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Autore: Tati Saetre    10/03/2011    6 recensioni
Isabella Swan si trova a casa di Edward Cullen, a causa di uno scambio culturale.
Edward Cullen si trova a casa di Isabella Swan, per lo stesso motivo.
Uno a Forks, l'altra a Londra.
Riusciranno a incontrarsi, alla fine di questa gita?
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Isabella Swan raccolse lo zaino rosso da terra, e lo issò sulle spalle

Isabella Swan raccolse lo zaino rosso da terra, e lo issò sulle spalle.

Guardò la sua figura riflessa nello specchio per qualche istante, e poi decise che poteva anche scendere. Quella mattina aveva indossato un paio di jeans bianchi - rigorosamente regalati dalla sua migliore amica Alice, della marca più costosa e all’ultima moda -, insieme ad un maglioncino marrone.

Sua madre Renée la stava aspettando sull’uscio della porta di casa, nella mano destra teneva le chiavi della macchina, e nella sinistra stringeva il manico della valigia.

Già, Isabella sarebbe partita proprio quella mattina, per Londra.

I soliti scambi culturali che organizzava la Forks High School ogni singolo anno, per i ragazzi del terzo anno.

“Allora? Hai preso tutto?” La ragazza sorrise, scuotendo la testa.

“Sì, ho preso tutto. Possiamo anche andare.” Richiuse la porta dietro di sé, e lasciò casa Swan alle sue spalle.

Una volta salite sul Pick up rosso, con un rombo degno di quell’autovettura Renée riuscì a metterla in moto.

“Ricordati di chiamarmi ogni singolo giorno. E non ascoltare tutte le bravate che vorrà fare Alice, lo sai com’è. Ah, in aeroporto chiama tuo padre.” Queste erano tutte le raccomandazioni che una madre faceva a sua figlia, prima che lei partisse per un’intera settimana.

Isabella sbuffò, quasi infastidita.

Erano più di due mesi che la donna non faceva altro che preoccuparsi per quella gita.

“Già, papà.” Commentò la ragazza, pensando a Charlie Swan.

Il capo della Polizia di Forks quel giorno aveva il turno di mattina, e quindi non aveva avuto modo di salutare la sua unica figlia.

Nonché preferita, servita e riverita.

“Cerca di non pesare troppo sulla famiglia in cui andrai, okay?”

“Mamma! Di certo non sarò un peso! Lì vedrò a malapena per cena o per pranzo. Il resto del tempo staremo in giro per la città. Lo sai com’è il professor Banner. Musei, Chiese, Musei e ancora Chiese.” Isabella fece riferimento alla gita che avevano fatto l’anno prima, dove – appunto -, gli aveva accompagnati Mr Banner, il suo insegnante di Biologia. Non avevano fatto altro che entrare in un Museo, per uscire da una Chiesa. La sera uscire era off-limits.

“Allora, parlami del ragazzo che prenderà il tuo posto per una settimana.” Isabella trasalì.

“Non farlo avvicinare hai miei libri. Per nessuna causa al Mondo! Tutte le mie cose sono intoccabili, chiaro?

Renée sorrise, notando che sua figlia era proprio come lei.

Gelosa delle sue cose, fino alle radice dei capelli.

“Va bene. Allora, com’è?”

“Non lo so. Dalla foto non sembrava poi tanto male. Trattalo bene!”

“Oh, sono sicura che a Forks si divertirà molto!”

Isabella roteò gli occhi verso il cielo.

“So che a Forks non c’è molto da visitare, e forse anche lui starà hai domiciliari per colpa dei suoi insegnanti.” Commentò, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Ma ciò non toglie che deve ficcanasare nelle mie cose!”

La signora Swan rise di gusto, questa volta.

“Tesoro, non ti preoccupare! Oh, guarda là! Ashley!”

Erano finalmente arrivate a Port Angeles, dove fuori all’aeroporto c’erano i primi alunni, accompagnati dai genitori.

E ovviamente non poteva mancare Mr Banner, con gli occhiali posati sul naso ed un foglio in mano, che contava le presenze.

Renée indicò con l’indice la signora Brandon, mamma di Alice.

Le due donne erano amiche da quando avevano segnato le loro figlie allo stesso asilo. Poi alle elementari, medie e scuole superiori.

