Il ragazzo del Pub

di Tati Saetre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ragazzo del Pub ***
Capitolo 2: *** Edward, mi sono innamorato. ***
Capitolo 3: *** Jake... mi dispiace. ***
Capitolo 4: *** Appuntamento con Isabella Swan ***
Capitolo 5: *** Un bacio come un altro ***
Capitolo 6: *** Preoccuparsi per Isabella ***
Capitolo 7: *** Bella, perdonami. ***
Capitolo 8: *** Il terzo bacio perfetto. ***
Capitolo 9: *** Mi piaci. ***
Capitolo 10: *** Credimi. ***
Capitolo 11: *** Non c'è due senza tre. ***
Capitolo 12: *** Il mio ragazzo perfetto. ***
Capitolo 13: *** Verginella inesperta e paurosa. ***
Capitolo 14: *** Complicazioni. ***
Capitolo 15: *** Un nuovo inizio. ***
Capitolo 16: *** Alaska. ***
Capitolo 17: *** Tutto è bene quel che finisce... bene! ***
Capitolo 18: *** Epilogo - E' tempo di essere felici ***



Capitolo 1
*** Il ragazzo del Pub ***


“Bells, allora io vado

Bells, allora io vado. Sicura che posso lasciarti?”

Sbuffai infastidita da tutte le raccomandazioni che mi stava facendo Charlie.

Neanche fosse la prima volta che mi lasciava a casa da sola, per il suo turno in Centrale.

“Sì, non ti preoccupare. Te l’ho detto, Angela verrà fra poco più di venti minuti e andremo a cena fuori. Alle dieci sarò a casa, sana e salva!”

Mio padre borbottò qualcosa di incomprensibile, infilandosi la giacca.

“Ogni venerdì sera cenate in quel Pub buio e isolato, fuori dalla città!”

“Non eri tu quello che si preoccupava perché sua figlia il venerdì sera non usciva? Ora che esco, non dovresti farti tutti questi problemi!” Puntualizzai, guardandolo di sottecchi.

Da quando mi ero trasferita a Forks, non ero riuscita a socializzare molto. Ed ora che avevo trovato un amica, una vera amica approfittavo della maggior parte del tempo libero che avevo per uscire insieme ad Angela.

“Okay, okay. Chiamami appena tornerai a casa. Ti ho lasciato i soldi sul tavolo, in cucina. Mi raccomando, Bells.”

“Non preoccuparti, papà.” Ripetei, all’ennesima potenza.

Gli schioccai un bacio sulla guancia, e quando uscì – finalmente -, esalai un sospiro di sollievo.

Mi diressi nella mia camera, passando prima dalla cucina per prendere i soldi che Charlie mi aveva lasciato. Poi aprii l’armadio, grattandomi la testa incerta.

Fra meno di venti minuti Angela sarebbe passata a prendermi, e dovevo decidere cosa mettermi. Il più presto possibile.

Dopo aver optato per un paio di fuseaux neri e una maglia lunga viola, mi diressi in bagno. Mi vestii di fretta e furia, passandomi un velo di cipria sulla faccia. Non amavo truccarmi. Mentre mi stavo infilando l’ultima ballerina viola, Angela suonò. Mi catapultai al piano inferiore, regalandole un bel sorriso.

“Sei sempre di buono umore, il venerdì sera.” Esordì, senza nemmeno salutarmi.

Come potevo sbagliarmi? Ovviamente lei doveva sempre puntualizzare ogni minimo dettaglio, e non si sarebbe mai dimenticata di quello.

“Già.” Dissi, cercando di sistemarmi i capelli con una mano, lasciandoli sciolti e disordinati. “Sono pronta, andiamo?”

Annuì, uscendo prima di me.

“Allora, prendiamo quel rottame della tua macchina?” Domandò, dirigendosi verso il mio Pick up.

“Angela! Tratta bene la mia macchina.”

“Ci vuole un coraggio per chiamarla macchina!” Sbuffai, dandole una pacca sulla spalla.

Dopo che con un rombo assordante il mio Pick up si mise in moto, partimmo per le strade si Port Angeles.

“Insomma, tutta in tiro per lui?” Chiese Angela, mentre ci inoltravamo per le strade buie della città.

“Tasto dolente. Lo sai che è fidanzato!” Dissi, scuotendo la testa prima a destra, e poi a sinistra.

“E tu neanche ci provi. Lo sai che ti mangia con gli occhi, tutte le volte che entri in quel Pub?

“Ancora continui? Nemmeno mi guarda in faccia, se non un saluto accennato. Che deve fare per forza.”

“Se sei così sicura perché ogni venerdì ti ostini ad andare a cena in quel Pub?”

“Per l’ottima cucina!” Angela sorrise, lisciandosi la coda che si era fatta in basso a destra.

A chi volevo darla a bere? Tutti sapevano – e quel tutti includeva me ed Angela -, che ogni venerdì andavo in quel Pub per vedere lui.

Era stato una specie di colpo di fulmine, proprio dritto al cuore.

“Oh, Bella, Bella.” Cantilenò la mia amica, scuotendo la testa.

“Ma dimmi… come va con Ben?” Improvvisamente diventò rossa, abbassando la testa.

Ovvio, quello era un tasto dolente anche per lei.

Ben era un ragazzo che frequentava la nostra stessa scuola, ed il corso di letteratura insieme a me.

Ad Angela piaceva, ed anche molto, ma non aveva il coraggio di dichiararsi. Proprio come me.

Insomma, un’accoppiata fantastica.

“Oh, benissimo. Ieri mi ha invitata fuori a cena, ma non ho accettato perché dovevo accompagnare la mia migliore amica dal suo Dio personale. Che lavora in un Pub.” La buttò sul sarcasmo, rubandomi anche un piccolo sorriso.

“Non puoi dirmi niente. Io forse non mi dichiarerò mai, ma tu sei nella mia stessa barca, cara mia.”

“E secondo te perché siamo amiche?” Domandò, abbottonandosi la giacca. Eravamo arrivate, finalmente.

Il viaggio era durato una decina di minuti.

Scendemmo insieme, ed io ci misi qualche minuto in più, perché la mia portiera non voleva chiudersi.

Dopo qualche minaccia, mi avvicinai alla mia amica, prendendola sotto braccetto. E poi andammo verso il Pub.

Guardai l’insegna lampeggiante, prima di entrare.

Cullen’s.

 

Non c’era molta gente.

Fu la cosa che mi saltò subito all’occhio, appena entrata. Il posto non era mai affollatissimo, ma il venerdì c’erano talmente tante persone che era una fortuna se io ed Angela riuscivamo a trovare due posti liberi al bancone.

Ecco perché quel piccolo particolare mi era saltato subito all’occhio. Perché quella sera avremmo trovato almeno un tavolo libero.

Questo significava non vederlo per niente.

“Dopo cena avrò voglia di un cocktail. E tu sarai costretta ad alzati, per prenderlo alla tua migliore amica, intese?” Sorrisi, guardando Angela con lo sguardo colmo di gratitudine.

“Da quando la mia migliore amica beve?” Domandai innocentemente, prendendo posto in un tavolo, davanti a lei.

“Farei di tutto, per la mia migliore amica. Anche farmi portare a casa mezza ubriaca. Devi solo preoccuparti di quello che dovrai raccontare a mio padre.

Inorridii, pensando al reverendo Weber che prendeva per le braccia sua figlia mezza ubriaca sull’uscio della porta di casa.

“Okay. Forse prenderemo quel cocktail, e poi lo scaricheremo nel water.

“Ottima idea!” Acconsentì, mentre una ragazza minuta si avvicinava a noi.

“Angela, Bella! Cosa vi porto?”

“Il solito.” Dissi decisa, mentre la cameriera sbuffò roteando gli occhi.

“Siete sempre solite e ripetitive, e…” si abbassò alla mia altezza, per sussurrarmi qualcosa nell’orecchio. “Stasera lei non c’è, via libera!”

Diventai paonazza, sgranando gli occhi.

“Alice! Cosa diamine ti dice quella testolina?”

“Cosa dice a te, mia cara. Che vieni ogni venerdì qui per ingozzarti di panini, solo per vedere mio fratello.

Shhh! Abbassa la voce!” L’ammonii, mentre Angela rideva.

Loro due sì, che erano una coppia fantastica! Amavano sfottermi in un modo assurdo, soprattutto la mattina, a scuola.

“Va bene, va bene. Aspettate un quarto d’ora e sarò di ritorno. Se ne andò, con un sorriso furbo stampato sulla faccia.

Proprio non la sopportavo, quando faceva così. E peggio ancora quando Angela le dava corda.

“Non capisco perché non viene nella nostra scuola!” Disse la mia amica indispettita, guardando verso il bancone.

“Lo sai, e te l’ho detto mille volte. Il suo migliore amico si è trasferito a La Push, e per non lasciarlo solo è andato nella sua stessa scuola!

“Peccato che il suo migliore amico sia anche il tuo migliore amico.” Precisò Angela, alzando tutte e due le sopracciglia.

Jake con è il mio migliore amico. E’ il figlio di Billy, e come sai Billy per me è come un secondo padre.  

“E Jacob è il tuo migliore amico!”

Certe volte sei insopportabile, lo sai?”

“Ecco a voi le vostre ordinazioni!”

Per poco non saltai sul posto. Di certo quella non era la voce di Alice.

“Oh.” Anche Angela non era riuscita a celare il suo sbigottimento.

Ed io rimanevo lì, imbambolata come una deficiente.

La mia amica ci mise meno di due secondi a riprendersi, sorridendo e facendo spazio per mettere i due vassoi con due bicchieri di Coca Cola.

“Grazie!” Lo liquidò Angela, pestandomi un piede da sotto il tavolo.

“Di niente, ragazze. Bella.” Mi salutò, con un cenno del capo.

Edward.” Sussurrai, prima che si voltasse andandosene via.

“Non dire una parola. Non provare a dire una parola!” Disse decisa Angela, quando Edward fu abbastanza lontano da non sentirci.

“Cosa ti prende?”

“Cosa mi prende? Dio, l’hai visto anche tu, vero?”

“Che è bello come sempre, che ha un sorriso da infarto e che mi ha salutata, come sempre?”

“Vedi solo quello che vuoi vedere, tesoro.” Chiuse il discorso, addentando un pezzo del suo panino.

“No, io vedo quello che vedono tutti!”

“Io vedo che ti sbava addosso e ti lancia occhiatine maliziose!”

“Io vedo che ha una fidanzata. Ed ora è proprio lì, attaccata a lui come una cozza. La mia amica non si voltò, per educazione.

“Ma Alice non aveva detto che non sarebbe venuta?”

L’aveva detto, infatti. Ed era quello che speravo ardentemente.

“Sì. Il tempo di portarvi le vostre ordinazioni, e poi sarebbe tornata. Esordì Alice, sedendosi accanto a me. “Piccola pausa. Stasera non c’è quasi nessuno.” Spiegò, stiracchiandosi le braccia.

Io ed Angela continuammo a mangiare, silenziosamente.

“Il siparietto è stato bellissimo!” Disse, riferendosi anche lei a quello che era successo prima con suo fratello.

“Jasper dov’è? Non dovresti stare con lui?”

“No. Stasera mamma mi ha chiesto se venivo ad aiutare qui. Pensavano che ci fosse molta più clientela. Si sbagliavano.” Commentò fra sé e sé.

In effetti era vero. Stranamente, quel venerdì il locale era quasi vuoto.

“Perché Tanya prima non c’era?” Domandò Angela, dando il via ad una sfilza di domande sulla coppia Edward-Tanya.

Hey, io sono qui è!” Commentai risentita. Parlavano di me, come se io non ci fossi.

“Tesoro, tu non puoi competere con Tanya. Quella è una bambola gonfiabile. Non la vedi? Ha diciassette anni, e sicuramente il seno rifatto. Tu sei di gran lunga più bella.”

Ringraziai Alice con lo sguardo, regalandole un sorriso.

Tanya era veramente una bambola gonfiabile. Ed oltre che vederla ogni venerdì appiccicata a Edward, dovevo sorbirmela anche ogni singolo giorno a scuola.

“Alice! Alice! Qualcuno ti ha chiesto di intrattenere i clienti?” Alice guardò prima me e poi Angela, alzando gli occhi al cielo.

“Ragazze, è stato un piacere. Ci vediamo lunedì a scuola, vero?”

Annuii, bevendo un sorso di Coca.

“A lunedì!” Anche Angela la salutò, accompagnando il tutto con un cenno della mano.

“Che ne dici se andiamo a pagare?” Domandai, notando che tutte e due avevamo finito la nostra cena, e già erano le nove e trenta.

“Tu vai a pagare la cena. Io ti aspetto al Pick up.”

Sbuffai, tutto questo per andare a pagare alla cassa, e quindi per vedere Edward.

“Tieni.” Dissi, allungando una mano e porgendole le chiavi. “Vedi di non perderti o farti rapire.”

“Vedi di non rimanere ammaliata e svenire lì davanti.” Mi rispose a tono, facendomi una linguaccia e dileguandosi.

Sospirai, alzandomi di malavoglia e dirigendomi verso il rogo.

La cassa era proprio lì, a pochi metri da me. E a pochi metri da me c’era anche il ragazzo per cui stravedevo da qualche mese. Due mesi e sette giorni, per essere precisi.

“Allora, tutto di vostro gradimento?”

“Oh, certo. Tutto ottimo, come sempre!” Sorrisi, prendendo il borsellino per tirare fuori i soldi.

“Ci vediamo venerdì prossimo?” Quasi sgranai gli occhi.

Cosa diamine stava blaterando?

“Cosa?”

“Venerdì. Tu ed Angela non verrete venerdì prossimo?

Oh, Dio. Quanti film mentali mi ero fatta in meno di un minuto?

“Sì, credo di sì.”

“Okay. Ciao, Bella.” Mi regalò un sorriso da togliermi il fiato per qualche secondo, prima che mi voltassi per raggiungere Angela.

Aspettai che la porta di vetro si richiuse dietro di me, e l’aria fredda di Novembre mi colpì in pieno volto.

A venerdì, Edward.

 

**

 

Ho tremila interrogazioni e una fanfiction ancora in corso. E non avevo meglio da fare che pubblicarne un’altra, vero?

Eccomi qua, miei cari lettori :D Vi sono mancata? Mi scuso con tutte le persone che si aspettavano l’aggiornamento di Scambio Culturale. Arriverà. Entro la prossima settimana, arriverà. Promesso.

Insomma, questa nuova e malsana idea mi è salita in testa una mattina a scuola, precisamente nell’ora di francese. Ora sta a voi dirmi se andare avanti o scaraventare tutto nel water (come i cocktail di Bella ed Angela :D)

Spero che avete capito un po’ come stanno andando le cose nella storia, e se avete dubbi, scrivetelo in una bella recensione che riceverete una risposta!

Un grazie infinito a tutte quelle povere ragazze o ragazzi che avranno il coraggio di leggere.

Alla prossima :*

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Capitolo 2
*** Edward, mi sono innamorato. ***


Edward’s Pov

Edward’s Pov

 

Hey Alice, vuoi aspettarmi?”

Sentii un sonoro sbuffo provenire dall’altra stanza, con un lamento.

Beh, mica era colpa mia se la mia amata Volvo era quasi morta lasciandoci le penne, ed ora era rinchiusa in un officina di Seattle.

Già, perché a Forks già era tanto se c’era un meccanico per gonfiare le ruote delle biciclette.

“Tutte le mattine sempre la stessa storia! Non posso accompagnarti nella tua scuola alla Riserva, e poi ritornare qui a Forks nella mia!

“Non c’è nessun problema. Io ti accompagno a scuola, e poi vado a La Push.

“E così prendi la mia amata porche?” Urlò stridula, entrando nella mia stanza e puntandomi un dito contro.

Se la mia macchina non mi avesse abbandonato, ora Alice non dovrebbe accompagnarmi nella mia scuola, e poi andare nella sua.

Alla Forks High School.

“Che ti costa?” Domandai, esasperato. “Sarà solo per sette ore. Giuro che il tuo gioiellino tornerà nelle tue mani sano e salvo.”

Scosse la testa prima a destra e poi a sinistra.

“Non se ne parla. E poi dopo la scuola devo andare a fare shopping con Isabella ed Angela.

La Swan?” Chiesi innocentemente, sapendo benissimo che mia sorella parlava di lei.

Isabella Swan era una mia coetanea, che frequentava la mia stessa scuola. Finché io non l’ho cambiata, per stare insieme al mio migliore amico Jacob Black.

E dulcis in fundo, Jake era anche un dei migliori amici di Isabella.

Peccato che io e lei avevamo scambiato sì e no due parole.

“Non prendermi in giro. Soprattutto dopo gli occhioni che hai messo in atto venerdì sera.

La guardai di sbieco, per poi abbassarmi per allacciare le scarpe.

“Cosa? Quali occhioni?”

“Non fare l’idiota. Oh, ci vediamo venerdì prossimo’?” Imitò perfettamente la mia voce, facendo anche un gesto teatrale con le mani.

“Ti odio quando fai così, lo sai vero?”

“No, mio caro. Tu mi odi quando io ho ragione. Guardi la mia amica come se fosse un dolcetto strapieno di panna, per poi montarti Tanya tutte le sere.

Tanya Denali era la mia fidanzata.

Bella, fisico perfetto e bionda. Insomma, molti la definivano la solita Barbie.

Anche lei andava nella stessa scuola di Alice, peccato che mia sorella non la sopportasse per nulla al Mondo.

Non l’amavo. Il nostro rapporto era basato prevalentemente sul sesso, e non sull’amore reciproco.

Soprattutto ora, che di storie serie non volevo nemmeno vederne l’ombra.

“Lascia stare Tanya. Allora, sei pronta?”

Annuì, prendendo la sua borsa firmata Gucci e uscendo dalla nostra casa.

Nostra madre era già a lavoro – insegnante in un asilo -, e così anche nostro padre – chirurgo all’Ospedale di Forks.

Quando montammo sulla porche, mi misi al volante.

“Dai, ti accompagno a scuola e poi ti vengo a prendere alle tre.” Supplicai mia sorella, attuando lo sguardo da cane bastonato.

La maggior parte delle volte funzionava sempre.

“A un quarto alle tre. E devi essere puntualissimo. Edward, un minuto di ritardo e finché non riavrai la tua amata macchina andrai a piedi a La Push.

Rabbrividii alla minaccia di mia sorella. Era capace di fare una cosa del genere, ed io lo sapevo bene.

“Ovvio. Sarò puntuale come un orologio svizzero.”

Scosse la testa esasperata, mentre io sostavo momentaneamente in seconda fila, aspettando che lei scendesse.

“Ancora non riesco a capire perché si ostina così tanto a girare con quel catorcio. Charlie le comprerebbe una macchina nuova all’istante.

Chiusi gli occhi a due fessure sottili.

Forse parlava da sola?

“Cosa diamine stai blaterando?”

“Isabella.” Sospirò, tirando la maniglia dello sportello. “Quel pick up avrà si o no quarant’anni.”

Girai lo sguardo, puntandolo nella stessa direzione in cui lo stava puntando anche mia sorella.

Isabella Swan scese dalla sua macchina – catorcio, da come lo definiva Alice -, con disinvoltura, issandosi il suo zaino rosso su una spalla.

Indossava de semplici jeans chiari, un cappotto beige e i capelli erano sciolti, raccolti da un cerchietto nero.

Mi erano sempre piaciute le ragazze alla moda, con i capelli ordinati e i vestiti di marca.

Ma lei, chissà perché, aveva qualcosa di diverso.

Non si preoccupava di essere bella, perché lei era già perfetta così.

Mi passai una mano sui capelli energicamente, notando che Isabella alzò una mano per salutare.

Stavo ricambiando, quando mi resi conto che non salutava me, ma mia sorella.

Bravo coglione, Edward. Bravo coglione.

Alice mi congedò con un “Se non sarai puntuale sai quello che ti accadrà.”

Sbattendo la portiera della sua macchina giallo canarino, e dirigendosi verso una delle sue migliore amiche.

 

 

“Oh, Dio! Edward Cullen mi ha appena sorriso!”

Jake rise sommessamente, dopo che una ragazzina del primo anno aveva urlato hai quattro venti quella frase.

Io lo guardai di traverso.

Possibile che anche quando scambiavo un sorriso cordiale con tutte le persone che mi passavano davanti queste avevano una specie di attacco cardiaco?

Ed il mio migliore amico Jacob Black di certo non faceva nulla per fermare questi attacchi. Anzi, ci rideva su, e anche di gusto.

Gli tirai un pugno sul braccio, facendolo gemere dal dolore.

“Sei tu che hai deciso di cambiare scuola.”

“L’ho fatto per te!” Dissi, fingendomi indignato.

Io avevo cambiato scuola e tutti i miei amici, soltanto per fare compagna al mio migliore amico, dopo che suo padre si era trasferito a La Push.

“Che gesto eroico.” Commentò, alzando gli occhi al cielo. “Ma parliamo di cose serie.” Disse a un certo punto, prendendo posto al suo solito banco.

Ora di Trigonometria, l’unica che avevamo in comune.

Quindi, una scusa in più per chiacchierare.

Eravamo peggio di due zitelle pettegole.

“Cos’è successo questa volta?”

Sapevo che ogni volta che Jake voleva parlare di ‘cose serie’, si trattava di qualche cavolata che non avrebbe mai visto la luce.

“Mi piace una ragazza.”

Scattai sulla sedia, con un sorriso a trentadue denti.

Jake e una storia seria? No, non ce lo vedevo per niente.

“Cosa?”

“Me ne sono reso conto pochi giorni fa.”

Si grattò la testa, quasi imbarazzato.

Ancora stentavo a crederci.

“Chi è?”

“Riderai di sicuro, se te lo dico.”

Diamine, era davvero imbarazzato.

Gli posai una mano sul braccio, che era steso lungo il banco.

“Jacob, sei il mio migliore amico. Sai che puoi dirmi tutto. E non riderò. La conosco?”

Sospirò, prima di sganciare la bomba.

“Isabella. Isabella Swan.”

Per poco mi strozzai con la mia stessa saliva.

“Cosa?”

“Edward, mi hai promesso che non avresti riso.”

“Diamine, non sto ridendo!” Sbottai inviperito.

Come potevo prendermela così tanto?

Era il mio migliore amico, che aveva preso una cotta per… chi era per me Isabella Swan?

Nessuno, niente.

“Perché ti stai alterando?”

“Scusa”, biascicai, passandomi una mano fra i capelli. “E’ che non me l’aspettavo. Con tutte le ragazze che ci sono proprio la tua migliore amica dovevi andare a prendere?

“Ed, non è la mia migliore amica. Mio padre ed il suo si conoscono da una vita, e quindi anche noi. Ma non è mai stata la mia migliore amica.” Sembrava così serio, mentre faceva quel discorso.

Possibile che Jacob Black si fosse innamorato?

Per di più di Isabella Swan?

La sua migliore amica?

La migliore amica di mia sorella?

Quella ragazzina che è anche cresciuta insieme a me?

“Beh… da quant’è che va avanti questa storia?”

“Da qualche giorno, te l’ho detto.” Spiegò, abbassando il tono della voce.

Il professore era entrato, dando inizio alla lezione. “E’ successo così, senza che me ne rendessi conto. Ad un tratto non vedevo più la solita Bells con cui facevo i castelli di sabbia l’estate, ma la diciassettenne che è diventata.

Cavolo, sembrava davvero preso.

“Amico, io non so che dirti. Forse… sei sicuro che lei ricambierà i tuoi sentimenti?

Jacob mi lanciò un’occhiataccia.

“Edward, lo sai che mi stai dando una mano per la discesa?”

Sorrisi, battendo un altro pugno sul suo braccio.

Il secondo, nell’arco di quella giornata.

“La finisci? Sono sicuro che Bella capirà. E poi… beh, credo che anche lei provi qualcosa per me.

“Lo spero.”

Questa volta non sorrisi, issando il mio sguardo sul professore e cercando di prestare attenzione a quella lezione.

 

 

A casa Black, sul divano e con una ciotola di pop corn in mano, io e Jacob guardavamo una partita di Basket.

Lui era nella squadra della nostra scuola, mentre io mi limitavo a seguire le partite.

Dopo che avevo lasciato quella di Forks, non volevo più giocare.

“Idiota! Corri! Corri e tira quella palla!” Jake quasi si mise in piedi sul divano, iniziando a lanciare dei pop corn contro il televisore.

Era lui, l’idiota.

Quando si ricompose, continuammo a vedere la partita pacificamente.

Finché non sentimmo un rombo assordante provenire dal vialetto di casa Black.

Io e Jake ci guardammo straniti.

“Aspettavi qualcuno?” Domandai incurante, riprendendo a mangiare pop corn.

“No. Billy torna tardi stasera. Tu, aspettavi qualcuno?”

“No.”

Poi, un lampo mi balenò nella testa. “Cazzo, cazzo e cazzo!”

“Cos’hai combinato?” Il mio amico stava per scoppiare a ridere.

“Dovevo andare a prendere Alice, alle tre. Merda! Mi sono dimenticato!”

“Sei il solito deficiente.”

“Lo sai che ora sei tu, a darmi una mano per la discesa?”

Jacob non smise nemmeno per un attimo di ridere.

Io andai alla porta, quasi con l’affanno e le mani che tremavano.

Avevo paura di mia sorella. Diamine, se avevo paura.

Quando l’aprii, un Alice dall’aspetto arrabbiato e inquietante si presentò davanti hai miei occhi.

E dietro di lei, Isabella Swan.

 

 

**

 

 

Ritardo assurdo. Beh, io ve l’avevo detto che sono strapiena di interrogazioni ù_u Insomma, io non so che dirvi, se non Grazie. So che è una cosa che ripeto ogni volta, ma GRAZIE.

Non ho nemmeno risposto alle vostre recensioni, ma recupererò. Lo giuro.

Insomma, in questo capitolo Jacob rivela i suoi sentimenti a Edward, anche sicuro che Bella provi per lui le stesse cose.

Ma ne siamo sicuri? .-.

Ce ne saranno delle belle, nel prossimo capitolo. E per chi me l’ha chiesto nelle recensioni: sono tutti umani, nella mia fanfiction.

Poi, una bella novità.

Visto che molte di voi non hanno twitter, ho deciso di farmi un account face book dove possiamo parlare, e dove ci saranno spoiler dei capitoli e delle mie storie.

Eccomi qui: Tatiana Yeah

E’ ancora vuoto (anche perché l’ho fatto ieri .-.)

Grazie mille a tutti, dal primo all’ultimo.

E al prossimo capitolo :*

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Capitolo 3
*** Jake... mi dispiace. ***


Sesto Capitolo – Jake… mi dispiace

Vi rompo le palle subito, dicendovi che sono Yeah Efp su Facebook ;) Lì troverete spoiler delle mie fanfiction, e poi ci possiamo fare una bella chiacchierata ùu

Colgo l’occasione per scusarmi su questo capitolo orrendo, ma non sono riuscita a betarlo.

Motivo? Beh, il bacio Robsten. L’avete visto? Se non l’avete visto correte, perché io ancora sto piangendo e ridendo insieme *___*

Poi, vorrei sentire il parere di tutti voi. Non abbiate paura di recensire, di dirmi se la storia vi piace o meno. Da quello che avete notato sto cercando di rispondere sempre alle recensioni, anche per conoscervi meglio ;) Quindi, se i preferiti e i seguiti della storia sono più di cento, voglio sentirvi tutti. Almeno la metà ùu Sarebbe bellissimo conoscervi tutti *-*

Il prossimo capitolo arriverà dopo l’aggiornamento di Scambio Culturale, intanto spoiler sull’account Facebook ;)

 

Buona lettura.

 

____

 

 

 

Sesto Capitolo – Jake… mi dispiace.

 

Bella

 

Sapevo che accompagnare Alice a casa di Jake avrebbe comportato vedere Edward.

Sì, certo che lo sapevo.

E mi ero anche preparata mentalmente.

Le mani ancora sudavano, ma ci avevo lavorato quando Alice pensava a guidare il mio catorcio definito macchina.

Ma diamine, quando mi si parò davanti con una t shirt bianca, i capelli spettinati e lo sguardo quasi addormentato.

Dio, gli sarei saltata addosso immediatamente.

Calma, Bella. Calma. Lunghi respiri.

“Devi ringraziare Dio che Isabella si sia offerta di accompagnarmi. Eh no, caro mio mi ricordo perfettamente di quello che ho detto stamattina. Tu da domani andrai a piedi, finché la tua cara Volvo non rivedrà la luce.

Quando finì di parlare, un rumoroso tuono si abbatté sul cielo.

Subito dopo, un lampo.

Ottimo, ci mancavano solo i temporali. Io odiavo i temporali!

Alice scansò con una botta sulla spalla suo fratello, per poi entrare in casa.

Io lo guardai imbambolata, feci un lungo respiro e poi varcai la soglia di casa.

“Edward.”

Si riscosse dal suo torpore momentaneo, regalandomi un sorriso da togliere il fiato.

“Isabella.”

Volevo dirgli che non doveva chiamarmi così. Che tutti mi chiamavano Bella, e che a me Isabella non piaceva per niente.

Ma detto da lui suonava così maledettamente bene.

Dio, avrebbe potuto chiamarmi in tutti i modi che voleva.

Scossi la testa energicamente, entrando in casa Black.

Jacob era praticamente sdraiato sul divano, con una ciotola di patatine in mano.

“Sempre il solito.” Mormorai, prima che la porta si chiuse con un tonfo assordante.

Bells!” Si mise composto, si ripulì da tutti i pop corn che aveva addosso e passò la ciotola ad Alice, che gli lanciò un’occhiataccia.

Jake… tutto a posto?” Chiesi sottovoce, mentre Edward passava accanto a me, sfiorandomi una spalla e soffocando una risata.

Dio! Quel ragazzo non poteva fare così!

Ss- sì. Tutto a posto, Bells.”

Annuii, alzando gli occhi al cielo.

Se io non sapevo mentire, Jacob non era da meno.

Mi sedetti accanto a lui, portando le ginocchia al petto.

“Allora”, iniziai, schiarendomi la voce. “Cosa stavate facendo?”

Jacob sorrise. “Niente di che. Prima che Edward venisse travolto dal folletto.

La mia amica prese alcuni pop corn, tirandone una manciata a Jake e centrandolo in pieno viso.

Lui si ripulì quasi di corsa, imprecando sotto voce verso Alice.

Lo guardai di sottecchi; cosa diamine gli era successo?

Quello non era il mio Jake.

Era troppo attento all’apparenza… come se dovesse far colpo su qualcuno.

Forse Alice? Nah, impossibile.

Poi sapeva benissimo che lei era fidanzata con Jasper da due anni.

Jake, sei sicuro di star bene?”

Mi guardò, sbuffando e diventando rosso.

Rosso attuato molto dal colore della sua carnagione.

“Sì, certo.”

Diamine, era imbarazzato!

Sì, certo. Negli ultimi due minuti l’avrai ripetuto quattro volte.

Per poco mi ero dimenticata che c’era anche Edward in quella stanza.

Sorrisi, quando derise Jacob. Allora non ero l’unica che si era resa conto del suo strano comportamento.

“Stai zitto, tu.”

Mi piacevano da morire i loro punzecchiamenti.

Era come rivedere me, Angela ed Alice quando stavamo insieme.

Jacob si risedette accanto a me, continuando a guardare la partita.

Io mi grattai la testa, un po’ annoiata.

Odiavo le partite di Basket. O di qualsiasi altro sport esistesse sul pianeta.

Lo sport, non faceva per me.

E quando l’ennesimo tuono si abbatté sulla Riserva, quasi non scattai sul posto, andando a finire su Jake.

“Non è possibile, Bells. Ancora hai paura dei temporali?”

“Sì. E’ una specie di fobia.” Inutile dire che io non avevo aperto bocca, ma l’aveva fatto Alice al posto mio.

Abbassai la testa, imbarazzata. Certo, loro dovevano mettermi in imbarazzo proprio davanti a Edward.

Jake non lo faceva a posta, ma Alice poteva risparmiarsela.

Mugugnai qualcosa di incomprensibile, abbassando la testa.

Non ebbi il coraggio di voltarmi. Ero troppo imbarazzata. Finché un altro tuono riecheggiò fra le mura, facendo tremare anche i vetri delle finestre.

“Oh, Dio.” Sospirai, digrignando i denti.

Quando c’erano i temporali mi rifugiavo sotto le coperte, mordendo i cuscini.

Okay, sembrerà anche stupido, ma funzionava sempre.

Due braccia forti si ancorarono sotto le mie, tirandomi su di peso.

Jake… cosa?” Quando realizzai quello che stava per fare, dalla mia bocca uscì un urlo di disapprovazione. “No! Jacob Black, no! Il solletico no!”

Iniziò a torturarmi, passando da sotto le ascelle al collo.

Io mi dimenavo, mentre Alice se la rideva di gusto a guardarmi soffrire.

Poi mi tolse le scarpe. E quando arrivò sotto i piedi la mascella iniziò a farmi male per quanto ridevo.

J-j-j” Ottimo, non riuscivo nemmeno ad articolare una sola parola. “Jake, basta!”

Finché la mia testa non sbatté violentemente su qualcosa di duro e profumato.

Cazzo, cazzo e cazzo.

Dalla mia postazione lontana venti centimetri da Edward Cullen ora ero finita con la testa sul suo petto.

Rossa dall’imbarazzo mi alzai, e con il fiatone mi spostai di qualche centimetro.

Bene, ennesima figura di merda.

“Basta. Non lo fare mai più.”

Jacob sorrise, porgendomi le mie Nike bianche che infilai con un po’ di fatica.

La pancia ancora faceva male per quanto avevo riso.

“Bella?”

Mmh?”

“Possiamo parlare?”

Alzai lo sguardo, incontrando gli occhi neri e seri di Jake.

“Certo.”

“In camera mia?”

Guardai prima Alice, che alzò le spalle e poi Edward, che invece guardava il televisore fisso davanti a sé.

Mi alzai riavviandomi i capelli con una mano, e poi seguii Jake fino alla sua camera, che ormai conoscevo a memoria.

“Dimmi.” Si sedette sul letto, prendendosi la testa fra le mani.

Bells, io sono amico tuo.”

Jake, così mi preoccupi. Cosa succede?”

I-io. Diamine, è così imbarazzante!” Si alzò di scatto, tirando un calcio alle coperte che scendevano dal letto.

“Di cosa stai parlando?” Stavo per posargli una mano sulla spalla, quando si voltò di scatto.

“Io non so cosa fare. E’ che… Bells, io e te siamo cresciuti insieme e tu… Cristo Santo!” Si voltò nuovamente, facendo un giro su sé stesso.

No, no e no.

J-jak-

Bells, tu mi piaci. E’ da un po’ di giorni che questa storia va avanti. Ma non pensavo fosse così difficile dirtelo. So che anche tu provi qualcosa per me. L’ho visto dal modo in cui mi guardi, da com-

“Jacob!”

“Che c’è?” Sembrava caduto da chissà dove.

Lo sguardo perso nel vuoto. Come se lo avessi risvegliato da una specie di trans.

Jake, ora parliamo. Siediti.”

Prese posto sul letto, proprio dov’era prima.

Jake. Tu… ecco, tu sei un mio amico. Potrei considerarti anche il mio migliore amico ma… io non provo niente nei tuoi confronti. Sei… sei come il fratello che non ho mai avuto, i-

Chi è?”

“Cosa?”

Bells, ti conosco da troppo tempo. E se non ci fosse un’altra persona tra noi due, ora mi avresti detto Sì.

Jake i-”

“Chi è?”

“Non lo conosci.” Mi arresi, evitando di recargli un altro dispiacere, forse più grande di quello già ricevuto. “Non lo conosci.” Continuai, prendendo un bel respiro. “E’ un amico di Alice. E’… ecco, è stato come un colpo di fulmine.

“Tu li odi, i fulmini. E i temporali. Lui le sa queste cose? Conosce qualcosa su di te?”

Da oggi sì, avrei voluto rispondere.

Ma stetti in silenzio, osservando il mio amico con lo sguardo perso nel vuoto.

Stavo per accarezzargli una guancia, quando si scostò.

“Lasciami solo.”

Jake.” Sussurrai, perdendomi in quelle pozze neri.

“Lasciami solo.”

Jake.” Mi alzai, mettendo una mano sulla maniglia. “Jake… mi dispiace.” Dissi infine, uscendo dalla sua camera.

“Cosa voleva tutto muscoli e niente cervello?” Domandò Alice, quando scesi al piano inferiore.

La scena era proprio come l’avevo lasciata.

Solo che stavolta anche Edward guardava me, come in attesa di un verdetto.

“Niente. Niente. Io… io vado a fare una passeggiata.” Mi diressi verso la porta, senza nemmeno prendere il mio giubbotto.

“Bella! Ma piove a dirotto.” Urlò Alice, prima che uscissi da quella casa, andando incontro a un temporale mai visto a La Push.

 

 

L’unico rumore che riuscivo a sentire era quello dei miei passi, che calpestavo soltanto acqua e fango.

Ero a pochi kilometri da casa Black, e camminavo a testa bassa lasciando che la pioggia mi bagnasse da testa a piedi.

Pensavo a quello che mi aveva detto Jake.

Era così sicuro che gli avessi detto di sì, se fossi stata innamorata di Edward?

Perché sì, ero innamorata da Edward.

Da troppo tempo.

E se mi fossi fidanzata davvero con Jake? Avrei smesso di avere questa ossessione per Edward?

Sospirai pesantemente, mentre sentii un rombo assordante provenire da dietro le mie spalle.

Finché una macchina si fermò vicino a me.

Quello era il mio pick up! E l’unica cosa di cui non avevo bisogno in quel momento era del terzo grado di Alice.

Peccato che quando il finestrino si abbassò vidi un’altra persona.

“Isabella.”

Gli occhi si sbarrarono. “Edward?!

“Sali. Ti porto a casa?”

“Cosa?”

