Hey Jude

di clop clop
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The beginning ***
Capitolo 2: *** Non tutto il male vien per nuocere ***
Capitolo 3: *** Galeotto fu quel foglio ***
Capitolo 4: *** Dubbi e rivelazioni ***



Capitolo 1
*** The beginning ***


1. The beginning
 
 I Madison abitavano in una villetta vicina al centro di Londra. Era una casa a due piani, spaziosa e accogliente, circondata da un giardinetto all’inglese. I due coniugi, Dave ed Emily, vivevano lì da quando si erano sposati ed erano sempre stati dei vicini gradevoli e disponibili. Quelle stesse mura avevano assistito alla comparsa in casa di una nuova arrivata, Ellen, detta anche Ellie, la primogenita della coppia. Una bellissima bambina, come la definivano tutti coloro che la vedevano, i quali non potevano fare a meno di accarezzarle le guance rosee. In effetti Ellie era da sempre stata molto bella: gli occhi celesti, un po’ acquosi, risaltavano il suo viso pallido, incorniciato dai boccoli biondi. Tre anni dopo si era aggiunta alla famiglia un’altra bambina, Judith. Il suo nome, però, era stato subito abbreviato in Jude, forse proprio perché questo era un nome da maschio. Lei, infatti, si era sempre distinta per la sua vena ribelle e ostinata. C’era perfino chi dava la colpa ai suoi folti capelli color rosso rame, che le ricadevano liscissimi lungo le spalle. Sul naso all’insù e sulle guance facevano capolino alcune lentiggini. Gli occhi, di un azzurro intenso, erano spesso nascosti dalla frangetta, rigorosamente rossa.
 Anche se lei ancora non ne era al corrente, la vita di Jude e di tutta la famiglia stava per essere cambiata, quasi sconvolta, da una serie di avvenimenti, che si sarebbero succeduti, non senza colpi di scena, nell’anno 1968. L’anno della rivoluzione culturale, in cui i ragazzi sempre più spesso scappavano di casa con le loro chitarre e i loro sogni, sperando nell’indulgenza di qualche anima buona che avrebbe concesso loro un passaggio, vedendoli fare l’autostop sulle strade nere come l’inchiostro. L’anno in cui una ragazza con una passione così sfrenata per la musica, come Jude, non poteva essere risparmiata alle mille possibilità, che si aprivano come porte sul lungo corridoio della vita. Sì, perché il più grande sogno di Jude era diventare una cantautrice di successo e, perché no, di incidere anche dei dischi con le sue canzoni. E il suo sogno, in un modo o nell’altro, si sarebbe realizzato grazie ad un incontro che l’avrebbe segnata per sempre.
 

* * *

 
 Quella mattina di aprile la sveglia di Jude doveva essersi rotta, perché non era suonata. O forse era suonata e lei non l’aveva sentita. Fatto sta che erano le otto meno dieci e che lei in meno di un quarto d’ora sarebbe dovuta essere a scuola. Invece era ancora china sul pavimento per cercare di capire dove aveva lasciato le sue scarpe. E questo non sarebbe stato facile perché la sua camera era immersa nel disordine più assoluto. Sul pavimento erano sparsi oggetti di ogni sorta: dagli spartiti della chitarra ai guantoni da boxe, dai vecchi poster ormai consunti al suo primo quarantacinque giri di Elvis Presley. Ma delle scarpe nemmeno l’ombra.
 “Forse dovrei cominciare a fare un po’ di ordine qui dentro” pensò, mentre si rialzava e scuoteva via la polvere dai suoi jeans a sigaretta.
 Spalancò la porta della sua stanza e si avviò frettolosamente verso le scale che portavano al pianterreno. Ma non fece in tempo a percorrere mezzo metro che inciampò su qualcosa e cadde lunga distesa, con un clamoroso botto.
 -Ma che cazz…ah, ecco dov’erano finite!- esclamò, accorgendosi di essersi appena incespicata sulle sue Converse.
 -Hai perso qualcosa per caso?-
 La voce di Ellie proveniva da dietro alle sue spalle. Diffatti sua sorella era appoggiata alla porta del bagno con un’espressione divertita stampata sul volto. Jude finse di non essersi accorta del sarcasmo con cui le era stata rivolta la domanda.
 -No, l’ho appena trovato- rispose indicando il paio di scarpe.
 -Dovrebbero darti un premio per la caduta più spettacolare dell’anno- continuò Ellie sogghignando.
 -Ma cosa credi? Guarda che era tutto programmato- ribatté Jude, mentre si infilava le Converse.
 -Certo, come no. E ora mi dirai anche che sei in perfetto orario per la scuola?-
 -Senti, se sei qui solo per farmi la predica, puoi anche…- poi si interruppe un momento. -Ehi, anche tu sei in ritardo!-
 -No, stamattina ho due ore di buca- rispose Ellie con una smorfia. -Comunque se ti sbrighi può accompagnarti papà.-
 -Non sono degna di avere un passaggio da parte della Signoria Vostra?- chiese Jude rialzandosi in piedi.
 -La mia macchina serve alla Mutter- spiegò Ellie. -Ora muoviti, sennò si incazza di nuovo.-
 -Ma quanto è premurosa la mia sorellina! Scommetto che appena me ne vado correrà in camera mia a provarsi i miei nuovi stivali!-
 Ellie scrollò le spalle con un grugnito poco convinto e tornò in camera sua. Jude, invece, scese velocemente le scale che portavano di sotto.
 “Bene, devo arrivare a scuola in meno di tre minuti, non so come fare e non ho ancora fatto colazione” si disse una volta arrivata in cucina. Si guardò intorno pensando al daffarsi.
 “Ehi, chissà se sono avanzate quelle ciambelle di ieri…” pensò cominciando a frugare nella credenza.
 -Jude!-
 La ragazza trasalì a quella voce e si voltò di scatto.
 -Ehm…buongiorno anche a te, mamma.-
 Sua madre era lì davanti a lei, con le mani sui fianchi e la guardava con un’espressione di rimprovero.
 -Jude, insomma, dovresti essere a scuola a quest’ora!-
 -Già, dovrei…-
 Questo commento, però, non fece altro che peggiorare la situazione.
 -Insomma, signorina, quand’è che ti deciderai a prendere la scuola sul serio? Non voglio essere chiamata dalla presidenza per l’ennesima volta perché sei entrata di nuovo con un’ora e mezzo di ritardo!-
 -Quella volta non era colpa mia: mi ero solo fermata a parlare un po’ con Joel! E poi ti posso spiegare tutto- tentò di difendersi Jude.
 -Non c’è niente da spiegare. Ti conosco da diciassette anni e mezzo, Jude. A me non puoi darla da bere. E non credere che…-
 -Emily, che sta succedendo qui?- la interruppe il signor Madison entrando in cucina.
 Si soffermò a guardare la scena per una frazione di secondo.
 -Fammi indovinare: per caso sei in ritardo, Judy?- chiese alla figlia.
 -Esatto, e…- tentò di dire la signora Madison.
 -Bene, ti accompagno in macchina. Va’ a prendere la tua cartella- tagliò corto lui, interrompendo la moglie.
 -Grazie pa’!- esclamò Jude, felice di avere un pretesto per precipitarsi fuori dalla stanza.
 A volte si chiedeva come sarebbe stata la sua vita senza suo padre. Inutile dire che lo preferiva di molto alla madre, severa ed autoritaria. Lui era molto più comprensivo e aperto, tanto da sembrarle quasi un suo caro amico a volte. Era l’unico a chiamarla Judy. Lei era sicura di poter sempre contare su di lui. Spesso gli raccontava dei suoi problemi e passava ore a parlare con lui. D’altro canto suo padre faceva in modo di non farle mancare mai niente e la difendeva quasi sempre dalle ramanzine della madre, come in quel caso, per l’appunto.
 Infatti, quando Jude scese con la sua cartella a tracolla lo sentì ancora parlottare con sua madre a proposito della sua mancata puntualità.
 “Meglio tenersi fuori dai piedi” pensò e uscì dalla porta principale.
 Suo padre la raggiunse poco dopo in giardino e la fece salire in auto.
 -Lo sai che ha ragione, vero?- le chiese lui dopo un po’ che erano partiti.
-Posso accendere la radio, pa’?- lo ignorò Jude.
 -Fa’ pure- sospirò rassegnato suo padre.
 Jude armeggiò per un po’ con la radio dell’auto per riuscire a trovare la stazione che cercava, poi finalmente si appoggiò allo schienale del sedile soddisfatta. La voce dello speaker risuonò nell’auto.
 -E proprio oggi è previsto il ritorno in Inghilterra della famiglia Lennon, dopo circa due mesi trascorsi all’ashram indiano del guru Maharishi Mahesh Yogi. Dopo il ritorno di Starr e McCartney, John Lennon, la moglie Cynthia e il figlio Julian arriveranno a momenti all’aeroporto di Londra. E tra non molto è previsto anche il rientro della famiglia Harrison. Restate con noi per le ulteriori news!-
 In quel momento la macchina si fermò davanti al liceo di Jude.
 -Buona giornata, Judy- le disse suo padre, mentre lei apriva lo sportello.
 -Anche a te, papà- rispose lei con un sorriso, uscendo.
 La macchina di suo padre rimase ferma lì, mentre lui guardava quella che un tempo era stata la sua bambina voltarsi verso l’edificio e attraversare il cortile quasi vuoto, dove facevano capolino i primi fiori primaverili. Appena la figura snella di Jude ed i suoi capelli rossi svolazzanti varcarono l’ingresso e vi scomparvero il motore si rimise in moto e l’auto finalmente partì.
 

