Promesse di Melitot Proud Eye (/viewuser.php?uid=1469)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 1 *** I ***
Nota
dell'autrice: sì, ho visto i film di Spiderman;
sì, adoro i primi due; no, non mi piace il terzo (diciamo
che le scene con Harry e Peter sono quelle che si salvano, anche se
avrei preferito che il conflitto si sviluppasse in modo diverso). E
quindi eccomi qui con un paio di flashfic - la seconda in
realtà sarà più lunga. Perché se non provo a rettificare i
finali che detesto non sono contenta ;-p
Spero che anche voi apprezziate. Le frasi d'apertura vengono
dal primo film... trovo significativo che tenere Harry all'oscuro sia
un tema ricorrente.
Disclaimer:
se possedessi i diritti filmografici di Spidey, credete davvero che il
3 sarebbe stato così? E no, non possiedo neanche il fumetto.
Non ne ho letto neanche un decimo, figurarsi... *sta cercando di
rimediare*
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Promesse
I
Un sorriso, bellissimo e colpevole.
«Non dirlo a Harry, va bene?»
Due lame parallele. Sangue.
«...Non dirlo a Harry.»
E non l'ha fatto.
Una volta, un'altra e un'altra ancora, finché non
è stato troppo
tardi.
Peter stringe la mano della figura cui
manca la forza e, chino sul cemento, piange per tutto ciò
che non ha
detto; maledice il giorno in cui ha mantenuto l'impegno. A che
è
servito? Non ha protetto Harry, non ha protetto lui. Non ha protetto
nessuno. Ha solo lasciato che il veleno si spandesse, silenzioso, e
ora...
Potesse tornare indietro, spogliarsi
del costume, delle menzogne, di tutti i maledetti errori che ha
commesso delle sfortune delle responsabilità delle gelosie
– tutto
– oh, quanto volentieri lo farebbe. Lo farebbe con gioia, e
al
diavolo il resto.
Ma è tardi; il destino gli strappa di
nuovo il cuore.
Per quanto io mi sforzi... le
persone che amo–
Un grido gli sale
dal petto ed erompe dalla bocca come un fiotto di sangue. Non vede
più niente, può solo sentire, e il mondo si
riduce a tre cose: il
pianto di Mary Jane, l'alba sulla fronte come un senso di colpa, la
debolezza della mano che tiene.
In qualche modo,
però, il sorriso di Harry travalica le barriere del dolore e
riesce
a raggiungerlo.
«Saranno qui a
momenti» gli sussurra allora, tentando di crederci.
«Resisti.»
Un sospiro
gorgogliante (parole a fior di labbra).
«Troppo tardi,
bello.»
Peter lo afferra
per una spalla, invaso dalla rabbia. O forse è solo
disperazione.
«Ti arrendi così?!
Ti arrendi e basta, Osborn? Non puoi!» Gli si spezza la voce.
«Ci
sono ancora mille cose che dobbiamo dirti! Ho tenuto... troppi
segreti... e voglio...» deglutisce.
«Peter...» fa
Mary Jane, fievole.
«Voglio dirteli
tutti. Dall'inizio. A partire da questo gran casino!»
Indica la maschera
rossa e se stesso con un movimento distratto, ma Harry ha gli occhi
chiusi, non può cogliere il gesto. Peter lo scuote.
«Devi sapere
almeno com'è successo... dubitare, e riderci sopra... dirmi
che sono
uno scemo... perché lo sono. Quindi scordati di morire.
Harry! Sto
parlando con te!»
Sente i pompieri
che allungano le scale, le sirene e i passi dei paramedici sulle
impalcature, fra rottami e mattoni spolverati di sabbia. Stanno
arrivando. Pochi minuti, solo pochi minuti. Ti prego, ti prego ti
prego ti prego.
Vuole scuotere
ancora; vuole urlare; gli viene meno il coraggio.
Harry continua a
sorridere, ma è pallido e grigio come il pavimento su cui
giace, e
il cemento si colora di vita. Peter sente quelle dita fredde
stringere un'ultima volta, deboli – è un perdono,
una scusa, un
incoraggiamento.
Buona fortuna, bello.
«Harry, no–»
L'amore di un
fratello che prosegue dove non possono seguirlo.
Mary Jane nasconde
il viso, china su un'uniforme scura, bagnata e immobile.
No. No...
