Solo un bacio

di Love_in_London_night
(/viewuser.php?uid=89515)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In theater ***
Capitolo 2: *** Another film ***
Capitolo 3: *** Taking away your heart ***
Capitolo 4: *** Smelling each other jealousy ***
Capitolo 5: *** (Un)happy birthday... ***
Capitolo 6: *** Sweet surrender ***
Capitolo 7: *** Each tale has a different ending ***



Capitolo 1
*** In theater ***



Licenza Creative Commons
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia


Allora... avevo questa idea che mi girava per la testa, e l'ho buttata giù! dato che ho visto che l'altra OS su Tom l'avevate gradita!
Ecco... ora io posso solo scusarmi, ma evidentemente mi sto innamorando di TomStu... perchè ci penso un sacco!
fatto sta che questo ragazzo mi ispira una dolcezza infinita, e i finali delle shot su di lui beh, sono da carie!
che ne dite di farmi sapere cosa ne pensate? ^__^
un bacio a tutte! Cris

ps: ah si! mi volevo scusare per aver usato lo stesso nome dell'altra shot per un personaggio diverso... ma il nome mi piace troppo, e mi piace che ce l'abbia la "mia ragazza" di Tom... scusate!

 

In theater
 

 
 Camminava per la strada con il naso per aria, scrutando quel cielo che tanto la ammaliava e la affascinava. Sì, era proprio grigio fumo.
Si stringeva il collo del maglione e della giacca, cercando di impedire al freddo di entrarle nelle viscere, oltre che tra i vestiti. Era la tipica atmosfera autunnale, e le piaceva, perché pensava che si addicesse perfettamente a quella città.
Londra.
Un sospiro malinconico le sfuggì mentre scacciava quella sensazione di estraneità e abbandono che dalla mattina l’avevano colta. Era lì da poco più di un mese, eppure si sentiva ancora un’estranea. Aveva conoscenze superficiali, inoltre non comprendeva la città alla perfezione. Ed era una cosa che odiava.
La giornata nuvolosa e a tratti piovosa, non le aveva dato la voglia di seguire l’ultima lezione del corso, così poco prima di mezzogiorno, si era rintanata in aula studio per sfogliare un giornale. Cercava una pagina in particolare, quella che le avrebbe ridato il sorriso. Perché solo vedere una faccia amica, le avrebbe fatto passare quella solitudine in cui quel giorno vagava.
Girando le pagine, aveva trovato ciò che cercava. E facendo scorrere i titoli, aveva scoperto di essere ancora più fortunata: La faccia familiare, quella che più la confortava e la faceva sentire a casa, beh, era a sua disposizione.
Solo oggi, recitava la carta stampata. Non si sarebbe fatta sfuggire l’occasione.
E così si era ritrovata in quella zona che assolutamente non conosceva, e la positività era partita per luoghi lontani. Probabilmente a quest’ora era a Cabo sdraiata su un’amaca a sorseggiare una piña colada, alla faccia sua!
In questo momento Daphne avrebbe voluto rifugiarsi in una libreria con in mano una tazza di Starbucks con dentro della cioccolata calda. Adorava il calore e l’intimità che i libri riuscivano a darle. Peccato che in quel quartiere non ci fosse una libreria, né uno Starbucks.
Ma in che diavolo di zona di Londra era finita?
Quasi si aspettava di veder passare la gente in calesse, e non in auto.
Stava maledicendo se stessa per aver seguito ancora una volta la sua impulsività, quando si ritrovò davanti ciò per cui era andata lì. Aveva raggiunto la sua meta.
Sorrise tra sé, come a congratularsi con la parte più sventata di lei.
Si avviò decisa verso la ragazza alla cassa – Ciao! Mi faresti un biglietto per lo spettacolo delle tre, per favore?
- Certo! Solo uno?
- Sì, grazie – rispose Daphne – Buon lavoro! – le disse sincera.
Le piaceva far notare alla gente quanto apprezzasse il loro lavoro, la riteneva una cosa giusta.
- A te buona visione! – aggiunse la ragazza tutta sorridente.
Era presto, mancavano ancora venti minuti. Decise di andare in bagno, perché niente poteva impedirle di interrompere la visione del film, e poi prese le caramelle. Aveva voglia di dolce. E in più i pop corn facevano troppo rumore quando venivano masticati, disturbavano.
Si sedette al centro della sala. Oltre a lei c’era una nonna con i nipoti.
Poco prima della proiezione arrivò un ragazzo di corsa, e si posizionò nel posto più esterno, due file dietro a Daphne. Lei, non l’aveva quasi notato. Quasi. Perché non si poteva non notare un ragazzo che correva in una sala cinematografica quando questa era praticamente vuota.
Ma non gli diede importanza.
Il film iniziò.
Daphne lo conosceva a memoria, ma lo adorava. E ogni volta, alle scene un po’ più sinistre, sobbalzava, come se fosse per lei la prima volta. Era incredibile come solo quella storia riuscisse a coinvolgerla.
Mentre Nagini attaccava il custode della casa sulla collina di Little Hangleton, arpionò il bracciolo della seduta.
Poco dopo vide la faccia per cui era andata in quel cinema sgangherato fare capolino sullo schermo. E sul suo volto si formò un sorriso caldo, di quelli che si rivolgono a qualcuno di famiglia, a qualcuno di intimo. Stava meglio.
Quelle guance arrossate, l’espressione sveglia e solare, e la faccia innocente le facevano palpitare il cuore più velocemente. Sì, aveva una cotta per Cedric sin da quando aveva letto i libri.
Appena si ritrovò davanti Krum su una scopa, fece un salto sul posto che assomigliò molto al lancio di uno shuttle. Avrebbe potuto bucare il soffitto.
Tutto questo spavento era dovuto al fatto che, improvvisamente, accanto al suo orecchio sinistro aveva sentito quel fastidiosissimo rumore, quello del pop corn masticato. Al contrario delle sue innocenti caramelle.
Era il ragazzo che era corso per le scale prima che il film iniziasse, lo vide appena con la coda dell’occhio.
Dal canto suo, Tom, si era avvicinato perché quella ragazza lo aveva attratto lì con la sua sola presenza. Era magnetica. Aveva i capelli di un colore che si avvicinava molto all’arancio. Il classico pel di carota, insomma. La pelle era chiara, forse troppo, ma a lui piaceva così. Gli occhi? Beh, quelli non poteva dire di che colore fossero, c’era troppo buio, e quando l’aveva vista ancora con le luci accese, era semplicemente troppo distante.
Ma quella distanza l’aveva colmata, sedendosi accanto a lei, anche a costo di fare la figura di uno un po’ sbruffone.
- Cos’ha di spaventoso questa scena? – domandò interessato, notando il salto sulla sedia.
- Niente… sei stato tu a spaventarmi! – rispose Daphne sottovoce, non scollando gli occhi dallo schermo.
- Scommetto che sei Team Cedric – bisbigliò il ragazzo dopo aver masticato ancora un po’ i suoi pop corn.
- Si, perché? Dovrei essere Team Victor? – Krum non le aveva mai suscitato il benché minimo interesse, e dopo anni ancora si domandava cosa una come Hermione avesse potuto vederci.
- Certo! Cedric, o chi per lui, è un vero cretino!
- Come fai a dirlo? – chiese la ragazza senza guardarlo mai in faccia. La concentrazione era tutta per il film. Trovò strana la risposta del ragazzo, e un po’ incomprensibile, ma decise di stare al gioco. In fondo, le stava simpatico, e le piaceva guardare i film in compagnia. Peccato per quei pop corn!
- Credimi, lo so – disse solamente lui con tono divertito.
Daphne, inaspettatamente, gli credette. Quel ragazzo aveva un modo di fare che le piaceva e la metteva a suo agio. Era naturale. E il suo odore contribuiva. Sapeva di tabacco e di pioggia. Di inverno e di calore. Tutto quello, addosso a lui, le trasmetteva una sensazione accogliente.
D’istinto decise di non voltarsi mai verso di lui, voleva solo parlargli e godersi la sua compagnia, guardandolo solo alla fine, a luci accese.
- Caramelle? Mmhh, scelta interessante – disse lui in tono sarcastico.
- Sempre meglio dei tuoi rumorosissimi pop corn. E poi avevo voglia di dolce! – rispose un po’ piccata.
Lo vide appena alzare le sopracciglia rivolto nella sua direzione. Lo vide con quella maledettissima coda dell’occhio, che di lì a poco le avrebbe fatto partire la retina e la cornea. Mannaggia a lei e alle sue scelte!
- Ho capito perché le mangi… hai bisogno di addolcirti un po’! – e ridacchiò.
- No, sei semplicemente tu a darmi fastidio! – ma era poco convinta.
- Vabbeh, ho capito! – replicò lui con le mani alzate in segno di resa, e si ammutolì.
Il silenzio durò poco. Il ragazzo si sperticò in commenti divertenti che fecero ridere sommessamente Daphne, per non disturbare la nonna e i nipoti.
La durata del film, con i commenti del suo vicino, passò in un attimo. Mancava poco alla fine.
Non capiva come il suo compagno d’avventura sapesse tante cose riguardo al dietro le quinte. Ma la ragazza si rese conto di una cosa e avvampò. Il suo vicino si divertiva un mondo a prendere in giro Cedric – o Robert – ma non lo faceva in modo cattivo. Lo faceva in modo divertente, familiare. Come se ricercasse un vecchio amico. E Daphne capì che anche il ragazzo era lì per vedere La faccia familiare per cui lei stessa era lì.
Questo la fece sentire compresa, e si ritrovò ad apprezzare ancora di più quello sconosciuto.
All’inizio dei titoli di coda prese il coraggio a due mani – E tu come fai a sapere tante cose sul backs…? – ma si fermò, con la giacca sospesa a mezz’aria.
Le luci si accesero rivelando il volto del ragazzo, e con esso, la sua identità.
Lei rimase veramente stupita, e non riuscì a capire come non avesse potuto capirlo prima.
Decise di non rovinarsi il momento, accantonò la sua sorpresa e gli regalò uno dei suoi sorrisi, che tanto avevano colpito il moro.
Con la mano allungata verso di lui disse – Piacere Tom, io sono Daphne.
Lui la strinse – Piacere mio – e rispose al sorriso.
Si ritrovarono davanti all’uscita senza accorgersene, e guardando fuori, videro una pioggia torrenziale scendere oltre le porte.
- No! Lo sapevo! Ho lasciato l’ombrello in università! – tipico di Daphne. Con queste sue dimenticanze, riusciva a mantenere le fabbriche di quegli oggetti così utili e così ingombranti.
Tom rise. Si tolse la giacca e la guardò – Ti va un caffè da Starbucks? Ce n’è uno dietro l’angolo – è indicò un posto alla loro destra, cioè la parte opposta rispetto a quella da cui Daphne era arrivata.
Ok, forse in quella zona non giravano in calesse, doveva ammetterlo!
Ridacchiò della sua stupidità e accettò l’invito di Tom.
- Allora tutti in carrozza! – disse lui alzando sulle loro teste la sua giacca – Ecco, avvicinati a me, così ci bagneremo di meno! – e si buttarono nel bel mezzo dell’acquazzone.
Daphne vide per la prima volta il volto di un ragazzo che non voleva perdere, perché quel gesto così cavalleresco l’aveva stregata del tutto.
Risero mentre raggiungevano il locale, ed entrarono al volo. Solo allora la ragazza si accorse di essere allacciata alla vita di Tom, e divenne rossa. Lui le sorrise, cancellando ogni traccia d’imbarazzo. Quel gesto, a lui aveva fatto piacere. E avrebbe pagato pur di ripeterlo a breve.
Si guardarono, e scoppiarono a ridere. Nonostante avessero cercato di ripararsi, erano bagnati fradici. I capelli di Daphne avevano assunto un colore scuro, increspato da morbide onde. Le davano un’aria ancora più fragile, e Tom desiderò ancora una volta stringerla a sé.
Lei invece notò che i capelli del ragazzo gli incorniciavano la faccia, rendendo i suoi lineamenti più morbidi. Era delizioso.
Tra i due, Tom era il più bagnato.
- Facciamo così, tu vai ad asciugarti e a prendere posto, alle ordinazioni penso io – e sorrise.
- Sei sicura?
- Certo. Non ti preoccupare.
- Io prendo… - iniziò Tom, ma lei lo zittì.
- Non dirmelo. Scommettiamo che indovino?
Tom si diresse in bagno con un sorriso sulle labbra. Le premure di quella ragazza gli piacevano, e tanto anche. Era come se non potesse farne a meno. Delle sue attenzioni, di lei.
Per la prima volta, vide il volto di una ragazza che avrebbe voluto vedere per molto, moltissimo tempo.
Se solo i suoi amici l’avessero visto in quel momento, l’avrebbe preso per il culo a vita. Ma a lui, sarebbe importato poco. Sì, quel giorno credeva nel colpo di fulmine, e lo stava pure vivendo.
Prese posto in un angolo appartato in cima al soppalco, non voleva essere disturbato. La compagnia di Daphne era troppo preziosa per essere sprecata. Non aveva ancora la certezza di poterla rivedere poi. O così lui credeva.
Lei si sedette vicino a lui, con in mano la sua cioccolata calda. La annusò. Non sapeva di tabacco, pioggia, inverno e calore, ma per ora, le bastava. Per quella combinazione particolare avrebbe dovuto avvicinarsi di più a lui, ma non voleva spaventarlo con delle attenzioni che rasentavano la pazzia.
- Cioccolata calda? – domandò con una strana espressione in viso.
- Già, perché?
- Allora è proprio vero che hai bisogno di dolcezza! – e Daphne si concentrò sulla sua tazza ascoltando la risata di Tom. No, da poche ore a quella parte la cioccolata non le dava più la dolcezza necessaria. Perché da poche ore a quella parte, lui era entrato nella sua vita. E l’aveva scossa. Erano più dolci le farfalle che sentiva nello stomaco. Ne sarebbero mai uscite?
Gli porse la sua tazza e disse – Assaggia.
Tom lo fece, e sentì il gusto del caffè nero, con una punta di zucchero. Il suo caffè preferito, servito nel modo che più gli piaceva. Come aveva fatto?
- Ho indovinato, vero?
- Si, come hai fatto?
Alzò le spalle – Intuito!
E poi successe: entrambi alzarono gli occhi sull’altro. E per la prima volta i loro sguardi si incontrarono, incatenandosi. Verde nell’azzurro. Azzurro nel verde.
Ed entrambi, videro in fondo agli occhi dell’altro il loro futuro. Perché Daphne non avrebbe più voluto perdere Tom. Mai.
E Tom avrebbe voluto vedere Daphne per tanto, tantissimo tempo.
Per tutta la vita.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Another film ***


ecco, l'avevo promesso e ora sono qui.
ho reso questa OS, una "mini long-fic". conterà sette capitoli in tutto.
spero possa piacervi!
per le risposte, ci vediamo sotto!

