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Autore: ginnyx    21/09/2010    5 recensioni
Il vento soffia, il sole splende e due tombe, ingrigite dal tempo, si ergono nel fondo di un cimitero di una piccola cittadina del Sussex.
Queste due, ferme nella loro posizione, vicine, quasi attaccate, affrontano le intemperie del tempo come i loro proprietari affrontarono anni prima le intemperie della vita.
Ma, cercando di perdere quel brutto vizio tipico degli impazienti, partirò dall’inizio, da come e chi scelse quelle due tombe.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Holmes' Private Life1-Il cassetto delle memorie perse

Holmes’ Private Life

[Il cassetto delle memorie perse]

 

 

Il vento soffia, il sole splende e due tombe, ingrigite dal tempo, si ergono nel fondo di un cimitero di una piccola cittadina del Sussex.

Queste due, ferme nella loro posizione, vicine, quasi attaccate, affrontano le intemperie del tempo come i loro proprietari affrontarono anni prima le intemperie della vita.

Ma, cercando di perdere quel brutto vizio tipico degli impazienti, partirò dall’inizio, da come e chi scelse quelle due tombe.

 

Faceva freddo, ma la primavera era ormai alle porte. In una casetta a nord del Sussex, due uomini erano seduti davanti al camino acceso, a scaldarsi le membra intorpidite dall’età che avanzava. Accomodati ognuno sulla propria poltrona, leggevano in silenzio, in quel silenzio senza pretese tipico delle persone che si conoscono da tanto tempo.

Uno dei due, un uomo con dei floridi baffi grigi, non prestava molta attenzione allo scritto che teneva in mano e, dopo aver passato dieci minuti sulla stessa frase,  decise di riporlo e di concentrarsi sul fuoco e sui suoi pensieri.

L’altro, un uomo di straordinaria statura, osservava le mosse del suo compagno nascosto dietro le pagine del proprio libro.

A un primo esame parevano semplici signori di una certa età, ma a un attento osservatore non sarebbero sfuggiti gli occhi luccicanti di entrambi. Occhi che celavano segreti, complotti e scandali. Era lampante che gli anni migliori erano passati per tutti e due, lasciando solo la dolcezza dei ricordi di una gioventù sbiadita. Ne avevano da raccontarsi, da rievocare, di avventure.

Eppure, nonostante il passaggio delle primavere si facesse sentire, erano sempre loro.

Sherlock Holmes, unico e celeberrimo consulting detective londinese, e il dottor John H. Watson, suo biografo e fido compagno di avventure.

Se al loro primo incontro nel lontano 1881, li univano necessità e curiosità, adesso, dopo aver affrontato mille avventure, c’era un bisogno diverso.

Il bisogno di avere qualcuno con cui parlare, confidarsi, ridere, piangere e ricordare.

Bisogno di un amico.

Perché era proprio questo che erano.

Amici, semplicemente amici.

Così semplicemente che ormai non potevano più farne a meno.

Qualcosa più forte del sangue, dell’amore e della necessità li teneva uniti, aggrappati l’uno all’altro. Neanche i due matrimoni di Watson avevano potuto tenerle quest’ultimo lontano troppo a lungo dal suo amico Sherlock Holmes.

Ed ora, entrambi soli al mondo, passavano le giornate assieme, finché la sera non calava e ognuno si ritirava nella rispettiva stanza.

-La vedo pensieroso, Watson. Qualcosa la turba?-, chiese il famoso detective, rinunciando al suo libro sul medioevo.

L’interpellato si riscosse dal torpore dei suoi pensieri e si girò verso l’amico.

-Niente di preoccupante, Holmes. Sono solo un po’ stanco.

-Così stanco da abbandonare il libro che l’altra sera l’ha tenuta sveglio fino a notte inoltrata?

Il buon dottore rise di cuore a quella osservazione, era proprio vero che il lupo perde il pelo, ma non il vizio.

-Mi ha scoperto, come al solito, ma capiterà la volta in cui riuscirò a prenderla in contropiede e avrò la mia piccola rivincita!

L’altro sbuffò divertito e si accoccolò meglio sulla poltrona.

-Mio caro Watson, forse lei non se n’è reso conto, ma l’ha già fatto molte volte, troppe per i miei gusti.

