Scambio culturale

di Tati Saetre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Capitolo. ***
Capitolo 2: *** Secondo Capitolo. ***
Capitolo 3: *** Terzo Capitolo. ***
Capitolo 4: *** Quarto Capitolo. ***
Capitolo 5: *** Quinto Capitolo. ***
Capitolo 6: *** Sesto Capitolo. ***
Capitolo 7: *** Settimo Capitolo. ***
Capitolo 8: *** Ottavo Capitolo. ***
Capitolo 9: *** Nono Capitolo. ***
Capitolo 10: *** Decimo Capitolo. ***
Capitolo 11: *** Undicesimo Capitolo. ***
Capitolo 12: *** Dodicesimo Capitolo. ***
Capitolo 13: *** Tredicesimo Capitolo. ***
Capitolo 14: *** Quattordicesimo Capitolo. ***
Capitolo 15: *** Quindicesimo Capitolo. ***
Capitolo 16: *** Sedicesimo Capitolo. ***
Capitolo 17: *** Diciassettesimo Capitolo. ***
Capitolo 18: *** Diciottesimo Capitolo. ***
Capitolo 19: *** Diciannovesimo Capitolo. ***
Capitolo 20: *** Ventesimo Capitolo. ***
Capitolo 21: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Primo Capitolo. ***


Isabella Swan raccolse lo zaino rosso da terra, e lo issò sulle spalle

Isabella Swan raccolse lo zaino rosso da terra, e lo issò sulle spalle.

Guardò la sua figura riflessa nello specchio per qualche istante, e poi decise che poteva anche scendere. Quella mattina aveva indossato un paio di jeans bianchi - rigorosamente regalati dalla sua migliore amica Alice, della marca più costosa e all’ultima moda -, insieme ad un maglioncino marrone.

Sua madre Renée la stava aspettando sull’uscio della porta di casa, nella mano destra teneva le chiavi della macchina, e nella sinistra stringeva il manico della valigia.

Già, Isabella sarebbe partita proprio quella mattina, per Londra.

I soliti scambi culturali che organizzava la Forks High School ogni singolo anno, per i ragazzi del terzo anno.

“Allora? Hai preso tutto?” La ragazza sorrise, scuotendo la testa.

“Sì, ho preso tutto. Possiamo anche andare.” Richiuse la porta dietro di sé, e lasciò casa Swan alle sue spalle.

Una volta salite sul Pick up rosso, con un rombo degno di quell’autovettura Renée riuscì a metterla in moto.

“Ricordati di chiamarmi ogni singolo giorno. E non ascoltare tutte le bravate che vorrà fare Alice, lo sai com’è. Ah, in aeroporto chiama tuo padre.” Queste erano tutte le raccomandazioni che una madre faceva a sua figlia, prima che lei partisse per un’intera settimana.

Isabella sbuffò, quasi infastidita.

Erano più di due mesi che la donna non faceva altro che preoccuparsi per quella gita.

“Già, papà.” Commentò la ragazza, pensando a Charlie Swan.

Il capo della Polizia di Forks quel giorno aveva il turno di mattina, e quindi non aveva avuto modo di salutare la sua unica figlia.

Nonché preferita, servita e riverita.

“Cerca di non pesare troppo sulla famiglia in cui andrai, okay?”

“Mamma! Di certo non sarò un peso! Lì vedrò a malapena per cena o per pranzo. Il resto del tempo staremo in giro per la città. Lo sai com’è il professor Banner. Musei, Chiese, Musei e ancora Chiese.” Isabella fece riferimento alla gita che avevano fatto l’anno prima, dove – appunto -, gli aveva accompagnati Mr Banner, il suo insegnante di Biologia. Non avevano fatto altro che entrare in un Museo, per uscire da una Chiesa. La sera uscire era off-limits.

“Allora, parlami del ragazzo che prenderà il tuo posto per una settimana.” Isabella trasalì.

“Non farlo avvicinare hai miei libri. Per nessuna causa al Mondo! Tutte le mie cose sono intoccabili, chiaro?

Renée sorrise, notando che sua figlia era proprio come lei.

Gelosa delle sue cose, fino alle radice dei capelli.

“Va bene. Allora, com’è?”

“Non lo so. Dalla foto non sembrava poi tanto male. Trattalo bene!”

“Oh, sono sicura che a Forks si divertirà molto!”

Isabella roteò gli occhi verso il cielo.

“So che a Forks non c’è molto da visitare, e forse anche lui starà hai domiciliari per colpa dei suoi insegnanti.” Commentò, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Ma ciò non toglie che deve ficcanasare nelle mie cose!”

La signora Swan rise di gusto, questa volta.

“Tesoro, non ti preoccupare! Oh, guarda là! Ashley!”

Erano finalmente arrivate a Port Angeles, dove fuori all’aeroporto c’erano i primi alunni, accompagnati dai genitori.

E ovviamente non poteva mancare Mr Banner, con gli occhiali posati sul naso ed un foglio in mano, che contava le presenze.

Renée indicò con l’indice la signora Brandon, mamma di Alice.

Le due donne erano amiche da quando avevano segnato le loro figlie allo stesso asilo. Poi alle elementari, medie e scuole superiori.

Insomma, anche Alice ed Isabella si conoscevano da sempre.

“Niente commenti imbarazzanti, ti prego!” Implorò Isabella, adottando lo sguardo dolce verso sua madre.

“Oh, non ti preoccupare. Scendo con te!”

“No! Mamma, dai! Cosa ti cambia? Ti saluto qui, va bene? E poi il Banner ti ha chiarito tutto alla riunione, giusto? Quindi ti prego, vai.”

Sua madre sbuffò, scoccandole un’occhiata eloquente. “Non ti preoccupare. Starò benissimo. Ti chiamerò appena metterò piede in Inghilterra!

Lo sguardo da cane bastonato non aveva lasciato il piccolo viso di Isabella, finché Renée Swan fece un cenno affermativo con la testa.

Sua figlia l’abbracciò si slancio, schioccandole un bacio al centro della guancia.

“Va bene. Ci sentiamo dopo!” La ragazza annuì, prendendo la valigia e lo zaino, e uscendo dal Pick up.

La signora Swan salutò con la mano destra Ashley Brandon, che ricambiò con un sorriso.

 

Intanto Isabella era stata travolta dall’abbraccio della sua migliore amica, che era lì da tre quarti d’ora.

“Perché sei già qui?”

“Oh, non sono riuscita a dormire per tutta la notte! Non ne potevo più di stare a casa! Così mi sono fatta accompagnare da mia madre!” Bella lanciò un’occhiata ad Ashley, che rispose con un’alzata di spalle e un sospiro.

Alice era talmente eccitata, che non faceva altro che girare in largo e tondo per tutto l’aeroporto, lanciando sorrisini anche al signor Banner, che ogni tanto rilasciava un sospiro d’esasperazione.

La sua migliore amica avrebbe fatto diventare quella gita un supplizio, per quel povero docente.

Verso le otto e trenta – orario stabilito per l’incontro in aeroporto con tutti gli studenti -, Mr Banner chiamò tutti all’appello.

Ovviamente tutti presenti, visto che appena c’era un’occasione per andarsene da Forks, erano tutti con la mano alzata.

“Allora ragazzi, spegnete tutti i cellulari. Chiamerete i vostri genitori quando atterreremo, per informarli che torneremo Domenica sera alle venti. Guardò tutti, soffermando il suo sguardo sulla figura esile di Mike Newton, che stava sicuramente parlando al telefono con la sua fidanzata Jessica Stanley.

Erano diventati praticamente inseparabili da quando si erano fidanzati, soltanto che Jessica frequentava il quarto anno. Visto che Mike era stato rimandato.

Con un’occhiata ammonitrice Banner fece chiudere la chiamata a Newton immediatamente, mentre la fronte del ragazzo iniziava a imperlarsi di sudore. Succedeva sempre così, quando era agitato. “Il numero dei vostri posti è scritto sui biglietti. Vedete di non perdervi.” Con un cenno della mano Banner invitò tutti i ragazzi a seguirlo, per fare il check-in. Il volo era previsto per le nove e trenta, dato la mandria di studenti che si stagliavano dietro a quel professore cinquantenne, e che avrebbe dovuto tenerli d’occhio tutti quanti, per un’intera settimana.

Ovviamente Isabella ed Alice avevano due posti attaccati, vicino ad un altro ragazzo: Jasper Whitlock.

Anche Jasper conosceva Bella dalle elementari, se è per questo anche Alice, soltanto che lei non l’aveva mai degnato di un’occhiata.

E lui aveva una cotta madornale per Alice, dalle scuole medie.

“Jazz!” Isabella lo salutò, con un sorriso, accompagnato da un cenno del capo.

Alice non l’aveva nemmeno guardato in faccia. Troppo impegnata a riuscire ad infilare il beauty case in alto, alzandosi fino alla punta dei piedi.

Una volta compiuta la sua missione, - con i capelli più scompigliati di prima -, si sedette vicino alla sua amica.

 

Il volo durò relativamente poco.
Alice aveva sfogliato ben sette riviste di moda, leggendole pagina per pagina.

Anche Jasper stava leggendo, ma al contrario della sua cotta madornale, un buon libro.

Isabella aveva dormito per tutto il viaggio, con le cuffiette del suo i-Pod piantate saldamente nelle orecchie.

Atterrati, e sotto la supervisione di Mr Banner, uscirono dall’aeroporto.

Soltanto nel momento in cui Bella mise piede sulla strada, si rese conto che era a Londra. Non era rintanata in quella piccola cittadina in cui viveva da diciassette anni, ma era in Inghilterra!

“Ascoltate! Vedete tutte quelle persone vicino a quel pullman verde? Bene, loro sono le famiglie che vi ospiteranno. Una famiglia per ogni alunno. Forza, prendete il cartellino che vi ho distribuito a scuola, e mettetelo ben in evidenza!

Ilcartellino che vi ho distribuito’ a scuola consisteva in un foglietto striminzito, dove sopra c’era scritto il nome della famiglia.

Così da riconoscersi reciprocamente.

Isabella tirò fuori il suo dallo zaino, e lo mise davanti al suo petto, imbarazzata.

Non come Alice, che aveva iniziato a sventolare quel foglietto in alto, finché una donna bionda e con un sorriso dolce le si avvicinò.

Bene, Alice aveva trovato la sua famiglia per quella settimana.

Isabella tirò un po’ più su quel foglietto, in mezzo a tutta la confusione che si era creata.

Finché una donna si avvicinò anche lei, con i capelli color caramello e gli occhi color nocciola.

Un sorriso da far invidia a quello che aveva riservato poco prima la finta mamma di Alice.

“Isabella, giusto?” Chiese, mentre la ragazza annuiva distrattamente.

“Io sono Esme.” Sorrise ancora, quasi raggiante. “Esme Cullen.”

Sospirò sollevata.
Aveva trovato la sua famiglia per quella settimana.

La famiglia Cullen.

 

Esme Cullen era una donna simpatica, educata e guidava bene.

Sì, guidava bene. Perché Renée Swan non guidava bene. E Isabella non poté fare a meno di notare quel particolare.

Il viaggio in macchina durò poco più di mezz’ora, con qualche domanda qua e là.

Casa Cullen non era poi tanto male.

Una villetta modesta, con due piani e tre bagni.

Insomma, un po’ più grande di casa Swan.

“Mio marito tornerà verso le nove.” Esordì Esme, dopo aver mostrato ad Isabella la sua stanza temporanea. “Questa sera saremo io e te a cena. Se vuoi puoi farti una doccia. Quello è il bagno di mio figlio.” Indicò una porta che stava all’interno della stanza. “Sarà tua per tutta la settimana.”

“Oh, grazie. Grazie per tutto, Esme.”

“Non ti preoccupare, tesoro. Puoi farti una doccia, ti chiamerò quando è pronta la cena. Isabella annuì, chiudendo la porta dietro di sé dopo che la signora Cullen aveva finito di scendere le scale.

Avevano parlato poco di suo figlio.

Sapeva che era un fanatico del Basket. Nonché capitano della squadra della sua scuola. Ma si poteva intuire benissimo anche da tutti i poster che contornavano la sua cameretta, con un canestro pitturato su una parete blu.

Cuscini disparsi su tutto il letto, rigorosamente matrimoniale.

E si chiamava Edward.

Una fanatico del Basket, che si chiama Edward e forse è anche spocchioso, pensò Isabella. I suoi a Forks avrebbero avuto molto da fare.

Entrò nel bagno, e aprì l’acqua calda. Aspettò un po’, e poi diede inizio ad una doccia infinita. Passò per due volte lo shampoo nei capelli, mentre l’acqua bollente scorreva sul suo corpo, rilassandole tutti i muscoli.

Uscì dopo una decina di minuti, asciugandosi con l’accappatoio che si era portata da casa. Sapeva benissimo che tutti gli asciugamani che stavano in quel bagno erano rigorosamente puliti e profumati, ma non si separava mai dal suo accappatoio. Come dalla sua copertina rossa di pile.

Indossò il pigiama, - composto da una maglia extra large di Charlie, e da un paio di fuseaux neri -, e appena finì di indossarli, Esme la chiamò dal piano inferiore.

Decise di scendere con i capelli umidi, ci avrebbe pensato dopo.

Quando sentì l’odore che proveniva dalle scale, un certo languore si impossessò di lei. E si rese conto che non mangiava da quella mattina, prima della sua partenza.

“Non sapevo cosa cucinare”, disse Esme, passandosi una mano sui capelli. Isabella posò lo sguardo sulla tavola apparecchiata, dove c’erano prelibatezze di ogni genere.

Pollo, carne, patate, insalata e quant’altro. “Allora mi sono permessa di cucinare un po’ di tutto. Poi mi dirai cosa ti piace, e lo cucinerò domani.

“Oh, Esme, non dovevi preoccuparti. Mangio di tutto.” Disse la ragazza, sedendosi dinnanzi alla signora Cullen.

“Isabella, mio figlio mangia tutto.” Spiegò Esme, con sguardo eloquente. Per poi iniziare a mangiare. Anche la ragazza si servì un po’ di carne, insieme a dell’insalata.

“Allora, parlami un po’ di Forks!”

“Non c’è molto da dire. Cittadina piccola, fredda e piove sempre.

La donna sorrise.

“Beh, almeno sei abituata al freddo.”

“Già.”

La cena continuò in religioso silenzio, mentre Isabella assaggiava un po’ di tutto, complimentandosi sempre di più con Esme.

“Dopo dovrò chiamare Edward. Sicuramente anche lui sarà arrivato. E i tuoi genitori che lavoro fanno?” Si ricordò in quel momento che lei non aveva chiamato Renée. Che l’aveva raccomandata all’infinito.

“Oh, anch’io dovrei chiamare mia madre.” Disse, dando voce hai suoi pensieri. “Allora, mio padre è lo Sceriffo di Forks. Mia mamma lavora in un negozio, a Port Angeles. Dista poco da Forks. In macchina ci vuole una mezz’ora.”

“Capo della Polizia! Spero che Edward si comporti bene!” Isabella sorrise, pensando già alla strage di cuori che avrebbe fatto quel ragazzo in quella piccola cittadina.

Non aveva mai visto Edward, ma da come si descriveva, era un tipo da strapazzo. Capitano della squadra di Basket, combina guai perennemente… insomma, Bella si era già fatta un’idea.

Esme, tutto quello che hai cucinato era squisito. Ma forse ora dovrei andare a chiamare mia madre, sai com’è…” Apprensiva, ripetitiva, rompi palle e molte altre cose, avrebbe voluto aggiungere Bella.

“Certo, cara. Non ti preoccupare. Anch’io chiamerò Edward, ora. Se ti serve qualcosa, scendi. Quella è la mia camera.” Con un dito indicò una porta a destra, proprio vicino all’entrata. “Resterò qui fino all’arrivo di Carlisle.” Concluse, alzandosi anche lei.

“Allora ci vediamo domani.”

“Ti sveglierò alle sette! Buonanotte, Isabella.”

“Buonanotte, Esme. Grazie ancora.”

 

“Cos’è che non hai capito nella frase ‘Chiamami appena arrivi?’” Renée Swan non era arrabbiata, ma completamente furiosa.

“Mamma, scusa! Ho chiacchierato con Esme, mi sono fatta una doccia e poi abbiamo cenato insieme. Scusa.”

Un sospiro, dall’altro capo del telefono.

“Okay. Insomma, com’è lì?” Isabella sorrise.

“Tutto perfetto. La signora Cullen è molto gentile. Non ho ancora conosciuto il signor Cullen, è a lavoro. Invece lì?”

Dopo qualche minuto di silenzio, sua madre rispose.

“Edward non ha fatto altro che curiosare nelle tue cose. Io gli ho detto di non toccare i tuoi libri, ma-

“Ma cosa, mamma? Dio, quante volte te l’ho ripetuto, è? Oh, Dio!” Quasi urlò, presa da una rabbia ceca.

“Stupida. Ho chiesto gentilmente a Edward di non ficcanasare nelle tue cose. E’ proprio un bel ragazzo. E’ stato gentile e educato per tutto il tempo, ed ora è insieme a tuo padre sul divano, e stanno urlando per una partita di Basket.

La ragazza sgranò gli occhi, dall’altro capo del telefono.

“Cosa?”

“Già. Hanno fatto subito amicizia, ed è iniziato tutto quando Edward ha ammesso di essere il capitano della squadra di Basket. Nemmeno voglio dirti com’è andata la cena. Non hanno fatto altro che parlare di Basket, Football e tutti gli sport che ci sono al Mondo!” Renée era esasperata, ed avrebbe dovuto sorbire tutto quello sport per un’intera settimana.

Charlie amava lo sport, ed ora che aveva un appoggio maschile l’avrebbe sfruttato al meglio.

Isabella nascose una risata soffocata.

Poi un signor sbadigliò le fece lacrimare gli occhi.

“Vai a dormire, tesoro. Ci sentiamo domani, va bene?”

Non le diede il tempo di replicare. “Non ti scomodare. Ti chiamerò io.”

“Va bene, mamma. Buonanotte.”

“Buonanotte.”

Chiuse la chiamata, sdraiandosi sul letto. Le coperte erano calde e profumate.

Così li chiuse, cadendo tra le braccia di Morfeo.

 

Non si accorse di quanto tempo era passato, - forse cinque minuti, o forse erano già le sette, quando il suo cellulare iniziò a squillare.

Aveva freddo.

Per la stanchezza non si era messa sotto le coperte, non aveva messo la sveglia e nemmeno spento il cellulare.

Appunto, il cellulare.

Lo prese, convinta che fosse sua madre. Non guardò l’ora, e nemmeno chi era.

“Pronto?”

“Pronto?” Una voce maschile, dall’altro capo del telefono.

Si stropicciò gli occhi, girandosi sul lato destro. “Chi sei?” Chiese, ancora.

“Chi sei, tu?” Domandò Bella, sbadigliando sonoramente.

“Edward.” Questa volta, la ragazza sbarrò gli occhi.

Cullen?”

“Mi conosci?”

“Oh, Dio. Ti sei fatto dare il numero da mia madre?

“Io non conosc… Oh… Oh! Tu devi essere Isabella. Quella bella ragazza dagli occhi come i cerbiatti, e i capelli che le ricadono in onde morbide sulla schiena.

“Come, scusa?”

“Tuo padre stasera mi ha descritto una radiografia dettagliata sul tuo viso, i tuoi capelli, i tuoi occhi, le tue labbra e il tuo corpo. E dalle foto devo dire che non sei niente male.

Isabella pensò che quello fosse un incubo. Dormire nella camera di quel ragazzo non era affatto salutare.

“Ripeto: chi ti ha dato il mio numero?”

“L’ho trovato nella tua camera. Su un foglietto.”

Bella sbuffò. “Quel foglietto era diretto a mia madre!”

“Io credevo che fosse diretto a me. Un ragazzo si stabilisce a casa tua, così tu gli hai lasciato il tuo numero su un foglietto, per far si che il tutto diventi sempre più intrigante.

“Smettila. Aspetta… che ore sono?”

“A Forks le due di notte.”

“E tu alle due di notte telefoni a una perfetta sconosciuta?”

“Dormo nella tua camera, quindi non sei una perfetta sconosciuta.”

“Ti prego!”

“Dimmi pure!”

Faceva uso di sostanze stupefacenti? Droga, sonniferi o medicinali scaduti?

“Facciamo una cosa. Questa telefonata non è mai avvenuta, è solo frutto di un mio sogno. Un incubo. Ora tu vai a dormire, okay?”

“Okay, mamma.”

“Ciao Edward.”

“Aspetta, aspetta!”

“Che c’è?” Domandò Isabella, mentre gli occhi non ne volevano saperne più niente di richiudersi.

“Salutami mia mamma.”

“Addio, Edward.” Così mise definitivamente fine alla comunicazione.

 

*

 

 

 

NOTE:

Chi non muore si rivede!

Ero convinta che non sarei più tornata qui. Insomma, dopo le ultime fanfictions che ho scritto le idee sono evaporate, come la voglia di scrivere.

Questa fanfiction è nata per caso, e nemmeno so come andrà a finire. Però vi assicuro che tra un impegno a l’altro, riuscirò a mettere la parola Fine.

Vi lascio alle vostre supposizioni da primo capitolo, e poi spiegherò tutto man a mano che la storia andrà avanti.

 

CAPITOLO:

- Non so quanto dista Forks da Londra. Non so nemmeno se c’è il fuso orario. Quindi, mi scuso anticipatamente per la mia ignoranza.

- Come avrete capito da voi, Isabella è a Londra (a casa di Edward), e Edward è a Forks (a casa di Bella.)

 

 

Vi lascio. Al prossimo capitolo!

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Secondo Capitolo. ***


“Bella

“Bella. Isabella.” Una voce dolce e calda sussurrava nell’orecchio della ragazza. “Isabella, sono quasi le sette.” Con uno scatto secco, quegli occhi marroni si aprirono.

“Buongiorno, Esme.” Disse, stropicciandosi gli occhi.

Aveva dormito poco e niente, quella notte. E tutto per colpa di quel ragazzo.

Di corsa, sbarrò le pupille.

Diamine, non era stato frutto dei suoi sogni. Edward Cullen l’aveva davvero chiamata alle due di notte, credendo che lei avesse lasciato il suo numero lì apposta.

Esme?” Richiamò l’attenzione della donna, che stava aprendo le tende, lasciando spazio a nuvole e una fitta pioggia.

“Dimmi, cara.”

“Che tipo è Edward?” Non esitò nemmeno un minuto, per farle una domanda simile.

Il volto della donna era un po’ perplesso. “Sai, non abbiamo mai parlato di lui. E sicuramente mia madre gli avrà raccontato tutto su di me.

Che non sapeva mentire, Esme se ne era resa conto subito, la sera precedente. Si era resa conto che anche quella era una bugia, ma non riusciva a capire perché Isabella si interessasse così tanto.

E senza fare domande, le rispose. “Di certo non è un tipo casa-chiesa.” Spiegò, sedendosi al bordo del letto. “Però io e Carlisle non abbiamo motivo per cui lamentarci. Ha ottimi voti a scuola, è il capitano della squadra di Basket e gioca anche piuttosto bene. E sì, sono obbiettiva.” Disse, leggendo dallo sguardo della ragazza che stava pensando proprio quello.

Isabella annuì, lasciandola continuare. “A casa è un figlio perfetto. Forse sono le sue compagnie che non mi piacciono molto. Sai, al primo anno ha iniziato a frequentare i ragazzi della squadra di Basket, e così è entrato a giocare. Poi è diventato il capitano. Ancora non ha mai avuto una ragazza fissa, e ogni settimana esce con una diversa. Certo, ha diciassette anni e il diritto di divertirsi, ma quello non è mio figlio. Edward ha la testa sulle spalle, e non combini guai.

Certo, avrebbe voluto commentare Isabella, come se chiamarmi alle due di notte non è stato una cavolata. “Dimmi”, continuò Esme. “Perché vuoi sapere tutte queste cose?”

La ragazza scosse la testa, iniziando a stringere la coperta blu. “Oh, così. Pura curiosità.”

“Certo.” Rispose Esme. “La colazione è pronta. E giù c’è mio marito, che non vede l’ora di conoscerti. Finì, alzandosi per continuare a sistemare la camera.

Prima di lasciare la camera, Isabella le chiese un’ultima cosa. Esme, posso vedere Edward? Cioè, una foto.”

La signora Cullen sorrise, prendendo una foto che era riposta in un cassetto.
Forse era stato proprio Edward a chiedere alla madre di nascondere tutte le sue foto.

“Eccolo. Questa risale a Settembre. Non è molto cambiato, da allora.” Esme sorrise, porgendole la cornice di legno.

Isabella ricambiò, aspettando di vedere un bell’imbusto fiero di sé, in quella foto.

Si sbagliò.

Ovvio, era un bell’imbusto. Capelli ramati, quasi rossi. Occhi verdi.

Ma il suo sguardo non era per niente fiero di sé. Era un ragazzo normale, con un sorriso felice in volto.

Che abbracciava una donna.

Sua madre.

“Grazie, Esme.” Bella diede indietro la cornice, stiracchiandosi le braccia.

Di certo quel letto era comodo, ma ancora ci si doveva abituare. Le mancava il suo, quello che era nella sua camera, a Forks.

Quello dove stava dormendo Edward, in quel momento.

“Andiamo giù?” Domandò Esme, ammirando il letto che già aveva rifatto.

“Certo.”

Carlisle voleva conoscerti ieri sera.” Disse la donna, mentre scendevano la rampa di scale. “Ho dovuto persuaderlo a non svegliarti, convincendolo che il viaggio era stato davvero stancante.”

“Oh, è stato davvero stancante.” Confessò Bella. Anche se aveva dormito per tutto il tempo, non sopportava volare.

“Hai dormito bene?”

“Sì, certo.” Mentì, riavviandosi i capelli con la mano destra.

Entrando in cucina, Bella pensò a come potesse essere Carlisle. Sapeva che era un dottore, e lei non aveva mai avuto un buon rapporto con i dottori.

La maggior parte erano grassi, con la barba e un’aria burbera.

Però, - anche questa volta -, dovette ricredersi.

Un uomo abbastanza alto, con i capelli biondi e gli occhi verdi.

Verdi, proprio come quelli di suo figlio, era dinnanzi a lei.

Sembrava la versione di Edward, invecchiata di qualche anno.

“Isabella, giusto? E’ un piacere conoscerti!” L’uomo le porse la mano, ridestandola dai suoi pensieri.

Perché non c’erano dottori così a Forks?

“Signor Cullen.” Allungò la mano, stringendola con quella possente e fiera del dottore.

“Oh, Carlisle, Bella. Carlisle e basta.”

“Certo.” Sussurrò la ragazza, sempre più ammaliata da quella voce.

Cavolo, è un uomo, sposato e padre! Pensò, sbattendo nuovamente le palpebre.

“Allora Bella.” Iniziò Esme, mettendo a tavola del latte e una brioche. “Alle otto ti accompagno alla solita fermata. Poi, ti passo a prendere alle sette. Il tuo professore è stato molto chiaro.” Isabella annuì, pensando a tutte le raccomandazioni che aveva fatto Banner a quella povera famiglia.

“Spero che ti divertirai oggi, Isabella. Non sarà lo stesso per me, purtroppo. Ci vediamo stasera.” Con un sorriso dolce il signor Cullen la salutò, per poi dare un casto bacio sulle labbra a sua moglie.

Sembrano così affiatati, pensò Isabella.

“Buona giornata, Carlisle.” Salutò, accompagnando il tutto da un cenno della testa.

Esme, vado a vestirmi.” Annunciò la ragazza, dopo aver finito tutta la colazione.

“Va bene, cara. Ti aspetto qui.” Rispose la signora Cullen, continuando a lavare tutte le stoviglie sporche.

Isabella annuì distrattamente, salendo al piano superiore, per una doccia calda e veloce.

 

*

 

“Com’è la tua famiglia? La famiglia McCarty è proprio carina! Hanno anche un figlio che frequenta il quarto anno, si chiama Emmett. Sarà alto un metro e novanta!”

Tutto il terzo anno si era ritrovato alle otto sotto il Big Ben. E ora stavano camminando, dirigendosi chissà dove.

Ed Alice l’aveva assalita, con tutte le ultime news sulla famiglia McCarty.

“Un metro e novanta?” Domandò, sbadigliando sonoramente.

“Sì, ti giuro! Gioca nella squadra di Basket della sua scuola!

Oh, Dio, pensò, ci manca solo che conosca Edward.

“Oh, e poi quel ragazzo abita vicino a me… aspetta, com’è che si chiama?”

“Jasper?” L’aiutò Bella, continuando a camminare.

“Sì, brava. Proprio lui. Sai, non è niente male.”

“Cosa?” La sua amica quasi urlò, con un sorriso a trentadue denti.

Non ci credeva. Finalmente Alice Cullen si era resa conto di Jasper. Quel Jasper che le andava dietro dalle scuole elementari.

Mr Banner le ammonì con un’occhiataccia, visto che non la finivano più di parlare.

Shhh. Non vorrai mica che ci senta, vero? Fai finta che non ti abbia detto niente, okay?” Bella annuì distrattamente, continuando a sorridere come un’ebete. “Allora, parlami della tua famiglia.” Il sorriso se ne andò dopo quella domanda.

“I signori Cullen sono davvero carini. Carlisle lavora in Ospedale, ed Esme è sempre gentile e premurosa…

“Che c’è che non va, Bella?”

“Alle due, stanotte, Edward mi ha chiamata.”

“Edward? Chi è Edward? Perché ti senti con un ragazzo e non mi dici niente? Vive a Forks? Oh, no, vive qui a Londra. Così vuole vederti!”

“Alt, alt. Fermati, non ho nessun ragazzo, e non mi sento con nessuno. Edward, stanotte mi ha chiamata. Edward Cullen.”

“Aspetta.” Alice bloccò la sua camminata, posandole un braccio davanti al petto. “Il figlio dei signori Cullen? Edward Cullen? Quello che ora è a Forks?”

“Sì, proprio lui.” Confermò la ragazza, iniziando a camminare nuovamente.

“Cosa voleva?”

“Ha trovato un bigliettino con il mio numero, nella mia camera. L’avevo lasciato lì per mia madre, e Edward ha pensato che fosse per lui. Sai, una cosa organizzata…”

“Oh, Dio. Così passi per la ragazza che muore di fame, perché dopo che ha lasciato Jacob Black tutto muscoli è in cerca di un fidanzato.

“Alice!” L’ammonì l’amica, dandole una pacca sulla spalla.

Isabella era fidanzata con Jacob Black, un amico di famiglia. Erano stati insieme per due mesi, frequentavano la stessa scuola, poi si erano resi conto che non erano fatti l’uno per l’altra. E quindi avevano deciso di lasciar perdere tutto.

“Oh, però lui l’ha pensato subito. Quindi è vero.”

“Edward è un’idiota.”

“Chi sarebbe idiota?” Jasper Whitlock prese sottobraccio Isabella, che sbuffava continuamente.

“Ciao.” Quasi inciamparono tutti e due sul marciapiede, proprio perché quel suono era uscito dalle labbra di Alice.

“Ciao.” Rispose lui, abbassando la testa, dopo che Bella gli aveva dato una gomitata.

Dopo pochi istanti di silenzio, Jasper decise si continuare. “Allora, chi sarebbe l’idiota?” Chiese nuovamente.

“Edward Cullen.”

“E’ di Forks?” Domandò, pensando se avesse mai sentito quel nome. Di sicuro non frequentava la sua scuola.

“No. E’ il figlio della famiglia dove alloggio.

“Scusami, mi sono perso. Non dovrebbe stare a Forks, ora?”

“Già.” Sospirò Isabella. E con poche parole, raccontò anche a Jasper tutto quello che era successo in un solo giorno.

“Wow!” Tutto quello che aveva detto Jasper, dopo la spiegazione dettagliata della sua amica. “Ora penserà che tu l’hai già visto da qualche parte, e gli stai dietro.”

“Quello che ho detto anche io.” Gli diede corda Alice.

“Ora basta! Io non ho combinato un bel niente!”

“Se lo dici tu.” Canticchiò Jasper, sorridendo malignamente, accompagnato da Alice.

Forse si erano sbagliati tutti e due.

Forse erano davvero una coppia perfetta.

Banner chiese gentilmente il silenzio di tutti gli alunni, perché stavano entrando a Madame Tussauds.

Bella era su di giri. Prima di partire per Londra aveva cercato su internet tutti i posti dove sarebbero stati, e quel museo aveva catturato al meglio la sua attenzione.

E appena entrarono, una mandria di studenti si disperse nel museo. Quasi tutte le femmine che ammiravano la statua di George Clooney, Brad Pitt o Robert Pattinson. I maschi quelle di Angelina Jolie, Julia Roberts o Jennifer Lopez.

Isabella si guardò in giro, sorridendo felice e girando intorno a tutta quella gente famosa.

Guardò Jasper, che era stato sequestrato da Alice, che con una macchinetta fotografica in mano le faceva una foto abbracciata ad Audrey Hepburn.

Scosse la testa, pensando che quel ragazzo aveva firmato un contratto col Diavolo, stando dietro a quel peperino.

Girò ancora, scattando qualche foto – soprattutto per Renée -, quando il cellulare in tasca iniziò a vibrare.

Parli del diavolo, e spuntano le corna, pensò, sicura che fosse sua madre.

Non era sua madre, ma nemmeno una chiamata.

Un messaggio.

Da un numero sconosciuto.

 

Buongiorno, occhi da cerbiatto :)

 

Alzò gli occhi al cielo, emettendo un verso strozzato che partiva dal petto.

“Che succede?” Come se avesse un radar, Alice le si avvicinò.

La sua amica le porse il cellulare, facendole leggere quel messaggio.

Rise di gusto, prima di dare la sua sentenza. “Tesoro, questo non te lo scollerai più di dosso.” E ancora ridendo, si diresse verso Jasper.

 

Cos’è che non hai capito nella frase ‘Addio, Edward?

 

Scrisse velocemente, riponendo il cellulare nella tasca. Il tempo di ritirare la mano, che la vibrazione l’avvisò di un nuovo messaggio.

Ma non aveva niente da fare, a Forks?

No, ovviamente erano a Forks, e quindi non avevano nulla da fare.

 

Sei sempre così permalosa di prima mattina?

 

Non ci pensò due volte, prima di rispondere.

 

Sempre.

 

Ora, non aveva proprio voglia di girare fra tutte quelle statue di cera.

Edward l’aveva davvero fatta diventare permalosa, con un insignificante messaggio.

 

Allora non invidio i miei genitori.

 

Si infuriò ancora di più.

Forse insinuava che Esme e Carlisle avevano del filo da torcere, ora che Isabella alloggiava da loro?

 

Non ti preoccupare. Invece tu pensa di più a tutte le cattive compagnie che frequenti, e che non danno nulla da invidiare hai tuoi genitori.

 

Era stata più veloce ad inviarlo che a scriverlo, quel messaggio.

E si sentì in colpa, dopo. Non certo per Edward, ma per tutto quello che le aveva rivelato Esme quella mattina, e che lei aveva urlato hai quattro venti.

Stette lì con il cellulare, aspettando una risposta che però non arrivò.

Hey, tutto bene?” Alice e Jasper le se avvicinarono, mentre la sua amica le accarezzava una spalla.

“Certo, va tutto bene.”

“Bella, stavo scherzando prima.” Iniziò il ragazzo. “Non ho idea di quello che ha pensato Edward trovando il tuo numero. Scusa, non volevo…”

Era così evidente la tristezza di quel momento sul suo viso?

Ovvio. Sennò nemmeno Alice sarebbe andata lì a consolarla.

Peccato che nessuno dei due suoi amici sapeva il vero motivo di quella tristezza.

“Oh Jazz, non preoccuparti. Che Edward faccia e pensi quel che vuole.” Disse risoluta, tirandosi su il morale per un attimo. “Allora, dove stiamo andando?” dopo quella domanda prese sotto braccetto sia Alice che Jasper, iniziando a fare foto con metà delle statue presenti a Madame Tussauts.

 

*

 

“Tesoro, com’è andata la tua giornata?”

Isabella quella sera era rientrata per l’ora di cena, insieme a Carlisle. Quest’ultimo era andato a prenderla, verso le sette di sera.

“Oh, bene. Grazie, Esme.” Ma non era di molte parole, quella sera.

E ogni volta che guardava Esme, i sensi di colpa l’assalivano.

Per quello che aveva rivelato a Edward, e che Esme le aveva chiesto cortesemente di tenere per sé.

“Hai fame?”

“Ho già mangiato fuori, con la mia classe. Se per voi non è un problema ora andrei a farmi una doccia. Domani ci aspetta una giornata ancora più stancante.” Mentì spudoratamente, perché non aveva toccato cibo, con la sua classe.

E non perché non avesse fame, ma dovevano cenare con le loro rispettive famiglie, ogni sera.

“Certo, cara.” Era stato Carlisle a parlare. “Domani mattina ti accompagno io, va bene? Il mio turno inizia alle otto.”

“Fantastico.” Tirò fuori il sorriso più falso che aveva. “Grazie.”

“Buonanotte, Isabella.”

“Buonanotte.”

Con passo spedito si diresse al piano superiore, passandosi una mano fra i capelli già scompigliati.

Odiava mentire alle persone. Ed Esme era una donna d’oro. Per non parlare di Carlisle. Sembrava che stesse veramente in famiglia.

Entrò nel bagno, facendo scorrere l’acqua calda. Aspettò qualche secondo, e poi entrò.

Una doccia calda era proprio quello che le serviva.

Le schiarì le idee, su quello che doveva fare. Quando uscì indossò il pigiama, poi prese il cellulare e chiamo Renée.

La telefonata durò relativamente poco. Renée era indaffarata, e come al solito Charlie stava spaparanzato sul divano a vedere una partita di Basket insieme a Edward.

Appunto, Edward.

Quando riattaccò, rilesse quei pochi messaggi che si erano inviati durante il pomeriggio. E poi, con un po’ di coraggio, decise di inviargliene un altro.

 

Scusami. Non volevo intromettermi negli affari tuoi, o della tua famiglia. Solo che ho parlato un po’ con tua madre, ma mi ha chiesto di tenere la bocca chiusa. Cosa che non ho saputo fare. Scusa, Edward.

 

Lo inviò, incrociando le dita.

Non sapeva nemmeno per quale motivo stava facendo tutta quella sceneggiata.

Non conosceva Edward, e nemmeno l’avrebbe mai visto.

Stava per mettersi sotto le coperte, quando il suo telefono l’avvisò dell’arrivo di un nuovo messaggio.

 

Posso chiamarti?

 

 

**

 

Allora, non posso fare altro che ringraziarvi.

Ringraziarvi per la risposta al primo capitolo, per i messaggi privati e le recensioni pubbliche. Un grazie a tutte le persone che hanno messo la mia storia tra le preferite, chi tra le seguite e fra quelle da ricordare.

Un grazie ancora più grande a tutte quelle anime che mi sopportano dalla mia prima fanfiction e mi hanno messa tra gli autori preferiti.

Sono di poche parole, ma GRAZIE a tutti. Davvero.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e mi scuso per la suspance finale. I capitoli arriveranno ogni settimana.

Grazie, grazie e ancora GRAZIE.

 

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Capitolo 3
*** Terzo Capitolo. ***


Si rigirò il cellulare in mano per qualche secondo, non sapendo cosa rispondere

Si rigirò il cellulare in mano per qualche secondo, non sapendo cosa rispondere.

Poteva benissimo dirgli che aveva sonno, e stava per andare a dormire.

Oppure semplicemente, che non voleva parargli. L’ultima sarebbe stata la cavolata più grande che avrebbe mai detto, visto che era stata proprio lei la prima ad inviargli quel messaggio.

Con un sonoro sbuffo si alzò da quel letto, spense la luce ed accese la piccola lampadina situata sul comodino.

Aspettò ancora, continuando a guardare fisso quel messaggio. Senza rispondere.

Continuò a gingillarlo fra le sue dita, e quando vibrò quasi non le cadde di mano. Bene, sicuramente un altro messaggio dove Edward le scriveva che fine avesse fatto.

Guardò lo schermo, scoprendo che era una chiamata.

Rispose, senza pensare.

“Non mi sembra di averti detto di chiamarmi.”

“Perché avresti dovuto dirmelo?”

Oh, Alice.

Hey, scusa. Non ce l’avevo con te.”

“Scommetto che ce l’avevi con Edward.”

Come faceva quel piccolo folletto a sapere sempre tutto?

Oww.” Un verso strozzato, uscì dalle labbra della bruna.

“Cosa vuole, ora?”

“Mi ha mandato un messaggio, con scritto se poteva chiamarmi.” Spiegò, omettendo il messaggio che lei aveva scritto, scusandosi.

“E tu perché stai parlando con me? Corri! Chiamalo, e poi chiama me per riferirmi tutto!

“Alice!” L’ammonì Isabella, giocando con la trapunta blu.

“Sarà sicuramente uno strafigo, Bella… Ah, a proposito! Perché con il cellulare non fotografi la sua foto? Vorrei proprio vederlo!”

“Alice!” Secondo ammonimento.

“Oh, dai. Non fare tanto la preziosa. Lo sappiamo tutte e due che non vedi l’ora di parlarci, dopo che stamattina non rispondeva più hai tuoi messaggi.

“Alice, perché mi hai chiamata?” Domandò, rendendosi conto che la conversazione si era spostata subito nella sua direzione.

“Niente di che. Volevo parlarti di Jasper, ma tu ora devi parlare con Edward. Buonanotte tesoro.”

“Alice! Aspett-

Ma non finì la frase, che un bip metallico la informò che la chiamata era stata interrota.

Diamine, voleva sapere tutto quello che stava accadendo fra Jasper ed Alice!

Prese il cellulare, digitando due sole parole.

 

Okay, chiamami.

 

Nemmeno due minuti, che la vibrazione del suo telefono l’avviso che Edward la stava chiamando.

“Ti è servito un buon quarto d’ora per rispondere a quel messaggio?” Nemmeno il tempo di salutarla, che già la stava attaccando.

“Hai tenuto d’occhio l’orologio?”

“Minuto per minuto.” Di certo, non si aspettava quella risposa così secca e diretta.

“Scusa, ero al telefono con una mia amica.” Disse infine, ammettendo che la colpa era sua.

“Perdonata.”

Questo sì, che era un momento imbarazzante. Anzi, un silenzio imbarazzante.

Nessuno dei due spiccicò parola, finché Isabella prese un bel respiro.

“Come va lì a Forks?” Domandò curiosa, continuando a giocare con quella trapunta.

“Oh, bene. Tua madre prova a cucinare ogni tipo di piatto, tutte le sere. Ti dispiace se dico che il risultato non è dei migliori?

Un piccolo versetto strozzato, dall’altra parte del telefono.

Renée non sapeva cucinare, per niente. Era Isabella a prendersi cura della cucina, mentre sua madre pensava alla casa.

“Mi dispiace. Ti consolerebbe sapere che tua madre ogni sera non fa altro che cucinare prelibatezze di ogni genere, perché ancora non è riuscita a scoprire qual è il mio piatto preferito?

Una risata ilare, da parte del ragazzo.

“Ti posso assicurare che continuerà così, finché non lo troverà.”

“Ingrasserò un quintale. Mentre tu perderai un sacco di chili.”

“E chi ti dice che io non sia grasso come una balena?”

“No. Ti ho visto.”

Cosa?” Sembrava un urlo strozzato, quello che emise Edward.

“Tu mi hai fatto una telecronaca dettagliata sui miei occhi come un cerbiatto e le onde morbide che ricadono sulla mia schiena. Eri un punto in vantaggio. E quindi, dovevo rimettermi in gara.”

“Domani farò una bella ramanzina a mia madre. Le avevo chiesto gentilmente di togliere tutte le foto che erano nella mia camera.

“Oh, non ti preoccupare, pel di carota.”

“Cosa? No! Ti ha fatto vedere la foto che ho insieme a lei. I miei capelli sono molto più scuri ora, e gli ho tagliati.”

“Perché ti stai scusando?”

Edward sospirò.

“Non ne ho idea.”

“Perché gli hai tagliati?”

“Cosa?”

“I capelli, idiota.”

