Promesse

di Melitot Proud Eye
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** I ***


Nota dell'autrice: sì, ho visto i film di Spiderman; sì, adoro i primi due; no, non mi piace il terzo (diciamo che le scene con Harry e Peter sono quelle che si salvano, anche se avrei preferito che il conflitto si sviluppasse in modo diverso). E quindi eccomi qui con un paio di flashfic - la seconda in realtà sarà più lunga. Perché se non provo a rettificare i finali che detesto non sono contenta ;-p
Spero che anche voi apprezziate.  Le frasi d'apertura vengono dal primo film... trovo significativo che tenere Harry all'oscuro sia un tema ricorrente.
Disclaimer: se possedessi i diritti filmografici di Spidey, credete davvero che il 3 sarebbe stato così? E no, non possiedo neanche il fumetto. Non ne ho letto neanche un decimo, figurarsi... *sta cercando di rimediare*

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Promesse


I


Un sorriso, bellissimo e colpevole.
«Non dirlo a Harry, va bene?»

Due lame parallele. Sangue.
«...Non dirlo a Harry.»

E non l'ha fatto. Una volta, un'altra e un'altra ancora, finché non è stato troppo tardi.
Peter stringe la mano della figura cui manca la forza e, chino sul cemento, piange per tutto ciò che non ha detto; maledice il giorno in cui ha mantenuto l'impegno. A che è servito? Non ha protetto Harry, non ha protetto lui. Non ha protetto nessuno. Ha solo lasciato che il veleno si spandesse, silenzioso, e ora...
Potesse tornare indietro, spogliarsi del costume, delle menzogne, di tutti i maledetti errori che ha commesso delle sfortune delle responsabilità delle gelosie – tutto – oh, quanto volentieri lo farebbe. Lo farebbe con gioia, e al diavolo il resto.
Ma è tardi; il destino gli strappa di nuovo il cuore.
Per quanto io mi sforzi... le persone che amo–
Un grido gli sale dal petto ed erompe dalla bocca come un fiotto di sangue. Non vede più niente, può solo sentire, e il mondo si riduce a tre cose: il pianto di Mary Jane, l'alba sulla fronte come un senso di colpa, la debolezza della mano che tiene.
In qualche modo, però, il sorriso di Harry travalica le barriere del dolore e riesce a raggiungerlo.
«Saranno qui a momenti» gli sussurra allora, tentando di crederci. «Resisti.»
Un sospiro gorgogliante (parole a fior di labbra).
«Troppo tardi, bello.»
Peter lo afferra per una spalla, invaso dalla rabbia. O forse è solo disperazione.
«Ti arrendi così?! Ti arrendi e basta, Osborn? Non puoi!» Gli si spezza la voce. «Ci sono ancora mille cose che dobbiamo dirti! Ho tenuto... troppi segreti... e voglio...» deglutisce.
«Peter...» fa Mary Jane, fievole.
«Voglio dirteli tutti. Dall'inizio. A partire da questo gran casino!»
Indica la maschera rossa e se stesso con un movimento distratto, ma Harry ha gli occhi chiusi, non può cogliere il gesto. Peter lo scuote.
«Devi sapere almeno com'è successo... dubitare, e riderci sopra... dirmi che sono uno scemo... perché lo sono. Quindi scordati di morire. Harry! Sto parlando con te!»
Sente i pompieri che allungano le scale, le sirene e i passi dei paramedici sulle impalcature, fra rottami e mattoni spolverati di sabbia. Stanno arrivando. Pochi minuti, solo pochi minuti. Ti prego, ti prego ti prego ti prego.
Vuole scuotere ancora; vuole urlare; gli viene meno il coraggio.
Harry continua a sorridere, ma è pallido e grigio come il pavimento su cui giace, e il cemento si colora di vita. Peter sente quelle dita fredde stringere un'ultima volta, deboli – è un perdono, una scusa, un incoraggiamento.
Buona fortuna, bello.
«Harry, no–»
L'amore di un fratello che prosegue dove non possono seguirlo.
Mary Jane nasconde il viso, china su un'uniforme scura, bagnata e immobile.
No. No...
«Harry

Il sole è sorto.

