A Red Fanfiction

di MadHatterInLove
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il caso italiano ***
Capitolo 3: *** Jisbon Parte I ***
Capitolo 4: *** L'interrogatorio numero 1 e un accenno Chisbon ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


A Red Fanfiction
 
Prologo

 

Italia

 
Quando entrò in casa, accese il pc e senza esitazione aprì word, dove solitamente scriveva, e iniziò a buttare giù l’inizio della sua prossima storia.
Aveva molte idee quella sera.
 
 

A Red Fanfiction
Prologo.

 
 
Aveva infilato tutta in una borsa rossa. Aveva messo in moto l’auto e si era diretta verso l’indirizzo che aveva trovato quella mattina stessa.
Arrivò poche ore più tardi, a notte inoltrata. Sgattaiolò all’interno della casa, attraverso la porta di servizio.
L’aprì facilmente, lo aveva visto fare tante di quelle volte.
Quando fu all’interno le fu più difficile trovare la stanza della ragazza che cercava; ci impiegò una manciata di minuti che però sembrano molti di più e quando vi entrò, la trovò dormiente. Si guardò attorno, mentre si avvicinava lentamente al letto.
 
“Ehi, svegliati” disse, scrollandola, con voce roca.
La vide svegliarsi e poi guardarla con aria terrorizzata, prima che potesse urlare però la imbavagliò, in modo che nessun altro si svegliasse e la scoprisse.
 
“Ti avevo avvertito Kim_Jane. Non avresti dovuto farlo. E invece…”
 
Sorrise e le puntò la pistola; la vide agitarsi nel letto per cercare di scappare, ma non fece in tempo. Un colpo. Due colpi. E il suo corpo era immobile, supino sul letto.
 
Lasciò un piccolo ricordo a chi l’avesse trovata, e scivolò via nella notte.
La vendetta era stata compiuta.
 
 
Salvò ciò che aveva appena scritto e spense il pc.
Quella fanfiction, lo sapeva bene, non poteva essere pubblicata.
 
 
*
 

Sacramento.

 
 “Che barba! Non lavoriamo su un caso da settimane!” brontolò Rigsby, seduto davanti alla sua scrivania, intendo a fare un solitario.
 
“Invece di giocare, perché non ci aiuti ad archiviare le pratiche?” le chiese Van Pelt, guardandolo torvo.
 
“Ci aiuterà ad avere un nuovo caso?
No! E allora passo!” concluse, sorridendo.
Grace sbuffò e dondolò appena sulla sua scrivania.
 
Intanto Patrick Jane, seduto comodamente sul suo divano personale, era concentrato in un sudoku. Mentre Cho era insieme al capo per risolvere questioni burocratiche che li intrattenevano ormai da giorni.
 
Era davvero annoiato, molto di più di Wayne, se era possibile.
Così si alzò da dove era seduto e si avvicinò alla rossa.
 
“Van Pelt, ti faccio un gioco…” iniziò, la ragazza lo guardò nervosa.
 
“Jane sto lavorando non ho tempo…” bofonchiò.
 
“Oh andiamo Grace è inutile che fingi con me! Un giochetto piccolo, piccolo, so che ti va!” disse, sorridendole sornione.
 
“Oh va bene, che devo fare?”
 
“Guardami. Attentamente.”
 
Rimasero in silenzio per qualche minuto. Jane scrutava la rossa e lei lo lasciava fare mentre Rigsby li guardava incuriosito: Uno spettacolo di Patrick era assolutamente da non perdere!
 
“Grace sta suonando il telefono. Devi rispondere” disse lentamente, il biondo.
Van Pelt rimase immobile.
“Grace?! Suona il telefono?” continuò Wayne.
 
“Sarebbe questo il gioco?” tornò in se la donna.
 
“No, sta squillando veramente!” rispose Patrick.
 
Se si trattava di un caso, il gioco poteva anche aspettare, era questo il motivo per il quale era più importante rispondere al telefono.
 
“Agente Van Pelt. Mmh, sì. Cos…? Sì, va bene glielo dirò” e attaccò.
 
“Un nuovo caso?” si intromise Cho, che era uscito dall’ufficio del capo.
 
“Devo parlare con Lisbon” disse stralunata la rossa.
 
“Ma cosa le hai fatto? Sembra ipnotizzata!” gli sussurrò Rigsby.
 
“Niente, deve averla scombussolata la telefonata!” fece spallucce Jane.
 
“Capo, abbiamo un nuovo caso!” si sentì dire dalla rossa che era appena entrata nello studio della Lisbon.
 
I tre uomini esultarono.
Non sapevano ancora, però, in che guai quel caso li avrebbe cacciati.
 
 
---
 
 
È tutta colpa vostra. Mi lasciate quei commenti così stupendi che mi fanno scrivere come un’ossessa.
Questa era la storia che avevo in testa da un bel po’ e che ci coinvolgerà più o meno tutte quante.
È assurda, ve lo anticipo già da ora! Non so dove ci porterà ne tanto meno come non farla sembrare davvero completamente inverosimile!
 