“Andiamo.” Con un cenno della testa mi indicò l’interno del pick up.

“No.”

Riabbassai la testa continuando a camminare.

Con uno scatto secco sentii la porta del pick up aprirsi, e poi richiudersi.

“Tieni.”

Edward si parò davanti a me, porgendomi le chiavi della mia macchina.

“Se non vuoi venire… beh, di certo io non posso andarmene con la tua macchina.”

“Oh.”

Cielo, come ero patetica?

Era lì, zuppo anche lui con i capelli appiccicati alla fronte.

Oh, Dio.

Presi le chiavi, alzando un sopracciglio.

“Come andrai a casa?”

“Beh… chiederò un passaggio a Jacob.”

“Alice?”

“Oh, dopo la minaccia di stamattina non mi accompagnerà più da nessuna parte.” Borbottò fra sé, scostandosi qualche ciocca dalla fronte.

Quanto avrei voluto farlo io. Dio, ero proprio pessima.

“Andiamo, ti porto io.” Dissi in tono autoritario, voltandomi e dirigendomi verso la mia auto.

Lui mi seguì poco dopo, prendendo posto vicino a me.

“Senti, posso chiedere a Jake.”

“No, non lo disturbare. Certo, non sono di strada ma non fa nulla.

Ovvio, l’avrei accompagnato anche dall’altra parte del continente se me l’avesse chiesto.

Partii dopo qualche protesta del pick up, uscendo finalmente da La Push.

Cercai di portarmi i capelli da una parte, cercando di non farli gocciolare.

“Sei da strizzare, Isabella.”

Sorrisi, scuotendo la testa.

“E tu non se da meno.” Ammiccai nella sua direzione.

Cosa diamine mi stava succedendo? Dio, quello era Edward Cullen!

Entrai a Forks, e superai anche il vialetto di casa mia.

Fortuna che casa Cullen distava di una decina di minuti dalla mia.

“Allora, cos’è ‘sta storia che Alice ti ha minacciato.”

Lui sbuffò, issando il suo sguardo fuori dal finestrino.

“La mia Volvo è a Seattle, da un meccanico. Alice tutte le mattine deve accompagnarmi a scuola alla Riserva, per poi tornare qui nella sua. Stamattina l’ho convinta a prestarmi la sua macchina.

“Ti ho visto, stamattina.” Constatai l’ovvio, diventando rossa come un peperone.

“Esatto. L’ho accompagnata, e poi sono andato a scuola. Le avevo promesso di tornare a prenderla alle tre, ma me ne sono dimenticato.

“Sì, me ne sono resa conto. Si è praticamente scagliata contro di me, minacciandomi di accompagnarla a La Push, se no…

Cazzo!

“Se no?” Mi incitò Edward, posando la sua attenzione su di me.

Se no ti avrebbe rivelato la mia cotta colossale.

“No, niente.” Biascicai, concentrandomi ancora meglio sulla strada.

Svoltai a destra, trovandomi davanti all’immensa casa della famiglia Cullen.

Stupenda.

L’avevo sempre fatto notare ad Esme, che aveva arredato quella casa magnifica.

“Beh, grazie Isabella.”

Sorrisi cordialmente, mentre apriva lo sportello dell’auto.

“Ah, Edward?”

“Si?” Si voltò di nuovo, fulminandomi con quegli occhi verdi.

“Puoi chiamarmi Bella.”

Una cosa più idiota non potevo dirla.

“No. Mi piace, Isabella.” Calcò particolarmente sul mio nome, facendomi girare vorticosamente la testa.

Distolsi lo sguardo, aspettando che uscisse dalla mia auto.

Poi, abbassai il finestrino.

“Edward?”

Mh?” Era lì, in piedi sotto la pioggia ad aspettare che dicessi qualcosa.

“Domani, alle otto fatti trovare pronto.”

“Cosa?” Quasi non urlò, sbarrando gli occhi.

Hey, mica vuoi che ti lasci andare a piedi fino a La Push, no?”

Rise di gusto, questa volta voltandosi davvero fino ad arrivare alla porta di casa.

Con un sospiro ingranai la marcia, diretta a casa.

 

 

 

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Capitolo 4
*** Appuntamento con Isabella Swan ***


Edward



Ve l’avevo detto che non avrei aggiornato prima di Pasqua ùu

Sono felicissima di sentire nuove lettrici *-* e vedere che la storia è seguita. Questo mi fa un enorme piacere. Vi lascio al capitolo, non aggiungo altro.

E aspetto i vostri commenti ;D

krisbianislove su twitter.

Yeah Efp su face book.

 

____

 

 

Appuntamento con Isabella Swan

 

 

 

 

 

Edward

 

“E quindi hai un appuntamento con Isabella?”

Guardai mia sorella con disappunto, continuando a mangiare la torta al cioccolato fatta da mia madre.

Non avevo un appuntamento con Isabella Swan.

Accompagnarmi a scuola non era un appuntamento. Era un passaggio.

“No. Certo che no.” Spiegai, trangugiando un’altra fetta.

“Io dico che tu hai un appuntamento con Isabella.”

Alzai gli occhi al cielo, questa volta non degnandola di una risposta.

Infondo era sempre così: lei inizia con le sue supposizioni, e finché non le davo ragione continuava fino allo sfinimento. “E tutto grazie a me!” Alice batté la mani euforica, facendo cadere il cucchiaino con cui stava mangiando i cereali dritto nella tazza di coccio.

“Come?”

“Se io non me ne fossi andata, Isabella non ti avrebbe accompagnato. Ovvio. Tutto questo grazie a me.”

“O grazie alla mia Volvo che ora è in sala operatoria.” Specificai, pensando alla mia povera piccolina.

Una settimana. Ancora una settimana e l’avrei riavuta con me.

Dovevo soltanto pazientare.

“Non direi. Tutto questo è grazie a me.”

“Alice,” presi un profondo sospiro, guardandola dritto negli occhi. “Tutto questo, cosa? Isabella molto gentilmente verrà a prendermi, per accompagnarmi a scuola. Poi tornerà qui, nella sua. Non succederà un bel niente.”

“Sì, questo raccontalo a Tanya.”

Dio! Mi ero completamente dimenticato di Tanya!

Non doveva assolutamente scoprire quello che stava succedendo.

Lei non mi avrebbe mai accompagnato fino a La Push.

Ma non doveva sapere di Isabella. Per niente al Mondo.

“Soltanto io, te e Isabella sappiamo di questo appuntamento barra passaggio. Io cercherò di non aprire bocca con nessuno, se non con Angela. E forse anche con Jasper.”

“Sei insopportabile!” Spostai la sedia, alzandomi e dirigendomi al piano di sopra, per lavarmi i denti.

Non avevo calcolato che la piccola nana mi avrebbe seguito.

Dai, lo sai che devo parlarne con qualcuno!”

Sospirai, aprendo l’acqua del rubinetto e mettendo un po’ di dentifricio sullo spazzolino blu.

Inizia a strofinare bene, togliendo ogni residuo della torta al cioccolato.

“E poi di Angela posso fidarmi. E anche di Jasper, lo sai.”

Scossi la testa, ormai rassegnato.

Se doveva per forza parlarne con qualcuno, tanto valeva che lo facesse con la sua migliore amica ed il suo fidanzato.

Povero Jasper.

“Fai quello che vuoi. Basta che la voce non arrivi a Tanya. Non ho voglia di sorbirmi tutte le sue lamentele. E non ho nemmeno voglia di darle spiegazioni.

Alice sorrise, continuando a mangiare i cereali che si era portata dietro.

“Va bene. Hai un appuntamento con Bella Swan!” Aggiunse poco dopo, continuando la sua cantilena finché non udimmo il suono di un clacson provenire da fuori.

“Oh mio Dio! E’ arrivata!”

Come poteva essere così euforica? Dio, proprio non riuscivo a capirla.

Anzi, non riuscivo a comprendere come facesse ad essere mia sorella.

Non ne avevo idea.

“Alice, mi raccomando.”

“Sì, non preoccuparti. Ne farò parola soltanto con Angela e Jasper, raccontando a tutti e due nei minimi dettagli questo appuntamento.

“Alice!” L’ammonii, posandole un bacio sulla testa.

Poi mi voltai, uscendo definitivamente da quella casa.

 

Il pick up rosso sostava momentaneamente sul vialetto.

Avevo intravisto Isabella appena ero uscito, che picchiettava le dita sul volante.

Sembrava agitata.

Scossi il capo, pensando che quella peste di mia sorella mi aveva messo tremila strane idee in mente.

Riuscii ad aprire la portiera di quella vettura dopo qualche insistenza, e poi rivolsi alla ragazza dinnanzi a me un sorriso a trentadue denti.

“Isabella.” La salutai, posando lo zaino dietro.

“Edward. Buongiorno.”

La sua voce era roca, segno che ancora aveva sonno.

Ovvio, si era dovuta alzare prima per passarmi a prendere.

Mi sentivo un perfetto approfittatore.

Certo, lei era così carina e gentile ma…

Carina. Non avevo mai pensato ad Isabella in questo modo. Okay, era una bella ragazza, non c’è che dire.

Un corpo snello ma non troppo perfetto. Insomma, le curve giuste al punto giusto.

Questa volta la testa la scossi più energicamente, mandando via tutti quei pensieri strani.

Dio, certo! Era tutta colpa di Alice!

“Dormito bene?” Mi domandò, cercando di smorzare tutta quella tensione che si era creata.

“Benissimo, per quel poco che ho dormito. Stamattina devo consegnare una tesina su Romeo e Giulietta. Risposi, pensando al professore di letteratura e a quella scocciatura di tesina che ci assegnava ogni mese.

Tutto sul Mondo Shakespeariano, ovviamente.

“Tu?” Chiesi con gentilezza, notando che ero davvero interessato alla risposta che mi stava per dare.

“Non molto bene. Ho pensato tutta la notte alle parole di Jacob.

Mi domandai cosa le avesse detto Jacob.

Sicuramente le aveva parlato della sua cotta.

“Jacob?” Feci finta di non conoscere tutto quello di cui avevano parlato.

Ed era vero.

Io conoscevo soltanto la versione di Jake.

“Oh. Scusa, non dovevo parlartene.”

“Se vuoi, puoi dirmelo. Insomma, non voglio forzarti.” La curiosità mi stava uccidendo, ma non ci pensai.

“Non preoccuparti. Non è un problema. Sei il suo migliore amico, e te l’avrebbe detto lo stesso.

Iniziò a raccontarmi di tutto quello di cui avevano parlato il pomeriggio precedente.

Delle intenzioni di lui, e dei buoni propositi di lei.

La stetti ad ascoltare in silenzio, beandomi del suono della sua voce.

Era dolce e soave, non come quello di tutte le ragazza che conoscevo.

La maggior parte di loro sembravano delle galline, quando mi rivolgevano la parola.

E poi la guardai, notando il turbamento nella sua voce e gli occhi stanchi e lucidi.

Doveva anche aver pianto per la metà della notte.

Sospirai, pensando a tutto quello che aveva fatto.

Anche se era stanca e sarebbe potuta rimanere a letto riposandosi, era uscita anche prima per passarmi a prendere.

Quando imboccò la strada per La Push, decisi di bloccarla.

“Aspetta, aspetta!” Frenò di colpo, e quasi non ci schiantammo.

Sei matto, o cosa?!” Non l’avevo mai sentita sbraitare, o almeno alzare la voce.

Ed aveva tutte le ragioni del Mondo.

“Scusa.” Sussurrai, in preda all’imbarazzo.

Cosa diamine mi era passato per la testa?

“Scusa tu.” Disse appena, buttandosi con la schiena sul sedile.

Forse la mia idea non era poi così magnifica come pensavo.

“Hai qualche materia di importante stamattina?”

Mi guardò interrogativo, non capendo neanche cosa le avessi chiesto. “Vorrei portarti in un posto.” Mi sentivo totalmente un idiota patentato.

“Io e te?” Sorrisi, scuotendo la testa.

“No. Io e il pick up. Tu puoi tornare indietro a piedi.”

Mi tirò un pugno, ma non troppo forte.

“E tu non dovevi consegnare la tesina su Romeo e Giulietta?”

“Il professore non se la prenderà. E non nuocerà alla mia media scolastica.”

Lei mi guardò fisso negli occhi, alzando un sopracciglio.

“Va bene. E non nuocerà neanche alla mia ora di Educazione Fisica.

Risi di gusto. Alice mi aveva accennato che Isabella non era molto portata per lo sport.

“Scendi.”

“Come?” Mi guardò, sbalordita dalla mia richiesta.

“Ti devo portare in questo posto. E tu non sai dove andare.”

“Puoi sempre indicarmelo.” Alzai le sopracciglia contemporaneamente, mentre lei con uno sbuffo scendeva dal pick up.

“Tratta bene la mia macchina.”

“Non ti preoccupare, ho le mani d’oro.”

 

Il posto era proprio dove lo ricordavo.

Erano anni che dovevo andarci, forse da quando avevo cambiato scuola.

Andavo lì per lo più per rilassarmi, e per pensare.

Mi piaceva ascoltare il cinguettio degli uccelli, e sentire l’erba fresca sotto le mia dita.

Ma la cosa che adorava di più di quel posto, era la cascata.

Non troppo grande, ma uno spettacolo della natura. Lo scrosciare dell’acqua mi destabilizzava i sensi.

C’ero andato sempre da solo, ed ci stavo portando Isabella.

Saltando così un giorno di scuola.

“Siamo arrivati!” Annunciai, posteggiando il pick up in una piazzola.

Inutile dire che tutt’intorno a noi c’erano alberi e cespugli.

“Ho capito!” Sussurrò appena, mentre i suoi occhi iniziavano a sgranarsi pian piano.

Diamine, non era possibile! Come poteva esser già stata in quel posto? Non lo conosceva quasi nessuno!

“Mi vuoi uccidere. E poi seppellire il mio cadavere qui.” Spiegò cautamente, ma con una nota di divertimento.

Questa volta la botta sul gomito gliela diedi io, mentre lei si massaggiava la parte lesa.

Sospirai. “Ora capisco perché sei amica di ma sorella.” Alzai gli occhi al celo, e scesi dalla macchina.

Aspettai che scendesse anche lei, e poi la guidai.

Non si mosse.

“Che c’è? Hai cambiato idea? Vuoi andare a scuola?” La bombardai di domande.

“Uno, non ho cambiato idea. Due, non voglio andare a scuola. Tre, io non faccio trekking.” Sospirai silenziosamente, senza farmi notare.

“Non dobbiamo fare trekking. Soltanto camminare per qualche metro.”

“Appunto.” Sussurrò, abbassando la testa imbarazzata.

“Okay.” Sorrisi, avvicinandomi a lei.

“Torniamo indietro?”

“No.” Risposi tranquillamente, issandola sulle mie spalle.

“Edward! Cosa stai facendo?”

“Tu non vuoi trekking, ed io voglio portarti in questo posto. Tanto vale che cammini per tutti e due.”

“No!” Obbiettò, cercando di darmi qualche colpo sulla schiena.

Tutto inutile, visto che pesava pochissimo ed io ero anche più forte di lei.

Camminai per qualche metro, mentre Isabella smise di darmi pugni e dimenarsi.

Quando arrivai, la riposi con i piedi per terra.

Sei impossibile!” Obbiettò, puntandomi un dito contro.

“Stai zitta.” Dissi, scuotendo la testa con un sorrisino di vittoria.

Aprii il passaggio – formato da qualche foglia e qualche cespuglio -, e poi le feci segno di entrare.

“Forse vuoi uccidermi davvero.” Mi sorpassò, entrando nella radura.

Presi posto vicino a lei, ed inizia ad osservarla.

I suoi occhi erano sgranati, e la bocca formava una O muta.

“Oh mio dio.” Sussurrò appena, quasi che non riuscii a sentirla.

“Ti piace?” Sorrise, posando il suo sguardo su di me.

“Se mi piace? Oh, Dio! Edward è bellissimo!”

Entrò del tutto nella radura, ammirandosi intorno.

Raccolse qualche fiorellino, e poi si avvicinò alla cascata. Mise una mano dentro per sentire l’acqua, ma poi la ritrasse immediatamente.

“E’ congelata.”

“Siamo in Ottobre.” La informai.

“E a Forks.” Aggiunse poco dopo.

Purtroppo non c’era il sole, e quindi lo scenario non era del tutto meraviglioso.

Con il sole e la luce, faceva tutt’altro effetto.

“Come hai scoperto questo posto?” Chiese poco dopo, sedendosi a gambe incrociate davanti alla piccola cascata.

“Qualche anno fa.” Spiegai, prendendo posto vicino a lei. “Stavo andando a La Push, e la mia Volvo mi ha abbandonato. Una delle tante volte. Era una bella giornata, e chiesi ad Alice se poteva passarmi a prendere. Ovviamente sai qual è stata la risposta.” La vidi sorridere.

“Allora chiamai a Jacob. Mi disse che aveva un impegno e sarebbe passato non prima di venti minuti. Cosa potevo fare in venti minuti, con un sole accecante e chiuso nella mia Volvo? Così iniziai a fare una passeggiata. E scoprii questo posto. Da quel giorno ci vengo qualche volta, quando voglio stare solo. Ma era da qualche anno che dovevo ritornare.

Mi guardò confuso.

“Perché?”

“Sai, con la scuola e tutto il resto…”

“No. Perché ci sei venuto oggi, con me?”

Ecco, bella domanda Isabella.

L’unica domanda che non doveva farmi.

“Non lo so. Siamo passati da questa parte, e mi è venuto in mente.

Nessuno riusciva a sviare i discorsi meglio di come facevo io.

“Oh.”

Continuammo a stare in silenzio, godendoci il paesaggio.

Volevo che godesse appieno di tutta quella meraviglia della natura. Anche se poteva tornarci ogni volta che ne aveva voglia.

“Edward, posso farti una domanda?”

Come se avesse dovuto chiedermi il permesso.

“Certo.”

“Sei liberissimo di non rispondermi.”

Sorrisi, lasciandola continuare.

“Dov’è tuo fratello Emmett?”

Questa volta rimasi in silenzio, per più di qualche minuto.

“Scusa. Non dovevo.” Disse infine, abbassando la testa.

“No. Non preoccuparti.”

Presi un bel respiro. “Emmett è al college. In Alaska.”

“In Alaska?”

La curiosità uccise il gatto, Isabella.

“Già.”

Non continuai, sperando che la finisse lì.

E infatti fu così.

Non mi chiese più niente, intuendo che non volevo più rispondere alle sue domande.

“E’ complicato. E ancora non ho voglia di parlarne.”

“Non è un problema.” Posò la sua esile mano sul mio braccio.

Dio, era così piccola e fragile.

La guardai, notando che le sue gote si erano arrossate e una ciocca di capelli penzolava sulla guancia.

Istintivamente la presi, riportandola dietro il suo orecchio. Lo strato di pelle che avevo toccato in quell’istante ardeva.

Decisi di prolungare quell’istante, e invece di ritirare la mano indietro la posai sulla sua guancia. Questa volta per più di qualche secondo.

“Edward.” Il suo fu un sussurro appena percettibile.

Appena percettibile, perché lo bloccai sul nascere posando le labbra sulle sue.

Un bacio appena accennato, casto.

Chiusi gli occhi, soltanto per un breve istante. E poi mi ritrassi.

Lei gli aveva spalancati. Ed era rimasta così, immobile.

“Scusa.” Sussurrai, rendendomi appena conto di quello che avevo fatto.

L’avevo baciata.

Per Dio, come mi era saltato in mente?

Doveva soltanto accompagnarmi a scuola. Ed eravamo finiti lì, in quella radura ed io l’avevo appena baciata.

Si passò una mano nei capelli, riavviandoseli.

Poi, sospirò.

“Che ore sono?” Presi il cellulare dalla tasca, notando appena che avevo ricevuto due messaggi.

“Le dieci.”

Due ore. Due ore che eravamo in quel paradiso.

E che io, in un solo istante avevo trasformato in un inferno.

“Vogliamo andare?”

Senza dire niente l’assecondai, alzandomi e aspettandola.

Questa volta camminò per tutto il tragitto, cercando di non inciampare  cadere.

Cosa che successe molte volte, perché riuscii a prenderla prima che accadesse almeno tre volte.

“Puoi guidare tu, se vuoi.” Sussurrò, aspettando che aprissi la portiera del passeggero per farla entrare.

Quando entrai anch’io, contai fino a dieci prima di mettere in moto.

“Vuoi venire con me in un posto?” Domandai, giocandomi il tutto per tutto.

“Dove?”

“A prendere un caffè.”

La vidi annuire, e poi ingranai la marcia.

Forse aveva ragione Alice.

Quello era un appuntamento con Isabella Swan.

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Capitolo 5
*** Un bacio come un altro ***


Scusate immensamente per il ritardo.
Spero che il capitolo vi piaccia, ci sentiamo giù :D
Ah, mi pubblicizzo ;D
Scambio culturale e Una canzone per noi
 
__________


Settimo Capitolo - Un bacio come un altro
 
 Salii sul pick up con il cuore in gola.
Era stato tutto così… surreale.
Vederlo la mattina stessa, una chiacchiera tira l’altra e poi la radura.
Quella radura.
Come potevo dirgli che c’ero già stata?
No, non potevo.
Era così felice nel mostrarmi quel posto, che proprio non potevo rovinare tanta bellezza.
E poi cosa avrei potuto dirgli?
Senti, Edward. Io sono già stata qui. Tre mesi fa, quando tua sorella Alice mi aveva avvertita della tua relazione con Tanya Denali. Ho pianto così tanto, che alla fine ho deciso di andare da Jake. E strada facendo mi sono fermata, ricordando che lui era il tuo migliore amico. Di certo non potevo andare lì in quelle condizioni. E così ho trovato la radura. Pensando a te, e versando milioni di lacrime.’
No, non potevo dirglielo.
Avevo fatto la brava attrice, almeno così mi aveva fatto capire.
Del tutto finta – sorpresa, fino al bacio.
Quel bacio.
Edward Cullen mi sta baciando.
Edward Cullen mi ha baciata.
Tutto quello che mi ripetevo da quando mi aveva baciata, fino ad ora.
Dentro il pick up, mentre lui guidava ed io in silenzio guardavo il paesaggio sfrecciare vicino a me.
Non avevamo scambiato una parola, da allora. E a me questo silenzio non pesava.
Non volevo parlargli. Cosa gli avrei detto?
‘Oh, lo sai che hai realizzato il mio sogno di una vita?’
Oh, Dio! Era tutto così tremendamente frustrante!
A prendere un caffè’, le ultime parole famose. Ed io come un cagnolino gli ero andata dietro, con la coda fra le gambe.
Sembrava così strano, ma dipendevo in tutto e per tutto da lui.
Fermò il pick up, e sbattei gli occhi più volte per rendermi conto di dove mi trovavo.
Un posto che conoscevo davvero bene.
“Ma non dovevamo prendere un caffè?” Domandai, rendendomi conto di quanto fosse roca la mia voce.
La schiarii, cercando di non farmi sentire da lui.
“E prenderemo un caffè.” Spiegò cautamente, prima di regalarmi un sorriso da togliermi il fiato.
“Okay.”
Non ero del tutto sicura, almeno finché non uscii dal pick up e lui tirò fuori dalla tasca una chiave.
Il mio ‘andare a prendere un caffè’ equivaleva a metterci seduti in un bar, con persone intorno.
Invece ora mi trovavo fuori al pub, dove l’insegna mostrava il cognome della persona che ora mi dava le spalle, mentre apriva la porta principale.
Cullen’s.
Mi aveva portata al pub. Di certo avremo preso un caffè, ma non ci sarebbe stata molta gente.
Anzi, solo noi due.
Regolarizzai il respiro, mentre Edward con un cenno della mano mi invitava ad entrare, per poi seguirmi.
Anche un galantuomo.
Accese tutte le luci, ed il pub sembrò un posto totalmente diverso ai miei occhi.
Tutte le sedie erano tirate su, sopra i tavoli. Le luci erano basse, e non volava una mosca.
“Sei sicuro che possiamo stare qua?” Chiesi, guardandomi intorno.
La risata cristallina di Edward mi lasciò totalmente basita. Era così bello sentirlo ridere.
“Bella, il pub è mio. Cioè, non proprio mio ma è come se lo fosse. Quindi, nessun problema.” Disse, mettendosi dall’altro lato del bancone. “E poi, nessun ci verrà a disturbare.” Aggiunse, azionando la macchinetta per fare il caffè e prendendo due tazzine.
Avrei dovuto anche dirgli che io odiavo il caffè?
No, lasciai per me anche quello.
Presi posto davanti a lui, beandomi di tutto quel silenzio.
Il venerdì sera c’era troppo trambusto, e poi potevo vedere Edward da vicino. Senza che le clienti lo assalissero ogni cinque secondi.
Dopo che mi aveva baciata.
Scacciai via tutti quei pensieri, scuotendo energicamente la testa.
“Perché il pub non è proprio tuo?”
Si girò di scatto, come se lo avessi mandato improvvisamente a quel paese, senza un buon motivo.
Brava, Bella. Ora se la prenderà con te, ma tu non provare a rimanerci male. Te la sei cercata, stavolta.
“Perché era di Emmett.” Sganciò la bomba, mentre posava una tazza colma di caffè davanti i miei occhi, e prendeva posto.
“Oh.” Non aggiunsi altro, sperando di non averlo ferito ulteriormente.
Non voleva parlare di suo fratello, e di certo chi ero io per obbligarlo? Nessuno.
Appunto, nessuno Bella.
“Sai che i miei genitori fanno un altro lavoro, vero?” Disse, girando quella brodaglia marrone che era nella sua tazza.
Sapevo che Esme era un’insegnate all’asilo, e che Carlisle lavorava all’Ospedale.
Conoscevo fin troppo bene Carlisle, dopo tutte le mie visite in quell’edificio bianco e con l’odore di spirito.
“Sì.”
“Beh, dopo…” Cercò di trovare le parole adatte, smascherando il suo turbamento bevendo un piccolo sorso di caffè. “Dopo che Emmett se ne è andato, i miei volevano vendere questo locale. Io ero d’accordo con loro. Perché tenere un pub dove non avrebbe più lavorato nessuno? Però alla fine Alice decise per tutta la nostra famiglia: tenevamo il pub, ma ognuno di noi doveva fare la sua parte. Inizialmente Esme si era presa qualche giorno di ferie, e rimise a posto tutto il locale. Carlisle si preoccupò della cucina, e prese anche una ditta per le pulizie. I nostri genitori si occupavano di mantenerlo pulito, mentre io ed Alice dovevamo lavorarci la sera. Nei giorni settimanali non facciamo tardi, ma nel fine settimana è davvero stancante. Ma alla fine, abbiamo trovato una soluzione.” Spiegò, finendo il suo caffè.
Chissà che c’era sotto tutta quella storia.
Perché Emmett se n’era andato?
Dio, la curiosità mi stava uccidendo!
“Direi che avete fatto un ottimo lavoro. Questo posto è bellissimo, Edward.”
Sorrise, indicandomi con un dito la mia tazza ancora ricolma di caffè.
“Non ti piace?” Feci una smorfia disgustata, della quale lui rise alle mie spalle.
“Non amo il caffè.”
“Mi dispiace… posso offrirti qualcos’altro? Purtroppo qui non abbiamo succo di frutta.” Disse imbarazzato, grattandosi il capo con una mano.
Era così bello.
“Niente, sto bene così.”
Restammo in silenzio per qualche minuto, scrutandoci a vicenda, finché un’idea mi balenò nella testa.
“Edward, posso farti una domanda?”
Mi guardò accigliato.
“Certo.”
“Se vuoi… ecco se vuoi posso venire io qui qualche sera. Cioè a darvi una man-”
“Non se ne parla.”
Brava Bella, brava.
Avrà sicuramente notato quanto sei scoordinata che non riusciresti a portare neanche un vassoio a destinazione.
“Hey, Bella.”
Alzai lo sguardo, sorridendo forzatamente. Di certo non potevo fargli vedere che ci ero rimasta male. Era come se mi avesse bocciata in partenza.
“Non voglio che tu venga qui tutte le sere, a lavorare. Hai diciassette anni, devi divertirti. E ti posso assicurare che stare qui chiuso per un intero week end non è affatto divertente.”
Allora era per questo…
“E dov’è il problema? Se un sabato sera vorrai uscire con…” Con Tanya. Deglutii rumorosamente, prima di continuare. “Con la tua fidanzata, io sarò qui per dare una mano ad Alice. Edward, non mi crea nessun problema.”
No, no e no. Già Alice ha costretto il povero Jasper, ed io di certo non costringerò anche te!” Sbatté le mani sul bancone, senza fare troppo rumore.
“Okay, allora ne parlerò con Charlie. Così lui ne parlerà con tuo padre. E stanne certo, sabato sera avrai la serata liberà.”
Sbuffò esasperato, passandosi una mano fra i capelli.
“Ti odio.” Mi informò, scoccandomi un’occhiataccia.
Risi divertita.
“Non è vero.”
“Hai ragione, non è vero. Ma sei pazza.” Esordì, prendendo le due tazze per riporle del lavello.
“Oh, grazie.” Questo sì, che era un bel complimento.
Soprattutto se a farmelo era stato Edward Cullen.
“Beh, che ne dice di andare Miss Swan?” Domandò, con lo sguardo divertito.
Bene, voleva giocare il ragazzo.
“Direi che sia un’idea perfetta, Mr. Cullen. Ma… che ore sono.”
“Le dodici. Ora… cosa preferisce fare, Miss?”
“Sono a vostra disposizione.” Alzò un sopracciglio.
Ma quanto ero ridicola? Oh, Dio! Avrei voluto sprofondare!
“Beh, Alice esce da scuola alle quindici e trenta. Anche io, in teoria. Mia madre finisce il turno alle sedici, e mio padre oggi lavora tutto il giorno. Che ne pensi di un pranzetto a casa Cullen?”
Soltanto l’idea di mangiare a casa sua, io e lui da soli mi mandò fuori di testa.
“Ottimo. Spero che non cucinerai tu.” Cercai di smorzare l’imbarazzo, facendogli una linguaccia.
“Hey, io sono un cuoco provetto! E ti farò rimangiare tutto quello che hai detto!” Mi minacciò, puntandomi un dito contro.
“Oh, allora…” Sorrisi, dirigendomi verso l’uscita.
Edward intanto aveva messo sul bancone due sgabelli.
“Vedrà, miss Swan”, mi diede un spintarella, mentre ci dirigevamo verso la mia auto.
Spensierati, e davvero felici.
 
Misi una mano intorno alla mia gola, fingendo di morire strozzata.
“Sei una pessima attrice.”
Alzai un sopracciglio, guardando Edward mentre aspettava un mio verdetto.
Eravamo arrivati a casa Cullen dopo venti minuti buoni, e Edward si era cimentato subito nella cucina, bandendomi da essa.
Ero stata spedita nell’enorme salone, con il telecomando in mano mentre facevo zapping.
Ed ora eccoci qua, davanti a un piatto di gnocchi alla gorgonzola. E a parte gli scherzi, erano davvero buoni.
Ci sapeva fare in cucina. Non quanto me, ma per essere un uomo era bravo.
“Sono davvero buoni.” Gli concessi dopo, addentando un’altra porzione.
“Buoni?” I suoi occhi si sgranarono, mentre iniziava a mangiare anche lui. “Sono fantastici, squisiti… oh, Bella! Tu non sai proprio giudicare.”
Staccai un pezzo di mollica dal pene, tirandogliela addosso.
“Hey!” Si finse offeso, lanciandomi l’ennesima occhiataccia di quella giornata.
Marinare la scuola con Edward Cullen.
Andare a prendere un caffè con Edward Cullen.
Pranzare con Edward Cullen.
E… beh.
Essere baciata da Edward Cullen.
Mi sarei risvegliata, prima o poi? No, perché sembrava un sogno.
Un sogno perfetto.
“Allora.” Esordì, tra un boccone e l’altro… “Cosa farai oggi?”
Del tutto sorpresa da quella domanda cercai di rispondergli. Questa volta non omettendo nulla.
“Beh… sicuramente passerò da Jacob. Sai, dopo ieri dobbiamo ancora chiarire molte cose. Poi andrò da tuo padre.”
Sbuffò, ancora contrariato a quella mia folle idea.
Sicuramente Charlie avrebbe approvato, quindi tanto valeva andare subito da Carlisle.
“Dio, fa sì che non ti assuma!” Disse in tono scherzoso, congiungendo le mani e alzando gli occhi al cielo.
“Sai che non sarà così.” Presi l’acqua dalla brocca, e me la versai nel bicchiere. “E invece, tu che farai oggi?”
“Studierò lo stretto necessario prima di andare da Tanya. Poi andrò a lavoro.”
Smascherai con pochi risultati il mio strozzamento.  Bene, ci mancava l’ennesima figura da idiota oggi.
“Senti Edward… che ne dici se ci teniamo per noi questa giornata? Ovvio, Alice sicuramente lo vorrà sapere, ma non sono sicura che per Jake sia lo stesso. Per non parlare di Tanya.”
“Ti stavo per dire la stessa cosa. Non che abbiamo dei segreti da nascondere, però…”
“Sì, sì. Lo so. Non ti preoccupare, la penso come te. A Forks le voci girano, ed anche troppo velocemente.”
Finii i miei gnocchi, e poi guardai il grande orologio a muro.
Erano già le tre.
“Edward… io dovrei tornare a casa.”
Bene, stavo scappando.
“Sì, okay.”
E lui me lo lasciava fare.
Mi alzai, prendendo la giacca che avevo lasciato all’ingresso.
“Sono stata davvero bene.” Sorrisi, pensando a tutta quella mattinata.
Ma a chi la davo a bere? Io non facevo altro che pensare a quel bacio.
Quel bacio, di cui non avevamo più parlato.
“Sì, anch’io.”
Mi accompagnò alla porta, aspettando che uscissi.
Due passi, e mi voltai indietro.
“Ci vediamo domani mattina?”
“Cosa?” Domandò, inarcando le sopracciglia.
“Oggi non siamo andati a scuola, domani dobbiamo andare per forza.” Precisai, scrutandolo. Forse era stata una bella giornata anche per lui, ma che non voleva ripetere.
“Certo.” Sorrise, avvicinandosi per stamparmi un bacio sulla guancia. “Buona giornata, Bella.”
“Buona giornata, Edward.”
Salii sul pick up, misi in moto e me ne andai.
Quando uscii definitivamente dalla villa dei Cullen, scoppiai in un pianto liberatorio.  
 
____________
 
 
 
Allora… che ne pensate?
Non criticate Bella, dopo tutta quella giornata era a pezzi.
Passare l’intera mattinata con il tuo ragazzo dei sogni che ti bacia, e poi lui ti viene a dire che il pomeriggio lo passerà con la sua fidanzata… beh, gli avrei dato talmente tanti d quegli schiaffi!
E poi… perché Edward si è comportato così? Lo scoprirete nel prossimo capitolo, ma intanto voglio sentire tutte le vostre opinioni :)
Anche in questo capitolo si è parlato di Emmett… poi saprete tutto ùu
Cercherò di aggiornare ogni settimana, ve lo prometto.
Grazie mille a tutte le lettrici, nuove e vecchie.
Grazie, grazie e ancora grazie :*

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Capitolo 6
*** Preoccuparsi per Isabella ***


Un solo giorno di ritardo… mi perdonate, vero?
Questo è un capitolo di transizione, che non mi piace per niente. E no, non venite a dirmi che è scritto bene perché non lo è. Ne sono pienamente convinta .-.
Vi lascio a questa schifezzuola, ci vediamo giù :D
 
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Sesto Capitolo – Preoccuparsi per Isabella
 
Edward
 
Guardai Alice, sbuffando sonoramente
Ero tornato alle sei, dopo aver passato il pomeriggio con Tanya. Ora dovevo solo farmi una doccia, vestirmi e andare al Pub.
E mia sorella da quando ero entrato nella doccia aveva iniziato a farmi la predica.
“Avete passato l’intera mattinata insieme! Lo sai quanto mi sono preoccupata quando non l’ho vista, a scuola? E tu non rispondevi neanche ai messaggi. E poi che vengo a sapere? Che l’hai baciata! Cavolo, Edward! Hai baciato Isabella e poi le hai detto che passavi il pomeriggio da Tanya!”
Cercai di darmi un po’ di contegno, anche se sapevo che Alice non poteva vedermi. Le pareti della doccia erano totalmente appannate.
“Non so perché l’ho baciata, va bene?” Ammisi infine, posando la mia saponetta.
Ed era vero: io non sapevo per quale oscuro motivo avevo baciato Isabella Swan. E poi… quanto mi era piaciuto? Troppo.
Ero un perfetto idiota, ecco.
E oltretutto, avevo passato il pomeriggio con Tanya. Che non aveva fatto altro che parlarmi di moda, e di tutto quello che aveva fatto la mattina a scuola. Bene, neanche avevamo combinato niente.
“Non ne fai una giusta, lo sai? Chissà lei cosa avrà pensato!”
Presi l’asciugamano, l’avvolsi intorno alla mia vita ed uscii da doccia.
“Cosa? Isabella non è proprio il tipo di persona che si fa tutti i film mentali che ti fai tu Alice! Per lei quel bacio non è stato nulla. E poi mi ha anche detto che il pomeriggio sarebbe andata da Jacob.”
Ennesima cosa che non riuscivo a digerire. Quando mi aveva detto di Jake, ero sbottato con la storia di Tanya.
Mia sorella mi tirò uno scappellotto in testa.
“Sei un idiota, Edward Cullen! Come fai ad essere mio fratello? Se ieri Bella ha respinto Jake, come puoi minimamente immaginare che oggi è andata da lui se non per chiedergli scusa?”
Beh, il suo discorso non faceva una piega. Non ci eravamo detti molto, ma quel poco di cui avevamo parlato non si era mai presentata la questione Jake.
“Non dirmi che le hai detto di Tanya dopo che lei ti ha detto di Jacob.”
Abbassai lo sguardo, fingendo di trafficare con il mobiletto bianco. “Come non detto.” Alice mi lanciò un’occhiataccia, uscendo dal mio personalissimo bagno. Bene, aveva invaso anche troppo il mio spazio.
“Ah, Edward!” Appunto… “Cerca di farti più bello del solito.”
Arcuai un sopracciglio. Cosa diamine voleva dire?
“Stasera papà mi ha dato la serata libera. Sia a me che a Jasper. E sai perché? Hanno preso una nuova cameriera. Stasera Isabella ti terrà compagnia!” Il deodorante che avevo in mano mi scivolò per terra, mentre la risata ilare di Alice si allontanava dalla stanza.
Merda!
 