«Harry!»
Il sole è sorto.
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Capitolo 2 *** II ***
Note:
accidenti, è passato un mucchio di tempo. Mi dispiace di
averci messo così tanto! La shot che vedete qui
sotto era scritta da anni, ma c'era sempre qualcosa che non andava e ho
dovuto prenderne le distanze. Spero che ora sia degna di essere letta
e, soprattutto, comprensibile :S
Non ho dimenticato neanche Fatti,
ma Avengers
continua a catalizzare gran parte della mia attenzione fandomica,
quindi ci vorrà un po', credo.
I paragrafi tutti in corsivo sono flashback.
Buona lettura.
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II
Quando
scopre che lui potrebbe essere
vivo, in mano a qualche pazzo della OsCorp, la prima emozione che
Peter prova è sgomento.
Niente incredulità:
dentro di lui, dopo le sorprese riservategli dalla vita, è
diventata
un'emozione fugace. Eppure dovrebbe sentirla. Fissa la prima pagina
di un vecchio Daily News, immagini di Harry disteso, fiori e
cerimonia e abiti da funerale, e stropiccia la foto indirizzata a
Spiderman. Sembra maledettamente autentica. Mostra un viso familiare,
pieno di colore sotto
le cicatrici.
Dietro sono scribacchiate due righe di malevolo invito.
"L'eredità di
Norman diventerà grande nelle nostre mani e nel suo corpo.
Preparati
a conoscermi."
Peter inveisce
contro il destino che non sa dare pace a Harry e non cessa di
rigirare il coltello nella piaga. Salvo, ma in balìa di uno
squilibrato? (Un altro.) Di nuovo cosciente del mondo, ma vulnerabile
e solo?
Come ho potuto
restarne all'oscuro? Perché ho lasciato che il siero di suo
padre
andasse distrutto senza studiarlo, senza andare più a fondo,
dopo
che Bernard–
Ne aveva avuto
l'opportunità, una volta terminate le indagini e spariti i
poliziotti dalla vecchia villa degli Osborn. Ma è rimasto
inerte,
troppo preso dal proprio dolore, da quello di MJ, dai doveri di una
maschera. E il vero Goblin non è mai tornato. Se avesse
sospettato
un qualche complotto...
Ma sui "se"
non si costruisce un futuro e, al presente, finché non
vedrà e
toccherà con mano anche la vita di Harry sarà un
"se".
Deve ricordarlo, perché ha già abbastanza sensi
di colpa.
Serra i pugni,
sentendo l'adrenalina irrorare ogni tessuto del suo corpo.
Dovrà essere
prudente, dubitare; il suo sesto senso però non lo ha mai
tradito, e
il sangue ribolle. Presto qualcuno sentirà il morso del
ragno.
Andare fiutando intorno agli
stabilimenti della OsCorp non è lavoro facile né
privo di rischi,
ma deve riuscirci e ci riesce. Il pazzo potrebbe nascondersi
lì, da
qualche parte, e la sua vittima merita di esser salvata. Chiunque
sia...
Peter consulta gli elenchi e le
planimetrie rimaste a villa Osborn, campo di battaglia degli eredi (i
lupi del consiglio amministrativo), fra polvere e mobili coperti,
lottando per non lasciar cadere lo sguardo sul drappo che copre quel
divano. Arriva ogni giorno più addentro.
Mary Jane lo aiuta quando ha tempo,
benché non conosca lo scopo esatto delle ricerche.
Non ha avuto il
coraggio di dirglielo.
La tomba è vuota (odore di terra e
di chiuso). Nella bara un manichino pesante, abbigliato senza cura.
Qualcuno ha
preso Harry. Lo stomaco di Peter si rivolta e Spiderman perde
l'equilibrio, inginocchiandosi senza grazia sull'erba umida di
nebbia. Gli tremano le mani; per un attimo, non crede di poter
rimettere tutto a posto.
Poi il mondo
smette di girare e, come già una volta fuori da un
ristorante
distrutto, acquista una nitidezza pungente.
Ora è sicuro,
qualsiasi verità lo attenda alla fine.
E' l'ultimo
capitolo della loro storia – oh, Harry – e lui
leggerà sino in
fondo.
