai trasferito lì per una donna, massimo il contrario.
2.Le
date sono prese tenendo conto che Holmes è nato nel 1854, quindi nel ’62 doveva avere 8 anni se io non
ho sbagliato i calcoli xD.
3.Monique
è un nome francese preso a caso, mentre Siger è preso dal nome che Holmes usa
durante il grande Iato, ossia Sigerson. Ma provate a leggerlo così Siger’s son,
in italiano “Il figlio di Siger”. Sarebbe stato un ottimo nome per far capire
solo a Mycrof, l’unico a conoscenza di Siger, chi era in verità l’esploratore
Sigerson! Ma ovviamente queste sono solo supposizioni, potrei anche facilmente
sbagliarmi.
4.
Per la condizione di vita di Holmes, ho provato ad immaginarmi dove potevano
vivere e come questi famosi “signorotti di campagna” e alla fine mi è uscito
questo, spero che si adatti abbastanza alla vostra percezione.
5.Perchè
ho mandato Holmes in Francia? A parte che a me pareva la soluzione migliore
vista la situazione, anche per farlo incontrare con questo fantomatico mentore
italiano =D. La sua nazionalità non è data da un mio spirito patriottico o
altro, semplicemente così ho spiegato come cavolo ha fatto Holmes a imparare l’italiano!
Il francese viene da se abitando a Parigi. Il violino poi è stato il tocco di
classe. L’Italia era stata la maggior produttrice di violini pregiati al mondo
(basti pensare allo Stradivari di Holmes) quindi perché un appassionato di
teatro non può essere un buon suonatore di violino? Così in un colpo solo ho
spiegato un sacco di cose del Canone!
6.Ovviamente
l’insegnante non è mai stato menzionato nel canone o in qualsiasi altro
apocrifo di mia conoscenza. Tutta farina del mio cervello deviato e cestinato
xD.
Basta,
la finisco qui se no mi cadete
addormentati come stava per fare il povero Watson xD.
Passiamo
alla risposta delle recensioni!!!
Ladywho:
visto? C’è l’ho fatta finalmente a pubblicare =D! Guarda, era ovvio che tu non
conoscessi i suoi legami con il padre, visto che nel canone l’unico riferimento
alla famiglia di H è “discendo da dei signorotti di campagna”. xD Non sei
ignorante! Ma anche Holmes è umano! Cavolo, non dirmi che lo sto facendo troppo
polaretto, a me pareva di farlo troppo sdolcinato O.O! Hottson avrebbe fatto
una faccia da oscar xD. Ti ringrazio per tutti i complimenti >//< a me
sembra sempre di fare le cose a casaccio quindi… xD Un grande grazie!
Miss
Adler: *applaude facendo fischi* grandissima! Non pensavo che nessuno ce l’avrebbe
fatta, ottimo intuito ragazza ;) xD Lestrade è mitico, è il mio Yarder
preferito <3 Sono contenta che il mio stile non sia troppo confusionario!
Watson è Watson, non ci sono parole per definire quel magnifico uomo **. E non
farti scrupoli a sproloquiare in lungo e in largo, lo faccio sempre anch’io xD
Anne
London: Oh, grazie, sei troppo buona =^^=. Spero di non averti fatto
attendere troppo con questa terza (e ultima) parte. Grazie per le informazioni
sul terzo fratello e sul fumetto. Mi mancava e devo dire che la cosa mi ha
incuriosito moltissimo!
DataLore1001001:
dai che non ti ho fatto aspettare troppo ;)
Il mistero è stato risolto, che te ne pare? Per i capitoli
precedenti, stai tranquilla, succede (forse troppo spesso) anche a me di
dimenticarmi la recensione xD. Bellissimi i soprannomi per quei due xD Dabliu è
fantastico xD. Mi hai fatto troppi complimenti immeritati, sei troppo buona!
Lestrade è MITICO e non smetterò mai di dirlo u.u
Ringrazio
anche chi legge, ricorda, segue e preferisce.
Alla
prossima storia, questa volta più leggera e scherzosa =D.
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Capitolo 6 *** Gli orologi di Baker Street ***
Holmes' Private Life6- Gli orologi di Baker Street
4. Gli orologi di Baker Street
C’era
tensione nell’aria.
Holmes
era come un segugio sulla buona usta e febbricitante incominciò a camminare per
la stanza, ponderando bene i passi, fermandosi per brevi istanti per poi
lanciare piccoli gridolini di soddisfazione e riprendere il giro.
Gli
occhi gli brillavano come non mai ed io intuivo che la faccenda si sarebbe
conclusa di lì a poco.
Holmes,
come ogni volta, aveva sbrogliato la matassa.
-Signori-,
disse fermandosi e puntando lo sguardo su di noi –Vi va di fare una camminatina?
-Sempre
pronto, amico mio-, risposi e lui mi lanciò un'occhiata piena di entusiasmo.
Lestrade,
che aveva assistito alla scena, era un po’ perplesso.
-Signor
Holmes, non mi pare il momento giusto, prima dovremmo risolvere il caso-, affermò
innocentemente l’ispettore.
Sentii
Holmes sospirare e trattenere una delle sue tipiche risposte secche, così ci
pensai io a chiarire la situazione al poliziotto.
-Ispettore
Lestrade, penso proprio che questa passeggiata ci condurrà dritti dal
colpevole.
L’uomo
spalancò gli occhi e il mio camerata, seccato, confermò il tutto con un cenno
della testa.
-Ma
allora non c’è tempo da perdere, partiamo immediatamente!- esclamò preso dalla
sua tipica frenesia.
Recuperati
cappotti e cappelli, uscimmo dall’edificio e incominciammo a camminare per le
strade londinesi.
Subito
Holmes si guardò in torno, alzò lo sguardo al cielo e ispeziono gli svincoli a
noi adiacenti, poi scoccò le labbra e ci fece segno di seguirlo.
Proseguimmo
a passo veloce, ma non troppo, anche se a volte sentivo la gamba mandarmi
segnali d’allerta.
Io
e il mio amico parlavamo tranquillamente, godendoci quella passeggiata mentre
Lestrade, dietro di noi, continuava a sbuffare. Dopo circa venti minuti dalla
nostra partenza, l’ispettore ci raggiunse agitato.
-Allora,
signor Holmes? Quando arriviamo? Non potremmo aumentare il passo, così da arrivare
prima?- chiese, facendomi sentire un po’ d’impiccio.
-Ispettore,
la nostra velocità non deve preoccuparla-, disse il mio camerata, forse un po’
troppo freddamente, ma poi si sciolse in un sorrisino ironico; -Tra cinque
minuti arriviamo, stia tranquillo.
L’uomo
sbuffò e farfugliò qualcosa per poi tornare dietro di noi.
Il
tempo passava e i piedi continuavano a procedere. Ogni tanto Lestrade lanciava
occhiate al mio amico, ma lui scuoteva la testa e lo invitava a mantenere la
calma.
Stavamo
chiacchierando amabilmente, quando l’ispettore tornò alla carica.
-Signor
Holmes, non so come ticchettino gli orologi da voi in Baker Street, ma quelli
di Scotland Yard dicono che sono passati trentacinque minuti e non siamo ancora
arrivati. Dunque, i suoi cinque minuti sono belli che passati!-, sbottò Lestrade
con in viso rosso di furore.
Ma
subito impallidì, sentendo il sospiro quasi rabbioso di Holmes.
Il
mio camerata si era girato velocemente e aveva puntato i suoi occhi di acciaio
sull’ispettore.
-Se
lei avesse interloquito con noi, invece di borbottare in completa solitudine-,
gli rispose Holmes, perdendo la sua tipica calma e lasciando spazio
all’intolleranza; -i minuti sarebbero passati più velocemente, come se fossero stati cinque- finì
scandendo bene l’ultimo concetto.
Lestrade
spalancò gli occhi e la bocca, ma quest’ultima fu prontamente richiusa, mentre
il rossore di rabbia diventava d’imbarazzo. Si ritirò alle nostre spalle,
camminando a testa leggermente bassa per non far trasparire il suo stato
d’animo.
Il
mio amico prese un leggero respiro e mi lanciò un'occhiata tra lo scocciato e
l’ironico. Io gli sorrisi di rimando, capendo la sua irritazione. Mi trattenni
dal ridere, perché non ero in sede giusta, ma sapevo che appena arrivati in
Baker Street, il luogo in cui gli orologi
ticchettano male, Holmes avrebbe fatto una delle sue solite battute
pungenti e io non avrei saputo resistere.
-Allora,
Watson, di cosa stavamo parlando?-, mi chiese subito il mio amico.
Io
ci pensai, ma l’argomento era sfuggito dalla mia mente, perciò scossi la testa.
-Uhm,
forse-,c’interruppe Lestrade con un colpo di tosse –Voi non sapete che è in
arrivo qui a Londra una famosissima cantante che suonerà al Royal Opera House.
A
quell’intervento non seppi trattenere un sorriso e mi voltai verso Holmes, ma
questo era già impegnato nella fitta discussione che l’ispettore aveva appena introdotto.
Quando
arrivammo nei pressi di una vecchia cascina, Holmes s’irrigidì istantaneamente.
-Signori,
siamo al capolinea, i colpevoli dovrebbero arrivare tra poco-, annunciò con
tono grave.
Io
e Lestrade annuimmo e concentrammo lo sguardo sull’edificio.
-Per
fortuna che alla fine mancavano pochi minuti, o non saremmo arrivati in tempo-,
affermò il poliziotto acquattandosi di fianco a Holmes.
Non
ebbi il cuore di dirgli che era passata una buona mezzora dal suo ultimo
intervento.
***Angolino
della squinternata***
E
ora voi vi chiederete “come mai abbiamo aspettato così tanto per una cavo
latina del genere?”
Bhe,
la colpa è da imputare solo a me e alla mia stupidità.
La
storia l’avevo già in mente, era solo da scrivere. Allora qual era il problema?
Il
problema è nato dalla mia puntigliosità, che adesso v’illustrerò nelle note a
questa storia.
1)
La
“camminatina” di cui parla Holmes è una passeggiata di circa tre miglia (aka
cinque km). Procedendo di buon passo in pianura in un'ora si fanno
tranquillamente tre miglia. Ci ho messo un po’ per calcolare i tempi, ma ce l’ho
fatta.
2)
Holmes
sbotta all’incomprensione di Lestrade e per me è assolutamente IC. Sappiamo tutti
quanto il detective mal sopporti le persone meno perspicaci di lui, ma di
solito lascia correre. Perché in questo caso no? Perché è febbricitante, devono
sbrigarsi, ha risolto il caso e non vuole perdere tempo. Ovviamente anche
Watson non è perspicace come Holmes, ma ormai conosce bene l’amico e sa
cogliere i segnali che lui gli manda. Ma ciò non vuol dire che Lestrade sia
stupido, eh, cioè… stupido in confronto a Holmes, ma andiamo! Chi non lo
sarebbe in confronto a lui?
3)
“Tra
cinque minuti arriviamo”. Non so se l’avete riconosciuta, ma è una tipica frase
che si ripete ai bambini impazienti quando si lamentano per le durate di
viaggio o di camminata. Personalmente sotto quest'aspetto credo di aver fatto
impazzire i miei genitori xD. Quindi Holmes sorride ironico proprio per questo,
sta implicitamente dando del bambinone all’ispettore.
4)
Lestrade
preso da una frenesia senza pari e sentendosi preso in giro, perde le staffe xD
pooovero, non sa cosa va incontro. Holmes ormai è esasperato. Insomma uno che
ti chiede in continuazione quanto manca, che sbuffa, che ti lancia occhiate
ecc, fa perdere la pazienza! Indi per cui, anche questo mi pare IC, ma se avete
diverse opinioni non esitate a farvi avanti, apprezzo sempre.
5)
Io
mi chiedo sempre come Watson possa trattenersi dal morir dal ridere in alcune
situazioni! Holmes dice delle cose da scompisciarsi! Quindi ho immaginato,
vista l’epoca, che non fosse molto educato farlo, ma a Baker Street tutto è
permesso e di certo Holmes è compiaciuto dalle risate del suo Boswell.
6)
Ed
ecco il punto che mi ha tenuta ferma per giorni. La Royal Opera House. Dovete sapere che questa storia è antecedente a quella de
“Il cerchio rosso”. Perché? Perché qui viene menzionata “una cantante che si
esibirà al Royal Opera House” ed è quella citata verso la fine dell’avventura
del cerchio rosso, ossia Carina. Ve la ricordate? Nell’avventura Holmes e
Watson dovevano andare a vederla. Su questa Carina ci sono un sacco di storie e
speculazioni molto interessanti, ma io mi cucio la bocca perché se no faccio
delle note più lunghe della storia. Comunque è proprio questo che mi frenava. Non
riuscivo a ricordarmi in quale teatro di Londra Carina avesse cantato e non
potevo consultare la fonte principale, avendo prestato il mio Canone ad una
amica. Per fortuna dopo alcune ricerche e seccature sono riuscita a risalire al
teatro.
Ed ora passiamo alle risposte dei vostri
meravigliosi commenti **
Miss Adler: ed eccola, puntuale come un orologio svizzero!
Anche tu hai scritto cose simili?? E allora che aspetti a pubblicarle? Cavolo,
mi piacerebbe davvero leggerle! Fatti coraggio e posta che sono curiosa ^^. Non
penso che la natura cinica e distaccata di Holmes dipenda solo dal padre, penso
che sia dovuta soprattutto alla sua considerazione della società e delle
persone in generale. Certo le sue difficoltà nei rapporti umani possono essere
state incoraggiate da ciò, ma non penso che siano la causa primaria. Sperando
di non averti fatto attendere troppo, ti ringrazio.
Ladywho:
ancora non ho capito il perché ti ostini a leggere questa raccolta, ma va bene
lo stesso xD! Sono contentissima che apprezzi il mio Watson, è un personaggio
difficile da rendere, come lo è Holmes dopo tutto. Ahahaha povero Holmes, se fossi stata tu il
suo Watson non avrebbe avuto vita facile xDxD oddio! Watson pende veramente
dalle labbra di Holmes, lo rispetta e lo ritiene un grande uomo, in più è un
suo grande amico. Lo stesso Holmes, comunque, dice che il suo corpo non è altro
che una mera appendice del suo cervello, quindi “macchina” in alcuni casi è un
buon aggettivo per descriverlo… per ora… per ora. Voglio proprio vedere cosa mi
dirai al prossimo capitolo xD. Come al solito tu percepisci perfettamente l’idea
che voglio dare al personaggio e sai capire i diversi stati d’animo. Scriverei questa
raccolta solo per te, sai? Spero di averti fatta un po’ sorridere con questa
ff. Ciao e grazie ancora.
Anne London: guarda, io non scuso per i
ritardi, li capisco xD Sono una ritardataria cronica anch’io quindi non
preoccuparti xD. Sono stra felice che il racconto, alla fine non molto breve,
ti sia piaciuto. Ho sempre paura di cadere nell’OOC, quindi le tue
rassicurazioni mi tranquillizzano ^^. Spero di non averti fatto aspettare
troppo per questa cosettina insulsa!
Ovviamente ringrazio anche chi legge, chi
ricorda, chi segue e chi preferisce.
Grazie veramente a tutti.
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Capitolo 7 *** L’avventura dei tre Garrideb, i postumi. ***
Holmes' Private Life5-L'avventura dei tre Garrideb, i postumi
5.
L’avventura dei tre Garrideb, i postumi.
«È ferito, Watson? Per l’amor di Dio, mi dica che
non è ferito!»
Valeva una ferita -molte ferite- scoprire quale
miniera di lealtà e di affetto si nascondeva dietro quella sua maschera gelida.
Per un momento i suoi occhi freddi come l’acciaio si appannarono e gli
tremarono le labbra.
Per la prima e unica volta intravidi un grande
cuore oltre che una grande mente. Tutti quegli anni di umile ma fedele servizio
culminarono in quel momento della verità.
«Non è nulla, Holmes, non è che un graffio.»
Aveva lacerato i miei pantaloni con un temperino.
«Ha ragione», esclamò con un profondo respiro di
sollievo. «È molto superficiale.»
Il suo volto si era indurito come la pietra mentre
guardava il prigioniero che si stava alzando, stordito.
