Diary of a Scarlet
Queen.
1^ PARTE:
IN DUBLIN FAIR CITY:
Chapter 1: December 1983 – March 1984
25 Dicembre
1983:
Regalare un
diario a me per Natale significa non conoscermi bene. Avrei preferito un
vestito, una collanina, un paio di scarpe. Invece mi è arrivato un diario, da
mio padre. Scommetto che l’ha preso all’ultimo minuto, come sempre. Ho
abbozzato un sorriso ringraziandolo comunque. E non è neppure un affare
piccolo. Potrei trascriverci tutta la bibliografia di Joyce.
Ma guardano
il bicchiere mezzo pieno, almeno questa volta almeno ha preso dei regali.
Da mamma
invece ho ricevuto un profumo buonissimo: sapeva che il mio era finito e
che ne volevo uno. Da Nina un lucidalabbra di infima qualità. Mia mamma mi ha
consigliato di apprezzare il gesto, per lo meno.
Helen, la
mia migliore amica, invece mi ha preso un libro famoso, di cui avevo sentito
parlare tantissimo. Uno dei pochi libri che mi hanno incuriosita, forse perché
mi paragonano spesso alla protagonista: LOLITA. E’ difficile trovarlo nelle
librerie della bigotta ad insulsa Irlanda, ma come sempre, i negozietti bui e
stipati di roba di Temple’s Bar si sono rivelati più
che utili, per trovare qualcosa sfuggito all’insulsa censura cattolica.
Beh, che
altro dovrei scrivere ora? Tre righe bastano e avanzano per descrivere la mia
giornata? Per quanto riguarda la bigia e tediosa giornata di Natale direi di
si.
07 Gennaio
1984.
Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia.
Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per
battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.
Così inizia
il libro che sto leggendo, Lolita, si legge con la L liquida di Lollipop.
Penso che
nessuno riuscirebbe a scrivere nulla di simile sul mio nome. Anna non è
un nome languido, la lingua non batte sul palato, non sfiora i denti né le
labbra, vibra solamente la consonante e si apre.
L’unica cosa
particolare di questo nome è che sia palindromo e significa ‘Piena di Grazia’.
E’ banale, scontato, breve, dozzinale e per nulla evocativo. Fosse almeno stato
Aine, in gaelico, mi sarebbe stato un pochino più
simpatico.
Sento dei
passi nel corridoio ed entra Nina in camera. Fissa il libro al mio fianco sul
letto e ridacchia. Le domando che diavolo abbia da ridere e lei mi domanda se
per caso stia leggendo un libro perché non so che esista anche il film.
Idiota.
Ammetto che
non lo sapevo. Ma non me ne frega nulla. Non guarderò il film finché non avrò
finito di leggere anche l’ultima parola.
30 Marzo
1984
Mi lamentavo
che il mio nome non fosse abbastanza evocativo?
Beh, colpa
della mia lacuna imperdonabile sulla storia della Gran Bretagna. Così ha detto
il preside stamattina.
Ci sono
finita davanti insieme a Nina. Le sorelle Williams in presidenza per motivi
disciplinari. Sono tre giorni che continua a punzecchiarmi per farmi rodere
d’invidia: papà la prende su con se per un viaggio di lavoro all’estero. Sa
benissimo di toccare un nervo scoperto e fa di tutto per farmi perdere la
pazienza. C’è riuscita dopo la terza ora, in bagno. Le ho tirato una gomitata
alla bocca dello stomaco e abbiamo iniziato la zuffa.
In un
millesimo di secondo siamo state separate da due professori e ci siamo ritrovate
in presidenza.
“Ecco di
nuovo le sorelle Bolena. Si, siete esattamente come
loro. Anna la mora, che fa le bizze e punta a spodestare la sorella bionda Mary
dal suo ruolo di favorita del Re.”
Così Nina e
Anna Williams sono divenute le sorelle Mary e Anne Bolena,
e messe in punizione a svolgere servizi utili alla biblioteca per tutta la
prossima settimana.
Nina ha
taciuto e se ne compiace, visto che nei prossimi giorni sarà fuori da Dublino.
Io mi rodo il fegato, come sempre, per l’ingiustizia subita.
Mentre usciamo
dall’ufficio, le ricordo ad alta voce che è stata Anne Bolena
a diventare regina, ad entrare nella storia.
“Hai
ragione!” concorda mia sorella. “Spero solo che la tua futura celebrità non
ti faccia perdere la testa, sorellina!”
Quanto la
odio.
12 Marzo
1984
Lo vedo ogni
mattina sull’autobus per andare a scuola. Lo incrocio per i corridoi della St.
John School.