“Tesoro”, mia mamma si avvicinò, odorando il colletto della mia camicia. “Non ti sarai messo troppo profumo?” Chiese innocentemente, infilzando un pezzo di carne nella forchetta.
Erano le diciannove e trenta, ed eravamo tutti a cena. Ormai era sempre così, da quando era iniziato il lavoro al Pub.
Alice nascose un risolino dietro al suo bicchiere, colmo d’acqua.
“Come al solito, mamma.”
Sarà.” Avrei voluto uccidere mia sorella, in quel preciso istante. Non poteva starsene zitta nel suo angoletto, dove i suoi unici pensieri erano lei e Jasper e Jasper e lei?
L’ammonii con lo sguardo, chiedendole gentilmente di starsene zitta.
“Beh, ragazzi! Non siete felici che Isabella lavorerà con noi? Così avrete molte più serate libere.”
“E’ meraviglioso!” Ennesimo commento di mia sorella, che mi lanciò un’occhiata maliziosa.
No, l’avrei uccisa. Prima o poi, l’avrei fatto.
“Sì, niente male.” Ecco invece il mio commento.
“Quella ragazza è fantastica. Mi è sempre piaciuta.” Disse mio padre.
“Anche a me. Edward, perché non inizi ad uscire con Isabella? Se non sbaglio è molto amica di Jacob, inizia-” Bloccai sul nascere le parole di mia madre.
“Papà, la mia Volvo?” Alice rise di nuovo, e questa volta catturò l’attenzione di tutti. Fortunatamente i miei non le diedero corda.
“Ho parlato oggi con Marcus. Un’altra settimana e sarà pronta.”
Una settimana.
Una settimana senza la mia amata macchina.
Una settimana nella quale Isabella Swan doveva accompagnarmi a scuola. Tutte le mattine, per una settimana.
“Edward, lo sai che a me puoi dire tutto, vero?” Se ne uscì mia madre, dopo qualche minuto di silenzio.
“E’ successo qualcosa?” Domandò papà, con un cipiglio curioso. La sua espressione era lo specchio della mia e di quella di Alice.
“Perché stamani non sei andato a scuola?”
Perché io ogni volta che mi venivano comunicate notizie shock dovevo bere?
No, perché sputai tutto dentro il bicchiere.
“E’ colpa mia, mamma.” Alice mi stupì, mentre guardava i nostri genitori con lo sguardo imbarazzato.
“Come?” Invece papà sembrava molto arrabbiato.
Sapevo che quando volevo saltare le lezioni bastava che glie lo dicessi, e lui non mi mandava a scuola. Non gli avevo mai creato problemi.
“Ieri pomeriggio ho lasciato la macchina a Edward. Lui però si è dimenticato di venirmi a prendere, all’uscita. Allora stamattina – molto arrabbiata -, l’ho lasciato a piedi. Come poteva andare a La Push a piedi? Non poteva. Quindi è rimasto a casa.”
“Alice, lo sai che hai fatto una cosa assolutamente sbagliata?”
“Lo so, mamma.” Abbassò lo sguardo, mortificata.
Dio, era un’attrice nata. Quel piccolo nanetto malefico!
“Edward.” Ecco. Non si erano dimenticati di me. “Perché ti sei dimenticato di andare a prendere tua sorella?”
“Perché sono andato a studiare da Jacob, dopo la scuola. E non mi reso conto del tempo che passava così velocemente.”
“Farò finta di crederci.” Disse mamma, socchiudendo gli occhi in due piccole fessure.
Continuammo a mangiare silenziosamente, accompagnati dal rumore delle forchette che sbattevano sui piatti.
“Oggi mi ha chiamata Emmett.” Quello che seguì fu il rumore di una forchetta – la mia -, che cadde dritta nel piatto.
“Ne dobbiamo parlare?” Domandai, riprendendo a mangiare. Stranamente il mio stomaco si era chiuso.
“Perché non dovremmo?” Questa volta era stato mio padre a parlare.
“Dopo quello che ha fatto? Dopo quello che ha fatto alla nostra famiglia, e al Pub? Ci ha rovinati, e siamo riusciti a sistemare tutto il casino che ha lasciato lui grazie alla tua conoscenza con Charlie Swan e grazie ai soldi che abbiamo.”
“Edward…”
“No, mamma. Alice deve sapere che anche se lei vuole chiamare Emmett e sentirsi con lui, io no. Anche se è mio fratello, non voglio più avere niente a che fare con lui, mi dispiace. Ed ora, vado a lavoro.” Enfatizzai le ultime parole, cercando di fargli capire che era grazie ad Emmett, che ora da diciassettenne tutte le sere dovevo andare a lavoro, invece di divertirmi ed uscire con i miei amici.
Presi la giacca e le chiavi dell’Aston Martin di mio padre. Quella sera sarei andato con la sua macchina, a lavorare.
 
Erano trascorsi venti minuti buoni da quando ero partito da casa. Di solito per arrivare al pub ne occorrevano più o meno dieci, ma quella sera me l’ero presa più comoda del solito. Soprattutto per colpa delle parole di Alice, che non facevano altro che rimbombarmi nella testa.
Parcheggiai, non prima di sgranare gli occhi guardando il pick up rosso di Bella parcheggiato fuori al Pub.
No, così proprio non andava.
Spensi il motore, tirai fuori le chiavi dell’Aston Martin e scesi come una furia.
“Si può sapere cosa ci fai qui?” La travolsi, appena aprì la portiera.
Inarcò un sopracciglio. “Come?”
“Ma ti guardi intorno? Prima che il Pub apra qui non c’è nessuno. Non c’è neanche un lampione è tutto isolato… Lo sai che una volta sono venuti i ladri? Cosa diamine ti salta in mente di recarti qui da sola mezz’ora prima?” Questa volta fu lei a sbattere la portiera della sua auto, voltandosi per puntarmi la chiave della macchina contro.
“Tu mi stai dicendo che non mi hai neanche salutata perché eri troppo occupato a farmi la ramanzina? Edward, lo sai che ho diciassette anni e so badare a me stessa?”
“Oh, vorrei proprio vedere come farai a badare a te stessa con un gruppo di malviventi alle calcagne.”
Sbuffò adirata. Forse avevo esagerato.
No, non avevo affatto esagerato. Mi stavo preoccupando per lei.
“Sei impossibile! E domani sera passo a prenderti io.” Senza dirle niente mi avviai versò l’entrata del Pub, tirando fuori dalla tasca la chiave. Aprii la porta principale, ed accesi le luci. Sentii i passi cauti di Isabella che mi seguivano.
“Ah, comunque buonasera.” Disse infine, celando una nota di divertimento. Fatto sta che non sembrava più turbata da quello che le avevo detto prima.
“Buonasera.” Ricambiai il saluto, voltandomi e regalandole un sorriso. La vidi abbassare lo sguardo, quasi imbarazzata. “E scusami. Ho discusso con i miei stasera e me la sono presa troppo, prima.” Pronunciando il prima indicai fuori al locale, dove me l’ero presa con lei.
“Non ti preoccupare, ci ho fatto l’abitudine con tua sorella. I tuoi scatti d’ira sono tali e quali ai suoi.” Sentenziò, arcuando un sopracciglio.
Voleva forse dirmi che io avevo qualcosa in comune con quella stramba di mia sorella? Nah, impossibile.
Lasciai correre, recandomi dietro al bancone per entrare dentro la stanza del personale. Lei rimase dietro, aspettando che le dicessi qualcosa con le braccia incrociate al petto.
“Allora?” Domandai, alzando tutte e due le braccia. “E’ o no il tuo primo giorno di lavoro?” Sorrise, seguendomi per posare la borsa e tutti i suoi effetti.
“Puoi indossare questo.” Le diedi il grembiule con sopra stampata la scritta Cullen’s di Alice, che le stava a pennello. Prima o poi i miei si sarebbero occupati di fargliene uno anche a lei.
“Insomma, perché hai discusso con i tuoi genitori?” Chiese, mentre insieme sistemavamo i tavoli e mettevamo giù le sedie.
Dieci minuti ed avremmo aperto.
“Niente di speciale. Le solite discussioni, create ovviamente da quella vipera di mia sorella.” Sorrise, continuando a lavorare.
“Lascia stare Alice.” Sgranai gli occhi e passai accanto a lei per darle un buffetto sulla testa.
Finito di sistemare tutti i tavoli tornammo al bancone. Diversamente da quella mattina, questa volta eravamo tutti e due seduti dietro.
Avevamo aperto da una ventina di muniti, e ovviamente non era passato nessuno. Durante i giorni settimanali il locale restava vuoto, o perlomeno venivano due o tre coppiette a prendersi una birra.
“Insomma, alla fine che hai fatto oggi?” Le domandai, mentre la curiosità mi logorava. Volevo sapere se era andata da Jake, cosa gli aveva detto e se si erano chiariti.
“Niente di speciale. Sono andata a casa, e ho studiato un po’. Verso le cinque sono andata a La Push, e come prevedevo Billy mi ha detto ‘Mio figlio non vuole avere più niente a che fare con te,’ sue testuali parole. Poi sono tornata nuovamente a casa, ho aspettato Charlie per la cena ed eccomi qua.”
Leggevo sul suo viso il dispiacere. Dopo diciassette anni di amicizia con Jake, non vederlo più l’aveva distrutta.
Allora perché mi sentivo così tremendamente sollevato?
Aveva incrociato le braccia sul bancone, poggiandoci la testa sopra. Prima di iniziare a lavorare aveva raccolto i capelli in una coda scomposta, e una ciocca le era scivolata da dietro l’orecchio.
Senza pensarci due volte la presi, mettendola al suo posto. Proprio come quella mattina.
Sospirò, sorridendomi teneramente.
“Tu, invece? Cos’hai fatto oggi?”
“Quando sei andata via ho studiato. Poi sono andato da Tanya, che non ha fatto altro che parlarmi di shopping per tutto il pomeriggio. Era snervante!” Sospirai frustrato, mentre un risolino proveniva dalla bocca di Isabella. “Hey, non prendermi in giro!”
“Scusa, scusa!” Si alzò, mentre il suono di un campanellino ci avvisava che era entrato un cliente.
Ci voltammo tutti e due nella stessa direzione, rimanendo completamente a bocca aperta.
“Tanya?” Il mio era stato un sussurro, che nemmeno riuscii a percepire io stesso.
Strinsi gli occhi più volte, credendo di essermi immaginato tutto. Ma invece non era così. Davanti a me c’era Tanya, con un sorriso smagliante e i suoi capelli biondi ossigenati. Volsi il mio sguardo alla mia destra, mentre Isabella teneva lo sguardo fisso su Tanya, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati.
“Cosa ci fai qui?” Chiesi, con il tono più gentile che riuscii a tirare fuori.
Oh, non posso neanche venire a trovare il mio ragazzo?” Passò oltre il bancone per venirmi incontro, e stamparmi un bacio sulle labbra. La respinsi dopo due secondi, indicandole Isabella. Ma neanche il tempo di parlare, che lei le aveva già puntato un dito contro.
Swan? Cosa ci fai qui?” Era quello il tono che usava con Isabella? La guardai con un sopracciglio alzato, appuntandomi mentalmente di chiederle cosa le avesse fatto Isabella per essere trattata con tanta superficialità.
“Tanya.” La salutò, con il suo solito tono dolce e un sorriso tirato. “Ci lavoro, qua.” Era anche dolce e carina, ma quando voleva poteva diventare un peperino. Nascosi un mezzo sorriso, aspettando che Tanya le rispondesse. Invece, rivolse lo sguardo a me.
“Ci lavora? Perché?”
“A noi serviva una mano, e Isabella è stata così gentile da offrirsi volontaria.”
“Come? E tutte le volte che ti ho chiesto io di poter lavorare qui?” Attivò la sua modalità da occhioni da cane bastonato, che ovviamente non funzionavano più con me.
“Veramente sono stata io a chiedere alla famiglia Cullen di poter lavorare qui. Mi farà comodo guadagnare qualche soldo mio.” Si rivolse a Tanya, regalandole un sorriso a trentadue denti.
“Bene.” Anche Tanya sorrise, ma questo era uno dei sorrisi più falsi che avevo visto da quando stavamo insieme. “Allora non vi dispiacerà se rimango qui, vero?” Merda.
“No, certo che no.” Era stata Bella a rispondere, interrompendo tutti i film mentali che mi ero fatto in testa.
E quindi per lei non c’era nessun problema? Beh, se non c’era per lei allora non c’era anche per me.
Tanya noncurante di tutto si sedette dinnanzi a me, dall’altra parte del bancone, mentre mi lanciava occhiatine maliziose e sorrisini. Feci finta di niente, guardandomi intorno o posando lo sguardo su Isabella, che aveva trovato in un cassetto le parole crociate di Alice, ed aveva iniziato a scrivere.
Ecco, almeno lei aveva qualcosa da fare!
Il secondo tintinnio di quel campanello ci avvertì della presenza di altre persone nel locale.
Grazie a Dio!
Prima di guardare chi era entrato posai lo sguardo sull’orologio a muro, che segnava già le ventitré e trenta. Bene, mezz’ora e avremmo chiuso.
Poi posai il mio sguardo sui nuovi clienti, e la mascella mi cadde letteralmente per terra.
No, non era possibile. Quello era un incubo!
“J-jake?” Era stata Bella a sussurrare quel nome, mentre un ragazzo tutto muscoli e bicipiti era entrato, bagnato dalla testa ai piedi a causa della pioggia.
E appena sentì pronunciare il suo nome, alzò la testa di scatto.
“Isabella?”
“Jacob?”
“Black, cosa ci fai qui?” Era stata Tanya a pronunciare l’ultima domanda, con tanto di sguardo schifato. Bene, inutile dire che lei non aveva mai sopportato Jake, il mio migliore amico.
“Cosa ci fai qui?”
“Ha deciso di lavorarci, qui.” Di nuovo Tanya rispose alla domanda di Jacob, mentre Isabella le regalava uno sguardo pieno d’odio.
“Da quanto tempo lavori qui?” Jacob fissava Bella, non curandosi di noi.
“Stasera.”
“Edward, perché non mi hai detto niente?”
“Perché anch’io sono venuto a saperlo stasera.” Mi difesi, cercando con lo sguardo quello di Isabella. Lei sospirò, passandosi una mano fra i capelli, scompigliandosi ancora di più la coda.
“Che bello, siamo tutti qui! Possiamo organizzare un’uscita a quattro in futuro, no?” Guardammo tutti e tre Tanya, come per ammonirla.
Meglio che rimanesse zitta!
“Invece che ne dite di andarcene?” Proposi io, anche se era passato solo un quarto d’ora. “Noi stacchiamo a mezzanotte, e qui non si è visto ancora nessuno. Ce ne andiamo?” Isabella non disse niente, recandosi nella stanza riservata al personale per prendere le sue cose e togliersi il grembiule.
Quando uscimmo trovammo Tanya e Jake nella stessa posizione di prima, e stavolta con l’aiuto di Jacob tirammo su tutte le sedie, senza spazzare. Era tutto estremamente pulito, e comunque ci avrebbe pensato mia madre il giorno dopo.
Spensi la luce e uscimmo tutti e quattro.
Tanya che era avvinghiata al mio braccio lo lasciò, dirigendosi alla sua Porsche rossa.
“Jake ti accompag-” Non finii di pronunciare la frase, perché Isabella mi interruppe.
“No, ci penso io. Ti accompagno io, a casa. Ti voglio parlare.” Non gli diede neanche il diritto di replica, perché Jacob salì silenziosamente nel pick up di Bella.
“Ci vediamo domattina.” Sussurrò, cercando di non farsi sentire. Annuii, salendo sull’Aston Martin di Carlisle.
Aspettai qualche secondo, finché non vidi il veicolo rosso di Bella sfrecciare verso La Push.
Insieme a Jacob Black.
 
 
____
 
In primis vi dico che il titolo del capitolo è preso a caso. Non riuscivo a trovarne uno adatto. Poi, il prossimo capitolo sarà POV Bella, e partirà proprio da lei che lascia il locale con Jake. Vi ricordo che quando loro hanno marinato la scuola, il bacio, pranzato insieme e il lavoro, è successo tutto nella stessa giornata :D
Vi aspetto al prossimo capitolo, e vi ricordo che nel mio profilo ci sono i collegamenti per il mio Facebook e Twitter :) Alla prossima settimana!

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Capitolo 7
*** Bella, perdonami. ***


Miei cari e dolci lettori, buonasera :) Lo so che sono imperdonabile, ma venerdì FINALMENTE la scuola finirà, e quindi sarò tutta vostra ;D
Sono qui con le borse sotto gli occhi: causa MTV Movie Awards *___* Gli avete visti? E quel bacio del ca**o? ‘-‘ Il trailer di BD? Oh, Dio! Io sto ancora sclerando! Tutto il mio supporto va al Twilight Cast, che si è meritato tutti quei premi ù_u
Ora vi lascio al capitolo, ci sentiamo sotto :*
 
___

Settimo Capitolo: Bella, perdonami.

*
 
Quando imboccai la strada per entrare a La Push, io e Jake non ci eravamo ancora rivolti la parola. Silenziosamente era salito sul Pick up, e sempre in silenzio era rimasto durante il tragitto.
“Billy… Billy ti ha detto che oggi sono venuta per parlarti?”
“Sì.” E se parlavamo, era a monosillabi.
Meno di cinque minuti, e saremmo arrivati a casa Black.
“Jake, ti posso parlare?”
Sbuffò, passandosi una mano fra i capelli.
“E cosa vorresti dirmi, Bella? Che ti dispiace? Che non ricambi i miei sentimenti ma vuoi ancora restare mia amica, magari come prima? No. Non voglio sentirmi dire questo.” Mi morsi un labbro, cercando di ricacciare indietro le lacrime che stavano per uscire.
Stetti in silenzio per qualche minuto, finché non parcheggiai il Pick up fuori casa Black.
“Non posso dirti che mi dispiace.” Presi un bel respiro, prima di continuare. “Sei il mio migliore amico, Jake! Diamine, sono diciassette anni che siamo amici, e tu non puoi fare un’uscita del genere, capisci! Dopo diciassette anni, come pensi che i miei sentimenti nei tuoi confronti siano ricambiati?”
“Perché non facevi altro che parlare con Angela ed Alice di un ragazzo. E visto che in diciassette anni, Bella, non ti ho mai vista con nessuno, ho fatto due più due!”
“Il due più due sbagliato.” Mormorai, senza farmi sentire.
“Per ora non voglio più vederti, Bella. Non voglio più parlarti, o sentirti. Lo so che può sembrare una cosa cattiva, ma ti prometto che passerà. E sarò io a tornare da te, come amico. Ma ora mi dovrà passare.”
“Jake…” Sussurrai appena, mentre questa volta le lacrime avevano iniziato a scendere copiosamente.
Senza dire una parola scese dalla macchina, dirigendosi verso la sua abitazione. Lasciandomi lì sotto, da sola. In silenzio rimisi in moto, con le lacrime che continuavano a bagnarmi il volto, e i singhiozzi che mi squassavano il petto. La pioggia scendeva copiosamente, appannando il vetro senza che io avviassi i tergicristalli. Sicuramente ero uscita da La Push, ma non sapevo dove stessi andando.
Troppo nero, troppe lacrime e troppa pioggia ad oscurarmi la vista.
Finché un boato, e un buio totale.
 
“Isabella! Bella!” Aprii gli occhi faticosamente, cercando di ricordarmi dov’ero.
Beh, lo scenario non era cambiato molto: ero sempre nel mio Pick up, con il volto bagnato di lacrime e la testa che girava furiosamente.
Ah, sì. C’era anche una voce insistente, che non la finiva di ripetere il mio nome.
“Isabella!” Come non detto. “Fai scattare la sicura! Isabella!” Riuscii a malapena ad impugnare la sicura, tirandola su con uno scatto secco.
“Isabella! Tutto bene? Stavi guidando nella corsia opposta, e ti ho presa in pieno. Oh, Dio! Isabella!”
“Shhh.” Sussurrai appena, pregando il mio interlocutore di smetterla. La testa mi scoppiava, e lui così ci stava mettendo il carico da cento.
“Bella! No, shh un corno! Non va affatto bene! Dove ti sei fatta male? Stavo andando da Jacob per parlargli, e… Oh, Dio! Ti ho presa in pieno! Ti ho uccisa!”
“EDWARD! Non sto per morire. Mi fa solo male la testa, ed è tutta colpa tua. Quindi, smettila di parlare.” Non volevo essere così sgarbata, ma se l’era cercata.
“Ce la fai a spostarti, nel lato del passeggero?”
Mi stava forse prendendo in giro?
“Allora devo chiamare l’ambulanza. Oh, Dio! Bella, scusami. Scusa.”
Non sentii tutto ciò che aveva pronunciato dopo la parola ambulanza, ma appena l’avevo sentita sgranai gli occhi.
“Forse… forse posso provarci. Devi… devi solo aiutarmi.” Sussurrai, mentre Edward mi si avvicinava.
“Dimmi cosa devo fare. Qualunque cosa, Bella.”
Non riuscivo a muovere il collo, ero mezza morta e a cosa potevo pensare? Ero proprio una pervertita, io.
“Spostami. Cerca solo… cerca solo di non muovermi il collo.” Con estrema lentezza mise una mano sotto il mio collo, cercando di non muoverlo. Con l’altra invece mi spostò del tutto, sul sedile del passeggero.
Lui salì dalla parte del guidatore, accarezzandomi gentilmente la testa.
“Ora, devo spostare l’altra auto. Tu non muoverti, e Bella, non chiudere gli occhi. Parla, continua a parlare. Non chiudere gli occhi, ti prego.” Prima di scendere dall’auto mi diede un leggero bacio sulla fronte, sussurrandomi un’altra volta ‘scusa’.
Aspettai che tornasse, ma il tempo sembrava non passare mai.
Parlavo, ma il tempo si era come fermato. E quando tornò, avevo già chiuso gli occhi.
 
**
 
“Io lo sapevo! Sapevo che non ce la dovevo mandare! Però è stata così insistente, voleva un lavoro tutto suo! E guarda in che guaio l’ho cacciata!”
“Charlie. La colpa non è tua. Lo sai che la notte le strade a Forks sono pericolose.” Avevo riconosciuto la voce di mio padre, ma non l’altra.
“Se solo non fosse andata a La Push! Perché diamine Jacob Black è dovuto andare al Pub?”
“Con il senno di poi non si risolverà mai niente, Charlie.” Non ci avevo messo molto a riconoscere quella voce.
Ma era diversa dal solito. Quasi impaurita, roca e molto stanca.
Cosa ti è successo, Edward?
Cercai di aprire gli occhi, ma le palpebre erano come incollate. Però ero riuscita a muovere due dita della mano destra.
Cosa che non sfuggì al dottore.
“Si sta svegliando. Bella? Bella, mi senti?”
Una mano fredda si posò sulla mia fronte, quasi a ricordarmi quello che era successo pochi istanti prima.
“Mmh.”
“Isabella, hai avuto un incidente. Mi senti?”
“A-acqua.” Sussurrai appena, mentre sentivo smanettare vicino a me.
“Isabella, apri gli occhi.” Mi sforzai di più stavolta, riuscendo ad aprirli. Solo per pochi istanti, perché la luce era talmente forte che li avevo chiusi di nuovo.
“Riesci a muoverti?”
“Poco.” Sussurrai, provando a muovere le articolazioni. Riuscii a muovere soltanto le dita delle mani, e i piedi.
“Ottimo.” Carlisle! Quel nome rimbombò nella mia mente. Era lui, che mi stava parlando.
“Acqua.” Ripetei ancora, mentre la gola si faceva sempre più secca. Il letto si alzò di poco, mentre provavo a riaprire gli occhi, di nuovo. Questa volta li strizzai con forza, guardandomi intorno. Accanto al letto c’era un mobiletto bianco, dove Charlie stava trafficando con una bottiglia d’acqua. Carlisle era proprio accanto a me, mentre cercava di sistemarmi bene il collo. Su una sedia, poco lontano, c’era Edward.
Lo sguardo perso, assente.
Le testa chinata, con le mani fra i capelli.
Cosa diamine era successo?
Carlisle mi aiutò a bere, pochi sorsi che rinfrescarono la mia gola. Poi esalai un forte respiro. Volevo voltarmi, ma qualcosa mi bloccò.
“Hai avuto un leggero trauma.” Spiegò il dottore. “Nulla di grave. Fortunatamente Edward passava di lì. Però… Bella, non riesco a spiegarmi cos’è successo. Lì non c’era neanche una macchina, cosa…”
“Colpa mia.” Dissi subito, notando che la mia voce non era più roca. “Pioveva forte, non avevo attivato i tergicristalli e sono uscita dalla corsia.”
Carlisle mi accarezzò i capelli, con un gesto dolce. “Te l’avevo detto, Charlie. Nessun incidente, nessun danno grave.”
Alzai gli occhi, per incrociare quelli di mio padre. La sua espressione era quasi più dolorante di quella di Edward.
“Papà, non devi preoccuparti.” Lo rassicurai. “Sto bene. Davvero.” Dissi infine, sorridendo. Beh, più che un sorriso era uscita una specie di smorfia.
“Bella, hai una fasciatura alla caviglia. Dovrai tenerla per tre settimane, quindi, niente auto. La botta che hai preso in testa non è grave, ma vorrei tenerti qui per qualche giorno. Che ne pensi?”
“Non ha voce in capitolo. Lei resterà qui tutti i giorni che serviranno.” Mio padre mi puntò un dito contro, cercando di fare il minaccioso.
Sapevamo tutti e due che non ci sarebbe mai riuscito.
“Ottimo. E poi, devi tenere questo per tre – quattro giorni.” Posò la sua mano sul collarino medico, intorno al mio collo.
Ecco, perché non riuscivo a voltare la testa.
“Okay.” Strizzai nuovamente gli occhi, sentendomi più stanca di prima. “Che giorno è?”
Carlisle sorrise bonariamente. “Sono passate solo quattordici ore, Bella. Sono le due del pomeriggio.”
“Ho dormito per quattordici ore?” Domandai, chiedendomi allora perché fossi così stanca.
“Già. E’ normale la stanchezza, non preoccuparti.” Sorrise, mentre il cercapersone che aveva in tasca suonò, contemporaneamente alla ricetrasmittente che aveva Charlie.
“Ora vado, Bella. Per qualsiasi cosa, chiamami.” Carlisle mi accarezzò una mano, facendo un cenno del capo a Charlie ed uscendo dalla stanza.
“Papà, vai a lavoro. O a casa, a riposarti.”
“Non ci penso minimamente.”
Appena finì di pronunciare quelle parole, la ricetrasmittente emise l’ennesimo suono incomprensibile.
“Vai.”
“Non voglio lasciarti da sola.”
“Posso stare io con lei.” Dal fondo della stanza sentii la voce di Edward, per la seconda volta. Mi ero quasi dimenticata che fosse lì, con noi. Era stato per tutto il tempo in silenzio, senza dire una parola.
“Ragazzo, non devi andare a scuola?” Edward alzò tutte e due le sopracciglia, ed io cercai di non scoppiare a ridere.
“Papà, sono le due del pomeriggio. Non credi che sia un po’ tardi?” Charlie sbuffò sonoramente, avvicinandosi per posarmi un bacio sulla fronte.
“Se hai bisogno di qualcosa, non esitare a chiamarmi. E tu, Edward.” Issò il suo sguardo in quello di Edward. “Sappi che ogni cosa succederà qui dentro, tu sarai il responsabile.” Lo vidi deglutire rumorosamente, mentre Charlie uscì finalmente, dalla stanza bianca.
 
Aspettai qualche secondo, prima di parlare. “Incute terrore, vero?” Chiesi cautamente, cercando di far parlare Edward.
Sì, certo. L’avevo sentito parlare, ma mai con me.
“E-edward?” Provai di nuovo, quando alzò lo sguardo.
I suoi occhi erano scuri, i capelli sparati da tutte le parti e aveva le borse sotto gli occhi.
Volevo alzarmi, andare da lui ed abbracciarlo.
Cosa che non potevo fare per due motivi: primo, non riuscivo a muovermi. E secondo, non potevo e basta.
Ancora non parlava, ma i suoi occhi erano fissi nei miei. Questa volta era lui, a farmi paura.
“Puoi venire qui?” Domandai, alzando una mano per indicargli il letto. Non si alzò. “Per favore.” Continuai, sperando di averlo convinto.
Si alzò, mentre cercava di sbuffare silenziosamente.
Quando prese una certa distanza, non si mosse più di un millimetro.
Questa volta fui io, a sbuffare.
“Si può sapere cosa diamine hai?” Ero esasperata, dal suo comportamento.
“Cosa ho, Bella? Ti ho quasi uccisa, diamine! E tu mi chiedi cosa ho?”
Alzai una mano, per passarmela fra i capelli, finché…
“Oh, Dio!” Sussurrai, mentre il mio colorito diventava più bianco del solito.
“Che c’è? Ti senti male? Chiamo Carlisle?”
“Un ago.” Mi uscì come un lamento, guardando l’ago piantato nel mio braccio.
Ecco, perché odiavo gli Ospedali.
Per le pareti troppo bianche, per la puzza di spirito e per gli aghi.
“Ti ho presa sotto con la macchina, Bella. Hai avuto un trauma, quasi non riesci più a muovere il collo e ti preoccupi di un ago?”
“Aspetta, aspetta.” Cercai di schiarirmi le idee, pensando a tutto quello che era successo la sera prima.
Eravamo andati al Pub. Poi erano arrivati Tanya e Jake. Dopo… dopo avevo accompagnato Jake a casa e poi… Cazzo!
“Dio, neanche te lo ricordavi! Non troverò mai le parole per scusarmi… non ci riuscirò mai…”
“Fermo, Edward. Mi hai presa in pieno?”
Una strana smorfia passò sul suo volto, mentre chiudeva gli occhi per qualche secondo.
“Tu… tu eri nella corsia opposta. C’era tutta quella pioggia, non ti ho vista allora… Oh, Dio! Bella, scusa. Scusami.”
“Mi hai presa in pieno?” Ripetei ancora, come un automa. Poi, lo guardai meglio. Lui non aveva nessun segno dell’incidente, nemmeno una piccola cicatrice.
“Stai bene? Tu… cosa ti è successo?”
“Ti stai preoccupando per me?” Domandò infine, come se davanti a lui non ci fosse Isabella Swan ma un alieno.
“Non dovrei?”
“Sei… sei assurda.” Sussurrò infine, sedendosi anche lui sul letto, accanto a me. “Non ti sei svegliata per quattordici ore. Credevo che… credevo…” La sua voce si incrinò, quando disse l’ultima parola.
No, non poteva piangere. Quello era Edward Cullen.
Davanti a me, con gli occhi lucidi.
Visto che non potevo alzare più di tanto il braccio, posai la mia mano sulla sua.
“Shhh. Sono qui. Sto bene. E’ tutto a posto.” Abbassò la testa, fino a posare la sua fronte sulla mia.
“Mi dispiace così tanto. Tu… tu non puoi nemmeno immaginare quello che ho passato, Bella. Oh, Dio!”
Rimasi ferma, immobile. Beandomi per qualche secondo del suo profumo, e dei nostri respiri che si incrociavano.
“Riuscirai a perdonarmi?”
Ma l’avevo già fatto, quando posò per la seconda volta le sue labbra sulle mie.
 
____
 
Il capitolo è corto, lo so. Però se vi facevo aspettare ancora arrivava la prossima settimana ‘-‘
Insomma, ho preso spunto da Twilight per la scena dell’ago in Ospedale :)
ED ECCO A VOI IL SECONDO FAMOSISSIMO BACIO… Beh, cosa accadrà dopo? Il prossimo capitolo arriverà la prossima settimana, ma non so che giorno, ehm…
Allora, aspetto tutte le vostre recensioni, e al prossimo aggiornamento :*
Yeah Efp su face book ;3

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Capitolo 8
*** Il terzo bacio perfetto. ***


Puntuale come un orologio svizzero! Lo so che è tardissimo, ma domani-oggi non posso aggiornare, quindi eccomi qui! Spero che il capitolo vi piaccia, perché a me piace da morire! Buona lettura <3
 
___
 
 
Ottavo Capitolo – Il terzo bacio perfetto.
 
 
BELLA POV
 
“Mi hai fatto prendere un colpo, lo sai vero? Quando Edward mi ha detto che eri in Ospedale!” Così si era presentata Alice nella mia stanza, travolgendomi in pieno. E portandosi dietro un Angela trafelata.
“Sto bene.” Non era del tutto vero. Il collo era ancora indolenzito, e facevo fatica a restare in piedi. Gli aghi erano ancora impiantati nelle braccia. E ringrazio Dio per chi ha inventato i letti pieghevoli, che riuscivano almeno a farmi stare dritta, e non sempre sdraiata.
“Stai bene? Guardati, hai anche un livido sulla faccia!” Sgranai gli occhi, all’affermazione di Alice. Un livido in faccia? Perché nessuno mi aveva detto nulla?
“Non è che potresti passarmi uno specchietto?” Prontamente tirò fuori dalla tasca il suo piccolo specchietto, poi lo aprì e lo mise proprio dinnanzi a me.
Stronzo Carlisle, stronzo Charlie e stronzo Edward!
Nessuno mi aveva detto che avevo quell’ematoma enorme che partiva da sotto l’occhio e arrivava alla fronte? Oh, Dio! Ero ridicola!
Lo tolse dopo aver visto l’espressione che assunse il mio viso, totalmente stupita e schifata. Non mi faceva male, ma era una cosa orrenda!
Come aveva fatto Edward a guardarmi con quel coso in faccia? E a baciarmi?
Appunto, baciarmi.
Doppiamente stronzo Edward!
Che mi aveva baciata, per la seconda volta.
Che dopo quel bacio se ne era andato, per la prima volta.
Che dopo quel bacio aveva fatto finta di nulla, per la seconda volta.
“Hey, Bella Addormentata!” Angela mi passò una mano davanti agli occhi, e poi si abbassò per scoccarmi un bacio sulla guancia.
“Allora, mi racconti cosa è successo? La prima volta che vai a lavoro con Edward, e ti schianti contro un albero!” Cercò di soffocare una risata, perché si era resa conto che non ero poi conciata così male, e quindi poteva scherzare sulla mia salute.
“Non mi sono schiantata contro un albero.” Sia lei che Angela mi guardarono, e poi silenziosamente si sedettero per ascoltare quella storia.
“Com’è andata?” Beh, potevo dirlo a loro. Erano le mie migliori amiche, e non lo avrebbero rivelato a nessuno. Su questo, ci contavo.
E così iniziai a raccontargli del lavoro, di Jacob e Tanya e del nostro ritorno a La Push.
“Cane rognoso! Io lo odio! Perché deve sempre complicare le cose, è?” Questa volta fu Angela a parlare, rossa dalla rabbia. Sia io che Alice la guardammo, e poi scoppiammo a ridere.
“Angie, non te la devi prendere così tanto. Infondo ha un po’ di ragione. Lui credeva… Beh, lui credeva che a me piacesse, e invece gli ho dato un due di picche.”
“Come poteva crederlo? Non ha visto come guardavi Edward? Tu non hai altro che occhi per lui!” Alzai gli occhi dopo l’affermazione di Alice, del tutto fuori luogo e inopportuna. E poi iniziai a parlare di nuovo. E così gli raccontai dell’incidente avvenuto con Edward, della mia dormitina durata quattordici ore e del bacio.
Ovviamente raccontai del primo bacio, subito dopo seguito dal secondo.
“Io… io… Quel cretino patentato! Come fa ad essere mio fratello, è! Come? Oh, Dio! Bella, non sia quanto mi dispiace! Lo so che le mie scuse non valgono nulla, ma accettale. Da parte mia, e di Edward!”
Sorrisi, all’esuberanza di Alice. Si era alzata in piedi, aveva gli occhi lucidi ed aveva gonfiato le guance dalla rabbia.
“Non devi preoccuparti. Lui… lui sta con Tanya. Ed io devo farmene una ragione.”
“Se lui sta con Tanya, non ti baciava.” Disse Angela, alzando tutte e due le sopracciglia insieme.
Era la stessa cosa che mi ero detta io. Interiormente. Se lui stava con Tanya, non doveva avere occhi per nessun’altra. Anche se era un adolescente con gli ormoni a palla.
“Non so che fare. E poi… ogni volta che succede se ne va, o fa finta di nulla.”
“Devi dirglielo. Per primo devi dirgli che è un coglione patentato, e poi ti fai spiegare il suo comportamento idiota. E se non lo fai tu, lo farò io.”
Come?
“Non se ne parla, Alice. Io vi ho rivelato queste cose perché siete le mie migliori amiche, e confido in voi che non diciate nulla a nessuno. Intese?”
“Lo faremo, tesoro.” Si avvicinò a me, accarezzandomi la testa. “Questa è una storia fra te e Edward, ma devi risolverla. Lui ancora non sa cosa prova, ma tu sai che sei innamorata pazza di lui. E non voglio che ci lasci le penne. Sei la mia migliore amica, e voglio il meglio per te.”
“E per tuo fratello.” Aggiunsi, abbassando la testa per quanto il collarino me lo permettesse.
“No. Per me può anche soffrire, quel coglione patentato!” Sorrisi, allungando un po’ la testa per scoccare un bacio sulla guancia di Alice.
“Siete le migliori amiche del Mondo, lo sapete vero?” Feci un cenno della mano ad Angela, invitandola ad unirsi a noi. Per un abbraccio a tre.
Dopo qualche secondo si staccarono, cercando di non pesarmi e di non spostare gli aghi. Alice sorrise, tornando sulla sedia dove era seduta prima, ed Angela si sedette sullo stesso divanetto dove era stato Edward la mattina.
“Oh, ma tu non sai cosa è successo, cara mia!” Alice sventolò le mani in aria come una bambina, accentuando ancora di più il significato di quella frase.
“Cosa?”
“Ben ha chiesto ad Angela di uscire. Sabato prossimo!” Sgranai gli occhi, del tutto impreparata da quella rivelazione.
“Come?” Angie abbassò lo sguardo, imbarazzata. E di certo, con Alice non era facile non esserlo.
E così iniziarono a raccontarmi dell’invito di Ben, per andare a cena fuori. Del suo inaspettato interessamento per Angela, dopo la lezione di letteratura. Ed ovviamente Alice non fece altro che raccontare ogni piccolo particolare, mettendola sempre di più in imbarazzo. Sorrisi sconsolata, pensando che almeno erano riuscite a farmi dimenticare momentaneamente Edward e il suo bacio, grazie alla loro compagnia.
 
