Diary of a Scarlet Queen.

di Evilcassy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1st Chapter: December 1983 - March 1984 ***
Capitolo 2: *** 2nd Chapter: May, June, July 1984 ***
Capitolo 3: *** 3rd Chapter: July 1984 ***
Capitolo 4: *** 4Th Chapter: August 1984 ***
Capitolo 5: *** 5th Chapter: September, October, November 1984 ***
Capitolo 6: *** 6Th Chapter: January - May 1985 ***
Capitolo 7: *** 7th Chapter: May, June, July 1985 ***



Capitolo 1
*** 1st Chapter: December 1983 - March 1984 ***


 

Diary of a Scarlet Queen.

1^ PARTE: IN DUBLIN FAIR CITY:

 

Chapter 1: December 1983 – March 1984

 

25 Dicembre 1983:

 

Regalare un diario a me per Natale significa non conoscermi bene. Avrei preferito un vestito, una collanina, un paio di scarpe. Invece mi è arrivato un diario, da mio padre. Scommetto che l’ha preso all’ultimo minuto, come sempre. Ho abbozzato un sorriso ringraziandolo comunque. E non è neppure un affare piccolo. Potrei trascriverci tutta la bibliografia di Joyce.

Ma guardano il bicchiere mezzo pieno, almeno questa volta almeno ha preso dei regali.

Da mamma invece ho ricevuto  un profumo buonissimo: sapeva che il mio era finito e che ne volevo uno. Da Nina un lucidalabbra di infima qualità. Mia mamma mi ha consigliato di apprezzare il gesto, per lo meno.

Helen, la mia migliore amica, invece mi ha preso un libro famoso, di cui avevo sentito parlare tantissimo. Uno dei pochi libri che mi hanno incuriosita, forse perché mi paragonano spesso alla protagonista: LOLITA. E’ difficile trovarlo nelle librerie della bigotta ad insulsa Irlanda, ma come sempre, i negozietti bui e stipati di roba di Temple’s Bar si sono rivelati più che utili, per trovare qualcosa sfuggito all’insulsa censura cattolica.

Beh, che altro dovrei scrivere ora? Tre righe bastano e avanzano per descrivere la mia giornata? Per quanto riguarda la bigia e tediosa giornata di Natale direi di si. 

 

07 Gennaio 1984.

 

Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.

Così inizia il libro che sto leggendo, Lolita, si legge con la L liquida di Lollipop.

Penso che nessuno riuscirebbe a scrivere nulla di simile sul mio nome. Anna non è un nome languido, la lingua non batte sul palato, non sfiora i denti né le labbra, vibra solamente la consonante e si apre.

L’unica cosa particolare di questo nome è che sia palindromo e significa ‘Piena di Grazia’. E’ banale, scontato, breve, dozzinale e per nulla evocativo. Fosse almeno stato Aine, in gaelico, mi sarebbe stato un pochino più simpatico.

Sento dei passi nel corridoio ed entra Nina in camera. Fissa il libro al mio fianco sul letto e ridacchia. Le domando che diavolo abbia da ridere e lei mi domanda se per caso stia leggendo un libro perché non so che esista anche il film.

Idiota.

Ammetto che non lo sapevo. Ma non me ne frega nulla. Non guarderò il film finché non avrò finito di leggere anche l’ultima parola.

 

30 Marzo 1984

 

Mi lamentavo che il mio nome non fosse abbastanza evocativo?

Beh, colpa della mia lacuna imperdonabile sulla storia della Gran Bretagna. Così ha detto il preside stamattina.

Ci sono finita davanti insieme a Nina. Le sorelle Williams in presidenza per motivi disciplinari. Sono tre giorni che continua a punzecchiarmi per farmi rodere d’invidia: papà la prende su con se per un viaggio di lavoro all’estero. Sa benissimo di toccare un nervo scoperto e fa di tutto per farmi perdere la pazienza. C’è riuscita dopo la terza ora, in bagno. Le ho tirato una gomitata alla bocca dello stomaco e abbiamo iniziato la zuffa.

In un millesimo di secondo siamo state separate da due professori e ci siamo ritrovate in presidenza.

“Ecco di nuovo le sorelle Bolena. Si, siete esattamente come loro. Anna la mora, che fa le bizze e punta a spodestare la sorella bionda Mary dal suo ruolo di favorita del Re.”

Così Nina e Anna Williams sono divenute le sorelle Mary e Anne Bolena, e messe in punizione a svolgere servizi utili alla biblioteca per tutta la prossima settimana.

Nina ha taciuto e se ne compiace, visto che nei prossimi giorni sarà fuori da Dublino. Io mi rodo il fegato, come sempre, per l’ingiustizia subita.

Mentre usciamo dall’ufficio, le ricordo ad alta voce che è stata Anne Bolena a diventare regina, ad entrare nella storia.

“Hai ragione!” concorda mia sorella. “Spero solo che la tua futura celebrità non ti faccia perdere la testa, sorellina!”

Quanto la odio.

 

12 Marzo 1984

 

Lo vedo ogni mattina sull’autobus per andare a scuola. Lo incrocio per i corridoi della St. John School.

Si chiama Keith Hataway ed è veramente da dieci e lode. E’ alto, biondo e con gli occhi verdi. Non fa parte del gruppo dei ragazzi popolari della scuola. Frequenta di più la biblioteca che la palestra, ma nonostante questo ha un bel fisico. Ieri aveva con sé una custodia di chitarra: forse fa parte di una qualche band al di fuori della scuola.

E durante la punizione in biblioteca restavo a guardarlo per ore nascosta dietro ad uno scaffale. Non volevo farmi vedere da nessuno mentre ero imbambolata a fissarlo. Gli sono passata di fianco mentre cercava un libro, avendo la cura di ticchettare bene i tacchi delle scarpe. Non si è accorto di nulla, non si è voltato. Evidentemente non gli interessa il tacchettio  delle scarpe di Anna Williams. Il che lo rende davvero interessante.

Poi però è passato al bancone, dove io ero l’addetta al registro dei libri. Mi ha sorriso quando l’ho compilato.

La ballata della prigione di Reading, di Oscar Wilde. Non è uno dei testi che ci fanno studiare durante le lezioni, neppure nelle classi superiori, deve essere un suo interesse personale.

Per fortuna c’eravamo solo io e lui, e nessuno ha potuto vedere quanto fossi arrossita.

Mi sento cotta.

Ma a lui non sembra interessare granché.

 

13 Marzo 1984

 

Keith ha portato indietro il libro oggi pomeriggio. La bibliotecaria ha espresso la sua sorpresa per una lettura così veloce e lui ha risposto che soffre di insonnia e così passava il tempo. Stavo rimettendo a posto un libro preso in prestito per una pallosa ricerca, quando lo vedo avvicinarsi alla mia scansia. Il momento peggiore per far cadere Austen e Beckett.

Anzi, no. Mentre mi chino imprecando per raccoglierli una mano sbuca dal nulla e mi aiuta a raccoglierne un paio. La mano di Keith.

“Grazie” sussurro.

E’ un attimo. Keith e la custodia della sua chitarra escono dalla porta. E io rimango li come un pesce lesso a vederlo uscire.

Mi tiro un pizzicotto, cerco di riprendermi ma mi sento avvampare. Ma che mi prende?

 

15 Marzo 1984.

 

Ma si, parliamo d’altro. Pensiamo ad altro. Lasciamo che il mondo dei politici corrotti, di quelli che fanno sciopero della fame sperando di essere ascoltati dagli inglesi, degli attentatori e degli attentati, degli oppressori cattolici, rimanga fuori di qui.

Il mondo esterno è uno schifo. Almeno che quello nella mia testa sia meglio.

Pensiamo alle cose che dovrebbe pensare un’adolescente, senza una fottuta morale a cercare di incutere timore e paure.

Alle canzoni che passa la radio, o che si trovano nei negozi di dischi. Chi se ne fotte se sono inglesi, americane o irlandesi. Ci fanno cantare, ci fanno ballare e ci staccano il cervello da tutto il grigio che ci circonda.

Oggi, mentre io, Helen e Willow eravamo nel retro della palestra, impegnate a bigiare l’ora di preghiera, sono passati Doug e dei suoi amici. Mi ha offerto un giro di canna che non ho rifiutato. Mi sentivo leggera e più sciolta, l’umore tetro con cui mi sono presentata a scuola stamattina se ne stava scivolando via, e lui ne ha approfittato per ficcarmi la lingua in bocca e palparmi le chiappe.

Gli ho rifilato uno schiaffo che gli brucerà per un bel po’ e io e le mie amiche abbiamo girato i tacchi, sdegnate e un po’ ridacchianti e siamo uscite dal cortile.

 

 

30 Marzo 1984.

 

Lolita non è come mi aspettavo. Non che sia noioso, anzi! Ho sempre pensato ad una Lolita come ad una ragazza disinibita e provocante, che gioca con uomini più grandi e li conquista, facendoli fare quello che vuole. Questa è solo parte della realtà del libro, perché Dolores Haze, (Ovvero Lolita) in realtà è una ragazzina che, giocando con il fuoco, ne rimane scottata. E’ in balia degli eventi, una banderuola al vento.

Ed ora inizio a sentirmi così pure io.

Si tratta di un collaboratore di mio padre, P.B. Da quando mi sono spuntate le tette non fa altro che riempirmi di complimenti e apprezzamenti. Un giorno l’ho visto nel riflesso del vetro che si accarezzava il mento fissando il mio sedere.

E’ una cosa sbagliata, presumo, ma mi ha fatto piacere. Mi piace vedere che a 17anni riesco a fare un effetto simile sugli uomini più grandi. Penso che potrebbe essermi utile nella vita, no? Così cerco di giocare bene le mie carte. Un po’ di malizia e un po’ di finta innocenza. La gonna a pieghe della mia divisa è più corta di cinque centimetri di quanto dovrebbe, e la so far muovere bene. Nei corridoio non c’è ragazzo che non si volti al suono dei tacchi di Anna Williams.

A parte Keith Hataway, dannazione!

Ripensandoci bene, questo diario è davvero utile.

Non tanto per scrivere cosa faccio durante le mie giornate (che me ne frega di ricordarmi della professoressa di matematica che puzza come una scimmia o di quante volte litigano i miei genitori?), ma per riflettere sui miei pensieri, quelli che non dico a nessuno.

Tutti sanno che ho baciato Dan Irvine durante la gita a Londonderry, quando avevo 12anni. Abbiamo pomiciato sul treno per tutto il viaggio di andata e quello di ritorno. Nessuno sa che quella era il mio primo bacio.

Tutti sanno che ho perso la verginità a 14anni con il mio compagno di classe Douglas O’Neill, campione di Rugby della scuola. Nessuno sa che mi ha fatto un male cane e che l’ho fatto più per battere Nina, che frequentava un metallaro ripetente, e non tanto perché quel beota mi piacesse. Tantomeno, nessuno sa che mi sono trovata a casa di Doug perché è vicina alla palestra di aikido in un pomeriggio in cui, dopo allenamento, papà si era scordato di venirmi a riprendere.

E se fosse per questi motivi che Keith non mi fila neppure per sbaglio? Ad un ragazzo serio, intelligente e responsabile come potrebbe interessare la ragazza frivola e sciocca che passa da un ragazzo popolare all’altro? E’ anche vero che non gli ho mai rivolto la parola.

Di solito mi è così semplice… Potrei avvicinarmi mentre cerca qualche libro in biblioteca e dirgli che mi piacerebbe imparare a suonare la chitarra.

Oppure salutarlo sull’autobus e intavolare una conversazione sul meteo, cosa disgustosamente inglese.

Ma tutte queste idee mi vengono quando l’occasione è già persa.

 

Questa storia mi è venuta in mente qualche mese fa, ma ho preferito prima visitare l’Irlanda, studiarne la storia, prendere appunti, vedere le cose sul campo, prima di mettermi a scrivere questa FF.

Ci sono stata ad Agosto, solo per una settimana, purtroppo, ma sono bastati 7giorni per farmi innamorare di questa splendida Isola.

Anna, come saprete ormai, è uno dei miei personaggi preferiti. Un personaggio che io giudico molto più complesso dalle apparenze.

Cerco di immaginare la sua adolescenza, i suoi inizi come lottatrici di Aikido, l’esplosione della rivalità con Nina e la scelta di farsi ibernare con lei.

Ci tengo tantissimo alla riuscita di questa Ff, e vi chiedo per favore di aiutarmi a farla crescere. Con i vostri commenti, con le vostre idee. Il primo capitolo è palloso, è vero, ma conto di cambiare presto l’andazzo della situazione. In fondo qui Anna è una sedicenne disinibita, ma anche molto frustrata.

Ho scelto di iniziare con l’anno 1984 seguendo la cronostoria di Tekken e non quella di Death by Degrees:

Il sito tekken.wikia.com rivela la data di nascita di Nina come 28 Dicembre 1964 e per Anna 15 Agosto 1967. Ho deciso di mantenerle, benché in altre FF abbia suggerito il mese di Luglio (d’accordo con la pagina di Nina su Wikipedia Italia) con la modifica dell’anno della maggiore delle Williams, che altrimenti mi sballerebbe la cronologia. (1965)

Con queste date si segue perfettamente la cronologia ufficiale di Tekken, (utilizzando come data limite il 2009, anno di Tekken 6) e la storia può tranquillamente iniziare  nel 1984 anno di Ghostbusters, del primo Mac, delle Olimpiadi di Los Angeles, di Like a Virgin di Madonna, del primo, omonimo album dei Bon Jovi e di Purple Rain di Prince)

Non so voi, ma la sottoscritta nel 1984 non era neppure in fase di progettazione. Perciò attingo dalla rete le informazioni utili per rendere il più possibile reale e tangibile la storia ambientata in quell’anno.

Precisiiiina, eh!

Alla prossima, signoore.

EC

 

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Capitolo 2
*** 2nd Chapter: May, June, July 1984 ***


Diary of a Scarlet Queen.

1^ PARTE: IN DUBLIN FAIR CITY:

Chapter 2: May, June, July 1984

07 Maggio 1984

 

h.10.00 Vedo Keith dalla finestra dell’aula. Sta parlando nel cortile della scuola con il professore di fisica. Non sembra che lo stia redarguendo, sembra una discussione totalmente amichevole, tranquilla. Ora Keith ride ad una battuta del prof.

Si sono diradate anche le nuvole: se sorridesse più spesso, avremmo il sole tutti i giorni a Dublino. Vorrei solo essere io il motivo del suo sorriso.