Si chiama
Keith Hataway ed è veramente da dieci e lode. E’
alto, biondo e con gli occhi verdi. Non fa parte del gruppo dei ragazzi popolari
della scuola. Frequenta di più la biblioteca che la palestra, ma nonostante
questo ha un bel fisico. Ieri aveva con sé una custodia di chitarra: forse fa
parte di una qualche band al di fuori della scuola.
E durante la
punizione in biblioteca restavo a guardarlo per ore nascosta dietro ad uno
scaffale. Non volevo farmi vedere da nessuno mentre ero imbambolata a fissarlo.
Gli sono passata di fianco mentre cercava un libro, avendo la cura di
ticchettare bene i tacchi delle scarpe. Non si è accorto di nulla, non si è
voltato. Evidentemente non gli interessa il tacchettio delle scarpe di
Anna Williams. Il che lo rende davvero interessante.
Poi però è
passato al bancone, dove io ero l’addetta al registro dei libri. Mi ha sorriso
quando l’ho compilato.
La ballata
della prigione di Reading, di Oscar Wilde. Non è uno dei
testi che ci fanno studiare durante le lezioni, neppure nelle classi superiori,
deve essere un suo interesse personale.
Per fortuna
c’eravamo solo io e lui, e nessuno ha potuto vedere quanto fossi arrossita.
Mi sento
cotta.
Ma a lui non
sembra interessare granché.
13 Marzo
1984
Keith ha
portato indietro il libro oggi pomeriggio. La bibliotecaria ha espresso la sua
sorpresa per una lettura così veloce e lui ha risposto che soffre di insonnia e
così passava il tempo. Stavo rimettendo a posto un libro preso in prestito per
una pallosa ricerca, quando lo vedo avvicinarsi alla mia scansia. Il momento
peggiore per far cadere Austen e Beckett.
Anzi, no.
Mentre mi chino imprecando per raccoglierli una mano sbuca dal nulla e mi aiuta
a raccoglierne un paio. La mano di Keith.
“Grazie”
sussurro.
E’ un
attimo. Keith e la custodia della sua chitarra escono dalla porta. E io rimango
li come un pesce lesso a vederlo uscire.
Mi tiro un
pizzicotto, cerco di riprendermi ma mi sento avvampare. Ma che mi prende?
15 Marzo 1984.
Ma si,
parliamo d’altro. Pensiamo ad altro. Lasciamo che il mondo dei politici
corrotti, di quelli che fanno sciopero della fame sperando di essere ascoltati
dagli inglesi, degli attentatori e degli attentati, degli oppressori cattolici,
rimanga fuori di qui.
Il mondo
esterno è uno schifo. Almeno che quello nella mia testa sia meglio.
Pensiamo
alle cose che dovrebbe pensare un’adolescente, senza una fottuta morale a cercare
di incutere timore e paure.
Alle canzoni
che passa la radio, o che si trovano nei negozi di dischi. Chi se ne fotte se
sono inglesi, americane o irlandesi. Ci fanno cantare, ci fanno ballare e ci
staccano il cervello da tutto il grigio che ci circonda.
Oggi, mentre
io, Helen e Willow eravamo nel retro della palestra, impegnate
a bigiare l’ora di preghiera, sono passati Doug e dei suoi amici. Mi ha offerto
un giro di canna che non ho rifiutato. Mi sentivo leggera e più sciolta, l’umore
tetro con cui mi sono presentata a scuola stamattina se ne stava scivolando
via, e lui ne ha approfittato per ficcarmi la lingua in bocca e palparmi le
chiappe.
Gli ho
rifilato uno schiaffo che gli brucerà per un bel po’ e io e le mie amiche
abbiamo girato i tacchi, sdegnate e un po’ ridacchianti e siamo uscite dal
cortile.
30 Marzo
1984.
Lolita non è
come mi aspettavo. Non che sia noioso, anzi! Ho sempre pensato ad una Lolita
come ad una ragazza disinibita e provocante, che gioca con uomini più grandi e
li conquista, facendoli fare quello che vuole. Questa è solo parte della realtà
del libro, perché Dolores Haze, (Ovvero Lolita) in
realtà è una ragazzina che, giocando con il fuoco, ne rimane scottata. E’ in
balia degli eventi, una banderuola al vento.
Ed ora
inizio a sentirmi così pure io.
Si tratta di
un collaboratore di mio padre, P.B. Da quando mi sono
spuntate le tette non fa altro che riempirmi di complimenti e apprezzamenti. Un
giorno l’ho visto nel riflesso del vetro che si accarezzava il mento fissando
il mio sedere.
