noi tre fratelli ci incontreremo ancora di sihu (/viewuser.php?uid=41975)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Tre uomini, soli e distrutti ***
Capitolo 3: *** Cause e conseguenze ***
Capitolo 4: *** Incontri e pazzie ***
Capitolo 5: *** Partenze ***
Capitolo 6: *** Il viaggio riprende ***
Capitolo 7: *** Sbarco a Logue Town ***
Capitolo 8: *** Anniversari e ricordi: chiudere con il passato ***
Capitolo 9: *** altri incontri ***
Capitolo 1 *** prologo ***
questo
capitolo è dedicato a tutti coloro che hanno recensito
l'ultimo capitolo di Inseguendosi lungo i sentieri del destino. se ho
scritto questa storia, l'ho fatto per voi!
grazie
per tutto quello che avete fatto per me!
..Prologo..
- Ace,
Sabo e Rufy -
La
loro non era mai stata una vita facile, mai.
Fin da quando erano venuti al mondo avevano dovuto fare i conti con la
crudeltà delle persone, sperimentando fin da subito
l’isolamento e l’abbandono. Per gli altri non erano
altro che rifiuti della società, i figli del demonio.
Trovare un motivo per tirare avanti ogni santo giorno, magari
sorridendo, non per niente facile. A volte neppure per un tipo
vulcanico come Rufy.
Era lui il vero fulcro del trio. Nei momenti peggiori ai due fratelli
più grandi bastava guardarlo ridere, ingenuo come quando era
bambino, per trovare il coraggio di continuare a sfidare il mondo.
Tutto sommato si era sempre trattato di uno scambio piuttosto equo: i
due fratelli più grandi insegnavano al piccolo a vivere, lui
li faceva ridere e li metteva di buon umore.
Ora però, ogni cosa è andata persa; il trio
è distrutto.
Tre uomini sull’orlo del baratro incontrano tre donne
destinate ad influenzare le loro vite, sia nel bene che nel male.
Riusciranno i tre fratelli a tenere fede alla promessa?
***
Sabo
continuava a correva senza preoccuparsi di quello che aveva intorno, ne
dei nemici che avanzavano verso di lui. Sembrava non vedere altro che
il campo di battaglia dove uomini pesce, sirene ed umani se le davano
di santa ragione. Kaja era rimasta indietro a curare i feriti, al
sicuro. Una battaglia del genere non era decisamente il posto ideale
per lei. Man mano che avanzava, Sabo sentiva il suo cuore farsi sempre
più pesante.
Era il suo fratellino l’uomo che combatteva in mezzo alla
piazza, circondato da quelli che dovevano per forza essere i suoi
compagni. La loro era chiaramente una battaglia disperata, con scarse
se non nulle probabilità di successo.
Il rivoluzionario poteva vedere chiaramente i muscoli di Rufy tendersi
per colpire i marine e gli alti nemici che lo circondavano nella
speranza di tenerli lontani dai compagni. Alle sue spalle tutti
combattevano, decisi a non lasciare solo il capitano. Persino le
ragazze della ciurma. Il bel viso del suo fratellino, di
solito spensierato, era serio e concentrato come raramente lo aveva
visto prima di quel giorno.
Non era più il bambino con cui era cresciuti e di cui si era
sempre preso cura, ma un uomo.
D’improvviso un boato riempì l’aria.
Poco più in là una grossa esplosione aveva scosso
lo spiazzo dove si stava combattendo. Un grosso sole, enorme, caldo ed
innaturale, splendeva sopra di loro. I nemici arretravano alla sua
vista, impressionati. Solo Sabo e Rufy non riuscivano a staccare lo
sguardo, come incantati.
Il ragazzo di gomma sentì gli occhi diventare lucidi ed i
pugni stringersi mentre cercava di cacciare indietro le lacrime. Non
poteva certo piangere, non sotto lo sguardo di così tante
persone.
Loro non avrebbero capito, nessuno poteva.
Sabo sorrise, senza smettere neppure per un attimo di correre. Anche
Ace era lì.
- Noi
tre fratelli ci incontreremo ancora.. -
ANGOLO
DELL'AUTRICE
come promesso ed anticipato torno a scrivere di One Piece, con la
famosa storia sui tre fratelli..
questo è solo un assaggino di quello che vi aspetta, ma vi
assicuro (o almeno credo) che ci saranno un sacco di colpi scena. se
avete amato Inseguendosi
lungo i sentieri del destino, non perdetevi questa che a
mio parere è venuta persino meglio.
qualche nota: potrebbero esserci spoiler (sicuramente sarà
così) e gran parte della storia sarà incentrata
su ipotesi mie circa il proseguimento di One Piece in contrasto con la
storia originale. se parti della mia storia vi risulteranno oscure, non
esistate a chiedere spiegazioni.
ringrazio anche tutti coloro che hanno recensito il capitolo finale di Inseguendosi lungo i sentieri
del destino. purtroppo per motivi di lavoro e di tempo non
sono riuscita a ringraziarvi uno per uno, ma sappiate che i vostri
commenti mi hanno fatto un sacco piacere e mi hanno spinta a scrivere
questa storia.
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Capitolo 2 *** Tre uomini, soli e distrutti ***
CAPITOLO
1
TRE
UOMINI, SOLI E DISTRUTTI
-
Noi tre fratelli ci incontreremo ancora.. -
Rufy
si svegliò di soprassalto, sudato e con il fiato corto.
Nella
mente aveva ancora bene impresse le parole del suo sogno, le stesse
che aveva sentito pronunciare da suo fratello tanti anni prima, anche
se mai come in quel momento gli erano suonate tanto stupide.
Era
solo, nonostante tutte le promesse fatte.
Era
ferito, non solo nel fisico.
Gli
ultimi eventi gli avevano mostrato chiaramente tutte le sue debolezze
e come il suo sogno fosse più che mai lontano. Se non fosse
stato per Jimbei, Iva, Mr 2, Ace e persino per gente che non aveva
mai visto prima, probabilmente sarebbe morto. Anzi, sicuramente
sarebbe andata così. Del resto, quante
possibilità
poteva avere un moscerino come lui, solo e senza nessuno dei suoi
compagni, contro la Marina ed il Governo Mondiale?
Il
ragazzo di gomma non aveva più la forza nè la
voglia di
combattere perché si sentiva un fallito. Nulla era andato
come
lui si era immaginato o quanto meno come aveva sperato. Sentiva di
avere sbagliato ogni cosa, a partire da Sabo ed Ace fino ad arrivare
alla sua ciurma. Niente fratelli, niente compagni; dove si trovava
ora tutta la sua famiglia?
Nel
cercare disperatamente di proteggere chi più amava aveva
fallito e li aveva persi tutti quanti, nessuno escluso. Riprendere la
vecchia strada per Rufy sembrava un'impresa decisamente al di sopra
delle sue possibilità, almeno allo stato attuale delle cose.
Era assurdo pretendere che i suoi amici avessero ancora fiducia in
lui, nelle sue abilità e nella sua forza; non dopo quello
che
era successo sull’arcipelago Sabaody. Il Ragazzo di Gomma
ricordava
bene l’espressione spaventata di Nami, così come
quella di
Robin che chiedeva disperatamente aiuto tendendo la mano verso di
lui. Li aveva persi tutti, senza riuscire a fare nulla per salvare
loro la vita. Come poteva farsi chiamare ancora capitano, dopo tutto
il dolore che aveva causato loro?
Un
ruggito destò l’attenzione del ragazzo,
ricordandogli dove
si trovava. Rufy si guardò intorno ed il suo sguardo di
perse
tra alberi secolari che sicuramente stavano nascondendo pericolosi
mostri che non aspettavano altro se non lui come cena. I soli
compagni con i quali ormai passava le sue giornate quando Ray lo
lasciava solo ad allenarsi.
Erano
passati solamente pochi mesi da quando l’allenamento era
iniziato,
da quando ogni sua speranza ed ogni suo sogno era svanito, eppure i
miglioramenti erano stati enormi. Ogni giorno il vecchio pirata si
complimentava con lui, ma Rufy alzava le spalle e si limitava a dire
che non era ancora abbastanza. Non era mai abbastanza per lui,
persino quando intorno a lui vi erano solamente i corpi inermi dei
mostri che aveva abbattuto e la desolazione del campo di battaglia.
Il
ragazzo sospirò. Combattere era la sola cosa che lo aiutava
a
non pensare ai suoi fallimenti. Tutto il resto veniva dopo, persino
il cibo.
I
suoi compagni avrebbero fatto fatica a riconoscerlo ora.
Probabilmente guardando quel ragazzino nervoso, silenzioso e
solitario si sarebbero chiesti che fine aveva fatto il vero Rufy.
Quello casinista, sorridente e sempre alla disperata ricerca di cibo.
Il
ragazzo sospirò e lanciò una pietra che
andò ad
infrangersi contro un tronco nel bel mezzo della foresta. Avrebbe
dovuto darsi da fare se voleva vivere, non continuare a rimuginare
sul passato. Un fruscio tra gli alberi ricordò nuovamente a
Rufy che non era solo. Cappello di Paglia di riscosse dai suoi
pensieri, ricordandogli anche che non metteva nulla sotto i denti da
quella mattina. Era difficile stabilire che ora fosse, ma sicuramente
l’ora di mangiare doveva essere passata da un bel pezzo.
Si
allontanò cauto, cercando di fare meno rumore possibile per
non disturbare nessuna delle inquietanti creature con le quali
divideva l‘isola, mentre due occhi color oro lo fissavano
nascosti
tra le foglie.
Quando
Rufy fu abbastanza lontano, Keira decise di uscire allo scoperto,
certa che il moccioso sarebbe tornato ad allenarsi qualche ora
più
tardi. Si stiracchiò come una gatta, allungando le braccia
sinuose verso l’alto. Ormai le abitudini del ragazzo non
erano
certo più un mistero per lei. Ancora una volta aveva avuto
la
prova della prevedibilità degli esseri umani e del loro
sentirsi insignificanti davanti al corso degli eventi.
Per
lei il ragazzo non era altro che un invasore che aveva usurpato la
sua bella isola e che stava distruggendo ogni cosa. Forse un
po’
più strano e triste degli altri, ma comunque un usurpatore.
Keira
sospirò, mettendosi seduta; lo avrebbe aspettato. La
pazienza
non poteva certo mancare ad uno spirito millenario come lei.
***
Dall’altra
parte del mondo, nella prima tratta della rotta del grande blu, un
uomo scendeva da una nave. O meglio, veniva buttato giù in
malo modo sotto lo sguardo deluso dei compagni e della gente raccolta
al piccolo porto dell'isola.
-
Vattene, sei una delusione. -
Gridò
un uomo dal ponte del grosso galeone, lanciando un fagotto che doveva
contenere tutte le sue cose al ragazzo carponi sul ponte.
L’uomo
non si mosse, rimase immobile a fissare la sacca. Sembrava perso in
un altro mondo, lontano, ed era infinitamente triste.
Un
uomo distrutto, pensò Robin che fissava la scena dal molo.
Quello che vedeva la lasciava stupita ed incredula. Di fronte a tutta
quella disperazione anche i suoi problemi sembravano meno complicati.
In fondo lei doveva solo lasciare passare due anni, poi avrebbe
riabbracciato i suoi amici e sarebbe potuta tornare dal suo capitano;
quell’uomo invece aveva l’aria di avere appena
perso tutto.
-
Che succede? -
Chiese
all’uomo che la accompagnava. I due viaggiavano insieme da
quando
la ragazza aveva accettato di entrare nell’armata
rivoluzionaria,
seppure per due soli anni. La meta del loro viaggio era proprio
quella nave dove sarebbe stata accolta come la Luce della
Rivoluzione.
-
Nulla, stanno solo cacciando un ladro.. -
Rispose
l’altro, vago, lasciando trasparire una punta di delusione
nella
voce.
Anche
una vecchia signora fissava la scena, ferma sulla porta di casa. Di
tanto in tanto mormorava qualcosa, scuotendo la testa.
-
Povero ragazzo. -
Continuava
a mormorare, quasi fosse una cantilena.
-
Lo conosce, signora? -
Chiese
Robin, avvicinandosi incuriosita. Qualcosa in quel ragazzo le era
terribilmente familiare, al punto da spingerla a preoccuparsi per
lui.
L’anziana
donna studiò a fondo l’archeologa, chiedendosi se
poteva o
meno fidarsi di lei. Alla fine decise di parlare.
-
Certo, Sabo era diventato un rivoluzionario fin da bambino. -
Raccontò
la donna, fissando l’orizzonte. Ricordava bene quando la nave
dei
rivoluzionari era arrivata su quell’isola per la prima volta,
tanti
anni prima. Dragon in persona ne era sceso tenendo tra le braccia un
fagotto insanguinato ed aveva urlato che voleva un dottore. La donna
aveva chiamato il marito, l’unico medico della piccola isola,
ed
insieme lo avevano curato. Da allora Sabo aveva sempre seguito
Dragon, come un figlio. A chiunque gli chiedesse qualcosa, il ragazzo
diceva che era lui l’unico padre che avesse mai conosciuto e
per il
quale avrebbe dato la sua vita. La Rivoluzione era sempre stata tutta
la sua vita; il suo unico scopo.
Sabo
viveva per cambiare il mondo e renderlo un posto migliore, poi la
vita lo aveva colpito e ne aveva fatto un ladro cacciato in malo modo
dalla stessa nave che lo aveva visto crescere e diventare uomo.
-
Perché si è comportato così, se la
rivoluzione
era tutta la sua vita? -
Chiese
Robin, stupita, senza staccare lo sguardo dal ragazzo. Non si era
ancora mosso dal molo, fissando incredulo la nave che era stata la
sua casa per tanti anni dalla quale era stato allontanato.
Probabilmente si chiedeva cosa lo aveva portato in quella situazione,
o forse si chiedeva solo in quale locanda fosse meglio andare a
cercare del buon rhum. Nemmeno una donna intelligente come Robin
avrebbe potuto dare risposta ad un simile enigma.
-
Bambina, un uomo smette di ragionare quando il dolore diventa troppo
forte.. -
Mormorò
l’anziana donna, sospirando, prima di allontanarsi
silenziosamente.
Robin
trovò le parole della donna eccessivamente misteriose,
eppure
non cercò di fermarla per farle altre domande.
Lasciò
che la donna tornasse alla sua casa, fissando tristemente per terra.
Pochi conoscevano Sabo quanto lo conosceva lei, che si era presa cura
di lui quando Dragon lo aveva portato da loro sanguinante e
moribondo. Solamente a lei il ragazzo aveva raccontato del suo
passato e dei suoi fratelli. Quando parlava di loro il suo viso si
illuminava, erano il suo orgoglio. Era sicuro che li avrebbe rivisti
ancora e che avrebbero finalmente navigato insieme, come una
famiglia. L’idea che il ragazzo fosse rimasto solo,
abbandonato a
se stesso la distruggeva tanto quanto la distruggeva vederlo solo e
abbandonato a se stesso, ma non c’era più nulla
che la donna
potesse fare per lui.
Sabo
aveva scelto la sua nuova strada, e solo il tempo avrebbe detto che
era stata una buona scelta oppure no. La donna chiuse la porta con
uno scatto, cercando di chiudere fuori anche l’espressione
atterrita del ragazzo, ben sapendo che era un tentativo inutile.
Robin
salì sulla nave, scossa, lasciandosi alle spalle sia Sabo
che
la vecchia signora.
***
A
Coconut Village Nojiko si era alzata presto come suo solito. I
mandarini d’altra parte non aspettavano certo lei e
c‘era un
sacco di lavoro che doveva fare da sola. Senza Nami era dura mandare
avanti la piantagione ma la ragazza era felice che la sorella minore
stesse finalmente inseguendo il suo sogno con delle persone che si
prendevano cura di lei. Saperla con Rufy, Zoro e gli altri la faceva
sentire al sicuro, nonostante quello che scrivevano i giornali di
loro e delle loro imprese. Conoscendo Nami, il caratterino e la sua
determinazione bastava alla ragazza per essere certa che la sorellina
stesse bene.
Una
volta arrivata alla piantagione che una volta era appartenuta alla
madre, Nojiko trattenne a fatica un urlo: un uomo incappucciato
dormiva tra i cespugli con un paio di mandarini tra le mani. Ad uno
sguardo più attento la ragazza intuì che doveva
trattarsi di un tipo troppo pericoloso ma solamente di un vagabondo.
Era visibilmente ubriaco, il volto pallido e scavato era ricoperto da
una fitta barba che lo rendeva a dir poco irriconoscibile. Anche i
capelli non erano per nulla curati e sparavano in tutte le direzioni.
Ogni
tratto del suo viso era distorto da una muta sofferenza, quasi avesse
un peso terribile a premergli sul cuore.
La
ragazza si riprese dallo spavento iniziale e si avvicinò
allo
sconosciuto con le braccia all’altezza dei fianchi,
studiandolo in
modo severo. Scostò delicatamente il cappuccio dal viso,
senza
che questi desse segno di essersi svegliato, e lo guardò
meglio. Non doveva essere tanto più vecchio di lei. Un anno
o
due al massimo.
-
Ehi, tu.. Non credi di dovermi delle spiegazioni? -
Tuonò
la ragazza, svegliando bruscamente lo sconosciuto. Il ragazzo
sussultò e trattenne per un istante il fiato, prima di
alzare
lo sguardo sulla nuova arrivata. Sembrava sorpreso, ma non
particolarmente turbato.
-
Io non devo nulla a nessuno -
Borbottò
alla fine, abbassando lo sguardo e tornando accucciato a terra.
Nojiko
lo studiò con attenzione ed arrivò alla
conclusione che
il ragazzo non sembrava avere nulla da perdere. Il suo sguardo era
stanco, quasi avesse visto molte più cose di quelle che ci
si
aspetta da una persona così giovane. Ad ogni modo, la
ragazza
era abbastanza combattiva e più che mai decisa a non darla
vinta allo scocciatore. Se avesse permesso ad un vagabondo come lui
di dormire impunito nella sua proprietà nel giro di qualche
settimana si sarebbe trovata invasa ed addio raccolto.
-
Questa terra è mia! -
Precisò
Nojiko, furiosa. Il ragazzo alzò le spalle, con noncuranza.
Le
parole della ragazza non lo toccavano quasi.
-
Allora fammi arrestare. Anzi no, uccidere.. Non mi importa poi
così
tanto di vivere.” -
Disse
il ragazzo, senza nessuna emozione nella voce.
Nojiko
lo fissò a lungo, accigliata, chiedendosi se stesse o meno
prendendosi gioco di lei.
Il
tono incredibilmente serio che aveva usato metteva i brividi e le
faceva temere il peggio. Per quanto fosse decisa a far valere quelli
che erano i suoi diritti non era certo tanto crudele da rimanere
impassibile di fronte a tanta desolazione.
-
Credi che dicendo queste idiozie non prenderò provvedimenti?
-
Chiese
la ragazza, fissandolo con insistenza. Nemmeno quella provocazione
servì a smuovere lo straniero. Il ragazzo alzò
ancora
le spalle, indifferente.
-
Fa come credi, tanto io sono solamente un morto che cammina.. -
Mormorò
lo sconosciuto, voltandosi dall’altra parte e chiudendo
ancora gli
occhi.
Nojiko
rimase colpita da quelle parole, ma si riscosse al pensiero dei
doveri che incombevano. Tornò quindi a dedicarsi ai suoi
mandarini, pensando a cosa doveva fare con quello strano tizio. Una
voce insistente nella sua testa le diceva che farlo arrestare non era
certo la soluzione migliore.
ANGOLO DELL'AUTRICE
innanzitutto, grazie ad
ogni persona che ha letto e commentato il primo capitolo della mia
storia, per quanto oscuro fosse. credo sia doverosa una spiegazione; il
prologo era una sorta di introduzione, di sguardo al futuro o di sogno.
solo alla fine della storia acquisterà effettivamente senso.
allo stato attuale delle
cose ci sono tre uomini distrutti, su tre isole lontane tra loro, con
tre donne misteriose.
altra
precisazione anche se credo sia inutile: la storia inizia
qualche mese dopo la battaglia al quartiere generale della marina!
ora passiamo ai commenti:
tre 88: grazie mille!
sono felice che la storia ti sia piaciuta e ti abbia incuriosito. spero
che questo capitolo ti abbia dato ancora più motivi per
farlo!
Akemichan: grazie mille!
vedo che non sono l'unica ad avere preso male la tragica dipartita di
Ace, bene bene! sono contenta che il prologo ti sia piaciuto. nei
prossimi capitoli capirai come sono arrivati a rincontrarsi (non a
Marineford però, per ora non dico dove!:D), te lo assicuro.
grazie per avermi fatto notare l'errore, segnalami pure se
c'è altro.
Micyu_chan: grazie mille!
le tue parole mi hanno resa felice, sono davvero contenta che non solo
questa ma anche le mie storie passate ti siano piaciute! spero che
questo capitolo non ti abbia deluso.
Kuruccha: grazie mille!
il fatto che nessuno abbia mai scritto dei tre fratelli è
principalmente il motivo che ha ispirato me, spero di essere
all'altezza del compito. se hai suggerimenti o idee fammi sapere. :D
Brando: grazie mille!
ti anticipo che la battaglia in questione rimarrà un mistero
per un po', in compenso tra poco vedrai in che battaglie sono impegnati
i tre fratelli ora che sono separati!
GRAZIE MILLE, AL PROSSIMO
CAPITOLO!
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Capitolo 3 *** Cause e conseguenze ***
CAPITOLO
2
CAUSE
E CONSEGUENZE
Diventare
un delinquente per Sabo era stata la lineare conseguenza del
precipitare di tutte le poche certezze che aveva mai avuto nella sua
vita. Chiunque avesse analizzato a mente fredda la sua vita avrebbe
finito per concludere che in fin dei conti era inevitabile.
Gli
eventi inoltre, avevano contribuito ad accentuare sempre più
questa spirale negativa, presi uìil fato trovasse
incredibilmente divertente prendersi gioco di lui.
Alla
fine il ragazzo era persino arrivato a pensare che da quando era
venuto al mondo non ci fosse stato giorno nel quale una
divinità
bizzarra non avesse influenzato negativamente la sua vita. Un bambino
maledetto che crescendo era diventato un uomo destinato a soffrire.
Tutti i traguardi che aveva raggiunto, tutte le persone di cui si era
circondato e a cui voleva bene alla fine lo avevano abbandonato o
peggio erano morte. La felicità, o almeno quello che lui
aveva
creduto tale, era stata solamente un breve attimo, illusorio.
Era
stato tutto così normale, che lui si era reso conto dei guai
nei quali si era cacciato solamente quando era troppo tardi per
rimediare. I suoi compagni avevano provato a convincerlo a reagire,
lasciandosi il passato alle spalle, ma era stato tutto inutile.
Fatica sprecata.
Certe
cose non si dimenticano, ne si lasciano indietro.
Poteva
non pensarci, ma i fatti non cambiavano; mentre lui inseguiva i suoi
stupidi sogni, i suoi due fratelli morivano. Da soli, completamente
abbandonati a se stessi, senza che lui sapesse nulla di quello che
stava accadendo o di dove fossero, combattendo una guerra senza che
lui nemmeno sapesse il perchè. Quando aveva letto il
giornale
ormai era tardi.
La
marina militare aveva annunciato con grande orgoglio di avere
finalmente giustiziato un pericoloso criminale, suo fratello Ace, e
che in quella carneficina che loro chiamavano freddamente scontro era
morto anche un pirata chiamato Rufy, noto per avere recentemente
causato parecchi grattacapi al governo mondiale. Fine. Poche righe
per distruggere la vita di un uomo, il fratello che era
sopravvissuto, all'oscuro di tutto.
Dopo
molti anni Sabo era tornato a pensare a tutti i sogni e a tutte le
promesse che si erano scambiati da bambini, quando ancora credevano
che nel mondo ci fosse qualcosa per cui valeva pena combattere.
Quando credevano di avere un futuro, nonostante nelle loro vene non
scorresse sangue comune.
I
suoi fratelli erano sempre stati la sua certezza più grande,
anche quando combatteva per i Rivoluzionari. Il suo pensiero andava
sempre a loro e al giorno in cui si sarebbero ritrovati. Non c''era
scontro o battaglia che riuscisse a spaventarlo perchè lui
sapeva di dover vivere almeno fino al giorno che avrebbe ritrovato
Rufy ed Ace. Ogni tanto prima di dormire Sabo provava persino ad
immaginare come sarevve stato il loro incontro. Vedeva I visi dei sui
fratelli, I loro sorrisi, la loro sicurezza e la loro voglia di
vivere. Sarebbe stata una grande festa quel giorno, proprio come
piaceva a Rufy. Un sacco di cibo, carne e musica.
La
notizia della loro morte era giunta inaspettata ed aveva rovinato
tutti i programmi del ragazzo. Anzi, aveva letteralmente stravolto la
sua vita. Nulla era più stato come prima.
L’idea
di non avere fatto nulla, e di averlo addirittura saputo solamente
dopo quando tutto era finito e non c'era più nulla da fare
lo
torturava ancora di più, portandolo alla pazzia e quindi
alla
vita criminale.
Lentamente
aveva finito con l’abbandonare ogni cosa; soldi, amici, sogni
e
persino i suoi ideali. Per Sabo la vita era diventata un'illusione,
la più grande delle prese in giro. Non c'era più
nulla
per cui valesse la pena vivere, figurarsu per combattere.
Ormai
era diventato poco più di un’ombra che si muoveva
fra la
gente, rubando a quelli che stavano meglio di lui, sperando di
portare nelle loro vita la stessa disperazione che albergava nella
sua. Persino il nome sui manifesti era cambiato: non più
Sabo
il Rivoluzionario, ma Sabo lo Sciacallo.
Il
ragazzo era arrivato per caso al villaggio di Shirop, dopo un lungo
peregrinare in lungo ed in largo. Aveva visto molte isole, molti
villaggi ed un sacco di città, tuttavia ogni posto che
vedeva
gli sembrava noioso, uguale al precedente. La gentilezza della gente
lo nauseava a tal punto da spingerlo alla solitudine più
assoluta.
Non
appena aveva visto il piccolo ammasso di case aveva subito
identificato quella che sarebbe stata la sua prossima vittima. Si
trattava di una grande villa arroccata su una piccola collina,
lontana dalle altre case. Era talmente bella che pareva quasi
disegnata dal tratto di un pittore particolarmente capace e tanto era
bastato a Sabo perché avesse preso la decisione di
derubarla.
Chi ci abitava era secondario, un dettaglio insignificante. Sia che
fosse un gigante grande e grosso piuttosto che una vecchia signora
sola, era deciso a mandare a rotoli la sua vita esattamente come il
destino aveva fatto con lui.
***
Alla
fine Nojiko aveva portato a casa lo sconosciuto;
Ufficialmente
lo aveva fatto per prudenza, per evitare che il ragazzo dormisse
un’altra notte sotto ai mandarini della madre, ma entrambi
sapevano
che si trattava di una scusa. O meglio, che fosse a meno una scusa
non era importante per Ace esattamente come non gli importava di
avere o meno un tetto sopra la testa. Vivere, sopravvivere o morire
erano concetti che nella sua mente annebbiata dal rum e dal dolore si
equivalevano. Certo, c'era stato un tempo in cui le cose andavano
diversamente, ma era stato tanto tempo prima. Troppo, prima che la
sua vita era finita con l’andare definitivamente a rotoli
facendo
si che le conseguenze delle sue azioni ricadessero sulle persone a
cui teneva di più al mondo.
Per
quanto riguardava Nojiko, la verità era che
quell’uomo la
incuriosiva e che lei voleva conoscerlo più a fondo. Per la
ragazza il comportamento dell'uomo era del tutto assurdo,
così
come le pareva assurdo che lui sembrasse quasi scocciato dall'aiuto
che la ragazza gli offriva. Quando Nojiko aveva chiesto allo
sconosciuto di seguirla, dicendogli che lo avrebbe ospitato per la
notte lui si era limitato ad alzare le spalle ed annuire. Non
sembrava particolarmente grato, ne felice di non dormire al freddo.
Aveva preso la notizia con freddezza, quasi riguardasse la vita di
qualcun altro.
Il
ragazzo aveva passato la notte sul divano, mentre Nojiko era rimasta
sveglia per assicurarsi che respirasse. Più ci pensava e
più
sembrava assurdo, ma non era riuscita a farne a meno. C'era qualcosa
in quello sconosciuto che la faceva stare in pena per lui.
Il
suo sonno, agitato e convulso, ricordò alla ragazza quanto
fosse stata impulsiva.
Non
conosceva nulla di lui, nemmeno il suo nome. Per ingannare l'attesa
Nojiko iniziò a studiare a fondo il viso dell'uomo, cercando
qualche particolare che potesse aiutarla ad identificarlo. Il primo
dettaglio che gli saltò all'occhio furono le lentiggini,
chiare, che gli puntellavano il viso e che gli conferivano un'aria
infantile.
Sembrava
un bambino cresciuto troppo in fretta e stravolto dal dolore.
-
Visto che hai dormito da me, sei in debito! -
Comunicò
Nojiko la mattina seguente, mettendo una tazza fumante tra le mani
dello straniero. Lui si sorprese un istante, poi tornò alla
sua solita apatia. Prese la tazza, butto giù il contenuto
tutto d’un fiato e restituì la tazza alla ragazza.
Ancora
una volta Nojiko si fermò a studiarlo con attenzione,
facendo
caso per la prima volta al pallore dell'uomo.
Sembrava
fosse reduce da una brutta malattia o comunque da una lunga
convalescenza che lo aveva tenuto per molto tempo a letto. Non aveva
per nulla l'aspetto di un pirata fatta eccezione per il grosso
tatuaggio che portava sulla schiena. Si trattava di un teschio, quasi
del tutto cancellato da una ernorme cicatrice.
-
Non ho denaro con me, puoi sempre farmi arrestare.. -
Rispose
il ragazzo, a testa bassa. Nojiko sentiva la rabbia divampargli
dentro; perché era così deciso a buttare via la
sua
vita in un modo tanto stupido?
Dietro
a quel viso sconvolto e trascurato doveva nascondersi un uomo deciso,
che per qualche motivo aveva deciso di rinunciare a tutto e di
arrendersi.
All’inizio
Nojiko aveva pensato di fare domande, ma si era arresa quasi subito.
Lo sconosciuto non aveva la minima intenzione di risponderle o di
dirle il suo nome, figurarsi di raccontare la storia della sua vita e
lei non aveva certo voglia di insistere.
-
Niente denari? Allora vorrà dire che lavorerai per me.
Gratis.
-
Concluse
Nojiko, decisa. Una mano alla piantagione le faceva senza dubbio
comodo, soprattutto se ad aiutarla era un ragazzone grande e grosso
come lui. Inoltre, vivendo a stretto contatto con lui avrebbe avuto
l’occasione di scoprire qualcosa di più circa la
sua vita,
il suo passato o quanto meno sui problemi che sembravano tormentarlo.
-
Bene. -
Rispose
Ace, alzando lo sguardo.
Lavorare,
bighellonare oppure perdere la giornata vagando senza meta non faceva
la minima differenza per lui. Quella ragazza lo incuriosiva, certo,
ma non al punto da arrivare a sfogarsi con lei. Certamente non
avrebbe mai capito, nessuno poteva. La gente non capisce cosa si
prova a vedere morire il proprio fratello minore sotto gli occhi,
figurarsi perderne due.
-
Sembra che i tuoi propositi suicidi dovranno aspettare. -
Esclamò
Nojiko, sicura, con un filo di ironia nella voce. Aveva deciso che lo
avrebbe salvato ed era più determinata che mai a portare a
termine I suoi propositi.
Il
ragazzo aprì la bocca per ribattere ma alla fine
preferì
non dire nulla. Seguì la ragazza al campo, si mise a
lavorare
e non disse più nulla fino a sera.
Lavorare
non gli pesava. Al contrario, lo aiutava a non pensare al suo
fallimento.
In
qualche modo era riuscito a salvarsi, ma il suo fratellino No. Aveva
vinto la sua battaglia personale, ma non aveva tenuto fede alla
promessa fatta tanto tempo prima a Sabo; Rufy era morto.
***
La
strana figura, non del tutto umana, seguì silenziosamente
Rufy
stando attenta a non farsi scoprire. Muoversi nell'ombra e senza fare
rumore non era certo un problema per lei che conosceva quell'isola
come le sue tasche. Sapeva bene che il ragazzo era solo. Aveva visto
il vecchio che era stato a lungo insieme a lui partire un paio di
giorni prima. La creatura lo aveva preso per un segno. Keira sorrise
tra sé. Senza il Re Oscuro tra i piedi avrebbe certamente
potuto avvicinarsi facilmente al ragazzino.
Fin
da quando lo aveva visto la prima volta, circa un anno e mezzo prima,
era rimasta affascinata da quello spirito tormentato ma allo stesso
tempo deciso. All’inizio voleva solo prendersi la sua
vendetta.
Dopo tutto il moccioso aveva invaso la sua isola, come avevano fatto
tanti altri umani prima di lui, aveva sparso il sangue dei suoi
mostri ed aveva violato la foresta. Con il tempo, tuttavia, aveva
cominciato ad apprezzare quel piccolo insetto. Era invadente, certo,
ma tutto sommato nemmeno troppo fastidioso. Lo aveva tenuto
d’occhio
a lungo, e si era più volte stupita di come sorridesse
sempre
nonostante la situazione non fosse delle migliori.
Decisamente
non se ne incontravano spesso di tipi come lui, ma non era ancora
riuscita a capire se questo fosse un bene oppure un male.
Keira
ne aveva visto solo un altro così deciso ed al tempo stesso
così strano, più di trenta anni prima. Si
trattava di
un uomo pieno di contraddizioni che portava sulla testa lo stesso
cappello che aveva visto addosso al ragazzino.
Il
suo nome era Roger, e si ricordava bene quando si era offerta di
vedere nel suo futuro per indagare se c‘era qualche traccia
di
sventura.
La
creatura della foresta non era mai riuscita a cancellare quella
predizione dalla sua mente, nonostante fosse stata in assoluto una
delle più brevi. Gol D. Roger l’aveva infatti
fermata
subito, non appena lei aveva detto che una grave malattia lo avrebbe
ucciso solo qualche anno più tardi.
-
Se davvero mi rimane così poco da vivere, non ha senso
perderne dell’altro con te. Voglio fare le cose in grande e
riuscire a conquistare tutti i mari del nuovo mondo. -
Aveva
detto l’uomo destinato a diventare il Re dei Pirati, sparendo
dalla
sua vista e lasciandola in preda alla furia più nera; come
poteva un ridicolo essere umano offenderla a quel modo? Mai nessuno
prima e di lui, e nemmeno dopo, aveva osato trattarla come una
veggente qualsiasi. Eppure, qualcosa in quel pirata l'aveva
affascinata al punto dal persuaderla a trovarne altri come lui.
Uno
stormo di gabbiani prese il volo, facendo oscillare le foglie degli
alberi vicini a lei. Distratta nei suoi ricordi, Keira non si accorse
di avere perso di vista Rufy.
ANGOLO DELL'AUTRICE
devo ammettere che i
vostri commenti mi hanno affascinata; sono contenta che la storia venga
apprezzata! come avrete notato la trama è decisamente
più complicata dell'altra volta.
vediamo se riesco a
chiarirvi un po' le idee: la storia sarà divisa in blocchi,
o fasi, probabilmente due.
il primo blocco
riguarderà i misteriosi due anni dei quali non ci
è detto sapere nulla dal manga.
le vicende di Rufy, Sabo ed Ace (ebbene si, è lui) si
svolgono in questi due anni, non necessariamente nello stesso tempo.
nel senso, non è detto che Sabo viene cacciato dalla nave
nelllo stesso momento in cui Ace viene trovato da Nojiko. in linea
generale, Sabo viene buttato giù dalla nave qualche mese
più tardi rispetto alla guerra tra la marina e Barbabianca
ed arriva nel villaggio circa un anno più tardi; Ace viene
trovato da Nojiko qualche mese più tardi; Rufy invece viene
notato da Keira (personaggio frutto della mia immaginazione) non appena
arriva sull'isola, anche se gli eventi di questo capitolo si svolgono
quando parte Rey.
insomma, spero di essere riuscita a spiegarvi che gli avvenimenti di
questo primo blocco sono sfalsati.
il secondo blocco
riguaderà quello che succede a partire da quando la ciurma
di Rufy si ritrova fino alla fine della storia e credo sarà
meno intrigato della prima parte..
ora passiamo ai commenti.
ringrazio di cuore tutti coloro che recensiscono. davvero, vi adoro!
Akemichan: grazie mille!
mi fa sempre piacere sapere che i miei personaggi sono credibili,
specialmente quando si parla di emozioni. per quanto riguarda le
coppie, credo che avrai una delusione le prossimo capitolo; non dico
nulla, ma prova a rivedere bene il prologo. Ace e Nojiko a me sembrano
perfetti perchè hanno tutti e due un bel caratterino,
inoltre nel caso di un possibile futuro incontro con Rufy, Nami
potrebbe ritrovare la sorella.
Kuruccha: grazie mille!
non proprio, Sabo è su una certa isola con una certa ragazza
(che non ha ancora incontrato).. gli altri ci hai preso! Rufy e Keira,
che è un personaggio di mia invenzione. ho provato ad
affincargli qualcuno di esistente, ma non trovavo nessuno che mi
convinceva. l'uomo misterioso invece è Ace, che non
è mai stato nominato perchè di fatto per Nojiko
è uno sconosciuto, non sa chi è o come si chiama.
Raffa_chan: grazie mille!
sono felice che hai apprezzato la mia vecchia storia. credo sia stata
una delle storie che mi è piaciuta in assoluto di
più e sapere che questa secondo te è persino
più bella mi rende felice! riguardo alle tue riflessioni:
ebbene si, sono tutti e tre vivi; giusta anche la seconda, ognuno crede
che gli altri due sono morti; Barbabianca però è
morto.
Tre 88: grazie mille!
allora, Ace è vivo, come credo sia ovvio in una storia
scritta da me. non credo che avrei il cuore di ucciderlo, nemmeno in
una storia. keira è un personaggio che ho creato
perchè non trovavo nessuno che potesse essere affiancato a
Rufy. per quanto riguarda la tua raffica di domande su Ace, davvero,
muoio dalla voglia di risponderti, ma finirei con il rovinarti tutto.
credo ti tocchera aspettare uno o due capitoli. :D
Chibi_Hunter: grazie mille!
la prima recensione è sempre un onore, così come
i complimenti alla vecchia storia! fammi sapere cosa ne pensi di
questa, mi raccomando!
Brando: grazie mille!
ebbene si, quello è Ace, è vivo, ma i suoi
fratelli pensano sia morto. ti assicuro che avrai una spiegazione, ma
se te la scrivo io qui poi ti rovino tutto.. no?:D
Micyu_chan: grazie mille!
ebbene si, Rufy e Sabo danno Ace per morto. insomma, ognuno da gli
altri per morto... se a questo punto ti è venuto il mal di
testa sta tranquilla, è assolutamente normale!