Com’è strano. Pensare a lui mi fa bene, mi sento meglio. Al mattino mi alzo più contenta, perché ho la possibilità di vederlo, e magari ho qualche chance che lui si accorga di me. Quando sono giù di morale, quando mi sento sola, o incapace, o frustrata, inizio a pensare a lui, a fantasticare di come potremmo conoscerci, di quali film andare a vedere, della sua chitarra che suona e tante altre cose.

Fondamentalmente, tutte stronzate che l’Anna Williams di qualche mese fa non prenderebbe neppure in considerazione, concreta, dritta al sodo e venale come sempre. Ma l’essere venale e concreta non mi ha portato tanto giovamento. E’ un palliativo temporaneo, dura qualche minuto. Quando rientro tra le mura della mia camera, tutto ciò che mostro al mondo esterno mi scivola via dalle spalle.

Non ho nulla. Non ho l’amicizia e l’appoggio di mia sorella, non ho la stima di mio padre, ed in fin dei conti neppure quella di mia madre.

Non sono riuscita a passare le selezioni nazionali di Aikido, la scorsa settimana, per partecipare agli Europei di Londra, nonostante mi fossi allenata duramente e nonostante avessi mia madre, pluricampionessa europea considerata la migliore maestra in Irlanda.

La sua faccia è stata eloquente, il suo silenzio la peggior ramanzina che potesse farmi. Ma la cosa che mi ha fatto più male, è stato il sopracciglio alzato di mio padre, quando ne è stato informato, e la sua espressione da ‘Come volevasi dimostrare’. Nina è rimasta inespressiva come al solito, come se tutto le fosse alieno e distante, algida ed intoccabile come sempre.

Ho fallito anche questa volta e mi sento davvero a terra. C’è solo il pensiero di Keith, così diverso da me e dalle persone che mi circondano, così normale e allo stesso tempo straordinario, che mi consola.

 

H.20 Genitori in cucina che urlano e si lanciano strali e maledizioni. Nina sul letto con il walkman nelle orecchie e i Ramones a palla. Io alla scrivania, costretta a sentire tutta la penosa discussione dei miei.

Ho il walkman rotto, fanculo. Quasi quasi mi vesto ed esco. Magari citofono a Willow, che abita qui vicino e ci facciamo un giro in centro, magari riusciamo a fingerci maggiorenni e ad entrare in un pub. Oppure faccio qualche passo in più e vado da Helen, che ha la madre estetista e mi offre sempre qualche cremina gratis.

Quando io e Nina eravamo piccole era diverso. Se i miei genitori litigavano noi ci infilavamo nello stesso letto e cantavamo finché loro smettevano o noi ci addormentavamo. Oppure ci raccontavamo storie del terrore, e i brividi e i sussulti che avevamo erano dettati più dalle grida nella stanza a fianco che dal fantasma entrato in scena.

Ma poi siamo cresciute, papà si è messo ad allenare mia sorella e io sono rimasta in disparte. E abbiamo iniziato a litigare tre di noi.

Nina si è tolta le cuffie all’improvviso e ha abbandonato il walkman tra i cuscini. Borbotta che non si riesce neppure a sentire un po’ di cazzo di musica in pace.

Propongo di fare qualcosa. Lei alza un sopracciglio. Ottenere una reazione da lei è già un fatto più unico che raro, ed estremamente positivo, significa che ne è esasperata quanto me.

Le propongo un gelato. Dopo un attimo di riflessione incredibilmente accetta. Ci vestiamo ed usciamo.

 

15 Maggio 1984

 

Non so neppure da dove iniziare, tanto sono su di giri.

E’ successo tutto all’uscita da scuola. Volevo fare un giro per negozi a trovare un regalo per mia madre, visto che la settimana prossima è il suo compleanno, così mi sono infilata in una cabina telefonica e ho chiamato a casa per avvisarla che non tornavo subito. Mentre parlavo mi sono voltata e… c’era Keith che aspettava. Ho troncato la conversazione con mia madre con la scusa della fila fuori dalla cabina.

Sono uscita dalla porta guardandolo e sorridendo come un’ebete, sicura che mi stesse aspettando.

Invece doveva usare anche lui la cabina.

Avrei voluto leggermente sprofondare nel terreno e scivolo un po’ troppo velocemente verso la fermata del bus, da dove lo vedo avvicinarsi dopo cinque minuti. Cerco in tutti i modi di evitare di guardarlo, fissando un punto non bene precisato dell’orizzonte. Ci metto così tanto impegno che per poco non mi accorgo dell’arrivo dell’autobus e lo perdo.

Salendo, l’unico posto libero disponibile è quello vicino a Keith, ma c’è il suo zaino appoggiato. Vedendomi in piedi lo sposta sorridendo timidamente, quasi a chiedermi scusa. Lo ringrazio, mentre occupo il posto. Passo dieci buoni minuti in silenzio, cercando disperatamente di trovare un argomento assolutamente non banale o stupido con cui intavolare una conversazione.

“Quindi suoni la chitarra?” Domando voltandomi di scatto come un’idiota. Ammetto di non essere una cima a trovare argomenti brillanti e originali.

Keith si sta giusto alzando per scendere. Mi fissa incuriosito e annuisce, aggiungendo che suona in un gruppo.

“Davvero?”non riesco a trattenere una mezza risatina nervosa.

“Si, i Greengrocers.”

Greengrocers? Non li ho mai sentiti…

“Beh, ci siamo formati da poco, ci chiamiamo così perché facciamo le prove nel retrobottega del padre del batterista, che è fruttivendolo.”

Rido e lui fa quasi lo stesso. Poi annuncia che quella è la sua fermata e scende.

Mi ha parlato. E mi sembra giù tanto, vista la domanda scema con cui ho esordito. Il pomeriggio ha preso una piega molto diversa, tanto che camminavo per Grafton Street quasi saltellando.

Keith mi ha parlato: Un punto a favore di Anna Williams. Forse…

 

16 Maggio:

 

Keith mi ha salutato durante la ricreazione, l’ho ricambiato cercando di non impallidire, o arrossire, o svenire o balbettare, o fare una di quelle cose da ragazzine sceme.

Willow ed Helen mi hanno guardato con tanto d’occhi. Willow non l’aveva mai notato (come fa? È cieca forse?) ed Helen si è stupita nel vedermi interessata ad un ragazzo non di certo ricercato. “Ti stai rammollendo, ragazza mia!” ha concluso ridendo. Le ho risposto con un sorriso beffardo e le ho chiesto per chi mi avesse preso. La cosa mi ha comunque infastidito: Le mie amiche preferiscono vedermi a far l’occhiolino ai ragazzi popolari, invece che a salutare uno qualunque (ma unico!) come Keith.

 

21 Maggio:

 

Ho trovato un adesivo, attaccato alla pensilina dell’autobus, dei Greengrocers. Lucky Irish, ho avuto un pretesto per parlare con Keith sull’autobus del ritorno.

Mi ha sorriso. Un raggio di sole, davvero. E mi ha invitato a vederli suonare, al Mallory’s Pub. E’ un po’ lontano da casa mia, ma farò di tutto per andarci.

 

25 Maggio:

 

Ieri sera sono stata al concerto di Keith. Sono fuggita di casa da sola e l’ho raggiunto a piedi, sfidando i vicoli bui di Dublino.

Il batterista era fuori tempo e il cantante era stonato come una campana, ma lui, per me, ha suonato divinamente.

Sono stata in disparte in un angolo del pub semivuoto a vederlo, e dopo il concerto è venuto a ringraziarmi per aver partecipato e mi ha offerto una coca-cola.

Abbiamo chiacchierato del più e del meno, mi ha fatto ridere. Spero di avergli fatto sparire i pregiudizi che sicuramente mi accompagnavano.

Non vedo l’ora di rivederlo lunedì a scuola.

 

 

06 Giugno.

 

Sono stata impegnata molto negli ultimi giorni.

Nella fattispecie, con KEITH. Ci stiamo frequentando, e quasi non ci posso credere! Mi ha portato alle loro prove (atroci) nel retrobottega del fruttivendolo. Sono stata ad un altro suo concerto. Sull’autobus si siede vicino a me e sembra davvero piacergli la mia compagnia.

E io mi sento al SETTIMO CIELO.

Mi sto un po’ allontanando da Willow ed Helen. Dicono che ultimamente sono molto strana e si stanno preoccupando perché alle allusioni di Doug riguardo ad un certo nostro trascorso ho fatto spallucce e me ne sono andata senza degnarlo di nota.

Ho altro a cui pensare. Come leggere Wilde, per esempio, lo scrittore preferito di Keith. Odio fare pessima figura quando espone un suo aforisma…

 

07 Giugno.

 

Credo che Nina stia puntando qualcuno. Ultimamente si trucca con più cura e non manca mai di sfoggiare la sua chioma dorata slegata dalla solita coda di cavallo.

Uhn… qui gatta ci cova.

Vuoi vedere che le sorelle Williams passeranno un’estate molto calda? Intanto domani è l’ultimo giorno di scuola, ma sono sicura che riuscirò a vedere Keith tutti i giorni.

Stasera, per esempio, sarò ad un altro suo concerto al desolato Mallory’s Pub.

 

12 Giugno.

 

Nessuno mi ha mai baciata come mi bacia Keith. Ci pensavo proprio oggi, mentre eravamo da soli a St. Stephen’s Green, dopo un gelato al limone e fragola per me e uno al pistacchio per lui.

Ho baciato Keith e sapeva di pistacchio, come il suo gelato. E nonostante questo aveva le labbra tiepide e morbide, e le sue mani erano appoggiate sui miei fianchi. Non sul sedere, non sulle tette, ma sui fianchi. Mi sembra di non aver mai baciato in vita mia. Mi gira la testa e non vedo l’ora di sentire il sapore di pistacchio sulla lingua.

Ci siamo dati appuntamento a domani. Chissà se adesso mi starà pensando, chissà se sono diventata la sua dolce ossessione tanto quanto lui è diventato la mia. Non vedo l’ora di baciarlo di nuovo.

Non vedo l’ora di fare l’amore con lui. Già pregusto il momento. Sarà bellissimo e sarà la cosa migliore che mi sarà mai capitata. Mi sentirò viva, perfetta, invincibile, tra le sue braccia.

Attenzione, pare che Anna Williams si sia innamorata. E soprattutto, pare sicura di essere ricambiata.

D’ora in poi sarà tutto perfetto.

 

01 Luglio

 

Sono caduta dal Paradiso e mi sono schiantata tra i rovi dell’Inferno. Keith mi ha lasciata. Da qualche giorno era strano, sfuggente. Quasi non mi baciava più ed aveva sempre una scusa per non uscire.

Ma io ero accecata, totalmente abbagliata dalla sua luce e non vedevo.

Mi ha lasciata perché è innamorato di un’altra. Ha detto che gli sono molto cara, ma non vuole mentirmi e farmi soffrire. Ma mi ha già mentito, e cosa peggiore di tutte, io sto già soffrendo.

Ho pianto tutto il giorno, mi manca l’aria, è come se ci fosse un buco nero nel mio petto che risucchia tutto il mio respiro. Keith mi ha lasciato per un’altra.

Un’altra che, sicuramente, non è considerata la troia della scuola, che prende dei bei voti, che non è conosciuta per la minigonna corta e la camicetta più attillata.

Ho provato a sfogare la mia rabbia negli allenamenti, ma senza tanti risultati.

Mamma mi ha capita, ha provato a consolarmi, ma al momento è tutto inutile. La rabbia è troppo grande e la delusione è troppo cocente.

Se solo sapessi il nome di quella ragazza… se solo l’avessi tra le mani… sarei capace di ammazzarla, io lo so.

Una cosa è certa: nessun ragazzo può osare prendere in giro Anna Williams. D’ora in poi, per me i ragazzi saranno solo un oggetto con cui sfogarmi. Niente di più. Non ne vale la pena.

 

 

03 Luglio

 

Quella ragazza.

Quella puttana che mi ha strappato il ragazzo.

…è MIA SORELLA.

Mi sono messa a pedinare Keith, ieri sera, per capire chi fosse la ragazza che me l’ha portato via.

Si sono incontrati a Temple’s Bar, quando li ho visti insieme mi sono sentita morire. Nina scuoteva i capelli, fiera, bastarda cagna ladra. Sono entrati al Temple’s Bar Pub e sono rimasti ad ascoltare un gruppo rock folk che si esibiva dal vivo, Keith che teneva il tempo con la testa, Nina che sorrideva beffarda e compiaciuta.

Non so come ho fatto a saltarle addosso per scuoiarla viva. Sapevo che mi odiava, che si credeva superiore a me, che la disgustavo. Ma non avrei mai pensato potesse arrivare a tanto.

Ma gliela farò pagare carissima a quella schifosa.

Non può averla sempre vinta SU TUTTO.

Devo vendicarmi, devo vendicarmi. Avrei tanto voglia di cavarle gli occhi.

Quando è tornata a casa era notte fonda. E’ entrata nella camera in punta di piedi, scivolando nel letto. Non riuscendo ad addormentarmi, avevo almeno ripreso un po’ di self control. La vendetta è un piatto da servire freddo, farmi trovare in piedi ed infuriata da mia sorella non mi avrebbe portato a nulla, se non a farla ridere di più di me.

“Dove sei stata?” domando, cercando di mantenere un tono il più possibile neutro.

“Uh? Sei ancora sveglia? Sono stata in centro.”

“Con chi?”

“Con un ragazzo.” Risponde. Mi sembra di aver sentito soffocare una risatina. Ma Nina è una brava dissimulatrice. “Keith Hataway, lo conosci?”

Devo deglutire, prima di parlare. “Di vista.”

“Carino, no?”

Ma si diverte così tanto a torturarmi?  “Si, non male.” Mi giro dall’altra parte, affondando i denti nel cuscino. Non deve sentirmi piangere, non deve sentirmi rodere, non deve pensare di avermi ferito così tanto. Pregusto la mia vendetta, anche se non sono ancora così lucida da architettarla bene.

 

 

 

Eccomi di ritorno, gentili donzelle!

Mi rendo conto che in questo capitolo più che Anna sembra di sentir scrivere una bimbominkia alfabetizzata ma…

Oh, insomma, la ragazza avrà pur imparato da qualche parte ad essere stronza con gli uomini, no? ;) E poi arriveremo ben presto al clou (?) della storia, gli eventi precipiteranno e la vita delle Williams assomiglierà di più a quella del videogioco che tutte noi amiamo.

