noi tre fratelli ci incontreremo ancora

di sihu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Tre uomini, soli e distrutti ***
Capitolo 3: *** Cause e conseguenze ***
Capitolo 4: *** Incontri e pazzie ***
Capitolo 5: *** Partenze ***
Capitolo 6: *** Il viaggio riprende ***
Capitolo 7: *** Sbarco a Logue Town ***
Capitolo 8: *** Anniversari e ricordi: chiudere con il passato ***
Capitolo 9: *** altri incontri ***



Capitolo 1
*** prologo ***


questo capitolo è dedicato a tutti coloro che hanno recensito l'ultimo capitolo di Inseguendosi lungo i sentieri del destino. se ho scritto questa storia, l'ho fatto per voi!
grazie per tutto quello che avete fatto per me!

..Prologo..

- Ace, Sabo e Rufy -
La loro non era mai stata una vita facile, mai.
Fin da quando erano venuti al mondo avevano dovuto fare i conti con la crudeltà delle persone, sperimentando fin da subito l’isolamento e l’abbandono. Per gli altri non erano altro che rifiuti della società, i figli del demonio.
Trovare un motivo per tirare avanti ogni santo giorno, magari sorridendo, non per niente facile. A volte neppure per un tipo vulcanico come Rufy.
Era lui il vero fulcro del trio. Nei momenti peggiori ai due fratelli più grandi bastava guardarlo ridere, ingenuo come quando era bambino, per trovare il coraggio di continuare a sfidare il mondo. Tutto sommato si era sempre trattato di uno scambio piuttosto equo: i due fratelli più grandi insegnavano al piccolo a vivere, lui li faceva ridere e li metteva di buon umore.
Ora però, ogni cosa è andata persa; il trio è distrutto.
Tre uomini sull’orlo del baratro incontrano tre donne destinate ad influenzare le loro vite, sia nel bene che nel male. Riusciranno i tre fratelli a tenere fede alla promessa?
***
Sabo continuava a correva senza preoccuparsi di quello che aveva intorno, ne dei nemici che avanzavano verso di lui. Sembrava non vedere altro che il campo di battaglia dove uomini pesce, sirene ed umani se le davano di santa ragione. Kaja era rimasta indietro a curare i feriti, al sicuro. Una battaglia del genere non era decisamente il posto ideale per lei. Man mano che avanzava, Sabo sentiva il suo cuore farsi sempre più pesante.
Era il suo fratellino l’uomo che combatteva in mezzo alla piazza, circondato da quelli che dovevano per forza essere i suoi compagni. La loro era chiaramente una battaglia disperata, con scarse se non nulle probabilità di successo.
Il rivoluzionario poteva vedere chiaramente i muscoli di Rufy tendersi per colpire i marine e gli alti nemici che lo circondavano nella speranza di tenerli lontani dai compagni. Alle sue spalle tutti combattevano, decisi a non lasciare solo il capitano. Persino le ragazze della ciurma. Il bel viso del suo fratellino, di solito spensierato, era serio e concentrato come raramente lo aveva visto prima di quel giorno.
Non era più il bambino con cui era cresciuti e di cui si era sempre preso cura, ma un uomo.
D’improvviso un boato riempì l’aria. Poco più in là una grossa esplosione aveva scosso lo spiazzo dove si stava combattendo. Un grosso sole, enorme, caldo ed innaturale, splendeva sopra di loro. I nemici arretravano alla sua vista, impressionati. Solo Sabo e Rufy non riuscivano a staccare lo sguardo, come incantati.
Il ragazzo di gomma sentì gli occhi diventare lucidi ed i pugni stringersi mentre cercava di cacciare indietro le lacrime. Non poteva certo piangere, non sotto lo sguardo di così tante persone.
Loro non avrebbero capito, nessuno poteva.
Sabo sorrise, senza smettere neppure per un attimo di correre. Anche Ace era lì.
- Noi tre fratelli ci incontreremo ancora.. -

ANGOLO DELL'AUTRICE

come promesso ed anticipato torno a scrivere di One Piece, con la famosa storia sui tre fratelli..

questo è solo un assaggino di quello che vi aspetta, ma vi assicuro (o almeno credo) che ci saranno un sacco di colpi scena. se avete amato Inseguendosi lungo i sentieri del destino, non perdetevi questa che a mio parere è venuta persino meglio.

qualche nota: potrebbero esserci spoiler (sicuramente sarà così) e gran parte della storia sarà incentrata su ipotesi mie circa il proseguimento di One Piece in contrasto con la storia originale. se parti della mia storia vi risulteranno oscure, non esistate a chiedere spiegazioni.

ringrazio anche tutti coloro che hanno recensito il capitolo finale di Inseguendosi lungo i sentieri del destino. purtroppo per motivi di lavoro e di tempo non sono riuscita a ringraziarvi uno per uno, ma sappiate che i vostri commenti mi hanno fatto un sacco piacere e mi hanno spinta a scrivere questa storia.


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Capitolo 2
*** Tre uomini, soli e distrutti ***


CAPITOLO 1

TRE UOMINI, SOLI E DISTRUTTI

- Noi tre fratelli ci incontreremo ancora.. -

Rufy si svegliò di soprassalto, sudato e con il fiato corto. Nella mente aveva ancora bene impresse le parole del suo sogno, le stesse che aveva sentito pronunciare da suo fratello tanti anni prima, anche se mai come in quel momento gli erano suonate tanto stupide.