* * *

 
 -John!- singhiozzò ancora Cynthia, nascondendo il volto tra le mani. -Oh John!-
 Aveva gli occhi rossi e gonfi e le sue guance erano rigate dalle lacrime. La sua esile figura era scossa dai singhiozzi continui, che non riusciva a trattenere. Piegò la testa verso il basso, in modo che i morbidi capelli biondi nascondessero la sua espressione afflitta all’uomo che le sedeva accanto. L’uomo di cui era ancora innamorata dopo così tanto tempo. L’uomo che più volte aveva ferito i suoi sentimenti e l’aveva tradita. L’uomo che ormai riconosceva a stento. Il suo John. John Lennon.
 -John, come…come hai potuto? Non hai pensato a me? Non hai pensato a Julian?- balbettò ancora Cynthia, tra i gemiti.
 Già, il piccolo Jules. Il loro unico figlio, che dormiva profondamente in braccio a Cynthia, con un’espressione beata sul viso, ignaro di quello che di lì a poco sarebbe successo. Quel bambino che lei amava così tanto e che lui trascurava così spesso ultimamente.
 -Ha solo cinque anni, John! Come faremo a spiegarglielo? E lui ti vuole così bene! John, ti prego rispondimi!- eslamò lei disperata. -Dimmi almeno perché! Perché vuoi lasciarci? Perché? E per lei, vero?-
 John era ubriaco. Non si ricordava nemmeno perché aveva bevuto. Forse per la frustrazione di essere rimasto due mesi così lontano da lei. Forse per la delusione di essere stato preso in giro da un maniaco che si spacciava per un guru. Forse perché il suo matrimonio stava andando a puttane e lui non stava facendo niente per migliorare la situazione. Stava solo scappando da un rapporto che gli sembrava troppo scontato e convenzionale. Stava scappando da tutte quelle responsabilità che aveva dovuto caricarsi sulle spalle da tanto, troppo tempo. Si stava comportando da codardo. Sì, ecco cos’era, un codardo. Aveva bevuto perché non voleva guardare in faccia alla realtà. Ma poi che colpa ne aveva lui? La colpa era solo di Cynthia. Cosa aveva fatto lei quando lui era caduto in quel periodo nero? Niente. Non era stata capace di aiutarlo. Non era stata capace di fare niente. Di cosa si lamentava, allora, se lui ora voleva troncare il matrimonio? Era solo colpa sua. Sì, era colpa sua.
 In quello stato le aveva confessato tutte le sue infedeltà, durante il viaggio in aereo che li stava riportando a Londra. Non si era fermato nemmeno quando sua moglie aveva cominciato a piangere convulsamente e a disperarsi. Non aveva nemmeno cercato di consolarla.
 -John, è per Yoko, vero? E’ così, lo so. Ma perché? Perché, cazzo?- continuò Cynthia afferrandolo per un braccio.
 John la guardò negli occhi. Dentro poteva leggerci tutto il dolore e la disperazione che la portavano a comportarsi così. E per un momento quasi gli dispiacque. Ma tornò subito a ricordarsi che era tutta colpa sua. Si liberò dalla presa di Cynthia con uno scossone e, voltata la testa, si chiuse in uno dei suoi abituali mutismi.
 Cynthia continuò a piangere silenziosamente, appoggiandosi al finestrino. Ogni tanto si fermava, respirando profondamente, ma senza riuscire a fermare il flusso delle lacrime che silenziose continuavano a bagnarle il viso. Non era lo stesso viso della ragazza che sei anni fa aveva sposato l’uomo che amava più di ogni altra cosa. Ora si intravedevano nuove rughe sulla fronte e attorno agli occhi. Ora il suo sguardo era più consapevole ed esperto, era lo sguardo da una donna che aveva ricevuto spesso delusioni e che aveva imparato a cavarsela da sola. Ma ora, con queste rivelazioni, le sembrava proprio che il mondo le crollasse addosso.
 Andare in India le era sembrata una buona idea. Si era illusa, che questo avrebbe potuto migliorare il loro rapporto. Una settimana dopo il loro arrivo all’ashram, John aveva chiesto di essere sistemato in un’altra stanza, da solo. Poi aveva cominciato ad ignorarla. Cynthia aveva sospettato che intrattenesse una corrispondenza con Yoko Ono. L’artista concettuale che aveva conosciuto da poco, di cui parlava sempre. La donna per la quale aveva deciso di lasciarla.
 Il pilota annunciò l’arrivo all’aeroporto. Tutti i passeggeri, John compreso, si accalcarono nel corridoio stretto dell’aereo per scendere il prima possibile. Cynthia si asciugò gli occhi prima di svegliare Julian.
 -Jules! Jules! Tesoro, svegliati. Siamo arrivati. Torniamo a casa ora.-
 Gli parlava con una dolcezza infinita, come solo una madre può fare. Il piccolo aprì lentamente gli occhi e sbadigliò.
 -Mamma, dov’è papà?- chiese con una vocina flebile appena sveglio, guardandosi intorno.
 -E’…è uscito prima per prendere le nostre valigie, tesoro. Non preoccuparti.-
 La sua voce tremò quando pronunciò l’ultima frase. Jules non doveva saperlo, ma c’era da preoccuparsi, e anche tanto.
 -Ah- fece Jules, rassicurato. -Mamma, ma stavi piangendo?- aggiunse notando gli occhi rossi della madre.
 -No, tesoro. E’ che sono stanca e mi lacrimano gli occhi. Su ora andiamo!- tagliò corto lei.
 Così si avviò all’uscita stringendo saldamente la mano del piccolo, cercando di reprimere l’angoscia che ormai l’accompagnava ovunque come un silenzioso fantasma.

