Holmes' Private Life [Il cassetto delle memorie perse]

di ginnyx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Holmes' Private Life [Il cassetto delle memorie perse] ***
Capitolo 2: *** Ossia, la strana giornata della sincerità ***
Capitolo 3: *** Il breve caso dell'innominato [Parte uno] ***
Capitolo 4: *** Ossia, il breve caso dell'innominato [Parte due] ***
Capitolo 5: *** Ossia, il breve caso dell'innominato ***
Capitolo 6: *** Gli orologi di Baker Street ***
Capitolo 7: *** L’avventura dei tre Garrideb, i postumi. ***
Capitolo 8: *** Tempi Moderni ***
Capitolo 9: *** Combattere per il sole ***
Capitolo 10: *** Scorci di vita, scorci di cuore ***
Capitolo 11: *** Promesse ***
Capitolo 12: *** Eroi e confronti ***
Capitolo 13: *** Priorità e scelte ***
Capitolo 14: *** L'ultimo caso. Un epilogo ***



Capitolo 1
*** Holmes' Private Life [Il cassetto delle memorie perse] ***


Holmes' Private Life1-Il cassetto delle memorie perse

Holmes’ Private Life

[Il cassetto delle memorie perse]

 

 

Il vento soffia, il sole splende e due tombe, ingrigite dal tempo, si ergono nel fondo di un cimitero di una piccola cittadina del Sussex.

Queste due, ferme nella loro posizione, vicine, quasi attaccate, affrontano le intemperie del tempo come i loro proprietari affrontarono anni prima le intemperie della vita.

Ma, cercando di perdere quel brutto vizio tipico degli impazienti, partirò dall’inizio, da come e chi scelse quelle due tombe.

 

Faceva freddo, ma la primavera era ormai alle porte. In una casetta a nord del Sussex, due uomini erano seduti davanti al camino acceso, a scaldarsi le membra intorpidite dall’età che avanzava. Accomodati ognuno sulla propria poltrona, leggevano in silenzio, in quel silenzio senza pretese tipico delle persone che si conoscono da tanto tempo.

Uno dei due, un uomo con dei floridi baffi grigi, non prestava molta attenzione allo scritto che teneva in mano e, dopo aver passato dieci minuti sulla stessa frase,  decise di riporlo e di concentrarsi sul fuoco e sui suoi pensieri.

L’altro, un uomo di straordinaria statura, osservava le mosse del suo compagno nascosto dietro le pagine del proprio libro.

A un primo esame parevano semplici signori di una certa età, ma a un attento osservatore non sarebbero sfuggiti gli occhi luccicanti di entrambi. Occhi che celavano segreti, complotti e scandali. Era lampante che gli anni migliori erano passati per tutti e due, lasciando solo la dolcezza dei ricordi di una gioventù sbiadita. Ne avevano da raccontarsi, da rievocare, di avventure.

Eppure, nonostante il passaggio delle primavere si facesse sentire, erano sempre loro.

Sherlock Holmes, unico e celeberrimo consulting detective londinese, e il dottor John H. Watson, suo biografo e fido compagno di avventure.

Se al loro primo incontro nel lontano 1881, li univano necessità e curiosità, adesso, dopo aver affrontato mille avventure, c’era un bisogno diverso.

Il bisogno di avere qualcuno con cui parlare, confidarsi, ridere, piangere e ricordare.

Bisogno di un amico.

Perché era proprio questo che erano.

Amici, semplicemente amici.

Così semplicemente che ormai non potevano più farne a meno.

Qualcosa più forte del sangue, dell’amore e della necessità li teneva uniti, aggrappati l’uno all’altro. Neanche i due matrimoni di Watson avevano potuto tenerle quest’ultimo lontano troppo a lungo dal suo amico Sherlock Holmes.

Ed ora, entrambi soli al mondo, passavano le giornate assieme, finché la sera non calava e ognuno si ritirava nella rispettiva stanza.

-La vedo pensieroso, Watson. Qualcosa la turba?-, chiese il famoso detective, rinunciando al suo libro sul medioevo.

L’interpellato si riscosse dal torpore dei suoi pensieri e si girò verso l’amico.

-Niente di preoccupante, Holmes. Sono solo un po’ stanco.

-Così stanco da abbandonare il libro che l’altra sera l’ha tenuta sveglio fino a notte inoltrata?

Il buon dottore rise di cuore a quella osservazione, era proprio vero che il lupo perde il pelo, ma non il vizio.

-Mi ha scoperto, come al solito, ma capiterà la volta in cui riuscirò a prenderla in contropiede e avrò la mia piccola rivincita!

L’altro sbuffò divertito e si accoccolò meglio sulla poltrona.

-Mio caro Watson, forse lei non se n’è reso conto, ma l’ha già fatto molte volte, troppe per i miei gusti.

L’ex soldato sorrise a quell’implicito elogio, ma la sua mente era concentrata su altro. Infatti subito dopo tornò a far vagare il suo sguardo e, quando si soffermò sull’orologio, si rese conto dell’ora tarda. Fece perno sulle braccia per alzarsi, ma appena in piedi una piccola smorfia sul suo viso annunciò quello che sarebbe accaduto successivamente. Holmes, notando quei chiari segnali, si lanciò velocissimo a sostenere l’amico, evitandogli una brutta caduta.

-Vedo che è ancora capace di quegli scatti micidiali che mi stupivano anni fa e che mi stupiscono tutt’ora-, cercò di scherzare Watson.

-E se ben ricordo, lei era dottore, quindi dovrebbe sapere come sta la sua gamba-, gli rispose con bonaria ironia Holmes.

Il detective lasciò la presa sul suo coinquilino solo quando si fu scrupolosamente accertato della sua stabilità.

-Sa, Holmes, mi sento veramente stanco, penso proprio che dormirò come un sasso-, disse il dottore incamminandosi verso la camera, ma a un certo punto si fermò, tentennò un po’ incerto sul da farsi e poi continuò a parlare. –Ormai alla mia età si ha bisogno di dormire. Non… non mi svegli domani mattina… Mi lasci al mio lungo sonno.

Le parole dell’amico avevano stuzzicato la mente del detective, che fece scorrere lo sguardo sulla figura che gli si stagliava davanti. L’abito, i baffi, il bastone, erano sempre gli stessi di tanti anni prima. Niente pareva cambiato. Come rincuorato da questa visione, Holmes fece cenno di aver inteso. Watson era sempre stato un po’ pigro, ma nel momento del bisogno sapeva diventare una tigre e questo lui lo sapeva bene.

Così si salutarono, dandosi tranquillamente la buonanotte, ma non sapendo che quella sarebbe stata l’ultima volta.

La notte lasciò spazio al giorno e un meraviglioso sole illuminò il paesino del Sussex. Holmes si svegliò abbastanza presto e fece il suo mattutino controllo delle api. Si soffermò per annotare alcuni dettagli sul suo taccuino e poi rientrò in casa, dove la sua governante aveva appena preparato la colazione. La mattinata procedette tranquilla e il detective rispettò il desiderio del suo amico di rimanere a letto, ma quando allo scoccare delle dodici il dottore non si era ancora alzato, decise di prendersi la libertà di svegliarlo.

Con passo tranquillo camminò lungo il corridoio, per poi bussare alla porta.

-Watson, sono le dodici, non vorrà saltare il pasto.

Passarono i secondi, ma il silenzio non si spezzava.

-Watson?-, chiese questa volta con leggera preoccupazione.

Batté più forte contro il legno, ma niente gli giunse in risposta. Il suo amico era sempre stato molto sensibile ai rumori forti per via dell’Afghanistan, avrebbe dovuto sentirlo subito.

Provò ad aprire la porta, ma era chiusa a chiave. Questo spaventò ancora di più l’uomo. Il suo amico non aveva mai chiuso la porta della sua stanza con la serratura, neppure a Baker Street. Doveva essere sicuramente successo qualcosa.

Con una certa agitazione, la mente più macchinosa di tre continenti si mise all’opera per buttare giù la porta.

Ma quando ci riuscì, rimase senza fiato davanti alla più orrida delle visioni.

Watson, il suo biografo, il suo compagno di avventure, il suo amico, era sdraiato sul letto.

Pallido, come solo la morte può essere.

Subito gli corse al fianco, ma invano gli cinse il polso in cerca di qualche battito.

Holmes si strinse le mani fino a sbiancarsi le nocche, quasi irato per la sua impotenza, per la sua stupidità. Come aveva potuto non capire? Eppure ieri sera era così strano, avrebbe dovuto intuirlo. Dalle sue parole, dai suoi gesti. Come aveva potuto ignorare quei segnali che il dottore gli aveva lanciato? “Lungo sonno” aveva detto la sera prima, ma era questo quello a cui alludeva, al sonno eterno? Sapeva che sarebbe…?

Strinse gli occhi e aggrottò la fronte.

No, no, no. Non era possibile, come avrebbe potuto capirlo? Una sensazione, un presagio? E anche ammesso che lo sapesse, perché non gliene aveva parlato?

Troppe domande senza risposta gli aleggiavano nella mente. Stava giungendo a conclusioni affrettate senza avere prove certe e questo, lo sapeva bene, era la cosa peggiore che si potesse fare nel suo mestiere.

Sospirò mestamente e si passò una mano sulla fronte. Adesso cosa doveva fare?

Sollevò lo sguardo su quel viso di cui conosceva ogni minima espressione.

Sorrideva il buon dottore, sorrideva.

Con lo stesso sorriso che il detective gli aveva visto in volto il giorno in cui si erano incontrati.

Il mondo poteva cambiare, evolversi, girare al contrario, ma Watson sarebbe rimasto sempre lo stesso. L’unico perno fisso in un epoca di cambiamenti.

E lui l’aveva perso, perso per sempre.

Quel pensiero gli trapassò il petto, doloroso come non mai.

Sherlock Holmes era una macchina, Sherlock Holmes era solo l’appendice del suo cervello, Sherlock Holmes non si lasciava andare a blandi sentimenti.

Ma quello era blando? Quel dolore che sentiva all’altezza del petto, dove avrebbe dovuto esserci solo pietra, era veramente così increscioso?

Lo stava distruggendo, lo stava distruggendo dall’interno, eppure era l’unica cosa che ancora lo teneva legato a quel corpo morto disteso sul letto.

Ecco, doveva pensare come se fosse uno dei suoi soliti casi e quello a fianco a lui fosse un cadavere come un altro.

Ma era Watson, per Dio, Watson, non un essere qualunque.

Calma, calma, non doveva perdere la calma. Prima o poi tutti muoiono soprattutto quando l’età avanzava, lo sapeva benissimo. Suo fratello era morto anni prima e gli era dispiaciuto moltissimo, ma non gli aveva fatto questo effetto.

Perché?

Ecco la domanda giusta, la traccia giusta.

Perché Watson sì e Mycroft no? Quali erano le differenze? Entrambi erano morti sereni, nelle loro case e quando avevano già speso molti anni della loro vita. Mycroft morto d’infarto fulminante, invece Watson… Watson di cosa era morto?

Il suo sguardo s’illuminò e con passo marziale si diresse fuori dalla stanza. Incurante delle proteste e delle domande della governante, rientrò nella stanza dell’amico senza aver cenato o accennato ai fatti successi e dando alla donna la giornata libera.Quando si fu chiuso la porta alle spalle in mano aveva uno dei suoi vecchi ferri del mestiere, un attrezzo speciale in grado di aprire qualsiasi serratura.

-Mi dispiace, vecchio mio- disse mentre si avvicinava alla vecchia scrivania proveniente da Baker Street, –Ma devo scoprire la verità.

Cercava telegrammi, documenti, fatture, qualsiasi cosa che potesse dargli informazioni sulla salute di Watson.

Non aveva ancora trovato niente quando, alle prese con l’ultimo cassetto,  un doppio fondo si svelò ai suoi occhi.

Se chiedi a qualcuno cosa si tiene nei cassetti, sicuramente ti risponderà “sogni” oppure “calzini”, ma se lo chiedi a chi conosceva il dottore ti dirà “documenti medici”, “l’elenco dei clienti”, magari lo stetoscopio. Ma in un doppio fondo? Cosa poteva tenere Watson in un doppio cassetto di cui neanche lo stesso Holmes sapeva l’esistenza?

Delicatamente il detective lo sollevò, mostrando la soluzione del problema.

Gli venne quasi da sorridere.

Piena di polvere e mezza sfilata dal suo astuccio faceva la sua comparsa la vecchia siringa ipodermica di Holmes, tanto odiata dal suo amico. Ci aveva messo anni per liberarsene e senza l’aiuto di Watson non ce l’avrebbe mai fatta, ma nonostante il pericolo fosse ormai lontano il dottore aveva voluto nasconderla, “onde evitare future ricadute” aveva detto. Di fianco ad essa, però, c’erano cose ben più interessanti che attirarono l’attenzione di Holmes.

Fogli ingialliti, tanti fogli ingialliti, tutti racchiusi in un'unica cartella su cui si stagliava l’inconfondibile calligrafia del suo amico.

Dopo averla osservata per bene prese una sedia e, spostatala vicino al letto, ci si accomodò sopra.

-E così, Watson, è riuscito a sorprendermi anche questa volta, è riuscito a prendersi la sua rivincita per l’ultima volta-, disse con nostalgia, sorridendo pallido al corpo affianco a sé.

Strinse la carpetta tra le mani e per un attimo chiuse gli occhi. Quando li riaprì era pronto. Pronto a leggere di nuovo, per l’ultima volta, le avventure narrate da Watson, suo biografo e compagno d’avventure ma, soprattutto, suo amico.

 

Questa cartella racchiude in sé memorie perse, nascoste, custodite, verità celate anche ai propri cuori.

Questa cartella è stata creata per nasconderle al mondo, ma al tempo stesso per non dimenticarle.

Questa cartella contiene cose così private, che io stesso ho convenuto che non sono sicure neanche in mano mia, preferendo lasciare a questo cassetto l’onere di custodirle.

Questa cartella potremmo chiamarla “Holmes’ Private Life”.

 

 

 

***Angolino della squinternata***

*Si percuote da sola, essendo cosciente di aver ucciso Watson*

Mi dispiace, mi dispiace veramente, ma non uccidetemi, se no non saprete mai il contenuto della cartella! La morte del dottore era una cosa inevitabile, ma io l’ho fatta nella maniera più dolce e tranquilla possibile. Forse Holmes vi sarà sembrato un po’ OOC, ma a me no. Insomma, non sarebbe mai rimasto freddo come un ghiacciolo davanti alla morte di Watson! Ho sempre voluto sfatare il mito dell’ Holmes polaretto, perché sì sarà un po’ austero ma non insensibile e il Canone ce lo dimostra in 200 modi diversi. Ma non sono qui per polemizzare. Mi dispiace se avete trovato il mio Holmes OOC, ma per me non lo è. Naturalmente pensarla diversamente da me, non vi impedisce di dirmi le vostre impressioni, sono sempre aperta a nuove interpretazioni se ben argomentate.

Ma passiamo alla cosa che c’interessa di più (?), la storia.

Questa storia è un po’ strana, ma cosa non lo è nell’appartamento di Baker Street?

 

Questa raccolta inizia così, inizia dalla fine, visto che questo brutto vizio l’ho sempre avuto xD. Dalla cartella e da dove è trovata, viene il titolo di ciò che state leggendo. Questo è il prologo, la vera raccolta inizierà con il prossimo racconto. Avviso subito che nessuna delle avventure che presenterò saranno scritte in stile Doyleiano, essendo che la qui presente autrice non ci riesce.

 

Questa raccolta è un po’ speciale, per non dire strampalata. Nella cartella non sono raccolti casi, misteri o  simili. Ci sono solo tanti piccoli squarci della vita quotidiana del 221B Baker Street e dei suoi inquilini. Il titolo parla chiaro, si tratterà la vita privata di Holmes. Per esempio non vi piacerebbe sapere qualcosa in più sulla infanzia del nostro consulting detective preferito? Ecco, io vi propongo questo. Quindi niente gialli, purtroppo.

 

Tutto ciò che avete letto è ambientato in un anno non precisato, ma quando sia Holmes che Watson erano molto avanti con l’età. Sicuramente dopo la prima guerra mondiale, comunque. Non ho preso una data precisa perché era già troppo difficile far morire Watson, se poi dovevo scegliere anche quando… Comunque, come ho specificato, sono “entrambi soli al mondo” e la seconda moglie di Watson? Morta xD, io non so neanche il suo nome quindi me ne frega poco. Pensate al povero Watson senza moglie, solo in casa, senza nessuno a cui appoggiarsi, mi pareva ovvio che sarebbe tornato a vivere con il suo vecchio amico Holmes, il quale sarebbe stato felicissimo di riaverlo con lui.

 

Se la governante vi è sembrata strana, pensate al fatto che né Holmes né Watson sanno cucinare, pulire o tenere dietro a una casa. Il resto viene da sé, però per essere precisi, vi informo che la governante non vive con loro, ma in una casa limitrofa a quella di Holmes, in modo di essere sempre pronta nel bisogno, ma nello stesso momento di lasciare il dovuto spazio ai due coinquilini.

 

Ho cercato di scrivere la storia in maniera molto rilassata, dolce. Senza ritmi serrati o ansia. Con una serena consapevolezza, oserei dire. Spero che tutto questo vi sia passato e che non vi sia risultata noiosa.

 

 

Vi ringrazio tantissimo della vostra pazienza, perché sciropparsi tutto questo non è certamente un divertimento. La mia unica speranza è di avervi provocato qualche sentimento, di qualsiasi natura esso sia.

Grazie ancora e al prossimo aggiornamento con il primo documento della cartella, ossia “La strana giornata della sincerità”

 

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Capitolo 2
*** Ossia, la strana giornata della sincerità ***


Holmes' Private Life2-Ossia, la strana giornata della sincerità

1. Ossia, la strana giornata della sincerità.

 

 

Si era nella primavera del 1895. Quello fu uno degli anni più prosperi che il nostro appartamento da scapoli in Baker Street vide.

Era stata una mattinata stranamente tranquilla. Mi ero insolitamente svegliato verso le sette e fui sorpreso di vedere il mio coinquilino Sherlock Holmes senza la sua vestaglia color topo, ma già vestito di tutto punto. Era seduto vicino al tavolo, dove era stata servita una fumante colazione.

-Buon giorno, Watson-, mi augurò calorosamente.

-Buon giorno a lei, Holmes-, risposi cortesemente per poi sedermi vicino a lui.

Sembrava di ottimo umore e sia il suo appetito che la sua loquacità escludevano qualsiasi altra ipotesi. Non chiesi nulla su quella sospetta allegria per non rompere quell’idillio che mi era stato concesso. Quando voleva, Holmes sapeva essere di eccellente compagnia.

Finito quel pasto abbondante, il mio amico si alzò di scatto preso da uno di quei suoi momenti d’iperattività. Io lo seguì con lo sguardo mentre zampettava verso la sua camera.

Sbattei più volte gli occhi, incredulo per quella visione. Raramente avevo visto Holmes così felice. I suoi occhi grigi brillavano di un insolita luce. Proprio due giorni prima aveva concluso un importante caso, ma poi era caduto nella sua solita pigrizia. Cosa poteva essere cambiato dal giorno alla notte? Mi alzai da tavola e ispezionai la stanza, ma non vi trovai niente di rilevante, nessuna proposta di consulti, nessun caso irrisolto.

-Watson, cosa ci fa ancora in vestaglia? Si vesta che andiamo a fare una passeggiata!

A quelle parole mi girai di scatto. Holmes si ergeva di fronte a me, in tutta la sua altezza, con già il cappotto e il cappello in testa. Non mi stupii della sua velocità quanto della proposta. Di solito ero io che insistevo per farlo uscire in quelle occasioni. Accettai immediatamente e non riuscii a reprimere un ampio sorriso. Decisi di accantonare le mie inutili congetture, che sapevo non mi avrebbero portato da nessuna parte.

Ci godemmo la giornata. Londra fu accondiscendente e ci regalò un magnifico sole. Passeggiammo a lungo e visitammo diversi parchi. Feci notare a Holmes diversi fiori e uccelli, ma invece delle sue solite risposte secche, ricevetti delle piacevoli osservazioni.

Passammo ore serene, finché il tempo non si guastò, obbligandoci a ritornare a casa.

Quando arrivammo, ordinammo subito alla signora Hudson di preparare il pranzo, che ci fu servito poco dopo. Durante il pasto, cedendo alla mia smisurata curiosità, provai a chiedere ripetutamente a Holmes quale fosse il motivo di tanta gioia. Lui cambiò più volte discorso, così mi rassegnai ad aspettare, come avevo fatto tante altre volte in passato. Avrebbe deciso lui il momento opportuno in cui parlarmene.

Dopo esserci saziati ci sedemmo ognuno sulle rispettive poltrone e, concedendoci una fumata, ci apprestammo a leggere i giornali del giorno.

Dopo pochi minuti, Holmes se ne uscì con una strana domanda.

-Lei crede nella psicologia, Watson?

Alzai lo sguardo dal quotidiano per posarlo sulla figura rannicchiata di fronte a me.

-Come prego?

Lui piegò il giornale buttandolo sul tavolo con fare non curante.

-Le ho chiesto se crede nella psicologia.

Lo guardai negli occhi, per cercare uno dei suoi soliti trabocchetti, ma notai solo una serietà rilassata che non aveva niente a che fare con la sua solita ironia.

-Uhm, credo che la psicologia sia una rispettabile scienza e che sia stata molto utile in molti casi medici, ma non capisco dove vuole arrivare.

Sul suo volto si fece largo un piccolo ghigno che sparì dietro il giornale appena recuperato.

-L’articolo di quest’oggi sul Times parla di un nuovo studio psicologico che spiega come la sincerità umana venga dall’istinto.

Era un argomento strano, ma vista la giornata non mi feci troppi problemi.

-Si spieghi meglio-, chiesi con un briciolo di curiosità.

Lui alzò lo sguardo verso l’alto e fece un rapido ripasso delle macchie d’umidità presenti sul nostro soffitto, prima di rispondermi.

-Una persona sarà sincera solo se seguirà il suo istinto, il suo subconscio.

Io annuii in segno di comprensione e mi sistemai meglio sulla poltrona. Era insolito che Holmes s’interessasse a campi di lavoro che non riguardassero il proprio o che non gli fossero utili per le indagini.

-Qualche nuovo caso?-, domandai tentando di mettere a tacere la mia curiosità.

Lui riportò gli occhi di me e mi sorrise.

-Ottimo ragionamento, Watson-, disse, rispondendo come al solito più ai miei pensieri che alle mie parole. –Forse sì, forse ne avrò uno più tardi.

Il suo sguardo per un attimo si fece vacuo e lontano, ma subito ritornò a brillare di quello strano scintillio che si era risvegliato in lui quella strana giornata.

-Ora, invece, voglio testare la veridicità di questo articolo.

-E come?-, chiesi interessato.

Holmes si allungò verso di me, concedendomi la sua totale attenzione.

-Proverò mettendo in atto un semplice giochetto. Io dico un nome e lei mi dice la prima cosa che le viene in mente, la prima cosa a cui la collega.

Si buttò contro lo schienale della poltrona e alzò gli occhi con uno sguardo assorto.

-Per esempio…

-Lestrade!-, esclamai io e non senza ragione.

Infatti il noto poliziotto aveva fatto irruzione della stanza completamente fradicio.

-Yarder!-, disse Holmes, senza dare all’uomo il tempo per dire niente; -Che, sapendo cosa penso di Scotland Yard, vuol dire tutto.

Vedendo la faccia perplessa di Lestrade e il sorriso malizioso di Holmes, non potei trattenere uno sbuffo divertito.

-Non so a che giochetto stiate giocando, signori-, sbottò un po’ irritato, –ma… ispettore Gregson!

Il poliziotto nominato si fece largo nel nostro piccolo salotto, ma non ci fu tempo per spiegazioni.

-Lestrade!-, esclamò il mio camerata continuando imperterrito nel suo esperimento. –Che poi, in verità, ricollego a Yarder quindi…

Questa volta non seppi resistere e scoppiai a ridere sotto lo guardo sbigottito dei due ispettori e quello soddisfatto di Holmes.

Dopo essermi ricomposto con un lieve colpo di tosse, ma con un malcelato sorriso, chiesi il motivo di quella duplice visita.

-Abbiamo già sprecato troppo tempo con i vostri giochetti! Avrete tutte le informazioni sulla carrozza che ci sta aspettando giù-, proferì con fare sbrigativo Gregson.

Lestrade fece per ribattere, quando Holmes si alzò in piedi e con un gesto imperioso li zitti immediatamente. Era in momenti come questi che comprendevo sempre di più quale ascendente il mio coinquilino avesse sulle persone, di qualsiasi rango, genere e sesso.

-Avremo tempo di ascoltare entrambi. Aspettateci giù, arriviamo subito.

I due poliziotti si avviarono giù per le scale borbottando, ma senza obbiettare la decisone presa dal mio coinquilino.

Quando la porta si chiuse, Holmes mi lanciò una maliziosa occhiata d’intesa.

-La prego, non mi guardi così, se no le risa avranno il sopravvento.

Quell’implicito elogio sembrò bastargli, infatti si preparò subito per uscire, mettendosi in tasca i suoi ferri del mestiere.

-Alla fine, il suo esperimento?-, chiesi mentre cercavo con lo sguardo il mio cappello disperso nel caos del nostro salotto.

Holmes, già pronto sulla soglia della porta, me lo sventolò davanti agli occhi.

-Devo ammettere la veridicità di quell’articolo-, ammise mentre mi aiutava ad indossare il cappotto. -Se avessi aspettato di più a rispondere, sarebbero sopraggiunte altre parole alla mia mente, ma quelle che ho detto sono le più adatte e sincere

Dopo essermi sistemato il colletto, mi girai verso di lui per rispondergli.

-Allora mi complimento per la riuscita del suo esperimento e…

-Signor Holmes!-, m’interruppe una voce imperiosa dal basso.