Altre NOTE dai miei appunti di viaggio:

TEMPLE’S BAR. Oggigiorno è il centro della vita nottura/turistica di Dublino. Un posto meraviglioso, con l’Hard Rock Cafè e tanti pub, ritrovo di artisti di strada e di sedi culturali/artistiche. All’inizio degli anni 80 era appena iniziato il tentativo di recupero di questa zona, un tempo sede di magazzini abbandonati e quindi diventata abbastanza malfamata, e di Pub aperti c’era solo il Temple’s Bar Pub, che è quello con la vetrina rossa molto famoso. E’ bellissimo. Consiglio Guinness con le ostriche…

(Attente però: Ai Dublinesi piace molto molto bere. E di ubriaconi che non si reggono manco in piedi ce ne è PIENO anche adesso, nonostante la GARDA sia abbastanza allerta e celere a far rispettare l’ordine. Camminare in giro per il centro di Dublino da sole… ve lo sconsiglio. Io l’ho fatto, ma ho solo avuto un cuuuulo incredibile.)

RINGRAZIAMENTI SENTITISSIMI!:

a Nefari, a cui sapevo che la storia sarebbe piaciuta (o, almeno, l’idea della storia)

Ad Alister 09, che mi ha fatto spalancare la bocca meravigliata con la sua incredibile recensione e analisi. WOW. (PS: grazie soprattutto per quella di Lay All your Love on Me. Mi hai quasi commosso.)

A Miss Trent, la mia sista, la prima persona che ha sentito parlare di questa storia e che mi ha spronato a pubblicarla.

Grazie comunque a tutti coloro che l’hanno letta, o solo che ci hanno cliccato su.

Alla Prossima,

EC

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Capitolo 3
*** 3rd Chapter: July 1984 ***


Diary of a Scarlet Queen.

2^ PARTE: SUMMER IN COUNTY CLARE.

Chapter 3: July 1984.

 

05 Luglio 1984

Scrivo dal pullman CityLink su cui sono stata coattamente scaraventata, direzione Galway. Precisamente, direzione Williams’s Cottage, Kinvara, 30 miglia da Galway. Desolante, deprimente, così pieno di croci da mettere i brividi.

Il tutto è nato dalla mia vendetta su Nina. Nulla in confronto a quello che lei a fatto a me.

Le ho rifilato del sonnifero nel suo tè pomeridiano –Così la smette con questa abitudine stupidamente inglese- per poi tosarle i capelli come la pecora che è.

Ho fatto un lavoro fine e preciso: Che spettacolo che era la sua testa in versione palla da biliardo!

Ho scattato anche un paio di foto con la Polaroid, e me le sono nascoste qui nel diario: sono un considerevole antidepressivo.

Quando si è risvegliata ho rischiato la vita. Beh, a rimetterci le penne è stato lo specchio di camera nostra, e mentre la invitavo ad uscire ora con il suo splendido  fidanzato per fargli vedere il suo nuovo look ho visto che caricava il fucile di papà e per poco non mi toccava scappare dalla finestra.

E’ stata mamma a fermarla, provvidenzialmente entrata in casa, mentre stava prendendo di mira presumibilmente la mia testa ancora capelluta. Il suo intervento è servito solamente in parte, visto che Nina stava andando di matto e, divincolatasi dalla presa della mamma stava rovistando tra la roba di papà alla ricerca di una qualche arma.

Ho avuto il tempo per battere in ritirata e rifugiarmi a casa di Helen. Le ho raccontato quasi tutto (non di certo il livello della cotta che ho preso per Keith) e abbiamo riso per due ore buone davanti alle foto di Nina pelata.

Mamma è venuta a ritirarmi qualche ora dopo, la promessa che Nina si era calmata e una lavata di capo assurda su come avessi esagerato. Mio padre, a casa, è stato di poche e concise parole, come al solito: “Ora hai ancora bisogno di una spiegazione sul fatto che sia Nina a seguire il mio lavoro e non te?” mi ha domandato, facendomi venire i brividi. “Boh, per la sua forma del cranio?” ho sibilato di rimando.

Mio padre sembrava sull’orlo di perdere il suo proverbiale autocontrollo. “Fila in camera tua. Domani parti per Kinvara e ci rimani per il resto dell’estate. Io e tua madre abbiamo cose più importanti da seguire che i colpi di testa di una quindicenne esagitata.”

Sedicenne, papà. Quasi Diciassettenne.” L’ho corretto, voltandogli le spalle. Ero così furente da non riuscire neppure a guardarlo, e allo stesso tempo così piena di un senso di ingiustizia e impotenza da avere il voltastomaco di tutta quella situazione. La prospettiva di andare a casa di nonna, poi, mi sembrava la stregua di una tortura medioevale.

Ma a Nina, la fautrice di tutto quel disastro, nemmeno una parola di rimprovero. Anzi, non era neppure a casa. E non c’era neanche questa mattina, mentre mamma mi preparava la valigia, senza smettere di rimuginare ad alta voce su ‘quanto l’avessi combinata grossa’ e su come avessi mandato a monte tutta quella sottospecie di tregua famigliare che aveva costruito negli ultimi mesi con tanta fatica.

Per tentare di smuovere qualche vago senso di colpa ha provato a farmi bere che aveva intenzione di portarmi comunque a Londra per i campionati europei di Aikido, a farle compagnia mentre lei disputava le gare, ma che aveva cambiato idea.

Come se ci credessi davvero.

Beh, ad ogni modo, ora sono su un Citylink, direzione Galway. Precisamente, direzione William’s Cottage, Kinvarra.

Potevano rinchiudermi nella galera di Kilmainham, già che c’erano.

 

Ho fatto una pausa dallo scrivere per sfogarmi e per riprendere la sensibilità nel polso, e ho fatto più che bene. Da tanto che ero arrabbiata non mi ero accorta di un ragazzo davvero carino che mi guarda dal fondo del pullman. Deve avere più o meno la mia età. Occhi chiari, capelli castani tendenti al ramato.

Non ho nulla di meglio da fare, ho un cuore da rammendare e uno stronzo da scordare.

E un’estate intera da passare, in un modo o nell’altro, per sfuggire alla religiosa noia di mia nonna.

Gli sorrido di rimando.

 

Josh. Si chiama Josh ed è di Ballyvaughn. E’ stato tre giorni a Dublino a trovare un suo amico che si è trasferito da poco. E’ simpatico e ha detto che conosce bene la zona.  “Dai, non fare quel broncio. Ti passo a prendere in moto, d’accordo? Tra poco a Galway c’è l’Arts Festival, e poi la Racing ad Agosto… Potremmo anche andare a fare un giro alle Scogliere, che te ne pare?”

Buona idea, non vado alle Cliff of Moher da quando ero piccina. Sono sicura che nonna mi terrà sotto stretta sorveglianza … ma non ho dubbi di riuscire a fregarla alla stragrande.

 

06 Luglio

Come prevedevo, Nonna Mary mi ha segregato in camera, dopo una ramanzina infinita in cui ha elencato tutti i possibili gironi infernali a cui sarò destinata.

Mi è venuta a ‘ritirare’ alla stazione dei Bus facendosi accompagnare da un vicino, sul suo furgone con tanto di pecore sul retro. Che vergogna, davanti a Josh! Almeno qui non possono vedermi Helen e Willow… preferirei morire piuttosto che farmi vedere sul camion di un pecoraro!

Nella camera, oltre a me, una brandina scricchiolante e un comodino sghembo, c’è una bibbia e un rosario a farmi compagnia. Kilmainham Gaol è meno tetra e più consolante.

Eppure questa casa era diversa quando c’era nonno Jim. Quando eravamo piccole, venire a Kinvarra era il motivo per cui attendevamo con trepidazione l’estate. Nonno passava ore a battere il ritmo con le bones (*), ad improvvisare motivetti e canzoni, mentre io e Nina ballavamo sino quasi allo sfinimento.

Per Nonno ero io la più brava. Ero quella che ballava meglio, che teneva sempre il ritmo e che sapeva cantare tutte le canzoni. Lo adoravo e gli dicevo sempre che con lui sarei andata in capo al mondo.

Ci portava alle Cliff ogni anno e noi passavamo il tempo stese sulla terrazza a strapiombo sul mare, gli occhi sulle rocce battute dall’acqua laggiù, a più di duecento metri. Nonno rideva sino alle lacrime quando vedeva Nina che iniziava a strisciare come un verme per raggiungere il bordo mentre io camminavo dritta e spedita sino quasi al limite, sprezzante del pericolo e della vertigine. “Ecco, la mia campionessa!” gridava, battendo una mano sul ginocchio.

Nonna invece era sempre nel cottage, perché una brava moglie deve dividersi tra casa e chiesa, e disapprovava che noi piccole andassimo così tanto in giro, sostenendo che avremmo disimparato le buone maniere e che a stare fuori casa non saremmo mai diventate delle ragazze ‘perbene’.

Il nonno se l’è portato via un infarto in una serata di fine gennaio. E’ stato seppellito con le sue bones e non mi è rimasto neppure questo come suo ricordo, neppure una sua foto.

Di James Michael Williams mi è rimasto da contemplare la lapide al cimitero di Corcomroe Abbey qui vicino.

 

07 Luglio

Sono qui da neppure ventiquattro ore e già mi sono subita una messa e una confessione forzata da un prete che, quando sono uscita dopo un ‘Ego te absolvo molto tirato, sembrava aver perso dieci anni di vita.

Probabilmente quello che ho confessato io – ammetto di aver calcato un po’ la mano ed ingigantito qualche particolare – non l’aveva sentito da parecchio tempo. E da una ragazzina, poi, credo mai.

Nonna  mi ha sequestrato i miei shorts, giudicandoli ‘il vestiario suggerito da Satana’. ‘Fanculo, meno male che ho nascosto il vestito corto, in previsione di un incontro con Josh.

 

09 Luglio

Josh si è fatto attendere, ma almeno è venuto, ieri sera. Verso le dieci ho sentito picchiettare alla finestra della mia camera, giusto mentre stavo aprendo il diario per riempirlo di insulti rivolti a qualsiasi essere vivente presente nella contea di Clare, pecore e galline a cui devo dare da mangiare incluse.

Quindi, dopo essermi cambiata velocemente (solo un quarto d’ora, è record!!) siamo usciti a fare un giro. E’ stato come in un film! Scivolata fuori dalla finestra, percorso il vialetto sino alla strada principale in punta di piedi, raggiunta la sua sconquassata moto dietro al bivio e volati verso Ballyvaughn.

C’erano alcuni suoi amici in un vecchio cottage abbandonato e fuori dal villaggio. Abbiamo ascoltato un po’ di musica sullo stereo portatile di uno di loro e un paio di giri di whiskey casereccio. A dire il vero non ricordo più tanto altro. Forse uno dei suoi amici si chiama Connor O’Connor e la sua fidanzata Jessie Finley, ma forse mi sbaglio e ho invertito nomi e cognomi, chissà. Un altro mi pare si chiami Ronan, che Josh prendeva in giro perché non si interessava alle ragazze. Comunque mi sono divertita.

Stessa scena da film di spionaggio al ritorno, con la variante che Josh mi ha chiesto un bacio di commiato.

Ho trattenuto a stento le risate alla parola ‘commiato’ e gli ho chiuso la finestra in faccia. Un’altra volta, forse. Intanto che roda un po’.

Almeno sino a domenica sera. Mi ha invitata a vedere Poltergeist a Galway.

 

12 Luglio

Poltergeist è una cagata di dimensioni pazzesche. Però Josh bacia bene. E sa dove mettere le mani.

Più che altro le sa allungare, poi è tutto un palpa-palpa cerca-cerca. Non so neppure se lasciarlo fare o meno, se andare avanti o meno, e soprattutto se è quello che voglio o no. In fondo, tra un mese o poco più dovrei tornare nella civile Dublino, e non dovrei più rivederlo, perciò non sarebbe una storia lunga. E poi qui non c’è nulla da fare, e le evasioni da William’s Cottage sono fin troppo facili, dato che Nonna ha il sonno pesantissimo e va a letto presto (ma si sveglia all’alba e mi butta giù dal letto, dannazione!).

Ad ogni modo,sono tre giorni che penso di meno a Keith. Non riesco a dimenticarlo completamente, però. Tanto meno riesco a mettere una pietra sopra a ciò che ha fatto Nina.

Ma alla fine, Keith è solo un ragazzo come tanti, come Josh e Doug, con la coda davanti e il cervello in cancrena. E’ inutile darsi pena per loro, è assurdo perdere tempo e sprecare energie e lacrime per degli esseri inferiori ed è tanto più stupido sognare qualcuno che ti cambi la vita.

Se la mia vita cambierà, sarà solo grazie a me stessa.

Oggi pomeriggio sono riuscita a chiamare mia madre dal telefono pubblico di Kinvara. (Non esiste il telefono a Williams Cottage). E’ molto soddisfatta di come stia andando la squadra a Londra, anche lei ormai è ad una buona posizione in classifica, come la maggior parte delle altre sue allieve.

Tutto ciò ha aumentato la mia malinconia, in questo giorno nuvoloso.

Ho preso un ghiacciolo al bar e sono andata a sedermi tutta sola su un muretto, mangiandolo mentre fissavo il mare in preda ai pensieri più tetri.

Il rumore di un campanello di bicicletta mi ha fatto voltare e mi sono ritrovata davanti Ronan, l’amico di Josh. Ha un casco di capelli rossi invidiabile e una faccia magra e lentigginosa, su cui spuntano due occhi molto chiari. Si è fermato a salutarmi e a chiedermi se c’era qualcosa che non andasse.

Inizialmente ho fatto spallucce ma…

Dev’essere stata la telefonata con mia madre.

O le ormai due settimane in questo posto.

O le nuvole grigie.

Fatto sta che Ronan me i suoi occhioni chiarissimi mi hanno fatto effetto e ho sentito improvvisamente il bisogno di raccontargli tutto quanto, a discapito del fatto che potessi risultare patetica.

Lui non ha detto nulla, ne fatto altro che appoggiare la bici ed ascoltarmi con aria interessata.

Solo quando le mie parole e il mio ghiacciolo erano finiti ha aperto bocca. “Capisco” ha detto solamente. “E mi dispiace davvero per te. Pensavo fossi qui solo per vacanza – e per tua volontà, ovviamente.”