EDWARD POV
 
Guardai mia madre, che stava preparando tutte le pietanze possibili ed inimmaginabili che esistessero sulla terra.
“Mamma, per chi è tutta quella roba?” Domandai, chiedendomi se non stesse cucinando per un esercito. Certo, esagerava sempre in cucina, ma mai così tanto.
“Tutto per Isabella. Dovrà restare in Ospedale altri due giorni, e chissà cosa le prepareranno.”
Isabella.
Solo quel nome rimbombò nella mia mente, perché non ascoltai il resto.
Ero un tremendo idiota. L’avevo praticamente uccisa, la scorsa notte. E mi ero messo così tanta paura… Dio! Avrei dato la mia anima per essere al suo posto, in questo momento.
Il bacio.
Ed avevo avuto talmente tanta paura di perderla, che avevo dovuto baciarla.
Baciarla per sentirla accanto a me. Per avere la conferma che fosse lì, viva. Che respirasse.
E sì, che respirava. Perché il suo di respiro si era mescolato con il mio, in quel bacio. Un bacio casto, che mi aveva fatto venire la pelle d’oca.
Cosa che non accadeva da… No, non era mai accaduta. Mai.
Isabella stava infrangendo tutte le mie barriere da bravo ragazzo, mandandomi in visibilio.
“Hey! Mi stai ascoltando?” Esme sventolò il mattarello che aveva in mano davanti ai miei occhi, cercando di riportarmi alla realtà.
“Scusa. Ero sovrappensiero.” Scosse la testa, facendo finta di niente.
“Ti stavo dicendo se puoi portare la cena ad Isabella. Ormai sono già le diciotto, Edward. Ti dispiace?” Stavo per dirle che dovevo fare qualcos’altro, ma il suono del telefono di casa bloccò la mia frase sul nascere.
Esme rispose, e poi stette qualche secondo in silenzio, rispondendo con qualche ‘Mmh’.
“Ottimo, Charlie. Allora lo dirò ad Alice.” Attaccò tranquillamente, e prese di nuovo in mano il suo mattarello per impastare la pasta.
Charlie? Era il capo Swan?
“Mamma ch-” Ma non rispose. Perché Alice entrò trafelata in cucina, schioccando un bacio in guancia ad Esme e un’occhiataccia a me.
Ed ora cosa le avevo fatto?
Che io sapessi, non avevo combinato nulla. Tranne che baciare Isabella. Per la seconda volta.
O prenderla sotto con la macchina. O lasciarla sola in quella stanzetta d’Ospedale.
Cazzo!
Dovevo pensarci prima! Alice era la migliore amica di Bella, ed era tornata ora dall’Ospedale. Ovviamente le aveva raccontato tutto. Tutto. Ed ecco che si spiegava l’occhiataccia di mia sorella.
“Hey, tesoro.” Mia madre ricambiò il bacio, accarezzandole dolcemente i capelli. Poi Alice andò nel salone, per posare le sue cose sul divano.
O scaraventare.
“Alice?”
“Sì?” Tornò in cucina, guardando solo ed esclusivamente nostra madre.
Ecco, ora chissà per quanto mi avrebbe tenuto il muso. E non aveva neanche torto.
“Ha chiamato l’ispettore Swan, cinque minuti fa. Stanotte avrà il turno di notte, e quindi non potrà stare con Isabella. E tuo padre le ha espressamente vietato di restare da sola, per questa prima notte da convalescente.” Spiegò mamma, sorridendole.
Allora era davvero il capo Swan. “Ti dispiace passare la notte con lei, in Ospedale? Domani non andrai a scuola, non è un problema. E il Pub stasera rimarrà chiuso.” Sorrise ad Alice, cercando di convincerla.
Ovviamente non c’era bisogno di convincerla, perché con quel ‘Domani non andrai a scuola’ l’aveva già conquistata.
Pensò pensarci su qualche secondo, ma poi fece un segno di diniego con il viso.
“Mi spiace, mamma. Ma domani ho un compito importantissimo a scuola.” Scappò praticamente dalla cucina, ritornando nel salone. “E poi il Pub non può restare chiuso. Andremo io e Jazz. Tu riposati a casa insieme a papà, e manda Edward da Bella.” La guardai, come se davanti a me ci fosse un alieno.
“Edward, tu non hai un compito importantissimo domani?” Mia madre sottolineò ‘importantissimo’, come per dire che aveva capito la bugia di Alice.
Infondo, era pur sempre sua figlia.
“No. Nessun compito importantissimo.”
“Allora non avrà problemi a passare la notte con Bella.” Urlò Alice dal salone, per poi scappare in camera sua.
Passare la notte con Bella.
Dio! Si che avevo problemi! Il mio problema era passare con lei un’intera notte, pensando a tutte le domande che mi avrebbe fatto. E a cui io non avrei risposto, troppo codardo.
“Ti dispiace, Edward?” Esme si voltò nella mia direzione, guardandomi dritto negli occhi. E con quel mattarello in mano, incuteva anche un po’ di terrore.
“N-no.” Azzardai, giocando con un lembo della tovaglia.
“Ottimo. Non preoccuparti, domani non andrai a scuola. E dirò a tuo padre di metterti una piccola sdraio nella stanza di Isabella. Non vorrai mica dormire in quel vecchio divanetto, vero?” Mi assalì in tutto e per tutto. Ecco da chi aveva preso Alice. Da nostra madre.
“Sì, sì. Allora vado a farmi una doccia. E poi vado da Isabella.”
“Ottimo!” Batté tutte e due le mani, come una bambina davanti al suo regalo preferito. E io andai al piano superiore per farmi una doccia, cercando di pensare a qualsiasi cosa avrei dovuto dire ad Isabella.
 
BELLA POV
 
Stando ferma in un letto ero andata fuori di testa. Alice ed Angela erano rimaste molto tempo, ma poi, quando se ne erano andate non sapevo più cosa fare. Carlisle era venuto a visitarmi tre volte, e l’ultima fortunatamente, aveva tolto gli aghi dalle mie braccia. Quindi, potevo muovere senza problemi le mani e le braccia. Non che mi servisse molto, visto che dovevo soltanto fare zapping con il telecomando.
Ma ero andata ancor più fuori di testa, quando un Edward trafelato e bagnato dalla pioggia era entrato nella mia stanzetta bianca e buia.
“Ciao.” Sussurrò, posando tutti i pacchi che aveva in mano sul divanetto. Lo stesso divanetto dove si era seduto la mattina.
Poi mi sorrise, togliendosi il cappotto e spazzolandosi i capelli con la mano.
Quanta roba era quel ragazzo?
“Cosa ci fai qui?” Ormai non si meritava neanche il mio rispetto. Con tutti i discorsi che mi avevano inculcato le mie amiche nel pomeriggio.
Mi aveva baciata due volte. Aveva giocato con i miei sentimenti, anche se lui non ne era a conoscenza. E poi aveva fatto finta di niente, o era scappato a gambe levate.
“Mio padre mi ha chiesto di restare qui per la notte. Non gli andava di lasciarti da sola, questa prima notte da convalescente. E ti ho portato la cena, che ha preparato Esme.”
Lo guardai accigliata.
“Perché devi dormire qui? Sto benissimo da sola.”
“Hey, scusa! A me hanno chiesto soltanto di tenerti compagnia!” Alzò le mani, in cenno di resa. L’avevo praticamente attaccato, senza una giusta motivazione. O meglio, per me la motivazione c’era, ma sicuramente per lui no.
“Scusami.” Sussurrai appena, spostandomi per accendere l’abatjour sul comodino. Non ci riuscii, impedita quel’ero. Ma Edward venne in mio soccorso, accendendola per me.
“No, scusa tu.” Sorrise, avvicinandosi e sedendosi sul letto accanto a me. Proprio dove era stato quella mattina. Accarezzò una ciocca dei miei capelli, per poi scendere sul viso. E una cosa mi venne in mente.
“Sei un vero stronzo, Edward Cullen.” Chiusi gli occhi a due fessure, mentre lui lasciava a mezz’aria la mano.
“C-com?”
“Non mi hai detto che ho un enorme ematoma sul viso. Sei pessimo, e stronzo.”
“Se per questo non te l’hanno detto neanche Carlisle e tuo padre.” Riprese ad accarezzarmi il visto, quasi sollevato dalla mia affermazione.
“Lo so.”
“E allora dovrai dire anche a mio padre che è uno stronzo.” Arcuai le sopracciglia, inclinando il collo per quanto il collarino me lo permettesse.
Doppiogiochista!
“Beh, a tuo padre non ho proprio detto che è uno stronzo. Gli ho detto che poteva benissimo avvertirmi dell’ematoma enorme che sfigura il mio viso, rendendomi orribile.”
Questa volta passò le mani sul livido, accarezzandolo lentamente.
“Non sei orribile. E poi… beh, questa cosa non è giusta. Dovrò dire a papà tutto quello che gli hai detto stronzo.”
Mi fermai al ‘Non sei orribile’, ma cercai di capire anche il resto della frase.
Lo avrebbe detto a Carlisle? Dio, che figuraccia!
“Edward, non… N-on”
“Hey, stavo solo scherzando piccola.” Questa volta invece metabolizzai soltanto l’ultima parola del periodo, chiedendomi se si era reso conto di quello che aveva appena detto. Mi aveva chiamata piccola. E continuava ad accarezzarmi il viso. Poi distolse lo sguardo, per indicare le scatole che aveva posato sul divanetto.
“Prima voglio mangiare, e poi… poi parliamo di quello che è successo stamattina. Che ne dici?”
“Mi sembra un’ottima idea.” Acconsentii, sentendomi del tutto stordita. E del tutto felice, perché voleva discutere del bacio.
Del secondo bacio.
E forse anche del primo.
 
La cena era squisita. Esme aveva preparato dell’arrosto, delle verdure ed una torta alla cioccolata. Mi leccai anche i baffi, quando ebbi finito di mangiare tutte quelle prelibatezze. Poi Edward da bravo ragazzo aveva riposto tutto di nuovo sul divanetto, e si era seduto accanto a me. Durante la cena invece, si era accomodato su una sedia di plastica accanto al mio letto.
“Puoi… ce la fai a spostarti?”
Cosa aveva in mente?
Annuii, spostando il mio corpo a destra. Lui posò un braccio sotto la mia testa, e si sdraiò accanto a me.
Ecco, cosa aveva in mente.
Mi sentii totalmente a disagio. Quello era Edward Cullen.
L’Edward per cui io avevo una cotta da anni remoti, e che ora era nel mio stesso letto ad accarezzarmi i capelli.
La luce della camera era spenta, e rifletteva soltanto la luce della luna sui nostri corpi.
“Isabella… da quanto tempo è che ci conosciamo?” Domandò cautamente, arrivando ad accarezzare i capelli fino alla punta.
“D-da sempre?” Chiesi cauta, cercando di fare mente locale con il cervello e di non sembrare una totale e completa idiota.
“Giusto. E… da quanto tempo è che io ho un interesse per te?” Interesse stava per ‘mi piaci, e ti sto dietro da non sai quanto tempo?’ No, impossibile.
“Dal bacio?” Chiesi cautamente per la seconda volta, ricordando quel bacio nella radura.
“No.”
Cazzo!
Da quanto tempo gli piacevo? E poi… si poteva considerare ‘piacergli?’ La mia mente ormai girava per conto suo.
“No.” Continuò, accarezzandomi con più veemenza i capelli, per poi scendere fino al viso. “Dal giorno prima. Da quando Jacob mi ha rivelato i sentimenti che prova per te.”
Cosa era quello, una presa in giro? Voleva far soffrire il suo migliore amico, e faceva finta di provare interesse per me?
“Cos-?”
“Shhh.” Sussurrò appena, questa volta passando alle labbra che avevano appena pronunciato quella mezza parola, e tracciò copra dei ghirigori immaginari. “Fammi spiegare.”
Cercai di annuire, ma non fu un’impresa facile. Anzi, non ci riuscii proprio. Dai miei occhi lesse che poteva continuare.
“Non sono il tipo che bacia la prima che capita, questo lo sai. E non sono neanche il tipo che tradisce la sua fidanzata. Io e Tanya ormai stiamo insieme da alcuni mesi, ma tra noi non c’è nessun rapporto ufficiale.”
Faceva prima a dire che fra lui e Tanya il rapporto era basato solo dal sesso. Ma stetti in silenzio, aspettando che continuasse.
“Non sono neanche il tipo che bacia le amiche di mia sorella. Anzi, la maggior parte di loro mi sono sempre state antipatiche. Tranne Angela… e tu.” Smise di lasciare carezze sui miei capelli, e poi sbuffò frustato. “Ti dico la verità. Non so neanche io cosa sto cercando di dirti. So solo che quei baci non erano uno scherzo, ma devo schiarirmi le idee. Quando Jacob mi ha detto che si era innamorato, ero felicissimo per lui. Dopo così tanto tempo, aveva trovato una ragazza per cui perdere la testa. Ma poi…” Questa volta si sedette, passando le mani sui suoi di capelli. “Non ci ho visto più. E’ gelosia? Non lo so, Isabella. Ma quando ti ho vista in lacrime su quel Pick up, ho capito che tu non ricambiavi i sentimenti di Jake, e quando mi hai chiesto se potevi passarmi a prendere tutte le mattine ero troppo felice… E quando.” Sorrisi, cercando di alzare una mano per tappargli la bocca.
“Stai zitto, Edward Cullen.” Scossi la testa, con la voce dolce ed un sorriso a trentadue denti.
Mi aveva appena rivelato che era geloso di me. Che gli piacevo, e che era felice che lo andassi a prendere tutte le mattine. E questo, a me, bastava.
“Cos-”
“Non ci riesco ad alzarmi. Potresti abbassarti?” E si ripeté la stessa scena di quella mattina. Lui si abbassò, fino a far sfiorare le nostre fronti.
“Parli troppo, lo sai?” Gli tappai la bocca con un lieve bacio, appena accennato. Sicuramente rimase del tutto stupito dal mio gesto, perché non fece nulla.
Era la terza volta che baciavo Edward Cullen.
E questa volta l’iniziativa l’avevo presa io.
Dopo qualche secondo sorrise anche lui, ricambiando finalmente quel bacio. E non aveva niente a che fare con gli altri e due.
Questa volta si trattava di un vero e proprio bacio. La sua lingua solleticò il mio palato, mandandomi scariche di adrenalina fino alla testa. Non capii più nulla. E di certo non era colpa della mia convalescenza. Era tutto così perfetto.
Poi sorrise, staccandosi lentamente.
“Scusa, Bella.”
“E oltre che parlare, ti scusi anche troppo.”
“Scusa.” Scossi la testa, cercando di fargli nuovamente spazio.
“Dormi qui con me?” Domandai timidamente, chiedendomi se la mia mossa non fosse stata troppo azzardata. Invece posò un bacio sulla mia testa, ed uno sull’enorme ematoma che copriva metà del mio viso.
“Certo, piccola.” Sospirai silenziosamente, godendomi quella piccola vittoria. Poi posai il capo sul suo petto, chiudendo gli occhi.
“E per la cronaca, non sei affatto orribile. Sei perfetta.”
Scossi il capo, pensando a tutto quello che era accaduto in quella giornata.
E a quel terzo bacio perfetto.
 
___
 
 
Un terzo bacio DAVVERO perfetto, voi che ne pensate? Finalmente Edward è riuscito a togliersi il paraocchi che aveva, e a guardarsi un po’ intorno :D Il prossimo capitolo arriverà lunedì! Baci :*

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Capitolo 9
*** Mi piaci. ***


Note a fine capitolo :)
 
 
 
Nono Capitolo – Mi Piaci.
 
 
BELLA’S POV
 
“Beh, direi che è tutto nella norma. Come hai passato la notte?”
Come avevo passato la notte? Oh, Carlisle, non puoi neanche immaginarlo. Abbracciata a tuo figlio, dopo che ci siamo scambiati un bacio da togliere il fiato ad entrambi… no, di certo questo non potevo dirglielo. Carlisle era venuto a controllare la mia situazione quella mattina, per vedere come stavo.
Intanto, Edward era andato a prendersi un caffè al Bar. “Bella?” Mi esortò, alzando un sopracciglio.
“Meravigliosamente.” Decisi infine che quella era una risposta adeguata, almeno c’era un po’ di verità.
Perché sì, quella era stata una delle migliori notti della mia vita.
“Ottimo. Stamattina è venuto tuo padre, ma l’ho rimandato categoricamente a casa. Aveva appena smontato dal turno di notte, e voleva vederti. Gli ho detto di andare a riposare.”
Ringraziai mentalmente Carlisle, per aver fatto tornare mio padre a casa.
E se fosse tornato? Dio, mi avrebbe vista tra le braccia di Edward, e lì sì che si sarebbe arrabbiato. E anche troppo.
“Grazie. Questo incidente l’avrà mandato fuori di testa.” Una risata ovattata uscì dalle labbra del dottore.
“E’ quello che penso anch’io. Ma chi non si preoccuperebbe per il proprio figlio? Bella, le tue condizioni erano tremende quando Edward ti ha portata qui.”
Ricordavo. Poco, ma ricordavo della botta in testa, e di quando mi ero addormentata nel Pick up.
“Già.” Stetti qualche minuto in silenzio, mentre Carlisle finiva di misurare la pressione.
“Credo che sia il caso di togliere anche il collarino. Però dovrai tenere la fasciatura alla caviglia per due settimane, okay?” Annuii, grata perché in quel momento mi stava togliendo l’unica cosa che privava ogni mio movimento.
Non era la prima volta che indossavo il collarino, e di certo non sarebbe stata l’ultima.
Sì, positività al massimo, insomma.
“Ed ho chiesto a Edward di prenderti un tè caldo. Mi ha detto che il caffè non ti piace.”
Oh, Dio!
Ora ci mancava soltanto che Edward dicesse a suo padre tutto quello che gli avevo rivelato in quei due giorni, solo per salvaguardare la mia salute.
“Sì, non amo il caffè.”
“Alla tua età neanche a me piaceva il caffè.” Esordì, mettendo a posto tutti gli attrezzi che si era portato dietro. “Poi, dopo che è nato Edward ho iniziato a berlo. Dovevo almeno prendere qualcosa per restare sveglio tutte le notti. Alice, invece, era un angioletto.” Carlisle sorrise, forse rievocando quei momenti ormai lontani.
“Alice un angioletto?” Domandai scettica, pensando a quel diavolo dai capelli neri.
Il dottore sorrise. “Sì, non si direbbe. Ma era così buona da piccola. Finché non ha iniziato a camminare, ovviamente. E così, sono iniziati anche tutti i suoi guai. Edward invec-”
“Hey, ma la smettete di parlare di me?” Ci girammo in contemporanea, per vedere la figura di Edward proprio davanti alla porta, con in mano due tazze fumanti. Sorrideva, con l’espressione spensierata e felice. Ed anche stanca.
“Sei così permaloso!”
“Papà! Non sono permaloso!”
“Oh, sì invece. Sei proprio come tua madre!”
“Pensa quando lo verrà a sapere la mamma.” Risi di quel battibecco fra padre e figlio, osservando il forte legame che legava Edward e Carlisle.
Erano quasi più amici, che padre e figlio.
Carlisle alzò gli occhi al cielo, e poi rivolse la sua attenzione a me. “Isabella, se entro la mattinata non ci saranno complicazioni, potrai tornartene a casa. In assoluto riposo, naturalmente.”
“Certo, dottore.” Mi fece l’occhiolino, e poi si diresse verso la porta lasciando me e Edward da soli.
“Finalmente.” Borbottò Edward, sedendosi accanto a me. Questa volta gli occhi al cielo gli alzai io, sbuffando sonoramente. “Signorina Swan, la sto forse annoiando?” Disse, alzando scetticamente tutte e due le sopracciglia.
“No, certo che no. Signor Cullen.” Sorrisi, mentre mi passava una tazza con del tè fumante.
“Direi che la dormitina dell’altro giorni ti ha fatta riprendere del tutto. Lo sai che ore sono?” Domandò, sorseggiando quella brodaglia marrone.
Io odiavo immensamente il caffè.
“Che ore sono?”
“Sono solo le sette.”
Ecco, perché ero così stanca. Mi ero svegliata presto, e Carlisle ne aveva approfittato per visitarmi. “Forse faccio in tempo anche ad andare a scuola.” Borbottò fra di sé, arricciando le labbra.
E mi avrebbe lasciata lì, da sola per tutta la mattinata?
No. Non poteva farmi questo. Mi aveva promesso che non mi avrebbe lasciata sola, ed ora lo stava per fare. Per la terza volta, dopo il terzo bacio.
“Non andare.” Sussurrai impercettibilmente, quasi del tutto sicura che non mi avesse sentita.
“No.”
No, non sarebbe andato? No, non dovevo intromettermi nei fatti suoi? “No, non me ne vado da nessuna parte.” Sospirai sollevata, cercando di non farmi sentire. E questa volta ci riuscii, perché lui continuò a fissare lo schermo vuoto della TV dinnanzi a noi.
“E poi…” Si voltò, guardandomi dritto negli occhi. “Stamattina non ho neanche avuto modo di salutarti come si deve.” Si avvicinò pian piano al mio viso, con quel sorriso stampato sempre sulle labbra, e poi mi baciò delicatamente.
Un bacio appena accennato, casto. E che durò relativamente poco, perché io mi staccai disgustata.
Che schifo!” Cercai di pulirmi la bocca, togliendo quel saporaccio dalle mie labbra.
“Come scusa?” Edward sembrava quasi arrabbiato, come se avessi dato una coltellata al suo orgoglio maschile.
E allora capii.
“Oh, no! Edward! No… è che… Dio! Hai il sapore del caffè, e sai che io odio il caffè!”
“Tu ti sei staccata con quella faccia schifata, soltanto per il sapore del caffè?” Aveva ancora l’espressione contratta, e manteneva una certa distanza.
“Il caffè mi da il voltastomaco.” Spiegai, cercando di rimanere calma. Non volevo litigare, anche se avrei voluto tanto mettergli una mano addosso.
“Beh, non c’era bisogno di guardarmi con quell’aria schifata!”
“Hey, aveva ragione tuo padre!”
“Cosa?”
“Sei proprio permaloso!” Sbattei tutte e due le mani sul lettino bianco, e voltai lo sguardo.
Perché se la prendeva così tanto? Meglio staccarsi che dare di stomaco su di lui, no?
E si permetteva anche di fare il permaloso?
“Permaloso?” Fece per alzarsi, ma poi tornò indietro. “La sai una cosa? Ora dovrai pagarmela.” Si avvicinò di nuovo, stampando ancora le sue labbra sulle mie.
Per quanto baciare Edward Cullen fosse un pensiero a dir poco devastante per il mio povero cuore, quel saporaccio non riuscivo a togliermelo dalla testa.
“Edward!” Cercai di protestare, mettendo tutte e due le mani sul suo petto,  per staccarlo da me.
Inutile, non si mosse di un centimetro.
“Paghi pegno, mia cara!”
“Sei uno stronzo!”
“E permaloso.” Aggiunse, appropriandosi nuovamente delle mie labbra.
 
EDWARD’S POV
 
Continuai a baciarla, finché la sua faccia disgustata mi costrinse a staccarmi, dalle troppe risa.
Sapevo che il caffè non le piaceva, ma non immaginavo che lo odiasse fino a tal punto.
“Okay, scusa.” Sorrisi, rimettendomi al mio posto, dopo aver posato le due tazze ormai vuote. “Insomma, cosa vuole fare di bello Miss Swan? Un film, una partita a carte, un giro per l’Ospe-”
“Edward, cosa siamo io e te?”
Cosa avevo appena detto? Un giro in Ospedale? Una partita a carte? Un film? Perché non aveva accettato nessuna delle mie proposte, ma mi si era ritorta contro con quella domanda?
Sì, me l’aspettavo. Ma non in quel momento.
Era troppo presto? Forse.
Ma non potevo scappare. Avevo già fatto troppe volte la parte del codardo.
“Non lo so.” Sospirai, cercando di non guardarla negli occhi. Lì, sì che avrei trovato tutta la verità. “Di certo non possiamo definirci amici.”
“Se è per questo, non lo siamo mai stati.” Commentò amaramente, rigirandosi fra le dita una ciocca dei suoi capelli. Anche Bella, cercava di non guardarmi negli occhi.
“Cosa vuoi dire?”
“Quando siamo mai stati amici, Edward?” Chiese frustrata, schioccandomi un’occhiataccia.
Non aveva torto. Infondo, quando mai eravamo stati amici?
“Mai.”
“Appunto. Io sono la migliore amica di tua sorella, ma non tua amica.”
“E neanche ora siamo amici.” Dissi, convincendomi che quello che stavamo facendo, non era proprio definito un comportamento da amici.
“E allora cosa siamo, Edward?” Domandò nuovamente, fissando lo schermo vuoto dinnanzi a noi.
“Non siamo amici.” Ripetei, cercando di convincere più me stesso che lei. “Ma io non sono neanche innamorato di te.” Tanto valeva dirle tutta la verità e subito, no?
“Ed-”
“Lasciami finire, Isabella.” Deglutii, cercando le parole adatte. E se proprio avevo deciso di dirle tutta la verità, dove dirle tutto. “Non sono innamorato di te, perché ci conosciamo a malapena. So chi sei, so che scuola hai frequentato e so anche a chi hai dato il tuo primo bacio.” Sgranò gli occhi, dischiudendo la bocca.
“Alice.” Mormorò, quasi adirata.
Sì, proprio mia sorella. Che mi aggiornava in ogni passo che compivano le sue migliori amiche.
Annuii, per poi continuare. “Conosco la data del tuo compleanno, e posso dirti con esattezza di che colore sono i tuoi occhi e i tuoi capelli. E so che ogni venerdì sera vieni al Pub con la tua amica Angela. Conosco la tua famiglia, ma non tua madre. So quello che è successo fra i tuoi… ma non conosco te.”
“Cosa stai cercando di dirmi?”
“Ti sto spiegando che io so tutte queste informazioni, ma non conosco la vera Isabella. Quella che arrossisce per un complimento, o che odia il caffè. Sono tutte cose che sto imparando pian piano, stando a contatto con te. E di certo non voglio che tutto questo finisca. Perché mi piaci. Sì, mi piaci. E voglio frequentarti.” Teneva lo sguardo sempre puntato su di me, con gli occhi sgranati.
“E sei fidanzato.” Aggiunse a voce bassissima, quasi faticai a sentirla io stesso.
“Lo sai che quella fra me e Tanya non è una storia seria.”
“Ma è sempre una storia.”
Perché doveva sempre avere ragione? O dire sempre la cosa giusta? La odiavo, per questo.
“Parlerò con Tanya. Non oggi, ma ci parlerò. Te lo prometto.” Non so cosa stesse pensando in quel momento, ma credé alle mie parole.
“Promesso?”
“Promesso.” Mi abbassai, per stamparle l’ennesimo bacio.
Questa volta nessun sapore di caffè e nessuna faccia schifata.
Solo Edward e Bella.
 
BELLA’S POV
 
“Papà, cosa vuoi per cena?”
Charlie arcuò tutte e due le sopracciglia, schioccando la lingua per due volte di seguito. Odiavo quando faceva così. Come se davanti a lui ora ci fosse un alieno, invece che sua figlia.
“Vuoi davvero cucinare? Con quelle stampelle che non riesci neanche a portare e una caviglia rotta, vuoi cucinare?” Ecco, ora sembrava come se stesse parlando con una demente.
“Sì, papà. Perché non voglio morire a causa tua, e della tua cucina.” Sottolineai quel tua, per fargli capire che lui proprio non sapeva cucinare.
“Sei sempre così pessimista, Bells. Per questo mi sono premunito.” Si allisciò i baffi con il pollice e l’indice, prima di continuare. “Ho ordinato due pizze, prima di passare in Ospedale a prenderti. Saranno qui fra qualche minuto.”
Oh.” Dovevo pensare che mio padre non mi avrebbe lasciata fare niente, in quelle due settimane.
“E viso che dobbiamo aspettare… che ne dici di chiamare tua madre?”
“No.” Nemmeno finì di porre la domanda, anche se già sapeva la risposta.
“Bells, devi chiamarla. E’ molto preoccupata.”
“Le hai detto dell’incidente?” I miei occhi uscirono dalle orbite, mentre mi arrabbiavo molto con mio padre. Non doveva dirglielo.
Ovviamente lei si sarebbe preoccupata molto di più del mio aspetto al di fuori, che della mia salute. “Papà! Lo sai che non dovevi farlo! E poi immagino quanto si sia preoccupata.”
“Non ha fatto altro che richiamare, da ieri notte a questa mattina. Anche in centrale.”
“E non poteva chiamarmi al cellulare?” Alzai tutte e due le sopracciglia, guardando mio padre con fare accusatorio. Sapevo benissimo che lui non c’entrava niente.
Sapevo molto bene che Renée ci aveva lasciati soli, quando io avevo appena nove mesi. Da sola, con mio padre.
E Charlie si era occupato di me, senza l’aiuto di nessuno. I miei nonni paterni erano dall’altra parte dello Stato, ed avevo visto si e no Nonna Marie due volte in diciassette anni.
Invece mia madre era scappata con un giocatore di Football, Phil. Strapieno di soldi, che le avevano montato la testa.
E con la testa talmente montata di soldi si era persino dimenticata di sua figlia.
“Isabella, per favore.” Ancora mi chiedevo come facesse mio padre. A chiamarla una volta al mese per accertarla delle mie condizioni, dei voti a scuola e di come crescevo ormai così in fretta.
Inutile dire che a lei non le importava nulla.
Gli occhi di Charlie erano imploranti, così mi diressi a passo spedito in camera mia, senza dire una parola. Una volta dentro richiusi la porta alle mie spalle, e composi il numero di mia madre, che ormai conoscevo a memoria.
Troppe volte l’avevo composto, attaccando subito dopo il primo squillo.
Codarda? Forse. Ma mai come lei.
“Pronto?” Una voce squillante dall’altro capo del telefono.
Stavo davvero parlando con mia madre?
Quella sconosciuta era mia madre?
Mamma?”
“Oh, Isa! Finalmente! Tuo padre mi ha detto che hai avuto un incidente! Come stai? Niente di grave, spero! E quel catorcio del Pick up in che condizioni l’hai ridotto? Ovviamente Phil ti spedirà dei soldi per ripararlo! Ma se vuoi possiamo benissimo prenderti una nuova macchina!” Appunto.
Soldi, soldi e ancora soldi.
Tesoro, come stai? Ora prendo il primo volo per venire da te, e poi parliamo di tutto quello che è successo in questo tempo. Di come sei cresciuta, della scuola e dei primi ragazzi.
Ecco, questo sì che mi mancava. Una mamma con cui parlare. E che io, non avevo.
“Tutto bene, mamma. Ho solo una caviglia slogata, e il Pick up sta benissimo.” Sospirai frustrata, cercando di non inveirle contro.
“Una caviglia storta? Non dovrai mica andare in giro con delle stampelle, vero?”
Oh, Gesù!
“Non preoccuparti. Il dottore mi ha prescritto due settimane di assoluto riposo. E… OH, DIO!
“Isabella, tutto bene?” Mi portai una mano al cuore, cercando di calmare il respiro.
“M-mamma, ti posso richiamare?”
“Certamente. Io e Phil stiamo ad una cena di lavoro, ed è già tanto se sono riuscita a risponderti, ci sen-” Le attaccai praticamente in faccia, posando gli occhi sulla figura dinnanzi a me.
“Come diamine sei entrato, Edward Cullen?”
Lui se la rideva, e con lo sguardo ammiccava nella mia direzione.
“Dalla finestra, Isabella Swan.” Non lasciò quell’atteggiamento categorico che avevo usato io prima, ma continuava a divertirsi comunque.
“Cos’è, sei un vampiro?”
“Eh?” Alzai entrambi gli occhi al cielo, rendendomi conto in quel momento che Edward Cullen era nella mia stanza, nel mio letto ed era entrato dalla finestra. “Nulla, nulla.” Borbottai, mettendomi seduta sul letto a gambe incrociate.
“Comunque… che ci fai qui?”
“Sono venuto ad augurarti la buonanotte.”
No, stavo ancora sognando. Non era possibile.
“Come?”
“Che c’è, devi ancora riprenderti dalla botta in testa?” Mi diede una lieve bottarella in testa, facendomi oscillare di qualche centimetro.
“No. Insomma, credo di no.” Scossi la testa, sentendomi una perfetta idiota.
Restammo qualche secondo in silenzio, beandoci degli sguardi smielati che ci scambiavamo ogni tanto.
“Allora, devi augurarmela o no questa buonanotte?”
“Sei proprio insaziabile, eh?”
Si avvicinò pian piano, finché le sue labbra si appropriarono delle mie. O il contrario. Insomma, so solo che quel bacio fu magico. Intrecciò la sua lingua con la mia, solleticandomi il palato.
Dio, volevo che quel momento non finisse mai più.
“BELLA!” Ecco.
Ci staccammo in contemporanea, ansanti e con il fiato corto.
“Beh, buonanotte.” Sussurrò al mio orecchio, dirigendosi nuovamente alla finestra. Io rimasi lì, ferma immobile, senza sapere come si muoveva un singolo muscolo.
“Ah, Isabella?” Mi voltai, per guardare il suo viso sorridente sullo stipite della finestra. “Domani parlerò con Tanya, promesso.” Poi si buttò letteralmente di sotto, lasciandomi stordita e con le farfalle che svolazzavano nello stomaco.
E mi buttai a peso morto sul letto, con un sorriso a trentadue denti.

**
 
NOTE:
 
Buonasera miei cari :) Sono riuscita a postare appena in tempo, ma come già ho riferito nell’altra storia, ho iniziato il lavoro estivo, e quindi se ritardo sapete il perché çç
Insomma, parlando del capitolo: finalmente vediamo un po’ di Edward e Bella fatto bene ùu Ed è entrata in scena Renée, che non renderà le cose facili, vi avverto… Ringrazio tutti dal primo all’ultimo per la risposta allo scorso capitolo, ed ora vado immediatamente a rispondere alle vostre bellissime recensioni *w* Lo sapete che mi piace da morire sentire i vostri pareri, vero? E soprattutto tutti gli scleri ;D
Ora però mi faccio un po’ di pubblicità: Scambio Culturale. E’ un’altra mia fanfiction, spero di vedervi in molti anche lì, anche se sto un po’ più avanti con i capitoli!
Insomma, a lunedì prossimo! E buone vacanze a tutti :)

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Capitolo 10
*** Credimi. ***


Note a fine capitolo :)
 
Decimo Capitolo – Credimi.
 
BELLA’S POV
 
“Parlerà con Tanya?” Mi domandò per la millesima volta Alice, addentando un crostino dalla sua bustina.
“Sì, Alice. Sì.” Ripetei invece io per la millesima volta, cambiando canale con il telecomando.
“Oh, Dio! Bella, sei ufficialmente mia cognata!” Sputai letteralmente quello che stavo masticando, per poi tossire molto rumorosamente.
“Non dirlo mai più.”
“Perché?” Il suo fare da ‘occhi da cerbiatto’ non mi mosse di una virgola.
“Perché? Ti rendi conto che se dici una cosa del genere in giro, prima ammazzano Edward e poi me. Non stiamo insieme.”
“No.” Scosse la testa, dando più importanza a quelle parole. “Vi siete dati millemila baci, e non state insieme. Lui ti ha detto che oggi pomeriggio parlerà con Tanya, per lasciarla. E ancora non state assieme.”
Perché si faceva tutti quei film mentali?
Io e Edward non stavamo insieme, e forse non lo saremmo mai stati.
“Non ha detto che la lascerà.”
“Oh, no? Aspetta, e allora perché va a parlare con Tanya? Per dirle: ‘Hey, ho baciato Isabella Swan, ora puoi anche andare da lei e spezzarle l’altra gamba.’ Bella, svegliati!”
Trasalii all’immagine di Tanya infuriata, che veniva da me per spezzarmi davvero l’altra gamba.
“Perché non sei andata a scuola?” Sperai vivamente che mi desse una risposta valida.
“Perché c’era il compito di letteratura inglese. E perché volevo venire a trovare la mia migliore amica.”
Ovvio, prima il compito e poi la sua migliore amica.
Sempre la solita Alice!
“E come farai con il professor Dickinson?”
“Ovviamente mi farò interrogare. Quando tu sarai tutta integra, e potrai studiare insieme a me.”
Appunto.
“Ed io cosa ci guadagno, scusa?”
“La felicità per la tua migliore amica, visto che avrà preso un bellissimo voto.”
“Sei pessima.”
Rise, buttandosi a peso morto sul letto.
“Lo sai che ti voglio bene, no?”
“Anche io ti voglio bene, Alice.” Mi sdraiai accanto a lei, facendo attenzione alla caviglia.
“E che stasera diventerai a tutti gli effetti la mia cognatina!”
Sbuffai sonoramente, scuotendo la testa.
“Alice! Basta, non dire più queste cose!”
“Pensa: ora Edward è a scuola, poi appena uscirà andrà a parlare con Tanya. Oh, Dio! Sono così eccitata!”
Anche io ero agitata per tutta la questione.
Purtroppo che ogni volta che pensavo a Edward e Tanya insieme, la gelosia mi assaliva.
Okay, lui doveva parlarle, ma cosa le avrebbe detto?
Avevo una paura tremenda che si sarebbe inventato qualcosa, pur di non dirle che si frequentava con me.
“ALICE!” Un urlo provenne dal piano inferiore, naturalmente da parte di mio padre.
Guardai interrogativa la mia amica.
“Oh, Charlie è tornato. Devo andare giù.”
“Cosa state combinando tu e mio padre, Alice?”
“Nulla. Nulla. Buona mattinata tesoro!” Mi stampò un lieve bacio sulla guancia sana, e poi scese di corsa al piano inferiore.
Lasciandomi con un dubbio, e di certo non era niente di buono.
 