Insomma, anche Alice ed Isabella si conoscevano da sempre.

“Niente commenti imbarazzanti, ti prego!” Implorò Isabella, adottando lo sguardo dolce verso sua madre.

“Oh, non ti preoccupare. Scendo con te!”

“No! Mamma, dai! Cosa ti cambia? Ti saluto qui, va bene? E poi il Banner ti ha chiarito tutto alla riunione, giusto? Quindi ti prego, vai.”

Sua madre sbuffò, scoccandole un’occhiata eloquente. “Non ti preoccupare. Starò benissimo. Ti chiamerò appena metterò piede in Inghilterra!

Lo sguardo da cane bastonato non aveva lasciato il piccolo viso di Isabella, finché Renée Swan fece un cenno affermativo con la testa.

Sua figlia l’abbracciò si slancio, schioccandole un bacio al centro della guancia.

“Va bene. Ci sentiamo dopo!” La ragazza annuì, prendendo la valigia e lo zaino, e uscendo dal Pick up.

La signora Swan salutò con la mano destra Ashley Brandon, che ricambiò con un sorriso.

 

Intanto Isabella era stata travolta dall’abbraccio della sua migliore amica, che era lì da tre quarti d’ora.

“Perché sei già qui?”

“Oh, non sono riuscita a dormire per tutta la notte! Non ne potevo più di stare a casa! Così mi sono fatta accompagnare da mia madre!” Bella lanciò un’occhiata ad Ashley, che rispose con un’alzata di spalle e un sospiro.

Alice era talmente eccitata, che non faceva altro che girare in largo e tondo per tutto l’aeroporto, lanciando sorrisini anche al signor Banner, che ogni tanto rilasciava un sospiro d’esasperazione.

La sua migliore amica avrebbe fatto diventare quella gita un supplizio, per quel povero docente.

Verso le otto e trenta – orario stabilito per l’incontro in aeroporto con tutti gli studenti -, Mr Banner chiamò tutti all’appello.

Ovviamente tutti presenti, visto che appena c’era un’occasione per andarsene da Forks, erano tutti con la mano alzata.

“Allora ragazzi, spegnete tutti i cellulari. Chiamerete i vostri genitori quando atterreremo, per informarli che torneremo Domenica sera alle venti. Guardò tutti, soffermando il suo sguardo sulla figura esile di Mike Newton, che stava sicuramente parlando al telefono con la sua fidanzata Jessica Stanley.

Erano diventati praticamente inseparabili da quando si erano fidanzati, soltanto che Jessica frequentava il quarto anno. Visto che Mike era stato rimandato.

Con un’occhiata ammonitrice Banner fece chiudere la chiamata a Newton immediatamente, mentre la fronte del ragazzo iniziava a imperlarsi di sudore. Succedeva sempre così, quando era agitato. “Il numero dei vostri posti è scritto sui biglietti. Vedete di non perdervi.” Con un cenno della mano Banner invitò tutti i ragazzi a seguirlo, per fare il check-in. Il volo era previsto per le nove e trenta, dato la mandria di studenti che si stagliavano dietro a quel professore cinquantenne, e che avrebbe dovuto tenerli d’occhio tutti quanti, per un’intera settimana.

Ovviamente Isabella ed Alice avevano due posti attaccati, vicino ad un altro ragazzo: Jasper Whitlock.

Anche Jasper conosceva Bella dalle elementari, se è per questo anche Alice, soltanto che lei non l’aveva mai degnato di un’occhiata.

E lui aveva una cotta madornale per Alice, dalle scuole medie.

“Jazz!” Isabella lo salutò, con un sorriso, accompagnato da un cenno del capo.

Alice non l’aveva nemmeno guardato in faccia. Troppo impegnata a riuscire ad infilare il beauty case in alto, alzandosi fino alla punta dei piedi.

Una volta compiuta la sua missione, - con i capelli più scompigliati di prima -, si sedette vicino alla sua amica.

 

Il volo durò relativamente poco.
Alice aveva sfogliato ben sette riviste di moda, leggendole pagina per pagina.

Anche Jasper stava leggendo, ma al contrario della sua cotta madornale, un buon libro.

Isabella aveva dormito per tutto il viaggio, con le cuffiette del suo i-Pod piantate saldamente nelle orecchie.