Tsk! Volontariamente confinata in questo posto? In mezzo al nulla? Ho l,’aria di una con manie da eremita?”

“Il nulla? Qui nel Clare? Ma sei cieca? Innanzitutto sei davanti ad uno dei golfi più suggestivi della contea, e hai davanti una rocca come Dunguaire Castle, quasi unica nel suo genere. L’hai mai visitata dall’interno?”

Ammetto di no.

“Bene. E questa è una cosa che potresti fare. E poi… Beh, quasi tutti a Kinvara hanno una barca, mai pensato di chiedere a qualcuno di farci un giro?”

Sono costretta ad ammettere che non mi era venuta neppure questa, di idea.

“E siamo a due. E poi… domani inizia l’Arts Festival a Galway, e Josh scommetto che ti vorrà portare alle scogliere di Moher.”

“Questo come fai a saperlo? Ci porta tutte quante?”

Ronan inforca la bicicletta, un sorrisetto sornione. “L’hai detto tu, non io” ghigna, salutandomi con un cenno di mano mentre si allontana.

“Prevedibile.” Gli urlo di rimando. Non so neppure se credergli o meno. In ogni caso, quel ragazzo è strano, diverso. E non in senso negativo.

 

 

17 Luglio

Sono stata con Josh alle Scogliere, oggi. Due ore di viaggio tutt’altro che comode sulla sua moto sconquassata, ma ne è valsa la pena.

Con la giornata bigia non c’erano neppure troppo turisti, e ci siamo potuti tranquillamente avvicinare alla terrazza a picco.

Josh si è steso vicino al bordo.

Io, come quando ero piccola, il bordo l’ho raggiunto a piedi. Sino a che le mie punte erano proprio al limite. Lui mi guardava con tanto d’occhi.

E poi il mio sguardo è scivolato verso il basso.

Duecento e più metri in basso. Il mare era mosso, e si infrangeva sulle rocce scure rombando. Era bellissimo, ipnotizzante. E ad un tratto mi sono ritrovata ad essere attratta da quel vuoto. La vertigine era piacevole, tranquillizzante. Il rombo del mare mi sembrava quasi un invito, il canto di una sirena.

Con una leggera spinta del mio baricentro in avanti sarei potuta cadere. Fare un volo di duecento metri, avere quasi l’illusione di volare, prima di finire contro le pietre nere e terminare tutto quanto in un istante.

Tutto quanto.

La malinconia, l’inadeguatezza, i miei pensieri contorti e le mie visioni distorte. I litigi con i miei e mia sorella. Quest’estate noiosa e il rientro peggiore.

E’ incredibile con quale facilità si poteva far finire il tutto.

Hey, Anna, non potresti fare un passo indietro?” mi ha domandato Josh, la voce un po’ tremante. L’ho guardato, come emergendo da un sogno. Nonostante l’aria fresca che proveniva dal mare pareva sudato. “Mi fai un po’ effetto in piedi sul bordo.”

“Rilassati, ho un grandissimo senso dell’equilibrio” spiego sforzandomi di sorridere leggermente. “E poi, se scivolassi non cercheresti di salvarmi?”

Josh deglutisce. Guarda ancora al di là del bordo di pietra e poi me. “C’è da domandarsi se io sia abbastanza veloce per farlo.”

Non ha detto di si. L’avrei voluto. Avrei desiderato un SI, secco, deciso, senza tentennamenti. Ma non importa. Mi allontano, ormai la magia della vertigine è finita, e ci dirigiamo verso Kinvara.

Ci siamo fermati sulla strada, nel cottage abbandonato dove sono uscita la prima volta con lui, mentre fuori stava iniziando a piovere. Mi sono appoggiata ad un tavolo, l’unico mobilio di quella catapecchia e l’ho invitato a venire verso di me.  

Ho fatto sesso con Josh per dimenticare la vertigine. E per mettere una pietra sopra al nome Keith.

Da qualche parte dovevo pur ricominciare, no?

 

 

20 Luglio

Siamo stati a Galway e mia nonna ci ha scoperti. Ramanzina incredibile, scene isteriche, chiamate nel cuore della notte ai miei genitori e minacce di convento.

Non ho fatto una piega. Io sono intoccabile.

Come Nina, nulla mi scalfisce. Mi sto corazzando. Verso tutto e tutti. Quando tornerò a Dublino, voglio essere una persona diversa.

Una stronza senza rivali e senza punti deboli.

Se è questo che è richiesto da me, lo si avrà. E si pentiranno di avermi voluta così.

 

30 Luglio      

Ho un ritardo di 3 giorni e vorrei sbattere la testa contro il muro. O uscire in barca con Josh e affogarlo.

E adesso cosa faccio? La fine di Ann Lovett(*)? Non oso pensare neppure alla reazioni dei miei. Complimenti Anna, ecco che ne hai combinata una grossa, finalmente. Se lo scopo del tuo gioco era rovinarti la vita, congratulazioni, hai vinto.

 

31 Luglio        

Tutto è bene quel che finisce bene. Non sono incinta! Tutto questo però mi deve insegnare a star più attenta a quello che può succedermi. O forse è un segnale (divino?) che dai ragazzi devo starci lontana.

Stavo già meditando di lanciarmi da qualche scogliera qui vicino dopo aver staccato la testa dal corpo di Josh, seduta sul solito muretto che da sul mare, quando ho rivisto Ronan. Abbiamo parlato un po’, anche se lui cercava di punzecchiarmi per farmi confessare cosa non andasse, data la mia faccia. “So che tua nonna ha dato di matto quando ha scoperto che siamo andati a Galway. E’ per questo?”

Ronan è troppo carino ed interessato per essere un maschio. “E se ti dicessi di no?”

“Lo sapevo. Non sei il tipo di persona che si offende per un rimprovero. Non sei come le ragazze di queste parti, tutte casa, chiesa e timori.”

“E’ un complimento?”

“Oh si. Sei tosta.”

“Grazie.” Sospiro, guardandolo. Non è proprio carino, magro e allampanato sotto quella chioma ribelle. Però almeno è simpatico. “Tu che dici, devo starci lontana da Josh?”

“Oh, beh. Se pensi che lui ti voglia sposare allora si. Ma se vuoi soltanto passarci l’estate, allora fai pure. Josh… beh, è attratto dalle turiste spigliate.”

Poi mi fa una domanda strana. “Come si vive a Dublino?”

Non afferro bene il senso, ma gli spiego grosso modo che il quartiere dove abito non è dei più sicuri, ma non è nemmeno malissimo, ci sono zone belle e zone meno belle. Ma in generale, non è male, ecco.

“Intendo dire. Ci si sente più liberi?”

Penso ai doposcuola passati con le mie amiche a bigellonare in centro o a casa dell’una o dell’altra, e annuisco. “Diciamo che, essendo una città abbastanza grossa, non ti devi preoccupare molto della gente che mormora e di avere sempre comportamenti… come dire, corretti?”

“Il contrario che a Kinvara.” Sospira lui. “Si trova lavoro facilmente?”

“Che? Non vorrai mica trasferirti, vero? MA come, lasceresti questa splendida Baia… questa maestosa rocca… il mare e i pescatori, le scogliere e le pecorelle?”

Lui alza le spalle. Ha lo sguardo tormentato, non so bene che cosa nasconda, ma è velato di malinconia, tristezza. “La vita qui è abbastanza difficile se aspiri a qualcosa di diverso che portare avanti la pescheria dei tuoi genitori e sentire il sermone domenicale.”

Capisco. “Non so bene come sia il fattore ‘lavoro’ a Dublino. Non potresti chiederlo a quell’amico di Josh che si è trasferito e che lui è andato a trovare all’inizio del mese?”

Ronan sorride ancora. Un po’ tristemente. Mi da dell’ingenua e un po’ me ne risento. “Te l’ho già detto, Josh è attratto dalle turiste. Soprattutto da quelle di Dublino.”

Capito, lo stronzo?

Beh, ora che ho scoperto di non essere stata fregata da lui, è ora di controbattere e dargli il ben servito.

 

Buonaseeeeeeeeeeerah.

In questa parte ci sono un sacco di riferimenti alla Contea di Clare, di cui ne ho vista solamente una piccola parte.

Per non perdermi in spiegazioni lunghe e tediose, vi rimando a qualche link:

Kinvara (sito di un bed and breakfast): http://www.delamainlodge.org/ e http://en.wikipedia.org/wiki/Kinvara

Corcomroe Abbey: http://www.burrenpage.com/Corcomroe.html

Cliff of Moher (awwww): precisazione: sino al 2005 la terrazza a picco sul baratro era visitabile. E’ stata chiusa e giudicata pericolosa data l’erosione delle rocce. Ciò toglie un po’ la spettacolarità della vista. Ma comunque vi assicuro che è mozzafiato…! http://www.thisfabtrek.com/journey/europe/ireland/dublin/cliffs-moher-4.jpg

Galway: http://it.wikipedia.org/wiki/Galway_%28citt%C3%A0%29

 

(*)Ann Lovett  http://en.wikipedia.org/wiki/Anne_Lovett

 

Vi ringrazio sentitamente, voi che continuate a leggere/commentare le mie divagazioni… so che per ora è una storia abbastanza noiosa e assolutamente fuori dal contesto di Tekken… e’ che ci devo arrivare gradatamente…. Spero vogliate scusare il tedio.

Buona domenica!

EC

 

 

 

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Capitolo 4
*** 4Th Chapter: August 1984 ***


Diary of a Scarlet Queen.

Chapter 4 : August 1984

 

10 Agosto 1984

Bene, direi che ho chiuso il capitolo Josh. E’ da un po’ che cercavo di evitarlo, preferendo la compagnia di Jessie Finley, trasformando i suoi capelli crespi da pastorella in una fiammante chioma lucente e selvaggia. Al suo fidanzato Connor è piaciuta molto. Un po’ meno ai suoi genitori, che l’hanno chiusa in casa urlandole che una ragazza per bene non va in giro con i boccoli e la faccia dipinta e che la compagnia della ‘nipote dublinese di Mary Williams’ la porterà solamente sulla cattiva strada della perdizione.

Così sono diventata un’abile scassatrice di porte e finestre, e riesco a far evadere Jessie molto facilmente.

Mi piace l’adulazione che Jessie ha nei miei confronti. Mi piace essere guardata dai suoi occhioni castani  con curiosità ed ammirazione, mentre le racconto le mie ‘avventure’ cittadine.

Oltre a Jessie frequento molto Ronan. Continuo a non capire veramente dove vada a parare. E’ molto chiuso e spesso criptico, non parla molto di sé. Fa tante domande su Dublino lasciando come spiegazione qualche frase in sospeso.

Due sere fa Josh ha cercato di attacar discorso con me chiedendomi come mai preferissi la compagnia di quella ‘mezzachecca’ di Ronan alla sua. “Si può sapere che ti è preso?”

“Diciamo che tu sei noioso” gli ho risposto sbadigliando, continuando a camminare. “Non dicevi così quel pomeriggio…

“Preferivi sbadigliassi?”

Le sopracciglia di Josh si increspano in un’espressione di assoluto disappunto. Io sogghigno, senza fermare il passo. Colpito nel segno e affondato: è così facile con gli uomini!

“Non scherzare con il fuoco, carina.” Sibila, prima di andarsene dalla direzione opposta.

 

15 Agosto 1984

E oggi sono 17anni che sono su questo pianeta. Ho ricevuto gli auguri da mamma e la promessa che la settimana prossima posso tornare a casa.

Da nonna un grugnito di simil buon compleanno.

Da Jessie un abbraccio fortissimo e la confidenza di aver perso la verginità con Connor. (E le mie congratulazioni a riguardo). Da Willow una lettera scritta a quattro mani con Helen piena di cuoricini, ‘ci manchi tanto, torna presto!’ e ‘Quanti sei riuscita a fartene?’

Il regalo più carino me l’ha fatto Ronan. Mi ha fatto andare a casa sua dove, sorpresa, sua madre aveva preparato una torta per me. E’ un donnone gigantesco, con i capelli biondo cenere e un sorriso che fa da orecchio ad orecchio dietro una nuvola di lentiggini. Mi ha quasi stritolato in un abbraccio, facendomi i complimenti su quanto fossi carina e facendomi arrossire violentemente. Si è addirittura scusata per le ridotti dimensioni della torta, che era squisita, e continuava a dire che Ronan parlava spesso di me a casa. Non riuscivo a smettere di sorriderle e di ringraziarla. Giuro di essermi quasi commossa: a casa nostra non si festeggiano volentieri i compleanni, a malapena facciamo i Natali, e questa merenda improvvisata, con Ronan, sua madre e le sue due sorelline gemelle che rientravano dal cortile dove giocavano sporche di terra è stata la festa di compleanno più bella che abbia mai ricevuto.

Di contro, quando sono uscita, mi sono ritrovata affiancata a Josh, che mi ha dato appuntamento per stasera.

Qualcosa a cui non posso mancare, ha detto, aggiungendo che non accetterà un no.

Dovrei mandarlo a quel paese e lasciar perdere, ma stasera mi sento troppo forte per dire di no: potrebbe essere la volta buona che lo sistemo a dovere.

 

 

 

 

16 Agosto 1984

Ieri sera poteva davvero finire male. Lo penso a malapena ora, a mente fredda.

Josh mi è passato a prendere non in moto, ma con la sconquassata auto di suo padre, e mi ha portato, senza dir nulla, a Corcomroe Abbey.

Gli ho chiesto perché mi avesse portato in quel posto e lui ha risposto che di solito le ragazze lo trovano molto affascinante con la luna piena. Ho asserito, cercando con lo sguardo la tomba di mio nonno, lambita dalla luce della luna che trafiggeva le nuvole.

Dopodiché Josh mi ha palpato. L’ho scostato, dicendogli che non avevo proprio voglia, e lui è montato su tutte le furie. Ha cercato di assalirmi e io gli ho rifilato uno schiaffo, per poi uscire di corsa dall’auto.

La mia corsa è durata poco, perché qualcosa mi ha colpito la testa , facendomi cadere a terra, frastornata. Un sasso del vialetto lanciato da Josh. E li ho capito che mi ero ficcata davvero in una pessima situazione.

Ho cercato di riprendere a correre, ma lui mi aveva già bloccata da dietro, spintonandomi contro una tomba, cercando di tenermi ferma a terra con un ginocchio sulla schiena. Ho alzato gli occhi un istante e mi è venuto un tuffo al cuore nel vedere il nome che vi era inciso: James Michael Williams.

