E Teddy guarda le stelle

di ethelincabbages
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gentile ***
Capitolo 2: *** Brillante ***
Capitolo 3: *** Malandrino ***



Capitolo 1
*** Gentile ***


E Teddy guarda le stelle

I. Gentile

Silenzio. Finalmente. Forse i suoi cuccioletti sono riusciti ad addormentarsi. Strano. È ancora troppo strano sentire calma tra quelle mura. Anche di notte, è sempre stata abituata a tollerare il ronzio dell’inquilino del piano di sopra e poi gli strilli dei bambini, uno alla volta, o tutti insieme; più recentemente i rumori sommessi delle chiacchiere di Ginny e Hermione, delle risate di Harry e Ron, o gli scoppiettii dalla stanza dei gemelli. Non c’è stata più nessuna esplosione da otto anni. 
I passettini delicati di Victoire e Molly sono troppo silenziosi per reggere il confronto con i loro predecessori. In compenso Freddy, quando non è troppo stanco, rende onore al nome che porta e, non poteva essere altrimenti.
Sono chiusi nelle vecchie camere dei loro genitori. Victoire con Molly Jr., e Fred con Teddy, il piccolo Lupin, il suo nipotino adottivo. Un lupacchiotto con gli occhi grandi e l’abitudine di terrorizzarti con le sue trasformazioni improvvise. Metamorfomagus e imbranato come la mamma, dolce e riservato come il papà. Otto anni. Anche lui.
Molly lascia finalmente la cucina, ora perfettamente in ordine. Sbircia in salotto: Arthur dorme sulla poltrona. Non perderà mai il vizio. Con una delicatezza vecchia trent’anni, lo sveglia e lo spedisce a letto. Lei andrà a dare un’ultima occhiata ai bambini.
Le due bimbe sono accoccolate insieme nello stesso lettino, coperte dal piumone gigante, Molly intravede la testolina bionda di Vic e i riccioli scuri di Molly Jr. Il letto della più piccola è disfatto, ma evidentemente trova più comodo o più sicuro quello della cuginetta.
Dalla camera dei maschietti s’intravede una piccola luce: Fred è spaparanzato su tutta la lunghezza di letto che riesce a occupare con i suoi cento centimetri, un piedino, calzato da un orsacchiotto, spunta da sotto le coperte. La luce proviene dal letto di Teddy. Ha acceso una di quelle orribili lampade arancioni dei Cannoni di Chudley di Ron che, non si sa perché, sono finite nella vecchia camera dei gemelli. Sta leggendo.
“Teddy, cosa fai sveglio a quest’ora?” domanda. Col tempo le sue inflessioni da severa e chiassosa mamma Weasley sono state sostituite da toni più rilassati e dolci da nonna Weasley. E Ted Lupin è sempre così riservato e silenzioso che sgridarlo perché non dorme le sembra l’ultima cosa da fare. Per certi versi, è così simile a Harry.
Ted alza i suoi grandi occhi verso di lei. Molly li vede stranamente scuri. Forse per la poca luce o forse perché il bambino è entrato in una delle sue trasformazioni involontarie: blu notte. “Zia Molly,” inizia preoccupato “mio papà era un lupo.”

“Remus Lupin! Cosa credi di fare?” La scrollata di acqua e fango dalle spalle e dalle scarpe dell’uomo si era abbattuta inesorabilmente sul pavimento lucidato a nuovo dell’ingresso a Grimmauld Place. Per quanto Molly considerasse quel posto lontanissimo dal suo concetto di casa, ci aveva lanciato su troppe pozioni disinfettanti, disincrostanti e ultraefficaci perché il primo arrivato potesse distruggere il tutto impunito.
“Oh, Molly! Fuori c’è il diluvio universale. Mi spiace.” Sincera sollecitudine e un’onesta occhiata di scuse. Ecco tutto quello che serviva a Remus Lupin per farsi perdonare qualsiasi vilipendio alla sacra bandiera della pulizia.
Era stanco. Spalle basse, sorriso increspato da un’altra notte in bianco, occhi rossi. La luna piena aveva compiuto il suo molesto dovere anche questa volta. “Vieni in cucina, su. Ti preparo una cioccolata calda.”