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Capitolo 2
*** II ***


Note: accidenti, è passato un mucchio di tempo. Mi dispiace di averci messo così tanto! La shot che vedete qui sotto era scritta da anni, ma c'era sempre qualcosa che non andava e ho dovuto prenderne le distanze. Spero che ora sia degna di essere letta e, soprattutto, comprensibile :S
Non ho dimenticato neanche Fatti, ma Avengers continua a catalizzare gran parte della mia attenzione fandomica, quindi ci vorrà un po', credo.

I paragrafi tutti in corsivo sono flashback.
Buona lettura.
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II




Quando scopre che lui potrebbe essere vivo, in mano a qualche pazzo della OsCorp, la prima emozione che Peter prova è sgomento.
Niente incredulità: dentro di lui, dopo le sorprese riservategli dalla vita, è diventata un'emozione fugace. Eppure dovrebbe sentirla. Fissa la prima pagina di un vecchio Daily News, immagini di Harry disteso, fiori e cerimonia e abiti da funerale, e stropiccia la foto indirizzata a Spiderman. Sembra maledettamente autentica. Mostra un viso familiare, pieno di colore sotto le cicatrici. Dietro sono scribacchiate due righe di malevolo invito.
"L'eredità di Norman diventerà grande nelle nostre mani e nel suo corpo. Preparati a conoscermi."
Peter inveisce contro il destino che non sa dare pace a Harry e non cessa di rigirare il coltello nella piaga. Salvo, ma in balìa di uno squilibrato? (Un altro.) Di nuovo cosciente del mondo, ma vulnerabile e solo?
Come ho potuto restarne all'oscuro? Perché ho lasciato che il siero di suo padre andasse distrutto senza studiarlo, senza andare più a fondo, dopo che Bernard–
Ne aveva avuto l'opportunità, una volta terminate le indagini e spariti i poliziotti dalla vecchia villa degli Osborn. Ma è rimasto inerte, troppo preso dal proprio dolore, da quello di MJ, dai doveri di una maschera. E il vero Goblin non è mai tornato. Se avesse sospettato un qualche complotto...
Ma sui "se" non si costruisce un futuro e, al presente, finché non vedrà e toccherà con mano anche la vita di Harry sarà un "se". Deve ricordarlo, perché ha già abbastanza sensi di colpa.
Serra i pugni, sentendo l'adrenalina irrorare ogni tessuto del suo corpo.
Dovrà essere prudente, dubitare; il suo sesto senso però non lo ha mai tradito, e il sangue ribolle. Presto qualcuno sentirà il morso del ragno.

Andare fiutando intorno agli stabilimenti della OsCorp non è lavoro facile né privo di rischi, ma deve riuscirci e ci riesce. Il pazzo potrebbe nascondersi lì, da qualche parte, e la sua vittima merita di esser salvata. Chiunque sia...
Peter consulta gli elenchi e le planimetrie rimaste a villa Osborn, campo di battaglia degli eredi (i lupi del consiglio amministrativo), fra polvere e mobili coperti, lottando per non lasciar cadere lo sguardo sul drappo che copre quel divano. Arriva ogni giorno più addentro.
Mary Jane lo aiuta quando ha tempo, benché non conosca lo scopo esatto delle ricerche.
Non ha avuto il coraggio di dirglielo.

La tomba è vuota (odore di terra e di chiuso). Nella bara un manichino pesante, abbigliato senza cura.
Qualcuno ha preso Harry. Lo stomaco di Peter si rivolta e Spiderman perde l'equilibrio, inginocchiandosi senza grazia sull'erba umida di nebbia. Gli tremano le mani; per un attimo, non crede di poter rimettere tutto a posto.
Poi il mondo smette di girare e, come già una volta fuori da un ristorante distrutto, acquista una nitidezza pungente.
Ora è sicuro, qualsiasi verità lo attenda alla fine.
E' l'ultimo capitolo della loro storia – oh, Harry – e lui leggerà sino in fondo.