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Capitolo 4 *** Incontri e pazzie ***
CAPITOLO
3
INCONTRI E PAZZIE
Entrare nella villa sulla
collina tutto sommato non era stato particolarmente complicato
per Sabo,
non più delle altre volte. I suoi movimenti erano stati
veloci ed automatici,
tanto ci aveva fatto l’abitudine a fare quella vita. Tutti i
sistemi di sicurezza
istallati avevano finito con il rivelarsi insufficienti.
Una volta entrato
aveva preso a vagare soddisfatto e indisturbato per le grandi e
maestose stanze
pulite da poco, attento a non fare il minimo rumore che potesse mettere
in
allarme servitori, guardie o magari gli stessi padroni di casa. Il
rivoluzionario
procedeva lento, soffermandosi con attenzione su ogni dettaglio,
cercando
qualcosa che valesse la pena essere rubato o quanto meno distrutto.
Vagando da una stanza
all’altra finì con il trovare un ritratto di
famiglia, all’apparenza uno come
tanti.
La solita nauseante scenetta familiare che gli faceva venire il
voltastomaco.
C’era una bella donna
bionda, un uomo dall’aria sicura ed una ragazzina
fastidiosamente sorridente.
Lo guardavano tutti e tre dalla cornice, felici e realizzati,
prendendosi gioco
di lui e della sua vita che era andata a rotoli. Ogni secondo che
passava
a guardare quel dipinto non faceva altro che ricordargli che lui una
famiglia
ormai non l’aveva più, e che la colpa era
principalmente sua. Aveva sempre
pensato che i suoi fratelli fossero in gamba, che non avessero di certo
bisogno
del suo aiuto e che infondo avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per
rivederli,
abbracciarli e fare di nuovo festa con loro. Si sentiva invincibile,
quasi immortale, e pensava
che fosse lo stesso per i suoi fratelli. Per questo motivo non si era
mai
curato troppo di restare aggiornato su quanto accadeva nel
mondo.
Quando si era
trovato il giornale tra le mani tutte le sue certezze erano scomparse
di fronte a lui, aveva realizzato che era stato un idiota ma che
ormai non aveva possibilità di rimediare: il tempo era
finito.
Ace era stato
giustiziato, Rufy era morto mentre cercava di salvarlo ed il suo
cadavere non
era mai stato ritrovato. Arrivato a quel punto Sabo aveva
appallottolato il
giornale senza leggerlo fino in fondo tanto era disgustato da quei giri
di
parole. Da allora si era chiuso in se stesso, chiudendo fuori il resto
del mondo. Non gli importava più di sapere quel che
succedeva intorno a lui perchè nessuna dannatissima guerra
gli avrebbe restituito quello che aveva perso. Arrivati a quel punto
leggere il giornale era solo una fastidiosa incombenza, una perdita di
tempo.
Quando si riscosse da quei
tristi ricordi, il rivoluzionario scoprì il suo volto
bagnato da quelle che
sembravano senza dubbio lacrime. Con un gesto di rabbia fece cadere la
cornice,
lasciando che si infrangesse a terra con un rumore sordo. Subito dopo
averlo
fatto realizzò la stupidità del suo gesto che non
aveva fatto altro che
attirare l’attenzione. Tanto valeva scrivere il suo nome da
qualche parte a
quel punto. Sabo si mise in posizione di attesa, sicuro che da un
momento
all’altro sarebbe certamente arrivato qualcuno, attirato da
tutto quel baccano.
Aspettò a lungo, ma non vide arrivare nessuno. Rimase ancora
un po’ a guardare
i cocci rotti, sorpreso, poi decise di passare alla stanza successiva.
Quello che vide lo
lasciò
interdetto, immobile sulla porta. Di fronte a lui c’era la
stessa ragazzina del
ritratto, solo un po’ più grande e decisamente
meno felice. Il suo sorriso
aveva lasciato il posto ad un’espressione stanca e assonnata.
La ragazza era
addormentata sopra un’immensa pigna di volumi polverosi di
anatomia, chimica e
medicina. Doveva essere crollata mentre studiava, quasi sicuramente per
diventare medico ed aiutare la gente. Sul volto della giovane donna non
vi era
più l’aria spensierata che tanto gli aveva dato ai
nervi nella stanza
precedente, al contrario. Il suo bel viso era segnato da profonde
occhiaie che
le davano un’aria decisamente distrutta.
Sabo scartò subito
l’idea
di farle del male, colpito da qualcosa in lei che non riusciva bene ad
individuare. Non poteva colpirla e basta. Per la prima volta dopo mesi
di
sofferenza che lo avevano reso insensibile a tutto e a tutti, la sua
coscienza
tornava a farsi sentire.
Sconvolto da
quell’incontro
inaspettato, decise di uscire prima di fare altri danni e di lasciare
al più
presto quel villaggio. Una voce dentro di lui gli suggeriva che per il
suo bene
doveva restare, ma il rivoluzionario era fermamente deciso a non dargli
retta.
Forse era la stessa voce che lo aveva fermato poco prima, nella stanza.
Non
poteva mettere la testa a posto, tornare a fare il bravo ragazzo e fare
finta
che non fosse mai successo nulla. C’erano colpe che non
potevano essere lavate
così come c’erano posti dai quali non era proprio
possibile fare ritorno.
Rifece il percorso dal
quale era entrato al contrario, quasi meccanicamente. La sua mente era
altrove,
persa in un’infinita lotta con se stessa, ma il suo corpo
sembrava non averne
bisogno per non farsi scoprire. Era già in giardino quando
vide l’ombra
aggirarsi nei pressi della casa.
Sabo capì subito di cosa
doveva trattarsi. Gli ultimi mesi che aveva passato a fare il criminale
gli
avevano permesso di concludere che probabilmente quel tizio che si
stava
nascondendo con un pesante ferro in mano stava per fare quello che non
era
riuscito a lui.
Sarebbe entrato di
soppiatto fino al cuore della casa, avrebbe trovato la ragazzina
addormentata e
non avrebbe esitato nemmeno un momento prima di spaccarle la testa con
quell’arnese e scappare con il bottino. Era lo stesso che
avrebbe dovuto fare
lui, prima del grande ritorno della sua nemmeno tanto compianta
coscienza.
Sabo valutò ancora per
qualche istante l’idea di andarsene e di lasciare gli
abitanti di quella casa
al proprio destino ma si scoprì incapace di farlo sul serio.
Cambiare idea fu
quasi automatico, disturbato dall’idea della ragazza sola con
quel disgraziato. Maledisse se stesso ed il
mondo che lo aveva reso un ladro, si voltò e prese a correre.
Fermare il ladro
fu incredibilmente semplice, molto di più di quello che Sabo
pensava. Schivò
senza problemi quell’inutile ferro, lanciandolo lontano,
assestò un pugno
deciso e questi era già a terra, inerme.
La parte difficile venne
dopo. Aveva pensato che una volta
messo al tappeto il tizio avrebbe potuto andarsene per la sua strada
senza
problemi e senza alcun rimorso, ma non aveva fatto i conti con alcuni
fastidiosi
ragazzini del luogo che erano accorsi attirati dalle urla e dal
trambusto.
- Sei un eroe, signore. -
Esclamarono estasiati,
fissando increduli il tizio riverso al suoi piedi.
Nei loro occhi il ragazzo
scorgeva una sorta di ammirazione che non vedeva da tanto, troppo
tempo. Chiuse
gli occhi solo un momento e quando li riaprì si ritrovo su
un’altra isola,
molto lontana da quella dove si trovava in realtà. I bambini
di fronte a lui
erano scomparsi ed al loro posto ne era rimasto solo uno, con un grosso
sorriso
ed un buffo cappello di paglia.
- Eccezionale, fratellone!
-
Esclamò quella sorta di
fantasma prodotto dalla sua mente che stava di fronte a lui,
ostinatamente
reale.
Il rivoluzionario mosse una mano cercando di afferrare Rufy ma questi
svanì insieme a quella sorta di visione, lasciandolo solo ed
in lacrime in
mezzo ad un sacco di gente che lo credeva una sorta di eroe buono.
Sabo imprecò, cercando di
dileguarsi, subito bloccato dalla gente era accorsa alle grida dei
ragazzini.
Tutti sorridevano, gli davano pacche sulle spalle e gli facevano
domande.
Nessuno di loro aveva capito come stessero realmente le cose. Nessuno
metteva
in dubbio le sue intenzioni.
- Che succede? -
Chiese Kaja, comparendo
sulla porta con un’aria spaventata.
Sabo si girò lentamente, sorpreso da quella
voce tanto sottile e spaventata, per trovarsi di fronte la ragazza che
aveva
visto poco prima, questa volta sveglia.
- Ti ha appena salvato la
vita. -
Spiegò uno dei bambini,
correndo incontro alla ragazza che prese a fissare il rivoluzionario
con
un’espressione decisamente incredula.
Lo studiò attentamente in modo severo e
sospettoso, quasi dubitasse che davvero quello sconosciuto comparso dal
nulla
potesse davvero avere fatto un gesto tanto nobile, poi sorrise. In
pochi
istanti fu accanto a lui e si lanciò tra le sue braccia,
stringendolo forte.
Sabo non faceva altro che
guardarsi intorno, intontito. Era bastava un ora in quel villaggio
dimenticato
dal mondo ed era passato dallo status di ladro a quello di eroe, senza
quasi
accorgersene e soprattutto senza che gli altri si accorgessero di
quell’imbroglio.
Ora, nonostante le
reticenze dell’interessato stavano cercando di convincerlo a
partecipare ad una
festa in suo onore. Sebbene l’istinto di Sabo continuasse a
dirgli di lasciare
quel posto, prima che fosse troppo tardi, alla dine decise di lasciarli
fare,
godendosi quel momento fino in fondo.
Era sempre lo sciacallo,
dopo tutto.
***
Nojiko ed il ragazzo
sconosciuto vivevano insieme ormai da qualche mese, per quanto gli
abitanti del
villaggio ritenessero del tutto improbabile quella convivenza. Qualcuno
di loro aveva
protestato, ma aveva finito per fare i conti con la testa dura della
ragazza.
Come sua madre aveva portato a casa due orfane ed aveva deciso di
crescerle
come sue figlie, lei aveva deciso che avrebbe aiutato quel ragazzo o
quanto
meno ci avrebbe provato.
Quello che ripeteva a
tutti, furiosa, era che tra loro non c’era assolutamente
nulla. Non era di
certo innamorata dello sconosciuto, ne credeva seriamente di poter
perdere la
testa per lui. Nojiko era affascinata da quel ragazzo perché
aveva visto
qualcosa nei suoi occhi, dietro quello sguardo deluso e spento. Una
sorta di
spirito battagliero, deciso, in grado di tenerle testa. Insomma,
più che un
compagno da amare la ragazza lo vedeva come un amico con cui litigare
che non
tremasse di fronte alla sua rabbia.
Dopo le difficoltà iniziali
la convivenza aveva preso ad andare piuttosto bene, tra alti e bassi,
litigate
e discussioni. In quel lasso di tempo avevano condiviso molte cose, dal
tetto
al cibo, ma nonostante questo la ragazza non sapeva ancora nulla del
suo
silenzioso amico. Non sapeva da dove veniva, per quale motivo si fosse
ridotto
in quel terribile stato e nemmeno il suo nome.
- Il mio nome è
maledetto.
Chi lo conosce è destinato a soffrire. -
Ripeteva lo straniero
quando Nojiko tirava fuori l’argomento, di solito durante i
pranzi che
consumavano insieme alla piantagione oppure a casa.
La ragazza, dal canto suo,
era decisa a non darsi per vinta. La testardaggine di Nojiko era pari
solamente
alla testa dura di Ace. Ogni volta che erano a tavola la giovane donna
si dava
da fare per riempire quei silenzi raccontando di se al suo ospite.
Lui non faceva mai domande,
ascoltava e basta. A volte sembrava annoiato, altre distante e qualcuna
persino
affascinato dalle parole della ragazza. Nojiko gli aveva raccontato nei
minimi
dettagli la guerra che si era consumata nel suo villaggio contro gli
uomini
pesce, di come erano infine riusciti ad uscirne grazie
all’aiuto di una ciurma
di pirati sgangherati usciti dal nulla e di come sua sorella aveva
deciso di
partire con loro per realizzare i suoi sogni. L’unico
dettaglio che aveva volontariamente
trascurato era il nome della ciurma, spaventata che
quell’informazione potesse
mettere in qualche modo in pericolo Nami. Contrariamente a quanto si
aspettava,
il ragazzo non reagì. Si limitò a guardarla a
lungo prima di brontolare che gli
uomini pesce che aveva conosciuto durante la sua vita in fondo non
erano poi
così male. Questo aveva scatenato la rabbia della ragazza,
svanita quasi subito
dopo che il ragazzo si fu allontanato.
Ad ogni modo per la maggior
parte del tempo Ace restava immobile, fingendo il massimo disinteresse.
Per
quanto quella ragazza fosse in gamba e cercasse con tutta se stessa di
vincere
la barriera di indifferenza dietro la quale lui si nascondeva, non
poteva
aiutarlo.
Da quando il mondo gli aveva
mostrato tutta la sua crudeltà,
portandogli via le due cose che amava di più al mondo, Ace
aveva deciso di
estraniarsene. Da allora non aveva più letto un giornale, ne
chiesto a qualcuno
cosa stesse combinando la marina o il governo mondiale. Le tragedie del
mondo,
così come le conquiste dei pirati sognatori, non erano
più affari che
suscitavano il suo interesse.
- È una bella giornata,
vero? -
Chiese Nojiko una mattina,
mentre i due si stavano dirigendo verso il campo di mandarini.
Il sole era
sorto da poco, eppure era già caldo e rendeva il piccolo
tratto di strada
decisamente piacevole.
- Mhm.. -
Mugugnò l’altro in
risposta.
Le belle giornate lo rendevano ancora più triste e di
cattivo umore.
Ace amava la pioggia, la neve e tutto ciò al quale si
accostava meglio tutto il
dolore che provava dentro il suo cuore.
- Perfetta per raccogliere
i mandarini da spremere.. -
Continuò Nojiko, ignorando
il tetro brontolio del suo compagno.
- Mhm.. -
Ripeté Ace, sbuffando.
Segretamente sperava che la ragazza la finisse con tutte quelle domande
e con
tutte quelle chiacchere ma ormai la conosceva abbastanza da sapere che
era una
speranza vana. Nojiko non sarebbe mai stata zitta, in nessun caso,
anche a
costo di mettersi a parlare con dei granelli di polvere o con dei fili
d’erba.
- Sai, è stata mia madre
ha
insegnarmi tutto. Questo campo.. -
Cominciò Nojiko, indicando
la prima fila di mandarini che spuntava dietro lo steccato.
- Era suo, lo so. Non fai
che ripeterlo.. -
Sbuffò Ace, indispettito.
Nojiko si fermò, fissando intensamente il
ragazzo. Qualunque donna sarebbe
stata profondamente offesa dal modo in cui era stata zittita, eppure
lei
rideva. Più la guardava, più la scopriva
divertita e sorpresa.
- Ne ero sicura! -
Esclamò la ragazza,
saltellando felice.
- Di che parli? -
Chiese Ace, disturbato la
tutta quella felicità a cui non riusciva a dare una
spiegazione logica.
Lui
l’aveva ferità, eppure lei sembrava la ragazza
più felice di tutta l’isola.
- Tu fingi solo di non
ascoltarmi.. -
Concluse Nojiko, correndo
avanti a lui.
Ancora una volta Ace avrebbe voluto dire qualcosa ma si
obbligò a
stare zitto. Non voleva affezionarsi a lei, tutte le persone che gli
volevano
bene erano destinate a soffrire. Tutte, a partire da suo fratello per
continuare con suo padre, i suoi fratelli e chiunque lo avesse
conosciuto.
Nessuno era scampato a quella maledizione.
Per tutto il resto della
giornata, Nojiko ed Ace non si rivolsero più la parola presi
come erano dal
lavoro nei campi. Il ragazzo eseguì tutti i compiti che lei
gli aveva
assegnato. Finito il lavoro Ace tornò verso casa. Era
solo, Nojiko gli aveva
chiesto di aspettarlo in cucina e così lui aveva fatto. Era
così che si era
trovato di fronte alla foto ed era iniziato tutto. Nella foto
c’era una donna
con due bambine. Tutte e tre erano felici, sorridevano. Erano una
famiglia,
proprio quello che lui non aveva più. Subito la sua mente
tornò a Rufy e a Sabo
e il suo cuore si strinse.
Quando il dolore divenne
troppo, Ace si alzò dalla sedia e corse fuori senza meta
fino a che non arrivò
ad un burrone a strapiombo sul mare. Alla sua destra c’era
una lapide, ma il
ragazzo non ci fece caso. Nella sua testa c’era spazio
solamente per un
pensiero; tutto quello che voleva era smettere di soffrire, chiudere
gli occhi
e non sentire più niente.
Si passo la lama del
coltello che aveva usato quella mattina per cogliere i mandarini sui
polsi, poi
si lasciò cadere nel vuoto.
Mentre cadeva, prima di
scivolare lentamente nell’oblio, si sentì
libero.
Finalmente il suo dolore
avrebbe avuto una fine.
***
Rufy si era trovato davanti
Keira una mattina presto, appena sveglio. Era talmente addormentato che
all’inizio non l’aveva quasi notata convinto come
era di non essere ancora del
tutto uscito dal mondo dei sogni. Rey era partito da circa
una settimana, giorno più giorno meno, dicendo che avrebbe
preparato la nave
per il grande incontro fissato per sei mesi più tardi. Rufy
aveva annuito,
abbozzando un sorriso. Per quanto fosse diventato forte e avesse ancora
tempo
per migliorarsi, l’idea di tornare dai suoi compagni non lo
rendeva felice come
avrebbe dovuto essere. Aveva ancora bene impresso nella mente i loro
sguardi
spaventati e i loro corpi feriti. Il timore di non essere
all’altezza di
proteggerli era grande, ma il ragazzo di gomma sapeva bene che si
sarebbe
dovuto rassegnare a conviverci.
Dopo la battaglia al
quartiere generale della marina, nulla sarebbe stato più lo
stesso. Il suo modo
ingenuo e spensierato di guardare il mondo era andato perso, forse per
sempre.
Ormai si era abituato a fingere, ma in realtà non riusciva a
fidarsi di
nessuno. La sola idea di affidarsi ad uno sconosciuto, come
più volte avevano
fatto nel corso del loro viaggio, gli sembrava una pazzia.
Rufy ricordava bene quando
si era svegliato, qualche settimana dopo gli scontri, ed aveva
realizzato di
essere ancora vivo. Allora aveva iniziato a piangere, come un bambino.
Jimbei,
al suo fianco, aveva creduto fossero lacrime di gioia, ma aveva subito
dovuto
ricredersi. Il ragazzo gomma sapeva
bene che avrebbe dovuto morire insieme ad Ace e forse una parte di lui
l’aveva
fatto. Quello che era rimasto di lui aveva promesso che avrebbe
protetto i suoi
compagni e continuato il viaggio, anche se parte del suo entusiasmo era
andato
perduto. Insieme a Rey ed al grosso uomo pesce era tornato nel luogo
dove aveva
perso il fratello per mandare un messaggio ai suoi compagni, poi era
sparito.
Credeva che due anni lo avrebbero aiutato a tornare quello di prima ma
ora,
dopo un anno e mezzo, poteva tranquillamente affermare che non erano
serviti a
nulla. Era diventato più forte, certo, ma i cambiamenti si
fermavano a quello.
Non si sentiva lo stesso di prima e tanto meno una persona migliore.
L’unica
cosa che aveva ben chiaro in mente, il suo pensiero fisso, era la
necessità di
allenarsi che lo portava a non riposare per più di quattro
ore.
a Rufy era servita
una seconda
occhiata per rendersi conto che la ragazza non era del tutto umana e
soprattutto era piuttosto minacciosa. Lo fissava dritto negli occhi con
una
furia che non aveva apparenti spiegazioni.
- Che razza di mostro sei?
-
Aveva chiesto il ragazzo di
gomma, grattandosi la testa perplesso.
Keira lo studiò, attenta. Il ragazzo non
sembrava spaventato, solo curioso. Forse era convinto che fosse
solamente un
sogno bizzarro, oppure era davvero coraggioso a parlarle in quel modo
senza
curarsi di quelle che potevano essere le conseguenze.
- Non sono un mostro,
idiota. -
Aveva sibilato lei, in
risposta.
A quelle parole Rufy aveva sospirato, visibilmente sollevato, aveva
alzato le spalle e le aveva offerto un grosso frutto succoso. Keira,
spiazzata,
era rimasta immobile. Mai prima d’ora aveva incontrato un
umano così. Persino
quel Roger a confronto sembrava essere più sano di mente di
lui.
- Sei un tipo strano. -
Dichiarò lo spirito, con
una espressione tremendamente seria.
Benchè non fosse la prima
volta che qualcuno gli diceva una cosa del genere, Rufy si sorprese. Le
parole
dello spirito avevano una solennità ed una
complessità che affascinava ed allo
stesso tempo spaventava il ragazzo.
- Cosa sei? -
Chiese Rufy, serio.
Ad
un’occhiata superficiale quella che si trovava di fronte a
lui poteva sembrava
una ragazzina di appena qualche anno più grande di lui
dall’aspetto bizzarro,
ma qualcosa gli diceva che c’era di più. La
solennità con cui aveva parlato, la
profondità dei suoi sguardi e la sicurezza dei suoi
movimenti sembravano
portare con se una saggezza secolare.
- Sono uno spirito di
questa foresta, proteggo questa isola... -
Spiegò Keira, afferrando il
frutto dalle mani del ragazzo e mordendolo avidamente.
Normalmente non si
cibava di vivande umane per rispetto dell’isola, eppure
trovò quel frutto
estremamente buono.
- Accidenti, allora devi
essere vecchia! –
Esclamò il ragazzo di
gomma, ingenuo, tornando a grattarsi la testa.
- Insolente, non sono un
essere umano! –
Ringhiò Keira, furiosa,
meditando vendetta; come poteva un idiota del genere parlargli
a quel modo?
Prima che lo spirito potesse fare qualsiasi mossa, Rufy divenne
improvvisamente
serio. Keira si sorprese di quella trasformazione, impensabile pochi
istanti
prima.
- Quindi per te io sarei
una specie di minaccia per la tua isola, giusto? -
Chiese il ragazzo, senza
ombra di ironia nella voce, guardando affascinato la strana creatura
che aveva
appena smesso di mangiare e che ora lo fissava senza staccare lo
sguardo.
- All’inizio lo pensavo,
lo
ammetto. -
Dichiarò Keira, stranamente
sincera.
Non era da lei dire la verità, soprattutto di fronte ad un
umano, ma
per qualche ragione sentiva che doveva fare un’eccezione.
- Cosa ti ha fatto cambiare
idea? -
Chiese Rufy, curioso ed
affascinato da quella donna che racchiudeva uno spirito ed
un’esperienza di
secoli nel corpo di una ragazzina.
- Gli spiriti come me hanno
segreti che non rivelano. Tuttavia, posso leggerti nel cuore -
Rispose lei, stizzita.
Avrebbe davvero voluto leggere cosa passava per la testa di quel
ragazzo, così
come avrebbe voluto essere in grado di prevederne il futuro.
- Non mi va, devo
allenarmi.. -
Mormorò Rufy, alzandosi.
Alle parole di Keira il suo volto si era fatto scuro, quasi temesse che
lei
potesse arrivare ad indovinare i suoi punti deboli, i suoi demoni e le
sue
paure.
- Posso leggere il tuo
futuro, se vuoi. -
Propose ancora Keira,
aspettando attenta la risposta del ragazzo.
Gli era bastata un’occhiata attenta
per capire che quel ragazzo faceva parte di un ristretto gruppo di
umani
destinati a grandi cose. Ne aveva incontrati molti, ma oltre a lui
solamente
quel Roger era riuscito a sopravvivere così a lungo sulla
sua isola.
Qualunque umano sarebbe
stato più che felice di una proposta del genere. Gli
spiriti, si sa, non
mentono mai. Le loro predizioni sono rare almeno quanto sono preziose.
Imbattersi in uno di loro e
vedersi fare una predizione non è un’esperienza
che molti possono vantare,
nemmeno nella seconda parte della rotta maggiore.
- No, grazie. Se sapessi
già tutto per cosa varrebbe una pena continuare questo
viaggio? -
Chiese Rufy, sorprendendo
lo spirito con la sua ingenua risposta.
Nessuno prima d’ora aveva risposto in
quel modo. Persino Roger l’aveva lasciata fare prima di
correre dietro al suo
sogno.
- Sei testardo, moccioso. -
Sibilò lei, osservando il
ragazzo allontanarsi a grandi passi verso il profondo della foresta.
Avrebbero
parlato ancora,
ne era certa.
ANGOLO DELL'AUTRICE
per prima cosa, grazie a tutti quelli che hanno letto la mia storia;
sia a quelli che commentano che ai lettori silenziosi!
spero che con l'avanzare della storia spariscano anche tutti i vostri
dubbi. mi rendo perfettamente conto che la trama di questa storia
è complicata. vi assicuro che nella mia testa è
ben chiara, forse meno sulla carta!
Akemichan: grazie mille!
questa volta ti ho fatto aspettare un po' di più, mi spiace.
per quanto riguarda Sabo, dato che di lui sappiamo veramente poco, mi
sono presa la briga di metterci del mio. per come la vedo io
è si un rivoluzionario, ma anche piuttosto distratto. lui
credeva che non sarebbe mai potuto succedere nulla ai suoi fratelli
quindi non si è mai preoccupato di sapere dove fossero.
quando ha letto della loro morte è andato in crisi, si
è chiuso in se stesso e quindi non è venuto a
sapere che il realtà Rufy stava bene.
per quanto riguarda le coppie, invece, posso dire che per il momento
non ho in programma di fare nascere storie d'amore. si tratta
principalmente di compagni di viaggio che aiuteranno i tre fratelli a
capire alcune cose ed andare avanti.
per quanto riguarda gli errori, grazie, lo scorso capitolo ho litigato
abbastanza con il mio pc!
Brando: grazie mille!
Ace e Sabo hanno letto il giornale, uscito subito dopo la guerra, nel
quale Rufy veniva dato per morto. nessuno dei due si è preso
la briga di leggerne altri quindi non sanno della gita con Rey e Jimbei
ne tanto meno che il loro fratellino è vivo!
Tre 88: grazie mille!
questa storia si basa sul fatto che ognuno dei tre fratelli crede gli
altri due morti quando il realtà sono tutti vivi. spero di
averti chiarito le idee e non avertele confuse ancora di più!
riguardo Ace non dico nulla, nel prossimo capitolo la parte dedicata a
lui sarà principalmente introspettiva e
risponderà a tutte le tue domande!
Keira è uno spirito, non ha età. ha il corpo di
una ragazzina ma ha svariate centinaia di anni.
Chibi_Hunter: grazie mille!
spero che questo capitolo non ti abbia deluso e che abbia risposto
almeno a qualcune delle tue domande!
Raffa_Chan: grazie mille!
mi spiace, niente anticipazioni su Ace tranne che sono quasi certa che
non si metteranno insieme.
:D non ti resta che aspettare!
Koruccha: grazie mille!
ho fatto tesoro dei tuoi consigli e delle tue note!
Micyu_chan: grazie mille!
bah onestamente io un Rufy innamorato non riesco ad immaginarmelo bene.
lo vedo più come il compagno di avventure sempre sorridente.
ad ogni modo, mai dire mai!
GRAZIE MILLE, AL PROSSIMO CAPITOLO!
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Capitolo 5 *** Partenze ***
- 4 -
PARTENZE
Appena
sveglio Ace si ritrovò semplicemente
perso, smarrito come quando
da bambino
aveva realizzato che lui non avrebbe mai avuto una vita normale. Era
sdraiato
in un letto che non era il su, con i polsi bendati e la gola secca, ed
era
ancora vivo. Qualcosa, o forse qualcuno doveva essere riuscito ad
intervenire
mandando a monte il suo assurdo ed improvvisato tentativo di togliersi
la vita.
Doveva averlo afferrato in tempo, prima che il vuoto lo inghiottisse.
Intorno a
lui ogni cosa era avvolta nell’oscurità quasi
fosse notte, grazie alle tende
ben chiuse. Chiunque lo avesse salvato voleva essere sicuro che
riposasse per
bene. A fatica, nel buio della stanza il ragazzo riuscì ad
intravedere una
figura assopita, probabilmente Nojiko. Doveva essere stata proprio lei
a
salvarlo, dopo tutto era l’unica nel villaggio a cui
importava qualcosa di lui.
Per gli altri era solo una seccatura, un balordo che era arrivato per
caso e
che avrebbe sicuramente fatto meglio ad andarsene.
La ragazza dormiva appoggiata a lui,
agitata e pallida, eppure bastò un movimento quasi
impercettibile di Ace a
svegliarla.
-
Stai bene? -
Chiese
subito lei, ansiosa. Non vi era
traccia del suo sorriso o della sua solita irruenza, c’era
solo molto dolore
nei suoi occhi. Ace non rispose e distolse lo sguardo.
Nojiko
aprì la bocca per aggiungere
qualcosa, forse una delle sue solite risposte acide, ma la richiuse
subito non
appena si accorse che il viso del ragazzo era bagnato di lacrime.
Aveva fallito, ancora una volta aveva
fallito. Ace chiuse gli occhi e lasciò che la sua mente
ripercorresse quegli
eventi che aveva invano cercato di dimenticare.
La mente di Ace era tornata molte
volte alla giornata maledetta in cui la sua vita era cambiata a tal
punto da
rendergli intollerabili tutte quelle cose che fino a quel momento aveva
adorato, ma non era mai riuscito a trovare una spiegazione abbastanza
logica
che spiegasse perché lui era vivo e Rufy giaceva sepolto
chissà in quale luogo.
Aveva ripercorso quelle ore a lungo, fino a perderci il senno, ma non
era mai
riuscito a riordinare i fatti in modo che acquistassero senso. Ogni
dettaglio
di quelle ore frenetiche ed assurde era scolpito nella sua memoria: la
prigione, il patibolo e la guerra che si era scatenata. Ovunque
guardasse
vedeva uomini che lottavano, venivano colpiti e morivano a causa sua e
della
sua irruenza. Suo padre, i suoi fratelli, Rufy e persino sconosciuti
personaggi
da poco evasi da Impel Down. Ognuno di loro si trovava in quel luogo
infernale
perché un bel giorno lui aveva avuto l’ardire di
affrontare Barbanera ed aveva
perso. I cadaveri dei pirati e dei giovani marine si contavano
già a centinaia
quando suo fratello lo aveva liberato, sorprendendo tutti quanti.
Nessuno avrebbe
mai scommesso nemmeno una moneta su quel piccolo pirata,
così fastidioso ed
insignificante, eppure lui ci era riuscito. Faticosamente, lottando
contro
nemici ben più forti di lui e contro la fatica era arrivato
fino al patibolo ed
aveva raggiunto il suo scopo. Una volto libero, Ace aveva cercato il
viso di
suo fratello. Nonostante tutto sorrideva, come sempre, orgoglioso di
essere
riuscito ad andare in soccorso del fratello maggiore almeno per una
volta. Guardando
il suo viso così spensierato per un istante soltanto Ace
aveva davvero creduto
che avrebbero potuto farcela ad andarsene da quell’inferno e
a prendere di
nuovo il mare, insieme. Subito dopo era arrivato Akaniu, mettendo fine
a tutte
le speranze. Gli attimi che erano venuti dopo erano così
confusi che il
comandante della seconda flotta di Barbabianca non riusciva ancora a
capirci molto.
Da lì tutto si faceva sfumato e non sapeva con certezza come
erano andate le
cose. Il colpo dell’ammiraglio aveva colpito lui, non
direttamente Rufy. Ace
era sicuro di essere arrivato in tempo per proteggerlo, mettendosi tra
il
fratello e il nemico, ma non era servito a molto. Era stato un colpo
veramente devastante,
tanto che ne portava ancora i segni impressi sulla pelle. Del tatuaggio
che una
volta riempiva tutta la sua schiena era rimasto poco o niente. Mentre
le forze
lo abbandonavano Ace aveva visto Rufy piangere chino su di lui, aveva
sentito
le sue lacrime bagnargli le ferite. Lui era ancora vivo. Conciato male,
depresso e distrutto, ma vivo. Ne era assolutamente certo. Non doveva
essere
stato il colpo dell’ammiraglio a finirlo, forse qualcosa che
era successo dopo
quando lui non era più lì con lui.
Ace era sopravvissuto per caso,
ricordava che le forze lo avevano abbandonato e che tutto era diventato
nero. Subito
dopo l’urto tutti lo avevano creduto morto, anche una strana
ciurma che si era
incaricata di seppellire il suo corpo.
Quando si era svegliato qualche settimana
dopo, si trovava a bordo di una nave che non conosceva dove
c’era un sacco di
gente rumorosa. Ognuno correva su e giù, da poppa a prua.
Tutti urlavano,
oppure ridevano, senza che nessuno si prendesse la briga di farli
smettere. Il
più fuori di testa di tutti sembrava uno strano tizio con i
capelli rossi che
Ace era abbastanza sicuro di avere già visto da qualche
parte prima di quel
momento.
Prima ancora di chiedersi dove fosse
finito, il ragazzo si stupì di essere vivo. Certo, ogni
singolo muscolo, osso e
centimetro del suo corpo gli faceva male, ma era pur sempre vivo.
Ancora
confuso e dolorante, il ragazzo aveva chiesto delle spiegazioni ed uno
strano
tizio gli era letteralmente saltato al collo. Sembrava essere il medico
di
bordo anche se l’aria trasandata, il viso arrossato e la
bottiglia di rum che
teneva tra le mani non gli davano certo un aria professionale e
rassicurante.
-
Il nostro capitano ha portato via
il tuo corpo e quello del vecchio per seppellirvi. Non credevano che tu
potessi
davvero essere sopravvissuto a quel colpo. Sei in gamba, ragazzo.
Davvero. -
Spiegò
l’uomo che doveva essersi
preso cura di lui mentre era incosciente, incredulo, allungando al
ragazzo un
sorso di rum.
-
Mio padre è morto, vero? -
Chiese
Ace, con le lacrime agli occhi
ed il groppo in gola. Non doveva andare così, Barbabianca
doveva diventare il
più grande. Doveva essere lui il Re dei Pirati, non Gol D.
Roger. L’uomo sembrò
esitare, quasi restio a dargli troppe informazioni per non turbarlo.
-
Si ragazzo, l’era di Barbabianca è
finita. -
Decretò
l’uomo alla fine, facendosi
serio.
Era
stato il suo capitano Shank a
pronunciare quelle parole durante la cerimonia funebre del vecchio
pirata. Le
aveva dette con le lacrime agli occhi e l’aria triste di uno
che sta
seppellendo un vecchio amico contro il quale ha lottato, vissuto e
combattuto
per tanti anni. Nessuno aveva parlato, nemmeno Marco. Quello che era
stato il
comandante della prima flotta di Barbabianca era rimasto per qualche
ora a
piangere sulla tomba di suo padre, poi era andato a cercare i suoi
fratelli
lasciando una Vivre Card che avrebbe permesso ad Ace di raggiungerlo
una volta
ripresosi.
-
Che ne è stato del mio fratellino?
-
Chiese
ancora Ace, accorgendosi solo
in quel momento che Rufy non era con lui. Se fosse stato lì
a quel punto gli
sarebbe già saltato al collo. L’uomo
sospirò ancora, prima di bere un lungo
sorso di rum. Sapeva che una volta sveglio il ragazzo avrebbe voluto
sapere
tutto quanto, eppure aveva a lungo pregato il suo capitano e i suoi
compagni perché
non lasciassero a lui quell’incombenza.
-
Trafalgar Law l’ha portato in
salvo, poi di lui si sono perse le tracce. Ha attaccato ancora il
quartiere
generale della marina o almeno quello che ne restava. -
Iniziò
a raccontare l’uomo. La sua
voce era stanca, quella di un uomo che ne aveva viste troppe nella sua
lunga
vita di pirata. Non sembrava nemmeno più lo stesso pirata
che poco prima stava
ridendo e saltando da una parte all’altra.
-
Perché ha fatto una cosa tanto
stupida? -
Chiese
Ace, incredulo, mentre il
pirata gli porgeva un giornale stropicciato. Non lo degnò di
uno sguardo e
tornò a fissare l’uomo. Voleva delle spiegazioni,
doveva capire a tutti i costi
dove si trovava suo fratello per poterlo raggiungere.
-
Nessuno di noi lo sa, ragazzo. -
Sospirò
l’uomo, rimettendosi a sedere.
Sembrava svuotato, apatico.
-
Ora come sta? -
Chiese
ancora il giovane pirata
ferito, stringendo nervosamente i pugni. La sua mente lavorava
frenetica,
cercando di ricostruire quello che doveva essere accaduto. Se Law lo
aveva
portato in salvo voleva dire che Rufy, per quanto malconcio fosse, si
era
salvato. Trafalgar Law era abbastanza famoso per essere un ottimo
chirurgo,
forse addirittura uno tra i migliori di tutta la prima parte della
rotta del
grande blu.
-
Non sappiamo nemmeno questo.. -
Sospirò
ancora l’uomo, voltando lo
sguardo verso la parta opposta della stanza quasi volesse evitare lo
sguardo
del pirata più giovane.
-
Diglielo.. -
Disse
un altro pirata, arrivato da
poco. I due si scambiarono una lunga occhiata silenziosa, poi il primo
uomo
parlo anticipando la domanda di Ace.
-
La marina lo da per morto. -
Mormorò
il medico, con un’espressione
seria che ferì Ace. Il ragazzo sentì il suo cuore
sussultare, fermarsi e poi
riprendere a battere frenetico. Era semplicemente assurdo, una follia.
Quei due
dovevano essere pazzi. Il troppo sole o forse il rum dovevano avergli
fuso il
cervello tanto che avevano iniziato a straparlare.
-
Non è possibile. -
Esclamò
deciso Ace, agitandosi. Suo
fratello era sopravvissuto a quella carneficina, lui lo aveva difeso e
qualcun
altro era riuscito a portarlo in salvo. Non vi era nessuna ragione per
tornare
al quartiere generale della marina, nessuna. Suo fratello non aveva
nessun
motivo per morire in un modo tanto stupido.
-
Quando lo abbiamo visto noi era
ridotto male. Secondo quanto dice il giornale.. -
Continuò
a spiegare il secondo
pirata, cercando di calmare il ragazzo perché le sue molte
ferite non si
riaprissero. Ancora una volta il Ace non lo lasciò finire la
frase.
-
Balle, lui deve diventare il Re dei
Pirati. Mi capisci? Non può morire.. Che ne sarebbe dei suoi
sogni e dei suoi
compagni se lui.. -
Mormorò
Ace, interrompendo i due
uomini con la voce ormai rotta dalle lacrime.