**
 
Passai l’intera mattina a fare zapping sulla TV, guardando qualche episodio di Buffy, e leggendo per l’ennesima volta Cime Tempestose.
Finché il mio cellulare vibrò: un messaggio.
Sperai ardentemente che fosse Edward, e che già avesse parlato con Tanya.
Ma mi sbagliai di grosso.
 
Jacob:
 
Se prima c’era una possibilità che potessi perdonarti, ora è svanita. Perché proprio con Edward, Bells?
 
EDWARD’S POV
 
Entrai a scuola con l’aria stanca, e due occhiaie che mi arrivavano fino alle ginocchia.
In quei tre giorni avevo dormito si e no tre ore scarse.
Con tutto quello che era successo, dormire era uno dei miei ultimi pensieri.
Mio padre mi aveva prestato la sua macchina per recarmi a scuola, visto che Alice aveva finto un improvviso malore.
Sapevo perfettamente che l’improvviso malore era stato escogitato soltanto per passare la mattinata a casa di Isabella.
Beh, almeno sapevo che qualcuno sarebbe stato con lei.
Andai verso il mio armadietto per prendere i libri, quando una furia si scaraventò su di me.
“JACOB! Cosa diamine ti prende?”
Con uno strattone mi girò del tutto nella sua direzione, puntandomi un dito contro.
“Perché non me l’hai detto?”
“Di cosa stai parlando?” Le mie sopracciglia si alzarono, e per un momento mi domandai se non stessi a che fare con una persona malata di mente.
O ubriaca.
Insomma, si da il caso che Jake era su tutte le furie.
“Di Isabella!” Abbassò la voce questa volta, ma tenne lo sguardo sempre contratto.
Lo sapeva.
Sapeva di me e di Bella. Ed ora mi avrebbe ucciso.
Parte dopo parte.
E lentamente, moolto lentamente.
“Eh?” Feci finta di cadere dalle nuvole, morsicandomi la lingua.
Lasciò il colletto della mia maglia, per alzare le mani al cielo.
“Dell’incidente, coglione! Perché non mi hai detto nulla?”
Il sospiro di sollievo che tirai non fu nulla, rispetto alla paura che avevo avuto due secondi prima.
Tutto quel casino, per l’incidente?
Infondo, non era successo niente.
No, soltanto che avevo passato tre giorni insonne, per vegliare su Isabella.
Oh!
Jacob mi fissò incuriosito.
“Edward, sei sicuro di star bene?”
“Io?” Indicai me stesso, continuando a fare finta di niente. “Tutto bene, tranquillo. E mi dispiace per non averti detto di Isabella. Credevo che te ne avrebbe parlato Charlie.”
Ed il premio per il miglior attore protagonista va a… Edward Cullen!
“Allora, com’è andata? E perché c’eri proprio tu in quel momento?”
Se quel giorno dovevo dire la verità a Tanya, tanto valeva dirla anche a Jake.
Isabella avrebbe approvato la mia idea immediatamente.
Presi un gran respiro.
“Cos’hai alla prima ora, Jake?”
“Educazione fisica, perché?”
Ci pensai per altri cinque secondi, e poi decisi.
“Che ne dici di saltarla?”
“Perché?”
Domanda da mille dollari, Jacob Black!
“Ti devo spiegare molte cose.”
“Ah, okay.”
“Bene.” Posai tutti i libri che avevo preso cinque minuti prima nell’armadietto, e con Jacob mi diressi verso l’uscita dell’edificio scolastico.
Convinto al cento per cento che il mio amico mi avrebbe ascoltato, ed avrebbe capito tutte le mie motivazioni.
Ma non sapevo quanto mi stessi sbagliando.
 
**
 
“Mi stai dicendo che ti sei innamorato di Isabella, nel corso di… neanche una settimana!”
Jacob era infuriato, e stringeva i pugni ogni due secondi.
Gli avevo raccontato tutto.
Della proposta di Isabella per accompagnarmi a scuola, della radura, del primo bacio e del lavoro al Pub.
Anche dell’incidente.
Della vera versione dell’incidente.
Ed ora Jake mi guardava con lo sguardo infuriato, contraendo i pugni ritmicamente.
Eravamo chiusi nella Mercedes di Carlisle, per non dare troppo nell’occhio.
“Non mi sono innamorato di Isabella.” Mi schiarii la voce, trovandola subito rauca. “Non so ancora cosa provo. Ma so che con lei è qualcosa… di diverso. Ecco.” Conclusi, sperando ardentemente che il mio amico avesse capito il senso di quelle parole.
“Diverso, eh? Cos’è, portarti a letto la migliore amica di tua sorella, invece che una delle solite tue amiche cheerleader è qualcosa di diverso?”
Ma la rabbia in quel momento assalì anche me.
Come diamine si permetteva?
“Cos… Jake! Per l’amor del cielo! Non… non lo farei mai. Rispetto troppo Isabella, per farle una cosa del genere!”
“E qual è il tuo scopo, Edward?” Alzò entrambe le sopracciglia, con fare da sfida.
Già… qual’era il mio scopo?
Di certo non portarmela a letto.
“Devo avere per forza uno scopo, Jake? Se vuoi una risposta, il mio scopo è questo: quello di frequentarla il più possibile. Uscire con lei, anche allo scoperto.”
“E tutto questo dopo che io ti ho rivelato i miei sentimenti.”
Sbuffai sonoramente.
“Lei ti ama? Siete mai usciti insieme oltre ad essere amici, o stavate insieme? Jake, sei il mio migliore amico. E sai che non ti avrei mai fatto niente del genere.”
“Niente? Beh, l’hai fatto Edward. E non considerarmi più il tuo migliore amico.”
Sgranai gli occhi, aprendo anche la bocca.
“Cosa stai dicendo?”
“Ti sto dicendo che mi hai fatto un torto così grande, che neanche devi guardarmi più in faccia. E puoi cambiare anche scuola. Ormai non ho più un migliore amico, qui.”
“Mi stai abbandonando così?”
Mi costava ammetterlo, ma Jake era davvero il mio migliore amico.
Un fratello. Il fratello che ormai non avevo più.
“Sì. Ti sto abbandonando qui. Perché tu hai abbandonato me nel momento del bisogno.”
“Jake, cosa…”
Stava per aprire lo sportello, ma si voltò dalla mia parte.
“Non insistere, Edward. Sarei capace di picchiarti, e questo lo sai anche bene. E non voglio metterti le mani addosso. Quindi taci.”
Uscì dalla macchina, estraendo il cellulare dalla tasca dei Jeans che indossava e dirigendosi verso la scuola.
Io misi in moto, andando nell’altra gabbia di leoni.
Cioè a parlare con Tanya.
 
BELLA’S POV
 
Lessi nuovamente il messaggio, chiedendomi se Jake stesse facendo sul serio.
Scherzava, vero?
‘Di cosa stai parlando, Jake?’
Scrissi velocemente, e nemmeno due minuti dopo arrivò la sua risposta.
‘Di te e di Edward. Pensi davvero che sia una cosa seria? Quanto sei sciocca, Bells.’
Sapeva di me e di Edward?
 Come diamine aveva fatto?
A meno che… a meno che Edward non avesse parlato anche con lui.
Beh, l’avrei ucciso con le mie stesse mani.
Io, dovevo parlare con Jacob.
Con tutta la calma del Mondo.
E di certo la parola calma nel vocabolario di Edward era un optional.
‘Cosa sai?’
Anche questa volta, non dovetti aspettare molto per ricevere la sua risposta.
‘Tutto. Dell’incidente e della vostra finta storia. Anche della scommessa
Scommessa?
Cosa diamine stava dicendo?
‘Jake?’
‘Pensi davvero che dopo che io ti ho rivelato i miei sentimenti, tutto d’un tratto Edward venga da te a fare lo sdolcinato? Lo conosci anche tu, no? Quello è Edward Cullen, Bells. Era una scommessa fra me e lui. Volevamo vedere a quali avances avresti ceduto per prima. E ovviamente, hai ceduto al fascino da bello e irresistibile.’
Ricaccia indietro le lacrime, mentre la rabbia mi assaliva.
Una scommessa?
Si erano presi gioco di me, e dei miei sentimenti così, come se niente fosse.
‘Non ti credo, Jacob Black.’
‘Fai come vuoi. Intanto noi ci stiamo facendo grosse risate insieme a Tanya.’
Ma questa volta non riuscii a trattenere un singulto.
Ero stata davvero così scema?
E possibile che Alice non sapesse niente, di quello che stava combinando suo fratello?
Con la mano mi asciugai le lacrime, prendendo un gran respiro per calmarmi.
E con un solo pensiero: dovevo parlare con Edward, immediatamente.
 
EDWARD’S POV
 
Ero appena entrato a Forks, quando mi arrivò un messaggio.
Certo che fosse Jake, aprii lo sportellino del cellulare per controllare.
 
Isabella:
 
‘Hai vinto la scommessa. Il gioco finisce qua.’
 
Arcuai le sopracciglia, componendo il suo numero.
Dieci squilli, e la voce assordante della segreteria.
Riprovai per due volte, ma niente.
Allora, composi un altro numero.
Uno, due, tre…
“Pronto?”
“Dove sei?”
“A casa, perché?” Ingoiai la saliva, sempre più nervoso.
Quella, era proprio una giornata no.
“Tu non dovevi stare con Bella?”
“Ci sono stata fino a due minuti fa. Stai calmo, Edward.” La mano che teneva il cellulare tremò, e quasi finì per terra.
“Mi ha mandato un messaggio.”
“Che tipo di messaggio?”
“Non lo so, Alice! Era strano! Quasi… criptico.
“Criptico?”
“Sì. Forse è successo qualcosa.”
“SUCCESSO QUALCOSA?” La voce dall’altro capo del telefono quasi mi rese sordo.
“Perché diamine stai urlando?”
“Se Isabella stasera non sarà mia cognata a tutti gli effetti, ti taglio… Oh, Edward! Neanche vorresti sapere quello che ti succederà!”
Mi venne la pelle d’oca, sentendo la sua voce così meschina.
Senza neanche aspettare una sua risposta attaccai, facendo inversione e U e dirigendomi a casa Swan.
 
**
 
Parcheggiai la macchina nel vialetto, e scesi di corsa.
Suonai per ben tre volte, quando Charlie venne ad aprirmi con il fiatone.
“Hey, capo Swan.” Passai una mano fra i miei capelli, disordinandoli ancora di più.
Charlie arcuò tutte e due le sopracciglia, schiudendo la bocca.
“Edward… cosa ci fai qui?”
“Posso parlare con Isabella?”
Senza dirmi nulla Charlie indicò il piano superiore, e con tre grosse falcate avevo già salito le scale ed ero arrivato davanti alla porta della sua camera.
Bussai due volte di seguito, quando arrivò la sua voce.
Rauca, e diversa da tutti gli altri giorni.
“Ecco.”
E quando la porta si aprì la trovai dinnanzi a me, con una felpa e degli shorts.
Le stampelle, gli occhi gonfi e lo sguardo adirato.
Entrai, prendendole il viso fra le mani, assicurandomi che stesse bene.
“Come stai?”
“Perché sei qui?” Domandò a bruciapelo, scostandosi da me per andare a sedersi sul letto.
“Per colpa del tuo messaggio criptico.”
“Criptico?” Alzò la voce di alcune ottave, ma rimase ugualmente roca. “Cosa c’era di criptico, Edward?”
“E tu di quale scommessa stavi parlando?”
“Di quella che hai fatto con Jake.” Quasi non riuscii a sentirla, perché abbassò la voce alla fine della frase.
Sembrava distrutta.
“Isabella.” Mi sedetti accanto a lei, sollevandole il mento con il pollice e l’indice. “Hai parlato con Jacob?”
Senza darmi una risposta mi passò il suo Blackberry, sussurrando soltanto una parola. “Leggi.”
Glielo tolsi, ed iniziai a leggere tutta la conversazione che aveva avuto con Jake.
Poteva essere vero?
Forse stavo facendo un incubo, ed era tutto frutto della mia immaginazione.
Jacob Black, il mio migliore amico… aveva detto davvero quelle cose a Bella?
Tutte quelle bugie?
Scossi la testa energicamente, dando di nuovo il cellulare a Bella.
“Tu non gli credi, vero?”
Deglutì rumorosamente, e poi issò il suo sguardo nel mio. “A cosa dovrei credere, Edward? All’inizio non ci credevo, ma poi… da quant’è che ti interesso, eh? Proprio da quando Jacob mi ha rivelato i suoi sentimenti. E tu… tu sei sbucato dal nulla, Edward. Ed io, a cosa dovrei credere?”
E quindi, non mi credeva?
Credeva alle parole di Jacob, a tutte quelle menzogne?
“E tutto quello che è successo, non conta niente? Tutto quello che ci siamo detti in questi giorni…”
“Hai parlato con Tanya?” Altra domanda a bruciapelo, ma questa volta alzò lo sguardo per fronteggiarmi.
“Ci stavo andando. Ma dopo il tuo messaggio sono corso qui.”
“E quindi, non sei andato da Tanya.”
Quella sembrava un’altra prova per farle dubitare dei miei sentimenti.
“No. Perché sono venuto qui da te.” Ripetei per la millesima volta, sperando che mi credesse.
Anche perché quella era la verità.
“E non dovevi parlarle oggi?”
“Le parlerò oggi, Bella. Che c’è, non ti fidi più di me?”
Sbuffò sonoramente, scompigliandosi i capelli.
“Io non so più a cosa credere, Edward.”
“Credi a me.”
“E come?” Sembrò frustrata, mentre cercava di alzarsi da quel letto. “E cos’altro dovrei credere? E se poi fosse tutta una bugia?”
“Dio, Isabella! Credi davvero a Jake? Era offuscato dalla rabbia! Gli ho detto di noi!”
Gli occhi si sgranarono, e quasi perse la presa delle stampelle.
“Cosa hai fatto?”
“Gli ho spiegato come stanno le cose. Se oggi devo dirlo a Tanya, tanto valeva dirlo anche a Jacob.”
“Tu… tu!” Mi alzò un dito contro, lasciando una sola stampella. “Come ti sei permesso, Edward? Dovevo parlargli io! Sarà anche il tuo migliore amico, ma era una questione fra me e lui!”
“Ora mi stai inveendo contro, eh? Che c’è, faccio una cosa e neanche quella ti sta bene?” Mi alzai anche io, per fronteggiarla.
I miei occhi erano neri, e la rabbia mi stava assalendo pian piano.
L’avevo fatto per noi due, ma a lei sembrava non importare niente.
“Ed ora… ora come faccio a crederti? Mi hai mentito anche sulla storia di Jake, Edward. Avevi detto che gli avrei parlato io, e invece hai fatto di testa tua. Dovrei crederti?”
“Non lo so. Tu… ti fidi di me?”
“Non ho… non so più a cosa credere. E di chi fidarmi.”
“Fidati di me.” Sussurrai appena, avvicinandomi sempre di più.
“Perché?” Domandò, con lo sguardo infuocato.
“Perché ti amo.” Sussurrai, chiudendole la bocca con un bacio irruente.
 
 
NOTE:
 
Ma a me quanto mi piace finire i capitoli così? Lo so, che vorreste uccidermi. Lo so. *risata malefica*
In questo momento sto odiando immensamente Jacob. Cioè, ha tutte le ragioni del Mondo per ritenersi arrabbiato, ma non doveva fare quello che ha fatto uu
Il nostro Eddino è riuscito ad aprire gli occhi, GRAZIE AL CIELO!
E GRAZIE a voi çwç Le vostre recensioni sono sempre bellissime *w* Le leggo tutte, dalla prima all’ultima. E vi tartasso anche con le mie risposte :D          
A lunedì prossimo :*
Sono su Facebook e su Twitter.
Thinking of you è la mia nuova fanfiction!

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Capitolo 11
*** Non c'è due senza tre. ***


Note a fine capitolo :)
 
Undicesimo capitolo – Non c’è due senza tre.
 
BELLA’S POV
 
Cercai di scansarmi, ma non ci riuscii.
Le sue mani vagavano su tutto il mio corpo, e dovetti fare forza sul suo petto, per riuscire a staccarlo da me.
Ansante lo guardai fisso negli occhi, pulendomi con una mano la bocca.
“Non so di caffè.” Disse soltanto, arcuando le sopracciglia.
Ma quanto poteva essere scemo?
No, perché non riuscivo a trovare una risposta.
“Non-” Non terminai la frase, perché mi scompigliai i capelli frustrata.
Poi, presi un bel respiro. “Non sai di caffè?! Ma ti rendi conto di quello che mi hai appena detto?” Continuai, sbattendo le mani all’aria.
“Che non so di caffè?” Era come se fosse caduto dalle nuvole, in quel preciso istante.
“EDWARD! Mi hai detto che mi ami!!” Quasi urlai, ricordandomi qualche secondo dopo che al piano inferiore c’era ancora Charlie.
“Sì?” Sembrò quasi una domanda.
Come se dovessi confermagli quello che lui aveva appena detto pochi istanti prima.
“Oh, Gesù.” Sussurrai appena, sedendomi sul letto e appoggiando i gomiti sulle gambe.
No, quello doveva essere un incubo.
Una volta l’avrei definito un sogno.
Caspita, Edward Cullen mi aveva appena detto che mi amava.
Ma ora, dopo tutto quello che era successo, quello era tutto fuorché un sogno.
Un tremendo incubo. Ecco, cos’era.
“Che c’è, Bella?”
E mi domandava anche cosa avevo?
“Che valore dai ai sentimenti, Edward?” Gli chiesi a bruciapelo, alzando poco la testa per guardarlo dritto negli occhi.
Iniziò a fissare intensamente una mattonella, e poi si sedette vicino a me.
“E’ che…”
“E’ che non ti sei neanche reso conto di quello che hai detto.” Finii io per lui, scuotendo la testa sconsolata.
“Non è vero.”
“Sì che è vero.”
Si morse il labbro inferiore, quasi a disagio.
Avevo ragione. Avevo fottutamente ragione.
Gli passai una mano fra i capelli ramati, scostandogliene un po’ dalla fronte.
“Non dovevi dirmelo.” Esordii, dopo qualche secondo di silenzio.
Si voltò verso di me con il viso arrossato e gli occhi lucidi.
Poteva essere sempre più bello?
“Perché?”
“Perché non lo pensi davvero.” Risposi, cercando di combattere con le mie di lacrime.
Aveva detto tutto a Jacob, ed ancora doveva parlare con Tanya.
Come potevo credere al suo ‘Ti Amo’? Non potevo e basta.
Gli era uscito così spontaneamente, come se volesse scusarsi, ma non sapeva come fare.
Ma con un ‘Ti Amo’, di certo le cose non sarebbero cambiate.
“E se lo pens-”
“Edward, vai via.” Dissi, indicandogli la porta.
Non mancava poco prima che scoppiassi definitivamente, e di certo non volevo lui a consolarmi.
Non dopo quello che aveva detto.
“Cosa?”
“Puoi andartene?” Ripetei con più calma, mentre la voce si faceva sempre più roca.
“Per-”
“Vai e basta, okay?” Questa volta ero stata autoritaria, infatti si alzò, dirigendosi verso la porta.
Appena arrivò sullo stipite, si voltò per tornare indietro e per stamparmi un bacio sulla fronte.
Poi uscì definitivamente dalla mia camera, lasciandomi amareggiata e con le lacrime che ormai strabordavano dai miei occhi.
 
*
 
“Secondo me lo pensa davvero.” Decretò Angela, passandomi un altro Kleenex. L’ennesimo.
Edward se ne era andato da alcune ore, ed io avevo bisogno di parlare con qualcuno.
Qualcuno che mi capisse al volo, e non c’era niente di meglio delle mie due migliori amiche.
Peccato che non me l’ero sentita di chiamare anche Alice.
Era pur sempre la mia migliore amica, ma anche la sorella di Edward.
E non avrebbe di certo risparmiato un cazziatone a suo fratello. E questa cosa riguardava soltanto Edward e me.
E quindi chiamai Angela, che in meno di cinque minuti si era catapultata a casa mia con una scorta di dolciumi e Kleenex.
I dolciumi erano tutti intatti.
I Kleenex un po’ meno.
“Come fai a dirlo?” Le domandai, soffiandomi il naso energicamente.
Non poteva essere vero. No.
“Per quanto Edward Cullen si sia divertito con tutte le ragazze della scuola, te l’ha detto. Ti ha detto che ti ama, Bells. E secondo me non stava scherzando. Sarà anche il più figo della scuola, ma non è scemo.” Precisò, incrociando le gambe sul letto.
E come potevo darle torto?
Edward era tutto, fuorché scemo.
E per dire tutto, intendevo proprio tutto.
Bello, intelligente, simpatico e… innamorato.
Possibile? Possibile che fosse innamorato, e proprio di me?
Della ragazza non vedeva solo che lui da due mesi.
Succedeva soltanto nei film romantici, o nelle fiabe.
Ma non a Forks. E non a Isabella Swan.
“Dovresti parlarci.” Continuò, stiracchiandosi le braccia.
Non potevo parlargli. Non dopo quello che avevo combinato poche ore prima.
L’avevo praticamente cacciato da casa mia, perché stavo per scoppiare in una crisi isterica.
“Non voglio parlarci.”
“Allora parlane con Alice. Sai che è lei è molto convincente, no?”
Cancellai immediatamente il solo pensiero che Alice parlasse con Edward.
Lo avrebbe ucciso. Proprio perché quella stessa mattina mi aveva definita la sua cognatina.
Ed ora, non c’era più nulla.
“Non posso dirlo ad Alice.”
“Perché no? Lo sai che lo verrà a sapere comunque, vero?”
Perché io dovevo parlare proprio con Angela?
La persona che aveva sempre e solo ragione?
Sbuffai, inarcando le sopracciglia.
“Ho capito. Fai come vuoi.” Si arrese infine, dandomi almeno un po’ di corda.
“Bene.”
“Bene.”
“Okay.”
“Devi dirlo ad Alice.”
“ANGELA!” Gli puntai un dito contro, con gli occhi che mi uscivano fuori dalle orbite.
Tesoro.” Si avvicinò, posandomi una mano sul mio braccio. “Non sai neanche tu in che guaio ti sei cacciata. Non sai se i sentimenti di Edward sono veri o meno, perché sei arrivata da sola alle tue conclusioni. Non sai nulla. E perché non dirlo ad Alice? Lei ti potrà aiutare più di quanto sto facendo io.”
“Ne sei proprio sicura?” Chiesi timidamente, appoggiando l’altra mano libera sulla sua.
“Sì.”
“Okay, ne parlerò con Alice.”
“Ottimo. Allora chiamala.” Mi passò il suo cellulare, ma io ritirai subito la mano.
“Che ne dici se prima mangiamo tutte le schifezze che hai comprato?” Le indicai, aprendo una busta di caramella.
Lei sbuffò, accettando la mia idea ed iniziando a mangiare insieme a me.
 
*
 
“Non ci credo.”
Infine avevo seguito il consiglio di Angela.
Avevo chiamato Alice. Peccato che da parte sua non c’era stata nessuna esaltazione, ma un minimo ed accennato ‘Non ci credo’.
“Invece è così.”
“Fammi capire… mio fratello ti ha detto che ti ama?” Sentii un po’ di trambusto provenire dall’altro capo del telefono, segno che quella nanetta aveva combinato qualcosa.
“Cos’è stato?”
“Niente. Jasper è caduto dal letto.”
Quasi sputai tutta l’acqua che stavo bevendo, ma non perché Jasper era caduto dal letto.
No.
Perché Alice aveva detto quella frase ad alta voce, e quindi anche lui sapeva.
“Non preoccuparti. Non dirà niente a nessuno.” Mi rassicurò, sbraitando poi contro il suo amato fidanzatino.
“Fantastico.”
“Okay, ritorniamo a noi. Quindi mio fratello ti ha detto che ti ama.”
“Così sembra.”
“E quindi la conclusione è… che dopo questa grande rivelazione avete fatto sesso selvaggio, vero?”
Peccato che ora non stavo bevendo nulla, e quello che uscì dalla bocca fu proprio uno sputo.
Uno schifosissimo sputo.
“E’ tuo fratello, Alice.”
“Sì. E ti ha detto che ti ama.”
“Ma non era vero.” Puntualizzai, basandomi sempre sulla mia teoria.
Che Angela aveva definito alquanto bizzarra e idiota.
Tradotto nelle mie parole: una vera e propria stronzata.
“Conosco bene mio fratello, Bella. E so per certo che non avrebbe mai detto nulla del genere, se non lo pensasse sul serio. Quindi, ti ama.”
“Non sono neanche due giorni che usciamo e… e non se ne può uscire con quelle due parole.”
“Di cosa hai paura, Bella?”
Ecco, quella era una domanda che non doveva farmi.
Di cosa avevo paura?
Di rimanere scottata.
Avevo ancora quel dubbio della scommessa, che era un fardello nella mia mente.
Ed io ero innamorata persa di Edward, da più di due mesi.
E lui, non poteva esserlo di me.
Era impossibile.
“Di niente.”
“Sei una pessima bugiarda. E riconosco le tue bugie anche quando stiamo a metri di distanza.”
La mia carriera come attrice non valeva nulla.
“E cosa dovrei dirgli, scusa?”
“Che anche tu lo ami. Da mooolto più tempo di lui.”
Era forse impazzita?
Con quale coraggio mi sarei presentata da Edward, per dirgli che lo amavo? E da mooolto più tempo di lui?
“No. Non funzionerà mai.”
“Se prima non ci provi.”
“Lascia stare.”
“Dai, Bells! Ti serve soltanto una spinta! Facciamo una cosa: ora vado a casa, e guardo come sta Edward. Se si sta crogiolando nel suo dolore, ti invio un SMS. Ma se balla la samba, non ti arriverà nulla.”
‘Se balla la samba’ sempre nelle mie parole veniva tradotto come: se sta scopando con una o più ragazze, significa che non gli interessi.
“Grazie, Alice.”
“Di niente, tesoro. A dopo.”
“Come fai ad esserne così sicura?”
“Te l’ho detto. Conosco bene mio fratello.”
Così attaccò, lasciandomi con il cellulare in mano e la bocca mezza aperta.
 
Dieci minuti dopo…
 
‘Un uomo con gli occhi arrossati mentre guarda The Notebook secondo te si sta crogiolando nel suo dolore?’
L’SMS di Alice.
Quel messaggio che stavo aspettando.
‘Non lo so. Dimmelo tu.’
‘Muoviti, vieni a casa mia.’
‘Con le stampelle ed una caviglia rotta il Pick Up non partirà mai.’
‘Scendi. Sto per venire a prenderti.’
Come non detto.
Indossai il cappotto, e scesi al piano inferiore.
“Papà, vado a casa Cullen!”
“Sono le nove, Bells.” Precisò mio padre, indicandomi che fuori si era già fatto buio.
“Dieci minuti e sono a casa.”
“Dieci minuti, Bella.” Assottigliò gli occhi, mentre uscivo dal vialetto.
Ed Alice era già fuori, pronta per partire.
 
*
 
“Magari appena entri non dirgli proprio tutto. Chiedigli di salire in camera sua, e poi fai questa grande rivelazione.”
Erano dieci minuti che eravamo ferme nel vialetto di casa Cullen.
Mentre Alice mi dava qualche dritta per parlare con Edward.
Ma io, non ne ascoltavo neanche una.
“Okay.”
“Non mi stai ascoltando.”
“Farò quello che sento, Alice.”
“Ottimo, ma niente scenate. Ci sono i miei.”
Annuii, ed aiutata dalla mia amica scesi, trascinandomi dietro le stampelle.
Arrivati davanti alla porta, Alice suonò.
Uno, due, tre, quattro, cin-
“Isabella Swan?”
Sbarrai gli occhi, per incontrare due pozze azzurre come l’oceano.
“Tanya?”
E fu Alice, a parlare per me.
 
**
 
NOTE:
 
Sì, uccidetemi tutti.
Il capitolo l’ho tirato fuori con la forza, in due orette. Peccato che non voleva uscire per nulla al Mondo.
Insomma, ecco a voi la reazione di Bella e la nostra amata Tanya!
Beh, e per l’ennesima volta ho concluso il capitolo con un bel colpo di scena. Cosa ci faceva Tanya a casa Cullen? Ehhhh….
Prima che scappi a gambe levate, vi vorrei ringraziare tutti. Dal primo all’ultimo. Quando ho visto le 17 recensioni, sono rimasta così: *O*
Grazie, grazie e GRAZIE!
Poi, ecco a voi la mia raccolta di One-shot Robsten :D Andate a leggerle, su su :)
A lunedì prossimo! :***
P.s. Il capitolo di Thinking of you non arriverà domani, sorry çç

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Capitolo 12
*** Il mio ragazzo perfetto. ***


Note a fine capitolo! LEGGETELE, SONO IMPORTANTISSIME!
 
 
Dodicesimo Capitolo – Il mio ragazzo perfetto.
 
 
BELLA’S POV
 
Rimasi per qualche istante bloccata dinnanzi alla porta, mentre Alice aveva messo una mano dietro la mia schiena, quasi a sorreggermi.
“Edward, chi è?” Fu la voce di Esme a riscuotermi dai miei pensieri, ed espirai silenziosamente.
“Non lo so. E’ andata Tanya.” La voce di Edward invece era incolore, e provenne proprio da dentro.
Sentii il rumore di qualche passo, e poi i capelli color caramello della signora Cullen sbucarono dalla porta.
“Oh, Bella!” Sembrò entusiasta di vedermi, mentre mi aiutava ad entrare in casa, prendendo una delle stampelle e sorreggendomi con la mano che aveva passato intorno alla vita.
“Esme.” La salutai, ancora mezza shoccata.
Che diamine ci faceva Tanya Denali a casa Cullen?
Ovvio, altro che The Notebook. Edward si era ripreso anche troppo facilmente.
Ed il film lo stava guardando insieme a Tanya.
“Oh, tesoro. Ho saputo dell’incidente… fammi vedere.” Posò una mano sulla guancia, delicatamente.
Come per tastare l’enorme livido che si prendeva ben metà del mio viso.
“Niente di grave, Esme.” La rassicurai, guardandomi intorno.
Di Edward non c’era traccia. Anche perché ancora eravamo all’ingresso.
“Cosa ti porta qui?”
“Dev-”
“Dormirà qui, mamma.” Intervenne prontamente Alice, lasciandomi spiazzata.
Dovevo fare cosa?
Charlie era stato chiaro: minimo dieci minuti e sarei dovuta tornare a casa.
Arcuai le sopracciglia, schioccandole un’occhiataccia.
Lei ricambiò, per poi alzare gli occhi al cielo.
Bene, ci mancava soltanto altro filo da torcere con mio padre.
“E’ fantastico! Dormi con Alice, o ti preparo la stanza degli ospiti?”
“Oh, non preoccupa-” Ma per la seconda volta, fui bloccata.
“Dormirà nella stanza degli ospiti. Faremo una specie di pigiama party, però domani io devo andare a scuola. Di certo non voglio svegliarla alle sette, vero?”
Sembrò cercare una conferma nel mio sguardo, ed io annuii soltanto.
“Ottimo!” Esme sbatté tutte e sue le mani, e poi si diresse al piano superiore. “Ti preparo tutto l’occorrente. Però avrai il bagno in comune con Edward… non è un problema, vero?”
Domani devo andare a scuola… Di certo non voglio svegliarla alle sette…
Serpe infida che non era altro! Me l’aveva fatta, per l’ennesima volta.
Mi raccomandai di sgridarla, non appena saremmo state sole.
“Allora Tanya… a te invece cosa ti porta qui?” E per un istante, mi ero anche dimenticata di lei.
Che era stata lì fino a quel momento, a guardare tutta la scena.
Ottimo.
“Oh, sono venuta a trovare Edward. Sono giorni che non lo vedo, e mi sono preoccupata.” La buttò lì, continuando a guardare me.
Cosa diamine voleva?
Alice annuì, togliendosi la giacca per poi venire ad aiutarmi.
Mi tolsi il giubbotto, e poi con l’aiuto della mia amica ci dirigemmo nell’enorme salone.
Inutile dire che quello che vidi in quel preciso istante mi lasciò spiazzata.
Edward Cullen era davvero seduto sul divano, mentre con in mano una ciotola di Popcorn guardava le ultime battute di The Notebook.
Era proprio la fine.
E lui era così preso da quel film, che neanche si rese conto che eravamo entrati nella stanza, senza fare il minimo rumore.
Fu interrotto da Alice, che con in mano il telecomando spense la TV.
Si voltò arrabbiato, pronto ad inveire contro sua sorella.
“Alice perché devi sem… ISABELLA!” Sembrò stupito, più di quanto lo fossi io.
Gli occhi erano davvero arrossati, e le labbra leggermente gonfie.
Era impossibile. Non poteva aver pianto.
“Cosa ci fai qui?” Domandò poi, alzandosi per pulirsi i residui di Popcorn che aveva sopra tutta la tuta.
Bella domanda.
“Dorme con me.” Disse risoluta sua sorella, passandogli accanto per poi sedersi sul divano.
Come se nulla fosse.
Come se in quella stanza non ci fosse Edward Cullen, Bella Swan e Tanya Denali.
Tutti e tre nella stessa stanza, tutti e tre pronti ad ucciderci a vicenda.
Perché io volevo uccidere Edward e Tanya… Tanya sembrava volesse uccidere me.
Che… che sapesse? Impossibile.
No, perché oltre che uccidere Edward l’avrei fatto a brandelli, e poi bruciato.
“Beh, tanto vale che parliamo, no?” Esordì Tanya, alzando le mani al cielo.
“Cosa?”
“Poco prima che arrivassi, Edward mi stava informando della vostra storia d’amore. Beh, vedo che dopo anni di ammiccamenti vari a scuola e pettegolezzi su di lui sei riuscita a prendertelo, no?” Sembrava furiosa, e dai suoi occhi ardeva puro fuoco.
E come darle torto?
Anche se fra lei e Edward era stata una storia basata dal sesso, sempre qualcosa c’era stato.
E se lui non le dava importanza, Tanya invece ne lasciava trasparire anche troppa.
Vari ammiccamenti a scuola e pettegolezzi su di lui.
Bene, tutti si erano resi conto che mi piaceva Edward Cullen?
Solo lui aveva sempre fatto finta di niente?
Rimasi in silenzio, aspettando che continuasse.
Perché di certo, non aveva finito di parlare.
“Non hai niente da dire, vero? Beh, hai ottenuto quello che volevi, Isabella. Tutto quello che volevi.” Sembrò amareggiata, mentre prendeva la sua borsa nera a la giacca, passandomi accanto.
Edward ed Alice se ne stavano in silenzio, proprio come me.
Sapevano tutti e due che quello doveva essere un momento fra me e Tanya.
Mi superò, per poi tornare indietro.
“No, lo sai che ti dico?” Continuò, scuotendo energicamente la testa. “Forse i Edward e i Cullen avranno tutta la tua compassione, ma tu non avrai la mia. Perché ai miei occhi non sei la povera ragazza coinvolta in un incidente con una gamba rotta e il viso sfigurato.” Fece una smorfia con la bocca, quando i suoi occhi incontrarono l’enorme ematoma che incorniciava il mio faccino.
“No, ai miei occhi sei soltanto la stronza che mi ha portato via il ragazzo. E questa non te la perdono, Isabella.” Ma questa volta invece di voltarsi con le lacrime agli occhi, mi diede un ceffone che risuonò per tutta la stanza.
Proprio sopra l’enorme ematoma che mi sfigurava la faccia.
E mentre Edward si occupava di sorreggermi perché mi erano cadute tutte e due le stampelle dopo l’impatto, Alice era rimasta con la bocca a mezz’aria e gli occhi sgranati.
Invece Tanya se ne era andata, sbattendo sonoramente l’enorme porta principale.
 