Sa di essere in torto. Sa che diventerebbe furioso se Mary Jane gli tenesse nascosta una cosa del genere; ma è già tanto pallida. Il dolore è recente – riuscirebbe a sostenere la tensione di quella notizia, del dubbio, oltre alle preoccupazioni che le causa Spiderman? E poi il colpo di una delusione, perché il nulla è l'esito più probabile...
Sì. La risposta è semplice e Peter la conosce.
Presto, si promette. Presto glielo dirà.
Così, dopo aver osato sperare, potrà deporre il cuore spezzato ai suoi piedi ed esser consolato dal suo abbraccio.
Al suono dell'ennesima emergenza, raggiunge la finestra dello studio. Prima di esser coperti dalla maschera i suoi occhi incontrano quelli oleosi di Norman Osborn; osserva il vecchio ritratto, invaso da un familiare senso di odio, tristezza e frustrazione.
«Per quanto si vada avanti, i problemi che affrontiamo hanno sempre a monte qualche tua azione» mormora. «Quando ci lascerai in pace, Goblin? Quando smetterai di tormentare tuo figlio?»

Giorni dopo, i giornali impazziscono.
"Chimico impazzito si barrica in stabilimento della OsCorp."
"Storie di strani esperimenti nelle fabbriche del SETTORE D. La nascita di un nuovo dottor Jekyll?"
"Il consiglio d'amministrazione scarica le colpe su Harry Osborn. 'Non ne sapevamo niente'."

"Missili puntati sulla City! L'esercito interviene, evacuazione di massa per New York!"

"Jekyll fa sul serio. Chiesto riscatto milionario per il disarmo dei missili!"

"Spiderman interverrà anche questa volta?"

Un invito coi fiocchi. Lo chiamano Dottor Jekyll, ma non gli si addice. Del resto, nessuno tranne Spiderman ha idea di cosa stia facendo realmente, e Spiderman ha un nomignolo più adatto.
Cala su di lui dall'alto, stringendo le palpebre dietro le lenti.
«Ciao, Frankenstein. Disturbo?»

Peter osserva le locandine dei giornali, ascolta tutte le notizie alla radio, perde tempo davanti ai negozi di elettronica con televisori che trasmettono aggiornamenti. E ne sa già più di loro. Sì, Spiderman interverrà. Con motivazione anche maggiore del solito.
Prende Mary Jane da parte, respira a fondo.
«MJ, avrò bisogno del tuo aiuto.»
Le lacrime che lei versa sono di speranza dolorosa. Gli danno forza.