Il primo capitolo è già bello che pronto, ma non lo pubblico per ora. Devo prima convincermi che tutto questo abbia un senso! xD
Sarà una commedia, si spera, ma ci sarà anche del sentimentalismo xD Ma… Per quanto riguarda le coppie…beh aspettatevi di tutto e di più!
Per il resto, lascio a voi l’ultima parola!
 
Un bacio,
 

MadHatterInLove

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Capitolo 2
*** Il caso italiano ***


Il caso italiano
 
 

Sacramento. Ore 19.30

 
 
“Capo abbiamo un nuovo caso…”
 
“Cosa abbiamo?” chiese Teresa alzando lo sguardo verso la rossa.
 
“È questo il problema, capo. Si tratta di un omicidio… In Europa.”
 
“C-cosa? Ho poca voglia di scherzare, cos’è te lo ha detto Jane di giocarmi uno scherzo del genere?” disse la mora, controllando dall’altra parte della vetrata se Patrick fosse in ascolto a quel stupido gioco.
 
“No, capo. Non è uno scherzo. Una donna è stata uccisa a Roma.”
 
Teresa iniziò a ridere e uscì fuori dal suo studio, cercando il biondino che aveva così tanta voglia di burlarla; lo trovò, vicino la scrivania di Van Pelt, con Rigsby e Cho accanto.
 
“JANE!” ululò la mora.
 
Patrick sussultò, per poi guardare la mora di fronte a lui con aria stranita. “Che succede Lisbon?” chiese, grattandosi il capo.
 
“È uno dei tuoi scherzi, vero? Certo, potevi farlo più credibile!” continuò, Teresa, sorridendo credendo di beffeggiarlo. Patrick si accigliò.
 
“Non so di cosa tu stia parlando…” continuò sbadigliando, alzandosi da dove era seduto e avvicinandosi alla sua scrivania. Teresa lo seguì con lo sguardo, incrociando le braccia al petto.
 
“Omicidio a Roma, ti dice nulla?”

“Capo, è reale. È vero, Jane stava facendo un gioco a Grace però hanno chiamato sul serio e Van Pelt è venuta subito da te per avvertirti” si intromise Wayne.
 
“Ragazzi, smettetela. Lo so che è uno scherzo organizzato.” Si fermò guardandoli torvi. Poi continuò soffermandosi su Patrick. “Da te, Jane. Li hai messi d’accordo tutti tu eh?”
 
“Lisbon mi consideri così fantasioso?” la burlò, Patrick, guardandola divertito.
 
“Mi state dicendo che ci hanno chiamato realmente per un omicidio in Europa? E perché mai?” Chiese Teresa, guardando Van Pelt dietro di lei, che la contemplava ancora incredula per la sua reazione.
 
“È  questo l’assurdo. Mi hanno detto pochissimo, ma è indispensabile la nostra presenza. Perché il caso ci coinvolge.”
 
“Ci coinvolge? Grace chiamami L’Hightower” disse, ancora più confusa.
 
“Sì capo” concluse, la rossa.
 
Mezz’ora dopo, Cho e Rigsby scommettevano sulla partenza per l’Europa. Van Pelt già indagava sul caso sul suo pc e Patrick sorseggiava tranquillamente del the accanto alla rossa.
 
“Ragazzi, il caso è realmente nostro. Andiamo tutti in Italia. Lì ci spiegheranno perché effettivamente hanno chiamato noi.” Disse Lisbon uscendo dal suo studio.
Jane sorrise e si avvicinò alla mora.
 
“Eureka si va a Roma!” affermò sorridendo il biondo, guardando uno ad uno le quattro persone che aveva attorno.
In risposta Rigsby urlò perché aveva appena vinto 50 dollari. Cho si malediceva perché, al contrario, li aveva persi e Van Pelt si alzava da dove era seduta, abbastanza contenta per il nuovo caso, anche se questo la portava dall’altra parte del mondo.
Patrick Jane, posò soddisfatto la sua tazza e guardò Lisbon con ancora il sorriso che si pronunciava fiero sul suo volto. Lisbon sbuffò, irritata da quel comportamento e si incamminò insieme al mentalista verso l’ascensore.
 


Roma. Il giorno dopo.

 
 
Erano partiti la sera quando tutti avevano preso gli occorrenti necessari per poter affrontare un viaggio così lungo. Ed erano arrivati a Roma la sera del giorno dopo.
Furono indirizzati subito nella casa dell’omicidio dalla polizia del luogo e arrivati, tutti e cinque, capirono realmente cosa era successo.
 
“È stata ritrovata tre giorni fa. Uccisa con un’arma da fuoco. L’ha ritrovata sua sorella e abbiamo ispezionato tutta la stanza. Nessuna traccia o prova su chi l’abbia uccisa.”
 
“Certo, ma perché avete chiamato noi?”

“Beh la ragazza era una scrittrice. E,” l’agente tossicchiò appena. Jane notò il suo imbarazzo.
 
“Uh-Uh, il caso si infittisce” sparò a vuoto, muovendosi avanti e indietro come faceva quando era entusiasta di ciò che aveva attorno. Lisbon alzò gli occhi al cielo.
 
“Continui, la prego. Era una scrittrice, ma questo perché dovrebbe interessarci?”