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Capitolo 2
*** Non tutto il male vien per nuocere ***


2. Non tutto il male vien per nuocere
 

 Jude era seduta in un corridoio della scuola, appena fuori l’ufficio del preside. Era in punizione. Di nuovo. Non che lei ne facesse un dramma, c’era più che abituata. Ormai finiva in punizione almeno una volta a settimana. Era diventato una specie di macabro rito. Questa volta però non era proprio stata tutta colpa sua. In effetti non era quasi mai del tutto colpa sua. Erano gli altri a provocarla. Non faceva che ripetere questo al signor Gray, il preside, ed ai suoi genitori. Il problema era che loro non sempre prendevano sul serio le sue parole.
 D’altro canto Jude si era giustificata dicendo che non aveva potuto fare a meno di mettersi a urlare contro il professor Peters. Non dopo i suoi commenti cinici a proposito della musica che lei amava con tutta sé stessa. Se Jude aveva dei difetti (e ne aveva) uno dei più grandi era di non saper ignorare le provocazioni. Era più forte di lei, non riusciva a controllarsi, non riusciva ad andare avanti se non rispondeva per le rime al suo rivale. Ed era stato così anche quella volta. A Peters non era piaciuto. Non gli era piaciuto per niente. La sua sfuriata era stata allucinante. La cosa quasi buffa della situazione era stata che dopo questo Alex, il migliore amico di Jude da tempo immemore, si era sentito in dovere di difenderla da un’accusa ingiusta. Il risultato del suo eroico gesto fu una visita all’ufficio del signor Gray per entrambi.
 Il preside era stato molto comprensivo con Jude, come sempre, e anche fin troppo generoso. Aveva accettato di non riferire l’accaduto ai suoi genitori. Lei e Alex, però, si sarebbero dovuti trattenere a scuola dopo le lezioni per ordinare gli schedari della biblioteca.
 La porta della presidenza si aprì di scatto in quel momento e ne uscì un ragazzo smilzo e occhialuto. Le lenti degli occhiali alla Buddy Holly celavano un paio di occhi cervoni vispi e luminosi. I suoi capelli erano neri come il carbone. Le vecchie scarpe da tennis e i jeans quasi consumati che portava lasciavano intendere che non fosse un tipo particolarmente attento alle mode del momento. Le mani, che battevano ritmicamente sulle sue stesse gambe, come se stessero scandendo il ritmo di qualche silenziosa melodia, esibivano alcuni calli. Appena uscito si guardò un po’ intorno prima di scorgere la figura di Jude accasciata scompostamente su quella sedia nel corridoio. La ragazza si voltò appena in tempo per sentirlo chiamare il suo nome.
 -Jude!-
 -Alex!- esclamò lei di rimando. -Beh?-
 -Ha detto che non dirà niente ai miei- disse il ragazzo, avanzando lentamente con le mani in tasca. -Ma sono comunque in punizione.-
 -Benvenuto nel club!-
 -Però è stato gentile. Il caro vecchi Grey. Quell’uomo è un Cristo- sentenziò Alex, lasciandosi cadere sulla sedia accanto a quella di Jude.
 -E tu sei uno stupido!-
 -Ah è questo il ringraziamento per averti preso le tue parti con Peters, eh? Alexander Douglas è uno stupido! E vai!- finse di esultare. -Questo, gente, vuol dire essere di miglior amico di Jude Madison- fece poi, rivolgendosi ad un pubblico immaginario.
 -Sul serio, Alex. Che cazzo ti è venuto in mentre di fare quando ti sei messo ad urlare contro Peters? Quello non ci penserà due volte a farci sbattere fuori!- intervenne Jude seria.
 -Non fingere di preoccuparti per me, Jude- fece lui, scacciando una mosca immaginaria con la mano.
 -Quanto sei scemo!- esclamò lei dandogli un pugno leggero sulla spalla. -Io mi preoccupo veramente!-
 -E di che?- la interruppe Alex. -Lo sappiamo entrambi che non ci servirà a niente quello che studiamo ogni giorno qui. Appena usciremo da questa fottuta catapecchia tu diventerai una cantautrice dannatamente famosa e io e i ragazzi del complesso ci imbucheremo su qualche treno e andremo in tournee. Fine della storia.-
Jude rimase interdetta per qualche secondo. Una cantautrice dannatamente famosa. Un sogno. Quasi irrealizzabile. Anche se non era  mai stata un genio in matematica, Jude sapeva che le probabilità che ci riuscisse erano a dir poco scarse. E poi non voleva essere famosa. Le sarebbe bastato avere successo. Trovare qualcuno a cui la sua musica piacesse davvero, qualcuno che fosse capace di percepire tutte le emozioni che comunicava il vibrare delle corde della sua chitarra, unito alla sua voce.
 -Non la stai facendo troppo facile? Non si ha successo in così poco tempo. A volte non lo si ha e basta- disse lei rabbuiandosi.
 -Jude, quante volte devo ripetertelo?- si infervorò Alex. -Tu ce la farai. E’ quello che hai sempre sognato da quando eri bambina. Cristo, se non ci riesci tu a sfondare, vuol dire che siamo proprio fottuti, no?-
 Jude sorrise. Alex riusciva sempre a tirarla su di morale. Non lo avrebbe cambiato con nessuno.
 -Grazie Alex. Come farei senza il mio batterista preferito?- disse Jude scompigliandogli i capelli.
 -Ehi! D’accordo, d’accordo, dacci un taglio!- esclamò Alex cercando di scostarsi. -Cristo, Jude! Mia nonna ha smesso da un secolo di spettinarmi i capelli.-
 -Eh allora? Tanto tu non te li pettini comunque.-
 Alex aveva appena aperto la bocca per rispondere quando il signor Gray fece capolino dal suo ufficio e si diresse verso di loro. Lui e Jude smisero immediatamente di parlare nel momento esatto in cui lo videro arrivare.
 -Signorina Madison, signor Douglas- disse loro il preside. -Mi duole informarvi che devo scortarvi ai lavori forzati- annunciò con un sorriso tirato.
 -Sissignore- fece Alex scattando sull’attenti.
 -Su, venite, vi accompagno in biblioteca. Non che non mi fidi di voi, ma, sapete, il regolamento me lo impone.-
 -Non si preoccupi, signor Gray- assicurò Jude, alzandosi, rassegnata all’idea di trascorrere un paio d’ore a riordinare un mucchio di noiosissimi schedari.
 I due seguirono il preside lungo i corridoi lindi e austeri della scuola. Una volta arrivati in biblioteca, Gray augurò loro buon lavoro, prima di chiudersi la porta alle spalle e di sparire all’angolo in fondo. Alex e Jude si sedettero ad un tavolo che troneggiava nel bel mezzo della stanza, dove erano ammucchiate le varie carte. Il bibliotecario li osservava con sguardo vacuo, mentre sfogliava distrattamente un quotidiano.
 -Alex, io non ho la minima idea di come si riordinino queste scartoffie! Ellie è quella brava in queste cose!- disse Jude a bassa voce, dopo nemmeno cinque minuti.
 -E’ semplice Jude. Basta seguire l’ordine alfabetico- rispose Alex con voce monotona, esaminando i fogli. -Tu…tu sai l’alfabeto, vero?- aggiunse fingendosi dubbioso.
 -Sei o-d-i-o-s-o!- dichiarò Jude, mentre lo colpiva ad ogni sillaba con una pila di fogli arrotolati. -E tanto per la cronaca, sì, lo so l’alfabeto!-
 -Fantastico- fece Alex con fiacco entusiasmo. -Ora puoi metterti a lavorare come noi comuni mortali? Ci aspetta un bel viaggetto tra tutti questi schedari polverosi.-
 Un viaggio. In quel momento Jude avrebbe proprio voluto fare un viaggio. Partire verso mete ignote, lasciandosi alle spalle la monotonia di una grande metropoli. Inoltrarsi in ampie campagne, boschi cupi, colline verdeggianti. Contemplare il proprio riflesso in specchi d’acqua cristallina. Percorrere strade deserte e viottoli battuti, spostandosi di città in città. Però! Sarebbe potuta venir fuori una canzone da tutto quello.
 Subito afferrò dalla pila di scartoffie un foglio giallastro e spiegazzato e cominciò a scribacchiare qualcosa sul retro. Mentre dalla punta della sua matita scaturivano ad una ad una le note della sua nuova canzone, Jude pensò che non sarebbe stato facile farsi perdonare da Alex per aver passato tutta l’ora a scrivere invece di aiutarlo.
 