Il tizio che ha sorpreso nel bunker è curvo e rinsecchito, con grandi occhi itterici e pinze poco rassicuranti che spuntano dalle tasche del camice. Peter gli penzola davanti, a testa in giù, mantenendo la distanza minima di sicurezza.
«Era aperto, così sono entrato.»
Secerne un filo di ragnatela, mirando alle braccia e al torso dell'uomo. Pensato, fatto: la minaccia che grava sulla città è neutralizzata.
O no. Incredibilmente, la seta sfrigola come se ci avessero spruzzato sopra dell'acido, sfilacciandosi.
«Spiderman, che piacere conoscerti» dice il vecchio. «Utile, vero? Ho imbevuto i miei vestiti di una soluzione particolare. Grazie per avermi aiutato a testarla, e... attento a non esaurire la tela.»
Come pensava, era atteso.
«Cosa vuoi da me, Frankenstein? Disattiva quei missili, se non vuoi far venire un colpo al sindaco!»
«Oh, non così in fretta. Prima voglio fare due chiacchiere.»
Prima che Peter possa reagire, una specie di provetta gli esplode in faccia, spandendo puzzo di zolfo.
Evita il peggio per una frazione di secondo: scarta, spicca un balzo e, contorcendosi, si attacca all'angolo più lontano del soffitto (che, appartenendo a un bunker, non è abbastanza alto da metterlo a suo agio).
«Hey, non sai che è maleducazione interrompere chi sta parlando?»
Il vecchio ride, secco, roteando i bulbi oculari mentre riempie una siringa. «Sì, sì, molto simpatico. Ma ora passiamo alle cose serie.»
Oh, eccome.
Peter lo studia, muovendosi in modo irregolare per non essere un bersaglio troppo facile; quello, ormai è chiaro, è un nonnetto con troppe energie per la sua età. Qual è il trucco?
Tanto per cominciare, dovrebbe mirare alle gambe e togliergli mobilità. Poi, vai con una bella botta in testa (se funziona.)
Ma non riesce a concentrarsi. C'è un pensiero che gli ronza e ronza in testa, coprendo tutto il resto.
«Cos'hai fatto a Harry Osborn? Come hai osato profanare la sua tomba?»
E come sapeva Frankenstein che il suo primo, fotografico messaggio lo avrebbe interessato? Quest'uomo non può conoscere la sua vera identità; per lui come per tutti, fra Spiderman e l'ultimo degli Osborn c'è stato solo odio.
«Tu e il giovane Osborn» dice lo scienziato, sbavando mentre un tremore improvviso gli smozzica le parole, ma continuando a manovrare la siringa-proiettile con mani straordinariamente ferme, «siete creature affascinanti. Oh, anche suo padre lo era... peccato che fosse morto da troppo, quando sono stato pronto.»
«Pronto in che senso
Peter sente un sudore freddo attraversare la stoffa del suo costume e scivolargli lungo i fianchi. Ogni istinto gli grida di muoversi, ma ci sono ancora delle cose che vuole sentire. Cinque minuti la città può aspettarli.
«Anche la tomba di Norman...?»
Frankenstein sembra scuotersi. «Che? Oh, no. Con lui non ho neanche tentato. Quel suo figliolo sembrava un segugio, tanta sicurezza ci ha piazzato intorno – sperando di beccare te.» Posa la becchetta dalla quale ha attinto e svita l'ago della siringa, gettandolo in un gestino rivestito di plastica. I suoi movimenti possiedono l'efficienza dell'abitudine e Peter non è poi così sicuro che non lo tenga d'occhio.
Senza farsi notare, testa la presa delle dita sull'intonaco.
«Non hai tentato cosa
Dalle tasche del vecchio spunta un'altra siringa.
«Devi sapere, Spiderman, che io lavoro qui da quasi sessant'anni.» E' discorsivo; si toglie un pelo dalla lingua. «Sempre dietro le quinte. In poche parole, sono uno dei tanti segreti della OsCorp Industries. E certi segreti tendono a conoscersi l'un l'altro... a generarsi l'un l'altro.» Solleva una provetta di liquido giallo e sorride, fissando Peter con un ghigno grottesco. «Sono stato io a sviluppare il prototipo degli incrementatori di potenza. Io li ho migliorati, e sempre io ho sabotato la loro messa in sicurezza. Norman era un discreto uomo di scienza, ma aveva più genio per gli affari che per la biologia. Non potevo permettere che eliminasse i componenti fondamentali solo per concludere una vendita facile.»
«Fondamentali» esclama Peter «per creare rabbia e pazzia?»
Quell'uomo è fuori di testa. (E quando non li sono?)
Frankenstein continua come se non avesse parlato. «Quando quell'idiota di Stromm ha detto che bisognava tornare alla fase di ricerca, avrei voluto strangolarlo. Per quante arie da gran luminari si dessero i miei colleghi, nessuno di loro aveva capito un accidente. Non si fidavano del mio talento, del mio lavoro.»
«E con ottime ragioni, direi.»
Un altro sogghigno. «Non ho mai potuto ringraziare il signor Osborn per avermeli levati di torno. O per aver cambiato idea in extremis
La nuova siringa aspira liquido azzurro che, mescolandosi al giallognolo del primo, assume un familiare tono verde acido. Peter sente tutti i peli rizzarglisi sul corpo. Salta via, temendo un tiro mancino, ma Frankenstein si limita a irrigidirsi. La sua voce si fa tagliente.