“Beh a quanto pare si dilettava a scrivere Fun…emh, FarFictiom” farfugliò.
Il collega accanto a lui lo incalzò, correggendolo.
“Scriveva Fanfiction, insomma delle storie su di voi.”
Lisbon, Cho, Van Pelt e Rigsby lo guardarono attonito. Nessuno aveva ben capito l’esclamazione dello sconosciuto.
Patrick sorrise sentendosi famoso, anche se non ne comprendeva il motivo.
 
“Fanfiction?” chiese Cho. “Storie su di noi?” continuò Rigsby.
 
“Sì, c’è un sito su internet dove scrittori alle prima armi, pubblicano delle storie. Fanfiction: perché sono i “fan” che si ispirano alle varie Fiction: Che siano libri, telefilm o film, insomma cose di questo genere.” Continuò il giovanotto.
 
“Sì anche mia figlia scrive qualcosina ogni tanto” continuò il primo, certamente più anziano e più “ignorante” sulla questione.
 
“Lisbon ti avevo detto che farci riprendere durante le indagini non era una buona idea.” Lo rimproverò Patrick, con un sorriso sornione. Teresa lo fulminò con lo sguardo perché il biondino sapeva bene che lei obbediva solamente a degli ordini superiori.
 
“Quindi lei mi sta dicendo che la vittima scriveva storie su di noi perché era “fan” delle nostre, em, indagini?” precisò Teresa.

“Del vostro Telefilm.” La corresse l’italiano.
 
“Ma il nostro non è un telefilm. È vita reale! Bruno Heller ci segue e fa del nostro lavoro un documentario…non un telefilm da Tv spazzatura!” lo imbeccò Van Pelt. Rigsby annuì, approvando ciò che era appena stato detto.
 
“Documentario o Telefilm, la donna scriveva di voi. E le poche indagini fatte, portano tutte a quelle storielle. Nelle varie Fanfiction scritte ci sono persone che hanno commentato e sono state rilevate molte minacce sull’e-mail personale della donna.”
 
“Quindi voi ci avete chiamato per un dettaglio così banale che può essere opinabile da chiunque? È improbabile che noi c’entriamo qualcosa in questa storia!” boccheggiò Lisbon.
 
“Qualcuno l’avrebbe uccisa per una Fanfiction? Assurdo!” esclamò Rigsby.
 
Jane intanto si allontanò dalla conversazione esaminando la stanza.
La donna era sdraiata a pancia in su, con gli occhi ancora sbarrati. Incutevano paura, dimostrazione che ne aveva provata tanta prima di essere uccisa. Si avvicinò, poi, alla scrivania. Disordinata, con vari appunti e citazioni di grandi scrittori.
Una di queste lo incuriosì più di tutte.
 
Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l'immortale mano o l'occhio
Ch'ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?

 
Si incendiò di rabbia. Red John aveva pronunciato quei versi di William Blake. Lui lo sapeva bene, le ripeteva nella sua testa ogni santo giorno. Ogni maledetto giorno, quelle quattro frasi riecheggiavano, disturbandolo.
Si allontanò da dov’era per riavvicinarsi al letto ed è lì che lo notò, un piccolo foglietto di carta, ai piedi del letto, invisibile a tutti, ma non a lui. Lo prese, e capì.
 
“L’agente ha ragione. Come si chiama la ragazza?” chiese Patrick riavvicinandosi al gruppetto.
 
“Marta, il suo nickname però era Kim_Jane88” gli rispose il più giovane. Cho si accigliò, Patrick sorrise, dimenticandosi della rabbia che aveva provato poco prima.
 
“Perché chiamarsi in quel modo?” chiese, poi, Kim.
 
“Niente di più semplice a cui rispondere, Cho. La ragazza amava sia l’affascinante gelido coreano, sia me, stupendo mentalista biondo e con gli occhi azzurri! E come contraddirla è impossibile non amarci!” disse, sorridendo; Teresa lo fulminò per un attimo con lo sguardo, Rigsby si offese per non essere stato preso in considerazione, Grace si guardava attorno e Cho, beh, lui in modo impassibile sorrideva a stento. “Comunque, i vostri agenti hanno fatto bene a supporre l’ipotesi che quel sito e queste Fanfiction c’entrino con questo caso, perché è realmente così.”
 
“E tu come faresti a saperlo?” gli chiese Teresa incrociando le braccia al petto. Segno che stentava a crederlo.
 
“Perché… Kim_Jane era così interessata alla nostra storia da avere nostre citazione, sparse sulla sua scrivania. E non so se lo avete notato ma l’assassino ha lasciato un piccolo regalino per noi.” Disse avvicinandosi al letto per poi alzare un foglietto di carta che aveva trovato poco sotto i piedi della vittima. Sul foglio vi era disegnato lo smile di Red John con sotto due lettere ben precise: “O. J.”
 
“Che ne sai che non è stato fatto dalla vittima?” chiese Van Pelt.
 
“A meno che Kim_Jane non si sia suicidata suppongo che questo sia il suo sangue. Quindi l’assassino era a conoscenza della passione della vittima per i nostri documentari” e mentre lo disse, ammiccò al coreano, per poi continuare: “e di conseguenza ci porta a far credere che anche quest’ultimo fosse un nostro Fan! Così tanto da lasciarci questa bella firma. Non è poetico?” esordì, infine, Patrick.
Lisbon lo guardò, annoiata. Tutta quella situazione la disturbava.
 