Rimasi un attimo a bocca socchiusa, con la frase ancora in gola.

Subito, in neanche un secondo, la parola che inconsciamente associavo al nome di Holmes o alla sua figura dinoccolata si fece largo nella mia mente, e la pronunciai con un sorriso.

-Amico-, dissi soltanto.

Alzai gli occhi e li incrociai con i suoi. Per un attimo mi sembrò che ci fosse di più nascosto tra quei riflessi d’acciaio. Vidi il suo sguardo farsi perso, poi in neanche un secondo illuminarsi della consapevolezza delle mia affermazione e infine vidi un sentimento che non riuscii a capire, che non volli capire.

Mi voltai rapidamente verso le scale e, aperta la porta, uscii. Sentivo lo sguardo di Holmes bruciarmi sulla nuca, ma lo ignorai continuando a scendere.

Appena fuori, l’odore di strada bagnata m’inondò le narici. Il tempo incostante di Londra era cambiato ed ora solo una lieve pioggerellina primaverile picchiettava sui marciapiedi.

Vedendomi, Lestrade mi venne subito incontro e mi condusse sulla sua carrozza.

-E il signor Holmes?-, mi domandò.

Immediatamente quella parola mi lampeggiò nella mente e io mi ritrovai a sorridere di cuore davanti alla più pura e semplice verità.

Sarò stato uno sciocco, sarò stato un ingenuo ma sapevo, so, che Holmes ogni volta che sentiva il mio nome pensava alla mia stessa medesima parola. Amico.

Non avevamo bisogno d’altro.

 

 

 

***Angolino della squinternata***

 

1) “Si era nella primavera del 1895”. Questa frase che introduce alla storia non è una mia sbadataggine grammaticale. L’ho trovata leggendo il Canone e da quel momento mi sono innamorata di questa forma ormai inutilizzata ai giorni nostri. C’è un perché anche per la data. Gli anni dal 1894 fino al ritiro di Holmes, come ben sappiamo, sono stati i più proficui per il nostro consulente investigativo. Ho escluso 1894 perché era stato un anno un po’ agitato sia per Watson che per Holmes, le cascate erano una ferita troppo recente e il detective aveva troppe cose di cui preoccuparsi in quella primavera. Quindi mi sono detta “se il 1894 no, perché non concentrarsi sul 1895 che nei racconti del dottore viene sempre descritto come un anno straordinario?”. Infatti quell’anno viene risolto brillantemente il caso dei piani di Bruce-Partigton, avventura che io amo moltissimo e in cui c’è un Holmes da infarto (rileggetelo e capirete u.u). In più Watson lo chiama per la prima e ultima volta solo Sherlock. Insomma un anno misterioso, rilassato e strampalato proprio come questa ff.


2)Sherlock Holmes è euforico, il perché forse Watson lo scoprirà un giorno o forse no. Anche se il motivo di questa gioia è ben chiaro nella mia mente, non era importante ai fini della one-shot così mi sono presa la libertà di ometterlo. Chiedo perdono, ma non avrei saputo dove inserirlo senza creare divagazioni assolutamente fastidiose. Comunque conoscendo gli interessi del detective non dovrebbe essere difficile da intuire.

3)La psicologia. Qui vi chiedo di concedermi una piccola licenza letteraria. Non so se nell’epoca tardo vittoriana esistessero articoli di psicologia come quello letto da Holmes, quindi chiudiamo un occhio e diciamo che, sì, il Times avrebbe potuto pubblicare un pezzo del genere. Data questa premessa, la domanda nasce spontanea “Perché Holmes se ne interessa?”, Watson (forse contagiato dalla deduzione del suo coinquilino) ha indovinato? Qui mi tocca alzare le spalle, perché non lo so neanche io.

4)L’esperimento di Holmes è stata la cosa più divertente da scrivere, nonché quella che ha fatto scattare il resto della storia. Personalmente vedo molto il nostro consulente destreggiarsi con questo tipo di scherzi. Sappiamo benissimo che la sua vena ironica è grande quasi quanto quella teatrale, quindi per me è stato normalissimo vedere Holmes divertirsi così. Se qualcuno non ha apprezzato o ha opinioni differenti in merito sarò felicissima di sentirle. Sono aperta a nuove interpretazioni, visto che potrei sbagliarmi. L’unica cosa potrebbe rendervi perplessi è l’opinione di Holmes su Lestrade. Personalmente penso che i due, dopo tanti anni, siano diventati praticamente amici. Watson nei suoi racconti dice che Lestrade passava ogni sera a Baker Street per una chiacchierata e qualche informazione. Per questo penso che Holmes si sia preso la libertà di scherzare così. In verità, sia lui che l’ispettore, sanno di avere il rispetto reciproco. Quindi non prendete le parole con cattiveria, ma come uno scherzo tra conoscenti di vecchia data.

5)Perché proprio Gregson e Lestrade?  Lestrade lo volevo mettere fin dall’inizio perché lo adoro, però a quel punto mi mancava il 2° Yarder. Chi scegliere? Subito avevo optato per l’ispettore McDonald, poi avevo pensato a Hopkins, ma nessuno dei due mi convinceva del tutto. Poi mi è venuto un flash e sghignazzando la mia scelta è caduta inesorabilmente su Gregson. Vi ricordate Uno Studio in Rosso? Lo so che è una domanda cretina, ma vi ricordate? Proprio lì per la prima volta ci vengono presentati sia Lestrade che Gregson e cosa si dice di loro? Che sono in competizione, essendo i migliori di Scotland Yard. Durante il sopralluogo sulla scena del delitto gareggiano e si mandano frecciatine, ovviamente non come faremmo noi del 21° secolo, le definirei “frecciatine vittoriane” xD Rende l’idea? Bhe, detto questo avrete sicuramente capito il perché della mia scelta.

 

6)L’ultimo punto, spero, è lo sguardo di Holmes. Quante descrizioni avrò letto dei suoi occhi tra le pagine del Canone! Watson ormai li conosce troppo bene e non avrebbe fatto fatica a identificare quel terzo sentimento che si celava dietro quel grigio brillante. Perché non l’ha fatto? Le possibilità sono tante. Partiamo dal presupposto che Holmes non si aspettasse la parola “amico” da Watson. Certo, loro sono amici, guai a dire il contrario, ma lui si aspettava qualcosa del tipo “confusionario”, “geniale”, “coinquilino”, qualcosa che Holmes avrebbe ribattuto con una delle sue affermazioni secche e sarcastiche. Scommetto che alla parola “Watson” Holmes avrebbe risposto “Boswell”, non “amico”. Non per sfiducia o perché non lo consideri un amico vero, ma per il semplice fatto che Holmes difficilmente ammette apertamente (e a parole) i suoi sentimenti. Lo fa con i fatti, basta ricordare il finale de”L’avventura dei tre Garrideb”, ma questa è un'altra storia. Torniamo a Watson, a Watson che guarda negli occhi Holmes. Immaginate la sua faccia, immaginate la faccia di Sherlock Holmes stupito. Non capita spesso che il dottore riesca a stupire Holmes. Quindi si sofferma a guardarlo. Prima vede uno sguardo, per un secondo, perso (perché Holmes non aveva ricollegato la parola al loro gioco), in seguito dopo aver fatto i legittimi collegamenti diventa cosciente di come lo definisce Watson. E poi? Watson preferisce non saperlo, preferisce ignorare quello sguardo e fare finta di non capire. Per paura di leggerci qualcosa che l’avrebbe ferito? Per non imbarazzare Holmes? O semplicemente perché sapeva quale era il sentimento che gli riempiva gli occhi? Lascio a voi la scelta, sicuramente migliore della mia. (anche se io propendo per tutte e tre insieme, della serie “incasiniamo gli occhi di Holmes” xD).

 

Vi ringrazio ancora della vostra pazienza, perché sorbirsi questo popò di roba non è cosa da poco.

Infine dedico questa one-shot a tutti quelli che, finita di leggerla, hanno sorriso.

Se con le labbra, come Watson, o con gli occhi, come Holmes, non importa.

Grazie ancora.

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Capitolo 3
*** Il breve caso dell'innominato [Parte uno] ***


Holmes' Private Life3-Il breve caso dell'innominato1

3. Il breve caso dell’innominato.

[Parte uno.]

 

 

 

Era una tipica serata invernale e le strade di Londra erano praticamente deserte. Io e il mio amico Sherlock Holmes camminavamo tenendoci a braccetto, stretti nei nostri lunghi cappotti, come se insieme avessimo potuto sconfiggere il freddo.

-Allora, ragazzo mio, cosa ne dice di quest’opera?-, mi chiese il mio amico.

-Se devo essere sincero, mio caro Holmes, mi aspettavo qualcosa di più.

Lui si lasciò andare a una delle sue tipiche risatine soffocate.

-L’avevo intuito. Per tutto il tempo non ha fatto che muoversi sulla poltrona e fissare il libretto del copione. Solo durante la morte di Euridice l’ho vista particolarmente attenta.

Io risi di cuore e scossi la testa.

-E a quanto pare non è piaciuta neanche a lei, visto che ha passato tutto il tempo ad osservarmi.

A quell’affermazione Holmes si portò la mano libera al petto.

-Colpito-, disse soltanto per poi rivolgermi un occhiata divertita.

Stavo per ribattere, quando una ventata gelata mi fece rabbrividire. Holmes sentendo il mio corpo irrigidirsi decise di cercare una carrozza, ma a quanto pare quella sera nessuno si era attentato ad uscire.

Continuammo a camminare, finché non arrivammo vicino al porto del Tamigi. Lì, tutta ammassata, c’era una folla di persone che parlottavano.

Io feci per andare avanti, ma Holmes si bloccò istantaneamente.

Mi voltai verso di lui, ma quando vidi i suoi occhi brillare, capì che i miei piedi non avrebbero rivisto il nostro camino tanto presto.

Staccandosi dal mio braccio, il mio compagno si diresse verso la folla e io gli fui subito dietro. Con la sua stazza e il suo comportamento autoritario si fece velocemente largo tra la gente.

Appena riuscimmo ad uscire, un fortissimo odore d’alcool mi colpì le narici.

Steso per terra, sotto una lanterna rotta, stava un corpo. Un corpo morto.

-Via, via! Fate largo!-, sentimmo prima di vedere apparire la figura dell’ispettore Lestrade.

-Buona sera, ispettore-, dissi cortesemente, ma non parve sentirmi.

Ci squadrò per un lungo attimo, poi sospirò rumorosamente.

-Io non capirò mai come voi facciate sempre ad essere sul posto dell’omicidio prima della polizia!

Io sorrisi bonario e lo rassicurai che quella volta era solamente un caso.

-Vero, Holmes?-, chiesi girandomi verso il mio amico.

Lo trovai accucciato vicino al cadavere. I suoi occhi scrutavano nel buio della notte in cerca di qualche indizio. Non mi sarei stupito se neanche avesse sentito l’arrivo di Lestrade.

Con uno scatto si alzò velocemente in piedi e prese a girare intorno al corpo, due volte in senso orario, due in antiorario.

Io distinguevo a malapena il suo viso, non riuscivo a capire come potesse anche solo scorgere il contorno del cadavere.

Improvvisamente si arrestò e avvicinò il naso alla bocca dello sconosciuto. Vidi quello che mi sembrò un sorriso amaro, ma sparì velocemente.

-Lestrade, qui non ci sarà bisogno sicuramente del mio aiuto, il caso è assolutamente elementare.

Io e l’ispettore ci guardammo perplessi.

-Quindi ha capito come è morto l’uomo?-, chiesi interessato.

-Sì, ma scommetto che Lestrade sarà più che capace di illustrarci la situazione.

Quando Holmes delegava le spiegazioni agli altri, voleva proprio dire che non ne avrebbe tratto nessun divertimento. Considerava veramente quel caso troppo elementare per le sue capacità.

L’ispettore intanto si era avvicinato al corpo e l’aveva velocemente ispezionato.

-Bhe, che sia ubriaco mi sembra ovvio ma…

Un piccolo colpo di tosse ironico provenne dalla gola del mio amico.

-Lo guardi bene, Lestrade-, lo invitò Holmes con un piccolo sorrisino malizioso.

-Insomma Holmes, mi vuole spiegare cosa dovrei dedurre da un corpo che emette un nauseabondo odore di alcol, se non uno stato di ebbrezza?

-Lei ha ragione, Lestrade, nella maggior parte dei casi sarebbe così, ma non le pare strano che tutto il corpo sia cosparso d’alcool?

-Bhe, magari era così ubriaco che si è sparso addosso la bottiglia-, azzardai io.

Holmes scosse la testa e ci invitò a chinarci. Un tremendo olezzo ci assalì le narici.

-Non vi sembra che sia stato sparso un po’ troppo alcool su questo corpo? Gli abiti sono umidi. E poi, la cosa più interessante sono le labbra.

-Le labbra?- domandai perplesso.

-Sì, annusando le labbra mi sono accorto che quest’uomo non ha bevuto  neanche un goccio di brandy o qualsiasi altro alcolico. Non ne aveva traccia neanche sui contorni della bocca, dove per un ubriacone dovrebbero esserci diverse sbavature.

Una ventata di vento ci trapassò le ossa. Ci guardammo per un attimo, ognuno perso nelle proprie elucubrazioni. Ovviamente io continuavo a pensare alle piccole particolarità di questa avventura.

-E quindi se non era ubriaco, perché si trova qui morto e zuppo d’alcool?-, chiesi perplesso, mentre mi strofinavo le mani ghiacciate.

Holmes mi sorrise leggermente e tornò in posizione retta, seguito immediatamente da noi.

-Vedo che non ha perso le sue capacità riassuntive, Watson. Ma proviamo a ragionare. Possiamo affermare senza dubbio che non si tratta di suicidio, quindi un agente esterno deve aver provocato la morte di quest’uomo. Visto che solo una persona può riuscire a fare una cosa del genere, possiamo anche escludere un fattore casuale o un fenomeno naturale.

Io e Lestrade annuimmo e ci apprestammo a seguire il resto della spiegazione.

-La domanda successiva è “perché fare questo? Perché l’alcool?”. Per scoprire il motivo della morte bisognerà risalire all’identità dell’uomo, e per scoprire la causa del decesso avere un po’ di luce. Per quanto riguarda l’utilizzo dell’alcool, la risposta è scontata. Serviva per sbarazzarsi del corpo, per bruciarlo e non lasciare tracce.

Ancora una volta, nonostante gli anni, mi stupii della bravura del mio compagno e di quanto in verità fossero semplici ed elementari le soluzioni.

-Sembra che così tutto quadri-, disse Lestrade; -L’unica domanda che mi martella in testa è come mai abbiano lasciato qui il cadavere. Se doveva essere bruciato, in un posto del genere non sarebbe passato inosservato.

Holmes si avvicinò all’ispettore assentendo con il capo.

-Esatto, Lestrade. Ma per risalire agli assassini, bisogna conoscere alla vittima. Chieda ai suoi uomini se possono portarci una lanterna cieca.

Subito un ragazzotto in divisa ci consegnò ciò che avevamo richiesto.

Fremevamo tutti per la curiosità, ma quando la luce inondò il volto dell’uomo, vidi lo sguardo di Holmes gelare.

Era stato un attimo, come era arrivato era sparito, ma non me l’ero immaginato.

-Uhm, si è fatto tardi, Lestrade. Io e Watson siamo stanchi e ormai non c’è più nulla da fare. Potremmo usufruire di una delle carrozze di ordinanza? Grazie e a presto.

Velocemente salimmo sul mezzo e non fu spesa neanche una parola.

Holmes non era pensieroso, in realtà in quel momento non sapevo come classificarlo. Non l’avevo mai visto con uno sguardo simile, nonostante i tanti anni passati insieme.

Tentai più volte di parlare, ma i diversi grugniti che mi rivolse come risposta, valevano più di mille spiegazioni. Non era il momento, come tante volte non lo era stato in passato. Avrei aspettato che fosse Holmes a parlarmene per primo.

Quando arrivammo davanti a casa però fui l’unico a scendere.

-Salga in casa, Watson, e non mi aspetti alzato. Tornerò il più presto possibile.

-Dove vuole andare, Holmes? Se posso esserle utile…

Non mi lasciò finire la frase e sorrise, sorrise veramente. Non per un attimo, non per un secondo. Quello era uno dei suoi rari e meravigliosi sorrisi.

-Grazie, vecchio mio, ma devo fare da solo-, disse tornando dentro la carrozza; -E poi se il mio Boswell si ammala, sarei perso.

Avrei voluto dirgli tante cose in quel momento, ma bastò incrociare i nostri sguardi.

La carrozza partì e io mi avviai verso il letto, su cui mi addormentai all’istante.

 

 

 

 

***Angolino della squinternata***

Ed eccomi di nuovo qui ad aggiornare questa raccoltina =D

Dovete sapere che, in verità, “Il breve caso dell’innominato” non è tanto breve xD.

Mi spiego meglio, in verità non è lunghissimo, ma ho preferito darvelo a piccoli pezzi, invece di farvi aspettare un eternità per l’episodio completo.

Questa, come avete letto, è solo la prima piccolissima parte. Il tutto si dovrebbe risolvere in 1-2 capitoli, niente di cui preoccuparsi.

Ora, vorrei chiedere il vostro perdono per questo scempio, io non sono brava con i gialli o i misteri, quindi chiedo venia per aver inventato questo scempio, ma mi serviva per introdurre i prossimi capitoli, quelli in cui si spiegherà tutto sull’ “Innominato”.

Intanto, così per giocare, vorrei sapere chi pensate che sia l’uomo morto trovato vicino al porto del Tamigi. Sarà molto difficile indovinare, ma visto che sono buona vi do un indizio: nel canone non è mai citato, ma è strettamente legato a Holmes.

Si aprono le scommesse! A chi indovina dedico il prossimo capitolo =D

Ma diamo piccole spiegazioncine su questo capitolo.

1)Come avrete intuito, Holmes e Watson erano al ritorno da uno spettacolo teatrale, più precisamente “Orfeo e Euridice”. Watson è un grande appassionato di tragedia greca e anche del teatro in generale, quindi non mi è sembrato strano che si fossero presi una serata, nonostante il freddo gelido.

2) Lestrade sbuffa a vedere lì Holmes e Watson, poverino xD. Capitelo, si sente spodestato dal suo ruolo di “protettore dei cittadini” visto che alla fine è sempre Holmes che salva la situazione. Ovviamente nelle sue parole non c’è risentimento.

3) La dote riassuntiva elogiata di Watson non me la sono inventata, ma compare in “Uno studio in rosso”, dove Watson fa un meraviglioso punto della situazione e anche lì viene elogiato da Holmes.

4)”Se il mio Boswell si ammala, sarei perso” Qui non penso che ci sia molto da spiegare, ma per i più smemorati ricordo “Uno scandalo in Boemia” dove Holmes afferma molto convinto “I’m lost without my Boswell”.

 

Ed ora rispondo ai meravigliosi commenti che mi sono stati lasciati allo scorso capitolo **.

 

Anne London: Ti ringrazio molto per i complimenti ^^. Per quanto riguarda lo slash, è una cosa spinosa anche per me. Nonostante io abbia scritto e letto slash, non riesco a immaginarmi un Holmes e un Watson canonici che sono innamorati. Ovviamente apprezzo comunque le slash H/W però… bho, diciamo che nel mio immaginario non potrebbero essere altro che amici. Per Freud hai ragione, ma non so se i giornali inglesi fossero così aperti da pubblicare le sue teorie (per esempio quella di Edipo aveva sconvolto tantissime persone). Sperando di non averti fatto aspettare troppo per questo misero capitolo, mi auguro che ti sia piaciuto ugualmente ^^.

 

Miss Adler: Non sei l’unica ad essere una Sherlockomane xD Ti garantisco che io sono uguale e ti capisco! Per fortuna non avete cercato di accopparmi quando ho fatto volare via il dottore (non sai quanto mi è dispiaciuto!).

Hanno una specie di tacita e silenziosa intesa: ognuno sa quanto vale per l'altro ,ma non l'ammetterebbero mai!!” con questa frase hai capito alla perfezione ciò che volevo far trasparire <3. Visto, non ti ho fatto aspettare a lungo ^^. Ciao e grazie ancora.

 

DataLore1001001: xD A te rispondo per entrambe le meravigliose recensioni!

Sono contenta che sia riuscita a passarti la dolcezza della scena della morte di Watson. La tua recensione non è assolutamente insulsa, anzi mi ha fatto molto piacere sapere la tua opinione, mi hai tolto un po’ di dubbi xD. Questo è che hai appena letto è uno di quelli che introdurrà il passato nascosto di Holmes. xD per fortuna che nessuno crede che Holmes sia un polaretto se no poveri noi! xD

Per la seconda recensione, sono contenta che i commentini di Holmes ti abbiano fatto ridacchiare un po’ =D. Il 1895 è uno dei miei anni preferiti quindi non potevo non inserirlo. In questa ff non c’è un anno preciso, per lo meno non l’ho ancora deciso. Per quanto riguarda lo sguardo di Holmes, non c’è né giusto, né sbagliato. È così e basta. Spero vivamente che anche questo capitolo sia di tuo gusto =D. Grazie ancora del sostegno!

 

 

Ovviamente ringrazio anche chi legge, chi segue (Alchimista Bellis DataLore1001001), chi ricorda(DataLore1001001) e chi preferisce (DataLore1001001)

 

Alla prossima con la seconda parte de “Il breve caso dell’innominato”!

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Capitolo 4
*** Ossia, il breve caso dell'innominato [Parte due] ***


Holmes' Private Life-4 Il breve caso dell'innominato2

3. Ossia, il breve caso dell’innominato.

[Parte 2]

 

 

Quando mi svegliai la mattina dopo, Holmes si era appena tolto il capello. Con un cenno della testa mi salutò e si mise a sedere, contemplando la colazione. Non mi fu difficile intuire che aveva passato la notte fuori e che non aveva chiuso occhio per tutto il tempo. Eppure non riuscivo a capire il motivo del suo turbamento, perché c’era qualche problema se non mi rivolgeva neanche un buon giorno.

Il caso non doveva essere elementare? Cos’era cambiato?

Osservai Holmes vezzeggiare con il cibo con noncuranza, ma sapevo che la sua mente stava macchinando. Il mio dubbio era sempre su cosa.

Nonostante entrambi avevamo la fiducia reciproca, c’erano molte cose taciute, tanti segreti inviolati. Soprattutto da parte di Holmes.

Io non me ne sono mai lamentato, conosco il mio amico da troppi anni per prendermela per una simile sciocchezza. Eppure sarei un ipocrita, se non ammettessi la mia curiosità verso il suo passato, il suo presente e il suo futuro.

Ma in quel momento ero concentrato su altro. L’unica cosa che m’interessava era capire la causa dei suoi pensieri funesti.

Il grigio intenso dei suoi occhi non poteva che portare tempesta. Nonostante tutto mi pareva di leggerci qualcosa in più. Un’idea di rassegnazione. Come quando dopo aver letto l’ultima pagina di un libro, lo richiudi e senti quel gusto amarognolo in bocca, perché sai che è finito e che i personaggi non potranno tornare indietro.

Una rassegnazione al sapore di consapevolezza.

Rendendosi conto del mio sguardo fisso su di lui, Holmes mi ricambiò con un occhiata veloce. Alla fine abbandono il piatto praticamente intatto e si sedette sulla poltrona.

Non voleva parlarne e l’occhiata di prima era stata l’ennesima conferma.

Così gli concessi altro tempo per schiarirsi le idee. Mangiai tranquillamente e ringraziai la nostra padrona di casa. Poi mi sedetti nella mia solita poltrona e mi misi a leggere il quotidiano ancora intoccato.

Holmes si era abbandonato ad un attento, non che milionesimo, esame di quelle macchioline di umidità che caratterizzavano il nostro soffitto. Sembrava completamente assorto, con la mente lontana, in un’altra dimensione.

All’improvviso si alzò in piedi e prese il suo amato Stradivari. Si risedette appoggiando lo strumento sulle gambe e incominciò a pizzicare lentamente le corde.

Sospirai senza trattenermi, ma lui non ci fece caso. Sapevo che la musica era l’ultima spiaggia, in verità la penultima se si conta la droga, ma quella l’aveva abbandonata da tempo e con non poca fatica.

Finii il mio giornale e pensai di uscire a fare una passeggiata, visto che il tempo sembrava clemente. Non lo proposi neanche ad Holmes, probabilmente non avrebbe nemmeno sentito la domanda. Così uscii ben avvolto nel mio cappotto, lasciando il mio camerata nella stessa posizione di prima.

Mani sul violino e sguardo perso, perso in quel mondo che solo lui era capace di vedere.

Tornai poche ore dopo, poiché avevo bisogno di qualcosa di caldo da mettere nello stomaco. Quando entrai in casa la signora Hudson mi fermò e mi diede un telegramma appena arrivato per Holmes. Io la ringraziai e la pregai di portarci un pasto caldo appena possibile. Lei annuì cortesemente e si ritirò in cucina, mentre io salivo le scale contemplando felice quel biglietto.

Abitando con il consulting detective più famoso di tre continenti avevo capito che i telegrammi volevano dire una cosa sola: informazioni. Informazioni per i casi aperti, per quelli già chiusi e quelli ancora da ufficializzare. Finalmente qualcosa di nuovo con cui distrarre Holmes!

Aprii la porta che dava sul nostro salotto, ma non trovai ciò che mi aspettavo. Il mio amico aveva riposto nella custodia il suo fidato violino e in quel momento era alle prese con non so quale esperimento chimico.

-Buon giorno, Watson. La vedo allegra, successo qualcosa?-, mi chiese voltandosi brevemente verso di me.

Io sentii il cuore più leggero sentendo il tono rilassato di quelle parole. Mi tolsi velocemente cappello e cappotto per poi sfregarmi le mani velocemente.

-Niente di che, amico mio, tutto regolare. Piuttosto, è arrivato questo telegramma per voi-, gli risposi allungandogli il foglio.