«Giuro sul cielo che le è andata bene, signore. Se
avesse ucciso Watson non sarebbe uscito vivo da questa stanza. E ora, sentiamo,
cosa ha da dire in sua discolpa?»
Fermai
il pennino in aria, mentre con lo sguardo ripassavo velocemente cosa avevo appena
scritto.
Non
riuscii a trattenere un sorriso, lo lasciai libero di spezzarmi il volto.
Avevamo
appena chiuso quella che sarebbe stata in seguito denominata “L’avventura dei
tre Garrideb” ed io non avevo voluto perdere neanche un secondo, trascrivendo rapidamente
quello che era successo neanche un ora fa.
Era
la prima volta che accadeva una cosa del genere, la prima volta che Holmes mi
manifestava la sua amicizia in maniera così aperta ed io non potevo fare a meno
di sorridere. Non riuscivo a smettere. Ero febbricitante, carico di energie e
sorridevo, senza freni, non tenendo conto del decoro o dei costumi dell’epoca.
In
altre occasioni mi sono sempre trattenuto e placato, ma dopo quell’avventura
non ci riuscivo.
La
ferita sulla mia gamba bruciava un po’ e non me ne rammaricavo. Pensavo sarebbe
diventata una cicatrice, un monito futuro che mi avrebbe ricordato il legame
che intercorreva, e intercorre, tra me e Holmes.
Riposi
il pennino nel calamaio, conscio che non era il momento adatto per descrivere i
fatti appena accaduti, poiché sarei stato troppo coinvolto emotivamente e il
mio camerata non avrebbe apprezzato questo mio trasporto.
E
non potendolo trascrivere su carta, decisi di farlo a voce, seduto comodamente
nel nostro salotto in quel di Baker Street.
-Allora
Holmes-, introdussi, puntando lo sguardo su di lui –che gliene pare di questo
caso?
Lui
era seduto sulla sua solita poltrona e si fissava le mani. Aggrottai le sopracciglia
a quella visione. Mi parve distante come in pochi momenti era stato.
-Holmes,
amico mio?- riprovai non ottenendo risultati.
Lasciai
il mio scrittoio e mi diressi verso il camino.
Il
suo volto era aggrottato in un'espressione concentrata, quasi sotto sforzo.
-Holmes,
mi ha sentito?- appoggiai la mia mano sulla sua, ma lui la ritirò rapidamente;
-Ma che le prende?
Il
mio tono preoccupato gli fece alzare gli occhi su di me.
-La
prego di non toccarmi, Watson. Sto riflettendo e gradirei molto se mi lasciasse
solo-, disse in tono monocorde.
-Non
pensavo che la mia mano creasse tutti questi problemi-, sbottai acido. Non potevo
credere che quello fosse lo stesso uomo di poche ore prima, quello con le
labbra tremanti e gli occhi liquidi dall’emozione.
-È
stata una giornata lunga, abbiamo entrambi i nervi scossi- mi rispose fin
troppo pacato. –Abbiamo semplicemente bisogno di una dormita.
-Parli
per lei! Io sto benissimo-, ribattei testardo.
Le
sue mi parevano solo delle infime scuse. Mi credeva così stupido? Lo conoscevo
da troppo tempo, qualcosa doveva essere successo.
-Continuo
a non capire il suo comportamento-, insistetti tenendo lo sguardo fisso su di
lui.
Lui
sbatté pigramente gli occhi e li volse altrove, verso un punto indefinito.
-La
prego, Watson. Non questa sera.
-E
perché? Mi risponda, Holmes, perché?- lo sfidai senza perdere la mia posizione.
Non
successe niente. L’unico rumore nella stanza era quello provocato da un vecchio
pendolo che ticchettava assiduamente.
Holmes
continuava a fissare il vuoto e non pareva intenzionato a degnarmi di alcuna
attenzione.
Serrai
i pugni e gli diedi le spalle. Una strana irritazione, uno strano bruciore, mi
aveva attaccato lo stomaco.
-Bene,
se è ciò che desidera lo farò-, dissi con la mascella contratta dalla rabbia
–Non le parlerò, non la toccherò e me ne andrò a letto… anche se non comprendo.
-Devo
riflettere-, gli sentii pronunciare come l’ennesima scusa.
-Questo
me l’ha già detto, Holmes- gli risposi scocciato, voltandomi nuovamente verso
di lui; –ma su cosa?
Ancora
nessuna risposta.
Un
po’ frustrato incominciai a girare per la stanza, preso da una frenesia a me
solitamente estranea.
-Per
il caso? Eppure mi sembra che sia stato interessante e che si sia concluso nel
migliore dei…- mi bloccai, improvvisamente fui
conscio di un’altra ipotesi possibile.
–Quindi…
quindi è proprio quello che è successo poche ore fa.
Arrestai
i miei piedi e mi fermai davanti a lui.
Era
rigido come una statua e molto pallido. Spostò lentamente il suo sguardo di
acciaio su di me ed io non potei trattenere un sospiro affranto.
-Allora
è questo. Ed io che…-, deglutii a vuoto, -ed io che pensavo di aver avuto
finalmente la conferma di valere qualcosa per lei e… e invece sono solo un
impiccio, vero? Pensava a quello, al perché diavolo mi aveva portato con sé! Lo
dica, Holmes, lo dica che l’ho solo ostacolata!
-Impari
a ragionare, Watson-, mi disse soltanto, per poi alzarsi in piedi.
E
il freddo del suo sguardo scostante, delle sue parole indifferenti, mi
raggiunse il petto.
Tremavo
dalla rabbia, ma quella volta non sarei stato fermo a guardare, non avrei
lasciato correre, non avrei taciuto l’ennesima sfilettata nel mio cuore.
Lo
afferrai velocemente per il polso, prima che imboccasse la porta.
-Si
fermi-, gli intimai puntando lo sguardo sulla sua schiena.
-Mi
lasci, Watson.
-No-,
gli risposi, trattenendo a malapena la rabbia che mi raschiava la gola.
-Watson,
sto perdendo la pazienza…
-E
io l’ho persa già da tempo, Holmes-, ribattei piccato.
Quella
era una guerra che non potevo perdere.
Fece
per strappare via la mano, ma io strinsi di più il polso, deciso a non
lasciarlo. Non mi fu chiaro come, ma mi ritrovai con il braccio in leva dietro
alla schiena. Fu così veloce che non riuscii a trattenere un gemito di dolore
per la mia povera spalla.
Holmes,
sentendomi, lasciò immediatamente la presa.
-Per
l’amor del cielo Watson, sta bene? Mi dispiace, io non so…
Interruppe
la frase sbattendo più volte gli occhi, disorientato dal suo stesso gesto.
-No
Holmes, io dovrei chiederle se sta bene- gli affermai con voce stremata.
-Mi
dispiace, ragazzo mio, la colpa è mia-, disse guardandomi negli occhi.
-Colpa
di cosa? So che questo piccolo incidente non centra, perché non vuole parlarmi
di ciò che la tormenta?
Lui
sospirò quasi impercettibilmente e mi aiutò a sistemarmi il vestito un po’
sgualcito.
-È
un mio problema, non si preoccupi, amico mio-, disse cercando di rassicurarmi.
-Ma
visto che io faccio parte di questo problema diventa affar mio, Holmes.
Lui
tacque e continuò a tenere fissi i suoi occhi nei miei, aspettando che
completassi il discorso.
-Sa
che se ha bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, non esiterò ad aiutarla, a costo
della vita.
-Ma
è proprio questo il problema, Watson, sta sera lei…
-Potevo
morire, ma in ogni caso è così-, lo interruppi per l’ennesima volta in quella
serata.
-Però
sta sera avrei ucciso quell’uomo- affermò fissando i suoi occhi nei miei, -L’avrei
ucciso veramente, se le avesse fatto del male e ciò non è un bene, sarebbe
contro la legge. Un pensiero più barbaro e irrazionale non poteva attraversare
la mia mente.
Mi
diede le spalle e incominciò a camminare con passi leggeri lungo il nostro
salotto, gli occhi erano rigorosamente al soffitto, persi in una dimensione che
a lui soltanto era permessa vedere.
-Occhio
per occhio, dente per dente…- recitò poco dopo, tornando con lo sguardo su di
me; -Lo sciocco detto che ho sempre ripudiato stava per diventare il mio grido
di vendetta.
A
quelle parole sentii sciogliersi il peso che avevo sul petto da quando quella
discussione era iniziata. Finalmente avevo capito cosa tediava l’animo del mio
amico. Mi diedi dello stupido per aver dubitato di lui e di non essere arrivato
prima alla verità. Mi sentivo lusingato dalle sue parole, ma ciò che il suo
discorso introduceva non era cosa da sottovalutare.
-Holmes,
è stata una cosa istintiva, sono sicuro che non l’avrebbe mai fatto- tentai di
rassicurarlo, nonostante io stesso stentassi a credere alle mie parole.
Lui
mi guardò sorridendo tirato.
-E
invece l’avrei fatto, Watson. Gli avrei sparato dritto sul cuore, senza alcun
rimpianto o rimorso.
Lo
disse con un tono monocorde, ma sapevo che la situazione lo metteva in
difficoltà, davanti a cose che non aveva mai dovuto, e voluto, affrontare.
-Mi
sono sempre affidato alla logica proprio per questo. Lasciarsi trasportare dai
sentimenti è dannoso, possono fuorviarti il pensiero, le percezioni e la
moralità-, disse senza mai smettere di guardarmi, come per assicurarsi che
avessi capito.
Purtroppo
quella volta, in quella situazione, non potei dire niente. Non controbattendo
la sua opinione, gli diedi implicitamente ragione e ciò parve bastargli.
-Ora,
se mi vuole scusare, vecchio mio, avrei voglia di una passeggiata notturna. Le
auguro buona notte, Watson, non mi aspetti alzato-, mi informò infilandosi il
cappello in testa con un espressione che non riuscii a decifrare.
Assentii
con un cenno della testa e lo osservai uscire dalla porta.
Aveva
bisogno di riflettere e di farlo da solo, per questo non mi opposi, sapevo che avrebbe
fatto la scelta giusta.
Anch’io
dovevo prendere una decisione.
Mi
diressi verso il mio scrittoio e recuperai velocemente il foglio e il pennino.
Osservai
l’inchiostro assorbito dalla carta e sospirai.
Parole,
erano semplici parole.
Ebbi
l’impulso di buttare il tutto nel camino, di cancellare quegli episodi, ma non
lo feci.
Non
volevo dimenticare, non sarebbe servito, non avrebbe reso le cose più facili.
Così
scelsi quella strada e lo feci con mille dubbi, desiderai solo per un attimo di
avere affianco Holmes, per porre la questione a lui, perché lui sicuramente
avrebbe valutato meglio di me la situazione. Ma non quella volta, non in quel
frangente. Dovevo farcela da solo.
Per
me e per Holmes.
***Angolino
della squinternata***
Per
prima cosa mi scuso dell’enorme ritardo e dell’orrore di capitolo, ma dovevo
postare. In verità dovevo essere a ripassare latino (domani ho la versione) ma
visto che una personcina che chiameremo Terry voleva assolutamente leggere questo capitolo dove Watson,
poveretto, sembrava essere mestruato, io mi sono messa all’opera e zac, ecco il
capitolo!
Volevo
solo rendervi partecipi di una piccola figura di EHMEHM che è capitata a causa
di questo capitolo xD. Io lo volevo far betare da una mia amica così gliel’ho
inviato e lei cos’ha fatto??? Ha corretto il testo preso pari pari dal Canone!
Ha corretto la consecutio temporum di Watson xDxD Se vi interessa la prendo
ancora per i fondelli, è troppo divertente xD. Gius, lo sai che ti voglio bene
e che ti ho personato, però… xDxD Basta, riprendiamo il contegno u.u
Non
penso che ci sia molto da spiegare.
1)Nel
nome del capitolo “i postumi” sono intesi come “le cose che rimangono, i
residui”, tipo quelli famosissimi della sbornia. Qui Holmes aveva i postumi
dell’avventura, e che postumi xD.
2)
Watson ç_ç il povero Watson. Mi dispiace se è risultato OOC, io ce l’ho messa
tutta, ma se volete farmi presente come avrei potuto gestire meglio la cosa non
esitate a farmelo sapere, ci tengo.
3)
L’idea è scaturita proprio dall’avventura in sé, più precisamente da quel
pezzettino che ho riportato all’inizio. Io sono rimasta sconvolta da quelle
parole, veramente! Insomma, Holmes avrebbe ucciso e non per estrema difesa, ma
per vendetta. Ho capito, sono l’unica che si fa questi problemi, lasciamo stare
-.-‘’
4)
Ormai avrete capito che le storie si alternano. Una pesante, una leggera, una
pesante ecc… bhe non so se riuscirò a mantenere la cosa. Io scrivo
prevalentemente angst e non sono brava a fare le cose comiche ^^’’
Ma
ora rispondiamo alle recensioni dello scorso capitolo!
Ladywho: Eccola la personcina di cui parlavo
prima! xD Hai visto? Ho postato alla fine, spero che almeno tu ti faccia
quattro risate su questo povero Watson bistrattato! Holmes è un mito quando
tira fuori il suo umorismo inglese xD ti giuro che leggere il Canone fa fare
certe risate xD. Lestrade è lo Yarder che più apprezzo e amo, alla fine poi
come si fa a non adorarlo? xD Dai, ti lascio adesso, non ti trattengo oltre =9
ciao e grazie per tutto.
Anne London: Ahahaha per fortuna che il nostro
detective ha un forte autocontrollo se no addio Lestrade xD! Io adoro Lestrade,
è il poliziotto che preferisco, una macchietta fantastica =). Purtroppo io
della Granada ho visto solo il primo episodio con “Uno scandalo in Boemia” gli
altri non li trovo =(. A parte questo grazie del tuo sostegno costante =^^=
Miss Adler: Non farti assolutamente di questi
problemi, succede che a volte si ritardi, tanto la storia non scappa =D.
Lestrade è un mito, riesce a far uscire di testa Holmes! xD E per fortuna che
il nostro detective è molto controllato se no una bastonata in testa non gliela
toglieva nessuno xD. Holmes ha un umorismo inglese che mi fa morire, veramente!
Molti tendono a vederlo come un rigido e spocchioso detective, ma lui è tutto
il contrario! Tua madre ha commesso un grosso errore u.u il canone è una
raccolta di racconti gotici vittoriani con dentro le più sensazionali avventure
in cui sono raccolti tutti i tipi di romanzi, anche per questo mi piace,
racconta la vita in tutti i suoi aspetti, comici o drammatici che siano.
>///< davvero è IC? Ho sempre paura di scrivere delle cavolate assurde
(vedi questo capitolo -.-) grazie della rassicurazione, veramente. Hai visto
che alla fine le tue “sciocchezzuole” in verità erano delle meraviglie? Non
dubitarne mai più, anzi posta velocemente xD Scherzo ovviamente! Grazie ancora.
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Capitolo 8 *** Tempi Moderni ***
Holmes' Private Life8-Tempi Moderni
- Tempi moderni
-La
verità non è facile, ignorare lo è. Ma la verità ti distrugge. Prima, tenendola
nascosta, ti corrode dentro e poi, quando finalmente esce dalla chiostra dei
denti, ruba un pezzo di te. Credo, però, che sia giusto dirla, esporla alla
luce del sole. Mi considera un folle per questo, Watson? Sa, non sarebbe il
primo.
Sherlock Holmes si alzò in piedi e si appoggiò al davanzale, guardando fuori
dalla finestra: la nebbia imperversava. Un sospiro stanco gli sfuggi dalle
labbra ceree.
-The eternal sunshine of spotless mind.
Tenga a mente questa frase, Watson, perchè su di essa si baserà la nostra
società da ora in poi, volenti o nolenti. Non sente le voci che corrono? Non
sente i sussurri ormai più frequenti delle parole oneste, dette con tono
chiaro? E' questo il mondo che ci attende, che attenderà le generazioni future.
Un unico motto a guidarci "Occhio non vede, cuore non duole".
Eppure...
Il suo sguardo perso nella nebbia, alla ricerca di qualcosa in più, qualcosa
che chiarisse i dubbi della sua mente, si illuminò improvvisamente di una luce
diversa.