Molly si siede sul letto, ai piedi del bimbo. Ted non le ha fatto una domanda. Nonna Andromeda gli avrà raccontato mille volte del suo forte papà lupo. “Direi di sì. Era un lupo. Una volta al mese.”
“Un lupo come tutti gli altri lupi?” Ted stringe ancora il suo libricino in mano, è una raccolta di favole Babbane.

Andare. Doveva andare da lui. Stringergli il cuore. Fare in modo che tornasse. Fare in modo che resistesse. Non era vero, non era sensato, non era possibile. Non c’era alcuna logica in questo. Non era questo che doveva accadere. Non poteva essere accaduto. Non davvero. Era uno scherzo. Un altro suo stupido scherzo, appositamente ideato da lui e da quell’altro pazzo del fratello per farle perdere i battiti cardiaci e altri vent’anni d’età. Doveva essere solo uno scherzo.
“Molly, Molly! Guardami. Molly!” Chi era? Chi la cercava? Oh, Fred! Aveva perso il suo Fred. “Molly, per favore” Remus? Remus che duellava con uno di quelli là, un Marchiato, e nel frattempo cercava di richiamare la sua attenzione. Anche Molly stava combattendo. Prima. E poi il muro era esploso.
“Vieni, andiamo da lui.”
E si assicurò che Molly arrivasse da lui. A costo di combattere da solo contro tutti i Mangiamorte. Condusse la madre dal proprio figlio.

“No, non era uno come gli altri. Non era per niente come gli altri” Ted abbassa gli occhi. Questo è quello che nonna Andromeda gli dice sempre, ma i lupi delle favole raccontano un’altra storia. I lupi sono cattivi. E il suo papà lui non lo ha mai visto. E un papà che non c’è mai stato, come fai a sapere se era cattivo o no?
Molly percepì l’incertezza nei modi di Teddy e continuò. “Tuo padre era coraggioso. Un vero cavaliere, Teddy. Era gentile.”

Eccolo. In una nicchia, nascosto. Protetto. Sorrideva. Uno stupido scherzo. Molly lo sapeva che era solo uno stupido scherzo.
Eppure non si muoveva. Fred non si muoveva più.
Maledizioni. Luci verdi, rosse, azzurre, arrivavano dal parco. Mangiamorte combattevano contro Hogwartiani. Percy, Arthur, Tonks, Kinsgley. La sua famiglia, i suoi amici, fuori in quella bolgia a cercare vendetta, a bramare giustizia. E Remus Lupin le teneva una mano sulla spalla. “Sta bene lui. Vedi. Sorride.” E per un attimo, in tutto il suo dolore, Molly non poté non pensare a quanto fosse gentile quel ragazzo travestito da uomo adulto. Si era occupato di lei, in quella corsa infernale, nonostante avesse i pensieri completamente rivolti a quella testa rosa chewing-gum che combatteva in qualche parte del castello.
‘Corri da lei.’ Le parole che stava per pronunciare le morirono in gola.
“Avada Kedavra!” Il mezzo sorriso di lui si bloccò sul nascere. La luce verde lo aveva colpito in piena schiena. E adesso il suo corpo rovinava a terra, insensibile. Immobile. Come Fred. Senza addii. Neppure il tempo d’una preghiera.
“Non si colpisce un uomo di spalle!” urlò. E lanciò la medesima maledizione senza perdono contro quel vigliacco che non aveva avuto neppure la decenza di scoprirsi il volto. Per Remus. Per Fred.

“Sai Teddy, dovresti essere orgoglioso di aver avuto un papà così.”
Ted è un bimbo intelligente. Annuisce. “È solo che… mi manca. Mi mancano” ammette, a mezza voce, con i denti a stringere sul labbro e le lacrime pericolosamente pronte a scendere. L’aria triste di chi è destinato a scontare una condanna che non si è meritato. Proprio come Remus.
“Sì. Mancano anche a me.” Molly abbraccia il bimbo, proprio come avrebbe abbracciato suo figlio; proprio come l’avrebbe abbracciato la sua mamma. Ma mai davvero come suo figlio, mai davvero come la sua mamma.
Per Fred.Per Ninfadora.
Per Remus. 