“E "O. J." Significa?” chiese, sempre rivolta al mentalista.
 
“Non sono onnipotente, Lisbon, ogni cosa a suo tempo! Sarebbe troppo facile scoprire tutto con uno schiocco delle dita” la rimproverò in modo scherzoso.
 
Teresa sbuffò.
 
Aveva fatto migliaia di chilometri per delle adolescenti che si divertivano a scrivere di loro. Niente di più stupido. Ma una vita loro no?
 
“Lisbon, smetti di pensare, stai molestando la mia mente!” la provocò Jane, guardandola di sottecchi. “Prima che ve lo chiediate…No, non è Red John ad averla uccisa perché questo” e indicò la vittima “non è il suo modus operandi” concluse, infine, il mentalista riferendosi ai pensieri dell’agente italiano.
 
“Comunque, ho bisogno dell’indirizzo del sito dove si trovano queste storie. Per il resto, ci penseremo noi” continuò il biondo, parlando sempre con l’italiano più anziano.
Teresa lo fulminò, nuovamente, con lo sguardo. “Ci penseranno loro, volevo dire. Risolveranno il caso. Con il mio aiuto, naturalmente! Ma loro faranno il duro lavoro!” si corresse, guardando la sua squadra.
L’agente lo guardò stralunato, lo credeva pazzo.
 
“Questo è il sito. Per quanto riguarda le indagini avete a disposizione il nostro dipartimento, quando avrete finito qui vi accompagneremo.”
E con quelle poche parole si dileguò lasciandoli definitivamente soli.
 
“Tutte a noi capitano! Un omicidio per delle adolescenti che non hanno da fare che scrivere su di noi!”
 
“Dai Lisbon, ammettilo! Sei curiosa di sapere ciò che scrivono!”

“No…” disse, pacata, quest’ultima, guardandola con un finto broncio che si concluse con il solito sorriso che regalava prontamente al biondo.
 
“Io sì, invece!” rispose euforico Patrick.
 
“Scommetto che troveremo tante storielle sull’affascinante mentalista, Patrick Jane.” Bofonchiò Rigsby, ancora offeso.
 
“Altri 50 dollari. Quelli che mi hai fottuto ieri!” lo provocò Cho.
Si strinsero la mano sotto gli sguardi scettici di Grace e di Teresa e quello divertito di Patrick.
 
Peccato per loro che non avessero la più pallida idea di cosa avrebbero trovato il quel sito…
 
 
 
Continua…
 
 
Angolo… Mio! xD
 
Eccomi qui.
Spero non sia avventato questo capitolo... ho esagerato troppo vero?
Bruno che li segue per un documentario e ne fa poi un telefilm? Vabbe...sono pazza lasciatemelo scrivere xD
Beh sono rimasta davvero colpita da tutte le recensioni che mi avete lasciato…
Spero che questo primo capitolo non vi abbia però deluso :(
Per il continuo dovrete aspettare un po’ perché ancora non ho scritto niente! Sempre se lo volete....mimimi *_*

Grazie ancora a tutte!
Un bacio!
 

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Capitolo 3
*** Jisbon Parte I ***


Jisbon Parte I


Era completamente sdraiato sopra il suo nuovo divano in uno dei tanti dipartimenti distrettuali di quella città dove soggiornava da un paio di giorni.
Aveva un fascicolo posato sull’addome e una manciata di fogli tra le mani.
Patrick Jane era intento a leggere di se stesso. E stranamente aveva un sorriso strano ad incorniciargli il volto.
Senza salutarlo né chiedergli il motivo di tale sorriso, Teresa Lisbon curiosa, di ciò che leggeva il mentalista, allungò una mano per prendere qualche foglio esposto sul panciotto del biondo. Quest’ultimo però, vedendola di sottecchi, senza dire una sola parola, posizionò la sua mano libera sopra il fascicolo e continuò a leggere indisturbato.
 
“Jane, dammi quei fogli.” Disse perentoria, la mora.

“Li sto leggendo io.” Disse, senza staccare un attimo gli occhi dalla lettura, che evidentemente lo affascinava.

“Quanti occhi hai, di grazia? Oh, solamente due come tutti noi essere umani! Che, casualmente, stai usando per leggere quelli che hai in mano! Questi” è indicò i fogli posati sulla pancia. “Non ti servono, falli leggere a me!”
 
“Avete già trovato gli indagati del caso?” chiese, guardandola finalmente.

“Non ancora.” Rispose, incrociando per un attimo le braccia. Le dava fastidio il modo in cui quel uomo la comandava. In teoria lei era il capo e lui il sottoposto.
 
“Bene, hai altro da fare che leggere queste…storie Tessie” disse sogghignando a qualcosa che aveva capito solo lui. Infatti la mora lo guardò accigliata.
 
“C-come mi hai chiamato?” disse, la rabbia le stava salendo fin sopra i capelli. Tempo pochi secondi e sarebbe esplosa.
 
“Oh niente, niente. Devo essermi confuso, sai questa lettura mi prende molto. E su molte cose hanno ragione queste scrittrici. Non vedo l’ora di incontrarle… avrei tante cose da domandargli.” Disse, Patrick guardando la storia che stava leggendo da una ventina di minuti.
 