L’ex soldato sorrise a quell’implicito elogio, ma la sua mente era concentrata su altro. Infatti subito dopo tornò a far vagare il suo sguardo e, quando si soffermò sull’orologio, si rese conto dell’ora tarda. Fece perno sulle braccia per alzarsi, ma appena in piedi una piccola smorfia sul suo viso annunciò quello che sarebbe accaduto successivamente. Holmes, notando quei chiari segnali, si lanciò velocissimo a sostenere l’amico, evitandogli una brutta caduta.

-Vedo che è ancora capace di quegli scatti micidiali che mi stupivano anni fa e che mi stupiscono tutt’ora-, cercò di scherzare Watson.

-E se ben ricordo, lei era dottore, quindi dovrebbe sapere come sta la sua gamba-, gli rispose con bonaria ironia Holmes.

Il detective lasciò la presa sul suo coinquilino solo quando si fu scrupolosamente accertato della sua stabilità.

-Sa, Holmes, mi sento veramente stanco, penso proprio che dormirò come un sasso-, disse il dottore incamminandosi verso la camera, ma a un certo punto si fermò, tentennò un po’ incerto sul da farsi e poi continuò a parlare. –Ormai alla mia età si ha bisogno di dormire. Non… non mi svegli domani mattina… Mi lasci al mio lungo sonno.

Le parole dell’amico avevano stuzzicato la mente del detective, che fece scorrere lo sguardo sulla figura che gli si stagliava davanti. L’abito, i baffi, il bastone, erano sempre gli stessi di tanti anni prima. Niente pareva cambiato. Come rincuorato da questa visione, Holmes fece cenno di aver inteso. Watson era sempre stato un po’ pigro, ma nel momento del bisogno sapeva diventare una tigre e questo lui lo sapeva bene.

Così si salutarono, dandosi tranquillamente la buonanotte, ma non sapendo che quella sarebbe stata l’ultima volta.

La notte lasciò spazio al giorno e un meraviglioso sole illuminò il paesino del Sussex. Holmes si svegliò abbastanza presto e fece il suo mattutino controllo delle api. Si soffermò per annotare alcuni dettagli sul suo taccuino e poi rientrò in casa, dove la sua governante aveva appena preparato la colazione. La mattinata procedette tranquilla e il detective rispettò il desiderio del suo amico di rimanere a letto, ma quando allo scoccare delle dodici il dottore non si era ancora alzato, decise di prendersi la libertà di svegliarlo.

Con passo tranquillo camminò lungo il corridoio, per poi bussare alla porta.

-Watson, sono le dodici, non vorrà saltare il pasto.

Passarono i secondi, ma il silenzio non si spezzava.

-Watson?-, chiese questa volta con leggera preoccupazione.

Batté più forte contro il legno, ma niente gli giunse in risposta. Il suo amico era sempre stato molto sensibile ai rumori forti per via dell’Afghanistan, avrebbe dovuto sentirlo subito.

Provò ad aprire la porta, ma era chiusa a chiave. Questo spaventò ancora di più l’uomo. Il suo amico non aveva mai chiuso la porta della sua stanza con la serratura, neppure a Baker Street. Doveva essere sicuramente successo qualcosa.

Con una certa agitazione, la mente più macchinosa di tre continenti si mise all’opera per buttare giù la porta.

Ma quando ci riuscì, rimase senza fiato davanti alla più orrida delle visioni.

Watson, il suo biografo, il suo compagno di avventure, il suo amico, era sdraiato sul letto.

Pallido, come solo la morte può essere.

Subito gli corse al fianco, ma invano gli cinse il polso in cerca di qualche battito.

Holmes si strinse le mani fino a sbiancarsi le nocche, quasi irato per la sua impotenza, per la sua stupidità. Come aveva potuto non capire? Eppure ieri sera era così strano, avrebbe dovuto intuirlo. Dalle sue parole, dai suoi gesti. Come aveva potuto ignorare quei segnali che il dottore gli aveva lanciato? “Lungo sonno” aveva detto la sera prima, ma era questo quello a cui alludeva, al sonno eterno? Sapeva che sarebbe…?

Strinse gli occhi e aggrottò la fronte.

No, no, no. Non era possibile, come avrebbe potuto capirlo? Una sensazione, un presagio? E anche ammesso che lo sapesse, perché non gliene aveva parlato?

Troppe domande senza risposta gli aleggiavano nella mente. Stava giungendo a conclusioni affrettate senza avere prove certe e questo, lo sapeva bene, era la cosa peggiore che si potesse fare nel suo mestiere.