Atterrati, e sotto la supervisione di Mr Banner, uscirono dall’aeroporto.

Soltanto nel momento in cui Bella mise piede sulla strada, si rese conto che era a Londra. Non era rintanata in quella piccola cittadina in cui viveva da diciassette anni, ma era in Inghilterra!

“Ascoltate! Vedete tutte quelle persone vicino a quel pullman verde? Bene, loro sono le famiglie che vi ospiteranno. Una famiglia per ogni alunno. Forza, prendete il cartellino che vi ho distribuito a scuola, e mettetelo ben in evidenza!

Ilcartellino che vi ho distribuito’ a scuola consisteva in un foglietto striminzito, dove sopra c’era scritto il nome della famiglia.

Così da riconoscersi reciprocamente.

Isabella tirò fuori il suo dallo zaino, e lo mise davanti al suo petto, imbarazzata.

Non come Alice, che aveva iniziato a sventolare quel foglietto in alto, finché una donna bionda e con un sorriso dolce le si avvicinò.

Bene, Alice aveva trovato la sua famiglia per quella settimana.

Isabella tirò un po’ più su quel foglietto, in mezzo a tutta la confusione che si era creata.

Finché una donna si avvicinò anche lei, con i capelli color caramello e gli occhi color nocciola.

Un sorriso da far invidia a quello che aveva riservato poco prima la finta mamma di Alice.

“Isabella, giusto?” Chiese, mentre la ragazza annuiva distrattamente.

“Io sono Esme.” Sorrise ancora, quasi raggiante. “Esme Cullen.”

Sospirò sollevata.
Aveva trovato la sua famiglia per quella settimana.

La famiglia Cullen.

 

Esme Cullen era una donna simpatica, educata e guidava bene.

Sì, guidava bene. Perché Renée Swan non guidava bene. E Isabella non poté fare a meno di notare quel particolare.

Il viaggio in macchina durò poco più di mezz’ora, con qualche domanda qua e là.

Casa Cullen non era poi tanto male.

Una villetta modesta, con due piani e tre bagni.

Insomma, un po’ più grande di casa Swan.

“Mio marito tornerà verso le nove.” Esordì Esme, dopo aver mostrato ad Isabella la sua stanza temporanea. “Questa sera saremo io e te a cena. Se vuoi puoi farti una doccia. Quello è il bagno di mio figlio.” Indicò una porta che stava all’interno della stanza. “Sarà tua per tutta la settimana.”

“Oh, grazie. Grazie per tutto, Esme.”

“Non ti preoccupare, tesoro. Puoi farti una doccia, ti chiamerò quando è pronta la cena. Isabella annuì, chiudendo la porta dietro di sé dopo che la signora Cullen aveva finito di scendere le scale.

Avevano parlato poco di suo figlio.

Sapeva che era un fanatico del Basket. Nonché capitano della squadra della sua scuola. Ma si poteva intuire benissimo anche da tutti i poster che contornavano la sua cameretta, con un canestro pitturato su una parete blu.

Cuscini disparsi su tutto il letto, rigorosamente matrimoniale.

E si chiamava Edward.

Una fanatico del Basket, che si chiama Edward e forse è anche spocchioso, pensò Isabella. I suoi a Forks avrebbero avuto molto da fare.

Entrò nel bagno, e aprì l’acqua calda. Aspettò un po’, e poi diede inizio ad una doccia infinita. Passò per due volte lo shampoo nei capelli, mentre l’acqua bollente scorreva sul suo corpo, rilassandole tutti i muscoli.

Uscì dopo una decina di minuti, asciugandosi con l’accappatoio che si era portata da casa. Sapeva benissimo che tutti gli asciugamani che stavano in quel bagno erano rigorosamente puliti e profumati, ma non si separava mai dal suo accappatoio. Come dalla sua copertina rossa di pile.

Indossò il pigiama, - composto da una maglia extra large di Charlie, e da un paio di fuseaux neri -, e appena finì di indossarli, Esme la chiamò dal piano inferiore.

Decise di scendere con i capelli umidi, ci avrebbe pensato dopo.

Quando sentì l’odore che proveniva dalle scale, un certo languore si impossessò di lei. E si rese conto che non mangiava da quella mattina, prima della sua partenza.