“Sai, non è bello giocare a Basket tredici ore su ventiquattro, ed avere tutti i capelli sudati e gocciolanti. Ora va molto meglio.”

“A me piacevano. Erano così lucenti, in quella foto. Che shampoo usi?”

“Isabella!” La ragazza sorrise, senza farsi sentire.

E pensò che da quando la conversazione era iniziata, lui non l’aveva mia chiamata per nome.

Dai, non te la prendere. Continua, dimmi come sta procedendo la visita a Forks.

“Per il tempo è quasi uguale alla mia Londra. Per le altre cose un po’ meno.”

“Immagino.”

“Conosci Jessica Stanley?”

“Cosa?”

“Oggi abbiamo fatto visita nella tua scuola, e ci hanno separati nelle varie classi. A me è toccato insieme a questa Jessica. Diamine, ci provava spudoratamente!”

Isabella rise di cuore, senza smettere.

“Che c’è?” Le domandò Edward, un po’ irritato da tanta ilarità.

“Scusa. E’ che se lo sapesse Mike. E’ il suo fidanzato, ed è qui a Londra.”

“Non c’è niente da ridere. Pensa se lo venisse a sapere! Ritornerebbe a Londra solo per cercarmi e ammazzarmi di botte, e non per far visita alla sua famiglia.

“Come sei melodrammatico.”

“Forse potresti tornare insieme a Mike, a Londra.”

Un interminabile silenzio.

“Cosa?”

“Io voglio vederti.”

“Edward, stai correndo un po’ troppo.”

“Perché?”

“Ci conosciamo da due giorni. Anzi, nemmeno ci conosciamo! Ho visto di te soltanto una foto, e… No, Edward. Non si può fare.”

“Nemmeno ci conosciamo? Diamine, non puoi nemmeno permetterti di dire questa cosa! Ti sarai fatta raccontare tutto da mia madre! Sulla mia vita privata, sociale e magari sai anche il nome di tutte le ragazze con cui sono stato!

Era arrabbiato. L’aveva intuito dal tono della sua voce.

“Oh, ti posso assicurare che non ci tengo. Non ci tengo a sapere con quante ragazze sei stato. Ho semplicemente chiesto a tua madre qualcosa su di te, e lei mi ha raccontato tutto! Non mi sarei mai permessa di chiederle con chi esci, o con quante ragazze sei stato! Lo vedi, Edward? Non ci conosciamo! Non sappiamo niente gli uni degli altri!”

“Perché stiamo litigando?” Domandò Edward, dopo qualche istante di silenzio.

Isabella rispose dopo aver rilasciato un sospiro. “Non stiamo litigando, Edward. Due sconosciuti non possono litigare.”

Bell-

“No, aspetta. Fammi finire. Anche se decidessimo di incontrarci, cosa accadrà dopo? Mille miglia solo per vedere la tua faccia? Oppure ci staremo così antipatici, da non rivolgerci la parola per tutto il tempo. E io non voglio che questo accada. Basta, è stato tutto uno sbaglio. Tu mi hai chiamata per sbaglio, e questa cosa è andata avanti. Mio padre non doveva raccontarti niente, e io non dovevo chiedere niente sul tuo conto a tua madre. Avremmo dovuto fare come sta facendo tutto il resto della classe ora. Vivere questa settimana, e ritornare nelle rispettive case.

“Vuoi questo? Va bene. Fai finta che non sia successo nulla. Io non ho mai chiamato te, e te non hai mai rivolto la parola a me. Siamo due sconosciuti d’altronde, no?”

Isabella si stropicciò gli occhi, benedicendo Dio che lui non potesse vederla.

“Certo. Benissimo. Buonanotte, Edward. Addio.”

Gli attaccò praticamente in faccia, senza aspettare una sua risposta.

Indispettita si sdraiò sul lato sinistro, spengendo anche l’abatjour. Poi morse il cuscino, soffocando un grido rabbioso. Infine si addormentò, distrutta.

 

**

 

I giorni a Londra passavano inesorabilmente veloci.

Avevano visitato di tutto: Chinatown, il Big Ben e la casa del Parlamento, il Globe Theatre (dove Isabella rimase letteralmente affascinata. Proprio lì, aveva recitato la compagnia di Shakespeare, autore delle sue opere preferite.) E poi erano andati avanti così per altri quattro giorni.

Sei giorni che era a Londra.

Quattro che non sentiva Edward.

Esme le parlava spesso di lui. Le diceva quello che si erano detti durante le telefonate, e le raccontava tutto quello che suo figlio faceva a Forks.

Lei, la maggior parte del tempo, cercava di non pensarci. Non voleva ritornare con la mente a tutte quelle brutte parole che si erano detti quella sera.

Sei giorni che era a Londra.

E l’indomani sarebbe tornata a Forks.

Sì, a casa. Non voleva lasciare Londra. Si era abituata a tutta quella gente che girava per strada, si era abituata ad una famiglia diversa e finalmente a dormire in un letto che non fosse il suo.

“Io non voglio partire. Già mi sono accordata con Emmett. Ci vedremo sotto le vacanze di Natale. A metà strada. Così io non devo arrivare fino a Londra, e lui non deve venire a Forks. Disse Alice, mettendo un muso che arrivava fino al marciapiede sul quale stavano camminando.

“Cosa? Vi vedrete anche dopo?”

“Certo. La maggior parte della nostra classe continuerà a tenersi in contatto con la sua famiglia. Tu non lo farai?”

Isabella ci pensò su qualche secondo.

“Certo. Esme ha il mio numero, ed io il suo. Ci siamo scambiate anche l’indirizzo di posta elettronica. Ma non so se la vedrò più.”

“Oh, Bella!” La sua amica le diede uno spintone, che quasi la fece cadere. “Non puoi crogiolarti così, per un ragazzo che nemmeno hai mai visto. Stai zitta e in disparte da quattro giorni, pensando soltanto a Edward! Io e Emmett ci rivedremo, ma di certo lui non porterà con sé sua sorella Rosalie, che ora è a casa mia. Ed Esme non porterebbe mai Edward.”

Bella annuì, abbracciandosi la vita con le mani.

“Sono d’accordo con te. Ma pensi che Esme non ne parlerà a casa, se ci organizzeremo per rivederci? E se Edward partisse con lei? Io non tornerò più qui, questo è sicuro.”

Alice guardava fisso davanti a sé, con un sorriso ebete dipinto sulla sua bocca.

“Oh, ti prego. Ora che ti sei resa conto di Jasper, smettila di sbavargli dietro.

Lei, inviperita, le lanciò un’occhiataccia di fuoco.

“Io non mi sono resa conto ora, di Jasper.”

“Ah no?” Isabella la guardò di sottecchi, come per ammonirla.

La sua amica abbassò la faccia.

“Okay, me ne sono accorta ora. Ma è proprio carino! Guarda che capelli biondi, aspetta, sembrano proprio color dell’oro con qualche sfumatura…

 

Due ore e una radiografia di Jasper dopo, Bella si passò una mano fra i capelli.

“Ti prego, Alice! Conosco Jazz dalle elementari, so perfettamente com’è fatto!

“No, ma hai visto i pantaloni che si è messo stamattina? E’ perfetto, ed ha anche stile!”

“Basta!” Isabella la supplicò, mettendo in atto i suoi occhioni da cane bastonato.

“Va bene. Ritorniamo a Edward. Non si è fatto più sentire dopo quella litigata, vero?

“Già.”

“Ottimo, non c’è una spiegazione più logica!”

“Cioè?”

“Non pensa più a te, e sicuramente si è consolato da un bel po’!”

Bella si passò una mano sui capelli, per poi passare a stropicciarsi gli occhi.

“Grazie, sei di grande aiuto.”

“Non c’è di che, tesoro.”

Swan! Swan!”

Mr Banner iniziò a chiamare la ragazza, che era seduta su uno scalino di un negozio.

“Sì?”

“Ecco, è arrivata la signora Cullen, puoi tornare a casa. Ricorda, domani passerai tutta la giornata con la tua famiglia, ci vediamo domani sera alle venti.”

“Fantastico.” Fece un cenno con la mano ad Alice, dicendole che l’avrebbe chiamata la sera stessa, dopo cena.

“Tesoro, tutto bene?” Le domandò Esme, una volta arrivata alla macchina.

“Tutto magnificamente bene, grazie.” E con  un sorriso finto e degno di lei, si sedette, partendo per il suo ultimo giorno da londinese.

 

**

 

 

Innanzitutto, grazie mille a tutti. Dal primo all’ultimo.

Sono di poche parole stasera, perché volevo postare il capitolo subito. Visto che ho sgarrato di un giorno. Chiedo venia :)

Non siamo arrivati alla fine (anzi, ce ne vuole ancora).

Alla fine Edward ha chiamato, ma c’è stata una bella litigata. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ovviamente.

Un benvenuto a tutte le nuove lettrici, e a quelle vecchie.

Nell’attesa vi lascio con una piccola domandina: secondo voi riusciranno ad incontrarsi Edward e Bella? *risata malefica e scappa via*

sheisfairytale per chi ha Twitter :)

 

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Capitolo 4
*** Quarto Capitolo. ***


Quarto Capitolo

Ho deciso di lasciare le note all’inizio. Così sono sicura che le leggerete tutti (Spero ;D)

Innanzi tutto volevo ringraziare tutti, dal primo all’ultimo. Voi non sapete quanto mi rendete felice, ogni volta che leggo una vostra recensione.

Poi volevo scusarmi, per questo capitolo schifoso, e per il ritardo.

Il capitolo non voleva farsi scrivere, e il ritardo è dovuto a tutte le interrogazioni prepagellino çç

Vi lascio al capitolo schifoso, aspettando le vostre recensioni e critiche ù_u

Leggete la nota che lascerò anche a fine capitolo, please *w*

 

 

 

Quarto Capitolo

 

“Ricordati di rispondere sempre alla mie mail, quando ti arriveranno. E fai la brava.” Esme lasciò una carezza piena di affetto sulla testa di Isabella, per poi stamparle un bacio sulla fronte.

Erano in aeroporto.

Avevano passato l’intera giornata in giro per le vie di Londra, lei e la signora Cullen.

Esme le aveva mostrato i posti a lei più cari, andando anche nel piccolo parchetto dove portava suo figlio da piccolo.

Invece aveva salutato Carlisle quella stessa mattina, prima che lui andasse a lavoro.

“Sì, certo. Non preoccuparti. Risponderò sempre alle tue mail.” Rispose, asciugandosi una lacrima con il palmo della mano.

“Grazie, Esme. Grazie di tutto. Sei una persona speciale.” La abbracciò si slancio, rimanendo qualche istante stretta a lei.

Quando sciolsero l’abbraccio, Isabella sorrise.

“Oh, tesoro. Non vedo l’ora di rivederti.” Disse la donna, con gli occhi lucidi.

La ragazza si grattò la testa. Anche lei voleva rivedere Esme, non vedeva l’ora di rivedere la sua mamma.

Però quel pensiero si collegava immediatamente a Edward. A quegli occhi verdi e quei capelli ramati.

Alla sua voce prima delusa, e poi arrabbiata.

“Su! Su! Sbrigatevi!” Mr Banner richiamò tutti i suoi studenti, con un fischietto attaccato al collo.

“Ci vedremo. Prima di Natale riusciremo a vederci.” Disse Esme, salutando nuovamente la sua figlia acquisita.

“Ci vediamo, Esme.” Si allontanò, per poi girarsi e salutare con un cenno della mano quella donna straordinaria.

Poi si voltò del tutto, andando incontro alla sua migliore amica.

“Allora? Cos’è quel visino triste?” Domandò Alice, accarezzandole i capelli.

Isabella sospirò pesantemente.

Sì, andarsene da Londra significava allontanarsi dalla famiglia Cullen, ma soprattutto da Edward.

Sapeva bene che quando avrebbe messo piede a Forks, tutto quello che aveva lasciato sarebbe diventato un capitolo chiuso.

Non c’era più motivo perché Edward la chiamasse. E non si era nemmeno fatto sentire in quei giorni.

Le mail con Esme sarebbero durate si o no un mese, per poi cessare definitivamente.

“Voglio soltanto tornare a casa.” Sussurrò, facendo il check – in, prima di salire su quell’aereo.

I posti erano sempre gli stessi.

Solo con un’unica differenza. Questa volta Jasper era seduto al centro, vicino ad Alice, mentre Isabella vicino a quest’ultima, con il suo fidato amico iPod.

Nemmeno il tempo di partire, che si addormentò profondamente.

Tutta quella stanchezza era dovuta alla settimana stancante che aveva passato, ma soprattutto alle notti insonni, nella camera di Edward.

Le pareti della sua camera, le sue coperte, la foto che Esme aveva tirato fuori dal cassetto… tutto quello le ricordava lui, ed aveva persino rifiutato di vederlo.

 

“Bella. Bells. Isabella!!” Aprì gli occhi, più stanca di prima.

“Che c’è?” Domandò assonnata alla sua amica Alice, che era in piedi con la giacca allacciata e la sciarpa che le copriva anche la bocca.

“Siamo a Port Angeles. Muoviti.”

Girò lo sguardo, notando che tutto intorno a lei era buio.

“E sono le tre del mattino.” Puntualizzò l’amica, sbuffando sonoramente.

Non riusciva a capire come avesse fatto a dormire tutto quel tempo, senza né sentire rumori e senza sognare nulla.

“Oh, Dio.” Con un balzo si alzò da quella poltrona, prendendo la sua borsa e il suo giaccone nero.

Jasper le stava aspettando, con un sorriso a trentadue denti che regalava soltanto alla sua migliore amica.

Fuori, l’aeroporto era invaso da una miriade di macchine e persone.

Isabella vide sua madre, poggiata sul Pick up rosso.

Alzò la mano, andandole incontro.

Hey, tesoro!” Renée l’abbracciò per qualche secondo, fino a farle mancare il fiato.

“Mamma.” Le lacrime che era riuscita tenersi quando era con Esme, ora traboccavano dai suoi occhi.

Hey.” Sua madre le asciugò, baciandole una guancia. “Andiamo?” Chiese, prendendo la valigia dalle mani di sua figlia, e dirigendosi verso il bagagliaio.

“Come stai? Com’è andato il viaggio? E la famiglia Cullen com’era?”

Isabella sorrise, pensando che sua madre la stava tartassando di domande proprio come faceva Alice.

Oh, Alice. Nemmeno l’aveva salutata. Ci avrebbe pensato il giorno dopo, chiamandola e per scusarsi si sarebbe fatta raccontare tutto quello che era successo con Jasper mentre lei dormiva beatamente.

“Sto benissimo, soltanto un po’ stanca. Ho dormito per tutto il viaggio, e la famiglia Cullen era deliziosa. Disse, stropicciandosi gli occhi.

Poi, con un sospiro, continuò. “Voi, invece? Com’è andata con…”

“Edward?” Le suggerì sua madre, concentrata sulla strada.

“Già.” Borbottò imbarazzata, sprofondando nel sedile.

“Oh, quello sì che è un ragazzo perfetto. Ed è anche bellissimo, avresti dovuto vederlo. Carino e simpatico.” Commentò sua madre, sorridendo fra sé.

Sicuramente Renée viaggiava con la mente a tutti i momenti che aveva passato insieme a Edward, in quella settimana.

“Wow.”

“E tuo padre lo adorava. Avresti dovuto vederli. Tutte le sere davanti allo schermo piatto del nostro salone.”

“Non voglio nemmeno immaginare.” Commentò Isabella, accompagnando il tutto da un sonoro sbadiglio.

“Sei davvero così stanca, tesoro?” Le chiese gentilmente sua madre, accostando la macchina nel vialetto di casa Swan.

“Sì. Da morire.”

“Beh, ora sali e vai direttamente a letto. Ci penseremo domani a disfare la valigia, okay?

Lei annuì, notando che la volante della Polizia non c’era.

Questo significava che Charlie era in Centrale.

Appena mise piede nel salone, respirò a pieni polmoni quell’odore di casa. Quello che le era mancato da morire.

Poi, con la sua valigia iniziò a salire le scale, fino ad arrivare nella sua camera. La buttò per terra in malo modo, prendendo quasi di corsa il beauty e il suo pigiama.

Certo, voleva andare a dormire immediatamente, ma aveva anche bisogno di una doccia bollente.

Il getto d’acqua calda non riuscì a risvegliarla del tutto, anzi, c’era pericolo che si addormentasse sotto di esso.

Alla velocità della luce uscì, si asciugò di fretta e furia e si infilò il pigiama, composto da un paio di culottes neri e una maglia extra large.

E senza pensarci due volte uscì dal bagno, entrando di nuovo nella sua camera.

Si guardò intorno. Tutto era al suo posto. Come l’aveva lasciato lei, prima di partire.

Accompagnata dall’ennesimo sbadiglio entrò nel suo letto.

Così comodo, così caldo e… con un profumo nettamente diverso da quello che aveva lasciato lei.

Sì, quello non era il suo profumo.

E nemmeno di suo padre. Charlie non usava profumi, ma soltanto il suo fidato bagnoschiuma.

E nemmeno di Renée. No, perché quello di sua madre assomigliava troppo a quello di Isabella.

Aspettò qualche istante, e…

Cazzo, cazzo e cazzo!

Quel profumo doveva appartenere ad una sola persona.

Fresco, sapeva quasi di menta.

Edward.

Ora che era quasi riuscita a lasciarsi tutto alle spalle, quel profumo le aveva stordito i sensi.

Il sonno che aveva prima se ne era praticamente andato.

Eclissato.

Ed ora i suoi occhi erano vivi e spalancati.

Iniziò a rigirarsi in quel letto, non riuscendo a trovare una posizione adeguata.

Non riusciva a chiudere occhio, quando prese un cuscino con rabbia e lo scaraventò per terra.

Insieme a una lettera, che finì proprio vicino al suo viso.

Ecco, ora ci mancava solo Renée che le lasciava bigliettini per casa. La prese, rigirandosela su una mano. Poi, decise di accendere l’abatjour.

Si sedette, e la aprì. Prima di esaminarla accuratamente per l’ennesima volta.

 

E’ così strano, scriverti una lettera.

E quindi non voglio iniziare con il solito ‘Cara Isabella, e bla, bla bla.

Fai finta che sia un semplice bigliettino, lasciato da un semplice ragazzo alla sua amica. Sempre se così vuoi definire la nostra cosa.

Da quel poco che ci siamo parlati, sai che non e la cavo con le parole. Preferisco parlarti, magari a quattr’occhi.

Ma tu non vuoi. Ed io chi sono, per obbligarti? Nessuno.

Scusa se ti ho lasciato questo piccolo bigliettino, se ti ha creato problemi, o se sei completamente riuscita a dimenticarmi. Spero soltanto che non lo trovi Renée.

Ho passato una settimana fantastica con la tua famiglia. I tuoi genitori sono persone perfette, e credo che anche tua così. Non ne ho dubbi.

Mi dispiace di non averti più chiamata, né cercata. E no, non avevo altro per la testa, da come sicuramente avrai pensato in negli ultimi giorni.

Pensavo più che altro a come scusarmi. A come chiedere scusa ad una ragazza che nemmeno conosco, e che avrà pensato che io fossi uno stalker pronto a prendere la palla al balzo per riuscire a conoscerti.

Dal primo istante in cui ho visto la tua foto sulla parete di quella cameretta, ho pensato che tu non saresti mai stata capace di lasciare il tuo numero di telefono nella tua camera appositamente, per farti chiamare.

Ma io ci ho provato lo stesso. E dal suono della tua voce ho capito che persona eri. Sicuramente mia madre si sarà innamorata di te al primo istante.

Ecco, ora penserai che io sia un maniaco.

Ti giuro che non lo sono. Ti giuro che è la prima volta che scrivo una lettera ad una persona, che nemmeno conosco.

Non ti chiedo di chiamarmi, dopo che avrai letto queste parole sconnesse. Né di scrivermi un messaggio. Soltanto di ripensare ha quei pochi momenti che abbiamo passato insieme.

E se vuoi, puoi anche bruciare questo bigliettino così lungo che alla fine è diventato davvero una lettera.

Il tuo amico, Edward.

 

Isabella non si accorse nemmeno di quando le lacrime avevano iniziato a scendere, bagnando le sue guance.

Richiuse la lettera, riprese il cuscino che aveva buttato a terra e la rimise sotto di esso.

Poi si girò sul lato destro, chiudendo gli occhi e cadendo in un sonno profondo.

 

**

 

Secondo voi, quando riusciranno ad incontrarsi? (in quale occasione, o in che modo ;D)

 

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Capitolo 5
*** Quinto Capitolo. ***


Due mesi

Dovete essere fiere di me, mie care. Sì, perché sono solo sei giorni di ritardo *-*

Un nuovo record *w* Ora, non voglio dare anticipazioni sul capitolo che leggerete, ma non uccidetemi. Non uccidetemi.

Anche perché se mi uccidete chi scriverà il continuo? u

Un grazie immenso a tutti, dal primo all’ultimo. E poi, potete trovarmi anche su Facebook per spettegolare. E cosa più importante, lì ci saranno gli spoiler della fanfiction.

Eccomi qui, Tatiana Yeah

Non posso fare altro che augurarvi buona lettura ;D

 

 

 

Due mesi.

Due mesi da quando lo Scambio culturale era finito.

Due mesi da quando Isabella era tornata nella sua casa, a Forks.

Due mesi da quando aveva letto la lettera lasciata da Edward, e poi l’aveva riposta in un cassettino, sotto il letto.

Due mesi.

Ed ora era giunto il periodo Natalizio.

Alice e Bella camminavano tranquillamente nel centro di Forks, illuminato da luci e addobbi Natalizi.

Quella piccola cittadina non era abitata da molte persone, ma sotto Natale era come se tutti si fossero dati appuntamento nel Centro.

Era pieno di bambini che correvano a destra e manca. Anziani che giravano per i negozi mano nella mano.

“Non so cosa comprare a Jasper.” Affermò Alice, grattandosi la testa.

Per la prima volta dopo diciassette anni, Isabella riusciva a vedere la sua migliore amica in difficoltà.

E da due mesi, lei e Jasper erano fidanzati ufficialmente.

Finalmente, avevano detto tutti, dopo quella grande notizia.

“Oh, non chiederlo a me. Sei tu la sua fidanzata.” Disse la ragazza, fermandosi davanti ad una vetrina.

La vetrina di una libreria, ovviamente.

“Cosa regalerai a hai tuoi?” Domandò Alice, mettendo un braccio sotto quello della sua amica.

“A mia madre un libro. A Charlie, una nuova canna da pesca. Ora che è in ferie tutte le mattine va a La Push da Billy. Sospirò, pensando alla fissazione che aveva suo padre per la pesca.

Tutta colpa del suo amico Billy Black.

“A proposito di La Push. Mi è arrivata voce che ultimamente stai frequentando Jacob. Di nuovo.” Sottolineò la sua amica, lanciandole un’occhiata complice.

Isabella dal canto suo le tirò uno schiaffo sul braccio.

“Non è vero. Ho accompagnato Charlie da Billy, e Jake mi ha chiesto di fare una passeggiata con lui. Lo sai che fra noi è finita.” Disse, passandosi una mano fra i capelli.

Forse lei e Alice lo sapevano bene che la storia con Jacob Black era finita da un pezzo. Soltanto Jake sembrava non rendersene conto.

“E lui lo sa?”

“Alice!”

Hey, stavo solo scherzando!” Alzò le mani al cielo, a mo’ di scusa. “Invece… Edward?”

Isabella strabuzzò gli occhi.

“Edward cosa? Lo sai che non voglio più sentir parlare di lui. Io sono tornata alla mia vita, e lui alla sua. Basta. Fine. Stop.”

“Come la fai tragica. E non dici niente della lettera! Diamine, Bella! Sono passati due mesi, e lui ancora starà aspettando una tua telefonata.

Ovviamente Alice era l’unica a sapere di quella lettera.

E nemmeno doveva saperlo. Dopo che Isabella gliel’aveva mostrata, lei non aveva fatto altro che incitarla a chiamarlo.

Che quella era una lettera d’amore.

Sì, proprio d’amore, era quello che aveva pensato Bella.

Forse Edward con quella lettera voleva far trasparire tutti i suoi sentimenti, tranne che l’amore.

“Alice, per favore.”

“Okay, scusa. Allora, cosa compro a Jasper?”

Isabella sorrise, ringraziando mentalmente la sua amica, che era riuscita a cambiare argomento.

“Oh, guarda la! Lì sicuramente troverai il regalo adatto a Jasper. Disse, indicando con l’indice un negozio sulla destra.

Alice diventò rossa dalla testa hai piedi, tirando un pugno al braccio di Isabella.

Quello sì, che le fece male.

Quello è…”

“Ancora non mi spiego come può esserci un negozio del genere a Forks.”

“Quello è…” Alice ancora non proferiva parola, ancora.

“Sì Alice.”

Quello è un Sexyshop.

 

 

Erano tornate a casa tre ore dopo, con le mani strapiene di buste.

Alla fine Alice aveva optato per un libro. Scelta consigliata dalla sua amica, che conosceva un po’ meglio i gusti di Jasper.

“Tesoro, questo è per te!”

Alice, dopo che si era buttata a peso morto sul letto di Isabella, tirò fuori un piccolo pacchettino.

“Oh Alice, dovrei aprirlo a Natale, lo sai questo?”

“Ovvio. Però io partirò domani mattina. Quindi lo scarti ora.”

Sembrava che non volesse repliche, mentre fissava in tralice Isabella.

La ragazza sbuffò, pensando al Natale che avrebbe passato.
Certo, era la sua festa preferita, ma senza Alice sarebbe stato una noia infernale.

E lei sarebbe partita la mattina dopo, per Londra. Avrebbe passato le feste dalla famiglia McCarty.

Si era accordata con Emmett qualche giorno prima, e i suoi genitori l’avevano lasciata andare a patto che per Capodanno tornasse a Forks.

Anche Esme aveva persuaso Isabella ad andarla a trovare per le feste Natalizie.

Lei aveva mentito, dicendo che Renée voleva che passasse le vacanze a casa.
Esme un po’ rabbuiata c’era rimasta male, ma subito dopo le aveva detto che si sarebbero riviste per le festività Pasquali.

Isabella aprì il pacchettino, tirando fuori dalla scatola color oro un braccialetto d’argento, con un ciondolo a forma di lupo sopra.

“Alice…”

“Lo so che ultimamente sei fissata con questi lupi e licantropi. Quindi, quando ho visto quel bracciale ho subito pensato a te.

Isabella le si buttò praticamente addosso, abbracciandola spasmodicamente.

“E’ bellissimo! Dio, altro che bellissimo. E’ meraviglioso!”

Alice sorrise contenta. Sapeva che quando aveva comprato quel braccialetto avrebbe fatto felice la sua migliore amica.

“Però mia cara, ora tocca a te.” Isabella si alzò, prendendo un grosso pacco da sotto il letto. “Tieni.” Disse, porgendoglielo.

“Cos’è?”

“Aprilo.”

La sua amica lo aprì, mentre dentro moriva dalla curiosità.

L’abbraccio che aveva dato prima Isabella ad Alice non era niente, in confronto a quello che si stavano scambiando ora.

Per poco e Bella non riuscì più a respirare.

“Come hai fatto? Cioè, questa borsa sarà sul mercato il prossimo mese! Oh mio Dio!”

La borsa nera Chanel faceva bella mostra di sé, sul braccio di Alice che si atteggiava camminando per la stanza.

Certo, trovare quel regalo forse non era stato facile come trovare quel braccialetto, ma questo ed altro, per la sua migliore amica.

“Non so che dire.” Balbettò Alice, con le lacrime agli occhi.

“Non dire nulla. Portala co-” Non finì di parlare, perché bussarono alla porta.

“Oh, ragazze. Siete in casa.” Alice sorrise, salutando con un cenno della mano la signora Swan. “Volevo informarti che domani sera avremo ospiti a cena.”

“Cosa? Mamma, è la Vigilia domani!”

“Beh? Che male c’è?”

Isabella sbuffò, sedendosi sul letto.

“Niente. Niente di male.” Certo, perché i suoi consideravano la Vigilia di Natale come una semplice cena, tutto normale come sempre.

“Dai non te la prendere. Ora io devo andare.” Alice le se avvicinò, stampandole un bacio sulla guancia. “Ci vediamo fra quattro giorni, tesoro.”

Sorrise falsamente, pensando che quello sì che sarebbe stato un bel Natale del cavolo.

 

 

“Isabella! Isabella!”

Si stropicciò gli occhi, guardandosi un’ultima volta allo specchio.

Era la Vigilia. Aveva indossato un semplice jeans scuro e un maglioncino rosso.

I capelli erano rimasti sciolti, con i boccoli che le arrivavano quasi alla schiena.

Un po’ di lucidalabbra, ed era pronta.

In tiro proprio per gli ospiti.

“Isabella! Scendi!” Sbuffò sonoramente, all’ennesimo richiamo di sua madre.

Scese, riavviandosi i capelli con una mano.

Gli ospiti.

Era convinta che fossero Billy e Jacob, ma che sua madre per non farle prendere la cosa più male di come l’aveva già presa, non le aveva detto nulla.

Ma si sbagliò di grosso, quando entrò nella cucina.

Una chioma rossa. La prima cosa che aveva notato.

Poi, un paio di jeans scuri. Una camicia.

Oh, Cristo Santo.

Quello sì, che era un bel regalo di Natale.

Stava pensando di scusarsi con sua madre per il comportamento sgarbato che aveva avuto in quell’arco di tempo.

Finché quel rosso non si girò.

Occhi verdi. Capelli scompigliati.

Un bicchiere di champagne in mano, e un sorriso malizioso da togliere il fiato.

E Edward era proprio lì, davanti a lei.

Edward. Edward Cullen.

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Capitolo 6
*** Sesto Capitolo. ***


Isabella si trovò davanti Edward

Sono di poche parole, stasera. Vi lascio al capitolo, e vi ricordo che ho fatto un account face book. Trovate il link alla mia pagina autore ;)

 

 

____

 

 

Sesto Capitolo.

 

 

 

Isabella si trovò davanti Edward.
Edward.

Quell’Edward Cullen che non si faceva sentire da due mesi.

Il figlio di Esme e Carlisle.

Hey, tesoro.” Renée le sventolò una mano davanti agli occhi, portando anche a lei un bicchiere di champagne.

Bella issò il suo sguardo sulla figura esile di sua madre.

Indossava un vestito rosso e dei tacchi a spillo neri.

Ecco, lei metteva i tacchi solo in rare occasione.

Quella sì, che era un’occasione rara.

“Ti presento Edward.” Continuò sua madre, cercando di far riprendere sua figlia da quello stato di trans momentaneo. “Lui è il figlio dei Cullen, della famiglia che ti ha ospitata a Londra.”

La ragazza sbatté gli occhi, passandosi una mano sui capelli per dargli ancora più disordine.

Dio, era così diverso dal vivo.

I capelli non erano lunghi come quelli che aveva visto in foto, ma quanto avrebbe voluto passarci una mano, lì in mezzo.

E il corpo… Beh, in foto era riuscita soltanto a vedergli il busto, ma visto così, dal vivo era sublime.

“Isabella.”
Edward le se avvicinò, tenendo il calice in una mano e porgendole l’altra.

Anche la sua voce, era diversa. Più profonda e più calda, ora che riusciva a sentirla dal vivo, in prima persona.

Deglutì rumorosamente, porgendogli la sua mano.

“E’-” Si schiarì la voce, cercando di non farsi notare da nessuno. “E’ un piacere conoscerti, Edward. I miei genitori mi hanno parlato spesso di te.

Lui alzò il sopracciglio, rendendosi conto qualche minuto dopo del gioco che stava facendo la ragazza.

“Oh, anche i miei. Esme non vede l’ora di rivederti.” Calcò molto sull’ultima frase, sorridendole cordialmente.

“Beh, è fantastico che vi siate conosciuti!”

La signora Swan sorrise a tutti e due, ma neanche la notarono. Troppo impegnati a fissarsi in cagnesco.

Dopo che Edward lasciò la stretta di mano, Isabella sgranchì le dita, allungandole fino a sentirle scrocchiare.

“Oh, Edward. Isabella. Finalmente vi siete conosciuti! Venite, che la cena è pronta!” Charlie Swan sbucò dalla cucina, con un cappello da Chef in testa.

Tutta scena, pensò sua figlia.

Tutta scena, perché lui non sapeva cucinare. E così neanche Renée. Soltanto Bella riusciva a cavarsela in cucina.

E le mancava molto la cucina della signora Cullen. I suoi piatti erano deliziosi.

Con un sospiro sorpassò Edward, avviandosi verso la cucina.

Seguita da lui, e da una Renée a dir troppo su di giri.

 

Isabella si sentì profondamente stupida, quando si ritrovò a tavola insieme ai suoi genitori, e a Edward.

Diamine, come aveva fatto a non pensarci prima?

Come Esme voleva vedere lei, e come Alice era andata dalla famiglia McCarty, doveva almeno presupporre che Renée sentisse ancora Edward.

Ma non le era passato neanche per l’anticamera del cervello.

La sua unica preoccupazione era quella di stargli il più lontano possibile, non quella di ritrovarselo a casa.

Per giunta la sera della Vigilia.

“Allora Edward, come hai trascorso questi due mesi?” Domandò gentilmente il signor Swan, aspettando che il ragazzo finisse di ingurgitare tutto quello che aveva messo in quella bocca.

Isabella, mio figlio mangia tutto’  Le ritornarono in mente le parole di Esme, che le aveva detto il primo giorno in cui si erano viste.

Era vero, Edward mangiava di tutto.

Aveva assaggiato ogni tipo di pietanza che era su quel tavolo, e ancora continuava a mangiare.

Isabella aveva toccato soltanto dell’agnello, e per poco non le scoppiava lo stomaco.

“Oh benissimo, grazie. Sono tornato alla mia solita routine.”

Cioè andare in giro con la tua comitiva di vandali e scoparti ogni ragazza che conosci.

Dovette mordersi la lingua fino a sentir dolore, per non pronunciare quella frase.

Non poteva farlo.

Eppure Edward era lì, davanti a lei.

Le sembrava un sogno.

“Edward, sarai stanco per il viaggio. Che ne dite se scartiamo i regali prima della mezzanotte?” Domandò Renée, battendo le mani euforica.

Bella abbassò lo sguardo, giocando con la carne che aveva nel piatto.

Ovvio, questo ed altro per Edward Cullen.

Neanche fosse andato in Guerra.

La tradizione della famiglia Swan era quella di aspettare la mezzanotte, per poi scartare i regali.

Oppure lo facevano la mattina di Natale, sotto l’albero e in pigiama.

Ovviamente, ora che c’era Edward tutto doveva cambiare.

“Non c’è problema. Infondo è la Vigilia, posso permettermi di fare un po’ tardi.

“Certo, caro. Volevo solo informarti che domattina la sveglia suonerà presto, visto che andremo a pranzo da amici.

“Cosa?” Questa volta fu Isabella, a parlare.

Domani sera avremo ospiti a cena.

Pranzo da amici.

Da quando in qua non aveva più voce in capitolo in quella casa?

“Sì, tesoro. Andremo a casa Black.”

La ragazza sbuffò pesantemente, adagiando la schiena sullo schienale della sedia di legno.

Ottimo, l’unica cosa che non le serviva era proprio vedere Jacob Black.

Perch-?”

La signora Swan bloccò le sue parole sul nascere, mettendole una mano sul braccio.

“Isabella, cosa cambia se andiamo a pranzo da Billy e Jake, invece di stare qui solo noi quattro?”

Lei abbassò lo sguardo, intimidita.

“Niente, mamma. Niente.”

Stette in silenzio fino alla fine della cena, ascoltando le poche parole che si scambiavano Charlie e Edward.

Parlavano soprattutto di sport, e Renée ed Isabella non volevano intromettersi.

Anche perché non ci capivano nulla.

“Beh Edward, ti è piaciuta la cena?”

Lui annuì, regalando un sorriso alla signora Swan.

Isabella scosse la testa, sapendo benissimo che lui stava mentendo.

Infatti era stato proprio lui, e dirle che la cucina di Renée non era poi così buona.

Dio, era passato così tanto tempo dall’ultima chiacchierata.

Eppure erano passati soltanto due mesi.

“Edward, questo è per te!”

Quando tutti si sedettero finalmente sul divano, Renée prese un regalo da sotto l’albero e lo passò al ragazzo.

La copertina era inconfondibile, e Isabella la conosceva bene.

Era un libro. Il suo libro preferito.

“Cime Tempestose?” Domandò Edward, rigirando la copertina sulla sua mano.

Come diamine era saltato in mente a Renée Swan di regalare Cime Tempestose ad un ragazzo?

Soprattutto ad un ragazzo cinico come Edward Cullen.

“Già. L’hai letto?” Il sorriso che c’era sul viso della donna era di pura felicità.

“No… No. Grazie.”

Edward sorrise, alzandosi per stamparle un bacio su ciascuna delle sue guance.

“E questo… questo è per te. Non sapevo quali fossero i tuoi gusti, quindi il cinquanta percento del merito va a mia madre.

Isabella sorrise, pensando che quel regalo doveva essere fantastico, se l’aveva scelto Esme.

Quando lo aprì, si ritrovò in mano un borsellino di pelle, di Louis Vuitton.

Alice sarebbe morta vedendo una cosa del genere.

Poi fu il turno di Charlie, che quasi pianse dalla gioia vedendo la collezione di tutte le partite dei Ravens nelle sue mani.

Poi, inaspettatamente, Edward si avvicinò ad Isabella.

Tieni, questo è per te.”

“Cos-?”

“Non preoccuparti. Lo so che tu neanche sapevi del mio arrivo, e di certo non mi aspettavo un regalo. Spiegò lui, sorridendole gentilmente.

Lei con le mani quasi tremanti aprì quel pacchettino, tirandone fuori una collana a forma di cuore.

Di Tiffany.

Era veramente bellissima, semplice, proprio come piaceva a lei.

Se la rigirò fra le mani, guardando tutti i riflessi argentati di quella catenina.

“Allora? Bells, non ringrazi Edward?”

Scosse energicamente la testa, sorridendo al ragazzo dinnanzi a lei.

“E’ bellissima.” Sussurrò, quasi ammaliata. “Grazie.”

Lui le disse che non doveva ringraziarlo, ma che aveva comprato quella collana immaginandola.

Non le disse che l’aveva scelta insieme ad Esme, perché era stato proprio Edward a recarsi al negozio, e scegliere personalmente il regalo per Isabella.

Dopo che tutti i regali furono stati aperti – Bella ricevette un buono in una SPA da sua madre, che aveva fatto lo stesso regalo alla sua amica Alice -, decisero di andare a letto.

“Beh, che ne dite di andare a dormire?” Chiese Renée, accompagnando la sua frase con un sonoro sbadiglio.

La ragazza guardò l’orologio a muro, che segnava solo le undici e mezza.

Dio, ancora non era Natale.

Tutti annuirono all’affermazione della donna, che iniziò a fare il divano letto, mettendoci delle coperte per Edward.

Non avevano una stanza degli ospiti, e di certo non poteva dormire con Bella.

Mente Renée preparava il letto, sua figlia salì al piano superiore per prendere il pigiama e le ciabatte. Poi scese nuovamente, visto che Charlie aveva occupato il bagno del suo piano.

Stava entrando nel bagno, quando contemporaneamente uscì Edward.

“Oh, scusa.” Disse imbarazzata lei, abbassando la testa.

Ancora doveva realizzare che Edward fosse lì, nella sua casa.

A pochi metri di distanza da lei.

Con lei.

“Niente.” Sorrise cordialmente, spostandosi per lasciarle il posto in bagno.

“Ah, Edward?”

Lui fermò la sua camminata, voltandosi verso la mora.

“Sì?”

“Niente.” Sussurrò, sempre più rossa e imbarazzata. “Buonanotte.”

“Buonanotte, Bella.”

 

 

Girata su un fianco nel suo letto, Isabella non faceva altro che pensare a tutto quello che era successo quella sera.

Aveva fatto in tempo a mandare un sms ad Alice, con su scritto solo tre parole.

Qui c’è Edward.

La risposta era arrivata circa tre secondi dopo.

Insomma, il tempo per leggere quel messaggio che già aveva risposto.

Mi racconterai tutto quando tornerò. Ogni minimo particolare.

Ecco, era riuscita a firmare un contratto con la morte senza che la stessa morte gliel’avesse permesso.

Ottimo, si era strozzata con le sue stesse mani.

Passandosi una mano si girò dall’altro lato, e per poco non urlò dalla paura.

Diamine, Edward era proprio lì, sull’uscio della porta.

La lasciava sempre socchiusa, la notte. Ed ora era totalmente aperta, con il rosso che la fissava.

Edward sgranò gli occhi, quando si rese conto che non dormiva, ma era sveglia.

C-cosa… Cosa diavolo ci fai qui?”

“Intendi qui in camera tua o qui in casa tua?”

Lei sbuffò sonoramente, accendendo la piccola abatjour e sedendosi sul letto.

Non riusciva a prendere sonno, tanto valeva parlare con lui.

“Tutte e due.”

“Mettiamo le cose in chiaro.” Disse Edward, entrando nella sua camera senza aspettare che lei lo invitasse. “Sono stufo di fare questo giochetto. Insomma, perché dobbiamo fingere di non conoscerci? Okay, lo possiamo fare davanti ai tuoi genitori… ma quando siamo solo io e te

“Edward, aspetta. Infondo io te nemmeno ci conosciamo, ricordi?”

“Oh, Dio! Come la fai complicata Isabella!”

Sprofondò anche lui, sedendosi sul bordo del letto.

“Devo presupporre che il biglietto che ti ho lasciato lo abbia letto Renée e cestinato, vero?”

Lei diventò inevitabilmente rossa, fissando un punto del piumone viola. “Oppure l’hai letto tu, e cestinato.” Continuò, cercando di guardarla negli occhi.

Poi, lei scoppiò. “Sì, l’ho letto io. E vuoi sapere dov’è ora? Sotto questo letto, dentro ad una scatola. E sai perché è lì, perché Edward, io e te non ci conosciamo. Cosa c’è stato tra di noi? Una mezza chiacchierata per telefono? No, neanche quella. Perché ogni volta che parlavamo, finivamo per litigare. Non è cestinato quella lettera, e neanche ho fatto finta di non averla letta. L’ho soltanto ripiegata e messa da una parte. Tutto qui.”

Lui sospirò, stropicciandosi gli occhi.

A lei sembrò di sentirlo ringhiare.

“Perché sei così ostinata? E sai una cosa? La vuoi sapere? Sono tremendamente egoista da aver chiesto a mia madre di te, in questi due mesi, ogni santo giorno.

La vide trasalire, pensando che Esme sapeva tutto.

“E no, non le ho raccontato che ci conosciamo. Perché sì, in un modo o nell’altro, noi ci conosciamo Bella. E che Renée non me ne voglia, ma io non sono tornato per incontrare la tua famiglia. No. E ho sperato con tutto il cuore che non accettassi l’invito di Esme, per tornare a casa mia.

“Cosa diavolo stai dicendo?”

Edward la guardò in cagnesco, trucidandola con gli occhi.

“Sto dicendo che da una parte hai ragione tu. Non ci conosciamo, per niente. Ma dall’altra ho ragione io. Perché ci conosciamo, in un modo o nell’altro. E sono qui per conoscerti davvero, Bella. Starò qui fino a Capodanno, e voglio passare questi nove giorni con te. Per conoscerti, davvero.”

Quando la guardò nuovamente, vide che lei aveva gli occhi chiusi e la testa appoggiata sul cuscino.

Dormiva.

Edward sorrise, e le rimboccò le coperte.

“Edward?”

Si sorprese, quando sentì la sua voce.

“Sì?”

“Rimani qui.” Disse, con la voce impastata dal sonno.

“Cosa?”

“Dormi qui con me.”

Lui rimase totalmente spiazzato da quella domanda.

“Bella, i tuoi genitori sono nell’altra camera.”

“Chiudi la porta.”

Edward scosse la testa, alzandosi per chiudere la porta e tornare a letto.

Quando si mise sotto le coperte insieme a lei, sentì un’ondata di profumo alla fragola invadergli il corpo.

Dormi, Edward.” Fu tutto quello che disse lei, girandosi su un fianco.