* * *

 
 La donna seduta in soggiorno osservò l’orologio che portava al polso. Era tardi. Ormai doveva essere arrivato. Ma allora perché non era ancora passato a salutarla? Perché la stava facendo aspettare così tanto? Doveva passare. Dopo tutto quello che si erano scritti nelle loro lettere era quasi come se glielo avesse promesso. Due mesi erano stati lontani. Due mesi che le erano sembrati estenuanti. Voleva vederlo, ne aveva bisogno.
 Che sua moglie lo stesse trattenendo? Forse gliene aveva parlato. Dopotutto non potevano continuare a nascondersi per sempre. Ma, no, forse non lo aveva fatto, non le aveva detto niente e stava aspettando il momento più opportuno per raccontarglielo. Forse aveva solo avuto un imprevisto.
 La donna si alzò dal divano dov’era seduta e si accese una sigaretta. Tirò una profonda boccata di fumo.
 Sarebbe arrivato. Era solo questione di tempo. Sarebbe arrivato, lo sapeva.
 Infatti, proprio in quel momento qualcuno bussò forte alla porta. Lei appoggiò la sigaretta nel posacenere sul tavolino di marmo e corse ad aprire. Appena schiuse la porta le venne un tuffo al cuore. Ma prima che potesse dire o fare qualunque cosa, l’uomo che era sulla soglia si chiuse l’uscio alle spalle e l’abbracciò.
 -Yoko.-
 -John.-
 Si strinsero per qualche minuto, uniti in un’inevitabile simbiosi. I loro respiri lenti e tremuli per l’emozione si confondevano nell’aria. Perfino i loro cuori sembravano battere all’unisono.
 -Gliel’ho detto. Ho raccontato tutto a Cynthia- le sussurrò lui all’orecchio dopo un po’.
 -E come ha reagito?-
 -Ha pianto, e anche tanto. Julian non sa ancora niente.-
 -E’ tuo figlio, John.-
 -Ti giuro che non cambierà niente per lui. Non devi preoccuparti. Tra non molto non saremo più costretti a nasconderci. Non devi preoccuparti- ripeté.
 Le sua parole la rassicurarono. Restò tra le sue braccia, mentre lui le accarezzava i lunghi capelli corvini. Non era mai stata così felice di vederlo come in quel momento.
 
 
 
 
Notes:
 Bene, ecco il secondo capitolo! Devo ammettere che sono stata proprio veloce a scriverlo, di solito sono di una lentezza unica. Comunque ora entra in scena un nuovo personaggio: Alex, il migliore amico di Jude! Per lui mi sono ispirata ad un mio amico patito dei Metallica, che ha degli ottimi gusti musicali (ma quanto stimo quel ragazzo?). Ok, sto divagando. Beh, comunque sono contenta che almeno qualcuno abbia letto il primo capitolo e abbia lasciato una recensione. Che felicitààà! D’accordo, ora la smetto sul serio. Spero che vi piaccia il nuovo capitolo. Ah, una cosa importante che avevo dimenticato di scrivere nel capitolo precedente (sempre la solita svampita!): le critiche costruttive sono ben accette.
 