“Hanno ragione su molte cose? Per esempio?” chiese lei, cercando di prendere nuovamente, qualche foglio. Patrick la bloccò in tempo, allontanando il fascicolo in modo che gli fosse impossibile arrivarci.
 
“Per esempio quando ti arrabbi, ti viene una rughetta d’espressione proprio in mezzo alle sopracciglia. Una volta ho detto di adorarle, ora questa ragazze mi hanno fatto capire che se non la vedo almeno una volta al giorno, non sono contento!”
 
Teresa aprì bocca per dire qualcosa, ma non trovò niente di sensato per rispondergli. Era senza parole. Così decise di allontanarsi da quel uomo, ormai sconfitta. Non voleva fargli leggere quelle storie da tutta la mattinata, e ogni volta che lei si avvicinava trovava qualcosa per allontanarla. Ora era stata la scusa della sua ruga, che l’aveva totalmente sconvolta.
Patrick la vide allontanarsi e sorrise, strano ma vero chi scriveva quelle storie aveva colpito nel segno. Forse da tutto ciò poteva imparare qualcosa, pensò.
 
 
“Balla di nuovo con me, Teresa.” Disse, e senza aspettare risposta, Jane la prese per la vita con un braccio e con l’altro incatenò la mano di lei nella sua, iniziando a danzare a ritmo di quella musica lenta e dolce.
 
Patrick Jane era arrivato a metà della terza storia che aveva iniziato a leggere quella mattina, quando lesse quella frase sorrise compiaciuto della sua temerarietà dimostrata nel invitare Lisbon a ballare. Coraggio che in realtà era espresso soltanto in quelle storie, anche se aveva già ballato con Teresa una volta. Proprio sulle note di quella canzone citata dalla scrittrice.
 
“Bada bene che non ti sto ipnotizzando, anche se sembri esserlo in questo momento” sorrise, burlandola. “Quindi se vuoi, puoi anche separarti da me e andare alla macchina. Io ti seguirò senza dire niente.” Divenne serio.
La guardò, senza sciogliere mai il legame che occhi verdi e occhi celesti, ormai, avevano formato.

 
Continuò a leggere e sghignazzò sotto lo sguardo scettico del suo capo e degl’altri agenti che non se ne spiegavano il motivo.
Sono anche spiritoso, ehehe!, pensò il mentalista.
 
“Interessante, sei rimasta.” Sorrise di nuovo, stavolta dolcemente. Quasi sollevato, in realtà.  “Devi aver capito che stavo mentendo. Non ti avrei lasciata andare facilmente.” Le pronunciò all’orecchio, smettendo per un breve attimo di guardarla.
“Voglio che tu balli con me, non lo abbiamo mai fatto veramente…” le sussurrò ancora.

 
Se avesse voluto imbarazzarsi a ciò che lesse, lo avrebbe fatto... Invece Patrick continuò a sghignazzare leggendo tra le righe quanto fosse divertente e non il momento romantico tra i due personaggi.
Teresa stufa di quella situazione, si avvicinò con prepotenza al biondo e gli strappò di mani quei pochi fogli per poi correre verso il suo “nuovo” studio e chiudersi dentro.
 
Patrick la guardò divertito. Voleva evitargli l’imbarazzo che si sarebbe creato dopo aver letto quella storia, ma la curiosità della mora era stata più forte. Così non la rincorse, anche perché aveva già letto interamente quel racconto, così prese un altro po’ di fogli e si immerse in un’altra storia.
 
Personaggi: Patrick Jane e Teresa Lisbon. Un’altra volta. Titolo: Up and Down. Autore: Mad_Hatter. Notò che era la stessa persona che aveva scritto la storia precedente.
 
Dieci minuti dopo stava rileggendo una seconda volta. Era chiaro quanto questa ragazza amasse questa coppia e leggendo si appassionava lui stesso, però si sentiva esterno a quella storia, escludendo quando aveva letto su Red John che si era trovato a condividere quei pensieri.
Inoltre se fosse stato solo, e non con una decina di persone che attraversavano la stanza quando lesse di sua moglie e sua figlia si sarebbe lasciato andare all’emozione che provò ma le bloccò come era abituato a fare.
 
Intanto non vi era ancora nessuna traccia di Teresa. Era chiusa da dieci minuti nel suo ufficio e ancora non era uscita. Così decise di terminare la lettura, per quel giorno, e si diresse verso la mora.
Bussò leggermente e senza aspettare risposta entrò.
 
“Oh, ciao Jane!”
 
“Hai letto?”
 
Teresa iniziò a guardarsi intorno per un attimo persa nei suoi pensieri e poi tornò a guardare l’uomo davanti a se. Iniziò sorridere ma con fatica.
Si sapeva che ci sarebbe stato imbarazzo nella sua reazione, ma comunque reagì in modo tranquillo e poi gli rispose.
 
“Sì, la ragazza ha molta fantasia. È l’unica che Van Pelt ancora non è riuscito a trovare. Le altre ragazze sono state rintracciate ed entro domani inizieremo ad avere i primi interrogatori”
 
“Non trovi stupenda la scena del ballo?” le chiese Patrick, saltando la parte noiosa del caso.
 