Era solo, nonostante tutte le promesse fatte.

Era ferito, non solo nel fisico.

Gli ultimi eventi gli avevano mostrato chiaramente tutte le sue debolezze e come il suo sogno fosse più che mai lontano. Se non fosse stato per Jimbei, Iva, Mr 2, Ace e persino per gente che non aveva mai visto prima, probabilmente sarebbe morto. Anzi, sicuramente sarebbe andata così. Del resto, quante possibilità poteva avere un moscerino come lui, solo e senza nessuno dei suoi compagni, contro la Marina ed il Governo Mondiale?

Il ragazzo di gomma non aveva più la forza nè la voglia di combattere perché si sentiva un fallito. Nulla era andato come lui si era immaginato o quanto meno come aveva sperato. Sentiva di avere sbagliato ogni cosa, a partire da Sabo ed Ace fino ad arrivare alla sua ciurma. Niente fratelli, niente compagni; dove si trovava ora tutta la sua famiglia?

Nel cercare disperatamente di proteggere chi più amava aveva fallito e li aveva persi tutti quanti, nessuno escluso. Riprendere la vecchia strada per Rufy sembrava un'impresa decisamente al di sopra delle sue possibilità, almeno allo stato attuale delle cose. Era assurdo pretendere che i suoi amici avessero ancora fiducia in lui, nelle sue abilità e nella sua forza; non dopo quello che era successo sull’arcipelago Sabaody. Il Ragazzo di Gomma ricordava bene l’espressione spaventata di Nami, così come quella di Robin che chiedeva disperatamente aiuto tendendo la mano verso di lui. Li aveva persi tutti, senza riuscire a fare nulla per salvare loro la vita. Come poteva farsi chiamare ancora capitano, dopo tutto il dolore che aveva causato loro?

Un ruggito destò l’attenzione del ragazzo, ricordandogli dove si trovava. Rufy si guardò intorno ed il suo sguardo di perse tra alberi secolari che sicuramente stavano nascondendo pericolosi mostri che non aspettavano altro se non lui come cena. I soli compagni con i quali ormai passava le sue giornate quando Ray lo lasciava solo ad allenarsi.

Erano passati solamente pochi mesi da quando l’allenamento era iniziato, da quando ogni sua speranza ed ogni suo sogno era svanito, eppure i miglioramenti erano stati enormi. Ogni giorno il vecchio pirata si complimentava con lui, ma Rufy alzava le spalle e si limitava a dire che non era ancora abbastanza. Non era mai abbastanza per lui, persino quando intorno a lui vi erano solamente i corpi inermi dei mostri che aveva abbattuto e la desolazione del campo di battaglia.

Il ragazzo sospirò. Combattere era la sola cosa che lo aiutava a non pensare ai suoi fallimenti. Tutto il resto veniva dopo, persino il cibo.

I suoi compagni avrebbero fatto fatica a riconoscerlo ora. Probabilmente guardando quel ragazzino nervoso, silenzioso e solitario si sarebbero chiesti che fine aveva fatto il vero Rufy. Quello casinista, sorridente e sempre alla disperata ricerca di cibo.

Il ragazzo sospirò e lanciò una pietra che andò ad infrangersi contro un tronco nel bel mezzo della foresta. Avrebbe dovuto darsi da fare se voleva vivere, non continuare a rimuginare sul passato. Un fruscio tra gli alberi ricordò nuovamente a Rufy che non era solo. Cappello di Paglia di riscosse dai suoi pensieri, ricordandogli anche che non metteva nulla sotto i denti da quella mattina. Era difficile stabilire che ora fosse, ma sicuramente l’ora di mangiare doveva essere passata da un bel pezzo.

Si allontanò cauto, cercando di fare meno rumore possibile per non disturbare nessuna delle inquietanti creature con le quali divideva l‘isola, mentre due occhi color oro lo fissavano nascosti tra le foglie.

Quando Rufy fu abbastanza lontano, Keira decise di uscire allo scoperto, certa che il moccioso sarebbe tornato ad allenarsi qualche ora più tardi. Si stiracchiò come una gatta, allungando le braccia sinuose verso l’alto. Ormai le abitudini del ragazzo non erano certo più un mistero per lei. Ancora una volta aveva avuto la prova della prevedibilità degli esseri umani e del loro sentirsi insignificanti davanti al corso degli eventi.

Per lei il ragazzo non era altro che un invasore che aveva usurpato la sua bella isola e che stava distruggendo ogni cosa. Forse un po’ più strano e triste degli altri, ma comunque un usurpatore.

Keira sospirò, mettendosi seduta; lo avrebbe aspettato. La pazienza non poteva certo mancare ad uno spirito millenario come lei.

***

Dall’altra parte del mondo, nella prima tratta della rotta del grande blu, un uomo scendeva da una nave. O meglio, veniva buttato giù in malo modo sotto lo sguardo deluso dei compagni e della gente raccolta al piccolo porto dell'isola.

