Don't Fear the Reaper

di Subutai Khan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le giornate possono cambiare anche in pochi momenti ***
Capitolo 2: *** Folate di tempo ***
Capitolo 3: *** Corri Karl, corri ***
Capitolo 4: *** E lei se la gode ***
Capitolo 5: *** Morte di un vecchio decrepito ***
Capitolo 6: *** Devo sciogliere grossi nodi, ci vuole un grosso pettine ***
Capitolo 7: *** Nuovi e dolci amici si aggiungono alla festa ***
Capitolo 8: *** Sophie nel paese dei mangia-kartoffen ***



Capitolo 1
*** Le giornate possono cambiare anche in pochi momenti ***


Che vita di merda.
Me ne sto spaparanzato nel mio ufficio tre metri per tre, con le gambe sul tavolo ed un bicchiere di caffè fumante. Appicicatemi sulla fronte un Post-It con su scritto “Dick Tracy senza la fighezza” ed avrete un’idea della situazione.
Faccio l’investigatore privato di mezza tacca. O meglio, mi diletto. Sono mesi che non vedo l’ombra di un cliente e che tiro avanti la baracca a suon di prestiti semi-estorti a parenti ed amici.
La polizia mi sopporta a malapena e tende ad evitarmi il più possibile o a non considerarmi attendibile. Ormai mi sono fatto fama di essere uno spione senza precedenti nel campo. Se non fosse per il vecchio Dummkopf, al secolo il capitano Marius Rahn, avrei già chiuso da tempo con gli sbirri. Insomma, va tutto da schifo.
Karl Mantzer è un fallito del cazzo.
Bah, non c’è nulla che possa fare per risollevarmi. Neanche affogare nell’alcool, dato che sono completamente astemio ed il solo odore della birra mi da alla nausea.
Ebbene sì, così come esistono italiani non mafiosi, francesi non cuochi ed inglesi non stronzi esistono tedeschi che non bevono. Questo non vuol dire che i loro più rozzi simili non li trattino come una casta inferiore.
Soprattutto nel periodo dell’Oktoberfest è una tragedia. Vedo partire da qui, Amburgo, carovane apparentemente infinite di autobus pieni di gente diretta a Monaco per navigare con le zattere in mezzo a fiumi di doppio malto e rossa, poter assaggiare il mare su cui galleggiano e commentarne la qualità con il vicino.
Tutti i miei amici ci vanno: Hans, Fritz, Daniel, tutti. Rimango solo come il coglione che riconosco di essere e passo le serate nel mio modesto appartamento a sentire sino allo sfinimento gli Aerosmith. Per chi tocca la mia sacra copia di Get a Grip riservo il taglio delle mani.
Sorseggio sconsolato la mia fumante bevanda. Cazzo sto qui a fare? Tanto sarà una giornata inutile come tutte le altre. Nessun sprovveduto verrà qui cercando il mio aiuto per inchiodare la fidanzata che lo cornifica, o per dimostrare che non è stato incastrato dal malavitoso di turno.
Non succederà nulla, ne sono sicuro.
Quindi tanto vale che me ne torni a casa a dormire, quantomeno farò qualcosa che mi piace.
E quindi, non appena svuoto in un sol colpo il bicchiere di plastica, mi alzo a prendere alcune carte dallo schedario. Appena sistemo questo ciarpame mi fiondo sotto le coperte.
Macché, chiedo troppo.
Ecco il primo cliente dopo secoli. Usualmente lo considererei un miracolo, ma oggi è solo una scocciatura. Non ho nessunissima voglia di lavorare e nessunissima voglia di stare a sentire le grane di ‘sto tizio.
Se ne entra trafelato, senza bussare. Si siede di fronte a me, sudato come un maiale. Sembra sconvolto. Si guarda intorno, come se fosse spaventato da qualcosa che io non riesco a vedere.
Ci manca anche che sia pazzo.
“M-Mi devi ai-aiutare. Ho bis-sogno d’aiuto”.
Ok, è pazzo. Ma che giornata di merda.
“Si calmi e mi dica che problema ha”. Come se me ne fottesse qualcosa.
Prende un respirone profondo, anche se ansima come se avesse appena corso i diecimila metri.
“D-Devo trov-vare una per-rsona”.
Oh bene, un incarico da segugio fiutatore. Proprio il tipo peggiore.
“E sentiamo, chi dovrei trovare? Sua moglie che è scappata con l’idraulico? Il suo cane? Il suo ex-socio che si è fregato il patrimonio della società?”. Il tono scazzato mostra pienamente il mio interesse a questo caso. Quando mi ci metto so essere davvero irritante.
“N-No. Devi trovare una ragazza, si chiama Sophie”.
Wow, con questa descrizione gliene porto milioni di tipe.
“Magari qualche particolare in più. Alta, bassa, mora, bionda, brutta, bella, con le lentiggini, una cicatrice in faccia, una benda da pirata sull’occhio, la gamba di legno…”.
Prende a tremare ancora di più.
“Non so altro su di lei. Devo trovarla, devo, devo. Aiutami, sono disperato”.
Ma che palle. Se la mette sul patetico dovrò cedere, sono un tenerone in fondo e non me la sentirei di lasciare uno schizzato del genere libero di camminare per la strada senza nessuno che lo controlli.
“Ok, ok, ora si quieti un attimo. Le darò una mano. Prima, però, mi dovrebbe dire il suo nome”.
Appena finisco di pronunciare la parola “nome” vedo come una luce d’orgoglio accendersi negli suoi occhi.
E sotto il mio allibito sguardo il tipo comincia a perdere l’aria di uno fuggito da un manicomio. Si ricompone, si riallaccia la camicia che era tutta slargata, recupera il fiato. Ritorna nel novero delle persone civili, per farla breve.
“Mi chiamo Alexander Felix”.
Ah, tutto qua?
“Ed il cognome?”.
“Non ho cognome”.
Che assurdità è mai questa? Chi non ha cognome?
Ciò che realmente mi inquieta di costui è il suo essere diventato improvvisamente altero, come se richiudesse nel proprio nome tutta la sua dignità di essere uomo. Appena pronunciatolo ha assunto l’altezzosa posa da esponente della casata che dura da venti generazioni. Di quella nobiltà vecchio stampo ottocentesca.
Eppure dice di non avere cognome, mentre i membri di famiglie dal sangue blu hanno di solito un papiro per cognome. È un controsenso mostruoso.
“Va bene Alexander, accetto. Per quanto riguarda il pagamento…”.
Con pochissimo tatto mi interrompe, la sua voce ora sicura e quasi autoritaria: “Non preoccuparti di quello, i soldi non sono un problema. Ti pagherò ad ore. Mille Euro all’ora”.
Mi casca la mascella sino a terra. Mille Euro? Dev’essere il fratello segreto del sultano del Brunei, è l’unica spiegazione plausibile. Mai avevo sentito una cifra così alta. Il mio tariffario prevede cinquanta Euro al giorno più le spese, nei casi più complessi arrivo al massimo a cento. Ma mai mille. All’ora.
“Ti bastano? Se vuoi posso arrivare a duemila”.
“No no, sono più che sufficienti” tentenno con insicurezza. Qua ci sarebbe l’affare del secolo, ma per un qualche motivo etico non ben chiaro non me la sento di approfittarne, sarebbe come razziare le uova d’oro della gallina.
L’ho detto che sono buono in fondo.
“Molto bene” dice soddisfatto “allora puoi metterti al lavoro”.
Ehi, ehi, con calma. Ok che ho accettato, ma rimane che non ho un cazzo di voglia di sgobbare stamattina.
“Ehm, veramente non sto granché bene. Se non le dispiace vorrei andare a casa a riposare. Se vuole” e frugo un po’ nella tasca della giacca, dalla quale esce il portafogli che a sua volta sputa fuori il mio biglietto da vista “può venire domani a casa mia, così mi potrà raccontare meglio com’è fatta questa Sophie e quand’è stata l’ultima volta che l’ha vista”.
Lui rimane un po’ interdetto, poi fa spallucce e prende il biglietto. Lo mette via, si alza, fa per andarsene quando poi si ferma.
“Fammi un piacere Karl: dammi del tu. Odio i formalismi”.
Mai avuto un cliente così diretto. Di solito sono tutti sorrisini, buone maniere ed unto servilismo perché “è lei quello che conosce il mestiere”. Ammetterò che comincia a piacermi.
“Va bene Alexander, hai vinto. Dove alloggi?”.
Non trattiene una risatina di genuino divertimento: “È così evidente che non sono tedesco?”.
Ridendo leggermente a mia volta rispondo: “Sì, hai un pesante accento anglofono”.
“È vero. Sto al Graft Moltke, in Steinstrasse”.
“Conosco. In pieno centro”.
“Esatto. Beh, allora vado”.
“Aspetta, aspetta”. In uno scatto d’estro gli “inquadro” il volto mettendo le dita come a formare l’obiettivo di una macchina fotografica e lo osservo, dato che prima non ne ho avuto il tempo e/o la voglia: è discretamente alto, ha i capelli castani chiari, un po’ stempiato. Il viso è piuttosto rotondo e, benché non dimostri più di trenta-trentadue anni, ci sono un paio di strane cicatrici, come se fossero lievi ferite da arma da taglio. Soprattutto una che gli attraversa il naso in larghezza.
Poi mi accorgo solo adesso che mi ha offerto la mano e gliela stringo.
Benché mi abbia preso in un momento completamente sballato è riuscito a convincermi, e non è una cosa semplice. Ci sarà un motivo se sono considerato un cocciuto totale da chiunque possa dire di conoscermi.
Mentre si allontana mi fermo a pensare un attimo: io l’ho già visto, il nostro buon mr. Non-Ho-Cognome. Ha una faccia nota.
E con quel “l’ho già visto” non intendo dire che l’ho adocchiato per sbaglio al pub e mi è rimasto impresso. No, no. Intendo dire che ho visto la sua foto su qualche giornale, od in tv. Ne sono più che sicuro.
Prima di andare a casa farò bene a passare per un Internet point e consultare l’archivio online della Suddeutsche Zeitung.