-Eppure, vecchio mio, non riesco ad essere del tutto pessimista. Io spero, io
credo in questo mondo. C'è speranza e lo leggo negli occhi della gente, dei
mendichi e soprattutto negli occhi dei giovani.
Proprio
in quel momento Wiggins fece irruzione nel nostro salotto. Subito si mise sull’attenti,
le braccia incrociate dietro la schiena, mento alto e un sorriso soddisfatto
sul volto. Ci raccontò che i suoi “uomini” avevano portato a termine il compito
affidatogli e che un certo Charlie era stato il primo ad individuare l’obbiettivo.
Holmes lodò il ragazzo e gli diede il suo compenso insieme a quello del resto
della banda. A un solo cenno di capo del mio amico, la figura di quel bambino
cencioso si era dileguata, diretta in strada dove, ne ero certo, i suoi
compagni aspettavano ansiosi un resoconto dettagliato delle parole del ‘gnor Holmes.
Quando
mi girai di nuovo verso il mio compagno, lo trovai proprio intento a fissare il
marciapiede di fronte alla nostra abitazione in Baker Street. Non potei
trattenere un sorriso di fronte all’ennesima dimostrazione di quanto Sherlock
Holmes la macchina fosse solo una stupida convinzione, una barriera, che il mio
compagno continuava a frapporre tra sé e il mondo. Un muro che, a mia detta,
era completamente superfluo e insensato.
In
situazioni come quella, però, non poteva che cedere e di questo ne ebbi l’ultima
conferma dallo sbuffo divertito di Holmes, seguito immediatamente dalle sue
parole solitamente taglienti e ironiche, ma che in quell’occasione si erano
riempite di qualcosa di nuovo.
-Certo
non sarà facile, ma sa quanto a me piacciano le sfide. E lei, dottore? Lei
cos'ha deciso di fare?
Io,
in risposta, non feci altro che affiancarlo e tendergli la mano. E con essa gli
tendevo tutta la mia collaborazione, tutto il mio impegno, la mia fiducia e la
mia assoluta amicizia.
Penso
che non dimenticherò mai quella stretta, suggellata dalla nebbia di Londra e
dai nostri reciproci sorrisi.
***Angolino
della squinternata***
Lo
so, è da tantissimo che non aggiorno, non oso sapere da quanto >.<
Per
chiedervi perdono avrei voluto postarvi qualcosa di meraviglioso, di unico e
invece è uscito questo. Il discorso di Holmes l’avevo scritto tempo fa, ma
giaceva inutilizzato e senza contesto, insieme alla pagina vuota del nuovo
capitolo (che doveva essere tutto tranne che questo, sappia telo u.u). Così ho
detto “prendiamo due storie con un aggiornamento!” e l’ho fatto. Avrete notato
che questa è più corta delle altre, infatti è ciò che si chiama flashfic (aka
shot di 500 parole), ma adesso smetto di tediarvi e passo alla storia!
*)
E’ stata scritta ascoltando la (meravigliosa) canzone “Baker Street” di Gerry
Rafferty (ascoltatela, colpisce dritto al cuore).
**)
Ovviamente avrete notato che Holmes era caduto in uno dei suoi tanti stati filosofici
che, personalmente, mi hanno sempre affascinato. E per questo si lascia andare
in considerazioni che all’inizio potrebbero sembrare un po’ troppo
catastrofiche, ma Holmes non è catastrofico, né ottimista per questo ho
lasciato un grande equilibrio.
***)
The eternal sunshine of spotless mind è
il nome di un meraviglioso film, che però non centra con la storia, ma il
titolo riassumeva il discorso che voleva fare Holmes. Tradotto significa “l’eterno
sole splendente della mente incosciente”. L’ho lasciato in inglese perché in
italiano rendeva poco, mentre nella lingua originale ti lascia quell’alone di
malinconia che pervade le parole. (Guardate anche questo film che è
spettacolare- pubblicità occulta 2 “la vendemmia!”)
****)
Il Charlie di cui parla Wiggins è Charlie Chaplin il grandissimo attore e
regista, a cui va anche il titolo di questa storia che è anche il titolo di un
suo bellissimo film (guardatevelooo!). Un piccolo tributo a questo fantastico
uomo, ancora bambino quando Holmes e Watson ancora si aggiravano per le strade
di Londra.
*****)
Il “’gnor Holmes” è come mi sono immaginata che pronunciassero “signor Holmes”
in cockney, tipico dialetto diffuso tra i poveri di Londra. Mi è sembrato
simpatico metterlo, anche perché io amo gli Irregolari, con tutto il mio cuore
e penso che lo stesso valga per Holmes.
E
dopo aver risolto anche questa passo alle vostre meravigliose recensioni <3
Ladywho: come sempre la prima a commentare xD.
Non saprò mai come ringraziarti, non merito il tuo tempo perso ç_ç. xD Lo slash
lo avrei anche messo, ma solo se questa situazione si fosse presentata nel
film, i personaggi canonici… *coff coff* meglio di no! Povero John(si scrive
così xD) deve avere a che fare non solo con omicidi, assassini ma anche con
Holmes e le sue turbe xD! Dio che pazienza che aveva quell’uomo, anche se com’è
successo nel capitolo ogni tanto sbottava e aveva ragione! Guarda come si
rivolge Holmes all’assassino ci fa capire quanto sia attaccato a Watson,
nonostante non lo dimostri mai. E questo è terribilmente awwww (il mio cuore di
fan girl palpita che è un piacere xD). Oddio Watson e le sue mestruazioni xD
cavolo, io mica divento così e sono donna xD. Guarda più che altro è che da
Holmes non sai mai cosa aspettarti, poi povero Watson aveva quasi rischiato di
morire e tante cose erano successe in quella serata, aveva i nervi scossi
come li aveva anche Holmes. Basta,
smetto di risponderti se no non posto più xD. Ciao e grazie ancora!
Miss Adler: Ecco >///< il tuo commento
mi ha fatto infiammare le guance, veramente. Non merito tutti i tuoi
complimenti. (tranquilla non sei l’unica slasher
pervertita xD). Ti è piaciuto Watson?? xD Nonostante sembrasse in preda alle
mestruazioni? S-secondo te sono rimasta IC??? *-* dici davvero? *lancia un
gridolino di gioia* Yatta! Io ho sempre voluto leggere il seguito di quell’avventura
perché veramente quel finale è da brividi nonostante la storia in sé non sia
così originale (sotto quell’aspetto meglio La lega dei capelli rossi). Concordo
assolutamente con te sulla regola del IC. E veniamo alla tua domanda finale. Che
volto do a H e W? Sinceramente io ne ho inventato uno tutto per me. Devo dire
però che Jude sarebbe quello che si avvicina di più fisicamente (anche se un po’
diverso dal mio immaginario) per quanto riguarda Holmes ti faccio vedere una
meravigliosa immagine che sfiora il mio immaginario à http://users.livejournal.com/_izu_/96770.html (immaginatelo così, però un po’ più giovine xD).
Grazie, grazie, grazie e ancora grazie =D
Anne London: Hai ragione, il finale dei 3
Garrideb fa sognare, eccome! Davvero esistono altre descrizioni del finale??
Wow, potresti semplicemente dirmi anche il sito su cui trovarle, sono veramente
curiosa (anche se il mio scarso inglese mi blocca =S). Ti ringrazio per avermi
fatto notare il particolare dell’eccesso di contatto. Ti riferisci a cose come sistemare
il colletto della camicia spiegazzata, vero? xD Forse non avrei dovuto
metterlo, ma era un espediente per far notare che Holmes era così nervoso da
curarsi di cose del genere, ma forse non l’ho fatto notare bene. Grazie
comunque di avermelo fatto presente, veramente ^^ l’opinione dei lettori è
importantissima per me e la prossima volta rifletterò di più sul contatto
fisico =). Non so se questo capitolo si possa considerare leggerlo, ma spero
che ti piaccia ugualmente ^^.
Ovviamente
ringrazio anche chi legge, chi segue, chi ricorda e chi preferisce.
Grazie
veramente a tutti, di cuore.
Alla
prossima!
|
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Capitolo 9 *** Combattere per il sole ***
Holmes' Private Life9-Combattere per il sole
- Combattere per il sole.
-Holmes,
si fermi! La prego, dobbiamo aiutare quest’uomo.
-Non
c’è tempo, Watson. Andiamo!
Incominciò
a strattonarmi con lo sguardo fisso sulla nostra preda che si allontanava, ma
io non avevo intenzione di muovermi.
-Non
possiamo abbandonarlo qui!
-Invece
sì che possiamo, ora si alzi e mi segua, veloce!
Con
uno strattone più forte mi alzò in piedi, ma io mi divincolai dalla sua presa
immediatamente.
Ero
un medico, ma prima di tutto ero un essere umano, non potevo lasciare una
persona svenuta a terra con una gamba sanguinante.
-Cielo,
Watson! Non siamo in Afganistan, qualcun altro si prenderà cura di lui.
Qualcun
altro sulla riva del Tamigi a notte fonda, ovvio.
Mi scostai seccamente da lui e tornai affianco del poveretto.
-Watson,
le ho detto che non abbiamo tempo!-, mi sillabò frenetico lanciando occhiate
all’orizzonte, dove il criminale stava lentamente scomparendo.
Io
non risposi e cercai di procurarmi una pezza con cui fermare l’emorragia.
Un
altro strattone, questa volta violento, mi fece voltare irritato e, per la
prima volta da quando quell’orrenda situazione era iniziata, guardai il mio
amico negli occhi.
La
notte ci avvolgeva completamente, ma una lanterna illuminava fiocamente la sua
figura. Fremeva, era febbricitante, pieno di nervosismo represso, ma i suoi
occhi, nei quali speravo di trovare una traccia di comprensione, erano vuoti di
qualsiasi sentimento di compassione o di pena.
-Lei,
lei è…-, cercai di dire, preso da un fremito di rabbia.
-Senza
cuore? Privo di ogni pietà umana? Probabile, Watson.
L’acidità
delle sue parole mi colpì duramente e serrai la mascella in una forte stretta.
Non riuscivo a crederci.
-Io
non sono un eroe, Watson. Non lo sono mai stato e non ho intenzione di
diventarlo ora.
Era
mortalmente serio e mi guardava fisso, immobile. Aveva abbassato la voce,
cadenzato le parole e il suo respiro da frenetico si era fatto impercettibile.
Ed
eccola la macchina, la famosissima appendice del proprio cervello. Non era
umano, non lo era mai stato.
Quel
pensiero mi colpì peggio di un pugno nello stomaco e riabbassai lo sguardo sul
ferito.
-Io
combatto per il mio sole, il mio, non quello altrui.
E
con quella frase, enigmatica quanto rivelatrice, era corso all’inseguimento
della sua preda. Io, con il cuore pesante, chiusi la porta dei miei pensieri e
mi dedicai interamente al mio paziente.
Per
la prima volta provai a “non registrare a livello emotivo”. Fu difficile e
bruciava, quasi quanto la pallottola sulla mia spalla, soprattutto perché
sapevo che quando sarebbe finita, io sarei dovuto tornare al mio appartamento,
dove mi attendeva lui. Lui e i suoi occhi di ghiaccio…
Scossi
la testa e cercai di calmare il mio respiro.
Chiusi
gli occhi e premetti sulla ferita dell’uomo.
Non registrare a
livello emotivo, non registrare a livello emotivo, non registrare a livello
emotivo.
Riaprii
gli occhi, ma niente era cambiato, sentivo ancora quel peso sul mio petto.
Cielo,
ma come ci riusciva Holmes?!
In
quell’attimo capii tutto e la consapevolezza mi prese così duramente che non udii
le carrozze arrivare, non sentii i poliziotti di Gregson correre verso di me,
non mi accorsi neanche che il poveretto a cui avevo tentato di fermare
l’emorragia veniva trasportato in ospedale. Fu l’ispettore a riscuotermi.
-Dottore,
torni in sé! Dov’è andato Holmes?
Io
balbettai qualcosa, indicando l’orizzonte e con un cenno di testa tutti gli
Yarders si mossero in quella direzione. Mi offrirono un passaggio, ma rifiutai
cercando di fare un sorriso rassicurante, ma che mi uscii molto tirato e
stanco.
Quel
sorriso rappresentava la mia condizione mentale e psichica, ma non avevo
bisogno né di compassione, né di un dottore, così decisi di fare una
passeggiata fino a casa.
Ho
sempre amato passeggiare, il tempo perde significato e ti puoi permettere una
pausa dal mondo che talvolta gira troppo velocemente per i miei gusti.
In
quel momento i miei pensieri si attorcigliavano incontrollati ed io volevo
trovare il bandolo della matassa risalendo lungo tutti i fili, per poi arrivare
a un ordine emotivo e mentale. Così camminai, guidato dalle luci dei lampioni,
tra la Londra addormentata e quella desta.
Ero
così perso dai miei pensieri che non mi accorsi neanche di essere arrivato
quasi davanti al portone di casa.
E
mentirei se dicessi che non mi stupii di trovare Sherlock Holmes davanti a quel
portone, seduto sugli scalini che si fumava una sigaretta.
Io
mi avvicinai lentamente e lui fece scivolare il suo sguardo prima su di me, poi
sulla strada.
Mi
sedetti pesantemente vicino a lui e solo allora notai la cenere ai suoi piedi.
Troppa, decisamente troppa per appartenere solo a un paio di sigarette.
Lui
seguì il mio sguardo e non mi disse niente.
Stemmo
in silenzio per un tempo che trovai indefinibile. Eppure quel silenzio mi stava
entrando dentro, mi stava alleggerendo l’anima e neanche il freddo di
quell’inverno riusciva ad invogliarmi a lasciarlo.
-Il
mio sole-, disse come se stesse gustando la parola sulla punta della lingua;
-Lei sa quanto il sole sia importante per me.
-È
un altro modo per indicare il suo lavoro?-, chiesi forse un po’ troppo tagliente
perché Holmes mi lanciò un'occhiata veloce.
Finì
la sigaretta e la spense sotto il piede.
-Il
mio lavoro è solo uno strumento, un trampolino di lancio verso il mio sole.
Era
la prima volta che lo sentivo parlare per metafore. Lui, una mente così fredda,
priva di ogni sentimentalismo, o della ricerca del bello, non era solito usare
giri di parole per esporre una teoria o un suo pensiero. Andava dritto al
punto, spiegandoti sinteticamente la situazione, al massimo le utilizzava per
rendere più vivaci le sue battutine ironiche.
Quindi
capirete il mio stupore quando davanti a una cosa così importante, Sherlock
Holmes usava metafore.
Nonostante
questo, non esplicitai il mio stupore, non ne sentivo il bisogno, mantenere
quel silenzio mi pareva fondamentale.
Il
vento gelido di metà inverno ci sussurrava nelle orecchie parole, gesti, frasi,
ma noi le ignorammo tutte e continuammo a goderci il freddo che ci mordeva le
gote e quel silenzio che ci aveva incatenato. Quel tipo di silenzio che
accumuna le persone che si conoscono da tanto tempo, eppure io vivevo con Holmes
da neanche due anni, ma nonostante tutto sentivo già di amare quel silenzio. E
lo mantenni vivo.
Non
dissi niente sull’accaduto di quella sera, sulle mie parole, sulle sue.
Niente,
nessuna spiegazione. Non in quel silenzio.
Rimanemmo
in quella posizione finché la mia gamba, irrigidita sia dal freddo sia dalla
posizione, non tremò leggermente lanciandomi un segnale di dolore. Holmes lo
notò immediatamente e lentamente si alzò in piedi per poi tendermi una mano che
afferrai volentieri.
Appena
entrammo in casa, il calore ci soffocò e l’atmosfera si spezzò. Ci togliemmo
cappotti e cappelli e ci apprestammo a salire le scale e sorrisi internamente vedendo
come Holmes non allontanasse mai troppo il braccio da me, pronto ad afferrarmi
in caso la mia gamba avesse deciso di cedere. Non glielo feci presente, sarei
immediatamente diventato “troppo sentimentale per i suoi gusti”.
Quando
arrivammo davanti alle scale che portavano alla mia camera e al salotto che era
subito prima della sua, ci facemmo un cenno per darci la buona notte.
Feci
due scalini e poi mi fermai, una domanda m'irritava la gola.
-Holmes-,
lo chiamai con tono calmo tenendo lo sguardo basso.