-
Fatti coraggio ragazzo, la vita è
dura. -
Lo
consolò il pirata, prima di
lasciarlo solo con il suo dolore. Ace pianse a lungo come non aveva mai
fatto
prima di quel momento. Quando si fu calmato notò il giornale
che gli aveva
passato il medico. I fogli erano rovinati, quasi qualcuno ci avesse
versato
molte lacrime, ma si leggeva ancora. Diceva che Rufy era andato al
quartiere
generale della marina, aveva sequestrato un nave, fatto il giro
dell’isola, si
era tolto il suo cappello per ricordare i morti ed aveva suonato la
campana. Di
fianco all’articolo vi era una foto che mostrava suo
fratello. Era ferito,
malconcio e distrutto. Fu allora che capì: Rufy lo credeva
morto. Aveva fatto
quella follia che gli era costata la vita per lui, per cercare di
cancellare
tutto il dolore che stava provando. Con quel pensiero si era
addormentato,
vinto dalla stanchezza. Una volta sveglio aveva trovato ancora il
medico al suo
fianco, ma non gli aveva più chiesto nulla. Voleva solo
guarire e lasciare
quella nave. Dopo qualche settimana di convalescenza decise di mettere
in
pratica il suo piano. I pirati lo avevano implorato di restare con lui,
ma Ace
aveva ringraziato ed era andato per la sua strada, solo. Da allora
aveva
vagato, cambiando continuamente isola e finendo per diventare un
vagabondo. Un
povero alcolizzato che andava di villaggio in villaggio cercando solo
di
sopravvivere alla meglio.
Quando era partito dalla nave di
Shank, declinando la proposta di entrare nella ciurma e rifiutando la Vivre Card
del suo
amico Marco, era davvero intenzionato a ritrovare il suo fratellino. Ci
credeva
davvero, allora. Voleva a tutti i costi dimostrare che era ancora vivo,
che
marina ed il mondo si stavano sbagliando. Non c’erano prove
che Rufy fosse
morto tranne la parola della marina e uno stupido articolo sul
giornale. Una voce
dentro di lui gli diceva di sperare e di non arrendersi, e
così lui aveva
fatto. Aveva cominciato a cercarlo dove era stato visto per
l’ultima volta
insieme ai suoi compagni, l’arcipelago Sabaody, ma nessuno
aveva saputo
aiutarlo. Tutto quello che aveva trovato era stato un gruppo di
briganti di
bassa lega che difendeva una nave con la bandiera dei pirati di
Cappello di
Paglia. Una nave abbastanza grande, che Ace non aveva mai visto. Non si era arreso, aveva
continuato ad
indagare imbattendosi solo in risposte vaghe. Nessuno sapeva nulla.
Alla fine si era convinto che il
fratellino era davvero morto, ed era subentrata prima la disperazione,
poi il
rimorso di essere stato la causa della sua morte.
Rufy era stato l’unica cosa che aveva
reso la sua vita migliore, e lui lo aveva ucciso trascinandolo in un
guerra ben
più grande di lui.
La voce di Nojiko distolse Ace dai
suoi tristi ricordi, riportandolo alla realtà. La tristezza
sul volto della
ragazza sembrava essere passata ed avere lasciato il posto ad
un’intensa
rabbia. Una furia silenziosa che Ace temeva ma che allo stesso tempo lo
affascinava.
-
Mi senti, straniero? -
Chiese
la ragazza, cercando di
attirare l’attenzione del ragazzo avvolto dalle coperte.
-
Sono una grandissima seccatura,
dovresti lasciarmi stare. -
Mormorò
Ace piano, debolmente, senza
guardarla negli occhi. Non voleva parlare con lei, ne con altri. Non
voleva
nemmeno sapere chi era stato a salvarlo, la cosa per lui non aveva la
minima
importanza.
-
Nemmeno per sogno, sono troppo
testarda. Ti ho capito, sai. Stai male, qualcosa ti manda fuori di
testa. Per
questo sei diventato un vagabondo senza meta, vero? -
Disse
Nojiko, senza arrendersi. La
sua voce era dolce e severa allo stesso tempo. Era decisa a non
arrendersi,
anche se questo voleva dire sopportare l’apatia, il silenzio
e la silenziosa
rabbia del ragazzo per essere stato salvato contro la sua
volontà.
-
Potrebbe essere, il mio passato non
è affare tuo. -
Decretò
Ace, duro. Ancora una volta
sperò che i suoi modi sgarbati allontanassero la ragazza
nonostante immaginasse
fosse inutile.
-
Il tuo passato no, ma il tuo futuro
si. Non ti lascerò buttare via la tua vita. -
Dichiarò
Nojiko, severa. Queste
parole sorpresero Ace, lasciandolo senza parole per un lungo istante.
-
Quindi che farai? -
Chiese
Ace, curioso ed allo stesso
tempo divertito. La delusione per non essere riuscito a mettere fine
alla sua
vita stava pian piano lasciando il posto ad un debole interesse.
-
Partirò, e tu verrai con me.
Viaggiare ti farà bene e sarai sufficientemente impegnato
per smetterla con i
tentati suicidi. -
Disse
la ragazza, fissando il ragazzo
sconosciuto negli occhi. Era decisa, niente avrebbe potuto farla
desistere.
-
Cosa ti fa pensare che io sia
d’accordo con te? -
Chiese
Ace, stupito davanti a tutta
quella determinazione e confuso dalle parole di Nojiko. Era
semplicemente
assurdo che lei avesse deciso di partire. La piantagione della madre
era tutta
la sua vita, non l’avrebbe abbandonata per nulla al mondo.
Alle parole di Ace
la ragazza tentennò, poi lentamente porse allo sconosciuto
un giornale.
-
Mia sorella.. Potrebbe essere nei
guai.. -
Mormorò
lei, indicando un articolo
nel quale comparivano alcuni avvisi di taglia. Il ragazzo
fissò a lungo le
immagini riconoscendo alcuni di quei ragazzi come i compagni di
avventura di
suo fratello. In particolare la ragazza che Nojiko diceva essere sua
sorella
era Nami, la navigatrice dai modi burberi con una sfrenata passione per
il
denaro. Ace lesse velocemente l’articolo, incredulo, mentre
una morsa gli
stringeva il cuore. Ancora una volta si parlava di suo fratello, anche
se
indirettamente. Il giornale diceva che dopo la morte del suo capitano
la ciurma
si era sciolta e che i suoi componenti erano andati incontro a morte
insieme al
loro capitano, anche se i loro cadaveri non erano mai stati ritrovati
dalle
autorità.
-
Va bene, partiamo. -
Mormorò
Ace, scostando le coperte dal
letto. Comunque sarebbe finita quella storia, era determinato a saperne
di più
e a scoprire la verità.
***
Sabo
sbuffò, nascondendo alla folla
festante il suo vero stato d’animo. In realtà era
stanco di tutto quel rumore,
non ne poteva più. La festa in onore del suo nobile, o
presunto tale, gesto
andava avanti da molte ore, praticamente
un’eternità tanto da essere troppo
persino per uno sciacallo come lui. I brindisi, le torte e i canti in
suo onore
si erano sprecati. Il ragazzo aveva persino perso il conto di tutti
coloro ai
quali aveva dovuto raccontare la sua storia, naturalmente ricordandosi
di omettere
il dettaglio che anche lui all’inizio era intenzionato a
rapinare la villa e
che quindi non era capitato lì per caso.
Quando
i suoi nervi erano davvero
molto vicini a cedere, complici anche quei maledetti bambini sorridenti
che gli
ricordavano Rufy, aveva tagliato la corda senza dare troppo
nell’occhio. Si
era ritrovato a vagare per le vie
secondarie del piccolo villaggio ed era finito per arrivare al molo.
Davanti a
lui c’era solamente una fila di grossi navi, pronte a
prendere il mare. Sabo
sospirò, ringraziando che non ce ne fosse nessuna che
assomigliava al grosso
galeone che gli aveva fatto da casa per molti anni della sua vita.
-
Anche tu scappi dalla folla? -
Chiese
una vocina, facendo sobbalzare
il rivoluzionario. Si voltò di scatto e ancora una volta si
ritrovò di fronte
Kaja. La studiò a lungo, sospettoso. Questa volta la ragazza
sembrava
decisamente meno spaventata e più sicura di sé.
Sorrideva, ingenua e felice. Sembrava
una bambina, eccitata dopo una grande avventura. Non era minimamente a
conoscenza del rischio che aveva corso quella notte.
-
Una ragazza che ha appena rischiato
la vita non dovrebbe restare sola in un posto del genere.. -
Mormorò
Sabo, abbozzando un sorriso.
C’era qualcosa in quella ragazza che lo affascinava ed allo
stesso tempo lo
ripugnava. La sua innocenza, la sua ingenuità ed il suo buon
cuore gli
ricordavano allo stesso tempo quanto era malvagio e quanto era stato
buono fino
a prima che la sua vita andasse in frantumi.
-
Un eroe come te invece non dovrebbe
scappare da una festa in suo onore. -
Lo
canzonò lei, sedendosi accanto.
Era molto che il rivoluzionario non parlava con qualcuno da sobrio,
perciò
decise di non allontanarla. Dopo tutto, forse poteva ancora essere
piacevole
riuscire a sostenere una conversazione con qualcuno di abbastanza
intelligente
e colto da non dover rapinare la gente per sopravvivere.
-
Credimi, non sono un eroe. Sono
solo un povero idiota che si è trovato nel momento giusto al
posto giusto. -
Disse
Sabo, sincero, appoggiando la
testa sulle proprie ginocchia. La ragazza sembrò non
prenderlo sul serio,
abbozzò un sorriso e si voltò pensierosa verso le
barche ancorate di fronte a
loro. Il vento faceva ondeggiare le bandiere e stuzzicava le vele,
legate
all’albero maestro. Kaja chiuse gli occhi, assaporando quella
brezza leggera e
piacevole. Sabo la guardava, ammirato e colpevole.
-
Non riesco a smettere di pensare a
quello che è successo. -
Mormorò
lei, fissando il mare. Sabo
sospirò, impacciato. Consolare e tranquillizzare le persone
non era mai stato
il suo forte, specie in quell’occasione.
-
Beh, immagino che sarai ancora
sotto shock. Va a dormire, domani andrà meglio. -
Consigliò
lui, impaziente di rimanere
di nuovo solo insieme ai fantasmi del suo passato.
-
Voglio partire.. -
Esclamò
lei, cogliendo il ragazzo di
sorpresa.
-
Cosa? -
Chiese
Sabo, incredulo, voltandosi
verso la ragazzina ancora persa nella contemplazione
dell’orizzonte. Sembrava
immersa in un bel sogno. Non si rendeva minimamente conto dei pericoli
e dei
rischi a cui sarebbe andata in contro se avesse per davvero messo in
pratica
quell’assurdo desiderio.
-
Si, prendere il mare. -
Spiegò
meglio lei, incredibilmente
seria.
-
Una ragazza come te, da sola, in
balia di tutti i balordi che solcano i mari. È una pazzia.
–
Esclamò
Sabo, scuotendo energicamente
la testa. Una parte di lui avrebbe voluto urlare che era una stupida ed
un’ingenua ma ancora una volta qualcosa lo aveva trattenuto.
Non voleva
spaventarla, ne tanto meno ferirla distruggendo il suo bel sogno.
-
Ci sono anche persone buone, come
te. –
Sospirò
Kaja, sorridendo con un’aria
dolce.
-
Io non sono buono! –
Sibilò
Sabo, alzando la voce. Quelle
parole sembrarono colpire la ragazzina che tuttavia non smise di
sorridere. Sembrava
incredula ed allo stesso tempo confusa.
-
Tu.. Mi hai salvato la vita. –
Disse
Kaja, incredula ed impacciata.
-
No, io volevo rapinare casa tua,
poi ti ho vista ed ho cambiato idea. Quel tizio me lo sono trovato di
fronte
mentre uscivo. –
Ringhiò
Sabo, fuori di sé. Quella
ragazza doveva proprio essere cresciuta tra agi, fasti e ricchezze per
pensare
di poter prendere il mare da sola ed avere sempre qualcuno al suo
fianco pronto
ad aiutarla invece che farle del male.
-
Sei un mostro! -
Urlò
Kaja, allontanandosi di corsa.
Le parole del ragazzo l’avevano sconvolta, se non fosse stato
per l’espressione
seria di Sabo forse non gli avrebbe nemmeno creduto. Un delinquente,
ecco cosa
era. Uno dei tanti bastardi senza cuore sparsi per il mondo e pronti a
fare del
male senza un perché.
-
Te lo avevo detto, no? –
Sospirò
Sabo, rimasto solo. Qualcosa
lo aveva colpito quando Kaja era corsa via, ma non abbastanza da
convincerlo a
seguirla. Il suo orgoglio, o almeno quel poco che ne rimaneva, non era
pronto
ad un gesto del genere.
Prima
ancora che la sua coscienza, o
quanto meno quello che ne restava, iniziasse a protestare, Sabo si rese
conto
di non essere solo.
-
Che è successo, perché la signorina
è corsa via così? –
Chiese
uno dei bambini che
assomigliavano al suo fratellino, ingenuamente, dopo essere saltato
fuori dal
nulla. Doveva essere arrivato poco prima, quando Kaja si stava
già
allontanando. Sicuramente non aveva sentito la sua confessione, oppure
sarebbe
di sicuro corso a chiamare gli abitanti del villaggio per farlo
arrestare.
-
Fatti gli affari tuoi, moccioso. –
Sibilò
Sabo, lottando contro
l’istinto di lanciare il piccolo in acqua.
Il
bimbo sembrò non accorgersi del
tono furibondo e degli istinti omicidi del rivoluzionario o forse si
limitò a
non farci troppo caso. Il piccolo si sistemò meglio gli
occhiali sul naso, si
schiarì la voce e tornò a rivolgersi al ragazzo
più grande.
-
Kaja è una ragazza straordinaria.
Qualche anno fa ha perso i genitori ed stata quasi uccisa dal suo
maggiordomo.
L’hanno salvata dei pirati sgangherati ed un suo amico, un
ragazzo di questo
villaggio che diceva un sacco di bugie. –
Iniziò
a raccontare il bambino con la
voce velata di malinconia per gli orrori che aveva visto Kaja e per
quell’amico
che l’aveva aiutata e che poi era partito. Gli mancava il suo
capitano Usop,
specialmente quando ripensava alle storia che gli raccontava la sera
prima di
andare a letto.
-
Che fine ha fatto questo tizio? –
Chiese
Sabo, pensieroso.
-
Il suo sogno era diventare un
pirata, come suo padre, così ha seguito gli altri. Kaja ha
dato loro una nave
ed ha promesso che avrebbe aspettato il loro ritorno studiando per
diventare
medico. –
Continuò
il piccolo, sospirando. Il
rivoluzionario non rispose, ne si mosse.
-
Grazie per la chiaccherata.. –
Disse
alla fine Sabo, alzandosi e
stiracchiandosi.
-
Dove vai? -
Chiese
il bambino con gli occhi
sgranati per la curiosità.
-
Affari miei, moccioso. -
Sbuffò
il ragazzo, allontanandosi
velocemente prima che al piccolo venisse in mente di raggiungerlo. Le
parole
del bambino avevano fatto sentire Sabo ancora più in colpa
di quanto non si
sentisse già, tanto che aveva deciso di partire il prima
possibile. Aveva fatto
fin troppo male nel poco tempo che si era trattenuto in quel piccolo
villaggio.
Alla
fine lo sciocco era stato lui.
Aveva giudicato Kaja troppo in fretta senza chiedersi se quel sorriso
fosse la
conseguenza di una vita perfetta o piuttosto nascondesse terribili
orrori. Non
doveva essere stato facile per la ragazza tornare a fidarsi delle
persone e lui
aveva finito per rovinare tutto.
Sabo
notò un’ombra sfuggente che lo
seguiva, ma non ci fece troppo caso. Ormai si era abituato ad essere
perennemente seguito da quei terribili bambini, e gli abitanti del
villaggio
erano troppo presi dalla festa per pensare a lui.
-
Aspetta.. –
Disse
una voce alle sua spalle che
non apparteneva ai bambini che lo seguivano di solito.
-
Kaja? Mi spiace.. –
Sussultò
Sabo, stupito di vedere di
nuovo la ragazza. Nei suoi occhi brillava una luce nuova, decisa. Non
sorrideva,
ma non aveva nemmeno lo sguardo ferito di poco prima.
-
Sta zitto, va bene? Tu hai un
debito con me perché mi hai mentito, mi devi un favore.
–
Esclamò
Kaja, decisa a non farsi
interrompere. Malgrado quello che le aveva confessato Sabo, si fidava
ancora di
lui. Nelle sue parole non ci aveva letto la follia di un mostro quanto
la
preoccupazione di un fratello maggiore che prova in tutti i modi a
mettere in
guardia la sorellina testarda e decisa a prendere il mare nonostante
tutto.
- Quindi? –
Chiese
Sabo, curioso di scoprire le
intenzioni della ragazza.
-
Voglio prendere il mare, ritrovare
il mio amico Usop e diventare un grande medico e tu mi accompagnerai,
intesi? –
Esclamò
lei, fissando il
rivoluzionario negli occhi a mo’ di sfida.
-
Credo di si.. -
Rispose
Sabo, sorridendo. Nel volto
deciso della ragazzina il rivoluzionario vedeva un nuovo inizio. Forse
il senso
di colpa per la perdita dei suoi fratelli non si sarebbe mai placato ma
almeno
doveva provare a dare una svolta alla sua vita.
***
Rufy
fissava il mare, aspettando che
la nave delle amazzoni comparisse oltre la linea
dell’orizzonte. Per la prima
volta nella sua vita non era impaziente. Al contrario, una parte di lui
desiderava restare ad allenarsi ancora a lungo. Nonostante i due anni
passati,
gli incredibili progressi e la rinnovata voglia di seguire il suo
sogno, non si
sentiva ancora pronto. Fino a qualche settimana prima si era illuso di
avercela
fatta, ma era bastato che arrivasse l’ultimo giorno
perché le sue certezze
andassero definitivamente in frantumi.
-
Ehi, moccioso.. –
Chiamò
la voce dello spirito
dell’isola mentre lei compariva da un cespuglio, silenziosa e
discreta come suo
solito. Il ragazzo la guardò a lungo, colpito. Decisamente
si trattava di una
creatura pericolosa, era una fortuna che non avesse intenzione di
fargli del
male. Probabilmente non sarebbe riuscito a difendersi sai suoi
attacchi. La sua
forza non era umana, andava al di là delle
possibilità di chiunque.
-
Keira, ancora tu? -
Chiese
Rufy, sorridendo. Dopo il loro
primo incontro il ragazzo di gomma l’aveva intravista molte
altre volte ma non
ci aveva più parlato. Molte volte gli era parso che lei
stesse per venire da
lui, ma qualcosa sembrava sempre bloccarla. Lui non si era mai fatto
troppe
domande. Dopo tutto Rey lo aveva lasciato sull’isola per
diventare più forte ed
ogni cosa che lo distraeva dall’allenamento non lo aiutava di
certo. Ogni volta
che il sole tramontava Rufy si rendeva conto che il tempo che gli era
stato
concesso stava per finire e che di lì a poco avrebbe dovuto
riprendere a fare i
conti con il mondo intero per dimostrare se era abbastanza forte da
difendere
sia il suo sogno che i suoi compagni.
-
Sono passati sei mesi dal nostro
incontro.. -
Iniziò
lei, seria, quasi si fosse
preparata quel discorso nei minimi dettagli.
-
Quindi? –
Chiese
Rufy, ingenuamente. Keira
sospirò, quasi fosse rassegnata a quella conversazione.
Sapeva che i mostri che
avevano tenuto in ostaggio il cuore del ragazzo per quei due anni erano
ancora
tutti lì, ma era arrivato il momento di vincerli per tornare
dai suoi compagni.
Lei era l’unica che poteva aiutarlo, oppure il suo destino
non si sarebbe mai
compiuto. Se non fosse partito quel giorno, il suo futuro e quello dei
suoi
fratelli sarebbe cambiato.
-
Che uniti all’altro anno e mezzo
che hai passato qui fanno due anni. Non credi che sia ora di tornare?
–
Concluse
Keira, fissando seria il
ragazzo di gomma. Rufy sospirò, distogliendo lo sguardo.
-
Come sai tutto questo? Solo i miei
compagni potevano capire il messaggio. –
Esclamò
Rufy, stupito, quasi temendo
una risposta.
-
Io leggo nel cuore degli umani
anche senza il loro permesso. Vedo ogni cosa, i loro sentimenti, il
futuro ed
anche il passato. –
Spiegò
lei, con un sorriso enigmatico
dipinto sul volto. Per tutto il tempo che il ragazzo si era fermato
sull’isola
lei lo aveva osservato ed aveva letto il suo passato ed il suo futuro.
Rufy
sorrise ed abbassò la testa.
-
Sai ogni cosa di me, non è vero? –
Chiese
il ragazzo, divertito. Per
tutto quel tempo lei non gli aveva più parlato
perché non gli serviva. Keira
sapeva già tutto di lui nel momento stesso in cui era
arrivato in quel posto
selvaggio insieme a Rey.
-
Torna dai tuoi amici e continua il
tuo viaggio, cosa aspetti? –
Disse
Keira, distogliendo lo sguardo.
Era la prima volta che gli spiaceva vedere partire un umano. Ne aveva
visti
parecchi su quell’isola negli anni. Molti erano morti, altri
li aveva uccisi
lei. Pochi erano partiti e fino a quel momento non aveva mai sentito la
mancanza di nessuno di loro. Quello strano ragazzetto, tuttavia,
l’aveva
colpita. Non lo avrebbe mai dimenticato, ne era sicura.
-
Se hai visto il mio passato allora
conosci le mie paure.. –
Iniziò
Rufy, serio come mai era stato
in tutta la sua vita. Voleva davvero tornare dai suoi amici,
l’unica famiglia
che gli restava, ma allo stesso tempo aveva paura di non essere
all’altezza. Non
avrebbe sopportato di perderli di nuovo, per colpa della sua debolezza.
-
Credi che se rimarrai tutta la vita
su questa isola sperduta proteggerai i tuoi compagni? Loro si aspettano
di
vederti tornare.. Davvero li vuoi deludere? –
Chiese
Keira, tornando a fissarlo
negli occhi. Rufy sospirò e si lasciò cadere a
terra. Deludere i suoi compagni
era doloroso almeno quanto perderli.
-
Li ho già delusi. Ho promesso che
sarei stato il più forte e mi hanno sconfitto. Ho deluso
anche i miei
fratelli.. -
Mormorò
Rufy a testa bassa, le mani
strette intorno ad una foto sbiadita che ritraeva tre bambini,
sorridenti e
decisi. Keira sospirò, rassegnata.
-
Tipico di voi umani, piangervi
sempre addosso. Assurdo, davvero inspiegabile. Avanti, tieni e
sparisci. –
Esclamò
Keira, lanciando un ciondolo
al ragazzo di gomma. Si trattava di una pietra azzurra, molto semplice
eppure
allo stesso tempo misteriosa. In alcuni punti aveva delle venature
verdi, in
altri sembrava virare verso il marrone ed il nero.
-
Che cosa mi hai dato? –
Chiese
Rufy, studiando a lungo la
forma bizzarra della pietra.
-
Nel ciondolo è racchiusa l’essenza
di questa isola, portalo sempre con te. –
Rispose
Keira, solenne.
-
Perché? -
Chiese
ancora il ragazzo, curioso.
-
Gli spiriti hanno i loro segreti,
ricordi? –
Mormorò
Keira, sorridendo. Non poteva
svelare di più al ragazzo, ma era certa che il suo dono gli
sarebbe stato molto
utili in futuro.
-
Beh, allora grazie. Ho perso già
troppo tempo, dovrò sbrigarmi se voglio arrivare prima dei
miei compagni. –
Esclamò
Rufy, fissando la barca
appena comparsa che stava arrivando a prenderlo.
-
Fa con calma, Zoro è già arrivato. –
Mormorò
Keira, voltandosi per tornare
nella foresta.
-
Zoro? Ma si perde sempre.. –
Mormorò
Rufy, scuotendo la testa. Era
semplicemente impossibile che Zoro arrivasse per primo. Forse Nami,
oppure
Sanji e Usop, ma Zoro proprio no.
-
Il primo ufficiale arriva sempre
prima del suo capitano, per prendersi cura dei compagni in sua attesa.
-
Spiegò
Keira mentre il suo corpo
spariva dalla vista di Rufy, lasciandolo pieno di dubbi ma con la
certezza che
era finalmente tornato il solito ragazzo di gomma di sempre.
ANGOLO DELL'AUTRICE
Per prima cosa, grazie di
avere letto la mia storia fino a questo punto. Spero di non avere
deluso le vostre aspettative!
Kuruccha: grazie mille!
Sabo è la grande incognita di questa storia, nel senso che
non so bene nemmeno io se sia credibile o meno. Con Ace e Rufy
è decisamente più facile! Per quanto riguarda
Ace, niente paura, basta depressione. Ti assicuro che da ora
tornerà ad essere deciso e determinato! Spero che
questo capitolo ti sia piaciuto!
Tre_88: grazie mille!
Spero che ora sia tutto più chiaro, almeno per quanto
riguarda Ace. Se hai altri dubbi, esponili pure! Attualmente Nojiko non
ha ancora detto nulla di Nami ed Ace non gli ha detto che la conosce
per non turbarla. Della serie: "Si, tua sorella.. la navigratrice di
mio fratello morto" non è la frase migliore per iniziare una
conversazione! Ad ogni modo, almeno Rufy è tornato
quello di sempre.
Per quanto riguarda il
prologo, si, alla fine si incontreranno per davvero!
Raffa_chan: grazie mille!
prima che si incontrino credo che passerà ancora un po', ad
ogni modo hanno preso tutti e tre il mare.. è un inizio,
no?
Brando: grazie mille!
alla fine Ace ha capito chi è Nojiko, ma non gli dice di
conoscere Nami. Nel prossimo capitolo tornerà la ciurma,
contenta?
Akemichan: grazie mille!
Si, niente coppie. Non sono abbastanza romantica e sdolcinata per
gestire una coppia, figurarsi tre! no, non fa per me! Mi spiace che non
ti vada troppo giù Sabo, spero ad ogni modo che sia almeno
un minimo credibile.
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Capitolo 6 *** Il viaggio riprende ***
-
CAPITOLO 5 -
IL
VIAGGIO
RIPRENDE
-
Circa sei mesi dopo gli avvenimenti di Marineford -
Ace
alla fine aveva finito con il
riprendere la via del mare. Era stata una decisione difficile, ma era
conscio
che era il solo modo per uscire dal baratro di orrore, autodistruzione
ed
infinita tristezza in cui era caduto. Andare alla ricerca di Nami
voleva dire
riaprire vecchie ferite, certo, ma anche fare luce sulla sorte di suo
fratello
e mettere la parola fine su quel triste capitolo della sua vita. Dentro
la sua
testa una vocina insistente aveva ripreso a sussurrargli che forse Rufy
poteva
essere ancora vivo, ma lui non voleva crederci. Sarebbe stato troppo
doloroso
illudersi ancora per poi ritrovarsi con un pugno di mosche in mano. Un
altro
buon motivo per seguire le tracce di Nami era che lo doveva a sua
sorella. Dopo
il suo tentato suicidio, Nojiko si era presa cura di Ace senza
più perderlo di
vista neppure per un attimo. La sola idea che lui potesse tentare di
nuovo a
togliersi la vita la terrorizzava.
-
Come va?
Chiese Nojiko, comparendo
all’improvviso alle spalle di Ace come faceva
spesso.
Era
pomeriggio tardi, ma
non aveva ancora iniziato a fare veramente freddo. Il sole che stava
per
tramontare aveva colorato ogni cosa con dei colori sorprendenti, tanto
che era
davvero piacevole stare all’aria aperta.
-
Non credi sia una domanda stupida?
Mormorò lui, piano, per nulla
sorpreso.
L’aveva
sentita arrivare, nonostante lei avesse cercato di fare più
piano che poteva. La ragazza sospirò, sorridendo appena.
-
Non esattamente se la fai se il
pazzo con cui viaggi ha tentato il suicidio, si addormenta
all’improvviso ed è
pericolosamente appoggiato ad una balaustra pericolante.
Mormorò lei, portandosi al suo
fianco.
Ace
stava guardando dei gabbiani che disegnavano grossi cerchi nel
cielo. Erano partiti da poco tempo ma il ragazzo sapeva che Rogue Town
sarebbe
comparsa alla loro vista di lì a poco. Il pensiero di
trovarsi sull’isola dove
suo padre, quello biologico, era nato ed era morto lo agitava e lo
lasciava
indifferente allo stesso tempo. Non provava compassione o nostalgia per
il
destino di quell’uomo, solamente rabbia. Di tutti i lutti che
aveva dovuto
sopportare nella sua vita, quello per la morte di Gol D Roger era
l’unico a
lasciarlo del tutto indifferente.
-
Sei pessimista.
Dichiarò Ace, abbozzando un sorriso.
Parlare
con Nojiko la maggior parte delle volte gli faceva bene e gli faceva
scacciare i brutti pensieri. Ogni volta riusciva a cancellare tutte le
oscure
ombre prodotte dalla sua mente, compresa quella di suo padre.
-
Tu sei matto.
Sospirò la ragazza, scuotendo la
testa.
Per
quanto si sforzasse non riusciva ancora a capirlo, non sempre
almeno. Alle volte sembrava essere in un mondo tutto suo, altre rideva
e
scherzava come se niente fosse. Non le aveva mai detto per quale motivo
avesse
cercato di togliersi la vita, ne perché aveva accettato
così facilmente di
partire con lei, ma a Nojiko non importava. Temeva che parlarne avrebbe
potuto
in qualche modo peggiorare le cose e gettare lo sconosciuto nuovamente
nello
sconforto.
-
Perché viaggi con me?
Chiese Ace, fissando la ragazza
dritta negli occhi.
Tutto
il villaggio adorava Nami ed era in pena per lei.
Sarebbe bastato mostrare l’articolo a qualcuno per formare
una ciurma numerosa
pronta a partire, ma lei non lo aveva fatto. Aveva chiesto ad Ace di
andare con
lei e aveva fatto desistere tutti gli altri dal seguirli.
-
Non ho trovato di meglio..
Scherzò Nojiko, diventando
improvvisamente più seria.
Ace
sapeva che era il pensiero per la sorte della
sorella a preoccuparla così, ma sapeva anche che qualsiasi
parole sarebbe stata
superflua. Condividere le sue parole e le sue paure con lei avrebbe
solo
peggiorato il già fragile equilibrio della ragazza.
-
Ammettilo che ti sto simpatico,
anche se onestamente non capisco perché. Non credo di avere
fatto molto per
rendermi simpatico, anzi si direbbe il contrario.
Esclamò Ace, cercando di strappare un
sorriso alla ragazza che potesse distrarla dai pensieri che dovevano
frullarle
in testa.
Nojiko
lo guardò a lungo, studiando ogni tratto del suo volto, poi
scoppiò a ridere. La sua era una risata cristallina,
liberatoria. Ace ricambiò
il suo sguardo, perplesso ma felice che la ragazza stesse meglio.
-
Non lo so nemmeno io. Forse sono
solo pazza. Non so nemmeno il tuo nome..
Sospirò Nojiko, inclinando la testa
di lato.
Rispetto
alla prima volta che lo aveva visto era decisamente più
curato ma continuava a non essere il suo tipo. Lei aveva bisogno di un
tipo
tranquillo, non di una testa calda con evidenti problemi di umore.
-
Ho molti nomi, ma a quasi tutti
sono legati ricordi dolorosi.
Sbuffò Ace.
Era
la prima volta che
dava una spiegazione, seppur vaga, al suo rifiuto.
-
Se te ne dessi uno io?
Chiese Nojiko, sorprendendo Ace.
Si
era aspettato che lei cominciasse a fare molte domande sul suo passato,
invece
lei sembrava più interessata al presente e a quello che li
aspettava.
-
Puoi provare.
Sospirò Ace, alzando le spalle.
Nojiko
si voltò e se ne andò, sorridendo per quella
piccola vittoria.
Nelle
ultime settimane tuttavia,
nonostante la ragazza non avesse il coraggio di ammetterlo ad alta
voce, le
cose avevano iniziato ad andare meglio. Certo, non conosceva ancora il
nome del
suo silenzioso compagno di avventure, ne nulla di quel passato che lo
aveva
portato quasi alla follia, tuttavia ogni tanto lo sorprendeva ridere.
Una
risata cristallina, ingenua, che riempiva il cuore della ragazza. Ace
sapeva
che loro due avevano molto in comune, a partire dall’oggetto
delle loro
ricerche. Entrambi stavano cercando i propri fratelli, la stessa ciurma
di
pirati.
Qualche
ora dopo lo scambio di
battute sul ponte, i due stavano cenando in silenzio. Nojiko sembrava
lontana,
immersa in chissà quali pensieri, mentre Ace era
semplicemente troppo annoiato
per iniziare una conversazione. Di giorno era semplice non pensare ai
suoi
incubi, complice il mare, il sole e il volo dei gabbiani, ma di notte
tutto si
faceva scuro ed ostile. I fantasmi del suo passato comparivano davanti
a suoi
occhi, uno dopo l’altro, ed iniziavano a prendersi gioco di
lui e del suo
destino.
-
Ahanu. Potrebbe andare?
Chiese improvvisamente Nojiko,
rompendo quel silenzio così strano.
-
Prego?
Chiese a sua volta Ace, perplesso,
alzando di colpo la testa.
La
ragazza sospirò, appoggiò la forchetta e
lanciò
un’occhiata impaziente al compagno di viaggio.
-
Volevi che ti dessi un nome io. Che
ne pensi di Ahanu?
Spiegò pazientemente Nojiko.
Il
ragazzo ci rifletté un po’ su, poi alzò
le spalle.
-
Se piace a te, allora va bene.
Dichiarò alla fine, riprendendo a
mangiare.
Non
gli importava che nome gli avesse dato, l’essenziale era che
non
gli ricordasse nulla del suo triste passato. Ahanu non gli diceva
niente e
questo bastava a farne un nome che gli andava di portare.
-
Non vuoi nemmeno sapere che
significa?
Chiese Nojiko, infastidita dalla
reazione del compagno.
Non
si aspettava che facesse i salti di gioia, ma almeno
che condividesse con lei le sue sensazioni in proposito. Dopo tutto non
capita
certo tutti i giorni di sentirsi dare un nome.
-
Non credo sia davvero importante.
Disse Ace, pacato.
La
ragazza non
rispose, ma riprese a mangiare. Una volta vuotati i piatti li
ritirò in un
catino e li ripose in un angolo; ci avrebbe pensato il giorno dopo a
lavarli.
Solo dopo aver fatto questo si voltò, fissando attentamente
il volto distratto
dell’amico.
-
Colui-che-ride.
Scandì Nojiko, facendo sobbalzare Ace
dalla sedia.
-
Si può sapere che blateri,
ragazzina?
Chiese Ace, infastidito per essere
stato distolto bruscamente dai suoi pensieri.
-
Ahanu vuol dire Colui-che- ride.
Quando ero bambina avrei voluto un fratello da chiamare così.
Raccontò Nojiko, abbozzando un
sorriso.
Ace
rimase stupito da quelle parole, ma non disse nulla. Di colpo in
nome che la ragazza gli aveva dato prese un significato diverso,
ricordandogli
le corse nei prati, i combattimenti e le risate con i fratelli. Gli
ricordava
la parte migliore del suo passato, quella che aveva voluto a tutti
dimenticare
dopo la morte dei suoi fratelli.
-
Ahanu.. potrebbe piacermi, credo
che mi abituerò!
Esclamò Ace, scoppiando a ridere.
***
-
Un anno dopo gli avvenimenti di Marineford -
Da
quando aveva preso la via del mare
Kaja poteva dirsi felice, finalmente realizzata. Partire insieme a Sabo
alla
ricerca di Usop e di qualcuno che le insegnasse per davvero
l’arte della
medicina era stata forse la scelta più avventata che la
ragazza avesse mai
compiuto nella sua vita ma allo stesso tempo era anche la migliore.
Alla fine era
riuscita a mettere da parte le sue paure e trovare quel tanto di
coraggio che
bastava per andare verso l’avventura e l’ignoto.
Prima della sua partenza gli
abitanti del villaggio avevano manifestato chiaramente i loro dubbi:
Sabo era
un eroe, ma non sapevano nulla del suo passato. Kaja li aveva
rassicurati,
guardandosi bene dal raccontare che in realtà il ragazzo era
entrato nella sua
casa per derubarla e non per salvarla. Ad ogni modo, alla fine si era
dimostrato un tipo affidabile e con la testa sulle spalle.
L’unico neo era che lei
non sapeva quasi nulla di lui se quel poco che le aveva raccontato. Con
il
passare dei giorni e delle settimane l’umore del
rivoluzionario era decisamente
migliorato tanto che si erano trovati molte volte a ridere insieme,
quasi si
conoscessero da una vita intera. Per lo più parlavano di
lei, mai del passato
del ragazzo. Tutto quello che Sabo aveva raccontato di sé e
che una volta
faceva parte dell’armata Rivoluzionaria. Non aveva aggiunto
altro, ne sembrava
avere molta voglia di parlarne. Sembrava quasi che qualcosa lo
bloccasse,
rendendogli incredibilmente doloroso ripensare al suo passato. Quando
non si
trattava di parlare di sé tuttavia, Sabo era davvero buffo e
divertente. Molte
volte a Kaja sembrava di avere di fronte quel buffo ragazzino di gomma
con il
quale il suo amico Usop aveva preso il mare. La ragazza sapeva bene che
doveva
trattarsi di una somiglianza assurda, eppure non riusciva a togliersi
quella
strana idea dalla mente. Doveva
essere
per via del modo di fare e di ridere, unito a quella dolcezza e a
quell’altruismo con il quale il rivoluzionario la proteggeva
quando qualche
balordo li attaccava. Ogni volta si riprometteva di parlarne anche a
Sabo, ma
poi finiva sempre per dimenticarlo.
Una
mattina particolarmente calda,
Kaja si fermò ad osservare Sabo più a lungo del
solito mentre ripensava al
ragazzino con cui era salpato Usop. Era passato molto tempo, ma lei
ricordava
ancora chiaramente quel giorno. Era felice per il suo amico, certo, ma
anche
tanto triste all’idea di non trovarlo più
sull’albero di fronte alla sua
finestra a raccontarle qualcuna della sue buffe storie.
-
Che c’è?
Chiese il rivoluzionario, facendo
sobbalzare la sua compagna di viaggio.
Era
da un po’ che la fissava, persa nei
suoi pensieri, senza però trovare il coraggio di disturbarla.
-
Mi ricordi una persona.
Rispose Kaja, arrossendo
improvvisamente per la brutta figura appena fatta.
-
Un tuo amico?
Chiese Sabo, curioso.
Era
sempre
bello parlare del passato della ragazza, ogni volta scopriva qualche
dettaglio
di lei che lo lasciava senza parole.
-
Non esattamente. Era un pirata che
è passato per il villaggio tempo fa.
Spiegò meglio Kaja, giocherellando
con un bastoncino di legno.
-
Quello che ti ha salvata e che è
partito con il tuo amico?
Ipotizzò il rivoluzionario,
ripensando ai racconti dei bambini del villaggio ed a quelli che la
ragazza da
che viaggiavano insieme.