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Capitolo 2
*** Folate di tempo ***


Bannockburn, Scozia. Anno Domini 1314.
Intorno a me la battaglia infuria. Le truppe scelte inglesi sembrano un unico, grande, inarrestabile mulinello distruttivo ma i nostri della prima linea reggono abbastanza bene.
Nel mentre, sul lato destro del campo di battaglia, i Templari falciano gli arcieri nemici come se fossero spighe di grano. Mai vista tanta furia e bravura in combattimento. I cavalieri con la croce rossa di Cristo sembrano dei demoni.
Frecce infuocate volano nel cielo delle Highlands, da una parte e dall’altra.
Ma questi, per ora, non sono problemi miei.
Mi trovo al di fuori del centro nevralgico dello scontro, in quella mischia devastante che tanto bramo per poter dimostrare al mondo l’orgoglio del nostro popolo, soppresso ingiustamente da una corona straniera. Eppure non posso.
Sono in disparte.
Non di certo per vigliaccheria, visto che mi si può accusare di tutto ma non di essere un codardo.
È accaduto un fatto quantomeno singolare: sono stato sfidato a singolar tenzone. Nel bel mezzo di una battaglia campale. Ed il mio avversario mi ha chiesto di poterci allontanare dai due eserciti, ci avrebbero solo disturbato.
Ho accettato.
Ed ora ce ne stiamo lontani parecchie centinaia di metri. Fermi. Immobili. A squadrarci.
Sembra più giovane di me, avrà non più di ventisei o ventisette anni mentre io ho abbondantemente superato i trentacinque. Alto ma un po’ tarchiato, con dei corti capelli di un colore sospeso fra il rosso ed il bruno, non riesco a vedergli gli occhi perché siamo troppo distanti. Non che me ne freghi molto, eh. È solo un nemico da abbattere.
Ma proprio non capisco. Perché mai un soldato semplice dell’odiatissimo esercito inglese ha preso me, uno scemo qualunque, e mi ha trascinato fuori dalla bolgia dello scontro per sfidarmi a duello? Potrei capire se l’avesse fatto con il nostro amato re Robert the Bruce, o con qualche nobile in vista.
Ma perché io? Sono un umile contadino senza alcuna esperienza guerresca che si è offerto volontario per questa battaglia ben sapendo che difficilmente ne sarebbe uscito vivo.
Ed ora sono qui, al riparo dalle situazioni più pericolose, a fronteggiare qualcuno che mi ha scelto. Sì sì, mi ha proprio selezionato. Appena i due eserciti si sono scontrati frontalmente lui mi ha afferrato, con la spada ancora nel fodero, e mi ha fatto rotolare fuori dalla mischia appena accesasi. Poi, mentre stavo per tornare nella zona calda, mi ha fermato con le parole che mai mi sarei aspettato di sentire in questo lungo giorno: “Io ti sfido”.
“Sto ancora attendendo una risposta” gli urlo con tutto il fiato che ho in gola per sovrastare il clangore delle armi.
Non risponde, e si limita a guardarmi.
Odio i reticenti.
A ‘sto punto non mi rimane che sbudellarlo e poi chiedergli il perché del suo gesto.
Estraiamo le spade nello stesso istante, e come due furie ci gettiamo uno sull’altro.
Lottiamo convinti per molto tempo. A sufficienza da poter sentire, con la coda dell’orecchio, la battaglia principale che va pian piano spegnendosi.
Siamo entrambi stremati.
Io sono ferito in modo abbastanza grave ad un braccio, ma non così tanto da impedirmi di reggere l’elsa.
Lui invece ha un profondo taglio sulla guancia. Metà della sua faccia è dipinta di rosso, come in una lugubre maschera.
Alla fine, dopo un altro paio di scambi, la disperazione e la fatica mi spingono a trovare un buco nella sua guardia e ad infilare dentro il suo stomaco la mia lama per tutta la sua lunghezza.
Prima di crollare a terra riesce a falciarmi metà dell’indice sinistro.
Tenendomi la parte lesa mi avvicino, dato che fa ampi cenni con il braccio tremolante e mi incita a farmi sotto.
In un certo senso mi sento legato a costui, benché non sappia nulla di lui.
Mentre continua a sputare e tossire sangue dalla bocca raccoglie le ultime forze che gli rimangono e mi dice: “C-Ce l’ha-i f-fatta…il pr-prim-o…”.
"Non capisco".
“C-Cap-pirai pr-es-sto”.
Poi mi muore fra le braccia, mentre lo scuoto e cerco di fargli finire la frase.
Bah, evidentemente era matto.
Faccio per rientrare nella mischia quando mi accorgo che ormai è tutto finito: corpi accatastati uno sopra l’altro, sia inglesi che scozzesi; bandiere spezzate che fanno capolino dal terreno; erba rossa.
Quando tornerò a casa nessuno mi crederà, mi prenderanno tutti per pazzo. E probabilmente mi accuseranno di essermi inventato tutto per evitare la battaglia.

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Capitolo 3
*** Corri Karl, corri ***


Ma guarda guarda, che robina interessante.