Lui
alzò lo sguardo su di me concedendomi tutta la sua attenzione.
-È
proprio necessario?- mi voltai lentamente verso di lui; -È proprio necessario
non registrare a livello emotivo per raggiungere il suo sole?
Lui
mi fissò per un attimo. Vidi correre in quei suoi occhi d’acciaio infinite
parole, domande ed emozioni, ma fu
solo un secondo. Sbatté le palpebre, con un sorriso, quasi amaro, quasi
consapevole, mi rivolse quelle parole che mai avrei pensato di sentir
pronunciare dalla sua bocca.
-Non
lo so.
***Angolino
della squinternata***
E
dopo un mese esatto eccomi qui! *passano le balle di fieno*
Ehm,
sì ^^ so di essere un tantino in ritardo, ma in verità ho scritto più capitoli
con diverse storie, ma visto che nessuno me ne piaceva li ho eliminati tutti
aspettando quello più giusto, ossia questo che state per leggere.
Sinceramente,
spero che possiate scusarmi, non ho voglia di scrivere le mie solite note
infinite, ovviamente se gradite chiarimenti chiedete pure e io vi risponderò
appena possibile. Specifico solo che è ambientata nell’inverno del ’83, Holmes
e Watson si conoscevano da un anno e mezzo.
Adesso
rispondo ai vostri adorabili commenti e poi vi lascio andare =D
Miss Adler: Siii, l’Holmes di Izu è
spettacolare ** rispecchia molto la mia immagine. Se conosco fiorediloto?! Io
la venero, lei dea dello slash e patrona delle H/W <3 Ho letto tutte le sue
storie sul fandom e non ce n’è una che non mi piaccia ** aehm, rinchiudiamo la
fan girl che è in me xD. Ho fatto un bel po’ di ritardo anche questa volta, mi
dispiace molto, ma non volendo postare obbrobri in grado di far rivoltare
Watson nella tomba preferisco aspettare xD Oh *w* ti ringrazio per i tuoi
continui complimenti e le tue rassicurazioni sul IC di Holmes (anche se quello
che mi da problemi è sempre Watson xD). Voglio proprio vedere cosa ne penserai
di questo capitolo, di questo Holmes così freddo (almeno in apparenza). Grazie
ancora di tutto! P.S io non ho più ricevuto tue e-mail, tutto ok? Se la storia
è pronta posso betartela quando vuoi.
Anne London: ** gli Irregolari sono
fantastici, vorrei tanto scrivere qualcosa su di loro e sul rapporto che hanno
con Holmes. Nooo xD povero Charles xD Io invece me lo immagino da piccolo
scugnizzo con la faccia leggermente sporca =D forse perché ho visto il film
sulla sua vita, “Charlot” si chiama. Te lo consiglio perché è veramente
stupendo (tra i miei preferiti). Per i link sul concorso dei tre Garrideb, se
non è chiederti troppo, mi farebbe piacere averli *-* mi metterei lì felice, perché
non ne ho lette altre su questo argomento, quindi ogni storia è ben accetta =).
Per le tue pignolerie (aka dettaglio cravatta) non ti preoccupare, anch’io ero
indecisa se metterlo, anzi mi fa piacere che tu me lo abbia fatto notare, vuol
dire che sei una lettrice attenta e ciò mi fa un immenso piacere ^^. Grazie
mille.
Ladywho: guarda chi abbiamo qui! La futura
signora McGregor (voluta o non voluta) xD. Oddio, mi dispiace averti tolto le
parole, ma tranquilla potevi anche non recensire ^^ non succede niente, mi mandi
solo in brodo di giuggiole =D. Consapevolezza, hai capito la parola per
descrivere le azioni e le parole di Holmes. Come sempre la tua analisi è
accurata e… e basta xD che te devo dì? Un enorme grazie!
minnow: oddio, a te cosa dico? xD Cioè,
ovviamente inoltre a un immenso GRAZIE venuto dritto dritto dal mio cuoricino
palpitante ** Perché veramente, TU che commenti una MIA storia è… wow,
seriamente xD. Infondo ne abbiamo già parlato su FB e se sapessi che sto
ritardando la pubblicazione proprio per rispondere a te mi squarteresti viva
dicendomi di pubblicare e fregarmene, bhe non me ne frego proprio perché ci
tenevo a ringraziarti, però adesso basta, posto e la finiamo qui. Thanks again.
Ovviamente ringrazio anche chi legge, chi segue, chi
ricorda e chi preferisce.
Grazie veramente a tutti.
Al prossimo aggiornamento~
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Capitolo 10 *** Scorci di vita, scorci di cuore ***
Holmes' Private Life8-Scorci di vita, scorci di cuore
8. Scorci di vita, scorci di cuore.
Era
una clemente giornata autunnale ed io avevo trascinato Holmes a fare una
passeggiata. Un sole pallido illuminava il mio viso sereno e quello tediato del
mio amico. Se Holmes temeva la noia, allora io la odiavo. Non esisteva cosa più
nociva per il suo spirito e, di conseguenza, per il suo corpo. L’astuccio di
marocchino da anni ormai aveva abbandonato la sua pianta stabile sul nostro comodino,
ma nonostante la fiducia che riponevo in Holmes, cercavo di evitare ogni
possibile tentazione. Ero un medico e prima di tutto un amico, non gli avrei
mai permesso di rovinarsi così, avrei accettato tutte le sue risposte secche,
le sue frecciatine acide e i suoi insulti –come stavo facendo in quel preciso
momento- pur di tenerlo lontano da quella sostanza abbietta e deleteria.
Avevamo
comprato un giornale per strada ed ero riuscito a distrarlo, riportando la sua
attenzione su un articolo che parlava del nuovo intrattenimento dilagante in Inghilterra:
la cena con delitto.
Ne
esistevano di diverso tipo, ma le regole erano pressoché le stesse. Ci si
prenotava e nel giorno stabilito si raggiungeva l’abitazione in cui si sarebbe
svolto il gioco. Quando si arrivava nel luogo dell’appuntamento, un attore già
calato nel suo ruolo annunciava che il delitto era già avvenuto. Gli invitati cenavano
assieme a degli attori che impersonavano i personaggi della vicenda e durante
il pasto venivano informati dei fatti principali dell’omicidio, in seguito
stava ai giocatori interrogare, cercare indizi e scoprire l’assassino. Si aveva
tempo fino alla mezzanotte, a quell’ora era previsto l’arrivo di una finta
polizia e ogni persona era invitata a esporre le sue teorie. Se uno degli
invitati riusciva a smascherare l’assassino, riceveva un premio e un buono per
la prossima cena.
Ovviamente
la cosa entusiasmava me e non troppo Holmes.
-Banale,
terribilmente banale, per non dire triste-, disse, ma sapevo che la cosa aveva
attirato la sua attenzione.
-Suvvia
Holmes, cosa la infastidisce? Altre persone come me e lei desiderano provare il
brivido dell’investigazione e, non avendo Scotland Yard ai piedi-, m'interruppi
lanciandogli un occhiata complice che fu ricambiata da una divertita, –utilizzano
i mezzi a loro disposizione.
-Non
ne hanno abbastanza di omicidi sui giornali?
-E
cosa dovrei dire io di lei che, insoddisfatto della brulicante criminalità
londinese, si reca anche all’estero?
Scosse
la testa divertito e mi guardò con sorriso sghembo.
-Watson,
anno dopo anno, la lingua le si allunga sempre più.
-Anche
a questo proposito avrei da dire qualcosa, ma sulla sua, di lingua.
Alla
mia ennesima sfilettata, si concesse una breve risata che ebbe il potere di
alleggerirmi il cuore. Sapevo che la droga era sempre in agguato e conoscevo l’attrattiva
che esercitava su Holmes, ma allo stesso tempo ero pienamente consapevole che
io ero in grado di batterla.
Orgoglioso
della mia piccola vittoria, proposi a bruciapelo di iscriverci a una di queste
famose cene. Con mio sommo stupore il mio amico acconsentì e insieme ci
incamminammo verso l’ufficio indicato sull'annuncio.
Non
so come, il mio guardo fu attirato da quello che pareva essere un sacco di
stracci abbandonato sulla strada, ma che a un esame più attento risultò essere
una povera mendicante accasciata a terra. Mi si strinse inevitabilmente il
cuore.
-Holmes,
aspetti un attimo-, dissi fermandomi a guardarla.
-Vuole
dare dei soldi a quella mendica?- mi chiese, seguendo il mio sguardo; -E se
fosse un’impostrice?
Mi
voltai velocemente verso di lui, non dimentico di Neville St. Clair.
-È
un’impostrice?-, gli domandai, forse con troppa apprensione nella voce, poiché mi
sorrise delicatamente.
-No,
ma anche se lo fosse, lei la aiuterebbe lo stesso.
Feci
scivolare lo sguardo verso quella figura rannicchiata e ancora una volta mi si
strinse il cuore, Holmes aveva ragione.
-Penso
che chiunque chieda l’elemosina, per obbligo o per scelta, deve essere così
disperato, così disperato da rinunciare al proprio orgoglio e mettersi sotto il
severo giudizio della gente.
Infilai
le mani in tasca ed estrassi qualche soldo.
-Queste
poche monete che per me non sono niente, potrebbero fare la differenza per
quella donna.
Senza
aggiungere altro, o aspettare una risposta dal mio amico mi avvicinai alla
mendica e lasciai cadere il denaro nella ciotola che aveva di fronte.
Quella
alzò improvvisamente la testa e solo allora mi resi conto del mio errore. Non
era una donna, ma una semplice ragazzina. Così giovane e già senza un tetto.
Stavo
per dire qualcosa, ma Holmes mi precedette accovacciandosi all’altezza della
mendica.
-Prendi
anche questi, così potrai comprare lo sciroppo per David.
Lo
sguardo di lei si illuminò come non mai e Holmes le sorrise, tiepido.
Non
gli chiesi niente su quella strabiliante deduzione, in quel momento ero intento
ad ammirare il piccolo scorcio su quel cuore che Holmes aveva sempre negato di
avere.
Il
mio amico si sollevò spolverandosi le ginocchia, ma appena si voltò verso di me,
la ragazzina gli parlò per la prima volta.
-Lei,
‘gnore, ha un sorriso splendido, è un peccato che non lo mostri spesso.
A
quelle parole Holmes, mentre soffocava l’imbarazzo che per un attimo avevo
visto corrergli sulle gote pallide, si girò lentamente e la squadrò da capo a
piedi.
-Come
ti chiami, ragazzina?-, chiese infine.
-Sarah,
‘gnore.
Lui
annuì e con fare noncurante gli pose un'altra domanda.
-Allora,
Sarah, hai mai sentito parlare degli Irregolari di Baker Street?
A
quel nome la ragazzina s’irrigidì istantaneamente.
-Oh,
sì ‘gnore, ma se vuole informazioni su di loro, non otterrà niente da me-,
proferì con tono fermo.
Io
mi sciolsi in un sorriso alla sua determinazione e Holmes si concesse uno
sbuffo divertito.
-Mi
fa piacere saperlo, perché ti vorrei tra le loro file.
Come
prima immediatamente si era irrigidita, adesso era il ritratto della sorpresa.
-Tu…
lei è il ‘gnor Holmes?-, disse guardando sognante il mio amico.
-In
persona-, rispose reclinando leggermente la testa, come per fare un piccolo
inchino; -Ma non mi hai dato risposta, vuoi lavorare per me?
A
quella domanda i suoi stracci incominciarono a fremere tutti.
-Oh
‘gnor Holmes, sarà un onore!
Allora
il mio amico gli tese la sua mano guantata. La ragazzina esitò. Aveva le mani
completamente lerce e non voleva sporcare i guanti candidi del 'gnor Holmes. Ma il mio amico,
noncurante, afferrò egli stesso la mano della ragazzina che ricambiò il gesto
con un enorme sorriso, il più sincero che abbia mai visto.
E
li guardai allontanarsi, mentre Holmes gesticolava spiegandogli nel dettaglio
quale sarebbe stato il suo ruolo e quali i suoi incarichi. Sarah annuiva e non
staccava gli occhi da lui, come se non esistesse altro al mondo.
Solo
in quel momento compresi veramente cosa rappresentava Holmes per quei ragazzi. E
ancora una volta, l’ennesima di quella giornata, mi chiesi come avevo potuto
pensare in passato e anche solo per un momento che Holmes fosse solo una
macchia, un'appendice del suo cervello…
Improvvisamente,
udendo chiamare il mio nome, ritornai alla realtà e mi resi conto che Holmes e
la sua nuova aiutante si erano fermati ad aspettarmi, così li raggiunsi
velocemente, ma senza riuscire a reprimere un sorriso.
No,
Holmes era una persona straordinaria, dentro e fuori, ed io non potevo
desiderare amico migliore.
***Angolino
della squinternata***
Signore,
mi stupisco di me stessa! È uscita senza che io me ne accorgessi, tutta in un
giorno solo, wow! Almeno sono riuscita ad aggiornare in tempi decenti!
Tralasciando
i miei travagli passo alle informazioni inutili su questo capitolo!
Vi
dico da subito che se l’affermazione sul sorriso di Holmes vi pare famigliare,
non è solo un’impressione, perché per quel pezzo mi sono ispirata a Criminal
Minds (GIDEONNNNNNN ♥). Detto questo la storia dovrebbe essere
ambientata subito prima o subito dopo il 96, anno nel quale Watson afferma con
sicurezza (cfr. L’avventura del giocatore scomparso) che “Anno dopo anno, ero
finalmente riuscito a fargli abbandonare quelle droghe che una volta avevano
quasi rovinato la sua brillante carriera.”
Bwahahahah
per quanto riguarda le “cene con delitto” mi sono informata, che credete? Si
diffusero in Inghilterra per la prima volta intorno ai primi decenni del XX
secolo, quindi anche il tempo di ambientazione è perfetto *si sente orgogliosa
di se stessa*. L’idea di utilizzare la “cena con delitto” mi è venuta facendo l’RP
con la mia Watson (ciaoo, Giusvaldella mia!)
Ultima
cosa per i più smemorati che non ricordano Neville St. Clair . Questo signore è
il protagonista de “L’uomo dal labbro spaccato”. Tornata la memoria? =)
Concludo
condividendo questa splendida frase che riporto da “L’ultimo caso di Sherlock
Holmes” di Dibdin.
“Ma non mi sognerei
mai di spacciarmi per un funzionario di polizia, Lestrade! Questo lo lascio a
voi!”
LOL
xD
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Capitolo 11 *** Promesse ***
Holmes' Private Life9-Promesse
9.Promesse
Sospirai,
lasciando increspare le mie labbra in un piccolo sorriso. Finalmente.
Finalmente
il gran giorno era arrivato.
La
casa era pronta, i mobili erano al loro posto e la mia bellissima sposa mi
aspettava.
I
miei vestiti erano già nei loro nuovi cassetti, così con me tenevo solo la
borsa contenente i miei ferri del mestiere.
Ed
ero lì, a tentennare davanti alla porta del 221B di Baker Street,
l’appartamento che per tanti anni avevo condiviso con il mio amico Holmes. Quest’ultimo
era seduto sulla sua poltrona preferita a pensare chissà cosa.
Per
un attimo credetti che si fosse dimenticato quale giorno speciale fosse, ma
qualcosa nel suo atteggiamento mi smentì.
La
pipa era spenta, dimenticata chissà dove, il violino era chiuso con cura nella
sua custodia, ermetico, e il tavolo di chimica giaceva inutilizzato, lasciato
alla polvere.
Aspettai,
fermo sul ciglio della porta, respirando quell’aria a me tanto familiare. Mi
sarebbe mancata, lo sapevo e lo accettavo. Tanto sarei tornato quando più mi
aggradava e avrei combattuto i laconici telegrammi di Holmes con lunghe lettere
vergate di mio pugno.
-Allora,
ci siamo-, dissi strofinandomi le dita e lasciando correre un sorriso sul mio
viso.
Holmes
si alzò pigramente in piedi e mi afferrò la mano.
-È
stato un piacere conoscerla, Watson.
Risi,
lasciandomi sopraffare dall’emozione. Quelle parole sembravano rivolte a un
criminale con già il cappio al collo, non a un amico che trasloca.
-Suvvia,
Holmes! La sua vena melodrammatica si è svegliata oggi? Mi trasferisco solo, e
neanche troppo lontano. Ci sentiremo e la verrò a trovare.