- Vattene, sei una delusione. -

Gridò un uomo dal ponte del grosso galeone, lanciando un fagotto che doveva contenere tutte le sue cose al ragazzo carponi sul ponte. L’uomo non si mosse, rimase immobile a fissare la sacca. Sembrava perso in un altro mondo, lontano, ed era infinitamente triste.

Un uomo distrutto, pensò Robin che fissava la scena dal molo. Quello che vedeva la lasciava stupita ed incredula. Di fronte a tutta quella disperazione anche i suoi problemi sembravano meno complicati. In fondo lei doveva solo lasciare passare due anni, poi avrebbe riabbracciato i suoi amici e sarebbe potuta tornare dal suo capitano; quell’uomo invece aveva l’aria di avere appena perso tutto.

- Che succede? -

Chiese all’uomo che la accompagnava. I due viaggiavano insieme da quando la ragazza aveva accettato di entrare nell’armata rivoluzionaria, seppure per due soli anni. La meta del loro viaggio era proprio quella nave dove sarebbe stata accolta come la Luce della Rivoluzione.

- Nulla, stanno solo cacciando un ladro.. -

Rispose l’altro, vago, lasciando trasparire una punta di delusione nella voce.

Anche una vecchia signora fissava la scena, ferma sulla porta di casa. Di tanto in tanto mormorava qualcosa, scuotendo la testa.

- Povero ragazzo. -

Continuava a mormorare, quasi fosse una cantilena.

- Lo conosce, signora? -

Chiese Robin, avvicinandosi incuriosita. Qualcosa in quel ragazzo le era terribilmente familiare, al punto da spingerla a preoccuparsi per lui.

L’anziana donna studiò a fondo l’archeologa, chiedendosi se poteva o meno fidarsi di lei. Alla fine decise di parlare.

- Certo, Sabo era diventato un rivoluzionario fin da bambino. -

Raccontò la donna, fissando l’orizzonte. Ricordava bene quando la nave dei rivoluzionari era arrivata su quell’isola per la prima volta, tanti anni prima. Dragon in persona ne era sceso tenendo tra le braccia un fagotto insanguinato ed aveva urlato che voleva un dottore. La donna aveva chiamato il marito, l’unico medico della piccola isola, ed insieme lo avevano curato. Da allora Sabo aveva sempre seguito Dragon, come un figlio. A chiunque gli chiedesse qualcosa, il ragazzo diceva che era lui l’unico padre che avesse mai conosciuto e per il quale avrebbe dato la sua vita. La Rivoluzione era sempre stata tutta la sua vita; il suo unico scopo.

Sabo viveva per cambiare il mondo e renderlo un posto migliore, poi la vita lo aveva colpito e ne aveva fatto un ladro cacciato in malo modo dalla stessa nave che lo aveva visto crescere e diventare uomo.

- Perché si è comportato così, se la rivoluzione era tutta la sua vita? -

Chiese Robin, stupita, senza staccare lo sguardo dal ragazzo. Non si era ancora mosso dal molo, fissando incredulo la nave che era stata la sua casa per tanti anni dalla quale era stato allontanato. Probabilmente si chiedeva cosa lo aveva portato in quella situazione, o forse si chiedeva solo in quale locanda fosse meglio andare a cercare del buon rhum. Nemmeno una donna intelligente come Robin avrebbe potuto dare risposta ad un simile enigma.

- Bambina, un uomo smette di ragionare quando il dolore diventa troppo forte.. -

Mormorò l’anziana donna, sospirando, prima di allontanarsi silenziosamente.

Robin trovò le parole della donna eccessivamente misteriose, eppure non cercò di fermarla per farle altre domande. Lasciò che la donna tornasse alla sua casa, fissando tristemente per terra. Pochi conoscevano Sabo quanto lo conosceva lei, che si era presa cura di lui quando Dragon lo aveva portato da loro sanguinante e moribondo. Solamente a lei il ragazzo aveva raccontato del suo passato e dei suoi fratelli. Quando parlava di loro il suo viso si illuminava, erano il suo orgoglio. Era sicuro che li avrebbe rivisti ancora e che avrebbero finalmente navigato insieme, come una famiglia. L’idea che il ragazzo fosse rimasto solo, abbandonato a se stesso la distruggeva tanto quanto la distruggeva vederlo solo e abbandonato a se stesso, ma non c’era più nulla che la donna potesse fare per lui.

Sabo aveva scelto la sua nuova strada, e solo il tempo avrebbe detto che era stata una buona scelta oppure no. La donna chiuse la porta con uno scatto, cercando di chiudere fuori anche l’espressione atterrita del ragazzo, ben sapendo che era un tentativo inutile.


Robin salì sulla nave, scossa, lasciandosi alle spalle sia Sabo che la vecchia signora.

***

A Coconut Village Nojiko si era alzata presto come suo solito. I mandarini d’altra parte non aspettavano certo lei e c‘era un sacco di lavoro che doveva fare da sola. Senza Nami era dura mandare avanti la piantagione ma la ragazza era felice che la sorella minore stesse finalmente inseguendo il suo sogno con delle persone che si prendevano cura di lei. Saperla con Rufy, Zoro e gli altri la faceva sentire al sicuro, nonostante quello che scrivevano i giornali di loro e delle loro imprese. Conoscendo Nami, il caratterino e la sua determinazione bastava alla ragazza per essere certa che la sorellina stesse bene.