“Non sapevo cosa cucinare”, disse Esme, passandosi una mano sui capelli. Isabella posò lo sguardo sulla tavola apparecchiata, dove c’erano prelibatezze di ogni genere.

Pollo, carne, patate, insalata e quant’altro. “Allora mi sono permessa di cucinare un po’ di tutto. Poi mi dirai cosa ti piace, e lo cucinerò domani.

“Oh, Esme, non dovevi preoccuparti. Mangio di tutto.” Disse la ragazza, sedendosi dinnanzi alla signora Cullen.

“Isabella, mio figlio mangia tutto.” Spiegò Esme, con sguardo eloquente. Per poi iniziare a mangiare. Anche la ragazza si servì un po’ di carne, insieme a dell’insalata.

“Allora, parlami un po’ di Forks!”

“Non c’è molto da dire. Cittadina piccola, fredda e piove sempre.

La donna sorrise.

“Beh, almeno sei abituata al freddo.”

“Già.”

La cena continuò in religioso silenzio, mentre Isabella assaggiava un po’ di tutto, complimentandosi sempre di più con Esme.

“Dopo dovrò chiamare Edward. Sicuramente anche lui sarà arrivato. E i tuoi genitori che lavoro fanno?” Si ricordò in quel momento che lei non aveva chiamato Renée. Che l’aveva raccomandata all’infinito.

“Oh, anch’io dovrei chiamare mia madre.” Disse, dando voce hai suoi pensieri. “Allora, mio padre è lo Sceriffo di Forks. Mia mamma lavora in un negozio, a Port Angeles. Dista poco da Forks. In macchina ci vuole una mezz’ora.”

“Capo della Polizia! Spero che Edward si comporti bene!” Isabella sorrise, pensando già alla strage di cuori che avrebbe fatto quel ragazzo in quella piccola cittadina.

Non aveva mai visto Edward, ma da come si descriveva, era un tipo da strapazzo. Capitano della squadra di Basket, combina guai perennemente… insomma, Bella si era già fatta un’idea.

Esme, tutto quello che hai cucinato era squisito. Ma forse ora dovrei andare a chiamare mia madre, sai com’è…” Apprensiva, ripetitiva, rompi palle e molte altre cose, avrebbe voluto aggiungere Bella.

“Certo, cara. Non ti preoccupare. Anch’io chiamerò Edward, ora. Se ti serve qualcosa, scendi. Quella è la mia camera.” Con un dito indicò una porta a destra, proprio vicino all’entrata. “Resterò qui fino all’arrivo di Carlisle.” Concluse, alzandosi anche lei.

“Allora ci vediamo domani.”

“Ti sveglierò alle sette! Buonanotte, Isabella.”

“Buonanotte, Esme. Grazie ancora.”

 

“Cos’è che non hai capito nella frase ‘Chiamami appena arrivi?’” Renée Swan non era arrabbiata, ma completamente furiosa.

“Mamma, scusa! Ho chiacchierato con Esme, mi sono fatta una doccia e poi abbiamo cenato insieme. Scusa.”

Un sospiro, dall’altro capo del telefono.

“Okay. Insomma, com’è lì?” Isabella sorrise.

“Tutto perfetto. La signora Cullen è molto gentile. Non ho ancora conosciuto il signor Cullen, è a lavoro. Invece lì?”

Dopo qualche minuto di silenzio, sua madre rispose.

“Edward non ha fatto altro che curiosare nelle tue cose. Io gli ho detto di non toccare i tuoi libri, ma-

“Ma cosa, mamma? Dio, quante volte te l’ho ripetuto, è? Oh, Dio!” Quasi urlò, presa da una rabbia ceca.

“Stupida. Ho chiesto gentilmente a Edward di non ficcanasare nelle tue cose. E’ proprio un bel ragazzo. E’ stato gentile e educato per tutto il tempo, ed ora è insieme a tuo padre sul divano, e stanno urlando per una partita di Basket.

La ragazza sgranò gli occhi, dall’altro capo del telefono.

“Cosa?”

“Già. Hanno fatto subito amicizia, ed è iniziato tutto quando Edward ha ammesso di essere il capitano della squadra di Basket. Nemmeno voglio dirti com’è andata la cena. Non hanno fatto altro che parlare di Basket, Football e tutti gli sport che ci sono al Mondo!” Renée era esasperata, ed avrebbe dovuto sorbire tutto quello sport per un’intera settimana.