Lui
annuì svogliatamente, più per farmi piacere che per convinzione, e tornò alla
sua poltrona.
-Non
faccia il bambino, non adesso-, ero stufo di quel suo comportamento puerile.
Avevo
ascoltato tutti i suoi dubbi riguardanti il mio matrimonio, ma pensavo che alla
fine fosse felice per me. Invece mi teneva il broncio, il broncio!
-Lei
trae conclusioni affrettate, Watson, mentre io sto semplicemente prendendo atto
dei fatti-, mi rispose atono e con lo sguardo annoiato fisso sul soffitto.
Continuavo
a non capire.
-E
di quali fatti dovrebbe prendere atto? Che mi sarei sposato lo sapeva, anzi è
stato il primo, non contando Mary, a saperlo.
-Io
sto prendendo atto del suo abbandono-, disse secco.
-E
poi sarei io quello da romanzo d’appendice! Holmes, è per caso sotto l’effetto
di droghe?-, gli chiesi velenoso.
-No,
ma non pare una cattiva idea.
Rabbrividii
al sol pensiero e prima che potesse anche minimamente muoversi, riposi
l’astuccio di marocchino nel cassetto.
Lui
seguì i miei gesti e sorrise sbeffeggiandomi.
-Watson,
la sua preoccupazione è veramente lodevole, ma non si crucci, non lo farò in
sua presenza.
Sentirmi
così vilmente preso in giro, mi fece serrare la mascella dalla rabbia.
-La
smetta, Holmes, sappiamo che questo è solo uno dei suoi giochi infantili. Non è
giornata, lo capisco. Le prometto che tornerò domani, va bene?
E
proprio in quel momento una grossa, gelida, risata risuonò nella stanza.
-Domani,
domani. Certo. E mi dica, dottore, i suoi pazienti, lo studio nuovo, sua moglie
e la casa? Qual è il mio posto in mezzo a tutto ciò?
Non
sapevo cosa rispondere, la mia gola era occlusa dall’eco di quella risata e i
miei occhi incatenati ai suoi di acciaio.
Mi
umettai le labbra e, prendendo un respiro, mi prestai a rispondere.
-Holmes,
lei è il mio più caro e grande amico, tempo per lei ne avrò sempre, come l’ho
avuto fin ora.
Lui
scosse la testa e mi riservò un occhiata che non avrei saputo definire.
-Vecchio
mio, lei non ha mai brillato per logica, ma qui pecca d’ingenuità. Per quanto
io non metta in dubbio il sincero attaccamento che ha verso la mia persona,
quando uscirà da quella porta io passerò all’ultimo dei suoi pensieri.
Tentai
di protestare, ma lui con un gesto stanco della mano mi bloccò e riprese a
parlare.
-Non
lo farà intenzionalmente, ma ciò non vuol dire che non accadrà. Baker Street
avrà sempre la porta aperta e la poltrona vuota per lei, è il benvenuto. Ma la
prego di una cosa.
S’interruppe
e scostò lentamente lo sguardo dal mio. Per un attimo, solo per un secondo, mi
parve scorgere qualcosa di più oltre al puerile risentimento in quegli occhi.
-Non
faccia promesse che non può mantenere.
Istintivamente
puntai gli occhi al pavimento, continuando a persistere nella mia
cocciutaggine. Non gli risposi, uscii semplicemente e accostai la porta, non
volendo sapere, immaginare, cosa sarebbe successo dopo in quel salotto.
Non
potevo fare niente, non in quel momento, ma avrei fatto cambiare idea Holmes e
l’avrei fatto con gli stessi strumenti che lui stesso usava: le prove.
Mentre
una carrozza mi portava verso la mia nuova casa, giurai solennemente che il
giorno dopo mi sarei presentato da Holmes con un sorriso raggiante e una
scatola di quel trinciato che gli piaceva tanto.
E
allora l’avrei costretto ad ammettere il suo errore e il sorriso, sebbene
smozzicato e nascosto da una finta superbia, sarebbe ritornato sul suo viso.
Il
giorno dopo inaugurai l’ambulatorio e passai la mattinata tra scartoffie e
ultimi ritocchi. Alle undici esatte tutto era stato sistemato e il mio primo
pensiero corse alla mia promessa. Subito scrissi un biglietto per Mary e mi
avviai verso Baker Street pronto a uno dei pranzetti di Mrs. Hudson.
A
metà strada però incontrai mia moglie affannata per le borse della spesa,
ovviamente mi sorpresi di incontrarla a piedi, ma mi disse di aver speso quasi
tutti i soldi per i viveri e non averne avuto abbastanza per la carrozza. Non
la rimproverai affatto, anzi, ne approfittai per fare la nostra prima ufficiale
passeggiata da sposi novelli. Conversammo spensieratamente e ridemmo,
ricordando i provini per le governanti svoltisi il giorno prima. Non avevamo
ancora trovato la persona adatta, così dovevamo arrangiarsi da soli, ma la mia
Mary era testarda e piena di risorse.
Pranzammo
con calma e nel pomeriggio ricevetti i miei primi due clienti. Un ipocondriaco
e un anziano con dolori reumatici, niente di eccitante o grave, ma mi parve che
fossero soddisfatti dalle mie modeste capacità.
Giunse
presto ora di cena e Mary mi stupì presentandomi un buonissimo pollo al curry.
Ma la mia neo consorte non sapeva mai quando fermarsi e fu proprio al termine
della cena, con già i piedi davanti al camino che mi consegnò un pacchetto
azzurro. La guardai curioso e lei ridacchiando mi invitò a scartare il regalo.
-Mary,
ma come…?- balbettai non riuscendo a staccare gli occhi da ciò che avevo in
mano. Era la monografia sulle terminazioni nervose di Percy Trevelyan che anni
prima avevo avuto il dispiacere di perdere. Introvabile al tempo de “Il
paziente interno”, figurarsi tre anni dopo!
Alzai
lo sguardo su di lei che mi sorrideva, profondamente compiaciuta dalla mia
reazione.
-Sono
contenta che ti piaccia, anzi in verità non ne avevo dubbio!-, ridacchiò
lanciandomi uno sguardo saputello, -Mi ricorderò per sempre la tua faccia lunga
e grigia il giorno in cui, volendo mostrarmelo, non l’hai trovato nella
libreria.
Non
seppi che dire. Mancandomi le parole, le diedi un semplice bacio e sorrisi. Non
avrei potuto scegliere sposa e donna migliore, una persona che sapevo si
sarebbe presa cura di me veramente sia in salute che in malattia.
Mi
ripromisi di portarle un mazzo di gigli, i suoi preferiti, al più presto ma in
quel momento ciò che più mi premeva, era riassaporare quel vecchio libro.
Mary
si ritirò nelle nostre stanze e io mi accinsi alla lettura.
Il
tempo volò ed era notte fonda quando giunto all’ultima pagina scorsi una
scritta a mano.
Da Percy Trevelyan al dottor Watson, estimatore
della mia professione e salvatore della mia carriera, insieme al suo amico il
signor Holmes.
Fu
come un fulmine a ciel sereno.
Holmes,
il mio amico Holmes.
Dovevo
passare a trovarlo, dovevo dimostrargli che si sbagliava, dovevo
mantenere
la mia promessa.
Ma
non era colpa mia, non avevo potuto.
Prima
la casa, poi l’ambulatorio, Mary e…
Lasciai
cadere il libro per terra e mi misi le mani tra i capelli.
Esattamente come
aveva detto Holmes.
Appoggiai
i gomiti sulle ginocchia, la testa pesava troppo.
Esattamente come
aveva detto Holmes.
Strinsi
gli occhi e cercai di fermare il mio cuore impazzito.
Avevo infranto la
promessa.
***Angolino
della squinternata***
As
usual, sono tremendamente in ritardo, lo so e vi chiedo perdono, ma quando un
capitolo non ne vuole sapere, non ne vuole sapere.
Ammetto
che metà di questa storia era scritta da tempo immemorabile, ma il resto non
voleva saltar fuori, soprattutto il finale!
Ecco,
con il finale ho avuto parecchi problemi, anche perché volevo inserire una cosa
che poi ho deciso di togliere, per quanto mi piaccia.
Sto
parlando di questo pezzettino che volevo inserire subito dopo la frase di
Watson:
Una luce si consumava nella notte.
Una nera figura dinoccolata era immobile e fissava
una finestra illuminata –oltre.
La luce, tra spire di fumo, cadde e venne
schiacciata, quasi pesantemente.
La figura emise un lungo sospiro.
Un sospiro lungo quanto le infinite parole che
aveva dentro.
Praticamente
voleva essere una narrazione in terza persona, in cui viene descritto Holmes
che, fumando una sigaretta (aka luce) guarda Watson disperato dalla finestra.
Si rende conto di aver avuto anche questa volta (purtroppo) ragione e sopprime
la sigaretta per poi lasciarsi andare in un sospiro. Cosa contenga il sospiro
sta a voi decifrarlo ;)
Comunque
ho deciso di metterlo qui tra le note, come extra perché alla fine queste sono
le note del dottore e il dottore questa cosa non potrebbe mai saperla.
Vedetela
un po’ come una chicca, una scena tagliata ^^.
Non
penso di aver molto da dire, ricordo solo che la monografia citata è propria
dell’avventura de “Il paziente interno”, quindi niente di inventato, l’unica
cosa che ho inventato è la sparizione di questa. Percy Trevelyan è uno dei
protagonisti della suddetta avventura.
Mi
pare scontato datare questa avventura, ma specifico che è prima de “Uno
scandalo in Boemia”, così sappiamo il motivo della reticenza di Watson e della
dichiarazione di Holmes ♥.
Vi
avviso che ormai questa raccolta volge al termine, mancano sicuramente meno di
cinque capitoli, quindi preparatevi psicologicamente (aka andata a comprare i
festoni) xD.
Concludo
il tutto qui, ringrazio solamente quelle sante anime che commentano la mia
storia, che la seguono/ricordano/preferiscono.
Grazie
davvero.
|
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Capitolo 12 *** Eroi e confronti ***
Holmes' Private Life12-Eroi e confronti
10.Eroi e confronti.
-Watson,
essendo lei un buon conoscitore dei classici greci, ricorderà sicuramente
l’Iliade e l’Odissea, i due poemi omerici.
Era
un tranquillo giorno di Marzo, fuori una pesante e acquosa neve impantanava gli
stivali dei Londinesi.
Alzai
lo sguardo dal mio libro. Non mi aspettavo una simile domanda da parte di Holmes,
ma non fu difficile rispondere.
-Certo,
due opere molto appassionanti, anche se molto ardue da rappresentare
teatralmente a causa della loro lunghezza-, replicai per poi tornare sul mio
libro, ma a quanto pareva Holmes quel giorno aveva deciso che non era tempo di
lettura.
-E,
mi dica, quale preferisce delle due?-, mi chiese cordialmente e con un
sorrisino malizioso che piegava leggermente le sue labbra.
-Sono
entrambe d’immensa bellezza, ma se devo scegliere, direi l’Odissea-, dissi un
po’ perplesso dalla sua espressione.
Rise
leggermente, inclinando la testa verso il soffitto.
-Ci
avrei scommesso e scommetto anche che lei la preferisce perchè Ulisse, il
protagonista, rispecchia di più la sua idea di eroe.
-Esatto.
-E
immagino anche che Ettore, nell’Iliade, sia uno dei suoi favoriti.
Mi
scoccò un’occhiata, come se mi stesse sfidando a contraddirlo, ma io non ne
avevo la minima intenzione.
-Holmes,
non so come abbia fatto, non abbiamo mai toccato questo argomento e io non ho
mai accennato ai miei gusti in questo campo. Se non la conoscessi così bene la
giudicherei uno stregone!
Ora
era il mio turno di ridere alle mie sciocchezze, ma gli occhi d’acciaio
lievemente opachi di Holmes mi seccarono il sorriso sulle labbra.
-Niente
magia, Watson. Solo la ruota della società che gira.
-Cosa
intende?
-Secondo
lei quale preferisco tra i due poemi?
A
questa domanda mi sistemai meglio sulla poltrona e soppesai accuratamente ogni
possibilità, sotto lo sguardo imperturbabile di Holmes, ma la risposta mi
pareva tanto scontata che non ci riflettei molto.
-L’Odissea,
sicuramente.
-No.
Aggrottai
le sopracciglia a quella risposta e Holmes allacciò le dita tra loro,
abbandonando poi le mani sopra le gambe.
-Ma
come! Pensavo che l’ostentata razionalità dell’Odissea fosse più nella sua
linea di pensiero.
Come
se si fosse aspettato questo mio intervento, mi spiegò tranquillo la sua
teoria.
-C’è
molta più razionalità nell’Iliade che nella sua opera favorita, Watson. E
sinceramente trovo più interessanti la figura di Achille, insieme a Ettore, che
quella di Ulisse.
A
quel punto chiusi il mio libro di scatto, ormai assorbito dalla conversazione.
-Sta
cercando di dirmi che lei disprezza Ulisse, orditore d’inganni, e parteggia per
Achille, sterminatore di popoli?
Con
questa frase sottolineai ancor di più le mie preferenze e Holmes ne sorrise.
-Sto
solo tentando di dire che Achille non era solo uno sterminatore e Ulisse non
era solo un orditore d’inganni.
-Non
capisco dove vuole arrivare.
Come
la maggior parte delle volte, ma il mio amico aveva sempre accettato di
chiarificarmi le sue ermetiche risposte e quel giorno non fu diverso.
-Per
spiegarmi userò le stesse parole di Omero. Mi faccia un favore, Watson. Mi
cerchi i due poemi, li ho letti circa due ore fa, dovrebbero essere qui vicino…
Ah, eccoli! Allora, da dove vogliamo partire? Dal riscatto del Pelide o dal
disfacimento del Laertide? Suvvia, partiamo da quest’ultimo. Ecco, il suo primo
vero intervento! Agamennone per mettere alla prova i suoi soldati li esorta a
tornare a casa, Ulisse lo intuisce e riesce a bloccarli. Ricorda questo
passaggio, Watson?
Sorrisi
annuendo e schioccai le labbra.
-Certo,
è sicuramente un esempio di come la parola possa placare anche la più ribelle
delle folle.
-E
il seguito? Ricorda il seguito di questo canto?
-Se
devo essere sincero no, sono passati troppi anni.
-Non
si preoccupi di questo vecchio mio, quasi nessuno conosce i fatti
immediatamente successivi, per questo ho preferito avere il testo sotto mano.
Ecco, legga. Qui si parla di un vecchio zoppo di nome Tersite che ribatte alle
affermazioni di Ulisse, accusando Agamennone di tracotanza e avidità sostenendo
invece Achille, a cui era stata sottratta ingiustamente la propria schiava, e
esortando i soldati a rinunciare alla guerra che riteneva inutile. Ora ricorda?
-No,
non penso di avere mai letto quel particolare passaggio.
-Eccellente,
allora provi a pensare a che tipo di risposta avrebbe potuto dare il principe
del pensiero.
-Uhm,
dunque. Sicuramente era un amico del Pelide e sapeva riconoscere un'ingiustizia
quando la vedeva, quindi su questo punto avrà appoggiato il vecchio, ma si sarà
sicuramente opposto alla proposta di ritornare in patria, perché a quel tempo
l’orgoglio e l’onore erano i fattori su cui si basava la società.
-Magnifico
ragionamento, Watson, ma mi deve ancora dire la reazione di Ulisse.
-Sicuramente
avrà tenuto un discorso, riuscendo sia a dimostrare il suo parteggiare per
Achille sia a convincere i soldati a non abbandonare il campo di battaglia,
rammendando al vecchio di non aver paura e di affrontare la guerra.
-Se
il suo ragionamento è stato magnifico, non lo è stata la sua deduzione, mio
caro.
-Ho sbagliato qualcosa?
-Tutto, per la precisione.
-Mio caro Holmes!
Ebbi
come risposta un sorrisino malizioso, ma non mi fu dato il tempo di esprimere
la mia sorpresa, che il frusciare delle pagine mi riempì le orecchie.
Poi,
con voce profonda, Holmes incominciò a leggere espressivamente, mentre muoveva
la mano libera dal peso del libro.