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Capitolo 2
*** Brillante ***


E Teddy guarda le stelle

II. Brillante

Trientalis Europeae. Un fiorellino dai petali bianchi a forma di stella. Stella artica. Bianco. Piccolo. Fragile.
Hermione lo tiene delicatamente tra il pollice e l’indice destro. Lo fissa. Bianco. Piccolo. Fragile.
“Mi ha fatto pensare a te… a lei” le mormora, confondendosi sui pronomi personali, colorandosi, dalle dita dei piedi fino alle punte dei capelli, di una strana e ancora sconosciuta sfumatura di rosso.
Hermione sorride e arrossisce. Arrossire come una bimba alla prima cotta, perché uno studente le ha regalato un fiore, non è una cosa che la professoressa Granger dovrebbe permettersi. Ma le tenere attenzioni di Teddy Lupin le riportano alla mente altre attenzioni, ugualmente ingenue, ugualmente oneste, ugualmente pure.
Una dolceamara forma di contrappasso.

Hermione sbuffò contrariata. Un’ombra rilassata riposava sulle radici della suaquercia. Già, la sua quercia. Quella dove passava tutti i pomeriggi quando il sole glielo permetteva – si sedeva, lì nei pressi del lago, con i compiti da svolgere nel grembo, e fingeva di dimenticare il fatto che i suoi due migliori amici non le rivolgessero la parola. Era la sua quercia e qualcuno gliel’aveva rubata.
Fece per andarsene ma riconobbe la sagoma: giaceva supino, braccia sotto la nuca, occhi semichiusi e frangia spettinata. Il professor Lupin sembrava voler godere appieno di quegli spicchi di sole che il febbraio scozzese era disposto a concedere loro. Hermione si fermò a osservarlo.
Sembrava sereno. Quella patina di tristezza che accompagnava il suo sguardo ogniqualvolta si posava sul mondo era annullata da un sorriso dolce. Era quasi bello quando sorrideva. I raggi di sole che gli accarezzavano il volto rendevano più evidenti le cicatrici che lo segnavano. Hermione si trovò di nuovo diretta verso un corso di pensieri pericolosi: lupo mannaro. Ma non si soffermò molto sulla verità che la vecchia ricerca per Piton le aveva rivelato, perché il sorriso, prima appena accennato, si allargò sul viso del professor Lupin e le parole che le rivolse la sorpresero ad arrossire.
“Hermione, vieni.” Si mise seduto, e la invitò ad avvicinarsi. “Ti ho rubato l’angolo preferito, non è così?” Come fare a dire una bugia a quegli occhi?
“Ehm, sì signore. Cioè no. Ecco, è un posto appartato, e nessuno mi disturba quando voglio studiare fuori dalla biblioteca. E oggi c’è il sole.” Da dove venivano fuori queste brillanti trovate? Le sembrava di aver rubato le battute a Ron tant’erano sciocche le frasi che stava sputando a raffica. “Non volevo disturbarla, signore.” Avrebbe potuto girare i tacchi in quel momento ma non le andava.
“Anch’io passavo molte ore di studio qui. Quando me lo lasciavano fare…” sorrise malinconico. Distante. Perso in qualche ricordo antico. “Ma adesso è il vostro turno…” si rivolse di nuovo alla ragazza.
“Potremmo dividercela per un po’.” Hermione sparò la sua proposta con gli occhi sbarrati dalla vergogna. Il collo e il viso si accesero di una particolare tonalità vermiglia.
 “D’accordo.”