Capitolo 2
 
Another film
 

 

Dov’erano? E da quanto erano lì?
Daphne non riusciva a concepire tutto quello. Era in uno Starbucks con uno sconosciuto, più o meno. Eppure si sentiva a casa. La sensazione che aveva cercato tutto il giorno in modo disperato, e che credeva di aver trovato vedendo quella faccia sullo schermo, ora era amplificata e ben radicata in lei. Ed era merito di Tom.
Lui non sapeva come comportarsi. Parlava, parlava, e parlava ancora, e la faceva ridere. Ma di solito era più spigliato, più burlone. Rasentava la scemenza, spesso e volentieri.
Daphne lo affascinava a tal punto da fargli perdere il lume della ragione.
Si sentiva pacato, più tranquillo. Sereno quando lei era vicino.
E vicini lo erano davvero. Perché erano seduti sullo stesso divanetto, con le teste inclinate uno verso l’altra. Erano talmente vicini che Daphne aveva ritrovato il suo odore – tabacco, pioggia, inverno e calore – e Tom percepiva distintamente il profumo dolce della cioccolata, che ormai era diventato quello delizioso di lei.
- Mi piace la pioggia, mi piace sempre di più – e aggiunse l’ultimo pezzo cercando quelle iridi ghiacciate così calde. Le trovò ed arrossì.
Le piaceva così tanto che si era trasferita a Londra per quello. Le piaceva perché le aveva permesso di conoscere quel ragazzo così particolare. Le piaceva perché aveva dato loro l’opportunità di conoscersi meglio, di avvicinarli.
Le piaceva ancor di più perché lui sapeva di pioggia, e le gocce d’acqua l’avevano reso ancora più bello.
- È l’aspetto di Londra che più preferisco. Non cambierei città per nessuna ragione al mondo – sorrise. Lo fece sapendo di guardare una ragione in più per cui non si sarebbe mai mosso da quella metropoli. Non senza lei al fianco.
Parlava Tom, non le lasciava tregua, voleva raccontarle tanto, e sapere ancora di più. Parlò molto, ma non riuscì a dire nulla di quello che pensava realmente. Non riuscì a porle la domanda che più gli premeva: “Quando posso rivederti?”
Intanto i liquidi nelle tazze avevano abbandonato il loro calore, il loro livello si era notevolmente abbassato, ed il cielo cominciava a scurirsi. Il tempo, impietoso, a passare.
Tom decise di fare l’uomo, e dopo altri dieci minuti trovò il coraggio che aveva cercato per tutto quel tempo ed interrompendola finalmente chiese – Cosa ne dici di andare a mangiare un boccone insieme? – e le sorrise in modo incoraggiante, e così sperava risultasse.
Daphne avvampò. Il cuore schizzò in gola battendo furiosamente. Il rosa sulle guance aveva evidenziato le sue lentiggini. E Tom provò l’insano desiderio di accarezzare quei segni delicati.
Il sorriso di lei si spense – Oh. Stasera lavoro. Però… - non ebbe il tempo di finire che il cellulare del ragazzo la interruppe.
- Scusa. È il mio agente, è importante. Devo rispondere – aggiunse con un tono disperato che mai gli era appartenuto. Aveva appena ricevuto un no, ma aveva avuto l’impressione che di un no non si trattasse veramente. Era intenzionato ad andare a fondo alla questione.
Si chiuse dietro la porta del bagno, per avere la proprio riservatezza.
Daphne guardò l’ora al suo polso, e si accorse tristemente che doveva proprio andare, non poteva indugiare ancora.
Adorava Aidan, quella piccola canaglia di quattro anni a cui faceva da baby-sitter, non gli aveva mai creato problemi. Prima di allora.
In quel momento però, l’avrebbe defenestrato volentieri. Peccato che poi ne avrebbe sentito terribilmente la mancanza.
Avrebbe potuto dire di no ad Annah, la madre della peste, ma sapeva che aveva un disperato bisogno di aiuto. E a lei servivano i soldi.
No, non poteva rinunciare.
Di colpo infilò la mano della borsa, e lo trovò. Il suo inseparabile pennarello nero.
Prese il tovagliolo quadrato e scrisse sopra “Devo proprio andare, scusami. Ho passato una bellissima giornata con te. Grazie!” si girò per vedere se Tom stava tornando, ma non era in vista “Guardati bene in giro. Se lo farai, mi ritroverai. Daphne. Ps: odio i messaggi zuccherosi”
Aveva visto mille volte nei film lasciare solo un indizio, per poi ritrovarsi grazie a questo. Voleva sperimentare la cosa.
Aveva passato troppo tempo ad essere la spettatrice, voleva essere l’eroina per una volta.
Si fidava dell’acume di Tom. Sperava con tutto il cuore di non sbagliarsi.
Scrisse il suo numero di cellulare in un posto così banale che Tom avrebbe trovato subito. O così pregava. Si ritrovò a sperare per la seconda volta.
Prese le sue cose e si alzò, in quel momento Tom uscì da dietro la porta. Stava per terminare la chiamata, ma il suo agente non aveva tutta questa fretta di chiudere la comunicazione.
Quando la vide con la giacca e la borsa a tracolla, gli si gelò il sangue nelle vene. Era finita. La sua unica opportunità si era esaurita in un bagno. Che fine ingloriosa!
Daphne desiderava troppo un contatto con lui – con il suo sapore – e prima di pensarci due volte, gli mimò un grazie e lo baciò sulla guancia, stringendosi al suo collo. Non voleva lasciarlo andare, ma doveva.
Si staccò, e corse sotto la pioggia verso la fermata della metropolitana.
A Tom quei pochi secondi di contatto erano parsi scorrere a rallentatore. Eppure non gli era bastato. Ne voleva ancora. Ne voleva di più, e di più lunghi.
Chiuse la conversazione con il suo agente, ormai finita, e si sedette al tavolo con le gambe molli.
Non era stato un bacio, ma un marchio a fuoco. Perché sentiva ancora bruciare le labbra di Daphne sulla sua guancia. E sapeva che era un segno del suo potere. Perché ora ne aveva la certezza: era suo, di lei e basta.
Abbassò lo sguardo sul tavolino e lesse il messaggio sul tovagliolo.
La speranza si impossessò di lui. Doveva solo trovare l’indizio. E l’avrebbe fatto, a costo di ribaltare il locale, o chiamare Indiana Jones in persona, il massimo esperto in casi di questo tipo.
Dopo aver cercato sotto il divanetto, sotto il tavolino, su tutti i tovaglioli e da qualche altra parte era disperato. Non aveva trovato nulla. Ma non poteva arrendersi.
Si sedette al suo posto, sconfitto, si stropicciò i capelli e fece per prendere la sua tazza, anche se il caffè era ormai freddo, quando una voce urlò – Non farlo!
Guardò giù dal soppalco, e vide la cameriera del locale che indicava proprio la sua tazza – Se vuoi il numero di quella ragazza, non mettere la mano sul collarino, o si cancellerà – gli sorrise.
A Grace le storie d’amore erano sempre piaciute, e vederne una sbocciare sotto i suoi occhi era la gioia più grande. Li aveva seguiti con lo sguardo per tutto il tempo, curiosa di come potessero evolversi le cose.
Era felice di aver contribuito ad essere importante per l’unione di quella coppia. Aveva aiutato due ragazzi a ritrovarsi.
Sorrise soddisfatta.
Tom girò velocemente la tazza e lo vide: sul collarino che campeggiava sul bicchiere per non scottarsi le mani, risaltava il numero di cellulare di Daphne. Avrebbe voluto piangere di gioia, ma siccome era un uomo, si limitò a copiare e salvare il numero sul cellulare.
Per sicurezza prese il collarino, il tovagliolo e li mise in tasca.
Prese venti sterline, e quando passò davanti a Grace glieli depose in mano – Una mancia per un’anima buona! – si giustificò.
- Grazie! – rispose appena lei, troppo sbalordita.
Cercò riparo sotto qualche cornicione, mentre pensava continuamente a ciò che Daphne gli aveva scritto “odio i messaggi zuccherosi”
Beh, anche lui. E un messaggio era troppo freddo. Non gli permetteva di sentire la sua voce e il suo respiro.
Trovò il numero nella rubrica e schiacciò il verde. Il telefono squillava, ed il suo cuore con lui.
- Sapevo che l’avresti trovato – disse sottovoce, un po’ imbarazzata.
- Come facevi ad essere sicura che fossi io?
Silenzio - Lo speravo – ammise infine.
La amava. Non gli importava se erano passate poche ore dal loro incontro. Aveva solo una certezza: si era innamorato. O poco ci mancava.
- Però? – domandò lui.
- Però cosa? – ora era confusa.
- L’hai detto tu! “stasera lavoro, però…”? – si era appigliato a quel però come un naufrago in mezzo al mare fa affidamento al suo salvagente.
Rise. Quella risata viva a cui Tom si era già abituato – Però possiamo fare un’altra sera… sempre se ti va – aggiunse.
- Questa settimana sono occupato, ma… - non finì la frase.
- Ah ok, ho capito. Non c’è problema, davvero… - disse lei un po’ triste. O lo percepiva solo lui?
- No, no! La prossima settimana di sicuro! Martedì può andare? Mi andrebbe davvero – non poteva perderla di nuovo. E aggiunse il giorno per darle un senso di sicurezza apparente, per dimostrarle che c’era la volontà di vederla, e per rendere quell’incontro reale.
- Vada per martedì – e la sentì distendersi – Ora vado, prima di dover portare ‘il mio lavoro’ all’ospedale!
Tom non capì la frase, ma decise che andava bene così, da lei aveva già avuto troppo – Ciao Daphne, ci sentiamo presto.
- Ciao Tom, ci conto! – e riagganciò.
Mancavano cinque giorni a Martedì, ma a Tom sembravano ere.

DAPHNE:

 

________________________________
 

cin, sono contenta che tu abbia trovato il "primo capitolo" londinese... perchè era una cosa che volevo trasmettere! e come vedi, ff lo è diventata!
o mi hai spronato, o mi leggi nel pensiero!
sabry, come vedi, ci provo! spero che possa piacerti anche il secondo capitolo!
aryanne, sono contenta di averti stupito! tom doveva essere reale, e quindi sul luogo. era rob la presenza in quel capitolo!
harry potter, ah, anche io appena lo nominano salto! non oso immaginare tua mamma! XD
spero che tu possa gradire questa ff!
vichy, vedi?
sto provando a scrivere del nostro amato Tom!
ops! colpevole, lo ammetto! è proprio colpa mia XD
eh si, su tom c'è ancora poco in circolazione, sono una "pioniera" ahahah!
simo, oddio... vero figo è più che un complimento! O_O
per la ff, come vedi, ci sto provando!
romy, grazie !*____*
sono contentissima che risulti così inglese!
spero che possa continuare a piacerti.
anche io penso che tom meriti!
e anche per me il 4° film è assolutamente uno dei migliori! <3

ecco, perchi non lo sapesse, posso dirvi che ho creato su facebook una pagina per le storie, trovate il link nel mio account, aggiungetemi, ci tengo a rimanere in contatto con voi! Cris.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Taking away your heart ***


Ci vediamo giù

NOTA: nel capitolo troverete delle frasi incomprensibili... questo perchè b sta per m, e d sta per n. Spero che una volta trovati gli ostacoli, e aver scoperto perchè sono lì, tutto vi sia più chiaro.