-
Si, proprio lui.
Disse lei, annuendo energicamente.
Ripensare
a quel pirata, sconosciuto e gentile, la metteva sempre di buon umore.
Se non
fosse stato per lui non sarebbe sopravvissuta, il villaggio avrebbe
fatto una
brutta fine e il suo amico Usop non sarebbe mai partito verso la
realizzazione
del suo sogno.
-
Raccontami qualcosa, avanti. Non
puoi dirmi che assomiglio a qualcuno e poi non raccontarmi nulla.
Sbuffò Sabo, più curioso che mai.
-
Non so molto di lui, davvero. Era
una persona buona, sorridente e che ispirava fiducia.
Spiegò Kaja, in difficoltà.
Non
sapeva perché gli ricordava quel ragazzo, era
così e basta.
-
Anche lui aveva cercato di
svaligiarti casa?
Chiese Sabo, strappando una risata
alla ragazza.
-
Scemo!
Sbottò lei, alzando gli occhi al
cielo.
-
Beh, se era un pirata non doveva
essere un tipo affidabile.
Commentò Sabo, pratico, facendo
riferimento alla sua conoscenza dei pirati.
Non
ne aveva incontrati molti nella
sua vita, ma tuttavia quei pochi gli erano bastati per fargli capire
che non si
trattava di gente affidabile. Il contrario di quello che sognava da
bambino,
quando giocava insieme ai suoi fratelli.
-
Lui era buono.
Ribatté Kaja, decisa a difendere il
pirata che le aveva salvato la vita.
-
Un pirata buono?
Chiese il rivoluzionario, perplesso.
Per
esperienza sapeva bene che non esistevano pirati buoni, solo pirati con
dei
principi morali che nella maggior parte delle volte non facevano nulla
senza un
qualche tornaconto personale.
-
Proprio così. Lui non derubava la
gente, la aiutava.
Spiegò lei, infastidita dal fatto che
il suo compagno di viaggio stesse mettendo in dubbio la buona fede di
quei
bravi ragazzi che le avevano salvato la vita senza pretendere nulla in
cambio.
Certo, alla fine aveva dato loro una nave, ma era sicura che non fosse
quello
il motivo per cui loro l’avessero salvata.
-
Lavorava per la marina in pratica.
Esclamò Sabo, ironico, pensando ai
pirati che componevano la Flotta dei
Sette.
Uomini
senza troppi scrupoli che
rispondevano alla marina e che erano legittimati a fare quello che
volevano
senza il rischio di incorrere in sanzioni o arresti.
-
No, anzi. Ora ha anche una taglia.
Continuò Kaja, sorridendo.
-
Se ha una taglia non può essere
tanto buono.
Mormorò Sabo, pensieroso.
Le
parole
della ragazza non avevano nessun senso. Dipingevano un ragazzo che
viveva di
ideali, senza pensare al proprio tornaconto e che tuttavia era
abbastanza forte
da andare contro la marina. In pratica, un pazzo.
-
Uffa, sei impossibile.
Dichiarò alla fine Kaja, lasciando il
rivoluzionario da solo sul ponte della nave.
***
-
Due anni dopo gli avvenimenti di Marineford -
Rufy
era ripartito insieme ai
compagni verso l’isola degli uomini pesce, conscio di essere
arrivato fino a
quel punto dopo infinite peregrinazioni dall’esito tutto fuor
che scontato; a
conti fatti tra ammiragli, membri della flotta dei sette, mostri marini
e
quant’altro ci avevano messo ben più di due anni a
superare quel breve tratto
di mare che li separava dalla seconda metà del loro viaggio.
Il solo ripensare
a quanti grattacapi si erano messi sulla loro strada faceva venire il
mal di
testa persino ad un tipo deciso come lui. Ad ogni modo, tutto questo
non era
più importante. L’unico pensiero che occupava la
mente di Rufy era proseguire
il suo viaggio e riuscire a realizzare almeno qualcuno dei suoi sogni.
Quelli
che gli restavano. In quei due anni le sue prospettive erano cambiate.
Voleva
ancora diventare Re dei Pirati, ma non era più il suo
pensiero principale. La
vita dei suoi compagni, la loro felicità e la loro sicurezza
venivano al primo
posto.
Non
vi era giorno che il ragazzino
non pensasse ai suoi due fratelli maggiori ed alla loro fine. Era molto
triste
pensare che gli uomini che gli avevano insegnato a vivere avevano
finito con il
lasciarlo solo, in balia di se stesso e della sua incoscienza. Quando
pensava a
loro, per lunghi istanti il volto di Rufy si faceva serio, fin troppo
per i
suoi compagni. Rimaneva così, immobile, fino a che qualcuno
non diceva qualcosa
di stupido e tutti scoppiavano a ridere, capitano compreso. Certi
giorni invece
ripensare ai fratelli e ai bei momenti passati con loro, scappando da
Dadan, da
Makino e dagli abitanti del villaggio a cui avevano rubato del cibo lo
faceva
ridere come un bambino. Rimaneva ore a fissare il mare, sorridendo e
parlando
da solo. I compagni lo spiavano da lontani, spiazzati dai suoi campi di
umore,
ma tutto sommato sollevati. Il sorriso di Rufy come al solito aveva il
potere
di fare tornare il buonumore a tutti quanti.
Quando
si erano ritrovati sulla nave,
dopo essere sfuggiti ai vari avversari ed avere finalmente preso il
largo, il
capitano aveva guardato uno ad uno i suoi compagni, cercando sui loro
visi i
segni delle esperienze che avevano fatto in quei due anni.
L’ultima volta che
li aveva visti erano spariti uno ad uno sotto i suoi occhi, urlando
spaventati
il suo nome. Ora erano lì, sorridenti, fieri e determinati.
Rufy scrutava ogni
segno o cicatrice che tradisse se quei due anni era stati bellissimi
oppure
lunghissimi. C’era Zoro che era arrivato per primo al punto
di incontro grazie
a Perona, proprio come aveva predetto Keira. Il suo viso era segnato da
una
cicatrice nuova, ma per il resto era sempre il solito. Silenzioso ed
imperturbabile ma sempre pronto a iniziare a discutere con il cuoco.
Non disse
nulla quanto si trovò nuovamente al fianco del suo capitano,
si limitò a
sguainare le sue spade e a ingaggiare una lotta furiosa con i marine
che
avevano attaccato Rufy. Con lo spadaccino al suo fianco il capitano di
gomma si
sentì di nuovo bene, completo. Il suo braccio destro era
ancora lì, pronto a
sostenerlo. Nulla era cambiato nel loro rapporto in quei due anni.
Anche Sanji
non era cambiato per nulla, tranne per il suo ciuffo. Nonostante lui
non gli
desse peso, Rufy insisteva nel dire che si trattava di un cambiamento
epocale e
che ora appariva un uomo nuovo. Il biondo fissò perplesso il
suo capitano,
fermandosi a soppesare quelle parole a lungo, per poi scrollare le
spalle e
accendersi l’ennesima sigaretta sbuffando. Fumava meno, ma
era lo stesso troppo
per Chopper che aveva ripreso ad insistere perché smettesse.
La piccola renna
non era cambiata per niente, esattamente come Brook. Quei due anni
dovevano
essere stati molto dolorosi soprattutto per loro due. Il cuore di Rufy
si
stringeva quando ripensava all’inferno patito dallo scheletro
e dalla renna, abbandonati
per una seconda volta dal ragazzo che aveva giurato che sarebbe stato
la sua
famiglia. Il capitano sapeva che forse li aveva delusi, ma cercava di
non
pensarci troppo. Ora era lì con loro, questa volta non
avrebbe permesso a
nessuno di attaccarli o ferirli. Sarebbe stato irremovibile e
imbattibile. Il
buffo cappello di Brook ricordò a Rufy che ora lo scheletro
era una star della
musica, anche se in fondo restava lo stesso pervertito di sempre. Nami
e Robin
erano diventate ancora più belle e femminili, tanto che il
ragazzo di gomma si
stupì che fossero riuscite a tornare senza che qualcuno le
rapisse, le portasse
via o le implorasse di entrare nella sua ciurma. La navigatrice aveva
un piglio
deciso, arrabbiato, ma il suo sguardo si addolcì non appena
si posò sul suo
capitano. Per quanto non condividesse molte delle scelte che lui aveva
fatto,
era felice che si fossero ritrovati. Robin era misteriosa come sempre,
ma
guardava il suo capitano con occhi nuovi. In mezzo ai Rivoluzionari
aveva
scoperto molte cose su Rufy, sulla sua famiglia e su quello che aveva
passato
in quei due anni. Queste informazioni le avevano dato una
consapevolezza nuova
ed era più che mai decisa a seguirlo fino alla fine del
mondo. Franky se ne
stava un po’ in disparte, silenzioso, ostentando la sua aria
da duro e il suo
nuovo aspetto. Era felice di vederli, forse più tardi
avrebbe persino pianto,
ma per il momento non tradiva alcuna emozione. Aveva pulito la Sunny
dalla poppa alla
prua, lucidando ogni pomello, balaustra ed asse della nave
perché fosse al
meglio per il loro nuovo viaggio verso l’ignoto.
Dopo
aver guardato i compagni senza
dire nulla Rufy guardò se stesso, quasi fosse davanti ad uno
specchio. Riusciva
a vedere la sua immagine riflessa negli sguardi curiosi e pieni di
aspettative
dei suoi compagni. Aveva nuove cicatrici e lo sguardo di un ragazzino
che è
stato costretto a crescere troppo in fretta, ma tutto sommato era
felice. Di
fronte a sé aveva la sua ciurma, quella che a poco a poco
era diventata la sua
famiglia. Li guardò nuovamente, prima
nell’insieme, poi soffermandosi su ognuno
di loro per qualche istante.
Erano
ancora i suoi compagni?
Credevano ancora il lui?
La
risposta non tardò ad arrivare,
soltanto qualche ora più tardi. Il ragazzo di gomma se ne
stava sdraiato sulla
polena della nave, fissando il mare. Gli era mancata quella particolare
postazione di osservazione dalla quale riusciva a controllare che ogni
cosa
funzionasse come doveva.
-
Capitano..
Chiamò Usop, emozionato, correndo via
verso la sala da pranzo avvolta nell’oscurità
senza aggiungere altro. Il
capitano, curioso, si alzò deciso a scoprire che diamine
stesse combinando il
suo cecchino.
-
Che succede?
Chiese Rufy fissando confuso il punto
in cui l’amico era sparito prima di seguirlo
sottocoperta.
Una
volta entrato si
ritrovò immerso nei ricordi di tutte le conversazioni, le
litigate e le
decisioni che erano state prese lì dentro. La stanza era
senza dubbio la stessa
di due anni prima, solo più buia e silenziosa di quanto
fosse mai stata in
precedenza. Il tavolo era apparecchiato di tutto punto, in attesa che
qualcuno
si sedesse per consumare di nuovo un pasto. Improvvisamente le luci si
accesero, rivelando una lunga serie di prelibatezze, bevande a
volontà, un
sacco di decorazioni e i suoi compagni sorridenti.
-
Festa!
Esclamò Brook, iniziando a suonare
una delle melodie che aveva scritto pensando ai compagni e al giorno in
cui
avrebbe finalmente potuto suonarle per loro.
Usop,
Franky e Chopper non se lo
fecero ripetere due volte. Alla prima nota si erano già
lanciati in balli
scatenati, coinvolgendo anche Nami e Robin. Persino Zoro e Sanji
lasciarono
perdere il loro solito contegno e si unirono ai festeggiamenti. Non
avevano
ancora compiuto nessuna impresa straordinaria da che il loro viaggio
era
ripreso, ma si erano ritrovati. Nessuno aveva mancato di rispondere
alla
chiamata.
Guardando
i suoi amici ridere,
scherzare e ballare Rufy aveva sentito gli occhi riempirsi di lacrime,
ma le
aveva coraggiosamente ricacciate indietro. Non era tempo di piangere,
ne di
darsi del fallito. I suoi compagni erano ancora lì, erano
tornati da lui. Il
viaggio era ricominciato, la vita andava avanti.
La
mattina dopo la festa tutti quanti
si svegliarono di soprassalto a causa di tremende urla. Il fastidio
iniziale
causato da tutto quel baccano fu presto spazzato via dalla
consapevolezza di
essere sulla Sunny, insieme dopo due lunghi anni. Nulla poteva
cancellare il
sorriso dai loro volti, nemmeno le poche ore di sonno, la fame ed il
mal di
testa che affliggeva tutti i presenti.
-
Per l’ultima volta, arrangiati.
Scandì Zoro, ancora troppo
addormentato per brandire a dovere una delle sue tre spade ma fin
troppo
sveglio per litigare con Sanji.
-
Non ho chiesto il tuo parere,
idiota!
Sbuffò Sanji, minacciando il compagno
con una grossa padella unta di olio che era rimasta sui fornelli dalla
festa
della sera prima.
Lo
spadaccino evitò abbastanza facilmente il colpo, storcendo
la bocca in una smorfia di disgusto.
-
Allora sta zitto e non
importunarmi.
Ribatté Zoro, infastidito, mettendo
il broncio.
Si
era svegliato circa un ora prima, ancora intontito dalla festa
della sera prima. Gli altri dormivano ancora della grossa e per non
svegliarsi
aveva deciso di uscire sul ponte, godendosi la brezza del mattino in
santa
pace. Allenarsi era fuori discussione, aveva talmente sonno che sarebbe
finito
in acqua senza rendersene conto. Tutto quel baccano era iniziato
soltanto
qualche minuto prima, quando anche il cuoco si era svegliato e gli
aveva
intimato senza troppi giri di parole di aiutarlo a sistemare il
disastro che
era rimasto dalla festa della sera prima. La risposta dello spadaccino
era
stata secca: arrangiati. Da lì era iniziato il caos che
aveva finito per
svegliare tutti quanti.
-
Ho il mal di testa, avete tre
secondi per stare zitti. Tutti e due.
Sibilò Nami, furiosa.
Quei
due erano
incredibili, erano talmente incompatibili da litigare in ogni
occasione, ma
anche questo in fondo era piacevole. Si trattava di un segno
inequivocabile che
tutto era tornato come prima, liti comprese. In passato i due avevano
toccato
in fondo una notte, quando i compagni li avevano sorpresi a litigare
nel sonno:
entrambi erano addormentati e sognavano, ma nel frattempo non si
risparmiavano
insulti, calci e schiaffi. Quella volta erano davvero andati vicini a
farsi
male sul serio, rischiando di coinvolgere anche gli altri nella rissa.
-
Certo luce dei miei occhi.
Gongolò il cuoco, osservando ammirato
la perfezione della sua adorata navigatrice.
Era
bellissima persino appena
sveglia, con gli occhi ancora gonfi dal sonno. Dopo due anni passati
insieme ad
un gruppo di forzutissimi ed insistenti omoni travestiti da donna
vedere una
figura così perfetta e femminile era un sogno.
-
La colazione è pronta?
Chiese Usop, affamato, ignorando gli
sguardi in cagnesco che si scambiavano Sanji e Zoro.
-
Mi sono alzato cinque minuti da, se
hai tutta questa fame arrangiati.
Sbuffò Sanji, seccato, accendendosi
la prima di quella che prometteva essere una lunga serie di
sigarette.
Non
solo
Zoro non collaborava, ma nessuno sembrava prendere sul serio le sue
proteste.
In poche parole, i suoi compagni nonostante i due anni passati erano
rimasti i
soliti ingrati.
-
Che razza di cuoco sei?
Chiese Zoro, scuotendo la testa e sbadigliando
rumorosamente.
-
Sta zitto, testa di muschio. Se
invece di alzare la voce e svegliare Nami mi avresti dato retta, la
colazione
sarebbe pronta.
Ringhiò il biondo, completamente
fuori di sé.
Certo,
la cucina così come la cambusa e le provviste erano una sua
responsabilità, ma un aiuto con i piatti una volta tanto non
sarebbe stato un
disonore ma solamente una dimostrazione di collaborazione e
civiltà.
-
Chiamami quando hai fatto..
Mormorò Usop, alzando le spalle e
voltandosi a guardare il mare.
Nonostante
la leggera brezza era piatto come una
tavola, perfetto per pescare qualcosa di prelibato con cui riempire
l’acquario.
-
Fermo lì! Nessuno si muove fino a
che non mi date una mano a sistemare questo disastro.
Precisò Sanji, gli occhi che ormai
mandavano fiamme.
Ormai
non era più una richiesta garbata ma una questione di
principio: dovevano aiutarlo, oppure avrebbero dovuto risponderne a lui.
-
Stai scherzando?
Chiese Nami, bella e terribile come
suo solito, con le braccia appoggiate ai fianchi e un piede che batteva
isterico ed insistente.
Sanji
si volto verso di lei, bastò una semplice
occhiata perché il suo battito accelerasse e la sua testa
iniziasse a
vorticare.
-
Luce dei miei occhi, non c’è
bisogno che tu e Robin roviniate le vostre belle mani. Andate pure,
faremo noi.
Gongolò il cuoco, ignorando gli
effetti che quelle parole avrebbero portato sui compagni.
-
Sei sicuro?
Chiese Robin, preoccupata,
sporgendosi per dare un’occhiata al disastro che era rimasto
dalla festa della
notte precedente.
La
loro nave non era mai stata particolarmente ordinata, ma
questa volta la sala da pranzo era conciata peggio del solito. Nemmeno
se
avessero combattuto una feroce battaglia a bordo avrebbero potuto fare
peggio
di così.
-
Certo bellissima Robin. Facciamo in
un baleno, così potremo fare colazione.
Pigolò Sanji, gongolando, pregustando
l’istante in cui avrebbe servito le sue pietanze alle sue due
principesse ed
ignorando le occhiate furbe che si scambiavano gli altri componenti
della
ciurma mentre lui era distratto.
-
Idiota.
Sbuffò Zoro a mezza voce, abbastanza
forte perché il biondo lo sentisse chiaramente.
-
Vuoi litigare?
Chiese Sanji, più che mai irritato
per la scarsa, anzi nulla, collaborazione dei compagni.
-
No, ma visto che non hai bisogno di
Nami e Robin allora non hai bisogno nemmeno di me.
Concluse lo spadaccino con toni
pacati, allontanandosi prima che Sanji riuscisse a realizzare la frase
ed
elaborare una risposta.
Il
biondo rimase immobile con la sigaretta appoggiata
alle labbra che si consumava da sola. Lo avevano fregato. Anzi, a dire
il vero
si era addirittura fregato da solo.
-
La penso come lui.
Dichiarò Franky, grattandosi la
testa.
-
Anche io.
Si unì Brook, complice.
-
Ma ragazzi..
Protestò Sanji, guardando i compagni
unirsi e fare fronte comune contro di lui.
-
Vieni Chopper, andiamo a pescare.
Franky?
Propose Usop, con le canne da pesca
già pronte nelle sue mani.
-
Arrivo.
Rispose il cyborg, eccitato all’idea
di rilassarsi un po’ insieme agli amici.
-
Fantastico, siamo alle solite.
Borbottò Sanji, parlando più a se
stesso che a qualcuno in particolare.
Alla
fine ognuno aveva trovato da fare e
lui era rimasto solo con i piatti, le pentole e la colazione da
preparare.
-
Non prendertela, a loro piace
scherzare.
Rispose Rufy, cogliendo di sorpresa
l’amico che si voltò di scatto.
-
Rufy?
Si stupì Sanji, fissando incredulo il
capitano.
Di
solito il ragazzo di gomma era sempre il primo a svegliarsi,
piombare in cucina e pretendere che il biondino preparasse qualcosa per
lui.
Normalmente era anche il primo a svignarsela con Usop quando il cuoco
cercava
volontari per aiutarlo in cucina. Trovarselo davanti era una vera
sorpresa.
-
Non sono bravo a lavare i piatti,
li rompo sempre.. però posso sparecchiare.
Il cuoco continuò a fissare Rufy per
un po’, immobile.
Era
l’ultima persona da cui si aspettava collaborazione,
eppure era lì. Sorrideva come suo solito, quasi non
risentisse degli effetti dei
festeggiamenti della notte precedente.
-
Grazie.
Mormorò Sanji, arrotolando le maniche
per cominciare a lavare i piatti.
-
Faccio solo il mio dovere.
Rispose il capitano.
L’altro
non
poteva vederlo, ma era sicuro che stesse sorridendo. In quei due anni,
semi
abbandonato su un’isola praticamente deserta, il ragazzo di
gomma aveva dovuto
imparare ad arrangiarsi. Non c’era più Sanji,
Makino o altri a preparargli il
pranzo e la cena. Rey era stato chiarissimo: anche se siamo insieme,
dovrai
arrangiarti. Questo voleva dire trovare del cibo, assicurarsi che fosse
commestibile e cucinarlo in qualche modo. Dopo vari tentativi
disastrosi Rufy
aveva cominciato a diventare bravo, ma non vi era giorno che non
ripensasse ai
manicaretti di Sanji o a quanto fosse tutto più semplice
insieme ai suoi
compagni. Solo allora aveva imparato veramente quanto fosse essenziale
un cuoco
a bordo, quanto fosse stato fortunato a trovare Sanji e soprattutto
quanto era
sempre stato egoista a lasciare che facesse tutto lui senza offrirsi
mai di
aiutarlo.
-
No, fai di più. Tu fai sempre di
più.
Rispose Sanji, assorto.
Quel
gesto,
per quanto piccolo e insignificante fosse, aveva ricordato al cuoco
quanto Rufy
tenesse a loro. Ogni sua decisione, per quanto poco assennata
sembrasse, teneva
sempre in conto la loro sicurezza e la loro felicità. Quando
tutti lo avevano
lasciato solo con i piatti, il capitano era rimasto. Quando i nemici li
minacciavano e avevano bisogno di una mano, lui c’era. Non vi
era mai stato
giorno in quei due lunghissimi anni in Sanji cui non aveva pensato a
lui, a
quanto il capitano avesse fatto per loro e a come loro non fossero
stati in
grado di stargli accanto quando dovevano. Era preoccupato, dopo tutto
le
notizie sul giornale non erano certo confortanti, ma più che
altro era
determinato. Voleva diventare più forte, essere il braccio
sinistro che ancora
Rufy non aveva designato. Sapeva che il ruolo di vice capitano era
sempre stato
di Zoro, eppure lui non voleva essere da meno.
-
Ti sei mai pentito di avere
lasciato il Baratie per venire con me?
Chiese Rufy improvvisamente,
interrompendo il flusso dei pensieri dell’amico.
Il
suo tono era serio, ma
tradiva una punta di insicurezza che il cuoco non aveva mai sentito
nella voce
del suo spensierato capitano di gomma. Sanji si bloccò per
qualche istante,
stupito dalla domanda ma certo di quale fosse la sua risposta.
-
Mai. Sono orgoglioso di fare parte
della tua ciurma, capitano.
Disse il biondino, deciso.
Rufy
abbozzò un sorriso, rassicurato.
-
Come sono andati questi anni,
Sanji?
Chiese ancora il capitano, voltandosi
a guardare l’amico.
La
sera prima Usop aveva raccontato loro nei dettagli le
sue avventure, con tanto di balli e di canti che aveva composto lui
stesso.
Nessuno sapeva quanto di vero ci fosse nei suoi racconti, ma li avevano
ascoltati volentieri. Solo il capitano ad un certo punto era sparito,
prima che
il cecchino terminasse il suo racconto. Rufy sapeva che tutti erano
impazienti
di sapere cosa avesse fatto lui, ma non si sentiva pronto a dividere
quelle esperienze
con loro. Voleva dimenticarle, non riviverle ancora.
-
Sono stati durissimi e terribili,
ma sono diventato più forte. Tu, invece?
Disse Sanji, fiero di poter affermare
di avere battuto ognuno degli avversari che gli si erano parati
davanti. Rufy
non rispose subito, ma sembrò quasi esitare.
-
È stato uno spasso, davvero. Rey è
troppo simpatico. Questi due anni sono passati in un baleno.
Esclamò alla fine, sorridendo.
Sanji
lo guardò appena, giusto un istante. Lo conosceva abbastanza
per sapere che stava
mentendo. Il suo sorriso, persino il suo entusiasmo non erano gli
stessi della
sera prima quando si erano rincontrati. C’era qualcosa in
quei due anni che il
ragazzo di gomma non voleva dividere con i compagni, forse per non
rattristarli
o forse perché non era ancora pronto. Ad ogni modo, Sanji
non si diede per
vinto.
-
Che mi dici della cicatrice?
Chiese ancora il cuoco, indicando
appena il grosso segno che gli deturpava l’addome.
Era
stata la prima cosa che
aveva notato quando si era trovato davanti l’amico, ma non
aveva fatto domande.
Nessuno di loro lo aveva fatto, si erano limitati a salutarlo ed
abbracciarlo.
-
Non ci pensare, è solo un
graffietto.
Lo rassicurò Rufy, accarezzandosi
appena la grossa cicatrice.
Nel
farlo la sua mano incontrò il medaglione che
gli aveva dato Keira. Ancora una volta il ragazzo si chiese cosa fosse,
ma
decise di non dargli peso. A tempo debito avrebbe avuto tutte le
risposte.
-
Allora, questa colazione?
Chiese Zoro, buttando la testa nella
stanza con un aria seccata.
-
Se tu ci dessi una mano finiremmo
molto prima, ma il grande Zoro non si sporca le mani per aiutare i
compagni con
le faccende di tutti i giorni..
Protestò Sanji, alzando gli occhi al
soffitto, troppo impegnato con i piatti e con i misteri del suo
capitano per
riuscire ad essere veramente cattivo.
In
fondo lo spadaccino gli era mancato in
quei due anni. Alle volte, tra un combattimento e l’altro, si
trovava a pensare
anche a lui. In alcune occasioni aveva anche fatto appello ai suoi
insegnamenti
in fatto di onore e determinazione per riuscire a vincere.
-
Rufy? Che fai?
Chiese Zoro, sorprendendosi di
trovare lì il suo capitano.
In
cucina di solito il ragazzo di gomma ci andava
solo per mangiare, non certo per aiutare. O meglio, lo faceva solo se
costretto
e alla prima occasione fuggiva a pescare con Usop, Franky e Chopper.
-
Aiuto Sanji, così mangiamo prima!
Rispose Rufy, allegro.
Zoro
si
immobilizzò per un attimo, poi si avvicinò al
cuoco.
-
Che devo fare?
Chiese lo spadaccino, senza il solito
tono strafottente che di solito usava per rivolgersi a Sanji.
Il
biondo si
stupì di quell’improvviso cambio di opinione, ma
decise di non essere cattivo.
In fondo Zoro era un bravo ragazzo. Un po’ ottuso, certo, ma
fedele al suo
capitano al punto di decidere di dare una mano anche senza che gli
venisse
ordinato.
-
Ti sei deciso quindi.. bene,
finisci di lavare i piatti mentre io vado in cambusa.
Disse Sanji, asciugandosi le mani e
lasciando Zoro e Rufy alle prese con quello che rimaneva dei
piatti.
Il
biondo
aveva provveduto a lavare per prima le cose delicate, in modo che quei
due
babbei non potessero fare troppi danni una volta lasciati soli.
Per
un po’ i due rimasero in
silenzio. Era evidente che entrambi avevano molte domande da fare, ma
nessuno
dei due si decideva ad aprire bocca. Nella loro amicizia parlare era
una cosa
inutile, riservata solo alle grandi occasioni oppure ai momenti
cruciali della
battaglia.
-
Ti sei allenato con Perona?
Si decise alla fine a chiedere Rufy,
curioso.
Era
stato Sanji la sera prima a dire che lo spadaccino era riuscito ad
arrivare per primo al punto di incontro solo grazie a lei.
-
No, con l’uomo dagli occhi di
falco.
Rispose lo spadaccino, pacato, sorprendendo
il proprio capitano che si voltò a guardarlo perplesso.
-
Credevo volessi batterlo, non
diventare suo allievo.
Commentò il ragazzo di gomma,
stupito.
Zoro
si lasciò scappare un sorriso. Sapeva che una volta tornato
alla
Sunny Rufy, Sanji o qualcuno degli altri avrebbe detto una cosa del
genere. Era
preparato a rispondere a quella domanda dallo stesso momento in cui
aveva
chiesto al suo nemico di aiutarlo ed allenarlo.
-
La famiglia è più importante
dell’orgoglio. Avrò tempo per diventare il
più forte, ora voglio solo essere
abbastanza forte da essere al tuo fianco nel momento del bisogno.
Spiegò
Zoro, guardando negli occhi
l’amico perché non fraintendesse le sue
parole.
Non
si era allenato così a
lungo perché non credeva in lui, al contrario, voleva essere
degno di poter
restare al suo fianco fino alla fine, conservando il suo titolo di
vice. Non
avrebbe permesso a Sanji di portaglielo via, ne a Nami o agli altri.
Lui era
arrivato primo, al punto di incontro così come nella ciurma,
ed era il braccio
destro di Cappello di Paglia, punto. Era sempre stato così e
le cose non
sarebbe certo cambiate.
-
Grazie, senza un vice capitano come
te il mio viaggio sarebbe finito tanto tempo fa.
Mormorò Rufy, abbassando gli occhi
perché lo spadaccino non notasse la tristezza che vi
albergava.
Era
fiero di
avere dei compagni così forti e decisi, ma allo stesso tempo
aveva paura di non
meritarli o di non essere in grado di difenderli nonostante le sue
buone
intenzioni e la sua determinazione. Due anni prima non era bastato.
-
Non è vero, lo sai. Io sono forte,
certo, ma è il tuo buon umore e la tua testardaggine che ci
tiene uniti. Senza
contare che non sono stato io a stendere il tizio con il piccione, o
Arlong e
nemmeno Crocodile.
Lo corresse Zoro, serio.
Rufy
si
immobilizzò per un momento, alzando lo sguardo ad incontrare
quello del
compagno.
-
Credi che io sia ancora all’altezza
di essere il vostro capitano?
Chiese Rufy, dando fiato al dubbio
che lo tormentava da quasi due anni.
Zoro
si irrigidì, stupito da quella
domanda che improvvisamente gli permise di capire quanto era grande
l’affetto
che il capitano provava per loro. Certo, lui era sempre pronto ad
aiutare
tutti, ma per i suoi compagni provava un affetto quasi viscerale che lo
aveva
portato ad accantonare le sue tristezze e le sue paure per essere un
capitano
forte, un ancora alla quale i suoi amici potevano fare affidamento.
-
Perché non dovresti?
Chiese lo spadaccino, senza tradire
la minima emozione nella voce.
-
Mi sono lasciato sconfiggere, ho
permesso che vi spedisse lontano e non sono riuscito a salvare mio
fratello. Ho
passato due anni ad allenarmi, convinto che se fossi diventato
più forte avrei
smesso di sentirmi un fallito..
Rispose Rufy, senza prendere fiato.
Zoro
lo ascoltava, il silenzio. Per la prima volta il capitano messo da
parte
il suo perenne sorriso e aveva condiviso con qualcuno parte dei suoi
timori
rilevando come dietro la sua inesauribile forza si nascondesse un
ragazzino
sperduto e insicuro. Non lo aveva fatto perché tenesse a
Zoro più che agli
altri, ma solo perché sapeva che con lui non c’era
bisogno di sorridere per
forza. Lo spadaccino lo capiva anche quando era stanco, debole o
irritato.
-
Vedi questa cicatrice? Ricordi
quando me la sono fatta..
Iniziò Zoro, scoprendosi il petto e
rivelando la grossa cicatrice che gli aveva lasciato l’Uomo
dagli Occhi di
Falco tanto tempo prima, quando si erano incontrati per la prima volta
nel mare
Orientale.
-
Certo.
Rispose Rufy, confuso e pensieroso.
Ricordava
bene quel momento. In quei terribili attimi sembrava quasi che il
tempo si fosse fermato o quanto meno avesse rallentato bruscamente.
Vedeva Zoro
che stava per essere colpito, accusare il colpo e cadere in acqua ma
non
riusciva a fare nulla per aiutarlo. Il suo primo compagno era caduto
sotto i
suoi occhi, senza che lui avesse potuto aiutarlo. Solo quando Usop gli
aveva
assicurato che lo spadaccino stava bene si era permesso di riprendere a
respirare, non prima.
-
La cicatrice che ti solca il petto
è un po’ come la mia.
Continuò Zoro, pacato.
Rufy
lo
ascoltava, rapito e confuso. Il ragazzo di gomma aveva sempre pensato
che lui e
lo spadaccino fossero molto simili, ma non aveva mai pensato di poter
paragonare anche le cicatrici che portavano addosso.
-
Non se ne andrà mai, resterà lì per
sempre a ricordarti che quel giorno sei stato debole ma che un giorno
avrai la
tua occasione per riscattarti. Fino ad allora dovrai allenarti, proprio
come
faccio io. Una cicatrice non è un disonore per un guerriero,
è solo il simbolo
del suo coraggio e della sua determinazione a non arrendersi di fronte
ad un
nemico.
Concluse Zoro, parlando più di quanto
avesse mai fatto in vita sua.
-
Basta parlare, muoviti con quei
piatti.
Sbuffò Nami, sulla porta.
Rufy
sussultò e si voltò verso la navigatrice,
sorpreso di trovarla lì. Non disse nulla,
si limitò a sorridere e a lanciare uno sguardo di
ringraziamento a Zoro. Non
serviva altro, lo sapeva bene.
La
ragazza aveva sentito tutto il
discorso, ma non decise di non dire nulla in proposito. Era una
conversazione
troppo privata e a dir poco surreale quella che aveva sentito tra il
capitano
ed il suo vice.
-
Ci mancava solo la mocciosa a dare
ordini, come se non bastasse il damerino.
Sbuffò Zoro, fingendosi infastidito.
In
quei due anni lo spadaccino non aveva solo migliorato la sua tecnica ma
aveva
anche imparato che nella vita non esiste solo il combattimento e la
lotta.
Quello che gli era mancato di più non era
l’avventura ma la vita quotidiana
fatta di incomprensioni, confusione, faccende domestiche, rumore,
discussioni e
screzi. Era tutto ciò che dava un senso alla lotta e li
spingeva a combattere
come fratelli, pronti a dare la vita per difendersi l’un
l’altro.
-
Dove è finito, Sanji?
Chiese Nami, guardandosi intorno,
stranita che il biondo non si fosse ancora precipitato da lei per farle
la corte.
-
In cambusa.
Rispose Rufy, togliendo le ultime
cose dal tavolo.
-
Rufy, posso parlarti?
Chiese ancora la ragazza, abbassando
lo sguardo.
Zoro
alzò lo sguardo per un momento, poi tornò a
dedicare tutte le
sue attenzioni ai piatti che stava lavando. Se ne avesse rotto qualcuno
Sanji
avrebbe cominciato a fare un sacco di storie, annoiandolo a morte.
Rufy
sembrava confuso ma seguì
l’amica sul ponte, lontano dalle orecchie dei compagni.
-
Che c’è?
Chiese Rufy, cercando di indovinare
cosa stava passando per la mente della ragazza.
-
Ero preoccupata. Ho passato due
anni ad odiarti, a maledirti ed a essere preoccupata per te. Alla fine
tu
sbuchi con quella cicatrice, non dici nulla, aiuti Sanji e non fai il
cretino.
Esclamò Nami, isterica ed indignata.
La
reazione del capitano alle sue parole la lasciò di sasso. La
ragazza di
aspettava che Rufy scoppiasse a ridere, magari dicendo una cavolata
delle sue,
ma così non fu. Il ragazzo di gomma rimase incredibilmente
serio, sostenendo lo
sguardo di Nami, poi lo abbassò e parlò a bassa
voce.
-
Perdonami, non ho mantenuto la mia
promessa.
Disse Rufy.
La
ragazza lo fissò a
lungo, chiedendosi se il suo capitano fosse cresciuto così
tanto in quei due
anni o se era stata lei a non accorgersi mai di quanto fosse maturo.
-
Quale?
Chiese la navigatrice, confusa.
-
Non mi sono preso cura di te, ti ho
fatta piangere..
Rispose Rufy, sorridendo mesto.
-
Sei diventato grande, Cappello di
Paglia?
Chiese Nami, inclinando leggermente
la testa di lato.
-
No, non credo.. forse solo un
pochino..
Esclamò Rufy, scoppiando a ridere.
-
Meno male!
Sospirò Nami, più sollevata.
Quando
Rufy sorrideva era impossibile non provare un immediato senso di
sicurezza e di
protezione. Era tornato. Il suo capitano aveva dovuto affrontare
l’inferno da
solo, senza che loro potessero sostenerlo, ma alla fine era riuscito a
tornare
da loro.
-
LA
COLAZIONE!
Chiamò Sanji, mettendo fine alla
conversazione prima che cominciasse a farsi troppo intima ed
imbarazzante per
entrambi.
-
Andiamo, veloci, prima che Brook ci
mangi tutto!
Scherzò Rufy prendendo Nami per un
braccio e lanciandosi nella sala da pranzo con la sua consueta poca
grazia.
ANGOLO
DELL'AUTRICE
Eccomi
di nuovo qui, con un nuovo e lungo capitolo per farmi perdonare la
lunga sparizione. Ho seguito il suggerimento di alcuni di voi e ho
inserito dei riferimenti temporali per rendervi tutto più
semplice.
Che
altro dire, BUONA LETTURA!
Tre
88: per prima cosa, grazie per i complimenti. immagino che sarai stata
felice di apprendere che il vecchio Ace è tornato una
persona normale e ha messo da parte la sua tristezza! Nojiko non ha
fatto caso al tatuaggio sul braccio, ne lo ha riconosciuto. per lei
è solamente uno sconosciuto un po' strambo. nel prossimo
capitolo il viaggio continuerà.. vedrai!
Kuruccha:
grazie per i complimenti, sono contenta tu abbia apprezzato lo scorso
capitolo. :D in questo capitolo tutto si è ribaltato: Rufy e
la ciurma hanno decisamente molto più spazio, ma nel
prossimo capitolo si parlerà più che altro di Ace
e Sabo. :D
Smemo92:
ti ringrazio per la franchezza, ed anche per la fiducia. felice di non
averti deluso! :D la descrizione che hai fatto di Rufy è
semplicemente perfetta, un sogno. hai colto esattamente tutte le
sfumature del mio personaggio. con Ace è molto
più facile che con Sabo, ma allo stesso tempo con Sabo ho
meno limitazioni. hai colto anche il prologo: quello sarà
l'apice conclusivo della mia storia. :D
Brando:
in questo capitolo ho introdotto delle etichette temporali, spero di
averti semplificato le cose. ad ogni modo, si, le avventure si svolgono
in tempi differenti!
raffa_chan:
è ancora presto perchè tutti si incontrino, ma
diciamo che adesso che sono partiti sono tutti sulla buona strada.
solo, come minimo dovrà passare del tempo!