Lui sembrava abbastanza scocciato di quella interruzione e di malavoglia lesse quelle poche righe. I suoi occhi si soffermarono un po’ troppo a lungo su quel messaggio, ma non feci in tempo a dire niente, che lui si alzò è gettò la carta nel camino acceso.

Rimasi veramente sorpreso da quello scatto.

Cosa significava? Cosa c’era scritto su quel telegramma?

La mia testa ronzava piena di pensieri, ma mi morsi la lingua. Dovevo tenere a freno la mia preoccupazione, se non volevo far innervosire ancora di più Holmes.

Così non ne feci parola e la giornata passò tranquilla. Il mio camerata era tranquillo e parlava normalmente, l’avevo visto con umori migliori, ma anche peggiori.

Era ormai sera e noi, seduti comodamente davanti al camino, stavamo discutendo su musica, teatro e arte, in particolar modo di come questi elementi si erano evoluti nei secoli.

Holmes mi stava parlando con trasporto di come venivano strutturati i castelli del medioevo, quando bussarono alla porta.

Ci guardammo negli occhi, ma nessuno dei due aspettava visite.

-Avanti!-, disse il mio camerata con tono tranquillo.

Ci trovammo davanti la piccola figura di Lestrade. L’uomo sembrava veramente abbattuto e aveva gli occhi puntati su Holmes.

Mi sfuggiva qualcosa e, a giudicare dal comportamento dell’ispettore, qualcosa d’importante.

Cosa era successo nelle ore di mia assenza?

-Signor Holmes, devo parlarle-, disse con urgenza.

Il mio amico si accomodò meglio sulla poltrona, senza spostare lo sguardo dal nostro ospite.

-Penso di sapere quello che mi sta per dire. Il caso si è complicato, vero?

L’ispettore annuì sorpreso ed ansioso.

-Allora le è arrivato il telegramma! Perché non mi ha risposto?

A quelle parole mi girai verso il mio amico, ma lui non si mosse minimamente.

Ma se il telegramma era di Lestrade, perché l’aveva gettato nel fuoco? Come mai Holmes rifiutava quel caso? Era veramente così elementare?

-Mi è pervenuto il suo messaggio, ma io l’ho volontariamente ignorato, perché mi sono già espresso riguardo a questo omicidio. Non m’interessa.

Il suo tono era freddo come il suo sguardo, ma Lestrade non intendeva demordere.

-Holmes, le assicuro che questo caso presenta tutti gli aspetti che la incuriosiscono tanto. Non siamo riusciti neanche a identificare la vittima, perché…

-Le ho detto che non m’interessa-, lo interruppe Holmes con un tono di voce apparentemente neutro, ma io che lo conoscevo bene ci leggevo una vena di rabbia.

Il poliziotto tentennò davanti a quella risposta, ma tentò di nuovo.

-La prego, è una cosa grossa, forse più di quanto immaginiamo. Le sarei grato se mi desse qualche consiglio.

A quelle parole vidi Holmes irrigidirsi e poi alzarsi in piedi, faccia a faccia con l’uomo.

-Forse lei non ha capito le mie parole. Non mi interessa né del caso, né di lei, mi sta facendo solo perdere tempo prezioso.

Io scattai in piedi mettendomi di fianco ai due. Avevo paura. Sia per Lestrade, che per Holmes. In più non riuscivo a capire.

Come mai il mio amico si era infiammato così? Non era da lui, tutta questa situazione non era da lui.

-Ed ora, visto che ci siamo chiariti, il dottor Watson sarà così cortese da mostrarle la porta. Arrivederci, ispettore.

Così disse e così fu.

Lo accompagnai all’uscita e gli rivolsi uno sguardo di scusa. Chiusi delicatamente la porta e mi voltai verso Holmes.

Questa volta non avrei aspettato, volevo e mi doveva delle spiegazioni.

Lo fissai imperterrito, ma lui non mi degnò di attenzione. Respirai per calmarmi e poi cortesemente iniziai a parlare.

-Amico mio, non avrebbe dovuto trattare così Lestrade, mi è sembrato scortese.

Lo dissi con tutta la tranquillità possibile e con tatto. Non volevo litigare.

Lui, già seduto sulla poltrona, mi guardò e alzò le spalle.

-Ho cercato di spiegargli come stavano le cose gentilmente, ma non pareva capire.

Io sbuffai sonoramente a quell’ennesima bugia.

-La prego di risparmiarmi queste assurdità, Holmes. Sappiamo entrambi che c’è qualcosa che non va!

Lui mi guardava senza interesse, come se non ci fossi, ma io sono sempre stato testardo di natura.

-Ho aspettato, le ho lasciato tempo, ma se devo veder maltrattato un onesto poliziotto, nonché buon amico, non mi trattengo!

Dissi avvicinandomi a lui e sfidando il suo sguardo. Lui parve capire il motivo delle mie parole e mi fece un pallido sorriso.

-Mi dispiace di averla così amareggiata, ragazzo mio. Infondo non era mia intenzione reagire così aspramente. Le prometto che mi scuserò con l’ispettore al più presto-, mi rassicurò già più rilassato di prima.

Io gli sorrisi e gli appoggiai la mano sulla spalla, prima di sedermi di nuovo di fronte a lui.

-Sono contento che sia tutto sistemato, però…-, non completai la frase, non sapendo come esprimermi.

Holmes mi guardava tranquillo, forse aveva intuito quello che pensavo.

-Vorrei sapere come mai non mi ha parlato del caso, perché è stato fuori tutta notte e perché si  innervosito con Lestrade. E non mi dica che è una cosa banale, perché non le credo!

Lui scosse la testa, divertito dalle mie parole.

-Se vuole proprio saperlo non le ho parlato del caso per non farla preoccupare, ieri sera sono stato da mio fratello e sa che mi irritano le persone che non comprendono le mie parole. Ho dimenticato qualcosa?-, affermò ironico.

Il suo tono era leggero, quasi spensierato, ma era solo una maschera.

Holmes portava spesso maschere, per proteggere se stesso e gli altri, ma con me non le aveva mai usate. Eravamo amici, non avevamo bisogno di nasconderci, eppure…

Abbassai lo sguardo, un po’ amareggiato, un pensiero mi tormentava.

-Holmes… lei non si fida di me?-, chiesi.

Alzai lentamente lo sguardo e vidi chiaramente i suoi occhi spalancarsi per poi tornare alla normalità.

-Watson, ancora domande di ovvia risposta?-, disse cercando di scherzare, ma non era il momento.

Continuai a guardarlo e sospirai. Veramente non capivo. Eravamo amici da tanti anni, avevamo passato mille avventure assieme e mi era sembrato di aver dimostrato la mia fedeltà nei suoi confronti. Ma ora i dubbi erano aumentati.

-Lei ha ragione, Holmes. È ovvio, mi scusi per la domanda stupida-, abbassai lo sguardo mentre lo dicevo, per poi continuare –Ma ora basta parlare, è tardi. Sarà meglio che vada a letto.

Mi alzai e, gamba permettendo, mi avviai rapido verso camera mia. Cercavo di scacciare quel pensiero, quella sensazione, ma non ci riuscivo. Mi sentivo ferito, nonostante non lo volessi ammettere. La cosa peggiore era sapere di essersi sbagliato, di aver passato anni credendo in una amicizia che non c’era mai stata.

Perché per quanto Holmes fosse rumoroso, pieno di vizi, soggetto a frequenti malumori e non avesse una personalità facile, io avevo fiducia in lui. Mi sarei fidato qualsiasi fosse stata la situazione, soprattutto se così grave come prometteva di essere quella. Eppure io…

-Watson-, disse soltanto.

Io mi fermai con la mano sulla maniglia della porta e con il cuore in gola.

-Si sieda, Watson-, mi chiese; -Per favore.

Io chiusi gli occhi e respirai. Dovevo tornare calmo, non potevo farmi vedere così da Holmes. Con passo pesante, ritornai indietro e mi sedetti sulla mia solita poltrona.

Lo guardai negli occhi e mi stupii di vedere che quel grigio, di solito simile all’acciaio, si era tinto di una strana sfumatura blu. Come un mare in tempesta.

-A volte mi dimentico di quanto possano essere ambigue le mie frasi-, affermò sorridendo sghembo.

Io sbuffai col naso e scossi la testa con fare divertito. Alla fine mi era impossibile essere arrabbiato con Holmes per troppo tempo.

-A volte le cose mi paiono così ovvie, che finisco per trascurarle, ma per fortuna che il mio Boswell me le ricorda-, continuò non spostando gli occhi dai miei, come se volesse assicurarsi che il concetto era arrivato.

Io mi misi più comodo e rilassai i muscoli.

-E a volte-, dissi riprendendo il suo discorso, -Io dimentico quanto lei dimentica.

Lui si concesse una risatina soffocata e io mi diedi dello stolto. In quel momento mi sembrava una pazzia aver dubitato di Holmes.

-Ottimo, sono contento di aver chiarito, ma se la conosco bene non si accontenterà di questo. Lei vuole sapere del caso, giusto?

-Sì-, affermai semplicemente e con decisione.

Il mio amico assentì leggermente con la testa, per poi congiungere le dita tra di loro ed alzare lo sguardo al soffitto.

-Il corpo, il corpo trovato vicino al Tamigi, era quello di mio padre.

 

 

 

 

 

***Angolino della squinternata***

Bene, ora avete il diritto di uccidermi.

Non solo per avervi lasciato con un affermazione del genere, non solo per avervi fatto aspettare, ma soprattutto per questo capitolo di MHHHH.

Ah, ovviamente questo è il penultimo, tutte le spiegazioni nel prossimo.

Ç_ç Spero che il buon dottore mi perdoni per averlo fatto a mò di donnetta isterica con le paturnie! Non era mia intenzione! Il buon dottore doveva solo arrabbiarsi e far ragionare Holmes e invece… mamma mia che schifezza.

Spero che mi vogliate veramente perdonare.

Così tralascio tutti i miei soliti appuntini (inutili) di fine capitolo e passo direttamente alle risposte ai commenti dello scorso capitolo <3

 

 

409inMyCoffeeMaker: Giusvaldella mia! xD Come al solito tu commenti anche se non dovresti, sei troppo buona, veramente. Apprezzo lo sforzo che fai per seguire queste cavolatine.  E questo è il seguito xD che alla fine non ha aggiunto niente, abbiamo solo scoperto chi è il morto xD Dì che non l’avresti mai immaginato xD. Grazie di tutto.

 

Anne London: ti prego di scusarmi per questa cosa che neanche oso chiamare capitolo perché è orribile ç_ç. Per gli articoli di quell’epoca sui sogni proprio non so, ma mi sembra abbastanza probabile, è una cosa sempre interessante, indipendentemente dall’epoca. Mamma mia Orfeo ed Euridice è veramente pesante, solo fare le versioni mi manda in crisi xD. Apprezzo moltissimo lo sforzo che hai fatto per indovinare e ti confesso la mia ignoranza ammettendo di non sapere niente di questo fantomatico terzo fratello O.O Comunque, mi raccomando, vai giù duro con i rimproveri per questo capitolo, mi saranno utili.

 

 Miss Adler: Ehy, grazie di commentare sempre ^^. In questo capitolo come avrai visto Lestrade è un tantino maltrattato (cioè nella nostra epoca non sarebbe stato niente, ma bisogna pensare con mente vittoriana u.u). Ecco ç_ç mi avevi appena fatto i complimenti per la caratterizzazione di H e W e io che faccio? Ç_ç questo orribile scempio. Spero che tu mi sgridi per bene così il prossimo capitolo lo faccio decentemente. Non trattenerti, le critiche fanno sempre bene ^^. Sono contenta che tu abbia provato ad indovinare l’identità dell’uomo, mi piacciono i lettori attenti e partecipi =D. Grazie di tutto.

 

 

Ladywho: Ciao signorina-io-non-voglio-un-grazie! xD No, dai, adesso ti risponderò decentemente fino alla parte ehm-hem. Ti giuro che mi è piaciuto un sacco il tuo commento xD Al primo capitolo ero veramente preoccupata di trovarmi assediata con forconi e fucili xD Però dai… l’ho fatto morire dolcemente. Dici che Holmes è stato molto freddo? O.O e io che pensavo di averlo fatto troppo emotivo! Il secondo capitolo potrebbe essere slash se inserissero la scena nel film, ma ti assicuro che nel canone no xD. Però immaginandomi la scena con Jude e Rob… mhh qualche pensierino viene xD. Ti concedo tutti gli Hottson che vuoi ** amo quel soprannome! Ehm… qui arriviamo alla parte dove.. mhhh si… io… io… ma parliamo di papere! Dimmi, tu ne hai mai vista una dal vero??? xD Ciao e grazie di tutto, veramente. (ops! Ho detto quella parola! D: )

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Capitolo 5
*** Ossia, il breve caso dell'innominato ***


Holmes' Private Life5-Il caso dell'innominato3

3. Ossia, il breve caso dell’innominato.

[Parte 3]

 

 

Rimasi pietrificato.

-S-Suo padre?-, chiesi, per poi mordermi la lingua.

Proprio su un argomento del genere dovevo evidenziare l’ovvio?

Holmes aveva ancora lo sguardo fisso sul soffitto e le dita congiunte tra di loro. Non parve troppo infastidito dal mio intervento.

-Non si preoccupi di farmi le condoglianze, Watson. Doveva succedere prima o poi.

Sentivo il ghiaccio della sua voce risalirmi lungo la spina dorsale. Holmes la macchina, Holmes l’appendice del suo cervello, era entrato in azione e non c’era modo di fermarlo. Ma molte cose non coincidevano, troppi vuoti, troppe reazioni inspiegate. Quante volte Holmes indossava maschere o gliele facevano indossare, ma in quel frangente non intendevo retrocedere.

-Se prima o poi doveva accadere, perché rinunciare ad indagare?

Mi lanciò un occhiata veloce e sbuffò divertito.

-Vedo che la deduzione è contagiosa, ragazzo mio-, scherzò leggero lui, per poi continuare in tono monocorde, –La risposta è una sola. Non mi mai interessato mio padre da vivo e non m’interesserà da morto.

Non riuscivo a crederci, com’era possibile che la sorte di suo padre non lo toccasse neanche un po’?

Molte volte nei miei precedenti racconti ho scritto quanto freddo e calcolatore fosse Holmes, ma al tempo stesso come potesse incendiarsi di sentimenti di sdegno, rabbia e apprensione, oppure come le sue pallide guance si imporporassero pudicamente ad ogni sincero complimento.

Che non fosse stato un buon genitore?

-Per questo ieri sera me ne sono andato velocemente, dovevo avvisare Mycroft. Aveva il diritto di sapere, non crede?

-Assolutamente, visto che dovrete preparare in fretta il funerale, vista la severità di questi tempi.

Holmes scosse la testa.

-Vi siete dimenticati un piccolo dettaglio, Watson. La polizia non sa chi sia quell’uomo.

Assunsi un’espressione alquanto sbigottita.

-E lei non ha intenzione d’informarli? Capisco che non gli sia mai interessato di suo padre, ma è pur sempre la persona che l’ha cresciuta, giusto?

Solo il picchiettare della pioggia mi rispose. Holmes era ricaduto nel suo mutismo e non mi guardava neanche negli occhi.

Mi chiesi quando avrei imparato a stare zitto. Niente era scontato quando si trattava del mio amico, neanche l’amore di un padre.

-Mi dispiace di averla urtata con le mie parole-, mi scusai, -Se avessi saputo…

-Non si preoccupi, Watson, lo so. E proprio perché lo so, ho intenzione di raccontarle i fatti che mi hanno condotto a fare ciò che sto facendo in questo caso. Ah, ovviamente se lei preferisce dormire…

-Neanche per sogno!-, esclamai io, facendolo ridere al mio entusiasmo.

Non potei trattenermi dal sorridere vedendolo così sereno. In oltre mi sentivo molto onorato che avesse scelto di raccontarmi la sua storia in virtù di una sua spontanea iniziativa. Io non avrei tradito la sua fiducia, mai, avrei preferito perdere completamente l’uso della gamba piuttosto che fargli un torto.

-Allora è deciso! La prego di mettersi comodo e di non interrompere la mia narrazione-, disse guardandomi fisso negli occhi e poggiando le sommità delle dita sulla fronte e sul naso; -Secondo i miei calcoli non sarà propriamente breve, spero di non annoiarla.

Io aggrottai le sopracciglia facendolo arricciare gli angoli della sua bocca.

-La vedo impaziente, ragazzo mio. Smetterò di temporeggiare, stia tranquillo. Volevo solo mettere in chiaro che questa storia non è cosa di cui poter chiacchierare tranquillamente tra gente non propriamente fidata. Ovviamente, per me lei è quanto più di fidato si possa avere, quindi se vuole trascrivere le mie parole non ho niente in contrario.

Io non ci riflettei neanche un attimo.

Senza dire niente, presi alcuni appunti che avevo sotto mano e li gettai nel fuoco scoppiettante. Il mio gesto aveva chiarito la mia posizione a Holmes che, guardandomi riconoscente, aspettò che mi fossi riseduto prima d’incominciare a raccontare.

 

Per quanto posso affidarmi ai miei labili ricordi, incominciò tutto nell’anno del mio ottavo compleanno. Era il 1862 e noi vivevamo in una piccola cittadina di campagna. La vita era semplice, ma eravamo abbastanza benestanti da concederci di studiare in casa. Io e mio fratello Mycroft eravamo abbastanza svegli per capire le spiegazioni da soli, in più i libri non mancavano. Le avrò forse accennato, Watson, che mia nonna era la sorella del famoso pittore francese Vernet. Infatti mia madre era di origine francese, anche se non lo parlava quasi mai in casa. Tutto quello che avevamo in ambito culturale, era ciò che mia madre Monique si era portata appresso dalla Francia, dopo aver sposato mio padre Siger. Nella sua patria natale lei era una ricca borghese, ma per aver disobbedito agli ordini della famiglia, le era stato tolto tutto. Al tempo era solo una ragazzina innamorata di un campagnolo inglese in cerca di fortuna. Si trasferirono in Inghilterra appena sposati, poco dopo nacque mio fratello e sette anni dopo seguii io. Avevamo una grande fattoria, con una buona quantità di animali e piante. La farà sorridere il pensiero che il mio primo approccio alle impronte è stato proprio quello animale, visto che non poche volte le galline e le oche hanno tentato di fuggire. Ma non perdiamoci in futili dettagli.

Uhm, eravamo all’elenco dei possedimenti, giusto? La fattoria era grande, infatti i nostri prodotti in eccesso venivano venduti al mercato. Non eravamo ricchi, ma avevamo tutti gli agi che si potessero desiderare. Eravamo dei perfetti signorotti di campagna. Mio padre era un uomo alto, con la faccia cotta dal sole e dei folti favoriti neri e lavorava con il bestiame. Mia madre invece si occupava della fattoria, mentre noi fratelli ci acculturavamo come potevamo, ma a Siger pareva non bastare. Per il poco che ricordo, aveva un orgoglio indistruttibile e teneva sempre la testa alta. Tutto ciò, però, non lo salvò da quei tipici mali che colpiscono gli uomini troppo ambiziosi. Incominciò a fare investimenti azzardati e a frequentare serratamente la birreria del paese.

La vita non lo soddisfaceva, voleva di più. All’inizio diceva che era per noi, voleva che avessimo tutto ciò che si può desiderare, ma ben presto questa sua smania si trasformò in lussuria, ingordigia e avidità. I peggiori difetti che un uomo possa avere. Vede, Watson, all’epoca avevo solo otto anni e non riuscivo a comprendere completamente, ma per mia madre sapevo troppo. Cercava di proteggermi mentendo, ma così complicava ancora di più le cose.

Avrei potuto aiutarla, avrei trovato un modo, ma lei non me l’ha mai concesso. Per lei ero solo un bambino, il suo bambino, e non dovevo fare altro che vivere spensierato. Dovetti chiedere a Mycroft, anche se mi pesava farlo. A quei tempi non andavo troppo d’accordo con lui, nonostante lo stimassi già allora. Mio fratello, purtroppo, era d’accordo con mia madre e non voleva che m’invischiassi nella faccenda. Come se non avessi intuito da solo la provenienza e la causa dei lividi che, in quel periodo, vedevo troppo spesso sui volti dei miei cari.

Di giorno Siger non c’era mai e, quando tornava a casa, io venivo costretto nella mia camera. Andò avanti così per due anni, poi una sera mio padre picchiò così forte mia madre che sentii le grida trapassarmi le orecchie. Ignorando qualsiasi divieto corsi fuori, verso la scena del misfatto.

Lei era accasciata sul pavimento e Mycroft si era lanciato addosso a mio padre per buttarlo fuori casa. Intanto io ero occupato ad accertarmi delle condizioni di mia madre. Per le poche nozioni che avevo appreso, capii che era ancora viva, ma stava perdendo troppo sangue. Chiamammo una carrozza e un medico, ma non servì a niente. Morì dissanguata nel giro di poco tempo. Nessuno osò dire niente, perché tutti sapevamo.

Da lì in poi la nostra vita cambiò. Io accantonai i miei studi e i miei hobbies per dedicarmi, quanto possibile, alla fattoria. Mycroft invece si trovò un lavoro in paese. Mio padre continuò come se nulla fosse successo, anzi peggiorò la sua situazione. I debiti aumentavano, la fattoria era in uno stato di degradazione e di soldi ne giravano pochi. Diversi uomini venivano più volte al giorno a farci visita e a cercare Siger, ma noi ne sapevamo quanto loro, forse meno.

Non potevamo continuare così, infatti il giorno del diciottesimo compleanno di mio fratello, lui affrontò a viso aperto nostro padre e discussero a lungo. L’uomo alzò più volte la voce, dando di matto, ma mio fratello mantenne la sua solita pacatezza. Niente avrebbe potuto fargli cambiare idea.

Aveva trovato un lavoro nella City che gli avrebbe permesso di continuare comunque gli studi e lui aveva intenzione di trasferirsi. Lasciava tutto a mio padre. Soldi, vestiti, mobili e fattoria. L’unico impiccio nel suo programma ero io, ma il mio fratellino ha sempre saputo come trovare soluzioni alternative, indipendentemente dall’età.

Aveva anche parlato con i nostri parenti francesi e essi avevano acconsentito ad ospitarmi in Francia, finché mio fratello non avesse potuto mantenermi da solo, o io stesso non fossi stato autonomo. Così vissi per molti anni a Parigi, otto all’incirca.

Visto che il mio francese era molto stentato, la mia matriarca decise di assegnarmi un insegnante privato. Io tentai più volte di rifiutare, cercando di spiegare che sarebbero bastati dei libri di testo, ma nessuno mi diede ascolto.

Così mi fu presentato un Italiano circa sulla quarantina che da ormai una decina d’anni viveva in Francia. Quest’uomo sapeva parlare tedesco, inglese, francese e italiano, lingua che implicitamente imparai anch’io, sentendolo parlare.

Per diversi mesi ci incontrammo, anche se in verità ci misi relativamente poco ad imparare come esprimermi, ma quel signore era veramente interessante. Dopo non poche insistenze, mi raccontò di essere scappato dall’Italia e, per necessità, aveva dovuto imparare diverse lingue.

In verità la sua professione era quella di regista. Infatti lavorava anche in un teatro di terza categoria, ma era quello che si poteva permettere al momento. Cercava in tutti i modi di farsi conoscere nel mondo dello spettacolo. Non si faceva scrupoli ad usare ragazzini di strada per il volantinaggio. Ma, per quanto potesse risultare misantropo, sapeva come accattivarsi le persone. “Se non sai parlare con la gente, se non sai relazionarti, non potrai mai ottenere niente. La società è basata su uno scambio equivalente, io do a te, ma tu devi dare a me. Se vuoi diventare qualcuno, Sherlock, impara il valore dei legami e non darlo mai per scontato”, mi disse una volta e io non lo dimenticai, anche perché aveva ragione. Più volte glielo feci notare, ma lui storceva il naso. Da misantropo qual’era, ripudiava la società e i suoi costumi. “Principi, duchi, baronetti, tutta gente inutile se priva di ingegno e morale. Posso parlarti per esperienza. Ho viaggiato in diversi stati e ho conosciuto molte persone, ma questo non ha fatto che accreditare la mia opinione. I titoli, i soldi e i possedimenti non contano niente perché, quando ti feriranno, il tuo sangue scenderà nello stesso modo in cui scenderà quello dell’ultimo scugnizzo di Parigi”, affermava convinto come non mai.

Era un individuo particolare con interessi e compagnie particolari. Viveva ai confini del centro, in una via poco raccomandabile, ma tutti gli facevano un segno di saluto e lui ricambiava sempre. Sembrava più vecchio della sua età, aveva già i capelli completamente bianchi, eppure era agile e scattante, mai in ozio, ma le sue qualità andavano oltre a tutto questo.

Un giorno lo sorpresi ad accarezzare un violino che avevamo in casa. Appena mi vide, risistemò lo strumento e fece finta di niente, ma, grazie alla mia insistenza, si rassegnò a suonare. Fu la prima volta che uno strumento mi colpì così tanto.

 Il violino e la sua doppia faccia… spettacolare.

Mi avvicinai alla musica e alla sua cultura. Il mio insegnante era un appassionato e per lui fu un piacere raccontarmi le luci e le ombre di quella grande arte. Fu lui a farmi scoprire la musica classica tedesca e molto altro. In cambio io lo istruii su tutto ciò che avevo imparato sul medioevo.

Lui aveva circa trent’anni in più di me, ma mi trattava come un suo pari e alimentava le mie teorie, non ignorandole come il resto della famiglia. Loro giudicavano bislacchi i miei obbiettivi futuri. Sa com’è, Watson, il detective è considerato un mestiere rigido e con regole e doveri precisi, mentre io avevo una mente più aperta.

Passai veramente anni interessanti a Parigi, al tempo era il fulcro dell’arte e della cultura e per me non poteva esserci stimolo migliore, ma una volta cresciuto volevo tornare dalla nostra amata regina Vittoria.