“Sì, molto. Comunque, tu hai potuto notare qualcosa da questa ragazza? Qualche dettaglio?” continuò, evitando il commento del mentalista.
 
“È di Roma. Ha più o meno venti anni, non ancora laureata. Single. E un po’ fredda nei rapporti sentimentali, forse dovuta ad una brutta esperienza personale” commentò, il biondo.
 
Teresa lo guardò accigliata.
 
“Ho letto un’altra storia, dove sa esprimere bene quanto si soffre per una perdita. Per quanto riguarda il luogo di provenienza, nel suo spazio si è lasciata molto andare con il suo dialetto romano. È single, perchè si tiene molto lontana dall’effusioni tipiche degli adolescenti, ciò ci fa capire anche che l’ha appena superata e quindi ci indica la sua età di ventenne, e si discosta dalle parole importanti che spesso si utilizzano quando si è innamorati e quindi fidanzati.”
 
“Può anche essere impegnata e non lasciarsi andare ad effusioni e parole importanti!” commentò la mora.
 
“Non tutte sono come te, Lisbon!” la provocò Patrick.
 
Teresa lo guardò torvo e si alzò da dove sedeva per avvicinarsi alla porta.
 
“Dove vai?” le chiese Jane.
 
“È l’ora della pausa, vado a pranzo!”
 
“Vengo con te! Prendiamo l’ascensore?” disse, seguendola. Teresa lo guardò attonita fermandosi un secondo, poi continuò a camminare dirigendosi verso le scale.
 
Patrick camminò velocemente qualche passo avanti a lei e chiamò l’ascensore che arrivò annunciandosi con quel maledetto suono che Patrick detestava.
 
“Guarda, Lisbon! Prendiamolo facciamo prima!” insistette.
Teresa alzò gli occhi al cielo e poi seguì il mentalista verso l’ascensore, senza capire cosa passasse per la mente a quel uomo stralunato.
 
 
 
Continua.
 
Allora… è cortissimo questo capitolo ma è voluto, è solo la prima parte :)
Patrick ha scoperto le Lisbon&Jane, anche se non ha scoperto ancora il nome Jisbon, anche questo è voluto!
 
Le citazioni sono a due mie storie la prima More than Words, per chi non l’avesse letta qui l’indirizzo: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=614352&i=1
E l’altra è Up and Down, sempre per chi non l’ha letta qui l’indirizzo: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=619435&i=1
 
Ed è qui che arrivo a dirvi una cosa che per me è essenziale per il continuo di questa storia. Come avete visto ho citato solo mie storie perché non volevo permettermi di prendere pezzi delle storie di altre scrittrici, quindi qua la richiesta o favore: Per chi legge e scrive anche…mi date il permesso di prendere spezzoni come ho fatto in questo capitolo? Ad ogni citazione comunque ci sarà il vostro link della storia e il nome di chi l’ha scritto naturalmente…quindi a voi la scelta! Grazie in anticipo per le risposte!
 
Un bacio a tutte! E grazie per i vostri commenti! *_*

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Capitolo 4
*** L'interrogatorio numero 1 e un accenno Chisbon ***


L'interrogatorio numero 1 e un accenno Chisbon.



Finalmente dopo due giorni di soli buchi nell’acqua erano riusciti a trovare una delle possibili indiziate.
Patrick Jane era al di là di un muro mentre ascoltava l’interrogatorio della ragazza che rispondeva alle domande di Kimball Cho.
 
“Allora, signorina…”
 
“Soarez” l’aiutò la donna.

“Sì questo è il nickname che usi nel sito, nella realtà ti chiami…” iniziò il coreano cercando nei fogli che aveva davanti, ma la ragazza non lo fece terminare.
 
“Oh tu puoi chiamarmi come vuoi” disse, ammiccando. Cho la guardò impassibile.
 
“Mi chiamo Serena…” disse infine. Cho accennò un sorriso.


“Ti abbiamo chiamato per la morte di Kim_Jane, Marta nella realtà.” affermò, prendendo il taccuino nero dove appuntava in genere le risposte degl’indagati.
 
“Posso prendere anche io il mio block notes? Non si sa mai che mi viene qualche illuminazione, di solito tu mi ispiri molto” chiese, con tono malizioso Soarez.
 
Dall’altra parte del vetro Patrick Jane sorrise. Cho invece la guardò severo, come se gli fosse stato chiesto la possibilità di fumare e le rispose semplicemente: “No.”
 
A quel punto, Patrick entrò, intromettendosi come la maggior parte delle volte, nella stanza.
 
“Scrivi pure Serena, è sempre bello avere idee nuove, soprattutto se ispirate su di noi, ancora meglio se su di me…” fece l’occhiolino il biondo.
 
“Grazie Patrick” lo ringraziò la ragazza, spostando poi lo sguardo verso Cho.
A Patrick Jane non sfuggì quel piccolo particolare…
 
“Ti piace Kimball?” le chiese.
La ragazza arrossì lievemente, per poi sorrise spudoratamente, due modi di essere opposti ma che la caratterizzavano, la analizzò Jane.
 