Una volta arrivata alla piantagione che una volta era appartenuta alla madre, Nojiko trattenne a fatica un urlo: un uomo incappucciato dormiva tra i cespugli con un paio di mandarini tra le mani. Ad uno sguardo più attento la ragazza intuì che doveva trattarsi di un tipo troppo pericoloso ma solamente di un vagabondo. Era visibilmente ubriaco, il volto pallido e scavato era ricoperto da una fitta barba che lo rendeva a dir poco irriconoscibile. Anche i capelli non erano per nulla curati e sparavano in tutte le direzioni.

Ogni tratto del suo viso era distorto da una muta sofferenza, quasi avesse un peso terribile a premergli sul cuore.

La ragazza si riprese dallo spavento iniziale e si avvicinò allo sconosciuto con le braccia all’altezza dei fianchi, studiandolo in modo severo. Scostò delicatamente il cappuccio dal viso, senza che questi desse segno di essersi svegliato, e lo guardò meglio. Non doveva essere tanto più vecchio di lei. Un anno o due al massimo.

- Ehi, tu.. Non credi di dovermi delle spiegazioni? -

Tuonò la ragazza, svegliando bruscamente lo sconosciuto. Il ragazzo sussultò e trattenne per un istante il fiato, prima di alzare lo sguardo sulla nuova arrivata. Sembrava sorpreso, ma non particolarmente turbato.

- Io non devo nulla a nessuno -

Borbottò alla fine, abbassando lo sguardo e tornando accucciato a terra.

Nojiko lo studiò con attenzione ed arrivò alla conclusione che il ragazzo non sembrava avere nulla da perdere. Il suo sguardo era stanco, quasi avesse visto molte più cose di quelle che ci si aspetta da una persona così giovane. Ad ogni modo, la ragazza era abbastanza combattiva e più che mai decisa a non darla vinta allo scocciatore. Se avesse permesso ad un vagabondo come lui di dormire impunito nella sua proprietà nel giro di qualche settimana si sarebbe trovata invasa ed addio raccolto.

- Questa terra è mia! -

Precisò Nojiko, furiosa. Il ragazzo alzò le spalle, con noncuranza. Le parole della ragazza non lo toccavano quasi.

- Allora fammi arrestare. Anzi no, uccidere.. Non mi importa poi così tanto di vivere.” -

Disse il ragazzo, senza nessuna emozione nella voce.

Nojiko lo fissò a lungo, accigliata, chiedendosi se stesse o meno prendendosi gioco di lei.

Il tono incredibilmente serio che aveva usato metteva i brividi e le faceva temere il peggio. Per quanto fosse decisa a far valere quelli che erano i suoi diritti non era certo tanto crudele da rimanere impassibile di fronte a tanta desolazione.

- Credi che dicendo queste idiozie non prenderò provvedimenti? -

Chiese la ragazza, fissandolo con insistenza. Nemmeno quella provocazione servì a smuovere lo straniero. Il ragazzo alzò ancora le spalle, indifferente.

- Fa come credi, tanto io sono solamente un morto che cammina.. -

Mormorò lo sconosciuto, voltandosi dall’altra parte e chiudendo ancora gli occhi.

Nojiko rimase colpita da quelle parole, ma si riscosse al pensiero dei doveri che incombevano. Tornò quindi a dedicarsi ai suoi mandarini, pensando a cosa doveva fare con quello strano tizio. Una voce insistente nella sua testa le diceva che farlo arrestare non era certo la soluzione migliore.

ANGOLO DELL'AUTRICE

innanzitutto, grazie ad ogni persona che ha letto e commentato il primo capitolo della mia storia, per quanto oscuro fosse. credo sia doverosa una spiegazione; il prologo era una sorta di introduzione, di sguardo al futuro o di sogno. solo alla fine della storia acquisterà effettivamente senso.

allo stato attuale delle cose ci sono tre uomini distrutti, su tre isole lontane tra loro, con tre donne misteriose.

altra  precisazione anche se credo sia inutile: la storia inizia qualche mese dopo la battaglia al quartiere generale della marina!

ora passiamo ai commenti:

tre 88: grazie mille!
sono felice che la storia ti sia piaciuta e ti abbia incuriosito. spero che questo capitolo ti abbia dato ancora più motivi per farlo!

Akemichan: grazie mille!
vedo che non sono l'unica ad avere preso male la tragica dipartita di Ace, bene bene! sono contenta che il prologo ti sia piaciuto. nei prossimi capitoli capirai come sono arrivati a rincontrarsi (non a Marineford però, per ora non dico dove!:D), te lo assicuro. grazie per avermi fatto notare l'errore, segnalami pure se c'è altro. 

Micyu_chan: grazie mille!
le tue parole mi hanno resa felice, sono davvero contenta che non solo questa ma anche le mie storie passate ti siano piaciute! spero che questo capitolo non ti abbia deluso.

Kuruccha: grazie mille!
il fatto che nessuno abbia mai scritto dei tre fratelli è principalmente il motivo che ha ispirato me, spero di essere all'altezza del compito. se hai suggerimenti o idee fammi sapere. :D

Brando: grazie mille!
ti anticipo che la battaglia in questione rimarrà un mistero per un po', in compenso tra poco vedrai in che battaglie sono impegnati i tre fratelli ora che sono separati!