22 maggio 1999

Pauroso incidente aereo in Croazia
358 i morti

Spalato - Ieri, alle 5 del mattino ora locale, è avvenuta una terribile sciagura dell’aria. Un Boeing 747 in volo da Francoforte verso Abu Dhabi è precipitato nei pressi dell’aeroporto Kastela di Spalato, nel sud della Croazia. Sono ancora incerte le cause. Visto che è giunto un SOS alla torre di controllo da parte dell’aereo poi caduto si può presumere che vi sia stato un guasto a bordo, ma il mancato ritrovamento della scatola nera e la pessima qualità del messaggio ricevuto dagli addetti a terra non permette, almeno per ora, di risalire al motivo esatto.
Pesantissimo il bilancio: delle 359 persone a bordo, fra personale e passeggeri, solo un sopravvissuto. Maschio, bianco, di probabile nazionalità inglese a sentire l’accento, sprovvisto di documenti di riconoscimento, è stato ritrovato dalle squadre di soccorso mentre balbettava a proposito “del fato che si ripeteva”. Successive analisi psicologiche hanno escluso la perdità delle facoltà mentali. In pratica, per chi non mastica questi termini tecnici, non parrebbe matto.
Costui, per cui sono state scatenate ricerche in tutto il mondo a causa della sua apparente mancanza di nome e passato, è stato anche assai fortunato poiché si trovava nel punto del velivolo più danneggiato dall’impatto con il suolo.
Riportiamo una foto dell’uomo sotto.


E, come volevasi dimostrare, la foto è del nostro caro amico Alexander Felix.
Quindi ricordavo bene, l’avevo già visto. D’altronde è difficile dimenticare una tragedia del genere, è stato il più grave incidente aereo degli ultimi dieci anni.
Rammento anche che fu stabilita, dopo parecchi mesi, la causa dell’incidente: fu un sabotaggio. L’ala sinistra del velivolo era stata manomessa da ignoti, e non si sa perché non venne controllata prima della partenza.
Caddero molte teste per questo scandalo.
Ma niente di questo mi interessa, ora come ora.
Adesso voglio scoprire come ha fatto Alexander ad uscire vivo. Vidi delle immagini alla tv di questo disastro: certi pezzi dell’aereo erano addirittura finiti in mare, e tutti i frammenti rimasti nella zona dell’impatto si erano quasi disintegrati.
È oggettivamente impossibile che un essere umano sopravviva ad una strage del genere.
Eppure lui c’è riuscito.
E mi sa che non ho ancora finito. C’è un altro link riguardante il mio misterioso cliente.
Su, muoviti a caricare.

16 dicembre 2001

Treno deraglia ed entra in un cinema
Non ben chiari i motivi

Boston - Terrificante incidente ferroviario ieri pomeriggio a Boston. Un treno ad alta velocità, diretto a Los Angeles, è deragliato qualche minuto dopo essere uscito dalla South Station. Nella loro folle corsa senza controllo le prime carrozze del convoglio hanno finito con lo sfondare il muro di un cinema vicino, provocando un eccidio.
Ancora incerto il bilancio, che comunque vede sicuramente almeno 200 morti ed altrettanti feriti.
Degno di nota il caso di un ragazzo di cui ancora non si conosce il cognome, Alexander. Si trovava in cima al treno, nel punto più pericoloso in assoluto. Ed è uscito dalle lamiere sulle sue gambe, senza apparenti danni. Dai primi controlli medici è risultato poi che si è rotto un braccio, ma considerata l’entità della tragedia si può dire che ne è uscito completamente illeso. È già stata aperta un’inchiesta dalle autorità competenti per stabilire le cause dell’incidente.


Sempre più stuzzicante.
E così il buon Alexander è scampato non ad uno, ma a due fatti che avrebbero ucciso anche il più robusto dei Titani.
Se questo non è pane per un investigatore non so cosa può esserlo.

Incredibile.
Sento la fiammella.
La fiammella dell’interesse.
Erano secoli, e potrei quasi affermare che non è un modo di dire, che non ero così coinvolto da un caso.
Ormai lavoravo per inerzia. Lo spirito d’avventura dei primi tempi era andato via via riducendosi, fino a risultare talmente sbiadito da essermi estraneo.
D’altronde “carmina non dant panem”. Cosa c’entri in questo contesto non lo so, ma come frase ci stava bene.
Sì, l’arrivo di quell’uomo nel mio studio è stato un regalo divino.
Pago il salatissimo conto della connessione e me ne vado trafilato, non prima di aver stampato i due articoli.
Quella di domani sarà un’interessante discussione. Sono curioso di sapere cosa mi dirà per giustificarsi.

[10 minuti dopo]

Odioso.
Il traffico di Amburgo è odioso.
Non è possibile: uso la macchina tre volte al giorno e quando devo attraversare il centro mi metto a pregare tutti gli dei, compresi gli Antichi di Lovecraft, per ottenere la grazia di non passare l’intera giornata seduto su questa quattroruote.
Possiedo questa Opel da un mese e il sedile ha già la forma del mio culo.
Kennedybrucke, dove ho la sfortuna di abitare, non è mica in Nepal. Eppure impiegherei probabilmente meno ad arrivare alle falde del Nanga Parbat.
Ok ok, ora basta. Imprecare non mi farà arrivare a casa più velocemente.
Certo che se becco lo stronzo che ha avuto la bella idea di mettere giù questo piano regolatore del piffero so dove mettergli il piffero. Necessitasi vaselina.

[45 minuti dopo]

Home sweet home.
Credevo sarei morto in un ingorgo.
Tiro un lungo, lunghissimo sospiro di sollievo di fronte alla porta in noce del mio appartamento.
Ora tiro fuori la chiave, la metto nella toppa e…non ce n’è bisogno?
La porta è aperta?
Occazzo, ecco cosa mi mancava. I ladri in casa.
Non capisco però. Mentre entro, accendo la luce, osservo sconsolato la scena post-tsunami e guaisco depresso non riesco a capacitarmi di dove abbiano trovato il coraggio di venire a rubare a casa mia.
Non ho assolutamente nulla di prezioso, dal punto di vista monetario quantomeno. Non possiedo nessun bene iper-tecnologico come lettori DVD al plasma nero, stereo con inclusa macchina del caffè, televisori nucleari. Non posso neppure dire di avere grande motivo di vanto nei miei mobili, che ormai fungono da McDonalds per tarme, pidocchi e germi in generale.
Ci manca poco e ho la carta igienica come tappezzeria.
D’altronde, considerate le dimensioni di ‘sto bilocale della minchia ed il mio opulento conto in banca mi posso considerare fortunato ad averla, una tappezzeria.
Bah, mi conviene mettere tutto in ordine, arieggiare la stanza con un buon pacchetto di sigarette ed attendere domani.
Vieni Alexander, vieni.
Ah, tanto per essere sincero: allo stronzo vorrei infilare due pifferi su per il culo.