Mycroft si era ormai fatto conoscere nella società londinese e il suo aiuto governativo già allora era prezioso. Io rimasi qualche tempo da lui prima di iscrivermi all’università di Londra, ma avevo così tanti interessi che mi era difficile concentrarmi in un solo campo. Frequentai tutti i corsi che attiravano la mia attenzione, ma pur volendo diventare un detective, non volevo fare il poliziotto, né uno di quei ridicoli privati che pedinano mariti e mogli fedifraghi.

Un normalissimo giorno d’estate mi arrivò una lettera e con mio sommo stupore scoprì  era stata mandata dal mio vecchio mentore.

Era in tour per la Scozia con i suoi teatranti, ma era successa una disgrazia. Mi descrisse una situazione tragica in cui, purtroppo, era implicato anche lui. Non sapeva come comportarsi, né come agire, ma sapendo della mia conoscenza della legislazione inglese e ricordandosi il mio intuito, chiese il mio consiglio e aiuto.

Ovviamente io non mi tirai indietro e presi il primo treno per raggiungerlo e per tutto il viaggio non feci altro che rimuginare sui fatti e sulle prove.

E fu proprio in quelle ore che maturai l’idea di consulting detective. Alla fine penso che una parte del merito vada a quell’uomo italiano, non trova?

Ah, Watson, so già cosa sta per chiedermi e la risposta è no. Gli racconterò un’altra volta come risolsi quel mistero, vorrei andare a letto il prima possibile e le sue palpebre sembrano dire la stessa cosa, ragazzo mio.

Sbrogliato quel caso e salutato il mio vecchio conoscente, tornai a Londra e mi dedicai all’università e occasionalmente mi occupai di qualche caso, come quello della Gloria Scott, rammenta?

Riguardo a mio padre non lo incontrai mai più. Ogni tanto sia io che Mycroft ricevemmo richieste di soldi, viveri o semplicemente un posto dove dormire. Io le ho sempre ignorate, mio fratello molto probabilmente avrà acconsentito, ma lui stesso mi ha confermato, l’altra sera, che da molto tempo non lo sentiva.

Come le ho detto all’inizio di questa conversazione, non m’interessa molto. Era un uomo che si era macchiato di un brutale omicidio, che aveva abbandonato la sua famiglia. Nonostante io non auguri a nessuno la morte, per me questa è stata la punizione arrivata in ritardo. Poi ci ragioni, Watson. Un uomo logorato da alcool, debiti e con un cattivo carattere, quanto poteva durare?

Ma ora basta perdersi in futili chiacchiere. Quello che doveva essere spiegato è stato spiegato. Io, amico mio, la ringrazio per aver sentito la mia storia e la ringrazio per non aver fatto domande, ma solo ascoltato e capito.

Se c’era persona su questa terra a cui potevo affidarla, quella era lei.

E ora mi faccia un ultimo favore, vecchio mio, venga a letto e si riposi, oppure sentiremo la signora Hudson brontolare sulla nostra pigrizia mattutina per tutto il resto della settimana!

 

 

 

 

***Angolino della squinternata***

*sospira* Finalmente ce l’ho fatta a finirla!

Mi dispiace di avervi fatto aspettare, ma come potete vedere è un capitolo molto sostanzioso =D! Prima di rispondere alle vostre meravigliose recensioni, volevo fare qualche appunto su questa storia, perché credo che sia molto utile, nonché divertente, farvi capire come ho sviluppato questa idea del passato di Holmes.

 

1.Holmes, come sappiamo, è parente di Vernet. Ma la nonna era materna o paterna? Ho optato per materna, per via del trasferimento in Inghilterra, un uomo non si sarebbe mai trasferito lì per una donna, massimo il contrario.

 

2.Le date sono prese tenendo conto che Holmes è nato nel 1854,  quindi nel ’62 doveva avere 8 anni se io non ho sbagliato i calcoli xD.

 

3.Monique è un nome francese preso a caso, mentre Siger è preso dal nome che Holmes usa durante il grande Iato, ossia Sigerson. Ma provate a leggerlo così Siger’s son, in italiano “Il figlio di Siger”. Sarebbe stato un ottimo nome per far capire solo a Mycrof, l’unico a conoscenza di Siger, chi era in verità l’esploratore Sigerson! Ma ovviamente queste sono solo supposizioni, potrei anche facilmente sbagliarmi.

 

4. Per la condizione di vita di Holmes, ho provato ad immaginarmi dove potevano vivere e come questi famosi “signorotti di campagna” e alla fine mi è uscito questo, spero che si adatti abbastanza alla vostra percezione.

 

5.Perchè ho mandato Holmes in Francia? A parte che a me pareva la soluzione migliore vista la situazione, anche per farlo incontrare con questo fantomatico mentore italiano =D. La sua nazionalità non è data da un mio spirito patriottico o altro, semplicemente così ho spiegato come cavolo ha fatto Holmes a imparare l’italiano! Il francese viene da se abitando a Parigi. Il violino poi è stato il tocco di classe. L’Italia era stata la maggior produttrice di violini pregiati al mondo (basti pensare allo Stradivari di Holmes) quindi perché un appassionato di teatro non può essere un buon suonatore di violino? Così in un colpo solo ho spiegato un sacco di cose del Canone!

 

6.Ovviamente l’insegnante non è mai stato menzionato nel canone o in qualsiasi altro apocrifo di mia conoscenza. Tutta farina del mio cervello deviato e cestinato xD.

 

Basta, la finisco qui se no  mi cadete addormentati come stava per fare il povero Watson xD.

 

Passiamo alla risposta delle recensioni!!!

 

Ladywho: visto? C’è l’ho fatta finalmente a pubblicare =D! Guarda, era ovvio che tu non conoscessi i suoi legami con il padre, visto che nel canone l’unico riferimento alla famiglia di H è “discendo da dei signorotti di campagna”. xD Non sei ignorante! Ma anche Holmes è umano! Cavolo, non dirmi che lo sto facendo troppo polaretto, a me pareva di farlo troppo sdolcinato O.O! Hottson avrebbe fatto una faccia da oscar xD. Ti ringrazio per tutti i complimenti >//< a me sembra sempre di fare le cose a casaccio quindi… xD Un grande grazie!

 

Miss Adler: *applaude facendo fischi* grandissima! Non pensavo che nessuno ce l’avrebbe fatta, ottimo intuito ragazza ;) xD Lestrade è mitico, è il mio Yarder preferito <3 Sono contenta che il mio stile non sia troppo confusionario! Watson è Watson, non ci sono parole per definire quel magnifico uomo **. E non farti scrupoli a sproloquiare in lungo e in largo, lo faccio sempre anch’io xD

 

Anne London: Oh, grazie, sei troppo buona =^^=. Spero di non averti fatto attendere troppo con questa terza (e ultima) parte. Grazie per le informazioni sul terzo fratello e sul fumetto. Mi mancava e devo dire che la cosa mi ha incuriosito moltissimo!

 

DataLore1001001: dai che non ti ho fatto aspettare troppo ;)

Il mistero è stato risolto, che te ne pare? Per i capitoli precedenti, stai tranquilla, succede (forse troppo spesso) anche a me di dimenticarmi la recensione xD. Bellissimi i soprannomi per quei due xD Dabliu è fantastico xD. Mi hai fatto troppi complimenti immeritati, sei troppo buona! Lestrade è MITICO e non smetterò mai di dirlo u.u

 

 

 

Ringrazio anche chi legge, ricorda, segue e preferisce.

Alla prossima storia, questa volta più leggera e scherzosa =D.

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Capitolo 6
*** Gli orologi di Baker Street ***


Holmes' Private Life6- Gli orologi di Baker Street

4. Gli orologi di Baker Street

 

 

C’era tensione nell’aria.

Holmes era come un segugio sulla buona usta e febbricitante incominciò a camminare per la stanza, ponderando bene i passi, fermandosi per brevi istanti per poi lanciare piccoli gridolini di soddisfazione e riprendere il giro.

Gli occhi gli brillavano come non mai ed io intuivo che la faccenda si sarebbe conclusa di lì a poco.

Holmes, come ogni volta, aveva sbrogliato la matassa.

-Signori-, disse fermandosi e puntando lo sguardo su di noi –Vi va di fare una camminatina?

-Sempre pronto, amico mio-, risposi e lui mi lanciò un'occhiata piena di entusiasmo.

Lestrade, che aveva assistito alla scena, era un po’ perplesso.

-Signor Holmes, non mi pare il momento giusto, prima dovremmo risolvere il caso-, affermò innocentemente l’ispettore.

Sentii Holmes sospirare e trattenere una delle sue tipiche risposte secche, così ci pensai io a chiarire la situazione al poliziotto.

-Ispettore Lestrade, penso proprio che questa passeggiata ci condurrà dritti dal colpevole.

L’uomo spalancò gli occhi e il mio camerata, seccato, confermò il tutto con un cenno della testa.

-Ma allora non c’è tempo da perdere, partiamo immediatamente!- esclamò preso dalla sua tipica frenesia.

Recuperati cappotti e cappelli, uscimmo dall’edificio e incominciammo a camminare per le strade londinesi.

Subito Holmes si guardò in torno, alzò lo sguardo al cielo e ispeziono gli svincoli a noi adiacenti, poi scoccò le labbra e ci fece segno di seguirlo.

Proseguimmo a passo veloce, ma non troppo, anche se a volte sentivo la gamba mandarmi segnali d’allerta.

Io e il mio amico parlavamo tranquillamente, godendoci quella passeggiata mentre Lestrade, dietro di noi, continuava a sbuffare. Dopo circa venti minuti dalla nostra partenza, l’ispettore ci raggiunse agitato.

-Allora, signor Holmes? Quando arriviamo? Non potremmo aumentare il passo, così da arrivare prima?- chiese, facendomi sentire un po’ d’impiccio.

-Ispettore, la nostra velocità non deve preoccuparla-, disse il mio camerata, forse un po’ troppo freddamente, ma poi si sciolse in un sorrisino ironico; -Tra cinque minuti arriviamo, stia tranquillo.

L’uomo sbuffò e farfugliò qualcosa per poi tornare dietro di noi.

Il tempo passava e i piedi continuavano a procedere. Ogni tanto Lestrade lanciava occhiate al mio amico, ma lui scuoteva la testa e lo invitava a mantenere la calma.

Stavamo chiacchierando amabilmente, quando l’ispettore tornò alla carica.

-Signor Holmes, non so come ticchettino gli orologi da voi in Baker Street, ma quelli di Scotland Yard dicono che sono passati trentacinque minuti e non siamo ancora arrivati. Dunque, i suoi cinque minuti sono belli che passati!-, sbottò Lestrade con in viso rosso di furore.

Ma subito impallidì, sentendo il sospiro quasi rabbioso di Holmes.

Il mio camerata si era girato velocemente e aveva puntato i suoi occhi di acciaio sull’ispettore.

-Se lei avesse interloquito con noi, invece di borbottare in completa solitudine-, gli rispose Holmes, perdendo la sua tipica calma e lasciando spazio all’intolleranza; -i minuti sarebbero passati più velocemente, come se fossero stati cinque- finì scandendo bene l’ultimo concetto.

Lestrade spalancò gli occhi e la bocca, ma quest’ultima fu prontamente richiusa, mentre il rossore di rabbia diventava d’imbarazzo. Si ritirò alle nostre spalle, camminando a testa leggermente bassa per non far trasparire il suo stato d’animo.

Il mio amico prese un leggero respiro e mi lanciò un'occhiata tra lo scocciato e l’ironico. Io gli sorrisi di rimando, capendo la sua irritazione. Mi trattenni dal ridere, perché non ero in sede giusta, ma sapevo che appena arrivati in Baker Street, il luogo in cui gli orologi ticchettano male, Holmes avrebbe fatto una delle sue solite battute pungenti e io non avrei saputo resistere.

-Allora, Watson, di cosa stavamo parlando?-, mi chiese subito il mio amico.

Io ci pensai, ma l’argomento era sfuggito dalla mia mente, perciò scossi la testa.

-Uhm, forse-,c’interruppe Lestrade con un colpo di tosse –Voi non sapete che è in arrivo qui a Londra una famosissima cantante che suonerà al Royal Opera House.

A quell’intervento non seppi trattenere un sorriso e mi voltai verso Holmes, ma questo era già impegnato nella fitta discussione che l’ispettore aveva appena introdotto.

Quando arrivammo nei pressi di una vecchia cascina, Holmes s’irrigidì istantaneamente.

-Signori, siamo al capolinea, i colpevoli dovrebbero arrivare tra poco-, annunciò con tono grave.

Io e Lestrade annuimmo e concentrammo lo sguardo sull’edificio.

-Per fortuna che alla fine mancavano pochi minuti, o non saremmo arrivati in tempo-, affermò il poliziotto acquattandosi di fianco a Holmes.

Non ebbi il cuore di dirgli che era passata una buona mezzora dal suo ultimo intervento.

 

 

 

***Angolino della squinternata***

E ora voi vi chiederete “come mai abbiamo aspettato così tanto per una cavo latina del genere?”

Bhe, la colpa è da imputare solo a me e alla mia stupidità.

La storia l’avevo già in mente, era solo da scrivere. Allora qual era il problema?

Il problema è nato dalla mia puntigliosità, che adesso v’illustrerò nelle note a questa storia.

1)   La “camminatina” di cui parla Holmes è una passeggiata di circa tre miglia (aka cinque km). Procedendo di buon passo in pianura in un'ora si fanno tranquillamente tre miglia. Ci ho messo un po’ per calcolare i tempi, ma ce l’ho fatta.

2)   Holmes sbotta all’incomprensione di Lestrade e per me è assolutamente IC. Sappiamo tutti quanto il detective mal sopporti le persone meno perspicaci di lui, ma di solito lascia correre. Perché in questo caso no? Perché è febbricitante, devono sbrigarsi, ha risolto il caso e non vuole perdere tempo. Ovviamente anche Watson non è perspicace come Holmes, ma ormai conosce bene l’amico e sa cogliere i segnali che lui gli manda. Ma ciò non vuol dire che Lestrade sia stupido, eh, cioè… stupido in confronto a Holmes, ma andiamo! Chi non lo sarebbe in confronto a lui?

3)   “Tra cinque minuti arriviamo”. Non so se l’avete riconosciuta, ma è una tipica frase che si ripete ai bambini impazienti quando si lamentano per le durate di viaggio o di camminata. Personalmente sotto quest'aspetto credo di aver fatto impazzire i miei genitori xD. Quindi Holmes sorride ironico proprio per questo, sta implicitamente dando del bambinone all’ispettore.

4)   Lestrade preso da una frenesia senza pari e sentendosi preso in giro, perde le staffe xD pooovero, non sa cosa va incontro. Holmes ormai è esasperato. Insomma uno che ti chiede in continuazione quanto manca, che sbuffa, che ti lancia occhiate ecc, fa perdere la pazienza! Indi per cui, anche questo mi pare IC, ma se avete diverse opinioni non esitate a farvi avanti, apprezzo sempre.

5)   Io mi chiedo sempre come Watson possa trattenersi dal morir dal ridere in alcune situazioni! Holmes dice delle cose da scompisciarsi! Quindi ho immaginato, vista l’epoca, che non fosse molto educato farlo, ma a Baker Street tutto è permesso e di certo Holmes è compiaciuto dalle risate del suo Boswell.

6)   Ed ecco il punto che mi ha tenuta ferma per giorni. La Royal Opera House. Dovete sapere che questa storia è antecedente a quella de “Il cerchio rosso”. Perché? Perché qui viene menzionata “una cantante che si esibirà al Royal Opera House” ed è quella citata verso la fine dell’avventura del cerchio rosso, ossia Carina. Ve la ricordate? Nell’avventura Holmes e Watson dovevano andare a vederla. Su questa Carina ci sono un sacco di storie e speculazioni molto interessanti, ma io mi cucio la bocca perché se no faccio delle note più lunghe della storia. Comunque è proprio questo che mi frenava. Non riuscivo a ricordarmi in quale teatro di Londra Carina avesse cantato e non potevo consultare la fonte principale, avendo prestato il mio Canone ad una amica. Per fortuna dopo alcune ricerche e seccature sono riuscita a risalire al teatro.

 

 

Ed ora passiamo alle risposte dei vostri meravigliosi commenti **

 

 Miss Adler: ed eccola, puntuale come un orologio svizzero! Anche tu hai scritto cose simili?? E allora che aspetti a pubblicarle? Cavolo, mi piacerebbe davvero leggerle! Fatti coraggio e posta che sono curiosa ^^. Non penso che la natura cinica e distaccata di Holmes dipenda solo dal padre, penso che sia dovuta soprattutto alla sua considerazione della società e delle persone in generale. Certo le sue difficoltà nei rapporti umani possono essere state incoraggiate da ciò, ma non penso che siano la causa primaria. Sperando di non averti fatto attendere troppo, ti ringrazio.

 

 Ladywho: ancora non ho capito il perché ti ostini a leggere questa raccolta, ma va bene lo stesso xD! Sono contentissima che apprezzi il mio Watson, è un personaggio difficile da rendere, come lo è Holmes dopo tutto.  Ahahaha povero Holmes, se fossi stata tu il suo Watson non avrebbe avuto vita facile xDxD oddio! Watson pende veramente dalle labbra di Holmes, lo rispetta e lo ritiene un grande uomo, in più è un suo grande amico. Lo stesso Holmes, comunque, dice che il suo corpo non è altro che una mera appendice del suo cervello, quindi “macchina” in alcuni casi è un buon aggettivo per descriverlo… per ora… per ora. Voglio proprio vedere cosa mi dirai al prossimo capitolo xD. Come al solito tu percepisci perfettamente l’idea che voglio dare al personaggio e sai capire i diversi stati d’animo. Scriverei questa raccolta solo per te, sai? Spero di averti fatta un po’ sorridere con questa ff. Ciao e grazie ancora.

 

Anne London: guarda, io non scuso per i ritardi, li capisco xD Sono una ritardataria cronica anch’io quindi non preoccuparti xD. Sono stra felice che il racconto, alla fine non molto breve, ti sia piaciuto. Ho sempre paura di cadere nell’OOC, quindi le tue rassicurazioni mi tranquillizzano ^^. Spero di non averti fatto aspettare troppo per questa cosettina insulsa!

 

 

 

Ovviamente ringrazio anche chi legge, chi ricorda, chi segue e chi preferisce.

Grazie veramente a tutti.

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Capitolo 7
*** L’avventura dei tre Garrideb, i postumi. ***


Holmes' Private Life5-L'avventura dei tre Garrideb, i postumi

 

5.   L’avventura dei tre Garrideb, i postumi.

 

 

«È ferito, Watson? Per l’amor di Dio, mi dica che non è ferito!»

Valeva una ferita -molte ferite- scoprire quale miniera di lealtà e di affetto si nascondeva dietro quella sua maschera gelida. Per un momento i suoi occhi freddi come l’acciaio si appannarono e gli tremarono le labbra.

Per la prima e unica volta intravidi un grande cuore oltre che una grande mente. Tutti quegli anni di umile ma fedele servizio culminarono in quel momento della verità.

«Non è nulla, Holmes, non è che un graffio.»

Aveva lacerato i miei pantaloni con un temperino.

«Ha ragione», esclamò con un profondo respiro di sollievo. «È molto superficiale.»

Il suo volto si era indurito come la pietra mentre guardava il prigioniero che si stava alzando, stordito.

«Giuro sul cielo che le è andata bene, signore. Se avesse ucciso Watson non sarebbe uscito vivo da questa stanza. E ora, sentiamo, cosa ha da dire in sua discolpa?»

 

Fermai il pennino in aria, mentre con lo sguardo ripassavo velocemente cosa avevo appena scritto.

Non riuscii a trattenere un sorriso, lo lasciai libero di spezzarmi il volto.

Avevamo appena chiuso quella che sarebbe stata in seguito denominata “L’avventura dei tre Garrideb” ed io non avevo voluto perdere neanche un secondo, trascrivendo rapidamente quello che era successo neanche un ora fa.

Era la prima volta che accadeva una cosa del genere, la prima volta che Holmes mi manifestava la sua amicizia in maniera così aperta ed io non potevo fare a meno di sorridere. Non riuscivo a smettere. Ero febbricitante, carico di energie e sorridevo, senza freni, non tenendo conto del decoro o dei costumi dell’epoca.

In altre occasioni mi sono sempre trattenuto e placato, ma dopo quell’avventura non ci riuscivo.

La ferita sulla mia gamba bruciava un po’ e non me ne rammaricavo. Pensavo sarebbe diventata una cicatrice, un monito futuro che mi avrebbe ricordato il legame che intercorreva, e intercorre, tra me e Holmes.

Riposi il pennino nel calamaio, conscio che non era il momento adatto per descrivere i fatti appena accaduti, poiché sarei stato troppo coinvolto emotivamente e il mio camerata non avrebbe apprezzato questo mio trasporto.

E non potendolo trascrivere su carta, decisi di farlo a voce, seduto comodamente nel nostro salotto in quel di Baker Street.

-Allora Holmes-, introdussi, puntando lo sguardo su di lui –che gliene pare di questo caso?

Lui era seduto sulla sua solita poltrona e si fissava le mani. Aggrottai le sopracciglia a quella visione. Mi parve distante come in pochi momenti era stato.

-Holmes, amico mio?- riprovai non ottenendo risultati.

Lasciai il mio scrittoio e mi diressi verso il camino.

Il suo volto era aggrottato in un'espressione concentrata, quasi sotto sforzo.

-Holmes, mi ha sentito?- appoggiai la mia mano sulla sua, ma lui la ritirò rapidamente; -Ma che le prende?

Il mio tono preoccupato gli fece alzare gli occhi su di me.

-La prego di non toccarmi, Watson. Sto riflettendo e gradirei molto se mi lasciasse solo-, disse in tono monocorde.

-Non pensavo che la mia mano creasse tutti questi problemi-, sbottai acido. Non potevo credere che quello fosse lo stesso uomo di poche ore prima, quello con le labbra tremanti e gli occhi liquidi dall’emozione.

-È stata una giornata lunga, abbiamo entrambi i nervi scossi- mi rispose fin troppo pacato. –Abbiamo semplicemente bisogno di una dormita.

-Parli per lei! Io sto benissimo-, ribattei testardo.

Le sue mi parevano solo delle infime scuse. Mi credeva così stupido? Lo conoscevo da troppo tempo, qualcosa doveva essere successo.

-Continuo a non capire il suo comportamento-, insistetti tenendo lo sguardo fisso su di lui.

Lui sbatté pigramente gli occhi e li volse altrove, verso un punto indefinito.

-La prego, Watson. Non questa sera.

-E perché? Mi risponda, Holmes, perché?- lo sfidai senza perdere la mia posizione.

Non successe niente. L’unico rumore nella stanza era quello provocato da un vecchio pendolo che ticchettava assiduamente.

Holmes continuava a fissare il vuoto e non pareva intenzionato a degnarmi di alcuna attenzione.

Serrai i pugni e gli diedi le spalle. Una strana irritazione, uno strano bruciore, mi aveva attaccato lo stomaco.

-Bene, se è ciò che desidera lo farò-, dissi con la mascella contratta dalla rabbia –Non le parlerò, non la toccherò e me ne andrò a letto… anche se non comprendo.

-Devo riflettere-, gli sentii pronunciare come l’ennesima scusa.

-Questo me l’ha già detto, Holmes- gli risposi scocciato, voltandomi nuovamente verso di lui; –ma su cosa?

Ancora nessuna risposta.

Un po’ frustrato incominciai a girare per la stanza, preso da una frenesia a me solitamente estranea.

-Per il caso? Eppure mi sembra che sia stato interessante e che si sia concluso nel migliore dei…- mi bloccai, improvvisamente fui  conscio di un’altra ipotesi possibile.

–Quindi… quindi è proprio quello che è successo poche ore fa.

Arrestai i miei piedi e mi fermai davanti a lui.

Era rigido come una statua e molto pallido. Spostò lentamente il suo sguardo di acciaio su di me ed io non potei trattenere un sospiro affranto.

-Allora è questo. Ed io che…-, deglutii a vuoto, -ed io che pensavo di aver avuto finalmente la conferma di valere qualcosa per lei e… e invece sono solo un impiccio, vero? Pensava a quello, al perché diavolo mi aveva portato con sé! Lo dica, Holmes, lo dica che l’ho solo ostacolata!

-Impari a ragionare, Watson-, mi disse soltanto, per poi alzarsi in piedi.

E il freddo del suo sguardo scostante, delle sue parole indifferenti, mi raggiunse il petto.

Tremavo dalla rabbia, ma quella volta non sarei stato fermo a guardare, non avrei lasciato correre, non avrei taciuto l’ennesima sfilettata nel mio cuore.

Lo afferrai velocemente per il polso, prima che imboccasse la porta.

-Si fermi-, gli intimai puntando lo sguardo sulla sua schiena.

-Mi lasci, Watson.

-No-, gli risposi, trattenendo a malapena la rabbia che mi raschiava la gola.

-Watson, sto perdendo la pazienza…

-E io l’ho persa già da tempo, Holmes-, ribattei piccato.

Quella era una guerra che non potevo perdere.

Fece per strappare via la mano, ma io strinsi di più il polso, deciso a non lasciarlo. Non mi fu chiaro come, ma mi ritrovai con il braccio in leva dietro alla schiena. Fu così veloce che non riuscii a trattenere un gemito di dolore per la mia povera spalla.

Holmes, sentendomi, lasciò immediatamente la presa.

-Per l’amor del cielo Watson, sta bene? Mi dispiace, io non so…

Interruppe la frase sbattendo più volte gli occhi, disorientato dal suo stesso gesto.

-No Holmes, io dovrei chiederle se sta bene- gli affermai con voce stremata.

-Mi dispiace, ragazzo mio, la colpa è mia-, disse guardandomi negli occhi.