GRAZIE MILLE, AL PROSSIMO CAPITOLO!

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Capitolo 3
*** Cause e conseguenze ***


CAPITOLO 2

CAUSE E CONSEGUENZE

Diventare un delinquente per Sabo era stata la lineare conseguenza del precipitare di tutte le poche certezze che aveva mai avuto nella sua vita. Chiunque avesse analizzato a mente fredda la sua vita avrebbe finito per concludere che in fin dei conti era inevitabile.

Gli eventi inoltre, avevano contribuito ad accentuare sempre più questa spirale negativa, presi uìil fato trovasse incredibilmente divertente prendersi gioco di lui.

Alla fine il ragazzo era persino arrivato a pensare che da quando era venuto al mondo non ci fosse stato giorno nel quale una divinità bizzarra non avesse influenzato negativamente la sua vita. Un bambino maledetto che crescendo era diventato un uomo destinato a soffrire. Tutti i traguardi che aveva raggiunto, tutte le persone di cui si era circondato e a cui voleva bene alla fine lo avevano abbandonato o peggio erano morte. La felicità, o almeno quello che lui aveva creduto tale, era stata solamente un breve attimo, illusorio.

Era stato tutto così normale, che lui si era reso conto dei guai nei quali si era cacciato solamente quando era troppo tardi per rimediare. I suoi compagni avevano provato a convincerlo a reagire, lasciandosi il passato alle spalle, ma era stato tutto inutile. Fatica sprecata.

Certe cose non si dimenticano, ne si lasciano indietro.

Poteva non pensarci, ma i fatti non cambiavano; mentre lui inseguiva i suoi stupidi sogni, i suoi due fratelli morivano. Da soli, completamente abbandonati a se stessi, senza che lui sapesse nulla di quello che stava accadendo o di dove fossero, combattendo una guerra senza che lui nemmeno sapesse il perchè. Quando aveva letto il giornale ormai era tardi.

La marina militare aveva annunciato con grande orgoglio di avere finalmente giustiziato un pericoloso criminale, suo fratello Ace, e che in quella carneficina che loro chiamavano freddamente scontro era morto anche un pirata chiamato Rufy, noto per avere recentemente causato parecchi grattacapi al governo mondiale. Fine. Poche righe per distruggere la vita di un uomo, il fratello che era sopravvissuto, all'oscuro di tutto.

Dopo molti anni Sabo era tornato a pensare a tutti i sogni e a tutte le promesse che si erano scambiati da bambini, quando ancora credevano che nel mondo ci fosse qualcosa per cui valeva pena combattere. Quando credevano di avere un futuro, nonostante nelle loro vene non scorresse sangue comune.

I suoi fratelli erano sempre stati la sua certezza più grande, anche quando combatteva per i Rivoluzionari. Il suo pensiero andava sempre a loro e al giorno in cui si sarebbero ritrovati. Non c''era scontro o battaglia che riuscisse a spaventarlo perchè lui sapeva di dover vivere almeno fino al giorno che avrebbe ritrovato Rufy ed Ace. Ogni tanto prima di dormire Sabo provava persino ad immaginare come sarevve stato il loro incontro. Vedeva I visi dei sui fratelli, I loro sorrisi, la loro sicurezza e la loro voglia di vivere. Sarebbe stata una grande festa quel giorno, proprio come piaceva a Rufy. Un sacco di cibo, carne e musica.

La notizia della loro morte era giunta inaspettata ed aveva rovinato tutti i programmi del ragazzo. Anzi, aveva letteralmente stravolto la sua vita. Nulla era più stato come prima.

L’idea di non avere fatto nulla, e di averlo addirittura saputo solamente dopo quando tutto era finito e non c'era più nulla da fare lo torturava ancora di più, portandolo alla pazzia e quindi alla vita criminale.

Lentamente aveva finito con l’abbandonare ogni cosa; soldi, amici, sogni e persino i suoi ideali. Per Sabo la vita era diventata un'illusione, la più grande delle prese in giro. Non c'era più nulla per cui valesse la pena vivere, figurarsu per combattere.

Ormai era diventato poco più di un’ombra che si muoveva fra la gente, rubando a quelli che stavano meglio di lui, sperando di portare nelle loro vita la stessa disperazione che albergava nella sua. Persino il nome sui manifesti era cambiato: non più Sabo il Rivoluzionario, ma Sabo lo Sciacallo.


Il ragazzo era arrivato per caso al villaggio di Shirop, dopo un lungo peregrinare in lungo ed in largo. Aveva visto molte isole, molti villaggi ed un sacco di città, tuttavia ogni posto che vedeva gli sembrava noioso, uguale al precedente. La gentilezza della gente lo nauseava a tal punto da spingerlo alla solitudine più assoluta.

Non appena aveva visto il piccolo ammasso di case aveva subito identificato quella che sarebbe stata la sua prossima vittima. Si trattava di una grande villa arroccata su una piccola collina, lontana dalle altre case. Era talmente bella che pareva quasi disegnata dal tratto di un pittore particolarmente capace e tanto era bastato a Sabo perché avesse preso la decisione di derubarla. Chi ci abitava era secondario, un dettaglio insignificante. Sia che fosse un gigante grande e grosso piuttosto che una vecchia signora sola, era deciso a mandare a rotoli la sua vita esattamente come il destino aveva fatto con lui.