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Capitolo 4
*** E lei se la gode ***


Ahh, il sole di Barcellona.
La primavera è decisamente la stagione che preferisco. Calda quanto basta, non eccessivamente umida, senza quel fastidiosissimo vento invernale a farmi rizzare tutti i peli delle braccia.
Per mia fortuna hanno deciso di mettere delle sedie fuori dal Maremagnum, cosicché le brave persone come la sottoscritta possano godersi una splendida giornata come questa.
E sono stata ancora più fortunata nello scoprire che le discoteche sono chiuse, adesso. È pur vero che ogni tanto mi diverto ad andare in pista e scatenarmi, sperando anche che qualche bel ragazzo decida di farmi il filo. Ma in questo momento quello strabordante susseguirsi di note sempre uguali sarebbero state fuori luogo ed avrebbero irrimediabilmente rovinato la poeticità della situazione.
Sorseggio con signorilità il mio mojito. Sia benedetto Hemingway che ha inventato tale meraviglia. Non sono un’ubriacona come magari si potrebbe pensare, ma la mia naturale natura snob ha bisogno di essere manifestata in qualche modo, e questo è uno di quelli che trovo più soddisfacenti e goduriosi.
E così, baciata dal tepore e dalla bellezza della vita, me ne sto comodamente seduta a chiedermi come fa ad esistere gente che si suicida.
Sì, può darsi che non sia proprio nella posizione più adatta per giudicare persone che non conosco; ma diamine, una ragazza dovrà pur divertirsi in qualche modo.
Sto divinamente.
E non me ne pento perché…urgh.
Dolore.
Sento dolore.
Inspiegabilmente.
Lo stomaco, mi duole lo stomaco. Da matti.
Solo altre due volte è successo. La stessa identica cosa.
Mi beavo di me stessa ed improvvisamente quello è venuto a disturbarmi.
Quello.
Ciò che non vorrei mai accadesse. Ma che puntualmente sfracella le uova del mio adorato paniere rosa pastello.
Il Momento.
E così Alexander ha deciso.
Finalmente, aggiungerei. Era da molto, molto tempo che attendevo.
D’altronde ha avuto una resistenza a dir poco sovraumana. Nessuno, prima di lui, ha potuto dire di aver retto così tanto a lungo.
Avrei dovuto immaginarlo, la pace assoluta esiste solo nei film americani.
È giunta l’ora di schiodarsi da questa sofficissima sedia e darsi da fare.
Perché non voglio che il mio giocattolino preferito si rompa in maniera tanto misera.
Prima di alzarmi, però, qualche doverosa sistemata al rosso tailleur. Non sia mai che vada in giro sciatta e trasandata come l’ultima delle lavandaie.
Sistemate le questioni di moda posso infine pagare il cocktail, sperando di poterne degustare con avidità un altro prima della fine di questa faccenda, ed avviarmi.
Dove ancora non lo so, ma lo saprò ben presto.
Dopotutto io ho dei compiti ben precisi, per quanto la cosa possa scocciarmi non ho il diritto e neppure la facoltà di sottrarmi alla loro incombente morsa.
Che palle.
Addio, piccola e ben accolta tranquillità.
Mal arrivata, scomoda e non voluta avventura.
A volte mi chiedo se non possa presentare una protesta formale per liberarmi del mio pesante ruolo. Insomma, i capi sanno essere inflessibilmente puntigliosi ma non me la sento di dire che siano cattivi. Magari, in un insperato impeto di bontà, decideranno di sollevarmi da questa noiosa fatica che mi tocca sopportare e di assegnarla sulle corpose spalle di qualcuno più volenteroso.
Vabbè, rimuginare su queste cose non mi aiuta adesso. Ora è il momento che entri seriamente nell’ottica professionale e faccia ciò che devo fare, volente o nolente.
Quindi, seppur con il cuore in pezzi, lascio la gigantesca fortezza del divertimento catalano: temo che sia un abbandono definitivo, questo. La cosa mi distrugge, non avevo mai bevuto un mojito così buono.
Il silenzio è la condizione primaria affinché possa cominciare a muovermi in una certa maniera. Pertanto, dopo un breve viaggio in taxi, mi infilo lesta in una semideserta via del barrìo gotico; fatto questo posso finalmente dedicarmi al mio obiettivo.
Concentrazione, destrezza mentale, zen focalizzato al massimo.
Ecco, ecco, ci sono quasi.
Beccato.
Hotel Graft Moltke, Amburgo, Germania.
Troppo facile. La sua frequenza d’onda è così pura e cristallina che la capterei anche con uno di quei baracconi usati dai camionisti per comunicare fra di loro.
Le altre volte potevano volerci delle ore, anche mezze giornate se la sorte faceva di tutto per ostacolarmi. Gli altri sono sempre stati ostici e poco inclini a farsi trovare con rapidità.
Anime perplesse le loro, che tentavano di confondermi con inusuali trucchetti e piccoli imbrogli. Non che ci siano mai riusciti, intendiamoci, fattosta che mi complicavano enormemente la vita.
Coraggio Alexander, zia Sophie sta arrivando.

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Capitolo 5
*** Morte di un vecchio decrepito ***


Londra, Anno Domini 1354.
Sono vecchio, ormai.
Ben lontani sono i fasti della mia gioventù, dove ho fatto grandi cose. Se si può chiamare “grande” l’aver messo al mondo cinque figli ed essere quasi rimasto ucciso in un litigio con la moglie.
Ed ora cosa mi rimane in mano?
Niente. Solo la polvere delle strade di quella che i romani chiamavano Londinium.
Comunque posso considerarmi fortunato, di questi tempi arrivare ai sessanta è un bel traguardo.
D’altronde ho visto tutti i miei amici, d’infanzia o meno, morire per i più svariati motivi: razzie di briganti, naufragi, malattie.
A proposito di malattie…com’è che io non mi sono mai ammalato? Sono sei decenni che cammino su questa Terra ma sono sempre stato sano come un pesce.
La peste, che infuria un po’ ovunque mietendo vittime senza alcuna distinzione, non mi ha mai nemmeno sfiorato.
E non perché, come si potrebbe pensare, ho sempre preso tutte le precauzioni possibili. Inutili, epidemie come queste se vogliono chiapparti ti chiappano.
Una volta sono persino andato in uno di quei posti dove accatastano i moribondi, e ne ho addirittura toccato più d’uno. Mi son detto: tanto ormai il mio tempo è trascorso, se il buon Dio vuole prendermi che mi prenda, non ho rimpianti.
Tranne uno.
Non aver dato un risolutivo apporto tanti e tanti anni fa, a Bannockburn.
Quel maledetto duello mi distrasse e non mi diede il tempo di mostrare agli inglesi l’orgoglio del popolo delle Highlands.
Naturalmente nessuna delle poche persone che mi conoscono sa che io ho partecipato a quella battaglia. Sarebbe come andare in giro ad urlare di essere scozzese e di volere tutti gli inglesi decapitati. Morte certa.
E siccome vivo qui da parecchi anni, ormai, non era il caso che mi rovinassi quel poco che mi resta da vivere.
Che misera esistenza la mia.
Buttata via nella routine, nella miseria e nello sporco. Mi accarezzo la folta barba grigiastra mentre penso a tutte queste cose e cammino senza meta per questa deserta città. Morta come tutte le altre dell’Europa.
Gli araldi comunicano ogni giorno quante persone sono cadute. Ed il numero aumenta sempre di più.
È pericoloso persino passeggiare per strada, come sto facendo ora. Ci sono bande di ladri che imperversano e spogliano i pellegrini di ogni loro avere, forse nella remota speranza che accumulando beni su beni la Mietitrice non venga a far loro visita.
Che illusi.
Tutti muoiono, prima o poi. Me incluso.
Toh, non faccio in tempo a finire la frase che accade davvero: una cricca di malfattori mi circonda, i pugnali bene in vista.
“Dacci i tuoi soldi, vecchio. O ti ammazziamo come il cane che sei”.
Abbasso la testa sconsolato e, al di fuori dei loro sguardi, un sorriso beffardo appare sul mio volto.
“Non ho niente in tasca, signori”. Alzo arrendevolmente le mani per mostrare che non sto dicendo loro una bugia. Ma non sono granché d’accordo. Mi circondano e mi pugnalano a turno.
Che…morte…assurda…