 



 

Capitolo 3
 

 Taking away your heart
 

Daphne era iperattiva. Ok, le capitava spesso. Ma oggi lo era più del solito.
Era martedì.
Aveva sentito Tom nei giorni precedenti, e le aveva fatto piacere. Troppo, per essere un ragazzo che aveva visto per una sola volta.
Ogni volta che aveva risposto ad una sua telefonata, si ritrovava ad avere le guance colorate, il cuore imbizzarrito e lo sguardo liquido e luminoso.
Non le capitava da…
No, non le era mai capitato.
Si sentiva felice come mai le era successo in vita sua. E la sua coinquilina aveva notato il cambiamento, ma non glielo fece notare. Tanto Daphne non le avrebbe detto nulla. La riteneva una cosa così importante, da dover essere tenuta nascosta.
Aveva paura che Tom potesse vedere Lilian, o qualche sua compagna di corso, ed innamorarsene. Non voleva correre questo rischio. Non era davvero pronta.
Era invece pronta a distruggere un meteorite, ad attraversare la Manica a nuoto, a guardarsi tutte le serie di Lost – che erano veramente troppo per lei – ma mai, avrebbe rinunciato a quella cena.
La stava aspettando come un bambino attende la notte di Natale, sapendo di trovare poi i regali sotto l’albero. Lei non sapeva cosa aspettarsi, ma sapeva che si sarebbe divertita, e lo avrebbe rivisto. Solo questo le bastava.
Ma era nervosa.
Tom non aveva ancora chiamato.
Erano ormai le sei, e Daphne stava piangendo silenziosamente seduta sul pavimento con le gambe incrociate e le spalle appoggiate al letto. Stava guardando la pioggia scorrere sui vetri della finestra di camera sua, e trovava quello spettacolo tristemente simile alle lacrime che rigavano le sue guance.
Tom, il bastardo spezzacuori, era nel letto. Moribondo.
Dopo l’incontro bagnato di cinque giorni prima – troppo impegnato ad approfittare della compagnia di Daphne prima, e dal suo pensiero poi – si era dimenticato di asciugarsi al suo ritorno da quel fortuito scontro. Pensava che l’ora di calore racimolata da Starbuks fosse servita per asciugarlo a dovere. Erroneamente, si era dimenticato che l’amore scalda, ma non ti protegge dall’influenza.
Nei giorni successivi aveva aiutato gli amici a montare le attrezzature per i vari concerti, e si era esposto alle intemperie di Londra ancora varie volte. E gli era stato fatale.
Era a letto con trentotto e mezzo di febbre, con conseguenti occhi lucidi. Il raffreddore, e il mal di gola. Sarebbe voluto andare alla cena, ma non ne aveva le forze.
Erano le sei, e si sentiva un morto con ancora qualche capacità motoria.
Si svegliò e chiamò Daphne. Aveva aspettato tanto perché sperava di migliorare all’ultimo minuto. Vane speranze.
- Pronto? – rispose con voce roca.
- Daphde, sei tu? – cercò di coprire la voce nasale, ma non ebbe successo.
- Certo! Ma Tom! Cos’hai? Sei sicuro di star bene? – ora era preoccupata. E a Tom non poteva non fare piacere.
- No. Sono balato. Ho la febbre, il raffreddore e la gola bi brucia – fece una pausa per respirare – Bi dispiace Daph, ho chiabato solo ora perché speravo di ripredderbi. La verità è che sto sebpre peggio – e tirò su col naso.
Daph. Era Daph. Le piaceva quel soprannome. Era intimo. Ed era solo di Tom.
Lei, di tutta risposta rise – Vuoi dire che non ti sei dimenticato? - e anche lei tirò su col naso, stava forse piangendo? – Pensavo ti fossi dimenticato…
- Certo che devo sebbrare davvero strodzo, se ti ho dato quest’ibpressiode… - era diventato serio.
- No! Davvero! È solo che… che… - non finì la frase.
- Che? – la esortò il ragazzo.
- Che pensavo non ti importasse nulla di me, ecco.
- E bi preddo l’idfluedza per uda ragazza che dod bi idteressa?! – rise, e tossì perché era rimasto senza fiato – Ti scoccia ribaddare?
Daphne rispose dopo un lungo silenzio – No, però tu fammi un favore, dammi il tuo indirizzo, così ti faccio mandare un brodo di pollo a domicilio che ti farà passare tutto, promesso!
Tom storse il naso, avrebbe voluto ordinare il cinese, ma le attenzioni di quella ragazza gli piacevano, e cedette. Le diede l’indirizzo – E di’ di suodare al cabpadello biadco, ok?
- Ok, va bene!
- Eh? – aveva le orecchie tappate dal raffreddore.
- Ciao Tom, ci sentiamo! – e l’ultima cosa che sentì, fu la sua risata.
Daphne aveva riacquistato il buonumore. Mai avrebbe rinunciato a quella cena, neanche a causa di un’influenza.
 
Poteva avere l’ebola. Poteva avere il tifo, la lebbra o la tisi. Non importava.
Qualcuno suonò, e dopo poco Tom parlò dal citofono – Si?
- Ho l’ordinazione – disse semplicemente.
- Pribo piado – rispose lui con poca convinzione. Era messo male. Già non sentiva bene, ma ora in ogni voce di ragazza, sentiva lei. Appena la ragazza delle consegne gli avesse dato la cena, avrebbe preso una dose doppia di medicinali, giusto per non avere le allucinazioni.
Aprì la porta, e rimase pietrificato: allora le orecchie non gli giocavano brutti scherzi, era proprio Daphne.
Si sfegò gli occhi, e poi si tamponò il naso rosso – Ciao!
- Lo so, ti ho mentito. Ma mi è dispiaciuto sentirti con quella voce, e mi è dispiaciuto ancora di più pensar male di te. Così ho pensato di portarti il brodo di pollo, ma anche la pizza – e sollevò il cartone in segno di pace.
La visione di Tom in quello stato, le riempì il cuore di tenerezza. Le ricordava un cucciolo bisognoso di cure ed affetto. E certo lei non era lì per negarglieli.
- Potresti abbalarti. Lo sai questo, vero?e si soffiò di nuovo il naso, imbarazzato ma felice. Lei era lì per lui. Non aveva rinunciato alla loro serata. Voleva pur dir qualcosa, no?
Daphne entrò e diede un’occhiata a quell’appartamento piccolo ma carino. Era caotico ma vissuto, le piaceva.
Tom invece, era in preda ad una crisi di panico. Gli occhi erano gonfi e lucidi, il naso rosso, indossava la tuta che usava a stare in casa e i capelli non avevano una forma e non erano pulitissimi. E quando si soffiava il naso, si ricordava un elefante mentre barriva.
Si sentiva una ragazza: perché doveva preoccuparsi di queste cose? Perché non poteva aspettarla davanti ad un ristorantino etnico con i jeans che lo fasciavano meglio, la felpa migliore, il capello spettinato apposta per l’occasione, ed un sorriso malizioso? Perché?
Non voleva essere un catorcio, non in quel momento. Stupida influenza!
Ma Daphne non aveva notato nulla di tutto questo. Stava guardando un ragazzo che in tuta le evocava pensieri poco puri, e non avrebbe dovuto, dato che era malato. I capelli arruffati lo rendevano quasi tenebroso, e lei non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
- Vivi da solo?
- Do. Questa casa è ud porto di bare. Ci vivodo adche i biei abici, quaddo sodo id città. Sai, udo è attore, e gli altri sodo cadtadti, sebpre id giro per il boddo – e sistemò alla bell’e meglio il salotto.
- E tu?
- Io? – sorrise – Io lavoro pridcipalbedte id patria, ba ho fatto qualcosa all’estero. Aspetto il bio bobedto – disse nella speranza che quel momento arrivasse presto, lo attendeva da troppo tempo – E tu? Cosa pedsi di fare da gradde?
- Bella domanda! Sto studiando beni culturali. Vorrei fare le restauratrice – e seguì Tom in cucina. Lui prendeva da bere, e lei gli preparava qualcosa per far abbassare la febbre.
Si guardarono e si sorrisero, in perfetta sincronia.
Si sistemarono sul divano, e Daphne costrinse Tom a stare sotto le coperte.
- Ba ho caldo! – si lamentò lui.
- Meglio, è l’effetto delle medicine.
Non ne era sicuro, ma lei poteva pure dirgli che avevano tre nasi, quattro occhi e una coda che le avrebbe creduto.
Era felice che lei fosse lì, non poteva chiedere di meglio. O forse si. Ma sarebbe venuto anche quel tempo, o così sperava.
- Ok, ora ti sembrerò pazza. Ma ti va se mi fermo un po’? Potremmo vedere un film! – e arrossì violentemente.
Tom avrebbe voluto buttare il lettore DVD dalla finestra seduta stante, e saltarle addosso. Ma pensò che non fosse la risposta che lei sperava, e probabilmente sarebbe scappata a gambe levate.
- Si, bi farebbe piacere! – disse entusiasta.
Daphne scelse il primo episodio della saga di Star Wars solo perché almeno avrebbe potuto proporgli di vedere gli altri insieme. Ed erano cinque. Si, si sarebbe assicurata altri cinque appuntamenti. Tom accettò per lo stesso identico motivo.
Il film iniziò e trascorse calmo.
Si lanciavano sguardi nel buio, si erano avvicinati nervosi. Si sorridevano e si sfioravano per caso, ma erano troppo agitati per fare quello che volevano davvero.
Daphne era puntellata sul suo braccio sinistro, ed era rigida quanto un tronco d’albero, Tom era in una posizione simile, non più rilassato di lei di certo.
No, così non poteva andare.
Erano entrambi stufi, ma non sapevano come ovviare a quella situazione.
Daphne stava fissando il profilo di Tom, illuminato dal televisore. Le piacevano i suoi lineamenti e il suo sguardo attento e sicuro. Gli occhi erano chiari, ma non freddi. Non con lei.
Si era persa sulle linee di quel viso angelico e adulto – una perdizione per qualsiasi ragazza – e lui se ne era accorto. Tom la guardò in risposta, sapendo che il bagliore dello schermo avrebbe rischiarato il viso della ragazza. Le accentuava le lentiggini sul naso. E le stava studiando una ad una. Voleva ricordare ogni cosa, ogni particolare.
Senza preavviso lei si allungò verso di lui, e le loro labbra entrarono in contatto.
Rimasero così per molto tempo, senza aggiungere niente a quel bacio. Era per incontrarsi, per assaporarsi. Per sentire se la stretta allo stomaco era reale o meno. Ed era vera, verissima.
La mano si spostò ad accarezzare la mascella di Tom, mentre quella di lui si posò sul collo. Non osavano fare altro, per non interrompere o compromettere il momento.
Solo due labbra a contatto. Niente denti, niente lingua. Lei aveva paura di un rifiuto, e Tom non voleva attaccarle l’influenza. E, soprattutto, aveva paura di non fermarsi più.
Due labbra a contatto, ma in gioco c’era molto di più.
Non era un vero bacio, quanto più un modo per entrare in contatto. Per esserlo davvero.
L’unione finì, e si guardarono felici e sorpresi. Sorrisero entrambi.
Per ora, bastava quello.
Il ghiaccio era rotto, e si sentivano decisamente più liberi.
Daphne si sistemò meglio sul divano, e tirò Tom a sé. Lo fece appoggiare tra il seno e il collo, e lo accarezzò continuamente. Tom si lasciò cullare dolcemente, troppo ebbro da quei gesti così affettuosi. Coprì entrambi con la coperta e si concentrarono sul film.
Piano si stesero sul divano, senza dire mai una parola, e sistemarono un cuscino sotto le loro teste. I loro corpi vicini, la mano di Tom che giocava con quella di Daphne.
I titoli di coda scorrevano sullo schermo, quando Tom si addormentò profondamente. Daphne si girò, appoggiando così il viso nell’incavo del collo del ragazzo, mezza addormentata. Sapeva di doversi alzare e tornare a casa. Ma non voleva. Non aveva il coraggio di alzarsi da quel posto caldo e sicuro.
Ascoltò il battito del cuore di Tom, trovando risposte a domande che ancora non si era posta, e si addormentò tra le sue braccia.