-“Parli bene ma parli da stupido. Tu sei il
peggiore di tutti, sai?, Tersite. Il peggiore di tutti i guerrieri venuti sotto
le mura di Ilio. Ti diverti a insultare Agamennone, il re dei re, solo perché
tanti doni gli avete portato voi guerrieri achei. Ma io ti dico, e ti giuro,
che se ti sorprendo un’altra volta a dire scempiaggini come queste, ti
piglierò, ti strapperò le vesti – il mantello, la tunica, tutto – e ti
rimanderò nudo e piangente alle navi, coperto di ferite da far schifo”. E
poi incomincia a malmenarlo, mentre lui piange e gli altri ridono.
-Ma
si comportavano così all’epoca!
-Ecco,
Watson, ha centrato il punto. Si comportavano tutti secondo il rigido
regolamento imposto dalla società.
-E
Achille no?
-Amico
mio, non affrettiamo i tempi, continuiamo con Ulisse. Prendiamo un altro brano
significativo… Trovato! Qui, con il suo amico Diomede, uccide nel sonno molti
uomini alleati con l’esercito troiano.
-Non
mi dica che non trova questo stratagemma astuto!
-Mai
messo in dubbio ed è proprio questo che mi fa pensare. L’ingegno all’epoca era
molto spesso scambiato con la codardia.
-Però
non accusarono mai Ulisse per i suoi inganni.
-Infatti,
li chiamano inganni, astuzie, e mai menzogne o scorciatoie, perché questo
sarebbe disonorevole.
-Quindi
lei sostiene che alla fine abbia adattato le sue qualità alla società?
-Precisamente,
vecchio mio. Ulisse è il perfetto esempio di schiavo della società, o degli
dei, che dir si voglia.
-Degli
dei?
-Mi
passi un attimo l’Odissea, ecco. Se nota, lui esegue sempre gli ordini degli
dei, fa sacrifici, non si arrabbia con loro nonostante lo perseguitino. Ma chi
sono gli dei? Esistono veramente Zeus e l’Olimpo?
-Ovviamente
no, ma la società all’epoca...
La
consapevolezza si fece largo nella mia mente. Holmes mi sorrise.
-Vedo
che incomincia a capire, Watson.
-Sì,
temo di aver inteso: Ulisse non è altro che un fantoccio della società.
-Non
esattamente. Diciamo che la società ha limato quelle piccole imperfezioni che
l’avrebbero reso fuori dal comune, così vicino al nostro punto di vista moderno
da essere ritenuto pazzo e codardo. L’Odissea si basa sul nostos, sul ritorno, eppure leggendo non pare che Ulisse smani di
tornare a casa.
-Questo
non è vero, ricordo benissimo la scena struggente in cui Ulisse tenuto
prigioniero da Calipso piange in riva al mare preso da una forte nostalgia.
-Ultimo
punto, Watson. Sicuramente vuole tornare a casa, ma perché?
-Per
sua moglie e suo figlio.
-Lui
vuole ritornare a Itaca, che ci sia la sua famiglia è un altro discorso.
-Mi
pare un ragionamento troppo azzardato persino per lei, amico mio.
-Forse,
ma se ci riflette bene, capirà le mie argomentazioni. Per i greci l’identità
del singolo individuo era importantissima. Persino i morti ne risentivano, se
rimanevano uccisi in mare e senza una degna sepoltura erano costretti a vagare
per anni lungo le rive dello Stige, il fiume infernale. Itaca è sinonimo di
casa, d’identità. Ulisse adesso è solamente un vagabondo, molti lo credono
morto, deve riacquistare il suo status di re, di padre e di marito, ma perché?
Perché lo status era importante, sullo status di un individuo si basava la
società. La società è…
Si
perse un attimo nei suoi pensieri e le sue labbra si dischiusero lentamente
mentre i suoi occhi si spalancarono. Febbrilmente passò lo sguardo da un punto
all’altro della stanza, poi si fermò sui fogli sparsi sulla sua scrivania. Si
alzò in piedi e con andatura dinoccolata li raggiunse. Afferrò gli scritti e li
guardò, mentre lentamente si avvicinava al camino. Si fermò di fronte a esso e
sorrise.
Sorrise
e scosse la testa, mentre gettava tutti i fogli nel camino, consegnandoli al
fuoco.
-Holmes,
ma cosa fa? La sua monografia!
Scattai
in piedi raggiungendolo e fissai tutto il lavoro del mio amico finire,
letteralmente, in fumo.
Lui
sbuffò divertito e mi appoggiò una mano sulla spalla stringendomela e
scuotendomela scherzosamente,
-Non
si crucci! Ancora una volta, ragazzo mio, lei mi ha condotto alla luce. Senza i
suoi interventi avrei probabilmente sprecato altro del mio prezioso tempo su
quell’inutilità.
Volsi
lo sguardo al suo viso, ma lo trovai sereno, solo una punta di rammarico negli
occhi.
-Le
sembrerò ottuso, ma non riesco proprio a comprenderla. Non mi pareva un lavoro
inutile e non capisco come da un momento all’altro la sua opinione sia
cambiata.
Holmes
mi fece un sorriso a mezza bocca.
-Semplicemente
ho capito che era un vano spreco di energie, tanto tra una centinaia d’anni
sarà come carta straccia.
Con
un gesto della mano mi invitò a sedermi sulla poltrona e lui fece lo stesso, ma
prima si appropriò della sua pipa.
-Lei,
Watson, come ben saprà, sono un appassionato del medioevo e per la mia
monografia appena bruciata avevo in mente un confronto diretto tra la visione
di quell’epoca e quella odierna.
Nascose
il volto dietro una mano, celando un sorriso leggermente amaro.
-Avrei
dovuto capirlo all’istante.
-Che
non erano comparabili?
-Che
non era una comparazione oggettiva.
Ormai
Holmes non mi guardava più in viso. Rigirava tra le mani la sua pipa di radica
e fissava un punto non definito oltre le mie spalle.
-Non
potrà mai essere oggettiva semplicemente perché noi stessi siamo influenzati
dall’epoca in cui viviamo, noi stessi siamo, in minor o maggior misura, schiavi
della società. Per la Grecia antica l’eroe era Achille, per i colonizzatori
sempre dell’antica Grecia Ulisse, per il medioevo Ettore e per le generazioni
future chissà. Eppure ognuna di queste civiltà era fermamente convinta della
sua opinione, indirettamente o meno influenzata dal mondo in cui viveva e dai
principi che vigevano. Per esempio, durante le crociate difficilmente si
sarebbe optato per Achille, mentre il pio e martire Ettore sarebbe risultato
perfetto. Ed ecco il perché, ecco il motivo, per cui ho buttato tutto nel
nostro camino. La mia era una monografia inutile. Non c’era oggettività e, data
la mia deduzione, un’innocente ipocrisia velava tutto lo scritto. Chi sono io
per denunciare Ulisse come schiavo della società se io stesso faccio parte
della stessa categoria? E come posso essere certo che non sia soltanto una visione
autoimposta quella che mi si presenta davanti? Come posso sapere che le mie
idee sono solo mie e non guidate da un vincolo superiore e inconscio? No,
Watson, questo è un argomento troppo ampio, con troppe risposte e pochi dati
certi. Lasciamo ai filosofi l’arduo compito di cercare di spiegare il mistero
umano. Dopotutto io sono solo un consulting detective.
Ma
non era quello che vedevo.
Dentro
quegli occhi d’acciaio, nei quali il fumo della pipa incominciava a
riflettersi, vedevo di più.
Sorrisi
pensando a quanto nascondeva Holmes in sé. Quanti filosofi, matematici,
letterati, musicisti, e non solo detective, conteneva quella figura pallida e
dinoccolata che tutti conoscevano come Sherlock Holmes.
Il grande consulting detective Sherlock Holmes.
Che
in realtà non era nient’altro che un uomo, uno schiavo della società.
Ma
che, per me, continuava ad essere il mio grande e unico amico.
***Angolino
della squinternata***
Ebbene
sì, il capitolo più palloso che vi sia mai capitato di leggere, ma io AMO l’Iliade
e l’Odissea quindi mi sono divertita un sacco a scriverlo.
L’uscita
finale di Watson mi ha spaventato O_O È uscito il mio lato romantico… e io non
ho un lato romantico!
Seriamente,
perdonatemi, di solito cerco di fare dei bei finali ma questo… bha.
Lasciatemi
solo dedicare tutto l’intero chap a minnow che era entusiasta di
questa storia e mi ha spinto a pubblicarla. Quindi cara, tutto per te! Così
magari mi perdoni anche gli immensi ritardi delle mie recensioni >.< (sì,
sto cercando di comprarti xD).
L’unica
cosa che tengo a precisare è che il pezzo in corsivo che trovate nel chap non
mi appartiene, l’ho preso da “Omero, l’Iliade” di Alessandro Baricco (libro che
consiglio a tutti!).
Mi
stupisco di me stessa, è da un po’ che faccio note cortissime! Contente, eh? xD
Ringrazio
moltissimo tutti quelli che leggono, seguono, ricordano, preferiscono e
commentano questa storia.
Grazie
davvero.
|
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Capitolo 13 *** Priorità e scelte ***
Holmes' Private Life11-Priorità e scelte
11. Priorità e scelte
Si
correva verso la fine del secolo e l’estate aveva portato con sé non solo
calura e afa, ma anche un più che singolare caso.
-Cosa
posso fare per lei, signora…
-Phillimore,
signora Phillimore.
Era
mattina inoltrata ed io e il mio amico Holmes ci trovavamo davanti a una nuova
e disperata cliente. Teneva gli occhi bassi e tormentava un fazzoletto completamente
imbrattato di trucco e lacrime, indice della sua profonda angoscia. Ma solo
quando alzò lo sguardo su di noi, capii che ciò che fomentava il suo pianto non
era altro che rabbia repressa: i suoi occhi brillavano di determinazione.
-Mi
deve aiutare, la prego! Alla polizia non mi hanno dato ascolto!
Holmes,
a quell’improvviso cambio di comportamento, sbatté gli occhi stupito, per quanto quella macchina di
Sherlock Holmes possa essere stupita , e le sorrise cordiale.
-Non
si preoccupi, io e il dottor Watson valuteremo la situazione e cercheremo di aiutare
suo marito.
La
donna rimase per un attimo interdetta a quell’ultimo dettaglio, ma subito dopo
si rilassò quasi rincuorata.
-Mi
avevano detto che era bravo, ma non speravo così tanto.
Il
mio amico sbuffò divertito, ma non fece in tempo a fornire la sua solita delucidazione
di circostanza, che la donna lo interruppe.
-Oh,
no, la prego, niente spiegazioni. Mi fido delle sue capacità e spero che
riuscirà a ritrovare al più presto mio marito, James Phillimore.
Per
quella volta, l’ego del mio amico dovette starsene quieto davanti alla forza di
spirito di quella donna.
-Bene-,
sentenziò Holmes con una lieve nota di sarcasmo nella voce –Come desidera. Non
indugiamo oltre, ci racconti tutto dall’inizio.
-Scusate
la mia scortesia, ma sono davvero preoccupata. In due anni di matrimonio non
era mai capitato che il mio James sparisse per un intero giorno senza neanche
rincasare. Sapete, lui è un metodico impiegato, legato alle tradizioni e amante
delle abitudini, inoltre è d'indole pacata e meditativa, non lascia mai niente
al caso. Pensate che ha impiegato sei mesi per chiedermi la mano!
A
quell’ultima nota di gioia, vidi le labbra di Holmes stringersi in una linea
sottile d’impazienza e insofferenza. Ciò non sfuggì neanche alla nostra
determinata cliente.
-Le
sembreranno futilità, signor Holmes, ma le assicuro che solo conoscendo bene
mio marito potrà capire l’assurdità di questa storia. Comunque, i fatti che mi
hanno spinto qui sono i seguenti: ieri mattina, prima di uscire per delle
commissioni, io e mio marito discutevamo sul da farsi per quello stesso
pomeriggio. Avevo programmato per le 5.00 una visita medica e il mio James
aveva insistito per essere presente, purtroppo lui avrebbe lavorato fino a
tardi e non avrebbe fatto in tempo ad accompagnarmi, ma essendo lo studio
medico vicino al suo ufficio aveva deciso che lui mi avrebbe raggiunto direttamente
lì, mentre io sarei venuta in carrozza. Giunta all’appuntamento chiesi al
dottore di pazientare l’arrivo di mio marito, ma mezz’ora dopo fui costretta a
desistere e a farmi visitare, o avrei perso il mio turno. Quando finalmente fui
a casa, si erano fatte le 6.30 e mio marito ancora non si faceva vedere, ma non
ero preoccupata. Spesso, per conquistarsi i favori del capo, faceva degli
straordinari e lavorava anche fino alle 9.00 di sera. Ma solitamente mi mandava
un telegramma e in giro non ne notavo nessuno. Chiesi alla nostra governante se
l’aveva visto o se avevamo ricevuto telegrammi e lei mi rispose che verso le
5.00 di quel pomeriggio l’aveva visto entrare in casa di fretta e poi di nuovo
uscire per chiamare una carrozza. Non sapeva dirmi altro perché stava uscendo
per andare a comprare dello zucchero. Lo vide solo salire sulla carrozza e
partire.
-Ha
chiesto se—
-Sì,
ho chiesto alla governante se ricordava il numero e per fortuna quella buona
donna rammentò che quella carrozza passava spesso dalle nostre parti.
La
signora Phillimore non aveva neanche dato il tempo a Holmes di formulare la
domanda che era ripartita con il suo racconto, cosa che infastidì non poco il
mio amico, ma notai anche come quel racconto stesse risvegliando in lui interesse,
rendendogli gli occhi brillanti di curiosità.
-Con
l’aiuto di mio fratello Marcus, anche lui vetturino, riuscimmo a rintracciare
il veicolo. Fortunatamente il conducente, Stephen Gyller, era a rifocillarsi in
un pub neanche due isolati di distanza. Così io e mio fratello, che non ha avuto
cuore di lasciarmi in quello stato d’agitazione, andammo a parlare con questo
signore che ci ha raccontato una storia abbastanza fantasiosa, a parer mio. Lui
sostiene che il mio James, dopo pochi secondi che era seduto in carrozza, gli
abbia ordinato di fermarsi perché aveva dimenticato l’ombrello. E questo è
inammissibile, ieri il sole era splendente, il cielo era così pulito che non
sembrava neanche di essere a Londra, quindi perché avrebbe dovuto portare con
sé un ombrello? In ogni caso, il signor Gyller afferma di essersi fermato,
averlo visto entrare in casa e di aver aspettato circa mezz’ora, poi, per non
perdere altri clienti, di essersene andato. Ed è da allora che… che il mio
James…
La
donna deglutì pesantemente e si passò il fazzoletto consumato sugli occhi, ma
appena asciugate le lacrime, tornò a puntare il suo sguardo ostinato su di noi.
-Oh
vi prego, signor Holmes, aiutatemi! Sono disposta a pagare quanto—
Questa
volta fu il mio amico a bloccare la donna. Con un gesto imperioso della mano le
fece segno di fermarsi e subito dopo le porse un fazzoletto pulito.
-Il
mio onorario è fisso, non faccio distinzioni, ma ne parleremo in seguito,
piuttosto mi dica di questo—
-SIGNOR
HOLMES!
A
quel grido sobbalzammo spaventati, girandoci verso l’entrata, dove trovammo un
ansante e completamente livido ispettore Lestrade.
-Ispettore!
Le sembra questo il modo?- disse Holmes scattando in piedi, per poi assumere
quel suo solito sorriso canzonatorio. –Per quanto mi sia sempre lamentato della
scarsa intelligenza di Scotland Yard, pensavo almeno di poter contare su un
minimo di civiltà, ma a quanto pare non v'insegnano neanche le buone maniere.
Ma
il sorriso del mio amico scemò quando Lestrade non rispose, ma continuò a
guardarlo fisso, con la paura che gli tremava negli occhi.
Era
pallido, aveva il colletto storto e i bottoni del panciotto allacciati in malo
modo, ansimava a fatica e le mani gli tremavano, come se fosse al cospetto
della Morte.