Il ragazzo azzardò, passandole una mano sulla vita per stringerla a sé.

Isabella rimase per qualche secondo immobile, e poi si rilassò.

“Edward?” Domandò, qualche minuto dopo.

“Sì?” Sussurrò lui, con la voce terribilmente roca.

“Il tuo regalo di Natale è a casa tua.”

“Come?”

“Ho spedito i regali di Natale ad Esme e Carlisle. E così anche a te.”

“Oh.” Era rimasto totalmente affascinato da quella risposta.

“Edward?”

Mh?”

“Buon Natale.”

“Buon Natale, Bella.” Ricambiò lui, posandole un dolce bacio sulla testa.

E poi tutti e due caddero in un sonno profondo.

 

 

 

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Capitolo 7
*** Settimo Capitolo. ***


Il ritardo è giustificato soltanto da una cosa: la mia pigrizia.
Ormai non ho proprio voglia di fare niente, quindi neanche di mettere in azione le mie povere manine çç
Il capitolo non è niente di che, ma spero che vivamente che vi piaccia.
E mi sto mettendo in pari con le recensioni, promesso.
Un bacio :*
Ps: ho inserito le immagini nel testo, che ve ne pare? Un ringraziamento enorme a Martybet che mi ha aiutata. Grazie tesoro :*

______



Si svegliò intorpidita. 
Certo, accadeva tutte le mattine, ma quella volta sembrava che i muscoli le facessero male più del solito. Come se avesse dormito per tutta la notte nella stessa posizione.
Stessa posizione.
Di colpo si sedette sul letto. La testa le girò solo per un istante, e poi un nome le balenò nella testa.
Edward.
Avevano parlato, la sera precedente.
E si erano detti anche molto, da quel che riusciva a ricordare.
E poi…
Un buco, un totale buco nella sua mente.
Si guardò intorno, notando che erano appena le otto e trenta.
Le otto e trenta, del venticinque dicembre.
Era Natale.
Si stropicciò gli occhi, e con passo strascicato si diresse in bagno.
Sull’uscio della porta, incontrò sua madre.
In vestaglia e con una tazza di caffè in mano.
“Tesoro, buongiorno.”
“Mamma.” La sua voce era ancora impastata dal sonno.
E completò la frase con un sonoro sbadiglio.
“Sembra che non dormi da giorni.”
“Molto spiritosa.”
Guardò Renée, con un sorrisino malizioso stampato sul viso.
“Che c’è?” Sussurrò Isabella, come se fosse caduta dalla nuvole.
“Niente, non preoccuparti. Vado a vestirmi. Ricorda che alle dieci dobbiamo stare dai Black.”
“Che fortuna.” Borbottò fra se, cercando di non farsi sentire.
E poi, finalmente, riuscì ad entrare in bagno.
Quando ebbe finito con il bagno e dopo una bella lavata di viso si diresse al piano inferiore.
E quasi le mancò il fiato.
La scena assomigliava a quella della sera precedente, solo che stavolta Edward aveva una tazza in mano, e con l’altra si stava versando del caffè.
Alzò il volto – forse sentendosi scrutato -, e regalò alla ragazza un sorriso che la fece mancare di qualche battito.
“Buongiorno.” Disse, continuando a sorridere. Poi con un gesto della mano le indicò la caffettiera che aveva in mano. “Caffè?”
Sembrava un sogno.
Un sogno dal quale non voleva essere svegliata.
“Sì, grazie.”                                            
Prese posto davanti a lui, su uno sgabello.
“Oh. Buon Natale, Edward.” Sussurrò, come se si fosse svegliata da un torpore momentaneo.
“Di nuovo?”
“Cosa?”
Il rosso la scrutò.
“Non dirmi che non ricordi niente.”
“Certo.” Disse lei, risoluta. “Abbiamo parlato, ieri sera. E a lungo. Poi…”
“Poi?” La incitò.
Come presumeva.
“Poi?” Ripeté la sua stessa domanda. Edward sorrise, e scosse la testa energicamente. Con quel gesto la sua chioma ramata ondeggiò da un lato all’altro.
Mandando la ragazza su di giri.
Quanto avrebbe voluto mettere un mano in mezzo a quella testa, e tastare se i suoi capelli erano davvero così morbidi.
“Poi ti sei addormentata. Stavo per andarmene, quando mi hai chiesto gentilmente di restare e dormire con te.”
Quasi si strozzò con la bevanda che stava sorseggiando.
“Stai mentendo.” Concluse infine, assottigliando gli occhi.
In quelli del ragazzo non passava nessuna emozione, così Isabella fu costretta a credergli.
Non le stava mentendo.
“Hai dormito con me? Anche se sapevi che i miei genitori erano nella camera adiacente?”
“Io te l’ho detto. Ma tu hai insistito, proponendomi di chiudere la porta.”
Isabella si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli più del necessario.
“E tu l’hai fatto? Sapendo che ti saresti addormentato. Perché hai osato così tanto? E fortuna che sei riuscito a svegliarti prima.”
Edward la fissò con un cipiglio curioso.
“Ieri abbiamo fatto dei passi avanti così lunghi. Quindi… prometti di non arrabbiarti?”
Alzò tutte e due le sopracciglia insieme.
“Hai approfittato di me?!”
Lui alzò le mani al celo.
“Come diamine ti salta in mente una cosa del genere? Oh mio Dio, Isabella!”
Si grattò la testa, imbarazzata. Ecco, aveva proprio esagerato.
“Scusa. Okay, non mi arrabbierò. Dimmi.”
“Io non sono riuscito a svegliarmi. E’ stata tua madre, a dirmi di tornare al piano inferiore. Prima che Charlie si svegliasse, e attentasse alla mia vita con la sua pistola da Sceriffo.”
Se prima si era quasi strozzata con il caffè, ora lo sputò tutto nella tazza.
“M-mia m-adre?” Balbettò, rossa fino alla punta dei capelli.
Ecco perché Renée aveva quel sorrisino malizioso!
Dio, chissà che aveva pensato.
Che sua figlia andasse col primo che le capitava a portata di mano. Ovvio, perché secondo la famiglia Swan lei e Edward si erano conosciuti poche ore prima.
“Già.” Balbettò lui, quasi imbarazzato quanto lei.
Questo proprio non ci voleva.
“Chi sono i Black?” Domandò Edward, dopo qualche minuto di silenzio.
“Oh, Billy e Jacob. Sono amici di famiglia. Abitano alla riserva, poco distante da qui. E’ la prima volta che passiamo il Natale con loro.” Spiegò, cauta.
Omettendo la sua relazione con Jacob Black.
Il silenzio calò di nuovo. Ma era un silenzio piacevole.
Non c’era imbarazzo.
Interrotto da Renée. “Ragazzi, che ne dite di prepararvi? Fra poco arriverà Charlie.” L’occhiata maliziosa che lanciò a tutti a due faceva intendere davvero poco.
“Va bene.” Sussurrò, rossa dalla testa ai piedi.
Edward silenziosamente la seguì, prendendo dei vestiti dalla sua valigia.
Poi Isabella si diresse al bagno del piano superiore, mentre il ragazzo a quello del piano inferiore.
 
“Stai davvero bene”. Sobbalzò spaventata, quando entrò in camera sua e trovò Edward.
Era lì, con un paio di jeans scuri e una camicia blu. Normali scarpe da ginnastica ai piedi.
“Grazie.” Balbettò insicura. “Anche tu.”
Non credeva a quello che le aveva detto Edward.
Di certo, non era vestita bene.
Indossava dei semplici jeans neri, e un maglione rosso con scollo a V. Aveva abbinato il tutto a delle ballerine rosse.
I capelli gli aveva lasciati sciolti, così da ricadere in una cascata di boccoli morbidi.
Di certo era vestita molto meglio la sera prima.
Si domandò perché lui era nella sua camera. Che guardava le foto appese ad una bacheca di sughero.
“I tuoi mi hanno chiesto di venire a vedere che fine avessi fatto. Stiamo aspettando te.” Sussurrò cautamente lui, girandosi per osservarla.
Sì, aveva ragione. Era proprio bella vestita così.
Semplice, ma con un tocco di femminilità.
“Oh. Sono pronta. Possiamo anche scendere.” Prese la borsa rossa che aveva sul lasciato sul letto, e la mise a tracolla.
Poi, insieme, scesero al piano inferiore.
“Finalmente.” Borbottò un seccato capo Swan.
Ovvio, lui odiava aspettare.
“Sono soltanto le nove e mezza. Non dobbiamo stare dai Black alle dieci?” Domandò Isabella, altrettanto seccata.
Ancora non aveva digerito l’idea di passare il Natale fuori casa.
Certo, le faceva piacere andare da Billy.
E ancora più piacere che con lei ci fosse Edward.
Ma preferiva di gran lunga restare a pranzo a casa, per poi fare una passeggiata nel bosco.
Adorava il bosco, non il rumore delle onde che c’era a La Push.
Con un sbuffo finalmente uscirono tutti da casa Swan, prendendo il Pick up. Certamente non potevano recarsi lì con la volante della Polizia.
Edward e Isabella sedettero dietro, in silenzio.
Nessuno scambiò una parola.
“Ragazzo, hai dormito bene? Come è andato questo primo giorno.” Tutti, - compresa Renée -, si voltarono per fissare con sguardo allibito Charlie.
Lui, che non diceva mai una parola ma lasciava gli altri parlare, quella mattina aveva proprio voglia di conversare?
“Benissimo.” Edward si schiarì la voce, cercando di sembrare quantomeno credibile. “Bene, grazie. E’ stato bello tornare a Forks.”
“E lo credo!” Disse Charlie, in tono burbero. “Hai anche avuto il piacere di conoscere Bella, finalmente.”
“Finalmente.” Lui marcò l’ultima parola, scoccando un’occhiata eloquente a lei.
Isabella alzò lo sguardo al cielo, come per dirgli che aveva ragione.
Finalmente si erano incontrati.
Avevano chiarito tutti i problemi ed erano riusciti a conoscersi meglio.
Talmente meglio che mentre Edward parlava di lui, lei era crollata in un sonno profondo.
 
Dieci minuti dopo erano nel vialetto di casa Black.
La casa dietro era circondata dal bosco, e davanti dal mare.
Isabella si era chiesta spesso come facessero Billy e Jacob a vivere così a contatto con il mare.
“E’ fantastico.” Mormorò estasiato Edward, scendendo dalla vettura rossa.
“Oh, sì.”
“Non ti piace?” Domandò, scrutandola.
Voleva imparare molte cose su suo conto, in quei pochi giorni. E aveva deciso di mettersi al lavoro proprio dal quel giorno stesso.
“Non amo il mare.” Ammise, abbassando la testa.
Ogni volta che diceva così, automaticamente le persone pensavano che lei non sapesse nuotare.
E si sbagliavano di grosso.
Da piccola aveva preso delle lezioni di nuoto, insieme a quelle di danza.
Renée le aveva fatto provare ogni tipo di sport, anche il Karate. Che lasciò due lezioni dopo, perché troppo scoordinata nei movimenti.
Purtroppo non era colpa del Karate, ma di tutti gli sport.
E così si dedicò soltanto a qualche ora in palestra una o due volte al mese. Accompagnata dalla sua migliore amica Alice.
“Oh, neanche a me piaceva molto. Sono riuscito ad amarlo qualche estate fa, in vacanza con il mio migliore amico Emmett.”
“McCarty?” Domandò subito lei, sapendo che Londra era grande e che forse di Emmett che ne erano a centinaia.
Edward si fermò di colpo, per fissarla stranito.
“Come fai a-”
“Alice, la mia migliore amica è stata dalla famiglia McCarty, durante il viaggio. Non conosco personalmente Emmett, e non sapevo neanche che fosse tuo amico.” Spiegò brevemente, notando che l’espressione sul viso del ragazzo era cambiata radicalmente.
“Ah.”
Rise silenziosamente, affiancandosi a sua madre.
Charlie suonò alla porta, mentre Edward aspettava infondo, in silenzio.
“Vi stavamo aspettando!” Quello fu il saluto di Jacob Black, che aveva aperto la porta con un sorriso a trentadue denti.
Indossava un paio di jeans scuri abbinati ad una maglietta rossa.
Spirito natalizio, pensò Isabella.
Entrarono nella modesta casa dei Black.
Jake salutò Renée con due baci, e Charlie con una pacca sulla spalla.
Quando Isabella entrò, l’avvolse in un caloroso abbraccio.
“Bells!”
“Jake.” Si voltò, indicando la figura dietro di sé. “Ti presento Edward. Edward Cullen.”
Jacob sorrise, stringendo la mano al ragazzo.
Edward ricambiò la stretta, finché una voce gli interruppe.
“Non posso crederci. Edward Cullen. Charlie non ha fatto altro che parlare di te!” Il vecchio Billy Black si avvicinò, trascinandosi con se la sua sedia a rotelle.
“Signore.” Edward staccò la mano da quella di Jacob, per porgerla a Billy.
“E’ un piacere conoscerti, finalmente. Hey, Bells.” Quando si staccarono Isabella si abbassò all’altezza di Billy, per abbracciarlo.
“Beh, ragazzi, il pranzo non è ancora pronto. Che ne dite di accomodarci tutti nel salone?”
 
Avevano parlato del più e del meno.
Si erano raccontati tutte le loro ‘avventure di vita’, insieme alla partecipazione dei grandi.
Non avevano fatto altro che ridere, anche quando era arrivato il momento di andare a pranzo.
Erano stati Jacob e Billy a cucinare tutto, ed Isabella dovette ammettere che non era niente male.
E una volta finito di mangiare, si erano accomodati nuovamente nel salone, sprofondando sul divano.
“Non vorrete rimanere tutto il giorno qui?” Domandò Billy, rivolto agli unici ragazzi in quella stanza.
“Io devo andare da Seth. Volete venire con me?” Chiese Jake, solo ed unicamente a Bella.
Come se Edward non ci fosse.
“Salutami Seth, ma preferisco rimanere qua.” Disse Isabella, per poi girarsi e guardare Edward. “Prima mi hai detto che non avevi mai visto un paesaggio così. Ti andrebbe di fare una passeggiata?”
Lui rimase totalmente stupito da quella domanda. Per la prima volta era stata lei a prendere l’iniziativa, proponendogli di uscire.
Da soli.
Senza quel Jake che dietro la figura snella di Isabella stava facendo il fumo dal naso.
“Certo.”
“Bene.”
Si alzarono tutti e tre insieme, andando a prendere le giacche.
“Beh, mamma ci vediamo dopo.”
“Va bene ragazzi, divertitevi.”
Uscirono, e Jake si diresse dentro il garage, per prendere la moto. Mentre Isabella e Edward presero un’altra strada, diretti al mare.
“A Londra non esistono posti del genere.” Commentò Edward, camminando vicino a Bella.
“No, infatti. Londra è mille volte meglio.” Ricevette un buffetto sulla spalla, che la fece vacillare per qualche secondo.
“Londra avrà anche dei posti fantastici, ma qui… senti, il profumo del mare.” Chiuse gli occhi, fermandosi per aspirare lentamente.
Isabella lo guardò, notando che era davvero bello.
Già, la foto che aveva insieme ad Esme non era nulla in confronto a quello che vedeva ora, lì, davanti ai suoi occhi.
“Quel Jake non mi piace.” Esordì, continuando la loro passeggiata.
“Ma se non vi siete scambiati neanche una parola.”
“Appunto. Era troppo occupato a trafiggermi con lo sguardo.”
Isabella sorrise, mettendo una ciocca di capelli che le era sfuggita dietro l’orecchio destro.
“Se ti rivelassi una cosa… mi prometti che non ti arrabbi?”
“Ne abbiamo parlato ieri sera.” Disse Edward, quasi in un sussurro. “Lo sai che puoi dirmi tutto. Siamo amici, ora.”
L’aveva detto, ma suonava tremendamente male.
Ma cosa potevano essere, lei e Isabella?
Di certo nulla di più, visto che lui sarebbe partito la settimana prossima.
“Io e Jake eravamo fidanzati. Insomma, prima che io partissi per Londra.”
“Ora sì che si spiega tutto.” Questo era stato davvero un sussurro, che Isabella udì appena.
Ma lasciò correre, non chiedendogli nient’altro.
Restarono in silenzio, finché decisero di voltarsi per tornare indietro.
Le nuvole si stavano scurendo, preparandosi per un temporale degno di Forks.
“Dovremmo tornare qui.” Disse Edward, ancora affascinato da quel posto.
“Vuoi venire a trovare Jake?” Lo sfotté lei, inarcando le sopracciglia.
“Sei sempre così?” Le chiese, sbuffando sonoramente.
“Così come?”
“Così… Così! Oh, Dio. Non riesco neanche a trovare le parole adatte!” Sembrava affranto.
Isabella sorrise. “No. Solo tu riesci a farmi essere così.”
Il sorriso morì sulle labbra di Edward, che con un gesto semplice ma pieno di affetto passò un braccio sulle spalle di Bella, posandole un bacio sul capo.
“Ti voglio bene, Isabella Swan.”
“Ti voglio bene anch’io, Edward Cullen.”
E poi, mentre la pioggia iniziava a scorrere, corsero verso casa Black.
Con le loro mani intrecciate.
 

 

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Capitolo 8
*** Ottavo Capitolo. ***


Quattro giorni! Mi amate, vero?
Beh, aggiorno oggi perché domenica non ci sarò, e quindi il prossimo aggiornamento arriverà direttamente domenica 29. Non uccidetemi, vi prego.
E poi questo capitolo mi piace ùu Quindi, fatevelo piacere!
No, scherzo scherzo.
Spero davvero che il capitolo piaccia anche a voi, e ci sentiamo sotto!
Mi pubblicizzo :D Una canzone per noi e Il ragazzo del Pub
 
__________
 
 
 
Isabella indossò l’enorme sciarpa rossa, avvolgendola intorno al suo collo tre volte. Aveva anche il cappello dello stesso colore, che le ricopriva anche le orecchie.
Troppo coperta, ma infondo quella sera c’era stata una nevicata degna di Forks.
Proprio la notte di Natale.
Con Edward erano tornati a casa verso le ventuno, e poi subito a letto. Charlie e Renée erano davvero troppo stanchi per ascoltarli.
Però quella notte ognuno aveva dormito nella propria camera.
Cioè, Edward sul divano e Bella nella sua stanza.
E quella mattina si erano risvegliati trovando Forks ricoperta di neve. Uno spettacolo.
E Isabella sapeva già cosa doveva fare. Aveva svegliato Edward soltanto alle nove e trenta, gli aveva detto di prepararsi e vestirsi con gli abiti più pesanti che aveva in valigia, perché voleva portarlo in un posto.
Un posto speciale per lei, dove si recava ogni volta che nevicava.
E succedeva spesso, a Forks.
“Allora io sono pront-” Edward si bloccò sull’uscio della porta, contemplando la figura così bella della ragazza dinnanzi a sé.
Era così tenera con quel cappello in testa, e la sciarpa le ricopriva metà del viso.
Le se avvicinò cautamente, prendendo le due estremità del cappello per sistemarglielo.
“Sei carinissima.” Esordì, mentre le guance della ragazza si imporporavano.
“Oh, anche tu non sei niente male.” Bella fece lo stesso gesto che Edward aveva compiuto con lei, mentre le loro mani si intrecciarono.
“Allora… dove mi vuoi portare?”
Isabella sorrise, scuotendo la testa.
“Non te lo dirò mai.” Disse infine, facendogli una linguaccia.
E’ così facile stare insieme a lui… Scacciò quel pensiero, infilandosi il cellulare nella tasca. Quel giorno la borsa non le sarebbe servita.
“Sei perfida.” Lui le diede una lieve spintarella, facendola barcollare.
“Idiota. Dai, che sono pronta.” Insieme scesero, incontrando Renée che rassettava il salone. “Mamma, noi andiamo!” Urlò sua figlia, dirigendosi verso la porta seguita da Edward.
Quel giorno Charlie aveva il turno alla Centrale, e quindi non ci sarebbe stato. E non avrebbero lasciato la signora Swan da sola, perché già si era organizzata per una lunga chiacchierata fatta di pettegolezzi insieme alla signora Stanley.
“Va bene, tesoro. Non fate tardi, e state attenti.” Li salutò entrambi, e loro uscirono dirigendosi verso il pick up.
“Un piccolo indizio?” Chiese Edward, non demordendo mai.
“No! Che sorpresa sarebbe?”
“Io odio le sorprese!” Sbottò frustrato il ragazzo, sbattendo le mani sul cruscotto.
“Non dirlo a me.” Sussurrò lei.
Edward non si lasciò sfuggire l’occasione di prendere nota anche di quel piccolo particolare.
“Allora… hai sentito Esme?” Domandò Isabella, pensando che si era totalmente dimenticata di fare gli auguri a quella fantastica donna.
L’avrebbe chiamata la sera stessa, si promise.
“Ovvio. Ti fa gli auguri, e mi ha fatto le solite raccomandazioni.” Alzò gli occhi al cielo, mentre Isabella pensava alle solite raccomandazioni che le faceva anche sua madre.
Sempre le stesse, che non servivano mai a nulla.
Mentre lui parlava Bella girò a destra, parcheggiando.
“Ma se matta o cosa?”
Edward era scioccato. Aveva guidato così bene, che ora per parcheggiare aveva tagliato la strada ad una macchina.
Lei imbarazzata si grattò la testa e spense il motore.
“Scusami, ma è difficile trovare un parcheggio libero qui. Ho colto l’occasione.”
La guardò severamente, mentre lei attuava la sua occhiata da cane bastonato.
“Hai fatto tutto questo trambusto solo per portarmi in una caffetteria?” Domandò infine Edward, guardando l’enorme insegna di un edificio.
Caffetteria Weber.
Isabella andava spesso lì con Alice, soprattutto perché quel locale era dei genitori di Angela Weber, una loro compagna di scuola. Una ragazza a posto, che non aveva molti amici.
“Qui fanno la cioccolata calda più buona del Mondo.” Disse risoluta, scendendo dalla macchina e sistemandosi il cappello rosso.
“E se ti dicessi che a me la cioccolata non piace?” Lei si bloccò di scatto, pensando che non aveva proprio sfiorato quell’ipotesi.
“Dici sul serio? Oh, Dio! Perché non ci ho pensato prima? Beh, se vuoi puoi sempre prendere un caffè, non è proprio come la ciocc-”
“Isabella! Bella, fermati. Stavo soltanto scherzando.” Alzò un sopracciglio, iniziando a prenderlo a pugni proprio sul petto.
“Lo sai che non era divertente, eh? Ho impiegato tutta la notte per decidere cosa fare oggi!” Lo vide sgranare gli occhi, mentre lei voleva sprofondare in quel preciso istante.
Si era lasciata sfuggire troppe cose.
“Scusa. Non volevo. Io adoro la cioccolata.”
“Anche con i marshmallow?”
“Solo con i marshmallow.” Aggiunse lui.
Entrarono nella caffetteria come due bambini, troppo eccitati dall’idea di prendere una cioccolata con i marshmallow.
Si sedettero in un tavolo distante dagli altri, per avere un po’ di privacy.
“Isabella!” Una ragazza bruna con una montatura fina posata sul naso si avvicinò a loro.
“Hey, Angie!” La salutò con un tenero abbraccio, per poi sedersi davanti a Edward.
“Allora, cosa vi porto?”
“Il solito.”
Angela sorrise, scrivendo qualcosa sul suo taccuino per poi tornare al bancone.
“La conosci?” Domandò incuriosito Edward. Oltre che scoprire ogni cosa che Bella odiava ed amava, voleva sapere tutto quello che non conosceva. E le cose che non conosceva, erano davvero troppe.
“Sì, è una mia compagna di scuola.”
“E’ davvero molto carin… Ahi!”
Non concluse la frase, perché Isabella gli aveva tirato un calcio sotto il tavolo.
“Ecco a voi!” Furono interrotti da Angela, che aveva portato un vassoio con sopra due tazze ricolme di cioccolata calda e una ciotola ripiena di marshmallow bianchi e rosa.
“Grazie.” Fu Edward a parlare stavolta, guadagnandosi un sorriso da Angela e lo schiacciamento del suo povero piede per la seconda volta.
Quando Angela si allontanò di nuovo, Isabella prese una manciata di marshmallow e li immerse nella sua tazza.
“Me ne hai lasciati soltanto cinque!”
“Chi tardi arriva male alloggia.” Rispose, prendendo la sua tazza per coprire un sorrisino.
Edward sbuffò vistosamente, regalandole un’occhiataccia.
“Sei perfida!”
“E tu ripetitivo, te l’ho mai detto?”
“No. Ma tu sei perfida.”
“Ancora?” Lei inarcò tutte e due le sopracciglia, cercando di non bere troppo velocemente. Ci mancava solo che si bruciasse la lingua.
Ecco, sicuramente proprio quello che voleva Edward.
“E’ meglio che sto zitto, vero?”
Isabella alzò le spalle, come per dirgli di fare quello che voleva. “Bene.” Esordì Edward. “Non ti rivolgerò più la parola.”
Lei sorrise.
“Bene.” Copiò le sue stesse identiche parole. “Ed io non ti porterò dove ti volevo portare.”
“Scusa, ma non ci siamo già?”
“Scusa, ma a te andare a prendere una cioccolata calda ripiena di marshmallow ti sembra una sorpresa?” Disse, bevendo un ultimo sorso per finire la sua.
“Oh. Allora ti rivolgerò la parola… finché non torneremo a casa.” Precisò Edward, finendo anche lui la sua cioccolata.
“Approfittatore.”
Si alzarono insieme, dirigendosi al bancone.
“Oh, Isabella!” La signora Weber la salutò gentilmente, con un cenno della mano. Era talmente indaffarata lì dietro, che non era riuscita ad uscire per salutarla come si deve.
“Signora Weber.” Anche lei ricambiò il saluto, tirando fuori dalla tasca i soldi che si era portata dietro.
“Ma non ci pensare.” Edward bloccò la sua mano prima che la tirasse fuori dalla tasca, mentre porgeva alla cassiera una banconota da dieci.
“Ma sei mio ospite!” Protestò lei, visibilmente arrabbiata.
“E a me sono state insegnate le buone maniere.” Finì di pagare, e tutti e due salutarono il personale.
Quando uscirono, Isabella teneva ancora lo sguardo basso.
“Lo sai che avrei dovuto pagare io, vero?”
“Beh… sei stata sveglia tutta la notte per organizzare questa giornata. Era il minimo che potessi fare.”
Sbuffò, mentre le sue guance si imporporavano. Edward non aveva accennato alla piccola uscita di Bella, prima. Ed ora se ne stava altamente approfittando.
“Stai zitto e dormi.” Lo ammonì. “Che la strada è lunga.” Lui rise spensierato, sdraiandosi letteralmente sul sedile.
Non avrebbe mai dormito. Non quando poteva stare finalmente insieme a lei, da soli.
 
“Non – ce – la – faccio – più!” Esordì Edward con il fiatone, il naso rosso e la fronte imperlata di sudore.
Isabella fece di tutto per non scoppiare a ridere, ma ottenne scarsi risultati.
Avevano parcheggiato il pick up qualche metro prima, e poi avevano deciso di proseguire a piedi. Cioè, Bella aveva deciso di andare a piedi, visto che il pick sulla neve non camminava.
“Muoviti!” Gli ordinò lei, iniziando a camminare davanti a lui.
Con passo accelerato Edward la seguì, mentre i suoi scarponi affondavano nella neve ogni volta.
Si mise al passo con lei, sfiorandole la mano casualmente. Bella sorrideva ad ogni sfioramento, perché sapeva che lui lo faceva apposta. Per sentirla più vicina.
“Aspetta, aspetta!” Isabella lo sbloccò, mettendosi dietro di lui. “Ora chiudi gli occhi. E promettimi che non sbircerai.”
Edward capì che non doveva controbattere. “Okay.” Sussurrò appena, mentre Bella si alzava sulle punte per circondagli gli occhi con una mano.
“Cammina. Te lo dico io quando devi fermarti.” Sussultò, quando sentì la voce di lei così vicina, proprio a poca distanza dal suo orecchio.
Ed un brivido percorse tutta la sua spina dorsale.
“Va bene.” Ormai non poteva opporsi, era in sua balia.
Fecero qualche passo avanti, quando finalmente lei gli tolse le mani dagli occhi.
Edward rimase qualche secondo in silenzio, e Isabella ebbe dei seri dubbi che quel posto non gli piacesse.
“Ieri hai detto che anche a te non piaceva il mare. Come sai non piace anche a me, allora ti ho portato qua. Ci vengo ogni volta che nevica, proprio come oggi.”
“Bella, è… è bellissimo!” Davanti a loro c’era una montagna di neve, che sembrava non avesse fine. E poi era pieno di pini. Anch’essi ricoperti di neve.
Edward nemmeno a Londra aveva visto uno spettacolo del genere.
“Ti piace?”
“E mi chiedi se mi piace? E’ bellissimo, fantastico… Oh, Dio! Non sono mai stata in un posto del genere!”
“Menomale. Sai, all’inizio pensavo che non ti piacesse.”
Lui si voltò, regalandole un sorriso caldo.
“Non devi neanche pensarlo. Questo posto è incantevole, e sono felicissimo che tu mi abbia portato qui.”
“Bene, perché anche se non ti piaceva saremmo rimasti qui lo stesso.” Gli puntò un dito contro, facendogli una linguaccia.
“Se-”
“Sei dici perfida ti riporto a casa!”
Lui rise, prendendola sotto braccio per dirigersi sotto un pino.
“Guarda cosa ho portato?” Dalla giacca tirò fuori una busta di marshmallow, che si era portata da casa.
“Oh, wow. Così potrò rifarmi di tutti quelli che tu ti sei mangiata al posto mio.”
“Non dire sciocchezze. Erano cinque e cinque.”
“Sì, cinque e cinque nella tua cioccolata!”
Si sedettero tutti e due nel bel mezzo della neve, e sprofondarono di qualche centimetro. Senza chiederle niente Edward le tolse quel pacco di marshmallow dalle mani, prendendone una manciata per infilarseli tutti in bocca.
“Sei un animale!”
In risposta lui aprì la bocca, facendole vedere i resti.
“E fai schifo!” Aggiunse, tirandogli uno scappellotto dietro la testa. Restarono qualche minuto in silenzio, finché Edward decise di mettere in atto la strabiliante idea che aveva avuto in macchina.
“Facciamo un gioco!” Esordì, felice come un bambino.
“Ma non avevi diciassette anni?”
“Sì, all’anagrafe.” Rispose lui, lasciandola totalmente basita.
“Va bene, di che gioco si tratta?”
“Io faccio una domanda a te, tu fai una domanda a me.”
Isabella scosse la testa energicamente, accompagnando il tutto da uno sbuffo. “Oh, bel gioco, davvero. Innovativo e divertente.”
“Come sei triste!” Ricevette il suo secondo scappellotto di quella giornata, senza contare i due calci che aveva ricevuto sotto il tavolo.
“Vai, inizia tu.”
Edward pensò bene alla sua prima domanda, cercando di non ricadere sul personale.
“Allora… primo bacio?” E menomale che non voleva ricadere sul personale.
“Dodici anni. Mike Newton, un mio compagno di classe. E’ stato disgustoso. Si è presentato davanti a me, infilandomi la lingua in bocca. Ero così innocente all’epoca!” Infilò un altro marshmallow in bocca, mentre Edward se la rideva di gusto.
Voleva essere presente quel giorno… No, meglio di no.
Il povero Mike Newton avrebbe fatto una brutta fine.
“Tu?” Domandò Isabella, proponendogli la sua stessa domanda.
“Dieci anni. Rosalie Hale. Lei ne aveva dodici, ed ora è la fidanzata di Emmett.”
“Emmett McCarty?”
“Già.”
“Ah… Mike Newton ora è il fidanzato di Jessica Stanley.” Edward si strozzò con la sua stessa saliva.
“Per stare con una così non voglio nemmeno immaginare che tipo sia.”
Bella sorrise, pensando al povero Mike Newton.
“Se vuoi una di queste sere organizziamo una cenetta a quattro.” Gli lanciò un’occhiata maliziosa, mentre lui esibiva un’espressione a dir poco schifata.
“Passiamo ad altro… bacio che vorresti dare?” Domandò Edward, incentrandosi sempre su quell’argomento.
“Top secret.” Sussurrò Bella, fissando un punto bianco ai suoi piedi. La neve era diventata inevitabilmente così interessante.
“E tu… invece?”
“Cosa?”
“Bacio che vorresti dare?”
“Top secret.”
“Hey, mi stai copiando le domande!”
“Non è vero! Hai baciato una certa Rosalie Hale? Non mi sembra?” Riuscì a farla ridere, smorzando un po’ la tensione.
“Vediamo un po’… Come hai conosciuto la tua amica Alice?” Edward pensò che non era il caso di andare avanti, anche se la curiosità lo stava uccidendo.
“La conosco praticamente da una vita. I nostri genitori andavano a scuola insieme, ancor prima che noi nascessimo. Lei è il mio esatto opposto. Veste all’ultima moda, indossa tutti capi firmati e va in una SPA una volta a settimana.” Concluse Bella, pensando alla sua migliore amica, e quanto le mancasse. L’aveva sentita proprio la sera prima, ed Alice l’aveva ricattata per farsi raccontare ogni piccolo particolare. Alla fine Bella le aveva promesso che le avrebbe raccontato tutto quando sarebbe tornata.
“Da come ne parli sembra che tu le voglia molto bene.”
“Oh, sì. Non so cosa farei senza di lei. Beh… ora tocca a me.” Ci pensò qualche minuto, e poi sparò la bomba. “Con quante ragazza sei stato, Edward?” Chiese cautamente, cercando di non sembrare davvero interessata e curiosa.
Lui rimase totalmente sorpreso da quella domanda. Sembrava che Bella invece non volesse cambiare argomento.
Stato… in che senso?” Diventò rossa dalla vergogna. Di certo non si sarebbe mai permessa di chiedergli una cosa del genere!
“No! Stato… intendevo fidanzato.”
“Oh. Fidanzato è un parolone… diciamo che mi sono messo con una ragazza e ci sono stato per un po’ di tempo. Niente di serio. Poi tutte…” Una botta e via. Si morse la lingua talmente forte, che sentì anche il sapore del sangue. “Tutte storie di poca importanza, ecco.”
Sapeva che Bella non era stupida, e che aveva capito bene quel particolare che lui aveva omesso.
“Tu, invece?”
“Io… diciamo che il primo anno di liceo c’è stata una piccola storia con Mike. Niente di speciale, ma lui mi assillava in continuazione. E poi prima di partire per Londra sono stata con Jacob.”
“Jacob Black.” Aggiunse Edward, accartocciando la carte dei marshmallow, che erano finiti.
“Già.”
Restarono in silenzio, ammirando il tramonto.
Quando la solita coltre di nubi ricoprì il cielo di Forks, decisero di incamminarsi verso la macchina.
“Edward?” Lo chiamò Isabella, quando lui era qualche passo più avanti a sé.
“Sì?”
O adesso o mai più. Non c’è posto più bello, non c’è momento più adatto.
Non finì neanche di metabolizzare quel pensiero, che l’aveva preso dietro la nuca e baciato.
Così, improvvisamente.
Lui non perse l’occasione. Avvolse le sue mani intorno alla vita della ragazza, tirandola a sé. Era tutto così nuovo, così bello.
Si era sempre chiesta che sapore avessero le labbra del ragazzo, ma non pensava di trovare il sapore della cioccolata calda più buona del Mondo e dei marshmallow che amava tanto. Il bacio continuò a lungo, finché uno dei due si staccò, per riprendere fiato. Edward le prese una ciocca di capelli che le era sfuggita dal cappello, per rimetterla a posto.
“A te.” Sussurrò la ragazza.
“Cosa?” Domandò Edward, ma non gli importava nulla. Che Isabella le chiedesse qualsiasi cosa, ora era troppo felice. Non si ricordava neanche il suo nome. Contemplò il viso
E lui aveva un sorriso ebete stampato sul volto.
“Il bacio che avrei voluto dare. Era a te.”
 
 
__________
 
Ditelo che mi amate, suvvia! GLI HO FATTI BACIARE *___*
Ci vediamo Domenica, con il ritorno di Alice Brandon… muahaha ne vedrete delle belle, promesso.
E poi voglio sentire TUTTI nelle recensioni, intesi? Mi sono messa in pari, e rispondo a tutti! Un bacione enorme :*

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Capitolo 9
*** Nono Capitolo. ***


Non ci credo anch’io. Puntuale come un orologio svizzero :D Appena postato il capitolo rispondo a tutte le vostre recensioni, promesso! Sono felicissima della risposta allo scorso capitolo, siete tutte fantastiche! Vi lascio al nuovo capitolo, ci vediamo sotto :)
 
_______
 
Nono Capitolo.
 
Le loro mani erano intrecciate sul cambio, mentre Edward guidava il pick up, per tornare a casa Swan. Erano tutti e due in silenzio, pensando a quello che era successo pochi minuti prima.
Edward aveva risposto a quel bacio con trasporto, poi quando tutti e due si erano staccati per riprendere fiato Bella era scesa dalle sua braccia, lui l’aveva presa per mano ed insieme si erano diretti alla macchina. Senza dire nulla Isabella gli aveva passato le chiavi del pick up, troppo pensierosa per poter guidare. Lui l’aveva guardata con un cipiglio curioso, ed anche se la sua mente era un turbinio di pensieri aveva preso in mano le chiavi per guidare.
E Edward – anche dopo che erano entrati nella macchina – continuava a stringere la mano fredda di Isabella, posando sia la sua che quella della ragazza sul cambio.
“Pensi… Pensi che dovremmo parlarne?” Domandò Bella, guardando fuori dal finestrino. Erano entrati da poco a Forks, e in meno di dieci minuti sarebbero arrivati a casa.
“Tu vuoi parlarne?” Le chiese di rimando lui, stringendo ancora più forte la sua mano.
“A me è piaciuto.” Commentò Bella in un sussurro, paonazza.
Edward non riuscì a smascherare una risata, lanciandole un’occhiata divertita.
“Anche a me è piaciuto. Anche quello… anche quello che hai detto dopo mi è piaciuto.”
“Era la verità. Avrei…” Sospirò imbarazzata, cercando di celare il rossore che le aveva dipinto le gote ed ancora non se ne andava. “Avrei voluto abbracciarti da quando ti ho visto, qui. A casa mia. E baciarti la sera che hai dormito con me, ma purtroppo ricordo poco e niente. L’ho fatto oggi, e non me ne pento.”
“Hai fatto bene”, commentò Edward, “perché se avessi aspettato me, sarei tornato a Londra senza nemmeno dirti che mi piaci.”
Isabella lasciò la sua mano, guardandolo con gli occhi sgranati.
“Ti… ti piaccio?”
“Hey, io non bacio la prima che capita!” Si finse offeso, ma le sue parole nascondevano qualcosa di tremendamente vero e profondo. “E poi sì, mi piaci. Ed è stata tutta colpa di tuo padre, e dei suoi racconti. I tuoi occhi color cioccolato mi hanno perseguitato per notti intere.” Rivelò, questa volta passandosi una mano sui capelli con la mano libera.
Oh.”
“Ho detto qualcosa di sbagliato? Hai detto tu, che potevamo parlarne.” Si giustificò Edward, quasi imbarazzato.
“No, no. Certo che no. Che ne dici di parlarne quando torniamo a casa?” Cercò di liquidare Isabella, non aspettandosi quelle rivelazioni.
Stava scappando.
Da Edward, dai sentimenti che anche lei si era resa conto di provare dopo quel bacio.
E appunto, quel bacio era stato la prova del nove.
“Certo.” Aveva acconsentito, perché proprio in quell’istante stava parcheggiando nel vialetto di casa Swan. Ed Isabella era troppo persa nei suoi discorsi che neanche se ne era resa conto.
Scesero, questa volta senza prendersi per mano, ma neanche guardandosi negli occhi come due piccioncini.
Troppo preoccupati delle occhiatacce che poteva riservargli Renée o delle domande del Capo Swan.
E una volta entrati in casa furono assaliti da una ragazza minuta, con i capelli raccolti in una lunga coda castana.
Oh, mio Dio! Edward Cullen! Perché non mi hai detto che saresti tornato? Dopo che mi hai chiesto il mio numero, credevo che mi chiamassi!”
E quel tornado aveva un nome: Jessica Stanley.
Isabella cercò di fare l’indifferente, fingendo di non aver sentito nulla di quello che Jessica aveva appena detto a Edward.
Io non bacio la prima che capita…
Dopo che mi hai chiesto il mio numero!
“Jessica.” La salutò, con uno dei sorrisi più finti che aveva mai fatto nei suoi diciassette anni.
“Bells! Anche tu, perché non ti fai mai vedere da quando è partita Alice? Forse volevi tenere Edward tutto per te, eh?” Il tono civettuolo di Jessica le fece venire il voltastomaco, con un gran mal di testa.
Mal di testa che aveva anche prima di entrare in casa.
Era vero, voleva tenersi Edward tutto per sé. Ma ora l’avrebbe certamente lasciato a Jessica.
“Domani Alice tornerà, e ci faremo vedere. Promesso.” Sorrise, spostandosi dall’entrata per dirigersi nel salone.
Sua madre e la signora Stanley erano sedute sull’enorme divano, sorseggiando una tazza di tè.
“Isabella! Da quanto tempo, cara.” Rebecca Stanley usava lo stesso tono civettuolo della figlia, che questa volta la testa gliela fece scoppiare.
“Tesoro, tutto bene?” Le domandò Renée premurosa, alzandosi dal divano.
“Signora Stanley.” La salutò, sorridendole cordialmente. “Tutto bene, mamma. Mi gira solo un po’ la testa.”
“Che ne dici di andare a letto e prendere un’aspirina?” Isabella annuì, notando che questa volta la testa le girava vorticosamente, e non era colpa della signora Stanley e di sua figlia.
“Sì, cer-”
“Isabella!” Fu interrotta da Jessica, che entrò in cucina con sotto braccio Edward.
Si passò l’indice e il medio sulla tempia, cercando di alleviare il dolore. “Ho proposto a Edward di uscire con noi. Sono tutti in centro. Vieni anche tu, vero?”
Il ‘vero’ di Jessica si poteva anche tradurre in un ‘Non venire, tanto non abbiamo bisogno di te.’ Guardò prima la mora, e poi il ragazzo che pendeva dal suo braccio.
Quello che era accaduto poche ore prima sembrava così surreale.
Edward la guardava mortificato, quasi supplicandola con lo sguardo di andare con loro, oppure di trattenerlo in casa.
“N-no. Non mi sento molto bene. Andate.” Sorrise a tutti e due, cercando di togliersi gli enormi stivali ancora pieni di neve.
I suoi piedi erano congelati.
“Se vuoi posso rimanere con te.” Propose Edward, sorridendole gentilmente.
“No. Ci penso io a lei, non preoccuparti.” Gli aveva risposto prontamente Renée, mettendo una mano sulla schiena di sua figlia.
Perché tutte le madri avevano un sesto senso? No, perché Renée Swan sembrava conoscere perfettamente tutto quello che era accaduto nelle ore precedenti.
“Oh. Allora ci vediamo per l’ora di cena?” Chiese di nuovo lui, mentre la signora Swan gli sorrideva annuendo.
“Certo, divertiti caro.” Edward e Jessica uscirono dalla modesta villa dei Swan, mentre Isabella e Renée si voltarono verso la signora Stanley.
“Tesoro, forse hai un po’ di febbre. Vai di sopra, fatti una doccia calda e misurati la temperatura, va bene?” Annuì soltanto, facendo un cenno del capo a Rebecca e dirigendosi al piano superiore.
Prese il beauty con il suo pigiamone blu e a quadri verdi, e si diresse in bagno. La doccia durò relativamente poco, troppo scossa dai brividi e dal dolore alla testa.
Si infilò velocemente il pigiama, prese il phon e per la prima volta asciugò la sua chioma ribelle fino all’ultimo capello.
Tornò in camera e si buttò sul letto, prendendo il cellulare per comporre l’unico numero che conosceva a memoria.
“Hey! Noi siamo in centro, qui nevica! Non puoi nemmeno immaginare come io mi stia divertendo!” La voce si bloccò per qualche istante, per poi parlare nuovamente. “Bella, ci sei?”
“H-hey”, tirò su col naso, mentre dalla sua bocca usciva soltanto un verso strozzato.
“Stai piangendo?” Si asciugò frettolosamente le lacrime che le bagnavano le guance, come se potesse vederla.
“Alice.” Questa volta il singhiozzo era durato più a lungo. “Mi ha baciata. Anzi, io l’ho baciato. Ha ricambiato con così tanto trasporto, e in macchina mi ha detto che gli piaccio.” Si sfogò, mentre la sua amica l’ascoltava in silenzio. “Ha detto che lui non bacia la prima ragazza che le capita a tiro. E poi… Poi quando siamo tornati a casa c’era Jessica. E lei…” Singhiozzò di nuovo, ma dall’altro capo del telefono non c’era nessun suono. “E lei gli ha detto ‘Perché non mi hai chiamata dopo che mi hai chiesto il mio numero?’ Oh, Alice! Scusa, non avrei neanche dovuto chiamarti!” Sussurrò, continuando a singhiozzare. Si era messa sotto le coperte, rannicchiandosi verso la finestra.
“Hey, tesoro! Lo sai che tu puoi chiamarmi ad ogni ora e per qualunque cosa, vero? E sai anche che domani tornerò. E faremo passare a Edward le pene dell’inferno.” La voce di Alice era seria. Talmente seria che le aveva messo anche un po’di paura.
“I-io.” Un altro singhiozzo. “No, Alice. Non voglio. E’ venuto qui per trovare la mia famiglia. I-io n-on posso rovinargli la vacanza. No.”
“E lui la può rovinare alla mia migliore amica? No. E non si discute. Io domani torno, e domani verrò a casa tua per conoscere Edward, finalmente.” Stettero qualche secondo in silenzio, mentre i singhiozzi di Isabella iniziavano a placarsi.
“Hey tesoro, ora dovre-”
“Sì, sì. Hai ragione. Scusa. Ti ho rubato fin troppo tempo.”
“No, veramente ho Jazz sull’altra linea, che è in attesa da venti minuti.”
Isabella soffocò una risata, prese un fazzolettino e si ripulì le guance dalle poche lacrime che le erano rimaste.
“Ci vediamo domani.”
“A domani, Alice.”
Attaccarono insieme, mentre Bella posava il cellulare e si rigirava tra le coperte. Dopo dieci minuti riuscì a trovare una posizione comoda, e a chiudere gli occhi.
Cadde subito in un sonno profondo, e l’unica cosa che sognò fu Edward Cullen.
Insieme a Jessica Stanley.
 