Sospirò mestamente e si passò una mano sulla fronte. Adesso cosa doveva fare?

Sollevò lo sguardo su quel viso di cui conosceva ogni minima espressione.

Sorrideva il buon dottore, sorrideva.

Con lo stesso sorriso che il detective gli aveva visto in volto il giorno in cui si erano incontrati.

Il mondo poteva cambiare, evolversi, girare al contrario, ma Watson sarebbe rimasto sempre lo stesso. L’unico perno fisso in un epoca di cambiamenti.

E lui l’aveva perso, perso per sempre.

Quel pensiero gli trapassò il petto, doloroso come non mai.

Sherlock Holmes era una macchina, Sherlock Holmes era solo l’appendice del suo cervello, Sherlock Holmes non si lasciava andare a blandi sentimenti.

Ma quello era blando? Quel dolore che sentiva all’altezza del petto, dove avrebbe dovuto esserci solo pietra, era veramente così increscioso?

Lo stava distruggendo, lo stava distruggendo dall’interno, eppure era l’unica cosa che ancora lo teneva legato a quel corpo morto disteso sul letto.

Ecco, doveva pensare come se fosse uno dei suoi soliti casi e quello a fianco a lui fosse un cadavere come un altro.

Ma era Watson, per Dio, Watson, non un essere qualunque.

Calma, calma, non doveva perdere la calma. Prima o poi tutti muoiono soprattutto quando l’età avanzava, lo sapeva benissimo. Suo fratello era morto anni prima e gli era dispiaciuto moltissimo, ma non gli aveva fatto questo effetto.

Perché?

Ecco la domanda giusta, la traccia giusta.

Perché Watson sì e Mycroft no? Quali erano le differenze? Entrambi erano morti sereni, nelle loro case e quando avevano già speso molti anni della loro vita. Mycroft morto d’infarto fulminante, invece Watson… Watson di cosa era morto?

Il suo sguardo s’illuminò e con passo marziale si diresse fuori dalla stanza. Incurante delle proteste e delle domande della governante, rientrò nella stanza dell’amico senza aver cenato o accennato ai fatti successi e dando alla donna la giornata libera.Quando si fu chiuso la porta alle spalle in mano aveva uno dei suoi vecchi ferri del mestiere, un attrezzo speciale in grado di aprire qualsiasi serratura.

-Mi dispiace, vecchio mio- disse mentre si avvicinava alla vecchia scrivania proveniente da Baker Street, –Ma devo scoprire la verità.

Cercava telegrammi, documenti, fatture, qualsiasi cosa che potesse dargli informazioni sulla salute di Watson.

Non aveva ancora trovato niente quando, alle prese con l’ultimo cassetto,  un doppio fondo si svelò ai suoi occhi.

Se chiedi a qualcuno cosa si tiene nei cassetti, sicuramente ti risponderà “sogni” oppure “calzini”, ma se lo chiedi a chi conosceva il dottore ti dirà “documenti medici”, “l’elenco dei clienti”, magari lo stetoscopio. Ma in un doppio fondo? Cosa poteva tenere Watson in un doppio cassetto di cui neanche lo stesso Holmes sapeva l’esistenza?

Delicatamente il detective lo sollevò, mostrando la soluzione del problema.

Gli venne quasi da sorridere.

Piena di polvere e mezza sfilata dal suo astuccio faceva la sua comparsa la vecchia siringa ipodermica di Holmes, tanto odiata dal suo amico. Ci aveva messo anni per liberarsene e senza l’aiuto di Watson non ce l’avrebbe mai fatta, ma nonostante il pericolo fosse ormai lontano il dottore aveva voluto nasconderla, “onde evitare future ricadute” aveva detto. Di fianco ad essa, però, c’erano cose ben più interessanti che attirarono l’attenzione di Holmes.

Fogli ingialliti, tanti fogli ingialliti, tutti racchiusi in un'unica cartella su cui si stagliava l’inconfondibile calligrafia del suo amico.

Dopo averla osservata per bene prese una sedia e, spostatala vicino al letto, ci si accomodò sopra.

-E così, Watson, è riuscito a sorprendermi anche questa volta, è riuscito a prendersi la sua rivincita per l’ultima volta-, disse con nostalgia, sorridendo pallido al corpo affianco a sé.

Strinse la carpetta tra le mani e per un attimo chiuse gli occhi. Quando li riaprì era pronto. Pronto a leggere di nuovo, per l’ultima volta, le avventure narrate da Watson, suo biografo e compagno d’avventure ma, soprattutto, suo amico.