E’ una cosa
sbagliata, presumo, ma mi ha fatto piacere. Mi piace vedere che a 17anni riesco
a fare un effetto simile sugli uomini più grandi. Penso che potrebbe essermi
utile nella vita, no? Così cerco di giocare bene le mie carte. Un po’ di malizia
e un po’ di finta innocenza. La gonna a pieghe della mia divisa è più corta di
cinque centimetri di quanto dovrebbe, e la so far muovere bene. Nei corridoio
non c’è ragazzo che non si volti al suono dei tacchi di Anna Williams.
A parte
Keith Hataway, dannazione!
Ripensandoci
bene, questo diario è davvero utile.
Non tanto
per scrivere cosa faccio durante le mie giornate (che me ne frega di ricordarmi
della professoressa di matematica che puzza come una scimmia o di quante volte
litigano i miei genitori?), ma per riflettere sui miei pensieri, quelli che non
dico a nessuno.
Tutti sanno
che ho baciato Dan Irvine durante la gita a Londonderry,
quando avevo 12anni. Abbiamo pomiciato sul treno per tutto il viaggio di andata
e quello di ritorno. Nessuno sa che quella era il mio primo bacio.
Tutti sanno
che ho perso la verginità a 14anni con il mio compagno di classe Douglas O’Neill, campione di Rugby della scuola. Nessuno sa che mi ha
fatto un male cane e che l’ho fatto più per battere Nina, che frequentava un metallaro
ripetente, e non tanto perché quel beota mi piacesse. Tantomeno, nessuno sa che
mi sono trovata a casa di Doug perché è vicina alla palestra di aikido in un
pomeriggio in cui, dopo allenamento, papà si era scordato di venirmi a
riprendere.
E se fosse
per questi motivi che Keith non mi fila neppure per sbaglio? Ad un ragazzo
serio, intelligente e responsabile come potrebbe interessare la ragazza frivola
e sciocca che passa da un ragazzo popolare all’altro? E’ anche vero che non gli
ho mai rivolto la parola.
Di solito mi
è così semplice… Potrei avvicinarmi mentre cerca
qualche libro in biblioteca e dirgli che mi piacerebbe imparare a suonare la
chitarra.
Oppure
salutarlo sull’autobus e intavolare una conversazione sul meteo, cosa
disgustosamente inglese.
Ma tutte
queste idee mi vengono quando l’occasione è già persa.
Questa storia mi è venuta in mente
qualche mese fa, ma ho preferito prima visitare l’Irlanda, studiarne la storia,
prendere appunti, vedere le cose sul
campo, prima di mettermi a scrivere questa FF.
Ci sono stata ad Agosto, solo per
una settimana, purtroppo, ma sono bastati 7giorni per farmi innamorare di
questa splendida Isola.
Anna, come saprete ormai, è uno dei
miei personaggi preferiti. Un personaggio che io giudico molto più complesso
dalle apparenze.
Cerco di immaginare la sua
adolescenza, i suoi inizi come lottatrici di Aikido, l’esplosione della
rivalità con Nina e la scelta di farsi ibernare con lei.
Ci tengo tantissimo alla riuscita di
questa Ff, e vi chiedo per favore di aiutarmi a farla
crescere. Con i vostri commenti, con le vostre idee. Il primo capitolo è
palloso, è vero, ma conto di cambiare presto l’andazzo della situazione. In fondo
qui Anna è una sedicenne disinibita, ma anche molto frustrata.
Ho scelto di iniziare con l’anno
1984 seguendo la cronostoria di Tekken
e non quella di Death by Degrees:
Il sito tekken.wikia.com rivela la
data di nascita di Nina come 28 Dicembre 1964 e per Anna 15 Agosto 1967. Ho
deciso di mantenerle, benché in altre FF abbia suggerito il mese di Luglio (d’accordo
con la pagina di Nina su Wikipedia Italia) con la
modifica dell’anno della maggiore delle Williams, che altrimenti mi sballerebbe
la cronologia. (1965)
Con queste date si segue
perfettamente la cronologia ufficiale di Tekken, (utilizzando
come data limite il 2009, anno di Tekken 6) e la
storia può tranquillamente iniziare nel
1984 anno di Ghostbusters, del primo Mac, delle Olimpiadi di Los Angeles, di Like
a Virgin di Madonna, del primo, omonimo album dei Bon Jovi
e di Purple Rain di Prince)
Non so voi, ma la sottoscritta nel
1984 non era neppure in fase di progettazione. Perciò attingo dalla rete le
informazioni utili per rendere il più possibile reale e tangibile la storia
ambientata in quell’anno.
Precisiiiina, eh!
Alla prossima, signoore.
EC