E adesso, quando cerca riparo sotto la sua quercia trova un bambino con due grandi occhi color miele e un fiorellino tra le dita. Bianco. Piccolo. Fragile.
Si siede accanto a lui.
“Sai a chi altri piaceva questo posto, Ted?”
“A mio padre” risponde tranquillo. Le porge un vecchio quaderno d’appunti che si porta sempre dietro. Sul foglio è riprodotto un perfetto chiaroscuro della vista che quella posizione offre: le fronde scure della foresta da una parte e le cime delle montagne dall’altra incorniciano il lago, nero e placido, in primo piano. Una sola cosa differisce, nel disegno due ali spalancate d’ippogrifo sorvolano l’acqua. Hermione non ha mai visto nulla di più perfetto, se si eccettua la visuale originale.
R.J.L. in basso, a destra, determinano la paternità del disegno e del quaderno di appunti. R.J.L. era davvero una delle persone più intelligenti e piene di doti che avesse mai conosciuto.
“Ted. Tuo padre è stato uno dei migliori professori che questa scuola abbia mai visto. Una delle migliori persone.”
“Meglio di Harry?”
“Oh! Migliaia di volte meglio di Harry.”
“Meglio di te?”
“Ovviamente.”
“Nah, impossibile!”

“Ehi, hai trovato Lupin?” domandò Ron, non appena Harry entrò dal ritratto della Signora Grassa, interrompendo la partita a scacchi che stava vincendo contro Hermione.
Harry annuì in silenzio, mentre prendeva posto di fronte ai suoi due migliori amici. “È andato.”
Ron rispose con un sorriso dispiaciuto. Hermione sentì vagamente un pizzicore dalle parti degli occhi. Lupin era stato il miglior professore di Difesa che avessero mai avuto. Oltre ad essere gentile, e colto, e giusto, e brillante.
“Mi ha lasciato questa.” Affidò la pergamena della Mappa del Malandrino, gialla e vuota di sberleffi e direzioni, nelle mani di Ron. “Ah, e mi ha dato questa per te” si ricordò improvvisamente, rivolto a Hermione.
Una lettera. Sigillata. Per Hermione. Il ritratto di una ragazza dai capelli cespugliosi che studia - penna tra le labbra, sguardo rivolto ai fogli sulle sue gambe - all’ombra di una quercia. Un ritratto. Privato. Di Hermione.
Firmato R.J.L.

Hermione continua a fissare il suo fiorellino tra le dita e il tredicenne di fronte a lei. Un’idea le balugina in testa. Fa un balzo in piedi e porge una mano al ragazzo. “Vieni, Ted.” Lo invita.
Teddy sorride. In qualche modo, sa già dove Hermione – la professoressa Granger – vuol portarlo.

“La guerra è finita.” Chi lo ha detto? Perché lo ha detto? Finita. Sì, distruggendo tutto.Corpi uno accanto all’altro. Corpi morti. Ma la guerra era davvero finita. Ron, al suo fianco, l’abbracciava e sosteneva. O era lei a sostenere lui? Era svuotato. Tutti i Weasley sembravano svuotati. E anche lei si sentiva un po’ più vuota.
Lo sguardo corse di nuovo a quei due corpi che si era rifiutata di osservare, ma che non riusciva ad evitare – Remus e Dora; oh, no, Remus e Tonks. Qualcuno aveva avuto l’accortezza di metterli vicini. Vicini. Insieme.
Remus. Il suo professore. Era morto.
Quando, tempo dopo, riaprì quel vecchio ritratto, dono del suoprofessore, nel tentativo di ricordare la parte bella e buona di quella vita, le sembrò di scorgere diverse macchie sulle guancie della bambina studiosa: lacrime.

Marmo bianco. Anche qui, come Silente, come James e Lily Potter. Bianco. Né piccolo. Né fragile. Marmo. Freddo. Bianco contro il verde dell’erba, tagliata di fresco, ai loro piedi. Bianco contro il rosso del sangue sputato e versato quella notte. Ted e Hermione hanno gli occhi fissi sulle lapidi.
“Ti dispiace?” domanda lei, mentre fa cenno di voler posare il fiorellino sotto i nomi di suo padre e sua madre. Ted scuote la testa, un mezzo sorriso - un po’ triste, un po’ felice – gli colora il viso. È davvero bello quando sorride.
Hermione lo scruta. È attento, riflessivo, concentrato sulla tomba che conserva i resti dei suoi genitori. Sembra quasi stia cercando di parlare con loro, solo attraverso i suoi occhi. Ci mette un po’ prima di tornare a rivolgere la sua attenzione verso di lei. Ma questa volta il sorriso è intero, vero, forte. Brillante.
Si dirigono insieme di nuovo verso il castello; dal piccolo cimitero sul lago si sentono ancora le loro voci allegre e le loro risa.
Ninfadora Tonks e Remus Lupin sono felici. La stella artica brilla sui loro nomi. 