Little Darling: Grazie, sono contenta che la storia ti piaccia! *si sente utile a qualcosa* Comunque, è proprio vero: Jude ed Ellie sono diversissime. Però sono molto legate e fanno sempre affidamento l’una sull’altra. *si dispera perché non ha anche lei una sorella* Beh la seconda parte ha fatto rattristare anche me mentre la scrivevo. Povera Cyn e Povero Jules. Non meritavano tutto questo.
 
Zazar 90: Grazie, oddio quanti complimenti! *arrossisce* Eh, si la protagonista di è proprio Jude, ma anche Ellie ha un ruolo molto importante nella storia. Il papà sta molto simpatico anche a me! Avrei tanto voluto che mio padre fosse stato così! Ok, basta con il mio patetico sfogo personale. Però mi sa che vi ho fatto deprimere un po’ tutte con l’ultima parte. *chiede umilmente perdono*
 
Julia Molly Lane: Oh no, ho fatto deprimere anche un’altra persona! Comunque grazie mille! Eh dispiace anche a me per Jules e Cynthia, e anche tanto.

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Capitolo 3
*** Galeotto fu quel foglio ***


3. Galeotto fu quel foglio
 

 -Alex! Alex! E rallenta, porca miseria!- esclamò Jude, arrancando dietro di lui.
 Da circa mezz’ora la loro detenzione era terminata e camminavano nelle ampie e gremite vie di Londra, diretti a casa. Giungere alla destinazione tanto agoniata, però, si stava dimostrando più difficile del previsto, dato che, mentre Alex aveva l’aria di non voler indugiare un secondo di più fuori dalle confortevoli mura domestiche, Jude era distratta dalla miriade di fogli spiegazzati che aveva in mano. Camminava più lenta del solito, fermandosi spesso a scorrerli con lo sguardo, benché ormai si poteva benissimo dire che li conoscesse a memoria. Alzava gli occhi giusto il tempo necessario ad imprecare ad alta voce contro Alex o ad evitare lampioni, aiuole e persone sbigottite che le si paravano davanti.
 Finalmente Alex si decise a fermarsi un attimo e si voltò verso la ragazza. Jude, che naturalmente stava rileggendo quelle pagine stropicciate per l’ennesima volta, non si accorse di niente e per poco non gli rovinò addosso.
 -Che... Oh, ancora quella canzone!- sbottò Alex. -Se continui così ci perderai la testa, dannazione!-
 Jude scosse la testa, fissando davanti a sé. Lei era cosciente che nessuno potesse comprendere il legame profondo che allaccia una canzone all’autore. Neanche lei avrebbe saputo descriverlo; era qualcosa di simile ad un vincolo affettivo, lo stesso che avrebbe potuto provare un pittore per i suoi quadri o uno scrittore per i suoi libri. Quella canzone, quelle poche note scaturite dalla sua testa alla sua matita consumata, era parte di lei, come tutte le altre che aveva o avrebbe messo nero su bianco.
 -Quello che non capisco è perché continui a rileggerla se ormai l’hai imparata a memoria?- riprese il ragazzo con tono cantilenante di fronte al suo silenzio ostinato.
 -Quello che non capisci è perché non puoi capirlo- rispose Jude, in un tono che sarebbe sembrato a chiunque piuttosto insolente.
 -Oh oh oh, vacci piano! La storia della piccola artista incompresa con me non funziona- ribatté lui, deciso a tenerle testa.
 Jude si voltò e lo fulminò con acidità, fingendosi offesa.
 -Tsk!-
 -Ehi scherzavo!- si affrettò ad aggiungere Alex notando subito lo sguardo stizzito di Jude. -Non pensi di essere diventata... ehm... un po’ troppo suscettibile?- riprese, una volta che avevano ricominciato a camminare.
 -No!- esclamò subito lei, così forte da far sobbalzare una coppia di anziani che passeggiavano davanti a loro. -Cioè... lo sono?- chiese implorante, voltandosi verso di lui.
 -Beh... sì.-
 I due svoltarono in una strada più piccola e meno affollata, mentre i due vecchietti spaventati da Jude li guardavano in cagnesco, lamentandosi della gioventù degli ultimi anni.
 -Comunque non posso farci niente- concluse lei e si strinse nelle spalle guardando l’asfalto sotto le sue scarpe.
 -Sì, ho notato.-
 -Non è così semplice- replicò ancora lei. -Hai presente la sensazione che provi quando ti riesce bene un assolo alla batteria?- domandò fiduciosa, voltandosi a guardare l’amico.
 -Aha- Alex ricambiò lo sguardo.
 -Ecco. Io avverto la stessa cosa quando suono o canto o quando riesco a buttare giù qualche nota ben assestata. E’ qualcosa di simile alla soddisfazione, ma diversa, migliore. La percepisco ogni volta e sento che mi avvolge, fino a formare un’aura tutta sua- Jude distolse lo sguardo, per poi guardare verso l’alto e socchiudere gli occhi. -Ed poi, così all’improvviso, io non sono più Jude, l’ostinata, l’insignificante Judith Madison. Alex, io entro nella musica. Sento di riversarmici dentro e di essere un tutt’uno con quello che sto suonando.-
 Alex la fissava con gli occhi sbarrati, ammutolito da quella cascata di rivelazioni, mentre sue gambe si muovevano meccanicamente. Le parole gli si erano bloccate in gola, insieme alla spiacevole sensazione di essere diventato incapace di dire qualcosa di sensato.
 -Sì, lo so, è strano- ammise Jude, intercettando la sua espressione. -Ma è quello che provo e, anche se potessi cambiarlo, non lo farei.-
 -E... e secondo te mentre io provo un assolo ho il tempo di fare tutto questo ragionamento contorto?!- esclamò dopo un po’ di tempo Alex. -Senza offesa, Jude, ma suonare una batteria è molto più complicato che pizzicare qualche corda a casaccio e cantare Giro giro tondo.-
 Jude sospirò e si fermò a guardarlo con gli occhi ridotti a due fessure.
 -Alex?- gli disse.
 -Sì?-
 -Sei proprio un cretino!- esclamò, senza riuscire a trattenere le risate. -Giro giro tondo! Ma che cazzo!?-
 -Beh, se preferisci c’è anche Se sei felice tu lo sai batti le mani- sforzandosi di rimanere serio.
 -Ciao, Alex- lo salutò Jude rassegnata, prima di svoltare l’angolo dove si separavano sempre per tornare a casa.
 -A domani!- esclamò lui. -E non dimenticarti di Ma che bel castello, Marco-ndiro-ndirondero!-
 -Sei da ricovero!- gli urlò dietro Jude, mentre si allontanava.
 Però, in effetti, forse Alex aveva ragione; forse lei stava davvero diventando paranoica. Del resto nessuno le assicurava che le sue canzoni sarebbero mai potute piacere ad un discografico. Jude calciò una lattina ammaccata davanti a sé, facendola finire nel ben mezzo della strada, dove venne immediatamente schiacciata dalle ruote di un furgone. Incrociò le braccia e sospirò.
 Possibile che fosse sbagliato impegnarsi con tutta sé stessa per cercare di raggiungere un traguardo, quasi astratto, che restava immerso totalmente nella foschia dell’incertezza?
 Questa la domanda che non riusciva a togliersi dalla mente. Accompagnata dall’idea che si stesse soltanto illudendo.
 Sbuffò spazientita, pensando che solo un attimo prima stava ridendo a crepapelle, mentre ora si sentiva quasi svuotata.
 Il vento le scompigliò i capelli, mentre trascinava con sé alcune pagine di giornale abbandonate sul marciapiedi e un pezzo di carta spiegazzato dall’aria stanamente familiare...
 Jude, in preda ad un dubbio sinistro, ricontrollò le pagine che portava in mano, per poi accorgersi con orrore che ne mancava una. Doveva esserle sicuramente caduta mentre rifletteva.
 -Oh merda!-
 Si voltò di scatto e cominciò a correre più veloce che poteva per riafferrare quel foglio. Questo, però, sembrava non avere nessuna voglia di ritornare tra le grinfie della ragazza: ogni volta che lei riusciva ad avvicinarsi, una folata di vento lo spediva ad un paio di metri di distanza. L’unico lato positivo era, forse, che Jude riuscì ad evitare l’ennesima figuraccia davanti a dei cittadini sgomenti per il suo comportamento strambo, perché in quella strada non c’era nessuno. Nessuno all’infuori di un uomo con una giacca nera, che fumava appoggiato al muro di una palazzina. In effetti Jude si accorse della sua presenza solo quando lui riuscì a fermare il via vai dello spartito, afferrandolo abilmente con la sinistra.
 -Credo che questo sia tuo- le disse l’uomo da lontano, mentre Jude gli si avvicinava ansante.
 -Non so davvero come ringraziarla- disse lentamente lei, mentre cercava di riprendere fiato.
 -Di niente. E non darmi del lei, per piacere. Mi fa sentire vecchio.-
 Jude ebbe l’impressione di aver già sentito la sua voce. Però era impossibile che lo conoscesse, dato che gli unici ragazzi che frequentava erano Alex e la sua band. Che fosse stato un suo parente? Un vicino di casa che non aveva mai visto? Uno degli amici di Ellie? Eppure qualcosa le suggeriva che non era niente di tutto ciò.
 Appena fu abbastanza vicina da poterlo guardare in viso, lui si voltò verso di lei. Jude per poco non spalancò la bocca nello scoprire che era identico ad uno dei suoi idoli.
 -Una canzone, eh? L’hai scritta tu?- le chiese gentilmente.
 -Ehm... sì.-
 -Non è finita- osservò ancora l’uomo.
 -Oh questo è il resto dello spartito- spiegò lei, porgendoglielo.
 Non sapeva nemmeno lei cosa l’avesse spinta a far leggere la sua canzone ad un perfetto sconosciuto; molto probabilmente era merito dell’aspetto dell’uomo, così simile ad un membro di una delle sue band preferite.
 -Sei brava, Jude- commentò quello dopo un po’.
 -Come fa a sapere il mio nome?-
 -Beh, hai firmato la canzone alla fine- le rispose lui con un sorriso. -E, per cortesia, dammi del tu.-
 A quel punto Jude non riuscì proprio a trattenersi.
 -Tu assomigli molto a Paul McCartney.-
 L’uomo si lasciò sfuggire una risata e tentennò la testa.
 -Oh mio Dio!- gridò Jude, sgranando gli occhi e portandosi le mani alla bocca.
 