Sa di essere in torto. Sa che
diventerebbe furioso se Mary Jane gli tenesse nascosta una cosa del
genere; ma è già tanto pallida. Il dolore
è recente –
riuscirebbe a sostenere la tensione di quella notizia, del dubbio,
oltre alle preoccupazioni che le causa Spiderman? E poi il colpo di
una delusione, perché il nulla è l'esito
più probabile...
Sì. La risposta è
semplice e Peter la conosce.
Presto, si
promette. Presto glielo dirà.
Così, dopo aver
osato sperare, potrà deporre il cuore spezzato ai suoi piedi
ed
esser consolato dal suo abbraccio.
Al suono
dell'ennesima emergenza, raggiunge la finestra dello studio. Prima di
esser coperti dalla maschera i suoi occhi incontrano quelli oleosi di
Norman Osborn; osserva il vecchio ritratto, invaso da un familiare
senso di odio, tristezza e frustrazione.
«Per quanto si
vada avanti, i problemi che affrontiamo hanno sempre a monte qualche
tua azione» mormora. «Quando ci lascerai in pace,
Goblin? Quando
smetterai di tormentare tuo figlio?»
Giorni dopo, i giornali impazziscono.
"Chimico impazzito si barrica
in stabilimento della OsCorp."
"Storie di
strani esperimenti nelle fabbriche del SETTORE D. La nascita di un
nuovo dottor Jekyll?"
"Il
consiglio d'amministrazione scarica le colpe su Harry Osborn. 'Non ne
sapevamo niente'."
"Missili
puntati sulla City! L'esercito interviene, evacuazione di massa per
New York!"
"Jekyll fa
sul serio. Chiesto riscatto milionario per il disarmo dei missili!"
"Spiderman
interverrà anche questa volta?"
Un invito coi fiocchi. Lo chiamano
Dottor Jekyll, ma non gli si addice. Del resto, nessuno tranne
Spiderman ha idea di cosa stia facendo realmente, e Spiderman ha un
nomignolo più adatto.
Cala su di lui
dall'alto, stringendo le palpebre dietro le lenti.
«Ciao,
Frankenstein. Disturbo?»
Peter osserva le locandine dei
giornali, ascolta tutte le notizie alla radio, perde tempo davanti ai
negozi di elettronica con televisori che trasmettono aggiornamenti.
E ne sa già più di loro. Sì, Spiderman
interverrà. Con
motivazione anche maggiore del solito.
Prende Mary Jane
da parte, respira a fondo.
«MJ, avrò
bisogno del tuo aiuto.»
Le lacrime che
lei versa sono di speranza dolorosa. Gli danno forza.
Il tizio che ha sorpreso nel bunker è
curvo e rinsecchito, con grandi occhi itterici e pinze poco
rassicuranti che spuntano dalle tasche del camice. Peter gli penzola
davanti, a testa in giù, mantenendo la distanza minima di
sicurezza.
«Era aperto, così
sono entrato.»
Secerne un filo di
ragnatela, mirando alle braccia e al torso dell'uomo. Pensato, fatto:
la minaccia che grava sulla città è neutralizzata.
O no.
Incredibilmente, la seta sfrigola come se ci avessero spruzzato sopra
dell'acido, sfilacciandosi.
«Spiderman, che
piacere conoscerti» dice il vecchio. «Utile, vero?
Ho imbevuto i
miei vestiti di una soluzione particolare. Grazie per avermi aiutato
a testarla, e... attento a non esaurire la tela.»
Come pensava, era
atteso.
«Cosa vuoi da me,
Frankenstein? Disattiva quei missili, se non vuoi far venire un colpo
al sindaco!»
«Oh, non così in
fretta. Prima voglio fare due chiacchiere.»
Prima che Peter
possa reagire, una specie di provetta gli esplode in faccia,
spandendo puzzo di zolfo.
Evita il peggio per
una frazione di secondo: scarta, spicca un balzo e, contorcendosi, si
attacca all'angolo più lontano del soffitto (che,
appartenendo a un
bunker, non è abbastanza alto da metterlo a suo agio).
«Hey, non sai che
è maleducazione interrompere chi sta parlando?»
Il vecchio ride,
secco, roteando i bulbi oculari mentre riempie una siringa.
«Sì,
sì, molto simpatico. Ma ora passiamo alle cose
serie.»
Oh, eccome.
Peter lo studia,
muovendosi in modo irregolare per non essere un bersaglio troppo
facile; quello, ormai è chiaro, è un nonnetto con
troppe energie
per la sua età. Qual è il trucco?