____________________________________
vale, sono contentissima di saperlo!
solo pian piano ho capito che la storia di Daphne e Tom andava approfondita... solo dopo si è formata, ma sono felice che sia successo!
*____* sublime? SUBLIME? ecco, io ora mi commuovo!
e sarò feliccissimissima di farmi placcare da te!
ovunque vuoi, quando vuoi!
simo, eh, magari ci facesse conoscere il vero Tom... diciamo che vi sto facendo conoscere un'idea che ho di lui!
si, diciamo che ho lasciato perdere i lati per cui è più famoso, ma mi sono concentrata più sulla persona.
spero che anche questo capitolo possa piacerti!
cin, come va il tuo diabete? XD
sono troppo contenta che sti due tonti ti piacciano... perchè anche io mi ci sono affezionata!
e sono ancora più contenta che il racconto in terza persona ti piaccia... perchè ero proprio titubante a riguardo.
siiiiii, anche a me piace una rossa... così, per cambiare un po'!
davvero pensi che Daphne abbia qualcosa di misterioso? a me sembra che sia normale, a parte qualche fissa che la fa diventare veramente strana.
quindi ne sono felicissima!
sabry, ed io sono felice che ti stia continuando a piacere... perchè scrivere di loro due mi piace, anche se è strano.
no, sono decisamente molto sdolcinati, ma meno banali... non potrebbero andare avanti come due comuni mortali, se no che gusto ci sarebbe?
spero che continui a farti sognare!
aryanne, appena trovo un tom vero, vedo cosa posso fare! dici che le poste lo spediscono?! mi informo!
beh, cacchiarola, passare da adone ad umano è un gran passo (indietro forse XD), però sono soddisfatta che esca questo suo lato normale, perchè è proprio come me lo immagino.
aspetto un tuo parere su questo, un bacio
romy, ah, notting hill non l'ho mai visto (non sai le litigate con mia mamma, AMA hugh grant), e sliding doors l'ho visto tantissimo tempo fa... so solo che i tuoi paragoni mi lusingano non poco!
aaaahhh, noooo!
ho fatto entrare un'altra nel giro di tomStu!
ok, mi prendo tutta la responsabilità... mandami il conto delle cure! ahahahaha

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Smelling each other jealousy ***




 

Capitolo 4
 

Smelling each other jealousy

Dopo quella serata così intima e semplice da essere risultata quasi imbarazzante, Tom e Daphne avevano trovato la loro stabilità.
Si vedevano spesso, più volte a settimana, perché il cercarsi e lo stare a contatto erano diventati gesti naturali per loro.
Non un bacio c’era stato, né avevano parlato di quel pallido tentativo avvenuto a casa di Tom.
Era come se entrambi fossero stati convinti di avere tutto il tempo del mondo per affrontare la cosa. Come se sapessero di non avere fretta.
Daphne desiderava ripetere il gesto, ma voleva farlo con la certezza che anche a Tom andasse davvero, senza la febbre ad offuscare la sua ragione. E dato che l’influenza era passata da un pezzo e non faceva nulla per baciarla, lei aveva perso le speranze.
Tom era nervoso. Non agognava altro che un suo bacio da quando una cosa simile era accaduta. Sperava solo che la febbre non gli avesse giocato brutti scherzi, e fosse stato solo un sogno. Avrebbe voluto baciarla con tutto il cuore, ma stava aspettando l’occasione giusta – o meglio dire, perfetta – per farlo di nuovo. Per darle un bacio con la B maiuscola. Per dimostrarle che dietro ad esso c’era davvero qualcosa.
L’occasione però, non si era presentata.
Ed ora erano lì, a Carnaby Street, per fare un giro tra le vetrine di Natale.
Daphne rideva di una battuta di Tom, e si godeva quella sensazione di benessere che la sua vicinanza, e le luminarie appese sulle loro teste, le davano. Era la prima volta da quando si era trasferita a Londra che si sentiva a suo agio. Aveva la certezza che quello fosse il suo posto nel mondo.
Tom era felice di farla ridere, gli piaceva essere la causa scatenante del suo buonumore. Tra le piccole cose – che poi si rivelavano sempre quelle fondamentali – era quella che preferiva.
Ogni volta, per farla smettere di ridere, le dava un colpo leggero con la spalla o il gomito. Ma sapeva lui per primo che era semplicemente una scusa per essere in contatto con lei.
- Andiamo, non è poi così disastroso!
- Non lo è? Ma sei matto? – disse Daphne scossa ancora da risatine divertite – Hai rischiato di far morire i tuoi amici!
Lui alzò le spalle – Per un po’ di detersivo nell’impasto dei biscotti… - non riusciva davvero a capire perché fosse così grave. Al massimo il mondo si sarebbe liberato di quattro (perché lui ovviamente non era compreso) menti malate. Nessuno se ne sarebbe accorto.
Ok, magari nel caso di Robert giusto qualcuna se ne sarebbe resa conto. Ma solo ora, non di certo quando per sbaglio, aveva attentato alla vita del suo ormai divissimo amico.
Daphne lo destò dai suoi pensieri – Dai! Andiamo da Abercrombie & Fitch! Voglio vedere se è arrivata la felpa che mi piace.
Avrebbe voluto ribellarsi, ma lei era già partita alla carica di Regent Street, pronta ad attraversarla, e per starle dietro aveva iniziato a correre un po’.
Odiava Abercrombie & Fitch. Era troppo pomposo per i suoi gusti per vendere abbigliamento casual, e quindi non comprendeva tutto questo successo. Ma pur di farle un piacere, avrebbe fatto di tutto, anche camminare sulle mani in un covo di ragni, per i quali nutriva un terrore inimmaginabile.
Davanti all’entrata Daphne si fermò, estrasse il sacchetto di caramelle acquistate prima e ne prese un po’, offrendole poi anche a Tom.
Ne acciuffò un paio – Certo che ti piacciono proprio. È da quando ti conosco che ne hai una scorta in borsa…
Arrossi, e Tom si sentì in colpa, non voleva certo metterla in imbarazzo.
Ma i suoi pensieri erano sbagliati. Era arrossita perché Tom le dava attenzioni, e lei l’aveva capito. La lusingava constatare che il ragazzo notava tante cose che lei faceva, e desiderava con tutta l’anima non sbagliarsi.
Sorrise e gli rispose – Sono una mia debolezza. Non riesco a farne a meno, a resistere.
- Potrei sapere un’altra tua debolezza? – domandò divertito ed interessato.
Daphne si fece ancora più rossa in viso e spalancò gli occhi agitata – Non si dice! Non posso svelare i miei punti deboli così facilmente – certo non poteva rivelargli che la sua più grande debolezza, da qualche tempo a questa parte, era proprio lui.
Per distrarlo da quella spinosa questione si buttò a capofitto nel negozio, parlando di tutt’altro mentre tra gli scaffali cercava ciò per cui erano lì.
Girovagando tra le scansie del piano, trovò la felpa e la comprò. E prima di uscire passarono dagli accessori.
Tom vide una cuffia che gli piaceva moltissimo, e si fermò a guardarla. La provò.
- Stai bene! Dovresti prenderla – Daphne si era illuminata, lo ammirava rapita.
- No. Mi piace, ma non mi serve – sorrise indicando la borsina che lei aveva in mano – Ed io non sono donna, non ho il bisogno compulsivo di comprarmi qualcosa per star bene con me stesso!
Ridacchiò della sua stessa frase, ma Daphne si era offesa, e marciò verso l’uscita, risoluta.
Peccato che la sua avanzata fu interrotta da un armadio biondo dai ricci che ricadevano appena sulla fronte, con gli occhi marroni, un fisico da statua e un sorriso smagliante ed incantatore.
- Ciao, vuoi una foto? – e senza aspettare una vera risposta le cinse il fianco con un braccio.
Tom non rideva più.
Si avvicinò giusto in tempo per sentire Daphne rispondere no, e il modello chiedere proprio a lui se aveva una macchina fotografica a portata di mano.
Gli occhi del moro mandavano scintille, e la fotocamera gliel’avrebbe tirata volentieri su quei denti troppo bianchi.
- Magari vuoi direttamente il mio numero… - disse il modello alla rossa, che aveva notato lo sguardo furente di Tom, e non sapeva come liberarsi di quell’arrogante energumeno.
- No, davvero – disse poco convinta in preda al panico.
- Hai sentito? Lasciala andare. Da te non vuole nulla! – era veramente imbestialito. Era pronto a prenderlo a pugni, se fosse stato necessario. Anche a costo di fargli solo il solletico e farsi spaccare la faccia.
Prese Daphne per il polso e la trascinò fuori da quel negozio.
Se possibile, odiava ancora di più Abercrombie & Fitch.
- Grazie.
- Di niente – sentenziò cupo lui.
Nessuno poteva avvicinarsi in quel modo a lei. Non in sua presenza. Come si era permesso di usare quella confidenza nei suoi confronti? Di stringerla?
Dio, voleva pure rifilargli il numero!
Camminava veloce per far sbollire la rabbia. Si rese conto di tenere il polso di Daphne solo quando lei si arrestò e lui dovette seguirla per non cadere a causa del contraccolpo.
E grazie a quel gesto, sentì per la prima volta dopo tanto tempo, l’odore che le ricordava così tanto lei. Quel profumo dolce e caldo, che avvolgeva le viscere per stringerle in una dolce tortura.
Cioccolato.
Stava ridendo.
- Cosa c’è di tanto divertente? – domandò acido.
- Sei per caso geloso, Tom? – e ridacchiava ancora.
Si, lo era. Era geloso marcio di un modello che le aveva fatto due moine, a cui lei – tra l’altro – non aveva ceduto. Ok, era bello, ma probabilmente a confronto con un moscerino, l’attività cerebrale di quest’ultimo poteva definirsi complessa.
Ma questo suo sentimento, no, non l’avrebbe mai ammesso – Chi? Io? Naaa, ti sbagli di grosso – incrociò le braccia e scosse la test con forza.
Daphne approfittò della sua posizione per infilare una mano vicino al suo gomito e prenderlo a braccetto – Dai, andiamo!
Si incamminarono lungo Regent Street di nuovo, senza una meta precisa, ma la loro passeggiata durò meno del previsto.
Tom si sentì chiamare, e rispose. Una ragazza sui diciotto vent’anni si avvicinò a lui, saltellando giuliva.
- Oddio! Sei proprio tu! – disse cercando qualcosa nella borsa – Posso chiederti una foto ed un autografo? – e ne estrasse un cellulare.
- Certo!- rispose lui gentile con un sorriso.
Daphne si allontanò di un paio di metri, tremante di rabbia.
Sapeva che avrebbe dovuto lodare la disponibilità del moro, ma in quel momento non ce la faceva. Perché doveva essere carino con ragazze belle? E queste, non potevano evitare di guardarlo con occhi svenevoli e speranzosi?
Inspira.
- Come ti chiami? – domandò alla bruna che l’aveva fermato.
- Dee – ridacchiò – Ma se oltre al tuo e al mio nome vuoi mettere il tuo numero di telefono, per me non c’è problema – sorrise ammiccante, e Tom la guardò con tanto d’occhi.
Ecco, ora Daphne era pronta a saltare al collo di Dee, e strapparle tutti i capelli. Come si permetteva? Come osava?
Chiuse gli occhi.
Espira.
Tom vide la faccia chiazzata di rabbia della ragazza, e per un secondo gli parve di vedere delle nuvolette di fumo uscirle dal naso. Aveva quasi paura – Penso che per ora i nostri nomi bastino, soprattutto perché il numero non me lo ricordo nemmeno io! – rise e la salutò. Voleva liquidarla il più presto possibile.
Si avvicinò a Daphne cercando di aggrapparsi al suo braccio, ma lo scansò in malo modo. Rise di quel gesto.
Cosa c’è di tanto divertente? – domandò offesa, facendogli il verso.
- Sei per caso gelosa, Daphne? – la scimmiottò, ridendo ancora.
Si, non avrebbe voluto vedere Tom con nessun’altra, nemmeno per un autografo o una fotografia. Ma non gliel’avrebbe detto nemmeno sotto tortura.
– Hai proprio frainteso! – rispose soltanto, precedendolo però lungo il marciapiede – Io non so nemmeno cosa sia la gelosia.
- Dai, andiamo avanti! – e d’istinto incrociò le dita con quelle di lei, guidandola tra la folla. Lui sembrava non essersi accorto del gesto, ma lei si.
Il cuore aumentò i battiti in maniera esponenziale, e i suoi occhi – più luminosi e acquosi che mai – fissavano stupiti le loro mani incrociate.
Per cosa era arrabbiata poi? Non se lo ricordava nemmeno. Probabilmente il motivo era futile.
Erano in mezzo alla folla, esposta ai loro colpi per poter farsi spazio e passare, ma si sentiva protetta, come all’interno di una bolla. E sapeva benissimo da dove le veniva quella forza.
Quell’odore secco tipico dell’aria di fine novembre le inondò le narici. Quello che preannunciava neve a giorni e ti arrossava le guance. Quello che ricordava Natale e quei periodi che sembravano avare un ché di magico.
Inverno.
Avvicinandosi alla giacca di Tom sentì l’aroma acre prodotto da più foglie essiccate e poi bruciate. L’odore che poi veniva sempre preceduto dal fumo.
Tabacco.
Il cuore accelerava ancora di più, e si lasciò cullare da quella sensazione di sicurezza che stava prendendo posto dentro di lei. Partiva dai polmoni e si irradiava nel resto del corpo. Una calma che solo cinque minuti prima le era sconosciuta, prese possesso della sua anima.
Calore.
Tom la guidò fino ad un negozio, davanti al quale si fermò.
- Hamleys? * – domandò Daphne poco convinta.
- Hamleys – cofermò lui.
Entrò scettica, e ne uscì entusiasta.
Corsero fuori entrambi con le pistole spara bolle.
Sembravano due perfetti imbecilli, ma a loro non importava. Erano felici.
E si divertivano a spararsele addosso.
Tom aveva notato lo sguardo smanioso di Daphne che puntava proprio quello stupidissimo aggeggio, e glielo regalò. Ne prese uno anche per sé, per rispondere al contrattacco.
Una volta finito di aver creato scompiglio per strada ed aver esaurito il liquido per le bolle, Daphne si concesse uno sguardo al cielo.
No, non era ancora tempo di neve, ma grosse nuvole lo rendevano ancora più scuro, e si vedeva che erano pronte a lasciare le famose gocce che coprivano Londra giorno si, e giorno pure.
Pioggia.
Sorrise tra sé, afferrò Tom per un braccio facendolo girare, e gli schioccò un bacio sulla guancia, che solo quello non voleva essere.
- Perché? – chiese lui piacevolmente sconvolto.
- Perché sei semplicemente tu.
Inverno, tabacco, calore e pioggia.
Anche il destino aveva scelto per lei.
Lui.