 
 
 Notes:
 Ritardo imperdonabile, lo so. Chiedo venia a tutte le anime buone che seguono questa mia fic, ammesso che ci siano ancora e che non abbiano deciso di abbandonarmi al mio destino. Me lo meriterei proprio. E no, non siete tenuti a scusarmi (sempre ammesso e non concesso che ci siate ancora), merito tutto il vostro disprezzo. Appena finirò di postare questo capitolo vi prometto che mi punirò come l’elfo domestico Dobby.
 Beh, dopo questo mio inutile intervento passiamo alle recensioni. Ah e, tra parentesi, ringrazio di cuore tutti coloro che si prendono la briga di leggere e commentare i miei capitoli: all’inizio credevo che questa mia storia sarebbe passata completamente inosservata. Grazie a tutti! ^^
 E ora che ho finito di provare il mio discorso per quando riceverò un un Oscar (cioè mai) passiamo veramente alle recensioni. u.u
 
Little Darling: Eh sì, mi sembrava giusto dare a Yoko un lato più sensibile e non dipingerla come ‘la strega cattiva’. xD Anch’io credo che John si sia pentito di aver trascurato Julian, d’altronde gli voleva davvero molto bene. Grazie per i complimenti, spero che anche questo capitolo sia accettabile. (:
 
Zazar90: Ah beh, Alex sì che è un bel tipo e poi lui e Jude sono così legati, proprio come due fratelli. In effetti spesso sono anche compagni di sventure, come questa volta. Yoko e John poi sono davvero tenerissimi, hai ragione! ** Anche se lei non mi sta proprio simpaticissima, sono sicura che si amavano tanto ed erano felici insieme. :D

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Capitolo 4
*** Dubbi e rivelazioni ***