Tanto per
cominciare, dovrebbe mirare alle gambe e togliergli
mobilità. Poi,
vai con una bella botta in testa (se funziona.)
Ma non riesce a
concentrarsi. C'è un pensiero che gli ronza e ronza in
testa,
coprendo tutto il resto.
«Cos'hai fatto a
Harry Osborn? Come hai osato profanare la sua tomba?»
E come sapeva
Frankenstein che il suo primo, fotografico messaggio lo avrebbe
interessato? Quest'uomo non può conoscere la sua vera
identità; per
lui come per tutti, fra Spiderman e l'ultimo degli Osborn
c'è stato
solo odio.
«Tu e il giovane
Osborn» dice lo scienziato, sbavando mentre un tremore
improvviso
gli smozzica le parole, ma continuando a manovrare la
siringa-proiettile con mani straordinariamente ferme, «siete
creature affascinanti. Oh, anche suo padre lo era... peccato che
fosse morto da troppo, quando sono stato pronto.»
«Pronto in che
senso?»
Peter sente un
sudore freddo attraversare la stoffa del suo costume e scivolargli
lungo i fianchi. Ogni istinto gli grida di muoversi, ma ci sono
ancora delle cose che vuole sentire. Cinque minuti la città
può
aspettarli.
«Anche la tomba di
Norman...?»
Frankenstein
sembra scuotersi. «Che? Oh, no. Con lui non ho neanche
tentato. Quel
suo figliolo sembrava un segugio, tanta sicurezza ci ha piazzato
intorno – sperando di beccare te.» Posa la
becchetta dalla quale
ha attinto e svita l'ago della siringa, gettandolo in un gestino
rivestito di plastica. I suoi movimenti possiedono l'efficienza
dell'abitudine e Peter non è poi così sicuro che
non lo tenga
d'occhio.
Senza farsi notare,
testa la presa delle dita sull'intonaco.
«Non hai tentato
cosa?»
Dalle tasche del
vecchio spunta un'altra siringa.
«Devi sapere,
Spiderman, che io lavoro qui da quasi sessant'anni.» E'
discorsivo;
si toglie un pelo dalla lingua. «Sempre dietro le quinte. In
poche
parole, sono uno dei tanti segreti della OsCorp Industries. E certi
segreti tendono a conoscersi l'un l'altro... a generarsi l'un
l'altro.» Solleva una provetta di liquido giallo e sorride,
fissando
Peter con un ghigno grottesco. «Sono stato io
a sviluppare il
prototipo degli incrementatori di potenza. Io li ho
migliorati, e sempre io ho sabotato la loro messa
in
sicurezza. Norman era un discreto uomo di scienza, ma aveva
più
genio per gli affari che per la biologia. Non potevo permettere che
eliminasse i componenti fondamentali solo per concludere una vendita
facile.»
«Fondamentali»
esclama Peter «per creare rabbia e pazzia?»
Quell'uomo è fuori
di testa. (E quando non li sono?)
Frankenstein
continua come se non avesse parlato. «Quando quell'idiota di
Stromm
ha detto che bisognava tornare alla fase di ricerca, avrei voluto
strangolarlo. Per quante arie da gran luminari si dessero i miei
colleghi, nessuno di loro aveva capito un accidente. Non si fidavano
del mio talento, del mio lavoro.»
«E con ottime
ragioni, direi.»
Un altro sogghigno.
«Non ho mai potuto ringraziare il signor Osborn per avermeli
levati
di torno. O per aver cambiato idea in extremis.»
La nuova siringa
aspira liquido azzurro che, mescolandosi al giallognolo del primo,
assume un familiare tono verde acido. Peter sente tutti i peli
rizzarglisi sul corpo. Salta via, temendo un tiro mancino, ma
Frankenstein si limita a irrigidirsi. La sua voce si fa tagliente.
«Ah, sì.
Poi si è dato alle mascherate notturne e non è
più tornato nei
laboratori, dove avrei potuto completare l'opera. "Aiutarlo",
diresti tu.»
Aiutarlo come?
Mio Dio...
«Cos'è veramente
l'incrementatore di potenza?» chiede Peter.
E' vero, pensa. Sta
succedendo davvero.
Via un altro ago.