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Capitolo 3
*** Malandrino ***


E Teddy guarda le stelle

III. Malandrino

Percy non ha mai saputo tenere un discorso decente. Non è mai riuscito ad ottenere l’attenzione di nessuno sui suoi amati calderoni, non lo farà neppure adesso che cerca di commemorare i Caduti delle Guerre Magiche. Lo sa anche lui che è solo vana retorica.
Harry lascia scorrere lo sguardo avanti e indietro, tra la gente che gli sta accanto nella prima fila e il Ministro della Magia affaccendato nel suo discorso noioso; tra il Lago Nero accanto a loro, la calma mattina primaverile e le immobili bare bianche dall’altra parte.
Un sacco di gente è accorsa a Hogwarts per l’Anniversario – volti vecchi, nuovi, annoiati, stanchi, tristi, curiosi, divertiti, straniti, compiaciuti. Tanti. Sono i volti di chi ha perso qualcuno quella fatidica notte o quelli di studenti costretti ad ascoltare sempre la solita storia. Forse, a furia di sentirsela ripetere la capiranno prima o poi. Teddy, tra tutti, sembra il più attento, ma Harry sa dove è rivolto il suo sguardo.
Il prurito sulla nuca sembra quasi invitarlo a scappare via. Diciassette anni di questa vecchia musica, e ancora non è abituato. Odia le commemorazioni, odia il due maggio e sempre lo odierà.
Cerca di nascondere uno sbuffo d’impazienza. Sente la mano di Hermione sulla propria. Incrocia lo sguardo dell’amica: “Tieni duro” mima lei con le labbra. Teddy, a due passi da loro, trattiene una risata – ha assistito allo scambio.  Harry sorride con lui, quel ragazzo ha il dono di restituirti il sorriso in pochi secondi; basta poco perché i suoi occhi sorridenti ritornino a scintillare sul suo viso.

Neppure nel mondo magico era normale venire minacciati dall’antico pendolo del nonno ma a Grimmauld Place persino gli orologi potevano essere ostili. La dimora dell’antica e nobilissima casata dei Black amava ribellarsi contro la loropresenza.
“Se continui a sbatacchiarlo non risolveremo nulla!” Remus e Sirius, col sostegno muto di Harry e Ron e quello un po’ più attivo dei gemelli, stavano cercando di riparare la vecchia pendola maleducata. Sirius era convinto che riempirla di calci potesse risolvere il loro increscioso problemino – peccato che l’orologio non fosse affatto d’accordo e continuasse a lanciare quelle maledette freccette contro chicchessia.
Quando un colpo più assestato e duro di Sirius colpì gli arrugginiti ingranaggi al loro cuore e una freccia sfiorò l’occhio destro dell’altro Malandrino, Remus si lasciò andare a un’imprecazione. “Sir, stai attento, perdindirindina!”
Il suo vecchio compagno di scuola gli lanciò un’occhiata perplessa: “E che razza di lingua è ‘perdindirindina’?”
Harry non aveva mai sentito Remus ridere così forte. Era strano. Era bello. Era diverso. Sembrava che finalmente avesse trovato il suo posto. Aveva gli occhi che scintillavano.

Il sole sta tramontando sulle bare di Hogwarts. La cerimonia è conclusa, le sedie sono state fatte scomparire. Sono rimasti il Lago Nero e le tombe bianche. È rimasto Harry a contemplarle, e una testa blu dietro di lui.
“Non migliora col passare del tempo, vero?” No, Ted. Non cambia mai. Si può imparare a dividere la vita con questo compagno silente – il dolore –, si può imparare a sorridere di tutte le cose belle che si riesce a raccogliere, si può imparare a smettere di chiedersi come sarebbe stato, si impara a non domandare troppo al destino, ma non passa. Non passa mai del tutto.
Harry evita di rispondere. Evita di dare voce ai suoi pensieri. Si volta verso il ragazzo. “Ti va di vedere una cosa, Ted?”
“Dovrei tornare al castello, professor Potter” sottolinea l’appellativo, come è solito fare quando vuol provocare il suo padrino.
“Come se questo ti avesse mai fermato” borbotta scherzosamente Harry.
Ted si limita a scrollare le spalle e a indicare un punto indecifrato dietro Harry. “Non è colpa mia” si giustifica. “È che sono figlio di Malandrino.”