4. Dubbi e rivelazioni
 

 -Tu... tu sei davvero Paul McCartney? Non è uno scherzo?- gli chiese, fissandolo negli occhi per la prima volta.
 Erano verdi. Identici a quelli del Paul McCartney cartaceo del poster dei Beatles che lei aveva appeso in camera sua. Jude non poté fare a meno di spalancare la bocca, senza accorgersene, dando prova di tutto il suo sgomento.
 -A meno che i ragazzi non mi abbiano cacciato dalla band e abbiano ingaggiato un mio sosia in questo preciso istante, sì, sono davvero Paul McCartney- le rispose lui, senza smettere di sorriderle. -E non è uno scherzo.-
 I ragazzi. Era così che aveva chiamato gli altri Beatles. E lo aveva detto con una nonchalance impeccabile.
 Lei non poté far a meno di notare che dallo sguardo sembrava sincero. Non un battito di ciglia, non un’incertezza nella sua voce rassicurante lo avevano tradito. La sua voce.  Così simile a quella che ogni volta si librava leggera dai vinili che Jude custodiva così gelosamente. E più lei esaminava quel misterioso individuo da capo a piedi, più si rendeva conto che molto probabilmente le stava dicendo la verità. Il suo portamento elegante, i capelli così ordinati, il modo di mantenere il mozzicone che stava fumando. Erano tutti tali e quali a quelli delle foto pubblicate sulle riviste, che Jude puntualmente comprava e che, dopo essere state private dei preziosi ritratti, venivano abbandonate penosamente sul pavimento della sua camera.
 Erano dei ragionamenti del tutto privi di senso e fondamento, questo lo riconosceva. Tuttavia decise, per qualche oscuro motivo, di dar loro ascolto, abbandonando ogni scetticismo e accogliendo finalmente l’idea di trovarsi davanti al famoso bassista.
 Alzò lentamente lo sguardo sul suo volto, guardandolo ancora attentamente.
 -Allora, ho superato l’esame?- domandò lui allegramente.
 Jude soffocò uno sbuffo di risa e si preparò a dire qualcosa. Qualunque cosa che rompesse il silenzio e che non la facesse apparire come una ragazzina sprovveduta. Magari un commento brillante e spiritoso che la aiutasse a guadagnarsi la sua stima, o perlomeno che non gli facesse desiderare di andare a finire di fumare da qualche altra parte, dopo averla lasciata sola con un palmo di naso. Ma nella sua mente c’era il buio più assoluto. Forse causato proprio da quella rapida successione di sensazioni sconnesse. Niente che le fosse utile in quella situazione, ad ogni modo.
 -Ehm...- esordì, con un’espressione che lei avrebbe definito ‘piuttosto idiota’. -Cosa... cosa ci fai tu qui?- chiese, buttando furori la prima cosa che le era passata per la mente. -Voglio dire, non si vedono spesso persone ehm... interessanti da queste parti.-
 Appena Jude riuscì a proferire questa grama frase si complimentò con sé stessa per essere finalmente riuscita a spiccicare più di una sillaba. Poi si auto insultò per non aver evitato di chiedere qualcosa di così ovvio e stupido. E dopo si disse anche che era un gran bene che Paul McCartney non le potesse leggere nel pensiero perché avrebbe sicuramente pensato che fosse mentalmente instabile.
 -Questa sì che è una bella domanda!- commentò lui, gettando la cicca di sigaretta per terra. -Beh, ero andato a trovare John, che è tornato oggi dall’Ashram, per vedere come stava...-
 -John? John Lennon?!- non poté fare a meno di interromperlo Jude.
 -Esatto- confermò Paul con estrema noncuranza. -Cynthia però mi ha detto che era uscito e non era più rientrato. Era piuttosto giù, in effetti. Spero che non abbiano litigato di nuovo. Comunque ho deciso di fare un giro e... E la verità è che non ho idea di dove mi trovo e stavo giusto aspettando che passasse di qui qualcuno a cui chiedere informazioni- continuò, sempre con quel sorriso gongolante stampato sulle labbra, tanto che Jude pensò che quella che avesse buttato a terra pochi minuti fa non fosse stata una semplice sigaretta.
 -Oh- disse lei semplicemente, mentre cercava di convincersi che certamente il signor McCartney non era sempre così distratto e che quello doveva essere certamente l’effetto della sua sigaretta.
 In effetti anche se incontrare uno dei suoi miti strafatto non era la di certo sua massima ambizione, senza dubbio non le sarebbe mai più capitato. Forse sarebbe riuscita anche a strappargli un autografo (che naturalmente avrebbe incorniciato e appeso su una parete di camera sua).
 -Ti sembro un idiota, non è vero?- rise lui.
 -Oh... no! Certo che no!- esclamò lei presa alla sprovvista, con talmente tanta enfasi che chiunque si sarebbe accorto che stava mentendo spudoratamente.
 -Non preoccupati, non me la prendo mica- si affrettò a ribattere Paul divertito. -E’ colpa mia: mi dico sempre che non dovrei avventurarmi nei sobborghi di Londra che non conosco. Ma il più delle volte lo faccio per scappare dalle ragazzine urlanti che mi perseguitano ovunque vada- sospirò.
 -Immagino. Non è facile vero? Essere famosi e tutto il resto?-
 -No, non lo è- confermò Paul.
 Jude notò con apprensione che il suo sorriso, che stava cominciando seriamente ad irritarla, era improvvisamente scomparso.
 -Penso che ciò che mi manchi di più sia la libertà di andare dove voglio e di fare qualunque cosa mi salti in mente senza il timore di essere spiato dal mondo intero- continuò Paul. -Non mi piace nascondermi: mi fa sentire terribilmente solo. Ma non voglio nemmeno che mandrie di fans instancabili mi investano in ogni momento. A volte mi piacerebbe soltanto essere libero. Come ai vecchi tempi, quando a nessuno importava cosa facessi il sabato sera o di che colore fosse la mia biancheria.-
 Jude taceva. Era troppo irreale per sembrare vero. Eppure erano lì, uno di fronte all’altra.
 Lui era Paul McCartney, il bassista dei Beatles; lei una ragazza di cui non importava niente a nessuno.
 Lui aveva ancora in mano gli spartiti con quella canzone che lei aveva scritto; lei, invece, li aveva completamente dimenticati ed ora pendeva dalle sue labbra, facendo tesoro di tutte le parole che la sua voce profonda pronunciava.
 Lui era così stanco di tutto quello straordinario successo, che lo aveva e lo avrebbe segnato permanentemente; lei, al contrario, desiderava così intensamente catapultarsi in una vita simile, frenetica e quasi logorante.
 Due persone così diverse, anche se così simili e animate dalle stesse passioni, non avrebbero avuto la benché minima possibilità di trovarsi faccia a faccia, per puro caso. Eppure erano lì, uno di fronte all’altra.
 -Mi... mi dispiace- fece Jude, a voce bassa. -Tu non meriti una vita così stressante. Beh, nessuno la meriterebbe.-
 -Oh non preoccuparti. Tu non hai fatto niente di male, anzi!- le disse Paul, agitando i fogli spiegazzati che aveva in mano. -In realtà a me basta che le mie canzoni arrivino al cuore di chi le ascolta. Detta così sembra una frase fatta, magari copiata da qualche telefilm scadente. Ma ti assicuro che vedere che alla gente piace davvero quello che compongo e che suono... Beh, è ciò che mi spinge ad andare avanti e a non mollare.-
 -Devi sentirti davvero bene. Quando sai che milioni di persone ascoltano la tua voce e imparano ad amarla, intendo.-
 -E’ stata l’unica cosa a restare uguale dopo il successo. La sensazione di essere diverso quando canto e suono. Ma probabilmente è solo una mia impressione- disse, scrollando le spalle.
 -Capita anche a me- Jude si avvicinò al muro e vi si appoggiò con la spalla sinistra.
 Inaspettatamente sorrise. Lei stessa ebbe l’impressione che i muscoli delle sue labbra si fossero mossi, animati da una volontà propria, schiudendosi finalmente.
 -Allora probabilmente siamo entrambi fuori di testa- suggerì Paul. -Tu però hai del talento. Lo sai questo, vero?- aggiunse voltandosi verso la ragazza.
 Quelle le parole che rimbombarono più volte nella sua testa, per poi lasciare spazio ad un vuoto insopportabile. Jude si assicurò di non aver capito male. E modulò con cura la sua voce prima di rispondergli.
 -Non sono l’unica. Tanti altri ragazzi nel mondo hanno talento. E ne hanno anche più di me, sicuramente- disse, staccandosi improvvisamente da quella parete e movendo qualche passo più avanti.
 -Sei anche modesta, vedo.-
 A Jude non piacevano i complimenti espliciti. Preferiva decifrare un apprezzamento nel tono con cui le era stato detto qualcosa, oppure rintracciare la scia di un’opinione positiva negli sguardi che le erano rivolti. Tutti gli elogi che le venivano fatti così, su due piedi, non facevano che renderla ancora più insicura.
 -Beh... e allora?- sospirò, una nota di irrequietezza nella voce.
 Non lo sopportava. Non sopportava che gli altri non capissero. Perché tutte quelle lodi alle sue presunte doti, se poi a nessuno sarebbe importato? Perché fare in modo che si convincesse della sua bravura, quando aveva la netta impressione che tutte le sue preziose composizioni sarebbero restate a marcire in una soffitta polverosa in eterno?
 -E allora- riprese Paul, facendole il verso. -Si da il caso che qui a Londra ci siamo parecchi discografici in cerca di qualcosa. Qualcosa di nuovo, che non è ancora stato scoperto o rivelato. Non hai mai pensato a presentarti ad un’audizione?-
 Jude non rispose subito. La verità era che ci aveva pensato, eccome. Ma il timore di fallire, l’angoscia dell’esporre direttamente sé stessa al giudizio di altri, senza alcuno scudo al di là della sua chitarra e della sua voce, avevano fatto in modo che quelle fantasie astratte si dissolvessero ancora prima di formarsi nella sua mente.
 -Dovresti provarci, sai. Non ti costerebbe niente- le disse ancora McCartney.
 -Ma...-
 -Tieni- le porse un biglietto da visita. -Questo è del signor Bell. E’ un tipo in gamba e sa riconoscere un talento all’opera quando ne vede uno.-
 Jude prese con riluttanza il biglietto dalla mano dell’uomo e lo fissò con sguardo vacuo. Le sembrava impossibile ora come ora concentrarsi su qualcosa di tangibile, figurarsi pensare!
 -Grazie- sussurrò piattamente.
 -Non devi ringraziarmi. Ma se mi indicassi come uscire da questo vicolo sconosciuto ti sarei grato.-
 -Beh, bisogna proseguire sempre dritto e svoltare a destra a quell’incrocio. Lì c’è una fermata dell’autobus che passa anche dal centro- spiegò Jude con lo stesso tono piatto, mentre continuava a fissare con occhi vuoti il biglietto che aveva in mano.
 -Ah è tutto chiaro ora. E’ stato un piacere Jude- sentenziò stringendole la mano.
 -Anche per me- sussurrò la ragazza, alzando gli occhi sul suo volto.
 -Allora arrivederci- la salutò lui, rendendole gli spariti. -Sai, ho come l’impressione che ci rivedremo, chissà...-
 -Arrivederci... Paul- Jude pronunciò per la prima volta il suo nome.
 Che strano. Se pensava che all’inizio aveva creduto che fosse solo uno stupido deciso a mettersi in mostra spacciandosi per il famoso musicista, mentre ora... Ora aveva quasi accettato la realtà delle sue parole come un dogma incontrastabile. Ma il punto più critico della situazione era il fatto che in fondo non le importava più di tanto. Un solo pensiero si faceva strada nella sua mente, una volta affollata, facendosi scudo di flebili aspettative e sogni che lei aveva custodito segretamente, forse da sempre.
 Quasi non vide Paul andare via. I suoi occhi erano tornati a concentrarsi sulle lettere in rilievo su quel biglietto.
 Aaron Bell. Abbey Road Studios, Londra.
 Seguiva poi quello che doveva essere un numero di telefono o qualcosa de genere. Poco importava.
 Era strano, però. Quel cartoncino emanava un buon profumo. Sembrava quasi fosse acqua di colonia. Il profumo di Paul McCartney. Lo stesso di cui si erano impregnati i suoi spartiti.
 Non le avrebbero mai creduto se mai avesse raccontato in giro di averlo incontrato. Anche perché Jude si accorse solo in quel momento di non essere riuscita neanche a fargli autografare un banale pezzo di carta.
 