Gli angoli della bocca nodosa si incurvano. «Svelto, dotato e
intelligente, Spiderman. Del resto, basta guardarti: sei un essere
eccezionale. Ti ho desiderato sotto i miei ferri dal giorno stesso in
cui sei apparso.»
Frankenstein fruga
in una tasca interna del camice, mentre Peter ricorda una voce
metallica adularlo con parole simili.
«Pensa a cosa
potremmo creare insieme: tu col tuo sangue, i tuoi geni, io con
l'esperienza e l'intuito preciso che innerva i calcoli della scienza
biochimica! Ho sognato, Spiderman... aspettato, pianificato ben oltre
gli incrementatori... immagina quindi la mia gioia nello scoprire
che, in qualche modo, tu e il giovane Harry eravate legati!»
Un altro tuffo al
cuore.
«Quando si dice–»
«Dove l'hai
portato?»
«–prendere due
piccioni con una fava!»
Nelle mani di
Frankenstein è comparsa una pistola che non lascia molto
all'immaginazione: va caricata a proiettili speciali, in questo caso
dosi di incrementatore (se lo è) sotto vetro. Ce
n'è già uno in
canna.
Il pensiero
equivale all'azione, per Peter. Salta e – dove prima c'era la
sua
coscia sinistra – esplode un colpo che lascia l'intonaco
fumante.
Bene, non mi
vuole morto. Forse.
«Hey, nonno!»
esclama, avviluppandogli il braccio pericoloso in un getto di
ragnatela. «Non ti hanno detto che alla tua età si
deve stare in
poltrona davanti al caminetto? Metti giù quella roba, prima
di far
male a qualcuno!»
«Non preoccuparti,
una dose è innocua, per uno come te. Ti calmerà
soltanto.»
La ragnatela cede
facilmente, ma Peter non dà tempo a Frankenstein di
riprendersi.
Mira al suo volto, poi di nuovo alle braccia e alle gambe. Deve
dargli credito, è un tipo energico: con l'aiuto dell'acido,
riesce a
liberare di nuovo una mano e a recuperare una bombola, spruzzandogli
contro un getto di gas.
Colpito in piena
spalla. Gli effetti narcotici sono immediati e Peter sente i muscoli
rilassarsi, smettere di sostenerlo.
«Merda!»
Con l'arto rimasto
mobile, appiccica e scaglia lontano la bombola – la incolla
al
soffitto. Poi salta a terra. Quando è troppo è
troppo.
Imbozzola
Frankenstein come farebbe un vero ragno con una mosca, in
un'emissione continua di tela, lasciandogli libera solo la testa. E'
faticoso, soprattutto con una ghiandola sola, ma funziona. Poco dopo
blocca il vecchio a terra con un tavolo.
Nell'aria si alzano
fili di fumo puzzolente.
Peter si accorge di
tremare. Cos'era quel maledetto gas?
«E' finita, Frank.
Dimmi come disinnescare i missili.»
«Liberami, stupido
ragazzo! Tu non capisci!»
«Silenzio»
intima, incombendo su di lui. «Puoi ancora rimediare alla
situazione, vecchio pazzo. Indicami il congegno prima che arrivino
gli artificieri e, forse, finirai in un reparto geriatrico di
sicurezza a vita, invece di marcire in galera per il resto dei tuoi
giorni.» Che – a giudicare dal suo aspetto
– non devono essere
molti. «E dimmi dov'è Harry.»
(E' vero.)
In realtà sa dove
sono i generatori, gliel'hanno detto le planimetrie rubate dagli
uffici della OsCorp; ma non vuole spegnerli. Qualcosa gli dice che
potrebbero esserci macchinari medici in funzione, respiratori che non
devono fermarsi.
«Quello che
possono fare i miei incrementatori...!» vaneggia lo
scienziato. «Un
esercito che non muore mai!»
Dentro di sé,
Peter sente una corda spezzarsi. In sottofondo gridano le prime
sirene della polizia: stanno oltrepassando i cancelli. Devono esserci
anche gli artificieri e forse, per quella volta, può far
lavorare
loro.
Ottimo tempismo,
MJ.
«I tuoi sieri sono
solo porcheria. Hanno rovinato la vita a migliaia di persone, con
Goblin.»
«Ah... ahahah.»
La risata si prolunga, singhiozza, muore in un respiro asmatico.