-Colpa di cosa? So che questo piccolo incidente non centra, perché non vuole parlarmi di ciò che la tormenta?

Lui sospirò quasi impercettibilmente e mi aiutò a sistemarmi il vestito un po’ sgualcito.

-È un mio problema, non si preoccupi, amico mio-, disse cercando di rassicurarmi.

-Ma visto che io faccio parte di questo problema diventa affar mio, Holmes.

Lui tacque e continuò a tenere fissi i suoi occhi nei miei, aspettando che completassi il discorso.

-Sa che se ha bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, non esiterò ad aiutarla, a costo della vita.

-Ma è proprio questo il problema, Watson, sta sera lei…

-Potevo morire, ma in ogni caso è così-, lo interruppi per l’ennesima volta in quella serata.

-Però sta sera avrei ucciso quell’uomo- affermò fissando i suoi occhi nei miei, -L’avrei ucciso veramente, se le avesse fatto del male e ciò non è un bene, sarebbe contro la legge. Un pensiero più barbaro e irrazionale non poteva attraversare la mia mente.

Mi diede le spalle e incominciò a camminare con passi leggeri lungo il nostro salotto, gli occhi erano rigorosamente al soffitto, persi in una dimensione che a lui soltanto era permessa vedere.

-Occhio per occhio, dente per dente…- recitò poco dopo, tornando con lo sguardo su di me; -Lo sciocco detto che ho sempre ripudiato stava per diventare il mio grido di vendetta.

A quelle parole sentii sciogliersi il peso che avevo sul petto da quando quella discussione era iniziata. Finalmente avevo capito cosa tediava l’animo del mio amico. Mi diedi dello stupido per aver dubitato di lui e di non essere arrivato prima alla verità. Mi sentivo lusingato dalle sue parole, ma ciò che il suo discorso introduceva non era cosa da sottovalutare.

-Holmes, è stata una cosa istintiva, sono sicuro che non l’avrebbe mai fatto- tentai di rassicurarlo, nonostante io stesso stentassi a credere alle mie parole.

Lui mi guardò sorridendo tirato.

-E invece l’avrei fatto, Watson. Gli avrei sparato dritto sul cuore, senza alcun rimpianto o rimorso.

Lo disse con un tono monocorde, ma sapevo che la situazione lo metteva in difficoltà, davanti a cose che non aveva mai dovuto, e voluto, affrontare.

-Mi sono sempre affidato alla logica proprio per questo. Lasciarsi trasportare dai sentimenti è dannoso, possono fuorviarti il pensiero, le percezioni e la moralità-, disse senza mai smettere di guardarmi, come per assicurarsi che avessi capito.

Purtroppo quella volta, in quella situazione, non potei dire niente. Non controbattendo la sua opinione, gli diedi implicitamente ragione e ciò parve bastargli.

-Ora, se mi vuole scusare, vecchio mio, avrei voglia di una passeggiata notturna. Le auguro buona notte, Watson, non mi aspetti alzato-, mi informò infilandosi il cappello in testa con un espressione che non riuscii a decifrare.

Assentii con un cenno della testa e lo osservai uscire dalla porta.

Aveva bisogno di riflettere e di farlo da solo, per questo non mi opposi, sapevo che avrebbe fatto la scelta giusta.

Anch’io dovevo prendere una decisione.

Mi diressi verso il mio scrittoio e recuperai velocemente il foglio e il pennino.

Osservai l’inchiostro assorbito dalla carta e sospirai.

Parole, erano semplici parole.

Ebbi l’impulso di buttare il tutto nel camino, di cancellare quegli episodi, ma non lo feci.

Non volevo dimenticare, non sarebbe servito, non avrebbe reso le cose più facili.

Così scelsi quella strada e lo feci con mille dubbi, desiderai solo per un attimo di avere affianco Holmes, per porre la questione a lui, perché lui sicuramente avrebbe valutato meglio di me la situazione. Ma non quella volta, non in quel frangente. Dovevo farcela da solo.

Per me e per Holmes.

 

 

 

 

 

 

***Angolino della squinternata***

Per prima cosa mi scuso dell’enorme ritardo e dell’orrore di capitolo, ma dovevo postare. In verità dovevo essere a ripassare latino (domani ho la versione) ma visto che una personcina che chiameremo Terry voleva assolutamente leggere questo capitolo dove Watson, poveretto, sembrava essere mestruato, io mi sono messa all’opera e zac, ecco il capitolo!

Volevo solo rendervi partecipi di una piccola figura di EHMEHM che è capitata a causa di questo capitolo xD. Io lo volevo far betare da una mia amica così gliel’ho inviato e lei cos’ha fatto??? Ha corretto il testo preso pari pari dal Canone! Ha corretto la consecutio temporum di Watson xDxD Se vi interessa la prendo ancora per i fondelli, è troppo divertente xD. Gius, lo sai che ti voglio bene e che ti ho personato, però… xDxD Basta, riprendiamo il contegno u.u

Non penso che ci sia molto da spiegare.

1)Nel nome del capitolo “i postumi” sono intesi come “le cose che rimangono, i residui”, tipo quelli famosissimi della sbornia. Qui Holmes aveva i postumi dell’avventura, e che postumi xD.

2) Watson ç_ç il povero Watson. Mi dispiace se è risultato OOC, io ce l’ho messa tutta, ma se volete farmi presente come avrei potuto gestire meglio la cosa non esitate a farmelo sapere, ci tengo.

3) L’idea è scaturita proprio dall’avventura in sé, più precisamente da quel pezzettino che ho riportato all’inizio. Io sono rimasta sconvolta da quelle parole, veramente! Insomma, Holmes avrebbe ucciso e non per estrema difesa, ma per vendetta. Ho capito, sono l’unica che si fa questi problemi, lasciamo stare -.-‘’

4) Ormai avrete capito che le storie si alternano. Una pesante, una leggera, una pesante ecc… bhe non so se riuscirò a mantenere la cosa. Io scrivo prevalentemente angst e non sono brava a fare le cose comiche ^^’’

 

Ma ora rispondiamo alle recensioni dello scorso capitolo!

 

Ladywho: Eccola la personcina di cui parlavo prima! xD Hai visto? Ho postato alla fine, spero che almeno tu ti faccia quattro risate su questo povero Watson bistrattato! Holmes è un mito quando tira fuori il suo umorismo inglese xD ti giuro che leggere il Canone fa fare certe risate xD. Lestrade è lo Yarder che più apprezzo e amo, alla fine poi come si fa a non adorarlo? xD Dai, ti lascio adesso, non ti trattengo oltre =9 ciao e grazie per tutto.

 

Anne London: Ahahaha per fortuna che il nostro detective ha un forte autocontrollo se no addio Lestrade xD! Io adoro Lestrade, è il poliziotto che preferisco, una macchietta fantastica =). Purtroppo io della Granada ho visto solo il primo episodio con “Uno scandalo in Boemia” gli altri non li trovo =(. A parte questo grazie del tuo sostegno costante =^^=

 

Miss Adler: Non farti assolutamente di questi problemi, succede che a volte si ritardi, tanto la storia non scappa =D. Lestrade è un mito, riesce a far uscire di testa Holmes! xD E per fortuna che il nostro detective è molto controllato se no una bastonata in testa non gliela toglieva nessuno xD. Holmes ha un umorismo inglese che mi fa morire, veramente! Molti tendono a vederlo come un rigido e spocchioso detective, ma lui è tutto il contrario! Tua madre ha commesso un grosso errore u.u il canone è una raccolta di racconti gotici vittoriani con dentro le più sensazionali avventure in cui sono raccolti tutti i tipi di romanzi, anche per questo mi piace, racconta la vita in tutti i suoi aspetti, comici o drammatici che siano. >///< davvero è IC? Ho sempre paura di scrivere delle cavolate assurde (vedi questo capitolo -.-) grazie della rassicurazione, veramente. Hai visto che alla fine le tue “sciocchezzuole” in verità erano delle meraviglie? Non dubitarne mai più, anzi posta velocemente xD Scherzo ovviamente! Grazie ancora.

 

 

 

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Capitolo 8
*** Tempi Moderni ***


Holmes' Private Life8-Tempi Moderni

 

  1. Tempi moderni

 

 

 

 

-La verità non è facile, ignorare lo è. Ma la verità ti distrugge. Prima, tenendola nascosta, ti corrode dentro e poi, quando finalmente esce dalla chiostra dei denti, ruba un pezzo di te. Credo, però, che sia giusto dirla, esporla alla luce del sole. Mi considera un folle per questo, Watson? Sa, non sarebbe il primo.
Sherlock Holmes si alzò in piedi e si appoggiò al davanzale, guardando fuori dalla finestra: la nebbia imperversava. Un sospiro stanco gli sfuggi dalle labbra ceree.
-The eternal sunshine of spotless mind. Tenga a mente questa frase, Watson, perchè su di essa si baserà la nostra società da ora in poi, volenti o nolenti. Non sente le voci che corrono? Non sente i sussurri ormai più frequenti delle parole oneste, dette con tono chiaro? E' questo il mondo che ci attende, che attenderà le generazioni future. Un unico motto a guidarci "Occhio non vede, cuore non duole". Eppure...
Il suo sguardo perso nella nebbia, alla ricerca di qualcosa in più, qualcosa che chiarisse i dubbi della sua mente, si illuminò improvvisamente di una luce diversa.
-Eppure, vecchio mio, non riesco ad essere del tutto pessimista. Io spero, io credo in questo mondo. C'è speranza e lo leggo negli occhi della gente, dei mendichi e soprattutto negli occhi dei giovani.

Proprio in quel momento Wiggins fece irruzione nel nostro salotto. Subito si mise sull’attenti, le braccia incrociate dietro la schiena, mento alto e un sorriso soddisfatto sul volto. Ci raccontò che i suoi “uomini” avevano portato a termine il compito affidatogli e che un certo Charlie era stato il primo ad individuare l’obbiettivo. Holmes lodò il ragazzo e gli diede il suo compenso insieme a quello del resto della banda. A un solo cenno di capo del mio amico, la figura di quel bambino cencioso si era dileguata, diretta in strada dove, ne ero certo, i suoi compagni aspettavano ansiosi un resoconto dettagliato delle parole del ‘gnor Holmes.

Quando mi girai di nuovo verso il mio compagno, lo trovai proprio intento a fissare il marciapiede di fronte alla nostra abitazione in Baker Street. Non potei trattenere un sorriso di fronte all’ennesima dimostrazione di quanto Sherlock Holmes la macchina fosse solo una stupida convinzione, una barriera, che il mio compagno continuava a frapporre tra sé e il mondo. Un muro che, a mia detta, era completamente superfluo e insensato.

In situazioni come quella, però, non poteva che cedere e di questo ne ebbi l’ultima conferma dallo sbuffo divertito di Holmes, seguito immediatamente dalle sue parole solitamente taglienti e ironiche, ma che in quell’occasione si erano riempite di qualcosa di nuovo.

-Certo non sarà facile, ma sa quanto a me piacciano le sfide. E lei, dottore? Lei cos'ha deciso di fare?

Io, in risposta, non feci altro che affiancarlo e tendergli la mano. E con essa gli tendevo tutta la mia collaborazione, tutto il mio impegno, la mia fiducia e la mia assoluta amicizia.

Penso che non dimenticherò mai quella stretta, suggellata dalla nebbia di Londra e dai nostri reciproci sorrisi.

 

 

 

 

 

 

***Angolino della squinternata***

Lo so, è da tantissimo che non aggiorno, non oso sapere da quanto >.<

Per chiedervi perdono avrei voluto postarvi qualcosa di meraviglioso, di unico e invece è uscito questo. Il discorso di Holmes l’avevo scritto tempo fa, ma giaceva inutilizzato e senza contesto, insieme alla pagina vuota del nuovo capitolo (che doveva essere tutto tranne che questo, sappia telo u.u). Così ho detto “prendiamo due storie con un aggiornamento!” e l’ho fatto. Avrete notato che questa è più corta delle altre, infatti è ciò che si chiama flashfic (aka shot di 500 parole), ma adesso smetto di tediarvi e passo alla storia!

*) E’ stata scritta ascoltando la (meravigliosa) canzone “Baker Street” di Gerry Rafferty (ascoltatela, colpisce dritto al cuore).

**) Ovviamente avrete notato che Holmes era caduto in uno dei suoi tanti stati filosofici che, personalmente, mi hanno sempre affascinato. E per questo si lascia andare in considerazioni che all’inizio potrebbero sembrare un po’ troppo catastrofiche, ma Holmes non è catastrofico, né ottimista per questo ho lasciato un grande equilibrio.

***) The eternal sunshine of spotless mind è il nome di un meraviglioso film, che però non centra con la storia, ma il titolo riassumeva il discorso che voleva fare Holmes. Tradotto significa “l’eterno sole splendente della mente incosciente”. L’ho lasciato in inglese perché in italiano rendeva poco, mentre nella lingua originale ti lascia quell’alone di malinconia che pervade le parole. (Guardate anche questo film che è spettacolare- pubblicità occulta 2 “la vendemmia!”)

****) Il Charlie di cui parla Wiggins è Charlie Chaplin il grandissimo attore e regista, a cui va anche il titolo di questa storia che è anche il titolo di un suo bellissimo film (guardatevelooo!). Un piccolo tributo a questo fantastico uomo, ancora bambino quando Holmes e Watson ancora si aggiravano per le strade di Londra.

*****) Il “’gnor Holmes” è come mi sono immaginata che pronunciassero “signor Holmes” in cockney, tipico dialetto diffuso tra i poveri di Londra. Mi è sembrato simpatico metterlo, anche perché io amo gli Irregolari, con tutto il mio cuore e penso che lo stesso valga per Holmes.

 

E dopo aver risolto anche questa passo alle vostre meravigliose recensioni <3

 

Ladywho: come sempre la prima a commentare xD. Non saprò mai come ringraziarti, non merito il tuo tempo perso ç_ç. xD Lo slash lo avrei anche messo, ma solo se questa situazione si fosse presentata nel film, i personaggi canonici… *coff coff* meglio di no! Povero John(si scrive così xD) deve avere a che fare non solo con omicidi, assassini ma anche con Holmes e le sue turbe xD! Dio che pazienza che aveva quell’uomo, anche se com’è successo nel capitolo ogni tanto sbottava e aveva ragione! Guarda come si rivolge Holmes all’assassino ci fa capire quanto sia attaccato a Watson, nonostante non lo dimostri mai. E questo è terribilmente awwww (il mio cuore di fan girl palpita che è un piacere xD). Oddio Watson e le sue mestruazioni xD cavolo, io mica divento così e sono donna xD. Guarda più che altro è che da Holmes non sai mai cosa aspettarti, poi povero Watson aveva quasi rischiato di morire e tante cose erano successe in quella serata, aveva i nervi scossi come  li aveva anche Holmes. Basta, smetto di risponderti se no non posto più xD. Ciao e grazie ancora!

 

 

Miss Adler: Ecco >///< il tuo commento mi ha fatto infiammare le guance, veramente. Non merito tutti i tuoi complimenti. (tranquilla non sei l’unica slasher pervertita xD). Ti è piaciuto Watson?? xD Nonostante sembrasse in preda alle mestruazioni? S-secondo te sono rimasta IC??? *-* dici davvero? *lancia un gridolino di gioia* Yatta! Io ho sempre voluto leggere il seguito di quell’avventura perché veramente quel finale è da brividi nonostante la storia in sé non sia così originale (sotto quell’aspetto meglio La lega dei capelli rossi). Concordo assolutamente con te sulla regola del IC. E veniamo alla tua domanda finale. Che volto do a H e W? Sinceramente io ne ho inventato uno tutto per me. Devo dire però che Jude sarebbe quello che si avvicina di più fisicamente (anche se un po’ diverso dal mio immaginario) per quanto riguarda Holmes ti faccio vedere una meravigliosa immagine che sfiora il mio immaginario à http://users.livejournal.com/_izu_/96770.html  (immaginatelo così, però un po’ più giovine xD). Grazie, grazie, grazie e ancora grazie =D

 

 

Anne London: Hai ragione, il finale dei 3 Garrideb fa sognare, eccome! Davvero esistono altre descrizioni del finale?? Wow, potresti semplicemente dirmi anche il sito su cui trovarle, sono veramente curiosa (anche se il mio scarso inglese mi blocca =S). Ti ringrazio per avermi fatto notare il particolare dell’eccesso di contatto. Ti riferisci a cose come sistemare il colletto della camicia spiegazzata, vero? xD Forse non avrei dovuto metterlo, ma era un espediente per far notare che Holmes era così nervoso da curarsi di cose del genere, ma forse non l’ho fatto notare bene. Grazie comunque di avermelo fatto presente, veramente ^^ l’opinione dei lettori è importantissima per me e la prossima volta rifletterò di più sul contatto fisico =). Non so se questo capitolo si possa considerare leggerlo, ma spero che ti piaccia ugualmente ^^.

 

 

Ovviamente ringrazio anche chi legge, chi segue, chi ricorda e chi preferisce.

Grazie veramente a tutti, di cuore.

Alla prossima!

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Capitolo 9
*** Combattere per il sole ***


Holmes' Private Life9-Combattere per il sole
  1. Combattere per il sole.

 

 

 

-Holmes, si fermi! La prego, dobbiamo aiutare quest’uomo.

-Non c’è tempo, Watson. Andiamo!

Incominciò a strattonarmi con lo sguardo fisso sulla nostra preda che si allontanava, ma io non avevo intenzione di muovermi.

-Non possiamo abbandonarlo qui!

-Invece sì che possiamo, ora si alzi e mi segua, veloce!

Con uno strattone più forte mi alzò in piedi, ma io mi divincolai dalla sua presa immediatamente.

Ero un medico, ma prima di tutto ero un essere umano, non potevo lasciare una persona svenuta a terra con una gamba sanguinante.

-Cielo, Watson! Non siamo in Afganistan, qualcun altro si prenderà cura di lui.

Qualcun altro sulla riva del Tamigi a notte fonda, ovvio. Mi scostai seccamente da lui e tornai affianco del poveretto.

-Watson, le ho detto che non abbiamo tempo!-, mi sillabò frenetico lanciando occhiate all’orizzonte, dove il criminale stava lentamente scomparendo.

Io non risposi e cercai di procurarmi una pezza con cui fermare l’emorragia.

Un altro strattone, questa volta violento, mi fece voltare irritato e, per la prima volta da quando quell’orrenda situazione era iniziata, guardai il mio amico negli occhi.

La notte ci avvolgeva completamente, ma una lanterna illuminava fiocamente la sua figura. Fremeva, era febbricitante, pieno di nervosismo represso, ma i suoi occhi, nei quali speravo di trovare una traccia di comprensione, erano vuoti di qualsiasi sentimento di compassione o di pena.

-Lei, lei è…-, cercai di dire, preso da un fremito di rabbia.

-Senza cuore? Privo di ogni pietà umana? Probabile, Watson.

L’acidità delle sue parole mi colpì duramente e serrai la mascella in una forte stretta. Non riuscivo a crederci.

-Io non sono un eroe, Watson. Non lo sono mai stato e non ho intenzione di diventarlo ora.

Era mortalmente serio e mi guardava fisso, immobile. Aveva abbassato la voce, cadenzato le parole e il suo respiro da frenetico si era fatto impercettibile.

Ed eccola la macchina, la famosissima appendice del proprio cervello. Non era umano, non lo era mai stato.

Quel pensiero mi colpì peggio di un pugno nello stomaco e riabbassai lo sguardo sul ferito.

-Io combatto per il mio sole, il mio, non quello altrui.

E con quella frase, enigmatica quanto rivelatrice, era corso all’inseguimento della sua preda. Io, con il cuore pesante, chiusi la porta dei miei pensieri e mi dedicai interamente al mio paziente.

Per la prima volta provai a “non registrare a livello emotivo”. Fu difficile e bruciava, quasi quanto la pallottola sulla mia spalla, soprattutto perché sapevo che quando sarebbe finita, io sarei dovuto tornare al mio appartamento, dove mi attendeva lui. Lui e i suoi occhi di ghiaccio…

Scossi la testa e cercai di calmare il mio respiro.

Chiusi gli occhi e premetti sulla ferita dell’uomo.

Non registrare a livello emotivo, non registrare a livello emotivo, non registrare a livello emotivo.

Riaprii gli occhi, ma niente era cambiato, sentivo ancora quel peso sul mio petto.

Cielo, ma come ci riusciva Holmes?!

In quell’attimo capii tutto e la consapevolezza mi prese così duramente che non udii le carrozze arrivare, non sentii i poliziotti di Gregson correre verso di me, non mi accorsi neanche che il poveretto a cui avevo tentato di fermare l’emorragia veniva trasportato in ospedale. Fu l’ispettore a riscuotermi.

-Dottore, torni in sé! Dov’è andato Holmes?

Io balbettai qualcosa, indicando l’orizzonte e con un cenno di testa tutti gli Yarders si mossero in quella direzione. Mi offrirono un passaggio, ma rifiutai cercando di fare un sorriso rassicurante, ma che mi uscii molto tirato e stanco.

Quel sorriso rappresentava la mia condizione mentale e psichica, ma non avevo bisogno né di compassione, né di un dottore, così decisi di fare una passeggiata fino a casa.

Ho sempre amato passeggiare, il tempo perde significato e ti puoi permettere una pausa dal mondo che talvolta gira troppo velocemente per i miei gusti.

In quel momento i miei pensieri si attorcigliavano incontrollati ed io volevo trovare il bandolo della matassa risalendo lungo tutti i fili, per poi arrivare a un ordine emotivo e mentale. Così camminai, guidato dalle luci dei lampioni, tra la Londra addormentata e quella desta.

Ero così perso dai miei pensieri che non mi accorsi neanche di essere arrivato quasi davanti al portone di casa.

E mentirei se dicessi che non mi stupii di trovare Sherlock Holmes davanti a quel portone, seduto sugli scalini che si fumava una sigaretta.

Io mi avvicinai lentamente e lui fece scivolare il suo sguardo prima su di me, poi sulla strada.

Mi sedetti pesantemente vicino a lui e solo allora notai la cenere ai suoi piedi. Troppa, decisamente troppa per appartenere solo a un paio di sigarette.

Lui seguì il mio sguardo e non mi disse niente.

Stemmo in silenzio per un tempo che trovai indefinibile. Eppure quel silenzio mi stava entrando dentro, mi stava alleggerendo l’anima e neanche il freddo di quell’inverno riusciva ad invogliarmi a lasciarlo.

-Il mio sole-, disse come se stesse gustando la parola sulla punta della lingua; -Lei sa quanto il sole sia importante per me.

-È un altro modo per indicare il suo lavoro?-, chiesi forse un po’ troppo tagliente perché Holmes mi lanciò un'occhiata veloce.

Finì la sigaretta e la spense sotto il piede.

-Il mio lavoro è solo uno strumento, un trampolino di lancio verso il mio sole.

Era la prima volta che lo sentivo parlare per metafore. Lui, una mente così fredda, priva di ogni sentimentalismo, o della ricerca del bello, non era solito usare giri di parole per esporre una teoria o un suo pensiero. Andava dritto al punto, spiegandoti sinteticamente la situazione, al massimo le utilizzava per rendere più vivaci le sue battutine ironiche.

Quindi capirete il mio stupore quando davanti a una cosa così importante, Sherlock Holmes usava metafore.

Nonostante questo, non esplicitai il mio stupore, non ne sentivo il bisogno, mantenere quel silenzio mi pareva fondamentale.

Il vento gelido di metà inverno ci sussurrava nelle orecchie parole, gesti, frasi, ma noi le ignorammo tutte e continuammo a goderci il freddo che ci mordeva le gote e quel silenzio che ci aveva incatenato. Quel tipo di silenzio che accumuna le persone che si conoscono da tanto tempo, eppure io vivevo con Holmes da neanche due anni, ma nonostante tutto sentivo già di amare quel silenzio. E lo mantenni vivo.

Non dissi niente sull’accaduto di quella sera, sulle mie parole, sulle sue.

Niente, nessuna spiegazione. Non in quel silenzio.

Rimanemmo in quella posizione finché la mia gamba, irrigidita sia dal freddo sia dalla posizione, non tremò leggermente lanciandomi un segnale di dolore. Holmes lo notò immediatamente e lentamente si alzò in piedi per poi tendermi una mano che afferrai volentieri.

Appena entrammo in casa, il calore ci soffocò e l’atmosfera si spezzò. Ci togliemmo cappotti e cappelli e ci apprestammo a salire le scale e sorrisi internamente vedendo come Holmes non allontanasse mai troppo il braccio da me, pronto ad afferrarmi in caso la mia gamba avesse deciso di cedere. Non glielo feci presente, sarei immediatamente diventato “troppo sentimentale per i suoi gusti”.

Quando arrivammo davanti alle scale che portavano alla mia camera e al salotto che era subito prima della sua, ci facemmo un cenno per darci la buona notte.

Feci due scalini e poi mi fermai, una domanda m'irritava la gola.

-Holmes-, lo chiamai con tono calmo tenendo lo sguardo basso.

Lui alzò lo sguardo su di me concedendomi tutta la sua attenzione.

-È proprio necessario?- mi voltai lentamente verso di lui; -È proprio necessario non registrare a livello emotivo per raggiungere il suo sole?

Lui mi fissò per un attimo. Vidi correre in quei suoi occhi d’acciaio infinite parole, domande ed emozioni, ma fu solo un secondo. Sbatté le palpebre, con un sorriso, quasi amaro, quasi consapevole, mi rivolse quelle parole che mai avrei pensato di sentir pronunciare dalla sua bocca.

-Non lo so.

 

 

 

 

***Angolino della squinternata***

 

E dopo un mese esatto eccomi qui! *passano le balle di fieno*

Ehm, sì ^^ so di essere un tantino in ritardo, ma in verità ho scritto più capitoli con diverse storie, ma visto che nessuno me ne piaceva li ho eliminati tutti aspettando quello più giusto, ossia questo che state per leggere.