 

Questa cartella racchiude in sé memorie perse, nascoste, custodite, verità celate anche ai propri cuori.

Questa cartella è stata creata per nasconderle al mondo, ma al tempo stesso per non dimenticarle.

Questa cartella contiene cose così private, che io stesso ho convenuto che non sono sicure neanche in mano mia, preferendo lasciare a questo cassetto l’onere di custodirle.

Questa cartella potremmo chiamarla “Holmes’ Private Life”.

 

 

 

***Angolino della squinternata***

*Si percuote da sola, essendo cosciente di aver ucciso Watson*

Mi dispiace, mi dispiace veramente, ma non uccidetemi, se no non saprete mai il contenuto della cartella! La morte del dottore era una cosa inevitabile, ma io l’ho fatta nella maniera più dolce e tranquilla possibile. Forse Holmes vi sarà sembrato un po’ OOC, ma a me no. Insomma, non sarebbe mai rimasto freddo come un ghiacciolo davanti alla morte di Watson! Ho sempre voluto sfatare il mito dell’ Holmes polaretto, perché sì sarà un po’ austero ma non insensibile e il Canone ce lo dimostra in 200 modi diversi. Ma non sono qui per polemizzare. Mi dispiace se avete trovato il mio Holmes OOC, ma per me non lo è. Naturalmente pensarla diversamente da me, non vi impedisce di dirmi le vostre impressioni, sono sempre aperta a nuove interpretazioni se ben argomentate.

Ma passiamo alla cosa che c’interessa di più (?), la storia.

Questa storia è un po’ strana, ma cosa non lo è nell’appartamento di Baker Street?

 

Questa raccolta inizia così, inizia dalla fine, visto che questo brutto vizio l’ho sempre avuto xD. Dalla cartella e da dove è trovata, viene il titolo di ciò che state leggendo. Questo è il prologo, la vera raccolta inizierà con il prossimo racconto. Avviso subito che nessuna delle avventure che presenterò saranno scritte in stile Doyleiano, essendo che la qui presente autrice non ci riesce.

 

Questa raccolta è un po’ speciale, per non dire strampalata. Nella cartella non sono raccolti casi, misteri o  simili. Ci sono solo tanti piccoli squarci della vita quotidiana del 221B Baker Street e dei suoi inquilini. Il titolo parla chiaro, si tratterà la vita privata di Holmes. Per esempio non vi piacerebbe sapere qualcosa in più sulla infanzia del nostro consulting detective preferito? Ecco, io vi propongo questo. Quindi niente gialli, purtroppo.

 

Tutto ciò che avete letto è ambientato in un anno non precisato, ma quando sia Holmes che Watson erano molto avanti con l’età. Sicuramente dopo la prima guerra mondiale, comunque. Non ho preso una data precisa perché era già troppo difficile far morire Watson, se poi dovevo scegliere anche quando… Comunque, come ho specificato, sono “entrambi soli al mondo” e la seconda moglie di Watson? Morta xD, io non so neanche il suo nome quindi me ne frega poco. Pensate al povero Watson senza moglie, solo in casa, senza nessuno a cui appoggiarsi, mi pareva ovvio che sarebbe tornato a vivere con il suo vecchio amico Holmes, il quale sarebbe stato felicissimo di riaverlo con lui.

 

Se la governante vi è sembrata strana, pensate al fatto che né Holmes né Watson sanno cucinare, pulire o tenere dietro a una casa. Il resto viene da sé, però per essere precisi, vi informo che la governante non vive con loro, ma in una casa limitrofa a quella di Holmes, in modo di essere sempre pronta nel bisogno, ma nello stesso momento di lasciare il dovuto spazio ai due coinquilini.

 

Ho cercato di scrivere la storia in maniera molto rilassata, dolce. Senza ritmi serrati o ansia. Con una serena consapevolezza, oserei dire. Spero che tutto questo vi sia passato e che non vi sia risultata noiosa.

 

 

Vi ringrazio tantissimo della vostra pazienza, perché sciropparsi tutto questo non è certamente un divertimento. La mia unica speranza è di avervi provocato qualche sentimento, di qualsiasi natura esso sia.

Grazie ancora e al prossimo aggiornamento con il primo documento della cartella, ossia “La strana giornata della sincerità”

 

   
 
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