«Davvero? Ma se avessero salvato la vita di una che ti
è cara?
Forse saresti più incline al perdono, ragno. Si sa che gli
assoluti
si smussano, quando sono coinvolte persone che ci stanno a cuore.
Anche la morale degli eroi ha zone grigie.» Frankenstein
cerca di
muoversi, senza smettere di sogghignare. «La gratitudine
degli eroi
può essere comprata, se il cattivo mira al bersaglio giusto.
O
sbaglio?»
«Io e Harry Osborn
ci conosciamo solo di nome.»
Deve fare presto.
«Davvero?»
«Tu non otterrai
niente da me. Né oggi né mai.»
«Può darsi»
commenta lo scienziato, roteando gli occhi gialli e bulbosi.
«Ma tu
sarai roso dal dubbio... guarderai il "cattivo" in modo
diverso. Penserai: e se questo pazzo fosse in grado di aiutarli?
Guarirli, proteggerli?»
Peter lo mette
fuori combattimento. Troverà Harry da solo.
E' scosso, è in collera. Vuole correre
ma non ne ha la forza.
Il braccio colpito dal gas formicola; i
corridoi si confondono l'un l'altro, si evolvono e convolvono in un
labirinto che lui sa in realtà esser breve. E' sicuro che si
successo qualcosa d'importante, là dentro con Frankenstein
–
qualcosa cui pensare; ma non ora.
Oltrepassa una
porta e, all'improvviso, i suoni di apparecchiature mediche
abbandonano il sottofondo per investirlo, forti come il clamore di
una folla. Esita. Poi gira la testa.
Al centro della
stanza c'è un lettino, poco più di una branda a
rotelle, con ganci
e bulloni per regolatori, tubi e sacche IV a circondarlo come una
giungla di liane. Lo sguardo di Peter scorre su monitor, carrelli,
cassettiere da terra e da muro, tastiere e computer e muri tanto
bianchi da essere accecanti. L'ambiente ha un sapore ospedaliero nel
senso militare del termine. Il regolare bip-bip di un battito
cardiaco si mescola a una miriade di altri suoni, regolari e
fastidiosi.
Peter è conscio di
tutto, ma sente solo quel battito tenace; vede solo il volto
dell'uomo disteso.
E non riesce a
credere che sia stata data loro una seconda possibilità.
«Harry...»
Vivo. Vivo.
Aveva ragione.
Frankenstein c'è
riuscito.
E' un miracolo,
un'aberrazione di scienza mutata in giustizia, e Peter deve
aggrapparsi alle barre metalliche della branda per non sbandare.
Lento, protende un
braccio e tocca la fronte dell'amico, chiedendosi se sia in coma; se
i medici che stanno arrivando e l'ospedale dove lo porteranno saranno
in grado di aiutarlo. Viene preso dall'ansia. Il miracolo è
tutt'altro che sicuro, e prova per lo scienziato pazzo un misto di
odio e rispetto.
Nel guardarsi
intorno, nota finalmente i plichi di analisi e appunti riposti vicino
all'ingresso, su un carrellino grigio. Ci sono anche un computer
miniaturizzato, siringhe, dosatori e guanti in lattice che paiono
intoccati da tempo. Si stacca dal letto per frugare, vedendo
confermati i suoi sospetti. Riguardano le condizioni di un paziente
sottoposto prima agli effetti degli incrementatori, poi alla
rivitalizzazione mediante siero complementare.
Mio Dio.
«Peter...?»
Si gira di scatto.
La voce è flebile ma inconfondibile.
Come stai? Da
quanto sei qui? Cosa ti ha fatto? Resisti, saranno qui a
momenti–quanto ci sei mancato–non riesco a
credere–impossibile–io...
Vorrebbe dire tutte
queste e mille altre cose, tutte in una volta. Ma prima che gli si
chiuda la gola riesce a pronunciare solo il suo nome.
D'improvviso,
ricorda un momento simile, fatto di alba, cemento e sangue. La
somiglianza lo nausea. Si toglie la maschera.
Harry sorride e il
suo viso sfigurato, pallido, è la cosa più bella
che Spiderman
abbia visto da qui a un po' di tempo.
«Sei venuto.»
«Sì... sì,
Harry. E giuro su Dio, stavolta sarò io a proteggere
te.»
Fuori dal bunker
sorge un'altra alba.
end
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