Akemichan:
spero che il mio Sabo non ti disturbi al punto da non farti
più leggere la mia storia. se hai consigli sono pronta ad
ascoltarli, dopo tutto di lui sappiamo talmente poco! :D
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Capitolo 7 *** Sbarco a Logue Town ***
CAPITOLO
6
SBARCO A
LOGUE TOWN
-
Circa sei mesi dopo gli avvenimenti di Marineford -
Una
volta attraccati nel porto della piccola
città, l’ultima prima della montagna che segnava
l’inizio della Rotta del
Grande Blu, Ace e Nojiko scesero dalla nave guardandosi attorno. Era
pomeriggio
inoltrato ma il sole splendeva come se fosse mezzogiorno, dando ai
ragazzi
l’illusione di avere tutto il tempo che volevano. I due
scorsero degli
ufficiali della marina dall’altra parte del porto, intenti a
bere birra e a
corteggiare qualche bella donna che stava rientrando a casa con le
borse della
spesa. Decisamente non prestavano attenzione a loro, ma Ace si
allarmò lo
stesso e decise che era il caso di tenere gli occhi ben aperti ed i
problemi
ben lontani. Certo, loro non avevano per nulla l’aspetto di
una ciurma pirata,
ma era sempre meglio andare cauti con la marina nei paraggi. Quelli
erano
famosi per essere pazzi e totalmente incapaci di prendere decisioni
sensate. Era
anche vero che probabilmente quelli radunati intorno al tavolo erano
troppo
giovani per riconoscerlo o avere partecipato alla guerra di qualche
mese prima,
ma se si fossero insospettiti avrebbero potuto chiamare un loro
superiore. In
quel caso Ace e Nojiko avrebbero rischiato di trovarsi con parecchie
gatte da
pelare ancora prima di imboccare la Rotta
del Grande Blu e dare inizio alla loro ricerca. La
ragazza, a dispetto dei pensieri che tormentavano il compagno di
viaggio, era
eccitata e curiosa. Con quel primo sbarco la sua avventura poteva
ufficialmente
dirsi iniziata, anche se non era successo nulla di speciale. A
differenza di
Nami lei non era partita con una sgangherata ciurma di pirati sempre
pronti a
cacciarsi nei guai, ma con uno strano e misterioso tipo che parlava
poco e
sembrava ancora più restio a cacciarsi nei guai. A parte
questo particolare non
aveva davvero nulla di cui lamentarsi. L’unico dubbio che la
tormentava era
circa la sorella, lontana e forse in difficoltà.
Più Nojiko si guardava intorno
e più si trovava a chiedersi se anche lei era passata per
quell’isola ed aveva
provato le stesse sensazioni all’idea che il suo grande
viaggio stava
finalmente per iniziare sul serio. Certamente Nami doveva avere meno
pensieri e
più sogni, ma per molti aspetti potevano dirsi simili.
Persa
nei meandri della sua mente,
Nojiko si accorse solo dopo un bel po’ che Ace stava fissando
la loro nave con
quella che aveva tutto l’aspetto di essere
un’espressione davvero molto
critica. La testa del ragazzo era inclinata di lato, una mano si
torturava con
fare pensieroso il mento. Decisamente c’era qualcosa che lo
convinceva poco.
-
Che ti prende?
Chiese
Nojiko, preoccupata. Lo sguardo
di Ahanu non prometteva nulla di buono.
-
La nave..
Rispose
enigmatico lui, indicando la
polena leggermente scolorita. Si avvicinò, grattò
appena un asse scolorito e
subito emerse una grossa macchia che pareva di ruggine.
Batté con poca forza un
asse vicino e lo vide cedere, rivelandosi marcio.
-
Non mi sembra danneggiata. Non è
nuova, ma non se la passa male.
Replicò
la ragazza, pratica, cercando
di ignorare i danni che il suo amico aveva evidenziato in pochi minuti
di
osservazione attenta. Da quando erano partiti era la prima volta che
Ahanu si
fermava a guardare la nave. Fin dall’inizio era stata lei a
occuparsi di tutti
i dettagli del loro viaggio, organizzandolo in fretta e furia. Era
stato un
vecchio pescatore a dare loro quella nave. O meglio, Nojiko aveva dato
per
scontato che lui fosse d’accordo a concederla in prestito.
Ace fin dall’inizio
era sembrato dubbioso e aveva proposto di sceglierne
un’altra, ma la compagna
era stata irremovibile.
-
Non credo faremo tanta strada con
questa.
Obiettò
alla fine Ace, scettico.
Sapeva che quelle parole avrebbero creato scompiglio, ma era suo dovere
fare in
modo che non andassero incontro a morte certa.
-
Sei sempre il solito pessimista.
Sbuffò
Nojiko, indispettita, mettendo
il broncio. Le era sempre piaciuta quella nave, fin da quando lei e
Nami erano
bambine. Per questo alla fine l’aveva scelta, nonostante il
suo aspetto che non
era certo dei più rassicuranti. Sicuramente aveva molti anni
alle spalle e magari
anche qualche toppa di troppo, ma era pur sempre una buona nave.
Galleggiava
ancora, tanto era bastato perché la ragazza si convincesse a
prenderla.
-
No, dico davvero. Preferirei
tentare il suicidio in modi diversi e più sicuri piuttosto
che annegare come un
novellino.
Aggiunse
Ace, divertito. Aveva
intuito che la sua amica aveva un legame molto stretto con quella nave
e non
voleva certo essere duro con lei, ma allo stesso tempo non poteva
nemmeno
permetterle di credere che quella bagnarola li avrebbe portati lontano.
-
Ma non ci sono falle!
Esclamò
la ragazza, affascinata ed
allo stesso tempo infastidita da quel suo sorriso che si vedeva
così poco.
Certo, era affascinante vedere che Ahanu era riuscito ad uscire dalla
sua
solita apatia ma era anche seccante rendersi conto che lo aveva fatto
per
prenderla in giro.
-
Non ancora. Vedi, per entrare nella
rotta del Grande Blu dobbiamo superare quella montagna.
Spiegò
pazientemente lui, mettendosi
a sedere sopra un barile che doveva essere stato abbandonato da qualche
pescatore. La ragazza seguì con lo sguardo il suo dito, ed
impallidì. La vetta
che indicava Ahanu era enorme, decisamente la più imponente
che avesse mai
visto.
-
Non ci sono vie alternative?
Chiese
Nojiko, spaventata. L’amico
scosse lentamente la testa, con un movimento impercettibile.
-
No, ne esiste una sola. Dobbiamo
risalire quella montagna e scendere dalla parte opposta.
Continuò
Ace, sicuro.
-
Ovviamente scherzi..
Mormorò
Nojiko con un filo di voce.
Quella che stava descrivendo il suo compagno di viaggio era una follia,
un
suicidio bello e buono. Senza contare che ne parlava con calma, troppa
perché
potesse essere veramente così.
-
Ovviamente ci serve una nuova nave.
Fece
eco il ragazzo, pratico, facendo
il verso alla compagna. Nojiko sbuffò.
-
Ma, è una pazzia..
Esclamò
la ragazza, lasciandosi
prendere dall’isteria. Il loro viaggio era appena cominciato
ed ecco che
apparivano le prime difficoltà, enormi, che bloccavano loro
la strada. Quella
grossa montagna doveva essere solamente la prima di una lunga serie di
seccature che si sarebbe frapposta tra lei e sua sorella. Forse anche
una delle
più semplici da superare.
-
Anche se la nostra nave resistesse
alla montagna non credo potrebbe portarci ancora per molto. Dovremo
cercarne
una dopo, ma credo che nel Grande Blu sarà più
difficile.
Continuò
Ace, paziente. Era
essenziale che anche l’amica fosse preparata a quello a cui
sarebbero andati
incontro, oppure non avrebbe retto. Sarebbe impazzita e gli sarebbe
toccato
riportarla indietro prima ancora di arrivare a metà del loro
viaggio.
-
Cosa altro credi che ci potrebbe
servire?
Chiese
Nojiko, cercando di recuperare
la calma. La volontà di ritrovare Nami era più
forte della paura per quello che
la aspettava. Ormai aveva preso la sua decisione ed era determinata a
portarla
avanti fino alla fine. Dopo tutto, non era sola ed il suo compagno di
viaggio
sembrava saperne molto più di lei. Questo bastava a darle
abbastanza coraggio
per non arrendersi e seguire Ahanu, per quanto sembrasse pazzo.
-
Un log pose, il mio si è rotto
tempo fa.
Disse
Ace, tenendo la testa bassa e
sfiorandosi appena il polso dove una volta teneva il log pose che gli
aveva
dato Dadan tanti anni prima che lui partisse dalla sua isola, lasciando
indietro il suo fratellino ancora troppo piccolo per andare per mare.
Barbanera
glielo aveva strappato dal polso e lo aveva calpestato poco prima di
consegnarlo alla marina. Il primo di una lunga serie di abusi,
umiliazioni e
vergognose torture che aveva dovuto subire dagli ufficiali della marina
che
vedevano in lui la reincarnazione del male.
-
Un cosa?
Chiese
la ragazza, stupita e curiosa.
Non aveva mai sentito parlare di nulla con un nome simile e non aveva
la minima
idea circa i suoi potenziali utilizzi.
-
Nel Grande Blu non ci si orienta
con le bussole ma con il magnetismo delle isole. Il log pose serve per
registrarlo ed a indicare la rotta.
Disse
lui, voltando lo sguardo verso
il mare. Ripensare a Barbanera alla fine aveva riportato alla mente
anche tutto
il resto, specie i dettagli che lo facevano soffrire. Per quanto
provasse a
concentrarsi sul viaggio che li attendeva, sui mostri marini, sulla
montagna da
superare e sul log pose da trovare non riusciva a togliersi da davanti
al volto
il viso sorridente di Rufy che si trasformava in una maschera di sangue
e
dolore.
-
Sembri sapere molte cose..
Mormorò
Nojiko, pensierosa,
distogliendo inconsapevolmente l’amico dalle sue tristi
memorie. Ace non
rispose subito, limitandosi ad annuire appena.
-
In passato ho navigato parecchio
per mare.
Disse
Ace, asciutto.
-
Mio dio, non dirmi che sei un
pirata!
Esclamò
Nojiko, fingendosi inorridita.
Sapeva che il compagno non amava parlare di sé e del suo
passato e quello era
un banale tentativo di fargli tornare il sorriso. Di fronte a quella
reazione
teatrale Ace scoppiò a ridere di gusto, come non faceva da
un bel po’ di tempo.
La ragazza lo guardò stupita, prima di scoppiare a ridere
insieme a lui.
-
Che hai contro i pirati? Mica sono
tutti come quelli che hanno ucciso tua madre.
Disse
poi Ace, fissando la ragazza
che aveva anche fatto un balzo all’indietro. In fondo non
odiava i pirati, non
tutti almeno. Come per tutto il resto ne esistevano di buoni e di
cattivi.
Certo, era conscia che sua sorella e la sua ciurma costituivano
un’eccezione,
ma sapeva anche che non era giusto generalizzare.
-
Gli uomini pesce sicuramente.
Sbuffò
Nojiko, offesa per la scarsa
comprensione che Ahanu mostrava per lei.
-
Ti assicuro che ce ne sono anche di
simpatici.
Sospirò
Ace, pensando a Jimbei. Anche
lui all’inizio aveva provato antipatia ed astio per lui, ma
si era dovuto ricredere.
Negli ultimi mesi, a Impel Down, quel grosso uomo pesce aveva
costituito la
sola compagnia degna di questo nome. Si era dimostrato un pirata che
sapeva
cosa fosse l’onore e la riconoscenza e si era detto pronto a
morire per fermare
quella assurda quella che alla fine era stata combattuta lo stesso.
-
Vuoi dire che nel Grande Blu ne
incontreremo parecchi?
Chiese
Nojiko, ancora più
terrorizzata di quando aveva scoperto dell’esistenza della
Reverse Mountain.
Fino a quel momento aveva sempre pensato al Grande Blu come una rotta
piena di
pericoli e fenomeni strani, ma non piena di uomini pesce. Quel
dettaglio la
rendeva improvvisamente più oscura e più
pericolosa.
-
Non credo, di solito non si
allontanano molto dalla loro isola.
Disse
Ace, distratto.
-
Esiste un’isola abitata solo da
quei cosi?
Chiese
la ragazza, perplessa. Ahanu
la guardò e scoppiò ancora a ridere.
-
Beh, ci sono anche le sirene ed i
tritoni.
Aggiunse
lui, alzando le spalle.
Nojiko lo fissò intensamente, scrutando con attenzione ogni
dettaglio del suo
volto.
-
Come è possibile?
Chiese
alla fine, con un tono
completamente diverso. Di colpo si era calmata ed era diventata anche
più
dolce. La paura per gli uomini pesce sembrava di colpo passata.
-
Che le sirene abitino con gli
uomini pesce?
Chiese
Ace, sorpreso da quella
domanda apparentemente senza senso.
-
No, che un uomo allegro e
spensierato come te abbia lasciato il mare e la vita libera per finire
a fare
il vagabondo nel mio campo di mandarini.
Disse
lei, con un sussurro. A quelle
parole Ace si bloccò, quasi smise di respirare. Ci mise un
bel po’ prima di
riuscire a rispondere. Aveva temuto quella domanda fin dal primo giorno
che
erano partiti e forse da ancora prima, quando lei lo aveva accolto in
casa sua
e gli aveva offerto un tetto, del cibo ed un lavoro.
-
È successo e basta, non mi va di
parlarne.
Sussurrò
Ace, abbassando lo sguardo e
chiudendo i pugni. Cercava di far tacere quella vocina che gli diceva
fallito
ed allo stesso tempo voleva chiudere quel discorso prima che seguissero
altre
domande, e poi altre ancora che lo avrebbero di sicuro portato a
raccontare di
Barbabianca, di Sabo, di Rufy e dei suoi fallimenti.
-
Avevi una ciurma? Prima, intendo..
Chiese
ancora Nojiko, vinta dalla
curiosità. Sapeva che si trattava di un discorso pericoloso
da affrontare con
Ahanu ma voleva stesso capire fino a che punto poteva spingersi.
-
Si, ma di solito viaggiavo da solo.
Rispose
lui, sintetico,
costringendosi a rispondere invece di scappare lontano da tutto e da
tutti per
meditare in silenzio su quello che era stata fino a quel momento la sua
vita.
-
Non è pericoloso?
Si
stupì lei, inclinando appena la
testa. Dai racconti di alcuni avventurieri che erano passati per il
villaggio e
dagli articoli di giornale aveva imparato che la Rotta
del Grande Blu, e
ancora di più il Nuovo Mondo, sono dei posti assolutamente
terribili.
Pericolosi anche per le ciurme più forti, figurarsi per un
pirata solitario.
-
So difendermi, dolcezza.
Esclamò
Ace, sorridendo. Nojiko
rimase per un po’ incantata a guardarlo, stupendosi della sua
faccia tosta e
dei suoi modi assolutamente lunatici. Fino a poco prima sembrava
depresso,
l’ombra di se stesso, ora invece rideva come un folle.
-
Anche io, cosa credi!
Sbuffò
la ragazza, brontolando
qualcosa circa il fatto che era impossibile riuscire sul serio a
capirlo ed
avere a che fare con lui.
-
Va bene, che ne dici di fare un
giro prima di metterci a cercare una nave ed un log pose?
Propose
Ace, guardando ancora verso il
porto per assicurarsi che non ci fosse la marina in circolazione.
Nonostante
non fosse la sua isola preferita doveva ammettere che Logue Town aveva
il suo
fascino, soprattutto per coloro che vi arrivavano per la prima volta.
-
Perfetto, così potrò comprare
qualcosa..
Sospirò
Nojiko, con fare sognante. Il
compagno di viaggio la guardò, critico.
-
Comprare? Non credevo avessi con te
dei soldi..
Si
stupì Ahanu, con fare innocente.
-
Fatti gli affari tuoi!
Ringhiò
la ragazza, diventato una
furia. Dalla reazione Ace intuì che era meglio non fare
domande. Forse la sua
amica aveva la stessa passione della sorella: i soldi, i mandarini e le
belle
cose a poco prezzo.
-
Come vuoi, divertiti. Ci vediamo
alla nave tra qualche ora.
Mormorò
il ragazzo, allontanandosi di
qualche passo. Aveva voglia di stare un po’ da solo, per
pensare. Una volta
partiti sarebbe stato a stretto contatto con Nojiko per molto tempo e
non
sarebbe più riuscito ad assaporare il silenzio e la
solitudine. Pensare di
passeggiare per quelle vie, le stesse che almeno una volta doveva aver
solcato
anche il suo fratellino, gli faceva un effetto strano e non voleva
nessuno con
cui condividere quelle sensazioni e quei pensieri.
-
Ehi, Ahanu.. niente pazzie!
Lo
ammonì la ragazza, prima di
lasciarlo andare. Ace sorrise, stupito dall’affetto che
quella piccola mocciosa
sembrava provare per lui nonostante lo conoscesse così poco.
-
Te l’ho già promesso. Sta
tranquilla!
Rispose
lui, rassicurandola con un
gesto della mano prima di sparire nella folla.
Ace
si allontanò calandosi un
cappuccio sul viso. Certo, la marina lo credeva morto ma era meglio non
sfidare
la sorte più di quanto non fosse necessario. Non si sarebbe
mai perdonato se la
sua imprudenza avesse messo in pericolo Nojiko.
Vagabondando
a caso non poté fare a
meno di notare un sacco di rimandi al Re dei Pirati, suo padre. Quella
era
decisamente una città che viveva nel passato, nella gloria
di un’era lontana in
cui si credeva che ogni cosa fosse possibile. Veneravano un uomo come
un dio,
senza chiedersi se avesse davvero fatto di tutto per la sua famiglia o
se
avrebbe potuto fare di più, magari mettendo da parte
qualcuno dei suoi sogni
per il figlio e per la compagna.
Il
ragazzo sbuffò ed entrò nella
prima locanda che trovò, un po’ per il caldo e un
po’ per non vedere oltre la
faccia da schiaffi di Gol D Roger. Una pinta di birra era quello che ci
voleva
ad aggiustare la giornata, poi si ricordò che non aveva con
sé denaro ed
imprecò.
-
Che hai ragazzo, non sei felice
all’idea di stare in un posto pieno di storia?
Chiese
un vecchio dietro il bancone,
intento a lustrare dei bicchieri che sembravano già
perfettamente puliti. A
giudicare da questo gesto, così come dalla polvere che
ricopriva ogni cosa, Ace
immaginò che quella bettola non doveva avere avuto molti
clienti negli ultimi
tempi tranne forse qualche ratto e parecchi ragni.
-
Parli dell’idiota che hanno
giustiziato tanti anni fa?
Chiese
Ace, indifferente
all’entusiasmo che sentiva nella voce dell’uomo
ripensando a Gol D Roger. Si
guardò attorno, osservando a lungo le pareti spoglie sulle
quali facevano bella
mostra avvisi di taglia di pirati di un’altra epoca, lontana.
Quel vecchio
doveva averlo conosciuto davvero Roger, così come doveva
aver incontrato anche
Barbabianca. Anche lui, come tutti del resto, viveva nel passato per
sfuggire
al grigiore e alla banalità di quello che gli riservava il
presente.
-
Credevo fossi un pirata.
Osservò
l’oste, fissando il nuovo
arrivato con curiosità. Sembrava un tipo sorprendente, uno
di quelli che si devono
conoscere per forza. Ne erano passati tanti per il suo locale, ma mai
nessuno
gli era sembrato tanto misterioso. Era palese che il giovane nascondeva
una
storia incredibile, che non aspettava altro se non una pinta di birra
per
essere raccontata.
-
Lo sono, o forse lo ero.
Sospirò
Ace, incerto. Aveva smesso di
sapere chi era quando si era svegliato sulla nave di Shank e aveva
capito che
Rufy era morto, o forse ancora prima, quando era stato catturato da
Barbanera e
aveva intuito che il suo gesto imprudente aveva finito con il segnare
il suo
destino e quello di suo padre Barbabianca, condannando entrambi.
-
Avanti, bevi. Si vede che sei
confuso. Deve essere il caldo.
Disse
il vecchio, avvicinando un
grosso calice al ragazzo che aveva ancora il cappuccio ben calato su
viso.
-
Grazie mille, ma non ho soldi per
pagare.
Mormorò
Ace con un filo di voce. Una
volta non si sarebbe fatto problemi a bere, magari anche mangiare, e
poi
scappare via. Ora qualcosa era cambiato, anche in questo.
-
Fa lo stesso, offro io. Sai, un
anno fa ho visto un moccioso che era il tuo esatto contrario.
Sorrise
il vecchio, sedendosi vicino
al suo ospite forse per studiarlo meglio o forse solamente
perché era sordo e
da lontano sentiva poco.
-
Fammi indovinare, un pazzo esaltato
che non vedeva l’ora di replicare le avventure di Roger anche
a costo di farsi
ammazzare?
Ipotizzò
Ace, ironico, sorseggiando
la birra. L’anziano oste sorrise.
-
Esatto.
Confermò,
finendo con il ripensare a
quel esagitato ragazzino che voleva a tutti i costi vedere il patibolo
dove era
morto il Re dei Pirati prima di partire per il suo viaggio. Allora
aveva riso
di quella sua determinazione, ma aveva immaginato che sarebbe diventato
grande.
E così era stato. Isola dopo isola aveva finito con il
rivelarsi un grosso
grattacapo per la marina e per il governo mondiale, senza che nessuno
dei due
riuscisse per davvero a mettere freno alle sue avventure. Aveva seguito
le sue
avventure sul giornale con la stessa emozione e la stessa impazienza
con cui un
bambino segue i suoi fumetti preferiti, settimana dopo settimana,
gioendo di
ogni vittoria e di ogni aumento di taglia.
-
Beh, era uno dei tanti.
Sbuffò
Ace, alzando le spalle. Ne
aveva visti tanti di ragazzi che credevano nei loro sogni al punto da
mollare
tutto e partire, ma nessuno aveva fatto una bella fine. Neppure Rufy.
-
Non credo, quel ragazzo aveva una
strana luce negli occhi. Mi stava simpatico, forse anche per via di
quel
cappello..
Continuò
il vecchio, fissando
intensamente il suo interlocutore negli occhi. A quelle parole per poco
Ace non
si strozzò per la sorpresa.
-
Cappello?
Chiese,
frenetico, incredulo che quel
vecchio avesse sul serio incontrato il suo fratellino prima che questi
partisse
per il suo viaggio, prima che il suo sogno venisse spezzato.
-
Si, di paglia. Dimmi Pugno di
Fuoco, che ci fa un morto nella mia locanda?
Chiese il vecchio oste, con
una luce diversa
negli occhi.
-
Circa un anno dopo gli avvenimenti di Marineford –
Circa
sei mesi più tardi rispetto
all’arrivo di Ace e Nojiko un’altra misteriosa nave
entrò silenziosamente nel
porto di Logue Town. Niente era cambiato rispetto a pochi mesi prima,
persino i
marine di guardia al porto era sempre gli stessi ed erano sempre fermi
al loro
tavolo tra birra, carte e qualche donna che si concedeva loro attratta
dal
fascino della divisa o forse dalla possibilità di ottenere
qualche
informazione. Ancora una volta si trattava di una nave che non aveva
nessuna
bandiera, ne pirata ne di altro genere. Sabo aveva passato gran parte
del
viaggio a spiegare a Kaja tutti gli imprevisti che avrebbero potuto
dover
affrontare e tutte le cose che avrebbero dovuto procurarsi. Quando
erano giunti
a Logue Town, prima tappa del loro viaggio, la ragazzina era preparata
a quello
che stavano per affrontare.
-
Dove si compra un log pose?
Aveva
chiesto la ragazza appena
sbarcata, pratica. Sabo la guardò, sorpreso e fiero dei
risultati dei suoi
insegnamenti. Nel corso di quelle settimane, giorno dopo giorno, il
ragazzo aveva
capito che di fronte a se aveva una ragazza determinata non una
frignona pronta
a scappare di fronte alla prima difficoltà.
-
Non si comprano, è illegale
venderli.
Rispose
Sabo, coprendosi il viso con
un cappello perché nessuno potesse riconoscerlo. Era una
vecchia abitudine che
gli era rimasta dai tempi in cui andava in giro con Dragon e
l’imperativo era
per forza di cose non dare troppo nell’occhio. Adesso non
faceva più parte
dell’armata rivoluzionaria, ma sulla sua taglia pendeva
ancora una grossa taglia
che avrebbe fatto gola sia ai marine perdigiorno che a qualche avido
cacciatore
di taglie.
-
Perché?
Chiese
Kaja, ingenuamente, puntano
gli occhi addosso al compagno che appariva seccato.
-
Chi vuole compra un log pose vuole
entrare nella Rotta del Grande Blu e questo fa di lui un nemico della
Marina,
pirata o rivoluzionario che sia.
Spiegò
pazientemente il
rivoluzionario, con una vena polemica nella voce. Personalmente aveva
sempre
trovato quella legge molto ingiusta, specie per le persone che non
erano ne
pirati, ne rivoluzionari o nemici del governo. Di certo erano loro i
più
penalizzati visto che un malintenzionato avrebbe in ogni caso trovato
un modo
per procurarsene uno. Molti onesti cittadini invece si arrendevano. In
larga
parte era meglio così, perché questo risparmiava
loro pericoli e sofferenze, ma
era anche profondamente ingiusto. In un mondo libero tutti dovevano
avere il
sacrosanto diritto di andare dove gli pare, senza limitazioni.
-
Non è giusto, se un semplice
cittadino volesse andarci?
Chiese
la ragazza, imbronciandosi.
Era assurdo che la marina etichettasse chiunque avesse un minimo di
intraprendenza come pericoloso pirata nemico del governo prima ancora
di capire
perché voleva andare nel Grande Blu.
-
Secondo la marina quella rotta è
troppo pericolosa per i semplici cittadini, solo i pazzi ci vanno.
Sospirò
Sabo, presagendo che quella
discussione sarebbe andata per le lunghe. Kaja odiava le ingiustizie ed
ogni
volta che ne sentiva una protestava, tuttavia contro quella legge al
momento
loro due potevano fare poco.
-
Quindi noi siamo pazzi?
Chiese
Kaja, imbronciata. Odiava la marina
e odiava anche il governo. Odiava tutti quelli che etichettavano il suo
sogno
di diventare medico e trovare Usop come una pazzia. Condannavano delle
persone
senza conoscerle, scivolando quasi senza rendersene conto dalla parte
del
torto.
-
Io forse un po’, tu sicuramente.
Rispose
il compagno di viaggio,
sorridendo.
-
Come credi di fare, simpaticone?
Sbuffò
la ragazzina, alzando gli
occhi al cielo. Sabo era bravissimo a strapparle un sorriso quando era
imbronciata, non c’era nulla da fare. Prima di lui
l’unico che c’era riuscito
era stato il suo amico Usop, tanto tempo prima.
-
Lascia fare a me.
Disse
Sabo, senza dilungarsi in
spiegazioni. Il ragazzo si guardò intorno, studiò
attentamente il gruppo di
marine e concluse che non costituivano un problema. Era meglio
ignorarli
piuttosto che combattere con loro. Se lo avessero creduto un timido e
indifeso
viaggiatore sarebbe di sicuro stato meglio per tutti, in primis per
Kaja.
-
Spiega..
Mormorò
Kaja, preoccupata che Sabo
avesse in mente qualcosa di pericoloso o illegale. Il ragazzo
alzò gli occhi al
cielo, esasperato da tutte quelle domande.
-
Un vecchio trucco di quando ero
Rivoluzionario.
Continuò
Sabo, vago.
-
Rubare?
Chiese
la ragazza, curiosa e stupita.
Il rivoluzionario si voltò verso l’amica, stupito
da tante intraprendenza.
-
No, quello è un vizio che ho preso
dopo!
Rispose
Sabo, sorridendo ed alzando
le spalle. Buttare ogni cosa sul ridere e non prendere mai nulla troppo
sul
serio era un modo di fare che aveva imparato dai suoi fratelli, tanto
tempo
prima. Ormai tutto quello che gli restava di loro non era altro che
ricordi,
racconti e immagini sfuocate che si inseguivano nella memoria. Non
voleva
dimenticarli, ma era conscio che doveva andare avanti. Loro erano il
passato,
Kaja il presente. Forse un giorno di sarebbero incontrati e forse
allora
avrebbero riso ancora insieme, ma per il momento doveva pensare alle
cose
concrete.
-
Riesci a restare serio per cinque
minuti?
Chiese
ancora Kaja, esasperata da
quel suo strano modo di fare. Il ragazzo annuì, cercando
quanto più possibile
di tornare serio.
-
Dobbiamo andare nelle vecchie
locande e parlare con gli osti.
Spiegò
alla fine Sabo, appena
infastidito per essere stato costretto a rivelare il suo grande
segreto. Come
tutti i rivoluzionari anche a lui piaceva fare il misterioso, usando
frasi ad
effetto e tirando fuori dal nulla l’oggetto dei desideri del
suo interlocutore.
Kaja invece lo aveva costretto a rivelare tutto.
-
Tutto qua?
Esclamò
la ragazza, stupita. Si era
aspettata chissà quale grande segreto e invece si era vista
propinare un
consiglio che avrebbe potuto dargli chiunque.
-
Molti di loro hanno dei log pose a
ricordo dei loro viaggi, se gli stai particolarmente simpatico
può essere che
te lo regalino.
Continuò
il rivoluzionario, indicando
una fila di vecchietti seduti fuori da altrettanti locali che davano
sul porto.
Quasi tutti guardavano verso di loro, chiedendosi se la loro fosse o
meno una
nave pirata. Stare lì, osservare gli sconosciuti e ripensare
ai loro viaggi era
la loro unica ragione di vita. L’unica cosa che li manteneva
ancora vigili e
arzilli.
-
Andiamo, allora.
Disse
la ragazza, prendendolo sotto
braccio e lasciandosi condurre per le via della piccola cittadina.
Dividersi e
fare un giro da sola era fuori discussione. Sabo nei giorni prima dello
sbarco
aveva dichiarato che non l’avrebbe persa di vista neppure per
un istante,
qualunque cosa fosse successa. Kaja era onorata di tutte quelle
attenzioni, ma
era anche convinta che l’amico esagerasse. Certo, il mondo
era cattivo e lei
era indifesa, ma era anche vero che non potevano incontrare solo
persone che
avrebbero voluto fare loro del male.
I
due ragazzi girarono un po’ prima
di trovare la locanda che sembrava fare al caso loro.
-
Come fai ad essere sicuro che sia
il posto giusto?
Chiese
Kaja, guardando scettica la
vecchia insegna scolorita che di certo non invitava ad entrare.
Sembravano anni
che nessuno ci metteva piede, o forse decenni.
-
Non lo so infatti, proviamo.
Rispose
Sabo, spingendo appena la
porta. Se da fuori sembrava un posto poco frequentato,
l’interno poco curato e
la polvere sui tavoli confermava che quel locale non riceveva clienti
da molto
tempo, forse mesi.
-
Salve, è aperto?
Chiese
il rivoluzionario, cercando il
proprietario quello strambo locale.
-
Certo, venite avanti e fatevi
guardare.
Rispose
un vecchio oste, accoccolato
su una sedia a pochi passi dal bancone. Portava gli occhiali, e aveva
un
giornale di fronte a sé. Il suo sguardo annoiato si era
illuminato non appena
li aveva visti entrare dalla porta, forse felice di passare una
giornata
diversa.
-
Come?
Esclamò
Sabo, perplesso dalla
richiesta. Il vecchio sospirò.
-
Vedi, non mi capita spesso di avere
clienti da queste parte ma quei pochi che capitano sono sempre tipi
interessanti.
Spiegò
l’oste, chiudendo il giornale
per dedicarsi esclusivamente ai due nuovi arrivati.
-
Allora forse noi rovineremo questo
suo primato.
Mormorò
timidamente Kaja. Loro due
non erano certo due tipi strani, forse Sabo ma sicuramente non lei. La
cosa più
assurda che gli era capitata nella vita era stata finire al centro di
un
assurdo intrigo voluto dal suo maggiordomo che si era alla fine
rivelato un
pericoloso pirata. Quella volta, tuttavia, non era stata lei a tirarsi
fuori da
quel pasticcio. Erano stati Usop ed i suoi nuovi amici, prima di
prendere il
mare.
-
Perché dici così, bella signorina?
Chiese
l’anziano signore, passando lo
sguardo da Sabo alla ragazza. All’apparenza sembrava una
ragazza normale, forse
persino di buona famiglia, ma lui era convinto che c’era
dell’altro. Una storia
intricata, losca e assurda che spiegava perché avrebbe preso
il mare. Questo
faceva di lei una ragazza speciale.
-
Beh, siamo due persone normali.
Rispose
lei, incerta. Non sapeva come
altro definire lei e Sabo.
-
Tutti credono di esserlo, ma molti
sono speciali. Siete pirati?
Chiese
l’oste, piegando appena la
testa come a studiarli meglio.
-
No.
Rispose
Sabo, deciso. Diventare
pirata e navigare con i suoi fratelli era il suo sogno ma non era mai
riuscito
a realizzarlo. La vita lo aveva portato prima ad essere un
rivoluzionario, poi
a perdere tutto e a non essere più nulla.
-
Lo eravate?
Chiese
ancora il vecchio,
accigliandosi.
-
Nemmeno.
Rispose
ancora Sabo, cercando di
capire dove volesse andare a parare il vecchio.
-
Le cose si fanno interessanti.
Mormorò
l’oste, sorridendo appena e
buttando giù un sorso di rum.
-
Il mio amico era un rivoluzionario,
io invece vorrei diventare un dottore.
Spiegò
Kaja, per mettere fine a
quello strano interrogatorio apparentemente senza senso.
L’uomo li fissò ancora,
senza mostrarsi stupito o incredulo.
-
Una coppia bizzarra, non c’è che
dire. State andando nel Grande Blu?
Si
informò lui, sicuro che due tipi
del genere non potevano andare in un luogo diverso.
-
Ci stiamo provando, ma prima
dobbiamo trovare un log pose.
Spiegò
la ragazza, mentre Sabo si
guardava in giro per capire dove fossero finiti. Era fin troppo
evidente che il
vecchio aveva un debole per i pirati, c’era solo da capire
cosa ne pensasse dei
rivoluzionari. Non sembravano esserci ritagli di giornale o avvisi di
taglia in
bella vista, ma non voleva dire molto. Appendere l’avviso di
taglia di Gol D
Roger a mo’ di poster non faceva perdere le staffe alla
marina come invece
succedeva con quello di Dragon. Per qualche ragione quei vecchi pazzi
erano
convinti che bastasse vedere la foto del capo dei rivoluzionari per
unirsi alla
loro causa e quindi meritarsi la morte.
-
Ne avevo uno da qualche parte, ma
l’ho regalato qualche mese fa ad un brontolone.
Disse
l’oste, sorridendo al ricordo
di quel breve incontro che risaliva a sei mesi prima.
-
Anche lui era un tipo strano?
Chiese
Kaja, curiosa. Quello strano e
misterioso tizio cominciava ad affascinarla. Era solo alla prima tappa
del
viaggio, ancora ben lontana dall’essere diventata un bravo
medico o avere
trovato Usop, ma aveva già incontrato una persona speciale.
-
Naturalmente, tutti lo sono. Anche
voi cara la mia dottoressa.
Rispose
l’oste, sicuro, battendo il
bicchiere ormai vuoto sul bancone.
-
Sarei felice se mi chiamasse Kaja.
Mormorò
la ragazza, sorridendo. Quel
vecchietto dopo tutto le stava simpatico, molto. Sarebbe stato bello
poter
restare a lungo a parlare con lui, ascoltando tutte le sue storie come
faceva
con quelle del suo amico Usop tanto tempo prima.
-
Bel nome, davvero. Invece il
rivoluzionario è Sabo, dico bene?
Chiese
l’oste, sicuro, voltandosi
verso il ragazzo ancora impegnato a cercare di capire qualcosa di
quello strano
posto. Il rivoluzionario trasalì a quelle parole.
-
Come fa a saperlo?
Chiese,
spaventato. Non aveva detto
nulla di sé, ne mostrato eccessivamente il suo viso. Era
semplicemente
impossibile che avesse tirato ad indovinare e che ci avesse preso. Il
vecchio
scoppiò a ridere.
-
Quasi un anno fa un vecchio amico
mi ha portato questo. Credo fosse preoccupato per te e mi ha anche
chiesto di
riferire a lui in caso fossi passato di qua.
Raccontò
lui, tirando fuori da sotto
il bancone un avviso di taglia sul quale c’era il suo nome e
la sua foto. La sua
compagna di viaggio prese l’avviso tra le mani e lo
guardò con attenzione,
rapita, paragonando la foto al viso dell’amico. Non doveva
essere passato molto
tempo da quando la foto era stata scattata, eppure Sabo appariva del
tutto
diverso. Sembrava più grande, più stanco ed anche
più preoccupato. Nella foto
aveva un’aria spensierata e leggera che nella
realtà il suo amico aveva perso.
-
Un amico, dice?
Mormorò
Sabo, perplesso, fissando
distratto l’avviso di taglia. Lui non aveva amici, solo
compagni di lotta e di
armi che tuttavia gli avevano voltato le spalle. Non aveva nemmeno una
famiglia, non più almeno. Le parole del vecchio sembravano
davvero assurde.
-
Si tratta di Monkey D Dragon.
Disse
l’oste, senza aggiungere altro.
In pochi avrebbero ascoltato quel nome senza reagire, e quel ragazzo
era uno di
quelli. Probabilmente doveva conoscerlo per bene, magari anche di
persona. Kaja
invece impallidì, sconvolta.
-
Quel vecchio non si fa mai i fatti
suoi.
Sbuffò
Sabo, infastidito
dall’invadenza dell’uomo che lo aveva praticamente
fatto cacciare dalla sua
nave qualche tempo prima.
-
Conosci Dragon?
Chiese
Kaja, a metà tra il sorpreso e
lo spaventato. Aveva sentito spesso parlare di lui, ma mai con
così tanta
tranquillità. Sapeva che era un uomo potente e terribile che
tutti temevano e
che nessuno riusciva a tenere a bada. Persino la marina ed il governo
mondiale
non avevano la minima idea di dove fosse o cosa stesse combinando.
-
È il capo dei rivoluzionari, mi ha
praticamente fatto da padre.
Spiegò
il rivoluzionario, alzando le
spalle quasi quella conversazione avesse poca importanza per lui. Era
evidente
che non gli andava di parlare del suo passato.
-
Visto Kaja, che avevo detto io..
Sussurrò
il vecchio, ridacchiando. Aveva
ascoltato le parole del ragazzo con avidità, soddisfatto di
avere un altro
incontro degno da essere raccontato.
-
Le capitano spesso incontri come
questi?
Chiese
la ragazza, sorpresa da quello
che aveva appena scoperto sul suo compagno di viaggio. L’uomo
annuì,
sorridente.
-
Di continuo, anni fa capitò qui
niente meno che Roger in persona.
Raccontò
l’oste, con gli occhi pieni
di orgoglio.
-
Accidenti.
Esclamò
Kaja, sorpresa. Non si era
mai interessata troppo di pirateria, ma persino lei conosceva il nome
del Re
dei Pirati, l’uomo che aveva dato inizio alla grande era
della pirateria e che
aveva spinto molti giovani, tra cui Usop, a partire.
-
Niente foto alle pareti?