*
 
“Ti faccio male?”
Accennai un timido no, mentre Carlisle continuava a tamponarmi ‘non so che’ sul viso.
Prendere nota: non dare mai altre botte sui lividi, e non perché il dolore è atroce.
No, perché da verdognoli si trasformano in viola accesso.
Ottimo, se prima ero sfigurata ora facevo proprio schifo.
E al siparietto che avevamo creato io e Tanya, - o meglio, che lei aveva creato -, avevano partecipato anche Esme e Carlisle.
Non aveva parlato tanto a bassa voce, ecco.
“Carlisle… scusa.” Non sapevo cosa dire alla famiglia Cullen, se non continuare a scusarmi per quello che avevo combinato.
Mi stavo vergognando profondamente in quell’istante.
“Hey, nessun problema.”
Ma sapevo benissimo che ce n’erano, di problemi.
Se Esme e Carlisle prima mi consideravano una ragazza intelligente, ora avevano cambiato la loro idea.
Una che porta guai in casa loro, è tutto tranne che intelligente.
“Sai… una volta ho picchiato anche io un ragazzo alla tua età.” Sussurrò, voltandosi per guardare se la porta del suo studio era chiusa per bene.
Sgranai gli occhi, mentre lui si spostava per controllare anche la fasciatura alla caviglia.
“Davvero?” Chiesi, totalmente stupita.
“Sì. Per Esme.” Aggiunse poi, spalmando della pomata gelida sulla caviglia.
“Da quant’è che vi conoscete?”
“Dal liceo. Mi sono totalmente innamorato di lei, appena l’ho vista. Io ero in terza, e lei in prima. E’ stato un colpo di fulmine, ai presente?”
E mi chiedeva se sapevo cosa fosse un colpo di fulmine?
Beh, lo sapevo. E anche bene.
Annuii, lasciandolo continuare.
“Lei neanche mi guardava. Pensava allo studio e alle amiche. Io al Basket, e a uscire con le ragazze della mia età. Ho parlato la prima volta con lei al cinema, ad un’uscita di gruppo. L’avevo fatta organizzare proprio dal mio migliore amico, quella serata al cinema. Ed avevo fatto in modo che ci fosse anche lei.”
“Una storia da film.” Commentai, mentre lui annuiva con un sorriso e lo sguardo perso.
Forse stava rievocando quei momenti, neanche tanto lontani.
“Ci siamo frequentati per un po’, e poi fidanzati. E a venti anni è rimasta incinta di Emmett. Io ero entrato da poco all’Università, e non sai lo sconforto nel sapere che i suoi genitori non le volevano far tenere il bambino.”
“Cosa?”
“Già. I suoi erano ricchi, e di certo un bambino a quell’età non era proprio il meglio per la loro classe sociale. Così scappammo, insieme. Io continuai gli studi in Alaska, mentre lei lavorava part-time in un centro commerciale. E quando non avevo lezione aiutavo i carpentieri della zona, racimolando qualche soldo. E anche grazie all’aiuto dei miei genitori. Senza di loro non so come avremmo fatto.”
“Beh, siete qui, no? Insieme.” Dissi, invidiando la loro storia d’amore.
Avrei mai trovato qualcuno che mi avrebbe amata allo stesso modo? Proprio come si amavano Esme e Carlisle?
“Già. E in quel periodo il nostro amore si rafforzò più che mai. Soprattutto dopo la nascita di Emmett.”
Cercai di non fargli domande sul loro primogenito.
Perché se dava fastidio a Edward, sicuramente era così anche per i suoi.
“Puoi domandarmi quel che vuoi. Anche su Emmett… se vuoi.”
Ovviamente i pensieri non sbagliavano mai, ecco.
Stupida. Stupida, Bella!
“Dov’è ora?”
“In Alaska.”
Oh.” Allora Edward non mentiva.
“Non frequenta il College lì, vero?”
“No. E’ lì, ospite da i miei parenti. Io ed Esme siamo andati lì, nella nostra fuga d’amore.”
“Anche lui è scappato per una fuga d’amore?”
“Non la chiamerei ‘Fuga d’amore’. Diciamo che è lì con la sua fidanzata.” Spiegò cautamente, rimettendomi la fasciatura nuova.
“E’ fidanzato?”
“Sì. Con Rosalie Hale.”
Sgranai gli occhi stupita, socchiudendo leggermente la bocca.
Rosalie Hale? Quella Rosalie Hale?
“Ma… non doveva sposarsi con uno dei King?” Chiesi, fingendomi poco informata.
Peccato che anche se non volessi, a Forks si veniva a sapere tutto.
I King erano una delle famiglie più rinomate a Forks, insomma, pieni di soldi dalla testa ai piedi.
E da quello che sapevo, Rosalie doveva sposarsi con Royce.
Il secondogenito… okay, forse non ricordavo tanto bene.
“Già.”
Dopo quella domanda Carlisle sembrò non volesse andare più avanti, e di certo io non lo costrinsi.
Mi aveva rivelato anche troppo.
“Ecco fatto!” Esordì, dopo avermi messa quasi a nuovo.
“Grazie mille. Ora devo soltanto telefonare a papà.”
“Già fatto.” Mi lanciò uno sguardo risentito, dopo aver visto l’occhiataccia che gli avevo lanciato. “O meglio, ci ha pensato Alice. Lo sai… è molto convincente.”
“Sì, ci sono già passata.”
Sorrise bonariamente, aprendo la porta dello studio ed aiutandomi ad uscire.
“Aspetta, ti aiuto a salire al piano di sopra.”
“Ci penso io.” Sussultai, e Carlisle insieme a me.
Edward era proprio dietro a noi, con le braccia incrociate sotto al petto.
“Edward, è mezzanotte passata. Perché sei ancora sveglio?”
“Avevo sete, papà. E visto che io e Isabella dobbiamo andare dalla stessa parte…”
Carlisle capì al volo che quella era una bugia, ma non disse nulla.
Semplicemente mi lasciò in balia di Edward, augurandomi la buonanotte e chiudendosi nuovamente nello studio.
 
*
 
“Guarda che posso farcela anche da sola.” Sussurrai nel buio, prendendo le stampelle e facendo forza sulle braccia.
“Non se ne parla.” Sorrise, ma quello fu un sorriso amaro.
Per niente divertito, o di consolazione.
Sembrava come se a consolarlo dovessi essere io.
Si avvicinò, e invece di passarmi una mano dietro la vita come aveva fatto Esme, o poggiarmene una sulla schiena come Alice, mi prese in braccio.
Mi rannicchiai contro il suo petto, beandomi del suo profumo.
Solo per qualche istante.
Salì le scale velocemente, e non so neanche come fece a portare su sia me che le stampelle.
Peccato che quando mi posò su un letto, era quello della sua stanza.
“Che ci faccio qui?” Chiesi stancamente, non pronta a quell’interrogatorio.
Sapevo che ci sarebbe stato, ma non quella sera.
Non così, dopo tutto quello che era successo con Tanya.
“Devo parlarti.” Disse, avvicinandosi sempre di più a me.
Per fortuna restava in piedi, nella penombra della stanza.
“Edward… ti prego.”
“Che c’è?” Sussurrò appena, in cerca di una risposta. O di una conferma.
“Non voglio parlarti.”
“Dopo che ti ho rivelato i miei sentimenti, i miei VERI sentimenti… tu non vuoi parlarmi?”
“Dopo che la tua fidanzata mi ha insultata e schiaffeggiata, ho il diritto di decidere se parlarti o meno!”
Alzò tutte e due le sopracciglia contemporaneamente, sedendosi accanto a me.
Poi allungò la mano, sfiorandomi delicatamente l’ematoma sul viso.
Sembrava quasi lottare contro se stesso.
“Volevo… volevo…” Deglutì, cercando di trovare le parole adatte. “Volevo ammazzarla di botte, ecco.”
Sgranai gli occhi, scuotendo la testa lentamente. “Non si alzano le mani sulle donne, non lo sai?”
“Non devono permettersi di alzare le mani su di te, non lo sai?” Mi rispose a tono, lasciando ricadere la mano.
“Dai,” lo incitai con un gesto delle mani. “Dimmi quello che dovevi dirmi.”
Prese un bel respiro, passandosi una mano fra i capelli.
“Ti amo. E forse l’ho sempre saputo. Non è successo da quando ci siamo avvicinati, è… è successo tutto molto tempo prima. Mi piac-”
“No.” Sussurrai appena, facendo un cenno di diniego con la testa.
“Cosa?”
“Io l’ho sempre saputo.” Confessai, sfregando le mani fra loro.
Beh, via il dente via il dolore, no?
“Non riesco a capire.”
Sorrisi, prendendo le sue mani per intrecciarle con le mie.
“Mi piaci. E da un po’ di tempo, anche. E non da quando ci frequentiamo, ma da molto più tempo. Quasi tre mesi, ecco. Tre mesi che tutti i venerdì sera vengo a cena al Pub con Angela, per vederti. Che sto dando di matto, da quando hai seguito Jake per cambiare scuola. Un motivo in più per non vederti, no? Credevo che con la storia della scuola non ti avrei più rivisto, e forse saresti anche scomparso dai mie pensieri… dal mio cuore. Ma così non è stato. Era colpa di Alice, che non faceva altro che parlare di te. Era colpa di Tanya, che ogni giorno a scuola si vantava di avere un ragazzo perfetto. Il ragazzo perfetto che avrei voluto avere io.” Non so neanche quando le lacrime iniziarono a sgorgare dai miei occhi, so solo che le lasciai fare.
Lasciò la presa dalle mie mani, per issare i suoi occhi nei miei.
“Io… io già ti piacevo?”
Riuscii solo ad annuire, asciugandomi le lacrime con i palmi delle mani.
“E quindi… per tutto questo tempo mi hai preso in giro? La radura, il Pub, in Ospedale…”
“NO! No! Non… non ti ho preso in giro, Edward. Non lo farei mai.”
“Ma ti piacevo… perché non me lo hai mai detto?”
“Perché non ne avevo il coraggio. E sono successe così tante cose in queste settimane!”
“Sì, sono successe tante cose. Talmente tante, che non ti hanno dato l’opportunità di dirmi la verità.” Sembrò beffeggiarmi, mentre si alzò dal letto.
“Come facevo, eh? Tu cosa avresti fatto al posto mio, Edward? Saresti stato in silenzio anche tu, aspettando una risposta che mai sarebbe arrivata!”
“E come fai a saperlo, eh? Tu che ne sai? Perché se me lo avessi detto…”
“Cosa? Cosa sarebbe cambiato?”
Con non poca fatica riuscii ad alzarmi, per fronteggiarlo.
“Che i tuoi sentimenti sono ricambiati, cazzo! Anche quando non me ne rendevo conto… anche quando… Io ero innamorato di te, Isabella. Sono sempre stato innamorato di te.”
“Io… io…”
“Cosa?” Si avvicinò, poggiando la fronte sulla mia. “Cosa?” Ripeté nuovamente, assottigliando lo sguardo.
“Io ti amo.” Sussurrai appena, mentre le lacrime che stavo versando si fusero con le sue.
 
**
 
NOTE:
 
CAPITOLO DEDICATO A mery_ DONNA DI POCA FEDE ù_u
Avete lo straordinario ONORE, o diritto di picchiarmi.
Anche forte, sì.
Cos’è successo durante la settimana in cui non mi sono fatta sentire? E’ successo di tutto, ecco.
E sono arrivata ad una conclusione: NON RIESCO A PORTARE TRE STORIE AVANTI, CONTEMPORANEAMENTE.
Lo so che è una cosa brutta da dire, e non ditelo a me che l’ispirazione non fa altro che venire, per tutte e tre le storie çç
E quindi, dopo vari ripensamenti, ho deciso una cosa: ne sospenderò due. O meglio, non avranno l’aggiornamento ‘settimanale’.
Le due storie sono Thinking of you (perché è appena iniziata, e quindi mi porto un po’ avanti con i capitoli), e Scambio Culturale.
Quest’ultima cercherò di portarla avanti un bel po’, e poi non vi libererete mai più di me.
Lo so che è una cosa cattiva, ma con lo studio e il lavoro proprio non ce la faccio.
Mi dispiace, davvero.
E mi dispiace anche di non aver risposto alle vostre magnifiche recensioni. Ma le ho lette tutte, dalla prima all’ultima. Spero che anche dopo questa mia scelta continuerete a seguirmi çç
Beh, cosa dire del capitolo? Finalmente siamo arrivati alle rivelazioni, eh? E Tanya si è sfogata, come compatirla? ._.
Grazie mille a tutti, dal primo all’ultimo.
Grazie, Grazie e ancora GRAZIE!

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Capitolo 13
*** Verginella inesperta e paurosa. ***


Tredicesimo capitolo – Verginella inesperta e paurosa.
 
BELLA’S POV
 
Presi l’ultimo quaderno, e lo infilai nello zaino.
Questa volta più facilmente del solito, visto che Carlisle mi aveva tolto le stampelle. Dopo ben due settimane.
Sì, erano passate due settimane dallo schiaffo di Tanya.
Erano passate due settimane da quando io e Edward stavamo ‘insieme.’
Non so bene come una persona normale avrebbe definito il nostro rapporto, ma io ero felice.
Passavamo la maggior parte del tempo insieme: lui veniva da me subito dopo la scuola, e poi andavamo al Pub.
In genere era lui a lavorare, mentre io mi occupavo di lavare le stoviglie.
Rigorosamente seduta, ero obbligata a non muovermi di un millimetro. Certo, le mie condizioni erano cambiate molto dall’ultima volta. La fasciatura alla caviglia non c’era più, e così anche le stampelle.
Purtroppo l’ematoma ancora era lì, in bella vista. Da violaceo era diventato verdino chiaro, ma ero sempre ridicola.
E Edward si premurava sempre di ricordarmi che non era così. Ero sempre la sua Bella, anche con quell’orribile coso a sfigurarmi il viso.
Scesi lentamente le scale, facendo attenzione ad ogni mia mossa.
Cadere non era nelle mie priorità, dopo l’incidente.
“Papà, io vado.” Annunciai, entrando in cucina.
Charlie era già dentro la sua divisa blu, mentre masticava rozzamente una brioche.
“Sai che torno tardi stasera, vero?” Parlò, dopo aver ingoiato quell’enorme boccone ed essersi ripulito i baffi con un tovagliolo.
“Certo. Verrà Edward dopo la scuola.” Alzò gli occhi al cielo, sbuffando sonoramente.
Anche lui sapeva della nostra relazione.
E non si sa come, sapeva anche dello schiaffo.
Sicuramente era stata Tanya a parlarne con qualche sua amichetta, cambiando a modo suo i fatti.
Insomma, tutta Forks sapeva che lei mi aveva picchiata, ed io non avevo fatto nulla per impedirglielo. Certo, lei aveva ragione perché la timida e stronza Isabella Swan le aveva portato via il ragazzo.
Ottimo, direi.
Ma ormai non facevo niente per smentire queste voci. La gente che doveva sapere la verità la sapeva, e quindi non era un problema per me.
“Ci vediamo stasera, eh!” Troncai lì, baciandogli una guancia e uscendo da casa.
L’aria era fredda, certo, era anche il 13 di Febbraio.
Vidi subito la Porsche giallo canarino, e con un sorriso entrai dentro.
“Buongiorno!” Salutai Alice, riscaldandomi le mani strofinandole.
Neanche i guanti di lana servirono ad attuare il gelo.
“Buongiorno tesoro! Pronta per il compito di Trigonometria?” Mi lamentai, mentre la mia amica se la rideva di gusto.
Sapeva benissimo che Trigonometria non era per nulla la mia materia. E le ripetizioni che mi aveva fatto Edward nei giorni precedenti non erano un granché. Alla fine ci ritrovavamo sempre sul divano di casa mia, pronti a sbaciucchiarci.
E non facevamo nulla oltre a toccatine fugaci e baci.
Sì, perché era proprio come mi definiva Alice: ‘Verginella inesperta e paurosa.’
Verginella lo ero, ed anche inesperta.
Paurosa, forse.
Insomma, quello era pur sempre Edward Cullen
Quell’Edward Cullen!
Ed anche se ora stava con me, tutti sapevano che reputazione aveva. Era stato con le peggiori ragazze del Liceo, e se con Tanya la definiva soltanto una storia basata sul sesso, chissà cosa combinava a La Push.
Scossi la testa energicamente, scacciando via tutti quei pensieri.
E se Alice continuava a dirmi che ero una ‘Verginella inesperta e paurosa’ c’era Angela che mi rincuorava, dicendomi ‘Devi solo aspettare il momento giusto’.
“Guarda che siamo arrivate.” Alice mi diede una leggera spintarella sul braccio sinistro, facendomi vacillare.
Mi guardai intorno, notando che eravamo nel parcheggio della Forks High School.
Scesi silenziosamente, ringraziando chissà quale Santo, perché non stava piovendo.
“Buongiorno Bella.” Così mi salutò Jazz, per poi stampare un bacio sulle labbra di Alice.
Poco lontano da noi c’era Angela, intenta a parlare con Ben.
Inutile dire che anche fra loro le cose erano cambiate. Ben le aveva rivelato che lei le piaceva da molto tempo, e quindi potevano provare a frequentarsi.
Quel frequentarsi durava da meno di due giorni, ma sembrava come se si conoscessero da una vita.
Erano fatti l’uno per l’altra, ecco.
“’Giorno Jazz.” Gli sorrisi, mentre due mani si posavano sulle mie spalle.
“Hey, a me non mi saluti?” Mi voltai di scatto, incontrando gli occhi verdi di Edward.
“Cosa diamine ci fai qui?”
“Sì, buongiorno anche a te, eh!” Si fine offeso, mettendo su un broncio orribile. Poi ci metteva anche gli occhi da cane bastonato, sicuro che così mi faceva cedere ad ogni sua richiesta.
Sorrisi, scuotendo la testa ed avvicinandomi, per stampargli un casto bacio sulle labbra.
Fortuna che Jazz ed Alice ci avevano lasciato un po’ di privacy, la campanella della prima ora stava per suonare e la maggior parte degli studenti si affrettava ad entrare.
“Così va meglio.” Strofinò il suo naso con il mio, e mi inebriai del suo profumo.
“Allora, che ci fai qui?” Domandai di nuovo, quando mi fui ripresa totalmente.
“Sono venuto a scuola, no?”
“Edwaard.” Il suo nome mi uscì come un lamento, mentre gli tiravo un pugno sul petto. “Non prendermi in giro.”
“Non ti sto prendendo in giro.” Alzò tutte e due le mani, come per dire l’ovvio. “Che senso aveva andare a scuola a La Push, scusami? Ormai non ho più un migliore amico, e Jacob quando mi vede è come se volesse uccidermi.”
Mi rattristai, dopo aver sentito quelle parole.
Infondo era tutta colpa mia.
Era colpa mia se lui a Jake non si guardavano più in faccia. Un conto era che io rifiutassi Jake, l’altro che mi mettessi con il suo migliore amico.
Ero una perfette bastarda, ecco.
“Non ci pensare minimamente. Lo sai che non è colpa tua, vero?” Come se mi leggesse nel pensiero, Edward accarezzò i miei capelli, stampandomi un bacio sulla fronte.
“Certo, certo.” Cercavo di convincere più me stessa che lui, ma la cosa non riuscì. Affatto.
“Andiamo, su!” Passò un braccio intorno alle mia spalle, togliendomi di mano i due libri che mi ero portata dietro.
E quando entrammo dentro l’edificio scolastico, calò un silenzio surreale.
Per quanto tempo avevo immaginato di entrare insieme a Edward lì, in quel modo? Con lui che mi stringeva la mano, o che mi passava un braccio intorno alle spalle, proprio come stava facendo adesso?
Mi ero immaginata le occhiatacce, i bisbigli e i pettegolezzi che potevano girare nell’arco di una sola giornata.
Ma mai come quello che era accaduto proprio quel giorno.
Quando entrai in mensa, presi posto vicino ad Angela. Al nostro solito tavolo, dove ci sedevamo da sole. E qualche volta veniva anche Alice.
“Sei sopravvissuta?” Domandò, quando buttai praticamente il vassoio sul tavolo.
“Mi stai forse prendendo in giro?”
“No. Non fanno altro che parlare di voi, ad ogni lezione che ho frequentato. E ne ho frequentate ben sei, Isabella.”
“Tu per sei ore hai sorbito soltanto pettegolezzi. Io per sei ore sono sorbita occhiatacce da tutto il gruppo studentesco, soprattutto quello femminile.”
Un verso strozzato provenne dalla gola di Angela, che mi fece capire che aveva capito. Tutto quello che avevo passato, in quelle dannate sei ore.
E ne mancavano altre e tre.
“Spero solo che finirà il prima possibile.”
“Altre due settimane e le acque si calmeranno.” Esordì Alice, sedendosi accanto a me.
“Come mai con sei con Jazz?” Si voltò di qualche centimetro, indicando un tavolo in lontananza.
Un tavolo che conoscevo fin troppo bene.
“E’ lì con Edward. Stanno parlando con la squadra di Basket.”
Il singulto che aveva fatto prima Angela non era niente, in confronto a quello che feci io in quell’istante.
“Edward non tornerà nella squadra, vero?” Chiesi, entrando nel panico.
La squadra di Basket. La sua vecchia squadra di Basket.
Dove c’erano quegli omoni larghi ed alti, insieme alle Cheerleader.
A Tanya. A Jessica Stanley. A Lauren.
“Non ne ho idea. Chiediglielo tu.”
E l’avrei fatto di sicuro, quel pomeriggio, a casa mia.
Fa che non entri nella squadra. Fa che non entri nella squadra. Fa che non entri nella squadra.
Tutto quello che mi stavo ripetendo durante il pranzo, e durante le ore successive.
Purtroppo l’ultima ora era quella di Educazione Fisica, dove il professore decise di dividerci in due squadre: ragazzi e ragazze.
I ragazzi misero in scena un piccolo campetto immaginario, iniziando a giocare a calcio. Invece le ragazze optarono per una partita di pallavolo.
Io rimasi seduta in panchina, esonerata per due mesi da quel supplizio.
Infondo il mio incidente non aveva gravato così tanto sulla mia salute. Sia fisica che mentale.
Decisi di starmene zitta in quell’angoletto, finché l’ora non finisse. Ma i miei piani andarono a farsi benedire quasi immediatamente.
“Tu e Cullen, eh?” Sorrisi forzatamente, guardando negli occhi l’ennesima ochetta.
Nonché migliore amica di Tanya Denali. Che faceva parte del gruppo ‘Cerchiamo di sterminare Isabella Swan
“Già.” Sussurrai, cercando di mettere fine a quella conversazione. Sapevo che era inutile.
“Non mi piacete, sai…”
Oh, e aspettavo di sentirmelo dire da te, guarda! Mi morsi la lingua, cercando di trattenermi. Se già mi ero presa uno schiaffo senza fare la minima piega, questa volta Jessica se la sarebbe vista male.
“C’è la libertà di pensiero, no?”
Fece schioccare la lingua, guardandomi con stizza.
Poi si sedette accanto a me, accavallando le gambe.
Inutile dire che gli shorts che indossava erano diventati un paio di culottes raso fica.
“Certamente.” Commentò, lasciandomi con l’amaro in bocca. Non poteva finire così, non era da Jessica dare ragione agli altri, e starsene zitta. “Ma hai sempre rubato il fidanzato alla mia migliore amica.
Ed ecco che il gruppo ‘Sterminiamo Isabella Swan’ ripartiva all’attacco.
Erano mai stati fidanzato davvero Tanya e Edward?
E da quant’è che lei era la migliore amica di Tanya? Beh, questa cosa mi era sfuggita.
Rimasi in silenzio, lasciandola parlare. Era inutile controbattere, e come aveva detto Alice: massimo due settimane e i pettegolezzi sarebbero finiti.
Almeno così speravo.
“Non dici niente, Swan?”
Aprii la bocca, ma per la seconda volta decisi di rimangiarmi le parole.
E’ inutile perdere tempo con lei, Isabella. Inutile.
“Professore, posso andare?” Fissai lo sguardo sul Signor Knightley, che mi scrutò a fondo. Sapeva benissimo che dopo l’incidente e l’enorme ematoma che avevo sul viso non poteva dirmi di no a niente.
“Certamente, signorina Swan. La lezione per lei è finita.” Con un sorriso mi congedò, mentre soddisfatta mi allontanavo da Jessica Stanley.
L’avevo lasciata con la bocca a mezz’aria, e questa volta il ghigno che illuminava il suo viso ogni giorno, ce l’avevo io.
 
*
 
“Orgoglio e Pregiudizio.”
“Non se ne parla.”
“Ragione e Sentimento.”
“Neanche per idea.”
“Emma.”
“Assolutamente no.”
“Becoming Jane.”
“Ah. Ah. Ah.”
Sospira afflitta, posando la ciotola stracolma di Popcorn sulle gambe di Edward.
Dopo la scuola ci eravamo recati a casa mia, e visto che di studiare non se ne parlava, lui si era disteso sul divano pronto a vedere un film. Che ovviamente non potevo scegliere io.
“Cosa vuoi vedere, Edward?”
“Fast and Furious.”
“Neanche se m’ammazzi.”
“Come sei drammatica!” Questa volta fu lui ad alzare le mani al cielo, per poi prendere una manciata di Popcorn ed infilarsi nella bocca.
Un animale.
“Non mi piacciono quei film.” Decretai, sedendomi sul divano accanto a lui.
Incrociai tutte e due le braccia, mettendole sotto il seno.
“Ma se non gli hai mai visti.”
“Appunto. Non gli ho visti perché non mi piacciono.” Alzò tutte e due le sopracciglia, fingendosi strabico con l’occhio destro.
Era anche buffo, ma non avrei ceduto.
“Ed io non posso sorbirmi un film d’epoca ogni volta che vengo qui.”
“Non venire allora.”
“Stronza.”
“Cretino.”
“Deficiente.”
“Stupida.” E così via, con una seria infinita di insulti.
E non era neanche la prima volta che capitava. Anzi, finivamo tutti i santi giorni così.
“Vediamoci Fast and Furious!” Si avvicinò a me, mordicchiandomi l’orecchio destro.
Che gran Bastardo!
Sapeva benissimo in che punti prendermi, quando gli serviva qualcosa.
“’Fanculo!” Mi alzai di malavoglia dal divano, accucciandomi per prendere quel maledetto DVD e metterlo nel lettore.
“Bel di dietro, Swan!” Mi lanciò qualche Popcorn, che mi colpì dritto sulla schiena.
Alzai gli occhi al cielo, fingendomi seccata. Ma infondo non lo ero. Quello strano rapporto che avevamo creato in quelle settimane mi piaceva, e anche troppo.
Quando il film partì mi posizionai vicino a lui, togliendogli di mano la ciotola. Mi lanciò un’occhiataccia, e poi passandomi una mano intorno al collo mi avvicinò a lui. Posizionai la testa nell’incavo del suo collo, ed iniziammo a vedere il film.
 
Il film neanche iniziò, perché ci ritrovammo sdraiati su quel divanetto.
Edward sopra di me, mentre mi baciava.
Un bacio, che di casto non aveva proprio nulla.
Continuammo così per qualche minuto, finché non alzò la mia T-shirt e prese ad accarezzarmi l’addome.
E’ solo l’addome, Bella. Calma.
Si spinse più in là, sfregando il bacino con il mio.
Oh, Dio!
Gemette, e quel gemito mi fece ghignare interiormente.
Potevo anche essere la ‘Verginella inesperta e paurosa’, ma quella reazione glie la causavo io.
Finché non si spinse più in là, slacciandomi l’unico bottone dei Jeans.
Ed eccola qui, la Verginella inesperta e paurosa!
“N-no.” Fu difficile staccarlo dalle mie labbra, anche perché ero io a non riuscirci.
Ero io ad avere bisogno di lui.
“Che c’è? Ho fatto qualcosa che non va?”
“No, no. Certo che no.”
“Eh?”
“Non… ho il ciclo, ecco.”
Cazzo, cazzo e cazzo.
Perché diamine non riuscivo a dirgli la verità? Non mi costava poi tanto dirgli: ‘Edward, sai non sono mai stata con nessuno. Nessuno. Tu sei il primo, in tutto.
Chissà che bella figura di merda che avrei fatto.
“Oh.” Sembrava deluso, ecco.
E se era deluso per il ciclo, che tra l’altro non avevo, chissà cosa avrebbe pensato…
Scacciai via quei pensieri, sorridendogli. Peccato che quello che mi uscì non fu un sorriso, ma una specie di smorfia, a dir poco orrenda.
“Scusami.” Sussurrai imbarazzata, abbassando il capo.
“Hey, non è colpa tua.” Oh, invece sì che era colpa mia.
Lui si aspettava di venire a letto con me, ed io l’avevo scaricato con un ‘Ho il ciclo.’
Pessima. Davvero pessima.
Cercai di riprendere la situazione in mano, strofinandomi energicamente gli occhi.
“Allora, bello il film, no?”
Rise di gusto, guardando il televisore davanti a noi. Ovviamente lo schermo era nero.
Era davvero finito quel film?
Mi accoccolai di nuovo su di lui, facendo attenzione a non toccare punti particolari. Sapevo benissimo che facendo quel gioco lui soffriva. E anche molto.
“Ed…” Presi le dita della sua mano fra le mie, intrecciandole.
Mi piaceva da morire giocarci. E a lui di certo non dispiaceva.
“Perché non mi racconti di Emmett?” Deglutì rumorosamente, e anche se non potevo vederlo, lo sentii.
“D’accordo…’
 
**
 
NOTE:
 
So che lasciar finire il capitolo in questo modo è da perfetti stronzi. Sì, lo so.
Ma se andavo avanti, non finiva più. Giuro che il prossimo aggiornamento arriverà il prima possibile. Anche se il pomeriggio devo studiare e la mattina mi devo alzare alle sei per andare a lavoro. A costo di restare sveglia tutta la notte ù__u Ringrazio tutti quelli che hanno recensito lo scorso capitolo, diciamo che questo è stato un capitolo di ‘transizione’. Con Bells e i suoi problemini. Ne parlerà con Edward prima o poi? Beh, speriamo di sì!
Grazie veramente a tutti, di nuovo. E spero che il chap non abbia deluso le vostre aspettative. So che troncare dal ‘Ti amo’ del capitolo scorso e ritrovarci a due settimane dopo sia stato un po’ troppo azzardato. Ancora sorry çç
Vi ricordo che sono su FB e su Twitter, link nella pagina autore.
Un bacione, e grazie ancora (quanto sono ripetitiva?!)
Tatiana.

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Capitolo 14
*** Complicazioni. ***


'Nelle mie Fanfiction non c’è romanticismo.
Nelle mie Fanfiction al primo capitolo Bella e Edward si conoscono, e al secondo scopano.
Le mie Fanfiction (TUTTE!) sono adolescenziali, e non dovrei scrivere. Dovrei darmi all’ippica, ecco.'
 
Quello che avete letto sopra è un parere personale arrivato pochi minuti fa, prima che finissi il capitolo.
E non so quale forza divina mi abbia aiutata, per non cancellare tutto. Ma proprio tutto.
Con amarezza vi lascio, dopo aver sentito anche questo tipo di lettori.
Stasera non ci saranno note alla fine, scusate.
 
 
Quattordicesimo Capitolo – Complicazioni
 
EDWARD’S POV
 
“Emmett…” Presi un bel respiro, cercando di calmarmi.
Era solo Isabella, e a lei potevo dire tutto.
Tutto.
“Emmett è sempre stato un figlio e un fratello perfetto. Ottimi voti a scuola, e aiutava sempre me ed Alice, ogni volta che ne avevamo bisogno. Preso il diploma non sapeva più cosa fare, e un giorni imbatté nel Pub. Tornato a casa ne parlò subito con i miei, entusiasta. Voleva aprirlo, e restare lì per il resto della sua vita. Insomma, un vero e proprio affare. Non aveva un capitale, e quindi chiese ai nostri genitori dei soldi, almeno per l’affitto dei primi mesi. Poi, avrebbe restituito tutto.”
Sospirai, incrociando le mie dita con quel di Isabella.
“Esme e Carlisle dopo averne discusso animatamente, decisero di dargli corda. Il Pub i primi mesi non fece nulla, massimo dieci clienti a settimana, compresi i festivi. I miei genitori ne parlarono con Emmett, dicendogli di chiudere. Non sarebbe servito a niente rimanere aperti, se poi lui non avrebbe restituito i soldi. Ma lui li convinse a non buttare tutto all’aria, almeno per un altro mese. E in quel mese, tutti i soldi che i miei genitori gli avevano prestato, tornarono a casa. Tutti quanti.”
Chiusi i pugni, sentendo la rabbia montarmi dentro.
“Carlisle continuava a chiedersi come fosse possibile. E non solo lui. La clientela al Pub non era aumentata né diminuita. E in un mese racimolare tutti i soldi dell’affitto sarebbe stato impossibile. I miei erano preoccupati, Emmett ogni sera chiudeva tardi, e a volte tornava direttamente la mattina dopo.”
E in quell’istante mi venne in mente Charlie Swan.
Il Capo Swan aveva avuto un ruolo importante, in tutta la faccenda.
“Una mattina, verso le tre sentimmo le sirene della volante. Era tuo padre. Preoccupato, ci chiese di seguirlo. Alice ed Esme andarono alla Centrale, mentre io e Papà fummo scortati fino al Pub. Alle macerie, dovrei precisare.”
“Macerie?” Solo in quel momento Bella parlò, alzando gli occhi per guardarmi.
“Il Pub era stato bruciato, nel vero senso della parola. Dapprima mio padre credé che si fosse trattato di un incidente. Sai, una svista mentre cucini ed ecco che brucia tutto. Ma invece era stato un atto volontario.”
“Atto volontario? Chi mai avrebbe fatto una cosa tanto meschina?”
Bisca clandestina. Così l’hanno chiamata i Giudici, in tribunale. Emmett apriva il Pub regolarmente alle diciotto, per poi chiuderlo a tarda ora. Ma solo per la clientela. Poi, entravano un altro tipo di clienti. Ecco come aveva fatto a racimolare tutti quei soldi in così poco tempo. E non si era giocato soltanto i soldi che guadagnava. Ma l’intero affitto del Pub. All’inizio è stata solo fortuna, ma poi i giochi si sono fatti seri. Non sapeva più dove mettere le mani e cosa scommettersi. Lasciò perdere tutto, ma a loro non andava bene. Così bruciarono l’intero Pub.”
“Mi dispiace, Ed.”
“No, non dispiacerti. I miei erano dispiaciuti, anche Alice. Ma io no. Io volevo solo andare da lui, e picchiarlo. Non avrebbe dovuto fare questo a noi, e soprattutto ad Esme e Carlisle. Ma loro lo perdonarono, dopo un po’ di tempo. Ma fu così codardo da rifugiarsi in Alaska, insieme a Rosalie. E Papà continua a dargli una mano anche a distanza, aiutandolo con le spese e con la casa. E noi stiamo ancora pagando i debiti, tenendo il Pub aperto e dividendoci il lavoro.” Conclusi, con una nota di amarezza nella voce.
E finalmente Isabella sapeva.
“Tu non sai cosa l’ha spinto a fare una cosa del genere… perché non provi a parlarci?”
“Stai dando ragione a lui?” Assottigliai gli occhi, mentre lei si voltava per mettersi in ginocchi sul divano, dinnanzi a me.
“No, certo che no. Sai che non conosco Emmett, e quello che ha fatto è da irresponsabili e immaturi. Però liquidarlo così, senza neanche parlarci. E’ pur sempre tuo fratello, Edward.”
Si avvicinò, cercando si spostarmi una ciocca di capelli che mi era ricaduta sulla fronte.
Ma mi scostai bruscamente, alzandomi da quel divano.
“Come puoi permetterti di giudicare il mio comportamento?”
“Non ti sto giudicando, Edward!” Spazientito, mi passai tutte e due le mani sui capelli.
Ottimo, ci mancava solo che lei, ora.
“Ah, no, eh? Allora questo che ti sembra, scusa? Stai sputando sentenze su sentenze, senza neanche sapere di cosa parli.”
“So solo quello che mi hai detto.”
“Appunto. Allora taci.”
“Come ti permetti? Sei solo un bamboccio. Un ragazzino stupido, e nient’altro!”
“Un ragazzino stupido, eh?” La beffeggiai, avvicinandomi. “Infatti sono io quello che ha finto di avere il ciclo, per non dirmi la verità. Ti costava tanto? Sai Edward, non sono pronta. Non me la sento. Cosa pensi? Che ti avrei costretta? Ho litigato con il mio migliore amico, per te. Ho cambiato scuola, per te!”
“Non te l’ho chiesto io, Edward! Vattene.”
“Pensavi davvero che per me fossi soltanto una scopata? Dio, Isabella!” Continuai, mettendoci il carico da dodici.
“Vattene, Edward.” Ripeté, lasciandomi con la bocca aperta. “Vai via.”
“Ragazzo, è meglio che tu vada.” Una mano si posò sulla mia spalla, nello stesso istante in cui mi voltai.
Charlie Swan era dietro di me, e chissà da quanto tempo ascoltava la nostra conversazione.
Con un cenno del capo presi il cappotto, e senza guardare negli occhi Isabella uscii da quella casa.
 
BELLA’S POV
 
Stronzo.
Idiota.
Testa di cazzo.
Solo una scopata.’ Come poteva… Oh, Dio!
Beato chi riusciva a capire quel ragazzo!
Chiusi con uno scatto il libro di Biologia, buttandolo sul letto accanto a me.
Sentii il letto vibrare sotto di me, e presi il cellulare.
Beh, se era lui non glie l’avrei fatta passare liscia.
 
Non fate in tempo a mettervi insieme che già litigate.
Siete impossibili.
Alice
.
 
O incompatibili, aggiunsi, senza però scriverlo alla mia migliore amica.
 
Sai che è sempre colpa sua, vero?
Lo odio.
Bella.
 
Lo inviai, aspettandomi una risposta rapida da parte di Alice.
 
Loro hanno sempre torto, tesoro.
E lo odi perché lo ami.
Alice.
 
Che diamine di risposta contorta era?
Lasciai correre, riponendo il cellulare sul comodino.
Che lo odiavo era una perfetta bugia. Certo, forse ero un po’ arrabbiata con lui.
Che lo amavo, quella era la tremenda verità.
Il cellulare vibrò di nuovo, e maledii mentalmente Alice.
 
Ti amo. Scusa.
Edward.
 
Appunto…
Sospirai afflitta, pensando a come potevo rispondergli.
 
Non sei perdonato.
Bella.
 