Mi sono divincolata come una disperata, ho provato a morderlo, senza riuscirci. Nel compenso il morso me l’ha rifilato lui, nel collo, strappandomi la maglietta e un urlo di sdegno e rabbia.

Solo quando ha dovuto togliermi una mano di dosso per slacciarsi i pantaloni sono riuscita a divincolarmi da lui. Gli ho assestato un calcio al petto che l’ha fatto barcollare. Poi però ha estratto un coltello, sferrando un fendente al mio ventre.

Ma ormai avevo già riacquistato un po’ di lucidità ed istintivamente l’ho schivato. Poi ho preso il polso e, con un movimento fluido, l’ho piegato dalla parte opposta. Una mossa semplice, ma dannosa, se fatta correttamente, come mia madre mi ha insegnato in quasi 10anni di allenamenti di Aikido.

Il crack che ne è conseguito è stato più forte dell’urlo di Josh. Il coltello è caduto a terra e lui in ginocchio.

Ed improvvisamente ho sentito qualcosa di molto simile alla vertigine sulle scogliere.

In quel momento ho capito cosa provasse mio padre, Nina, e anche mia madre davanti ad un avversario battuto.

E’ stata una sensazione meravigliosa, meglio di un orgasmo o di una canna. E’ stata una sensazione di potere assoluto, intensissima. Un brivido che partiva dalla mano con cui avevo piegato il polso di quel bastardo e finiva dritto fino al cervello. Una scarica di adrenalina devastante, esplosiva.

Sono scoppiata a ridere sentendo i suoi lamenti. Non sapevo neppure io perché ridevo, ma non riuscivo a smettere. Era una risata folle, liberatoria, sguaiata.

Il mio piede si è posato, quasi senza che io me ne accorgessi, sul suo petto ansante, e ho avuto cura di calcare bene il tallone sul suo sterno. “La tua faccia stravolta dal dolore mi da i brividi” Gli ho quasi sussurrato.

Ed in quella frase c’era tutto il mio odio, tutta la mia rabbia, tutta la mia frustrazione. Un lago nero che aveva rotto gli argini ed era uscito fuori con una furia imprevista, travolgendo e distruggendo tutto ciò che si trovava davanti.

“Hai fatto male i tuoi conti, ragazzino.” Ho aggiunto, togliendogli il piede dallo sterno, solo per potergli rifilare un calcio nel fianco.

Josh si era piegato su sé stesso, dopo un altro urlo di dolore, ed in quel momento ho seriamente creduto che potevo ucciderlo, che potevo eliminarlo dalla faccia del pianeta.

Ho preso in mano il suo coltello e gli ho puntato la lama alla gola. Se ne fosse uscito del sangue, giuro, avrei potuto abbeverarmene avidamente.

“Chiedimi scusa”

Lui ha singhiozzato qualcosa.

“Non ti ho sentito bene”

Dalle labbra gli sfuggì un gemito.

“Come dici?” incalzai, premendo la lama sulla sua pelle.

Josh deglutì. “Scusa. Scusa Anna non volevo. Io… io non volevo farti del male, lo giuro…. Volevo solo spaventarti… ecco… farti uno scherzo…!”

“E per farmi uno scherzo per poco non mi mandi all’altro mondo con un sasso in testa e cerchi di stuprarmi sopra la tomba di mio nonno?” Ho allentato la pressione sul suo collo. “Mi fai schifo.” Ho sibilato alzandomi. Josh ne ha approfittato per balzare in piedi e scappare a gambe levate, tenendosi il polso stretto. L’auto ha grattato quando ha messo la retromarcia ed i fanali si sono allontanati dal vialetto d’entrata del cimitero di Corcomroe Abbey, per poi immettersi nella strada ed allontanarsi velocemente.

Ho appoggiato il coltello sulla lapide della tomba di mio nonno e sono scivolata a terra, davanti al suo epitaffio. Il cuore ha iniziato a battere più lentamente. Mi sono sfiorata la testa, nel punto dove la pietra mi aveva colpito, ma non sentivo traccia di sangue. Probabilmente c’era solo un ematoma. Mi avrebbe fatto male per un po’, ma ne era valsa la pena.

Ho percorso con la punta delle dita le lettere che componevano il nome di James Williams. L’adrenalina stava scemando, mi stava tornando la lucidità ed improvvisamente mi sentivo spossata, senza energie. Ma non smettevo di sentirmi forte ed invincibile. “Nonno, sono ancora la tua campionessa?” ho domandato, stendendomi sulla pietra fredda e scivolando nel sonno.

E’ stato Ronan a svegliarmi, scuotendomi. “Anna, cielo, Anna sei ferita?” continuava a domandarmi, la voce incrinata dal panico.

“Va tutto bene, Josh. Ho solo un livido dietro alla testa ma niente di che.”

“Diavolo, Anna, mi è preso un colpo quando ti ho vista sulla tomba. Josh è rientrato al pub con un polso gonfio come un cocomero e si è messo a blaterare con dei suoi cugini –tipi poco raccomandabili. Sembrava totalmente impazzito. Che cazzo è successo?”

Mi è scappato un mezzo risolino, mentre Ronan mi appoggiava sulle spalle la sua giacca, aiutandomi ad alzarmi. Gli ho raccontato tutto, per filo e per segno, orgogliosa di me stessa. Dell’aggressione e di come mi sono difesa.

Diavolo… ti sei messa proprio nella merda, ragazza mia… Josh non è il tipo che accetta le umiliazioni tanto facilmente. E’ meglio se ce ne andiamo di qui al più presto. Non vorrei che tornasse con i rinforzi.

Siamo saliti sul suo furgone e per tornare a Kinvara abbiamo percorso la strada più lunga, evitando quelle principali su cui poteva vederci Josh.

Ronan ha preferito portarmi a casa sua. Siamo entrati di nascosto e mi ha portato nel sottotetto. “Non è il posto migliore per nascondere una ragazza ma… meglio che nulla, no?”

“E’ il posto migliore in cui tu potessi nascondermi, Ronan. Ti ringrazio.” Siamo rimasti in silenzio per qualche minuto. E’ stato lui a parlare per primo. “Sai, oggi mi è successa una cosa strana, quando sei andata via. Io e mia madre stavamo pulendo dei pesci appena pescati, e ho trovato questo” Si frugo in una tasca e ne estrasse un ciondolo d’oro, infilato in una catenella. “Credo sia autentico. Mia madre mi ha fatto cenno di nasconderlo senza farlo vedere a papà. C’è un orafo a Galway che valuta bene l’oro. Con il ricavato posso permettermi il viaggio per Dublino.”

“E verresti in città con me?”

“Mia madre ha contattato una sua lontana cugina che abita in città, suo marito lavora al porto. Dice che da lui qualcuno cercano. E per un po’ potrò vivere a casa sua… il tempo di mettermi da parte qualche soldino in più e trovarmi un alloggio mio.”

Era fantastico. Non stavo più nella pelle. “Andiamoci domani mattina. Poi prendiamo i biglietti e partiamo subito! Dimmi che si può fare, ti prego!”

Nel buio, Ronan ha sorriso. Il suo sorriso mezzo triste e mezzo speranzoso. E ha annuito. L’ho abbracciato di slancio e lui ha fatto lo stesso con me.

Pensavo fosse il momento di un bacio, ma così non è stato. Ho pensato allora ai commenti di Josh su come Ronan schivasse le ragazze. “mezza checca” l’ha apostrofato una volta.

Ronan. Devo sapere una cosa. Ti giuro che non lo dirò a nessuno.”  Ho preso un bel sospiro. “… a te… piacciono i ragazzi?”

Lui si ritrae, improvvisamente agitato, quasi offeso. “Che diavolo dici!”

“La mia era solo una domanda. Io… non sono una persona che giudica. Non per queste cose, almeno. Ma… credo sia una cosa che tu mi debba dire.”

Ronan era improvvisamente nervoso. Tamburellava un piede per terra, abbracciato le ginocchia e strette al petto. “Non può essere che non abbia semplicemente trovato la ragazza giusta?” ha domandato, con una risatina nervosa.

“Certo, Certo. Deve essere così.” Ho annuito. Ho appoggiato la testa alla sua spalla e siamo rimasti così sino all’alba.

 

Questa mattina sono tornata a casa dalla nonna e ho fatto le valigie, con il sottofondo delle sue recriminazioni e minacce per l’intera nottata trascorsa fuori. Ronan e sua madre (con il solito sorriso da orecchio a orecchio) mi attendevano fuori, sul furgone, e siamo filati a Galway.

Mi ha fatto tenerezza la madre del mio amico, quando lo ha abbracciato e gli ha augurato buona fortuna, stampandogli uno schioccante bacio sulla guancia e facendo poi lo stesso con me.

Siamo saliti sul Bus euforici e le porte si sono chiuse in faccia a Josh e a due ragazzotti tarchiati che lo accompagnavano.

Mentre mostravo il mio dito medio elegantemente alzato, l’autista ha fatto partire il Citylink.

Direzione Dublino, Civiltà.

 

Chiedo perdono per il ritardo…per impegni di lavoro sono stata un po’ via e ho avuto poco tempo!!! Cercherò di recuperare…

Intanto, sperando di aver scritto qualcosa di vostro gradimento, mi gongolo con i vostri complimenti e vi ringrazio tantissimo!

Un fantastilione di grazie.

EC

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Capitolo 5
*** 5th Chapter: September, October, November 1984 ***


Diary of a Scarlet Queen.

 

 

3^ PARTE: BACK TO DUBLIN

 

Chapter 5: September, October, November 1984

 

1 Settembre 1984

 

A Dublino l’autunno inizia presto, arriva all’improvviso in una mattina che sei a far compere con le tue amiche. Esci dal St. Stephen Mall e vedi che nel giardino le foglie sono tutte colorate. Il vento ti pizzica le gambe e il cielo è più bigio del solito.

Non ci sono più ragazzi che bighellonano in giro e la pioggia è più insistente.

Ma Dublino è bella, bellissima anche in questa stagione, anche se devi iniziare la scuola e proprio non ne hai voglia di passare il tuo tempo in mezzo a preti ed insegnanti bigotti che cercano di moralizzarti.

Anche se tua sorella ti sibila che te la farà pagare per averla rapata a zero e non vedi più tanto il tuo migliore amico che fa due lavori.

Dublino è splendida, Dublino è incantevole, Dublino è magica e piena di canzoni. C’è malinconia, speranza, voglia di rivalsa. C’è di tutto a Dublino e io la amo per questo.

Ma chissà perché allora, se la amo così tanto, non posso fare a meno di immaginarmi su un aereo a girare il mondo.

Perché non riesco a sognare di vivere a Londra o a New York, o viaggiare per l’Europa e il Sudamerica, nomade e libera in compagnia di Ronan.

Le mie contraddizioni non le capirò mai io stessa, figurarsi gli altri.

Comunque, a scanso di equivoci, posso confermare che a Ronan non piacciono proprio le ragazze. Ma non dice altro. E, con i tempi che corrono in questa nazione bigotta ed arretrata, non posso far altro che capirlo.

Ma un giorno correremo all’aeroporto ridendo, trascinandoci i nostri bagagli, e prenderemo un aereo al volo, come abbiamo fatto quando siamo tornati da Galway.

Chissà a chi faremo il medio.

Forse a Nina. Forse a mio padre. Forse al datore di lavoro di Ronan, schiavista ed alcolizzato.

 

 

10 Settembre 1984

E oggi è ricominciata la scuola.

Quest’anno la novità più esaltante è che non avrò Nina tra i piedi, dato che ha finito l’anno scorso. Oooh.. che dire, avrò il mio momento di relax quotidiano e sarò la reginetta indiscussa della scuola…

Altra nota positiva, anche Keith ha terminato la scuola, perciò non mi ritroverò quella sua faccia da stronzo davanti tutti i giorni. Chissà se lui e Nina si vedono ancora. Sinceramente, non ci tengo a scoprirlo.

Stamattina prima di uscire ho origliato una conversazione tra Nina e papà. Pare che anche Nina sia entrata nel Sindacato, e da come ho capito, ha passato l’estate a ricevere le ultime, utili lezioni da papà, proprio sul campo. Da come Papà ne parlava, era davvero molto orgoglioso di Nina. Se mi avesse accoltellato mi avrebbe fatto meno male. Ormai è chiaro che non potrò più conquistarlo, che per lui non potrò più essere qualcosa di più che l’altra figlia, quella che bighellona in casa facendo rumore con dei fastidiosissimi tacchi. Ma io che ho fatto di male? Perché mi ha tagliata fuori senza darmi alcuna possibilità di farmi valere? Mi ha sempre escluso da tutto a priori, senza sapere se fossi portata o meno per questa attività. Ma prima o poi Anna avrà la sua rivincita. Non so ancora come, ma presto o tardi sarà Nina quella a cui papà volterà le spalle.

 

 

18 Ottobre 1984

Stiamo cercando il nostro vestito di Halloween! Il ragazzo di Helen darà una festa a casa sua, e ci ha invitato tutti! Per l’occasione –incredibile a dirsi- verrà pure Ronan!

Non vedo l’ora, ho sempre adorato questa festa – nonostante gli inviti e i proclami delle nostre amatissime autorità scolastiche a non partecipare a questa’ barbara festa pagana’- ed è un’altra occasione in più per far baldoria!

Sabato mattina andremo in giro per mercatini a cercare qualcosa. Sono indecisa se travestirmi da strega o da vampira…

 

31 Ottobre 1984

Il costume da strega è sul letto: si tratta di un vestitino nero di pizzo, preso al mercatino e pagato una sciocchezza, a cui ho tagliuzzato un po’ la gonna. Il cappello a punta l’ho ornato con una striscia rossa alla base del cono, ed infine, tocco di classe: collant strappati in più punti e stivaletti neri con il tacco alto.

Ora baderò alla manicure, con un bello smalto viola scuro che farà pan-dan con il rossetto dello stesso colore.

Voglio essere perfetta stasera, ci sono un paio di ragazzi carini da conquistare…

 

01 Novembre 1984

E sono ancora qui, incredula davanti a delle pagine bianche che sento il bisogno di riempire di inchiostro, anche se non so da dove iniziare, né quali energie usare, dato che le mie mi sono scivolate via nell’arco di queste ultime ventiquattro ore.

Credo che dovrò iniziare dal principio.