* per chi non lo sa, Hamleys è un super negozio di giocattoli in Regent Street, Londra.
__________________________________________

Cin, sono contenta che tu abbia trovato le lettere invertite divertenti, e non una cacchiata epocale!
beh, tom, nonostante sia buono è caro, è sempre un uomo! diciamo che davanti alla carne restiste... ma non è indifferente. XD
e si, per quanto riguarda daphne, possiamo dire che ce la sta mettendo tutta per cercare di far breccia nel cuore di tom, ma non ha ancora capito che è come sfondare una porta aperta!
Simo, anche io amo tom in versione malaticcia, è davvero troppo coccoloso! e daphne se ne approfitta, giustamente!
ops! colpa mia, se la tua lista di amanti diventa più lunga... quindi mi offro per occuparmi di qualcuno di loro, nel caso tu non ce la facessi!
ad un mio errore, cerco SEMPRE di rimediare, hahahahah!
Vichy, cazzabubbola, ma grazie!
sono contentissima che i pensieri di Daphne arrivino così tanto. e soprattutto che non siano macchinosi o banali!
ma addirittura poetici... mi commuovo! *___*
tom malatino, lo vorrei io qui, adesso!
Vale, giuro che non ci siamo messe d'accordo!
è troppo da "strapazzare di coccole", e daphne se ne approfitta al posto nostro!
oddio, il paragone "peluchescioso" ci sta tutto, grandissima!
sono troppo soddisfatta che il racconto in terza persona ti piaccia, grazie!
Romy, grazie!
beh, scoprono per la prima volta entrambi un "amore" diverso rispetto ai loro precedenti. più maturo, duraturo e stabile. questa è la sensazione che provano.
con l'influenza, l'effetto crocerossina è assicurato!
grazie, per me è davvero bello sapere che continua a piacervi!
ok, tu manda il conto, vedo cosa posso fare...
Sabry, si... in effetti è come se fossero davvero davanti al loro primo amore!
ti giuro che quando scrivo di loro due mi vengono in mente taaante caramelle, forse è per quello che poi tornano nel racconto!
eh si, il bacio vero loro lo aspettano, ma vogliono che abbia un significato, e non sanno ancora quale dargli, purtroppo.
sono un po' insicuri... ma prima o poi, passerà.
Aryanne, ok, allora tra poco ti arriverà una mail! XD
a te è passata la febbre?
a tom si! quella di vedersi una saga non so da dove mi sia uscita... però ci stava! haha, povero il tuo ragazzo!
capisco, è difficilissimo trovare qualche ragazzo a cui la saga non dispiaccia!
spero davvero che tu stia meglio!

in questi giorni ho iniziato l'ultimo di Hate every beautiful day, scusate il ritardo, ma mettere la parola fine a quella storia mi fa stringere il cuore, e diventa quindi difficilissimo iniziare a scrivere!
ma pian piano giuro che lo farò!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** (Un)happy birthday... ***


Capitolo 5

(Un)happy birthday…

Tra una risata e un caffè, una birra in un pub e una mano intrecciata nell’altra, un altro mese era passato. Ed era arrivato dicembre, portando con sé la neve.
Londra tinteggiata di bianco era magica, ancora più del solito. Le dava un aspetto soffice e ovattato, e il fumo che usciva dai camini dava l’atmosfera giusta per volersi chiudere in casa. Assomigliava tanto ad un enorme marshmallow.
Con uno scenario simile, molti animi si erano convinti che tutto poteva succedere. L’ottimismo in quei giorni era alle stelle, colpa del Natale che era ormai alle porte.
E Daphne e Tom non erano da meno.
Lei si svegliò con un sorriso, stiracchiandosi felice.
Si recò in bagno per raccogliere i capelli in una coda scomposta, giusto per non spaventarsi poi quando avrebbe acquistato la lucidità necessaria per specchiarsi e, purtroppo, giudicarsi.
Doveva fare colazione al meglio, aveva bisogno di energie.
Mentre addentava una fetta di pane con la marmellata cercò il numero facendo scorrere la rubrica. Arrivata al suo nome, schiacciò il verde.
- Pronto? – rispose Tom dopo pochi squilli.
- Taanti auguri a teee, taaanti auguri a teee, taanti auguri a Toom… tanti auguri a teeee! – e rise delle sue note stonate – Buon compleanno!
-Grazie Daph! Ti sei ricordata – sorrise felice.
Lei era un po’ offesa – Perché avrei dovuto dimenticarlo? Guarda che la mia memoria funziona benissimo. Se mai è la tua che inizia a cedere qualche volta… ora che hai anche un anno in più... – aggiunse sadica.
- Ehi! Non vale! Solo perché ho un anno in più rispetto a te – bevve un po’ di succo – Allora mi confermi tutto?
Daphne arrossì – C… certo. Alle 8. L’indirizzo te lo ricordi?
- Si! Allora a stasera – rispose lui su di giri.
- Ancora auguri! Ora scappo, ho un sacco di cose da fare! – ed era vero.
La aspettava una lunghissima giornata, e una ancor più lunga serata.
Doveva pulire casa, comprargli il regalo, preparare la cena, e soprattutto la torta.
Perché aveva deciso: quel giorno, il 21 dicembre, anche se era il compleanno di Tom, lei si sarebbe presa il suo regalo. Al diavolo tutte le carinerie! Era tempo di passare ai fatti, e l’avrebbe baciato. E se lui l’avesse respinta, beh, amen! Almeno poteva dire di averci provato.
Tom appoggiò il succo e si stappò una birra, meno adatta all’orario – le nove e mezza – ma decisamente più consona al suo stato d’animo. Non era un alcolizzato, ed infatti non gli era mai capitato di bere così presto, ma era dannatamente nervoso. Doveva distendere i nervi.
Ingollandola direttamente dalla bottiglia, si appoggiò allo stipite della porta guardando sconsolato il suo armadio aperto, che riversava il suo contenuto per terra, formando una massa informe molto preoccupante.
Sbuffò. Quel caos si aggiunse ad altro caos. I vestiti puliti ma non piegati si erano riversati su quelli sporchi e ugualmente non piegati. Si avvicinò scoraggiato a quel disastro, sollevando una camicia hawaiana di dubbio gusto. Era un regalo di Robert e gli altri ragazzi. No, ricordando l’occasione, non era il vero regalo, ma una grande tirata per il culo. Il vero regalo stava dalla parte opposta rispetto a dove stavano loro, e gliel’avevano fatto sudare con una caccia al tesoro.
No, non andava. Doveva trovare qualcosa di decente da mettersi per la serata.
Odiava quel genere di cose. Odiava ancora di più pensare a come doversi vestire.
Era ancora più nervoso perché aveva deciso: quella sera, si sarebbe preso il suo regalo. Avrebbe baciato Daphne. Era stufo di aspettare l’occasione perfetta, non si sarebbe mai presentata. Così si sarebbe preso quello che voleva. Era un uomo, doveva dimostrare di aver le palle. Doveva tentare l’intentato. Anche a costo di essere respinto.
Tutto questi pensieri gli facevano contorcere lo stomaco per l’ansia. Non avrebbe retto alla pressione di quella giornata.
Grazie a Dio c’era la birra. L’unica sua alleata.
Mentre Tom rimuginava su argomenti tipicamente femminili, Daphne aveva indossato una fascia per tenere lontano i capelli dagli occhi, e aveva lustrato casa da cima a fondo.
Guardò il risultato ammirata, congratulandosi con se stessa.
Era pronta per fare un salto a prendergli il regalo – giusto un pensiero – e tornare a casa per cucinare, farsi una doccia, e prepararsi per la serata.
Si mise una felpa e una tuta sotto al caldissimo parka, ed uscì senza la fascia alla flashdance.
Era nervosa al solo pensiero di dover tornare , ma era consapevole che per una volta aveva la certezza che un suo regalo potesse risultare gradito, e si precipitò ad accaparrarselo, ignorando la paura.
Mezz’ora dopo si ritrovò molto soddisfatta seduta ad un tavolo di EAT. Davanti aveva un panino e accanto aveva un borsina con la confezione regalo. Era ora di pranzo e tutto stava andando per il meglio. Poteva concedersi un sospiro di sollievo.
Prima di addentare il panino, controllò che dentro non ci fosse finito accidentalmente dell’aglio. Le piaceva, e tanto anche, ma non era la giornata giusta per mangiarlo.
È vero, voleva stordire Tom. Ma con i suoi baci, non di certo con il suo alito pestilenziale.
Tom, dal canto suo, era a pranzo dalla sua famiglia. I genitori erano felici di vederlo a casa. Era in salute, aveva lo sguardo luminoso ed era meno scorbutico del solito. Non potevano chiedere di meglio.
Anche Arthur e Matilda si godevano la piacevole compagnia del fratello maggiore. Da quel che potevano ricordare, non era mai successo.
Tom, dal canto suo era disteso e rilassato. Il pranzo stava andando per il meglio, e non aveva ancora battibeccato con qualcuno.
- Artie, sei cresciuto – gli disse prima di vedere il suo cellulare vibrare ed illuminarsi.
- Dimmi tutto Nick – era il suo agente.
- Ciao! Tantissimi auguri – disse in tono sbrigativo – Ora veniamo alle cose serie
Tom non sentiva bene Nick, guardò il display mentre si spostava vicino alla finestra. Dannazione! La batteria era quasi scarica, il segnale lampeggiava pericolosamente.
- Dove sei?
- A casa dei miei, sai com’è… sto festeggiando! – il tono del suo agente non gli piaceva per nulla.
- Bene. Resta lì. Ti passo a prendere tra mezz’ora. Tra meno di due ore ci imbarchiamo su un volo transoceanico – e sbuffò – Rob ha avuto una crisi di nervi. La Summit ha preteso che tu in questi giorni gli stia vicino. Penso che sia anche colpa di Kris. Da quanto ho capito, servi tu per mediare la situazione, e per attenuare i gossip.
Tom stava per ribellarsi, ma lui non glielo permise – E Bill Condon ha detto che vuole parlarti, penso voglia scritturarti per il suo prossimo film. Oh no, non ringraziarmi!
Il moro stava per ribattere – Ma, veram…
Nick glielo impedì – Na na na! Niente ma. Ci vediamo tra mezz’ora. A tra p…
Il telefono di Tom si spense. Provò a riaccenderlo, ma questo non diede segni di vita.
Più arrabbiato di prima lo scagliò sul divano, e raggiunse la sua famiglia al tavolo, con l’umore più nero che mai.
Avrebbe voluto chiamare Daphne per avvisarla, ma non conosceva il suo numero a memoria, e quest’ultimo era sul suo telefono, ormai morto. Conosceva solo il suo indirizzo, ma purtroppo, una lettera era fuori luogo, e un piccione viaggiatore non era disponibile.
Doveva aspettare la sacca che Nick gli preparava per avere il carica batterie, ricaricarlo in aeroporto, e chiamarla.
Mezz’ora dopo era davvero in auto con il suo agente, pronto a partire per l’altra parte del mondo con una sacca di fortuna.
- Nick, hai preso il mio carica batterie? – chiese frugando tra i vestiti.
- No! Ecco cos’ho dimenticato! – disse spiccio – Va beh, se qualcuno ti vuole contattare chiama sul mio. E se proprio ti serve il tuo, compreremo il riduttore in America.
- No cazzo! Vedi che non capisci! – rispose Tom scagliando un pugno contro la maniglia dell’auto, facendo un gran rumore.
- Ehi! Cos’ho detto?!
- Niente, lascia perdere – disse a denti stretti, più arrabbiato che mai.
Non c’era soluzione.
Doveva telefonarle una volta atterrato. Si arrese all’evidenza.
Si stava pentendo di non avere nemmeno un account in un fottutissimo social network, in qualche modo avrebbe potuto rintracciarla. Invece no! Zero profili da controllare, e in più non si erano scambiati nemmeno l’e mail.
Daphne stava finendo di impastare la torta. La mise in forno, ed intanto preparò la glassa.
Erano le cinque ed era in perfetto orario.
Dopo si sarebbe fatta una doccia, truccata un poco e vestita in modo carino. Niente poteva andare storto.
Tom salì sul volo e chiuse gli occhi. Voleva immaginare la serata che si sarebbe perso. Ma non voleva pensare a ciò che Daphne potesse pensare.
Fece finta di addormentarsi per non ascoltare le hostess e il suo agente. Aveva mal di testa. Era tutta colpa del nervoso accumulato, non poteva farci nulla.
La verità era che odiava deludere una persona come Daphne, non lo sopportava. Aveva paura di perderla.
Perché l’amava, e non poteva negarlo.
Avrebbe voluto urlarglielo, avrebbe voluto chiederle scusa, ma non poteva far nulla, era intrappolato in una gigantesca scatola di ferro in cima all’oceano Atlantico.
Gli mancava la sua risata. La sua presenza era fondamentale, e mai come in quel momento, l’aveva capito.
La sua sola vicinanza lo faceva sorridere, sentire felice. E lui felice non si era mai sentito completamente.
Era la sua giornata di neve.
Perché quelle erano le sue preferite, quelle che gli scaldavano il cuore.
Daphne si stava guardando allo specchio: i capelli erano lisci ma vaporosi, le ciglia coperte da uno strato di mascara. Indossava dei jeans stretti che le fasciavano le gambe e un maglione troppo grande, che le scopriva una spalla. Per concludere calzava dei tacchi. Li adorava, ma appena Tom avrebbe manifestato la sua presenza, se li sarebbe tolti.
Li adorava, ma non li sopportava.
Poco prima delle otto, aveva spedito Lilian fuori casa, dicendole di tornare non prima dell’una. Sapeva che era impossibile rimanere fuori così tanto di martedì sera, ma aveva delle amiche che potevano ospitarla, e potevano farle questo favore.
Erano le otto e dieci, ed era nervosa. Sapeva che Tom era un ritardatario cronico, e stava approfittando di quei dieci minuti in più per sfornare la cena ed aggiustare in un bel piatto la torta.
Erano le otto e cinquanta, e di Tom nemmeno l’ombra. Si stava mangiando le unghie per l’ansia, mentre lanciava occhiate furtive alla cuffia impacchettata, appoggiata sulla sedia che era destinata a lui. Perché non aveva chiamato per avvertire? Gli era successo qualcosa di brutto?
Abbassò lo sguardo e fissò i tacchi, abbandonati sul pavimento.
Erano le nove e mezza, e ormai aveva mangiato la sua parte di cena.
Le lacrime le riempivano gli occhi, e ricadevano sulle guance lasciando segni che bruciavano la pelle. O così sembrava. Non pensava che Tom potesse comportarsi in quel modo. Non credeva che potesse abbandonarla per andare a festeggiare con i suoi amici e qualche sconosciuta avvicinata in un pub, senza nemmeno una telefonata per avvisarla.
L’ansia aveva ormai lasciato posto alla rabbia, e con le dita rovinò la scritta che aveva decorato in cima alla torta. Il gesto, l’aveva fatta sentire meglio, ma solo un po’.
Aveva provato a chiamarlo, ma aveva il cellulare staccato.
Smise di lacrimare, e si concesse una fetta del dolce.
Alle dieci e quaranta cedette ad un pianto disperato, che dava libero sfogo al suo dolore. Chiamò Lilian per spiegarle quello che le era successo, la rivoleva a casa. Aveva bisogno di un’amica.
Nell’attesa continuò a piangere, ledendosi la gola con un nodo che le fermava il respiro.
Perché le sanguinava il cuore al solo pensiero di contare così poco per lui.
Perché semplicemente la sua assenza era insopportabile, ed il suo gesto meschino. Perché lei lo amava, e in cambio aveva ricevuto un pugno di mosche.
Non l’aveva mia scoperto fino ad allora, ma l’amore faceva schifo. Ora ne aveva le prove.
La porta si spalancò, e Lilian corse dalla sua amica, stesa sul divano – Tesoro! Sono sicura che ha avuto un valido motivo per non venire.
- Si – disse tra un singhiozzo e l’altro – Non mi ama.
Lilian strinse di più l’abbraccio, non dicendo nulla.
 