Sinceramente, spero che possiate scusarmi, non ho voglia di scrivere le mie solite note infinite, ovviamente se gradite chiarimenti chiedete pure e io vi risponderò appena possibile. Specifico solo che è ambientata nell’inverno del ’83, Holmes e Watson si conoscevano da un anno e mezzo.

Adesso rispondo ai vostri adorabili commenti e poi vi lascio andare =D

 

Miss Adler: Siii, l’Holmes di Izu è spettacolare ** rispecchia molto la mia immagine. Se conosco fiorediloto?! Io la venero, lei dea dello slash e patrona delle H/W <3 Ho letto tutte le sue storie sul fandom e non ce n’è una che non mi piaccia ** aehm, rinchiudiamo la fan girl che è in me xD. Ho fatto un bel po’ di ritardo anche questa volta, mi dispiace molto, ma non volendo postare obbrobri in grado di far rivoltare Watson nella tomba preferisco aspettare xD Oh *w* ti ringrazio per i tuoi continui complimenti e le tue rassicurazioni sul IC di Holmes (anche se quello che mi da problemi è sempre Watson xD). Voglio proprio vedere cosa ne penserai di questo capitolo, di questo Holmes così freddo (almeno in apparenza). Grazie ancora di tutto! P.S io non ho più ricevuto tue e-mail, tutto ok? Se la storia è pronta posso betartela quando vuoi.

 

Anne London: ** gli Irregolari sono fantastici, vorrei tanto scrivere qualcosa su di loro e sul rapporto che hanno con Holmes. Nooo xD povero Charles xD Io invece me lo immagino da piccolo scugnizzo con la faccia leggermente sporca =D forse perché ho visto il film sulla sua vita, “Charlot” si chiama. Te lo consiglio perché è veramente stupendo (tra i miei preferiti). Per i link sul concorso dei tre Garrideb, se non è chiederti troppo, mi farebbe piacere averli *-* mi metterei lì felice, perché non ne ho lette altre su questo argomento, quindi ogni storia è ben accetta =). Per le tue pignolerie (aka dettaglio cravatta) non ti preoccupare, anch’io ero indecisa se metterlo, anzi mi fa piacere che tu me lo abbia fatto notare, vuol dire che sei una lettrice attenta e ciò mi fa un immenso piacere ^^. Grazie mille.

 

Ladywho: guarda chi abbiamo qui! La futura signora McGregor (voluta o non voluta) xD. Oddio, mi dispiace averti tolto le parole, ma tranquilla potevi anche non recensire ^^ non succede niente, mi mandi solo in brodo di giuggiole =D. Consapevolezza, hai capito la parola per descrivere le azioni e le parole di Holmes. Come sempre la tua analisi è accurata e… e basta xD che te devo dì? Un enorme grazie!


minnow: oddio, a te cosa dico? xD Cioè, ovviamente inoltre a un immenso GRAZIE venuto dritto dritto dal mio cuoricino palpitante ** Perché veramente, TU che commenti una MIA storia è… wow, seriamente xD. Infondo ne abbiamo già parlato su FB e se sapessi che sto ritardando la pubblicazione proprio per rispondere a te mi squarteresti viva dicendomi di pubblicare e fregarmene, bhe non me ne frego proprio perché ci tenevo a ringraziarti, però adesso basta, posto e la finiamo qui. Thanks again.

 

 

 

Ovviamente ringrazio anche chi legge, chi segue, chi ricorda e chi preferisce.

Grazie veramente a tutti.

Al prossimo aggiornamento~

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Scorci di vita, scorci di cuore ***


Holmes' Private Life8-Scorci di vita, scorci di cuore

 

 8. Scorci di vita, scorci di cuore.

 

 

 

Era una clemente giornata autunnale ed io avevo trascinato Holmes a fare una passeggiata. Un sole pallido illuminava il mio viso sereno e quello tediato del mio amico. Se Holmes temeva la noia, allora io la odiavo. Non esisteva cosa più nociva per il suo spirito e, di conseguenza, per il suo corpo. L’astuccio di marocchino da anni ormai aveva abbandonato la sua pianta stabile sul nostro comodino, ma nonostante la fiducia che riponevo in Holmes, cercavo di evitare ogni possibile tentazione. Ero un medico e prima di tutto un amico, non gli avrei mai permesso di rovinarsi così, avrei accettato tutte le sue risposte secche, le sue frecciatine acide e i suoi insulti –come stavo facendo in quel preciso momento- pur di tenerlo lontano da quella sostanza abbietta e deleteria.

Avevamo comprato un giornale per strada ed ero riuscito a distrarlo, riportando la sua attenzione su un articolo che parlava del nuovo intrattenimento dilagante in Inghilterra: la cena con delitto.

Ne esistevano di diverso tipo, ma le regole erano pressoché le stesse. Ci si prenotava e nel giorno stabilito si raggiungeva l’abitazione in cui si sarebbe svolto il gioco. Quando si arrivava nel luogo dell’appuntamento, un attore già calato nel suo ruolo annunciava che il delitto era già avvenuto. Gli invitati cenavano assieme a degli attori che impersonavano i personaggi della vicenda e durante il pasto venivano informati dei fatti principali dell’omicidio, in seguito stava ai giocatori interrogare, cercare indizi e scoprire l’assassino. Si aveva tempo fino alla mezzanotte, a quell’ora era previsto l’arrivo di una finta polizia e ogni persona era invitata a esporre le sue teorie. Se uno degli invitati riusciva a smascherare l’assassino, riceveva un premio e un buono per la prossima cena.

Ovviamente la cosa entusiasmava me e non troppo Holmes.

-Banale, terribilmente banale, per non dire triste-, disse, ma sapevo che la cosa aveva attirato la sua attenzione.

-Suvvia Holmes, cosa la infastidisce? Altre persone come me e lei desiderano provare il brivido dell’investigazione e, non avendo Scotland Yard ai piedi-, m'interruppi lanciandogli un occhiata complice che fu ricambiata da una divertita, –utilizzano i mezzi a loro disposizione.

-Non ne hanno abbastanza di omicidi sui giornali?

-E cosa dovrei dire io di lei che, insoddisfatto della brulicante criminalità londinese, si reca anche all’estero?

Scosse la testa divertito e mi guardò con sorriso sghembo.

-Watson, anno dopo anno, la lingua le si allunga sempre più.

-Anche a questo proposito avrei da dire qualcosa, ma sulla sua, di lingua.

Alla mia ennesima sfilettata, si concesse una breve risata che ebbe il potere di alleggerirmi il cuore. Sapevo che la droga era sempre in agguato e conoscevo l’attrattiva che esercitava su Holmes, ma allo stesso tempo ero pienamente consapevole che io ero in grado di batterla.

Orgoglioso della mia piccola vittoria, proposi a bruciapelo di iscriverci a una di queste famose cene. Con mio sommo stupore il mio amico acconsentì e insieme ci incamminammo verso l’ufficio indicato sull'annuncio.

Non so come, il mio guardo fu attirato da quello che pareva essere un sacco di stracci abbandonato sulla strada, ma che a un esame più attento risultò essere una povera mendicante accasciata a terra. Mi si strinse inevitabilmente il cuore.

-Holmes, aspetti un attimo-, dissi fermandomi a guardarla.

-Vuole dare dei soldi a quella mendica?- mi chiese, seguendo il mio sguardo; -E se fosse un’impostrice?

Mi voltai velocemente verso di lui, non dimentico di Neville St. Clair.

-È un’impostrice?-, gli domandai, forse con troppa apprensione nella voce, poiché mi sorrise delicatamente.

-No, ma anche se lo fosse, lei la aiuterebbe lo stesso.

Feci scivolare lo sguardo verso quella figura rannicchiata e ancora una volta mi si strinse il cuore, Holmes aveva ragione.

-Penso che chiunque chieda l’elemosina, per obbligo o per scelta, deve essere così disperato, così disperato da rinunciare al proprio orgoglio e mettersi sotto il severo giudizio della gente.

Infilai le mani in tasca ed estrassi qualche soldo.

-Queste poche monete che per me non sono niente, potrebbero fare la differenza per quella donna.

Senza aggiungere altro, o aspettare una risposta dal mio amico mi avvicinai alla mendica e lasciai cadere il denaro nella ciotola che aveva di fronte.

Quella alzò improvvisamente la testa e solo allora mi resi conto del mio errore. Non era una donna, ma una semplice ragazzina. Così giovane e già senza un tetto.

Stavo per dire qualcosa, ma Holmes mi precedette accovacciandosi all’altezza della mendica.

-Prendi anche questi, così potrai comprare lo sciroppo per David.

Lo sguardo di lei si illuminò come non mai e Holmes le sorrise, tiepido.

Non gli chiesi niente su quella strabiliante deduzione, in quel momento ero intento ad ammirare il piccolo scorcio su quel cuore che Holmes aveva sempre negato di avere.

Il mio amico si sollevò spolverandosi le ginocchia, ma appena si voltò verso di me, la ragazzina gli parlò per la prima volta.

-Lei, ‘gnore, ha un sorriso splendido, è un peccato che non lo mostri spesso.

A quelle parole Holmes, mentre soffocava l’imbarazzo che per un attimo avevo visto corrergli sulle gote pallide, si girò lentamente e la squadrò da capo a piedi.

-Come ti chiami, ragazzina?-, chiese infine.

-Sarah, ‘gnore.

Lui annuì e con fare noncurante gli pose un'altra domanda.

-Allora, Sarah, hai mai sentito parlare degli Irregolari di Baker Street?

A quel nome la ragazzina s’irrigidì istantaneamente.

-Oh, sì ‘gnore, ma se vuole informazioni su di loro, non otterrà niente da me-, proferì con tono fermo.

Io mi sciolsi in un sorriso alla sua determinazione e Holmes si concesse uno sbuffo divertito.

-Mi fa piacere saperlo, perché ti vorrei tra le loro file.

Come prima immediatamente si era irrigidita, adesso era il ritratto della sorpresa.

-Tu… lei è il ‘gnor Holmes?-, disse guardando sognante il mio amico.

-In persona-, rispose reclinando leggermente la testa, come per fare un piccolo inchino; -Ma non mi hai dato risposta, vuoi lavorare per me?

A quella domanda i suoi stracci incominciarono a fremere tutti.

-Oh ‘gnor Holmes, sarà un onore!

Allora il mio amico gli tese la sua mano guantata. La ragazzina esitò. Aveva le mani completamente lerce e non voleva sporcare i guanti candidi del 'gnor Holmes. Ma il mio amico, noncurante, afferrò egli stesso la mano della ragazzina che ricambiò il gesto con un enorme sorriso, il più sincero che abbia mai visto.

E li guardai allontanarsi, mentre Holmes gesticolava spiegandogli nel dettaglio quale sarebbe stato il suo ruolo e quali i suoi incarichi. Sarah annuiva e non staccava gli occhi da lui, come se non esistesse altro al mondo.

Solo in quel momento compresi veramente cosa rappresentava Holmes per quei ragazzi. E ancora una volta, l’ennesima di quella giornata, mi chiesi come avevo potuto pensare in passato e anche solo per un momento che Holmes fosse solo una macchia, un'appendice del suo cervello…

Improvvisamente, udendo chiamare il mio nome, ritornai alla realtà e mi resi conto che Holmes e la sua nuova aiutante si erano fermati ad aspettarmi, così li raggiunsi velocemente, ma senza riuscire a reprimere un sorriso.

No, Holmes era una persona straordinaria, dentro e fuori, ed io non potevo desiderare amico migliore.

 

 

 

 

 

***Angolino della squinternata***

 

Signore, mi stupisco di me stessa! È uscita senza che io me ne accorgessi, tutta in un giorno solo, wow! Almeno sono riuscita ad aggiornare in tempi decenti!

Tralasciando i miei travagli passo alle informazioni inutili su questo capitolo!

Vi dico da subito che se l’affermazione sul sorriso di Holmes vi pare famigliare, non è solo un’impressione, perché per quel pezzo mi sono ispirata a Criminal Minds (GIDEONNNNNNN ♥). Detto questo la storia dovrebbe essere ambientata subito prima o subito dopo il 96, anno nel quale Watson afferma con sicurezza (cfr. L’avventura del giocatore scomparso) che “Anno dopo anno, ero finalmente riuscito a fargli abbandonare quelle droghe che una volta avevano quasi rovinato la sua brillante carriera.”

Bwahahahah per quanto riguarda le “cene con delitto” mi sono informata, che credete? Si diffusero in Inghilterra per la prima volta intorno ai primi decenni del XX secolo, quindi anche il tempo di ambientazione è perfetto *si sente orgogliosa di se stessa*. L’idea di utilizzare la “cena con delitto” mi è venuta facendo l’RP con la mia Watson (ciaoo, Giusvaldella mia!)

Ultima cosa per i più smemorati che non ricordano Neville St. Clair . Questo signore è il protagonista de “L’uomo dal labbro spaccato”. Tornata la memoria? =)

 

Concludo condividendo questa splendida frase che riporto da “L’ultimo caso di Sherlock Holmes” di Dibdin.

 

“Ma non mi sognerei mai di spacciarmi per un funzionario di polizia, Lestrade! Questo lo lascio a voi!”

 

LOL xD

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Capitolo 11
*** Promesse ***


Holmes' Private Life9-Promesse

9.Promesse

 

 

Sospirai, lasciando increspare le mie labbra in un piccolo sorriso. Finalmente.

Finalmente il gran giorno era arrivato.

La casa era pronta, i mobili erano al loro posto e la mia bellissima sposa mi aspettava.

I miei vestiti erano già nei loro nuovi cassetti, così con me tenevo solo la borsa contenente i miei ferri del mestiere.

Ed ero lì, a tentennare davanti alla porta del 221B di Baker Street, l’appartamento che per tanti anni avevo condiviso con il mio amico Holmes. Quest’ultimo era seduto sulla sua poltrona preferita a pensare chissà cosa.

Per un attimo credetti che si fosse dimenticato quale giorno speciale fosse, ma qualcosa nel suo atteggiamento mi smentì.

La pipa era spenta, dimenticata chissà dove, il violino era chiuso con cura nella sua custodia, ermetico, e il tavolo di chimica giaceva inutilizzato, lasciato alla polvere.

Aspettai, fermo sul ciglio della porta, respirando quell’aria a me tanto familiare. Mi sarebbe mancata, lo sapevo e lo accettavo. Tanto sarei tornato quando più mi aggradava e avrei combattuto i laconici telegrammi di Holmes con lunghe lettere vergate di mio pugno.

-Allora, ci siamo-, dissi strofinandomi le dita e lasciando correre un sorriso sul mio viso.

Holmes si alzò pigramente in piedi e mi afferrò la mano.

-È stato un piacere conoscerla, Watson.

Risi, lasciandomi sopraffare dall’emozione. Quelle parole sembravano rivolte a un criminale con già il cappio al collo, non a un amico che trasloca.

-Suvvia, Holmes! La sua vena melodrammatica si è svegliata oggi? Mi trasferisco solo, e neanche troppo lontano. Ci sentiremo e la verrò a trovare.

Lui annuì svogliatamente, più per farmi piacere che per convinzione, e tornò alla sua poltrona.

-Non faccia il bambino, non adesso-, ero stufo di quel suo comportamento puerile.

Avevo ascoltato tutti i suoi dubbi riguardanti il mio matrimonio, ma pensavo che alla fine fosse felice per me. Invece mi teneva il broncio, il broncio!

-Lei trae conclusioni affrettate, Watson, mentre io sto semplicemente prendendo atto dei fatti-, mi rispose atono e con lo sguardo annoiato fisso sul soffitto.

Continuavo a non capire.

-E di quali fatti dovrebbe prendere atto? Che mi sarei sposato lo sapeva, anzi è stato il primo, non contando Mary, a saperlo.

-Io sto prendendo atto del suo abbandono-, disse secco.

-E poi sarei io quello da romanzo d’appendice! Holmes, è per caso sotto l’effetto di droghe?-, gli chiesi velenoso.

-No, ma non pare una cattiva idea.

Rabbrividii al sol pensiero e prima che potesse anche minimamente muoversi, riposi l’astuccio di marocchino nel cassetto.

Lui seguì i miei gesti e sorrise sbeffeggiandomi.

-Watson, la sua preoccupazione è veramente lodevole, ma non si crucci, non lo farò in sua presenza.

Sentirmi così vilmente preso in giro, mi fece serrare la mascella dalla rabbia.

-La smetta, Holmes, sappiamo che questo è solo uno dei suoi giochi infantili. Non è giornata, lo capisco. Le prometto che tornerò domani, va bene?

E proprio in quel momento una grossa, gelida, risata risuonò nella stanza.

-Domani, domani. Certo. E mi dica, dottore, i suoi pazienti, lo studio nuovo, sua moglie e la casa? Qual è il mio posto in mezzo a tutto ciò?

Non sapevo cosa rispondere, la mia gola era occlusa dall’eco di quella risata e i miei occhi incatenati ai suoi di acciaio.

Mi umettai le labbra e, prendendo un respiro, mi prestai a rispondere.

-Holmes, lei è il mio più caro e grande amico, tempo per lei ne avrò sempre, come l’ho avuto fin ora.

Lui scosse la testa e mi riservò un occhiata che non avrei saputo definire.

-Vecchio mio, lei non ha mai brillato per logica, ma qui pecca d’ingenuità. Per quanto io non metta in dubbio il sincero attaccamento che ha verso la mia persona, quando uscirà da quella porta io passerò all’ultimo dei suoi pensieri.

Tentai di protestare, ma lui con un gesto stanco della mano mi bloccò e riprese a parlare.

-Non lo farà intenzionalmente, ma ciò non vuol dire che non accadrà. Baker Street avrà sempre la porta aperta e la poltrona vuota per lei, è il benvenuto. Ma la prego di una cosa.

S’interruppe e scostò lentamente lo sguardo dal mio. Per un attimo, solo per un secondo, mi parve scorgere qualcosa di più oltre al puerile risentimento in quegli occhi.

-Non faccia promesse che non può mantenere.

Istintivamente puntai gli occhi al pavimento, continuando a persistere nella mia cocciutaggine. Non gli risposi, uscii semplicemente e accostai la porta, non volendo sapere, immaginare, cosa sarebbe successo dopo in quel salotto.

Non potevo fare niente, non in quel momento, ma avrei fatto cambiare idea Holmes e l’avrei fatto con gli stessi strumenti che lui stesso usava: le prove.

Mentre una carrozza mi portava verso la mia nuova casa, giurai solennemente che il giorno dopo mi sarei presentato da Holmes con un sorriso raggiante e una scatola di quel trinciato che gli piaceva tanto.

E allora l’avrei costretto ad ammettere il suo errore e il sorriso, sebbene smozzicato e nascosto da una finta superbia, sarebbe ritornato sul suo viso.

Il giorno dopo inaugurai l’ambulatorio e passai la mattinata tra scartoffie e ultimi ritocchi. Alle undici esatte tutto era stato sistemato e il mio primo pensiero corse alla mia promessa. Subito scrissi un biglietto per Mary e mi avviai verso Baker Street pronto a uno dei pranzetti di Mrs. Hudson.

A metà strada però incontrai mia moglie affannata per le borse della spesa, ovviamente mi sorpresi di incontrarla a piedi, ma mi disse di aver speso quasi tutti i soldi per i viveri e non averne avuto abbastanza per la carrozza. Non la rimproverai affatto, anzi, ne approfittai per fare la nostra prima ufficiale passeggiata da sposi novelli. Conversammo spensieratamente e ridemmo, ricordando i provini per le governanti svoltisi il giorno prima. Non avevamo ancora trovato la persona adatta, così dovevamo arrangiarsi da soli, ma la mia Mary era testarda e piena di risorse.

Pranzammo con calma e nel pomeriggio ricevetti i miei primi due clienti. Un ipocondriaco e un anziano con dolori reumatici, niente di eccitante o grave, ma mi parve che fossero soddisfatti dalle mie modeste capacità.

Giunse presto ora di cena e Mary mi stupì presentandomi un buonissimo pollo al curry. Ma la mia neo consorte non sapeva mai quando fermarsi e fu proprio al termine della cena, con già i piedi davanti al camino che mi consegnò un pacchetto azzurro. La guardai curioso e lei ridacchiando mi invitò a scartare il regalo.

-Mary, ma come…?- balbettai non riuscendo a staccare gli occhi da ciò che avevo in mano. Era la monografia sulle terminazioni nervose di Percy Trevelyan che anni prima avevo avuto il dispiacere di perdere. Introvabile al tempo de “Il paziente interno”, figurarsi tre anni dopo!

Alzai lo sguardo su di lei che mi sorrideva, profondamente compiaciuta dalla mia reazione.

-Sono contenta che ti piaccia, anzi in verità non ne avevo dubbio!-, ridacchiò lanciandomi uno sguardo saputello, -Mi ricorderò per sempre la tua faccia lunga e grigia il giorno in cui, volendo mostrarmelo, non l’hai trovato nella libreria.

Non seppi che dire. Mancandomi le parole, le diedi un semplice bacio e sorrisi. Non avrei potuto scegliere sposa e donna migliore, una persona che sapevo si sarebbe presa cura di me veramente sia in salute che in malattia.

Mi ripromisi di portarle un mazzo di gigli, i suoi preferiti, al più presto ma in quel momento ciò che più mi premeva, era riassaporare quel vecchio libro.

Mary si ritirò nelle nostre stanze e io mi accinsi alla lettura.

Il tempo volò ed era notte fonda quando giunto all’ultima pagina scorsi una scritta a mano.

Da Percy Trevelyan al dottor Watson, estimatore della mia professione e salvatore della mia carriera, insieme al suo amico il signor Holmes.

Fu come un fulmine a ciel sereno.

Holmes, il mio amico Holmes.

Dovevo passare a trovarlo, dovevo dimostrargli che si sbagliava, dovevo

mantenere la mia promessa.

Ma non era colpa mia, non avevo potuto.

Prima la casa, poi l’ambulatorio, Mary e…

Lasciai cadere il libro per terra e mi misi le mani tra i capelli.

Esattamente come aveva detto Holmes.

Appoggiai i gomiti sulle ginocchia, la testa pesava troppo.

Esattamente come aveva detto Holmes.

Strinsi gli occhi e cercai di fermare il mio cuore impazzito.

 

Avevo infranto la promessa.

 

 

 

 

 

 

 

***Angolino della squinternata***

As usual, sono tremendamente in ritardo, lo so e vi chiedo perdono, ma quando un capitolo non ne vuole sapere, non ne vuole sapere.

Ammetto che metà di questa storia era scritta da tempo immemorabile, ma il resto non voleva saltar fuori, soprattutto il finale!

Ecco, con il finale ho avuto parecchi problemi, anche perché volevo inserire una cosa che poi ho deciso di togliere, per quanto mi piaccia.

Sto parlando di questo pezzettino che volevo inserire subito dopo la frase di Watson:

Una luce si consumava nella notte.

Una nera figura dinoccolata era immobile e fissava una finestra illuminata –oltre.

La luce, tra spire di fumo, cadde e venne schiacciata, quasi pesantemente.

La figura emise un lungo sospiro.

Un sospiro lungo quanto le infinite parole che aveva dentro.

 

Praticamente voleva essere una narrazione in terza persona, in cui viene descritto Holmes che, fumando una sigaretta (aka luce) guarda Watson disperato dalla finestra. Si rende conto di aver avuto anche questa volta (purtroppo) ragione e sopprime la sigaretta per poi lasciarsi andare in un sospiro. Cosa contenga il sospiro sta a voi decifrarlo ;)

Comunque ho deciso di metterlo qui tra le note, come extra perché alla fine queste sono le note del dottore e il dottore questa cosa non potrebbe mai saperla.

Vedetela un po’ come una chicca, una scena tagliata ^^.

Non penso di aver molto da dire, ricordo solo che la monografia citata è propria dell’avventura de “Il paziente interno”, quindi niente di inventato, l’unica cosa che ho inventato è la sparizione di questa. Percy Trevelyan è uno dei protagonisti della suddetta avventura.

Mi pare scontato datare questa avventura, ma specifico che è prima de “Uno scandalo in Boemia”, così sappiamo il motivo della reticenza di Watson e della dichiarazione di Holmes ♥.

Vi avviso che ormai questa raccolta volge al termine, mancano sicuramente meno di cinque capitoli, quindi preparatevi psicologicamente (aka andata a comprare i festoni) xD.

Concludo il tutto qui, ringrazio solamente quelle sante anime che commentano la mia storia, che la seguono/ricordano/preferiscono.

Grazie davvero.

 

 

 

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Capitolo 12
*** Eroi e confronti ***


Holmes' Private Life12-Eroi e confronti

10.Eroi e confronti.

 

-Watson, essendo lei un buon conoscitore dei classici greci, ricorderà sicuramente l’Iliade e l’Odissea, i due poemi omerici.

Era un tranquillo giorno di Marzo, fuori una pesante e acquosa neve impantanava gli stivali dei Londinesi.

Alzai lo sguardo dal mio libro. Non mi aspettavo una simile domanda da parte di Holmes, ma non fu difficile rispondere.

-Certo, due opere molto appassionanti, anche se molto ardue da rappresentare teatralmente a causa della loro lunghezza-, replicai per poi tornare sul mio libro, ma a quanto pareva Holmes quel giorno aveva deciso che non era tempo di lettura.

-E, mi dica, quale preferisce delle due?-, mi chiese cordialmente e con un sorrisino malizioso che piegava leggermente le sue labbra.

-Sono entrambe d’immensa bellezza, ma se devo scegliere, direi l’Odissea-, dissi un po’ perplesso dalla sua espressione.

Rise leggermente, inclinando la testa verso il soffitto.

-Ci avrei scommesso e scommetto anche che lei la preferisce perchè Ulisse, il protagonista, rispecchia di più la sua idea di eroe.

-Esatto.

-E immagino anche che Ettore, nell’Iliade, sia uno dei suoi favoriti.