Da quando, due ore dopo che ho scritto il mio ultimo aggiornamento su questo diario, mi sono preparata e truccata con cura. Mi sembrava davvero tutto perfetto: come avevo steso bene l’ombretto sugli occhi, il rossetto e lo smalto… Mi sono scattata anche un paio di foto con la polaroid, prima di infilarla nella borsetta per portarla con me alla festa. Erano le sei e mezza, e fuori faceva già buio.

Mia madre scende le scale con me, la sua borsetta chiara a tracolla: deve fare un po’ di spesa per domani, dato che i negozi sono chiusi per la festività dei morti. Commenta il mio trucco con un lieve sorriso: è evidente che si sforza di farmi piacere ad interessarsi a cose che per lei sono delle sciocchezze inutili.

Davanti al portone di casa ci salutiamo. “Stai attenta, torna presto”. Annuisco con noncuranza, sono le ultime parole che mi ha detto, ma io non lo so ancora.

E poi mi volto dall’altra parte. Pregusto di accendermi una sigaretta appena girato l’angolo. Un ragazzo che passa mi fa un complimento a cui rispondo con un sorriso. Di fianco a me passa un autobus, il 46 A, ma non sapevo ancora che fosse quello il numero.

Ed improvvisamente, sento alle mie spalle il rumore di una brusca frenata ed un rumore sordo. Mi volto, pensando di vedere uno dei tanti tamponamenti, ed invece per terra c’è una borsetta chiara, e l’autobus fermo, con il conducente che scende precipitosamente e si mette le mani nei capelli. La gente accorre, qualcuno urla di chiamare un’ambulanza. Io ci metto un po’ a realizzare che quello che ho davanti ai miei occhi è tutto vero. E mi metto a correre verso l’incidente. Inciampo nei tacchi, mi rialzo, vedo una vicina che era uscita dal portone venirmi incontro, dice qualche frase sconnessa e cerca di abbracciarmi, di fermarmi. La spingo via e porseguo. Questa volta non corro più. Non c’è più bisogno di correre.

Mia madre è riversa a terra, tra il marciapiede e la ruota dell’autobus.  Ha la faccia sul cemento, ed è coperta del sangue che esce copioso dalla sua testa e che inonda il marciapiede, la strada, scendendo con un rivolo macabro verso il tombino più vicino. La vicina è ancora alle mie spalle, mi abbraccia, mi tira via, io urlo, la spingo di nuovo lontano da me, faccio per lanciarmi su mia madre. La chiamo, la chiamo disperatamente mentre dell’altra gente mi ferma e le sirene dell’ambulanza si avvicinano.

La vicina mi ha riportato dentro dal portone. Suo marito sta prendendo la macchina e mi accompagneranno in ospedale, dicono. Io scivolo a terra, ho il fiato mozzo e non riesco a smettere di piangere.

“Dov’è tuo padre?” mi chiede la vicina. “E tua sorella?”

Singhiozzo che non lo so, che sono andati via ieri mattina e non so come contattarli.

 

Sono le 4 di mattina passate al St. James Hospital, quando mio padre e mia sorella entrano nel lungo corridoio che porta all’obitorio.

Il lungo corridoio bianco e grigio dove sono seduta da almeno sette ore. L’unico che è riuscito a contattarli è stato P.B. il collega di mio padre, l’unico che sapesse dove si trovava e che ho chiamato qualche ora dopo, quando sono riuscita a riprendere un po’ di lucidità e i vicini sono tornati a casa loro.

La prima cosa che fa mio padre è guardarmi e chiedermi cosa sia successo.

“La mamma è stata investita da un autobus” spiego. Non posso far nulla per non farmi tremare la voce. Guardo mia sorella, pallida come il muro dietro di lei, che deglutisce a malapena. “E’ morta sul colpo.” Aggiungo.

“Mi ha detto P. che eri li anche tu? Sai dirmi come è successo? Anna, è importante.” Papà si è chinato davanti di me, ha estratto un fazzoletto dalla tasca e me lo porge.

Gli racconto quello che ho visto, la frenata, l’autobus. Alcuni poliziotti prima sono venuti ad interrogarmi e mi hanno fatto delle domande, chiedendomi se ricordassi se l’autista fosse sbronzo o distratto. Racconto anche questo a mio padre. “Devi… devi fare il riconoscimento del corpo.” Balbetto, stringendomi in me stessa. “Io non ho potuto perché sono minorenne.” Papà annuisce, quasi mi abbraccia ed entra dalla porta nell’obitorio.

Nina passeggia su e giù per il corridoio. Poi si siede vicino a me. “Quindi hai visto tutto?” mi chiede, quasi morbosa. Annuisco, mentre i singhiozzi mi soffocano qualsiasi parola. Mia sorella sta zitta per qualche minuto. Si prende la fronte tra le mani. Non piange, non sembra neppure addolorata più di quel tanto. “Almeno non ha sofferto.” Dice solamente.

Vorrei urlare. Vorrei domandarle che razza di persona è a dire una cosa del genere davanti alla morte della propria madre, ma sto talmente male da non riuscire a proferire parola.

Papà esce dall’obitorio poco dopo, ha una busta in mano con degli effetti personali e ci dice che possiamo tornare a casa, che porterà lui, l’indomani, i vestiti per comporre il corpo per il funerale.

“Non è troppo presto?” chiedo con un filo di voce. Lui si siede vicino a me, mi prende la mano e cerca di assumere una voce il più rassicurante possibile. “Ormai per la mamma non c’è più nulla da fare. Forse non ti ricordi, ma anche quando è morto il nonno il funerale c’è stato due giorni dopo.”

Annuisco, anche se mi sembra comunque una forzatura e li seguo fuori dal corridoio. Vedo Nina che getta uno sguardo alle sue spalle, verso il reparto, ma quando papà le chiede se vuole vederla, lei scuote la testa e ci segue fuori.

E’ cosi, dunque. Mamma è morta. Investita, con la testa aperta in due sulla strada davanti a casa come la madre di Lolita.

Ed ora, in casa, c’è ancora più silenzio. E vuoto. E fa tutto talmente male da non riuscire quasi a respirare.

Fa male aver visto la mamma morire.

Fa male che papà non sia riuscito neppure a consolarmi.

Fa male che mia sorella non riesca neppure a dimostrare un briciolo di dolore, di tristezza.

Vorrei alzare la cornetta e parlare con Willow, o Helen o meglio ancora Ronan. Ma non riesco neppure ad avvicinarmi al telefono. E allora decido di buttarmi sul letto e di cercare di dormire. Magari questo è davvero tutto un brutto sogno.

 

02 Novembre 1984

Oggi ho dato l’addio a mia madre, e non mi sembra ancora vero quello che è successo. Mi sembrava che fosse tutto lontano da me: la preparazione, il funerale… mi sembrava di stare dentro ad una bolla e tutto il resto era fuori.

Dopo il funerale, mentre la bara veniva portata nel cimitero retrostante la chiesa per essere interrata, sono rimasta un attimo in chiesa. Prima di uscire Nina mi ha chiesto se venivo, ma papà le ha fatto segno di tacere. “Credo che abbia bisogno di rifletterci un po’ su” le ha sussurrato, come se la morte di mia madre fosse qualcosa a cui si poteva dare una soluzione dopo un attimo di riflessione.

Così sono rimasta seduta sul primo banco della chiesa. Non ho pregato, ne ho invocato nessuna divinità. Stavo solo li e pensavo a mia madre. A quanto fosse stata ingiusta la sua morte. A quanto fosse stato ingiusto tutto.

Il prete mi si è avvicinato, ha iniziato a blaterare cose sul paradiso e la vita eterna, sulla luce eterna e sulla redenzione, aggiungendo che doveva rincuorarmi il fatto che mia madre ora sarebbe stata alla presenza del Padre.

“Sa, padre.” Ho detto, senza guardarlo negli occhi. Grattavo via la vernice del banco, già rovinato, con le mie unghie ancora viola. “Tutto ciò non può rincuorarmi. Quello di cui parla, per me, sono solo una marea di stronzate.”

L’ho visto rimanere a bocca aperta e ho ricacciato indietro le lacrime. “Quando si muore si diventa cibo per vermi. E nulla più. Non c’è niente, al di là della vita.”

“Parli così perché sei addolorata.” Ha provato a suggerire.

Un’unghia si è sfaldata, a contatto con una scheggia di legno troppo dura. “Se Dio esiste, perché fa accadere tante cose brutte alla gente che non se lo merita?”

“Perché Dio ci mette alla prova…

“… Se mette alla prova i suoi figli con dei giochi tanto crudeli, allora non è proprio un padre da ammirare. E’ un gran bastardo e basta.” Il prete si fa il segno della croce più volte, mentre mi alzo e lascio la chiesa dalla navata principale senza voltarmi.

I becchini stavano finendo la tumulazione, ma non sono rimasta a guardare oltre, se c’era ancora mio padre o mia sorella. Ho attraversato il sagrato della chiesa senza rendermi conto che pioveva a dirotto e non avevo né un ombrello né un cappello per proteggermi dalla pioggia. Incamminandomi a testa bassa per la strada, inzuppandomi d’acqua, mi sono soffermata un istante davanti alla vetrina di un negozio, rendendomi conto che era la prima volta, dopo due giorni, che fissavo il mio riflesso. C’era ancora qualche traccia del trucco da strega, ombre attorno agli occhi e qualche traccia del cerone sbiancante su una guancia. Con i capelli fradici appiccicati alla testa e il cappotto, quello di mia madre, più abbondante sulle spalle e più lungo sulle maniche, la mia immagine nel riflesso della vetrina mostrava un’Anna totalmente diversa da quella che rifletteva di solito. Sembravo più un pulcino abbandonato e bagnato, che una ragazza che giocava a fare la spavalda con tutti.

E mentre pensavo che sarebbe stato bello abbandonarsi nel Liffey e farsi trascinare sino al mare, ecco che un’auto grigia si fermava dietro di me. L’auto di P.B. “Tuo padre ti cercava. Dai, Sali. Ti do uno strappo a casa.”

Salgo sulla macchina ed improvvisamente mi viene in mente che a casa ci sono ancora tutte le cose di mamma, e Nina che è indifferente a tutto, e papà che sbuffa e non riesce a dirmi niente per consolarmi. “Non ho voglia di andare a casa” bisbiglio, dirigendo l’aria calda verso di me. “Portami dove ti pare.” Aggiungo, non importandomi realmente di dove volesse portarmi o di cosa volesse farmi. Qualsiasi cosa, pur di non restare in un angolo in balia degli eventi.

L’auto grigia percorre le strade di Dublino ad una certa velocità, verso il porto. Ci fermiamo in un vicolo cieco, tra le mura di due grossi capannoni in disuso. Lui fruga in una borsa nel sedile dietro e trova una bottiglia di Whiskey, che mi porge. “Dai, fatti un goccetto, Anna, questa ti tira su e ti farà smettere di rabbrividire come un pulcino.”

Senza farmelo dire due volte prendo una grande sorsata di liquore dalla bottiglia. E’ dannatamente forte e mi fa tossire. Mi infiamma la gola e lo stomaco. P. ride. “Me lo distilla un mio amico.” Spiega. Poi ne beve un sorso anche lui. “Deve essere stata dura per te quello che hai visto.” Annuisco, lo sguardo perso sui mattoni delle costruzioni che ci circondano. “A papà e Nina non dispiace quello che è successo.” Mormoro, chiedendo un altro sorso di whiskey.

Oh… non è cosi, Annie. E’ che tra tuo padre e tua madre… beh, era da tempo che non correvano proprio rapporti pacifici, giusto?”

“Spesso speravo che arrivasse il divorzio anche qui in Irlanda. Così almeno avrebbero smesso di litigare. Me li ricordo sempre ad urlarsi dietro qualsiasi insulto possibile.”

“Eh, piccola Anna. Con quei colletti bianchi che spadroneggiano su quest’isola, il divorzio lo vedo come una cosa molto lontana. Ma d’altronde, ora non ce ne è più bisogno. In ogni caso, sono sicura che tua sorella ci stia male quanto te, è solo che è… diversa, ecco. E non riesce a dimostrarlo.”

“Mia sorella non prova sentimenti. Altrimenti non sarebbe un’ass..”

P. mi mette un dito davanti alla bocca. “Non dirlo, piccola, non dire mai quello che facciamo davvero. E’ pericoloso. Diciamo che non sarebbe in affari con papà, giusto?”

Annuisco. “Tu sai perché papà non mi ha mai insegnato nulla?”

Ci pensa un attimo, beve un altro sorso: “Potrei dirti un sacco di fandonie, cara, ma non credo che tu ne abbia bisogno. Potrei raccontarti che noi possiamo avere un solo allievo per volta, ma non è così. Diciamo che… tuo padre sostiene che Nina abbia la freddezza necessaria per… portare a termine gli affari e tu no. Con questo non voglio dire che tu non abbia altre capacità.” Conclude la sua spiegazione con una mano sulla mia guancia. Per un attimo sembra una carezza. “Sono sicuro, Anna, che anche tu possa trovare la tua strada.” Mi illudo che sia compassione, quella che leggo sul suo viso. Poi però spazza via ogni dubbio premendo la sua bocca sulla mia. Resto ferma come una scema, non mi ritraggo, forse non voglio neppure farlo. Penso che, in fondo, P. sia stato l’unico carino con me, l’unico che si sia preso la briga di tentare di consolarmi, di prestarmi attenzione e quindi, qualcosa indietro da me può pur chiederlo.

Le sue mani si fanno strada sulle mie gambe e sotto l’impermeabile, finché un rumore contro un bidone della spazzatura non ci fa sussultare. P. Si stacca e si guarda intorno. “Ah, è un gatto.” Biascica.

“Ora… se non ti spiace… vorrei tornare a casa.” Mormoro, sicura che ignorerà le mie parole. Invece mi guarda un attimo e poi annuisce. “A patto che…

“Stai tranquillo. Mio padre non mi crederebbe neppure. Non ho intenzione di dirglielo.” E’ quello che credo davvero. Lui mi fissa per un po’, una sua mano sempre sul mio ginocchio, prima di ritrarsi e accendere l’auto.

 

Mamma mia quanto tempo ho fatto passare dall’ultimo aggiornamento!!! Mi vergogno, davvero, anche perché mi rendo conto che questa storia sta iniziando davvero ad essere più che noiosa.

Certo che in questa sezione il mortorio è assicurato! Ma dove sono finte tutte? C’erano così tante belle storie iniziate… e poi lasciate a metà…. T.T

E tu, MissTrent… non mi dovevi forse qualcosa??? Grr

Allora: piccola nota.