**
 
Si stropicciò gli occhi, sbadigliando sonoramente. Ma appena aprì la bocca sentì la gola pizzicargli talmente forte, che dovette posare la lingua sul palato.
Il mal di testa. Il voltastomaco. Il mal di gola.
Ecco, la febbre sì che ci mancava!
Aprì e richiuse la bocca per due volte, bisognosa di acqua.
“Tua madre ti ha lasciato un’aspirina, ma non ti ha voluta svegliare. Hai trentotto e mezzo di febbre.” Sobbalzò, quando sentì quella voce.
“Cosa ci fai qui?” Fortunatamente la voce non era roca, però non riusciva a tenere aperti gli occhi. Le bruciavano. Le pupille sembravano pesare tonnellate.
“Ti volevo parlare. Poi Renée mi ha detto che dormivi, e che non dovevo svegliarti perché avevi la febbre. E allora ho aspettato.”
Si alzò, senza nemmeno rivolgergli la parola. Ma anche le gambe erano pesanti. Talmente pesanti che ricadde di peso sul letto.
Edward le se avvicinò prontamente, afferrando le coperte per avvolgerla nuovamente.
“Che ti serve?”
“Acqua.” Sussurrò appena, lasciandolo fare.
Non aveva la forza per alzarsi, ma neanche quella per litigare con lui.
“Ecco, aspetta.”
Trafficò per qualche minuto sopra la scrivania, poi tornò con un bicchiere colmo d’acqua e un’aspirina.
“La devi prendere.” Gliela tolse dalle mani, mandandola giù insieme all’acqua. Il senso di sollievo fu immediato.
Edward prese nuovamente posto vicino a lei, sopra il letto.
“Come ti senti?”
“Male.” Rispose brusca, facendogli capire che non voleva parlare con lui.
“Con Jessica… con Jessica sono andato in Centro. Mi ha fatto conoscere il suo fidanzato.”
“Sarà stato un duro colpo per te.” Commentò secca, girandosi di lat per dargli le spalle.
“Non essere patetica.”
“Non fare lo stronzo.”
“Hey!”
“Che c’è?” Isabella si voltò nuovamente, per fronteggiarlo con gli occhi. “Sulla neve mi dici che non hai una relazione con nessuna, perché sei troppo occupato a portartele a letto tutte. In macchina mi dici che non baci ‘tutte le ragazze’, ma solo quelle che ti piacciono. E a casa Jessica mi dice che le hai lasciato il tuo numero. Cosa dovrei pensare, Edward?” Si sfogò, sforzandosi per non piangere.
Lo avrebbe fatto quando Edward sarebbe sceso al piano inferiore, ma non davanti a lui.
“Ti dico che hai ragione.” Disse, fissandola in quegli occhi così profondi. “Che è vero, a Londra mi portavo a letto quasi ogni ragazza della scuola. Fino a quello stramaledetto Scambio Culturale. Poi sei arrivata tu. A miglia di distanza, dalla mia casa. E sembravi così dolce per telefono! E quando sono tornato a casa Esme non faceva altro che parlarmi di te. Di quanto eri bella, di quanto eri simpatica e che avrei dovuto conoscerti. Non sai cosa ho fatto per tornare qui. Ed ora che riesco a vederti, a toccarti vorrei che il tempo si fermasse.” Prese un bel respiro, notando che Isabella non era riuscita a trattenere le lacrime.
Le prese il viso fra le mani, stringendolo dolcemente. “E quando oggi mi hai baciata, era come se mi fossi tolto un macigno dallo stomaco. E’ stata una liberazione. E non sai quanto avrei voluto baciarti ancora. Quanto voglio baciarti ancora. Ora, domani e per sempre. Sì, per sempre. Perché non posso dire di essermi innamorato di te, ma ora, voglio stare qui con te. E pensi che me ne importi qualcosa di Jessica? No. Perché per me Jessica è nulla.” Finì, tirando un grosso sospiro, mentre Isabella si alzava da quel letto in ginocchio, per baciarlo.
Ora, domani e per sempre.
Quelle parole non facevano altro che rimbombarle nella testa.
“Mi sentivo male. Ed ero così arrabbiata con te, e con Jessica. Non volevo lasciarti andare via, ma neanche potevo chiederti di restare, davanti a mia madre. Scusa.” Mormorò, tra un bacio e l’altro.
“Lo sai che non devi chiedermi scusa, vero?” Le baciò le labbra, un bacio talmente casto che lei ne voleva di più.
Ora, domani e per sempre.
Si sdraiarono sul letto, mentre Edward le passava un braccio intorno al collo. Isabella inspirò nell’incavo del suo, di collo.
Era così profumato.
Per sempre.” Sussurrò, mezza addormentata.
“Cosa?”
“Hai detto per sempre. Come faremo a…” Si bloccò, perché pensare che Edward sarebbe partito sei giorni dopo le causava un groppo in gola.
“Non pensarci. Ora sono qui. Ora, domani e per sempre.” La tranquillizzò lui, posandole un bacio sul capo.
E caddero entrambi in un sonno profondo.
 
**
 
“Su, principessa. Il sole è alto, gli uccellini canticchiano ed è quasi ora di pranzo!”
Si rigirò fra le lenzuola, coprendosi il volto con la coperta verde.
Non era possibile. Quello che era appena filtrato dalla finestra era un raggio di sole.
A Forks.
Un lamento uscì dalle sua labbra, mentre sbuffava sonoramente.
“Altri due minuti, mamma.”
“Hey, non sono tua mamma.” La voce si finse offesa, per poi ridere, quasi sconsolata. “Non sono così vecchia!”
Isabella alzò le coperte, soltanto per scoprire gli occhi. E quando vide dei capelli neri sparati all’aria non ci pensò due volte prima di buttarsi giù dalle coperte, tuffandosi tra le braccia della sua migliore amica.
“Alice!”
“Hey, tesoro!” Alice ricambiò l’abbraccio, sorridendo felice.
“Tu non puoi neanche immaginare quanto mi sei mancata!”
“Anche tu mi sei mancata, da morire!” Disse Alice felice, per poi staccarsi da quell’abbraccio stritolatore. “Allora, come stai? Tua madre stamattina mi ha detto che la febbre è scesa, e spero proprio che sia così. Lo sai che ho un progettino fantastico per Capodanno? Io, te, Edward e Jasper! Oh, mio Dio! Un’uscita a quattro! Ma non sei euforica?” E via così, con la sua Alice logorroica, che in due minuti l’aveva informata su tutto quello che aveva fatto.
“Sì, mi sento meglio. E poi…” Ci pensò, notando che lei non aveva detto ad Alice della sua pace con Edward.
Invece la sua amica le sorrise, rispondendole prontamente. “Ho conosciuto Edward stamattina. Sono stata molto persuasiva, e diciamo che lui mi ha raccontato quello che è successo in questi giorni. Lo stretto necessario, ovviamente. Tutti i particolari spettano a te, mia cara.” Le puntò un dito contro, incutendole anche un po’ di terrore.
“Che ti ha detto? Non mi dire che gli hai fatto l’interrogatorio ancora prima di conoscerlo!”
Così Alice iniziò a dirle che era stato lui ad aprirle la porta, quella mattina. Che voleva andarla a svegliare subito, ma Edward le aveva detto che Isabella aveva la febbre, e non si sentiva bene. E con i suoi modi molto persuasivi si era fatta raccontare tutto quello che era successo dopo l’uscita con Jessica.
“Sei pessima, lo sai?” Le chiese infine Isabella, sbadigliando sonoramente. La febbre era scesa, ma ancora era lì.
“Lo so, cara. Ora però rimani qui a letto, io vado a prenderti la zuppa che ti ha preparato Renée, e poi vado da Jazz. Lo sai che non sono neanche passata a casa, da quando sono tornata?”
“Alice, non dovevi farlo.” Bella sembrava dispiaciuta, mentre abbassava la testa e rifletteva.
“Nessun problema. Ieri sera eri talmente giù di morale che non ci ho pensato due volte a raggiungerti qui. Quindi… ora prendo la zuppa, e poi ti mando su il tuo infermiere personale.”
“COSA?” Quasi urlò Isabella, diventando paonazza.
“Non dirmi che non ci hai pensato. E poi mi hai raccontato così tante cose di lui, ma non mi hai detto che era così bello. Dio, può anche competere con Jasper!” Ci pensò qualche secondo, con un dito posato sulla testa. “No, non potrà mai competere con il mio Jazz. Ora vado, torno oggi, va bene? E non farti strane idee sull’Edward-infermiere.” Non le diede il tempo di ribattere che era già scesa prontamente dal letto e si era richiusa la porta alle spalle.
Inutile dire che Isabella mentre aspettava Edward, non face a altro che pensarlo con un camice bianco addosso, particolarmente sexy.
 
_______
 
Ma quanto è stupido Edward? Tanto, forse troppo ‘-‘ Jessica è odiabile (?) e Renée è una mamma fantastica! Ho preso spunto dalla mia, che sembra avere davvero un sesto senso °_° La faccenda è molto inquietante, credetemi! La nostra Alice è tornata *-* E il prossimo capitolo continuerà proprio da dove si è fermato questo. Quindi, aspettatevi un Edward-infermiere! A domenica prossima :)

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Capitolo 10
*** Decimo Capitolo. ***


Capitolo dedicato a _MiSS CuLLeN_,
che recensisce ogni capitolo con splendide parole.
 
____
 
 
Appena Alice corse via, lasciando Isabella da sola, quest’ultima si diresse in bagno, per darsi una sistemata. Certo, con quell’uscita dell’infermiere sexy le aveva messo molti pensieri in testa, e di certo molti di questi non erano puramente casti.
Si tolse il pigiama per infilarsi dei leggings neri, lunghi fino alla caviglia e una felpa grigia di Charlie. Sopra c’era il logo della Dartmouth, il college che aveva frequentato suo padre. Anche se Charlie aveva finito l’Università da molto tempo, forse troppo, si teneva ancora in collegamento con dei suoi amici, che erano diventati dei docenti proprio lì. Infatti l’anno precedente si era recata nel New Hampshire insieme a suo padre, proprio per visitare la Dartmouth. Inutile dire che ne era rimasta affascinata, e insieme a Charlie avevano comprato alcuno gadget. Fra questi la felpa più grande di tre taglie, che indossava proprio in quel momento.
Si sciacquò il viso con l’acqua fredda, si spazzolò per bene capelli e lavò anche i denti. Poi, silenziosamente, si rimise a letto.
Aspettando l’infermiere sexy.
Cercò di scacciare quei pensieri dalla mente, prendendo il telecomando per accendere la TV. Ovviamente non facevano nulla di interessante, finché non bussarono alla porta.
Distinse subito i capelli ramati di Edward, gli occhi verdi come due smeraldi, un sorriso che la abbagliò e…
Proprio oggi doveva indossare una camicia bianca?
E così pensò che tutto quello che le aveva detto Alice aveva un secondo fine, come la camicia bianca del ragazzo, che sembrava tanto un camice.
“Hey, buongiorno.” La voce era scivolata come un balsamo nel suo corpo, facendole quasi contorcere lo stomaco dalle troppe emozioni che stava provando.
“Ciao.” Sussurrò, totalmente imbarazzata. Non si era dimenticata tutto quello che era successo la notte scorsa, di tutte le rivelazioni che le aveva fatto Edward.
“Hai dormito bene? Stamattina ho conosciuto Alice… è davvero molto…” Parve pensarci su qualche secondo, ed Isabella cercò di aiutarlo.
“Esuberante?”
“Beh, direi qualcosa di più.” Confessò Edward, entrando nella camera con un vassoio in mano. “Tua mamma ti ha preparato la zuppa.” Spiegò, posando tutto sulla scrivania.
“Oh. E’ giù?”
“No. Charlie è a lavoro, e Renée è andata da una sua amica. Non so dirti chi, mi spiace.” Isabella sorrise, facendogli un cenno con la mano.
“Non preoccuparti. Comunque… grazie. Ora mangio.”
Prese la ciotola con la zuppa bollente, posandola sulle sue gambe. Edward invece si era seduto accanto a lei.
Cercò di limitare al minimo i pensieri, mentre mangiava quel brodo.
Io e Edward a casa da soli. Lui ha una camicia bianca.
Sì, quella era sicuramente tutta colpa di Alice.
“Cosa stavi guardando?” Le chiese Edward, mentre si sdraiava accanto a lei, posando la schiena sulla spalliera.
“Nulla di interessante. Purtroppo non c’è niente in TV. E il solo pensiero che devo restare riguardata altri due giorni mi manda fuori di testa.”
“Beh, ci sono io qui con te.”
“Ah, che fortuna.” Bella cercò di alleggerire l’atmosfera, mentre Edward le diede una leggera gomitata sulla spalla, fingendosi offeso.
Oh!” Il rosso scese dal letto, come se gli fosse venuto in mente qualcosa d’improvviso.
“Che c’è?” Gli domandò Isabella, mentre lo vide allontanarsi per scendere al piano inferiore, per poi far ritorno qualche minuto dopo, con un DVD in mano.
“Non so perché, ma l’ho trovato nella mia valigia. Forse mia madre quando mi ha aiutato a fare i bagagli l’ha messo qui dentro…” Si grattò la testa imbarazzato, omettendo il fatto che Esme non l’aveva aiutato a fare i bagagli, ma glieli aveva fatti proprio lei.
“Che film è?”
“Non ne ho idea.” Edward girò la copertina del DVD fra le sue mani. “Si intitola Crepuscolo. Lo vediamo?”
Isabella annuì, posando la zuppa sul vassoio e bevendo un goccio d’acqua. Aveva finito di pranzare, e non vedeva l’ora di vedere quel film insieme a Edward.
“Spegniamo le luci?” Le chiese il ragazzo, dopo aver infilato il DVD nel lettore.
“E’ un horror?” Domandò di rimando lei, pensando che un horror con le luci spente non doveva vederlo.
Neanche se accanto a lei c’era Edward Cullen.
Con una camicia bianca.
“Penso proprio di no. Beh, mia dolce donzella,” disse, montando di nuovo sul letto e prendendo posizione vicino a lei. “Ci sarò io a proteggerla, in caso sia un horror.”
Le venne la pelle d’oca. E non per quel: “In caso sia un horror”, ma per quel: “Ci sarò io a proteggerla.”
E appunto, il solo pensiero che Edward l’avrebbe protetta in qualsiasi momento le fece venire la pelle d’oca.
Ottimo.” Sussurrò per ultima Isabella, finché un silenzio tombale li avvolse.
Il film era iniziato.
 
Era stata una storia… una storia… Isabella non aveva parole per descriverla. Alla fine non si era rivelato un horror.
Era una storia fantastica.
Anthony era un vampiro di centonove anni, che abitava in una piccola cittadina tetra e buia, insieme alla sua famiglia di vampiri.
Era una storia triste.
Anthony era stato trasformato dal suo patrigno, dopo che nel 1918 la spagnola travolse sia lui che sua madre, uccidendo quest’ultima. Viveva da centonove anni con la sua nuova famiglia, ma tutti avevano un compagno. Lui invece, era solo.
Era una storia romantica.
Proprio dopo centonove anni Anthony in questa cittadina tetra incontra la nuova arrivata: Marie. Si innamora totalmente di lei, così da diventare la sua cantante. Il suo sangue, canta per lei.
Era una storia con dei principi morali.
La famiglia di Anthony si considerava vegetariana. Non uccidevano delle persone, ma solo animali. Per non sentirsi in colpa.
Era una storia basata sulla verità.
Infine il vampiro aveva rivelato la sua vera natura a Marie, costringendola a stargli lontano. Beh, lei non l’aveva fatto.
Era una storia d’amore.
Erano totalmente, e incondizionatamente innamorati l’uno dell’altra. Il loro amore era così profondo, che Marie aveva chiesto ad Anthony di trasformarla. Ma lui, non l’aveva fatto. Non voleva privarla della sua vita da umana, e da tutte le esperienze che avrebbe potuto fare.
“E’ un film bellissimo.” Esordì Bella, quando le luci erano ancora spente. Si sarebbe alzata solo per mettere il DVD daccapo.
“Niente male.” Disse Edward, accompagnando il tutto con un sonoro sbadiglio. Anche lui non voleva alzarsi, così accese la piccola luce dell’abatjour. “Non capisco perché Anthony non la voglia trasformare. Ha aspettato così tanto per trovare la sua cantante, e poi non la trasforma.” Edward continuò a guardare lo schermo della televisione, ormai nero.
“Per me Anthony ha ragione. Marie dovrebbe provare tutte le sue esperienze da umana, e poi trasformarla.”
Il rosso la guardò sbigottito. “Cosa? Sei d’accordo con la scelta del vampiro?”
“Perché, se tu fossi un vampiro non faresti provare alla tua fidanzata tutte le esperienze da umana?”
“Sono egoista, Bella. Non masochista. Anthony… Anthony ha aspettato per così tanto tempo, che ora lei è lì. Davanti ai suoi occhi. E perché non la trasforma? Per puro orgoglio?”
“Perché lui sa quello che proverà. Tutte le esperienze di essere un vampiro neonato, Anthony le ha già vissute. E non vuole farle vivere anche a lei, che ama più della sua stessa vita.” Isabella pensò a quell’amore che l’aveva travolta, e sperò di viverne uno così.
“Hai ragione. Ma Anthony non aveva nessuno accanto a lui, se non suo padre. Invece Marie avrà lui, nella buona e nella cattiva sorte.”
“Edward, non dovranno sposarsi.” Bella alzò gli occhi al cielo, sottolineando quel ‘nella buona e nella cattiva sorte.
“Non ne sarei poi tanto sicura, mia cara donzella.”
“Cosa?”
“Guarda un po’ qui.” Edward si accucciò, tirando fuori da sotto il letto altri e due DVD.
“Cosa sono?” Chiese curiosa Bella, cercando di allungarsi per sbirciare un po’. Ma Edward prontamente li nascose dietro la schiena.
“Donzella, questo è il continuo di Crepuscolo, cioè Luna Nuova. E questo è il continuo di Luna Nuova, cioè Eclissi.”
“Cosa diamine stai cercando di dirmi, Edward Cullen? Che c’è un continuo, e noi siamo qui a discutere sul primo film? Alza il tuo sedere a vai a cambiare film!” Isabella fu autoritaria, il suo viso era quasi rosso dalla rabbia.
“Scusa. Non pensavo te la prendessi così tanto!” Edward si finse offeso, alzandosi per infilare il nuovo DVD.
E stettero in silenzio, iniziando una nuova maratona.
 
“Oh, Dio!” Nuove lacrime iniziarono a uscire copiosamente dagli occhi di Isabella, mentre prontamente Edward le raccoglieva in silenzio.
Luna nuova era stato struggente.
Anthony aveva lasciato Marie, dopo un incidente in famiglia. Era stato tutto così vivido e intenso, che a Bella sembrò di stare lì con la protagonista.
“Non ti è piaciuto?” Le domandò cautamente Edward, guardando le sue lacrime continuare a uscire dagli occhi.
“Scherzi? E’ stato anche più bello del primo.” Singhiozzò, cercando di asciugare da sola le ultime lacrime.
“E allora…” Edward non riusciva a spiegarsi il perché di tutte quelle lacrime. Sì, Anthony aveva lasciato Marie, ma poi erano tornati insieme.
“E’ che… Dio, Edward! Quanto tu te ne andrai! Sarà proprio… sarà proprio come nel film.”
E allora il ragazzo capì.
Isabella si era immedesimata così tanto nella protagonista, pensando a quando Edward l’avrebbe lasciata, per tornare a Londra.
“Lo sai che non sarà così, vero?” Le disse lui, facendole posare il capo sul suo petto. “Lo sai che per te Non sarà mai come se non fossi mai esistito, vero? Ci sentiremo ogni giorno, Bella. Ogni santissimo giorno. E useremo la webcam. Ci scambieremo messaggi ad ogni ora, anche quando saremo a scuola.”
Isabella soffocò un altro singhiozzo, nel petto di Edward.
“Non voglio lasciarti.”
“Ed io non voglio andarmene.”
“Allora non farlo.”
“Sai che devo farlo. Ma tu verrai da me, per le vacanze di Pasqua. E ci vedremo ogni volta che sarà possibile.” Sembrò che Edward cercasse di convincere più se stesso con le sue parole, che le ragazza che stava piangendo fra le sue braccia.
“Posso baciarti?” Chiese Isabella, alzando il capo per guardarlo fisso negli occhi. La luce era fioca, e fuori si era fatto buio. Ormai erano le diciotto passate.
“Non devi chiedermi il permesso.” Sussurrò Edward sulle sue labbra, prima di travolgerla in un bacio pieno di passione. In quel bacio c’erano le parole che non erano riusciti a dirsi, l’amore che provavano l’uno per l’altra, ma che era troppo presto per esternarlo.
Isabella salì a cavalcioni su di lui, cercando di non staccare le labbra dalle sue. Morse il suo labbro inferiore, soffocando un gemito. Poi si aggrappò alla sua camicia bianca.
Camicia bianca, che era finita a terra.
 
Isabella era paonazza, e imbarazzata.
Non sapeva per quale motivo l’avesse fatto. Aveva tolto la camicia a Edward, bottone dopo bottone. Voleva sentire la consistenza di quei muscoli sotto le sue mani, e non coperti da uno strato fino di stoffa.
“Scusa.” Sussurrò appena, scendendo dalla gambe di Edward.
Si passò una mano fra i capelli, ancora più imbarazzata.
“Io non dovevo farlo. Ora penserai che sono una sciacquetta che va con il primo che…”
Isabella.”
“E poi io… Oh, Dio! Sono così imbarazzata! Scusa, non dovevo farlo. Ora penserai che sono una pervertita, che non vede l’ora di metterti le mani addosso e…”
“Isabella!”
“Scusami, davvero. Solo che…”
Non finì, perché Edward che si era alzato per seguirla, le tappò la bocca con un bacio.  Con irruenza.
Si staccò dopo qualche secondo, solo per riprendere fiato. Poi, posò la fronte su quella della ragazza.
“Primo, se l’hai fatto, significa che volevi farlo. Mi hai tolto la camicia, mica hai abusato di me! Secondo, non penso che sei una pervertita. Sei così bella e ingenua.” Con le ultime due parole le carezzò le gote, mentre lei abbassava lo sguardo.
Ma Edward non glielo permise, prendendola da sotto il mento per far incontrare i loro occhi.
“E tu sei tutto, tranne che una sciacquetta, capito?”
Annuì inerme, beandosi del rumore dei loro respiri che si incrociavano.
Solo per qualche istante.
“Isabella sei in casa?”
Non fecero in tempo a staccarsi, perché la porta si spalancò. E la scena poteva sembrare alquanto equivoca.
Edward a petto nudo, davanti ad Isabella. Il viso della ragazza fra le mani del ragazzo. Isabella con i vestiti stropicciati, e la felpa di suo padre che le arrivava alla vita.
Suo padre, che ora era sull’uscio della porta della sua camera.
 
___
 
-         Come molti di voi avranno notato ho preso spunto da Twilight, New Moon ed Eclipse. Purtroppo non ho messo Breaking Dawn, perché non sapevo come tradurlo. Insomma, la traduzione italiana dei libri e dei film è veramente penosa.
-         Nella mia fanfiction Bella e Edward non hanno un secondo nome, l’ho usato per i protagonisti di Crepuscolo.
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e da oggi farò una dedica ad inizio capitolo :) Grazie e tutte voi, che mi supportate dall’inizio, e spero che lo facciate fino alla fine! Grazie.

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Capitolo 11
*** Undicesimo Capitolo. ***


Leggete le note a fine capitolo ;)
Capitolo dedicato a Fiorels,
che in questo momento ha tutto il mio supporto.
 
___
 
 
Cazzo, cazzo e ancora cazzo!
Tutto quello che riusciva a pensare Isabella in quel momento, chiusa nella sua stanza, da sola. Con Edward si erano scambiati si e no un bacio quasi accennato, e Charlie li aveva scoperti in un modo squallido.
Lui a petto nudo, e lei con i vestiti tutti scombinati. Insomma, quella scena non aveva nulla di equivoco. Charlie li aveva visti così, e di certo non trovava altre scuse per quella scenetta che gli aveva fatto salire il sangue al cervello.
Aveva chiesto gentilmente a Edward di rivestirsi, e di seguirlo al piano inferiore. Ed ora Isabella era seduta sul letto – lo stesso letto dove poco prima aveva tolto la maglietta a Edward -, e si stava tenendo la testa fra le mani.
Sconsolata, abbattuta e frustrata.
Sicuramente il capo Swan avrebbe spedito Edward a Londra con il primo volo che avrebbe trovato, senza nemmeno farglielo salutare.
E quando si sarebbero rivisti? Di certo non a Pasqua, perché dopo quel pezzaccio suo padre non le avrebbe mai permesso di tornare dal suo Edward.
Suo Edward…
Da quando in qua pensava a lui in quel modo? Non era di certo di sua proprietà, e forse non lo sarebbe mai stato. Non lo dava a vedere, ma per Isabella la lontananza pesava, e non poco. Vederlo partire pochi giorni dopo, sarebbe stato terribile. E per quanto non lo avrebbe rivisto? Quattro mesi?
Restare quattro mesi senza Edward, usufruendo di internet o dei messaggini per sentirsi. E poi ci sarebbero state le litigate. Oh, quelle ci sarebbero state di certo. E Bella sarebbe andata fuori di testa. Senza vederlo, senza sentirlo lì, accanto a lei.
No, non poteva funzionare. E forse avrebbe dovuto dirglielo subito. Perché sicuramente Charlie avrebbe fatto tornare Edward a casa, immediatamente.
“Tesoro!” Alzò lo sguardo, mentre sua madre con un sorrisino a trentadue denti faceva capolino dalla porta.
Era stranamente troppo felice, e indossava un maglioncino marrone, sopra a dei jeans chiari.
“Mamma.” Le uscì un tono lamentoso, quasi gracchiante. Lei invece non era affatto felice. Aveva tutti i motivi del Mondo, per non essere felice in quel momento.
“Cosa succede?”
“E me lo chiedi?” Inveì praticamente contro sua madre, schioccandole un’occhiataccia. “Per caso non hai visto Edward e Papà che parlavano, al piano di sotto?”
“Certo, che gli ho visti.”
“Eh?” Isabella sembrava davvero stranita.
Renée la stava forse prendendo in giro? Si stava prendendo gioco di lei? “Mamma?” Continuò, aspettando una risposta.
“Oh, tesoro!” A quel punto uscì una fragorosa risata dalla bocca di sua madre, mentre le sedeva accanto. “Quante volte ti ho detto che sei tu la mamma in questa casa, ed io la figlia?”
Molte, avrebbe voluto rispondere. Perché Isabella era cresciuta troppo in fretta. Non aveva mai frequentato feste, e la sua vita sociale si fermava a scuola. Certo, poi c’era Alice. E lei, sì che era un’amica d’oro.
E poi basta. La scuola, lo studio e occuparsi della casa. I suoi genitori non l’avevano mai privata di nulla, ma lei stava bene così. La maggior parte delle volte era lei ad occuparsi della casa, aiutando sua madre. O a cucinare, questa volta senza l’aiuto di sua madre.
“Abbastanza?” Domandò cauta, cercando di trovare una risposta alla faccia criptica di sua madre.
Madre, che le mise una mano sulle sue, unite in grembo.
“Appunto. Quando sono arrivata, ho trovato Edward e tuo padre sul divano, intenti a guardare una partita di Football. Isabella, lo sai quanto tempo è passato da quando è successo il fattaccio?”
Edward e Charlie seduti sul divano a guardare il Football?
Fattaccio?
“Cosa?”
Questa volta la risata di Renée rimbombò fra le pareti della camera viola.
“So tutto. Appena sono arrivata, Charlie mi ha praticamente chiusa in cucina per raccontarmi nei minimi dettagli quello che ha visto. E devo dire che dai suoi racconti i bicipiti di Edward non sono niente male…”
“MAMMA!”
“Okay, scusa!” Si passò una mano sulla testa, imbarazzata. “Comunque, tuo padre sospettava tutto da molto tempo. Forse da prima che Edward tornasse qui. Lo teneva sempre d’occhio qui a Forks, e vedeva che si interessava molto a te. Chiedeva sempre di te, di com’eri a scuola, dei tuoi amici. Insomma… ci faceva un bel terzo grado, ecco!”
Isabella era sempre più confusa.
Suo padre, il capo della polizia di Forks, non si preoccupava per sua figlia?
L’aveva vista nelle braccia di un uomo quasi nudo, ed ora era con lo stesso uomo a guardarsi una partita di Football, magari davanti a una birra?
No, impossibile.
La febbre sicuramente le era salita, ed ora stava delirando.
“Stai scherzando, mamma?”
“No, tesoro.” Renée sembrava tremendamente sincera, e le aveva messo addosso una certa ansia. Ora doveva scendere per forza. E di certo anche lei si sarebbe sorbita il terzo grado di suo padre. Per giunta, più che giusto.
“Credi… credi che dovrei parlare con papà?” Chiese cauta, aspettando la sentenza di sua madre. Nessuno, come la mamma, poteva consigliarla meglio.
“Credo che dovresti aspettare. E se sarà lui a cercarti… Beh, ti conviene andare a parlarci.” Sua madre le regalò l’ennesimo sorriso, per poi schioccarle un bacio sulla fronte. Poi si alzò, lasciandola nuovamente sola in quella stanza.
E in quel momento, da sola, si sentì una completa a totale idiota.
Come aveva fatto a non sospettare nulla? Charlie sicuramente sapeva tutto da chissà quanto tempo, ed aveva finto di non sapere nulla.
Inutile ricordarsi proprio in quel momento tutte le frecciatine che le aveva rivolto in quegli ultimi giorni, proprio quando Edward era nei paraggi.
Avevano dormito nella sua stanza per due notti consecutive. Erano andati da soli a fare una passeggiata a La Push. Isabella aveva insistito così tanto a portarlo fuori il pomeriggio precedente, per fargli ammirare la radura innevata. Insomma, si era fregata con le sue stesse mani.
Scosse la testa energicamente, facendo un gran sospiro. Poi, decise di farsi una doccia veloce e cambiarsi.
E poi – per ultimo -, sarebbe scesa in quella gabbia di leoni, che la stavano aspettando a braccia aperte.
 
**
 
“Charlie, perché non porti Edward Domenica prossima? Verrà anche Jake. Una bella pescata non ci farà di certo male!”
“Ottima idea! Una bella giornata fra uomini!” Ecco, ora ci mancava soltanto Renée che rincarava la dose.
Isabella dopo la sua doccia durata più del previsto – ben quaranta minuti -, aveva preso una buona dose di coraggio ed era scesa al piano inferiore.
Si aspettava di vedere Edward e Charlie intenti a guardare quella partita di Football, invece si trovò davanti Billy e Jacob Black, con un sorriso smagliante.
Di certo non erano lì per rimanere a cena, ma sua madre aveva insistito così tanto, che alla fine avevano ceduto.
Purtroppo, era quello che non faceva altro che pensare Isabella.
Per colpa loro non aveva parlato con Edward, e così non sapeva neanche cosa gli avesse detto suo padre nei minimi dettagli.
Ma per fortuna, Billy e Jacob l’avevano tolta dalle grinfie di Charlie, rimandando a dopo il loro discorso. Perché ne era sicura, un bel discorsetto padre - figlia ci sarebbe stato.
“Mi dispiace, ma io Sabato sera tornerò a Londra.” La forchetta di Isabella cadde con un tonfo metallico sul piatto, mentre sua madre cercava di smascherare il tutto con un po’ di tosse.
Sabato sera tornerò a Londra.
Ed era solo mercoledì. Mercoledì sera. Altri e tre giorni con Edward, e poi sarebbe finita lì.
“Oh.” Invece Jacob Black smascherò il tutto con un finto sorriso, quasi di trionfo. Edward gli aveva portato via la sua ex fidanzata per troppo tempo, ed ora gli era venuto in mente di riprendersela.
“Beh, tornerai?” Si interessò Billy, addentando un pezzo di arrosto.
“Certo che ritornerà!” Quello che nessuno si aspettava era la reazione del Capo Swan. Era stato proprio lui a parlare, con un sorriso a trentadue denti. Che Edward ricambiò.
Cosa diamine si erano detti? Isabella non faceva altro che ripensarci, ma non riusciva a trovare una risposta. “Vero Isabella?” La incitò suo padre, sorridendole amabilmente.
Oh, Gesù!
Renée Swan era colpita quanto sua figlia dello strano comportamento di suo marito, ma lasciò correre, facendo un cenno con la testa a sua figlia, esortandola a parlare.
“Tornerai?” Così aveva sviato il discorso Isabella, ponendo quell’unica domanda a Edward. Che ora le sedeva accanto.
Certo.” Rispose sorridendo, con i suoi occhi verdi che brillavano. E Bella non poté far altro che credergli. Credere a quelle parole, che sembravano così vere, in quel momento.
E credere nella stretta di mano che si stavano scambiando, sotto la tovaglia e lontana da occhi indiscreti.
Tranne da quelli di Jacob Black.
 
**
 
“Billy. E’ stato un piacere.” La cena era trascorsa nel miglior dei modi, con sorrisi finti e sguardi lascivi fra Edward e Isabella.
Oh! Spero di vederti più spesso a La Push!” Billy Black posò un braccio intorno alla mano di Bella, dandole una pacca affettuosa.
Lei sarebbe andata volentieri a trovarlo più spesso, solo se non ci fosse stato Jacob. Anche se la loro relazione era finita da tempo, lui sembrava molto insistente. Forse anche troppo.
“Farò in modo di venire più spesso, Billy.” Si accucciò, dandogli un leggero bacio sulla guancia. Poi il signor Black girò la sua sedia a rotelle, avviandosi verso la sua macchina.
Ed ora era il turno di Jacob. Aveva tenuto il muso lungo per tutto il tempo, ed Isabella se ne era resa conto. Quello non era Jacob Black. Il suo Jake era sempre allegro, con il sorriso sulle labbra e amico di tutti. Quella sera sembrava tutt’altra persona.  
“Posso parlarti un secondo?” Bloccò il saluto di Bella sul nascere, mettendola una mano sul braccio. Poco più su di dove prima l’aveva posata suo padre.
“Billy ti sta aspettando.” Isabella indicò suo padre, che guardava il cielo stellato. Stranamente quella sera non c’erano nuvole a Forks.
“Sarà questione di due minuti.”
Questa volta non poteva inventarsi nulla. Anche se Charlie, Renée e Edward erano nel salone a giocare a Monopoli, non poteva sottrarsi alla richiesta di Jacob.
“Certo.” Disse con un sospiro, indicandogli la rampa di scale. “Aspettami in camera mia.” Il ragazzo le regalò un sorriso, mentre saliva due a due le scale che portavano al piano superiore.
Cautamente lei andò nel soggiorno, abbagliata dal sorriso che le aveva regalato Edward appena era entrata nella stanza.
“Vado un attimo di sopra. Jake deve parlarmi.”
Charlie fece finta di niente, continuando a comprare Alberghi.
Renée smascherò un sorriso, abbassandosi e fingendo di sistemarsi una scarpa.
Il sorriso che le aveva regalato Edward scomparve, lasciando spazio a… a nulla. Perché abbassò la testa, continuando a giocare insieme a Charlie.
Alzando gli occhi al cielo Isabella raggiunse Jacob, e le trovò seduto sul suo letto.
“Jake… dimmi.” Esordì quasi con il fiatone, richiudendosi la porta alle spalle.
“Sai che ti sta prendendo in giro, vero?”
“Come?” Isabella non capì subito di cosa stesse parlando, finché non si schiarì le idee.
“Edward. Tutti quei sguardi, le mani intrecciate sotto il tavolo.”
Abbassò lo sguardo, imbarazzata. “Lo sai che non può andare avanti? Non potrà mai andare avanti, Isabella. Lui vive a mille miglia da qui, e tu in una piccola cittadina. Come pensi che possa andare avanti?” Rincarò la dose, guardandola quasi con disprezzo.
“Jacob.” Prese un bel respiro, rendendosi conto che la sua voce risultava roca. “Non è affar tuo.”
“Oh, si invece! Tu sei affar mio!” Aveva quasi alzato la voce, mentre Isabella lo guardava torva.
“Io non sono affar tuo! Lo sai che non stiamo più insieme, vero? Tra noi non funzionava, e non potrà mai funzionare!”
“E invece con quello lì sì? Eh?” Si passò una mano fra i capelli, scompigliandoli più del necessario. La testa le stava iniziando a dolere nuovamente, e la febbre sicuramente si stava alzando.
“Con Edward non c’è nulla di serio. La viviamo giorno per giorno.”
“E giorno per giorno ne rimarrai scottata, Bella. E lo sai anche tu.”
Lo stava odiando. Odiava immensamente Jacob Black, perché in quel momento aveva tremendamente ragione. Se già lei aveva aperto gli occhi, Jake glieli stava facendo sgranare. Per vedere meglio.
La sua storia con Edward, e quello che ne sarebbe stato.
Avevano diciassette anni, e nulla di sicuro. Nulla. E la vivevano giorno per giorno davvero, senza preoccuparsi del domani.
“E tu non devi preoccuparti, Jacob. Te l’ho detto, è affar mio.”
Jake si alzò da letto, andandole incontro. Poi si abbassò, stampandole un dolce bacio sulla testa.
“Io ti ho detto quello che penso, Bella. Lo sai che io ti amo, e non voglio vederti soffrire per una persona che non vedrai più per chissà quanto tempo.” E lo sospettava da tempo. Sapeva che Jacob non aveva mai smesso di amarla.
Ti voglio bene, Jake.” La lasciò lì, sola in quella stanza. Di nuovo.
Asciugandosi le ultime lacrime e stampandosi un finto sorriso scese al piano inferiore, per giocare a Monopoli.
Con la sua famiglia.
 
**
 
“Cosa.”
Un bacio sulla bocca.
“Voleva.”
Un altro bacio, sempre più profondo.
“Jacob.”
Questa volta sulla guancia.
“Black.”
E infine fino a riscendere sul collo.
Isabella gli tirò su il viso con tutte e due le mani, per far scontrare nuovamente le loro labbra.
La partita a Monopoli era finita presto, e dopo che tutti erano andati a letto Edward si era intrufolato nella stanza di Bella.
La chiacchierata su ‘cosa ti ha detto mio padre’ era durata meno di due secondi, visto che non avevano perso tempo fra baci e carezze. E alla fine Charlie non voleva ‘sgridarlo’, ma fargli capire che quella era la sua bambina – anche se aveva diciassette anni -, e che se l’avesse fatta soffrire il Capo Swan avrebbe tagliato la sua virilità.
Chiaro e schietto. Tipico di Charlie Swan.
“Nulla.”
Nel buio della stanza Edward tirò su lo sguardo, scrutandola.
“Mi stai mentendo.” Sentenziò infine, baciandola di nuovo.
Isabella sbuffò, staccandosi da lui. “Come fai a capirlo? A capire sempre quando ti mento o meno?”
Il ragazzo soffocò una risata. “Ti conosco, piccola.”
“E non chiamarmi piccola!” Sbottò, sistemandosi il suo pigiama rosa confetto. Edward la guardò stranito.
“Non ti piace?”
No… Sì… Oh, Dio! E’ solo che ora sono arrabbiata!” Incrociò le braccia al petto, mettendo un finto broncio. Okay, arrabbiata lo era davvero. Ma non con lui. E nemmeno con le parole che le aveva rivolto Jacob qualche ora prima.
Ma con se stessa.
“Con me?” Questa volta Edward tese il labbro inferiore.
Ecco, ci mancava solo il labbro tremulo!
“No.” Sussurrò lei, togliendoli dal viso quella faccia che avrebbe preso volentieri a schiaffi, e baciandolo con ardore.
Forse troppo.
Cazzo!
“Scusa.” Isabella abbassò lo sguardo, mentre Edward si tamponava con un dito la piccola goccia di sangue che stava uscendo dal suo labbro.
“Allora, che ti ha detto quel Jacob?”
Cheframeetenonpuòfunzionare!
Lui corrugò tutte e due le sopracciglia.
Piccola,” marcò quella parola, ammiccando nella sua direzione. “Parla piano.”
“Che fra me e te non può funzionare. E che ne rimarrò bruciata.” Questa volta Edward chiuse gli occhi in due piccole fessure.
“Puoi prestarmi le chiavi del Pick up?” Le domandò, cercando di mantenere una voce calma.
“Perché?”
“Perché voglio andare ad uccidere Jacob Black!” Isabella scosse la testa, stendendo le labbra in un sorrisino.
“Non fare l’idiota.” Gli si avvicinò, prendendo il viso fra le sue mani. “Lo sai che non credo a tutto quello che ha detto Jacob.”
“E perché io non ne sono così sicuro? Bella, hai avuto così tanti dubbi in questi ultimi giorni! E di certo un ragazzino tutto muscoli e niente cervello non si può permettere di venire qui e frantumare tutto!” Sembrò frustrato, mentre alzava le mani in cielo per poi farle ricadere con un tonfo sul letto.
“Le parole di Jacob non frantumeranno niente, Edward.”
“Ed io come faccio ad esserne sicuro?” Isabella prese un bel respiro, ripensando per due secondi a tutto quello che era accaduto in quei mesi. Di certo lei e Edward non si conoscevano poi così bene, e allora perché era così forte quello che provava per lui?
Perché ogni volta che lo vedeva le veniva la pelle d’oca, sentiva svolazzare le farfalle nello stomaco e il cuore andava a mille?
C’era una sola spiegazione.
“Perché…” Deglutì rumorosamente. “Perchécredodiessermiinnamoratadite.
 