“Lo prendo per un sì, per questo motivo hai ucciso Kim_Jane? Perché anche a lei piaceva Cho, oltre me naturalmente?”
 
Soarez sbarrò gli occhi, sorpresa.
 
“V-volete dirmi che mi accusate di averla uccisa? Oh no…” iniziò a negare, sembrava sincera.
 
“Perfetto, Cho non è stata lei… Non mente. Puoi lasciarla andare!” concluse Patrick, sorridendo alla ragazza. Questa si accigliò per un attimo, poi si affrettò a prendere dallo zaino il suo blocco e iniziò a scrivere spasmodicamente.
Un Patrick sorridente e un Cho piuttosto irato la guardarono finché non finì in ciò che stava facendo. Serena, appunto, quando terminò di appuntare la sua idea, tornò a guardarli.
 
“Jane, esci” iniziò Cho, senza guardarlo negl’occhi.
 
“Sì, infatti, se non ti dispiace Patrick, lasciaci un po’ soli” disse l’indagata sorridendo maliziosamente. “Oh, devo scrivere anche questa!” continuò Soarez, riprendendo il blocchetto.
Cho sbuffò, imprecando, mentre un Jane piuttosto divertito uscì dallo stanzino.
 
“Continuiamo Kim?” ammiccò la ragazza.
 
“Hai qualche sospetto di chi possa aver ucciso quella ragazza?” il coreano finse di non averla sentita e aspettò la risposta con una tranquillità quasi innata.
 
“Beh, Kim_Jane non era molto simpatica, però scriveva molte storie interessanti. Su di te e su Patrick” continuò questa, guardandolo negl’occhi.

“Non era molto simpatica?”
 
“Già, postava puntualmente delle storie, ma non commentava mai nessuna delle nostre…”
 
“Questo potrebbe essere un pretesto per ucciderla” affermò Cho, sentendosi ridicolo per quel affermazione, ma fu impassibile e parlò con tono distaccato.
 
“Ucciderla? Ma stiamo scherzando! Sì, ogni tanto succedeva di ricattare qualcuno, ma senza le giuste intenzioni. Si faceva per scherzare!” si difese la ragazza.
 
“Infatti. Peccato che una ragazza sia morta.” Rispose Cho.
 
“E Patrick Jane ha detto che non sono stata io. E tu Kim, lo ascolti sempre e ti fidi di lui, non è così?”
 
“Non mi fido di lui, ma del mio capo” concluse secco Cho, non sapendo di aver appena fatto un regalo all’indagata.
 
“Oh, era proprio questo che volevo sentirmi dire! Cho io credo in te!” affermò piena di convinzione la donna. Cho la guardò attonito per un istante, intanto Soarez aveva di nuovo preso il suo blocco delle note e stava scrivendo felicemente. “Ho sempre sognato di far parte di un tuo interrogatorio!” sussurrò, mentre continuava a scrivere.
 
“Smettila di scrivere. Hai qualche idea di chi possa essere stato?” brontolò il moro.
 
Soarez alzò lo sguardo verso il coreano e negò.
 
“Non so chi possa essere stato, però potete chiedere a Sasita, lei di solito era sempre la prima a recensire le sue storie.”
 
“Sasita?” chiese, Cho, appuntando questa volta anche lui il nome sul taccuino.
 
“Sì. È di Firenze. Posso darvi la sua e-mail così potete contattarla.”
 
A quella notizia Cho si alzò e uscì dalla stanza, lasciandola da sola.
Nella stanza adiacente trovò il suo capo, Lisbon, alla quale consegnò l’indirizzo con il quale potevano contattare la nuova indagata. La mora dopo aver letto l’e-mail, andò nella stanza dell’interrogatorio dove Soarez stava aspettando tranquilla, rileggendo ciò che aveva annotato.
 
“Perché avresti scritto una cosa del genere a Kim_Jane in un tuo commento: -Se non aggiorni ti manderò il mio fido Criceto Mannaro, alto tre metri. ti scoverà ovunque tu viva e di notte ti mangerà occhi e naso –” lesse su un foglio, Teresa, sentendosi un po’ ridicola.
 
Soarez iniziò a ridere di gusto. “Non è un ricatto, lo dico quasi a tutte le ragazze per scherzare… Non per questo vuol dire che sono un’assassina e uccido tutte quelle che non aggiornano le loro Fanfiction.” Le rispose, infine, continuando a sghignazzare.
Lisbon la guardò per una manciata di secondi, poi si girò verso lo specchio, come se volesse trovare risposta e tornò a guardarla. In quei pochi secondi entrò nuovamente il biondo che, come se gli fosse stato chiesto un parere, disse: “Sì, Lisbon è sincera, ora dovremmo sentire quest’altra ragazza! Io torno a leggere qualcosa di là sul divano del tuo ufficio, ho scoperto che è molto più comodo!” fece per andarsene ma tornò subito su i suoi passi. “Se resti ancora, ti dirò cosa ne penso delle tue storie!” disse e strizzò l’occhio verso la ragazza che rispose con un sorriso felice.
 
Lisbon e Cho rimasero con la ragazza per vedere se, con qualche altra domanda, potevano scoprire qualche cosa di nuovo.
Intanto Patrick Jane entrò nell’ufficio del suo capo con in mano il famoso fascicolo e si sdraiò sul comodo divano rosso per iniziare a leggere.
 