Era l’alba a Hogwarts, era l’alba della vittoria. Ma i sogni di Harry erano troppo infestati da ricordi – remoti e recenti – perché riuscisse a riposare degnamente.
Ramoso, Felpato, Codaliscia e Lunastorta. Lesse, ancora e ancora, quei quattro nomi sull’ingiallito foglio di pergamena. Di quei quattro nomi, non restava nient’altro. Quattro nomi su un foglio di carta giallognola. Quattro nomi senza senso – non più amici, non più compagni, non più famiglia. Neppure il nome del traditore aveva ormai valore. Perché non era rimasto niente.
L’ultimo Malandrino si era spento brutalmente, coraggiosamente, rapidamente; come Sirius, come suo padre: combattendo per difendere il futuro di suo figlio.
Harry pensò al piccolo Ted. Ora quella testa colorata non aveva altri che lui. Ne fece un punto d’onore, in quel preciso momento: ogni giorno gli avrebbe ricordato le parole del padre.
“Stavo lottando per un mondo in cui lui possa vivere una vita più felice”.*

Ted osserva le pareti macchiate e piene di crepe, la scarna mobilia fatiscente e, nella maggior parte dei casi, rovesciata. Tutto gli pare piuttosto immobile. La polvere regna sovrana, ma nulla – nulla – si muove.
“Siamo alla Stamberga Strillante? Non c’ero mai entrato” ammette candidamente.
“Che razza di Malandrino sei?” Harry gli lancia un’occhiata dubbiosa e divertita. Ted fa spallucce. Non gli è mai piaciuto questo posto; c’è troppo – troppo – da imparare a capire e ricordare nella Stamberga Strillante.
Harry sembra cercare qualcosa. Poi i suoi occhi si fermano sullo scrittoio all’angolo che conserva, stranamente, la sua posizione naturale. Sembra quasi nuovo, rispetto al letto, alla porta, alle finestre o al resto della casa. “Questa è una mia aggiunta” spiega Harry. “Ho lasciato…” Non finisce, si sta impegnando ad aprire il cassetto, che si è incastrato su qualcosa. “Vengo spesso qui quando … be’, quando serve.”
Ted vorrebbe chiedergli per quale assurdo motivo dovrebbe ammazzare il tempo in un posto come quello o perché perlomeno non ha restituito un po’ di dignità alle stanze, ma Harry gli mette una foto tra le mani: quattro studenti di Hogwarts che ridono tenendosi a braccetto* – Ramoso, Felpato, Codaliscia e Lunastorta.
“Sai, Percy parla sempre tanto a vanvera, ma oggi ha detto una cosa decente – il modo migliore per ricordare qualcuno è ricordarlo nei suoi momenti felici.” Qui, tra queste quattro mura decrepite, Remus Lupin conobbe l’amicizia. Qui, era vivo, era libero di essere anche quello che non avrebbe voluto. Qui, e oltre quella finestra, passò tante tra le notti più felici della sua esistenza.
Harry ne è certo: se Teddy riesce a guardare oltre la coltre di polvere, lo sentirà anche lui.
“E poi …” si avvicina alla finestra, spalancandola. “Si vedono un sacco di stelle da qui.”
Ted si affaccia e punta il naso in alto. Scorpione e Centauro sono immobili al loro posto. A sud, poco appariscente, risplende una piccola parte di costellazione – la sua preferita. Il Lupo.

 


*Da Harry Potter e I Doni della Morte

NdA: Il mio piccolo "Teddy" ha partecipato al "La mia Perla Edita - Contest", indetto da .Pad. sul forum di EFP, classificandosi prima parimerito http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9824789&p=14 *___*

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