Holmes
dovette accorgersi di questi dettagli e anche molto di più, perché chiamò la
signora Hudson e le chiese cortesemente di intrattenere al piano sottostante la
nostra ospite. Dopo non pochi dibattiti e promesse, congedammo la signora
Phillimore e Lestrade si lasciò letteralmente scivolare sulla poltrona, mentre
gli porgevo un bicchiere di brandy.
Dopo
aver bevuto, fece un profondo sospiro e si passò una mano tra i folti capelli
grigi.
-Spero
vogliate scusarmi, signor Holmes, Dottore, per l’infelice uscita di prima, ma
ero sconvolto.
-E
lo è ancora-, rispose il mio amico piatto, senza sarcasmo, continuando ad
osservarlo, analizzando ogni più piccolo dettaglio del suo essere. Le sue
parole però dovettero essere fraintese, perché subito l’altro scattò in piedi.
-Sì,
perché questa è una vera ingiustizia! Un complotto! Un… un’indecenza!- quasi
urlò infervorato e agitando le mani in aria.
Era
uno spettacolo grottesco.
-E
lo è anche il suo comportamento, Lestrade-, pronunciò risoluto il mio amico, avvicinandosi
e puntando i suoi occhi su di lui. –Non so cosa l’abbia indotta a sragionare in
tal maniera, ma la maleducazione non ha scusanti.
-Neanche
un figlio accusato di omicidio?
A
quelle parole quasi rischiai di rovesciarmi il mio bicchiere di brandy sul
panciotto. Il tono mesto delle sue parole mi colpì così profondamente, che mi
dimenticai completamente della sua condotta precedente. Holmes impassibile lo
guardò scivolare nuovamente sulla poltrona e portarsi una mano sul viso, poi si
sedette anche lui e dal modo in cui lo osservò, capii che anche il mio amico
aveva già perdonato tutto. Dal mio canto, io non avevo mai avuto la fortuna di
diventare padre, purtroppo, ma compresi fin troppo bene il dolore di Lestrade,
così mi allungai posandogli una mano sulla spalla. L’ispettore si girò
lentamente verso di me e gli sorrisi stringendo la presa.
-Faremo
l’impossibile, Lestrade-, dissi deciso per poi lasciare la sua spalla.
-La
ringrazio, Dottore- mi disse sincero lui accennando a un sorriso.
-E
la ringrazierei anch’io, Watson, se la smettesse di farci perdere tempo con le
sue romanticherie. Se l’ispettore è venuto di corsa qui e in tali condizioni-,
continuò indicandogli distrattamente il panciotto mal abbottonato; -deve essere
una grave emergenza, questione di vita o di morte e, se non ricordo male, le
rassicurazioni non salvano i figli da accuse di omicidio.
In
altre circostanze avrei ribattuto acido a queste sue insensibili affermazioni,
ma aveva ragione: non avevamo tempo. Feci cenno a Lestrade di non preoccuparsi
di quelle parole e mi preparai a trascrivere gli appunti di quel caso.
Holmes
si allungò a prendere la pipa e l’accese.
-Bene,
Lestrade, ci racconti tutto- a quelle parole, l’ispettore emise un lungo
sospiro.
-Il
problema, signor Holmes, è proprio questo: non so cosa raccontarle- abbassò gli
occhi, invasi dal senso di colpa, ma immediatamente li rialzò; non era tipo da abbattersi,
il caro ispettore.
–Vedete,
sta mattina, come ogni giorno, sono andato a Scotland Yard e avevo deciso di
mettermi subito al lavoro, ma prima di tutto dovevo informare l’ispettore
Gregson di alcuni sviluppi su un caso che non concerne questa faccenda.
Comunque, chiesi al suo assistente dove potevo trovarlo, visto che il suo
ufficio era vuoto ed egli mi disse che era nella stanza degli interrogatori. Lo
ringraziai e mi diressi subito dove mi era stato indicato, però quando arrivai
la porta era socchiusa e una voce famigliare mi giunse alle orecchie. Così per
curiosità e per evitare di disturbare il mio collega in un momento
probabilmente delicato, gettai un'occhiata dallo spiraglio della porta e…
L’ispettore
si frizionò nervosamente capelli e fermò la sua narrazione, cercando le parole
più appropriate. Il suo ennesimo sospiro m'informò che si era reso conto che
non esistevano, non in un contesto simile.
-E…
e c’era Gregory, Gregory Jr, mio figlio-, si fermò nuovamente e voltò gli occhi
nella mia direzione. –Appena mi ha visto ha incominciato a gridare “Papà, papà!
Non credergli, non sono stato io! Papà!”. Cercò di alzarsi e venirmi in contro,
ma subito una guardia lo bloccò e la stessa sorte toccò a me. Un ragazzone mi
spinse fuori dalla porta, senza neanche darmi il tempo di parlare né con mio
figlio né con Gregson. M'infuriai e cercai di opporre resistenza, ma
quell’energumeno mi ricordò che così peggioravo solo la situazione. Ribollivo
ancora di rabbia, ma cercai di mantenere la calma e magari estrapolare delle
informazioni a quell’uomo. Purtroppo non riuscii a cavargli una parola di
bocca, neanche di cos’era accusato mio figlio, neppure quello!
Nell’ultima
parte aveva alzato la voce, ma rendendosene conto, strinse la mascella e
inspirò profondamente.
-Ma
come voi ben saprete, non sono tipo da arrendersi. Decisi infatti di aspettare
che l’interrogatorio finisse per poi tampinare Gregson finché non si fosse
deciso a raccontarmi cosa stava accadendo. E così feci. Appena vidi,
tristemente, mio figlio portato in cella e Gregson uscire, lo bloccai esigendo
delle spiegazioni che però non si degnò di darmi, continuando ad attaccarsi a
inutili cavilli legali e rifilandomi patetiche scuse, come “questo caso non è
suo e non potrà averlo, non saprà niente prima che lo sappiano tutti gli
altri”. Continuammo così per mezz’ora, ma alla fine, quando stavo quasi per
supplicarlo, gli scapparono delle parole che mi fecero gelare il sangue nelle
vene. “Per l’amor del Cielo, Lestrade, la smetta! Non posso dirle nulla perchè
mi hanno proibito di farlo!” mi sbraitò contro, poi chiuse subito la bocca,
pentito, e se ne andò a passo veloce. Ed io… io sono corso qui. Da lei.
Dopo
quest’ultima affermazione calò un lungo e teso silenzio, così suggestivo che vidi
Lestrade cedere sotto il peso di esso e abbassare le spalle.
-Io
lo so. Lo so che questo non è il tipo di casi che accetta, signor Holmes. Dopo
tutto non ho dati, non ho informazioni…-, incominciò a tartagliare preso dal
nervosismo.
-Lestrade…-,
lo chiamò il mio amico, ma quel giorno i suoi clienti parevano piuttosto
ribelli.
-Non
ho prove, non ho dettagli interessanti, né indagati né—
-Lestrade-,
ripeté questa volta Holmes più autoritario, ma al tempo stesso riguardoso,
conquistando l’attenzione dell’altro; –Lei non ha bisogno di dirmi altro.
L’ispettore
prima guardò perplesso il mio amico, poi me. Cosa intendeva dire con quella
frase?
Holmes,
intanto, svuotò delicatamente la sua pipa, la pulì e controllò il suo lavoro,
infine la posò al suo solito posto, tutto sotto il soffocante sguardo di
Lestrade.
-Quindi…
lei?-, tartagliò l’ispettore incerto.
-Accetto
il caso.
Non
penso di aver mai visto sorriso così ampio sul viso del nostro amico. Il colore
gli riempì le gote e gli occhi tornarono nervosi e febbricitanti come sempre,
io non potei evitare di sorridere di rimando. Questa era l’ennesima
dimostrazione, pensai compiaciuto, di quanto Holmes potesse cambiare la vita
delle persone, anche con solo una manciata di parole.
Intanto
Lestrade si era alzato in piedi e stringeva energicamente la mano del mio
amico.
-Oh,
signor Holmes! Oh, non sa quanto mi fa felice! Le prometto, le giuro sul mio
onore, su tutto ciò che ho di più caro che—
L’ispettore
era come un fiume, che ormai rotta la diga, riusciva finalmente a tornare
libero e neppure Holmes, così ricoperto di elogi (e di un pudico rossore),
riusciva a fermarlo. Tossii qualche volta, più per scongiurare la risata che mi
pizzicava in gola, che per richiamare l’ordine. In ogni caso, Lestrade ricordò
di scatto per quale motivo era venuto e volò in strada a chiamare una carrozza.
Holmes
si alzò in piedi e appena incrociò il suo sguardo stremato con il mio piuttosto
divertito, sollevò una mano aperta come a vietarmi ogni possibile commento sui
fatti accaduti. Ridacchiai, dandogli due leggere pacche sulla spalla, come a
confortarlo. Lui mi guardò storto, ma non gli concessi il tempo di una parola e
scesi a raggiungere Lestrade. Però eravamo dimentichi di un piccolo particolare.
La
signora Phillimore, richiamata probabilmente dai nostri passi, si gettò sulla
rampa delle scale.
-Allora
andiamo? Chiamo la carrozza?
Vedendo
gli occhi di quella donna così pieni di speranza mi sentii un mostro a dover
abbandonarla così, però avevamo fatto una scelta.
-Mi
dispiace, signora Phillimore-, disse infatti il mio amico; -Un altro problema
richiede la nostra presenza a Scotland Yard, ma non sono dimentico della mia
promessa: appena mi verrà concesso la contatterò e cercheremo suo marito.
La
poverina abbassò la testa e il mio amico fece per superarla per raggiungere la
porta, ma lei si frappose.
-Lei…
lei non può!- rispose rabbiosa e con gli occhi velati di lacrime. –Non può
farlo! Mi… mi avevano detto che lei è senza cuore, che accetta solo i casi che
più le aggradano, ma speravo…- singhiozzò, -speravo che il mio James fosse
abbastanza interessante!
Vidi
Holmes irrigidirsi a quelle parole, ma rimase nel suo silenzio, lasciandosi
rimproverare da quella donna fuori di sé.
-Per
caso il dottor Watson ha mentito nei suoi romanzi? Ha sempre scritto che se i
problemi si esponevano bene, se… se erano strani, fuori dalla logica, se non…
non era mai successo niente di simile, allora… allora lei mi avrebbe aiutato!-
esclamò in fine, sciogliendosi in lacrime.
Non
penso di essermi mai sentito tanto in colpa nei confronti di un cliente e di
Holmes. Gli gettai uno sguardo di scuse, ma lui non mi prestava attenzione,
guardava la donna.
-Signora-,
disse con tono dolce, avvicinandosi e stringendole delicatamente una mano tra
le sue. –Mi dispiace per quello che sta passando, capisco che perdere una
persona cara e non poter far nulla per poterla riavere corroda l’anima. Temo,
però, che lei abbia travisato le parole del mio amico, io non faccio differenze
tra i casi, cerco di risolverli tutti e do a tutti lo stesso peso. Purtroppo a
volte si presentano situazioni come questa, e sono chiamato a fare una scelta.
Lei
con un gesto stizzito richiamò la mano spezzando il contatto, ma senza mai
lasciare i suoi occhi, quasi volesse punirlo.
-Quindi
lei definisce “scelta” aiutare quello screanzato poliziotto a salvare suo
figlio che molto probabilmente è un assassino?! E non mi guardate così, gridava
così forte che era impossibile non sentirlo!- ansimò un attimo, sfinita dalle
lacrime, poi riprese il suo straziante e patetico spettacolo. –Non si vergogna?
Non segue neanche le sue priorità! Preferisce non dare una mano a una povera
disperata per trovare il suo onesto marito, ma aiutare i suoi amichetti.
A
quell’ultima affermazione Holmes perse il suo sguardo comprensivo e la fulminò,
senza cercare di nascondere la rabbia che gli incendiava gli occhi.
-Non
si permetta d’insultare me o i miei cari. Mai- la redarguì lapidario. –Solo perché
comprendo il suo dolore non le farò ricorso per infamia, ma stia attenta, sto
perdendo la pazienza.
Il
tono basso, quasi roco, del mio amico dovette spaventare la donna perché la
vidi rabbrividire e fare un passo indietro, abbassando finalmente gli occhi.
Holmes
le si avvicinò, quasi obbligandola a fissare quegli occhi di ghiaccio.
-La
vita è fatta di diverse cose, diverse strade. Sta a noi decidere la direzione
da prendere e con quali criteri scegliere essa.
La
donna non resistette di più e abbassò lo sguardo, vinta dall’acciaio di Holmes,
ma il mio amico non aveva ancora finito.
-Priorità
e scelte sono cose diverse. Le proprie priorità si possono ignorare a favore di
quelle altrui, le priorità possono cambiare, si possono ritrattare, ma le
scelte… le scelte sono quelle che ci condizionano la vita. Fatta una non si può
tornare indietro.
Holmes
aprì con mano decisa la porta e fece un passo fuori da essa, poi si voltò verso
noi.
-Io
ho fatto la mia, adesso tocca a lei fare la sua.
La
signora Phillimore strinse le mani intorno al fazzoletto e poi annuì
mestamente, senza dire una parola. Holmes, ritenendosi soddisfatto, lasciò la
porta aperta e si diresse verso la carrozza su cui lo stava attendendo
Lestrade.
Io
velocemente scesi le scale e mi precipitai fuori, ma fu solo quando misi un
piede fuori e vidi Holmes che mi tendeva la mano per aiutarmi a salire sulla
vettura, che compresi. Capii quali erano state le mie scelte e quanto avevo da
ringraziare per averle compiute.
Sorrisi,
afferrai la mano di Holmes e sorrisi ancor di più a vedere uno sguardo
perplesso, che per una volta non era il mio.
Nessun rimpianto.
***Angolino
della squinternata***
Orbene
eccomi qui! *passano le balle di fieno* Ok, vi siete –giustamente- dimenticati
di me, ma purtroppo io non di questo meraviglioso fandom!
Mi
dispiace veramente tantissimo per questo ritardo astronomico, ma questo
capitolo non voleva venir fuori.
La
mia idea era di fare un parallelo con il primo ovvero “La strana giornata della
felicità”. Perché? Perché questo, signori miei, è l’ultimo capitolo di questa
raccolta. Questo è l’ultimo racconto che Holmes trova nella cartella.
Purtroppo, per vostra (s)fortuna, c’è anche l’epilogo, quindi tenete i pomodori
per il prossimo capitolo, ok? xD
Bene,
fatta questa premessa direi di passare al capitolo.
1)”Si
correva verso la fine del secolo” cosa vuol dire? Bhe, proprio quello che c’è
scritto. Il secolo sta per finire, siamo nel 1899 più precisamente in estate. Perché
quest'anno? Perché se voi vi andate a leggere l’inizio de “L’enigma di Thor
Bridge”, Watson fa un elenco dei casi irrisolti contenuti nella famosa cassetta
di sicurezza della banca Cox & Co. Questo caso è datato nell’ottobre del
1900 quindi io ho ipotizzato che le avventure qui narrate fossero successe
circa un anno prima. Ma perché proprio queste avventure? Leggete la nota che
segue.
2)
“Signora Phillimore”. Qualcuno di voi ha riconosciuto questo cognome? È proprio
la consorte dello sfortunato James Phillimore che, come dice Watson, proprio ne
“L’enigma di Thor Bridge”, rientrato in
casa per prendere l’ombrello, svanì dalla faccia della terra. Ecco, questo
caso era proprio annoverato tra quelli irrisolti contenuti nella famosa
cassetta. Ora capito perché l’anno? =D
3)Lestrade.
Oh povero Lestrade. Inizio subito col ribadire per l’ennesima volta che amo
quell’uomo e che mi dispiace avergli quasi messo il figlio sulla forca, ma non
vi preoccupate! Holmes alla fine ha risolto tutto, una sciocchezza di un paio d’ore,
ma di questo parleremo poi. Tornando al nostro caro ispettore, io non so se vi
sia sembrato OOC, ma v'invito a riflettere sulla gravità della situazione e sul
suo temperamento che sappiamo essere molto focoso, ma se avete qualcosa da
ridire fate pure ^^ ognuno ha la sua interpretazione.