Mi scoccò un’occhiata, come se mi stesse sfidando a contraddirlo, ma io non ne avevo la minima intenzione.

-Holmes, non so come abbia fatto, non abbiamo mai toccato questo argomento e io non ho mai accennato ai miei gusti in questo campo. Se non la conoscessi così bene la giudicherei uno stregone!

Ora era il mio turno di ridere alle mie sciocchezze, ma gli occhi d’acciaio lievemente opachi di Holmes mi seccarono il sorriso sulle labbra.

-Niente magia, Watson. Solo la ruota della società che gira.

-Cosa intende?

-Secondo lei quale preferisco tra i due poemi?

A questa domanda mi sistemai meglio sulla poltrona e soppesai accuratamente ogni possibilità, sotto lo sguardo imperturbabile di Holmes, ma la risposta mi pareva tanto scontata che non ci riflettei molto.

-L’Odissea, sicuramente.

-No.

Aggrottai le sopracciglia a quella risposta e Holmes allacciò le dita tra loro, abbandonando poi le mani sopra le gambe.

-Ma come! Pensavo che l’ostentata razionalità dell’Odissea fosse più nella sua linea di pensiero.

Come se si fosse aspettato questo mio intervento, mi spiegò tranquillo la sua teoria.

-C’è molta più razionalità nell’Iliade che nella sua opera favorita, Watson. E sinceramente trovo più interessanti la figura di Achille, insieme a Ettore, che quella di Ulisse.

A quel punto chiusi il mio libro di scatto, ormai assorbito dalla conversazione.

-Sta cercando di dirmi che lei disprezza Ulisse, orditore d’inganni, e parteggia per Achille, sterminatore di popoli?

Con questa frase sottolineai ancor di più le mie preferenze e Holmes ne sorrise.

-Sto solo tentando di dire che Achille non era solo uno sterminatore e Ulisse non era solo un orditore d’inganni.

-Non capisco dove vuole arrivare.

Come la maggior parte delle volte, ma il mio amico aveva sempre accettato di chiarificarmi le sue ermetiche risposte e quel giorno non fu diverso.

-Per spiegarmi userò le stesse parole di Omero. Mi faccia un favore, Watson. Mi cerchi i due poemi, li ho letti circa due ore fa, dovrebbero essere qui vicino… Ah, eccoli! Allora, da dove vogliamo partire? Dal riscatto del Pelide o dal disfacimento del Laertide? Suvvia, partiamo da quest’ultimo. Ecco, il suo primo vero intervento! Agamennone per mettere alla prova i suoi soldati li esorta a tornare a casa, Ulisse lo intuisce e riesce a bloccarli. Ricorda questo passaggio, Watson?

Sorrisi annuendo e schioccai le labbra.

-Certo, è sicuramente un esempio di come la parola possa placare anche la più ribelle delle folle.

-E il seguito? Ricorda il seguito di questo canto?

-Se devo essere sincero no, sono passati troppi anni.

-Non si preoccupi di questo vecchio mio, quasi nessuno conosce i fatti immediatamente successivi, per questo ho preferito avere il testo sotto mano. Ecco, legga. Qui si parla di un vecchio zoppo di nome Tersite che ribatte alle affermazioni di Ulisse, accusando Agamennone di tracotanza e avidità sostenendo invece Achille, a cui era stata sottratta ingiustamente la propria schiava, e esortando i soldati a rinunciare alla guerra che riteneva inutile. Ora ricorda?

-No, non penso di avere mai letto quel particolare passaggio.

-Eccellente, allora provi a pensare a che tipo di risposta avrebbe potuto dare il principe del pensiero.

-Uhm, dunque. Sicuramente era un amico del Pelide e sapeva riconoscere un'ingiustizia quando la vedeva, quindi su questo punto avrà appoggiato il vecchio, ma si sarà sicuramente opposto alla proposta di ritornare in patria, perché a quel tempo l’orgoglio e l’onore erano i fattori su cui si basava la società.

-Magnifico ragionamento, Watson, ma mi deve ancora dire la reazione di Ulisse.

-Sicuramente avrà tenuto un discorso, riuscendo sia a dimostrare il suo parteggiare per Achille sia a convincere i soldati a non abbandonare il campo di battaglia, rammendando al vecchio di non aver paura e di affrontare la guerra.

-Se il suo ragionamento è stato magnifico, non lo è stata la sua deduzione, mio caro.

-Ho sbagliato qualcosa?

-Tutto, per la precisione.

-Mio caro Holmes!

Ebbi come risposta un sorrisino malizioso, ma non mi fu dato il tempo di esprimere la mia sorpresa, che il frusciare delle pagine mi riempì le orecchie.

Poi, con voce profonda, Holmes incominciò a leggere espressivamente, mentre muoveva la mano libera dal peso del libro.

-“Parli bene ma parli da stupido. Tu sei il peggiore di tutti, sai?, Tersite. Il peggiore di tutti i guerrieri venuti sotto le mura di Ilio. Ti diverti a insultare Agamennone, il re dei re, solo perché tanti doni gli avete portato voi guerrieri achei. Ma io ti dico, e ti giuro, che se ti sorprendo un’altra volta a dire scempiaggini come queste, ti piglierò, ti strapperò le vesti – il mantello, la tunica, tutto – e ti rimanderò nudo e piangente alle navi, coperto di ferite da far schifo”. E poi incomincia a malmenarlo, mentre lui piange e gli altri ridono.

-Ma si comportavano così all’epoca!

-Ecco, Watson, ha centrato il punto. Si comportavano tutti secondo il rigido regolamento imposto dalla società.

-E Achille no?

-Amico mio, non affrettiamo i tempi, continuiamo con Ulisse. Prendiamo un altro brano significativo… Trovato! Qui, con il suo amico Diomede, uccide nel sonno molti uomini alleati con l’esercito troiano.

-Non mi dica che non trova questo stratagemma astuto!

-Mai messo in dubbio ed è proprio questo che mi fa pensare. L’ingegno all’epoca era molto spesso scambiato con la codardia.

-Però non accusarono mai Ulisse per i suoi inganni.

-Infatti, li chiamano inganni, astuzie, e mai menzogne o scorciatoie, perché questo sarebbe disonorevole.

-Quindi lei sostiene che alla fine abbia adattato le sue qualità alla società?

-Precisamente, vecchio mio. Ulisse è il perfetto esempio di schiavo della società, o degli dei, che dir si voglia.

-Degli dei?

-Mi passi un attimo l’Odissea, ecco. Se nota, lui esegue sempre gli ordini degli dei, fa sacrifici, non si arrabbia con loro nonostante lo perseguitino. Ma chi sono gli dei? Esistono veramente Zeus e l’Olimpo?

-Ovviamente no, ma la società all’epoca...

La consapevolezza si fece largo nella mia mente. Holmes mi sorrise.

-Vedo che incomincia a capire, Watson.

-Sì, temo di aver inteso: Ulisse non è altro che un fantoccio della società.

-Non esattamente. Diciamo che la società ha limato quelle piccole imperfezioni che l’avrebbero reso fuori dal comune, così vicino al nostro punto di vista moderno da essere ritenuto pazzo e codardo. L’Odissea si basa sul nostos, sul ritorno, eppure leggendo non pare che Ulisse smani di tornare a casa.

-Questo non è vero, ricordo benissimo la scena struggente in cui Ulisse tenuto prigioniero da Calipso piange in riva al mare preso da una forte nostalgia.

-Ultimo punto, Watson. Sicuramente vuole tornare a casa, ma perché?

-Per sua moglie e suo figlio.

-Lui vuole ritornare a Itaca, che ci sia la sua famiglia è un altro discorso.

-Mi pare un ragionamento troppo azzardato persino per lei, amico mio.

-Forse, ma se ci riflette bene, capirà le mie argomentazioni. Per i greci l’identità del singolo individuo era importantissima. Persino i morti ne risentivano, se rimanevano uccisi in mare e senza una degna sepoltura erano costretti a vagare per anni lungo le rive dello Stige, il fiume infernale. Itaca è sinonimo di casa, d’identità. Ulisse adesso è solamente un vagabondo, molti lo credono morto, deve riacquistare il suo status di re, di padre e di marito, ma perché? Perché lo status era importante, sullo status di un individuo si basava la società. La società è…

Si perse un attimo nei suoi pensieri e le sue labbra si dischiusero lentamente mentre i suoi occhi si spalancarono. Febbrilmente passò lo sguardo da un punto all’altro della stanza, poi si fermò sui fogli sparsi sulla sua scrivania. Si alzò in piedi e con andatura dinoccolata li raggiunse. Afferrò gli scritti e li guardò, mentre lentamente si avvicinava al camino. Si fermò di fronte a esso e sorrise.

Sorrise e scosse la testa, mentre gettava tutti i fogli nel camino, consegnandoli al fuoco.

-Holmes, ma cosa fa? La sua monografia!

Scattai in piedi raggiungendolo e fissai tutto il lavoro del mio amico finire, letteralmente, in fumo.

Lui sbuffò divertito e mi appoggiò una mano sulla spalla stringendomela e scuotendomela scherzosamente,

-Non si crucci! Ancora una volta, ragazzo mio, lei mi ha condotto alla luce. Senza i suoi interventi avrei probabilmente sprecato altro del mio prezioso tempo su quell’inutilità.

Volsi lo sguardo al suo viso, ma lo trovai sereno, solo una punta di rammarico negli occhi.

-Le sembrerò ottuso, ma non riesco proprio a comprenderla. Non mi pareva un lavoro inutile e non capisco come da un momento all’altro la sua opinione sia cambiata.

Holmes mi fece un sorriso a mezza bocca.

-Semplicemente ho capito che era un vano spreco di energie, tanto tra una centinaia d’anni sarà come carta straccia.

Con un gesto della mano mi invitò a sedermi sulla poltrona e lui fece lo stesso, ma prima si appropriò della sua pipa.

-Lei, Watson, come ben saprà, sono un appassionato del medioevo e per la mia monografia appena bruciata avevo in mente un confronto diretto tra la visione di quell’epoca e quella odierna.

Nascose il volto dietro una mano, celando un sorriso leggermente amaro.

-Avrei dovuto capirlo all’istante.

-Che non erano comparabili?

-Che non era una comparazione oggettiva.

Ormai Holmes non mi guardava più in viso. Rigirava tra le mani la sua pipa di radica e fissava un punto non definito oltre le mie spalle.

-Non potrà mai essere oggettiva semplicemente perché noi stessi siamo influenzati dall’epoca in cui viviamo, noi stessi siamo, in minor o maggior misura, schiavi della società. Per la Grecia antica l’eroe era Achille, per i colonizzatori sempre dell’antica Grecia Ulisse, per il medioevo Ettore e per le generazioni future chissà. Eppure ognuna di queste civiltà era fermamente convinta della sua opinione, indirettamente o meno influenzata dal mondo in cui viveva e dai principi che vigevano. Per esempio, durante le crociate difficilmente si sarebbe optato per Achille, mentre il pio e martire Ettore sarebbe risultato perfetto. Ed ecco il perché, ecco il motivo, per cui ho buttato tutto nel nostro camino. La mia era una monografia inutile. Non c’era oggettività e, data la mia deduzione, un’innocente ipocrisia velava tutto lo scritto. Chi sono io per denunciare Ulisse come schiavo della società se io stesso faccio parte della stessa categoria? E come posso essere certo che non sia soltanto una visione autoimposta quella che mi si presenta davanti? Come posso sapere che le mie idee sono solo mie e non guidate da un vincolo superiore e inconscio? No, Watson, questo è un argomento troppo ampio, con troppe risposte e pochi dati certi. Lasciamo ai filosofi l’arduo compito di cercare di spiegare il mistero umano. Dopotutto io sono solo un consulting detective.

Ma non era quello che vedevo.

Dentro quegli occhi d’acciaio, nei quali il fumo della pipa incominciava a riflettersi, vedevo di più.

Sorrisi pensando a quanto nascondeva Holmes in sé. Quanti filosofi, matematici, letterati, musicisti, e non solo detective, conteneva quella figura pallida e dinoccolata che tutti conoscevano come Sherlock Holmes.

Il grande consulting detective Sherlock Holmes.

Che in realtà non era nient’altro che un uomo, uno schiavo della società.

Ma che, per me, continuava ad essere il mio grande e unico amico.

 

 

 

 

 

***Angolino della squinternata***

Ebbene sì, il capitolo più palloso che vi sia mai capitato di leggere, ma io AMO l’Iliade e l’Odissea quindi mi sono divertita un sacco a scriverlo.

L’uscita finale di Watson mi ha spaventato O_O È uscito il mio lato romantico… e io non ho un lato romantico!

Seriamente, perdonatemi, di solito cerco di fare dei bei finali ma questo… bha.

Lasciatemi solo dedicare tutto l’intero chap a minnow che era entusiasta di questa storia e mi ha spinto a pubblicarla. Quindi cara, tutto per te! Così magari mi perdoni anche gli immensi ritardi delle mie recensioni >.< (sì, sto cercando di comprarti xD).

L’unica cosa che tengo a precisare è che il pezzo in corsivo che trovate nel chap non mi appartiene, l’ho preso da “Omero, l’Iliade” di Alessandro Baricco (libro che consiglio a tutti!).

Mi stupisco di me stessa, è da un po’ che faccio note cortissime! Contente, eh? xD

 

Ringrazio moltissimo tutti quelli che leggono, seguono, ricordano, preferiscono e commentano questa storia.

Grazie davvero.

 

 

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Capitolo 13
*** Priorità e scelte ***


Holmes' Private Life11-Priorità e scelte

11. Priorità e scelte

 

 

Si correva verso la fine del secolo e l’estate aveva portato con sé non solo calura e afa, ma anche un più che singolare caso.

-Cosa posso fare per lei, signora…

-Phillimore, signora Phillimore.

Era mattina inoltrata ed io e il mio amico Holmes ci trovavamo davanti a una nuova e disperata cliente. Teneva gli occhi bassi e tormentava un fazzoletto completamente imbrattato di trucco e lacrime, indice della sua profonda angoscia. Ma solo quando alzò lo sguardo su di noi, capii che ciò che fomentava il suo pianto non era altro che rabbia repressa: i suoi occhi brillavano di determinazione.

-Mi deve aiutare, la prego! Alla polizia non mi hanno dato ascolto!

Holmes, a quell’improvviso cambio di comportamento, sbatté gli occhi stupito, per quanto quella macchina di Sherlock Holmes possa essere stupita , e le sorrise cordiale.

-Non si preoccupi, io e il dottor Watson valuteremo la situazione e cercheremo di aiutare suo marito.

La donna rimase per un attimo interdetta a quell’ultimo dettaglio, ma subito dopo si rilassò quasi rincuorata.

-Mi avevano detto che era bravo, ma non speravo così tanto.

Il mio amico sbuffò divertito, ma non fece in tempo a fornire la sua solita delucidazione di circostanza, che la donna lo interruppe.

-Oh, no, la prego, niente spiegazioni. Mi fido delle sue capacità e spero che riuscirà a ritrovare al più presto mio marito, James Phillimore.

Per quella volta, l’ego del mio amico dovette starsene quieto davanti alla forza di spirito di quella donna.

-Bene-, sentenziò Holmes con una lieve nota di sarcasmo nella voce –Come desidera. Non indugiamo oltre, ci racconti tutto dall’inizio.

-Scusate la mia scortesia, ma sono davvero preoccupata. In due anni di matrimonio non era mai capitato che il mio James sparisse per un intero giorno senza neanche rincasare. Sapete, lui è un metodico impiegato, legato alle tradizioni e amante delle abitudini, inoltre è d'indole pacata e meditativa, non lascia mai niente al caso. Pensate che ha impiegato sei mesi per chiedermi la mano!

A quell’ultima nota di gioia, vidi le labbra di Holmes stringersi in una linea sottile d’impazienza e insofferenza. Ciò non sfuggì neanche alla nostra determinata cliente.

-Le sembreranno futilità, signor Holmes, ma le assicuro che solo conoscendo bene mio marito potrà capire l’assurdità di questa storia. Comunque, i fatti che mi hanno spinto qui sono i seguenti: ieri mattina, prima di uscire per delle commissioni, io e mio marito discutevamo sul da farsi per quello stesso pomeriggio. Avevo programmato per le 5.00 una visita medica e il mio James aveva insistito per essere presente, purtroppo lui avrebbe lavorato fino a tardi e non avrebbe fatto in tempo ad accompagnarmi, ma essendo lo studio medico vicino al suo ufficio aveva deciso che lui mi avrebbe raggiunto direttamente lì, mentre io sarei venuta in carrozza. Giunta all’appuntamento chiesi al dottore di pazientare l’arrivo di mio marito, ma mezz’ora dopo fui costretta a desistere e a farmi visitare, o avrei perso il mio turno. Quando finalmente fui a casa, si erano fatte le 6.30 e mio marito ancora non si faceva vedere, ma non ero preoccupata. Spesso, per conquistarsi i favori del capo, faceva degli straordinari e lavorava anche fino alle 9.00 di sera. Ma solitamente mi mandava un telegramma e in giro non ne notavo nessuno. Chiesi alla nostra governante se l’aveva visto o se avevamo ricevuto telegrammi e lei mi rispose che verso le 5.00 di quel pomeriggio l’aveva visto entrare in casa di fretta e poi di nuovo uscire per chiamare una carrozza. Non sapeva dirmi altro perché stava uscendo per andare a comprare dello zucchero. Lo vide solo salire sulla carrozza e partire.

-Ha chiesto se—

-Sì, ho chiesto alla governante se ricordava il numero e per fortuna quella buona donna rammentò che quella carrozza passava spesso dalle nostre parti.

La signora Phillimore non aveva neanche dato il tempo a Holmes di formulare la domanda che era ripartita con il suo racconto, cosa che infastidì non poco il mio amico, ma notai anche come quel racconto stesse risvegliando in lui interesse, rendendogli gli occhi brillanti di curiosità.

-Con l’aiuto di mio fratello Marcus, anche lui vetturino, riuscimmo a rintracciare il veicolo. Fortunatamente il conducente, Stephen Gyller, era a rifocillarsi in un pub neanche due isolati di distanza. Così io e mio fratello, che non ha avuto cuore di lasciarmi in quello stato d’agitazione, andammo a parlare con questo signore che ci ha raccontato una storia abbastanza fantasiosa, a parer mio. Lui sostiene che il mio James, dopo pochi secondi che era seduto in carrozza, gli abbia ordinato di fermarsi perché aveva dimenticato l’ombrello. E questo è inammissibile, ieri il sole era splendente, il cielo era così pulito che non sembrava neanche di essere a Londra, quindi perché avrebbe dovuto portare con sé un ombrello? In ogni caso, il signor Gyller afferma di essersi fermato, averlo visto entrare in casa e di aver aspettato circa mezz’ora, poi, per non perdere altri clienti, di essersene andato. Ed è da allora che… che il mio James…

La donna deglutì pesantemente e si passò il fazzoletto consumato sugli occhi, ma appena asciugate le lacrime, tornò a puntare il suo sguardo ostinato su di noi.

-Oh vi prego, signor Holmes, aiutatemi! Sono disposta a pagare quanto—

Questa volta fu il mio amico a bloccare la donna. Con un gesto imperioso della mano le fece segno di fermarsi e subito dopo le porse un fazzoletto pulito.

-Il mio onorario è fisso, non faccio distinzioni, ma ne parleremo in seguito, piuttosto mi dica di questo—

-SIGNOR HOLMES!

A quel grido sobbalzammo spaventati, girandoci verso l’entrata, dove trovammo un ansante e completamente livido ispettore Lestrade.

-Ispettore! Le sembra questo il modo?- disse Holmes scattando in piedi, per poi assumere quel suo solito sorriso canzonatorio. –Per quanto mi sia sempre lamentato della scarsa intelligenza di Scotland Yard, pensavo almeno di poter contare su un minimo di civiltà, ma a quanto pare non v'insegnano neanche le buone maniere.

Ma il sorriso del mio amico scemò quando Lestrade non rispose, ma continuò a guardarlo fisso, con la paura che gli tremava negli occhi.

Era pallido, aveva il colletto storto e i bottoni del panciotto allacciati in malo modo, ansimava a fatica e le mani gli tremavano, come se fosse al cospetto della Morte.

Holmes dovette accorgersi di questi dettagli e anche molto di più, perché chiamò la signora Hudson e le chiese cortesemente di intrattenere al piano sottostante la nostra ospite. Dopo non pochi dibattiti e promesse, congedammo la signora Phillimore e Lestrade si lasciò letteralmente scivolare sulla poltrona, mentre gli porgevo un bicchiere di brandy.

Dopo aver bevuto, fece un profondo sospiro e si passò una mano tra i folti capelli grigi.

-Spero vogliate scusarmi, signor Holmes, Dottore, per l’infelice uscita di prima, ma ero sconvolto.

-E lo è ancora-, rispose il mio amico piatto, senza sarcasmo, continuando ad osservarlo, analizzando ogni più piccolo dettaglio del suo essere. Le sue parole però dovettero essere fraintese, perché subito l’altro scattò in piedi.

-Sì, perché questa è una vera ingiustizia! Un complotto! Un… un’indecenza!- quasi urlò infervorato e agitando le mani in aria.

Era uno spettacolo grottesco.

-E lo è anche il suo comportamento, Lestrade-, pronunciò risoluto il mio amico, avvicinandosi e puntando i suoi occhi su di lui. –Non so cosa l’abbia indotta a sragionare in tal maniera, ma la maleducazione non ha scusanti.

-Neanche un figlio accusato di omicidio?

A quelle parole quasi rischiai di rovesciarmi il mio bicchiere di brandy sul panciotto. Il tono mesto delle sue parole mi colpì così profondamente, che mi dimenticai completamente della sua condotta precedente. Holmes impassibile lo guardò scivolare nuovamente sulla poltrona e portarsi una mano sul viso, poi si sedette anche lui e dal modo in cui lo osservò, capii che anche il mio amico aveva già perdonato tutto. Dal mio canto, io non avevo mai avuto la fortuna di diventare padre, purtroppo, ma compresi fin troppo bene il dolore di Lestrade, così mi allungai posandogli una mano sulla spalla. L’ispettore si girò lentamente verso di me e gli sorrisi stringendo la presa.

-Faremo l’impossibile, Lestrade-, dissi deciso per poi lasciare la sua spalla.

-La ringrazio, Dottore- mi disse sincero lui accennando a un sorriso.

-E la ringrazierei anch’io, Watson, se la smettesse di farci perdere tempo con le sue romanticherie. Se l’ispettore è venuto di corsa qui e in tali condizioni-, continuò indicandogli distrattamente il panciotto mal abbottonato; -deve essere una grave emergenza, questione di vita o di morte e, se non ricordo male, le rassicurazioni non salvano i figli da accuse di omicidio.

In altre circostanze avrei ribattuto acido a queste sue insensibili affermazioni, ma aveva ragione: non avevamo tempo. Feci cenno a Lestrade di non preoccuparsi di quelle parole e mi preparai a trascrivere gli appunti di quel caso.

Holmes si allungò a prendere la pipa e l’accese.

-Bene, Lestrade, ci racconti tutto- a quelle parole, l’ispettore emise un lungo sospiro.

-Il problema, signor Holmes, è proprio questo: non so cosa raccontarle- abbassò gli occhi, invasi dal senso di colpa, ma immediatamente li rialzò; non era tipo da abbattersi, il caro ispettore.

–Vedete, sta mattina, come ogni giorno, sono andato a Scotland Yard e avevo deciso di mettermi subito al lavoro, ma prima di tutto dovevo informare l’ispettore Gregson di alcuni sviluppi su un caso che non concerne questa faccenda. Comunque, chiesi al suo assistente dove potevo trovarlo, visto che il suo ufficio era vuoto ed egli mi disse che era nella stanza degli interrogatori. Lo ringraziai e mi diressi subito dove mi era stato indicato, però quando arrivai la porta era socchiusa e una voce famigliare mi giunse alle orecchie. Così per curiosità e per evitare di disturbare il mio collega in un momento probabilmente delicato, gettai un'occhiata dallo spiraglio della porta e…

L’ispettore si frizionò nervosamente capelli e fermò la sua narrazione, cercando le parole più appropriate. Il suo ennesimo sospiro m'informò che si era reso conto che non esistevano, non in un contesto simile.

-E… e c’era Gregory, Gregory Jr, mio figlio-, si fermò nuovamente e voltò gli occhi nella mia direzione. –Appena mi ha visto ha incominciato a gridare “Papà, papà! Non credergli, non sono stato io! Papà!”. Cercò di alzarsi e venirmi in contro, ma subito una guardia lo bloccò e la stessa sorte toccò a me. Un ragazzone mi spinse fuori dalla porta, senza neanche darmi il tempo di parlare né con mio figlio né con Gregson. M'infuriai e cercai di opporre resistenza, ma quell’energumeno mi ricordò che così peggioravo solo la situazione. Ribollivo ancora di rabbia, ma cercai di mantenere la calma e magari estrapolare delle informazioni a quell’uomo. Purtroppo non riuscii a cavargli una parola di bocca, neanche di cos’era accusato mio figlio, neppure quello!

Nell’ultima parte aveva alzato la voce, ma rendendosene conto, strinse la mascella e inspirò profondamente.

-Ma come voi ben saprete, non sono tipo da arrendersi. Decisi infatti di aspettare che l’interrogatorio finisse per poi tampinare Gregson finché non si fosse deciso a raccontarmi cosa stava accadendo. E così feci. Appena vidi, tristemente, mio figlio portato in cella e Gregson uscire, lo bloccai esigendo delle spiegazioni che però non si degnò di darmi, continuando ad attaccarsi a inutili cavilli legali e rifilandomi patetiche scuse, come “questo caso non è suo e non potrà averlo, non saprà niente prima che lo sappiano tutti gli altri”. Continuammo così per mezz’ora, ma alla fine, quando stavo quasi per supplicarlo, gli scapparono delle parole che mi fecero gelare il sangue nelle vene. “Per l’amor del Cielo, Lestrade, la smetta! Non posso dirle nulla perchè mi hanno proibito di farlo!” mi sbraitò contro, poi chiuse subito la bocca, pentito, e se ne andò a passo veloce. Ed io… io sono corso qui. Da lei.