- Buon compleanno! – disse Robert accogliendolo all’aeroporto.
- Ciao, grazie – rispose con quanto più entusiasmo riusciva.
- Ehi ehi ehi! Che succede? Ti è morto il gatto? – e sorrise.
Tom lo guardò con occhi vacui – Hai il carica batterie del cellulare in albergo?
- Certo! Perché?
- Perché mi serve.
Tastò le tasche dei jeans per estrarne il telefono, ma non lo trovò. Nel panico, si fermò in mezzo all’aeroporto, cercandolo nella sacca. Non c’era.
Andò dritto al desk informazioni, e costrinse le hostess a fare un giro di perlustrazione sull’aereo. Nessuna traccia.
Merda! L’unico modo per contattarla era rimasto ad Heathrow, e ora qualcuno stava ricaricando il suo cellulare privo di vita.
Cosa aveva fatto di male?
Si sedette sulle poltroncine con le mani sugli occhi, punti ormai dalle lacrime. Non voleva farsi vedere così, di solito era Rob a farsi vedere piangere. Lui no.
Ma non riuscì a trattenersi. Se le lacrime venivano catturate dalle mani, i singhiozzi rotti, e le spalle scosse da questi non potevano essere attutiti in alcun modo. Rob gli mise un braccio attorno al collo, cercando di consolarlo.
Una volta ritrovata la calma Tom gli raccontò tutta la storia, e l’amico lo ascoltò in silenzio. Non l’aveva mai sentito parlare così di una ragazza, né tantomeno l’aveva mai visto piangere. Per nessun motivo.
Era quasi commosso. E in quel momento, i suoi problemi passavano nettamente in secondo piano. Si sentiva egoista per averlo voluto lì con lui in quel momento. Sapeva a cosa aveva rinunciato Tom. Eppure, non era stato lui a chiedergli di venire lì, ma era stata la Summit a costringerlo ad andare.
- Tom, mi dispiace.
- So che non è colpa tua. È il business che chiama. E noi piccole pedine, rispondiamo all’appello.
Cercò il libro nella sacca, e ne estrasse una foto – Guarda, è lei.
Erano loro due, insieme al pub. Erano ad un concerto di Bobby.
Sarebbe capitato ancora, o Daphne non avrebbe più voluto vederlo?
- È magnifica. Quasi t’invidio! – e gli sorrise appena, come solo Rob poteva sorridere al suo amico triste – Andiamo in hotel, hai bisogno di riposare. Appena dopo Natale, ti imbarchi sul primo volo per Londra. Non ti voglio qui. Voglio vedere ‘Tom il conquistatore’ all’opera. E voglio anche una chiamata in cui mi dici che l’hai baciata!
Tom sorrise. Le parole di Rob, il suo tono, riuscivano sempre a distenderlo – Grazie.
Nonostante il casino, era felice di poter essere lì. Aveva una seconda possibilità di festeggiare il compleanno, non se la sarebbe fatta sfuggire.
Al suo ritorno, avrebbe sicuramente rimediato. Cinque giorni al massimo e avrebbe aggiustato il disastro, se Daphne gliel’avesse concesso.
Daphne intanto, aveva passato varie fasi: la rabbia, il panico, la tristezza, il dolore.
Ora era in una fase tutta nuova, che si era inventata lei: la determinazione.
Si, perché voleva essere sicura di non interessare a Tom. Voleva avere la certezza che lui avesse un buon motivo per non essere lì.
L’aveva chiamato anche i giorni successivi, ma il suo cellulare era sempre staccato. Era troppo strano.
Era il 23 di dicembre. E le armi a sua disposizione erano poche, ma le avrebbe sfruttate al meglio.
Grazie a Google e ad una serata, avrebbe riacquistato un po’ della calma persa.
Avrebbe avuto risposte ad alcune domande – non tutte, era chiedere troppo – che le premevano. Era determinata a vincere la sua guerra d’amore.
Prese la borsa, la sua faccia tosta, una Lilian scettica e preoccupata ed uscì di casa, alla ricerca della verità che solo un pub le poteva dare.

_____________________

allora... se ci fossero degli errori mi scuso in anticipo, ma non l'ho riletto!
per le risposte alle recensioni, le trovate sotto le vostre dello scorso capitolo!
appena recensirete, risponderò sotto, così non prenderò più spazio alla storia, un bacio!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sweet surrender ***




Capitolo 6

Sweet surreneder

Stava camminando per la strada, senza una meta precisa. Da quando era partito non faceva altro nel tempo libero.
Passava il tempo da solo, ripassando mentalmente il discorso che avrebbe dovuto farle al suo ritorno. Sperando vivamente che lei gli permettesse di aprir bocca, che gli desse almeno quell’opportunità. L’importante era non incepparsi, nemmeno una volta.
Alzò lo sguardo, distratto, e la vide: una massa di capelli lunghi, color pel di carota, sparire tra la folla. Poco davanti a lui.
La sua attenzione si ridestò, i muscoli meno, e ci misero interminabili secondi per rispondere all’impulso del cervello di muoversi per seguirla.
Scartò un po’ di gente, affollata sul marciapiede. Era la vigilia, e tutti si rifugiavano nei negozi alla ricerca dei regali dell’ultimo minuto. Quelli inaspettati, capitati tra capo e collo. In realtà, mai voluti.
La perse, ma non si arrese. Il cuore batteva forte, e il viso bruciava accaldato contro il freddo dell’inverno.
Scrutava ancora la folla, imperterrito. E la vide più avanti.
Corse, scontrandosi contro sconosciuti che lo guardavano male. Cercava di scusarsi, ma non poteva perdere tempo. Era lì, vicino a lui, non poteva perdere quell’occasione.
Finalmente la raggiunse, e le mise una mano sulla spalla, mentre respirava a fatica.
- Daph! – ansimò senza fiato.
La ragazza si girò, e il cuore di Tom si arrese, sconfitto.
Era rossa, gli occhi erano chiari e la pelle pallida, era vero, ma non era Daphne.
Lei lo guardò smarrita – Scusa?
- Oh. Ti ho scambiato per un’altra. Mi dispiace – disse lui, diventando ancora più rosso.
La sconosciuta sorrise comprensiva – Credimi, dispiace a me non essere la ragazza che stai cercando. Buon natale! – e continuò la sua camminata.
- Anche a te! – rispose. Era stata gentile. Non voleva farle credere di essere un pazzo.
Si guardò intorno spaesato, e si rese conto che il destino si stava facendo beffe di lui.
Non voleva fargli dimenticare Daphne, come se Tom avesse potuto correre questo rischio.
Guardava quel luogo, quasi felice. Se la ragazza che gli aveva rapito il cuore l’avesse visto, sarebbe impazzita di gioia. Era davvero il suo posto ideale.
Colorato, accogliente, leggermente caotico ma dolce. Proprio come lei.
Entrò nel negozio, voleva comprarle qualcosa che sicuramente avrebbe gradito.
No, non voleva comprare il suo perdono, voleva solo dimostrarle quanto di lei avesse capito, perché glii importava molto di Daphne, era la cosa più importante per lui. E doveva solo dimostrarglielo.
 
Daphne era pronta, almeno fisicamente.
Mentalmente no.
Il cuore le batteva troppo forte, la testa le girava e l’aria non arrivava nel giusto modo ai polmoni. Era agitata, ma doveva provarci.
Rilesse mille volte i numeri scritti sul foglietto ripiegato, e quando si convinse, si armò con la sua faccia migliore.
Si vestì in modo carino, ma non appariscente, si mise la borsa a tracolla ed uscì, pronta per quel lunghissimo viaggio in metro, sperando che almeno quella volta niente potesse andare storto.
 