Questa volta il protagonista non era lui, peccato pensò, ma Teresa e il collega coreano.
Lisbon era completamente ubriaca, mentre Cho lavorava come barman.
Ottima idea, si disse invogliato a leggere.
Si ambientò nella storia e scoprì di essere attratto da quella scrittura e di conseguenza da quella storia.
 
Era bravo in quel che faceva.
Le bottiglie e i bicchieri sembravano prendere vita tra le sue mani che lanciavano, afferravano, shakeravano, e servivano con un'abilità invidiabile. Il suo datore di lavoro pensava di assicurarle.
Chissà se sono abili anche in altri ambiti...
“Oh, smettila!”
Smettila tu. Non fare la santarellina, per favore. Ti sono sempre piaciute le sue mani.
“Si, ma che c’entra?”
E ha anche un bel culo.
“Ohw…”
E in effetti, fasciato nei pantaloni neri, con la camicia rossa della divisa da barista e il lungo grembiule porpora che gli cingeva la vita, Kimball Cho faceva la sua porca figura.

 
Il biondo iniziò a ridere, se la immaginava una Lisbon completamente ubriaca a fare pensieri sconci sul proprio agente. Guardò attraverso la vetrata di quel ufficio per adocchiare un secondo il coreano che parlava con Van Pelt. Cho era di schiena al mentalista, e approfittando della situazione Patrick poté confrontare la realtà con ciò che Soarez aveva scritto. Effettivamente Cho possedeva un bel fondoschiena.
Sogghignò e continuò la lettura.
 
Walter Mashburn, signore e signori, ricco, egocentrico, seducente. Al secolo il suo uomo.
Ora profondamente impegnato in una solida relazione con nientepopodimenochè Patrick Jane.
Beh, almeno non sei stata mollata per una donna. Peggio dell’ultima volta non poteva certo andare.


 
Cosa? Lui con Walter?
No, no. Guarda a questo punto preferiva Cho, oppure se proprio era costretto Rigsby. Ma quel essere, NO!
 
Quando finì di leggere, aveva un sorriso stampato in faccia.
Li vedeva bene assortiti Teresa e Kim, ma non poteva negare che la coppia formidabile non poteva che essere quella tra Lui e Lisbon. E non c’era nemmeno possibilità di metterlo a confronto. Lui era Patrick Jane, vogliamo mettere?
Si affacciò dall’ufficio della mora proprio quando Soarez si apprestava ad andarsene.
In quel momento il biondo si avvicinò velocemente alla fanwriter e le sussurrò lievemente: “Prendilo come un regalo!”
La ragazza in risposta lo guardò accigliato e lo seguì con lo sguardo.
 
“Lisbon!” ululò, Patrick. La donna si girò per guardarlo e così la imitarono anche Wayne, Grace e Kimball.
 
“Non trovi che Cho abbia un bel fondoschiena?”
La mora sbarrò gli occhi e divenne rossa in volto per la collera. Cho incrociò le mani al petto e guardò il mentalista con aria di chi era stato intromesso in qualcosa che lo divertiva veramente pochissimo. Mentre Wayne e Grace ridevano, trattenendosi a stento.
 
“Ma che diavolo di domanda è, Jane!?” borbottò, urlando Teresa.
 
“Oh, io lo prenderei per un sì, non sei d’accordo?” mormorò Patrick, guardando verso Soarez. Quest’ultima seguiva divertita la scena e rideva senza saper cosa dire.
Teresa andò in tutta fretta nel suo ufficio, brontolando che non se ne poteva più di quel idiota, riferendosi sicuramente al consulente. Cho lanciò uno sguardo a Soarez per poi tornare al suo lavoro e Patrick Jane la accompagnò verso l’ascensore commentando quanto gli fosse piaciuta la sua storia.
 
Dieci minuti dopo Patrick Jane tornò nel bullpen e si avvicinò a Cho con un paio di fogli in mano.
 
“Tieni, leggi” e glieli porse.
 
“Cos’è?” chiese piatto il coreano.

“Una bella lettura” disse, sorridendo sornione andando, infine, verso il divano per sdraiarsi.
 
Prima di chiudere gli occhi, Patrick vide Kim sedersi di fronte alla scrivania e iniziare a leggere, sembrava piuttosto interessato a ciò che stava leggendo e ad un certo punto gli parse di vedere un sorriso malizioso sul volto del coreano, a quel punto sorrise anche lui e chiuse gli occhi fino ad addormentarsi.
 
 
Continua.
 
Ok, via agli insulti.
 
Soarez se ti ho offeso, o non ti è piaciuto c’ho che hai letto…hai tutta la mia approvazione per lanciarmi il tuo Criceto Mannaro! °_°
 
La storia citata è della scrittrice “Soarez e il link della storia ( Welcome to the Hotel California ) è questo: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=601605&i=1
 
Infine ringrazio come sempre tutte le anime pie che hanno commentato il capitolo precedente, spero che la storia non vi deludi!
 
Un bacio,
MadHatterInLove
 
 
Ps. BUON NATALE A TUTTE QUANTE! :D

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