Qui c’è qualcosa che non va.
Com’è che sono ancora vivo?
Non è che sono moribondo e mi manca poco per spirare, sono proprio vivo. Dolorante e ferito, ma vivo. Non mi sento per nulla come se stessi esalando l’ultimo respiro. Non che l’abbia mai fatto prima, chiaramente.
Mi sento bene. Mi sento a posto. Mi sento vivo.
E questo è impossibile.
Da che mondo è mondo, quando vieni pugnalato trapassi. Specialmente se dieci persone affondano il loro acciaio nella tua tenera carne.
E a me…non è successo. Non sono trapassato.
Mi rialzo, scioccato.
I briganti hanno già levato le tende, probabilmente dopo aver appurato che ero sincero.
Mi tocco dove sono stato raggiunto dai coltelli: lo straccio che indosso è bucato ed intorno ai tagli si sente al tatto del liquido non rappreso, ma per il resto non c’è nulla. Non sangue che continua ad uscire, non interiora che spingono per vedere la luce, niente. Solo un po’ di dolore, che data la mia bizzarra condizione è trascurabile.
Quando sono pensieroso mi porto una mano sul mento ed intreccio le dita nei peli della barba…oh maledizione, non ci sono più.
Sparita.
Chino gli occhi verso il selciato, sconvolto oltre ogni dire. È lì, per terra. Come se mi fosse caduta tutta d’un botto.
A questo punto, sorpresa per sorpresa, mi accorgo anche che le rughe si sono volatilizzate. Ho la pelle di un trentenne. E non solo quella. Sento di essere nuovamente nel pieno delle forze, come da anni non mi succedeva.
No, no.
Dev’essere un’illusione.
Quello che sto sperimentando è irreale. Inumano.
Sono un mostro.
Non posso essere vivo. Non devo essere vivo.
Mi ero rassegnato all’idea di morire. Ed ora che ne ho avuto l’occasione non accade nulla?
Signore, ma che succede? Ho davvero peccato così tanto da non meritarmi il riposo eterno? In fondo anche le persone peggiori hanno l’opportunità di arrivare al Tuo cospetto e pentirsi delle loro malefatte. A me questa possibilità è negata? In fondo io, da buon cristiano, non ho mai rubato, non ho mai ucciso, ho sempre rispettato i sacri dettami di Santa Madre Chiesa. Non merito un fato così ingiusto.
Lo shock è tale che le mie ginocchia, benché ringiovanite di tre decenni, crollano di schianto.
Non posso far altro che pregare.
Dopo dieci minuti, però, mi rendo conto di una cosa: fino a pochissimo tempo fa mi lamentavo di come avessi buttato via la mia esistenza.
Beh, ora posso costruirmene una nuova.
Anche se non so quanto questo cozzi contro gli insegnamenti di Cristo.

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Capitolo 6
*** Devo sciogliere grossi nodi, ci vuole un grosso pettine ***