Charlie amava lo sport, ed ora che aveva un appoggio maschile l’avrebbe sfruttato al meglio.

Isabella nascose una risata soffocata.

Poi un signor sbadigliò le fece lacrimare gli occhi.

“Vai a dormire, tesoro. Ci sentiamo domani, va bene?”

Non le diede il tempo di replicare. “Non ti scomodare. Ti chiamerò io.”

“Va bene, mamma. Buonanotte.”

“Buonanotte.”

Chiuse la chiamata, sdraiandosi sul letto. Le coperte erano calde e profumate.

Così li chiuse, cadendo tra le braccia di Morfeo.

 

Non si accorse di quanto tempo era passato, - forse cinque minuti, o forse erano già le sette, quando il suo cellulare iniziò a squillare.

Aveva freddo.

Per la stanchezza non si era messa sotto le coperte, non aveva messo la sveglia e nemmeno spento il cellulare.

Appunto, il cellulare.

Lo prese, convinta che fosse sua madre. Non guardò l’ora, e nemmeno chi era.

“Pronto?”

“Pronto?” Una voce maschile, dall’altro capo del telefono.

Si stropicciò gli occhi, girandosi sul lato destro. “Chi sei?” Chiese, ancora.

“Chi sei, tu?” Domandò Bella, sbadigliando sonoramente.

“Edward.” Questa volta, la ragazza sbarrò gli occhi.

Cullen?”

“Mi conosci?”

“Oh, Dio. Ti sei fatto dare il numero da mia madre?

“Io non conosc… Oh… Oh! Tu devi essere Isabella. Quella bella ragazza dagli occhi come i cerbiatti, e i capelli che le ricadono in onde morbide sulla schiena.

“Come, scusa?”

“Tuo padre stasera mi ha descritto una radiografia dettagliata sul tuo viso, i tuoi capelli, i tuoi occhi, le tue labbra e il tuo corpo. E dalle foto devo dire che non sei niente male.

Isabella pensò che quello fosse un incubo. Dormire nella camera di quel ragazzo non era affatto salutare.

“Ripeto: chi ti ha dato il mio numero?”

“L’ho trovato nella tua camera. Su un foglietto.”

Bella sbuffò. “Quel foglietto era diretto a mia madre!”

“Io credevo che fosse diretto a me. Un ragazzo si stabilisce a casa tua, così tu gli hai lasciato il tuo numero su un foglietto, per far si che il tutto diventi sempre più intrigante.

“Smettila. Aspetta… che ore sono?”

“A Forks le due di notte.”

“E tu alle due di notte telefoni a una perfetta sconosciuta?”

“Dormo nella tua camera, quindi non sei una perfetta sconosciuta.”

“Ti prego!”

“Dimmi pure!”

Faceva uso di sostanze stupefacenti? Droga, sonniferi o medicinali scaduti?

“Facciamo una cosa. Questa telefonata non è mai avvenuta, è solo frutto di un mio sogno. Un incubo. Ora tu vai a dormire, okay?”

“Okay, mamma.”

“Ciao Edward.”

“Aspetta, aspetta!”

“Che c’è?” Domandò Isabella, mentre gli occhi non ne volevano saperne più niente di richiudersi.

“Salutami mia mamma.”

“Addio, Edward.” Così mise definitivamente fine alla comunicazione.

 

*

 

 

 

NOTE:

Chi non muore si rivede!

Ero convinta che non sarei più tornata qui. Insomma, dopo le ultime fanfictions che ho scritto le idee sono evaporate, come la voglia di scrivere.

Questa fanfiction è nata per caso, e nemmeno so come andrà a finire. Però vi assicuro che tra un impegno a l’altro, riuscirò a mettere la parola Fine.

Vi lascio alle vostre supposizioni da primo capitolo, e poi spiegherò tutto man a mano che la storia andrà avanti.

 

CAPITOLO:

- Non so quanto dista Forks da Londra. Non so nemmeno se c’è il fuso orario. Quindi, mi scuso anticipatamente per la mia ignoranza.

- Come avrete capito da voi, Isabella è a Londra (a casa di Edward), e Edward è a Forks (a casa di Bella.)

 

 

Vi lascio. Al prossimo capitolo!

 

 

 

 

   
 
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