«Ah, . Poi si è dato alle mascherate notturne e non è più tornato nei laboratori, dove avrei potuto completare l'opera. "Aiutarlo", diresti tu.»
Aiutarlo come? Mio Dio...
«Cos'è veramente l'incrementatore di potenza?» chiede Peter.
E' vero, pensa. Sta succedendo davvero.
Via un altro ago. Gli angoli della bocca nodosa si incurvano. «Svelto, dotato e intelligente, Spiderman. Del resto, basta guardarti: sei un essere eccezionale. Ti ho desiderato sotto i miei ferri dal giorno stesso in cui sei apparso.»
Frankenstein fruga in una tasca interna del camice, mentre Peter ricorda una voce metallica adularlo con parole simili.
«Pensa a cosa potremmo creare insieme: tu col tuo sangue, i tuoi geni, io con l'esperienza e l'intuito preciso che innerva i calcoli della scienza biochimica! Ho sognato, Spiderman... aspettato, pianificato ben oltre gli incrementatori... immagina quindi la mia gioia nello scoprire che, in qualche modo, tu e il giovane Harry eravate legati!»
Un altro tuffo al cuore.
«Quando si dice–»
«Dove l'hai portato
«–prendere due piccioni con una fava!»
Nelle mani di Frankenstein è comparsa una pistola che non lascia molto all'immaginazione: va caricata a proiettili speciali, in questo caso dosi di incrementatore (se lo è) sotto vetro. Ce n'è già uno in canna.
Il pensiero equivale all'azione, per Peter. Salta e – dove prima c'era la sua coscia sinistra – esplode un colpo che lascia l'intonaco fumante.
Bene, non mi vuole morto. Forse.
«Hey, nonno!» esclama, avviluppandogli il braccio pericoloso in un getto di ragnatela. «Non ti hanno detto che alla tua età si deve stare in poltrona davanti al caminetto? Metti giù quella roba, prima di far male a qualcuno!»
«Non preoccuparti, una dose è innocua, per uno come te. Ti calmerà soltanto.»
La ragnatela cede facilmente, ma Peter non dà tempo a Frankenstein di riprendersi. Mira al suo volto, poi di nuovo alle braccia e alle gambe. Deve dargli credito, è un tipo energico: con l'aiuto dell'acido, riesce a liberare di nuovo una mano e a recuperare una bombola, spruzzandogli contro un getto di gas.
Colpito in piena spalla. Gli effetti narcotici sono immediati e Peter sente i muscoli rilassarsi, smettere di sostenerlo.
«Merda!»
Con l'arto rimasto mobile, appiccica e scaglia lontano la bombola – la incolla al soffitto. Poi salta a terra. Quando è troppo è troppo.
Imbozzola Frankenstein come farebbe un vero ragno con una mosca, in un'emissione continua di tela, lasciandogli libera solo la testa. E' faticoso, soprattutto con una ghiandola sola, ma funziona. Poco dopo blocca il vecchio a terra con un tavolo.
Nell'aria si alzano fili di fumo puzzolente.
Peter si accorge di tremare. Cos'era quel maledetto gas?
«E' finita, Frank. Dimmi come disinnescare i missili.»
«Liberami, stupido ragazzo! Tu non capisci!»
«Silenzio» intima, incombendo su di lui. «Puoi ancora rimediare alla situazione, vecchio pazzo. Indicami il congegno prima che arrivino gli artificieri e, forse, finirai in un reparto geriatrico di sicurezza a vita, invece di marcire in galera per il resto dei tuoi giorni.» Che – a giudicare dal suo aspetto – non devono essere molti. «E dimmi dov'è Harry
(E' vero.)
In realtà sa dove sono i generatori, gliel'hanno detto le planimetrie rubate dagli uffici della OsCorp; ma non vuole spegnerli. Qualcosa gli dice che potrebbero esserci macchinari medici in funzione, respiratori che non devono fermarsi.
«Quello che possono fare i miei incrementatori...!» vaneggia lo scienziato. «Un esercito che non muore mai!»
Dentro di sé, Peter sente una corda spezzarsi. In sottofondo gridano le prime sirene della polizia: stanno oltrepassando i cancelli. Devono esserci anche gli artificieri e forse, per quella volta, può far lavorare loro.
Ottimo tempismo, MJ.
«I tuoi sieri sono solo porcheria. Hanno rovinato la vita a migliaia di persone, con Goblin.»
«Ah... ahahah.» La risata si prolunga, singhiozza, muore in un respiro asmatico. «Davvero? Ma se avessero salvato la vita di una che ti è cara? Forse saresti più incline al perdono, ragno. Si sa che gli assoluti si smussano, quando sono coinvolte persone che ci stanno a cuore. Anche la morale degli eroi ha zone grigie.» Frankenstein cerca di muoversi, senza smettere di sogghignare. «La gratitudine degli eroi può essere comprata, se il cattivo mira al bersaglio giusto. O sbaglio?»
«Io e Harry Osborn ci conosciamo solo di nome.»
Deve fare presto.
«Davvero?»
«Tu non otterrai niente da me. Né oggi né mai.»
«Può darsi» commenta lo scienziato, roteando gli occhi gialli e bulbosi. «Ma tu sarai roso dal dubbio... guarderai il "cattivo" in modo diverso. Penserai: e se questo pazzo fosse in grado di aiutarli? Guarirli, proteggerli?»
Peter lo mette fuori combattimento. Troverà Harry da solo.