___
 
-         Come molte di voi avranno notato, questo capitolo è dedicato a Fiorels. Non so neanche se legge la mia fanfiction,  - se sì, sarebbe un onore! – Insomma, è dedicato a lei, un autrice fantastica, che in questo momento ha tutto il mio appoggio. Chi la segue lo sa: le sue storie sono state eliminate da non so chi. Sono entrati con il suo contatto, e hanno fatto piazza pulita. Alla sola idea che possa succedere al mio account mi viene la pelle d’oca. Due anni di lavoro buttati al vento. Tutte le bellissime recensioni, il supporto e la passione. Insomma, Fio non si butta giù e si sta rimettendo in carreggiata. Quindi, andate nel suo account e iniziate a seguire di nuovo Broken Road!
-         Capitolo ricco di novità! Jacob sempre a rompere le balls (ehm…). Beh, non vi traduco l’ultima frase di Bella, perché dovete capirla da soli. Su, sono sicura che ci riuscirete! Amo e ammiro CapoCharlieSwan ;D
-         Lunedì inizio a lavorare (e che ve ne frega a voi?), e ho anche due bei debitucci in inglese ed economia aziendale (cazzo!) quindi se ritardo, perdonatemi çç
-         Potete trovarmi su Twitter e su Facebook!
Al venerdì prossimo! E recensite ùu :*

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Capitolo 12
*** Dodicesimo Capitolo. ***


Note a fine capitolo, dolci donzelle ;)
 
Dodicesimo Capitolo
 
 
Edward prese l’ultima felpa dal cassetto che gli aveva ceduto Renée per quella settimana, la piegò e la mise nella valigia.
L’ultima maglietta, di tante altre già entrate in quel borsone.
Era Capodanno, e sarebbe partito la mattina dopo, con il volo delle nove. Aveva gentilmente chiesto a Bella di non accompagnarlo la sera prima, perché sarebbe stato atroce per tutti e due.
L’avrebbe salutata quella sera stessa, dopo la festa.
Festa organizzata da Jessica Stanley, dove sarebbero andati con Alice e Jasper. Aveva avuto modo di conoscere la coppietta il giorno prima, proprio a casa Swan, perché Isabella era ancora un po’ raffreddata e quindi sua madre le aveva imposto di non uscire.
Già conosceva Alice, dopo la ramanzina che gli aveva fatto appena era tornata da Londra, dopo una visita ad Emmett.
Edward doveva ammetterlo, ma si stava affezionando sempre di più a quel folletto dai capelli neri. Si erano scambiati i numeri e gli indirizzi di posta elettronica, pronti a sentirsi ogni volta che trovavano del tempo.
Anche Jasper in quella settimana si era rivelato un buon’amico, ed avevano passato qualche sera all’insegna del Football americano, davanti alla TV e con una ciotola di pop-corn in mano.
E si era affezionato a Bella? Sì, e anche troppo.
Però con lei faticava ad ammetterlo. Non era un’amicizia come quella che si stava instaurando con Alice, ma qualcosa di più.
Di molto di più.
Soprattutto ora che lei gli aveva rivelato i suoi sentimenti, mettendolo davanti ad un bivio.
Certo, avrebbe scelto di restare lì con lei, a Forks. Lasciando tutto a Londra. Persino i suoi genitori.
Ma non poteva. Aveva solo diciassette anni, e non poteva.
Cosa le avrebbe detto ad Esme? ‘Mamma, mi dispiace ma sono innamorato di Isabella. Vorrei restare qui, a Forks.’
No, Esme sarebbe andata a prenderlo a Forks per riportarlo a Londra a suon di calci.
Innamorato.
Da quando in qua Edward Cullen si era innamorato? Beh, dopo il discorso dell’altra sera c’era poco da dire o pensare.
 
Credodiessermiinnamoratadite.” Edward arcuò le sopracciglia, fissando intensamente Isabella.
Non poteva aver capito quelle parole.
E lei non poteva averle dette.
Era impossibile.
Ora cosa avrebbe fatto? Non poteva lasciarla lì, da sola. Dopo quella strana dichiarazione.
“Puoi… puoi ripetere?” Ma quanto poteva essere stupido?
La ragazza per cui aveva perso la testa in quella strana settimana passata fra le sue cose gli stava dichiarando i suoi sentimenti, e lui che faceva?
Riprenditi, Edward. Riprenditi.
Credo.Di.Essermi.Innamorata.Di.Te.” Questa volta Isabella ripeté le parole, come se stesse parlando con una persona che aveva dei problemi mentali. “Edward, non devi dirmi nulla.” Continuò lei, con un sorriso che non si toglieva dalla sua bocca. “Non te l’ho detto per sentirmelo dire, capito? So quello che provi, ma forse tu devi ancora capirlo.”
“Scusami.” Sussurrò prontamente lui, mentre questa volta il sorriso affiorava sulle sue labbra. “Ma non pensavo di sentirlo dire da te. Lo sai che sono un codardo, vero? E che volevo dirtelo io, prima di partire. E lasciarti con l’amaro in bocca, subito dopo la mia partenza.”
Bella arcuò le sopracciglia, scuotendo energicamente la testa.
“Non sei un codardo.” Sussurrò appena, avvicinandosi sempre di più a lui. “Solo che volevi fare un finale tipo scena da film, ecco.” Spiegò infine, ridendo dopo aver visto l’espressione buffa che aveva fatto Edward.
“Finale da film?”
“Lasciare la povera fidanzata da sola, dopo quel Ti Amo per più di due mesi. Non è un finale da film?” Domandò innocentemente, avvicinandosi sempre di più alle labbra di Edward.
“Cosa hai detto?”
“Lasciare la pov-”
“No, no.” Lui le chiuse le labbra con un dito, per non permetterle di continuare a parlare. “Prima.” Spiegò poi, ripensando alle parole di Isabella.
“Ti amo?”
Perché anche quelle parole pronunciate dalla sua bocca sembravano così vere?
E perché non faceva nessuna fatica a pronunciarle?
Ma Edward non la lasciò finire, troppo occupato a baciarla. Approfondì quel bacio, lambendo con la lingua il palato di lei. Un gemito strozzato uscì dalle labbra di lei, mentre continuava a sorridere felice.
E innamorata.
“Isabella…” Sussurrò Edward, travolto anche lui da quelle strana sensazioni. Ma non finì la frase, perché non ci riuscì.
Non sapeva come si diceva ‘Ti Amo.’ Aveva diciassette anni, e non l’aveva mai detto a nessuna, se non a sua madre, quando era un ragazzino.
“Ti amo anch’io.” Gli disse lei, chiudendogli la bocca con un altro bacio.
 
“Preso tutto?” La voce roca della ragazza gli arrivò dritta nelle orecchie, facendolo girare con un sorriso a trentadue denti.
Indossava una felpa tre taglie più grandi di lei, ed era sua. Aveva insistito così tanto per tenerla, che Edward non aveva saputo dirle di no.
Poteva tenersi tutto, anche l’intera valigia, se questo avrebbe colmato il vuoto dei prossimi mesi.
“Tutto.” Sussurrò appena, prendendola per la vita per stamparle un bacio casto sulla bocca. Interrotto immediatamente dall’entrata di Charlie.
“Risparmiatevi certe cose.” Borbottò il capo Swan, passando per la sala e dirigendosi spedito verso la cucina.
Quando sparì dalla loro visuale, non poterono fare a meno di scoppiare tutti e due a ridere.
Charlie aveva preso fin troppo bene quella storia, senza dire nulla. Neanche c’era stato il discorsetto padre-figlia di cui Isabella aveva così tanta paura.
“Ne sei ancora convinto?” Domandò lei, sedendosi sul divano disfatto.
Edward annuì, sapendo perfettamente a cosa si riferisse.
“Farà ancora più male. E già fa male ora, Bella.” Si riferiva alla sua imminente partenza.
Andarsene, privando la ragazza della possibilità di salutarlo in aeroporto, magari con un bacio a fior di labbra e vederlo allontanarsi fino a scomparire.
Ma Edward era stato categorico: ad accompagnarlo in aeroporto sarebbe stato Charlie, la mattina dopo. Sapeva che il capo Swan non era un uomo che si lasciava andare ai sentimenti, come sua moglie o sua figlia.
Avrebbe salutato Charlie Swan con una stretta di mano, e con la promessa di rivedersi il più presto possibile.
Niente lacrime dalla ragazza che amava, e neanche da sua madre. E quella sera stessa avrebbe pensato a salutare anche Alice e Jasper, prima di andare via dalla festa.
“Se è quello che vuoi tu.” Sussurrò appena lei, abbassando lo sguardo imbarazzata.
E forse, sotto sotto, anche arrabbiata.
Non condivideva affatto la scelta di Edward, ma l’avrebbe assecondata. Ad ogni costo.
Lui si sedette accanto a lei, prendendole il viso da sotto il mento, per issare i suoi occhi con quelli della ragazza.
“Sai che lo faccio per noi, vero?” Chiese cauto, mentre gli occhi di Bella diventavano lucidi. “Non voglio lasciarti andare in quell’aeroporto, pieno di gente e di fretta. Voglio farlo stanotte, con calma e con… amore.”
“Ma non eri tu quello che voleva dirmi ‘Ti Amo’ in aeroporto, prima di scappare a gambe levate su quell’aereo?” Edward le fu grato, perché con quella frase aveva spezzato quel momento intenso che si era creato fra i due.
“Sì. Ma visto che ci hai già pensato tu...” Le si avvicinò di nuovo, stampandole l’ennesimo bacio della giornata.
Questa volta ancora più cauto del primo, perché tutti e due sapevano che Charlie era nella stanza accanto.
“Basta piccioncini!” Ma questa volta fu la voce di Alice Brandon ad interromperli, con in mano varie buste. E si era porta dietro un Jasper dall’aria agognata… più del solito.
“Che c’è, Alice?” Non voleva essere così brusca con la sua migliore amica, ma sapeva benissimo che quelle erano le ultime ore che poteva passare in compagnia di Edward, e voleva sfruttarle al meglio.
“Avrete tutto il tempo del Mondo, ma ora… Prova vestito!” Batté le mani eccitata, saltellando sul posto.
“Alice, sai che non devo sposarmi vero?”
“Certo. Ma è Capodanno! E ti ho portato certi vestitini fantastici. Su su, alzati che andiamo in camera tua.” Alzando gli occhi al cielo Isabella si alzò, lasciando per ultima prima di andarsene la mano di Edward.
Intanto Jasper si era seduto al suo posto, salutando con un cenno del capo Edward.
Le due ragazze si diressero spedite di sopra, mentre loro due rimasero seduti sul divano.
“Partita amico?” Domandò Jasper, accennando al televisore.
“E che partita sia!” Edward prese il telecomando, ed iniziarono a vedere la seconda partita si Football.
Tutti e due ignari che ne avrebbero dovute vedere altre e sei, prima di rivedere le rispettive ragazze scendere al piano inferiore, con quei vestitini-ini-ini.
 
**
 
“Sei perfetta!” Squittì Alice, finendo di sistemare i boccoli che aveva accentuato con la piastra, sulle spalle della sua amica.
“Perché tutto questo? Infondo è una festa che durerà si e no tre ore.”
“Dio, Isabella! Come sei triste!” Ecco, quello che non faceva altro che ripeterle la sua migliore amica.
Che la maggior parte delle volte era triste.
“E dovevo indossare proprio questo intimo?” Alzò tutte e due le sopracciglia, alzandosi in piedi per dirigersi di nuovo in camera sua.
Erano chiuse in bagno da più di due ore. Soltanto che Alice aveva indossato il suo vestito in meno di cinque minuti, ed il tempo restante era stato adoperato tutto sulla povera Bella.
Quell’intimo si riferiva ad un perizoma microscopico, abbinato ad un reggiseno altrettanto piccolo, che le tirava su le tette.
Quelle parole, le aveva detto Alice.
Il vestito invece arrivava poco sopra la coscia, era nero e ornato da paillettes. Davanti era alto, fino a coprire anche il collo. Dietro, lo spacco lasciava a desiderare. Scopriva tutto, fino ad arrivare al sedere.
Però, non era niente male.
“Non ti lamentare.” Disse risoluta la sua amica, mettendosi un po’ di cipria sul viso. “Devi usare quell’intimo. Ci saranno fuochi d’artificio fra te e Edward stasera.” Le fece l’occhiolino attraverso lo specchio, mentre Isabella sbuffava frustrata.
“Gli unici fuochi d’artificio che ci saranno… saranno quelli per inaugurare il nuovo anno.”
“Non ne sarei poi tanto sicura.” Alice si voltò, poggiando tutte e due le mani sullo stipite del lavandino. “Anzi, ne hai parlato con Edward?”
“Di cosa?” Si finse innocente, mettendo su quello sguardo da cerbiatto smarrito.
“Come di cosa? Del sesso, ovviamente.”
“Alice.” Si lamentò, facendo un giro su se stessa. E cercando di non cadere, perché la sua amica per quella sera le aveva fatto indossare anche dei trampoli enormi. “E cosa avrei dovuto dirgli, sentiamo.” La esortò, ritornando al suo posto.
“Magari che non sei vergine. E che l’aria da finta-innocente funziona solo con lui.”
“Hey, così mi fai passare per una sgualdrina da quattro soldi!” Si finse offesa, e mise il broncio. Ma durò solo pochi istanti, perché sapeva benissimo che Alice non le avrebbe mai detto nulla del genere.
“Come faccio a dirgli che la prima ed unica volta che sono andata a letto con un ragazzo… e’ stato con Jake? Lui lo odia dal profondo del suo cuore.” Cercai di valorizzare quelle parole, facendo una strana mossa con la mano.
Ed Alice rise, voltandosi per continuare a truccarsi.
“Magari partendo dall’inizio. Jake è stato la tua prima volta, ed era anche il tuo fidanzato. Di certo non ti sei lasciata al primo che capitava. E sono certa che Edward lo capirà.”
“Sì, come no.”
In quella settimana Isabella aveva capito una cosa di Edward: era talmente cocciuto e testardo, che anche se aveva torto, cercava di rigirarsi la frittata a modo suo.
“Perché non lasciamo queste elucubrazioni a più tardi, visto che sono già le sette e mezza?”
“Le sette e mezza?” Alice sembrò risvegliarsi da una specie di trans. “Per l’amor del cielo! Alle otto dobbiamo stare a casa di Jessica, e di certo dobbiamo essere puntualissimi! Tu fa che quei due qui sotto non siano pronti, che taglio la loro virilità!” Bella trasalì sia per Edward che per Jasper, dopo l’affermazione della sua amica.
“Okay, allora io inizio a scendere.” Senza aspettare un richiamo dalla sua amica – che sicuramente era arrivato -, si precipitò al piano di sotto.
Edward e Jasper erano vestiti, e si girarono in contemporanea quando sentirono il rumore provocato dai tacchi di Isabella.
Jasper sorrise, ammirando il lavoro svolto dalla sua fidanzata.
Invece Edward rimase totalmente a bocca aperta, guardando attentamente la sua ragazza.
Era Isabella?
Il vestito le copriva il pezzo davanti un po’ troppo, ed era sicuro che Alice non avrebbe mai permesso una cosa del genere.
“Bella!” Si voltò, chiamata dalla voce di sua madre. E lì, Edward rimase di sasso.
Se il pezzo davanti era fin troppo coperto, il pezzo dietro lasciava poco all’immaginazione. Si vedeva benissimo la linea della sua schiena perfetta, e la pelle bianchissima.
Quanto avrebbe voluto mettere una mano lì, in quel momento?
“Mamma.”
“Sei bellissima. Alice sa il fatto suo.” Commentò Renée, avvicinandosi alla figlia per darle un bacio in fronte. “Non fate tardi, e non bevete troppo.” Raccomandò tutti e quattro, quando uscirono dopo l’entrata trionfante in sala di Alice Brandon.
Presero la Porsche gialla, dirigendosi alla festa organizzata da Jessica Stanley.
E all’ultima notte che Edward Cullen avrebbe passato a Forks.
 
**
 
La Stanley ci sa fare con le feste.” Commentò Alice, prendendo un altro bicchiere di champagne, che prontamente Jasper le tolse dalle mani.
Da quando era arrivata alla festa, non aveva fatto altro che tenere un bicchiere colmo di alcool in mano, andando in giro per la casa con un sorriso a trentadue denti.
Ed il povero Jasper, la seguiva come un cagnolino.
“Un peperino, la tua amica.” Edward alzò un sopracciglio nella direzione di Alice, e poi guardò Isabella dritta negli occhi.
La sua espressione invece era frustrata.
Non voleva essere lì.
Quella sarebbe stata l’ultima notte di Edward, e non voleva passarla ad una festa, insieme ad una cinquantina di persone che neanche conosceva.
“Hey.” Il ragazzo le accarezzò una ciocca di capelli, avvicinandosi a lei lentamente. “Che c’è?”
“Voglio andarmene.”
Edward sorrise, schioccandole un bacio sui capelli.
“E festeggiare il Capodanno tutta sola?”
Perché si divertiva così tanto a giocare?
“Non da sola. Con te.” Precisò, facendogli una linguaccia.
“Anch’io vorrei andarmene.” Ammise Edward, sbuffando sonoramente.
Di certo quell’ultima notte non contava soltanto per Isabella, ma anche per lui. Non rivederla più, ma andare avanti con chiamate e messaggini.
“Ma sono solo le undici.” Disse la voce ovattata di Alice, arrivando proprio dalle loro spalle. Come un gufo, che in quel momento aveva visto e sentito ogni singola cosa che si erano detti e fatti loro due.
“Tenete.” Con un sbuffo più sonoro di quello di Edward, Jasper tirò fuori dalla tasca dei suoi pantaloni le chiavi della Porsche. “Andatevene. Noi torniamo a casa a piedi. Abito solo a due isolati da qui.” Fece un occhiolino complice a Isabella, che arrossì di botto.
Invece Edward colse la palla al balzo: prese le chiavi, e trascinò praticamente Bella fuori da quella casa.
Nel giardino l’atmosfera era surreale. Tutto il trambusto che c’era dentro si era trasformato in un silenzio quieto, che dava quasi fastidio.
Edward guidò con molta prudenza la Porsche di Alice, sicuro che se le avrebbe fatto un minimo graffio l’avrebbe pagata cara.
Anche se il giorno dopo sarebbe partito per Londra.
Parcheggiarono nel vialetto di casa Swan, e scesero quasi di corsa. Ma Edward fu altrettanto silenzioso anche dentro casa.
“Hey, guarda che i miei non ci sono.” Annunciò Bella, pensando ai suoi genitori che erano a casa Black.
Erano lì insieme a tutti i loro amici, e forse anche a Jacob. Però non volle pensare al disappunto di quest’ultimo, non vedendo la coppietta.
“Siamo a casa da soli?” Quasi stentò a crederci, allargando gli occhi.
“Sì.”
Oh.” Sembrò stupito, quando Isabella gli confermò la notizia.
“Che c’è?” Sussurrò divertita, dopo l’espressione che aveva assunto Edward.
Tra l’incredulo e l’imbarazzato.
Poteva Edward Cullen imbarazzarsi?
“Niente. Niente.” Con un risolino Isabella allungò la mano nella sua direzione.
“Vieni, andiamo su.”
Salirono le scale mano nella mano, entrando in camera di Bella. Non accesero le luci, perché stranamente quella sera a Forks non c’erano nuvole, e la Luna illuminava la stanza.
Era uno spettacolo affascinante.
“Bell-”
Vogliofarel’amoreconte.” Lo interruppe subito, vomitando quasi quelle parole.
Come quando gli aveva detto di essere innamorata di lui, proprio la sera prima. E in quella stessa stanza.
Ma Edward questa volta non la interruppe, chiedendole ‘Cosa?’.
Aveva capito perfettamente cosa gli aveva detto. Anzi, troppo bene.
“Ne sei sicura?” L’unica cosa che era riuscito a dirle, stringendo di più la sua mano.
“Non… nonèlamiaprimavolta.”
Ma perché ogni volta che doveva dire una cosa di importante, diventava logorroica e parlava velocemente?
Edward non parlò neanche in quell’istante, metabolizzando la frase.
Non era la sua prima volta.
Di conseguenza non era vergine.
E di sicuro era andata con Jacob. Sì, Jacob Black.
Un applauso per Edward Cullen!
Oh.” Stessa esclamazione che aveva usato pochi minuti prima, appena era venuto a sapere che erano soli in casa.
“Ecco…” Questa volta la Bella imbarazzata fece breccia, lasciando la mano di Edward per andare a massacrarsi le sue. “Se tu non vuoi… Oh, Dio! Scusa Edward, scusa. Sono stata tropp-”
Ma non finì la frase, perché Edward le chiuse la bocca con un bacio irruente.
Si staccò, per guardarla fissa negli occhi.
“Tu pensi che non voglia, eh? Tu non sai quanto ho aspettato questo momento. E tu…” Le accarezzò il viso, dolcemente. “Tu sei così perfetta, Isabella.” E la baciò di nuovo, questa volta piano, per far assaporare il momento a tutti e due.
Si tolsero i vestiti lentamente, beandosi ognuno del corpo dell’altro. Poi Edward adagiò delicatamente Isabella sul letto, e si mise sopra di lei, in modo da non pesarle addosso.
Continuarono per qualche secondo con i baci, e poi lievi carezze. Che diventarono sempre più audaci, fino a toglierli il fiato.
Quando Edward entrò in lei, dopo un suo cenno affermativo, sembrò come entrare in un altro Mondo. C’erano solo loro due, e basta.
Edward e Isabella.
Ed il loro amore, più forte che mai in quel momento.
Raggiunsero l’apice insieme, mentre gli occhi di Bella erano lucidi, e Edward emetteva gemiti strozzati.
“Ed-” Ma questa volta non fermò le sue parole con l’ennesimo bacio, ma con due sole parole.
Ti amo.” Era la prima volta che glielo diceva.
E non avrebbe potuto scegliere momento migliore.
Insieme, in quel letto.
Quando uscì da lei Edward si distese accanto a lei, stringendola fra le sue braccia e attorcigliando le gambe con le sue.
E dopo minuti interminabili di silenzio, fu lui a romperlo. “Buon anno, piccola.
Isabella ricambiò l’augurio con un bacio, sperando che quella notte non finisse mai.
 
**
 
Quando si svegliò, sentì immediatamente le gambe intorpidite.
Quasi non riusciva a muoverle. Poi, si strofinò gli occhi energicamente, cercando di riprendere coscienza e metabolizzare tutto quello che era accaduto la sera prima.
Era sotto le lenzuola, ed indossava soltanto una felpa.
La felpa di Edward.
Edward!
Si voltò di scatto, guardando la sveglia sul comodino.
Segnava le dieci e trenta.
Le dieci e trenta, del primo gennaio. E Edward, sarebbe partito alle nove.
Era partito alle nove.
Fissò intensamente il guanciale, dove la notte scorsa Edward aveva posato la sua faccia.
E al suo posto, c’era una lettera.
Edward se ne era andato.
Lasciandola sola con una lettera.
 
 
NOTE:
 
Se ne è andato. Edward Cullen se ne è andato ç___ç Ho pianto scrivendo questo capitolo. Lui l’ha lasciata. Senza neanche salutarla. Certo, il saluto della notte scorsa non è stato niente male è ù__u
Il capitolo vi è piaciuto? Spero di sì, perché a me non mi ha convinto molto. Soprattutto l’inizio… *idiotaidiotaidiota*
E poi voglio sentire tutti i vostri pareri, okay? Anche le critiche, soprattutto quelle. Purché siano costruttive, ovvio :D Ma accetto anche i complimenti è! *modestiamodeon*
Poi, sono a rompervi con altre e due storie. Già, non vi libererete mai di me MUAHAHAHAH
Thinking of you. (Era una one-shot, ma l’ho trasformata in una long-fic!)
Il ragazzo del Pub.
A venerdì prossimo :**
E GRAZIE. GRAZIE a tutti voi *w*

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Capitolo 13
*** Tredicesimo Capitolo. ***


Note a fine capitolo :)
 
Gennaio.
 
Isabella ordinò a se stessa di non piangere.
Non poteva farlo. Edward se ne era andato, e con lui tutti i bei momenti che avevano passato insieme.
Le litigate, le scenate di gelosia e quella notte.
Ma non ci riuscì. Con l’aiuto della sua mano riuscì a togliersi dagli occhi le poche lacrime che stavano scendendo, e impugnò la lettera.
Guardò per qualche istante la carta bianca, e poi iniziò a leggerla.
 
So che in questo momento mi odierai a morte.
Ma te l’avevo detto. Ti avevo avvertita. Sarebbe stato troppo difficile lasciarti andare in quell’aeroporto, più di quanto lo sia ora.
Ora che ti sto guardando dormire, sotto le lenzuola calde. Con l’espressione rilassata, come non avevo mai visto prima.
Ma ti avevo promesso che ti avrei salutata. Purtroppo, sono un codardo. Non ho avuto il coraggio di svegliarti, per salutarti come si deve.
Ma questo non è un addio, vero? No, certo che no.
Ci sentiremo ogni secondo, minuto ed ora.
Non ti libererai tanto facilmente di me, Isabella Swan.
Ed io non voglio liberarmi di te. Ci vedremo fra meno di quattro mesi, a casa mia.
Dalla mia famiglia, nella mia città.
E ti giuro che questi quattro mesi voleranno.
Che non mi sopporterai più, da chiedermi di lasciarti stare.
Ho chiesto ad Alice di prendersi cura di te. Ma sono certo che lo farai da sola.
Appena ti sveglierai, controlla il cellulare.
Il prossimo messaggio arriverà al mio atterraggio.
Soltanto quattro mesi, piccola.
Ti amo,
Edward.
 
Ma le lacrime non strabordavano dai suoi occhi.
Anzi, era anche troppo tranquilla. 
Prese il cellulare, per controllarlo.
C’era un messaggio: Edward.
Il mio volo parte fra poco più di cinque minuti. Ci sentiamo oggi. Ti amo.
Erano soltanto le dieci, ed il volo sarebbe atterrato alle sedici.
Ancora sei ore.
Sei ore, che non sarebbero mai passate.
Decise di prendere il beauty, ed andare a farsi una lunga doccia.
Forse sperando che al suo ritorno trovasse Edward nel suo letto, ancora nel Mondo dei sogni.
Tutto impossibile, visto che lui se ne era andato.
E per quattro mesi, non l’avrebbe rivisto.
Calma, Bella. Non è mica andato in guerra!
Cercò di convincersi, scuotendo energicamente la testa.
Peccato che la doccia fredda aveva portato ancora più dubbi, insieme ad un’Alice trafelata che voleva sapere ogni minimo dettaglio della notte trascorsa con Edward.
 
*
 
Febbraio
 
“Allora il coach ci ha fatto un cazziatone tremendo, negli spogliatoi! Non voglio neanche immaginare cosa sarebbe successo, se avessimo perso!”
Edward sbatté tutte e due le mani in aria, per poi arruffarsi i capelli.
Isabella lo guardava divertita, dall’altra parte dello schermo.
Il mese di Gennaio era stato pieno di messaggini smielati e chiamate nel cuore della notte, per colpa del fuso orario.
Purtroppo nessuna chiamata su Skype, visto che la connessione della famiglia Cullen era andata a farsi benedire, dopo le vacanze Natalizie.
Ma finalmente ora riusciva a vederlo, dopo un mesetto.
Un mese che non era affatto volato, come lui le aveva promesso.
Anzi, era stato il mese più terribile della sua vita. Con l’inizio della scuola, le interrogazioni e Jacob Black,
Sì, perché Jacob Black era tornato all’attacco.
Peccato che Bella continuava a non filarselo.
“Davvero?” Isabella sembrava euforica, unendo tutte e due le sopracciglia verso l’alto.
Sentire la voce di Edward la mandava in visibilio. Soprattutto perché era così diversa dalla sua vera voce.
“Sì. Ma dimmi… come va lì?”
“Tutto bene. Alice mi costringe ad andare con lei ogni week end, per fare shopping. Non sai che tortura!” Questa volta fu lei a scompigliarsi i capelli, provocando l’ilarità del ragazzo.
Immagino. E Jacob… ti da ancora fastidio?”
E ovviamente Edward sapeva tutto della storia di Jake.
Ormai non c’erano più menzogne, fra loro due.
“No. Sono stata chiarissima, riguardo ai miei sentimenti. Ed anche Alice è andata a parlargli, quindi…”
“Quindi posso stare più che sicuro!” Aggiunse Edward, sospirando di sollievo.
Alice era stata tremendamente convincente con lui nella settimana che aveva passato a Forks, e sicuramente lo sarebbe stata anche con Jake. E con le sue minacce.
“Cos’è, non ti fidi di me?” Gli domandò Bella, con una nota scherzosa nella voce.
“Certo che m fido di te, amore.”
Amore
Erano si e no due settimane che la chiamava così, e a lei di certo non dispiaceva.
Con quella sola parola, le faceva toccare il cielo con un dito. Ogni singola volta che la pronunciava.
“O-”
“BELLA! Oh, tesoro! Come stai? Sei dimagrita, lo sai? Quanto mangi? Forse Renée non cucina abbastanza?”
L’immagine di Edward era letteralmente scomparsa, e si era sovrapposta alla sua quella di un Esme euforica, con un panno in mano.
Ormai anche la signora Swan e la signora Cullen erano diventate amiche, per la pelle.
Si sentivano spesso, per spettegolare della relazione dei loro figli.
“Esme!” Isabella mostrò tutta la sua felicità, nel vedere di nuovo quella donna. “Sto benissimo. Mangio abbastanza, non preoccuparti. E no, Renée non cucina. Sono io, a cucinare.” Disse, accompagnando le ultime due parole da un sonoro sbuffo.
Esme sorrise, fissando per qualche istante lo schermo.
“Mamma, non è che potresti andare?” Dalle sue spalle provenne la voce di Edward, alquanto scocciato.
“Cos’è, ti do forse fastidio?” Esme si voltò, per fronteggiare suo figlio.
Intanto Isabella si godeva tutta la scena, pensando che avrebbe pagato oro per stare lì con loro, in quel momento.
“No. Ma non puoi telefonarle dopo?”
“Certo che no!” Disse Esme, quasi offesa. “Non vedo Bella da quando è stata qui, perché dovrei telefonarle?”
“Perché la nostra connessione ancora tentenna, e quindi posso parlarci e vederla soltanto per pochi minuti?”
“Quanto scocci!” La signora Cullen si alzò, regalando un sorriso ad Isabella. “Tesoro, vado. Ti telefonerò al più presto, promesso.”
Bella alzò una mano, per salutarla gentilmente.
“Finalmente.” Borbottò un Edward scocciato, prendendo nuovamente il suo posto.
Lei invece aveva ancora il sorriso stampato sulle labbra. “Hey, cos’hai da ridere?”
“Niente, nie-”
“BELLA! BELLA!” La voce di Renée urlava il suo nome dal piano inferiore.
Isabella si sporse un po’ con la sedia verso la porta, per cercare di sentire meglio.
“Che c’è, mamma?”
“La cena è pronta!”
“Oh, no!” Sospirò afflitta, rivolgendo a Edward uno sguardo pieno d’angoscia.
“Devi andare.” La sua non era stata una domanda. Sapeva perfettamente che quando Isabella metteva su quell’espressione, era per quel motivo.
Lasciare la loro conversazione, o smettere di scambiarsi messaggini.
“Ti chiamo dopo cena, okay?” Propose, inclinando il capo da un lato.
“Certo.”
“A dopo.” Gli tirò un bacio virtuale, mentre lo vedeva sorridere.
“A dopo. Ti amo.”
“Ti amo anch’io.”
Dopo quell’ultimo scambio di battute Isabella chiuse il PC, scendendo al piano inferiore.
 
*
 
Marzo
 
“Dai! Dai! Dai!” Alice saltellava da una parte all’altra, per la stanza di Bella.
“Non se ne parla.”
“Perché no?”
“Perché non lo voglio!”
“Oh, non viola mica la tua privacy! Ce l’hanno più di un milione di persone! Bells!”
Erano quasi venti minuti che discutevano, scambiandosi frecciatine di ogni tipo.
“Io ce l’ho. Jasper anche!” Continuò Alice, sperando di convincere la sua migliore amica.
“No.” Disse lei, inarcando le sopracciglia.
“E se ti dicessi…” Alice sembrò pensarci su, per poi tirar fuori un sorriso inquietante. “Se ti dicessi che ce l’ha anche Edward?”
“Lo so.” Rispose semplicemente Bella, alzando gli occhi al cielo.
“E tu, no? Lo sai che è pieno di pervertite, vero? Chissà quante ragazze visiter-”
“OKAY! Okay! Il computer è tutto tuo!” Era riuscita a convincerla con poco, così Alice si sedette davanti al PC, creando un profilo Facebook alla sua amica.
Alice aveva inserito pochi dati, ma la prima cosa che aveva fatto era stata quella di inviare una richiesta a Edward.
Quella da fidanzato ufficiale.
Ovviamente non aveva detto niente a Bella, che si sarebbe ritrovata quella sorpresina appena Edward avrebbe  accesso nel suo profilo.
“Vieni, vieni.” Sussurrò Alice, indicando il PC ad Isabella.
Lei si avvicinò, ispezionando quella pagina blu.
Alice aveva impiegato poco più di due minuti ad aggiungere gli amici che conoscevano entrambe, e le aveva fatto vedere anche Emmett.
“E questo qui, è il profilo di Edward.” Finì la sua amica, aprendo invece quella pagina.
Nella foto c’era Edward con un pallone da Basket in mano, mentre cercava di fare canestro.
Sudato, con la divisa attillata e i capelli grondanti.
Perché non aveva pensato prima di farsi un profilo Facebook?
Spulciarono un po’ nelle foto di Edward, quando Isabella trasalì. Ce ne era una appiccicato ad una ragazza, mentre si scambiavano un bacio per niente casto.
Gli occhi le si inumidirono, mentre Alice aveva i suoi fuori dalle orbite.
“Perché stai per scoppiare a piangere?” Le domandò infine l’amica, indicando il PC.
“Mi ha tradita.” Riuscì quasi a pronunciare, guardando sempre più scioccata quella foto.
Allora, lui si preoccupava così tanto di Jacob quando pensava ad uscire con una sciacquetta bionda platino?
Ma Alice invece di consolarla o chiamare Edward, scoppiò in una fragorosa risata.
“Oh, Bells!” Si tenne la pancia con le mani, piegandosi in due per le convulsioni.
Ma la tristezza, si trasformò subito in rabbia.
“Cosa ci trovi da ridere?” Le chiese con voce dura, guardandola da capo a piedi.
“Leggi qui.” Alice le indicò una piccola data, sotto alla foto.
28 giugno 2009.
Quella foto risaliva a due anni prima? “Edward non sapeva neanche della tua esistenza, all’epoca!” Finì, asciugandosi le lacrime che le erano rimaste.
“E’ per questo che non volevo questo dannato profilo! Lo vedi? Non voglio guardare queste foto, anche se risalgono a due anni fa!”
Alice scosse la testa, cliccando sul profilo della ragazza che si stava baciando con Edward: Tanya Denali.
Aveva diciassette anni, frequentava la sua stessa scuola e parlava due lingue.
Professione? Modella.
Almeno era tutto quello che avevano trovato sul suo profilo.
Inutile parlare delle foto in bagno con solo un reggiseno, o di quelle abbracciata con Edward.
Anch’esse, che risalivano a due anni prima.
“Non devi preoccuparti, vedi? Però ora devo andare da Jazz.” Senza aggiungere altro la sua amica scappò, prendendo la borsa dal letto e catapultandosi al piano inferiore.
Isabella continuò a spulciare su Facebook, quando un pallino rosso l’avvisò che era arrivata una notifica.
Edward Cullen ha accettato la tua richiesta.
Perplessa andò nel profilo di Edward, cercando di capire di cosa si trattasse.
Ma rimase con il mouse a mezz’aria, quando lesse quella frase: Edward Cullen è fidanzato ufficialmente con Isabella Swan.
 
Aprile.
 
Isabella camminava lentamente, affondando i piedi nudi nella sabbia.
Quella mattina c’era il sole a Forks. E niente era meglio di una bella giornata, per un invito da Jacob Black.
Dopo averne parlato con Edward, alla fine aveva deciso di accettare.
Sarebbe andata a La Push da Jake, ma solo per parlargli. Per dirgli che i suoi sentimenti non potevano essere più ricambiati, e che doveva lasciarla in pace.
La vibrazione del suo cellulare la fece sobbalzare, mentre lo tirava fuori dalla tasca.
Tiene le mani a posto?’ Ovviamente un messaggio di Edward, che si era preoccupato più del necessario in quelle due ore.
Tutto a posto. Ci ho già parlato. Ti chiamo appena torno a casa.’ Scrisse velocemente, mentre Jake le lasciava un po’ di privacy, fissando le onde del mare.
“Era Edward?” Domandò, quando lei aveva già riposto il cellulare al suo posto.
“Sì.”
Oh.”
Appena era arrivata a La Push Bella aveva messo le cose in chiaro con Jacob: fra di loro non poteva esserci niente di più, se non amicizia.
Lui l’aveva guardata un po’ male, però poi aveva annuito e chiesto ad Isabella di andare a fare una passeggiata.
Come… come sta?” Sembrava costargli uno sforzo immane, porle quella domanda.
“Bene. Ora è agli allenamenti di Basket.” Liquidò lei prontamente, perché pensare a Edward le faceva sempre più male.
Anche se ormai erano passati tre mesi.
Anche se ormai i suoi 1782 amici di Facebook sapevano della sua relazione con Edward Cullen.
Già, perché nel giro di tre mesi anche tutti gli amici di Edward le avevano chiesto l’amicizia, scambiando anche qualche chiacchiera con lei.
Aveva conosciuto Emmett, per caso. Era un ragazzo divertente, che l’aveva fatta ridere per un’ora intera, soltanto con una chat.
Alice non scherzava, quando parlava della famiglia McCarty con gli occhi che le brillavano.
Aveva scoperto che anche Esme aveva Facebook, e all’insaputa del figlio si sentivano più di quanto lui immaginasse.
Continuarono a camminare, finché dei nuvoloni iniziarono a coprire il sole splendente.
Ecco, se a Forks c’era il sole, durava meno di un’ora.
“Forse dovrei tornare a casa.” Disse Isabella, guardando le macchie nere.
“Certo.” Annuì Jake, assecondando ogni sua scelta.
Aveva capito che ormai non erano più niente, tanto valeva riconquistare la sua amicizia.
Arrivarono al Pick up, quando Bella salì sopra dopo aver stampato un bacio sulla guancia a Jacob.
Prima che partisse, lui la fermò. “Ecco… se domani sarà bel tempo… Che ne pensi di andare a fare un tuffo?” Indicò gli scogli, dove c’erano Sam e i suoi amici.
Bella ci andava spesso con Jacob, e adorava la scarica di adrenalina che sentiva ogni volta che si tuffava.
“Mi piacerebbe.” Sorrise a Jake, chiudendo la portiera e avviandosi verso casa Swan.
 
*
 
Quando arrivò a casa la cena era già pronta.
Cenò in fretta e furia, e poi salì al piano superiore. Decise di chiamare Edward ma dopo il dodicesimo squillo le rispose la segreteria telefonica.
Allora attaccò, accendendo il computer per collegarsi a Facebook.
Forse era online, o forse era a pranzo, a causa del fuso orario.
Entrò nel profilo di Edward, notando che non era neanche collegato.
Ma una cosa la notò: una foto, che faceva bella mostra di sé nella bacheca del suo ragazzo.
La aprì, ma cercò di non lasciarsi trasportare da nessuna emozione.
Era già successo una volta con Alice, e sicuramente quella sarebbe stata la stessa e identica scena.
Peccato che sotto a quella foto, dove Edward stampava un casto bacio ad una bionda che non era Tanya Denali, la data parlava da sola.
18 aprile 2011.
Controllò il calendario appeso al muro, anche se sapeva benissimo che giorno fosse.
18 aprile 2011.
Si passò una mano fra i capelli, quando un link che aveva condiviso pochi giorni prima le venne in mente.
Occhio non vede, Facebook te lo dice.
 
**
 
NOTE:
 
Ho fatto passare questi tre mesi velocemente, ecco.
Bella dovrebbe andare a Londra verso il 25 aprile… ci andrà?
Mah, Edward sempre più coglione, ecco.
Qualche idea sulla bionda? Se non è Tanya, chi è?
Vi dico soltanto che la conoscete.
Beh, spero che il capitolo vi sia piaciuto *w* e ringrazio tutte per le bellissime recensioni çwç
A venerdì prossimo!
E scusate per l’umore un po’ tetro, ma è un periodaccio…

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Capitolo 14
*** Quattordicesimo Capitolo. ***


NOTE A FINE CAPITOLO, IMPORTANTI!
 
Quattordicesimo Capitolo.
 
“Non se ne parla. Tu non andrai proprio da nessuna parte.” Renée era categorica, forse come non era mai stata in vita sua.
Ed Isabella invece aprì violentemente il suo trolley blu, buttandolo sul letto. Iniziò a svuotare interi cassetti dentro quella valigia, senza neanche voltarsi per ascoltare sua madre.
“Devo andarci. Non nuocerà alla scuola, visto che ha chiuso ieri. E sarò a casa fra due giorni.”
“Allora scendi, e parlane con tuo padre.” Si bloccò di scatto, voltandosi per guardare negli occhi sua madre.
“Cosa?”
“Parlane con tuo padre. Digli che stai partendo per Londra, senza neanche averci avvisati giorni prima.”
“Mamma…” Si lamentò, posando tutte e due le mani sulle spalle di sua madre. “Ti prego. Diglielo tu. Io… io devo andare a Londra.”
“Perché?” Chiese a bruciapelo Renée, aspettandosi una risposta quantomeno persuasiva. Se proprio sua figlia doveva partire per Londra immediatamente, doveva esserci qualche motivo.
“Non posso dirtelo. Ti spiegherò tutto la mio ritorno.”
“No, Bells. Non me la bevo. Ora tu mi dici perché devi andare a Londra, immediatamente!” Sbatté il piede sulle moquette, provocando un assordante rumore.
“Edward… Edward sta con un'altra.” Vomitò letteralmente quelle parole, sperando che sue madre non facesse altre domande.
Non aveva voglia di spiegarle tutto quello che era successo.
Della foto, e delle continue chiamate da parte di Edward, e che lei rifiutava.
“Chi te l’ha detto.”
“Lo so e basta. Devo andare a Londra. Mamma, ti prego. Parlane tu con papà!”
“Almeno chiama ad Esme. Dille che stai per andare da lei, e spiegale qualcosa. Non voglio saperti in giro per Londra da sola. Lei verrà a prenderti all’aeroporto, e neanche dovrai prendere un taxi. Ti prego, Isabella.”
“Chiamerò Esme, te lo prometto.”
Poi abbracciò sua madre, per rassicurarla.
“Allora… io vado a dirlo a Charlie.”
Isabella sorrise, voltandosi di nuovo per chiudere la valigia.
Grazie, mamma.”
 