Chiese
Sabo, ironico, guardandosi
intorno. Il vecchio tossì e mandò giù
altro rum.
-
Non sono quel tipo di persona, ma
ammetto che gli avvisi di taglia dei loro figli li ho tenuti.
Rispose
il vecchio signore, indicando
dei fogli apparentemente buttati a caso. Sabo lanciò un
occhiata sul banco e
gli si strinse il cuore nel vedere gli avvisi di taglia dei suoi due
fratelli
mischiati a quelli di altri pirati famosi.
-
Rufy, lei lo conosce?
Chiese
Kaja, studiando con attenzione
la foto del ragazzo che tanto tempo prima era partito con Usop.
L’altro ragazzo
non lo conosceva, ma sembrava che Sabo fosse rimasto colpito dalle
parole
dell’oste. Tanto da non notare che lei aveva preso il
manifesto di taglia di
Rufy in mano e che sembrava conoscerlo.
-
Ho conosciuto entrambi, anche Ace.
È stato a lui che ho dato il mio log pose, sei mesi fa.
Spiegò
il vecchio. A quelle parole
Sabo ebbe un fremito.
-
Ace è stato qui sei mesi fa? È
impossibile, lui è morto.
Esclamò
Sabo, sicuro, fissando il
vecchio oste negli occhi.
-
Anche io mi sono sorpreso, ma le
assicuro che non si trattava di un fantasma. Credo che la marina abbia
preso
parecchi granchi, ma non sarò certo io a dirglielo. Io sto
dalla parte dei
pirati, e dei rivoluzionari..
Aggiunse
il vecchio, ridacchiando e
facendo un occhiolino ai due ragazzi.
-
Può raccontarmi di Ace e di Rufy,
la prego. È importante.
Implorò
Sabo, di colpo di gentile con
il vecchio oste. Quell’incontro si stava facendo
interessante, anche se quel
tipo non avesse nessun Log Pose da dare loro. Kaja fissava interessata
l’amico,
chiedendosi il perché di quel cambiamento improvviso. Doveva
esserci qualcosa
sotto che era legato al passato del suo amico.
-
Rufy l’ho incontrato parecchio
tempo fa, prima che entrasse nella Rotta del Grande Blu. Era
spensierato e
allegro, l’esatto contrario di suo padre.
Iniziò
a raccontare il vecchio,
giocherellando con il bicchiere ormai vuoto.
-
Rufy è il figlio di Dragon?
Chiese
Kaja, sorpresa, guardando
prima Sabo e poi il vecchio signore.
-
Certo Kaja, ormai lo sanno tutti
dopo quello che è successo l’anno scorso.
Rispose
l’oste, sorridendo. Sabo fissava
l’uomo, impaziente. Era evidente che voleva che andasse
avanti a raccontare
senza perdere altro tempo.
-
Mi parli di Ace..
Implorò
Sabo, cercando di tenere a
freno l’emozione.
-
Era venuto qui per caso. È stata
dura riconoscerlo, si nascondeva sotto un mantello ed era piuttosto
seccato, ma
alla fine l’ho riconosciuto.
Disse
l’oste, cercando di ricordare i
dettagli di quello strano incontro.
-
Aspetta, tu conosci il mio fratellino?
Aveva
chiesto Ace, incredulo, lasciando che il cappuccio
gli ricadesse sulle spalle. Ormai era stato riconosciuto, tanto valeva
mostrarsi e mettere le cose in chiaro.
-
Si, lo conosco.
Aveva
detto l’oste, annuendo. Era stupito per la reazione
del suo ospite: era bastato nominare Rufy perché Ace
riprendesse vita e uscisse
da quello strano stato di apatia.
-
Lo conosceva, lui non c’è più.
Aveva
sussurrato Ace con un filo di voce, diventando
all’improvviso triste. A quelle parole il vecchio aveva
sorriso e gli aveva
appoggiato una mano sulla spalla. Il pirata più giovane si
era stupito di quel
contatto, ma non si era allontanato.
-
Caro ragazzo, solo perché la marina dice che un pirata
è
morto questo non vuole dire che sia davvero così. Anche tu
dovresti essere
passato all’altro mondo, eppure sei qui di fronte e mi stai
parlando. È
sorprendente, sai?
Aveva
mormorato il vecchio, pieno di comprensione per il
ragazzo che aveva di fronte. Dopo tutto, non capitava certo tutti i
giorni di
incontrare il figlio di Gol D Roger.
-
Credi davvero che mio fratello sia ancora vivo?
Aveva
chiesto Ace, smarrito. Aveva bisogno di conferme e
forse anche di un buon motivo che lo spingesse a mettersi di nuovo
sulle tracce
del fratello, dandogli sul serio la speranza di trovarlo.
-
Tu no?
Aveva
ribattuto l’oste, senza rispondere in modo chiaro.
-
Lo credevo, l’ho anche cercato ma nessuno sa darmi sue
notizie.
Aveva
spiegato Ace, raccontando al vecchio tutta la sua
disperazione e la sua frustrazione. Ancora una volta l’altro
non aveva risposto
subito.
-
Questo forse può aiutarti. Guarda bene, sono abbastanza
convinto che nasconda un messaggio, ma non so dirti quale.
Aveva
risposto l’oste, mostrando un ritaglio di giornale
che risaliva a qualche mese prima. C’era una grossa foto
nella quale c’era
Rufy, vivo, a qualche settimana dalla fine della guerra. Questo provava
che era
vivo, o che per lo meno non era morto durante la guerra come avevano
detto a
lui.
-
Grazie mille, ora so cosa devo fare.
Aveva
esclamato Ace, sicuro, alzandosi in piedi per
dirigersi verso il porto. Dovevano partire, andare nel Grande Blu e
trovare sia
Rufy che Nami. Ora ci credeva anche lui.
-
Ferma un attimo, avrai bisogno di questo se vuoi andare
a cercare tuo fratello..
Aveva
aggiunto il vecchio, porgendo al ragazzo un vecchio
Log Pose ancora funzionante.
Una
volta terminato il racconto il
vecchio prese un lungo sorso da una bottiglia, poi la porse ai due
ragazzi.
Kaja scosse la testa, Sabo sembrava non avere nemmeno notato il gesto
del
vecchio oste impegnato come era a mettere in moto il cervello.
-
Ace è vivo.
Continuava
a ripetere, come una
litania. Non gli importava di altro, improvvisamente la sua vita aveva
di nuovo
senso.
-
È sorprendente, ma a te perché
interessa tanto?
Chiese
il vecchio, curioso. Quel
ragazzo conosceva Dragon ed era felice di sapere Ace vivo. Le cose
cominciavano
a farsi veramente interessanti.
-
È mio fratello, anche Rufy lo era..
credevo fossero entrambi morti, invece forse Ace è ancora
vivo. Devo trovarlo.
Esclamò
Sabo, sicuro, lasciando Kaja
interdetta e sorpresa. Era la prima volta che il compagno parlava del
passato,
rivelando cose sorprendenti.
-
Ti dirò quello che ho detto ad Ace:
per me, anche Rufy è vivo. Guarda qui.
Disse
l’oste, mostrando a Sabo lo
stesso ritaglio di giornale che sei mesi prima aveva mostrato ad Ace.
Il ragazzo
si fiondò su quel pezzo di carta, leggendolo avidamente
più e più volte. Scrutò
la foto, cercando sul viso del suo fratellino tracce del suo luminoso
sorriso
senza tuttavia trovarne.
-
Posso tenerlo?
Chiese
Sabo, alzando lo sguardo sul
padrone della locanda. L’uomo annuì, sorridendo.
-
Certo, prendi anche questo.
Aggiunse
l’uomo, prendendo da sotto
il bancone un vecchio log pose e mettendolo nelle mani della ragazza
che lo
guardava sorpresa ed incredula.
-
Credevo lo avesse dato ad Ace..
Sussurrò
Kaja, ricordando le parole
che lo stesso oste aveva pronunciato solo poco prima.
-
Ne ho sempre tenuto uno di scorta,
per le occasioni speciali.
Rispose
il vecchio, ridacchiando,
prima di buttare giù un ultimo sorso di rhum.
ANGOLO
DELL'AUTRICE
per prima
cosa, GRAZIE!!! in questo capitolo ho deciso di non parlare di Rufy e
della ciurma per poter ambientare l'intero capitolo a Logue Town. come
avete visto le tre storie iniziano ad incrociarsi, toccarsi ed entrare
in contatto. il prossimo capitolo, per non fare torti a nessuno,
sarà dedicata solo a Rufy ed alla sua ciurma!
Akemichan:
onestamente anche a me è mancata una parte un po'
più "profonda" quando si sono incontrati, ma immagino che
Oda avrà in mente qualcosa per recuperare più
avanti. :D spero che questo capitolo ti sia piaciuto come il
precedente!
Niki96: direi
che sono tutti decisamente migliorati. nella prima parte ho volutamente
esagerato per sottolineare come Ace e Sabo incontrano Nojiko e Kaja nel
momento peggiore della loro vita. per il nome ho pensato che se Ace non
voleva dirgli quello verò Nojiko doveva pur inventarsi
qualcosa. nel senso, tu viaggeresti per mesi con uno che devi chiamare
Ehi, tu? :D
Tre 88: beh,
grandi cambiamenti in questo capitolo! Ace è convinto che
Rufy è vivo. per il nome ho deciso che Ace lo
dirà a Nojiko solo quando incontrerà i suoi
fratelli, non prima. fino ad allora aveva proprio bisogno di un nome
nuovo. mi sono imbattuta in Ahanu dopo qualche ricerca è
l'ho trovato assolutamente perfetto! per quanto riguarda la ciurma, beh
nelle mie storie Rufy e Zoro hanno sempre un rapporto di amicizia
speciale. non potevo non metterci una delle loro chiaccherate! :D
Brando:
grazie a te per avermelo suggerito. mi rendo conto che per me
è semplice seguire la storia visto che l'ho bene in mente ma
che non è altrettanto semplice per voi!
Katy93:
innanzitutto, grazie per aver seguito la scorsa storia. il ciondolo,
beh.. lo vedrai! non dico altro che se visto che hai letto la scorsa
storia potresti anche tirare ad indovinare.. :D
Kuruccha:
grazie mille!!! in questo capitolo niente Rufy, ma recupero nel
prossimo!
Smemo92: Ace
e Nojiko sono una coppia silenziosa. fanno casino, ridono, ma non si
fanno domande che potrebbero far soffrire l'uno o l'altra. Sabo e Kaja
parlano decisamente di più, con meno segreti. nel prossimo
capitolo in cui compariranno Kaja racconterà a Sabo di
conoscere Rufy. sono felice che ti piaccia la ciurma, nel prossimo
capitolo si replica!
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Capitolo 8 *** Anniversari e ricordi: chiudere con il passato ***
CAPITOLO SETTE
ANNIVERSARI E RICORDI: CHIUDERE CON
IL PASSATO
- Due
anni esatti dopo gli avvenimenti di Marineford -
La
ciurma di Cappello di Paglia
navigava per i mari della Rotta del Grande Blu da abbastanza tempo per
averne
ormai assorbito a pieno le dinamiche. Dopo lo smarrimento iniziale
delle prime
ore tutto era diventato normale, talmente prevedibile da essere quasi
noioso. Da
quando avevano ripreso il viaggio, verso l’isola degli uomini
pesce, niente era
cambiato rispetto a due anni prima. Nami era in grado di prevedere le
tempeste,
forse ancora meglio di come aveva sempre fatto. Franky ed Usop erano
sempre
all’opera per inventare qualcosa di nuovo, spesso in gran
segreto, portando gli
altri all’esasperazione. Zoro e Sanji, quando non litigavano,
passavano il
tempo allenandosi o cucinando. Il loro rapporto era sensibilmente
migliorato,
eppure discutere per le sciocchezze rimaneva sempre il loro sport
preferito.
Chopper e Robin, invece, passavano lunghe ore sul ponte, giocando o
leggendo
libri che avevano portato con sé dalle isole in cui erano
stati. Quei due
avevano l’abitudine di stare a lungo in silenzio, con la
mente altrove,
riuscendo tuttavia a capirsi alla perfezione. Rufy passava molto tempo
insieme
ai compagni, destreggiandosi tra i giochi con Usop e Chopper, i
battibecchi con
Nami e gli allenamenti con gli altri. Non voleva lasciare nessuno
indietro, i
suoi amici gli erano mancati troppo durante quel lungo periodo di
separazione. Certo,
aveva incontrato Keira, ma la donna non si poteva definire a pieno
titolo una
sua amica. Con lui era stata criptica, assente e decisamente molto
vaga. Insomma,
una presenza quasi inquietante a dirla tutta. La cosa che il capitano
preferiva
in assoluto, tuttavia, era starsene sul ponte ad ascoltare Brook che
suonava. Era
una delle poche cose che riusciva a rilassarlo davvero dopo una lunga
giornata
passata a correre ed a giocare. Persino gli attacchi dei pirati,
all’inizio
frequenti e violenti, si erano fatti rari, complici anche le forti
correnti e
la pressione esterna alla bolla. Ad ogni modo, era ormai chiaro a tutti
che a
bordo della Sunny, nonostante l’aspetto non particolarmente
spaventoso,
navigavano veri e propri demoni appena tornati dall’inferno.
Pirati feroci, con
taglie da capogiro e abbastanza fegato per fronteggiare gli
scocciatori. Dalla
loro avevano anche il vantaggio che parte della marina e buona parte
del resto
del mondo li credeva ormai morti a causa di quei due anni durante i
quali non
avevano fatto parlare di loro. Certo, la loro partenza
dall’arcipelago Sabaody
era stato abbastanza caotica ma la notizia non aveva ancora fatto in
tempo a
fare il giro del mondo. Per ora erano soprattutto voci quelle che si
rincorrevano, che avevano finito per alimentare ancora di
più le leggende che
giravano sul loro conto. Insomma, tutto era tornato alla
normalità. Persino
Rufy, un primo tempo silenzioso e schivo, era tornato ad essere il
solito
casinista di sempre, con gran sollievo della ciurma. Tutti quanti
temevano che
gli avvenimenti svoltisi sull’isola della marina avessero
indelebilmente
segnato il loro capitano, ma erano stati ben felici di sbagliarsi.
Almeno, fino
a quel momento era sembrato essere così. Dopo la breve
chiacchierata con Nami,
Zoro e Sanji, Rufy era tornato quello di sempre. Sorrideva spesso,
senza mai
stare un momento fermo. Non aveva più parlato di quello che
aveva passato nella
prigione o sull’isola della marina. Rideva, pescava con Usop,
combinava danni
con Brook e faceva impazzire Nami. Il solito vecchio capitano. Quella
mattina,
tuttavia, nessuno sapeva bene che fine avesse fatto. Lui ed il suo
cappello di
paglia sembravano essere scomparsi.
- Ehi,
capitano.
Chiamò
Franky sbuffando, guardandosi intorno
alla ricerca dell’amico che sembrava improvvisamente
sparito.
Nei giorni
precedenti non era mai stato fermo nemmeno un minuto, contribuendo a
fare
spesso perdere la pazienza e fare sorridere gli altri. Quella mattina,
invece,
tutto era sembrato diverso. Aveva finito la colazione controvoglia,
quasi per
non turbare Sanji, poi aveva dichiarato di voler fare quattro passi da
solo sul
ponte. A tutti era parso strano, persino per uno come Rufy, ma avevano
preferito non dire nulla.
- Sono
qui.
Rispose
Rufy piano, dall’alto
dell’albero maestro.
Franky alzò la testa e guardò meglio,
incuriosito, per poi alzare le spalle, deciso a non fare commenti. Una
giornata
no, dopo tutto, poteva capitare a tutti. Fare continuamente domande
poteva solo
servire a peggiorare le cose.
- Usop
ha avvistato una specie di
grotta dove possiamo fermarci prima di raggiungere l’isola
degli uomini pesce.
Nami dice di non averne mai vista una prima e che ci fermiamo. Insomma,
tra
poche ore sbarchiamo.
Spiegò
il cyborg, curioso di vedere
la reazione del capitano.
Tutti quanti, persino Zoro che di solito era il meno
interessato ai posti in cui finivano, erano eccitati all’idea
di vedere un
posto del genere. Nessuno di loro ne aveva mai sentito parlare prima,
neppure
Nico Robin. Tutti erano stati concordi nel dichiarare che sicuramente
il
capitano avrebbe perso la testa e avrebbe finito con il mettere tutti
nei guai.
Chissà quali strani esseri abitavano un posto simile. Con
tutta probabilità Rufy
avrebbe cercato di reclutare qualche nuovo membro della ciurma, un uomo
pesce o
una sirena nel migliore dei casi, un mostro marino da tenere come
animaletto
domestico in quello peggiore.
Rufy
annuì, poi tornò a guardare di
fronte a sé. Sembrava quasi non gliene importasse un gran
che delle notizie
portate dal compagno. Franky si grattò la testa, perplesso,
poi tornò
velocemente dai compagni.
-
Allora? Lo hai avvisato?
Chiese
Nami, frenetica e impaziente
di sapere le impressioni del capitano per poter prendere tutte le
precauzioni
del caso per evitare danni troppo grossi. L’idea era
ricominciare la loro
avventura insieme, rischiare la pelle non era nei piani di nessuno.
- Io..
Beh, si.
Rispose
Franky, confuso.
Il cyborg si
grattò perplesso la testa, incerto su come proseguire.
- E
allora?
Insistette
la navigatrice, eccitata
all’idea di sbarcare, vedere posti nuovi e vivere strane
avventure con il suo
capitano.
I due anni sull’isola metereologica erano stati belli, utili
ma
soprattutto noiosi. Circondata da tutta quella prudenza e da tutta
quella
sicurezza aveva cominciato a rimpiangere l’avventatezza di
Rufy e la sua
abitudine a cacciarli sempre in qualche strano ed assurdo guaio.
- Non
ha detto nulla, ha solo
annuito.
Rispose
il cyborg, alzando le spalle.
-
Impossibile.
Decretò
Zoro fino a quel momento
profondamente addormentato.
Sanji, al suo fianco, seguiva la discussione
interessato, senza intervenire. Sapeva che il compagno aveva ragione,
mai fino
a quel momento Rufy si era dimostrato annoiato all’idea di
vedere un posto
nuovo. Normalmente riusciva a trovare interessante e curioso persino un
oggetto
o un posto all’apparenza banale.
- Ti
assicuro che è così.
Disse
Franky, infastidito dal fatto
che i compagni mettessero in dubbio le sue parole.
- Ha
ragione lui- disse Nami,
indicando lo spadaccino - Conosco Rufy da una vita, praticamente da
quando ha
preso il mare-
Continuò
la ragazza, stizzita.
Quella
discussione era assurda, Franky doveva per forza essersi sbagliato. In
alternativa
voleva dire che il loro capitano aveva un grosso problema.
- Che
vorresti dire?
Chiese
Chopper, confuso, passando lo
sguardo in modo frenetico dalla ragazza al cyborg.
- Ogni
volta che Rufy vede un’isola
si mette a fare il matto e insiste per sbarcare subito.
Spiegò
Zoro, sospirando.
Il suo tono
era tornato calmo, pacato. Sanji invece si era acceso una sigaretta. Lo
spadaccino sembrava avere capito che doveva trattarsi di qualcosa di
serio, ma
non voleva preoccupare i compagni inutilmente. Avrebbe parlato con il
capitano
più tardi, da solo. Qualunque cosa avesse questa volta lo
avrebbe convinto a
tornare quello che era, lasciando da parte i brutti ricordi e le
sconfitte. Doveva
trattarsi per forza di quello, non c’erano molte altre
alternative.
-
Sarà, ma questa volta è diverso.
Concluse
Franky, scuotendo la testa.
Usop
aprì la bocca per dire la sua, ma venne zittito da Robin che
aveva intravisto
il capitano che si stava avvicinando. Rufy passò davanti ai
compagni senza
vederli davvero, senza dire nulla. Sembrava stanco, esausto. Ridotto
persino
peggio di quando aveva affrontato l’uomo con il piccione,
tanto tempo prima.
- Credi
che riesco a dormire qualche
ora prima che sbarchiamo?
Chiese
Rufy, guardando Nami e facendo
del suo meglio per ignorare le occhiate preoccupate degli
altri.
Non aveva
bisogno di alzare la testa per vedere lo sguardo triste e deluso di
Zoro o
quello terrorizzato di Usop e Chopper.
Alle
parole del capitano gli sguardi
dei compagni si fecero ancora più cupi. Il fatto che il
ragazzo di gomma fosse
disposto a rimandare lo sbarco rendeva quella situazione decisamente
più
problematica ed oscura. Doveva essergli preso qualcosa, ma nessuno
riusciva a
capire di che si trattava.
- Bhe,
suppongo di si.
Rispose
la navigatrice, confusa.
Era
la prima volta che Rufy faceva una richiesta del genere. Di solito il
suo
problema era l’opposto, vale a dire affrettare lo sbarco
anche a costo di
arrivare su un’isola sconosciuta in piena notte e senza avere
idea dei pericoli
nei quali sarebbero incorsi o degli avversari che si nascondevano
nell’ombra.
- Non
vuoi mangiare qualcosa prima di
sbarcare? Non si sa mai cosa troveremo sull’isola.
Insistette
Sanji, eccitato all’idea
di vedere un posto nuovo ed allo stesso tempo preoccupato per il suo
capitano.
La richiesta di un lauto pasto prima di sbarcare normalmente veniva da
lui. Una
buona scusa per un pranzo extra.
-
Giusto, buona idea.
Esclamò
Chopper, cercando di
coinvolgere Rufy nell’entusiasmo generale.
Di fronte al cibo il ragazzo di
gomma non diceva mai di no, qualsiasi cosa stesse accadendo.
- Ho
una fame da lupi.
Aggiunse
Usop, pregustando i
manicaretti che il cuoco avrebbe preparato per loro.
Nei due anni che erano
stati lontani Sanji aveva imparato nuove ricette, diventando se
possibile
ancora più bravo. Ormai si poteva affermare senza paura di
sbagliarsi che il
miglior cuoco che solcasse i mari navigava con loro. Nei giorni
precedenti Rufy
aveva insistito perché lui cucinasse tutte le sue
specialità, sia quelle
vecchie che quelle nuove, per poter stabilire una graduatoria delle
migliori.
Sanji all’inizio aveva protestato, poi lo aveva accontentato.
Anche a lui era
mancato parecchio cucinare per i compagni.
- Io
potrei suonare qualcosa..
Propose
Brook, lasciandosi prendere
dall’euforia.
Nei giorni precedenti ogni sera i ragazzi trovavano un pretesto
per fare festa. Era proprio Rufy il primo a proporre un po’
di baldoria,
riuscendo alle volte a trascinare con sé anche Zoro. La
musica dello scheletro,
a volte malinconica ed a volte allegra, aveva sempre accompagnato
quelle feste.
-
Super, si fa festa!
Esclamò
Franky, pregustando la cola
che avrebbe bevuto.
Si trattava di una riserva speciale, una delle migliori di
tutti i mari, che aveva messo da parte in quei due anni per poterla
bere
insieme ai compagni.
-
Allora capitano? Cosa vuoi che
prepari?
Chiese
Sanji, felice che sulla nave
fosse tornata la normalità.
Tutti erano allegri, su di giri. L’unico in
silenzio era Zoro. Lo spadaccino non aveva mai smesso di fissare Rufy,
ancora
immobile nella posizione di prima. Gli altri potevano illudersi che
tutto fosse
tornato alla normalità, lui sapeva che non era
così. Lo conosceva troppo bene.
- Per
me nulla, vado a sdraiarmi.
Sussurrò
appena il capitano,
voltandosi verso le cabine.
Le sue parole furono come una doccia fredda.
Gelarono l’entusiasmo di tutti.
- Non
hai fame?
Chiese
Robin, preoccupata, prendendo
a fissare Rufy con insistenza.
Il ragazzo si voltò, quasi quello sguardo lo
facesse sentire a disagio. Non voleva preoccupare i compagni, ma voleva
starsene un po’ da solo. Loro non sapevano tutta la storia,
non avrebbero capito.
- Stai
male?
Si
preoccupò Chopper, pronto ad
afferrare la sua borsa per visitare l’amico.
Rufy sorrise e scosse appena la
testa, cercando di tranquillizzare il dottore.
- No,
sto bene.
Disse
Rufy, sorridendo malinconico,
voltandosi verso i compagni che non avevano ancora staccato gli occhi
da lui.
-
Tranquilli.
Aggiunse
vedendo i visi spaventati
degli amici.
Pensò di dire qualche sciocchezza che avrebbe li avrebbe
convinti
a lasciarlo in pace, ma non gli venne in mente niente. La sua mente era
svuotata,
pensava solo al giornale che aveva intravisto sulla mensola della
cucina di
Sanji quella mattina. Era bastata un’occhiata per farlo a
sentire perso,
smarrito ed inutile. Quelle parole e quelle immagini continuavano a
rincorrersi
nella sua mente.
- Sei
strano capitano.
Dichiarò
Sanji alla fine, lanciando
lontano la sigaretta ormai consumata.
-
Perché?
Chiese
Rufy, ingenuamente, fissando
intensamente il cuoco.
- Beh,
non mangi per prima cosa.. E
non insisti nemmeno per sbarcare.
Rispose
Sanji, pensieroso.
Non
riusciva proprio a capire cosa gli fosse preso. Solo la sera prima
rideva e
scherzava, persino quella notte aveva fatto il suo solito macello
parlando
addirittura nel sonno. Quella mattina poi, improvvisamente, era
diventato
strano. L’ombra di se stesso. Prima era sparito, poi era
ricomparso solo per
dire ai compagni che voleva stare solo senza spiegare altro. Se
c’era una
spiegazione logica dietro a tutto questo, a lui sfuggiva. Sembrava solo
una
cosa assurda ed insensata.
-
È quasi sera, forse è meglio aspettare
domani mattina. Nami, cosa dici?
Mormorò
Rufy, voltandosi verso la
ragazza che fissava la scena incredula.
Solo in un sogno sarebbe potuta
accadere una cosa del genere. La navigatrice fissò il
capitano e nei suoi occhi
non trovò il solito entusiasmo, ma solo tanta
preoccupazione. Se non avesse
conosciuto meglio Rufy avrebbe detto che l’idea di sbarcare
lo terrorizzava.
- Credo
di si..
Balbettò
la navigatrice, interdetta,
cercando l’aiuto dei compagni.
Sbarcare con il buio era certamente un azzardo,
ma mai prima si erano posti un problema del genere. Anzi, di solito la
parte
difficile era costringere quella massa di teste dure alla prudenza. Per
la
prima volta il suo capitano si stava comportando in modo assennato,
mettendo al
primo posto la sicurezza ed il bene della ciurma. Lei in quanto
navigatrice
avrebbe dovuto esserne felice, invece era solo preoccupata. Come gli
altri, del
resto.
- Bene,
è deciso. Vado a sdraiarmi,
Sanji dopo mi cucini qualcosa?
Chiese
ancora Rufy, stringendo la
mano sulla maniglia della porta della cabina che divideva con gli altri
ragazzi.
- Si,
certo.
Rispose
Sanji, confuso quanto i
compagni.
-
Grazie.
Mormorò
il capitano, sparendo dalla
vista della ciurma.
I ragazzi si guardarono tra loro, increduli. Quello che era
appena accaduto era assolutamente assurdo, senza senso. Probabilmente
se
avessero dovuto raccontarlo a qualcuno non avrebbero saputo da che
parte
iniziare.
- Forse
vuole solo essere lasciato un
po’ in pace.
Suggerì
Robin, alzando le spalle.
Il
comportamento di Rufy le era parso strano, ma era evidente che
c’era qualcosa
sotto. Doveva essere successo qualcosa, forse quella mattina, che era
sfuggito
a tutti loro. Il capitano prima di colazione aveva gettato
un’occhiata al giornale
e magari vi aveva intravisto qualcosa che lo aveva preoccupato. I
ragazzi
annuirono appena. Nessuno di loro sembrava davvero convinto, tuttavia
decisero
che doveva essere così. Dopo tutto avevano pochi elementi
per poter capire
quello che passava nella testa del capitano. Forse si trattava solo di
una
giornata storta.
Nessuno
vide Rufy fino a sera,
neppure per cena. Decisi a non disturbarlo, i ragazzi finirono con il
dedicarsi
alle loro solite attività fingendo che tutto fosse normale.
Solo Zoro rimase sul
ponte, deciso a parlare a Rufy ad ogni costo. Era il suo vice, toccava
a lui
prendersi la responsabilità dei compagni e di affrontare
quel discorso.
- Ehi
capitano..
Chiamò
lo
spadaccino, vedendo il cappello del ragazzo di gomma comparire dalla
porta.
Alle
parole del suo secondo Rufy si bloccò per qualche istante,
valutando l’idea di
tornare dentro. Sicuramente Zoro avrebbe insistito per parlare con lui
e
testardo come era avrebbe finito con il capire facilmente ogni cosa.
- Anche
tu sei preoccupato per me?
Chiese
Rufy, innocentemente,
avvicinandosi al compagno che era appoggiato alla balaustra del
ponte.
Le tre
spade gli pendevano dal fianco, avvolte con cura nei loro foderi.
- No,
ma dovresti davvero mangiare
qualcosa.
Mormorò
Zoro, nascondendo a mala pena
la sua preoccupazione.
Doveva arrivare al centro del problema per gradi. Rufy
era ingenuo, ma anche testardo. Era lui a dover parlare, non Zoro a
metterlo
alle strette. Non avrebbe ottenuto nulla, altrimenti.
-
Più tardi..
Sospirò
il capitano, voltandosi verso
il mare per sfuggire allo sguardo indagatore di Zoro.
Lui capiva tutto, sempre.
Forse sapeva già tutto, ma fingeva e aspettava. Sapeva che
di lì a poco lui
avrebbe finito con il cedere.
- Credo
che Sanji impazzirà prima.
Insistette
lo spadaccino, sorridendo
appena.
Una scenata del cuoco sarebbe anche stata divertente, ma non era sicuro
che Rufy l’avrebbe apprezzata come al solito nello stato in
cui si trovava.
- Se
non sei preoccupato, perché sei
qui?
Chiese
Rufy, spazientito, voltandosi
verso il suo vice.
Andare dritti al punto, senza girarci intorno, era una cosa
che aveva imparato proprio da lui. Ancora una volta Zoro sorrise, alla
fine il
capitano aveva perso la pazienza. Stava per raccontargli tutto.
- Vuoi
parlarne?
Chiese
Zoro, discreto come al solito.
Rufy sospirò, non si poteva nascondere nulla
all’amico. Aveva bisogno di
parlare con qualcuno e lo spadaccino era discreto abbastanza per
ascoltare le
sue preoccupazioni senza peggiorare le cose.
-
Credevo di averlo superato,
davvero, invece..
Sospirò
Rufy, alzando gli occhi al
cielo per nascondere le lacrime che sentiva scendere lungo le sue
guancie.
-
Invece passa un anno, ne passano
due ma tu ci stai male ancora come quando la persona a cui volevi bene
ti ha
lasciato.
Completò
Zoro per lui.
Rufy sospirò,
ed annuì. Doveva avere letto il giornale, oppure
semplicemente ricordava che la
notizia della morte di Ace Pugno di Fuoco era stata data proprio in
quel
giorno. Erano passati due anni precisi da che Ace gli era morto tra le
braccia
e quella stupita cicatrice non faceva altro che ricordarglielo. Il sole
era
sorto e tramontato per settecentotrenta volte, eppure il dolore era
ancora
tutto lì come il primo giorno. Una semplice occhiata ad un
titolo dai caratteri
cubitali che celebrava quella tragedia aveva avuto il potere di farlo
sentire
di nuovo piccolo, stupido e debole. Persino il medaglione che gli aveva
dato
Keira gli pesava al collo. Lo avrebbe volentieri buttato via, lontano,
magari
in mare, ma temeva la reazione della ragazza. Mai contrariare una donna
gli
aveva detto una volta Ace, specie se ha dei poteri di cui non conosci
la
natura.
- Lo ha
fatto per me, voleva
difendermi..
Mormorò
Rufy, singhiozzando piano.
Non voleva che il compagno capisse che stava piangendo. Lui era il
capitano,
doveva essere forte. Zoro si avvicinò appena, lasciando
tuttavia qualche metro
tra loro.
- Che
differenza fa perché è morto?
Chiese
Zoro, alzando le spalle.
Rufy
si fermò a riflettere e si trovò a dare ragione
allo spadaccino. Se Ace fosse
morto per un raffreddore o per un incidente del quale nessuno avesse
avuto
colpa sarebbe stato lo stesso, forse peggio. Almeno così gli
restava la
vendetta. Prima o poi avrebbe ucciso quell’ammiraglio,
facendogli pagare quel
colpo che aveva messo fine alla vita del suo adorato fratello maggiore.
- Tu
come hai fatto a non soffrire
più?
Chiese
Rufy, dopo un po’ che i due
erano in silenzio.
Zoro non rispose subito, rimase per un po’ a pensare. Quella
era una strana domanda, che nessuno gli aveva mai fatto. Forse non
aveva mai
smesso di soffrire per la morte della sua amica, oppure semplicemente
aveva
preso a non farci più caso.
- La
mia promessa. Quina non sarà
veramente morta fino a che io non mi arrendo e smetto di seguire il mio
sogno.
Raccontò
lo spadaccino, parlando di
sé come non aveva mai fatto prima.
Per un
po’ i due rimasero in
silenzio, ognuno immerso nei propri ricordi. Fu il ragazzo di gomma a
rompere
quell’incanto carico di sofferenza.
- Ho
paura, Zoro.
Confessò
Rufy alla fine, mentre Sanji
si univa alla conversazione in modo discreto.
Senza dire nulla il cuoco
appoggiò un piatto di fronte al proprio capitano e si accese
una sigaretta,
soffiando il fumo nella direzione opposta. Zoro non disse nulla,
lasciando che
il capitano avesse il tempo di sfogarsi ancora per qualche minuto.
-
Dovresti mangiare qualcosa.
Disse
alla fine.
Rufy lo ignorò e
andò avanti.
-
Vorrei fare l’idiota come al
solito, scendere ed esplorare questa maledetta isola ma ho paura che se
lo farò
allora succederà qualcosa di brutto a qualcuno di voi, ed io non sarò
in grado di proteggervi.
Continuò
Rufy, lo sguardo fisso al
pavimento.
Non riusciva a guardare negli occhi i suoi due compagni
perché
sapeva di averli delusi. Nessuno avrebbe voluto un capitano che
ammetteva le
sue paure, passando così per idiota.
- Come
non hai protetto tuo fratello?
Chiese
Sanji, pensieroso, ripensando
a quello che diceva il giornale.
-
Proprio così. Ace è morto, Sabo è
morto.. Siete voi la mia famiglia ora.
Disse
alla fine il capitano,
prendendosi la testa tra le mani.
Quel pensiero lo faceva stare male e bene
allo stesso tempo. Aveva perso Ace e Sabo, ma aveva ancora qualcosa.
Una
famiglia, dei compagni da difendere. Quello che non sapeva era se
sarebbe
riuscito a proteggerli. L’idea di fallire ancora e di perdere
anche loro lo rendeva
uno straccio.
- Anche
io ho paura, capitano.
Disse
il cuoco, cogliendo il capitano
e lo spadaccino di sorpresa.
- Io ho
paura di un sacco di cose.
Ammise
Zoro, inclinando appena la
testa.
Al riparo dal resto del mondo, nascosti dalla luce della luna i tre
guerrieri avevano alla fine trovato il coraggio di essere sinceri
almeno con se
stessi, confessando i propri timori ai compagni di lotta.
- Ti
guardi intorno, vedi tutto così
grande e ti senti lontano anni luce dal tuo sogno.
Continuò
Sanji, accendendosi subito una
seconda sigaretta.
-
Proprio così.
Annui
lo spadaccino, senza fare
commenti.
In quel momento Sanji non era un suo rivale da deridere ma un
compagno da appoggiare e sostenere.
- E
poi? Che fate quando state così?
Alzando
lo sguardo sui due compagni,
aspettando con ansia una risposta che potesse aiutarlo a stare meglio.
- Mi
ricordo che anni fa stavo per
morire, ed un ragazzino mi ha salvato. Mi hai dato un nuovo motivo per
andare
avanti, per apprezzare la vita. Ho trovato degli amici, una famiglia.
Non avrei
creduto che uno come me potesse essere adatto a fare il pirata in una
ciurma,
sai..
Spiegò
Zoro sorridendo, fissando
negli occhi Rufy.
Il ragazzo di gomma in quello sguardo vide gratitudine,
commozione e vi trovò una famiglia. Un silenzioso fratello
che gli era sempre
stato accanto fin dal primo giorno.
-
Fatico a crederlo anche io..
Commentò
Sanji, ironico, riferendosi
alla scelta di Zoro di cercare dei compagni.
- Hai
da dire?
Sbottò
Zoro, deciso a non farsi
mettere i piedi in testa dal cuoco.
Non in un momento simile e davanti al suo
capitano. Per un breve istante i due sembrarono pronti a iniziare una
delle
loro infinite discussioni, ma poi abbandonarono entrambi
l’idea.
-
Zitto, idiota. Ad ogni modo, ha
ragione lui. Noi guardiamo te per andare avanti. Ci hai insegnato a non
combattere solo per noi stessi, ma anche per difendere gli amici. Anzi,
i
fratelli.
Disse
Sanji, lanciando lontano la
sigaretta ormai finita.
Rufy fissava i due compagni attonito, senza sapere cosa
dire. Il bene che provava per loro non si riusciva ad esprimere con le
parole. Nulla
sarebbe bastato.
-
Grazie, ragazzi.
Mormorò
Rufy, commosso.
Non sapeva
che altro dire, per la prima volta nella sua vita era senza parole. O
forse,
non c’erano altre parole davvero necessarie in quel momento.
-
Mangia, si sta raffreddando la
cena.
Si
raccomandò Sanji, sospirando ed
indicando al proprio capitano un piatto di minestra fumante.
L’aveva preparato
con cura, per lui. Accanto al piatto c’era un grosso
cosciotto. Rufy guardò entrambe
le pietanze e si illuminò. Come al solito Sanji era il
migliore.
-
È buona lo stesso.
Rispose
Rufy, alzando le spalle.
I
due compagni videro che sorrideva. Finalmente era tornato il solito
capitano di
sempre. In pochi istanti pulì il piatto e si
voltò verso Sanji, bramoso,
chiedendone ancora. Il cuoco sospirò e riempì
ancora il piatto del capitano.
- Vuoi
aspettare domani per sbarcare?
Chiese
Zoro, pensieroso, mentre Rufy
continuava imperterrito a mangiare.
-
Neanche per sogno. GENTE, SI
SBARCA!
Urlò
Rufy ancora con la bocca piena,
ignorando il fatto che era notte e che molto probabilmente gli altri
erano già
andati a letto.
Sanji e lo spadaccino sorrisero, si strinsero nelle spalle e si
prepararono a seguire il capitano nella sua esplorazione. Non potevano
di certo
lasciarlo solo. La mattina successiva gli altri si sarebbero
preoccupati e
forse anche arrabbiati, ma andava bene così. In fondo tutti
sapevano quanto
fosse incosciente Rufy.