Il divorzio in Irlanda è diventato legge solo nel 1995, prima non esisteva, per colpa della tradizione cattolica che, in Irlanda è molto presente.

Grazie per le recensioni ragazzuole!!!Alla prossima

EC

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Capitolo 6
*** 6Th Chapter: January - May 1985 ***


Diary of a Scarlet Queen.

4^ PARTE: 1985 – Dream, Plan, Act, TEKKEN!

6th Chapter: January – May 1985

01 GENNAIO 1985

Buon Anno a tutti, Buon 1985  a chiunque.

Buon Anno nuovo anche e soprattutto a me. Che sia migliore di quello appena passato.

Che porti buone novità. Che mi porti soldi e viaggi.

E buona compagnia, soprattutto.

 

04 Aprile 1985

No, non mi ero scordata di questo Diario.

Semplicemente, non volevo prendermi del tempo per sedermi alla scrivania e prendere in mano la penna per fissare i miei pensieri indelebilmente nero su bianco.

Sono passati quatto mesi dalla mia ultima annotazione. Poche righe al ritorno di un veglione di capodanno di cui ricordo poco o nulla, dato che l’ho passato prevalentemente con una bottiglia di whiskey in mano per cercare la voglia di festeggiare.

Credo di aver baciato un numero consistente di ragazzi e credo di aver fatto qualcos’altro a qualcuno di loro.

Ma non importa, tanto non me lo ricordo.

Non ho voglia di pensare a nulla, mi fa male riflettere, rimuginare, rendermi conto che tutto ciò non mi porterà da nessuna parte, se non all’autodistruzione.

L’unica cosa a cui riesco ad aggrapparmi è l’Aikido: continuo ad applicarmi nonostante non ci sia più mia madre, nonostante abbia un altro maestro.

Ma spesso questo non basta: posso frequentare un sacco di amici, farmi un sacco di ragazzi, sfiancarmi in palestra e nelle gare, ma quando apro la porta di casa, il più delle volte la trovo buia e vuota.

Partiamo da quello che non posso chiamare altro che ‘Il Principio della Fine’, ovvero l’inizio del mese di Novembre, dopo aver sepolto mia madre. Il giorno dopo, mio padre si è seduto a tavola con me e Nina e ha iniziato un discorso articolato sulle responsabilità e sul crescere in fretta. Un discorso senza capo né coda, a dire il vero; Tant’è che Nina, ad un tratto, l’ha interrotto e guardandomi negli occhi ha detto asciutta: “Quello che papà vuol dire è che dovrai imparare a cavartela da sola.”

Cosa significa?

“Papà e io non riusciremo ad essere sempre presenti. Ci alterneremo nelle missioni, è vero, ma capiterà molto spesso che saremo in giro nello stesso periodo e che dovrai cavartela da sola.”

Oh. Capito. Proprio quello che avevo bisogno di sentirmi dire il giorno dopo il funerale di mia madre. “Potrei lasciare la scuola ed unirmi a voi.” tento, cercando di mantenere la mia voce calma e sicura, mentre in realtà fremo dalla rabbia.

“Anna, per favore, non essere sciocca. Devi prima finire la scuola, e poi…

“… e poi non sono adatta a questo ruolo, giusto?” Papà apre le mani, come per rendere ancora più evidente la mia affermazione.

Se solo mi dessero la possibilità di provarci, dimostrerei ad entrambi di che pasta sono fatta: con la rabbia che ho in corpo in questo momento potrei fare una strage senza rimorsi.  Invece, mi fermano in partenza, senza che io possa mettermi alla prova. A volte penso che tutto il daffare di Nina per escludermi dalle loro attività sia dettato da un profondo sospetto che possa essere migliore di lei.

 “Capisco.” Ripeto.

“Non ti faremo mancare nulla.” Mormora, cercando di assumere un tono rassicurante. “Ogni mese ti invierò dei soldi, in modo che tu possa amministrarli a tuo piacimento, oltre che a pagare affitto e retta scolastica.”

Annuisco. Ho creduto opportuno ringraziarlo, prima di alzarmi e fare per uscire.

Nina mi chiede dove stia andando. “A studiare da Willow. Domani abbiamo il compito in classe di matematica” mento. Mia sorella annuisce. “Sarai a casa per cena?” la domanda è forzata, è come se la ponesse per avere la coscienza a posto, per farmi notare che la parte della sorella maggiore la stia facendo sul serio. Faccio segno di si con la testa, poi mi infilo il cappotto ed esco.

Non stavo andando da Willow, ma da P. Sapevo che sua moglie era andata con i bambini a Cork dai suoi genitori, l’avevo sentito dirlo a Papà la sera prima.

Da quel giorno ho una relazione con lui.

Non mi fa stare meglio, ma mi distrae. Avere una relazione con il collega di mio padre di quasi trent’anni più vecchio mi fa illudere di avere ancora il controllo della mia vita e su quella degli altri.

In realtà so benissimo che P. mi scopa semplicemente perché ogni uomo sogna di sbattersi un’adolescente disinibita e con le tette grosse e che i regali che mi fa (niente di che, qualche capo di vestiario, qualche ciondolo, un paio di scarpe) sono solo per far tacere la sua coscienza e per tenermi buona, nel dubbio che prima o poi spifferi qualcosa a mio padre.

Potrebbe sembrare che mi venda a lui con poco, ma così riesco a mettere da parte i soldi che papà mi invia ogni mese per andarmene di qui.

Con Ronan vogliamo andare a Londra. Appena avremo abbastanza soldi da parte scapperemo di qui ed inizieremo una nuova vita in Gran Bretagna: io farò la modella e lui il barman.

Con il mio lavoro da modella girerò il mondo, farò soldi a palate e poi apriremo insieme un cocktail bar raffinatissimo, che si riempirà di gente famosa e ricchissima. Sarà fantastico, faremo una vita da nababbi, in barba a mio padre e a mia sorella.

Ma prima devo andarmene di qua. I risparmi nella cassetta sono a quota 752 Sterline. Solo per il volo verso Londra me ne partirebbero 500. Devo attendere ancora.

 

05 Maggio 1985

980 Sterline nella cassetta. Con questa cifra un operaio irlandese manda avanti la sua famiglia per un mese. Per me invece sono ancora troppo pochi per andare. Ronan ha pochi spicci in più. Il viaggio ce ne porterebbe via la metà e gli affitti a Londra sono costosi.

In più, Ronan suggerisce di attendere che io compia 18anni: non vuole trovarsi in arresto per sottrazione di minore. Se poi sapesse il mestiere di mio padre e di mia sorella, sono sicura che le sue paure aumenterebbero, per quanto sia perfettamente a conoscenza del menefreghismo dei miei famigliari nei miei riguardi.

 

11 Maggio 1985

Per caso ho origliato una telefonata di mia sorella, in casa.

Ho risposto per caso al telefono e una voce con uno stranissimo accento straniero mi ha chiesto di lei. L’ho chiamata e le ho passato la cornetta, nascondendomi però nella stanza dei miei, dove c’è l’altra linea, e alzando il telefono incuriosita. Non è mai capitato che abbiano chiamato direttamente a casa per lavoro.

Infatti anche Nina era sorpresa inizialmente. Da come parlava con lo straniero, (che si presentava come un collaboratore di un certo ‘Mr Mishima’) pareva essere già stata contattata da loro. La telefonata è stata abbastanza breve, si sono solo accordati per un appuntamento a Francoforte per la settimana prossima.

Nina ha rapporti lavorativi internazionali. Chissà come è rinomata. Forse, nell’ambiente, è già una star. Nei suoi quasi 20 anni essere già un’assassina con le mani in pasta ovunque deve essere un gran risultato.

Che rabbia che mi fa!

Per scorno, le ho gettato via l’Earl Gray che aveva appena comprato.

 

20 Maggio 1985

Il nome ‘Mishima’ è rimasto in un angolo della mia memoria sino a questo pomeriggio, quando mi sono fermata in un’edicola vicino a scuola per comprare una rivista di moda. Mi sono soffermata un attimo davanti ai quotidiani: papà sarebbe rientrato alla sera, gli fa piacere trovare il quotidiano vicino alla cena. Almeno ha una buona scusa per non intavolare nessuna conversazione.  Ho preso in mano l’Irish Times, quello che legge di solito perché preferisce ‘avere una visione più ampia delle notizie internazionali’ e mi è caduto l’occhio su una notizia in un trafiletto intitolato ‘Magnate Giapponese indice torneo di Arti Marziali’. Tra le righe, trovo il nome Mishima.

Mi sono messa a leggerlo direttamente sull’autobus, e ne ero talmente assorta da scordarmi di scendere.

Pare che tale Heihachi Mishima, plurimiliardario giapponese a capo di una superindustria che non ho capito bene di cosa si occupi (a quanto pare di TUTTO), abbia indetto questo torneo per la prima settimana di Settembre a Tokio, aperto a tutti i combattenti di tutto il mondo con iscrizioni aperte da Luglio. Seguivano informazioni dettagliate sulle modalità di partecipazione e il premio in palio:  DIECI MILIONI DI DOLLARI a chi riuscirà a sconfiggere Mishima in persona.

Diamine, quanti soldi sono? Esiste davvero una cifra così alta? E Nina, come mai è stata contattata direttamente da qualcuno vicino all’organizzazione stessa? Dovrà impedire forse che qualcuno si avvicini troppo all’intento di vincere il premio in palio?

La mia testolina gira gira ed inizia a fare supposizioni. Ultimamente sono migliorata tantissimo nell’Aikido, ho vinto parecchie gare nazionali, ma non ho mai avuto l’occasione, dopo i mondiali a cui non ho potuto partecipare l’anno scorso, di provare una gara internazionale, perciò il mio nome non è molto conosciuto all’estero.

Però c’è sempre una prima volta. Potrei provare a chiedere al Maestro se posso partecipare a nome della palestra, in fondo potrei spacciare questo mio desiderio come il bisogno di onorare la mia povera madre (in parte è vero, quando vinco non faccio altro che pensare come sarebbe bello se lei mi avesse visto)  e farmi finanziare l’iscrizione e il viaggio sino in Giappone.

E’ anche vero che le iscrizioni sono aperte da Luglio e i minorenni posso accedere solo dietro autorizzazione dei genitori. Devo riuscire quindi a convincere mio padre a lasciarmi andare, anche se non lo farà tanto facilmente, temendo che possa danneggiare il lavoro di Nina.

Cavoli, questo è un bel rompicapo.

Forse dovrei lasciar perdere.

Però Dieci milioni di dollari sono una cifra enorme. E se ci aggiungo che potrei anche scontrarmi con Nina davanti a tutti, la tentazione è troppo forte.

Dovrò pensarci bene, fare il punto della situazione.

 

21 Maggio 1985

Se voglio andare in Giappone, innanzitutto mi occorreranno più soldi. Per questo ho chiesto un aumento della ‘paghetta’ così generosamente elargita da mio padre, ieri sera. Odio dovergli chiedere dei soldi: non vorrei essere tacciata un giorno di una qualche responsabilità nell’aver ridotto la nostra famiglia ad un mero rapporto commerciale, ma non ne potevo fare a meno. Se questo mese evito di mangiar fuori, limito le mie uscite (o magari le cancello proprio) e cerco di scroccare ciò che mi serve da P, dovrei riuscire a mettere da parte 120 sterline.

Quindi sarei a quota 1100 sterline. Con questo viaggio, però, cancellerei ogni speranza di partire per Londra con Ronan, o comunque la posticiperei di molto: ce la farà il mio amico a resistere? L’ho visto molto provato dal doppio lavoro in questi giorni. Lui riesce a mettere via meno soldi di me, dato che con quello che guadagna deve pagare affitto, spese e mandare qualcosa a casa dai suoi (suo padre si è ferito al lavoro e dovrà stare fermo per un bel po’ di tempo).

Questo calcolo escludendo un po’ di sponsor da parte della palestra: da quando non c’è più mia madre a dar lustro, non stanno navigando in buone acque. Finché non si vince una gara importante di entrate se ne vedranno pochine.

Intanto mia sorella attende di partire per Francoforte. E’ ignara che io sia a conoscenza del suo incontro, e non sa quanto vorrei seguirla per capirci qualcosa di più. Ma dovrò aver pazienza, e agire secondo i miei piani.

Quindi, al momento la cosa che mi preme di più è parlare con il Maestro per l’eventuale suo permesso e per intensificare gli allenamenti e con mio padre per convincerlo ad iscrivermi.

Non sono cose da poco.

 

23 Maggio 1985

Il no secco del Maestro, quando ho esposto le mie intenzioni di partecipare al torneo, mi ha destabilizzato. Non mi aspettavo una reazione così decisa e negativa. Non sono valsi a nulla i miei scongiuri, i miei buoni propositi, l’idea di riportare ai massimi livelli la palestra. E neanche giocare la carta della mamma è servito. Non si è mosso di un millimetro. “Dici di voler riportare in alto il nome della palestra partecipando ad un volgarissimo torneo indetto da un miliardario esagitato, come se fossi una lottatrice da strada, una prostituta delle Arti Marziali. Vuoi essere un’Atleta o una lottatrice da strada? Perché in questa palestra si allenano le Atlete. Per il resto c’è il marciapiede.” Ha urlato, indicandomi la porta. Ho troppo bisogno di questa palestra per farmi cacciare, perciò ho ricacciato indietro parole e lacrime di frustrazione e sono tornata ad allenarmi.

Però questo mi è servito. Perché la mia rabbia repressa, la mia frustrazione, la mia decisione hanno portato al miracolo, questa sera.

Perché ho sbattuto in faccia la mia volontà a mio padre, dopo cena, insieme al modulo da compilare per partecipare al Torneo. “Voglio avere la possibilità di dimostrarti che valgo qualcosa, che questi anni passati in palestra con mia madre hanno forgiato una lottatrice eccezionale, papà. Voglio rendere orgoglioso te e anche la mamma, se solo potesse vedermi.” Papà era titubante, davanti al modulo, con la penna in mano. Ma mi guardava con occhi diversi. Sorpreso, a dire il vero, davanti al fiume in piena che lo stava investendo. “Se non firmi quel foglio, troverò comunque il modo di partecipare al Torneo. In un modo o nell’altro finirò a Tokio, a settembre, e tu non potrai impedirmelo. Non costringermi a farlo alle tue spalle: quello che voglio è il tuo appoggio e la tua fiducia, la tua stima e il tuo rispetto. Non sarò adatta a fare il tuo lavoro, ma che io sia dannata se non so fare splendidamente dell’altro.”