E' scosso, è in collera. Vuole correre ma non ne ha la forza.
Il braccio colpito dal gas formicola; i corridoi si confondono l'un l'altro, si evolvono e convolvono in un labirinto che lui sa in realtà esser breve. E' sicuro che si successo qualcosa d'importante, là dentro con Frankenstein – qualcosa cui pensare; ma non ora.
Oltrepassa una porta e, all'improvviso, i suoni di apparecchiature mediche abbandonano il sottofondo per investirlo, forti come il clamore di una folla. Esita. Poi gira la testa.
Al centro della stanza c'è un lettino, poco più di una branda a rotelle, con ganci e bulloni per regolatori, tubi e sacche IV a circondarlo come una giungla di liane. Lo sguardo di Peter scorre su monitor, carrelli, cassettiere da terra e da muro, tastiere e computer e muri tanto bianchi da essere accecanti. L'ambiente ha un sapore ospedaliero nel senso militare del termine. Il regolare bip-bip di un battito cardiaco si mescola a una miriade di altri suoni, regolari e fastidiosi.
Peter è conscio di tutto, ma sente solo quel battito tenace; vede solo il volto dell'uomo disteso.
E non riesce a credere che sia stata data loro una seconda possibilità.
«Harry...»
Vivo. Vivo. Aveva ragione.
Frankenstein c'è riuscito.
E' un miracolo, un'aberrazione di scienza mutata in giustizia, e Peter deve aggrapparsi alle barre metalliche della branda per non sbandare.
Lento, protende un braccio e tocca la fronte dell'amico, chiedendosi se sia in coma; se i medici che stanno arrivando e l'ospedale dove lo porteranno saranno in grado di aiutarlo. Viene preso dall'ansia. Il miracolo è tutt'altro che sicuro, e prova per lo scienziato pazzo un misto di odio e rispetto.
Nel guardarsi intorno, nota finalmente i plichi di analisi e appunti riposti vicino all'ingresso, su un carrellino grigio. Ci sono anche un computer miniaturizzato, siringhe, dosatori e guanti in lattice che paiono intoccati da tempo. Si stacca dal letto per frugare, vedendo confermati i suoi sospetti. Riguardano le condizioni di un paziente sottoposto prima agli effetti degli incrementatori, poi alla rivitalizzazione mediante siero complementare.
Mio Dio.
«Peter...?»
Si gira di scatto. La voce è flebile ma inconfondibile.
Come stai? Da quanto sei qui? Cosa ti ha fatto? Resisti, saranno qui a momenti–quanto ci sei mancato–non riesco a credere–impossibile–io...
Vorrebbe dire tutte queste e mille altre cose, tutte in una volta. Ma prima che gli si chiuda la gola riesce a pronunciare solo il suo nome.
D'improvviso, ricorda un momento simile, fatto di alba, cemento e sangue. La somiglianza lo nausea. Si toglie la maschera.
Harry sorride e il suo viso sfigurato, pallido, è la cosa più bella che Spiderman abbia visto da qui a un po' di tempo.
«Sei venuto.»
«Sì... sì, Harry. E giuro su Dio, stavolta sarò io a proteggere te.»
Fuori dal bunker sorge un'altra alba.


end

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