-Tu non
vieni con noi?
Chiese
Zoro, voltandosi verso il
cecchino che aveva ascoltato tutta la conversazione nascosto dietro
l’albero
maestro.
Sanji e Rufy si voltarono di scatto verso l’amico,
imbarazzato per
essere stato sorpreso a spiare i compagni.
- Ehi,
Usop.. Da quanto sei lì?
Domandò
Rufy, ingenuamente, fissando
intensamente il suo migliore amico.
Non era arrabbiato, solo stupito.
- Da un
po’..
Rispose
il cecchino, fissando le assi
della nave nelle speranza che queste si aprissero per inghiottirlo e
toglierlo
così da quella situazione tanto imbarazzante.
Si sentiva sporco, quasi un
ladro. Aveva origliato tutta la conversazione senza trovare il coraggio
di
avvicinarsi. Che poteva dire uno come lui?
- Beh,
avresti potuto parlare.
Commentò
Sanji, serio, raccogliendo i
piatti della cena del capitano.
- Non
hai ancora risposto, vieni con
noi?
Ripeté
Zoro, tranquillo.
Il cecchino
sembrò stranito da quella domanda.
- Cosa
centro io? Non sono nemmeno
lontanamente forte, coraggioso e determinati come voi. Io sono un
codardo, un
buono a nulla..
Mormorò
Usop, senza staccare gli
occhi dal pavimento.
-
Smettila di dire idiozie. Ti sei
dimenticato di tutte le volte che ci hai salvato la pelle?
Lo
zittì Sanji, trascinandolo insieme
a loro giù dalla nave.
Nessuno dei tre oppose resistenza. Zoro era zitto, come
sempre, Rufy rideva ed Usop piangeva di gioia. Una bella squadra, tutto
sommato. Nami fissava i tre compagni ai quali si era appena aggiunto
Usop da
lontano, sorridendo. Non poteva sapere cosa si stessero dicendo, ma
sicuramente
le parole di Sanji e Zoro avevano fatto stare meglio Rufy, che adesso
sorrideva. Usop invece sembrava imbarazzato come suo solito.
Probabilmente
doveva essersi messo in una situazione strana.
La
ragazza rimase per un po’ a
pensare se andare o meno da loro. Quando aveva aperto il giornale aveva
capito
cosa turbava Rufy: la morte del fratello maggiore. Subito ne aveva
parlato con
i compagni, indecisa sul da farsi. Zoro era uscito dalla stanza,
borbottando
qualcosa tra sé. L’articolo che aveva letto
conteneva un’intervista di un
abitante dell’isola da cui proveniva Rufy nel quale si
parlava dell’infanzia
del loro capitano. Nami aveva così scoperto
l’esistenza di un terzo fratello,
morto tanti anni prima, di cui Rufy non aveva mai parlato. Leggendo
quella
notizia Nami aveva iniziato a piangere silenziosamente. Doveva essere
triste
essere l’ultimo sopravvissuto di tre fratelli, ma almeno il
capitano adesso era
di nuovo felice. Anche Robin aveva letto a lungo il giornale,
sfogliando
nervosamente le pagine senza dire nulla. Ad un certo punto la ragazza
era anche
impallidita, ma non aveva voluto dare spiegazioni ai compagni.
La
mattina successiva la prima cosa
che notarono i ragazzi appena svegli fu l’innaturale silenzio
e la strana
sparizione della colazione. Nessun rumore proveniva dalla cucina,
né nessun
odore invitante che lasciasse pensare che Sanji stesse preparando la
colazione.
-
Allora, tutti pronti a sbarcare?
Chiese
Chopper, guardandosi intorno
frenetico.
Il ponte era stranamente vuoto e silenzioso e per di più
sembravano
scomparsi alcuni dei loro compagni. Non vi era traccia del loro
chiassoso
capitano, ne dello spadaccino perennemente addormentato, del cecchino
bugiardo
o del cuoco marpione. Che fine potevano avere fatto tutti e quattro?
- Ma
sono spariti tutti?
Chiese
la piccola renna, guardandosi
intorno deluso.
Dopo la tristezza che si respirava il giorno prima si era
aspettato come minimo un po’ di entusiasmo. Certo,
l’umore del capitano non
era alle stelle ma loro stavano lo stesso
per sbarcare in un posto da sogno.
- A
quanto pare..
Commentò
Franky, stupito, guardandosi
intorno meglio.
All’appello oltre a Rufy mancavano anche Sanji, Zoro, Nami ed
Usop. Neanche la ragazza si era ancora fatta viva.
-
Scendiamo?
Chiese
Nami, comparendo dalla sua
cabina e gettando la scala oltre la fiancata.
Era seria, tesa, quasi stesse
pensando ad altro.
- E gli
altri?
Protesto
Chopper, preoccupato,
continuando a guardarsi intorno.
Aveva chiamato gli amici molte volte, senza
ottenere risposta. Dove potevano essere finiti?
- Sono
andati avanti.
Rispose
Nami, tranquilla.
I compagni
guardarono la navigatrice. Sembrava sapere quello che stava dicendo,
così
decisero di fidarsi di lei. Visto che di Rufy e Zoro non
c’era traccia il
comando era passato a lei.
- I
soliti idioti.
Sussurrò
Franky, scuotendo la testa.
-
Almeno il capitano si è ripreso.
Commentò
Brook, allegro.
- Pare
di sì.
Commentò
Nami, asciutta, guardandosi
intorno.
Vista dalla nave la grotta non sembrava particolarmente grande, eppure
una volta entrati nell’interno dovettero ricredersi. Pochi
metri più avanti si
snodava un infinito ed intricato dedalo di cunicoli, alcuni enormi
altri più
piccoli. Uno spettacolo da sogno. Trovare i compagni non fu certo
difficile.
Bastò seguire l’odore di cibo per trovare uno
spiazzo dove Sanji aveva
preparato una abbondante colazione. Non appena li scorse
iniziò a saltare,
attirando la loro attenzione ed indicando una lunga serie di dolci che
aveva
preparato per le sue belle. Tutti iniziarono subito a mangiare, tranne
Nami. La
ragazza aveva una cosa da fare, prima della colazione.
- Ehi
Rufy..
Disse
Nami, avvicinandosi al
capitano.
Il ragazzo, troppo preso dal cibo, non la sentì nemmeno.
Continuò a
mangiare, ignorando la presenza della ragazza.
-
Brutto idiota, mi hai sentito?
Urlò
la ragazza, scuotendo il
compagno con violenza.
Il ragazzo non fece un piega. Appoggiò la fetta di torta
che teneva in mano, si voltò e fissò la compagna
a lungo, perplesso di trovarla
lì a quell’ora insieme al resto della ciurma.
- Scusa
Nami.
disse
Rufy con fare innocente,
avvicinandosi alla ragazza
- Sei
ancora arrabbiata con me?
Aggiunse
il capitano, con
un’espressione colpevole.
I compagni lo guardavano, tenendo il fiato, in pena
per lui. La reazione di Nami poteva essere terribile, loro lo sapevano
bene.
- No,
volevo solo parlarti un po’.
Rispose
Nami, calma, sorridendo.
Il
resto della ciurma di stranì di questo improvviso cambio di
umore. Di solito
quando era arrabbiata con qualcuno la navigatrice lo restava a lungo,
facendo
patire al poveretto le pene dell’inferno.
- Sto
bene Nami, te lo assicuro.
Mormorò
Rufy, parlando ad alta voce.
Voleva che anche gli altri sentissero, era stanco dei segreti. Parlare
con
Sanji e Zoro gli aveva fatto veramente bene. Aveva chiuso un capitolo
doloroso
della sua vita. I suoi fratelli erano morti, ripensare a loro e
torturarsi non
li avrebbe riportati da lui. Doveva rassegnarsi, sorridere e guardare
avanti
pensando al bene dei suoi compagni, la sua nuova famiglia.
- Sai..
Ho letto il giornale, anche
gli altri a dire il vero.
Continuò
la ragazza, giocando con una
ciocca dei lunghi capelli.
Era nervosa, non sapeva come avrebbe preso
quell’informazione Rufy. Forse avrebbe urlato che non erano
fatti loro, oppure
sarebbe caduto un’altra volta in depressione.
-
Davvero? Io non lo leggo mai.. ieri
però mi ci è caduto un occhio per sbaglio..
Rispose
lui, alzando le spalle.
Non sembrava
arrabbiato, né distrutto. Solo indifferente. Nami sapeva
bene che si trattava
una maschera, ma non capiva che cosa mascherasse. Dolore o rabbia?
-
C’era un’intervista in cui si
parlava di te, di Ace e di.. Sabo.
Continuò
Nami, incerta.
Rufy prese a fissare
il pavimento, senza dire nulla. Il suo respiro era regolare, nulla
faceva
pensare che fosse agitato o arrabbiato.
-
Perché non ce ne hai mai parlato?
Di Sabo dico..
Mormorò
Nami, attenta a scegliere con
cura le parole.
Rufy sospirò e rimase in silenzio un momento. Sembrava
stesse
cercando le parole.
- Non
c’era nulla da dire. È morto.
Rispose
Rufy, alzando le spalle.
Sembrava tranquillo, quasi rassegnato. Non c’era traccia
della disperazione del
giorno precedente.
-
È strano, voglio dire.. Dragon è
uno dei maggiori ricercati del mondo. È già
strano che abbia avuto un figlio,
tre addirittura.. è incredibile..
Esclamò
Franky, sorpreso.
Quel
pensiero gli girava in mente da quanto aveva letto la notizia. Anche
Robin lo
trovava assurdo, poi si era ricordata che Ace era figlio di Gol D
Roger.
Probabilmente anche Sabo non doveva essere il figlio di Dragon, oppure
non si
sarebbe potuta spiegare la tranquillità dipinta sul volto di
quell’uomo quando
lo aveva incontrato. Chi perde un figlio non è
così tranquillo, al contrario, è
disperato. Non vi era traccia di quella silenziosa disperazione sul
viso di
Monkey D Dragon. La cosa che l’aveva lasciata interdetta,
tuttavia, non era
certo quella. Nell’ultima pagina del giornale c’era
l’intervista ad un vecchio
oste di Logue Town, che giurava che Pugno di Fuoco era vivo e che
viaggiava con
una donna. La marina l’aveva bollata come voce senza senso,
eppure quel vecchio
non sembrava del tutto fuori di testa. Il nome Sabo, inoltre, non le
sembrava
nuovo, doveva averlo già sentito solo non ricordava dove.
- Non
avevamo nessun legame di
sangue.
Spiegò
Rufy, alzando le spalle.
La
spiegazione sorprese i compagni, tranne Robin. Improvvisamente la
ragazza
ricordò: era un rivoluzionario cacciato
dall’armata, forse lo aveva addirittura
intravisto. Possibile che si trattasse della stessa persona e che il
fratello
di Rufy, incredibilmente, fosse ancora vivo? Forse lo stesso doveva
valere per
Ace, in fondo la marina era nota per fare girare voci false.
Quell’idea la
sconvolse, tanto che decise di tenerla per sé. Non aveva
ragione di turbare
ulteriormente il capitano, senza prove.
- Che
differenza fa?
Chiese
Usop, alzando le spalle.
Nemmeno loro avevano legami di sangue, eppure navigavano insieme. Non
erano
parenti, eppure avrebbero volentieri dato la vita uno per
l’altro senza
pensarci troppo su. Un fratello di sangue è la famiglia che
ti trovi, un amico
è quella che vuoi, che ti scegli e che sei pronto a
difendere con il sangue.
- Per
me nessuna, il mondo però non
ci prendeva sul serio.
Rispose
il capitano, fissando il
vuoto.
Si poteva percepire chiaramente la malinconia nella voce del capitano,
insieme ad una voglia di andare avanti che prima non c’era.
- So di
che parli.
Mormorò
Nami, sorridendo tristemente.
Il suo pensiero andò a Nojiko, solo nella loro vecchia casa.
Alcune volte le
capitava di pensarla, addirittura di sognarla. Ogni volta la vedeva
sorridente,
impegnata con il campo di mandarini. Quando si svegliava, poi, era
triste e
malinconica. L’avrebbe voluta più vicina, magari
sulla nave insieme a loro.
- Ti
senti solo? Senza loro due..
Chiese
Chopper, con le lacrime agli
occhi.
Lui aveva sempre voluto una famiglia, dei fratelli. Doveva essere
triste
per Rufy avere perso tutto questo a causa della cattiveria del mondo.
Era
straordinario, tuttavia, che nonostante questo lui trovasse ancora la
forza di
ridere e di guardare al futuro con ottimismo. Anche per questo aveva
così tante
fede nel suo capitano. Lo avrebbe seguito ovunque, anche in capo al
mondo.
- Ogni
tanto, ma ora è diverso.
Rispose
Rufy, voltandosi verso Zoro,
Sanji e Usop.
I tre sorridevano. Solo loro riuscivano a capire fino in fondo di
cosa stava parlando il capitano.
- Che
vuoi dire?
Chiese
Brook, stranito, guardando
alternativamente i compagni.
- Ci
siete voi, non permetterò più a
nessuno di farvi del male. Non posso promettere una vita tranquilla, ma
farò
del mio meglio.
Disse
il capitano, sorridendo.
Aveva
parlato sorridendo, determinato. La sera prima aveva chiuso un capitolo
della
sua vita. Ace e Sabo erano stati importanti per lui, ma ora erano il
passato. Il
suo presente ed il suo futuro era la sua ciurma, tutto qui. Non avrebbe
più
permesso alla sua mente di tormentarlo con i ricordi di quando era
bambino, né
al suo cuore di essere triste per i suoi fratelli. Sarebbe andato
avanti per la
sua strada, senza più pensare ad Ace e Sabo. Doveva guardare
in faccia la
realtà: erano morti, non aveva senso cercare il loro viso in
ogni sconosciuto
che incontrava. Chi è morto non può tornare.
- Non
vogliamo una vita tranquilla,
vogliamo vivere tante avventure con te. Provare l’emozione
del vento tra i
capelli, il brivido dell’ignoto. Seguirti in pericolose
imprese ed affidarci
completamente a te, sicuri che troveresti un modo per risolvere la
situazione.
Esclamò
Nami, decisa, fissando Rufy
negli occhi.
Il ragazzo sospirò. Ancora una volte le parole dei suoi
compagni
lo avevano scosso.
-
Potremo essere attaccati dalla
marina o dal governo mondiale in qualsiasi momento.
Ricordò
Rufy, sbuffando.
La paura di
perderli era tanta, ma doveva farsi forza.
-
Combatteremo al tuo fianco, so che
tu ci proteggerai da ogni pericolo.
Disse
Robin, sicura.
Aveva sfidato il
governo già una volta, per lei. Lo avrebbe fatto ancora in
caso di bisogno.
Tutto per i suoi compagni. Erano una cosa sola, una famiglia.
-
Potrei essere colui che vi farà arrabbiare
per colpa della mia imprudenza.
Protestò
ancora Rufy, cercando di
metterli in guardia da quello che sarebbe potuto accadere loro
proseguendo
quello strampalato viaggio insieme a lui.
-
Saresti di sicuro anche colui che
poi mi farebbe ridere.
Ribatté
Usop, deciso a non dargliela
vinta.
-
Ragazzi, io..
Protestò
Rufy, messo alle strette.
-
Allora, vogliamo andare a vedere
questa grotta oppure no?
Esclamò
Sanji, buttando via la
sigaretta e chiudendo il discorso.
Il capitano sorrise e si lanciò nel buio
della foresta, seguito dai compagni.
ANGOLO
DELL'AUTRICE
Grazie mille a tutti
coloro che sono arrivati a leggere fino a qui.. come al solito mi
sorprendete e mi date la voglia di andrare avanti. piccola informazione
di servizio: in questa settimana avevo qualche giorno libero, quindi ho
postato parecchio. da lunedì si riprendono i soliti impegni,
quindi vi toccherà sopportare i miei eterni ritardi. Mi
spiace davvero tanto! per ora, tuttavia, godetevi il momento! un grazie
particolare va a tutti coloro che hanno commentato l'ultimo capitolo di
3D2Y. è sempre triste quando una storia arriva ad essere
completa, ma è stupendo che vi sia piaciuta così
tanto. ultimamente ho anche riletto "Inseguirsi lungo i sentieri del
destino" e non vi nascondo che mi sta passando per la mente l'idea di
pubblicare un seguito.. non so.. vedremo..
niki96: grazie mille per le tue parole! rufy, a differenza
dei fratelli ha perso le speranze di trovarli vivi.. almeno per
adesso.. chissà, forse nei prossimi capitoli Robin potrebbe
fargli cambiare idea!
Vale2910: grazie mille! il personaggio dell'oste non è una
mia invenzione, è il vecchio che Rufy incontra a Lugue Town
nell'anime. nella storia gli si da poco spazio, ma mi affascinava
l'idea che in una città così grande ci fosse un
posto che facesse da connettore tra uomini, mondi ed epoche diverse.
Tre 88: grazie mille! trovare una nave non sarà semplice. va
bene un log pose, ma non credo che qualcuno abbia una nave che gli
avanza nel taschino della camicia..
Sabo ed Ace non possono incontrarsi, ricordati che la storia
è sfalsata di sei mesi: Sabo è arrivato da Kaja
quando Ace era già partito con Nojiko. inoltre, se si
trovavano subito che gusto c'era? ti anticipo una cosa.. il luogo del
prologo potrebbe essere una grotta.. chissà! la
storia del log pose me la sono inventata io, una scusa per far capitare
i due dal vecchio oste e fargli scoprire che Ace e Rufy sono vivi.
Brando: Grazie mille!!! decisamente l'umore di Sabo ed Ace è
migliorato.. hanno appena scoperto che non sono del tutto soli al
mondo! la storia dello sfalsamento temporale manda in confusione, ma se
ti dico dove sono Ace e Sabo due anni dopo che gusto c'è?
mettiamola così, i due fratelli maggiori conoscono bene la
Rotta del Grande Blu e potrebbero addirittura aver superato l'isola
degli uomini pesce, oppure avrebbero potuto essere ancora indietro..
chissà..
Katy93: Ho idea che questo intrecciarsi aumenterà la
confusione generale, ma va bene lo stesso. questa storia mi piace anche
per questo. sotto molti punti di vista è una sfida anche per
me. il ciondolo come il bracciale? hai detto tutto tu.. :D
Gol D Ann: grazie mille e complimenti per il nick! sono felice che la
storia sia di tuo gradimento. spero di continuare ad affascinarti anche
nei prossimi capitoli!
Kuruccha: grazie mille per il commento! non ti preoccupare per il
ritardo.. sicuramente io non posso dirti nulla! :D da questo capitolo
in poi le vicende dei personaggi si intrecceranno sempre di
più, specie quelle di Ace e Sabo. i due fratelli stanno
facendo lo stesso viaggio a distanza di qualche mese, è
normale che trovino tracce del passaggio dell'altro.
Al prossimo, ed intricatissimo, capitolo!
|
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Capitolo 9 *** altri incontri ***
CAPITOLO 8
ALTRI INCONTRI
Sei
mesi dopo gli eventi di Marineford
Ace
uscì dalla locanda decisamente più
scosso di quando era arrivato su quell’isola. Lì
si aspettava di trovare solo
lo spettro del suo vero padre, non certo notizie sul suo fratellino. In
lontananza gli pareva quasi di sentire la risata del vecchio che doveva
fissarlo allontanarsi dalla porta, trattenuta a stento. Il pirata
decise di non
farci caso ed iniziò ad incamminarsi con il cappuccio ben
calcato a coprire il
volto. Aveva parecchio su cui riflettere, possibilmente senza la marina
tra i
piedi. Era partito insieme a Nojiko senza speranze ed alla ricerca di
un nuovo
inizio, adesso era deciso a continuare quel viaggio per trovare delle
risposte.
Rufy era ancora vivo, doveva per forza essere così. Quel
pensiero lo mise di
buon umore. Ad ogni passo che faceva ne era sempre più
convinto. Come pezzi di
un intricato puzzle, ogni dettaglio trovava la sua collocazione.
Qualcuno
dall’alto, forse proprio lo stesso Sabo, aveva deciso di
mettersi del suo per
frenare l’elenco di catastrofi che avevano colpito la sua
vita. Certo, per il
vecchio Barbabianca non c’era più niente da fare,
ma poteva rimediare a gran
parte dei suoi errori facendo si che il suo fratellino realizzasse il
suo
sogno. Dopo l’imperatore, solo Rufy era degno di ambire ad un
obiettivo come il
titolo di Re dei Pirati.
Ace
vagò per la città come un
fantasma, tenendo la testa bassa e fissa sulla strada che aveva di
fronte a sé.
Non voleva incontrare nessuno, né caotici bambini
né boriosi pirati o peggio
giovani reclute impazienti di dimostrare il loro valore. Solo quando si
fece
buio il ragazzo ricordò di dover tornare al porto dove
Nojiko probabilmente lo stava
aspettando da un sacco di tempo. Non ci mise molto a scorgerla, seduta
su una
panchina malmessa. Era decisamente irritata, sul punto di andare su
tutte le
furie. Sorrise appena, senza quasi darlo a vedere. Era davvero identica
a Nami.
- Alla
buon ora. Non sai proprio cosa
sia la puntualità, tu.
Sbottò
la ragazza, mascherando con
toni offesi la sua preoccupazione.
Ogni minuto che passava si faceva sempre più
largo la paura che Ahanu avesse potuto fare un’altra delle
sue pazzie, venendo
meno alla parola data.
- Che?
Chiese
Ace, alzando la testa
sorpreso.
Nojiko lo fissò, attenta. Sembrava si fosse appena riscosso
da un
sogno ma era quasi impossibile dire se si trattava o meno di un incubo.
Nonostante
lo sguardo perso, sembrava stare bene. Doveva avere vagato senza meta
per tutto
il tempo, perdendosi a ricordare il suo passato. A lei non aveva
raccontato
nulla, ma era evidente che ci pensava sempre. Una persona che
è arrivata a
tentare di togliersi la vita non smette di pensare da un giorno
all’altro a ciò
che lo fa stare male.
-
Lascia perdere, allora?
Continuò
la ragazza, insofferente.
Il
suo sguardo era ancora fisso sul pirata, più confuso che
mai. Ace sentiva di
essersi perso qualcosa, ma non riusciva a capire con esattezza di che
cosa si
trattava.
- Non
capisco..
Disse
il compagno, guardandosi
intorno.
Non c’era nessun tipo sospetto nei paraggi, eppure Nojiko non
faceva
che voltarsi da una parte all’altra quasi si aspettasse
qualcosa di improvviso
e di spiacevole. Il pirata guardò con attenzione, eppure non
scorse nessuna
bandiera pirata né tanto meno gruppi di marine pronti a
catturarli. Qualsiasi
cosa preoccupasse la ragazza, doveva essere di altra natura.
- Il
viaggio, il log pose e la nave.
Ti sei dimenticato di tutto quanto?
Chiese
la ragazza, scuotendo la
testa.
Più passava il tempo, più si convinceva che Ahanu
era la persona più
distratta sulla faccia della terra. Persino Rufy, il buffo capitano
della
sorella, non era arrivato a raggiungere quei livelli. Nojiko ci
pensò su,
scettica, poi scosse la testa. Effettivamente forse il ragazzo di gomma
era
ancora più distratto, tuttavia il suo compagno di avventura
veniva subito dopo
in quella strana ed assurda lista di sbadati.
-
Scusa, avevo la testa altrove.
Mormorò
Ace, sospirando.
Avrebbe
voluto condividere i pensieri con la ragazza, ma sarebbe servito
solamente a
preoccuparla di più. La sua storia lo avrebbe intristito e
avrebbe solamente
peggiorato l’umore di Nojiko ed i suoi nervi, già
abbastanza compromessi dalla
misteriosa sparizione della sorella. Nami, come il resto
dell’equipaggio di
Rufy, infatti, risultava scomparso. Secondo il giornale e le
riflessioni del
vecchio oste doveva essere successo qualcosa a Sabaody, prima che il
ragazzo di
gomma prendesse la decisione di raggiungere il fratello maggiore ad
Impel Down per
cercare di salvarlo. Per Ace quella versione aveva senso, in
particolare perché
non aveva visto nessuno dei compagni del fratello a Marineford. Questo
dettaglio lo aveva preoccupato da subito: quei ragazzi erano troppo
affezionati
al loro capitano per avergli voltato le spalle, persino davanti ad
un’impresa
tanto folle. Senza contare le strane alleanze che Rufy aveva stretto ad
Impel
Down che lo avevano portato a lottare al fianco di Crodile, un uomo che
lui
stesso aveva contribuito a sbattere al fresco. Se i compagni del
fratello
fossero stati presenti non avrebbe mai avuto bisogno di fare una cosa
tanto
assurda e pericolosa.
- Il
log pose l’ho trovato, la nave
ancora no.
Continuò
il ragazzo, concentrandosi
sui dettagli tecnici del loro viaggio e lasciando perdere le sue
riflessioni.
Camminare
gli aveva schiarito le idee: non avrebbero certo trovato Rufy
né tanto meno
Nami se non si fossero mossi da lì.
-
Questo è un bel problema.
Sbuffò
Nojiko, preoccupata. Il suo
volto si fece più scuro e preoccupato.
-
Possiamo dare un’occhiata domani.
Suggerì
Ace, stranito da
quell’improvviso cambio di espressione. Lei scosse
energicamente la testa e
strinse forte i pugni.
-
È in arrivo una grossa tempesta. Se
non partiamo stasera stessa dovremo aspettare delle settimane.
Spiegò
la ragazza, senza nascondere
la sua agitazione.
Era stata Nami ad insegnarle come fare previsioni
attendibili. A Nojiko non era mai piaciuto molto, né si era
mai dimostrata
particolarmente portata, ma aveva sempre fatto di tutto per
accontentare la
sorella. Non sapeva molto, solo qualche trucco per stupire i suoi
concittadini
e per badare al suo frutteto. In quel caso, tuttavia, quelle lezioni le
erano
tornate piuttosto utili. Doveva ricordarsi di ringraziare Nami, non
appena
l’avesse incontrata.
-
Dannazione.
Imprecò
Ace tra i denti, una tempesta
in quel momento era davvero una grande seccatura. Li avrebbe rallentati
e
avrebbe reso tutto dannatamente complicato.
- Che
si fa?
Chiese
la ragazza, sulle spine.
L’altro ci pensò un po’ su, considerando
tutte quante le possibilità a loro
disposizione. Alla fine concluse che non avevano molta scelta, dovevano
lasciare quel porto il più presto possibile oppure aspettare
che la tempesta
fosse passata anche se poteva volerci molto tempo.
-
Partiamo adesso e speriamo che la
nave regga
Disse
alla fine, di colpo di pallido.
Prendere il mare con una bagnarola in quelle condizioni poteva essere
pericoloso, ma loro era altrettanto restare sull’isola con
una tempesta in
atto. La marina avrebbe potuto riconoscerlo, ma loro non sarebbe potuti
scappare. Meglio mettersi al sicuro prima, preoccupandosi
dell’imbarcazione in
un secondo momento. Avrebbero trovato un carpentiere nella Rotta del
Grande Blu
e lui avrebbe sistemato tutto quanto al meglio. Nojiko
annuì, saltando
agilmente a bordo della nave. Il ragazzo la seguì, rapito,
stupito del fatto
che ogni cosa fosse già pronta per la partenza.
-
Credevi che fossi rimasta ad
aspettarti facendo la calzetta?
Chiese
la ragazza, divertita.
Ace la
guardò, pieno di ammirazione. Decisamente Nojiko era una
ragazza che sapeva
quello che voleva, proprio come Nami. Aveva passato poco tempo con la
navigatrice, ma gli era bastato per imparare ad apprezzare fino in
fondo le sue
qualità. Rufy era davvero fortunato.
La nave
si staccò dal porto
lentamente, per poi iniziare a prendere velocità. Alle
spalle i due ragazzi si
lasciavano un cielo scuro che prometteva pioggia, tutte le loro
certezze ed
un’isola su cui erano rimasti troppo poco. Di fronte a loro
il mistero, i sogni
ed i loro fratelli. Nessuno dei due aprì bocca, troppo preso
a fare progetti
per il futuro. Una volta giunti sulla cima della montagna Ace e Nojiko
scoprirono
che in fondo la nave non era messa poi così male. Certo, i
cavalloni erano
forti ma lei sembrava reggere abbastanza bene. Le grosse onde la
facevano
ballare, vibrare e la scuotevano forte, ma non dava segni di cedimento.
Pareva
quasi che volesse farsi beffe del pirata, inizialmente scettico a
portare
avanti quel viaggio senza cambiare nave. Imboccata la discesa che li
avrebbe
condotti dritti nella Rotta del Grande Blu, Nojiko era ormai convinta
che nulla
sarebbe potuto andare storto. C’è
l’avevano fatta. La nave avevano retto e loro
avevano finalmente imboccato la rotta del Grande Blu. Le sue speranze,
tuttavia, si infransero contro una grossa montagna che sbarrava loro la
strada.
La nave, già provata dall’esperienza della
corrente e della montagna, andò in
mille pezzi trascinando con sé Ace e Nojiko. I due
sprofondarono sott’acqua,
attratti verso il fondo da una forza sovraumana.
La
ragazza riemerse subito, il compagno
invece stava affondando tra i flutti.
Subito
lei si buttò per recuperarlo,
intuendo che doveva avere mangiato un frutto del mare, mentre una
balena la
fissava dispettosa. Quasi fiera del suo scherzo che era costato una
nave e che
aveva messo in pericolo le loro vite.
-
Brutto pesce troppo cresciuto,
dovrebbero farti arrosto così impareresti a non distruggere
le navi degli
altri.
Imprecò
Nojiko, trascinandosi insieme
al suo compagno verso un promontorio a pochi metri dal luogo
dell’impatto.
Richiamato dalle urla, comparve uno strano vecchietto. Si
guardò velocemente
intorno, preoccupato, poi scoppiò a ridere.
- Che
diamine vuoi, mocciosa?
Chiese
l’uomo, palesemente scocciato
per l’invasione e le urla ed allo stesso tempo
incredibilmente divertito per
quella scena che gli si parava sotto gli occhi.
-
È tuo questo merluzzo gigante?
Sbraitò
Nojiko, furiosa.
Non solo un
mostro sbucato dal nulla aveva fatto a pezzi la loro nave, ora ci si
metteva
anche un vecchio ad infastidirla. Era meglio se quella specie di nonno
con i
bermuda stesse lontano da lei. Quello scherzo stava mettendo in
pericolo la
possibilità di trovare Nami.
- Si
tratta di una balena.
Precisò
il vecchio, scandendo con
cura le parole quasi stesse parlando con qualcuno che non riusciva a
capire la
sua lingua.
Nojiko voltò gli occhi al cielo, scocciata.
-
È lo stesso, guarda cosa ha fatto.
La nave è distrutta ed il mio amico è quasi
annegato.
Esclamò
la ragazza, indicando i resti
della nave che galleggiavano a pelo dell’acqua ed il corpo
del compagno ancora
privo di sensi.
-
Problemi vostri.
Mormorò
il vecchio, alzando le
spalle.
La ragazza aprì la bocca per protestare ancora, ma lo
sguardo le cadde
sulla balena. Quello dipinto sulla sua testa sembrava la bandiera dei
Pirati di
Cappello di Paglia. Doveva sbagliarsi, era semplicemente assurdo.
-
Accidenti, che volo.
Protestò
Ace, aprendo con calma un
occhio. Le parole del compagno fecero dimenticare alla ragazza della
bandiera
dipinta sulla testa del cetaceo.
- Stai
bene?
Chiese
Nojiko, ansiosa. Il ragazzo
sorrise, ed annuì. Sembrava tranquillo, quasi quella brutta
avventura non fosse
successa a lui.
- Si,
non ti preoccupare. Maledizione,
la nave è distrutta.
Esclamò
Ace, non appena lo sguardo
gli cadde sul relitto galleggiante.
- Tutta
colpa di questo vecchio e del
suo tonno!
Sbuffò
la ragazza, stizzita,
indicando i due.
-
Continua ad essere una balena..
Precisò
ancora il vecchio.
Ace si
voltò piano, quasi sicuro di avere riconosciuto quella voce.
Sorrise appena,
senza muoversi. Nessun altro sarebbe potuto vivere in quel posto
sperduto,
facendo da balia ad una balena da quasi cinquanta anni.
- La
vecchia Lovoon è ancora qua,
allora.
Disse,
voltandosi piano verso il
vecchio.
A Crocus bastò uno sguardo per capire che quello di fronte a
lui non
era un semplice mozzo ma uno dei più pericolosi pirati in
circolazione. Lo
stesso che la marina aveva dato per morto, sbagliandosi clamorosamente.
Gli
gettò una seconda occhiata, poi sorrise. Non sarebbe stato
certo lui ad andare
a dire alla marina che aveva preso un clamoroso granchio. In fondo
quello
strano tipo gli era sempre stato simpatico, esattamente come il
fratello e la
sua ciurma.
- Tu?
Chiese
il vecchio Crocus, sorpreso.
Nojiko guardò con aria interrogativa prima l’uomo,
poi il suo compagno.
Decisamente non si aspettava che i due si conoscessero e si fossero
già
incontrati prima. Pensò di fare una domanda, poi si
ricordò che Ahanu le aveva
raccontato che prima di finire nel suo frutteto faceva il pirata.
Probabilmente
dovevano essersi incontrati così.
-
Proprio così.
Annuì
Ace, sperando che al vecchio
non venisse in mente di chiamarlo per nome.
A Nojiko sarebbe venuto un colpo,
poi sarebbe stata presa da una crisi isterica ed alla fine avrebbe
preso a
picchiarlo con violenza. Quella ragazza sapeva essere incredibilmente
aggressiva quando voleva.
- Sei
vivo allora..
Continuò
Crocus, inclinando leggermente
la testa. Era curioso, ma anche abbastanza discreto per non fare
domande non
necessarie.
- Beh
si, sono solo caduto in acqua.
Il vero problema è la nave.
Rispose
Ace, alzando la testa.
Nojiko
intuì che il vecchio forse si era riferito ad altro, ma
ancora una volta decise
di non fare domande. A lei importava solo di trovare sua sorella, il
passato di
Ahanu era affar suo. Aveva promesso di non fare domande e non voleva
tradire i
patti.
- Forse
posso fare qualcosa per voi,
prendete questa. È piccola ma per due persone va
più che bene.
Disse
il vecchio, indicando una
piccola imbarcazione ormeggiata vicino al faro.
- Avevi
detto che non te ne importava
nulla..
Protestò
Nojiko, mettendo il broncio.
Quel vecchio era assurdo, non aiutava una ragazza ma dava il suo
più totale
appoggio ad un pirata. Altro che gentiluomo.
- Solo
gli stolti non cambiano mai
idea, ragazzina. Prendi questo, non si sai mai.
Aggiunse
Crocus, lanciando qualcosa
alla coppia di ragazzi.
-
Grazie mille..
Mormorò
Ace, sorridente.
- Cosa
ci ha dato?
Chiese
Nojiko, curiosa.
Non aveva mai
visto un aggeggio simile: era del tutto identico ad un log pose, ma
tuttavia
sembrava avere una funzione diversa. Per prima cosa non si poteva
mettere al
polso, inoltre aveva una scritta sopra. Probabilmente il nome di
un’isola.
- Un
eternal pose. Se rimarremo
bloccati in qualche isola potremo andarcene.
Spiegò
Ace, mettendo l’oggetto nel
suo zaino. Avere con sé un eternal pose era una vera e
propria manna quando si
viaggiava per mare, specie in una rotta come quella del Grande Blu.
Chissà,
forse sarebbe potuto tornare utile in futuro.
- Fammi
capire, questo coso punta
solo su di un isola?
Chiese
Nojiko, dubbiosa. Ancora non
capiva a che cosa poteva servire dato che avevano già un log
pose.
-
Proprio così.
Annuì
Ace, salendo sulla loro nuova
nave. La ragazza lo seguì, guardandosi intorno curiosa. Non
era particolarmente
nuova, eppure era carina.
-Ehi,
mocciosi..
Chiamò
Crocus, mentre la nave si
staccava dall’ormeggio e prendeva lentamente il largo,
cullata dalle onde del
mare.
-
Dicci, vecchio.
Mormorò
Ace, senza più guardarlo.
-
Scegliete bene..
Disse
il dottore, tornando ai suoi
affari.
- Che
voleva dire?
Chiese
Nojiko, mentre la piccola nave
prendeva velocità ed i promontori gemelli diventavano poco
più grandi di
puntini in lontananza.
- Una
volta scelta una rotta, non si
può cambiare fino all’isola degli uomini pesce.
Spiegò
Ace, alzando le spalle. Per
lui non era certo una novità, ma sapeva che
quell’informazione avrebbe turbato
la sua compagna di viaggio.
- Ma
allora noi come facciamo a
sapere quale ha preso mia sorella?
Chiese
la ragazza, improvvisamente
più pallida.
Di fronte a loro si snodavano diverse rotte, ognuna identica
all’altra. Si voltò verso il compagno, stupendosi
di trovarlo calmo. Ace sorrise
appena, senza dire nulla. Lui sapeva con certezza quale rotta avrebbero
dovuto
prendere, ma non poteva certo dirlo a lei.
- Beh,
per prima cosa sappiamo che
l’ultimo posto dove è stata avvistata è
l’arcipelago Sabaody.
Disse
Ace, dopo aver pensato un po’
sopra a cosa poteva dire e cosa era meglio che taceva, almeno per il
momento.
-
È positivo?
Chiese
Nojiko, inclinando appena la
testa. Il ragazzo annuì.
- Tutte
le rotte conducono lì.
Mormorò
Ace, sorridendo.
A quelle
parole la ragazza sembrò tranquillizzarsi almeno un pochino.
Dopo tutto almeno
uno dei due sapeva quello che stavano facendo e dove dovevano andare.
- Prima
sono passati per Water Seven,
lì le hanno dato una taglia.
Aggiunse
lei, ricordando
improvvisamente le proteste dei suoi concittadini alla vista della
taglia della
Gatta Ladra. Ace sorrise, riflettendo un attimo.
-
Allora dobbiamo prendere questa
rotta.
Dichiarò
Ace, sicuro, sorridendo
appena.
- Sai
già che isole incontreremo?
Chiese
ancora Nojiko, cercando di
nascondere la sua ansia. Non vedeva l’ora di raggiungere la
sorella ma allo
stesso tempo aveva paura dei pericoli che si sarebbero parati sulla
loro
strada.
- A
grandi linee..
Rispose
Ace, vago, prima di chiudersi
in un strano mutismo.
L’ultima volta che aveva preso quella rotta era stato
quando era sulle tracce di Barbanera. A distanza di mesi ricordava
ancora quei
luoghi, la voglia di vendetta e la lunga caccia.
Il
pirata passò gran parte del tempo
da solo, seduto a fissare il mare. Persino se chiudeva gli occhi gli
incubi
iniziavano a tormentarlo. Alla fine era tornato nel Grande Blu, il
luogo dove
tutti i suoi problemi avevano avuto inizio. Solo il pensiero che con
lui c’era
Nojiko riuscì a risollevargli appena il morale.