Papà mi guarda ancora, in silenzio. Si, è stupito. Piacevolmente colpito nel vedermi finalmente decisa e attiva. A lui piacciono le persone così.

“E speri di vincere?”  mi domanda con voce afona.

“So che posso arrivare ad una buona posizione.” Rispondo. “Non tornerò a mani vuote.”

Mio padre annuisce. Smette di giocherellare con la biro “Ti conviene.” Dice. E firma il modulo. Mi sento svuotata da tutte le energie. Prendo il foglio in mano, con cautela, ma lui lo trattiene. “Fermo restando che dovrai pagarti il viaggio da sola.” Precisa. Non nomina Nina, che strano, e mi viene il dubbio che non sappia realmente della sua missione.

“Certo, papà. E’ ovvio” annuisco, imprecando mentalmente per questa condizione. Il foglio gli scivola tra le dita.

Prima di spedirlo per posta, questa mattina, ho fatto ben 5 fotocopie.

Ed ora, non resta che dire a Ronan che Londra dovrà aspettare. Ed allenarmi.

 

 

 

Non ci credo, sono riuscita ad aggiornare questa storia!! Per farlo ho dovuto prendere una storta al ginocchio a sciare, vedete un po’ voi!

Spero che mi ritorni finalmente l’estro per completare questa fic… ci tengo troppo e mi dispiacerebbe immensamente lasciarla morire. (L’ho rianimata all’ultimo minuto, vero? VERO?)

Bene, ormai si entra nel ‘vivo’ (?) della storia. Lasciamo da parte le seghe mentali tipiche dell’adolescenza, concentriamoci sul Tekken e sull’Anna Williams che abbiamo imparato a conoscere.

E speriamo di riportare in auge questa sezione…!!!!!

A la prochaine!!

EC

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Capitolo 7
*** 7th Chapter: May, June, July 1985 ***


 

 

Diary of a Scarlet Queen.

7th Chapter: May, June, July 1985

25 Maggio 1985

Ronan non ha preso benissimo la storia del Torneo. Praticamente, mi ha fatto capire che mi reputa un’egoista. Ho cercato di chiedergli scusa, di mettersi nei miei panni, gli ho promesso che avrà parte della vincita. Ma comunque si è offeso.

Non so che farci. Sento che questa è la mia grande occasione e non posso perderla. Domani vado a fare la richiesta per il passaporto. Un passo in più  verso la partenza.

 

 

26 Maggio 1985

Comincio a diventare brava come origliatrice. Stasera ho captato la conversazione tra mio padre e Nina riguardo l’incontro con i Giapponesi a Francoforte. Pare che Nina sia stata ingaggiata da Mr Mishima in persona per far fuori qualcuno di molto, molto importante, durante il torneo. Nina ha nome e cognome della persona, ho visto che faceva vedere qualcosa a mio padre, forse un dossier, ma non l’ha nominato.

In ogni caso, papà non ha detto, stranamente, nulla sulla mia partecipazione al Torneo.

Che cosa strana.

Non riesco a capire se non la reputi importante ai fini della missione di mia sorella o se non la informi per evitare che possa intralciare la mia partecipazione.

 

07 Giugno 1985.

E’ finito un altro anno di scuola. Il penultimo.

L’anno prossimo, a quest’ora, starò affrontando l’esame finale e poi sarò finalmente libera da questo Istituto di Merda.

In tutto questo, Ronan mi ha informato dell’imminente matrimonio tra Jessie Finley e Connor O’Connor: Jessie è incinta e si sposeranno la settimana prossima. Ronan è invitato, in quanto cugino di Connor, ma dice che non parteciperà, preferisce risparmiare i soldi del viaggio.

La cosa non mi sorprende, queste cose sono all’ordine del giorno in Irlanda: se una ragazza rimane ‘fregata’, deve per forza sposarsi. Se penso che potevo rimanere incinta di Josh ed essere costretta a diventare sua moglie mi viene il vomito.

Ma anche pensare che una ragazza della mia età, come Jessie, stia per diventare madre mi fa venire i brividi.

Più conosco questa società e la sua morale, più ne rimango disgustata. Sono sicura che nel resto del mondo le cose vadano di gran lunga meglio. Probabilmente anche in Giappone hanno una mentalità più aperta che qui.

Magari deciderò anche di non tornare indietro.

 

17 Giugno 1985

‘Gentile Miss Williams,

La sua richiesta di partecipazione al Torneo del Pugno di Ferro (Tekken Tournament) indetto dalla Mishima Zaibatsu è stata accolta.

E’ invitata a partecipare alle selezioni europee, che si terranno a Francoforte dal 30 giugno al 02 Luglio C.A.

Le prime tre posizioni delle selezioni europee potranno partecipare alle finali del Torneo che si terranno a Tokio dal 01 al 15 Settembre.

La mancata partecipazioni alle selezioni preliminari comporta la cancellazione dell’iscrizione al Torneo.

Sicuri di incontrarla a Francoforte, porgiamo

Distinti Saluti’

Mi hanno presa!!! Un primo passo è stato fatto!

Purtroppo iniziano i problemi: Innanzitutto ci sarà anche mia sorella, e questo potrebbe davvero ostacolarmi.

E poi il problema maggiore: Nella cassetta ho 1175 sterline. Solo il viaggio per Francoforte andata e ritorno mi costerà 630.

Quindi resterebbero 545 Sterline. Troppo poche… Il biglietto per Tokio ne costa solo all’andata 1250. Devo trovare il modo di mettere da parte più soldi, ed in fretta.

 

19 Giugno 1985

Ammetto che è una disgustoso quello che ho fatto. Ma il Giappone è troppo importante, e si avvicina giorno per giorno.

I soldi non cadono dal cielo e non assumono da nessuna parte una ragazza minorenne.

Ieri sera ho visto Douglas, in giro. Ha detto che ha preso la macchina e mi ha invitato a farci un giro. Sapevo benissimo che in realtà le sue intenzioni erano altre, ma ho accettato lo stesso. Tanto per passare il tempo e poi mi sentivo un po’ giù.

Come volevasi dimostrare, ci siamo ritrovati in uno dei vicoletti del porto. Guarda caso, eh!

“Allora, ti piace la macchina?” mi domanda, porgendomi una fiaschetta di whiskey. Annuisco, buttando giù un gran sorso. La sua mano dal cambio si sposta sulla mia gamba.

E lì mi viene l’illuminazione. “Sono 50 sterline.” Annuncio.

Lui mi fissa basito. “Stai scherzando, vero?”

Oh no, non sto proprio scherzando. “Se mi vuoi sono 50 sterline. Altrimenti mi riporti indietro.”

“E da quando in qua questa novità?” sembra arrabbiarsi. “Tesoro mio, se pensi di venir qua a batter cassa hai trovato l’uomo sbagliato.”

Fermo qualsiasi sua intenzione prendendogli il polso e flettendolo appena all’indietro. La stessa cosa che ho fatto a Josh, ma questa volta mi fermo proprio un istante prima di spezzargli l’osso: “Tesoro mio: Temo che tu non abbia capito con chi hai a che fare.”

Mi vede ferma, decisa. Sa che pratico Aikido da più di 10 anni e che sono una campionessa. Sa che non conviene scherzare con me.

Sbuffa, infine e lascia perdere. “Vabbè, scusa. E’ che questa cosa non la sapevo mica. Potevi avvisarmi no? Hai sempre fatto tutto gratis. E poi 50 Sterline non le ho.”

Alzo gli occhi al cielo poi chiedo quanto abbia. Lui risponde 25. “Uno sconto per un vecchio amico non lo puoi fare?”

Gli rispondo di no, ma prendo la banconota da 20. “Diciamo che farò qualcosa da 20 sterline.”

Ed eccomi qui. Il termine tecnico è puttana. Cosa che in fondo sono sempre stata. Mi sono sempre data da fare. Solo che lo facevo Gratis. Il fatto che chiedessi a Doug venti sterline per un lavoretto, era solo questione di tempo. Potrei fare lo stesso con P, chissà se accetterebbe.

Si, Anna Williams, sei una puttana vera e propria, ora. Ma per poco. E’ solo lo scotto da pagare per arrivare in alto. Potevi far diversamente?

No.

E tanto una certa reputazione ce l’hai sempre avuta. Era solo questione di tempo prima che ti facessi pagare.

Ma tutto cambierà, dolcezza, tutto cambierà.

In questo mondo materiale,  Non posso far altro che essere una ragazza materiale.

 

22 Giugno 1985

Ho spiegato il mio progetto a P. , del torneo e del fatto che mio padre non allungherà un penny in più di prima. Ha annuito e mi ha sganciato cento sterline: era appena tornato da un lavoro molto produttivo, da come ho capito.

Dopo, me ne ha date altrettante.

Beh, Anna. Non c’è che dire. Sei una puttana, è vero. Ma per lo meno in questo sei brava. Non credo che qualcuno avesse dubbi a riguardo.  

Boys may come and boys may go
And that’s all right you see
Experience has made me rich.

Continuo a ripetermelo, con le cuffie del walkman nelle orecchie e la cassetta di Madonna sparata a tutto volume, mentre fumo una sigaretta nella solitudine della mia camera.

Fuori piove forte.

Siamo a quota 1300 sterline.

 

29 Giugno 1985

Non prendevo l’aereo dal viaggio in Francia che ho fatto con i miei genitori, quando avevo 7anni. L’unica vacanza che abbiamo fatto tutti insieme.

Ed ora, parto da sola per la mia avventura. Credo che Nina parta domani mattina. La incontrerò alle selezioni e saranno faville.

Fingerò sorpresa o le sorriderò beffarda miagolando che è l’ora della resa dei conti tra noi due?

Sono indecisa su come comportarmi, ma ho ancora tempo per riflettere.

 

 

30 Giugno 1985

Ho passato la preliminare! Ed è stato assurdo!

Ero arrivata tardi, mi sono persa in questa cazzo di città, e per non perdere a tavolino sono dovuta salire sul ring vestita così com’ero, dato che non avevo tempo per cambiarmi: Pantaloni neri, canotta rossa e scarpe con i tacchi!

E i tacchi mi hanno portato fortuna. Il mio rivale, un finlandese, è finito fuori dal ring in pochissimo tempo. Quasi non mi ha colpito!

Mentre il giudice di gara mi alzava il braccio in segno di vittoria, ho visto Nina, tra gli altri partecipanti ai piedi del ring. In tuta attillata viola, piedi nudi e bocca aperta a O.

Per un istante. Poi la sua espressione è diventata di puro sdegno. È anche arrossita dalla rabbia!

Il mio cuore ha iniziato a battere precipitosamente. Mi sono sentita talmente euforica che pensavo mi scoppiasse la testa. Che soddisfazione! Non ne ho mai provato una così in vita mia!

E’ stato bellissimo, ed è solo il primo passo! Mi gira quasi la testa, sono in preda alla vertigine e all’euforia. Come sulle scogliere di Moher. Come al Cimitero di Corcomroe Abbey.

Oggi pomeriggio avrò la seconda fase. Sto seriamente pensando di gareggiare ancora con i tacchi. Ho stupito tutti con il mio stile, tutti mi guardavano, e a parte Nina, erano tutti sguardi ammirati.

Nel frattempo, ho visto che anche Nina ha passato la sua preliminare con tranquillità. Deve essere furibonda. Però non mi si è avvicinata.

Oh, quanto mi piacerebbe uno scontro diretto con lei!

 

H.20: Passato anche la seconda fase delle selezioni preliminari! Domani di scontro ne avrò solamente uno! Non posso fallire. Stasera cena leggera, sigaretta meditativa e a letto presto!

 

01 Luglio 1985

Passato anche questo Turno, con più difficoltà. Le selezioni si stanno facendo durissime.

Nina non mi ha rivolto altro che uno sguardo, quando è scesa dal suo ring senza festeggiare la sua schiacciante vittoria e passandomi di fianco, come a dire ‘Impara come si combatte’.

Stronza.

Domani il verdetto. L’ultima sfida. Non posso fallire, saremo in 6, e solo 3 di noi voleranno a Tokio. Il più forte, il più temibile, è un Russo con un nome inglese, JACK, che pare un robot. E forse lo è realmente. Quando l’ho visto, la prima volta, mi è venuto il dubbio che questo non sia un semplice torneo di arti marziali, e che potessi essermi andata a ficcare in un guaio più grande di me.

Ma no. E’ solo una mia impressione.

 

02 Luglio 1985

SI VOLA A TOKIO!

Sono passata, ce l’ho fatta!!! Anna Williams è uscita vincitrice dell’ultima sfida! Ho faticato tantissimo, questa volta ce l’ho fatta per un pelo, devo allenarmi ancora duramente: se queste erano solo le selezioni, non oso immaginare come saranno i veri protagonisti del Torneo.

Se al sorteggio il mio avversario fosse stato Jack (si, continuo a credere sia un robot, e ciò mi inquieta molto), non sarei passata di certo. Ha una forza brutale, schiaccia chiunque si trovi davanti.

E Nina… mi costa ammetterlo ma mia sorella è micidiale. Qualche movimento fluido, una presa ben azzeccata e spietata ed eccola tra i finalisti europei.

Anna Williams

Nina Williams

Jack.

Due sorelle irlandesi arrabbiatissime (gli organizzatori hanno commentato questa situazione ‘molto interessante’) e un Russo molto molto inquietante.

TEKKEN, L’avventura continua!

 

 

Si vola a Tokio, finalmente! Ci sono voluti 7capitoli di Tedio per arrivare a questo punto!

Grazie alle mie commentatrici fidate!!!

Cercherò di dare più ritmo alla storia… so di essere tremendamente prolissa e monotona… perdonatemi!

Grazie per il supporto che mi state dando!! Mi ha dato una spinta incredibile per scrivere questo capitolo!

Milioni di grazie ad ALISTER, BLOODRED RIDIN HOOD, DEVILCANCRY e DEVILJINNINA!

Ah, Boys may come and boys may go / And that’s all right you see / Experience has made me rich. È una citazione di ‘Material Girl’ di Madonna.

Direi che ci stava!

Vi prego di farmi conoscere le vostre impressioni, le vostre critiche e i vostri suggerimenti … sono a vostra disposizione per qualsiasi cosa!!

Grazie Grazie Grazie

Sempre Vostra

EC

 

 

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