 
 
 Notes:
 Ebbene sì, sono tornata, più spietata che mai (?!?). Strano che abbia scritto così presto questo capitolo (strano in confronto ai miei standard, s’intende xD).
 Grazie infinitamente ha chi ha letto e/o recensito. :D
 
 Zazar90: Oh grazie, le riflessioni di Jude sono state proprio il punto su cui ho lavorato di più: sai, c’erano così tante cose da dire e così poco spazio. Ma mi fa piacere che si intuisca il suo stato d’animo.  *-* E l’entrata in scena di Paul, beh diciamo che è stata del tutto improvvisata, perché all’inizio avevo pensato ad un primo incontro del tutto diverso da questo. xD Ah, sono contenta di avere una fan dell’amicizia tra Jude e Alex: anch’io li adoro entrambi! (:
 
 Little Darling: Davvero pensi che sia bellissimo? E’ un po’ un’esagerazione! xD Ma sono felice che ti piaccia. Per questa mania di Jude di rileggere qualunque cosa scriva mi sono ispirata un po’ a me: a volte per rivedere i capitoli già scritti o le bozze di una storia, finisce che non riesco a scrivere niente. .-. Forse siamo state colpite tutte e tre dalla stessa malattia! *-* Comunque non sai quanto ti capisco! Ma se ci impegniamo, forse, alla fine riusciremo ad incontralo il nostro Paulie. :D

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