***

Alla fine Nojiko aveva portato a casa lo sconosciuto;

Ufficialmente lo aveva fatto per prudenza, per evitare che il ragazzo dormisse un’altra notte sotto ai mandarini della madre, ma entrambi sapevano che si trattava di una scusa. O meglio, che fosse a meno una scusa non era importante per Ace esattamente come non gli importava di avere o meno un tetto sopra la testa. Vivere, sopravvivere o morire erano concetti che nella sua mente annebbiata dal rum e dal dolore si equivalevano. Certo, c'era stato un tempo in cui le cose andavano diversamente, ma era stato tanto tempo prima. Troppo, prima che la sua vita era finita con l’andare definitivamente a rotoli facendo si che le conseguenze delle sue azioni ricadessero sulle persone a cui teneva di più al mondo.

Per quanto riguardava Nojiko, la verità era che quell’uomo la incuriosiva e che lei voleva conoscerlo più a fondo. Per la ragazza il comportamento dell'uomo era del tutto assurdo, così come le pareva assurdo che lui sembrasse quasi scocciato dall'aiuto che la ragazza gli offriva. Quando Nojiko aveva chiesto allo sconosciuto di seguirla, dicendogli che lo avrebbe ospitato per la notte lui si era limitato ad alzare le spalle ed annuire. Non sembrava particolarmente grato, ne felice di non dormire al freddo. Aveva preso la notizia con freddezza, quasi riguardasse la vita di qualcun altro.


Il ragazzo aveva passato la notte sul divano, mentre Nojiko era rimasta sveglia per assicurarsi che respirasse. Più ci pensava e più sembrava assurdo, ma non era riuscita a farne a meno. C'era qualcosa in quello sconosciuto che la faceva stare in pena per lui.

Il suo sonno, agitato e convulso, ricordò alla ragazza quanto fosse stata impulsiva.

Non conosceva nulla di lui, nemmeno il suo nome. Per ingannare l'attesa Nojiko iniziò a studiare a fondo il viso dell'uomo, cercando qualche particolare che potesse aiutarla ad identificarlo. Il primo dettaglio che gli saltò all'occhio furono le lentiggini, chiare, che gli puntellavano il viso e che gli conferivano un'aria infantile.

Sembrava un bambino cresciuto troppo in fretta e stravolto dal dolore.

- Visto che hai dormito da me, sei in debito! -

Comunicò Nojiko la mattina seguente, mettendo una tazza fumante tra le mani dello straniero. Lui si sorprese un istante, poi tornò alla sua solita apatia. Prese la tazza, butto giù il contenuto tutto d’un fiato e restituì la tazza alla ragazza. Ancora una volta Nojiko si fermò a studiarlo con attenzione, facendo caso per la prima volta al pallore dell'uomo.

Sembrava fosse reduce da una brutta malattia o comunque da una lunga convalescenza che lo aveva tenuto per molto tempo a letto. Non aveva per nulla l'aspetto di un pirata fatta eccezione per il grosso tatuaggio che portava sulla schiena. Si trattava di un teschio, quasi del tutto cancellato da una ernorme cicatrice.

- Non ho denaro con me, puoi sempre farmi arrestare.. -

Rispose il ragazzo, a testa bassa. Nojiko sentiva la rabbia divampargli dentro; perché era così deciso a buttare via la sua vita in un modo tanto stupido?

Dietro a quel viso sconvolto e trascurato doveva nascondersi un uomo deciso, che per qualche motivo aveva deciso di rinunciare a tutto e di arrendersi.

All’inizio Nojiko aveva pensato di fare domande, ma si era arresa quasi subito. Lo sconosciuto non aveva la minima intenzione di risponderle o di dirle il suo nome, figurarsi di raccontare la storia della sua vita e lei non aveva certo voglia di insistere.

- Niente denari? Allora vorrà dire che lavorerai per me. Gratis. -

Concluse Nojiko, decisa. Una mano alla piantagione le faceva senza dubbio comodo, soprattutto se ad aiutarla era un ragazzone grande e grosso come lui. Inoltre, vivendo a stretto contatto con lui avrebbe avuto l’occasione di scoprire qualcosa di più circa la sua vita, il suo passato o quanto meno sui problemi che sembravano tormentarlo.

- Bene. -

Rispose Ace, alzando lo sguardo.

Lavorare, bighellonare oppure perdere la giornata vagando senza meta non faceva la minima differenza per lui. Quella ragazza lo incuriosiva, certo, ma non al punto da arrivare a sfogarsi con lei. Certamente non avrebbe mai capito, nessuno poteva. La gente non capisce cosa si prova a vedere morire il proprio fratello minore sotto gli occhi, figurarsi perderne due.

- Sembra che i tuoi propositi suicidi dovranno aspettare. -

Esclamò Nojiko, sicura, con un filo di ironia nella voce. Aveva deciso che lo avrebbe salvato ed era più determinata che mai a portare a termine I suoi propositi.

Il ragazzo aprì la bocca per ribattere ma alla fine preferì non dire nulla. Seguì la ragazza al campo, si mise a lavorare e non disse più nulla fino a sera.