Ecco, ora non avrebbe amata più.
Aspettai una risposta, ma il telefono iniziò a squillare.
“Che c’è?”
“Scusa, scusa, scusa, scusa, scusa.” Una cantilena, che non finiva più.
“Dovrei perdonarti?”
“Sì. Perché sono un perfetto coglione. Lo so che tu non sai nulla di Emmett, e che non hai giudicato. Scusa.”
“Non mi basta.”
Okay, ora lo stavo usando. E mi divertivo anche.
“Almeno fammi entrare. Qui fuori si congela.”
“Sei di sotto? Lo sai che se mio padre ti vede t’ammazza?”
“Sì, ne sono consapevole. Quindi apri questa maledetta finestra.”
Risi di gusto, alzandomi e spalancando la finestra.
Lui era lì, appeso a quell’albero con il cellulare in mano.
“Scusa.” Mimò con il labiale, mentre le labbra gli tremarono.
Mi spostai di qualche centimetro, lasciandolo entrare.
Con un salto finì disteso sul pavimento della mia stanza, ma impiegò molto meno per tirarsi su.
“Scusa, scusa, scusa. E’ tutta colpa mia. Non avrei dovuto dire quelle cose.” Si avvicinò, abbracciandomi.
Non potevo dire che quell’abbraccio fosse caloroso. Era talmente ghiacciato, che mi congelai anch’io insieme a lui.
“No. E’ anche colpa mia.” Sussurrai, contro il suo petto. “Io… non avrei dovuto mentirti.”
“Ne possiamo sempre parlare, no?” Annuii, alzando gli occhi per incontrare i suoi.
“Scus-” Ma le mie parole furono bloccate sul nascere, da un suo bacio.
E se prima le sue labbra tremavano per il freddo, io le sentii terribilmente calde.
“Ti amo.”
“Ti amo anche io, Edward.” Continuammo a baciarci per minuti infiniti, finché finimmo sul letto, io sopra a lui.
Non si azzardò ad andare oltre. Si fermava a semplici baci, e a sfiorarmi i fianchi.
E glie ne fui grata.
Il giorno dopo, avremmo parlato anche di quel problema.
“Rimani a dormire?” Gli chiesi, mentre si alzava per rimettersi il cappotto.
Ormai erano le due inoltrate.
“Ho la macchina qui sotto, e domani dobbiamo andare a scuola. Cosa dirai a tuo padre, se ci trovasse qui, a letto insieme?”
Piccolo particolare, di cui mi ero dimenticata.
“Già.”
“Cinque ore, Isabella. E poi ci rivedremo.”
“Cinque ore.” Ripetei, cercando di convincermi che alla fine non erano così tante.
Avrei impiegato quel lasso tempo a dormire, questo era sicuro.
“’Notte.” Sorrise, stampandomi l’ennesimo bacio.
“Buonanotte.” Poi lo vidi saltare su quell’albero, per poi scomparire nella notte.
Con il cuore in gola e le farfalle nello stomaco richiusi la finestra, buttandomi sul letto.
Solo cinque ore.
 
*
 
A svegliarmi fu un gran trambusto, che provenne dal piano inferiore.
Riuscii a malapena ad infilarmi le ciabatte, scendendo. E non so come, non cadetti sulle scale.
La porta era aperta, e Charlie mi dava le spalle.
“Papà?” Sussurrai, quando lo vidi scostarsi, per mostrare la figura dinnanzi a lui.
“Isabella! Prepara le valigie, ti porto con me a Phoenix!”
Renée…

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Capitolo 15
*** Un nuovo inizio. ***


Quando ho iniziato a scrivere questo capitolo, l’ho fatto con un solo pensiero in testa: ‘devo ringraziare i miei lettori’. Dopo l’episodio accaduto una settimana fa, non ho potuto fare a meno di leggere tutte le vostre recensioni. Tutto il vostro supporto, che mi ha lasciata a bocca aperta, davvero. Sentire tutti voi, sia privatamente che sulle recensioni, mi ha fatto venire le lacrime agli occhi. E no, non sto scherzando. Spero soltanto che questo capitolo non vi deluda, e spero vivamente di risentirvi tutti di nuovo, questa volta non a causa di tutto il supporto, ma solo per lasciarmi un piccolo parere sul capitolo. Grazie ancora. E non smetterò più ripeterlo.
Grazie.
 
 
Quindicesimo Capitolo – Un nuovo inizio.
 
BELLA’S POV
 
“E… quindi?”
“Phil è stato trasferito a Miami, per lavoro. E’ entrato in una grande squadra di Football, Isabella. Una delle più famose. Quindi ho pensato di venire a prenderti, per andare a Phoenix qualche settimana. E dal prossimo mese, andremo a Miami.”
La tazza di caffè tremò nelle mie mani.
Renée era entrata in quella casa come un fiume in piena, lasciandomi a bocca aperta. E dopo varie spiegazioni, ora eravamo seduti tutti e tre nel piccolo tavolo della cucina.
E mia madre era venuta per portarmi via.
“Mamma… io non so se sia una buona idea. Vorrei finire la scuola.”
“Ma la finirai a Phoenix, tesoro! Ho portato tutti i documenti proprio per parlare con il tuo Preside, oggi!”
“No, mamma. Ti prego!” Mi lamentai, implorante.
Non volevo andarmene da Forks.
Non volevo lasciare Charlie da solo, di nuovo.
E non volevo lasciare neanche la scuola, a metà.
Ma più di tutti, non volevo lasciare Edward. Non l’avrei mai fatto.
“Tesoro, devi venire. Abbiamo tantissimi piani futuri per te! Io e Phil non abbiamo fatto altro che parlarne, in questi ultimi mesi.”
Piani futuri per te.
Io e Phil non abbiamo fatto altro che parlarne.
Ovviamente io ero esclusa da tutto questo. I ‘piani futuri’ che programmava mia madre, non includevano me.
“Renée, perché non mandi Bella a scuola e quando torna ne riparlate?”
“No, Charlie. No! Il volo è fra poco, e Bella deve venire con noi. C’è anche Phil, che sta aspettando in uno squallido Motel a Port Angeles!” Sventolò una mano in aria, mostrando il diamante nell’anulare destro.
Saranno stati almeno tremila carati.
Certamente. Forse per lo squallido Motel si trattava di una normalissima camera, con un letto e un bagno.
Mamma! Fammi almeno andare a scuola!”
“Non se ne parla.” Disse, sbattendo una mano sul tavolo di legno.
“Scusa… ma non dovevi portare i Documenti al Preside?”
“Forse… forse ci ho già pensato, ecco. Via e-mail, grazie al più bravo avvocato di Phoenix, nonché amico stretto di Phil. Sai, si conosco tutti su questo piano…” Rimasi con la bocca a mezz’aria, sperando che stesse scherzando.
Io non avrei mosso un piede da quella casa.
Non sarei uscita da Forks per niente al Mondo.
“Non posso, mamma. Mi dispiace. Dì a Phil che sono felice per la sua promozione, ma non posso.” Mi alzai arrabbiata e con le lacrime agli occhi, pronta a dirigermi al piano superiore.
“Non credevo di dover arrivare a questo, Isabella.” Esordì d’un tratto, facendomi girare.
Le lacrime grazie al cielo erano tornate dentro.
“C-cosa?” Ma la voce incrinata, quella, non mancava mai.
“La tua custodia è affidata a me, Isabella. E tu sei ancora minorenne, da quel che so’. Non voglio chiamare un avvocato.” E con la parola ‘avvocato’, mi fece capire che avrebbe vinto lei.
Almeno finché io non avessi compiuto diciotto anni. “Quindi verrai con me a Phoenix. Fuori c’è l’autista di Phil che aspetta. Sbrigati a fare le valigie.” E senza neanche guardarla in faccia, salii al piano superiore con grandi falcate.
Le lacrime però questa volta avevano iniziato a sgorgare, anche copiosamente.
Come poteva farmi una cosa del genere? Era pur sempre mia madre!
Singhiozzando presi il piccolo trolley che era sotto il letto, iniziando a svuotarci interi cassetti dentro. Con una mano mi asciugavo le lacrime, e con l’altra cercavo di chiudere la valigia.
Lasciai nella mia camera il piccolo Beauty Case, con dentro i miei Shampoo alla fragola. Tutti i libri di scuola. La mia copia di Romeo e Giulietta, riposta sulla scrivania. 
E quando finalmente riuscii a chiudere la valigia, il cellulare vibrò.
Ti passo a prendere io?
Ed.
E singhiozzi ancora più forti iniziarono a scuotere il mio corpo.
Cosa gli avrei detto? Cosa?
Non vengo a scuola oggi.
Scusa.
Bella.
Scusa…
Ti senti male? Tutto apposto?
Scusa di cosa?
Ed.
Oh, Dio! Non potevo fargli questo.
Non potevo andarmene senza dirgli niente.
Dovevo parlarci.
Tutto bene.
Ti chiamo dopo.
Ricordati che ti amo.
Bella.
E dopo quelle ultime parole, chiusi di scatto il cellulare.
Non potevo continuare a mentirgli.
“ISABELLA!” Sbuffai rumorosamente, accollando dietro di me la valigia, e facendola strusciare fino al piano inferiore.
Charlie era sulla porta, con lo sguardo assente.
“Papà…” Sussurrai appena, fiondandomi tra le sue braccia.
“Hey, tesoro…”
“Aspettami, okay? Tornerò il prima possibile.”
Accarezzò i miei capelli gentilmente, stringendomi ancora più forte.
“Certo che ti aspetto, tesoro. Farò in modo che tu torni il prima possibile.” Si staccò di qualche centimetro, stampandomi un bacio sulla fronte e asciugandomi le lacrime.
“Ti voglio bene.”
“Ti voglio bene anch’io, Bells.” Lo lasciai andare, dirigendomi nel vialetto. Una macchina nera era parcheggiata proprio al centro, e mi ci fiondai dentro. Prima di aver lasciato la valigia ad un uomo in smoking, troppo serio ed elegante.
No, non avrei fatto parte di quel Mondo.
Quando la macchina partì per Port Angeles, guardai fuori i vetri oscurati di quella Mercedes.
Le strade di Forks sfrecciavano troppo velocemente sotto i miei occhi, impedendomi di assaporarne ogni dettaglio.
Lasciai Forks con una promessa, che sarei tornata.
Lasciai Charlie con una promessa, che sarei tornata da lui.
Lasciai Edward… Oh, Edward! Lasciai Edward con una certezza, sarei tornata da lui, in ogni modo possibile.
 
EDWARD’S POV
 
Tutto bene.
Ti chiamo dopo.
Ricordati che ti amo.
Bella.
Rilessi più volte quel messaggio, socchiudendo gli occhi.
Ricordati che ti amo.
Quella non era la mia Isabella Swan. Non avrebbe mai scritto una cosa del genere.
Ricordati che ti amo.
Senza pensarci due volte, mi alzai dal letto indossando gli stessi vestiti della sera prima, e uscendo di corsa dalla mia camera.
Fuori al bagno incontrai Alice, con gli occhi ancora chiusi a causa del sonno.
“Dove vai?” Anche la sua voce era roca, segno che doveva ancora svegliarsi del tutto.
“Da Bella.”
“Non la starai prendendo troppo sul serio? Ieri sei tornato tardi, ed sono solo le sei e trenta.” Ma anche se era mezza addormentata, non le sfuggiva mai niente.
“No.”
Alzò entrambe le spalle, come se non glie ne fregasse niente.
Meglio, allora.
Al piano inferiore, invece, incontrai mia madre. Con un panno in mano, si apprestava ad asciugarsi le mani.
“Mamma.”
“Dovei stai andando?”
“A… scuola, no?”
“Per caso vuoi aprirla tu?”
“Oh, mamma.” Mi avvicinai stampandole un bacio sulla fronte. “Devo andare. Quando torno ti spiego tutto, eh.” E senza aggiungere altro uscii, entrando nella mia Volvo. Misi in moto, dirigendomi verso casa Swan.
Cinque minuti dopo entrai, intravedendo una macchina nera allontanarsi. Senza pensarci due volte scesi, attaccandomi al campanello.
Neanche due secondi dopo venne ad aprirmi Charlie Swan, con le occhiaie e il visto… triste.
Capo… scusi l’ora, davvero! Ma… non è che potrei parlare con Bella?”
Charlie sgranò entrambi gli occhi, e poi si fece da parte per lasciarmi entrare. Salii al piano di sopra, per poi bloccarmi a metà strada.
“Bella non c’è, Edward.”
Cosa?
Mi… mi ha detto che non sarebbe venuta a scuola.” Annunciai, prendendo in mano il mio cellulare.
Rilessi distrattamente il messaggio, che era identico a prima.
“Edward… perché non ti siedi un attimo?”
No, stavo davvero perdendo la pazienza. Dov’era Bella?
“Charlie, non credo sia il caso.”
“Edward…”
“Può dirmi soltanto dov’è Bella? Non la tratterrò oltre, se questo è il suo problema.”
“No, Edward. Non è il un mio problema.”
“Allora…”
“Bella è andata via, Edward. E’ venuta Renée a prenderla.”
“E’ andata con sua madre? Dove? A fare colazione? Perché non me l’ha detto?” Ormai ero un turbinio di domande.
La mia mente viaggiava per conto suo.
Magari, Edward.” Sussurrò Charlie, chiudendo la porta di casa dietro di sé. “Renée… Renée è venuta per portarsela a Phoenix.” Mi appoggiai al corrimano, sentendomi mancare.
“Portarla via? Come… perché lei è andata con sua madre?”
“Non ha avuto scelta, Edward. Bella è ancora in affidamento a sua madre. E così ha deciso.”
Scesi di corsa le scale, mentre la rabbia si impossessava di me.
“Come si è permesso?” Gli puntai un dito contro, mentre il mio viso si faceva tutto rosso. “Perché l’ha lasciata andare? E’ sua figlia! Sua figlia!” Sbottai, alzando le mani al cielo.
“E tu credi che io l’abbia lasciata andare, Edward? Non mi resta che contattare il mio avvocato, e parlarne con lui. Ma Renée ha una cosa che io non ho, Edward. Il potere. E essere il Capo della Polizia di una  cittadina sperduta come Forks, non mi fa andare tanto lontano.” Anche lui aveva alzato la voce di alcune ottave, fronteggiandomi.
“I-io.. io devo andare da lei!” Aprii la porta, quando la mano di Charlie si posò sulla mia spalla.
“Non credo che ti convenga, Edward. Anche se la vedrai, Renée non la lascerà mai. Mi dispiace, ragazzo.” Parlava in modo distaccato, come se non si trattasse di sua figlia. Mi voltai schioccandogli un’occhiataccia, ed raggiunsi la mia Volvo.
Una volta dentro, ingranai la marcia. Diretto all’aeroporto.
 
BELLA’S POV
 
Guardai il piccolo aeroporto di Port Angeles, dove non c’era nessuno.
Più o meno tre coppie, più io, mia madre e… Phil.
“Tieni.” Si avvicinò a me, porgendomi il biglietto aereo appena fatto.
Neanche un ‘Ciao Isabella, come stai?’ No, perché io non meritavo tutto quello. Mi sedetti sulla sedia di plastica, appoggiando malamente la schiena sullo schienale.
Non volevo essere una figlia perfetta, e non lo sarei mai stata.
Non volevo stare lì, in quel momento.
Non volevo partire, volevo solo…
“Mamma, vado in bagno.” Annuncia, prendendo la mia borsa nera.
Alzò lo sguardo dalla rivista di moda che stava leggendo, annuendo svogliatamente.
Proprio come se non glie ne fregasse niente.
Con la borsa a tracollo e il biglietto aereo nella mano destra, mi diressi a passo spedito verso il bagno. Una volta dentro aprii l’acqua del rubinetto, facendola scorrere sui miei polsi. Poi posai lo sguardo sullo specchio, guardandomi per qualche secondo.
Gli occhi erano ancora gonfi, e i capelli più scompigliati del solito. Sicuramente sarei stata una rovina per la nuova famiglia di mia madre. Aprii la borsa, prendendo il portafogli nero e guardando dentro.
Cinquanta dollari.
Sì, di certo mi sarebbero bastati. Accartocciai il biglietto aereo, buttandolo nel primo cestino che trovai. E mi diressi a velocità supersonica fuori da quell’edificio.
Buttai un’occhiata a mia madre, che ancora stava leggendo quella rivista. E a Phil, che con il suo iPad in mano di documentava su chissà quale partita di Football. Appena uscii avevo il fiatone, ed iniziai a chiamare un taxi.
Nulla. Tutti quelli che passavano se ne andavano, e parcheggiato non ce ne era neanche uno.
Finché una Volvo parcheggiò in malo modo accanto a me. Beh, non mi sarebbe importato di niente. Sarei salita ugualmente, chiunque fosse.
Anche se era Edward, che era appena sceso con lo sguardo assente e i capelli più scompigliati del solito.
Indossava gli stessi abiti della sera prima.
Arcuai entrambe le sopracciglia, fissandolo bene.
Non stavo sognando, vero?
Cc-che… Che ci fai qui?” Domandai incerta, mentre lui era dall’altra parte dell’auto, che mi scrutava.
“Te ne stai andando?”
“No. N-no. Stavo cercando un taxi. Per tornare a casa.”
“E… tua madre?”
“Non sa niente. E’ dentro che mi sta aspettando.” Sussurrai appena, mentre le lacrime iniziavano a sgorgare dai miei occhi.
Avevo una paura fottuta.
Paura che Renèe uscisse dall’aeroporto, portandomi via. Lasciando Edward lì. Lo vidi deglutire rumorosamente, e fece scattare la sicura dell’auto.
“Sali, ti porto via.”
Non aspettavo altro che sentire quelle parole, mentre entravo silenziosamente nella Volvo, scoppiando in fragoroso pianto.
 
*
 
“Non devi farmi mai più una cosa del genere.” Sussurrò, accarezzandomi i capelli.
Eravamo nella nostra radura, seduti sull’erba. Edward con la schiena appoggiata su un albero, ed io con la schiena appoggiata sul suo petto.
“Scusa.”
“M-mi… mi hai fatto prendere un colpo. Sarei stato disposto a prendere il primo volo, se non ti avessi trovata.”
“Oh, Renée te l’avrebbe impedito.” Strinsi la sua mano, giocando con le dita.
Appena arrivati avevo spento il cellulare, sicura che mia madre mi avrebbe tartassata di domande.
“No, Isabella. Sarei salito su quell’aereo, a qualsiasi costo.” Mi voltai, incontrando i suoi occhi più sinceri che mai.
“Ti amo, Edward.” Dissi appena, avvicinandomi a lui per baciarlo sulle labbra. Quando mi staccai, gli accarezzai una guancia. “E scusa. Per la storia di Emmett, e per quella di stamattina. Scusa. Non avrei dovuto.”
“E’ tutto passato. Tutto.” E con quelle parole, mi baciò nuovamente. “E poi… ti devo dire una cosa.” Sospirai pesantemente, mettendomi a cavalcioni su di lui.
“Se si tratta di qualche notizia spiacevole, non dirmela.” Annunciai risoluta. Non volevo sentire più niente di brutto, per i prossimo giorni.
“Non direi… Emmett…”
Oh, con quel nome sì che iniziavano le complicazioni
“Se non vuoi dirmelo…” Mi bloccò, posando una mano sulla mia bocca.
“Sì, sì. Sì che voglio dirtelo. Emmett ci ha invitati al suo matrimonio, in Alaska. Ha deciso di sposarsi con Rosalie.”
Oh…
“I miei andranno, e così anche Alice andrà. Ma io… Non so se sia una buona cosa, Bella. Non voglio andarci, non sono ancora pronto.” Abbassò lo sguardo, mentre iniziai ad accarezzargli i capelli.
“Hey, lo sai che prima o poi dovrai affrontarlo, no?”
“Sì, e credo che non ci sia occasione migliore di questa.” Disse, questa volta abbassandosi per posare la sua bocca sul mio collo. Lo spostai di lato, socchiudendo gli occhi.
“All-lora?”
“Ne ho parlato con i miei genitori, ieri sera. Vieni con me.” Lo feci staccare, prendendo il suo viso fra le mani e guardandolo.
Quello che aveva appena detto, mi sembrava tutto tranne che una richiesta.
Era una specie di ordine.
Come a dirmi: ‘Vieni, ho bisogno di te’.
E poi sorrisi, stampandogli un casto bacio sulle labbra. Presi la sua mano e intrecciai le dita fra le mie, invitandolo ad alzarsi.
“Bene. Andiamo in Alaska!” Sorrise, e al centro della radura si avvicinò a me, circondandomi la vita con una mano ed abbassandosi fino alla mia altezza, sorridendo sulle mie labbra.
Saremmo andati insieme in Alaska, e quello sicuramente sarebbe stato un nuovo inizio.
 
**
 
Niente finale da soap per questo capitolo =D chi mi ha su FB mi conosce bene! Il prossimo capitolo sarà tutto Alaska, neve, camino, una camera solo per Edward e Bella, letto, piumone… VI LASCIO IMMAGINARE!
Grazie, grazie e GRAZIE!

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Capitolo 16
*** Alaska. ***


Scuse per il mio ritardo? Un libro di economia aziendale aggiunto a quello di inglese.
Sono perdonata, vero?
Perdonatemi anche il fatto che il prossimo sarà l’ultimo capitolo, più l’epilogo. Okay, ve l’ho detto ora così dopo la parte smielata vi sarete ripresi!
Ci sentiamo sotto ùu
 
 
Sedicesimo Capitolo – Alaska
 
BELLA’S POV
 
“Ne sei proprio sicura? Dopo tutto quello che è successo… ne ho parlato con Carlisle, e lui dice che non è un problema, ma…” Mi voltai verso mio padre, stampandomi un sorriso degno di una paresi facciale.
“Certo, papà.” Misi una mano sulla sua spalla, accarezzandogliela lentamente. “Sai, con la storia della mamma, ora questa vacanza mi farà più che bene. Tu non devi preoccuparti. Pensa solo a divertirti per questo week-end.” Sorrisi, continuando a preparare la mia valigia.
Erano passati due giorni da quando ero scappata dall’aeroporto, e Renée era venuta subito a casa per cercarmi.
Peccato che aveva trovato papà che minacciava di uccidere Phil, se non avesse lasciato immediatamente Forks.
Lei impaurita se ne era andata, me ero sicura che la storia non fosse finita. Mia madre non si arrende per così poco.
“Divertirmi? Come faccio a divertirmi senza di te, Bella?”
Oh, per quanto ci divertivamo noi insieme.
“Non lo so… magari vai a La Push. Sai, con Sue…”
“C-cosa?” Diventò rosso, ed iniziò a balbettare. Intanto io ridevo sotto i baffi.
“Papà, tutti lo sanno. Sei il capo della Polizia! Le voci girano a Forks…”
“Sono adirato! Dimmi subito chi te l’ha detto!”
“Allora non smentisci, eh?” Gli diedi una gomitata, socchiudendo gli occhi.
Adoravo prenderlo in giro.
“ISABELLA!” Alzò la voce di alcune ottave, facendomi ridere rumorosamente. Lo abbracciai di slancio.
“Papà, lo sai che io non ho nessun problema. Se vuoi uscire con Sue, fallo tranquillamente. Se vuoi, puoi portarla anche a cena qui. Magari cucino io…” Commentai, alzando gli occhi al cielo.
Se con Sue c’era davvero qualcosa sotto, e mio padre le avrebbe fatto una cena… beh, si sarebbero lasciati immediatamente.
“Davvero?” Domandò speranzoso, sorridendomi calorosamente.
“Certo. Lo sai, non ho nessun problema.” Ripetei di nuovo, infilando qualche maglione nella valigia.
Sicuramente quella in Alaska non sarebbe stata una gita di piacere. Più che altro per Edward.
“Ottimo… Allora, ti accompagno all’aeroporto domattina?”
“No, ci penserà Edward. Tranquillo.”
“Ma sei proprio sicura?” E dopo l’episodio con Renée, cercava in tutti i modi di tenermi stretta a lui.
“Certo. Prendiamo la Volvo.”
“Ma è sicuro lasciarla all’aeroporto, non si sa mai, con i-” Scossi energicamente la testa, evitando di sbuffare.
“Sì, papà! E’ tutto sotto controllo, promesso. Ti chiamo appena arrivo all’aeroporto, e appena scendo. Poi quando arrivo a casa di Emmett e Rosalie. E anche il giorno del matrimonio. Ti assillerò così tanto che sarai costretto a chiedermi di non chiamarti più.” Dissi, chiudendo con uno scatto secco la mia valigia.
Erano già le ventitré, e quindi l’ora di andare a letto. Alle sette, Edward sarebbe passato a prendermi.
“Okay. Allora… ci vediamo lunedì mattina.”
“Sì.” Mi voltai, abbracciandolo nuovamente.
“Mi raccomando, Isabella.” Si premunì, accarezzandomi le spalle.
“Certo, certo. Ti voglio bene, papà.”
“Anche io, tesoro.”
 
*
 
“Ma non siete eccitati! Oh, Dio! Non vedo l’ora di vedere Emmett!”
Peccato che nella Volvo di Edward, non eravamo soli. Ovviamente il folletto aveva costretto il fratello a portarsela dietro, e così anche il povero Jasper con l’aria assonnata.
“Basta, Alice!” Sbuffò Edward, con la mano intrecciata con la mia, sul cambio.
“Che c’è? Ho detto qualcosa di male?” Guardò me, in attesa.
Cosa potevo dirle? Che non ero felice per lei?
Ero felicissima per lei. Avrebbe rivisto suo fratello, dopo tanto tempo. Sarebbe andata ad un matrimonio, che lei adorava tanto.
Ma ero anche preoccupata per Edward. Se Alice era eccitata, Edward al contrario suo sembrava dirigersi al patibolo.
Strinsi la sua mano, sorridendogli affettuosamente. Volevo che sapesse che aveva tutto il mio appoggio. Qualunque cosa avesse fatto.
Ricambiò il sorriso, ma capii subito che era forzato. Almeno in parte.
Arrivati all’aeroporto incontrammo Esme e Carlisle, che avevano già fatto il check-in. Mentre noi ci eravamo sorbiti ben mezz’ora di attesa.
Saliti sull’aereo, Alice prese in malo modo Edward dalla camicia, per strattonarlo vicino a Jasper.
“Mi dispiace caro mio. Ora devo parlarci io con la mia sorellina.”
E senza obbiettare nulla, silenzioso si diresse verso il posto libero accanto a Jazz.
“Che vuoi?” Sospirai, alzandomi in punta di piedi per posare il mio beauty.
“Oh, ma quanto siamo maleducata oggi!” Si finse offesa, mettendo su un broncio orrendo.
“Alice… che vuoi?” Ripetei per la seconda volta, questa volta sedendomi.
Edward era proprio nel posto davanti al mio.
“Diciamo che ieri pomeriggio sono andata a casa tua per… mettere un po’ di cose nella tua valigia.” Annunciò cautamente, mentre me la ridevo di gusto.
“Oh, cara mia! Avrai sicuramente sbagliato valigia! La mia l’ho fatta ieri sera, ed è perfetta!”
Alla faccia sua!
“Hai presente la sacca nascosta? Quella con la zip, in fondo? Ecco, è molto spaziosa. Forse… forse ci ho messo qualcosa. Niente di sobrio, non preoccuparti.”
Quasi mi strozzai con la boccetta dell’acqua che avevo appena aperto.
Sacca nascosta?
Niente di sobrio?
No, un giorno avrei aiutato Edward a commettere un omicidio. Anzi, avrei ucciso con le mie stesse mani Alice Cullen.  
Ti prego…” Sussurrai appena, dolorante.
“Dai, su! Senza di me come avresti fatto?” E prima che la boccetta le arrivasse in pieno viso, si era già rifugiata fra le braccia del suo fidanzato.
Oh, non lo invidiavo per niente.
“Cosa voleva?” Una voce calda, quella voce che amavo.
“Hey.” Sorrisi, accoccolandomi sul petto di Edward, quando si sedette. “Niente. Le solite scemenze.” Dissi infine. Non potevo di certo dirgli certe cose.
“Come al solito.” Commentò, accarezzandomi dolcemente i capelli. “Pronta?” Domandò, baciandomi il capo.
“Sì, certo. Tu?” Esitò qualche istante, prima di rispondermi.
“Sì… diciamo di sì. Ci saranno molte cose da chiarire, in questi giorni.”
“Lo so. Ma tu sei forte, Edwaaard.” Uno sbadiglio improvviso interruppe la mia frase.
“Dormi. Avremo tutto il tempo per parlare, a casa.” Riuscii solo ad annuire, mentre chiudevo gli occhi, assonnata.
E con facilità, entrai nel Mondo dei sogni.
 
*
 
“Stai tranquillo.” Strinsi il più forte possibile la mano di Edward, che era intrecciata con la mia.
Il volo era atterrato in perfetto orario, e dopo un messaggio inviato a mio padre, eccoci nel vialetto di casa Cullen.
“E’ bellissima! Sapevo che Rosalie aveva una dote nascosta.” Commentò Esme, ammaliata dalla casa.
In verità, non era niente male.
Enorme, a tre piani.
Bianca e blu.
Sì, Rosalie ci sapeva davvero fare.
Carlisle si era avvicinato al campanello, ma non fece in tempo a suonare, che la porta si aprì.
“Papà! Mamma! Oh, Alice! Ragazzi!”
Era… enorme.
Alto almeno un metro e novanta. Capelli neri, abbastanza corti. Occhi chiari. E un sorriso contagioso.
“Emm!” Ed Alice si tuffò letteralmente fra le sue braccia.
Emmett ricambiò felice, mentre dietro di lui venne fuori Rosalie.
Oh, cazzo!
La mia autostima scese irrimediabilmente sotto zero. Era così… bella.
I capelli biondi, che in lunghe onde le arrivavano fino alle spalle. Le labbra carnose, e quel fisico da modella.
Mi sentii una perfetta idiota, davanti a lei.
“E tu devi essere Bella!” Emmett si avvicinò a me, sorridendomi calorosamente.
“Sì.” Risposi imbarazzata, tendendogli una mano.
Fu tutto inutile, perché mi abbracciò talmente forte, che riuscì a sollevarmi da terra. Con la mia mano ancora stretta fra quella di Edward.
Quando si staccò da me, e dopo aver salutato quasi tutta la famiglia, si mise dinnanzi a Edward.
Gli allungò la mano, come per dirgli che dovevano parlare. E che Emmett avrebbe aspettato.
Tirai leggermente il suo braccio, cercando di fargli capire. Che avrebbe potuto superare il passato, e che ci sarebbe riuscito.
E da perfetto uomo allungò la sua, ricambiato la stretta.
Esme sospirò silenziosamente, mentre Alice batteva le mani in aria, felice come una bambina.
Entrammo in casa silenziosamente, ammirando il lavoro svolto interamente da Rosalie.
Infatti era proprio stata lei a dircelo. O almeno, a dirlo ad Esme. Diciamo che non provava tutta questa simpatia nei miei confronti.
L’atrio era enorme, e i mobili bianchi e blu. Intonati con tutto il resto della casa.
“E questa…” Rosalie aprì una porta, entrando in una camera enorme. Era almeno due volte la mia. “E’ la vostra camera.” Annunciò infine, sorridendo a Edward.
“Grazie.”
“Non avete problemi a dormire insieme, vero?” Emmett era sullo stipite della porta, con una mela in mano.
“No, certo che no.” Risposi, ripensando alle parole che mi aveva detto Alice poche ore prima.
Oh, Dio!
Diventai irrimediabilmente rossa, voltandomi per trascinare la mia valigia fino al letto.
“Fantastico.” Decretò infine Emmett, scendendo al piano di sotto seguito da Rosalie.
 
“Bellissima, vero?” Chiese Edward, richiudendo la porta alle sue spalle.
“Sì. Tuo fratello è davvero simp-… Oh, scusa!
Ed il premio per la miglior imbecille dell’anno va a… Isabella Swan!
Mi avvicinai a lui, affondando la testa nel suo petto.
Rise, appoggiando il mento sui miei capelli.
“Nessun problema. Puoi benissimo parlare di Emmett.”
“Davvero?” Domandai, titubante. Sapevo che era sempre un argomento tabù, per lui.
“Davvero.” Decretò, prendendo con il pollice e l’indice il mio mento, per alzarmi il viso.
“Sei stato… strabiliante. Cioè, il modo in cui gli hai stretto la mano, anche dopo tutto quello che mi hai raccontato.” Cercai di risollevargli il morale, dicendogli tutta la verità.
“Dici? Devo sempre parlarci.”
“E sono convinta che andrà tutto bene.”
“Sei troppo positiva, tu.” Si avvicinò lentamente, per stamparmi un bacio sulle labbra.
Un bacio casto, che non aveva niente a che fare con i vestiti che Alice mi aveva messo in valigia.
Oh, aspetta! I vestiti?
Ed ora cosa diamine centravano?
Ecco, stavo diventando una maniaca depravata!
“Qualcosa non va?” Edward continuò a baciare il resto del mio viso, lentamente.
Mi chiedeva davvero se qualcosa non andava?
Oh, Dio!
“N-no.” Balbettai, beandomi di quelle piccole coccole, che tanto desideravo.
Ragaaaazziii! Su, andiamo a farci un giro per la città?”
“Ucciderò mia sorella!” Sbottò Edward frustrato, mentre io ero totalmente d’accordo con lui.
“Se vuoi ti do una mano.” Annunciai infine, uscendo insieme a lui da quella dannatissima camera.
 
*
 
Infilzai la crocchetta di patate con la forchetta, portandomela alla bocca.
Avevamo passato l’intero pomeriggio in giro per la città, ed ero stata costretta da Alice ad andare in giro per vari negozi.
Ovviamente con Rosalie alle nostre spalle.
Esme e Carlisle avevano deciso di restare a casa, per occuparsi degli ultimi preparativi per il matrimonio.
Ma sapevo bene che c’era poco da cui occuparsi. Rosalie era stata precisa in ogni dettaglio, perfino nell’abito rosa shocking che io ed Alice avremmo dovuto indossare.
“Allora Bella…” Iniziò Emmett, schioccandomi un’occhiata. “Da quanto vi frequentate tu e Edward?”
Ma proprio a me doveva fare questa domanda?
Ovvio, se con Edward non ci parlava…
Un po’.
“Quantifica un po’!” No, avrei ucciso Alice.
In Alaska.
Con le mie stesse mani.
“Un po’ di settimane!”
“Oh!” Sbottò Alice, frustrata. “Bella veniva tutti i venerdì sera al Pu-”
“ALICE! Non credo che questo interessi ad Emmett.”
Santo Carlisle da Forks, protettore delle brave ed innocenti persone.
“Ascolto tutte le storie interessanti, papà.”
E se mi chiedevo da chi avesse preso Alice, era perché ancora non avevo conosciuto Emmett Cullen.
“Ci siamo conosciuti al Pub. Una sera.” Disse prontamente Edward, chiudendo lì il discorso.
Ecco, mi sentii terribilmente in colpa.
Se non avessi risposto con ‘un po’’ Alice non si sarebbe messa in mezzo. E se Alice non si sarebbe messa in mezzo Edward non sarebbe stato costretto ad intervenire.
Ottimo, ero anche da internare con i discorsi che facevo.
“Beh, che ne dite di andare a letto? Domattina dobbiamo uscire presto, e poi ci saranno i rispettivi addii al nubilato e al celibato.”
Alice batté le mani, estasiata.
Ti prego, fa che non abbiano organizzato qualcosa in discoteca.
“Sì. Credo che sia un’ottima idea.” Carlisle si alzò per primo, salutando con una pacca sulle spalle Edward, e poi noi altri.
Alice invece con passo strascicato si diresse verso la sua camera… che condivideva con Rosalie.
“Perché non dorme con Jazz?” Domandai silenziosamente, mentre mano nella mano con Edward ci dirigevamo verso la nostra camera.
“Perché non deve dormire con Jasper. Sotto una casa dove ci sono i suoi fratelli, suo padre.”
“Oh… allora siete così protettivi, eh? Ma nessuno si è preoccupato per me.” E di certo non mi dispiaceva affatto.
“Ah, sì? Se vuoi puoi sempre raggiungere Alice.” Sorrise sulle mie labbra, stampandomi un bacio.
“Mmmh.” Mugugnai, aggrappandomi alla sua maglia mentre cercava di aprire la porta.
Quando si voltò, sfilò il suo maglione beige in una sola mossa, restando a petto nudo.
Oh, cazzo.
No, quello non era previsto nei piani.
Deglutii, e fortunatamente Edward era girato, sennò se ne sarebbe reso conto.
“Vado…” Impastai con la bocca, come se non avessi mai visto un uomo mezzo nudo davanti a me.
E non l’hai mai visto, Bella. Se escludi tuo padre a mare, quando avevi dieci anni. “Vado un attimo in bagno. Torno subito.” Chiusi la porta alle mie spalle, notando la causa di tutte le mie minacce.
La valigia.
L’aprii cautamente, e dopo aprii anche la sacca nascosta.
Certo, tutti i completini che ci trovai dentro non avevano nulla da nascondere.
Il più casto era di pizzo, che creava un effetto vedo-non vedo.
E le minacce di morte verso Alice continuarono, finché spensi la luce del bagno ed uscii a piedi scalzi.
Edward era già a letto, sotto il piumone bianco.
“Hey, ce ne hai messo di tem-”
“Non dire niente. E’ stata Alice.” Diventai rossa fino alla punta dei miei capelli, spegnendo la luce e accovacciandomi sul letto accanto a lui.
Ma era rimasto immobile. Come se non avesse sentito nulla di quello che gli avevo detto.
“Ed-”
Dio! Credo che dovrò ringraziare mia sorella.” La sua voce era rauca, quando voltò la testa dalla mia parte.
Impertinente.
“Sì, eh? Che vorresti dire, che gli altri giorni non sono attraente.” Ci scherzavo sopra, ma sapevo benissimo anch’io che quelle parole sotto avevano del vero.
Veramente non mi trovava attraente, quando indossavo i miei semplici jeans sbiaditi e un maglioncino?
Certo, Bella. Certo che non ti trova attraente. Sembri tua nonna reincarnata in una diciassettenne!
“Ma scherzi?” Prese il mio viso da sotto il mento, avvicinandosi pericolosamente. “Tu sei attraente anche con un sacco dell’immondizia addosso.” Alitò, nella penombra.
Immagino…”
“Sei attraente anche senza niente addosso.” Non poteva averlo detto davvero.
“Dimostramelo.” Non potevo averlo detto davvero.
E di certo lui non si fece pregare. Con grazia si adagiò sopra di me, sfilandomi la canotta di seta che lasciava davvero poco all’immaginazione.
Il reggiseno rimase lì, mentre con studiata lentezza mi baciava le labbra.
Un bacio che non aveva niente a che fare con quelli che ci eravamo scambiati nell’arco della giornata.
O nel corso della nostra storia.
Scese verso il collo, per poi mordermi il lobo dell’orecchio destro.
Edward!
“Non ti agitare troppo. Siamo solo all’inizio.” Sentii un sorriso formarsi sulle sua labbra, proprio sopra la mia pelle.
Cercai di tirargli un pugno sul petto scoperto, ma non ci riuscii.
Perché imprevedibilmente, scese con la bocca fino all’altezza dei miei seni.
Non potevamo farlo.
“Mmmh.” Un gemito.
No, non andava affatto bene.
“S-ssì.” Quella non ero io. Era una mia reincarnazione.
La Bella perversa che era in me stava uscendo fuori.
Senza slacciare il reggiseno, andò oltre.
L’ombelico.
Dio, stava praticament-
“Adoro questa parte di te.” Sussurrò, per poi scendere.
Per scomparire sotto i miei occhi, immerso totalmente sotto il piumone.
Immerso fra le mie gambe.
Deglutii, senza sapere dove mettere le mani.
Sospiravo pesantemente, cercando di controllare i vari gemiti che uscivano dalla mia bocca.
Non eravamo soli, lì.
E se le pareti non erano poi così tanto spesse? Oh, Dio!
Ora capivo perfettamente perché Carlisle, Emmett e Edward avevano mandato Alice a dormire con Rose.
E quando arrivai praticamente al culmine, lo presi per i capelli, tirandolo fino a farlo arrivare al mio viso.
Era così… era così… Oh, Dio!
Senza dire niente, mi fiondai fra le sue braccia. Baciandolo con trasporto, per farlo aderire totalmente al mio corpo.
E notai che anche lui non era rimasto indenne a quel trattamento.
Lo guardai dritto negli occhi, non sapendo cosa fare. Peccato che Edward sapeva benissimo cosa doveva fare.
“Hey, hey.” Accarezzò dolcemente i miei capelli, iniziando a baciare ogni parte del mio viso. “Lo sai che non mi aspetto niente, vero? Quello che ho fatto… volevo farlo, Isabella.”
Ma mi sentii peggio di prima.
Sprofondai nel materasso, portando il piumone fin sotto al collo.
“Chissà con le altre…” Ma il mio commento fu interrotto sul nascere.
“Con le altre niente, Bella. Non farti strane idee. Non… non l’avevo mai fatto prima.”
Sembrava come se si vergognasse.
“Come?” Ed io ovviamente dovevo metterci il carico da cento.
“Sei perfida.” Rise, mentre mi schiacciavo nuovamente contro il suo petto.
“Mmmh. Non è la prima volta che me lo dici.”
“E non sarà neanche l’ultima.” Mi sfidò, socchiudendo gli occhi. Gli posai un bacio sulle labbra, poi presi le estremità del piumone, per coprirci tutti e due.
“Ti amo, Edward.” Mormorai, entrando nel dormiveglia.
“Anche io ti amo, piccola.” Posò un lieve bacio sul mio capo, stringendomi ancora di più a lui.
E inaspettatamente, l’Alaska si rivelò davvero un viaggio di piacere.
 