*
 
“Ne sei proprio sicura?”
“Sì.”
“Non vuoi parargli prima? Almeno senti cosa a da dirti, no?”
“No, Alice. Devo parlarci a quattr’occhi.”
Erano nella porche giallo canarino della sua amica, dirette verso l’aeroporto di Port Angeles.
“Forse è uno stupido fotomontaggio. O quella è sua cugina.”
Alice…” Sembrò una specie di lagna, il modo in cui pronunciò il suo nome. “Chi può mettersi a fare fotomontaggi per rovinarci, eh? Nessuno, anche perché non conosco nessuno dei suoi amici. E quella non è neanche Tanya Denali.”
“Lo so. Ho… diciamo che sono andata a frugare nel suo profilo.”
Jane Volturi.” Mormorò affranta, scompigliandosi i capelli.
“Ha diciotto anni, e frequenta la sua stessa scuola…”
“E’ bionda, fisico da urlo ed estremamente bella. Sì Alice, lo so.” Finì Isabella per lei, cercando di scacciare l’immagine di Jane Volturi dalla sua mente.
Ma era impossibile.
Letteralmente impossibile.
Stettero tutte e due in silenzio, fino a quando il cellulare di Bella iniziò a suonare.
Era una di quelle suonerie predefinite, visto che non aveva voglia e tempo di scaricarsi una canzone.
“E’ lui?”
“No, è Esme.” Aprì lo sportellino del suo cellulare, per rispondere.
“Pronto?”
“Tesoro, sei sempre convinta di venire?”
“Certo, Esme. Sono quasi arrivata all’aeroporto. Prima di atterrare ti invierò un messaggio.”
“Non devo dire nulla a Edward, vero?”
“No, per favore.” Qualche secondo di silenzio, mentre la donna dall’altro capo del telefono sospirava.
“Questa non è una sorpresa, vero?”
“No, Esme.” Anche questa volta una risposta rapida, come se non volesse parlare neanche con lei. “Scusa, ma ora devo andare. Ci sentiamo dopo, okay?”
“Okay tesoro. A dopo.” Richiuse con un po’ di forza lo sportellino del cellulare, riponendolo nella tasca dei jeans chiari che indossava quel giorno.
“Siamo arrivati.” Annunciò Alice, parcheggiando in uno dei tanti posti liberi, nei parcheggi sotterranei.
“Se vuoi… se vuoi puoi andare. Salgo da sola.”
“Non se ne parla.”
“Alice, il mio volo è fra meno di un’ora.”
“Lo so, tesoro.”
Arcuò tutte e due le sopracciglia, guardando la sua amica in modo strano.
“Eh?”
“E…” Alice senza aggiungere altro si distese sul sedile, fino ad arrivare al bagagliaio. Da lì, tirò su un piccolo trolley rosa shock.
“Cosa diam-”
“Sei nera, Isabella Swan. Nera, nel vero senso della parola. E sei pronta a commettere un omicidio, da quel che so. Non ti lascio andare a Londra da sola.”
“Non se ne parla, Alice. Sei stata via anche per le vacanze natalizie, e tua madre mi ucciderà. No.”
“Ti costa tanto ammettere che sei felice, che io ti accompagni?”
Isabella alzò gli occhi al cielo, cercando di ricacciare le lacrime indietro.
“Sono felice, Alice. Ma non devi venire con me.”
“Non mi interessa. Ho preparato tutto, e quindi vengo.”
“Ho detto ad Esme che ero soltanto io.”
“Ed io ho detto ad Emmett che ero soltanto io. Tu starai dai Cullen, io dai McCarty. Sono solamente due giorni, no?”
“Solamente due giorni.” Confermò la Bella, convinta di quello che stava dicendo. Non sarebbe rimasta oltre, a Londra.
Soltanto il tempo per parlare con Edward.
Soltanto il tempo per dirgli quelle cose.
 
*
 
“Preghiamo i gentili passeggeri di allacciarsi le cinture. Il volo sta per atterrare.”
La voce ovattata dell’hostess provenne dai microfoni attaccati in alto, mentre sia Alice che Isabella allacciavano le proprie cinture.
Il viaggio era durato relativamente poco.
Isabella si era addormentata quasi subito, forse troppo agitata da tutto quello che era successo in quelle ore.
Alice invece si era scambiata SMS sdolcinati con Jasper per tutto il volo.
Ed anche Bella fece lo stesso: prese il cellulare, per scrivere un messaggio ad Esme.
Però il suo non era per niente sdolcinato, anzi.
Stiamo per atterrare, Esme.
Un bacio.
B.
E la risposta di Esme era stata altrettanto secca. Ma sapeva benissimo che la signora Cullen non ce l’aveva con lei, voleva soltanto sapere cosa stava succedendo.
Sia a lei che a suo figlio.
“Grazie per aver scelto la British Airways” E così le salutò la stessa hostess di prima, quando tutte e due scesero da quell’enorme aereo bianco.
“E’ la terza volta che entro in questo aeroporto.” Commentò Alice, mentre stavano ritirando i propri bagagli.
“E’ la seconda volta che entro in questo aeroporto, purtroppo.” La canzonò Isabella, prendendo il suo trolley blu e dirigendosi verso l’uscita.
“Non essere così melodrammatica.”
“Melodrammatica? Lo sai cos’è successo, no? E sai anche che se ti metti con me, devi essere fedele fino alla fine. Alice, io odio immensamente le bugie. E Edward, mi ha mentito.”
“Oh, mica vi dovevate sposare.”
“Appunto.” Senza dire più niente uscirono, quando un ragazzo alto quanto una montagna abbracciò si slancio Alice.
Folletto.”
“Hey, Koda. Quante volte ti ho detto che non devi tirarmi su in questa maniera?”
L’enorme Koda si staccò, squadrando poi Alice dalla testa ai piedi.
“Lo sai che in questi quattro mesi ti sei alzata?”
Inutile dire che prese una bel pugno sul petto, da parte del folletto.
“Non prendermi in giro, Emmett.”
Isabella partecipò a quella scenetta stupida, ma alquanto divertente in silenzio.
Allora quello era Emmett.
Emmett McCarty.
“Emm, ti presento Isabella. Isabella, Emmett.” Alice fece i convenevoli, presentandoli tutti e due.
“Emmett.” Bella era incerta, se salutarlo con una stretta di mano o con un abbraccio.
Infondo lo conosceva.
Aveva parlato poche volte con lui, per colpa di quello stramaledettissimo Facebook.
Ma Emmett tolse dall’imbarazzo entrambi, racchiudendo Isabella in una morsa soffocante. Proprio la stessa che aveva riservato ad Alice, poco prima.
“E’ un piacere conoscerti, Isabella.” Esordì dopo averla lasciata, quando mise i piedi sulla terra ferma.
“Anche per me, Emmett.”
“Allora, anche tu sarai a casa nos-”
“Emmett, perché sei qui?” In quel preciso istante tutti e tre si voltarono, incontrando due occhi dello stesso colore dello smeraldo.
“Esme! Che ci fai qui?” Le domandò Emmett, avvicinandosi alla donna per stamparle un bacio sulla guancia.
“Sono venuta a prendere Isabella. Tu piuttosto… che ci fai qui?”
“Sono venuto a prendere Alice.” Finì la frase, indicando il piccolo folletto dietro di lei.
“Alice Brandon?” Tutti restarono sorpresi, anche Alice.
Come faceva a conoscerla?
“Sì, signora.” Ed anche Alice si avvicinò a lei, porgendole la mano.
“E’ un piacere conoscerti. Da quando Edward è tornato non fa altro che parlare di te, e del tuo fidanzato.”
Di te e del tuo fidanzato.
Ad Isabella non erano sfuggite quelle parole.
Di te e del tuo fidanzato.
Non una sola parola su lei.
“Allora Esme, noi andiamo. Isabella starà da te, no?”
Esme annuì, rivolgendo un sorriso a Bella. Il primo, da quando era arrivata.
“Tesoro, ti chiamo più tardi.”
Alice l’abbracciò, schioccandole un bacio sulla guancia, e poi salutò anche Esme.
Insieme si diressero verso la Jeep del ragazzo, lasciandole sole.
“Devi spiegarmi un po’ di cose, no?” Da dietro di lei provenne la voce ovattata di Esme, diversa da come l’aveva sempre sentita.
“Già.”
“Che ne dici di andare?” Così dicendo indicò la sua macchina, iniziando a camminare.
Intanto Isabella iniziò a seguirla silenziosamente, pronta a quell’imminente terzo grado.
 
*
 
Esme non le aveva fatto il terzo grado, ma aveva aspettato che lei iniziasse a parlare.
Ed Isabella l’aveva fatto. Aveva praticamente rigettato tutte quelle parole, senza neanche rendersene conto.
Perché aveva bisogno di parlarne con qualcuno.
E se quella persona non era stata sua madre, né Alice, poteva affidarsi soltanto ad Esme.
“Mi dispiace.” L’unica cosa che riuscì a sussurrare la donna dai capelli oro, dinnanzi a lei.
Non un: ‘So chi è.’ Oppure un: ‘E’ un terribile scherzo.’
Niente.
Soltanto un misero ‘Mi dispiace.’
Nel viaggio in aereo si era aggrappata alle parole che le aveva detto Alice. Una sua cugina. Ma sapeva benissimo anche lei che non era possibile.
Quella bionda non era sua cugina. E non lo sarebbe mai stata.
Parcheggiarono silenziosamente nel cortile di villa Cullen, e scesero.
Anche la casa era piuttosto silenziosa.
“Carlisle è a lavoro. Edward agli allenamenti di Basket, torna per l’ora di cena.” Le spiegò infine Esme, sorridendole amorevolmente.
Quasi come se provasse compassione per lei.
Diamine! Era una diciassettenne, e il suo fidanzato l’aveva tradita con una misera foto postata su Facebook.
Non sarebbe di certo morta per questo. I drammi erano ben altri, e lei lo sapeva bene.
Esme le disse che poteva aspettare Edward in camera sua. Annuendo salì, posando la valigia accanto al letto.
“Tesoro, hai fame?”
“No, ti ringrazio. Ho mangiato sull’aereo.”
Tremenda bugia.
Sull’aereo non aveva toccato cibo, anche se Alice l’aveva persuasa a mangiare qualcosa.
Ma niente. Il suo stomaco era chiuso in una morsa troppo stretta.
Più stretta di quella che Emmett le aveva riservato poco prima.
“Allora… io vado giù.”
E per la prima volta, tutte e due erano in imbarazzo. E non era mai successo, da quando si conoscevano.
“Sì. Grazie ancora, Esme.”
Le riservò l’ennesimo sorriso, scendendo al piano inferiore.
Rimasta sola Isabella si sedette sul letto dalle coperte blu, appoggiando la testa sul cuscino.
E forse per colpa del lungo viaggio, o per tutto quello che era accaduto in quelle poche ore, cadde in un sonno profondo.
 
*
 
Non si ricordava bene da quanto tempo si era svegliata.
Forse, non si era mai addormentata.
Indossava ancora la giacca nera e le scarpe.
Era scesa la notte sulle strade di Londra, e la piccola abatjour accesa al lato del letto creava un non so che di strano.
Ma quella strana era lei, in quel momento.
Sola in quella stanza, si ritrovò a pensare a come aveva reagito a quella foto.
Aveva versato soltanto due lacrime, appena l’aveva vista. Poi, il vuoto.
Si ricordava di aver fatto in fretta e furia le valigie, e poi Alice era passata a prenderla. Poi, il vuoto.
Il viaggio in aereo era qualcosa di mai accaduto. L’incontro con Emmett, e le rivelazioni che aveva fatto ad Esme.
Non riusciva a collegare quello che era accaduto, tanto era scossa.
E si ritrovò a pensare, che forse aveva ragione Alice.
Forse avrebbe dovuto chiamare Edward, e parlare con lui.
Forse non avrebbe dovuto prendere il primo aereo, e volare lì. A Londra.
A casa dei Cullen.
In camera di Edward.
Sul letto di Edward.
Mentre Edward la fissava con le sopracciglia aggrottate, sullo stipite della porta.
I capelli bagnati e scompigliati. Un paio di jeans chiari e una camicia a quadri. Il borsone da Basket stretto nella mano destra.
Per poco, visto che cadde vistosamente a terra appena scorse la figura di Bella sul suo letto.
Nella sua camera.
Nella sua casa.
“E’ la sorpresa più bella che qualcuno mi abbia mai fatto.” E non la lasciò replicare, perché si accasciò sopra di lei su quel lettino.
A stento ci entravano, in due.
A stento riuscì a sentire le labbra di Edward sulle sue, perché lo scacciò immediatamente.
“Hey!” Sembrò offeso, mentre si rialzava per accendere la luce.
Ma quando si voltò, la vide davvero.
Gli occhi un po’ arrossati, i vestiti stropicciati. L’aria di chi non dormiva da giorni, e le vistose borse sotto gli occhi.
“Hey?”
E in quell’istante, sentì anche la sua voce roca.
E in quell’istante, capì immediatamente che qualcosa non andava.
“Non sei qui per passare le vacanze Pasquali con me, vero?”
“No.”
“Non rispondevi alle mie chiamate perché volevi farmi una sorpresa, vero?”
“No.”
Botta e risposta.
Semplice quanto difficile.
Isabella sapeva benissimo che Edward voleva selle spiegazione.
Edward non sapeva il motivo per il quale Isabella ora si trovasse lì.
“Chi era?”
“Chi?”
“La ragazza… la ragazza che ti bacia. In quella foto.”
Oh, Dio!” Edward mise tutte e due le mani sopra la sua chioma ramata, e tirò i capelli. Quasi a strapparseli.
Lei rimase in silenzio, aspettando di sentire qualcos’altro. Forse una sfilza di scuse, forse un bacio irruente.
No, veramente non sapeva neanche lei cosa volesse sentire.
Perché non sapeva neanche il motivo per cui era lì, in quel momento.
Si trovava fuori luogo. In adattata.
“E’… è successo l’altro ieri. Siamo andati a fare una gita in campagna con la scuola, e questa si è presentata lì, davanti a me.”
Jane Volturi.” Precisò Isabella, con gli occhi che le ardevano.
“Sì, Jane.” Precisò Edward, con un sospiro.
Jane.
Jane.
Jane.
“E’ del quarto anno. E’ più grande di me. Ed ha una cotta colossale per me, fin da quando ho messo piede in quella scuola. Mi ha preso alla sprovvista… e mi ha baciato.”
“Proprio nel momento in cui vi fotografavano, no?”
“Dio! Non capisci che era tutto programmato? Tutti sanno che sei fidanzata con me, tutti. E lei si è presentata lì, schioccandomi un bacio in bocca. Pensi che non avesse avvertito le sue amiche? Loro erano pronte, per fare una foto. E per metterla in bella vista, su Facebook. E se tu mi avresti risposto ad una sola chiamata, ora sapresti tutto!”
“Oh, ora la colpa è la mia, no?”
“Sai benissimo che non sto incolpando te.”
“Sai benissimo che ci siamo promessi di tenerci sempre in contatto. Che ci saremmo riusciti, a stare insieme. Anche a distanza.”
Edward fece un giro su sé stesso, afflitto.
“E questa è una prova schiacciante. Se riusciamo a superare questo, nessuno ci butterà giù!”
“E’ questo il problema, Edward. Io non voglio riuscirci. Io sono andata fuori di testa, in questi mesi. Saperti con altre… saperti lontano da me!”
“Cos’è, mi stai mollando?” Alzò il mento, e si avvicinò per fronteggiarla.
Isabella indietreggiò di qualche passo.
“Sì. Abbiamo diciassette anni, e la nostra vita da vivere. Non siamo pronti ad una cosa così grande, Edward. Almeno, io non lo sono.”
“Hai fatto kilometri e kilometri per mollarmi? Non potevi farlo al telefono?”
Era adirato, Edward.
Ed Isabella più di lui.
“No. Sono una persona che le cose le dice in faccia. Se sono venuta fino a qui, c’è un motivo. Non voglio più stare con te. Non voglio portare questa cosa avanti.”
“Ottimo.”
“Fantastico.”
Continuarono a guardarsi negli occhi, per vedere chi avrebbe ceduto per primo.
Peccato che nessuno dei due li abbassò per primo. Tutti e due tenaci, come non mai.
“Prego.” Edward si spostò di qualche centimetro, indicando la porta ad Isabella.
Voleva andarsene? Bene, che lo facesse.
Lui aveva pur sempre un orgoglio.
Isabella deglutì, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Prese il manico della sua valigia, e si diresse verso la porta.
Dopo qualche passò si voltò, per tornare dinnanzi a Edward, e gli stampò un bacio in guancia.
Non sulle labbra, dove prima si erano posate quelle di Jane.
 
*
 
Edward non sapeva bene quanto tempo fosse passato, ma si ritrovò davanti al PC mentre stava accedendo a quel maledettissimo profilo Facebook.
Ma i suoi piani andarono immediatamente a farsi fottere.
Nessuna Isabella Swan aveva un profilo su Facebook.
Non c’era più.
Era completamente sparita dalla sua vita.
 
 
**
 
NOTE DELL’AUTRICE:
 
-         La British Airways è una linea area globale. Non so perché ho usato proprio questa, ma è una linea aera britannica, e Bella è diretta a Londra, ecco. Grazie, British Airways.
-         Folletto è riferito ad Alice. E viceversa per Koda, che è riferito ad Emmett.
 
CAPITOLO:
 
Non prendetevela con Bella. Era amareggiata, ed incazzata. Tanto, incazzata.
Come darle torto?
Edward a pur sempre un orgoglio da difendere, no? Se poi parliamo di orgoglio maschile, siamo a posto!
Capitolo dedicato a tutte quelle anime che mi hanno maledetto su Facebook. Loro sanno di chi sto parlando u_u
Non so a quando il prossimo capitolo, sorry ç_ç Spero solo di trovarvi sempre qui!
Una domandina importantissima: SECONDO VOI COSA ACCADRA’ NEL PROSSIMO CAPITOLO?
Chi indovinerà avrà uno spoiler assurdo del prossimo capitolo, promesso.
 
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Capitolo 15
*** Quindicesimo Capitolo. ***


Quindicesimo Capitolo.
9 anni dopo…
 
 
Londra.
 
Alice Mary Brandon e Jasper Whitlock celebrano il loro matrimonio sabato 25 febbraio 2011 alle 5 di pomeriggio presso Villa Brandon – Forks.
__
 
Edward lesse per l’ennesima volta l’invito, rigirandoselo tra le mani.
Jasper ed Alice si sposavano… e l’avevano invitato.
Sì, perché in quei nove anni, anche se con lei era tutto finito, si era sempre sentito con Alice e Jasper.
Ovviamente di più con Jasper che con Alice, ma era stato in buon rapporti con tutti e due. Non parlavano mai di Isabella, e si limitavano a raccontarsi quello che accadeva nelle loro rispettive città.
Ed ora, Alice e Jasper si sposavano. A soli ventisei anni.
Con uno sbuffo posò l’invito sulla scrivania, pensando a cosa fare.
Ci doveva andare? Beh, lui non voleva andarci. E per molti motivi.
Ma avrebbe fatto un torto ad Alice e Jasper, che sicuramente aspettavano la sua presenza.
“Edward… tutto bene?” Si voltò, incontrando lo sguardo di Jane.
Sì, quella Jane.
Che non era di più che un amica. Ma ora lavoravano nello stesso posto.
Al Western Eye Hospital di Londra. Dove Edward era un pediatra e Jane una semplice infermiera.
“Tutto bene.” Si alzò, spostando di qualche centimetro la sedia su cui era seduto.
“Qualche problema con la famiglia?”
Quello che Jane non riusciva a fare, erano gli affari suoi.
Doveva sempre impicciarsi di tutto.
“No. Era un semplice invito ad un matrimonio. Si sposano… vecchi amici, ecco.”
Non sapeva cosa dire a Jane. Quindi, optò per vecchi amici.
Infondo Jasper ed Alice erano quello, vero?
“Oh, allora devi sbrigarti a chiedere qualche giorno di permesso.”
“Non lo so. Forse non ci andrò.”
“Cosa? Come puoi mancare ad un matrimonio, per di più di vecchi amici? Se ti hanno invitato sei importante, no?”
Un’altra cosa che odiava di Jane era che non smetteva un attimo di fare domande su domande.
Importante… era davvero importante per Jasper ed Alice? Beh, se l’avevano invitato al suo matrimonio, forse qualche motivo c’era.
“Vedrò cosa fare.” Senza dire nulla uscì da suo ufficio, dirigendosi verso una delle tante stanze che erano in quel reparto.
Entrò, adocchiando subito una bambina seduta sul letto a gambe incrociate, mentre giocava con un mazzo di carte.
“Rosie.” Alzò lo sguardo, sorridendo al medico che era davanti a lei.
“Dottor Cullen.”
“Allora, come andiamo oggi?” Edward si sedette accanto a lei sul letto, unendo tutte e due le mani in grembo.
“Bene.”
“Bene.” Ripeté, fissandola intensamente.
Ormai sapeva benissimo quando i bambini mentivano, lo intuiva o da un piccolo gesto, o dal tono di voce che cambiava.
“Oh, uffa! Soltanto un po’ di mal di gola, okay?”
Edward scosse la testa, prendendole delicatamente il mento ed alzandole la faccia.
“Allora, apri la bocca.”
Le la aprì, senza fare tante storie. Fece ancje A, senza che lui glielo chiedesse.
Poi, la lasciò libera.
“Meglio di ieri, Rosie. A cosa giochi?”
“Un gioco che mi ha insegnato la nonna.”
“Ti posso lasciare sola?”
Edward si prese una bella occhiataccia da parte di quegli occhi azzurri.
“Ho sei anni, Dottor Cullen. So badare a me stessa.” Rispose stizzita, sbuffando.
“Oh… sei molto grande. Allora, ci vediamo stasera.” Le posò un bacio sulla fronte, e poi continuò il giro delle visite.
Fortunatamente il reparto di Pediatria non era mai troppo occupato, e quindi dopo una mezz’oretta di trovò di nuovo a camminare, per tornare nel suo studio.
“Ha finito, Dottor Cullen?” Una voce anziana provenne dalle sue spalle, mentre si voltava sorridendo.
“Sì, Elizabeth.”
Anche Elizabeth era un infermiera del Western Eye Hospital, forse da più di vent’anni.
Era una donna fantastica, e Edward parlava spesso con lei.
“Ha l’aria un po’ stanca, Dottore. Perché non si prende qualche giorno di riposo.”
Ci pensò su, e poi decise di fare la cosa migliore.
“Elizabeth, che giorno è?”
“Il ventidue Febbraio. Qualche problema?”
“Credo proprio che ascolterò il suo consiglio, e mi prenderò qualche giorno di vacanza.”
“Oh, fa bene lei che può Dottor Cullen. Si diverta.”
Scuotendo la testa Edward ringraziò la donna, e poi si avviò verso lo studio del Capo.
Non pensava che si sarebbe divertito a quel matrimonio, ma tanto valeva andarci, se Alice e Jasper avevano richiesto la sua presenza.
 
*
 
“Non credo sia una buona idea, Edward.”
“Mamma, non preoccuparti. Starò lì soltanto una settimana. Ho già telefonato ad Alice, e mi ospiterà Jasper a casa sua. E’ tutto a posto.”
“Ne sei sicuro?”
Diciamo che se per Edward la questione ‘Isabella Swan’ era acqua passata, per Esme non era così.
Sperava sempre in un ritorno di lei, oppure che suo figlio andasse a riprendersela.
Ma nulla di tutto ciò era accaduto.
Esme tamburellò le unghie sul piccolo tavolo di legno, alzando gli occhi al cielo.
“Promettimi che non combinerai danni.”
“Promesso, mamma. Dai, che per questa settimana non dovrai più portarmi la cena tutte le sere.”
Per questo, Edward era felice.
Da quando era andato a vivere da solo, Esme si era preso cura di lei più di quanto facesse quando erano sotto lo stesso tetto.
E quasi tutte le sere, andava a portargli la cena, che lui doveva soltanto scaldare nel microonde.
Di certo a Edward questo non dispiaceva, ma sapeva benissimo prendersi cura si sé stesso.
Almeno questo pensava…
“Sai che la cena non è un problema.”
“E tu sai che posso benissimo prendermi cura di me stesso, da solo.” Precisò quell’ultima parola, mettendo gli ultimi vestiti nel borsone.
Vestiti nel borsone.
Settimana a Forks.
Tutto quello gli sembrò un tremendo Déjà vu, che per chissà quale strano motivo non avrebbe voluto rivivere.
“Fammi sapere quando arrivi, okay?”
“Certo, mamma.”
“E anche quando andrai a casa di Jasper. Ed al matrimonio, voglio sapere tutti i particolari.”
“Mamma, farò tantissime foto, promesso.” Si abbassò, per stampare un bacio sulla fronte di Esme.
“Allora ci vediamo fra una settimana.” Annunciò sconsolata sua madre, alzandosi con il broncio disegnato sulla sua bocca.
“Una settimana, mamma.” Disse deciso Edward, convinto che in quella settimana sarebbe filato tutto liscio.
 
**
 
Forks
 
“Sei sicura che vada bene? Non lo so… sembra troppo…”
“Alice, è perfetto. Il vestito è perfetto, tu sei perfetta. E’ tutto perfetto.” Isabella aveva le lacrime agli occhi, mentre dal riflesso dello specchio vedeva la sua migliore amica, in quell’abito bianco.
Quel perfetto abito bianco.
Alice si passò tutte e due la mani sul volto, affondandoci praticamente dentro.
“Mi sposo.” Annunciò infine, con la voce ovattata.
Una risata provenne dalle sue spalle, mentre la sua amica si alzò per posarle una man o sul capo, in una dolce carezza.
“Sì. Ti sposi con l’uomo che ami da nove anni. E’ tutto perfetto, Alice.”
“E se fosse troppo presto? Cioè… se Jasper non mi amasse più, con il passare degli anni?”
“Come puoi pensare una cosa del genere? Jasper ti ama, più di qualunque altra cosa al Mondo.”
“Ne sei sicura?” Scrutò Isabella, cercando di trovare qualcosa.
“Tu forse non te ne rendi conto, ma… il modo in cui ti guarda. Sembra che esisti solo tu, sulla terra. Tu e nessun’altra.”
“E se in questo vestito non gli piacessi?”
“Basta con questi E se… Jasper ti sposerebbe anche se andassi all’altare con un sacco dell’immondizia.”
“Sai che non lo farei mai. E’ una cosa disgustosa.”
“Si che lo so, scioccia.” Le diede un buffetto, e poi lasciò il posto di nuovo alla commessa, che stava slacciando i lacci di quel corpetto che le toglieva il respiro.
“Allora, io passo un attimo in ufficio per ritirare delle scartoffie. Poi vado a casa. Domani toccherà a me.” Indicò l’abito di Alice, pensando che domani sarebbe toccato a lei indossare il suo.
L’abito della perfetta testimone, così lo chiamava la sua migliore amica.
“Ottimo. Jake dove ti aspetta?”
“A casa mia. Quindi… ci vediamo domani?”
“Sì, certamente tesoro. Alle nove puntuale, mi raccomando.”
“Hey, ma con chi credi di parlare?” Isabella si avvicinò, stampandole un bacio sulla guancia.
“Ah, Bella?”
“Sì?”
“Per le fedi… Jasper ha le misure a casa sua. Se vuoi puoi passarci.”
“Fantastico!” Isabella batté tutte e due le mani contemporaneamente, uscendo da quell’enorme centro commerciale e dirigendosi verso la sua Mercedes Nera.
Prima sarebbe passata in ufficio da Angela, per prendere gli ultimi Documenti del caso Miller.
Okay, era diventata un Avvocato.
E non il miglior Avvocato di Forks. Ma il miglior Avvocato dello stato di Washington.
Tutti si rivolgevano alla splendida e bravissima Isabella Swan, avvocato con le palle. E così la definivano, in molti. E di certo a lei non dispiaceva. Angela era sulla porta che l’aspettava, pronta a chiudere lo Studio.
Infondo, erano pur sempre le sei.
“Grazie mille, Angie. E scusa per il ritardo.”
“Di niente, cara. Allora…”
“Sì, resteremo chiuse per una settimana. Sai, con Alice e i preparativi del matrimonio sono un po’ incasinata. E non mi sembra il caso di lasciare tutto il lavoro a te.”
“Nessun problema, lo sai.”
“A proposito, verrai al matrimonio?” Le chiese, mentre insieme si dirigevano verso le proprie auto.
“Sì, insieme a Ben. Alice è stata molto persuasiva, ecco.”
“Ne so qualcosa, non ti preoccupare.”
“Allora ci vediamo al matrimonio.” Esordì Angela, raggiungendo la sua Volvo.
“Certo. Divertiti in questa settimana.”
“Ci proverò.”
Così dicendo tutte e due sgommarono, ognuna dirigendosi verso la sua strada.
Isabella prese il cellulare, componendo l’unico numero che conosceva a memoria.
“Hey, dove sei?”
“Sì, ciao anche a te.”
“Sbruffona. Dove sei?”
“Devo passare da Jasper per prendere la misura delle fedi. Mezz’ora e sono da te.”
“Ti ricordo che devi passare a prenderla tu, la cena Cinese.”
Jake rompi balle.” Cantilenò Isabella, dall’altro capo del telefono.
“Muoviti. E per tre, ricordati.”
“Certo, certo. Ciao.” Gli attaccò praticamente in faccia, prendendo la Statale.
Casa di Jasper era fuori da Forks, e dopo il matrimonio anche Alice sarebbe andata a vivere con lui.
Parcheggiò nel vialetto, lasciando le chiavi dentro e le portiere aperte.
Tanto, ci avrebbe messo meno di due minuti.
Suonò per ben due volte, quando un Jasper affaticato le venne ad aprire. Indossava una T-shirt bianca e i boxer neri.
Beh era a casa. E da solo.
“Isabella!” Quasi urlò, sgranando gli occhi.
No, sicuramente c’era qualcosa che non andava.
“Che hai fatto?”
“Io? Nulla.” Si guardò intorno, in cerca di qualche appiglio.
No, Jasper Whitlock non glie la raccontava giusta.
“Oh, Dio! Anche tu sei in trauma pre-matrimoniale?”
“No. Certo che no. Cosa ci fai qui?”
“Sono venuta a prendere le misure per le fedi.”
“Ah.”
“Jazz, che succede?” Ripeté, scrutandolo.
“Nulla, davvero. Aspettami qui che te le porto.”
“Maleducato! Non mi inviti ad entrare?”
“Ci metto un attimo.”
“Si congela qui fuori!” Protestò Isabella, sbattendo i denti.
A meno che… a meno che Jasper non nascondesse qualcosa.
E qualcosa la nascondeva di sicuro, visto il rumore che provenne dall’altra stanza.
Non era solo. C’era qualcun altro con lui, in quella casa.
Cazzo, cazzo e ancora cazzo!
Isabella entrò come una furia, posando tutte e due le mani sul petto di Jasper e spintonandolo dentro.
“Lo sai che sei, eh? Sei un emerito stronzo, Jasper Whitlock! Sono stata fino ad ora a consolare la tua fidanzata per provarle che il tuo è vero amore e… e… TU CHE FAI? Te la spassi con un’altra, eh? Dimmi chi è, perché ti giuro che io la uccido!”
“Stai dando di matto, Isabella Swan? Stare a stretto contatto con Jake non ti fa bene, per niente.” L’unica cosa che disse Jasper, squadrando la sua amica da testa a piedi.
Questa è pazza.
“Oh… allora dimmi chi è lo spiritello che si nasconde nella tua casa!”
“Jazz, quali cassetti hai detto che posso prendere?”
E un silenzio glaciale cadde nell’ingresso. Quasi surreale.
Quello… quello… quello era Edward.
Edward Cullen.
Isabella deglutì rumorosamente, lasciando il colletto di Jasper.
“Isabella.” Un sussurro, quasi un saluto.
Ma lei non lo salutò. Gli fece un semplice cenno della testa, appena accennato.
“Edward è stato invitato al matrimonio, Bella.” Spiegò Jasper, cercando di interrompere quel silenzio.
Annuì semplicemente, staccando lo sguardo dalla figura di Edward.
Si era alzato. I lineamenti del visto erano più marcati, e gli occhi sembravano più verdi di come li ricordasse.
“Le… le fedi.” La voce risuonò roca, almeno più do quanto si aspettasse.
“Certo. Te le prendo e torno subito.”
Jasper entrò nella sua camera, lasciandoli soli.
“Come va?” Azzardò Edward, ritrovandosi davanti la donna che non vedeva da nove anni.
Forse l’unica donna che avesse mai amato.
“Bene.” Scosse la testa, sbattendo un piede per terra, nervosa.
E di nuovo in silenzio.
Jasper tornò in meno di tre secondi, con un foglio in mano.
“Eccole. Ci vediamo domani in Centro?”
“Certo.” E ormai, parlava in semplici scatti.
Quasi si trattasse di un telegramma.
“Salutami Jake.”
“Lo farò.” Si avvicinò, stampando un bacio sulla guancia di Jazz.
Poi, in silenzio, uscì da quella casa.
Ci impiegò meno di due secondi a salire sulla sua macchina, ed uscire da quello stramaledetto vialetto.
Quando si trovò fuori, in mezzo alla strada, accostò l’auto a destra.
E da sola, scoppiò in un pianto senza freno.
 
**
 
NOTE:
 
So che avete tantissime domande, ed avete tutto il diritto di farmele.
Nove anni… caspita, nove anni sono tantissimi.
Nove anni senza vedere Edward, nove anni senza sentirsi. Molti di voi non approveranno la mia scelta, ma vi dico che doveva accadere questo dall’inizio del primo capitolo di Scambio Culturale.
La mia testolina viaggia da sola, e penso proprio che questa mia scelta non cambierà mai.
Avevo promesso che Jake in questa storia si sarebbe estinto...  Forse ci ho ripensato çç
Come avrete notato, Edward lavora nel Western Eye Hospital. Per molti di voi, questo Ospedale ricorderà qualcosa :D
Mi scuso immensamente con RenEsmee_Carlie_Cullen, che è stata l’unica a capire cosa sarebbe successo in questo capitolo. Tesoro, so che dovevi avere il capitolo in anteprima, ma non ho potuto far aspettare le altre. Appena mi risponderai al messaggio, avrai il prossimo capitolo.
Beh, spero di non avervi deluso così tanto.
Al prossimo capitolo.
Un bacione :*
Tatiana.

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Capitolo 16
*** Sedicesimo Capitolo. ***


Non so se qualcuno di voi segue altre mie storie, ma QUI nelle note iniziali trovate quello che mi è accaduto ultimamente.
Ci sentiamo sotto <3
 
Sedicesimo Capitolo.
 
Oggi, Forks.
 
Isabella era un turbinio di pensieri.
Tutte minacce rivolte alla sua migliore amica, oppure a Edward.
Era lì. A Forks. Dopo ben nove anni che non lo vedeva.
Il cuore le mancò di un battito, quando ingranò la marcia diretta verso casa sua.
Impiegò una decina di minuti, e quando scese suonò.
“Chi è?” E visto che non si era degnata di rispondere, il ragazzo dall’altra parte del citofono aprì lo stesso.
Quando salì la rampa delle scale, lo trovò sul pianerottolo.
“Potresti almeno degnarti di rispondere.”
Jake!”
“Che c’è?”
Non rispose, sfilando dalla sua borsa le sue chiavi, per aprire la porta del suo appartamento.
“BELLS!” Si voltò, sbuffando e con le mani al cielo.
“Che diamine vuoi, Jacob?”
“La cena!”
Come presa da un lapsus momentaneo si portò tutte e due le mani sul volto, imprecando contro se stessa.
La cena cinese.
Se ne era letteralmente dimenticata.
“Scusa, scusa, scusa, scusa.”
“Sei pessima, Isabella Swan!”
“Non è colpa mia.” Finito di girare la chiave nella toppa, entrò nella sua casa. Aspettando che Jacob la seguisse.
Perché era certa che l’avrebbe seguita.
E infatti, un tonfo dietro di lei le fece capire che la porta era stata richiusa.
“No? E di chi, allora? Di Alice? Oh, perché ha telefonato mezz’ora fa per sapere se eri tornata con la misura delle fedi!”
“Sì, ce l’ho la misura.” Spiegò, togliendosi le scarpe dal tacco basso e il tailleur che aveva indossato quel giorno.
Donna in carriera, la definiva sempre sua madre.
“Allora? Per caso è colpa di Jazz? Non mi sembra poi tanto difficile prendere un foglietto, no?”
“Sei proprio un rompi balle, Jake.” Aprì un cassetto, prendendo un sottotuta nero e una felpa.
E se il giorno era una donna in carriera, la sera si trasformava in una zitella acida che aveva bisogno del suo telefilm quotidiano, sennò non andava a dormire.
“Guarda.” Ancora in reggiseno al centro della sua camera da letto gli tirò la felpa che aveva preso.
“Cosa dovrei gua… Oh!”
E l’Oscar per il miglior attore non protagonista va a… Jacob Black!” Isabella si finse una Presentatrice, con tanto di sarcasmo nella voce.
“Potrei offendermi! Perché non protagonista?”
“Perché ovviamente il protagonista è Edward Cullen! Che ora vive felice a casa di quel grandissimo testa di… A casa di Jasper, ecco!” Lasciò da parte gli insulti, perché quelli gli avrebbe riservati alla sua amica, il giorno dopo.
“Come scusa?” Jake inarcò tutte e due le sopracciglia, mentre la felpa cadde dalle sue mani.
La felpa di Edward.
Quella che le aveva lasciato prima di ripartire per Londra.
Dopo le vacanze Natalizie.
“Alice l’ha invitato al matrimonio. Non so come, non so perché e neanche voglio saperlo.”
Tu come stai?” Si voltò, guardando Jacob stranita.
Quella frase, l’aveva fatta tornare indietro di ben nove anni
 
9 anni prima, Londra.
 
“Bella… forse posso parlarci.”
Era finita.
Letteralmente finita.
Aveva lasciato casa Cullen con la testa alta, salutando anche Esme con un abbraccio.
E poi, aveva chiamato Alice.
Insieme si erano dirette verso casa McCarty, dove in quel preciso istante la signora McCarty le porgeva una tazza di tè caldo, mentre Emmett cercava di consolarla.
E neanche si conoscevano…
“No. Grazie Emmett.”
“Edward è impulsivo. E sono convinto che non pensava tutte quelle cose… Lo conosco da diciassette anni, e…”
“Io lo conosco da pochi mesi, eppure non avevo mai conosciuto questa faccia. E se devo sorbirmi tutto questo a distanza, non lo farò. Ho una vita, Emmett. Una casa, dall’altra parte del continente.”
Non ce l’aveva con lui.
Neanche con sua madre, a cui aveva ridato la tazza piena indietro.
E neanche con Alice, che era seduta in un angolo della stanza, a pensare.
Ma con se stessa. Perché aveva ceduto così facilmente a tutte quelle avances. Perché non doveva farlo. Edward sarebbe stato solo una piccola scappatella, niente di più.
“Ora cosa pensi di fare, cara?” La signora McCarty le accarezzò i capelli gentilmente, come fosse sua figlia.
“Ho chiamato i miei genitori, che hanno prenotato un volo per Forks. Partirò domattina… ho anche chiamato un Motel in città, per stanotte.”
“Vedi di richiamarlo subito, per disdire tutto. Tu dormirai qui. La camera dove sta Alice ha un letto matrimoniale, dove potrete dormire insieme.” Era stato il signor McCarty, a parlare.
Anche lui terribilmente gentile, e compassionevole.
Ma non voleva essere di peso. Si sentiva già male di suo, ed ora con tutte queste persone che provavano pena per lei era anche peggio.
“Grazie.” Sussurrò appena, appoggiando la schiena sulla sedia di legno.
“Oh, tesoro! Non dev-” Ma la signora McCarty fu interrotta dalla suoneria isterica che proveniva dal cellulare di Isabella.
Tutte e cinque le persone che erano in quella stanza incrociarono le dita, pensando ad una sola persona: Edward.
Ma ovviamente lui era troppo orgoglioso, per prendere il cellulare e chiamarla.
Rimase di stucco, leggendo l’altro nome: Jacob.
Cosa diamine voleva?
Si alzò, avvertendo che erano i suoi genitori e si diresse fuori il balcone.
“Pronto?”
Isabella?
“Jacob! E’ successo qualcosa?”
Non dovresti essere tu a dirmelo?” Quasi il cellulare le cadde di mano, sentendo quelle parole.
“Come?”
Sono andato a casa tua per portare del pesce a Charlie e tua madre mi ha detto che sei a Londra, per…
Ma Jake non continuò.
E Isabella intuì.
“Mia madre…”
Ti giuro, non voleva dirmi niente! Ma poi… lo sai come sono fatti i genitori, no?
“Sì, purtroppo.”
Allora? Con Edward tutto risolto?”
“Ci siamo lasciati.”
Ora si aspettava una risata isterica da parte del suo amico.
Oppure un sospiro di sollievo.
Invece, niente.
Tu come stai?
E quell’unica frase, la fece scoppiare in lacrime.
 
Oggi, Forks.
 
“Sei cotta.” Nel momento in cui Jake passò un altro Kleenex pulito ad Isabella, lei scoppiò di nuovo in lacrime.
Si erano spostati sul lettone, e Jacob le teneva una mano dietro le spalle, attirandola a sé.
“I-io.. Oh, Dio! J-jake! P-perché è tor-rnato?” Singhiozzò nuovamente, stringendosi alla maglia leggera che indossava lui.
Invece Isabella aveva indossato la felpa, che le arrivava a metà coscia.
“Perché è stato invitato al matrimonio. Ed è stato talmente codardo, da presentarsi senza neanche avvertire. E tu sei stata forte, Bells. Tu sei forte. Non ti sei lasciata abbindolare da lui. Ti sei comportata da vera donna.”
“Dici?”
“Oh, te lo posso assicurare.” Jake iniziò ad accarezzarle i capelli, in modo lento ed affettuoso.
“Ora dormi.” Sussurrò appena, posandole un bacio sulla guancia.
“Oh, la cena!” Sbuffò sonoramente, ancora con la voce incrinata.
“Non ti preoccupare. Ci arrangeremo.”
“Ne sei sicuro? Forse vuole…”
“Ci arrangeremo, Bells. Per quanto una donna incinta abbia delle voglie può sopravvivere, no?”
Una risata ovattata uscì dalle labbra di Isabella, che chiudendo gli occhi si lasciò andare in un sonno popolato soltanto da una figura: Edward Cullen.
 
*
 
Stessa identica scena del giorno prima.
Soltanto che ora Isabella era nelle mani della commessa che stava sistemando il vestito su di lei, ed Alice era seduta sul divanetto, con le mani giunte.
“Non so cosa dire.” Una cantilena, dalla bocca di Alice.
“Nulla. Non dire nulla. Devi solo stare zitta.”
E se il giorno prima era a pezzi, il giorno dopo era stato peggio.
Si era alzata con i postumi di un pianto che secondo lei non era mai finito, se non avesse avuto la conferma da Jacob.
“Scusami, Bella. Io volevo dirtelo, ma non pensavo che… non pensavo che vi saresti visti prima!”
“Prima o poi ci dovevamo vedere, no? Perché allora non me lo hai detto quando hai deciso di consegnare l’invito anche a lui!” Si voltò di scatto, adirata.
Il piedistallo su cui era si girò di qualche centimetro, ed allora l’ago della sarta le pizzicò una coscia.
“Cristo! Vuole stare più attenta!” Urlò praticamente addosso a quella povera signora, che si alzò scostandosi di qualche centimetro.
“M-mi scusi.”
“Rachel, puoi andare per qualche minuto?” Le chiese cortesemente Alice, mentre la signora non se lo fece ripetere due volte e scappò via.
“Sei una stronza, Alice.”
“Oh, e tu sei una grandissima cagasotto! Sono nove anni che continui a ripetermi che Edward per te è un capitolo chiuso. Che per te non esiste, e non è mai esistito. Qual è il tuo problema, allora? E’ tornato? ‘Oh, ciao Edward! Come stai?’ Basta! Non ti ho chiesto mica di ospitarlo a casa tua o di andarci a letto, no?”
Sbuffò, passandosi entrambe le mani sul viso.
Il vestito le dava fastidio.
Quel rosa era schifoso.
Si sentiva una perfetta cipolla.
“’Fanculo.” Disse appena, togliendoselo da sotto.
Era a fascia, e non ci impiegò molto a lasciarlo cadere.
“Ora non vuoi più venire al mio matrimonio, perché c’è lui?”
“Sono la tua migliore amica, no? Sono la tua damigella! Verrò al matrimonio, ma non guarderò in faccia Edward! Capitolo chiuso, no?”
Le inveì praticamente contrò, abbassandosi per arrivare alla sua altezza.
“Allora perché ti sei tolta il vestito?”
“Perché  è orrendo.”
“Sì, è quello che pensavo anch’io. Sei libera di decidere quello che vuoi.” Così l’aveva liquidata Alice, facendo finta che la discussione di pochi minuti prima non ci fosse mai stata.
Gli occhi di Isabella si illuminarono.
“Sei davvero disposta a far decidere a me il vestito?”
“Certo. Basta che si intoni con le decorazioni.”
“Le decorazioni sono blu, giusto?”
“Sì.”
“Ottimo! Ho trovato il vestito, Alice!”
 