Lavorare non gli pesava. Al contrario, lo aiutava a non pensare al suo fallimento.

In qualche modo era riuscito a salvarsi, ma il suo fratellino No. Aveva vinto la sua battaglia personale, ma non aveva tenuto fede alla promessa fatta tanto tempo prima a Sabo; Rufy era morto.

***

La strana figura, non del tutto umana, seguì silenziosamente Rufy stando attenta a non farsi scoprire. Muoversi nell'ombra e senza fare rumore non era certo un problema per lei che conosceva quell'isola come le sue tasche. Sapeva bene che il ragazzo era solo. Aveva visto il vecchio che era stato a lungo insieme a lui partire un paio di giorni prima. La creatura lo aveva preso per un segno. Keira sorrise tra sé. Senza il Re Oscuro tra i piedi avrebbe certamente potuto avvicinarsi facilmente al ragazzino.

Fin da quando lo aveva visto la prima volta, circa un anno e mezzo prima, era rimasta affascinata da quello spirito tormentato ma allo stesso tempo deciso. All’inizio voleva solo prendersi la sua vendetta. Dopo tutto il moccioso aveva invaso la sua isola, come avevano fatto tanti altri umani prima di lui, aveva sparso il sangue dei suoi mostri ed aveva violato la foresta. Con il tempo, tuttavia, aveva cominciato ad apprezzare quel piccolo insetto. Era invadente, certo, ma tutto sommato nemmeno troppo fastidioso. Lo aveva tenuto d’occhio a lungo, e si era più volte stupita di come sorridesse sempre nonostante la situazione non fosse delle migliori.

Decisamente non se ne incontravano spesso di tipi come lui, ma non era ancora riuscita a capire se questo fosse un bene oppure un male.

Keira ne aveva visto solo un altro così deciso ed al tempo stesso così strano, più di trenta anni prima. Si trattava di un uomo pieno di contraddizioni che portava sulla testa lo stesso cappello che aveva visto addosso al ragazzino.

Il suo nome era Roger, e si ricordava bene quando si era offerta di vedere nel suo futuro per indagare se c‘era qualche traccia di sventura.

La creatura della foresta non era mai riuscita a cancellare quella predizione dalla sua mente, nonostante fosse stata in assoluto una delle più brevi. Gol D. Roger l’aveva infatti fermata subito, non appena lei aveva detto che una grave malattia lo avrebbe ucciso solo qualche anno più tardi.

- Se davvero mi rimane così poco da vivere, non ha senso perderne dell’altro con te. Voglio fare le cose in grande e riuscire a conquistare tutti i mari del nuovo mondo. -

Aveva detto l’uomo destinato a diventare il Re dei Pirati, sparendo dalla sua vista e lasciandola in preda alla furia più nera; come poteva un ridicolo essere umano offenderla a quel modo? Mai nessuno prima e di lui, e nemmeno dopo, aveva osato trattarla come una veggente qualsiasi. Eppure, qualcosa in quel pirata l'aveva affascinata al punto dal persuaderla a trovarne altri come lui.


Uno stormo di gabbiani prese il volo, facendo oscillare le foglie degli alberi vicini a lei. Distratta nei suoi ricordi, Keira non si accorse di avere perso di vista Rufy.

ANGOLO DELL'AUTRICE

devo ammettere che i vostri commenti mi hanno affascinata; sono contenta che la storia venga apprezzata! come avrete notato la trama è decisamente più complicata dell'altra volta.

vediamo se riesco a chiarirvi un po' le idee: la storia sarà divisa in blocchi, o fasi, probabilmente due.

il primo blocco riguarderà i misteriosi due anni dei quali non ci è detto sapere nulla dal manga. 
le vicende di Rufy, Sabo ed Ace (ebbene si, è lui) si svolgono in questi due anni, non necessariamente nello stesso tempo. nel senso, non è detto che Sabo viene cacciato dalla nave nelllo stesso momento in cui Ace viene trovato da Nojiko. in linea generale, Sabo viene buttato giù dalla nave qualche mese più tardi rispetto alla guerra tra la marina e Barbabianca ed arriva nel villaggio circa un anno più tardi; Ace viene trovato da Nojiko qualche mese più tardi; Rufy invece viene notato da Keira (personaggio frutto della mia immaginazione) non appena arriva sull'isola, anche se gli eventi di questo capitolo si svolgono quando parte Rey.
insomma, spero di essere riuscita a spiegarvi che gli avvenimenti di questo primo blocco sono sfalsati.

il secondo blocco riguaderà quello che succede a partire da quando la ciurma di Rufy si ritrova fino alla fine della storia e credo sarà meno intrigato della prima parte..

ora passiamo ai commenti. ringrazio di cuore tutti coloro che recensiscono. davvero, vi adoro!

Akemichan: grazie mille!
mi fa sempre piacere sapere che i miei personaggi sono credibili, specialmente quando si parla di emozioni. per quanto riguarda le coppie, credo che avrai una delusione le prossimo capitolo; non dico nulla, ma prova a rivedere bene il prologo. Ace e Nojiko a me sembrano perfetti perchè hanno tutti e due un bel caratterino, inoltre nel caso di un possibile futuro incontro con Rufy, Nami potrebbe ritrovare la sorella.