È in ritardo. Odio i ritardatari.
Se non fosse che non mi interesso così sinceramente ad un caso da qualche era geologica l'avrei già mandato a cagare.
Eppure non posso, neanche tirando fuori il vecchio Karl, quello con l'insulto svelto ed il gancio ancora più svelto.
Quell'uomo e la sua storia mi intrigano senza scampo.
Come? Come ha fatto a venir fuori sulle sue gambe da due incidenti simili? Due poi, non uno. Neanche i miracoli arrivassero al ricevente in duplice copia.
E nonostante tutto il mio indescrivibile stupore i fatti sono lì, nudi e crudi.
Stringo ancora nella destra i due articoli di giornale che ho stampato ieri al cafè. Ogni tanto, attendendo con impazienza il suo arrivo, li risfoglio. Sai mai, ho letto male, ho equivocato, l'ho scambiato per un'altra persona.
“Massì, ci deve essere un errore. Per forza. Cose del genere non accadono nel mondo reale. E neanche in Matrix, a volte”.
Puntualmente i fogli mi smentiscono.
Fortuna, la sua? Assai improbabile. Credo che neanche Gastone Paperone sarebbe sopravvissuto così a lungo con una simile striscia di sfiga.
Perizia? A far cosa, a trovarsi il posto peggiore su un mezzo di trasporto in procinto di schiantarsi contro qualcosa?
Non ho una spiegazione logica. O meglio, non c'è una spiegazione logica.
Quindi posso solo stare a sentire quello che avrà da spifferarmi appena metterà il suo regale piede nella mia umilissima, e recentemente depredata, dimora.
Altra cosa che non capisco, seppur non abbia niente a che fare con Alexander: chi cazzo ha avuto il coraggio di venire a rubare in casa mia? L'intera Amburgo associa il nome Karl Mantzer a povertà cronica, prestiti a getto continuo ed un filo di sarcasmo. Giusto un filo.
E ho pure finito le sigarette, porca di quella puttana.
Come ogni buon nicotinomane fumo peggio di una ciminiera quando sono nervoso. Fra ieri sera ed oggi ho fatto fuori l'intero pacchetto. Il posacenere è buttato in un angolino del soggiorno, pieno fino a scoppiare, e sembra quasi guardarmi implorando pietà. Non ce la fa più, poveretto. Certi mozziconi sono schizzati a mò di missili fuori dalla sua pur generosa portata.
Se il mio cliente lo vedesse si farebbe di me una pessima opinione, ancora peggiore delle mie più memorabili prestazioni. E vi assicuro che so farmi prendere molto, molto male se mi ci metto con costanza ed impegno.
Alzo il mio soffice culetto dalla sedia, raccolgo il posacenere ormai allo stremo delle forze, mi scuso per averlo oberato di lavoro nelle ultime ore. Lo porto in cucina, lo svuoto nel cestino della spazzatura e ci do una lavata alla bell'è meglio.
"Non dovevo prendermela con te, sono stato cattivo. Non lo faccio più".
Mentre dichiaro amore eterno al mio affezionatissimo gingillo squilla il campanello.
Finalmente, ormai non ci speravo quasi più.
Velocissimo controllo stato di presentabilità di fronte allo specchio: appena sufficiente. Anche se più di così non si può proprio fare, ahimè.
DRIIIIN, DRIIIIN.
Ehi, ehi, con calma. Mi hai fatto aspettare un sacco di tempo, ora tocca a te ciccio. Come si suol dire, quel che è fatto è reso.
Eppoi devo ancora sistemarmi la cravatta. Ecco, così imparo a mettermi il Male attorno al collo.
DRIIIIN, DRIIIIN.
Arrivo, arrivo. Datti una calmata.
Sbuffando un po' riesco finalmente ad aprire la porta. Per la bellezza di otto secondi cronometrati ci guardiamo in faccia, come fossimo due baccalà compagni di scatoletta.
"Beh, non mi fai entrare?" inizia lui.
"Eh? Oh sì, certo. Prego. Scusa il disordine che troverai, ma ho avuto delle brutte visite ultimamente".
"Suocera?".
"Ahahahahahahah. No, peggiori. E so che è difficile concepire gente peggiore della suocera, ma c'è. I ladri. Mi hanno messo la casa sottosopra".
"Accidenti, mi spiace. Cosa ti hanno portato via?".
"Non ho ancora avuto il coraggio di fare l'inventario. Troppo doloroso".
Si mette a ridere, senza il minimo riguardo per la mia piccola tragedia.
"Scusa, so che non dovrei. È che l'hai detto con un tono assurdo, del tipo `Ho quasi pietà di loro per il pessimo affare che hanno concluso`. Era davvero esilarante".
'Sto tipo è incredibile. Ero depresso come un leone a cui la leonessa non procura più il cibo accampando presunti diritti sindacali, e lui con una frase riesce a mettermi di miglior umore. Non dico buono, ma discreto. Quasi.
"Su Alexander, entra. Ho parecchie domande da farti". Non riesco a non tradire la mia eccitazione per l'eccezionalità del quesito che mi si para davanti. Lui sembra accorgersene e mi lancia una sbieca occhiata, seppur mi sia già di spalle. Non è che di cognome fa Maximoff?
Lo seguo e chiudo la porta.
Lo spettacolo inizia.
"Come ti ho già detto prima scusa per...".
"Non c'è bisogno di ripetere la stessa cosa due volte. Ti sei già scusato, ed è più che sufficiente".
Urgh. Questo suo essere diretto, anche se devo dire che lo apprezzo, mi risulta ancora indigesto.
"Come preferisci. Purtroppo ho due sole sedie. Non ho visite frequenti".
Si accomoda con signorile eleganza.
"Capisco. Non sei propriamente quella che si dice una persona estroversa, vero?".
È davvero tanto evidente? Persino agli occhi di uno sconosciuto?
Cerco di sviare. "Non siamo qui per parlare della mia vita sociale, bensì del tuo caso e della misteriosissima signorina Sophie".
"Certo, certo". Mioddio, che irritante. L'aria da saputello è quella che più odio.
Mi sale la voglia di piantargli un destro in faccia. Ma così facendo perderei senza possibilità di rimedio il più appetitoso intrigo che mi è mai capitato sottomano, e che mai mi capiterà sottomano.
E questo non posso accettarlo.
In fondo ho deciso di fare l'investigatore per il fascino dell'avventura. Il brivido della scoperta. La sfida continua. E se gettassi alle ortiche una simile occasione sarei veramente un coglione da primato perenne.
Dunque respira, idiota di un Karl. Respira.
Mi siedo anch'io. Siamo faccia a faccia.
"Allora Alexander, io sono più che disposto ad aiutarti. Davvero. Ma ho bisogno di più informazioni. Potrei anche essere il miglior segugio dell'Europa intera, ma se non ho uno straccio di descrizione in mano non posso fare dei prodigi".
Lui sta zitto.
"Capisci la mia situazione? Come faccio a trovare una certa Sophie, che per inciso potrebbe essere in una qualsivoglia parte del mondo conosciuto, se non so nemmeno com'è fatta?".
Continua a star zitto.
Mi sto innervosendo.
"Dunque? Lo sai, vero, che il tempo trascorso a guardarci nelle palle degli occhi verrà conteggiato sulla tua parcella?".
Ancora nulla.
"Quei fogli?" mi chiede, facendo un cenno con la testa verso la mano in cui ancora tengo gli articoli di giornale.
Accidenti. Contavo di parlargliene dopo.
Nonostante le cose stiano andando in un modo diverso da come le avevo programmate mantengo un sufficiente sangue freddo. Stai ferma, maledetta eccitazione. Stai ferma. Troia.
"Non è mia intenzione parlarne adesso".
"Ma è mia intenzione farlo. Ho notato, sai, come sei tutto un fremito. Scoperto qualcosa di scabroso sul sottoscritto, per caso?".
Mi sta provocando.
E, di solito, chi ha l'ardore di provocarmi si ritrova la mattina successiva in una pozzanghera e senza un rene.
Ma per i motivi già esposti devo trattenermi. Anche se trattenermi mi fa venire la psioriasi.
"Ascolta, questo non c'entra nulla con la situazione ora in esame. Se vuoi ne possiamo discutere, ma solo dopo che mi avrai fornito un minimo identikit di chi stai cercando. Va bene?". Cerco di suonare il più diplomatico possibile, sebbene i miei denti facciano un baccano infernale nel tentativo di imbrigliare la rabbia che mi sale prepotente da chissà dove.
"Mi sta bene" concede, ma si nota chiaramente che il compromesso non lo soddisfa.
"Purtroppo, però, non sono in grado di accontentarti".
Prego?
"Cioè? Spiegati meglio, per favore".
Qui la cosa puzza di bruciato.
"Non so che faccia abbia Sophie".
...
Mi sta prendendo per il culo. Mi sta prendendo per il culo!
"Saresti così gentile da ripetere? Temo di non aver capito bene". Faccio bene attenzione a che sia solo la sorpresa a trasparire dalle mie parole. Dovesse accorgersi che lo voglio gambizzare non ci farei una gran figura.
In uno sprazzo di lucidità ricordo che, quando l'ho visto per la prima volta, aveva accennato al fatto di non sapere nulla su di lei, ma pensavo fosse dovuto alle sue pietose condizioni psico-fisiche. 'Sto stronzo.
"Non sei sordo, Karl. Io non so che faccia abbia Sophie. Mai vista in vita mia".
Ma bene. Da dove cazzo è spuntato fuori questo qui?
"Kerumph. Lo sai che all'anagrafe della sola Amburgo risulteranno almeno una decina di migliaia di persone che si chiamano Sophie, suppergiù? Ma sì che lo sai. Allora dimmi, di grazia: come contavi di aiutarmi a trovarla?".
Col tono più disinteressato e calmo del mondo risponde: "E che ne so io? L'investigatore sei tu. Altrimenti me la sarei sbrigata da solo".
Dopo questa ennesima perla di stronzaggine tutta la mia buona volontà va a farsi un giretto. Assaporo il momento mentre stringo la sinistra a pugno e faccio per tirargli un diretto sul mento.
Alt.
Se lo colpisci puoi pure dire addio all'incarico più stimolante della tua intera vita, cretino che non sei altro.
Cazzo vuoi, coscienza? Taci e lasciami ridisegnare i suoi connotati come più mi aggrada.
Non lo farai. Tu ora conterrai la tua giusta ira e cercherai di dialogare un po' con questo povero cristo. Non vedi che è disperato, anche se cerca di nasconderlo?
Dammi un solo buon motivo per cui non dovrei rompergli quella faccia di merda.
Te ne pentiresti per il resto dell'eternità. E sai che non c'era bisogno di dovertelo ricordare.
Odio quando quella stronza ha ragione.
Mi arresto a metà strada, dunque. Schiumando nervoso.
"Non mi avresti fatto del male, Karl" sentenzia, serio come non mai.
"Non sfidare la sorte, Alexander. Non sempre ci saranno dei lampi di razionalità a salvare il tuo bel musetto. Considerati fortunato per ora. E rispondimi, soprattutto. Ma bada: un'altra risposta del cazzo come la precedente e ti dovranno ricoverare in rianimazione, senza neanche passare dal Via".
"Mi piace sfidare la sorte. Specialmente quando non sono sicuro di vincere".
Questa affermazione mi spiazza totalmente. L'ha pronunciata con una tale enfasi, nonostante l'apparente semplicità, che mi suscita più di un dubbio. Dubbi che, naturalmente, vanno a fare numero con gli altri.
"Va bene, va bene. Ora scusami un secondo, vado a sciaquarmi la faccia".
Ho bisogno di respirare, rifiatare e riordinare le idee.
Mi dirigo in bagno. Acqua fresca sul mio volto. Equivale ad un'intera ora di yoga, adesso come adesso.
Risistemo i vestiti come meglio posso, tralasciando volontariamente il fatto che il mio aspetto fa ancora pena.
Torno in salotto. Mi risiedo di fronte ad Alexander.
"Uff. Ricominciamo da capo. È possibile che tu non abbia uno straccio d'informazione su Sophie? Nulla di nulla?".
Si arresta un secondo a pensarci. Oh, forse ha finalmente deciso di cooperare.
"Fisicamente no, te l'ho detto. Però posso dire di sapere, a grandi linee, come potrà muoversi una volta giunta qui in città".
Ma allora la conosce. E sa anche che sta venendo qui.
Prima che possa dirlo, però, mi interrompe bruscamente: "Se stai pensando che la conosca, o che ti stia nascondendo qualcosa, ti stai sbagliando. Semplicemente ho avuto a che fare con lei in modo molto indiretto, ma sufficiente a farmi un'idea in merito al suo modus operandi".
Suppongo che dovrò accontentarmi.
"Parla allora. E non tralasciare nulla, ti prego. Già sarà un mezzo miracolo far fruttare 'sta miseria".
"Sophie è una donna molto intraprendente, molto sbrigativa e terribilmente determinata. Se deve ottenere qualcosa calpesta chiunque, foss'anche sua nonna, per averlo. Quindi presumo, con un margine d'errore abbastanza basso, che cercherà in tutti i modi di scovarmi".
...
Oggi devo avere le orecchie ricolme di cerume.
"Anche lei ti sta cercando?". Più questo tipo parla, meno capisco di tutta 'sta storia e più ne voglio capire.
Assume un tono greve nel rispondermi: "Sì. Non ero sicuro se dirtelo o no, visto anche che non sono proprio fatti che ti riguardano, ma il tuo sguardo minaccioso mi ha convinto. Probabilmente, per quanto possa dire, non esisterà a ricorrere a mezzi non totalmente legali".
"In soldoni?". Se non sono diventato totalmente cieco quella potrebbe essere la luce in fondo al tunnel.
"Potrebbe, ad esempio, corrompere qualcuno in municipio per ottenere informazioni coperte dalla privacy. O, dovesse mai giungere al suo orecchio il fatto che ti ho assunto, potrebbe lavorare per trovare te, e tramite te trovare me".
Ma allora siamo a cavallo. Posso dire, senza un'oncia di falsa modestia, di essere piuttosto famoso in città. Specialmente in certi ambienti non propriamente chic.
"Eccellente". Non riesco a trattenere questa esclamazione di mezzo trionfo.
"Scusa?".
"Ecco, io ho una notevole rete di conoscenze sparsa per tutta Amburgo. Basterà mettere in giro la voce che devo parlarle e tempo due, tre giorni al massimo starà bussando alla porta del mio ufficio".
Incredibile, sa anche sorridere.
"Grandioso. Lo vedi che non c'era motivo di alterarsi? Non dovevi far altro che lasciarmi spiegare per bene come stanno le cose. Ma come farai? Intendo dire, non potendo fornire una descrizione come speri che...".
"Oh, hai davvero così poca fiducia in me? Forse non sarò il tenente Colombo, ma dovrò pur guadagnarmi la pagnotta in qualche modo. Lasciami fare, questo è il meno. Dobbiamo solo sperare che lei entri in qualche modo in contatto con uno dei miei amichetti della periferia, altrimenti potrebbero passare anche intere settimane".
"Tranquillo, stando alla mia esperienza è piuttosto avvezza a situazioni e persone simili. La tua potrebbe essere la soluzione vincente".
Tiro un sospirone di sollievo. Almeno c'è un punto di partenza, per quanto risicato. Meglio che brancolare nel buio più totale.
Lo guardo, speranzoso di vedere un barlume di soddisfazione nei suoi occhi neri. Si nota chiaramente, ma a prevalere è quella curiosità morbosa che mi ha sempre provocato un terrificante prurito.
"Parliamo dei fogli, adesso" afferma, un po' serio e molto con l'aria da furbetto.
"Dobbiamo proprio, eh?". La mia domanda è intrisa di quella finta innocenza tipica dei bambini discoli.
"Eh sì, dobbiamo. Anche perché mi sono preso la libertà di leggerli mentre ti sei andato a sciaquare la faccia in bagno".
"E dunque? Sei tu a dover spiegare, non io".
L'improvviso capovolgimento di fronte lo lascia di sasso. Insistendo pareva essersi dimenticato che era lui a dovermi dire come è sopravvissuto a simili ecatombi, e non viceversa.
"Cazzo. Mi sono fregato con le mie stesse mani".
Meraviglia delle meraviglie, conosce persino le parolacce.
"È proprio così. Su su, che sono tanto ansioso di sentirti snocciolare la verità su tali avvenimenti".
Sto per godere come un adolescente che guarda il primo porno della sua vita.