4)Holmes
ammetto che mi ha fatto molto, MOLTO sudare in questo capitolo, faceva come più
gli aggradava e ammetto di averlo lasciato un po’ fare. Ma nel finale si è
dimostrato per ciò che è, un uomo di gran cuore. Perché lui non sapendo niente
dell’omicidio e pur sospettando che fosse una cosa da niente, abbandona quel
caso che l’aveva preso tanto e decide di seguire Lestrade. Perché? Perché ha
fatto la sua scelta? Perché proprio questa? Perché è suo amico e, anche se non
lo ammetterà mai, odia vederlo così.
5)
Prima ho parlato di parallelo con il primo capitolo, ma forse è meglio
spiegare. Vedete, nel primo capitolo Holmes definisce Lestrade “Yarder” e
niente più, mentre qui vediamo come in un certo senso è cresciuto il rapporto
tra i due, come scherzino di più, siano più uniti, amici. Sì, per me sono
amici. Oddio, mai quanto Holmes e Watson, ma loro due sono un caso a parte, sono
soulmates (da NON leggere come “anime
gemelle”, ma come “compagni d’anima, di desideri, di sogni”). Lestrade, se
proprio non vogliamo definirlo amico, diciamo che è l’unico che si può
presentare a casa di Holmes tutte le sere e chiacchierare senza preavviso, un
lusso non da poco per un semplice Yarder, no?
Dunque,
direi di aver finito, anche se so, SO che appena pubblicherò mi verrà qualcos’altro
in mente.
Approfitto
per ringraziare tutti quelli che leggono/ricordano/seguono e recensiscono
questa storia a cui sono particolarmente legata.
Grazie
ancora.
|
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Capitolo 14 *** L'ultimo caso. Un epilogo ***
Holmes' Private Life14-L'ultimo caso. Un epilogo
11. L’ultimo caso. Un epilogo.
“Nessun
rimpianto.”
Holmes
fissava quelle due parole, mentre una sola pagina era rimasta tra le sue mani.
L’ultima. L’ultima di quella cartella che, per ore, gli aveva tenuto il
pensiero lontano dal freddo, dall’odore acre e dal silenzio presenti nella
camera.
Continuò
a fissare il foglio, con la mente –forse per la prima volta in vita sua-
davvero vuota. Non c’era niente nella sua soffitta-cervello che ora gli
servisse, nessuna nozione imparata durante gli anni pareva essere utilizzabile
in quel contesto.
Aggrottò
le sopracciglia e protese il capo verso foglio, combattendo il desiderio di
voltare la testa e chiedere.
Da quando è diventato
così apertamente sentimentale, Dottore?
Perché non mi aveva
mai accennato nulla su questa cartella, amico mio? Perché l’ha nascosta,
Watson? Non mi pare ci sia niente di così segreto.
Perché non mi hai
detto niente ieri sera? Perché ti sei chiuso a chiave?
Perché, dopo tanti
anni di lavoro di squadra, hai voluto fare tutto da solo?Perché non mi hai
permesso di aiutarti?
Volevi nasconderti? Da
chi? Dalla morte o da me?
Holmes
deglutì piano, senza fare alcun rumore, e guardò quelle parole.
“Nessun
rimpianto.”
Nessuno.
Alzò
gli occhi al soffitto e un rantolo gli ruppe la gola, fondendosi in un sospiro
carico.
-Io…-
disse, ma si arrestò subito, la sua voce tremava.
Abbassò
lo sguardo ancora una volta, e fissò il pavimento.
Le
mani sempre strette, rigide, intorno a quella pagina. Unica ma tangibile, vera
e talmente familiare che…
Le
labbra gli tremarono e la presa aumentò.
Calma,
s’impose Holmes, dopotutto non era niente di più che il ciclo della vita.
Quante
volte avevano rischiato la morte in modi ben più atroci? Dove era il problema?
Si nasce e si muore, sono due delle poche certezze che gli uomini possiedono, e
su ciò non aveva alcun dubbio. Eppure non riusciva a sollevare gli occhi.
Non
riusciva a richiudere l’otre in cui era solito relegare ogni tipo di
sentimentalismo, ogni tipo di emozione pericolosa. Ora il coperchio pareva
disperso, e sentiva risalire lungo lo stomaco tutte quelle sensazioni represse.
Irrigidì
la mascella e di scatto puntò lo sguardo sul letto al suo fianco.
Watson
aveva un sorriso sereno sul viso, come se neppure la morte avesse avuto cuore
di strapparglielo, e Holmes si stupì di come, nonostante il pallore spettrale,
la rigidità e l’odore sgradevole aggredissero i suoi sensi, riuscisse ad essere
confortato a tale visione.
Il
suo viso si addolcì appena, mentre la bocca si stendeva in una sottile linea
morbida.
John Hamish Watson.
Il
suo ultimo caso.
Il
mistero celato in quella semplice, comune, figura che nessuno conosceva quanto
lui.
Era
il suo coinquilino, era il suo Boswell, era l’unico che l’aveva accettato,
seguito, sostenuto.
Holmes
sbuffò leggermente, divertito. Ancora non riusciva a capire come avesse fatto
Watson a sopportarlo per tutto quel tempo. A volte Holmes si sarebbe soppresso
da solo. L’unica volta in cui ricordava di aver visto il Dottore realmente
arrabbiato era stato il giorno del suo ritorno, dopo l’accaduto di Reichenbach.
Il
detective si portò istintivamente un dito sotto il mento, dove sentì la leggera
increspatura della cicatrice causata dalla fede del dottore, quando questo
l’aveva colpito con un pugno in quella particolare occasione.
Non
poté trattenere un sorriso e allungò la propria mano a stringere quella
dell’amico. Notò che non era molto più fredda della propria e sogghignò al
ricordo dello sguardo di rimprovero di Watson quando si ostinava a non mettersi
i guanti durante la stagione invernale.
-Mi verrebbe quasi da
pensare che lo faccia per puro dispetto nei miei confronti.-
-Penserebbe bene,
amico mio.-
Ora
non avrebbe più potuto farlo e questo turbava Holmes. Ma perché?
Era
questo che si domandava.
Perché essere tanto
turbati per un processo naturale che si sa dover avvenire a breve? Avevano una certa
età e certe cose succedevano.
Perché essere turbati
dalla solitudine?
Per molti anni erano stati separati, senza neanche sentirsi, e Holmes era ormai
abituato a sopravvivere da solo.
Perché Watson?
I
suoi occhi grigi cercarono risposta in quelli azzurri di Watson, ma non li
trovarono, ormai chiusi ermeticamente.
Holmes
sentiva quella domanda agitarsi nella sua mente, febbrilmente alla ricerca di
una soluzione, ma non l’avrebbe trovata e lui lo sapeva.
Strinse
la mano del suo amico più forte e schiuse le labbra in un sorrisino.
-Siamo
alle solite, Watson. Sei riuscito ancora una volta a farmela sotto il naso, non
sono riuscito a risolvere il tuo caso e dubito che ci riuscirò.-
Sentì
il mento tremare leggermente e per una volta non combatté contro quella
sensazione.
-Però
devi concedermi il ritrovamento della cartella. Ah, lascia che ti faccia i
complimenti per il titolo, veramente originale!, non sarei mai arrivato a
intuire il contenuto di essa.-
Quasi
lo sentì borbottare che, se non gli andava bene, poteva provare scriversele da
solo e ridacchiò mentre la vista si faceva leggermente appannata.
-Non
te la prendere così, amico mio, e togli quella espressione infastidita dal tuo
volto.-
E
lo vide, lo vide nella propria mente mentre faceva schioccare la lingua contro
il palato e si voltava di spalle con finta indifferenza, per poi sedersi sulla
poltrona.
Sentì
i passi del passato incrociarsi con quelli del presente.
-Neanche
con un piccolo incentivo? Nemmeno se ti suono qualcosa?-
Holmes
si voltò verso il letto, con aspettativa.
A
quel punto Watson avrebbe dovuto irrigidirsi leggermente, di piacere e
sorpresa, e poi fare un mugolio che in teoria avrebbe dovuto essere
completamente disinteressato, ma che il detective sapeva essere compiaciuto.
E
invece tutto rimase statico, immobile.
Holmes
deglutì sorridendo forzatamente ed aprì la porta, voltandosi verso il letto.
-Torno
subito, aspetta qui.-
Come se potesse
scappare,
si ritrovò a pensare e abbassò lo sguardo, cercando di ignorare il bisogno
impellente di accasciarsi sul pavimento.
Non
alzò lo sguardo neanche una volta durante il tragitto, preso dalla irrazionale paura
che, se si fosse soffermato troppo, non avrebbe più trovato Watson al suo
ritorno, e deciso arrivò alla custodia dello Stradivari. La prese e
nervosamente tornò indietro. Si rilassò leggermente solo dopo aver chiuso di
nuovo la porta alle sue spalle. Senza pensare, la bloccò con un tavolino sul
quale vergò velocemente una breve lettera.
Solo
allora si voltò, agitando la custodia in aria, come a giustificarsi.
-Visto?
Eccomi qui.-
Si
sedette nuovamente sulla sedia al bordo del letto ed aprì il fodero, rimuovendo
poi delicatamente la coperta di velluto che avvolgeva lo strumento.
Con
mani tremanti sollevò il violino e lo imbracciò, appoggiandoci sopra il mento.
L’archetto si mosse nell’aria adagiandosi sulle corde, immobile.
Dentro
la sua mente c’era il vuoto, nessuna idea, nessuna soluzione.
Nervoso,
si schiarì la voce e lanciò un occhiata veloce a Watson.
-Ti
dispiace se improvviso?-
L’odore
acre gli aggredì le narici e Holmes ebbe la sua risposta.
E
sì, Holmes si aspettava silenzio da parte di Watson, quello che solo lui era
capace di ricreare, ma quello non era silenzio.
E quello non era
Watson.
Irrigidì
le spalle e strinse il violino. Non vedeva altra soluzione, non c’era altra
soluzione.
Chiuse
gli occhi e si lasciò andare, per la
prima e unica volta.
-É tempo di volare,
Watson.-
Fly
Any moment, everything can change,
Feel the wind on your shoulder,
For a minute, all the world can wait,
Let go of your yesterday.
In
qualsiasi momento, tutto pu? cambiare
Senti il vento sulle tue spalle
Per un minuto, tutto il mondo pu? attendere
Lascia passare il tuo ieri
Can you hear it calling?
Can you feel it in your soul?
Can you trust this longing?
And take control
Puoi
sentirlo chiamare?
Puoi sentirlo nella tua anima?
Puoi avere fiducia in questo momento?
E prendi il controllo
Fly
Open up the part of you that wants to hide away
You can shine,
Forget about the reasons why you can’t in life,
And start to try, cause it's your time,
Time to fly.
Vola
Apri la parte di te che vuole nascondere la via
E puoi risplendere
Dimenticati dei motivi per cui non puoi in vita
E inizia a provare
perché è il tuo tempo
tempo di volare
All your worries, leave them somewhere else,
Find a dream you can follow,
Reach for something, when there's nothing left,
And the world's feeling hollow.
Tutte
le tue preoccupazioni, lasciano altro in qualche luogo
Cerca un sogno, lo puoi seguire
Raggiungi qualcosa quando non c'è nient'altro
E il mondo sta sentendo gridare
Can you hear it calling?
Can you feel it in your soul?
Can you trust this longing?
And take control
Puoi sentirlo chiamare?
Puoi sentirlo nella tua anima?
Puoi avere fiducia in questo momento?
E prendi il controllo
Fly
Open up the part of you that wants to hide away
You can shine,
Forget about the reasons why you can’t in life,
And start to try, cause it's your time,
Time to fly.
Vola
Apri la parte di te che vuole nascondere la via
E puoi risplendere
Dimenticati dei motivi per cui non puoi in vita
E inizia a provare
perché è il tuo tempo
tempo di volare
And we're you're down and feel alone,
And want to run away,
Trust yourself and don't give up,
You know you better than anyone else,
E
quando sei giù e ti senti solo
E vuoi solo scappare
Fidati di te e non cedere
Tu sai di essere migliore degli altri
Any moment, everything can change,
Feel the wind on your shoulder,
For a minute, all the world can wait,
Let go of your yesterday,
In qualsiasi momento, tutto può cambiare
Senti il vento sulle tue spalle
Per un minuto, tutto il mondo può attendere
Lascia andare il tuo ieri
Fly
Open up the part of you that wants to hide away
You can shine,
Forget about the reasons why you can’t in life,
And start to try,
Forget about the reasons why you can't in life,
And start to try, cause it's your time,
Time to fly.
Vola
Apri la parte di te che vuole nascondere la via
E puoi risplendere
Dimenticati dei motivi per cui non puoi in vita
E inizia a provare
Dimenticati
dei motivi per cui non puoi in vita
E
inizia a provare, perchè è il tuo tempo
Tempo di volare
Any moment, everything can change
In
qualsiasi momento, tutto può cambiare
Il
vento soffia, il sole splende e due tombe, ingrigite dal tempo, si ergono nel
fondo di un cimitero di una piccola cittadina del Sussex.
Queste
due, ferme nella loro posizione, vicine, quasi attaccate, affrontano le
intemperie del tempo come i loro proprietari affrontarono anni prima le
intemperie della vita.
Nessuno
conosce l’identità di tali persone a causa dei nomi resi illeggibili dallo
scorrere delle stagioni, ma circola una leggenda tra vecchi e bambini.
Parla
di due amici, che si odiavano e si amavano.
Un
giorno uno dei due muore all’improvviso mentre l'altro sopravvive, ma il
defunto –solitamente denominato Dead- non riesce a lasciare veramente questo
mondo.
Nonostante
il suo corpo sia sottoterra senza vita, sa che un pezzo del cuore del amico è pulsante
nel suo petto. Intanto, ogni giorno il sopravvissuto –solitamente denominato
Alive- va a far visita alla sua tomba per cercare una soluzione.
La
cerca perchè sa che non potrà mai vivere veramente finché l’altro non gli
restituirà il pezzo di cuore che gli manca. E accanto a lui sente la presenza
di Dead scusarsi.
"Mi
hai rubato un pezzo di cuore, ladro, adesso non potrò mai vivere in pace!"
sbuffa.
Fa
male, lui vuole solo ricominciare.
E Dead
si scusa, s’intristisce per l’amico. Ma Alive mugugna "Fa niente" e
vorrebbe scappare via, farlo sul serio, ma si siede fianco a fianco del suo
amico sbuffando come sempre.
Dead
sorride lievemente, sa cosa significano quelle parole.
"Sai
che non dico sul serio, ricordati però che neanche tu non puoi riposare
veramente. Se solo tu potessi tornare, se solo tu mi potessi raggiungere,
riavresti il pezzo di cuore che ti ho rubato anch'io. Ovvio che te l'ho rubato.
Vuoi che rimanga un passo indietro a te? Vuoi che rimanga senza te? Mai.
Mai."
***Angolino
della squinternata***
Santo
Graal, l’ho scritto.
Ho
scritto l’epilogo.
Ho
finito Holmes’ Private Life.
(NON
VOGLIOOOOOOOOOO *si attacca a koala alla sua storia*.)
E
dopo questo penoso ma veritiero spettacolo, io sono senza parole, seriamente.
Ho
amato con tutto il mio cuore questa raccolta. La considero quasi la mia
bambina. Il mio inno personale al legame di Holmes Watson. Il manifesto
dell’amore che provo per questi due personaggi. Il mio Canone personale, mi
spiego?
E,
niente, potrei aggiungere fiumi di parole su questo ultimo, minuscolo capitolo,
ma non penso di esserne capace, non ora.
Avviso
solo che la canzone che trovate infondo è di Hilary Duff (residui d’infanzia
<3) e si chiama “Fly”.
E…
no, seriamente, non so cosa dire, cosa fare e come farò senza tale raccolta.
Mi
sembra quasi di chiudere un’era e forse è così.
Ci
tengo però a ringraziare tutti voi, voi che avete letto anche solo un capitolo
di questa storia, perché mi avete spronata a continuare e non abbandonare a se
stessa questa raccoltina che amo con tutto l’affetto che ho nel mio cuore.
E
vorrei ringraziare anche i miei Holmes e Watson, perché mi hanno fatto
divertire, disperare, sognare e incontrare persone straordinarie. E forse mi
hanno anche un po’ fatta crescere.
Non
lo so, sono un po’ confusa in questo momento ^^’’ quindi forse è meglio
chiudere qui.
*prende
un respiro profondo* Sì, chiudo qui.
Addio,
Holmes’ Private Life.
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