Aveva appena toccato il suolo britannico e già l’ansia cresceva, ma prima doveva fare mille cose, purtroppo.
La più impellente in quel momento, era ritirare il proprio bagaglio.
Nick se l’era svignata subito, il suo bagaglio a mano era stato imbarcato insieme a loro sull’aereo, quello di Tom aveva superato il peso consentito ed era finito insieme a tutti gli altri.
Si trovava davanti al nastro trasportatore fermo, perché ancora dovevano caricare tutte le valigie.
Aveva gli auricolari, che diffondevano la musica ad un volume basso, che gli consentiva di sentire anche i rumori dell’aeroporto, nel caso avessero fatto qualche annuncio.
Indossava una cuffia, per non essere riconosciuto.
Era stanco e svogliato, la sua mente era da tutt’altra parte.
Aveva la bocca affondata nella sciarpa e le mani in tasca. Era infreddolito. Colpa della stanchezza a causa del jet lag.
Il nastro prese a girare lentamente davanti a lui, che era fermo sulla curva, ipnotizzato da quel movimento. Si sentiva un completo imbecille, ma per fortuna non molta gente affollava l’aeroporto a quell’ora. Strano, erano le sei di sera.
In lontananza vide la sua sacca, e la attese passivo. Non aveva intenzione di fare un passo.
La vedeva avvicinarsi, quando due mani la afferrarono. Gli ci volle un attimo per risvegliarsi dal suo torpore e capire cosa stava succedendo.
- Ehi! Ma che diav.. – le parole gli morirono in gola.
- Insomma! È così che si ringrazia? Ti sto dando una mano! – rispose ridacchiando. Non rideva della situazione, ma della sua faccia sbigottita.
Si stava già allontanando con il suo bagaglio.
Alzò solo un angolo della bocca.
Impossibile.
Ora soffriva anche di allucinazioni.
Si tolse gli auricolari e li mise in tasca. Fece per prendere le maniglie del borsone, e in quel momento sentì le sue mani sotto le proprie.
Scattò dritto, con gli occhi fuori dalle orbite.
- Come fai ad essere qui? I controlli? E come fai a saperlo? Io non capisco…
Daphne gli sorrise divertita e comprensiva.
Ora che era lì, il coraggio era sparito.
Nel suo piano perfetto doveva saltargli in braccio e baciarlo, ma applicare la fantasia alla realtà era veramente una cosa difficile. La presenza di Tom la scioccava così tanto che i suoi gesti a stento venivano eseguiti dal corpo.
- Vuoi davvero saperlo?
Lui annuì.
- Ho usato gente che aveva delle conoscenze per farmi passare. Hanno dovuto rompere un po’… ma alla fine ce l’hanno fatta…
Si fece più timida, ma a Tom parve di vedere il suo volto scurirsi.
- Tom, io… - ma non finì la frase, non sapeva come fare.
- Aspetta, non dire nulla! – e prese a cercare qualcosa nella tasca del giubbino. Doveva cercare di convincerla, prima che gli desse il benservito.
Daphne lo guardava curiosa.
La gente ormai si era allontanata dai nastri per riversarsi all’uscita, e loro erano rimasti quasi soli.
Alla fine ne estrasse una cosa piccola. Era una specie di sacchettino.
- Questo è un regalo per te – le disse aprendolo – Sai, ho scoperto che era il negozio che vendeva le migliori in città. Dovrebbe piacerti.
E sulla sua stessa mano aperta fece cadere una fragola. Era una caramella.
No, era la caramella. Quella preferita da Daphne.
- Sai, ti stavo cercando, e mi sono imbattuto in questa caramelleria… - tentò di giustificarsi, ma non serviva più.
Daphne aveva gli occhi lucidi ed un sorriso splendente.
Quel gesto per lei era stata la più bella di tutte le dichiarazioni del mondo. La più esaustiva sicuramente.
Gli saltò al collo non appena sentì quelle parole.
Lo abbracciò, facendogli quasi perdere l’equilibrio.
Tom la strinse per non cadere, e per sentirla vicino a sé. La stanchezza sembrava improvvisamente passata.
In un attimo, fece quello che avrebbe sempre voluto fare, e la baciò.
Le sue labbra trovarono quelle di lei, morbide e calde che lo aspettavano.
Piano le schiusero, assaporando l’uno il sapore dell’altra.
Daphne si sporse sulle punte per avvicinarsi ancora di più.
Aveva il cuore in gola.
Il momento che tanto aveva atteso era finalmente arrivato, ed era meglio delle sue fantasticherie.
La lingua di Tom si inoltrò piano nella bocca di lei, per scoprirne con gusto ogni dettaglio. Quando quella di Daphne si unì alla sua, una scossa percorse la schiena di entrambi.
Lo prese per il colletto del giubbotto, perché aveva paura che potesse allontanarsi da lei, ma era una paura infondata. Perché mai Tom avrebbe fatto una stupidaggine simile, non ora che aveva trovato la sua ragione di vita.
Quel bacio che stava confermando tutte le sue supposizioni: quella era la donna della sua vita, e mai, per nessuna ragione al mondo, se la sarebbe fatto scappare.
Ci sarebbero state incomprensioni, ci sarebbero stati litigi. Ma ci sarebbero state riappacificazioni e ci sarebbe stato amore. Soprattutto amore.
Perché i giorni neri si potevano superare solo insieme, e questo l’avevano capito proprio stando divisi.
La lingua di Daphne accarezzava quella di Tom in modo dolce e suadente. Aveva trovato il bacio che cercava da una vita.
Aveva trovato la persona che aspettava da una vita.
Avrebbe voluto Tom al suo fianco per sempre. Lo voleva nella sua vita.
Voleva dividere il suo percorso con lui. Niente gliel’avrebbe impedito.
Era emozionata, perché aveva trovato in quella bocca tutte le sensazioni che piano erano diventate Tom stesso – tabacco, pioggia, inverno e calore – ma anche emozione, amore e devozione.
Era il loro modo di firmare la resa di uno all’altra.
Una resa dolce, una vera resa. Stipulata senz’armi, ma solo con due cuori.
Si separarono a fatica.
Avevano aspettato tanto, troppo, per quel gesto. Ma erano soddisfatti, perché sapevano di aver trasmesso tutto il loro sentimento ed avevano colto quello dell’altro.
Non c’era davvero fretta, ora. Ce ne sarebbero stati altri.
Tanti, tantissimi altri.
Ne erano sicuri. Perché anche se era stato solo un bacio, questo, aveva spiegato loro tutto.
I loro silenzi, i loro gesti, i loro sospiri. Le cose non dette.
Tutto era rinchiuso in quel gesto.
Anche il fatto che Tom si curasse di cosa poteva piacere a Daphne – come le caramelle – e di come Daphne sapesse cosa piaceva a Tom.
Scese dalle punte, quasi esausta, e prima che potesse far qualcosa lui le depositò un altro bacio a fior di labbra.
Prese la sacca con un braccio, e con l’altro cinse un fianco di Daphne, che lo lasciò fare, felice.
Lei assaggiò la caramella. Non voleva togliere il sapore di Tom dalla sua bocca, ma voleva fargli anche capire quanto gli fosse grata per quel gesto.
E così avrebbe avuto una scusa in più per baciarlo.
- Spiegami una cosa… - disse lui, come ridestato da un sogno – Come hai fatto a sapere che ero qui?
Alzò gli occhi al cielo, divertita – Grazie a Google e ad una serata di Sam. Mi sono presentata al suo concerto in un pub la sera del 23, e gli ho spiegato la situazione. Lui ha detto che aveva sentito parlare di me, e mi ha spiegato cosa ti era successo. Sai, il volo, e la storia del cellulare… così gli ho chiesto quando tornavi e l’ora di arrivo del tuo volo. Appena li ha saputi, direttamente da te, me li ha comunicati. E così… eccomi qua.
E si aprì in quel delizioso sorriso che riusciva a rivolgere solo a lui.
Era ammirato. Lei aveva fatto tutto questo per lui.
E lui le aveva portato solo una caramella.
- E, tanto per la cronaca, sono stati proprio Sam e Bobby a farmi passare fino al ritiro bagagli. Ho dovuto fare un sacco di controlli e hanno dovuto rompere un po’… ma come vedi, sono qui.
- Sei veramente micidiale! – e rise.
Ci pensò su, e una volta all’aria pungente di una sera di dicembre, le rivolse la domanda che più lo spaventava – Ma non sei arrabbiata con me? Pensavo non volessi più vedermi – aggiunse sincero.
- Spiegamene il senso… - rispose soppesando bene le parole – Ho già passato cinque giorni lontano da te. Perché ora che sei qui, e so la verità, dovrei sprecarne altri? – le sembrava così ovvia come cosa.
Le prese il viso tra le mani, e la baciò di nuovo.
Daphne era la migliore ragazza del mondo. Ed era la sua ragazza.
Forse non le era ancora chiaro il concetto, ma gliel’avrebbe spiegato presto, molto presto.
Sapeva che non sarebbe stato così facile ogni giorno convincerla, ma ogni giorno ci avrebbe provato in tutti i modi, perché non desiderava altro.
- Vieni con me, vero? – domandò Tom indicando l’auto nera.
- Certo, però la meta la decido io – rispose quasi enigmatica mentre entrava nell’abitacolo.
- E dove andiamo? – chiese lui con innata curiosità.
Rise – A comprarti un nuovo cellulare.

_________________________
ok, lo ammetto: volevo postare domani, ma siccome ho mille impegni, ho anticipato a stasera.
spero che vi possa piacere!
domani incrociate le dita per me: ho un colloquio di lavoro (alla decathlon, dove giusto un anno fa avevo lavorato).
per le recensioni, fatemi sapere se le risposte a quelle precedenti vi sono arrivate, non vorrei mai mancare di rispondervi! ^___^  un bacio

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Each tale has a different ending ***


Ragazze ciao! Scusate il ritardo, ma il lavoro, il natale e il compleanno di una mia amica mi stanno "succhiando" tutto il tempo libero, e faccio fatica a scrivere!
Ci vediamo giù per le ultime comunicazioni, ok? un bacio


Capitolo 7

Each tale has a different ending

Da quando si erano ritrovati, mai un bacio era sfuggito alle loro bocche, e mai una voglia era rimasta insoddisfatta.
Dopo aver comprato il cellulare nuovo, si erano diretti a casa per mangiare un boccone, ma la cena era diventata fredda, ed era rimasta intatta.
I loro corpi si erano fusi, chiamandosi in grida senza eco. Si erano assaggiati, mischiati, assaporati ed appartenuti.
Si erano svelati per quello che erano, con la voglia di farlo davvero.
Avevano capito di essere compatibili sotto ogni punto di vista, nel loro modo un po’ strano di viversi a vicenda.
E anche quel giorno uggioso di fine febbraio, erano distesi a letto, coperti da un piumino caldo che scaldava i loro corpi nudi ma ancora bollenti.
Le guance di Daphne erano rosse, e gli occhi brillavano appena da sotto le palpebre.
Tom era perso in questi particolari, che sapeva costituivano la sua beatitudine.
Piano lei si ridestò dal torpore, aprendo gli occhi.
Lui non perse tempo, e le posò una carezza sul viso, scostando i capelli che le erano cascati davanti agli occhi.
Si aprì in un sorriso che poteva sciogliere un ghiacciaio, e avvicinò il volto a quello del moro.
- Lo sai che tra poco devo alzarmi perché devo tenere Aidan, vero?
Tom fece una smorfia contrariata, ma sapeva che con quel lavoro si pagava da vivere – Me lo ricordavo… ma speravo che tu te ne fossi dimenticata! – la mano si posò sul fianco di lei – È fortunato quel bambino… soprattutto perché non posso essere geloso di lui!
- Per forza, ha quattro anni! – protestò scuotendo la sua chioma rossa.
- Meglio per lui, se no mi toccherebbe sfidarlo – e ridacchiò.
Daphne fece per alzarsi, ma Tom l’afferrò per un polso, con una delicatezza che riservava solo a lei.
La fece ridistendere su un fianco e la supplicò – Solo un bacio, per favore…
Lei non disse nulla e non si mosse, prese solo ad accarezzargli il volto con entrambe le mani.
Tom agguantò l’altro polso con la mano libera, e la guardò disperato. Questo la fece sciogliere, e stringendo un po’ di più il viso, si avvicinò.
Passò il suo naso sui contorni della bocca di lui, annusandone l’odore che sapeva di lei. Le piaceva lasciare quell’impronta, lo faceva sentire suo.
Piano con la morbidezza delle sue labbra si accostò a quelle di lui, che approfittarono della vicinanza per intrappolarle in un bacio lento e profondo.
Daphne rispose, catturata da quella dolcezza e quella passione, che caratterizzavano tanto Tom. Per approfondire quel contatto si avvicinò meglio con il busto, e il moro non si fece scappare l’occasione.
Una mano liberò il polso, e andò al fianco, carezzandolo con l’indice, mentre le gambe si intrecciavano a quelle di lei.
Era sempre una sofferenza staccarsi dalla sua ragazza, e cercava in tutti i modi di ritardare il più possibile quel momento.
Ma lei lo conosceva bene, e sapeva di dover rispettare un impegno importante. D’altra parte, era il suo lavoro.
Si separò di colpo, e giocando sull’effetto sorpresa si alzò per recuperare la propria biancheria intima, abbandonata sul pavimento.
Tom si alzò di scatto, e si mise a sedere sul letto scontento. Con le braccia incrociate al petto, la guardava cercare i propri vestiti. Ammirava affascinato i giochi di luce che si ricreavano sulla linea della sua schiena, e si impose di rimanere nel letto, al posto di alzarsi per seguirla e soddisfare la sua nuova voglia.
Quando Daphne uscì dal bagno rivestita e pettinata, si ritrovò a supplicarla di nuovo.
Lo faceva apposta, sapeva bene che davanti a quel tipo di richieste avrebbe sempre ceduto.
- L’ultimo – e unì le mani in segno di preghiera, corrugando le sopracciglia e facendo sporgere il labbro inferiore.
La rossa non se lo fece ripetere due volte, si avvicinò e impresse le sue labbra su quelle del ragazzo, che tentò di tirarla su di sé.
Lei si scansò e gli sorrise da lontano – Diavolo tentatore…
Ridacchiò in risposta, e colpito da un’illuminazione improvvisa, raccattò i boxer e la seguì fino alla porta di casa – Dopo, torna qui e fermati a dormire.
A Daphne si scaldò il cuore – È da due mesi che ci provo in tutti i modi, finalmente ti sei svegliato e l’hai capita!
Iniziò a scendere le scale, saltellando – A dopo!
E se ne andò prima di vedere il volto soddisfatto di Tom, marchiato da quel sorriso che sapeva di lei, solo di lei.
 