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Capitolo 7
*** Nuovi e dolci amici si aggiungono alla festa ***


"Abbiamo ricavato qualcosa dalla perquisizione a casa di Mantzer?".
"No signore, nulla di nulla. Solo scartoffie vecchie di mesi, pacchetti vuoti di sigarette a non finire ed una copia dell'album Get a Grip degli Aerosmith conservato in una specie di teca".
"Evitami 'ste cazzate, per favore. Sono già di pessimo umore".
"La prego di perdonarmi, signore".
"Sì sì, ok. Almeno dimmi che l'inseguimento di Alexander è andato a buon fine".
"Mi spiace signore, ma i nostri uomini si sono fatti seminare in più di un'occasione".
"Incompetenti, sono circondato da una manica di incompetenti. Sparisci dalla mia vista prima che decida di fare di te il mio spuntino".
"Certo, signore".
"Non ti pare di aver esagerato un pochino, vecchio? La recluta appena uscita era terrorizzata".
"Bakramov. Cosa ci fa qui quel tuo brutto muso? Non ricordo di averti mandato a chiamare".
"Lo so perfettamente. Ma so anche che sei in discreti casini. O ti divertivi ad urlare per vedere se puoi rimediare un impiego part-time come tenore lirico?".
"Fai poco lo spiritoso. Non sono nelle condizioni adatte per il tuo sarcasmo del cazzo".
"Si notava, sai. Ma bando alle ciance: non hai ripensato alla mia proposta?".
"Non dire minchiate. Manderesti tutto a rotoli, come tuo solito".
"Avanti, non essere così disfattista. Sì, è vero, in certi momenti mi lascio trascinare un po' ma sai che raramente questo inficia le mie prestazioni. Ti ho mai deluso totalmente, in tutti questi anni in cui abbiamo lavorato insieme?".
"No. Ma non sei l'uomo adatto. Lo so io e lo sai anche tu, nonostante quest'aria da galletto".
"Ed allora dimmi, vecchio: come conti di catturare l'inafferrabile Alexander Felix III senza doverti appoggiare ai miei servigi?".
"Questo ancora non lo so. Ma non ti voglio fra i piedi, chiaro?".
"Come il sole. Fammi un fischio quando avrai aggiunto un'altra tacca sotto la colonna Tentativi Andati Miseramente a Vuoto. Sono sempre a tua disposizione, ammesso che non decida di farmi un viaggetto alle Baleari".
"Cosa combini adesso?".
"Me ne vado. Visto che la mia deliziosa persona ti urta oltre ogni dire tolgo il disturbo. Anzi, credo che andrò a prenotare i biglietti aerei. Maiorca, arrivo".
"Te l'ho mai detto che sei uno stronzo approfittatore e ricattatore?".
"No, ad ogni occasione vari la gamma d'insulti. C'è ancora qualcosa che devi comunicarmi o posso tornarmene a casa e fare le valigie?".
"Maledetta serpe. E sia, hai vinto. Bakramov, il caso Skorpio è tuo".
"E ti ci voleva così tanto per venire a patti con la tua diligente coscienza? Insomma, non sono il tuo uomo migliore mica per nulla".
"Risparmiami i rigurgiti d'ego per un giorno più fausto. E comunque sei ancora qui perché nelle alte sfere hai un sacco di amicizie importanti. Fosse dipeso da me ti avrei trasferito prima di subito".
"Sì, ti amo anch'io. Quando posso mettermi all'opera?".
"Che domanda del cazzo: ora, naturalmente".
"Eccitante. Amburgo, giusto?".
"Giusto. Ed ora fila, mi stai irritando".
"Come al solito. Toglimi una curiosità, però: se ti irrito ogni volta, com'è che puntualmente la volta dopo decidi quantomeno di consultarmi per vedere se sono disposto a toglierti le castagne dal fuoco?".
"Non soddisferò la tua boria, la risposta la sai. Ora eclissati, grazie".
"Che maleducato. Ed io che pensavo che i vecchi fossero tutti dei gentiluomini".
"La devi piantare di pigiare quel tasto. E poi non sono tanto vecchio, dopotutto".
"Ma se sembri il nonno di Matusalemme?".
"Sto per chiamare la sicurezza e farti cacciare a calci in culo. Preferisci questo o l'uscire sulle tue gambe?".
"Ti sei spiegato benissimo. Me ne vado, me ne vado. Ma pretendo delle scuse per quando ti porterò Alexander qui, in questa stessa stanza".
"Mi conosci a sufficienza. Non ricompenso mai un sottoposto prima di aver visto i risultati sul canonico piatto d'argento".
"Prometti. O giuro che pianto i piedi dove mi trovo ora e dovrai sopportarmi per le prossime settantadue ore".
"Dio, come vorrei avere la libertà di spararti in mezzo agli occhi. Va bene, prometto solennemente. Parola di scout. Ora ti levi dalle palle?".
"Volo, nonno".
"Bakramov, fuori dai coglioni! Adesso!".
"Non ci sono più i vecchi col senso dell'umorismo".