Dopo
qualche giorno di viaggio
avvistarono un’isola, ma decisero di non fermarsi. Avevano
lasciato Logue Town
da poco e non volevano perdere tempo a meno che non fosse strettamente
necessario. Quel posto, inoltre, sembrava abbandonato, quasi fosse
caduto in
rovina. Qualche giorno dopo ne avvistarono un’altra,
decisamente più selvaggia
della prima. Una volta arrivati nei pressi il log pose si
bloccò e loro
dovettero per forza di cose scendere a terra per attendere le
indicazioni che
li avrebbero condotti all’isola successiva.
- Che
posto è?
Chiese
Nojiko, curiosa.
Dava l’idea
di essere un’isola deserta, una sorta di perfetto paradiso in
cui riposarsi se
non fosse stato per l’aura misteriosa che la circondava.
- Non
ricordo il nome..
Rispose
Ace, distratto, guardandosi
intorno.
Non c’era nulla che facesse pensare ad un posto abitato. Non
un
villaggio, una casa o delle persone. Decisamente, sembrava solo
un’isola
deserta.
- Dici
che siamo in pericolo?
Chiese
ancora la ragazza, facendosi
seria.
Era pronta a combattere ed a difendersi nel caso ce ne fosse stato
bisogno, eppure non impazziva dalla voglia di farlo.
- Non
saprei, facciamo un giro.
Propose
Ace, saltando giù dalla nave.
La ragazzo lo imitò, tranquillizzata dalla sua flemma e dal
suo volto
rilassato. Camminarono per un po’, in silenzio, poi Nojiko
cacciò un urlo.
-
Ahanu, quelli sono giganti.
Urlò
spaventata, indicando dei tizi
enormi che si scorgevano in lontananza.
Erano decisamente più alti degli alberi
ed anche incredibilmente più robusti. Avrebbero
tranquillamente potuto
stritolare loro e la nave con una mano sola.
-
Accidenti, sono enormi.
Esclamò
Ace, sorpreso.
Quel posto non
gli sembrava nuovo, eppure non riusciva a ricordarne le
particolarità. Doveva
esserci qualcosa sotto, doveva solo sforzarsi un po’ di
ricordarlo.
-
Stanno combattendo?
Chiese
Nojiko, stupita. A quelle
parole il ragazzo si fece più pallido: aveva capito.
-
Poveri noi, ho capito dove siamo
finiti.
Disse
Ace, sedendosi sulla sabbia.
-
Sarebbe?
Chiese
Nojiko, sorpresa da quella
strana reazione.
-
Un’isola preistorica dove due
giganti combattono tra loro cento e passa anni.
Sospirò
lui, preparandosi alla
reazione della compagna.
- Dimmi
che ci vuole poco a
registrare il magnetismo..
Pregò
la ragazza, sperando con tutte
le sue forze in una risposta positiva.
Non voleva stare a lungo in un posto
dove due giganteschi uomini se le davano di santa ragione. Nemmeno se
non era
sola.
-
Almeno un anno, se non ricordo
male.. forse anche di più..
Sbuffò
lui, atterrito. Erano appena
partiti eppure il loro viaggio aveva già iniziato a subire
dei grossi ritardi.
-
Maledizione!
Imprecò
Nojiko, pallida. Non poteva
certo stare per un anno in un posto del genere mentre Nami poteva avere
bisogno
di lei.
- Bella
seccatura, credo che ci
toccherà prendere il sole.
Sospirò
Ace, rassegnato all’idea di
aspettare qualche tempo.
-
Neanche per sogno, usiamo l’eternal
pose.
Esclamò
la ragazza, ricordandosi del
dono del vecchio.
-
Brillante! Finalmente una buona
idea.
Concordò
lui, frugando nello zaino
alla ricerca dell’oggetto.
Un
anno dopo gli eventi di Marineford
Da
quando avevano ripreso il viaggio,
dopo l’incontro con l’oste, Sabo e Kaja non si
erano ancora rivolti la parola. Non
per più di qualche secondo, almeno. Lei era risentita per i
troppi segreti del
rivoluzionario, lui era ancora scosso dalle parole del vecchio oste: in
pochi
istanti tutto quello che aveva creduto vero era crollato come un
castello di
carte. Ace e Rufy erano vivi, da qualche parte nel mondo. La marina non
lo
sapeva e aveva smesso di cercarli. Per lui questo apriva un ampio
ventaglio di
possibilità. Aveva ancora una possibilità per
riscattare tutti i suoi errori
prima che fosse tardi. Forse anche Dragon lo sapeva, per questo lo
aveva
cacciato dalla nave. Il vecchio rivoluzionario voleva che lui trovasse
i
fratelli e prendesse a navigare con loro, ma come al solito non aveva
voluto
dirgli nulla. Da quando lo conosceva poteva dire di averlo sentito
parlare
appena qualche volta, non di più.
Quando
la via che conduceva in cima
alla montagna cominciò ad apparire di fronte a loro in tutta
la sua terribile
magnificenza, Kaja tirò Sabo per un braccio. Era pallida e
cercava a fatica di
trattenere le lacrime ma non voleva darla vinta al compagno di
avventure dichiarando
apertamente le sue paure. Lui sorrise, le appoggiò un
braccio intorno alla vita
per rassicurarla poi le sussurrò di chiudersi nella sua
cabina. Lei annuì e
corse via, lasciando al rivoluzionario il governo della nave. Rimase
per un po’
seduta sul letto, fissando i grossi volumi di anatomia e farmacia che
aveva
portato con sé. Improvvisamente scattò in piedi e
volò fuori. Non capitava
tutti i giorni di entrare nella rotta del Grande Blu e lei voleva
esserci,
anche se era pericoloso. Voleva avere qualcosa da raccontare ai suoi
figli.
Quando
la vide ricomparire, Sabo
sorrise. Quella mocciosa era bravissima a cacciarsi nei guai. Una vera
maestra,
niente da dire in proposito.
Una
volta attraversata la montagna,
evitata per un soffio la grossa balena e superato il promontorio, Kaja
cominciò
a protestare ad alta voce.
- Quel
vecchio..
Mormorò
la ragazza, guardando di
sfuggita il vecchio Crocus che prendeva il sole.
Non aveva fatto una piega
quando li aveva visti comparire. Li aveva osservati, quasi ad
accertarsi che
non conoscesse qualcuno dei due, poi li aveva lasciati andare.
C’era qualcosa
di familiare nel biondino, ma non abbastanza per poterlo ricollegare ad
un nome
o ad una faccia come aveva fatto con Ace Pugno di Fuoco qualche tempo
prima.
- Che
c’è?
Chiese
Sabo, sorpreso, voltandosi
appena verso il vecchio.
Era ancora disteso sulla sdraio, nella stessa
posizione di poco prima. Era distratto, eppure sorrideva. Lo aveva
visto
qualche volta quando era passato di lì con i suoi, ma non si
era mai fermato a
parlare. La prima regola dei Rivoluzionari era muoversi
nell’ombra e non dare
mai confidenza a nessuno.
- Hai
visto bene come ci fissava?
Chiese
Kaja, sbuffando stizzita. Sabo
scoppiò a ridere, divertito dalla buffa espressione della
ragazza.
- Vive
solo nel bel mezzo del nulla,
è normale che osservi le navi di passaggio.
Sospirò
il rivoluzionario,
sorridendo.
La ragazza sembrò pensarci un po’ su, poi
alzò le spalle. Il
broncio, le discussioni e i lunghi silenzi parvero essere stati
spazzati via in
un secondo.
- Forse
hai ragione.
Ammise
lei, pensierosa, scivolando
seduta con la schiena appoggiata alla balaustra della nave.
Era stanca, non
dormiva da quando avevano lasciato Logue Town. Da allora si era
tormentata a
lungo, inseguendo domande a cui solo Sabo poteva rispondere.
-
Ripresa dallo spavento?
Chiese
Sabo, sorridendo teso.
Kaja lo
scrutò a lungo, prima di rispondere. Per un po’
cadde di nuovo il silenzio, ma
non era pesante e fastidioso come prima. Sembrava più un
momento di riflessione
prima di una discussione importante. La ragazza sapeva bene che dalla
risposta
che avrebbe dato sarebbero dipese tante cose, forse anche le sorti del
loro
viaggio insieme.
- Ti
riferisci alla montagna o al
fatto che sei il fratello di Rufy?
Chiese
a sua volta la ragazza.
Era
evidente che nella sua voce ci fosse ironia e rimprovero. La furia
cieca e
l’odio che aveva percepito nel suo sguardo non appena avevano
lasciato la
locanda erano scomparsi. Il rivoluzionario sapeva di avere torto, tanto
che
abbassò la testa. Il momento della verità sarebbe
arrivato comunque, tanto vale
parlarne subito e sistemare le cose. Nelle settimane che avevano
passato
insieme aveva iniziato a provare una sincera amicizia per quella
ragazzina
tanto dolce ed ingenua. Una sorellina piccola da proteggere. Litigare
con lei,
o peggio non parlarci, era insostenibile.
- Come
potevo immaginare che lo avevi
incontrato e che lo conoscevi?
Sbuffò
lui, sulla difensiva.
Ogni
volta che la ragazza parlava del suo incontro con i Pirati parlava di
un gruppo
di ragazzini inesperti con un capitano particolare, senza precisare in
quale
senso. Se al posto di particolare avesse detto di gomma, fuori di testa
e
precipitoso forse lui avrebbe capito al volo che di trattava di suo
fratello
Rufy e avrebbero risolto prima quel mistero.
- Ti ho
parlato un sacco di volte di
Usop!
Esclamò
Kaja, infastidita,
lanciandogli un’occhiata di fuoco che tradiva tutta la sua
insofferenza.
A
quello sguardo il rivoluzionario impallidì appena. Mai fare
infuriare una donna
dandole l’impressione di non prestarle attenzione.
- Mai
sentito nominare.
Ammise
Sabo, grattandosi la testa
perplesso.
Non aveva mai sentito di questo ragazzo di cui lei parlava sempre,
né
aveva visto la sua foto tra gli avvisi di taglia della ciurma di
Cappello di
Paglia. C’era Zoro, il temibile spadaccino, Robin, la ragazza
tanto cara alla
rivoluzione e poi altri che non aveva mai sentito nominare tra cui un
tipo
davvero assurdo che si faceva chiamare Sogeking. Ricordava anche un
tipo dai
capelli blu, Franky, ed un tenero animaletto, ma nessun altro che
corrispondeva
alla descrizione che Kaja faceva di quel suo amico cecchino.
-
È impossibile, tuo fratello viaggia
con lui.
Protestò
la ragazza, fissando
intensamente il compagno di viaggio sperando che questi ricordasse e
gli
potesse dare notizie di Usop.
I giornali non parlavano più di loro da molti
mesi, tanti da spingere una ragazza fifona e timida come lei a partire.
Non lo
avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma era in pena per il suo amico al
punto di
volersi accertare personalmente che stesse bene. La voglia di avventura
e di
migliorare come medico in fondo era una scusa. O meglio, erano due
buone
ragioni, ma non le principali.
- Non
vedo Rufy da molti anni, credo
che pensi che io sia morto.
Spiegò
Sabo alla fine, fissando le
assi della nave.
Sapeva che quella rivelazione avrebbe fatto quasi certamente
infuriare ancora di più la ragazza, ma tanto valeva essere
sincero. Se mai
avessero incontrato Rufy sarebbe stato lui stesso a dirle come stavano
le cose.
La regola numero due era chiara nella mente del rivoluzionario: mai
mentire ad
una donna.
- Sei
un mostro, allora! Come hai
potuto dimenticare di dire a tuo fratello che sei vivo?
Esclamò
lei, inorridita da
quell’ultima rivelazione.
A suo parere, la peggiore. Sabo sbuffò, preparandosi
ad una discussione che non sarebbe finita tanto presto.
- Anche
io credevo che lui fosse
morto, siamo pari!
Ribatté
lui, deciso a non dare l’ultima
parola alla ragazzina.
Lei non sapeva nulla della loro infanzia, di come erano
cresciuti e di cosa voleva dire combattere contro tutti. Lei era
cresciuta in
una bella casa, con una famiglia perfetta, fino a quando un pazzo era
comparso
e aveva cercato di farle male. Tuttavia, anche quella volta era stata
fortunata
ed aveva incontrato ragazzi con la testa sulle spalle pronti ad
aiutarla senza
pretendere nulla in cambio.
- Sei
assurdo, vedi di lasciarmi
stare.
Protestò
lei, voltando le spalle al
rivoluzionario. Lui sospirò, ma la lasciò fare.
Per
qualche ore ognuno pensò ai
propri affari, cercando di ignorare l’altro. Alla fine,
ancora una volta, fu
Sabo a cedere.
-
Davvero sei ancora arrabbiata con
me?
Chiese
con una vocina da cane
bastonato.
Ignorare qualcuno su una barca di pochi metri era un’impresa
che
andava oltre le sue possibilità. In generale, Sabo aveva dei
grossi problemi ad
ignorare la gente a cui voleva bene.
-
Secondo te?
Chiese
la ragazza, esasperata.
Il
rivoluzionario sorrise, vittorioso. Riusciva sempre a spuntarla e a
fare la
pace, anche da piccolo con i suoi fratelli era così.
Potevano litigare,
arrivare alle mani, non vedersi per ore ma alla fine lo sguardo da cane
bastonato
rimetteva sempre le cose a posto. Rufy non era mai stato il tipo che si
arrabbia davvero, non con un fratello almeno, mentre Ace non era
così duro come
amava dare a vedere.
- Era
sempre la solita testa matta,
vero? Non è cambiato?
Chiese
lui, sorridendo in modo
malinconico senza guardare negli occhi la ragazza.
Non voleva che lei vedesse i
suoi occhi lucidi e quella lacrime di nostalgia trattenute appena.
- Stai
parlando di Rufy?
Sorrise
Kaja, inclinando appena la
testa. Sabo annuì, piano.
-
Quando era piccolo si metteva
sempre nei guai. Io ed Ace eravamo sempre in pena per lui.
Iniziò
a raccontare lui, fissando il
mare.
Il suo tono era malinconico, quasi nostalgico. Lasciava trasparire il
bene immenso che doveva volere al fratellino. Gli mancava molto, era
evidente.
Saperlo vivo lo aveva fatto stare meglio, ma saperlo da solo magari in
qualche
guaio non gli dava tregua. Prima lo avrebbe raggiunto, meglio sarebbe
stato.
Ace non gli avrebbe perdonato un altro fallimento, tanto meno Dadan,
Garp e tutti
gli altri.
- Ace?
Non ti riferisci a Pugno di
Fuoco, vero?
Chiese
Kaja, improvvisamente più
pallida.
Non conosceva bene la triste storia di quel pirata, ma il suo nome le
metteva lo stesso paura. Per causa sua la marina aveva scatenato una
guerra
tremenda, che era costata la vita a molte persone.
- Anche
lui è mio fratello.
Spiegò
il rivoluzionario,
pazientemente.
La ragazza ascoltava, attenta. Improvvisamente tutto il discorso
del vecchio oste aveva senso ed allo stesso tempo il triste passato di
Sabo
prendeva forma. Ora poteva capire cosa lo aveva condotto ad
intrufolarsi in
casa sua, cercando solo di dimenticare il suo dolore. Doveva essere
tremendo
perdere i propri fratelli e ritrovarsi soli al mondo.
- Fammi
capire, Rufy ed Ace sono i
tuoi fratelli e la marina li crede morti. Per questo sei impazzito ed
hai
lasciato i rivoluzionari?
Ricapitolò
velocemente la ragazza, mettendo
insieme tutte le informazioni appena ricevute.
Sabo annuì, pensieroso,
riflettendo su quegli ultimi mesi. Era possibile che il suo dolore gli
avesse
impedito di vedere tutto in modo razionale, facendo si che non
riuscisse ad arrivare
da solo a quello che il vecchio oste aveva capito semplicemente
guardando il
giornale? Tutta quella storia aveva dei tratti assurdi, un
po’ come tutto il
resto della sua vita.
-
Credevo alla versione della marina,
ma a quanto pare si sbaglia. Ace è vivo ed allora deve
esserlo anche Rufy.
Mormorò
lui, sorridendo.
Saperli vivi
non era certo una certezza che si sarebbero incontrati ancora, ma
tuttavia lasciava
qualche speranza. In fondo il mondo è grande, ma non
abbastanza da tenere
separati tre fratelli.
- La
tua famiglia è assurda.
Concluse
la ragazza, pratica.
Sabo
aveva sorriso, pensando a quante
altre persone avevano detto la stessa frase, poi le aveva raccontato
tutta
quanta la sua storia. Lei aveva ascoltato, assorta. Sembrava una di
quelle
storie improbabili che raccontava Usop solo che questa volta era tutto
vero.
Dopo
qualche ora i due avevano
raggiunto il fatidico bivio: di fronte a loro c’erano molte
strade da prendere,
intorno il mare.
- Sabo?
Chiese
Kaja, preoccupata, scuotendo l’amico
per un braccio.
-
Dimmi..
Mormorò
Sabo, distratto, alzando
appena lo sguardo verso la ragazza. Era evidente che stava ancora
pensando ad
Ace e Rufy e a come fare per rintracciarli.
- Come
facciamo a decidere?
Chiese
la ragazza, confusa, indicando
le molteplici vie che si snodavano di fronte a loro.
Ognuno conduceva in isole
diverse, ma solo adesso potevano scegliere quale sarebbe stato il loro
percorso. Sabo sbuffò, tirandosi su. Si era dimenticato quel
particolare del
viaggio. La strada che avrebbero preso avrebbe certamente influenzato
le
possibilità di incontrare ancora i suoi fratelli.
- Non
lo so. Ace è passato di qui sei
mesi fa, credo che dovremmo cercare di seguire lui.
Rispose
il rivoluzionario.
Prendendo
la stessa strada di Ace avevano qualche possibilità di
incontrarlo. Molte di
più rispetto a quante ne avevano di incontrare Rufy e la sua
ciurma. Loro erano
passati di lì molto tempo prima e dovevano essere da qualche
parte nei pressi
dell’isola Sabaody. Lì la marina li aveva
avvistati l’ultima volta, nei pressi
della casa d’asta. Subito dopo doveva essere successo
qualcosa che li aveva
divisi, e Rufy era corso al quartiere generale della marina. Il resto
era un
mistero.
-
Potrebbe avere preso qualsiasi
strada.
Sospirò
Kaja, esasperata, guardandosi
intorno. Non avevano nessuna certezza, potevano solo basarsi sul
calcolo delle
probabilità.
- Lo
so, dannazione.
Sbuffò
Sabo, alzando gli occhi al
cielo imprecando silenziosamente. La situazione sembrava bloccata.
- Rufy,
invece?
Chiese
la ragazza, cercando di
ragionare con calma. Il compagno ci pensò un po’
su, meditando in silenzio.
-
È stato avvistato a Sabaody prima
di sparire. Tutte le rotte convergono in quel punto prima di passare
nel Nuovo
Mondo.
Disse
lui alla fine, sospirando.
Quella situazione era decisamente intricata. Sembrava non ci fosse modo
di
uscirne se non prendendo una strada a caso. Sicuramente i suoi fratelli
dovevano avere fatto così.
-
Dobbiamo pensare come se fossimo
Ace. Avanti, devi provare.
Concluse
Kaja, scuotendo la testa.
Sabo
sbuffò, poco convinto, ma decise di provarci. Ace doveva
essere passato di lì
pochi mesi prima ed aveva appena scoperto che Rufy era vivo.
Probabilmente anche
lui doveva essersi fermato a lungo in quel punto, valutando bene dove
andare.
- Ace
avrà sicuramente cercato di
prendere la stessa strada di Rufy.
Esclamò
Sabo, sicuro.
Conosceva Ace:
non si sarebbe dato per vinto e avrebbe continuato a cercare il
fratellino in
capo al mondo. Doveva fare lo stesso, seguendo le tracce di Rufy
avrebbe
trovato anche Ace.
-
Facciamo lo stesso, allora.
Disse
la ragazza, sicura.
Trovare
Rufy era il primo passo per trovare anche gli altri, in particolare
Usop. Sapeva
che era ancora insieme a loro, anche se adesso si faceva chiamare
Sogeking.
- Come?
Noi non sappiamo che strada
aveva preso Rufy insieme alla sua ciurma.
Protestò
il compagno, esasperato. La situazione
alla fine si era sbloccata, ma avevano lo stesso pochi elementi per
capire
quale direzione prendere.
- Il
giornale spesso parlava di loro.
Se solo mi ricordassi i nomi delle isole..
Sussurrò
Kaja, stizzita. Possibile
che di tutti quei nomi che l’avevano a lungo perseguitata non
ne ricordasse
neppure uno?
- Devi
riuscirci. Ti prego, Kaja..
Implorò
Sabo, con gli occhi sgranati.
La possibilità di rivedere i suoi fratelli era completamente
nelle mani di
quella ragazza e nella sua memoria.
- Seven
qualcosa, credo. E anche il
regno di Ala-qualcosa.. è possibile?
Chiese
Kaja, insicura. Sabo annuì,
sorridendo. Era fatta.
-
Certo, Water Seven ed il Regno di
Alabasta. È quella, ne sono sicuro.
Esclamò
il rivoluzionario,
entusiasta. Finalmente avevano una pista da seguire.
-
Allora forza, avanti tutta.
Urlò
l’apprendista medico, al settimo
cielo. Il suo amico Usop era sempre più vicino.
Due
anni dopo gli eventi di Marineford.
Una
volta conclusi i discorsi
strappalacrime e finita la colazione, la ciurma decise che era arrivato
il
momento di muoversi. Erano scesi a terra per esplorare la grotta e non
potevano
certo restarsene con le mani in mano. Tra una cosa e l’altra
avevano perso già
abbastanza tempo in chiacchiere.
- Che
si fa?
Chiese
Brook, guardandosi intorno con
circospezione.
Il luogo in cui si trovavano era certamente spettacolare. Un
susseguirsi continuo di tunnel, strade d’acqua ed ampie volte
che conduceva
sempre più in profondità.
-
Esploriamo questo posto, avanti.
Esclamò
Rufy, sicuro, iniziando a
farsi strada verso l’interno.
Sicuramente
quella grotta doveva
essere il rifugio di qualcuno. Riusciva ad avvertire chiaramente la
presenza di
un bel po’ di persone, quasi sicuramente innocue. I compagni
lo guardarono
allontanarsi, sorridendo. Alla fine il capitano era tornato ad essere
lo stesso
ragazzo incosciente e spensierato di sempre. Anche se poteva sembrare
paradossale, era una bella notizia. Meglio un compagno che ti mette
sempre nei
guai piuttosto che uno prudente e noioso. In fondo loro erano partiti
in cerca
di avventura, non per fare una crociera per pensionati.
- Il
solito imprudente.
Sbuffò
Franky, mentre insieme ai
compagni era stato costretto a iniziare a correre per seguire il
capitano.
Il
gruppo procedette velocemente per
qualche centinaia di metri, fino a che il cunicolo in cui stavano
camminando si
aprì improvvisamente, diventando un ampio spiazzo di terra
brulla illuminato da
una solitaria fessura sulla parete più alta, sopra le loro
teste. Rufy si fermò
improvvisamente, scrutando i dintorni. Non riusciva a vedere nulla, ma
sentiva
che di fronte a loro c’era qualcosa o forse qualcuno.
-
Guardate.
Mormorò
Usop, fermandosi
all’improvviso ed indicando un punto
nell’oscurità.
- Cosa,
cosa, cosa?
Chiese
Rufy, frenetico.
Non riusciva
quasi a stare fermo. Era agitato e preoccupato per i compagni, ma anche
parecchio curioso.
-
Laggiù sembra ci sia un villaggio.
Continuò
il cecchino, cercando di
mettere meglio a fuoco l’immagine.
Si vedeva l’ombra di una casa, dalla quale
usciva persino del fumo. Intorno di vedevano altre ombre,
più lontane.
- Nelle
profondità di una grotta?
Chiese
Zoro, perplesso, guardandosi
intorno.
Solo qualcuno che aveva la necessità di nascondersi e
passare
inosservato avrebbe scelto un posto del genere dove vivere. Forse dei
banditi,
dei pirati pericolosi o forse dei rivoluzionari. Di chiunque si
trattasse, ad
ogni modo, era meglio stare all’erta. Sfiorò
appena il fodero della spada, poi
decise di non sguainarla.
- In
effetti è strano..
Concordò
Sanji, inclinando appena la
testa.
Si accese una sigaretta, pensieroso. Qualcosa non gli tornava, ma non
riusciva a capire con esattezza di cosa si trattasse.
-
Stiamo in guardia.
Borbottò
Chopper, prudente, dando
voce al pensiero di tutti.
Persino Rufy annuì, distratto. Va bene cercare
l’avventura,
ma non avrebbe permesso che venisse fatto del male ai suoi compagni.
-
Sapete che mi sono mancate davvero
tanto queste parole?
Chiese
Nami, sorridendo.
Le parole
della ragazza ebbero il potere di sdrammatizzare quella situazione. Sul
viso di
Rufy si allargò un sorriso altrettanto grande, ma il
capitano non disse nulla.
Finalmente si sentiva di nuovo a casa.
La
ciurma fece qualche passo, questa
volta procedendo con prudenza. Zoro teneva la mano destra sul fodero di
una
delle sue tre spade, pronto a sfoderarla all’occorrenza.
Sanji fumava
tranquillo, con le mani in tasca, ma era altrettanto pronto al
combattimento.
Rufy procedeva senza dire nulla, concentrato. Le case davanti a loro
dovevano
essere tutte disabitate, tranne una. Riusciva a percepire la forza
vitale di
una sola persona. Non sembrava pericolosa, ma voleva lo stesso vedere
di chi si
trattava. Nessuno sano di mente si sarebbe mai ritirato a vivere in un
posto
come quello.
- Una
casa?
Esclamò
Franky, perplesso, voltandosi
verso i compagni.
I ragazzi alzarono le spalle, senza commentare. Solo Chopper
sembrava sull’attenti.
-
Sentite anche voi?
Chiese
la piccola renna, sforzandosi
di sentire meglio il debole rumore che si avvertiva in lontananza.
- A
dire il vero no..
Mormorò
Brook, confuso.
Subito il
gruppo si mise in ascolto, rapido. Nessuno riusciva a percepire nulla,
se non
una leggera brezza ed il rumore dell’acqua che entrava nella
grotta.
-
C’è qualcuno che sta male.
Annuì
Robin, facendo comparire
qualche orecchia in più per riuscire a sentire
meglio.
Rufy ascoltò meglio, e
percepì qualcosa. I due amici avevano ragione. Zoro
annuì appena, scettico. Era
evidente che lo spadaccino ritenesse quella situazione assurda una
trappola.
-
Esatto, qualcuno tossisce. Potrebbe
avere bisogno di un medico.
Disse
Chopper, sicuro, dirigendosi
verso la piccola casa.
-
Aspetta, potrebbe essere
pericoloso.
Urlò
Usop, preoccupato, fermando
l’amico e trattenendolo per lo zaino.
Chopper si voltò, fissando il volto del
cecchino. Non era spaventato come al solito, eppure teneva tra le mani
la sua
fionda, pronto al combattimento. Quei due anni di allenamento lo
avevano
davvero fatto diventare una persona diversa. Alla fine era cresciuto
anche lui.
-
Già, forse è una trappola.
Concordò
Nami, annuendo decisa.
Li
attiravano nella casa con la scusa di un malato, poi saltavano loro
addosso e
li catturavano. Si trattava di un copione vecchio, già visto
molte volte in
diverse situazioni. Il medico ignorò i commenti dei due
ragazzi ed entrò lo
stesso, seguito dagli altri. Trappola o meno, doveva fare il suo dovere
di
medico. Se all’interno avessero trovato dei nemici avrebbero
fatto come tutte
le altre volte. Li avrebbero fermati con le cattive.
- Una
vecchia signora?
Esclamò
Robin, entrando nella stanza.
Era piuttosto piccola e cupa per via della mancanza di luce naturale,
ma la
cura con cui era arredata faceva dimenticare che era una casa costruita
in una
grotta.
- Ecco
la vostra trappola..
Mormorò
Zoro, quasi divertito.
Chopper ignorò i commenti dello spadaccino e si
precipitò al capezzale
dell’anziana signora. Sembrava ridotta piuttosto male, tanto
che non si era
nemmeno accorta dei nuovi arrivati.
-
Signora, non si sente bene?
Chiese
la piccola renna, prendendo le
sue mani.
Finalmente lei aprì gli occhi, studiando intensamente
Chopper. Robin
la scrutò con attenzione, confusa. In quello sguardo provato
dalla malattia
brillava una luce strana, forse pericolosa.
- Vi
manda mio figlio?
Chiese
a sua volta la donna,
speranzosa e guardinga.
Anche lei sembrava preparata ad un attacco, o forse ad
una trappola.
- A
dire il vero no..
Borbottò
Usop, perplesso, scuotendo
la testa.
Il sorriso della donna si spense, lasciando al suo posto
un’espressione pensierosa.
-
Possiamo fare qualcosa per lei?
Chiese
Nami, guardandosi meglio
intorno per capire dove erano finiti.
Nulla faceva pensare alla casa di
pericolosi criminali. C’erano solamente tante foto ed
un’infinità di
soprammobili di varie dimensioni e fattura. Insomma, tutto
ciò che normalmente
si trova nella casa di una vecchia signora di una certa età.
Nulla di più.
-
Chopper è un dottore.
Spiegò
Rufy, sorridendo, indicando
l’amico.
Anche lui aveva percepito qualcosa di strano, ma aveva deciso di non
farci caso. Una donna rinchiusa in un letto non poteva certo fare loro
del
male. Se fosse arrivato qualcun altro, avrebbero pensato al da farsi.
Il piano
restava lo stesso: aiutavano la vecchia signora, se qualcuno poi li
avesse
attaccati allora si sarebbero difesi.
- Come
siete cari, dei veri angeli.
Questa tosse non mi da tregua. È tutta colpa di quei mostri
con le pinne.
Rispose
la vecchia signora, cercando di
mettersi a sedere per riuscire a guardare i suoi ospiti negli
occhi.
Era evidente
che voleva capire chi erano prima di fidarsi davvero di loro. In fondo
non si
poteva darle torto.
- Gli
uomini pesce?
Chiese
Robin, perplessa. Lei annuì,
mentre i suoi occhi prendevano a brillare di rabbia.
-
Dannati, avvelenano la nostra acqua
ed il nostro cibo per ucciderci.
Continuò
lei, agitando le braccia.
Un
colpo di tosse più forte degli altri la costrinse a
sdraiarsi di nuovo, mentre
Chopper si affrettava a fare qualcosa per lei. Improvvisamente lo
sguardo della
renna cadde sul comodino.
-
Guarda Rufy, quelle sono medicine.
Qualcuno deve averla visitata..
Esclamò
la piccola renna, perplessa,
indicando una fila ordinata di boccette e di pillole.
Il capitano si voltò,
perplesso. Non sembrava esserci nessun altro nei pressi, certamente non
un
medico, doveva per forza essere passato un altro straniero o qualcosa
del
genere.
- Si
ragazzo, sono stati gli angeli.
Sussurrò
la donna, con un’espressione
sognante.
- Prego?
Chiese
Sanji, perplesso. La signora
annuì, decisa.
- Gli
angeli mi hanno salvato la
vita. L’ho detto anche a mio figlio.
Continuò
la donna, sicura di quel che
diceva.
Usop stava per ribattere, ma il rumore della porta che si apriva con
violenza lo fece sobbalzare.
- Chi
diamine siete?
Esclamò
un uomo, visibilmente fuori
di sé.
Rufy scattò sull’attenti, senza intervenire. Zoro
e Sanji fecero lo
stesso, mentre i compagni misero mano alle loro armi senza dare
nell’occhio.
- Sono
amici degli angeli, lo so io.
Disse
la donna, decisa.
L’uomo la
guardò appena, poi tornò a fissare con astio i
nuovi arrivati. Robin dedusse
che doveva essere il figlio della donna.
-
Abbiamo sentito tossire, pensavano
che la signora avesse bisogno.
Spiegò
Rufy, tranquillo.
Non era un
tipo pericoloso, era solo spaventato. Non valeva la pena colpirlo con
l’Haky
dato che non costituiva una minaccia per i suoi compagni.
- Io
sono un dottore.
Aggiunse
Chopper, portandosi al
fianco del suo capitano.
L’uomo fissò i due ragazzi e poi anche i loro
compagni
e si lasciò cadere su una sedia, con una mano a coprirgli il
volto.
-
Scusatemi, qui non ci fidiamo di
nessuno. Siamo abituati a difenderci da tutti.
Borbottò
a mezza voce, imbarazzato e
stupito che un gruppo di stranieri di fosse interessato alle sorti
della sua
anziana madre.
- Sta
male, dovrebbe portarla in
ospedale.
Esclamò
Chopper, indicando la vecchia
signora che aveva preso a parlare da sola.
- Non
posso portarla sulla terra
ferma.
Sospirò
il ragazzo, tormentato,
scuotendo appena la testa.
-
Possiamo darvi un passaggio noi.
Propose
Franky, voltandosi verso il
capitano.
Rufy annuì, sicuro. Tornare a Sabaody avrebbe voluto dire
affrontare
ancora la marina, ma valeva la pena farlo per aiutare la donna.
- La
marina ed il governo ci cercano,
non ci danno scampo. Ci sbatterebbero tutti al fresco, magari ad Impel
Down.
Sussurrò
l’uomo, con un filo di voce.
Nelle sue parole era racchiusa tutta la silenziosa disperazione di un
figlio
che vede la propria madre peggiorare senza poter fare nulla di concreto
per
aiutarla.
- Non
credo..
Borbottò
Rufy a mezza voce,
abbassando la testa. Solo Nami, la più vicina al capitano,
sentì quelle parole
ma non fece commenti.
- Siete
qui per scappare dal governo,
allora.
Concluse
Robin, cercando di capire
perché quelle persone si nascondevano sul fondo del
mare.
Sicuramente doveva
esserci sotto qualcosa, solo che non riuscivano a capire di cosa si
trattava.
Dovevano stare attenti oppure si sarebbero fatti trascinare in una
storia più
grande di loro come al solito.
- Si,
è così. Abbiamo creato questa
colonia ma gli uomini pesce non hanno gradito.
Cominciò
a raccontare lui, scuotendo
la testa.
-
È terribile, vi attaccano da tutti
i fronti.
Esclamò
Sanji, incredulo.
- Che
ci dici di questi angeli?
Chiese
Nami, incuriosita dal discorso
della donna.
Fin da quando la donna li aveva nominati aveva avuto la sensazione
che si trattasse di un dettaglio importante. Il ragazzo alzò
appena la testa e
sorrise.
- Si
tratta di due stranieri, due
biondini. Sono passati qualche settimana fa. La ragazza era un dottore
e ci ha
aiutati. Dopo hanno proseguito il loro viaggio. Non erano di tante
parole ma
credo cercassero qualcuno.
Raccontò,
ricordando i due strani
tizi che lo avevano aiutato con sua madre.
Se non fosse stato per loro forse
non avrebbe passato nemmeno la prima notte.
- Con
quelle medicine guarirà presto.
Esclamò
Chopper, sicuro. Chiunque
fosse stato a prescriverle, doveva essere un bravo medico. Sapeva
quello che
faceva.
-
È la migliore notizia che ho da
giorni, ma ditemi di voi..
Mormorò
l’uomo, inclinando appena la
testa. Il suo viso era meno pallido, e lui sorrideva. Sembrava quasi
divertito.
-
Perché?
Chiese
Zoro, intuendo che il discorso
stava per finire in un tema pericoloso.
-
Dovreste essere morti, tutti
quanti.
Rispose
l’uomo, sorridendo appena.
Non sembrava spaventato, solo incredibilmente divertito.
Indicò un giornale,
poco lontano, che parlava della fine della ciurma di cappello di
paglia. Doveva
essere di qualche tempo prima, ma era sorprendente che fosse arrivato
fino
nelle profondità del mare.
- Sai
parecchie cose per essere
bloccato in una grotta..
Commentò
Rufy, fissando prima il
giornale e poi lui.
Per un po’ cadde il silenzio, poi l’uomo
parlò ancora,
ignorando l’occhiata attenta del ragazzo di gomma.
- Se voi siete vivi, allora
vuole dire che la
marina ha mentito su tante cose nel corso della passata guerra..
Mormorò,
senza nascondere il suo divertimento.
- Che
vuoi dire?
Chiese
Nami, incredula e quasi
spaventata.
Quell’uomo sapeva molte cose, troppe per essere davvero
innocuo. Per
prima cosa li aveva riconosciuti, e questo era certamente un male. La
sua
espressione, poi, era tutto tranne che ingenua.
-
Lascia perdere. Piuttosto,
conoscete i pirati che sono arrivati qualche giorno fa?
Chiese
l’uomo, facendosi più scuro in
volto. Rufy non disse nulla, era perplesso.
- Non
saprei, noi siamo tutti qua.. Non ci sono altri..
Disse
Usop, preoccupato. Se c’erano
altri pirati su quell’isola potevano essere nemici. In quel
caso alla fine
avrebbero dovuto combattere, come sempre.
-
C’è un sottomarino ancorato da
qualche parte, con una bandiera pirata. lo hanno visto in parecchi
ormai.
Spiegò
il ragazzo, giocherellando con
una tenda.
- Chi
mai andrebbe in giro con un
sottomarino? Voglio dire.. è folle!
Esclamò
Sanji, scuotendo la testa
perplesso. Nessuno pirata sano di mente avrebbe mai fatto una scelta
del
genere. Era semplicemente assurdo.
-
Trafalgar Law. Voglio incontrarlo!
Urlò
Rufy, lasciando la stanza come
una furia.
ANGOLO
DELL'AUTRICE
per prima cosa, grazie della pazienza. negli ultimi tempi ho avuto
qualche problema e non trovavo mai abbastanza tempo per aggiornare!
grazie per continuare a leggere la mia storia nonostante questo.
TRE 88: grazie mille!!! beh, due anni non possono cambiare fino in
fondo una persona. al massimo possono smussare qualche lato del
carattere. che la grotta sia misteriosa è certo, aspetta di
vedere chi la abita!
NIKI96: grazie mille!!! la depressione di Rufy è passata, il
problema è che adesso si è rassegnato all'idea di
avere perso i suoi fratelli. come la potrebbe prendere se mai
scoprirà che sono vivi?
KURUCCHA: grazie mille!!! il discorso tra uomini ci stava, dai. adesso
che è tornata la pace la ciurma è pronta a
cacciarsi di nuovo nei guai. robin non conosce veramente sabo, ne ha
sentito parlare e lo ha intravisto appena.
GOL D ANN: grazie mille!!! per l'incontro dovrai portare pazienza, in
fondo quello è il finale.. no?
HINA_SMACK: grazie mille!!! che Sabo sia davvero vivo è una
bella notizia, su Ace però ho dei dubbi anche se la speranza
resta l'ultima a morire. ad ogni modo, grazie per il commento. mi ha
fatto moltissimo piacere!
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