La sarta tornò pochi minuti dopo, impaurita.
Isabella si scusò con lei, accennandole un timido sorriso.
Ed aveva scelto il suo vestito. Era lungo e blu, e Rachel aveva impiegato pochi minuti a sistemarlo.
Sì, era davvero bellissimo.
E per la prima volta aveva avuto la benedizione della sua amica.
Scese dal piedistallo, raccogliendo i capelli in una coda di cavallo e prendendo la sua borsa.
“Hey, ma ancora siete qui?”
Isabella si voltò, incontrando gli occhi verdi di Jasper.
Accennò un saluto con il capo, senza dire una parola.
“Bells, lasciatelo dire… sei uno schianto!” Si guardò, notando che ancora aveva quel vestito addosso.
“Dici davvero?”
“E’ perfetto. Quanta tortura hai subito per un risultato del genere?” Accennò un occhiata fugace alla sua futura mogliettina, che stava sfogliando le pagine di una rivista di moda.
“Ti dirò… ho scelto da sola il vestito.”
“COSA?” Jasper sembrò indignato. “Perché lei sì ed io no?”
“Perché sì.” Alice non alzò neanche gli occhi dalla rivista, lasciandolo con una simile risposta.
“Se ti può consolare mi ha fatto mandare indietro l’abito che avevo portato, facendomene comprare un altro.”
Edward fece la sua entrata in quel salone, con due caffè in mano.
Alice si alzò, per abbracciarlo calorosamente.
Isabella invece rimase ferma dov’era, con la coda di cavallo e qualche boccolo che usciva fuori.
Ed il vestito da damigella ancora addosso.
“Quanto sono felice di vederti!” Quella nanetta lo stritolò nel suo abbraccio, stampandogli un bacio sulla guancia.
Gelosia?
Rabbia?
Non sapeva cos’era quello che Isabella stava provando.
Alice lo stava abbracciando.
La sua migliore amica sì, e lei no.
Alice gli stava stampando un bacio sulla guancia.
La sua migliore amica sì, e lei no.
E quando si staccò, Edward ebbe la possibilità di vedere lo splendore che si parava davanti i suoi occhi.
L’abito era lungo e blu, e fasciava in modo divino le sue curve, che ormai si erano formate con il passare degli anni.
I capelli erano lunghi, e solo con la coda di cavallo le arrivavano fino alla schiena.
La bocca sembrava più carnosa. E quegli occhi castani risplendevano come non mai.
“Sei bell-”
“Bells! Allora, hai fatto?”
Tempismo perfetto!
L’entrata di Jacob Black rovinò tutto.
“Edward Cullen?” Jake si finse sorpreso, allungando una mano nella direzione del rosso.
Ma Edward non si finse sorpreso, perché lo era davvero.
Jacob Black… non un uomo qualunque. Ma Jacob Black.
“Jacob.” Disse fra i denti, ricambiando la stretta.
Poi, si voltarono tutti verso Bella, che aveva i suoi abiti in mano e stava per scappare nel camerino.
“Sei bellissima.” E fu Jake, a parlare.
Togliendo dalla bocca le stesse parole che Edward stava per dire qualche minuto prima.
Isabella avvampò, indicando il camerino.
“Forse… forse è meglio che io vada eh.” Come una furia entrò in quella piccola stanzetta, togliendosi l’abito in una velocità supersonica per indossare un semplice paio di jeans e… cazzo!
Non poteva essere uscita con quella felpa!
Non proprio quella mattina!
Si sarebbe voluta sotterrare, seduta stante.
No, proprio non poteva uscire da quel camerino in quelle condizioni.
“Hey, Bells! Tutto bene?” Oh, Alice!
Ma da quant’è che era in quel dannato camerino?
Si diede un'altra occhiata allo specchio, sciogliendo i capelli. Di certo non coprivano il logo enorme che era posto al centro della felpa grigia, ma almeno arrivavano al seno.
“Ecco.”
“Jacob Black! Avevi detto cinque minuti! Lo sai quanto tempo è passato? Ben otto minuti?” Isabella fece capolino, guardando un'altra furia entrare in quel salone.
Beh, ora doveva uscire. Ed anche in fretta.
Uscì a testa bassa, mentre tutti guardavano l’altra.
“Hey, scusami!”
“SCUSAMI?”
Leah, scusami. E’ colpa mia.” Intervenne prontamente Isabella, prendendo sotto braccio la sua amica.
“Oh, tesoro! Cos’è successo?”
“Ho fatto tardi. Scusa… ancora.”
“Perché te la prendi con me e con lei no?”
“JACOB BLACK! Taci!” Sì, era proprio una furia.
Mentre Jake aveva lo sguardo basso mortificato, Jazz ed Alice se la ridevano sotto i baffi, Edward non faceva altro che guardare Isabella.
Con la sua felpa.
Dopo nove anni.
Prontamente Isabella se ne rese conto, e affondò ancora di più il viso nei suoi capelli, rossa come un pomodoro.
“Andiamo, no?” Domandò cautamente Jacob, rivolgendosi a Bella.
“Andiamo?” Chiese Bella di rimando a Leah.
“Sì, ma… non pensate che ho bisogno di qualche presentazione?”
Jake si diede uno schiaffo in fronte, avvicinandosi alla sua donna.
“Leah, lui è Edward. Edward, lei è Leah. Mia moglie.” Leah allungò una mano, stringendo quella incerta di Edward.
E Jacob posò invece la sua mano sul pancione di Leah.
E in quel momento Edward si sentì terribilmente sollevato.
Jacob era sposato, ed aspettava un figlio.
Isabella indossava la sua felpa, anche dopo nove anni.
Guardò tutti e tre, e poi si soffermò su Bella, che stava salutando Alice e Jasper.
Se ne andarono insieme, ignari che dietro di loro avevano lasciato un ragazzo con un sorriso a trentadue denti, insieme ad una speranza non del tutto accantonata.
 
**
 
NOTE:
 
Ammettetelo! Chi di voi non ha sospirato di sollievo quando ha letto di Jacob? Eh eh, vi ho fatto uno scherzetto =D *scappa via* Insomma, Isabella, Jacob e Leah vivono nello stesso palazzo. Leah e Jake nello stesso appartamento *grazie al cock, direte voi..* e Bella in uno tutto suo!  Avete letto cos’è successo appena Isabella aveva lasciato casa Cullen nove anni prima. Ora nei prossimo capitoli vedremo cosa accadrà!
Grazie mille a tutte, dalle prime alle ultime!
Spero di sentire tutti i vostri pareri!
Un bacione :*
Tatiana.
 

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Capitolo 17
*** Diciassettesimo Capitolo. ***


Non ho mai aggiornato una FF così velocemente °-° E quindi, mi aspetto moltissime recensioni di ringraziamento, per il mio tempismo ùu No dai, scherzo! Questo miei cari, è un CAPITOLONE! Preparate i fazzolettini per l’ultima parte *annuisce*
Buona lettura <3
 
Diciassettesimo Capitolo
 
“E lei, Miss Swan. Deve solo camminare lungo la navata, prima della sposa. Appena raggiungerà lo sposo, Alice inizierà la sua camminata insieme al signor Brandon.”
Miss Swan…
Charles era il personale Wedding Planner di Alice, scelto appositamente da lei, dopo vari scarti.
E non faceva altro che rivolgersi in un modo ottocentesco a tutti i presenti, in quella Chiesa.
La piccola Chiesa di Forks, dove ora c’erano le prove, per la cerimonia.
Prove riservate soltanto agli sposi, al signor Weber, a James e ad Isabella.
“Perché è qui?” Bella si accostò all’orecchio della sua amica, sussurrandole quelle parole.
“Dove andava?”
“Non poteva restare a casa?”
“Jazz non voleva lasciarlo a casa da solo, per tutta la giornata. Dai, non ti lamentare. Sono più di due ore che è seduto in quell’angoletto, senza fare una piega.”
Ed era vero.
Erano arrivati alle quindici in quella Chiesa, e Jasper si era portato dietro Edward.
Edward, che era rimasto seduto e in silenzio, per più di due ore.
Isabella non lo biasimava, affatto.
“Non mi sto lamentando!” Rispose stizzita, voltando lo sguardo appena si rese conto che Edward la stava fissando.
E non era la prima volta che capitava, da quando erano lì dentro.
“Tu non ti lamenti, ma io sì. Sto morendo dal caldo, Alice Brandon!”
Leah banerottola Clearwater si frappose fra tutte e due, lanciando un’occhiataccia sia a Isabella che alla sposa.
“Tesoro, è il 24 febbraio!” Sbottò Alice, alzando le mani al cielo.
Oh, oh. Complicazioni.
“E noi siamo in tre, Alice! In tre!”
Leah, e i due gemellini dentro di lei.
Ma forse, loro due non potevano biasimarla.
“Ed io domani mi sposo, Leah! Mi sposo!” Enfatizzò le parole, alzandosi sulle punte, per fronteggiare Leah.
Beh, Isabella in quell’istante si rese conto che forse doveva mettersi in mezzo, per dividerle.
Ognuna di loro aveva i suoi problemi, in quel momento.
Le paranoie per il matrimonio, e per la povera premam.
“Okay, basta ragazze. Ora torniamo a fare quello che ci dice Charles, okay?”
“Okay? OKAY?” Sbottò Leah, attirando l’attenzione di tutti su quel trio. “Sono incinta, Isabella! I-n-c-i-n-t-a! Lo sai cosa significa? Che ho vampate ogni tre ore, che muoio dal caldo, ed è il 24 Febbraio! Certo, certo! Tutti preoccupati per il matrimonio, eh?”
Non farò mai un figlio, mai.
Dall’altra parte della Chiesa Edward si alzò dalla panca di legno, avvicinandosi alle tre amiche.
“Leah, perché non vieni a sederti accanto a me?”
E dopo quell’affermazione, non gli sfuggì l’occhiata che Jacob gli rivolse.
“Chi sei tu per dirmi cosa devo fare? L’ex codardo di Bella?” E tutto in quella stanza si fermò.
Isabella rimase sconcertata, fissando un punto qualsiasi in quella Chiesa, ma che non fosse nella direzione di Edward e Leah.
Alice aprì la bocca, esterrefatta. E Jasper l’affiancò.
Jacob si stava dirigendo da sua moglie, quando si bloccò.
“No, sono un pediatra. Il miglior pediatra di Londra. Quindi, se vuoi seguirmi.” E con nonchalance le indicò la panca di poco prima, prendendola dal gomito.
Leah stizzita non poté fare a meno di seguirlo, lasciandosi trascinare in silenzio. “Ora, inspira ed espira. Lentamente.”
Leah eseguì gli ordini di Edward, mentre pian piano il sudore che imperlava la sua fronte stava scomparendo.
“Brava, vedi?”
E si ammutolirono tutti all’istante, perché quello che videro in quel momento era un sorriso appena accennato, che compariva tra le labbra di Leah.
E da quando era incinta, aveva sorriso in rare occasioni.
Isabella arretrò di qualche passo, avvicinandosi a Jacob, che come lei fissava la scena meravigliato.
“Non è frutto della mia immaginazione, vero?”
“Credo proprio di-”
“JACOB BLACK!” Beh, per quanto era durato, era stato bello.
Jake si diresse a passo spedito verso Leah, che reclamava la sua attenzione. E intanto Charles reclamò l’attenzione di tutti gli invitati.
“Allora! Testimone e damigella! Voi varcherete insieme la navata.” Bella lanciò un’occhiata a James, che le rivolse un cenno del capo.
James Nomadi, il migliore amico di Jazz fin dai tempi dell’asilo.
Peccato che Isabella lo odiava.
“Su, su! Proviamo, su!” Charles sembrava fin troppo euforico, mentre passava davanti a Leah, Edward e Jake. “Voi due, varcherete la navata insieme!” Sentenziò, indicando la coppietta di sposini.
“Se mi fai cadere t’ammazzo.” Furono le uniche parole di Leah, mentre Jake arretrava di qualche passo. E Edward se la rideva sotto i baffi.
“Dai, proviamo!” E tutti ai suoi ordini si diressero verso l’entrata della Chiesa, tranne che il povero Jazz, mentre aspettava in trepida attesa la sua Alice, all’altare.
 
Dopo varie prove e tentennamenti, Charles decise che poteva andare più che bene.
Leah e Jake avevano fatto soltanto una breve prova, perché lei era troppo occupata a stare nelle mani di Edward.
Il caldo era improvvisamente sparito, e si era anche scusata con Alice.
“Alle venti a casa Brandon, intesi?” Comunicò Alice-dittatrice-Brandon mentre tutti erano fuori al parcheggio della Chiesa.
“Alice, abbiamo capito. Ci sarà la prova per la cena. E domani ti sposi. Fai un bel respiro!” Isabella le si parò dietro, massaggiandole teneramente le spalle.
“Uff.. uh, hai preso le fedi?” E di colpo, il massaggio si interruppe.
Merda, merda e merda!
“Isabella Swan..” Un sussurro..
“NON DIRMI CHE TE NE SEI DIMENTICATA!” E un urlo, che la fece arretrare di qualche passo.
“No, Alice! Certo che no! Guarda, sto andando ora. Le ho ordinate, devo soltanto passare a prenderle.”
“Domani mi sposo! Domani mi sposo e non ho le fedi!” Una lamentale, quasi simile ad un pianto.
“Tesoro, sto andando. Guarda!” Velocemente si diresse verso le poche macchine parcheggiate, tornando subito indietro. “Forse… forse dovresti darmi un passaggio. Sai com’è, siete passati voi a prendermi.” Abbassò la testa, rossa come un peperone.
Sì, l’aveva combinata davvero grossa.
“Sono la sposa, Isabella! Posso andare a comprarmi da sola le fedi?”
“No, certo che no. Hai ragione. Vado. Sto andando. Vado a piedi.” Era tutta affannata, mentre il panico si impadroniva anche di lei.
E menomale, che c’era Jasper Whitlock.
“Edward, fammi questo favore: accompagnala. James, tu porta noi a casa mia. Isabella, se domattina non hai la fedi, sai quali saranno le conseguenze.” Sentenziò, mentre tutti con un sonoro sbuffo lasciavano il parcheggio.
Tranne lei… e Edward.
Con le chiavi di Jazz in mano.
“Andiamo?” Esitò, mentre lei aveva gli occhi strabuzzati per la rabbia.
Gliel’avevano fatta, quei grandissimi stronzi dei suoi amici!
Sempre se così poteva definirli!
“Sì, andiamo.” Sussurrò appena, dirigendosi verso la Jeep nera.
Edward ingranò la marcia, iniziando a percorrere diverse vialetti di Forks.
“E’ che… non so dove andare, se tu non me lo dici.”
Giusto. Che perfetta idiota, che era.
Sembrava come se Edward avesse paura di parlare con lei.
“Sì, okay. Vai sempre dritto, e poi gira a destra. C’è una piccola gioielleria, è degli Stanley.”
“Quegli Stanley?”
“Sì.” Stette in silenzio, sperando che non le chiedesse altro.
E infatti fu così.
Quando arrivarono, scesero tutti e due insieme.
“Oh, Isabella!”
“Rebecca!” Le regalò un sorriso a trentadue denti, avvicinandosi al bancone. “Sono venuta per le fedi.”
“Oh, certo! Che sciocca! Vado subito a prendertele!” Quando la signora Stanley scomparse dietro lo studio, Isabella si guardò un po’ intorno.
“Carino.” Commentò svogliatamente Edward, giusto per smorzare quel silenzio.
“Niente di male.” Commento di Isabella, tre parole e distaccato.
“Ecco a te, cara!” Rebecca le porse una custodia blu, dove dentro brillavano due anelli d’oro.
Diamine, anche così semplici erano dannatamente belli.
“Grazie mille!” Richiuse la scatoletta, riponendola nella borsa.
“Grazie a te! Allora, tua madre che dice?”
“Sono andata a trovarla ieri. Tutto bene. Se vuole posso salutargliela!”
“Sarebbe fantastico! Spero di andarla a trovare presto.”
“Sono sicura che ne sarà felice.”
“Sì, entro la settimana ci andrò.”
“Allora… io vado. Arrivederci.” Isabella regalò un ultimo sorriso alla donna, mentre insieme a Edward si dirigevano di nuovo verso l’auto.
Strano che la signora Stanley non aveva fatto commenti su Edward, o sul suo ritorno.
Che non l’avesse riconosciuto? Impossibile.
Infatti parlò troppo presto, perché dentro il negozio Rebecca Stanley aveva il cellulare in mano, e stava parlando con sua figlia: Jessica.
 
*
 
“Allora, andiamo a casa Brandon?” Erano in macchina, di nuovo in rigoroso silenzio.
Isabella si guardò dalla testa ai piedi, notando il suo abbigliamento.
No. Non era appropriato per una cena di prova.
“Io… io dovrei andarmi a cambiare, ecco. Ti dispiacerebbe accompagnarmi a casa?”
“Oh, no. Certo che no.”
Bella guardò invece l’abbigliamento di Edward, che era sempre azzeccato, per ogni occasione. “Dove vado?”
“Gira alla terza. Il palazzo blu è il mio.”
“Non vivi più con i tuoi?”
“No… no.”
“Okay.”
Impiegarono dieci minuti, e Edward parcheggiò nel sotterraneo.
“Jake e Leah devono essere già andati.”
“Abiti con loro?”
“No. Loro abitano nell’appartamento di fronte al mio.”
“Oh.”
“Dai, andiamo” Lo esortò Isabella, prendendo la sua borsa per scendere.
Edward rimase sconcertato. Non si aspettava che lo invitasse ad entrare, anche se era per una giusta causa.
Non presero l’ascensore, sicuramente un posto troppo intimo per Bella, e lei decise di salire le scale.
Erano soltanto tre rampe, e nessuno dei due fece fatica.
Quando aprì la porta, Edward si trovò davanti ad un enorme salone, dalle pareti bianche.
Era fin troppo arioso, e rispecchiava perfettamente lo stile pulito di Isabella.
“Wow.” Esclamò, richiudendo la porta dietro di sé.
“Puoi metterti comodo sul divano, ed accendere la TV. Ci impiegherò pochissimo.”
“Mettici tutto il tempo che ti serve.”
Sprofondò nel divano, davanti a quell’enorme televisore al plasma.
Accese la TV, facendo un po’ di zapping fra i vari canali.
Non trasmettevano nulla. Allora lentamente e senza fare rumore si alzò, girovagando in quella casa.
Era abbastanza grande, e si domandò che lavoro facesse Isabella.
Glielo avrebbe chiesto, quello era sicuro.
Sopra la TV c’era una mensola, con varie foto.
Bella da piccolina, insieme ai genitori. Foto con lei, Jazz ed Alice.
E una foto a Madame Tussauds, accanto a Robert Pattinson. Sicuramente quella foto risaliva allo Scambio culturale.
Entrò in cucina, ammirando il piano cottura abbastanza grande, un tavolo per quattro persone e un vaso riposto sopra di esso. E poi, entrò in camera da letto.
Dallo scrosciare dell’acqua capì che Isabella si stava facendo una doccia, e quindi cercò di fare meno rumore possibile.
E proprio al centro del letto, piegata c’era la sua felpa. Forse era stata lavata poco prima.
Accarezzò il logo al centro, sorridendo, mentre la mente vagava a nove anni prima.
Non c’era la televisione, un armadio grande, ed una mensola con sopra altre foto.
Ma la foto che attirò l’attenzione di Edward fu soltanto una. L’unica che era riposta sul comodino accanto al letto.
Una cornice semplice, con l’intonaco d’argento. E sopra, raffigurata l’immagine di Charlie.
Charlie Swan.
All’angolo della cornice, pendeva un Rosario.
Si strofinò energicamente gli occhi, fissando di nuovo quel punto. Eh, no. Non aveva immaginato nulla.
“Che ci fai qui?” Sobbalzò, voltandosi nella direzione di Isabella.
Indossava un semplice telo di spugna, avvolto attorno al suo corpo. I capelli invece erano sciolti, e gocciolanti.
“Perché la foto di Chalie è lì?” Diretto e secco. Forse perché sperava di ricevere un’altra risposta.
“N-non… non sono affari tuoi.”
“Oh, sì invece. Sì che sono affari mie! ISABELLA!” Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, forse per liberarsi da quel macigno che si era creato nel petto.
Lei saltò praticamente, sorpresa da quel tono di voce.
Non le piaceva.
Non le piaceva che qualcuno si rivolgesse a lei in quel modo.
Non le piaceva parlare di suo padre.
“E’ morto. Tre anni fa.”
“C-cosa?” Gli occhi di Edward si fecero immediatamente lucidi, mentre si voltava di nuovo per guardare quella foto.
Ritraeva un Charlie sorridente, mentre indossava un berretto in testa.
Sicuramente, era a pesca.
“Una sparatoria a Seattle. E’… è stato ferito ed è stato due mesi in coma.. poi-i”
“Perché non me l’hai detto?”
“Perché lo dovevi sapere?”
“I-io.. i miei contatti con Alice e Jasper! Perché non mi hanno detto nulla?”
“Perché glie l’ho chiesto io. Non erano affar tuoi. Tu non facevi più parte della mia vita, Edward. Tu non fai più parte della mia vita.”
“Stai scherzando, vero?” Alzò le mani al cielo, frustrato.
“No. Per nove anni sei stato un fantasma, Edward. Quello che è successo a me, non è affar tuo.”
“Sei una grandissima testa di cazzo, Isabella!” Sbottò, mentre lei assottigliava gli occhi.
No, quella reazione di certo non se l’aspettava.
“Ah, sì, eh? Qual è il tuo problema, ora? Che non ne sei venuto a conoscenza? Sai una cosa, Edward? Io per nove anni sono stata qui, ad aspettarti. Ogni istante della mia vita. Mentre vedevo Jacob fidanzarsi con Leah, e sposarsi con lei! Farci addirittura due figli! Mentre vedevo mio padre morire sotto i miei occhi, ed assistevo alla proposta di matrimonio della mia migliore amica. Ed ero sempre qui, ad aspettarti! Sempre! Eppure tu non sei mai venuto. Non una telefonata, non una stupida lettera. Neanche delle parole da parte di Esme!” E le lacrime, avevano iniziato a sgorgare dai suoi occhi.
Anche se aveva ventisei anni, si sentiva terribilmente scoperta, lì davanti.
Davanti a lui, che aveva il viso coperto di lacrime.
“Dovevi dirmelo. Era un mio DIRITTO sapere!”
“Sì? E cosa avresti fatto? Saresti venuto al funerale, per poi scappare di nuovo? Eh?” Gli si avvicinò, iniziando a dargli pugni sul petto. “Sei uno stronzo, Edward! Un perfetto stronzo! Io ti aspettavo! Ti ho sempre aspettato, e tu… tu non sei mai venuto. MAI!” Continuò così, iniziando a prenderlo anche a schiaffi.
Ma lui la strinse in una morsa ferrea, tra le sue braccia.
“Shh.” Sussurrò appena, accanto al suo orecchio.
Continuò a dimenarsi invano, perché quelle braccia erano troppo forti.
Perché quell’odore la stava destabilizzando.
Perché non si sarebbe mai voluta staccare.
“Shhh. Sono qui, ora.”
 
**
 
Un pensiero al povero Charlie, che nella mia FF è schiattato (finezza portami via, cara Tatiana -__-) Avete visto i due piccioncini che passo avanti stanno facendo, eh? Nel prossimo capitolo la cena della prova, e il *marcia nuziale* MATRIMONIO! Poi una bella sorpresa. Conto di postare quattro-cinque capitoli più l’Epilogo. Eh sì. Anche questa sta per finire. çç Scusate se non ho risposto alle recensioni, ma ho preferito scrivere! Provvederò domani, promesso! Baciotti :*

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Capitolo 18
*** Diciottesimo Capitolo. ***


Togliete gli abiti da cerimonia, perché il Matrimonio è rimandato al prossimo capitolo! Cioè, oggi sono stata puntualissima ù__u
Buona lettura! 
P.s: Capitolo dedicato a tutte quelle brave (ma a chi lo sto a raccontare? .-.) ragazze che stanno invadendo la mia pagina Facebook ùu
 
Diciottesimo Capitolo
 
Isabella era caduta inerme fra le sue braccia, stanca.
Stanca, a causa di tutto il trambusto che si era creato in quei giorni, per il matrimonio di Alice.
Stanca, perché dopo aver visto Edward era come se il Mondo le fosse crollato addosso, per l’ennesima volta.
Ed ora erano sdraiati tutti e due sul letto, mentre Edward le accarezzava dolcemente i capelli ancora bagnati, e lei dormiva. Sì, perché era letteralmente crollata dopo quella sfuriata. Invece Edward era lì, che pensava. A tutto quello che era successo, e al perché non fosse tornato durante quei nove anni.
Certo, all’inizio era tutto causato dal suo moto d’orgoglio, da stupido adolescente qual’era. Ma al compimento dei suoi ventidue anni, aveva pensato di tornare a Forks. Magari usando una scusa stupida, del tipo ‘Vado a vedere come stanno Charlie e Renée’. E forse avrebbe fatto bene a farlo davvero, dopo che aveva saputo di Charlie.
Lo stesso Charlie che anni prima aveva sorpreso due adolescenti nella camera di sua figlia, intenti a sbaciucchiarsi. E non aveva detto nulla. Anzi, era stato più che comprensivo.
Un padre perfetto e un uomo fantastico.
Edward era perso nei ricordi, quando il cellulare di Bella iniziò a squillare. Era posto sul comodino, proprio accanto a lui. E appena lesse il nome, trasalì: Jacob.
Ma non poteva non rispondere. Prese un bel respiro, e spinse il tasto verde.
“Sì?”
Bells?
Dio, come faceva a non rendersi conto che quella era una voce da uomo?
“No. Sono Edward.” Diretto e secco. E come diceva un vecchio proverbio: via il dente via il dolore.
Edward? Ma dove siete? Non è che potresti passarmi Bella?
“Ehm… Jacob, Bella sta dormendo.”
COSA?” Dovette spostare il cellulare dall’orecchio, perché quell’urlo gli fracassò un timpano.
“Si è addormentata dopo… una violenta discussione, ecco.”
Una violenta discussione? Edward, non costringermi a venire lì ed ucciderti.” Una risata ovattata, da parte di Edward.
“No, non preoccuparti. La sveglio e veniamo.”
No… cioè, fate con comodo. Lo dirò ad Alice, non c’è problema.” Jacob attaccò, senza aspettare una risposta da Edward.
Con lo sguardo perplesso Edward guardò il cellulare, riponendolo sul comodino accanto a sé.
“Potevi… potevi passarmelo. Sono sveglia.” Un sonoro sbadiglio provenne da Isabella, mentre si stropicciava gli occhi rossi.
I capelli nel frattempo era diventati umidi, e l’accappatoio si era aperto fino alle ginocchia.
Posò il mento sul petto di Edward, guardandolo dritto negli occhi.
“Scusa. Non volevo… ecco, io…” E se prima la violenta discussione li aveva fatti riavvicinare, ora era come se si conoscessero appena.
“Forse devo andare farmi un’altra doccia. Tu puoi aspettarmi qui.” E senza aspettare una risposta, Bella si alzò.
“Certo.” Abbassando lo sguardo si voltò, diretta in bagno.
“Bella?” La voce di Edward la fermò, mentre si voltava di nuovo nella sua direzione, in attesa.
“Sì?”
“Ne parliamo prima che io parta, vero?”
“Certamente.” Con un sorriso lo lasciò solo nella camera, mentre l’acqua della doccia iniziò a scorrere per la seconda volta.
 
*
 
“E’ molto bello questo vestito.” Edward mise fine quell’imbarazzante silenzio, indicando l’abito di Bella.
Alla fine aveva deciso di indossare un vestito nero, non troppo appariscente. Con delle ballerine ai piedi e una borsetta dello stesso colore. E in macchina diretti verso casa Brandon, non avevano detto una parola.
“Grazie.” Sussurrò appena, non distogliendo gli occhi dalla strada. Questa volta era lei a guidare, e Edward non aveva fatto niente per impedirglielo.
Casa Brandon non distava molto dalla vecchia Casa Swan, anzi, un paio di isolati. E Edward si ritrovò a pensare che doveva andare a trovare Renée, prima di partire.
Quando scesero dalla macchina, un’Alice trafelata andò ad aprire alla porta, con i capelli sparati al vento e un abito floreale. E senza guardare Edward, si fiondò tra le braccia della sua amica.
“Hey, tesoro. Come stai?” Sussurrò al suo orecchio, senza farsi sentire.
“Bene… credo. Dobbiamo ancora parlare.” Le rispose Bella, togliendosi il copri abito.
“Edward!” Alice si finse sorpresa, appena si staccò da Isabella. “Come mai avete fatto così tardi?” No, non poteva crederci. Come se non sapesse che Jacob aveva parlato con lui, e poi con Alice.
“Mmh, niente di importante. Scusaci. Sono arrivati tutti?” Chiese gentilmente lui, passando una mano sulle spalle esili di Alice e dirigendosi insieme a lei nell’atrio.
“Sì. Stavamo aspettando voi per iniziare.”
Alice!” Una lamentala, dietro le loro spalle. “Lo sai che potevate benissimo iniziare.” Finì, con una smorfia che nessuno dei due riuscì a vedere, ma che sapevano benissimo che avesse fatto Isabella.
“Sei la mia testimone! E senza testimone, niente discorso. E niente discorso, niente cena della prova.”
“Tu stai fuori.” Esordì Bella, superandoli tutti e due, che ancora camminavano a braccetto. “Io non faccio nessun discorso fino a domani.” Disse infine, voltandosi per farle una linguaccia per poi uscire nuovamente dalla casa.
Il cortile di casa Brandon era già arredato in parte, mancavano solo piccoli ritocchi che avrebbe fatto Charles la mattina dopo.
“Isabella!” Ashley Brandon si alzò dalla sua postazione, andandole incontro. “Finalmente!” Ma non lo disse con cattiveria, anzi. Come se anche lei fosse stata informata sui fatti.
“Scusa Ashley!” Abbassò la testa, mortificata.
Gentilmente lei glie la tirò su, sorridendole amorevolmente.
“Nessun problema tesoro. Soltanto una figlia che stava per andare fuori di testa, ma è tutto nella norma.” Bella si unì alla sua risata, mentre insieme si dirigevano al tavolo.
C’era quasi tutta Forks. Angela e Ben sedevano affianco a Jake e Leah, mentre il signor Brandon dalla sua postazione a capotavola rivolse un cenno della mano a Isabella, che lei ricambiò con un sorriso.
E poi, quasi alla fine del tavolo, c’era la signora Stanley. Insieme a suo marito. E a sua figlia. Jessica. La stessa Jessica che ora si stava sbracciando per salutare Edward, indicando un posto libero vicino a lei.
Ma prima che lui potesse dire qualsiasi cosa, Bella lo bloccò.
“Vai.” Disse soltanto, indicandogli con un sorriso tirato Jessica che lo stava salutando. E in quel momento, Edward fu costretto a ricambiare.
“Io non voglio andare.”
Lei si voltò, fronteggiandolo.
“Tu vai e basta.” Una specie di ordine, a cui Edward diede ascolto, e silenziosamente si diresse verso la famiglia Stanley.
Mentre Isabella era a capo chino, ed Alice la prese sotto braccetto.
“Sono ancora così idioti, eh?” Le chiese innocentemente l’amica, indicandogli Edward.
“Già.” Si meravigliò, quando sentì la sua voce forte e limpida.
“Non l’ha proprio capito che glie lo hai detto per metterlo alla prova?” Alice sembrava sconsolata, quando le fece quella domanda.
“No. Beh, si dà il caso che questa sia la cena di prova per il matrimonio dell’anno, ed è della mia migliore amica!” Cercò di smorzare la tensione, sorridendo ad Alice.
“Veramente? E la conosco?”
“No. Una piccola nana esuberante con i capelli sparati all’aria e un vestito a Top, anche se è il ventiquattro Febbraio.” Spiegò Bella, alzando gli occhi al cielo. Alice rise di gusto, dirigendosi con la sua amica al solito posto.
Tra gli amici che c’erano sempre stati, qualunque cose fosse successa.
 
*
 
La cena trascorse tranquillamente, fra vecchi aneddoti che il signor Brandon raccontava su l’infanzia di Alice, e le risate dei presenti.
E il suo imbarazzo, anche se non lo dava a vedere.
“E quindi, dopo quel giorno non entrò mai più in un auto. Cioè, non sa proprio guidare!” Continuò Carl Brandon, alzando il calice ripieno di Champagne verso i due quasi sposini. “Ma sono felice che abbia incontrato un bravo ragazzo come Jasper, che la ama così tanto, anche dopo tutti questi anni!” E con quell’ultima frase, scattò un'altra risata da parte del lungo tavolo, mentre Alice alzava gli occhi e stringeva la mano di Jazz, sotto il tavolo.
Poi si guardarono intensamente, costringendo Isabella a distogliere lo sguardo. Erano così innamorati, che a lei sembrava impossibile. E ogni tanto buttava un’occhiata dall’altra parte del tavolo, dove erano seduti Jessica e Edward. Che parlavano animatamente. Sbuffando silenziosamente abbassò lo sguardo, mentre vide Alice alzarsi dal tavolo e tendere una mano a Jazz.
“Su, andiamo!” E così indicò la pista da ballo allestita temporaneamente, per quella sera. Dove una Band faceva bella mostra di sé, iniziando a suonare vari pezzi lenti. “Dai! Che voglio ballare!” Jasper con un sorriso si tirò su, raggiungendola nella pista. E così, iniziarono lenti movimenti a destra e sinistra. Poco dopo altre coppie iniziarono ad unirsi a loro due, felici.
“Bella, perché non porti mio marito lontano da me? Sicuramente ballare non rientra nei miei piani, stasera.” Isabella sorrise nella direzione di Leah, aspettando che Jake si alzasse per prenderle la mano.
E intanto la mogliettina incinta era intenta a chiacchiera insieme a una donna, che aveva conosciuto in quel momento.
Beh, si poteva dire che si trovava meglio con persone che conosceva appena, che con loro.
“Allora, Miss Swan.” Jacob usò l’appellativo che poche ore prima usciva dalle labbra del Wedding Planner. “Non pensi che ci sia qualcosa che io dovrei sapere?”
“Ti prego, non ora.” Sussurrò appena Bella, che intanto con la coda dell’occhio aveva visto Edward e Jessica avvicinarsi alla pista.
Per ballare. Insieme.
“Perché l’hai lasciato andare con quella lì?”
“Per metterlo alla prova.” Disse lei, mentre Jake le fece fare una giravolta, per poi riprenderla fra le sue braccia.
“Cosa significa?”
“Gli ho detto che se voleva andare, poteva benissimo andarci. E lui non si è fatto pregare, come vedi.” E con un piccolo accenno della mano indicò la coppia.
“Oh, Dio! Ma come siete complicate voi donne! Non pensi che si sarà sentito costretto, no?”
Isabella gli tirò un pugno sul braccio.
“Dopo tutto, lo difendi anche?”
“Non mi permetterei mai di fare una cosa del genere, e tu lo sai benissimo.” La serietà con cui Jacob disse quella frase, le fece abbassare lo sguardo colpevole.
Sapeva benissimo che Jake sarebbe sempre stato dalla sua parte, come avevano fatto Alice e Jasper.
“Lo so, scusa. Però…”
“Però quando ha risposto alla chiamata sembrava distrutto.” Continuò lui, non lasciandola finire. “E Bella, credo proprio che dovresti parlarci. Almeno chiarirti con lui.”
“Lo farò. Sicuramente dopo il matrimonio. Comunque… dove andrete voi uomini stasera?”
Ovvio, perché Alice oltre che organizzare un pranzo di prova, venti prove in Chiesa per gli sposi e i testimoni e la cena di prova, voleva anche metterci in mezzo addio al Celibato e al Nubilato.
Tutte le donne sarebbero rimaste lì, una volta che gli uomini se ne fossero andati. Visto che loro non potevano permettersi molto, con una incinta di due gemelli e gli ormoni in subbuglio.
“Non lo so. Ha organizzato tutto Jasper, quindi credo niente di stravagante. Sai com’è…”
“Non guarda neanche una donna da quando c’è Alice.” Concluse Isabella per lui, facendolo ridere.
“Già. Sembra che il Mondo ruoti attorno a loro due.”
“Il Mondo a chi ruota attorno?” Si voltarono insieme, quando la prima canzone cessò di suonare.
“Niente.” Rispose Jake, con un sorriso.
“Jacob, non è che saresti tanto gentile da intrattenere la mia dama per… un bel po’?”
“Okay, forse posso portarla nelle grinfie di mia moglie.” Edward sorrise, una risata che rallegrò l’atmosfera.
“Ci conto, allora.” E con una pacca sulla spalla Jake si allontanò, andando a pescare Jessica, rimasta sola in mezzo alla pista.
“Mi concedi questo ballo?” Porse la mano ad Isabella, che lei accettò, a suo malgrado.
“Ho scelta?”
“No, direi di no.” Commentò lui atono, prendendola fra le sue braccia.
Ma non era come la stretta che poco prima Jake le aveva riservato. Quella era da normali amici, come un abbraccio. Edward invece la stringeva a sé, come se fosse qualcosa da proteggere.
“Divertito?” Decise di smorzare la tensione, facendo un cenno del capo nella direzione di Jessica.
Un lamento, da parte di Edward.
“Mi hai lasciato nella gabbia dei leoni, senza venirmi a salvare.” Mormorò con aria sconfitta, alzando gli occhi al cielo.
“Sei tu che ci sei andato.” Constatò naturalmente lei, alzando le spalle.
Cosa?
“Ma tu mi hai obbligato!” Lei non rispose, aspettando che Edward rielaborasse quello che aveva appena detto.
Lei l’aveva quasi obbligato, e lui ci era andato.
Cascandoci praticamente in pieno, proprio come nove anni prima.
“Non puoi averlo fatto di nuovo…” Si lamentò sconfitto, pensando a quando erano tornati dalla radura, e avevano trovato Jessica a casa Swan. Che si era letteralmente portata via Edward.
“Certe abitudini non cambiano, no?”
“Così sembra…” Le fece scivolare una mano lungo la schiena, attirandola di più verso di lui. “Quando parliamo, Bella?” E ad un tratto, il discorso si fece più serio.
La sua voce era ferma, mentre la stava implorando. Isabella si alzò sulla punta dei piedi, appoggiando il naso sulla guancia di Edward.
“Dopo il matrimonio.”
“Così tanto?”
“Beh, devi andare all’addio al Celibato. E non ci vedremo fino alle nozze. E domani la cerimonia sarà un trambusto, per non parlare del pranzo. Ci saranno il triplo delle persone che sono qui ora, Edward.” Lui trasalì, contando almeno una settantina di persone lì, quella sera.
“Ma quanta gente ha invitato Alice?”
“E’ riuscita anche ad invitare persone che non vivono a Forks. Anche tutta la Riserva.”
“Davvero?”
“Sì. E la maggior parte neanche la conosce.” Bella scosse la testa, pensando all’esuberanza della sua migliore amica.
Ma infondo, era quello il matrimonio che aveva sempre sognato.
“Quindi… parliamo direttamente domani sera?”
“Pensi davvero che il matrimonio finisca di sera, Edward? Durerà per l’intera notte, se non oltre. Tu forse non conosci bene la famiglia Brandon.”
“Sono riuscito a farmi un’idea.” Mormorò lui, respirando sulla sua bocca e facendo qualche giravolta.
“Allora dovremmo aspettare dopodomani.”
“Quanto resti qui, Edward?” Chiese lei a bruciapelo, mentre un’idea malsana balenava nella sua testa.
“Fino al primo Marzo.”
Una settimana.” Commentò Bella, sorridendo di sbieco.
Bell’inconveniente.
“E dove andrai da domani?”
“Come ‘dove andrò’? Sarò da Jasper, no?” La musica finì, ma nessuno dei due riuscì a staccarsi, e intanto iniziò una nuova canzone.
“Non lo sai? Alice dopo le nozze andrà a stare da Jasper. E sai, dopo il matrimonio…” Isabella non continuò, perché dall’espressione che vide sulla faccia di Edward, capì che lui aveva capito.
E staccò la mano da dietro la schiena di lei, sbattendosela sulla fronte.
Oh, Dio! Ma come sono idiota? Dovrò cercarmi un Motel, stasera!”
“L’unico Motel che c’è qui è a Port Angeles. Come farai a spostarti, poi?”
Ma dove voleva arrivare?
“Troverò il modo, ma di certo non farò il terzo incomodo.”
“Forse… ecco, lo so che ti sembrerà troppo avventando, ma noi dobbiamo parlare. E nessuno dei due vuole aspettare fino a dopodomani. Che ne dici di stare da me? Niente di serio. Il mio è un divano letto, e dormirai lì. Io non lavoro questa settimana, e non credo ci siano problemi, ma solo se tu lo vuoi, non so, se… però non sentirti obbligato è!” Parlò talmente veloce, che Edward riuscì a cogliere soltanto poche parole di quella conversazione: ‘Che ne dici di stare da me’, ‘Divano letto’ e ‘Io non lavoro questa settimana.’
“Bella, se per te non è un problema… Cioè, non ti disturbo?”
“No, no. Cioè, chi vuoi disturbare? Sono solo io. Nessun disturbo. Stasera puoi anche stare da Jasper, e domattina prima di andare in Chiesa posso passare a prenderti io. Metti le valige in macchina, e andiamo. Poi, dopo la cerimonia torniamo a casa.” A Edward sembrò di vivere un sogno. Come se quella non fosse la realtà.
Bella era lì, fra le sue braccia, che gli chiedeva di andare a stare da lui, nei restanti giorni.
Per una settimana.
“Io… non so che dire.” Borbottò, quasi al limite dell’imbarazzo.
“Beh, grazie credo che vada bene.”
“Grazie, Bella. Davvero.”
“Nessun problema.” Sussurrò appena, sorridendogli gentilmente.
“Hey, piccioncini! Che ne pensate di staccarvi un po’?” Alice era piombata in mezzo a loro, staccandoli ferocemente.
“Che c’è?”
“E’ quasi mezz’ora che siete qui in mezzo.” Disse, guardando Edward con le sopracciglia arcuate. “Quindi, ora tu te ne vai.” E lo spinse verso il parcheggio fuori casa Brandon. “I ragazzi sono in macchina che aspettano. Non rompere le palle, ciao Edward.” E senza nemmeno lasciargli il tempo di salutare Bella, lo cacciò da casa. Peccato che a lei non fu riservato lo stesso trattamento.
“Tu ed io. Ora. Nel bagno. DEVI RACCONTARMI TUTTO!” E Isabella aveva proprio ragione.
Con gli anni, certe cose non cambiavano mai.
 