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Capitolo 8
*** Sophie nel paese dei mangia-kartoffen ***


Lufthansa di merda.
Per colpa dei tuoi ritardi ho perso un giorno intero all'aereoporto di Barcellona. Prima sommersa di bagagli miei ed altrui, sola e sperduta; dopo accampata in un angolo dell'imbarco numero nove nella lunga, e spesso vana, attesa di notizie sul mio aereo per quel di Monaco.
Bello schifo.
E meno male che i crucchi sono famosi per la loro agghiacciante puntualità. Avessi avuto un volo dell'Alitalia quanto ci avrei messo, un mese?
Essere quel che sono non mi risparmia gli scioperi ed i disguidi degli steward.
Non contiamo la noia, la fame, la scomodità, l'inesperienza di chi veniva a rabbonirci. Accantoniamo tutto questo. Facciamo finta che non ci sia stato. Mi basta pensare al fatto che io ho un lavoro della massima urgenza da sbrigare, e non posso mica permettermi simili contrattempi.
Neanche altri contrattempi, a dir la verità. Ma almeno fossero stati dei diversivi piacevoli avrei potuto far finta di divertirmi. No, facciamo aspettare alla tenera Sophie ben più del dovuto.
Aspettare. La cosa che odio di più al mondo. Forse dopo gli album dei Blue, ma è un'epica lotta al vertice.
Beh, comunque anche questa è andata. Adesso sono seduta nel mio bel posto profumato sul mastodonte dell'aria, rigorosamente accanto al finestrino dato che mi è sempre piaciuto spiare fuori e vedere le nuvole rincorrersi birichine per il cielo.
Che tedio. Ci vorranno almeno altre tre ore di trasvolata prima che possa mettere piede sul suolo tedesco. Senza contare il trasferimento da Monaco ad Amburgo.
Quei geni dell'equipaggio hanno ben pensato di trasmettere Via col Vento, il film più pesante e melenso della storia. E non è la prima volta che mi trovo inchiodata in una così brutta situazione. Sembra che mi abbiano schedata chissà quando e condannata ad una tanto cruenta pena.
Ditemi cos'ho fatto, almeno. O non ho diritto alla redenzione?
Ma un bel film d'azione no? Chessò, Fuga da Los Angeles, Strange Days, Demolition Man. Qualcosa che tenesse svegli i passeggeri.
“Cazzo, merda, puttana, stronzo”. “John Spartan, lei è stato multato di un credito per linguaggio osceno”. “È perché non so usare le conchigliette”.
Uhm. Non era esattamente così ma rende comunque l'idea.
Oh su, ho già abbastanza problemi sul groppone senza che me li crei con le mie adorabili manine da fata.
Dopotutto sono in ritardo, è vero. Ma Alexander non dovrebbe essere tanto temerario da fuggire. O, peggio, da cambiare idea. Eppoi non è proprio il tipo di persona che fa scomodare una signora per nulla.
Quindi tutta questa stupida agitazione può pure andarsene a quel paese. È invece tempo di rilassarsi in attesa di portare a termine l'incarico, visto e considerato che durante il suddetto incarico non potrò più farlo. E se non arrivo fresca e pimpante al momento clou sono capacissima di mandare tutto a monte. Non posso farci niente se quando sono nervosa, tesa o stanca tendo a fare delle baggianate colossali.
“Hostess, mi scusi. Non è che avete dello champagne a bordo?”. Speriamo in bene, ho la gola secca.
“Sì, ce l'abbiamo. Ma dovrà pagare un sovrapprezzo, temo”.
“Quello non è un problema. Me ne porta una bottiglia, per favore?”.
“U-Una bottiglia? Sì, certo. Torno subito”.
Ha fatto una mezza smorfia di disgusto, come se le avessi chiesto di servirmi una testa appena mozzata per pranzo. Ma pensa te, ora una single in carriera non può nemmeno scolarsi un po' di sano champagne da sola. Che roba, che roba.
Appena torna col carrellino delle vivande mi ci fiondo sopra, assatanata come non mai. Lo prendo, l'avidità disegnata a grandi falcate sul mio volto, e le sgancio i soldi dovuti. Quella se ne va con un sorriso da ebete in faccia. Gentaglia.
Alla salute di Alexander.
Giù un bicchiere. E giù un altro. Ed un altro ancora. Ma naturalmente non c'è tre senza quattro.
Toh, solo ora mi viene in mente che lanciarmi in maratone alcooliche mi mette addosso una sonnolenza terribile. Tanto meglio, magari sono fortunata e mi sveglio mentre stiamo atterrando.
Buonanotte, mondo.

“Si pregano i signori passeggeri di allacciarsi le cinture di sicurezza, stiamo per atterrare all'aereoporto Franz Josef-Strauss di Monaco di Baviera”.
“Eh? Oh? Uh? Cosa? Che c'è?”
Mi guardo attorno, gli occhi pesanti, e fra ombre che predominano sulla mia retina si staglia quasi limpida la figura dell'hostess di prima, con lo stesso identico sorriso da malato mentale.
“Siamo in procinto di atterrare, signorina. Si allacci la cintura di sicurezza, per favore”.
Borbotto qualcosa di sconnesso, ma che nelle mie intenzioni voleva essere un ringraziamento.
Uno sbadiglio formato famiglia è il primo gesto che compio di mia volontà da trenta secondi a questa parte.
A quanto pare la Dea Bendata mi ha davvero favorita. Non posso che esserne contenta, mi sono evitata una noiosissima permanenza in mezzo al nulla che questo aereo poteva offrire.
Sbarco, piena di voglia di fare bene ed in fretta. Raccatto le mie due valigie in sorprendentemente poco tempo.
Senza neanche pensarci chiedo informazioni al primo passante che capita sulla prima concessionaria che capita. Vengo indirizzata appena dietro l'angolo, dove si staglia enorme un simbolo rotante della Mercedes.
Oggi dev'essere il mio giorno.
Entro, imbaldanzita dall'inusitata buona sorte che mi sta perseguitando. Tempo dieci minuti ed esco sulla mia nuova e fiammante Classe A, più scarlatta del sangue di un dio. Ed ovviamente è il mio colore preferito.
Ho sempre amato le automobili scattanti. E provviste di navigatore satellitare, strumento indispensabile ad una povera ragazza senza guida in territorio straniero.
Vai, mio fido cavallo motorizzato. Destinazione: Amburgo.

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