**
 
Non vi preoccupate, ci sarà la chiacchierata tra Edward ed Emmett. E l’addio a nubilato. E il matrimonio. E… cos’altro volete leggere? Ah, sì. Mi sa che Edward e Bella non sono andati tanto a fondo, vero? Sì, ci saranno anche quelle scene.
E poi un bellissimo epilogo.
E poi i miei esami. E poi… una nuova FF! Su TW, of course!
Sì, lo studio mi fa diventare logorroica. Non so che altro aggiungere.
Ehm… no niente. Torno sui miei libri ç__ç
Bye.
Tatiana.
*non sono scema, lo sapete vero?*

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Capitolo 17
*** Tutto è bene quel che finisce... bene! ***


Diciassettesimo capitolo – Tutto è bene, quel che finisce… bene!
 
BELLA’S POV
 
Feliz Navidad, tatataaaa! Feliz Navidad, tatataaaa! Feliz Navidad, tatataaaa! Prospero Ano y Felicidad!” Edward grugnì sotto le coperte, finché non uscì fuori con i capelli scompigliati e il viso assonnato.
Assonnato, perché non avevamo dormito praticamente… niente.
“Dimmi che non lo sta facendo davvero!” Ringhiò, socchiudendo gli occhi.
Era arrabbiato, e non c’era da biasimarlo. Io ero arrabbiata da più di due ore. Cioè, da quando Alice mi aveva svegliata cantando ‘Feliz Navidad’ per tutta la casa.
Da quella mattina alle sette, ed erano ancora le dieci.
Accarezzai i capelli a Edward, passandoci sopra più volte la mia mano.
“Buongiorno.” Sussurrai appena, abbassandomi per baciarlo. Sembrò riprendersi, mentre con i gomiti faceva leva su sé stesso.
“Hey.” Senza aggiungere altro approfondì il bacio, e senza chiedere il permesso strinse fra una mano un mio seno.
Perché ormai, non c’era più bisogno di chiedere niente.
E-edward!” Il mio era stato poco più di un sussurro, tramutato in un gemito. Insomma, non so precisamente cosa fosse. So solo che mi piacque, e anche troppo.
Si mise sopra di me, sfregandosi contro una mia gamba. E il sorriso malizioso che si formò sulle mie labbra lasciava poco da intendere.
“Se il buongiorno si vede dal matt-”
FELIZ NAVIDAD, TATATAAA! FELIZ NAVIDAD, TATATAA!” E questa volta, non potemmo proprio ignorarla. Perché era entrata in camera nostra, senza darci l’opportunità di fare niente.
Niente.
Alice si fermò davanti alla porta, con lo sguardo assente e… colpevole? Impossibile. Ogni cosa che faceva aveva sempre secondi fini.
Come…
PAPA’! PAPA’! CORRI! CORRI!” Urlò talmente forte, che Carlisle accorse in un decimo di secondo.
Con il fiatone e un pigiama blu a righe bianche.
Appoggiò una mano sullo stipite della porta, per prendere fiato. Poi, guardò dritto negli occhi sua figlia.
“Alice, cosa diamine succede?”
“Guarda!” Seria come non mai, indicò verso di noi.
Noi, sul letto.
Edward, sopra di me.
Il piumone, sceso fino alle nostre gambe.
Una gamba di Edward, in mezzo a me.
“Tu non mi permetti di dormire con Jasper, mentre… LORO POSSONO PROCREARE!” Non so chi fosse più sconcertato, in quel momento.
Se io, rossa come un peperone, o Edward che si era alzato per sistemarsi i pantaloni della tuta e chiudere la porta in faccia a suo padre e sua sorella.
Appoggiò la fronte sul legno, per poi voltarsi con una smorfia dipinta sul suo volto.
“Non. Può. Averlo. Fatto. Davvero.” Disse appena, lasciandosi cadere per terra, strofinando la schiena sulla porta.
E invece l’aveva fatto.
Alice Cullen aveva firmato la nostra condanna contro… Carlisle Cullen? Oh, Dio! Se solo l’avesse detto a mio padre!
Io sprofondai silenziosamente contro il cuscino, tirando giù un imprecazione non molto carina.
“Forse… dovremmo…” Ma non finii, perché bussarono alla porta.
Due pugni, forti e chiari.
“Se è ancora Alice l’ammazzo.”
“Io non credo che sia Alice.” Mormorai, mentre Edward – cautamente -, tirava giù la maniglia.
Ed infatti non era Alice. E neanche Carlisle.
Ma Emmett.
“Hey ragazzi, buongiorno.” Con un paio di pantaloncini da jogging e il petto nudo.
Feci un misero cenno del capo, cercando di non abbassare la testa.
Okay, avevo il mio Edward.
Quello per cui stravedevo da mesi, e che ora stava con me. Sì, proprio con me. Con l’impacciata Isabella Swan, regina delle figure di merda.
Ma avevo anche gli occhi, ancora. E fu impossibile, non notare tutti i muscoli di Emmett. Scolpiti a dovere, proprio nei punti giusti.
E amavo immensamente la pancetta non troppo piatta di Edward, ma… cazzo!
“Sotto non si fa altro che parlare del vostro… procreare.” Emmett si passò una mano sui capelli scuri, imbarazzato. Forse più di noi.
“Ora vado giù e l’ammazzo.” Sbottò Edward, cercando di superare suo fratello per uscire dalla stanza.
Peccato che Emmett gli mise entrambe le mani sulle spalle, per bloccarlo.
“Aspetta… volevo parlare con te. Non è che… avresti due minuti?” Domandò cautamente, cercando di non esagerare.
Sapeva benissimo che Edward quei due minuti non glie li avrebbe concessi.
A meno che…
Mi alzai in fretta e furia, notando solo in quel momento che indossavo il pigiamino-ino-ino di Alice.
Appunto, regina delle figure di merda.
Immobile, al centro della stanza, guardai prima Emmett e poi Edward.
Emm… non è che ci lasceresti due secondi. Poi, Edward sarà tutto tuo.” Senza aggiungere altro Emmett uscì silenziosamente, mentre io ero pronta per scavarmi una fossa e morire lì dentro.
Edward sarà tutto tuo?” Sapevo che quelle parole non gli erano sfuggite.
Altro che.
“E’ la volta buona per… parlare.” Mi morsicai la lingua, prima di dire ‘chiarire’. Sapevo che non avrebbero chiarito mai. O forse un giorno, sì. Mi avvicinai, con fare da gatta morta.
Più zombie che micetta sexy, ecco.
Misi tutte e due le mani sulla sua pancetta, per poi alzarmi sulla punta dei piedi.
“Ti prego. Parlaci. Fallo per me.”
Isabella…
“Per me.” Gli lambii le labbra con la lingua. Stavo facendo un gioco sporco, me ne rendevo conto.
“Gli concederò due minuti. Non di più.”
“Ottimo!” Questa volta gli stampai un bacio casto sulla bocca, prendendo una semplice T-shirt e un paio di jeans per fiondarmi in bagno.
E due secondi dopo, ero pronta. O almeno, credevo di esserlo.
“Capisco la tua fretta, ma… non ti pettini?”
“Scusa, tu non hai detto che sono sexy anche un sacco dell’immondizia addosso?” Gli rinfacciai, facendogli una linguaccia.
Sbuffò sonoramente, e con la mano cercai di sistemarmi i capelli alla belle meglio.
“Ci vediamo giù, eh!” Lo baciai nuovamente, aprendo la porta della nostra camera, e trovando Emmett di fuori. Che aspettava.
“Tutto tuo.”
Grazie, Bella.”
“Di niente.” Con un timido sorriso stampato sulle labbra feci il primo scalino, fermata dalla voce di Emmett.
“Bella, quel completino è Victoria’s Secret?”
Lo sapevo. Sapevo che non ero passata inosservata!
“Come?” Feci finta di niente, come una gran cretina.
“Non so, devo chiedere a Rose di farci un giro.” E detto questo si dileguò, chiudendo la porta dietro di sé.
Sospirando scesi la rampa di scale velocemente, pronta a discutere sul nostro… procreare.
 
EDWARD’S POV
 
Feci su e giù per la stanza per ben due volte, quando la porta si aprì.
Emmett, in tutto il suo splendore che ovviamente non era passato inosservato alla mia ragazza, entrò.
“Hey.” Di nuovo.
“Dimmi.” Dritto al punto, Edward. Ecco cosa stavo facendo.
Se mi doveva dire una cosa, meglio dirmela subito.
“Ci sediamo?” Domandò, indicando il letto. Disfatto.
“Certo.” E se proprio lui doveva fare il carino e cortese, tanto valeva che lo facessi anch’io.
Ci sedemmo sullo stipite del letto, davanti alla scrivania di legno.
Volevo…” Deglutì, prima di passarsi una mano sulla testa. “Volevo chiederti scusa.”
Aggrottai la fronte, voltandomi dalla sua parte. Ancora con la testa fra le mani, e con l’aria affranta.
“Scusa?”
“Per tutto. Per come me ne sono andato, e per come ho lasciato le cose a Forks. Per tutto.”
“E tu pensi che delle scuse bastino, eh?” Sbottai, alzandomi in piedi di scatto. “Tu neanche ti rendi conto del danno che hai fatto, Emmett!” Scossi la testa energicamente, prendendo le distanze e andando a sbattere contro alla scrivania.
“Lo so che delle scuse non bastano, Edward.” Scandì le parole, una per una.
“Oh, meno male.”
“E so tutto quello che ho fatto. E ne sto pagando le conseguenze!” Una risata amara uscì dalle mia labbra, mentre lui si decise ad alzare la testa.
“Davvero? Stai pagando le conseguenze, eh? E invece noi che stiamo facendo, Emmett? Noi abbiamo rimesso in piedi quel lurido Pub, solo per pagare tutti i tuoi debiti. Tutti, dal primo all’ultimo. E devi ringraziare papà, che ha tutte quelle conoscenze a Forks. Ogni sera chiusi lì dentro, senza guadagnare niente!” Diventai rosso dalla rabbia, puntandogli un dito contro.
Lui non se ne rendeva conto. Non si rendeva conto di quello che aveva fatto, in tutto quel tempo.
“E gli assegni che mando ogni mese? Non te ne hanno mai parlato, eh? Certo, perché tu sei quello che non vuole avere più niente a che fare con me, Edward! Io qui mi spacco la schiena, lavorando dalla mattina alla sera. Solo per mandarvi dei soldi, e per saldare i miei debiti. Per porre rimedio ai miei sbagli!” Questa volta anche lui si era alzato in piedi, per fronteggiarmi.
“Cos-?”
“Non sono scappato, Edward.” Disse, prendendo un bel respiro. “Me ne sono dovuto andare. Per forza. Tu non ti rendi minimamente conto di cosa significa avere a che fare con una bisca clandestina. Ci sono uomini armati, pronti ad ammazzarti in ogni momento. Certo, i primi giri mi sono andati più che bene, e poi? E poi erano pronti a togliermi tutto, anche la mia famiglia. Non potevo permettermi di restare a Forks, e far pagare anche voi.” Passò tutte e due le mani fra i capelli, frustrato. “Rimettere su il Pub e pagare i debiti, non è niente. In confronto a quello che sarebbe potuto succedere.” Bisbigliò appena, sedendosi nuovamente sul letto.
Quindi, lui se ne era andato per la nostra… salvaguardia? E io dovevo crederci?
“I nostri genitori non hanno mai detto niente, perché sapevano tutto. E così anche Alice. Ma tu… tu hai messo una specie di barriera, e te ne sei fregato. Di me, e di tutto quello che mi è successo.” Stavo per ribattere, quando continuò. “E hai fatto bene, Edward. L’avrei fatto anch’io, se la situazione fosse stata al contrario. Perché devo preoccuparmi di un fratello che ci ha lasciati in una mare di debiti? Hai ragione.” Le ultime parole le sussurrò appena, mentre fissava il vuoto davanti a sé.
Cosa potevo dirgli? Che lo perdonavo così, da un giorno all’altro?
“Emmett… io non posso far finta di niente. Dopo tutto quello che è successo!”
“Ed io non voglio che le cose cambino! Ma volevo solo farti sapere tutto. Come stavano le cose, ecco. E ora sei tu, a decidere. E non mi aspetto che mi perdoni ora, accantonando tutto quello che è successo. Ti chiedo solo di… pensarci. Di iniziare di nuovo. Da capo.” Batté una pacca sulla mia spalla, e si diresse verso la porta.
“Emmett?” Lo chiamai, mentre era già fuori.
“Sì?”
“Non ti prometto che le cose torneranno come prima, ma ci proveremo.” Così chiuse la porta dietro di sé, lasciandomi solo e con un macigno in meno nel petto.  
 
*
 
Al piano di sotto trovai Bella, davanti ad una tazza di latte fumante. La strinsi da dietro, facendola sussultare.
“Ciao.” Posai un bacio sotto l’orecchio, sentendola tremare.
“Ciao.” Sussurrò, lasciandosi andare.
Ormai, le mie coccole non erano più un problema.
“Com’è andata?” Domandai, riferendomi all’interrogatorio che sicuramente aveva subito da parte della mia famiglia.
“Oh, bene. Stanotte dormi con Jasper. Per la felicità di Alice.” Sbuffò, scansando di qualche centimetro la tazza.
“Come?” Mi spostai, per guardarla dritto negli occhi.
Sospirò, alzando entrambe le braccia.
“Tuo padre dice che ormai sono di famiglia, è come se avesse un’altra figlia femmina. Quindi, deve preoccuparsi per me nello stesso identico modo con cui si preoccupa per sua figlia. Quindi…”
“Stasera dormi con Alice.” Conclusi per lei, alzando gli occhi al cielo.
“Già.”
“Beh, vedrò di far ubriacare Jasper a livelli molto alti, per lasciarlo solo in camera. Tu vedi di inventarti qualcosa con Alice.”
“Ci proverò.” Sorrise, stampandomi un bacio sulle labbra. “Tu, invece? Com’è andata?”
“Meglio del previsto. Ho parlato con Emmett, e… diciamo che le cose si sono sistemate, in parte.”
“Ne sono felice.”
“Chissà per quale motivo.” Sorrisi, strofinando il naso contro la sua guancia.
“Edward…”
“Che c’è?” Mormorai, abbassandomi per baciarle il collo.
Possibile che non ne avevo mai abbastanza? Anche quando eravamo in cucina, e a colazione?
Non so con quale forza, ma mise le mani sul mio petto per scansarmi.
“Su, non esagerare. Che fate voi maschietti stasera?” Ci pensai, passandomi un dito sul mento.
“Lo sai che non lo so…”
 
*
 
E di certo non potevo sapere che la strabiliante idea degli amici di mio fratello era stata quella di chiuderci in uno Strip Club, naturalmente tutto privato per noi, quella sera.
Con Jasper che abbassava gli occhi ogni tre secondi per non tradire la sua amata fidanzata e mio padre… Sì, proprio lui! Che non faceva altro che trovare scappatoie per uscire da quel locale.
“Guarda qui!” Un energumeno alto almeno quanto Emmett prese mio padre per le spalle, facendolo sedere. Al centro, nel Club. “Lui è sposato da più di venti anni!” E così indicò una ragazza mezza nuda, che si stava avvicinando lentamente. “Che Croce, eh?” Gli sussurrò all’orecchio, lasciandolo alla mercé di quella ragazza.
Stava per scappare, ma non fece in tempo. Perché lei gli si mise praticamente a cavalcioni, strusciandole le tette davanti agli occhi.
No, non potevo credere ai miei occhi.
Quello non era mio padre.
E quello vicino a me non era Jasper che se la rideva di gusto.
Straziato dopo cinque minuti di quel trattamento si alzò, scusandosi con la ragazza per poi lasciarla andare.
“Guarda che è tutto pagato, eh!” Urlò lei da dietro, fingendosi offesa.
Quando si avvicinò a noi, ci prese per il colletto della camicia.
“Ce ne torniamo a casa, SUBITO!” Sbottò, trascinandoci fuori dal locale.
“Carlisle, perché Emmett è ancora dentro?” Papà schioccò un’occhiataccia a Jasper, che si era permesso di parlare.
Ci infilò praticamente nella Jeep di Emmett, mettendo in moto alla velocità della luce.
“Papà!” Gridai, quando parcheggiò nel vialetto di casa Cullen.
“Che c’è”?
“Sei praticamente scappato!” Sbottai, alzando le mani al cielo. “Mi dici che ti è preso?”
“Secondo me era troppo preso da quella ragazza e per non tradire Esme è scappato.” Disse deciso Jasper, alzando entrambe le braccia.
Mi voltai verso Jazz, cercando di non scoppiare a ridere. Non potevo farlo.
“Provate soltanto a farne parola con qualcuno, e v’ammazzo!”
“Sai che tutto ha un prezzo, vero?” Arcuai entrambe le sopracciglia, cercando di sembrare serio.
“Cosa volete?”
“Beh, dovremo pensarci. Vero, Edward?” E menomale che Jasper non aveva neanche bevuto!
“Certo. Lasciaci il tempo di dormirci su.” Insieme scendemmo dall’auto, notando che tutte le luci nella casa erano spente.
“Sai che questa ce la farà pagare per il resto della vita, vero?” Sussurrai a Jasper, mentre entravamo nella casa.
“Certo. Ma divertirci un po’ non fa male.” Scuotendo la testa salimmo al piano superiore, dirigendoci nella nostra camera.
Cioè, quella dove io e Bella eravamo stati insieme quella sera.
“Perché mi segui?” Domandò d’un tratto Jasper, alzando le sopracciglia.
“Come?”
“Non vai dalla tua Bella?”
“Eh?” Si bloccò a metà strada, voltandosi.
“Non conosci proprio Alice, vero? Secondo te perché tutta quella sceneggiata? Per fare in modo che Carlisle cambiasse stanza anche a Bella, e ci mettesse insieme. Così tu puoi andare tranquillamente dalla tua Bella, ed Alice può venire qui.” Spiegò tranquillamente, alzando gli occhi al cielo.
“Cosa?” Ero shockato.
Alice aveva fatto tutto quel trambusto per… stare insieme a Jasper?
“Sì, all’inizio non ci credevo neanche io. Ultima camera in fondo. Ciao, ciao.” Senza aggiungere altro entrò nella sua camera, chiudendosi la porta dietro.
A chiave.
No, non potevo crederci.
Mia sorella era… era… un fottuto genio!
A grandi falcate raggiunsi la camera, trovando Bella raggomitolata sul letto, e con gli occhi chiusi.
Con un sorriso mi avvicinai, carezzandole dolcemente i capelli.
“Hey.” Si strofinò gli occhi, sbadigliando sonoramente.
“Ciao.”
“Dove siete stati?” Secondo sbadiglio.
“In un… locale. Niente male.”
Ah. Vi siete divertiti?” Nella penombra della stanza, si sedette a gambe incrociate sul letto.
“Sì. Mio padre, in particolare.” Sorrisi, ripensando a quella scena bizzarra. “Ma io ho pensato a te, ogni secondo.”
“Sì? E dovrei crederti?”
“Certo, amore mio.” Mi avvicinai, stampandole un bacio sulle labbra.
All’inizio casto, che si trasformò in meno di due minuti in un bacio più profondo.
E in sfioramenti ancora meno cauti.
“Edward!” Gemette, mentre arpionavo un seno.
“Mh?”
“Voglio… voglioOh!
“Cosa?” La sbeffeggiai, sorridendo maliziosamente.
“Voglio fare l’amore con te.” Mi bloccai all’istante, ascoltando quelle parole.
“Cosa?”
“N-non vuoi?” Sussurrò appena, allargando quegli occhi nocciola.
“Cos-s… SI’! Certo che voglio!”
“Allora, perché…”
“Sei pronta? Lo vuoi davvero? Io… io non voglio che tu lo faccia solo per sentirti in… dovere, ecco.” Si alzò su entrambi i gomiti, assottigliando gli occhi.
“Dovere? Tu pensi che sia dovere, Edward? Io ti amo. E sì, sono pronta. Sono pronta a fare un passo così importante, con te. Insieme a te. Quindi, sì. E non sarà una cosa di cui mi pentirò, puoi starne certo.” Sorrisi, avvicinandomi per baciarla.
Un bacio lento.
Un bacio che sapeva di noi, di amore.
Ed ero felice, in quel momento.
Con il nostro amore. Insieme a lei. Dentro di lei. Con lei.
Bella!” Sussurrai appena, al culmine.
“Ti amo, Edward.”
“Ti amo.” Sfiniti ci accasciammo sul letto, mentre la cinsi per la vita, facendola finire sul mio petto.
Ero in Alaska, con la mia famiglia.
Con la donna che amavo.
Ed avevo parlato con Emmett.
E… Bella aveva avuto la sua prima volta. Con me.
Con il ragazzo che amava.
E si sa, tutto finisce bene quel che finisce… bene.
 
**
 
NOTE:
Quando ho iniziato a scrivere questa storia, l’ho fatto senza troppe aspettative. Sia da parte mia, sia da parte dei lettori. Era una FF semplice, con una Bella e stravedeva per Edward, il bello e impossibile. E poi eccoli qui, insieme. Fidanzati. La storia ha lasciato sicuramente molti punti interrogativi (Emmett e Edward riusciranno a chiarirsi una volta per tutte? E Jacob invece perdonerà i suoi ex migliori amici?), ma credo che risponderò a queste domande con alcuni Extra, più l’Epilogo, che sarà postato dopo il 6 settembre. Quindi, chiedo venia se questo ultimo capitolo, o la storia in sé, ha lasciato insoddisfatti alcuni lettori. Ma era così. Niente di grande, soltanto una piccola FF con due protagonisti adolescenti.
Ora cercherò di finire Scambio Culturale e Thinking of you, poi… poi c’è un’altra FF in programma, ma ancora niente di sicuro.
Lascio i saluti e i ringraziamenti per l’Epilogo.
Grazie a tutti, davvero.

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Capitolo 18
*** Epilogo - E' tempo di essere felici ***


Epilogo – E’ tempo di essere felici.
 
Sette anni dopo…
 
BELLA’S POV
 
“A me questo piace molto.”
Alzai gli occhi al cielo, dopo l’ennesimo consiglio di Alice.
No, a me quell’abito bianco non piaceva affatto. Era… troppo.
Il velo troppo lungo, il punto vita messo troppo in evidenza a causa della pancia enorme che mi ritrovavo.
“Sono una balena, Alice!”
“Oh, ma che dici!” Si avvicinò, dandomi un lieve buffetto sulla testa. “Tu sei perfetta. E la pancia si vede a malapena!”
“Dici?” Non ne ero del tutto sicura.
Avvicinai tutte e due le mani alla mia pancia, accarezzandola lievemente.
Ero incinta di sei mesi, e quella pancia si vedeva! Ed anche bene!
Un abito bianco non andava bene. Volevo sposarmi, ma non andava bene.
Mi fasciava troppo, e no. Non andava bene.
“Bella, sarai perfetta. Per mio fratello saresti perfetta anche con un sacco dell’immondizia addosso.”
“Peccato che così sembro una balenottera spiaggiata!” Sbuffai, alzando le braccia in alto.
Maledetti ormoni.
Quello che facevo ultimamente era innervosirmi per tutto quello che riguardava il matrimonio, e poi piangere.
Piangere, fino a non avere più la forza necessaria per farlo.
E Edward ed Alice, mi ammonivano sempre per questo.
Ero pessima.
Una pessima madre, ancor prima di diventarlo.
Alice si mise dietro di me, massaggiandomi lievemente le spalle.
“Ora tu ti provi altri vestiti. Tutti quelli che vuoi, Bella. Il matrimonio sarà fra quindici giorni. E devi stare calma, capito? Sei bellissima, così. E se decidi di andare all’altare con una tuta premaman, ci andrai.” Fece una smorfia con la bocca quando pronunciò le ultime parole.
Certo, Alice non avrebbe mai immaginato che andassi all’altare con una di quelle tute enormi, e che la maggior parte delle volte erano anche orrende.
“Non andrò all’altare con una tuta premaman.” Annuncia, scendendo dal piedistallo che era al centro del salone. “Però neanche con questo vestito. Alice, mi fido di te. Sei diventata una stilista molto rinomata, in quasi tutto il mondo. E lo so che mi sto cacciando in un pasticcio, ma… Che ne pensi di disegnare tu il mio abito da sposa?” Allargò gli occhi a dismisura, diventando rossa.
“Cosa? Bella, ne sei sicura? Cioè… io non disegno abiti da sposa!” Sbottò, iniziando a camminare per il salone.
Ecco, ora iniziava ad agitarsi. E dopo di lei anch’io!
“Alice! Non ti ho chiesto che devi farlo per forza! Solo che… non ho trovato un vestito che mi piaccia, e sono convinta che tu farai un ottimo lavoro… sempre che tu lo voglia, ovviamente!” Sorrise, avvicinandosi nuovamente a me.
Questa volta si alzò in punta di piedi, per poi abbracciarmi.
“Vorresti davvero farmi da cavia, Isabella Swan?” Sussurrò nel mio orecchio, con la voce emozionata.
Le accarezzai la schiena in modo gentile.
“Certo. Tutto e di più, per la mia cognatina preferita!”
“Ottimo!” Alice si staccò repentinamente da me, prendendomi per mano e trascinandomi verso il camerino.
Con il suo aiuto riuscii a sfilarmi l’abito pieno di merletti e paillettes, infilandomi un vestito lungo e largo.
Ottimo, per il mio stato attuale.
“Quindi, su cosa posso basarmi? Cosa vuoi per il tuo abito? Perline a quantità?” Questa volta la smorfia la feci io, mentre ci dirigevamo verso casa Cullen.
“Se fai una cosa del genere, ti denuncio Alice Cullen.” Lei rise sommessamente, parcheggiando nel vialetto.
Riuscii a scendere dalla macchina senza nessun problema, anche se la pancia mi faceva piuttosto male da un po’ di giorni.
“Bella!” Sorrisi ad Esme, stampandole un bacio in guancia.
Era giovedì. E tutti i giovedì, ci riunivamo a casa Cullen, per la cena in famiglia. Ed io, ormai, facevo parte della famiglia.
“Edward?” Domandò Alice, facendo capolino nella cucina.
“Ha chiamato per dire che tarderà di qualche minuto. Ed ha chiesto di aspettarlo.” Spiegò Carlisle, salutando sia me che la sua bambina.
“Hey, Bella! Che ne pensi di queste? A me piacciono!” Esordì Rosalie, entrando anche lei in cucina con una bomboniera in mano.
Un’altra cosa che odiavo dei matrimoni, era scegliere le bomboniere.
Stavamo organizzando quella maledetta cerimonia da più di quattro mesi, ed ancora dovevo decidermi su quale prendere.
Scartai immediatamente quella che Rosalie aveva in mano.
“Giallo… canarino?” Chiesi scettica, allontanandomi da quell’orrore. “Rose, grazie per il pensiero, ma proprio non mi piace. Qualcosa di più semplice?”
“Okay, vado a dare un’occhiata.” E sempre a passo spedito, si diresse nuovamente verso l’ufficio di Carlisle.
Sì, quel povero uomo il cui ufficio era stato trasformato in una sala di prova.
“E per i fiori hai già deciso?” Mi voltai verso Esme, sorridendole amorevolmente.
“Non ancora. Pensavo a qualcosa di viola.”
“Il viola è orrendo.” Sbottò Alice, socchiudendo gli occhi.
“Ed il matrimonio è il suo.” Continuò Esme, dandole una piccola spintarella per spostarla di qualche centimetro.
“Ed il viola è orrendo.”
“Ma volete lasciare in pace mia moglie?” Questa volta il sorriso che spuntò sulle mie labbra era enorme, mentre girai la testa.
Edward, con la sua solita valigetta in mano si avvicinò per stamparmi un bacio sulle labbra.
“Ciao.” Sussurrò, staccandosi qualche secondo dopo.
“Ciao.” Mi ripresi parzialmente, continuando a sorridere come un ebete.
“Allora, come procede?” E lui ovviamente era il primo a sapere com’era il mio stato d’animo ultimamente, dovuto sia alla gravidanza che all’imminente matrimonio.
“Mmh.” Borbottai, mentre una smorfia dipingeva il mio volto.
“Non bene, direi.”
“Non riesce a trovare il vestito.” Disse Esme, poggiando la sua mano sulla mia.
“Oh, per questo non c’è problema!” Alice batté le mani euforica, facendo un piccolo saltino su sé stessa.
Tutti nella stanza si voltarono verso di me.
“L’hai trovato?” Chiese Esme, sorridendo.
“Oh, Bella! Sono felice per te!” Disse Carlisle.
“Perché diamine non me l’avete detto? Sarei venuta con voi!” Sbottò Rosalie, quasi arrabbiata.
“Qualche indizio?” Domandò invece Edward, carezzandomi una spalla.
“Non l’ha ancora trovato.” Spiegò Alice, accasciandosi sul divano. “Ma conosciamo la designer!”
“E’ un bel passo avanti, Bella! E’ famosa?” Chiese tutta eccitata Esme.
“Veramente se ti volti la vedi con i tuoi occhi.”
Tutti si voltarono, trovandosi davanti al sorriso a trentadue denti di Alice.
“Tu sei pazza.” Soffocai una risata, guardando negli occhi Carlisle.
“PAPA’!” Alice indignata si alzò, per fronteggiarlo.
“Tesoro, io amo tutto quello che crei, ma sei sicura che Bella voglia un tuo abito?”
“Perché no?”
“No… non so.” Fece finta di pensarci, quando tutti conoscevamo la risposta.
Lo stile di Alice era alquanto… vario. Colori accesi, e accessori da ogni parte. Però, avevo messo in mano a lei il giorno più bello della mia vita.
“Uff! Non vi fidate mai di me!” Sbottò lei, alquanto arrabbiata. Anche Esme le si avvicinò, accarezzandole dolcemente i capelli.
Intanto, io seduta sulla mia sedia di legno guardavo tutta la scena.
“Ne sei proprio sicura, eh?” Sussurrò Edward nel mio orecchio, facendomi ridacchiare.
“Sì. Mi fido di lei.” Spiegai, posandogli un altro bacio sulle labbra.
“Ed io mi fido di te.” Rispose, ricambiando.
 
Quindici giorni dopo…
 
Mi passai una mano fra i capelli, agitata come non mai.
Di certo, essere agitata non mi faceva bene. Né a me, né alla mia bambina.
Guardai per un istante il riflesso allo specchio, ammirandomi.
Alla fine Alice aveva fatto un lavoro perfetto. Il vestito bianco non aveva perline o paillettes, e ricadeva perfettamente sul mio corpo.
Perfetto.
“E’ tutto perfetto, dentro. Tu sei pronta?” Appunto…
Annuii, voltandomi verso Rose.
“Sì… credo di sì.” Balbettai, incerta.
Cautamente si avvicinò, posandomi tutte e due le mani sulle mie spalle.
“Bella, è normale.” Iniziò, sorridendomi amorevolmente. “Mi sono sposata anch’io, ed è normale avere una fifa pazzesca. Ti chiedi se quello che ti sta aspettando qui fuori sia davvero l’uomo della tua vita, quando sai perfettamente che è lui. E tu hai una cosa che io non ho avuto Bella. L’amore della tua famiglia, e quello della famiglia Cullen.” Finì, con gli occhi lucidi.
Non potevo biasimarla.
Il suo matrimonio si era svolto in una piccola Chiesa in Alaska, con pochi amici e la madre di Rosalie.
Niente di più. Neanche i parenti di Emmett.
L’abbracciai di slancio, intralciata dalla mia pancia sempre più enorme.
“Grazia, Rose.”
“Oh, tesoro! Non piangere ora, va bene?”
“Certo.” L’assicurai, con la voce roca.
Ero pronta.
Potevo affrontare tutto quello.
Certo, che potevo farlo.
“Charlie ti sta aspettando all’entrata.” Annunciò, dileguandosi dopo due minuti.
Buttai un’altra occhiata allo specchio, uscendo dal camerino formato da un gazebo malfatto con un tavolo ed una sedia di plastica dentro.
Mio padre era proprio là fuori, che si sistemava la cravatta nervosamente.
“Hey.” Si voltò di scatto, guardandomi dalla testa ai piedi.
“Sei bellissima, Bells.”
“Non esagerare.” Lo spintonai, diventando rossa come non mai.
“Pronta?”
In risposta strinsi il suo braccio, stropicciandogli la giacca sul polso.
Tu… cerca di non farmi cadere, va bene?”
“Stai tranquilla, Bells.”
Sospirando Charlie tirò l’enorme porta di vetro, lasciandomi totalmente basita da quello che trovai davanti ai miei occhi.
Avevo dato ordini precisi ad Alice e Rosalie, su come volevo il mio matrimonio. E ci avevo pensato proprio due giorni prima.
Entrai, guardando le sedie di legno poste alla mia destra e sinistra, dove c’erano gli invitati.
Tantissimi, invitati.
Poi, proprio vicino a quel piccolo altare creato lì per lì, c’erano due sgabelli alti da un lato, ed altri e due dall’altro.
Due a destra, per Esme e Carlisle.
Due a sinistra, per papà e Sue.
E poi, guardai proprio dinnanzi a me.
Edward era perfetto.
Nel suo smoking nero, con il sorriso a trentadue denti che aveva stampato sul viso.
Solo per me.
Deglutii, stringendo ancora di più la giaccia di papà.
E poi, tutti i miei dubbi andarono a farsi benedire.
Dentro di me c’era nostra figlia.
Ero circondata dal legno, e da un bancone con sopra bicchieri di vetro.
Mi stavo per sposare, nel nostro Pub.
E davanti a me, c’era proprio lui.
Il ragazzo del Pub.
 
**
 
NOTE:
E’ davvero finita? Sì.
‘Il ragazzo del Pub’ è finita. Sembra ieri, che scrivevo il primo capitolo di questa FF. Ed eccoci qui, giunti alla fine.
A me questo finale piace, stranamente.
Volevo dirvi che ho pubblicato una piccola One shot, che trovate QUI.
Poi, per la storia degli EXTRA: io vorrei scriverli, ma non ho proprio idee. Metto la storia come CONCLUSA, ma se volete leggere delle scene in particolare, basta che me lo dite. Io valuto, e se mi stanno bene inizio a scrivere e poi postare.
Non so davvero cos’altro dire… se non un GRAZIE immenso. A tutti voi. Dal primo all’ultimo, davvero.
Quindi, ci sentiremo nelle mie altre storie, vero?
Lo spero ;)
Un abbraccio immenso. :**
Tatiana.  

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