**
 
Se siete arrivati fino a qui (con gli occhi a cuoricino!), vi ringrazio! Ad essere sincera i capitoli romantici non fanno per me, e spero che questa scenetta sia sritta bene per i vostri standard! Vi ricordo che ho altre storie in corso, e che trovate il link a FB nella mia pagina autore! Un grazie infinite! :*

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Capitolo 19
*** Diciannovesimo Capitolo. ***


Mi scuso in ginocchio per il ritardo! Ma fino al sei settembre non rispetterò la scadenza settimanale, scusate! Anche perché il prossimo sarà l’ultimo capitolo, miei cari. Più l’epilogo.
Allora, tirate fuori gli abiti da cerimonia per il matrimonio dell’anno e per… una bella chiacchierata! Ci ‘sentiamo’ sotto ;)
 
Diciannovesimo Capitolo
 
Isabella entrò nella sua Mercedes nera, facendo attenzione a dove metteva i piedi, e a dove strusciava il vestito. Era appena uscita dal parrucchiere, che per il grande evento le aveva raccolto i capelli in una crocchia pieni di intrecci, la lunga frangia era messa di lato e due semplici boccoli cadevano dietro le sue orecchie.
Beh, era perfetta. O almeno così l’aveva definita Charles, che era passato anche da lei per parlare degli ultimi ritocchi al matrimonio.
Alice intanto era a casa Brandon, che si preparava insieme a sua madre.
Almeno loro, avrebbero avuto un momento madre-figlia per quell’occasione. Senza pensarci due volte mise in moto, ringraziando se stessa per essersi ricordata di mettere un semplicissimo paio di converse nel portabagagli, visto che con i suoi tacchi dodici era impossibile effettuare alcuna manovra.
Impiegò dieci minuti per arrivare a casa Whitlock, sulle note dei Queen.
Ed anche Edward in perfetto orario era lì fuori, con una valigia in mano ad aspettarla. Tre giorni insieme, nel suo appartamento.
Nel suo modesto appartamento. Sì, ci sarebbe riuscita. Infondo era stata lei a proporglielo.
“Hey.” Edward sorrise raggiante, quando la vide scendere dalla macchina per darle una mano.
“Ciao.” Nessun riferimento al vestito.
O alla pettinatura.
Oppure alle sue converse che non c’entravano un bel niente.
Ma cosa si aspettava? Alla fine, loro due non erano niente.
“Dai. Porto la valigia dietro.”
“Nessun problema! Posso pensarci da solo.” Edward cercò di ribattere, tenendo ben stretto a sé il manico della valigia blu notte.
Ed Isabella sapeva che era inutile controbattere, quindi lo scortò silenziosamente verso il portabagagli, dove lui posò la sua valigia.
Ed insieme, entrarono nell’autovettura.
“E’ davvero molto bella.” Indicò i sedili in pelle della Mercedes, ammirandola.
“Grazie. Un piccolo regalo che mi sono concessa.” Confessò, pensando che quella Mercedes era stata la prima cosa grande che si era concessa, anche se i suoi soldi le permettevano molto di più.
“A proposito… che lavoro fai?” Edward sembrava davvero curioso, mentre si sistemava la cravatta dello smoking nero.
“Sono un avvocato.”
“Wow.”
“Che c’è, ti ho sorpreso?” Isabella sorrise, ma non era un sorriso vero. Più che altro uno di scherno.
“Sì… direi di sì.” E Edward, non sapeva come rispondere.
Perché ogni cosa che avrebbe detto, gli si sarebbe ritorta contro.
“Pensavi che fossi finita in uno squallido negozietto di articoli, come quello dei Newton?”
“Di chi?” Ovvio, Edward non conosceva Mike.
Conosceva Jessica, ma non Mike.
Mike Newton che si era trasferito in Florida da qualche anno, lasciando Jessica. La stessa Jessica che ora era a caccia di uomini.
“Niente. Lascia stare.” Isabella sterzò, per poi prendere la strada che portava alla piccola Chiesa.
“Che c’è? Non ti sei coperta bene stasera?” La punzecchiò lui, sicuro che avrebbe riso di quella battutina. O almeno avrebbe risposto a tono.
Ma niente. Continuò a guidare, non mostrando un minimo segno.
“Siamo arrivati, Edward.” Annunciò qualche minuto dopo Isabella, mentre guardava metà degli invitati che erano già fuori la Chiesa.
“Ottimo.” Senza dire altro Edward scese, catturato dalla voce stridula di Jessica Stanley.
“Ma quella è ancora in agguato?”
Oh, Jake!” Isabella neanche lo salutò, catapultandosi fra le sue braccia. Era da quella mattina che dovevano vedersi.
“Qualcosa non va?”
“No, tutto bene. Edward non ha fatto nessun apprezzamento sul mio abito.”
“E sulle tue scarpe, se non le cambi.” Aggiunse Jacob, indicandole i piedi. Ancora indossava quelle stracciate converse nere.
Isabella sbatté una mano sulla fronte, scuotendo la testa.
“Sono un idiota. Aspetta qui.” Dal lato del passeggero prese i suoi tacchi tarchiati, reggendosi sulla spalla di Jake per cambiarsi le scarpe. “Okay, grazie.”
Jacob sorrise, facendo un segno con la mano come per dire ‘lascia stare’.
“Abbiamo un grandissimo problema! BELLA! BELLA!” Isabella si voltò, catturata dalla voce di Jasper.
“Che succede? Non dirmi che il prete sta male!”
“Non è il prete a star male.” Comunicò Jasper, con l’aria affranta. Intanto Edward si era avvicinato al gruppetto, con Jessica alle calcagne.
“Alice?” Ma sperò ardentemente che non fosse così.
Alice non poteva star male. Non si ammalava mai.
“No. James. Ha contratto quell’influenza che gira in questo periodo. Pensava di riuscire a venire, ma è chiuso al bagno da stamattina! Ed io come lo dico ad Alice? Oh, Dio!” Jasper mise tutte e due le mani fra la sua testa, scuotendola energicamente.
“Beh, non è grave. Io posso benissimo fare la navata da sola, ed è tutto risolto.”
“La navata da sola? Era tutto nei piani di Alice, tutto! Questo è il suo giorno perfetto! E poi James doveva fare il discorso alla cerimonia!”
“Okay, calma!” Bella lo prese per le spalle, aprendo la portiera della sua Mercedes per farlo sedere al lato del guidatore.
Poi, si abbassò alla sua altezza. “Ora, respira. Con calma.”
Jasper cercava di respirare, ma non ci riusciva.
Avrebbe deluso Alice, la sua futura moglie.
“Non è un matrimonio senza intoppi, no? Quindi, cerchiamo di mettere a posto le cose. Io farò la navata da sola, e su questo non ci piove. E farò anche il discorso, ma per Alice. Nessuno si aspetta il discorso di James, vero?”
“Nessuno? I miei genitori. E tutti i nostri amici. E quello sta male!” Sbottò Jasper, allargando le pupille.
“Prendete Edward, no?” E mai idea di Jacob Black fu più squallida.
“Non se ne parla!”
“Sarebbe fantastico!” Bella e Jasper avevano parlato insieme, alzandosi in piedi.
“Edward, lo faresti? Percorrere la navata con Bella, e sprecare due parole per il ricevimento? Eh?”
Lui alzò entrambe le spalle, come per dire che per lui non era un problema.
“Se per voi va bene.”
“Va bene? Certo che va bene.” Jasper gli si avvicinò, per abbracciarlo.
E intanto Isabella voleva sprofondare.
E avvicinandosi alla piccola Chiesa, Isabella gli puntò un dito contro.
“Guai a te se mi fai cadere.”
“Sì, anche io sono felice di accompagnarti all’altare!” Urlò lui, mentre la vedeva allontanarsi.
“Tu non mi accompagnerai mai all’altare, Cullen!
Mai dire mai, Swan.
 
*
 
“E tu, Alice Mary Brandon vuoi prendere come tuo futuro marito Jasper Whitlock per amarlo, onorarlo e rispettarlo per il resto della tua vita?”
“Sì, lo voglio.”
“E con il potere conferitomi, io vi dichiaro marito e moglie.” Il prete con un cenno della mano indicò Jasper. “Puoi baciare la sposa.”
Jasper le tirò su il velo, posandole un casto bacio sulla guancia. Mentre un boato scoppiava nella Chiesa.
Isabella si asciugò una lacrima solitaria, facendo finta di niente.
Intanto Edward dall’altra parte della sala la guardava, con un sorrisino.
Alla fine il percorso della navata non era stato un totale disastro. Ben stretta al suo braccio, era riuscita a camminare senza intoppi.
E poi era toccato ad Alice. Nel suo lungo abito bianco.
Era perfetta.
E tutto era andato nel miglior dei modi. La cerimonia (di ben due ore!), ed ora anche il ricevimento.
“Isabella! Isabella!”
Bella, che si stava dirigendo al suo tavolo con un piatto stracolmo di cibo in mano, si voltò.
Verso la signora Stanley.
“Sì?” Con il suo miglior sorriso finto la raggiunse al suo tavolo.
Dove c’era la famiglia Stanley, la famiglia Newton e Edward.
“Perché non ti siedi qui con noi?”
“Oh, la ringrazio! Ma mi stanno aspettando al mio tavolo.” Con un dito indicò un tavolo poco più in là, dove c’erano Jake, Leah, Angela e il suo fidanzato Ben.
“Ma sono tutte coppiette, ragazza mia! Vieni, siediti qui con noi.”
Ottimo, ora ci mancava soltanto la signora Stanley che le ricordava di essere una zitella.
Senza dire altro prese una sedia vuota, e la trascinò fino a quel tavolo. Vicino a Edward.
“Allora, che mi racconti del lavoro?”
Isabella prese un’oliva verde, portandosela alla bocca. Dopo averla mandata giù, parlò.
“Tutto bene, grazie.”
“Ne sono felice. Una mia amica tempo fa è stata al tuo studio, e non a fatto altro che complimentarsi.”
“Oh. La ringrazi.” Ed anche se era una zitella, nel campo lavorativo non potevano dirle niente.
“Certamente.”
“E dimmi… siete chiusi in questo periodo?”
“Sì. Con Angela ci siamo prese una pausa per la settimana. Riapriremo il ventotto.”
Il giorno in cui Edward sarebbe partito.
Ed era soltanto il venticinque.
“Fantastico! Vedi Jessica, dovresti prendere esempio da Isabella. Con le sue sole forze, è riuscita ad aprirsi uno studio legale.”
“Oh, ma non è vero. La SPA di Jessica è fantastica. Se avessi più tempo ci passerei molto volentieri.” Aggiunse Bella, facendole un cenno con la testa.
Anche se con Jessica non scorreva buon sangue, una cosa che odiava erano le persone che contestavano il proprio lavoro.
Certo, lei era riuscita ad aprirsi lo studio legale anche con un po’ di fortuna, e con del duro lavoro.
Ma anche Jessica si era aperta quella SPA a Port Angeles dopo una laurea e un master, che le era costato una gran fatica.
“E tu Edward, invece? Che lavoro fai?”
“Il Pediatra, signora Stanley.”
“Wow. Lavori a Londra?”
“Certo.” Rispose lui, avvicinandosi il calice di vino rosso alle labbra.
“Ma… scusa se mi intrometto… come mai non sei più tornato? Credevo che ti trovavi bene con la famiglia Swan, no? E, scusa di nuovo, ma credevo che fra te e Bella ci fosse del tenero!” La signora Stanley diede una lieve bottarella sul gomito di Isabella, schioccandole un’occhiata complice.
Oh, Dio!
“Mi trovavo molto bene con la famiglia Swan.” Annunciò Edward, posando il calice. “Però ho avuto problemi a casa. E poi c’è stato l’ultimo anno, e subito dopo il College. Ma sono sempre rimasto in contatto con loro.”
Con Jasper ed Alice, aggiunse mentalmente Bella.
“Che College hai frequentato?”
“Con una borsa di studio sono riuscito ad entrare a Yale.” Isabella quasi si strozzò con il crostino che stava masticando. E prontamente Edward le diede due botte lievi sulle spalle.
“Tutto bene?”
“Ss-ì. Sì.” Prese dell’acqua, sorseggiandola tutta.
“Bella… non sei andata anche tu a Yale?” Chiese Jessica, innocentemente.
“Già.” Commentò atona, senza voltare il viso verso Edward.
Non voleva vedere la sua espressione.
Cinque anni nello stesso posto, e non si erano mai visti. Mai incrociati. In nessun modo.
Ma non ci riuscì. Si voltò nella sua direzione, e notò che aveva la bocca aperta e la mano ancora posata sulle sue spalle.
“Beh, allora perch-”
LA TORTA!” E certe volte, il Wedding Planner era da ringraziare in ginocchio.
Tutta esaltata la signora Stanley si alzò, seguita da sua figlia.
“F-forse… dobbiamo andare.” Con un groppo in gola Isabella si alzò, bloccata per il polso dalla stretta di Edward.
“Sei andata davvero a Yale?” Domandò, sperando di ricevere una risposta negativa.
“Sì.”
Cos-… Ma perc-?”
“Edward, io non sapevo che fossi andato a Yale. L’ho scoperto ora, insieme a te.”
Oh.
“Dai, andiamo.” E questa volta fu Isabella a stringere il polso di lui, trascinandolo vicino al tavolo dove gli sposini stavano tagliando la torta.
 
*
 
“Cinque anni nello stesso posto e non ci siamo mai incontrati.” Edward scosse la testa, questa volta divertito, trascinando la sua valigia al centro del salone.
Erano le quattro del mattino, e dovette dare ragione a Bella.
Alice non ci andava piano con le feste, affatto.
“Allora… Ora ti tiro giù il divano, e ti metto le coperte. Intanto se vuoi puoi usare quel bagno.” Accompagnò la frase con un sonoro sbadiglio, mentre teneva in mano le sue scarpe. E indicò il secondo bagno, quello comune.
“Fantastico.”
“Bene.” Tutti e due al centro del salone, imbarazzati come non mai.
“Allora, io vado a mettermi il pigiama.” Isabella si voltò, imboccando il corridoio per arrivare alla sua camera.
“Bella?”
“Sì?”
“Quando parliamo?”
“Dopo. Domani mattina. Dopodomani. Abbiamo tutto il tempo, Edward.” E senza aggiungere altro, si chiuse nella sua camera.
Sfilò il vestito con un po’ di fatica, e con altrettanta iniziò a togliere tutte le forcine che il parrucchiere le aveva messo in testa.
Non credeva fosse possibile che così tante mollettine potessero reggere un’acconciatura che sembrava semplicissima.
“Isabella?”
“Ecco!” E senza pensarci due volte uscì dalla camera, senza guardarsi neanche allo specchio.
Senza notare cosa aveva addosso.
Oh.” Meravigliata dal comportamento di Edward, abbassò lo sguardo insieme a lui. Notando in quell’istante che la definizione di ‘pigiama’ per lei consisteva nella sua felpa e un paio di pantacollant neri.
“Sì… okay. Diciamo che questo è il mio pigiama, cioè…
“Non devi darmi spiegazioni.” La liquidò lui, con un cenno della mano.
Ed Isabella lo ringraziò mentalmente.
“Sì, va bene. Allora, che ti serviva?”
Ah. Non viene acqua in quel bagno.” Edward indicò il bagno comune, dove pochi minuti prima aveva cercato di far uscire l’acqua in ogni modo possibile, per non disturbarla.
“Oh, no! Jake non ha aggiustato la pompa! Senti, vai al mio bagno!” Bella si spostò, per lasciarlo entrare nella sua camera.
“Ne sei sicura?” Lei arcuò tutte e due le sopracciglia, scoppiando a ridere.
“Edward, sei mio ospite. Secondo te non lascio usare il bagno?” Scuotendo la testa entrò in camera prima di lui, indicandogli il piccolo bagno.
“Fai con calma, intanto io vado a prepararti il letto.”
“Sì, va bene. Grazie.”
“Nessun problema.”
Con calma tirò giù il divano, togliendo il copri divano per metterci sopra un lenzuolo bianco e un piumone colorato.
E sul piccolo tavolino di vetro, trovò una copia di Cime Tempestose.
La stessa copia che aveva regalato a Edward nove anni prima, inviandogliela a Londra. Quando se l’era trovato a casa sua per la vigilia di Natale.
“Diciamo che non sono mai riuscito a capire bene perché mi hai fatto quel regalo.” Sobbalzò, mentre Edward si sedette accanto a lei sul divano, che ormai era diventato un letto.
“Perché in una delle prime telefonate, mi hai detto che odiavi Cime Tempestose, e i protagonisti. Allora ho deciso di regalartela. Ancora la tieni?”
“Certo. E l’avrò riletta un migliaio di volte. Senza mai capire niente.” Isabella posò la copia con cura sul tavolo.
“Davvero?”
“Sì.”
“Cambierai idea, prima o poi.” Annunciò lei, alzandosi per sgranchirsi le braccia.
“Ci sto provando. Intanto… parlami del tempo che hai passato a Yale?”
Isabella sorrise, sedendosi nuovamente a gambe incrociate.
“Non ti arrendi mai, eh?”
“No. E ancora non riesco a capire per quale motivo non ci siamo mai incontrati.”
“Questo non riesco a capirlo neanche io. Ero… alloggiavo nell’edificio nove.”
“Io nel primo.” Beh, almeno ora sapevano che erano un bel po’ lontani.
“Però… so che c’era Emmett a Yale. Parlavo spesso con lui.”
Edward strabuzzò gli occhi.
“Cosa?”
“Sì. Non lo sapevi?”
“Certo che lo sapevo! Condividevamo la stessa stanza!”
Oh, Dio!” Isabella passò entrambi le mani sui suoi capelli, aggrovigliandoli.
“Che c’è?”
“Ecco perché ogni volta che dovevamo organizzare qualcosa, veniva sempre lui da me. Non mi invitava mai nella sua camera.”
Bastardo…” Commentò Edward, sdraiandosi dall’altra parte del divano. Per stare davanti a Bella.
“Non possiamo di certo biasimarli. Se Emmett non ha detto niente a te, ed Alice e Jazz non hanno detto niente a me. Dopo tutto quello che era successo, non volevano interferire oltre.”
“Appunto… ero un ragazzino stupido, Isabella.”
“Ed io dovevo crederti. O almeno capire chi era Jane.”
“Jane ora lavora con me.” E se proprio dovevano parlare e dirsi tutta la verità, tanto valeva farlo ora.
“Cosa? State insieme?” Domandò, quasi allarmata.
“No. No, certo che no. E’ infermiera nel mio stesso Ospedale, niente di più.”
Oh.” Sospirò interiormente, cercando di non farlo notare a Edward.
“Ma se siamo qui… per cinque anni siamo stati nello stesso posto, senza mai incontrarci. Se siamo qui, ora… forse ci sarà un motivo, no?” Edward si mise nuovamente a sedere, avvicinandosi a Bella.
“Tu credi nel destino?” Sussurrò lei, piano.
Isabella, non ci credeva.
O perlomeno, fino ad ora.
“Non lo so. Però ora siamo qui, a casa tua. Dopo nove anni, ci siamo incontrati per una cosa organizzata. Mai per caso, o per strada. Mai. Questo è destino?”
Isabella sospirò, combattuta fra la sua testa e il suo cuore.
Perché le cose che non doveva fare erano molte, in quel momento.
Ed altrettante quelle che voleva fare.
E non ci pensò oltre.
“Non lo so, Edward. Ma voglio crederci, almeno per una volta.” E senza lasciarlo parlare, si avventò sulle sue labbra.
 
**
 
Possibile che Edward e Bella non si siano mai incontrati a Yale? Possibilissimo. Ora si sono parlati, e vedrete cosa accadrà nel prossimo capitolo. Ah, una precisazione. Dovete tener conto che Edward ha passato dal 22 Febbraio al 25 a casa di Jasper. Poi, il 25 si è trasferito da Bella. Quindi, parte il 28 per Londra. Dovrebbe partire il 28 per Londra… Bon, vi lascio.
Alla prossima!
Tatiana.

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Capitolo 20
*** Ventesimo Capitolo. ***


Vi ricordo che questo è l’ultimo capitolo di ‘Scambio Culturale’. Ma vi ricordo anche che manca l’epilogo.
Buona lettura.
 
Ventesimo Capitolo
 
Isabella aprì gli occhi, più stanca del previsto. Come se non avesse dormito per tutta la notte.
Se li sfregò con energia, finché mise a fuoco ciò che la circondava.
Un tavolino di vetro dinnanzi a lei, e poi l’enorme TV al plasma. Poco più in là, c’era il piano cottura. Poi, la cucina.
Stordita si passò una mano fra i capelli, cercando di fare mente locale.
Era entrata nella sua camera, per togliersi l’abito del matrimonio.
Poi, Edward aveva bussato.
Si erano parlati.
E lei.. sì, lei l’aveva baciato e… Per vedere se il suo cervello fosse intatto, e non desse di matto, alzò un lembo del piumone per guardarsi il corpo.
Nuda.
Velocemente si ricoprì, guardando al suo fianco.
Era sul divano letto, da sola.
Lo sapeva.
Sapeva che Edward si sarebbe pentito, e che l’avrebbe lasciata. Sola. Come l’ultima volta.
Senza pensarci due volte scese dal letto, prendendo il cellulare.
Uno.
Due.
Tre.
“Pronto?” Un’Alice assonnata rispose dall’altro capo del telefono, e Bella si maledisse per non averci pensato di più, prima di chiamarla.
Infondo, quella era stata la sua prima notte di nozze.
“Sono andata a letto con Edward.” Via il dente, via il dolore.
“COSA?” Dovette allontanare l’apparecchio telefonico, stordita da quell’urlo. Alice si riprese, scuotendo la testa. “Isabella Swan, quando ti ho detto che con Edward dovevate chiarirvi, non implicava chiavarvi.
“Non sei d’aiuto, così.” Sbuffò l’amica, sedendosi nuovamente sul letto. Con il piumone che ricopriva il suo corpo nudo.
“Oh, amore mio! Anche tu non sei stata di grande aiuto! Tu e Edward dovevate solo parlarvi, per l’amor del cielo!” Un grugnito, provenne vicino ad Alice. “Jazz, rimettiti a letto.
“Scusa. La tua luna di miele. Okay, io vado.”
“Guai a te se provi ad attaccare, Isabella!” Alice scandì il suo nome, lettera dopo lettera. “Devi dirmi tutto, nei minimi particolari.”
“Edward non c’è.” Buttò lì, passandosi una mano fra i capelli.
“Cioè?”
“Non c’è. Quando mi sono svegliata, non c’era. Se ne è andato, te lo dico io. Mi ha lasciata. Di nuovo.”
“Vorrei precisare che sei stata tu a lasciarlo, nove anni fa.” Il grugnito questa volta lo fece Bella, alzando gli occhi al cielo.
Non poteva crederci. La sua amica non poteva mettersi dalla parte di Edward!
“E a me sembra che lui non sia mosso più di tanto, eh!” Sbottò inviperita, cadendo nuovamente fra le lenzuola, portandosi il piumone bianco dietro.
“Okay, non tocchiamo questo tasto dolente. Come fai a sapere che se ne è andato?” Chiese Alice, in un sussurro.
“Lo so e basta. Io queste cose me le sento. Se ne è andato, posso assicurartelo.”
“Ma quanto sei melodrammatica!” Urlò Alice, costringendo Bella ad allontanare il cellulare per la seconda volta.
“Il lupo perde il pelo, ma non il vizio.”
“Ora mi sembri mia nonna. Hai il numero di Edward, no? Chiamalo.” Sembrava facile, detto così.
Ma Isabella non ne aveva il coraggio.
Aveva parlato a malapena con Edward, ma era stata pronta a concedersi a lui, di nuovo.
E non poteva chiamarlo. Piombare in quel modo nella sua vita, senza dargli una via d’uscita.
“Ora tu attacchi, e chiami Edward. Fallo, Isabella. Ti prego!”
“Ci proverò.” Ammise infine, sconfitta.
Ma quella era una bugia. Non l’avrebbe mai chiamato.
“Non riesci a mentire neanche per telefono. Ci sentiamo dopo. Ciao tesoro.” Non fece in tempo a salutarla, che Alice aveva già messo giù.
Aveva il cellulare in mano, mentre fissava il Display con insistenza.
Ed erano passati ben venti minuti.
Drin.
Un messaggio.
Con le mani tremanti, proprio come un’adolescente, aprì quella cartellina blu.
Chiamalo!
- Alice.
Con un sonoro sbuffo buttò il telefono sul letto, non rispondendo.
Non voleva rispondere.
Perché rispondere avrebbe implicato chiamare Edward. E lei non voleva chiamarlo.
Passarono altri e venti minuti, quando la serratura della porta di casa scattò. Impaurita si rifugiò sotto il piumone, da brava cretina.
Come se nessuno l’avrebbe vista.
Un altro scatto, e la porta si aprì del tutto.
Rivelando Edward Cullen, con i capelli bagnati e un sacchetto di carta in mano.
Appena vide Isabella, alzò le mani e sbuffò sonoramente.
“Diamine! Già ti sei svegliata? Credevo che avrei fatto in tempo.” Stordita, Isabella sbatté le palpebre.
“Come?”
Con il suo solito sorriso, Edward si avvicinò sedendosi accanto a lei.
“Mi sono svegliato presto, stamattina.” Spiegò, accarezzandole dolcemente i capelli. “Anzi, credo di non aver proprio dormito. Insomma, era presto e non sapevo cosa fare. Allora ho preso le chiavi che erano sul tavolo, e sono uscito.”
“Sei uscito?” Bella ripeté le sue stesse parole, alzando gli occhi al cielo.
Era uscito.
Non era partito per Londra. Era lì, con lei.
“Sì. Volevo prenderti la colazione.” E così, indicò il sacchetto che aveva in mano. “Poi ho visto che era ancora presto. E ho deciso di andare da Renée.”
“Da mia madre?” Sgranò gli occhi, stupita.
“Da tua madre.” Spiegò Edward, sorridendole.
“E… che avete fatto?”
“Abbiamo parlato, per lo più. Mi ha raccontato come è stata in questi nove anni, ed ha cercato anche di alzarmi le mani.”
“COSA?” Ora Bella era ancora più stupita.
“Sì… quando ha saputo tutta la storia.”
Allora Isabella capì. Renée aveva sempre saputo che lui l’aveva lasciata, per un’altra.
E poi, chiarendosi avevano deciso di non sentirsi più.
Peccato che quel chiarimento non c’era mai stato.
Oh.
“Eri preoccupata?” Le domandò, innocentemente.
“Credevo…” Imbarazzata, abbassò lo sguardo. “Credevo che te ne fossi andato. Cioè… che fossi partito.”
“Non lo farei mai.” E questa volta si avvicinò, per baciarla.
Lentamente, senza tralasciare nessuna parte del suo viso.
“L-la colazione…”
“Magari dopo…” Edward circondò la sua nuca con una mano, trascinandola su quel letto insieme a lui.
Insieme, di nuovo.
 
*
 
La testa le girava, nel secondo risveglio.
C’era troppo trambusto intorno a lei, e maledì chi lo stesse facendo.
Sgranchendosi le gambe e dopo una bella strofinata agli occhi, decise di aprirli per mettere a fuoco ciò che la circondava.
Sempre la sua sala, e la sua cucina.
E il tavolo di vetro davanti a lei.
Ma questa volta non era nuda. Indossava la felpa di Edward.
“Bella! Bella!” Ma questo non era Edward.
Jacob…
“Che c’è?” Chiese, con la voce impastata dal sonno.
“LEAH!” Urlò, dalla tromba delle scale.
Senza pensarci due volte Isabella scese dal letto, avviandosi alla porta.
Edward era dentro, accanto ad un uomo con il camice verde.
“Jake…” Sussurrò appena, sbattendo gli occhi.
“S-sta.. per partorire.” Annunciò infine il suo amico, con lo sguardo perso nel vuoto.
Spaventato fino al midollo.
“Jake, sta calmo. Dove la stanno portando?”
Jacob le se rivoltò contro, con una smorfia che gli dipingeva il viso.
“Sta per partorire, Bella. DOVE DIAMINE PENSI CHE LA PORTINO?”
“Giusto.” Ancora davanti alla porta di casa di Isabella, Edward uscì da casa Black.
“Tutto bene.” Annunciò, con la fronte imperlata dal sudore. “E’ in travaglio, ma penso che nel giro di qualche ora saranno nati.” Diede una pacca sulla spalla a Jake, cercando di trasmettergli sicurezza. “Tu intanto vai all’Ospedale con lei, noi ti raggiungiamo.” Come un automa Jake annuì, entrando nel suo appartamento.
Isabella guardò Edward, che con un sorriso le passò una mano sulle spalle.
“Vai a vestirti.” Le sussurrò soave, in un orecchio. “Non voglio che gli altri vedano le mie cose… così.” Precisò, indicando il suo abbigliamento.
Sì, perché sotto alla felpa, non aveva nulla.
Destabilizzata cercò di riprendersi momentaneamente, raggiungendo a grosse falcate la sua stanza.
Indossò un paio di Jeans e delle Converse nere, tenendo la felpa.
“Dai, andiamo.” Edward la stava aspettando nel salone, mentre le tendeva una mano.
Sempre mano nella mano entrarono nella macchina di Bella, e lei nel tragitto Casa-Ospedale chiamò Alice.
Nella sala d’aspetto erano tutti agitati, compreso Jake neo-papà che usciva dalla sala parto ogni tre secondi, sudato e agitato come non mai.
Quando dopo ben dieci ore – sì, proprio le ‘poche ore’ che aveva definito Edward, sentirono dei singulti provenire dalla sala parto.
Si alzarono tutti in piedi contemporaneamente, avvicinandosi alla porta chiusa.
Dopo due minuti, uscì Jake con le lacrime agli occhi.
Isabella gli si avvicinò, per abbracciarlo calorosamente.
“Auguri, papà.” Gli sussurrò in un orecchio, mentre lui la stringeva a sé con ancora più forza.
Dopo altre e due ore, poterono entrare per vedere Leah.
“Hey.” Alice le si avvicinò, accarezzandole dolcemente i capelli.
“Ciao.” Leah era stanca e assonnata, mentre con gli occhi lucidi salutava tutti. Un’infermiera portò subito i due bambini, nelle loro rispettive cullette.
Una tutina rosa per… Elizabeth Black e una tutina blu per… Robert Black.
Erano così belli, che Isabella perse più ore a cullarli, fissata da due occhi smeraldo.
Quando l’infermiera mandò via tutti, a Forks era calata la sera.
“Quando ci vediamo?” Domandò Alice, una volta nel parcheggio dell’Ospedale.
“Dopo una bella dormita.” Rispose per lei Jasper, tirandola per un braccio.
“Giusto.” Gli diede gomito Edward, guardando l’espressione crucciata di Alice.
“Ci vediamo domani, promesso.” Bella accompagnò tutto da un sonoro sbadiglio, baciandole una guancia. “A domani.” Si salutarono, e ognuno si diresse per le proprie case.
Una volta giunti nell’appartamento Swan, Bella si buttò a peso morto sul divano.
“Sono stanca morta.” Annunciò, sfregandosi gli occhi.
“A chi lo dici.” Sussurrò Edward, prendendola per i fianchi. “Dormiamo, amore mio.” Le disse infine, facendola scontrare sul suo petto.
E lei si addormentò immediatamente, felice.
 
*
 
Per la terza volta, svegliata dai raggi del sole che filtravano dalla finestra aperta.
Questa volta si svegliò con un sorriso felice stampato sulle labbra, convinta di avere qualcuno accanto a lei.
Peccato, che quando si voltò non c’era nessuno.
Di nuovo. Per la terza volta.
Il lupo perde il pelo, ma non il vizio.
Questa volta non pensò se la sua amica stesse dormendo, ma compose il suo numero velocemente.
“Questa sarà la mia sveglia mattutina, vero?” La voce di Alice era assonnata, segno che ancora stava dormendo.
Accanto a Jasper. Con suo marito. Con l’uomo che l’amava.
Ma un singhiozzo la fece bloccare. “Bella?” Domandò cautamente, dall’altro capo del telefono.
“Se ne è andato, Alice. Ne sono convinta, stavolta.”
 
**
 
Ora avete capito la mia nota iniziale, vero?
Non uccidetemi. Epilogo dopo il sei settembre, sorry!
P.s: chi insinuava che i miei finali da soap erano scomparsi? Ehm…

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Capitolo 21
*** Epilogo. ***


Epilogo
 
Isabella prese la sua borsa beige, le chiavi della macchina e l’ombrello che era nell’ingresso notando una valigetta nera posta su una sedia, accanto alla porta d’entrata.
Ottimo, suo marito si era dimenticato la ventiquattrore. E per l’ennesima volta nell’arco di quella settimana.
Con un sorriso la prese, uscendo dalla villetta bianca e salendo sulla sua Mercedes.
Le strade erano bagnate dalla pioggia, come sempre. Tirò fuori dalla borsa il suo cellulare, scrivendo un messaggio alla sua collega, informandola che avrebbe tardato di qualche minuto.
Parcheggiò nei sotterranei dell’edificio bianco, scendendo dalla macchina e chiamando l’ascensore. Dopo cinque minuti buoni, era nel reparto di Pediatria.
Sorrise, quando vide Elizabeth seduta su una sedia di plastica, mentre compilava qualche modulo.
“Isabella!” La salutò, appena la scorse.
“Elizabeth! E’ un piacere rivederla!” Quante volte le aveva detto di darle del tu? Forse troppe, ma Isabella non ci riusciva.
“Oh, tesoro anche per me! La piccola dov’è?”
“Dai nonni.” Spiegò, avvicinandosi.
“Dovreste venire a trovarmi un giorno di questi. Lo dico sempre a tuo marito.”
“Con il lavoro e tutto il resto, siamo fortunati ad avere i genitori che ci tengono la bambina.”
“Ti capisco benissimo, tesoro. Comunque, lui è nel suo studio.” E le indicò una porta infondo al corridoio, che Isabella conosceva fin troppo bene.
“La ringrazio!” E così si diresse a passo spedito verso lo Studio, mentre la sua mente tornava a un anno prima, quando aveva saputo dell’esistenza di Elizabeth.
 
“Bella, è impossibile. Non se ne è andato! Ne sono pienamente convinta!” Alice cercava di convincere la sua migliore amica, quando iniziava a sospettare anche lei di una fuga da parte di Edward.
“N-no.” Singhiozzò al telefono, tappandosi la bocca con una mano. Sembrava un adolescente alla sua prima cotta. Quando il fidanzato ti lascia senza una spiegazione.
Peccato che Edward l’aveva già fatto con lei, ma non aveva versato una lacrima nove anni prima. Ora, stava rimediando per tutti gli anni passati.
“Shh. Tesoro, ora prendo la macchina e vengo da te.” E si sentì terribilmente in colpa in quel momento.
La luna di miele di Alice era stata rovinata in partenza, con la prima chiamata di Bella. Poi, c’era stato il parto di Leah, che per quanto felice aveva lasciato tutti un po’ spossati. E poi, di nuovo un’altra chiamata da parte della sua migliore amica.
“No. No, scusami. Non venire qui. Stai con Jazz. Ora chiamo Edward, promesso.” E questa volta non mentiva. Perché voleva chiamarlo. Sapere dov’era, farsi spiegare perché se ne era andato, di nuovo.
“Okay. Fammi sapere, qualunque cosa accada.”
“Certo. Ti chiamo dopo.”
“Ciao, tesoro.”
“Ciao Alice.” Riattaccò, asciugandosi le ultime lacrime che sgorgavano dai suoi occhi e prendendo un bel respiro.
Impiegò meno di due minuti a comporre il numero di Edward, per far partire la chiamata.
Peccato che il suono provenne da casa sua. Precisamente dalla porta d’ingresso, che si stava aprendo.
Con il fiato sospeso Isabella non attaccò, pensando che fosse tutto frutto della sua immaginazione. Fin quando Edward con due una bustina di carta in mano entrò nel salone, fissandola sbalordito.
Aveva le guance infiammate e gli occhi gonfi. E lui, se ne era reso conto immediatamente.
“Cos’è successo?” Domandò in un sussurro, ricevendo una cuscinata in pieno viso.
“COS’E’ SUCCESSO? Te ne sei andato già una volta! Vuoi avvertirmi quando esci? Svegliami!” Gli inveì praticamente contro, alzandosi dal divano.
“Hey, dovevo fare una telefonata urgente.”
“I tuoi?”
“No, Elizabeth.” Spiegò semplicemente, riponendo il cuscino al suo posto.
“S-stai con un’altra?” Ovvio, non c’era spiegazione più logica.
Per nove anni non si erano visti, ed ora lui era fidanzato. Forse anche sposato. Ed era andato a letto con Bella.
“Cosa? No, no. Certo che no. Elizabeth lavora con me, ed ha più di cinquanta anni. Sai, è sposata con un marito e una famiglia. Comunque, le ho chiesto altri due giorni di ferie.”
“Perché?” Gli domandò subito, avvicinandosi lentamente a lui.
“Perché, eh?” Sussurrò Edward, prendendole le mani fra le sue. “Perché non voglio andarmene. Perché voglio passare il resto della vita con te, Isabella Swan. E perché ora possiamo farlo, siamo persone adulte, maggiorenni e vaccinate. E Dio solo sa perché non sono corso da te, nove anni fa!” Alzò le mani al cielo, pentendosi di quello che aveva fatto negli anni passati.
“Cosa hai detto?”
“Che forse, dovevo parlare con te, nove anni fa. Spiegarti, non mandarti via.”
“No, no.” Isabella scosse energicamente la testa. “Intendevo, prima.” E allora Edward capì.
“Ho detto che non voglio più lasciarti.” Confessò, nuovamente. “Che ti voglio tutta per me.”
“Come… come faremo?”
“Beh, tu sei un avvocato. E a Londra, potrai benissimo trovare lavoro. Ed io sono un medico. E se qui c’è un Ospedale a stento, anche se sono specializzato in Pediatria potrò tornare a fare l’infermiere, se questo è necessario.”
“Scombussolare tutta la tua vita per… me?”
“Sì.” Dritto e secco. Bella si grattò la testa, per poi abbassarla.
“Aspetta… tu non vuoi? Non vuoi stare con me?” Domandò infine Edward, spiegandosi in quel momento quello strano comportamento.
“Certo che voglio! Voglio stare con te, Edward. Ora, e per sempre.” Sorrise, ancorandole con una mano la vita, per farla combaciare con il suo bacino.
“Ti amo, Isabella Cullen.” Le sussurrò sulle labbra, prima di baciarle.
“Cosa?”
“Certo, perché tu diventerai anche mia moglie se non l’hai ancora capito.”
 
Isabella scosse la testa, sorridendo nel ricordare quei vecchi ricordi.
Era stata la proposta di matrimonio più strana che avesse mai visto in vita sua, ma appunto, quello era Edward.
Bussò una volta alla porta, e senza aspettare una risposta entrò.
Suo marito era seduto sulla sedia di pelle, con una montatura nera posata sul naso e una penna in mano.
“Elizabeth mi ha porta-”
“Sì, la tua ventiquattrore.” Continuò Isabella, mentre con un sorriso lui alzava lo sguardo da quelle scartoffie.
“Hey.” Si alzò, per stamparle un bacio sulle labbra.
“Buongiorno.” Si erano visti a malapena nel corso della mattinata, anche perché Renesmee aveva dormito dalla nonna.
“La piccola?”
“Con Esme e Renée.” Spiegò lei, approfondendo quel bacio.
Un anno prima avevano deciso infine che sarebbe stata Isabella a lasciare Forks, e il suo Studio nelle mani di Angela. Si fidava di lei, ed era la persona più idonea a prendersi cura dei suoi clienti nel modo migliore. E come aveva detto Edward, non fu affatto difficile trovare un lavoro a Londra.
Aveva aperto nel corso di sei mesi uno Studio tutto suo, stupendosi nel sapere che il suo nome era affermato anche fuori dalla sua piccola cittadina.
Ma ovviamente, non poteva lasciare sua madre da sola. Dopo vari tentennamenti Renée aveva deciso di seguirli, e aveva preso una piccola casa accanto alla villa dei Cullen. Qualche isolato più avanti, abitavano Isabella e Edward.
“Non la vizieranno un po’ troppo?”
“Ti dico solo che la prima parola che ha detto tua figlia è stata ‘Nonna’.” Specificò lei, staccandosi di qualche centimetro da quell’abbraccio.
“Sì, ricordo perfettamente.” Nessuno poteva dimenticare quel momento esilarante della loro vita famigliare.
Erano a cena, e Edward stava dando il vasino di carne a sua figlia, mentre con il labiale le faceva vedere a rilento come si pronunciava ‘Papà’. Era convinto al cento per cento che fosse stata la prima parola che avrebbe detto, e invece quella stessa sera Renesmee se ne era uscita fuori con ‘Nonna.’ Edward aveva di colpo smesso di darle da mangiare, alzandosi e uscendo dalla cucina.
Lasciando sia lei che sua figlia sbigottite da quel comportamento.
“Okay amore, ora devo andare. Mi aspettano.” Isabella gli lasciò l’ennesimo bacio, afferrando la sua borsa.
“Devi proprio?”
“Sì. E anche tu. Quindi, ci vediamo stasera.”
“Non dimenticarti la cena!” L’ammonì Edward, mentre lei usciva dal suo Studio.
“E tu non dimenticarti tua figlia!” L’ammonì Isabella, ricordando che una volta Edward si era dimenticato di andare a prendere Renesmee dalla nonna.
 
*
 
Isabella si strofinò le mani sullo strofinaccio che aveva legato in vita, poi passò ai fornelli.
Era tornata a casa da una mezz’oretta, e si era subito dedicata alla cena. Erano sei mesi che lei e Edward erano sposati, e ovviamente suo marito voleva festeggiare ogni singolo anniversario.
Per quello, avevano deciso di stare a casa, insieme a loro figlia.
Una normale cena di famiglia, insomma.
Quando sentì la serratura scattare, si diresse verso l’entrata. Scorse subito una chioma rossa e ricciuta fare capolino dalle braccia di Edward.
“Amore!”
Mama!” Per sua figlia, le lettere doppie erano un optional per le poche parole che aveva imparato. Si sporse dalla braccia del padre, mentre Isabella la prendeva per issarla sul suo braccio.
“Allora, ti sei divertita dalle nonne?”
Annuì con il capo, facendo muovere i suoi ricci in alto e in basso. “Amele.”
“Ti hanno dato le caramelle, eh?” Le grattò il pancino, facendola ridere.
“Io te l’ho detto che ce la viziano.” Esordì Edward, stampando un bacio sulle labbra di sua moglie. “Com’è andata la tua giornata?”
“Tutto bene. Solite scartoffie, incontrerò domani i Miller.” Spiegò, togliendo il cappottino rosso a sua figlia. “La tua?”
“Al solito.” Rispose Edward dalla cucina, sgranocchiando un Crackers che era posto sulla tavola apparecchiata.
“Hey! Quante volte ti ho detto che non si mangia prima della cena?” Lo ammonì, dandogli uno schiaffetto sulla mano.
Edward alzò gli occhi al cielo, sorridendo.
“Renesmee, difendimi tu.” Supplicò suo padre, avvicinandosi a le con il capo.
Mama ha ‘gione.” Isabella sentì un moto d’orgoglio che la invadeva.
“Hai visto, sì? Io ho sempre ragione, Cullen.”
“Non ti atteggiare troppo. E guarda l’arrosto.” Edward le pizzicò un fianco, facendole una linguaccia.
Mentre si avvicinava al forno con un panno in mano, Isabella sorrise.
“Ammetti che ti manca la bella vita, eh?”
“No, direi di no. Le belle donne le vedo tutti i giorni in Ospedale, la bella vita la faccio a tua insaputa e ho anche un amante fissa.” La beffeggiò, richiudendo il forno.
Isabella posò la piccola dentro il box, voltandosi verso suo marito.
“Non scherzare troppo, eh!” Edward le andò incontro, prendendola per i fianchi.
“Ah, non ho specificato che le belle donne che vedo in Ospedale hanno un età media tra un mese e dieci anni. Che la bella vita la faccio con mia moglie e che… la mia amante ha appena un anno, ed ora sta giocando con una macchinina.”
“Beh, non credo che lei possa lamentarsi, signor Cullen.”
“No, sono finalmente felice così, signora Cullen.” Edward avvicinò il viso a quello di Isabella, lambendole le labbra con la lingua.
“Ti amo, Bella.” Sussurrò, lasciandole un bacio casto.
“Ti amo anche io, Edward.” Rispose infine lei, ricambiando quel bacio.
E lì, in quella cucina e con la loro famiglia continuarono ad occuparsi beati di quella parte piccola, ma perfetta, della loro vita.
 
**
 
NOTE:
 
Vorrei tanto dire che l’ultima frase è frutto della mia mente maligna, ma non è così. Come ben saprete, l’ultima frase è frutto di quel capolavoro di Breaking Dawn, anche se ho cambiato qualcosa. Ed eccoci qua, all’ultimo capitolo. Sì è davvero l’ultimissimo di questa FF. Niente extra, nessun continuo.
Edward e Bella ne hanno passate davvero tante qui (e ritorniamo alla mia mente maligna!) però ce l’hanno fatta. Ora sono insieme, ed hanno una splendida figlia.
Davvero pensavate che Edward fosse partito? Non lo farei mai, almeno non all’ultimo capitolo!
Ringrazio davvero tutti, dal primo dall’ultimo. Da chi ha recensito dal primo capitolo, da chi ha scoperto la storia proprio dall’ultimo capitolo e a chi ancora dovrà leggerla. Alle anime che mi sopportano su Facebook, a quelle su Twitter. Trovate tutti i miei contatti nella pagina autrice. Grazie, grazie e grazie. Spero che mi seguirete anche nelle mie altre storie. Bon, non so proprio cosa aggiungere, se non un immenso GRAZIE. A tutti.
Alla prossima.
Tatiana.

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