Erano in giro per cercare un regalo adatto per la mamma di Tom. Anche se non erano riusciti a dirsi ciò che realmente provavano, era diventato normale per loro fare certe cose, e quindi l’attore decise di presentarla in casa.
Daphne era nervosa, aveva paura del giudizio dei genitori del suo ragazzo, e in più non ne capiva il senso.
Non le aveva detto ancora quelle due parole, ma la presentava in famiglia. Insomma, era un bel passo, e non sapeva come interpretarlo.
Doveva scegliere un presente perfetto, indirizzato soprattutto alla madre di Tom, ma che potesse essere apprezzato anche dal padre.
Quindi le risultava più o meno così: un disastro annunciato.
E Tom certo non contribuiva a darle una mano e a distenderle i nervi: si divertiva a prenderla in giro e a commentare le sue bizzarre scelte. A lei questo atteggiamento irritava parecchio, ma cercava di non darlo a vedere, se no sarebbe sbottata.
Dopo un’estenuante ricerca, scelse una lampada che il suo ragazzo si era degnato di consigliarle, dicendole che piaceva da parecchio ad entrambi i genitori.
Si, come presente era davvero strambo, ma almeno era certa di andare sul sicuro.
Daphne 1 – famiglia Sturridge 0.
Per ora.
Decise di distendere i sensi con un po’ di sano shopping, e costrinse Tom a seguirla in un centro commerciale, doveva trovare il vestito perfetto per stendere definitivamente i genitori del suo nuovo amore.
Tom intanto pensava a tutt’altro, sembrava stesse calcolando qualcosa di preciso, e anche di molto lontano. Per Daphne non era proprio presente, e la innervosiva ancora di più. Stava per esplodere.
- Mi consigli qualche vestito, per favore? – gli chiese esasperata.
- Ehm… si. Si si! – e le sorrise furbo.
Entrò nel camerino con capi per un armadio vuoto, avrebbe fatto la cernita provandoli tutti.
Si armò della poca pazienza rimastale e infilò il primo.
Dopo sette vestiti era ancora in alto mare. A lei piacevano tutti – ovviamente – e quando chiedeva un parere a Tom, si limitava ad annuire o storcere la bocca. A volte si lasciava sfuggire un si o un no.
Daphne stava per scoppiare.
L’ottavo vestito la colpì dritta al cuore, a tradimento.
Non era un vestito, ma il vestito.
Quello che ogni ragazza voleva per sé. Quello che avrebbe voluto indossare ogni giorno.
A fare la spesa al supermercato, a portare fuori il cane (ne avrebbe comprato uno solo per portarlo a spasso), su qualche red carpet o in palestra.
Era divino, e se lo vedeva benissimo addosso.
Praticamente era un miracolo disegnato su tela.
Uscì dal camerino quasi emozionata – Beh, allora che dici?
Tom alzò la testa con un sorriso mozzafiato, ma anche un po’ stanco.
Era maledettamente insolente – Mh.
E dopo un po’ aggiunse – Si.
Era divertito. Guardava la sua ragazza e la vedeva in profondità.
Stava strepitosamente, non c’era altro modo per definirla. Quell’abito sembrava fatto apposta per abbinarsi ai suoi capelli e alla sua pelle. A quel sorriso così dolce ed innocente.
Ma non poteva dirglielo, non poteva cedere. Doveva portarla al punto di non ritorno.
Aveva aspettato quel momento, sapendo di potersi sbilanciare, voleva farlo da tutto il giorno, ma lei ora era pronta per dire la verità, forse. Ancora un po’, e lo sarebbe stata sicuro.
Anche lui aveva bisogno di certezze.
Daphne si fece sotto al suo naso, un bel po’ più in alto di lei. Era livida.
Lei si sentiva una favola, e lui diceva ‘mh’?
Lei stranamente si piaceva, e lui diceva solo ‘si’?
Non era umanamente possibile.
E poi, poteva negare fino alla morte, ma aveva visto il suo sguardo: gli piaceva, e lei lo sapeva. Ora gliel’avrebbe fatto ammettere.
- Vuoi dire che sono solo carina con quest’abito? – e si alzò in punta di piedi, mostrando un po’ di più il suo seno, troppo piccolo per poter essere messo in risalto davvero da quella posizione.
- Beh, si – ridacchiò Tom in risposta. Aveva alzato le spalle per accompagnare le sue parole.
- Bugiardo – sibilò tra i denti.
- Permalosa.
- Chi, io? Ti sbagli. Sei tu che porti all’esasperazione! – davvero non aveva capito che quella era la goccia che aveva fatto traboccare il vaso?
- Sei una bugiarda anche tu!
- E tu sei… uno stronzo!
Tom sorrise.
- Io ti amo…
- E ti amo anche io! – sbottò arrabbiata.
Poi si accorse di quello che lui le aveva detto, e di quello che lei stessa aveva risposto. Si bloccò di colpo, con gli occhi spalancati e la mano sulla bocca, sconvolta.
La faccia era talmente rossa da far impallidire anche i capelli.
Posò la mano libera sul cuore, nella paura di vederlo scappare fuori dal petto a causa della velocità con cui batteva.
Tom era decisamente più disteso. Si abbassò un poco, per allineare il viso con quello di Daphne – Scusa se ti ho fatto arrabbiare, ma era da un po’ che volevo dirtelo, e sapevo che tu ti saresti chiusa a riccio. L’unico modo per farti parlare è quello di farti arrabbiare per farti sfogare a ruota libera…
E le accarezzò il naso con il suo.
Gli diede un pugno sul petto, e lo guardò con gli occhi lucidi. Lui incassò il colpo in silenzio, spaventato.
- Tu! Sei il peggiore di tutti i bastardi.
Respirò profondamente e poi si accoccolò al petto di Tom, abbracciandolo all’altezza della vita.
- Potresti ridirlo?
- Scusa, non volevo far…
- No, non quello. L’altro pezzo
Tom ghignò sui suoi capelli rossi – Ti amo.
Daphne alzò il viso e catturò le labbra del suo ragazzo, allungandosi sulle punte e poggiando le braccia dietro il suo collo.
Aveva capito che la felicità poteva spezzarti l’anima – come a lei in quel momento – e rimetterla insieme alla velocità della luce, più e più volte ancora.
Si staccò a malincuore, e disse – Comprerò questo vestito.
Difatti, oltre ad essere perfetto per l’occasione e a starle bene, aveva improvvisamente acquistato un valore affettivo.
- Devi proprio. Ti sta d’incanto!
Entrò nel camerino saltellando, e lo lasciò lì da solo, nel mezzo del mondo che piano stavano iniziando a costruire insieme.
 
Il pranzo a casa dei genitori di Tom era un ricordo lontano, nonché ormai una visita mensile per passare il tempo insieme.
Tra Daphne e Phoebe c’era stato fin da subito un feeling particolare, ed il moro ne fu ben lieto: sua madre era di gusti davvero difficili.
Tra i due ragazzi le cose andavano bene. Certo, a volte litigavano, ma poi facevano pace nei modi più disparati.
Facendo l’amore, parlando, scherzando e anche andando a vedere le partite dell’Arsenal allo stadio con la neve.
Dopo aver reso chiari i propri sentimenti, si erano sentiti entrambi più leggeri e distesi. Anche il loro dialogo ne aveva guadagnato.
Quella sera sarebbero andati in un locale per sentire suonare Sam di ritorno da una tournée mondiale, e prima di uscire Daphne voleva cucinare qualcosa.
- Tom! Ma come fai ad essere ancora vivo?
- Perché? – chiese lui davvero incuriosito.
- Perché? Ma perché nel tuo frigorifero non c’è nulla, anzi – e aprì qualche altro sportello – In casa tua non c’è nulla!
- Daph, lo sai che esistono le consegne a domicilio? – e rise.
- Certo, ma costano! – e sorrise, non riusciva ad arrabbiarsi con lui per così poco.
- Bene, usciamo. Ma paghi tu la cena! – precisò subito – Mangeremo qualcosa sulla strada per il locale, ok?
- Certo! Anche se non mi è chiaro il motivo per cui dovrei pagarti la cena.
- Punto uno: è colpa tua se usciamo, perché non hai fatto la spesa. Punto due: perché sono la tua ragazza, e tu sei un gentleman. Punto tre: mi ami alla follia, e per te questo non è uno sforzo – snocciolò velocemente le ragioni di quella decisione – O sbaglio?
La strinse da dietro e la guidò fuori di casa, baciandole la guancia – Giustissimo capo, il tuo ragionamento non fa una piega.
E si incamminarono verso la fermata della metropolitana.
Arrivarono vicino a Picadilly, e con il loro take away da consumare passeggiando preso al Noodle Corner, passarono in rassegna le vetrine di alcuni negozi.
Sfilarono davanti a Tiffany, e Daphne si fermò imbambolandosi.
- Daph, amore mio, andiamo!
- Oh Tom, ho appena visto il mio anello di fidanzamento! – e lo guardò con occhi sognanti.
A lui sprofondò il cuore nello stomaco – E con chi?
Gli arrivò una gomitata nello stomaco che quasi gli fece vomitare gli spaghetti al curry.
- Con te, stordito! – e tornò alla vetrina – Guarda quel bel solitario, semplice e brillante. Carino, no?
- Carino? Caro rabbioso direi! E poi chi ti ha detto che io voglio sposarti? – stava mettendo le mani avanti. Amava Daphne, ma non era ancora il momento di pensare a queste cose, era troppo presto.
- Stai calmo – e alzò gli occhi al cielo – Sto parlando di un futuro moooolto lontano. Sempre che io non ti lasci prima, ovvio!
- E perché tu dovresti lasciare me, e non viceversa?
- Perché tu sei troppo innamorato.
- Senti chi parla! – disse lui alzando il tono di un’ottava.
- Dai, andiamo prima che tu ti metta a correre nella direzione opposta alla mia – e lo trascinò verso il locale, al riparo dal freddo.
Ma Daphne non poteva immaginare cosa aveva scaturito il suo innocuo pensiero in Tom.
A lui era chiaro il ruolo di Daphne nella sua vita: era fondamentale. E già dal loro primo incontro, in quell’ormai lontano ottobre, aveva capito di volerla di fianco a lui fino alla fine dei suoi giorni, se lei gliel’avesse permesso.
Si ricordava benissimo la sensazione di calore e di sicurezza che già da Starbucks l’aveva invaso dolcemente.
Il discorso di lei non gli sembrava più così astruso come prima.
E già una volta si era fermato a fissare vetrine colme di anelli, individuandone uno perfetto per lei, con un taglio particolare che ricordava quello di una caramella. Quel filo conduttore invisibile che li aveva tenuti legati.
Forse, inconsciamente, ci pensava anche lui.
Aveva passato la notte in bianco, con quel pensiero fisso.
Aveva visto Daphne in abito bianco, e si era emozionato. Non solo: gli era apparsa una figura diversa, come se fosse davvero un sogno. Aveva gli occhi chiari e i capelli rossastri, e non era alta più di un metro. Correva tra l’erba e quasi gli volava in braccio.
L’aveva vista pure un po’ più grande, il primo giorno di scuola, e anche adolescente, quando avrebbe nascosto a lui e Daphne l’interesse per i ragazzi. Quelli di cui si sarebbe innamorata, e quelli che le avrebbero spezzato il cuore.
Il solo pensierò lo tormentò.
Aveva visto sua figlia come poteva essere, ed era bellissima.
La voleva.
Si addormentò per poche ore, con un’espressione beata.
Il giorno successivo era ritornato davanti a quella gioielleria e l’aveva comprato.
No, non voleva chiederglielo subito, ma preferiva avere un promemoria riguardo a quello che si aspettava dalla sua vita in futuro.
Voleva averlo accanto a sé, nel cassetto del comodino, per ricordarsi il motivo per cui si svegliava ogni giorno.
E poi aveva preso la palla al balzo: magari dopo cinque anni, non l’avrebbe più trovato. E sapeva che quello era l’anello di Daphne.
E se anche non avesse sposato Daphne, avrebbe già avuto un anello di fidanzamento per la sua futura moglie. Quest’ultimo pensiero però, non gli dava forza.
Si, quella scatolina in tasca gli dava sicurezza.
Era come aver ipotecato il suo futuro, era davvero soddisfatto.
Estrasse il cellulare di tasca e lo lasciò squillare.
- Pronto? – rispose lei sottovoce, uscendo dall’aula.
- Daph, ti amo…
Lei sorrise – Ti amo tanto anche io!
- Ci vediamo dopo, vado sul set – e chiuse la telefonata, rendendosi conto di essere in ritardo.
Si, un giorno l’avrebbe resa partecipe dei piani riguardanti il suo futuro.
Sorrise alla folla di sconosciuti che gli passavano accanto.
Non vedeva l’ora.

FINE

______________
Eccoci qui, anche questa mini storia è finita.
Ah ah! Ma non è del tutto vero!
Perchè intorno a martedì prossimo, posterò sotto l'altra mia ff conclusa "HATE EVERY BEAUTIFUL DAY" un capitolo extra, che sarà cross over e comprenderà anche il finalissimo finale di questa, spero che vogliate leggerla!
Ci sentiamo presto, un bacione e TANTI AUGURI in  anticipo!

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=580028