Dopo quest’ultima affermazione calò un lungo e teso silenzio, così suggestivo che vidi Lestrade cedere sotto il peso di esso e abbassare le spalle.

-Io lo so. Lo so che questo non è il tipo di casi che accetta, signor Holmes. Dopo tutto non ho dati, non ho informazioni…-, incominciò a tartagliare preso dal nervosismo.

-Lestrade…-, lo chiamò il mio amico, ma quel giorno i suoi clienti parevano piuttosto ribelli.

-Non ho prove, non ho dettagli interessanti, né indagati né—

-Lestrade-, ripeté questa volta Holmes più autoritario, ma al tempo stesso riguardoso, conquistando l’attenzione dell’altro; –Lei non ha bisogno di dirmi altro.

L’ispettore prima guardò perplesso il mio amico, poi me. Cosa intendeva dire con quella frase?

Holmes, intanto, svuotò delicatamente la sua pipa, la pulì e controllò il suo lavoro, infine la posò al suo solito posto, tutto sotto il soffocante sguardo di Lestrade.

-Quindi… lei?-, tartagliò l’ispettore incerto.

-Accetto il caso.

Non penso di aver mai visto sorriso così ampio sul viso del nostro amico. Il colore gli riempì le gote e gli occhi tornarono nervosi e febbricitanti come sempre, io non potei evitare di sorridere di rimando. Questa era l’ennesima dimostrazione, pensai compiaciuto, di quanto Holmes potesse cambiare la vita delle persone, anche con solo una manciata di parole.

Intanto Lestrade si era alzato in piedi e stringeva energicamente la mano del mio amico.

-Oh, signor Holmes! Oh, non sa quanto mi fa felice! Le prometto, le giuro sul mio onore, su tutto ciò che ho di più caro che—

L’ispettore era come un fiume, che ormai rotta la diga, riusciva finalmente a tornare libero e neppure Holmes, così ricoperto di elogi (e di un pudico rossore), riusciva a fermarlo. Tossii qualche volta, più per scongiurare la risata che mi pizzicava in gola, che per richiamare l’ordine. In ogni caso, Lestrade ricordò di scatto per quale motivo era venuto e volò in strada a chiamare una carrozza.

Holmes si alzò in piedi e appena incrociò il suo sguardo stremato con il mio piuttosto divertito, sollevò una mano aperta come a vietarmi ogni possibile commento sui fatti accaduti. Ridacchiai, dandogli due leggere pacche sulla spalla, come a confortarlo. Lui mi guardò storto, ma non gli concessi il tempo di una parola e scesi a raggiungere Lestrade. Però eravamo dimentichi di un piccolo particolare.

La signora Phillimore, richiamata probabilmente dai nostri passi, si gettò sulla rampa delle scale.

-Allora andiamo? Chiamo la carrozza?

Vedendo gli occhi di quella donna così pieni di speranza mi sentii un mostro a dover abbandonarla così, però avevamo fatto una scelta.

-Mi dispiace, signora Phillimore-, disse infatti il mio amico; -Un altro problema richiede la nostra presenza a Scotland Yard, ma non sono dimentico della mia promessa: appena mi verrà concesso la contatterò e cercheremo suo marito.

La poverina abbassò la testa e il mio amico fece per superarla per raggiungere la porta, ma lei si frappose.

-Lei… lei non può!- rispose rabbiosa e con gli occhi velati di lacrime. –Non può farlo! Mi… mi avevano detto che lei è senza cuore, che accetta solo i casi che più le aggradano, ma speravo…- singhiozzò, -speravo che il mio James fosse abbastanza interessante!

Vidi Holmes irrigidirsi a quelle parole, ma rimase nel suo silenzio, lasciandosi rimproverare da quella donna fuori di sé.

-Per caso il dottor Watson ha mentito nei suoi romanzi? Ha sempre scritto che se i problemi si esponevano bene, se… se erano strani, fuori dalla logica, se non… non era mai successo niente di simile, allora… allora lei mi avrebbe aiutato!- esclamò in fine, sciogliendosi in lacrime.

Non penso di essermi mai sentito tanto in colpa nei confronti di un cliente e di Holmes. Gli gettai uno sguardo di scuse, ma lui non mi prestava attenzione, guardava la donna.

-Signora-, disse con tono dolce, avvicinandosi e stringendole delicatamente una mano tra le sue. –Mi dispiace per quello che sta passando, capisco che perdere una persona cara e non poter far nulla per poterla riavere corroda l’anima. Temo, però, che lei abbia travisato le parole del mio amico, io non faccio differenze tra i casi, cerco di risolverli tutti e do a tutti lo stesso peso. Purtroppo a volte si presentano situazioni come questa, e sono chiamato a fare una scelta.

Lei con un gesto stizzito richiamò la mano spezzando il contatto, ma senza mai lasciare i suoi occhi, quasi volesse punirlo.

-Quindi lei definisce “scelta” aiutare quello screanzato poliziotto a salvare suo figlio che molto probabilmente è un assassino?! E non mi guardate così, gridava così forte che era impossibile non sentirlo!- ansimò un attimo, sfinita dalle lacrime, poi riprese il suo straziante e patetico spettacolo. –Non si vergogna? Non segue neanche le sue priorità! Preferisce non dare una mano a una povera disperata per trovare il suo onesto marito, ma aiutare i suoi amichetti.

A quell’ultima affermazione Holmes perse il suo sguardo comprensivo e la fulminò, senza cercare di nascondere la rabbia che gli incendiava gli occhi.

-Non si permetta d’insultare me o i miei cari. Mai- la redarguì lapidario. –Solo perché comprendo il suo dolore non le farò ricorso per infamia, ma stia attenta, sto perdendo la pazienza.

Il tono basso, quasi roco, del mio amico dovette spaventare la donna perché la vidi rabbrividire e fare un passo indietro, abbassando finalmente gli occhi.

Holmes le si avvicinò, quasi obbligandola a fissare quegli occhi di ghiaccio.

-La vita è fatta di diverse cose, diverse strade. Sta a noi decidere la direzione da prendere e con quali criteri scegliere essa.

La donna non resistette di più e abbassò lo sguardo, vinta dall’acciaio di Holmes, ma il mio amico non aveva ancora finito.

-Priorità e scelte sono cose diverse. Le proprie priorità si possono ignorare a favore di quelle altrui, le priorità possono cambiare, si possono ritrattare, ma le scelte… le scelte sono quelle che ci condizionano la vita. Fatta una non si può tornare indietro.

Holmes aprì con mano decisa la porta e fece un passo fuori da essa, poi si voltò verso noi.

-Io ho fatto la mia, adesso tocca a lei fare la sua.

La signora Phillimore strinse le mani intorno al fazzoletto e poi annuì mestamente, senza dire una parola. Holmes, ritenendosi soddisfatto, lasciò la porta aperta e si diresse verso la carrozza su cui lo stava attendendo Lestrade.

Io velocemente scesi le scale e mi precipitai fuori, ma fu solo quando misi un piede fuori e vidi Holmes che mi tendeva la mano per aiutarmi a salire sulla vettura, che compresi. Capii quali erano state le mie scelte e quanto avevo da ringraziare per averle compiute.

Sorrisi, afferrai la mano di Holmes e sorrisi ancor di più a vedere uno sguardo perplesso, che per una volta non era il mio.

Nessun rimpianto.

 

 

 

 

 

 

***Angolino della squinternata***

Orbene eccomi qui! *passano le balle di fieno* Ok, vi siete –giustamente- dimenticati di me, ma purtroppo io non di questo meraviglioso fandom!

Mi dispiace veramente tantissimo per questo ritardo astronomico, ma questo capitolo non voleva venir fuori.

La mia idea era di fare un parallelo con il primo ovvero “La strana giornata della felicità”. Perché? Perché questo, signori miei, è l’ultimo capitolo di questa raccolta. Questo è l’ultimo racconto che Holmes trova nella cartella. Purtroppo, per vostra (s)fortuna, c’è anche l’epilogo, quindi tenete i pomodori per il prossimo capitolo, ok? xD

Bene, fatta questa premessa direi di passare al capitolo.

1)”Si correva verso la fine del secolo” cosa vuol dire? Bhe, proprio quello che c’è scritto. Il secolo sta per finire, siamo nel 1899 più precisamente in estate. Perché quest'anno? Perché se voi vi andate a leggere l’inizio de “L’enigma di Thor Bridge”, Watson fa un elenco dei casi irrisolti contenuti nella famosa cassetta di sicurezza della banca Cox & Co. Questo caso è datato nell’ottobre del 1900 quindi io ho ipotizzato che le avventure qui narrate fossero successe circa un anno prima. Ma perché proprio queste avventure? Leggete la nota che segue.

2) “Signora Phillimore”. Qualcuno di voi ha riconosciuto questo cognome? È proprio la consorte dello sfortunato James Phillimore che, come dice Watson, proprio ne “L’enigma di Thor Bridge”, rientrato in casa per prendere l’ombrello, svanì dalla faccia della terra. Ecco, questo caso era proprio annoverato tra quelli irrisolti contenuti nella famosa cassetta. Ora capito perché l’anno? =D

3)Lestrade. Oh povero Lestrade. Inizio subito col ribadire per l’ennesima volta che amo quell’uomo e che mi dispiace avergli quasi messo il figlio sulla forca, ma non vi preoccupate! Holmes alla fine ha risolto tutto, una sciocchezza di un paio d’ore, ma di questo parleremo poi. Tornando al nostro caro ispettore, io non so se vi sia sembrato OOC, ma v'invito a riflettere sulla gravità della situazione e sul suo temperamento che sappiamo essere molto focoso, ma se avete qualcosa da ridire fate pure ^^ ognuno ha la sua interpretazione.

4)Holmes ammetto che mi ha fatto molto, MOLTO sudare in questo capitolo, faceva come più gli aggradava e ammetto di averlo lasciato un po’ fare. Ma nel finale si è dimostrato per ciò che è, un uomo di gran cuore. Perché lui non sapendo niente dell’omicidio e pur sospettando che fosse una cosa da niente, abbandona quel caso che l’aveva preso tanto e decide di seguire Lestrade. Perché? Perché ha fatto la sua scelta? Perché proprio questa? Perché è suo amico e, anche se non lo ammetterà mai, odia vederlo così.

5) Prima ho parlato di parallelo con il primo capitolo, ma forse è meglio spiegare. Vedete, nel primo capitolo Holmes definisce Lestrade “Yarder” e niente più, mentre qui vediamo come in un certo senso è cresciuto il rapporto tra i due, come scherzino di più, siano più uniti, amici. Sì, per me sono amici. Oddio, mai quanto Holmes e Watson, ma loro due sono un caso a parte, sono soulmates (da NON leggere come “anime gemelle”, ma come “compagni d’anima, di desideri, di sogni”). Lestrade, se proprio non vogliamo definirlo amico, diciamo che è l’unico che si può presentare a casa di Holmes tutte le sere e chiacchierare senza preavviso, un lusso non da poco per un semplice Yarder, no?

 

Dunque, direi di aver finito, anche se so, SO che appena pubblicherò mi verrà qualcos’altro in mente.

Approfitto per ringraziare tutti quelli che leggono/ricordano/seguono e recensiscono questa storia a cui sono particolarmente legata.

Grazie ancora.

 

 

 

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Capitolo 14
*** L'ultimo caso. Un epilogo ***


Holmes' Private Life14-L'ultimo caso. Un epilogo

11. L’ultimo caso. Un epilogo.

 

 

“Nessun rimpianto.”

Holmes fissava quelle due parole, mentre una sola pagina era rimasta tra le sue mani. L’ultima. L’ultima di quella cartella che, per ore, gli aveva tenuto il pensiero lontano dal freddo, dall’odore acre e dal silenzio presenti nella camera.

Continuò a fissare il foglio, con la mente –forse per la prima volta in vita sua- davvero vuota. Non c’era niente nella sua soffitta-cervello che ora gli servisse, nessuna nozione imparata durante gli anni pareva essere utilizzabile in quel contesto.

Aggrottò le sopracciglia e protese il capo verso foglio, combattendo il desiderio di voltare la testa e chiedere.

Da quando è diventato così apertamente sentimentale, Dottore?

Perché non mi aveva mai accennato nulla su questa cartella, amico mio? Perché l’ha nascosta, Watson? Non mi pare ci sia niente di così segreto.

Perché non mi hai detto niente ieri sera? Perché ti sei chiuso a chiave?

Perché, dopo tanti anni di lavoro di squadra, hai voluto fare tutto da solo?Perché non mi hai permesso di aiutarti?

Volevi nasconderti? Da chi? Dalla morte o da me?

Holmes deglutì piano, senza fare alcun rumore, e guardò quelle parole.

“Nessun rimpianto.”

Nessuno.

Alzò gli occhi al soffitto e un rantolo gli ruppe la gola, fondendosi in un sospiro carico.

-Io…- disse, ma si arrestò subito, la sua voce tremava.

Abbassò lo sguardo ancora una volta, e fissò il pavimento.

Le mani sempre strette, rigide, intorno a quella pagina. Unica ma tangibile, vera e talmente familiare che…

Le labbra gli tremarono e la presa aumentò.

Calma, s’impose Holmes, dopotutto non era niente di più che il ciclo della vita.

Quante volte avevano rischiato la morte in modi ben più atroci? Dove era il problema? Si nasce e si muore, sono due delle poche certezze che gli uomini possiedono, e su ciò non aveva alcun dubbio. Eppure non riusciva a sollevare gli occhi.

Non riusciva a richiudere l’otre in cui era solito relegare ogni tipo di sentimentalismo, ogni tipo di emozione pericolosa. Ora il coperchio pareva disperso, e sentiva risalire lungo lo stomaco tutte quelle sensazioni represse.

Irrigidì la mascella e di scatto puntò lo sguardo sul letto al suo fianco.

Watson aveva un sorriso sereno sul viso, come se neppure la morte avesse avuto cuore di strapparglielo, e Holmes si stupì di come, nonostante il pallore spettrale, la rigidità e l’odore sgradevole aggredissero i suoi sensi, riuscisse ad essere confortato a tale visione.

Il suo viso si addolcì appena, mentre la bocca si stendeva in una sottile linea morbida.

John Hamish Watson.

Il suo ultimo caso.

Il mistero celato in quella semplice, comune, figura che nessuno conosceva quanto lui.

Era il suo coinquilino, era il suo Boswell, era l’unico che l’aveva accettato, seguito, sostenuto.

Holmes sbuffò leggermente, divertito. Ancora non riusciva a capire come avesse fatto Watson a sopportarlo per tutto quel tempo. A volte Holmes si sarebbe soppresso da solo. L’unica volta in cui ricordava di aver visto il Dottore realmente arrabbiato era stato il giorno del suo ritorno, dopo l’accaduto di Reichenbach.

Il detective si portò istintivamente un dito sotto il mento, dove sentì la leggera increspatura della cicatrice causata dalla fede del dottore, quando questo l’aveva colpito con un pugno in quella particolare occasione.

Non poté trattenere un sorriso e allungò la propria mano a stringere quella dell’amico. Notò che non era molto più fredda della propria e sogghignò al ricordo dello sguardo di rimprovero di Watson quando si ostinava a non mettersi i guanti durante la stagione invernale.

-Mi verrebbe quasi da pensare che lo faccia per puro dispetto nei miei confronti.-

-Penserebbe bene, amico mio.-

Ora non avrebbe più potuto farlo e questo turbava Holmes. Ma perché?

Era questo che si domandava.

Perché essere tanto turbati per un processo naturale che si sa dover avvenire a breve? Avevano una certa età e certe cose succedevano.

Perché essere turbati dalla solitudine? Per molti anni erano stati separati, senza neanche sentirsi, e Holmes era ormai abituato a sopravvivere da solo.

Perché Watson?

I suoi occhi grigi cercarono risposta in quelli azzurri di Watson, ma non li trovarono, ormai chiusi ermeticamente.

Holmes sentiva quella domanda agitarsi nella sua mente, febbrilmente alla ricerca di una soluzione, ma non l’avrebbe trovata e lui lo sapeva.

Strinse la mano del suo amico più forte e schiuse le labbra in un sorrisino.

-Siamo alle solite, Watson. Sei riuscito ancora una volta a farmela sotto il naso, non sono riuscito a risolvere il tuo caso e dubito che ci riuscirò.-

Sentì il mento tremare leggermente e per una volta non combatté contro quella sensazione.

-Però devi concedermi il ritrovamento della cartella. Ah, lascia che ti faccia i complimenti per il titolo, veramente originale!, non sarei mai arrivato a intuire il contenuto di essa.-

Quasi lo sentì borbottare che, se non gli andava bene, poteva provare scriversele da solo e ridacchiò mentre la vista si faceva leggermente appannata.

-Non te la prendere così, amico mio, e togli quella espressione infastidita dal tuo volto.-

E lo vide, lo vide nella propria mente mentre faceva schioccare la lingua contro il palato e si voltava di spalle con finta indifferenza, per poi sedersi sulla poltrona.

Sentì i passi del passato incrociarsi con quelli del presente.

-Neanche con un piccolo incentivo? Nemmeno se ti suono qualcosa?-

Holmes si voltò verso il letto, con aspettativa.

A quel punto Watson avrebbe dovuto irrigidirsi leggermente, di piacere e sorpresa, e poi fare un mugolio che in teoria avrebbe dovuto essere completamente disinteressato, ma che il detective sapeva essere compiaciuto.

E invece tutto rimase statico, immobile.

Holmes deglutì sorridendo forzatamente ed aprì la porta, voltandosi verso il letto.

-Torno subito, aspetta qui.-

Come se potesse scappare, si ritrovò a pensare e abbassò lo sguardo, cercando di ignorare il bisogno impellente di accasciarsi sul pavimento.

Non alzò lo sguardo neanche una volta durante il tragitto, preso dalla irrazionale paura che, se si fosse soffermato troppo, non avrebbe più trovato Watson al suo ritorno, e deciso arrivò alla custodia dello Stradivari. La prese e nervosamente tornò indietro. Si rilassò leggermente solo dopo aver chiuso di nuovo la porta alle sue spalle. Senza pensare, la bloccò con un tavolino sul quale vergò velocemente una breve lettera.

Solo allora si voltò, agitando la custodia in aria, come a giustificarsi.

-Visto? Eccomi qui.-

Si sedette nuovamente sulla sedia al bordo del letto ed aprì il fodero, rimuovendo poi delicatamente la coperta di velluto che avvolgeva lo strumento.

Con mani tremanti sollevò il violino e lo imbracciò, appoggiandoci sopra il mento. L’archetto si mosse nell’aria adagiandosi sulle corde, immobile.

Dentro la sua mente c’era il vuoto, nessuna idea, nessuna soluzione.

Nervoso, si schiarì la voce e lanciò un occhiata veloce a Watson.

-Ti dispiace se improvviso?-

L’odore acre gli aggredì le narici e Holmes ebbe la sua risposta.

E sì, Holmes si aspettava silenzio da parte di Watson, quello che solo lui era capace di ricreare, ma quello non era silenzio.

E quello non era Watson.

Irrigidì le spalle e strinse il violino. Non vedeva altra soluzione, non c’era altra soluzione.

Chiuse gli occhi e si lasciò andare, per la prima e unica volta.

 

 

 

-É tempo di volare, Watson.-

 

 

 

 

Fly
Any moment, everything can change,
Feel the wind on your shoulder,
For a minute, all the world can wait,
Let go of your yesterday.

 

In qualsiasi momento, tutto pu? cambiare
Senti il vento sulle tue spalle
Per un minuto, tutto il mondo pu? attendere
Lascia passare il tuo ieri

Can you hear it calling?
Can you feel it in your soul?
Can you trust this longing?
And take control

 

Puoi sentirlo chiamare?
Puoi sentirlo nella tua anima?
Puoi avere fiducia in questo momento?
E prendi il controllo

Fly
Open up the part of you that wants to hide away
You can shine,
Forget about the reasons why you can’t in life,
And start to try, cause it's your time,
Time to fly.

Vola
Apri la parte di te che vuole nascondere la via
E puoi risplendere
Dimenticati dei motivi per cui non puoi in vita
E inizia a provare
perché è il tuo tempo
tempo di volare


All your worries, leave them somewhere else,
Find a dream you can follow,
Reach for something, when there's nothing left,
And the world's feeling hollow.

 

Tutte le tue preoccupazioni, lasciano altro in qualche luogo
Cerca un sogno, lo puoi seguire
Raggiungi qualcosa quando non c'è nient'altro
E il mondo sta sentendo gridare

Can you hear it calling?
Can you feel it in your soul?
Can you trust this longing?
And take control

 

 Puoi sentirlo chiamare?
Puoi sentirlo nella tua anima?
Puoi avere fiducia in questo momento?
E prendi il controllo

Fly
Open up the part of you that wants to hide away
You can shine,
Forget about the reasons why you can’t in life,
And start to try, cause it's your time,
Time to fly.

Vola
Apri la parte di te che vuole nascondere la via
E puoi risplendere
Dimenticati dei motivi per cui non puoi in vita
E inizia a provare
perché è il tuo tempo
tempo di volare

 


And we're you're down and feel alone,
And want to run away,
Trust yourself and don't give up,
You know you better than anyone else,

 

E quando sei giù e ti senti solo
E vuoi solo scappare
Fidati di te e non cedere
Tu sai di essere migliore degli altri


Any moment, everything can change,
Feel the wind on your shoulder,
For a minute, all the world can wait,
Let go of your yesterday,

 

In qualsiasi momento, tutto può cambiare
Senti il vento sulle tue spalle
Per un minuto, tutto il mondo può attendere
Lascia andare il tuo ieri

Fly
Open up the part of you that wants to hide away
You can shine,
Forget about the reasons why you can’t in life,
And start to try,
Forget about the reasons why you can't in life,
And start to try, cause it's your time,
Time to fly.

 

Vola
Apri la parte di te che vuole nascondere la via
E puoi risplendere
Dimenticati dei motivi per cui non puoi in vita
E inizia a provare

Dimenticati dei motivi per cui non puoi in vita

E inizia a provare, perchè è il tuo tempo

Tempo di volare

Any moment, everything can change

 

In qualsiasi momento, tutto può cambiare



 

 

 

Il vento soffia, il sole splende e due tombe, ingrigite dal tempo, si ergono nel fondo di un cimitero di una piccola cittadina del Sussex.

Queste due, ferme nella loro posizione, vicine, quasi attaccate, affrontano le intemperie del tempo come i loro proprietari affrontarono anni prima le intemperie della vita.

Nessuno conosce l’identità di tali persone a causa dei nomi resi illeggibili dallo scorrere delle stagioni, ma circola una leggenda tra vecchi e bambini.

Parla di due amici, che si odiavano e si amavano.

Un giorno uno dei due muore all’improvviso mentre l'altro sopravvive, ma il defunto –solitamente denominato Dead- non riesce a lasciare veramente questo mondo.

Nonostante il suo corpo sia sottoterra senza vita, sa che un pezzo del cuore del amico è pulsante nel suo petto. Intanto, ogni giorno il sopravvissuto –solitamente denominato Alive- va a far visita alla sua tomba per cercare una soluzione.

La cerca perchè sa che non potrà mai vivere veramente finché l’altro non gli restituirà il pezzo di cuore che gli manca. E accanto a lui sente la presenza di Dead scusarsi.

"Mi hai rubato un pezzo di cuore, ladro, adesso non potrò mai vivere in pace!" sbuffa.

Fa male, lui vuole solo ricominciare.

E Dead si scusa, s’intristisce per l’amico. Ma Alive mugugna "Fa niente" e vorrebbe scappare via, farlo sul serio, ma si siede fianco a fianco del suo amico sbuffando come sempre.

Dead sorride lievemente, sa cosa significano quelle parole.

"Sai che non dico sul serio, ricordati però che neanche tu non puoi riposare veramente. Se solo tu potessi tornare, se solo tu mi potessi raggiungere, riavresti il pezzo di cuore che ti ho rubato anch'io. Ovvio che te l'ho rubato. Vuoi che rimanga un passo indietro a te? Vuoi che rimanga senza te? Mai. Mai."

 

 

 

***Angolino della squinternata***

Santo Graal, l’ho scritto.

Ho scritto l’epilogo.

Ho finito Holmes’ Private Life.

(NON VOGLIOOOOOOOOOO *si attacca a koala alla sua storia*.)

E dopo questo penoso ma veritiero spettacolo, io sono senza parole, seriamente.

Ho amato con tutto il mio cuore questa raccolta. La considero quasi la mia bambina. Il mio inno personale al legame di Holmes Watson. Il manifesto dell’amore che provo per questi due personaggi. Il mio Canone personale, mi spiego?

E, niente, potrei aggiungere fiumi di parole su questo ultimo, minuscolo capitolo, ma non penso di esserne capace, non ora.

Avviso solo che la canzone che trovate infondo è di Hilary Duff (residui d’infanzia <3) e si chiama “Fly”.

E… no, seriamente, non so cosa dire, cosa fare e come farò senza tale raccolta.

Mi sembra quasi di chiudere un’era e forse è così.

Ci tengo però a ringraziare tutti voi, voi che avete letto anche solo un capitolo di questa storia, perché mi avete spronata a continuare e non abbandonare a se stessa questa raccoltina che amo con tutto l’affetto che ho nel mio cuore.

E vorrei ringraziare anche i miei Holmes e Watson, perché mi hanno fatto divertire, disperare, sognare e incontrare persone straordinarie. E forse mi hanno anche un po’ fatta crescere.

Non lo so, sono un po’ confusa in questo momento ^^’’ quindi forse è meglio chiudere qui.

*prende un respiro profondo* Sì, chiudo qui.

 

Addio, Holmes’ Private Life.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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