Kuruccha: grazie mille!
non proprio, Sabo è su una certa isola con una certa ragazza (che non ha ancora incontrato).. gli altri ci hai preso! Rufy e Keira, che è un personaggio di mia invenzione. ho provato ad affincargli qualcuno di esistente, ma non trovavo nessuno che mi convinceva. l'uomo misterioso invece è Ace, che non è mai stato nominato perchè di fatto per Nojiko è uno sconosciuto, non sa chi è o come si chiama.

Raffa_chan: grazie mille!
sono felice che hai apprezzato la mia vecchia storia. credo sia stata una delle storie che mi è piaciuta in assoluto di più e sapere che questa secondo te è persino più bella mi rende felice! riguardo alle tue riflessioni: ebbene si, sono tutti e tre vivi; giusta anche la seconda, ognuno crede che gli altri due sono morti; Barbabianca però è morto.

Tre 88: grazie mille!
allora, Ace è vivo, come credo sia ovvio in una storia scritta da me. non credo che avrei il cuore di ucciderlo, nemmeno in una storia. keira è un personaggio che ho creato perchè non trovavo nessuno che potesse essere affiancato a Rufy. per quanto riguarda la tua raffica di domande su Ace, davvero, muoio dalla voglia di risponderti, ma finirei con il rovinarti tutto. credo ti tocchera aspettare uno o due capitoli. :D

Chibi_Hunter: grazie mille!
la prima recensione è sempre un onore, così come i complimenti alla vecchia storia! fammi sapere cosa ne pensi di questa, mi raccomando!

Brando: grazie mille!
ebbene si, quello è Ace, è vivo, ma i suoi fratelli pensano sia morto. ti assicuro che avrai una spiegazione, ma se te la scrivo io qui poi ti rovino tutto.. no?:D

Micyu_chan: grazie mille!
ebbene si, Rufy e Sabo danno Ace per morto. insomma, ognuno da gli altri per morto... se a questo punto ti è venuto il mal di testa sta tranquilla, è assolutamente normale!

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Capitolo 4
*** Incontri e pazzie ***


CAPITOLO 3
INCONTRI E PAZZIE

Entrare nella villa sulla collina tutto sommato non era stato particolarmente complicato per Sabo, non più delle altre volte. I suoi movimenti erano stati veloci ed automatici, tanto ci aveva fatto l’abitudine a fare quella vita. Tutti i sistemi di sicurezza istallati avevano finito con il rivelarsi insufficienti. 
Una volta entrato aveva preso a vagare soddisfatto e indisturbato per le grandi e maestose stanze pulite da poco, attento a non fare il minimo rumore che potesse mettere in allarme servitori, guardie o magari gli stessi padroni di casa. Il rivoluzionario procedeva lento, soffermandosi con attenzione su ogni dettaglio, cercando qualcosa che valesse la pena essere rubato o quanto meno distrutto. Vagando da una stanza all’altra finì con il trovare un ritratto di famiglia, all’apparenza uno come tanti. 
La solita nauseante scenetta familiare che gli faceva venire il voltastomaco. 
C’era una bella donna bionda, un uomo dall’aria sicura ed una ragazzina fastidiosamente sorridente. Lo guardavano tutti e tre dalla cornice, felici e realizzati, prendendosi gioco di lui e della sua vita che era andata a rotoli. Ogni secondo che passava a guardare quel dipinto non faceva altro che ricordargli che lui una famiglia ormai non l’aveva più, e che la colpa era principalmente sua. Aveva sempre pensato che i suoi fratelli fossero in gamba, che non avessero di certo bisogno del suo aiuto e che infondo avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per rivederli, abbracciarli e fare di nuovo festa con loro. Si sentiva invincibile, quasi immortale, e pensava che fosse lo stesso per i suoi fratelli. Per questo motivo non si era mai curato troppo di restare aggiornato su quanto accadeva nel mondo. 
Quando si era trovato il giornale tra le mani tutte le sue certezze erano scomparse di fronte a lui, aveva realizzato che era stato un idiota ma che ormai non aveva possibilità di rimediare: il tempo era finito. 
Ace era stato giustiziato, Rufy era morto mentre cercava di salvarlo ed il suo cadavere non era mai stato ritrovato. Arrivato a quel punto Sabo aveva appallottolato il giornale senza leggerlo fino in fondo tanto era disgustato da quei giri di parole. Da allora si era chiuso in se stesso, chiudendo fuori il resto del mondo. Non gli importava più di sapere quel che succedeva intorno a lui perchè nessuna dannatissima guerra gli avrebbe restituito quello che aveva perso. Arrivati a quel punto leggere il giornale era solo una fastidiosa incombenza, una perdita di tempo. 

Quando si riscosse da quei tristi ricordi, il rivoluzionario scoprì il suo volto bagnato da quelle che sembravano senza dubbio lacrime. Con un gesto di rabbia fece cadere la cornice, lasciando che si infrangesse a terra con un rumore sordo. Subito dopo averlo fatto realizzò la stupidità del suo gesto che non aveva fatto altro che attirare l’attenzione. Tanto valeva scrivere il suo nome da qualche parte a quel punto. Sabo si mise in posizione di attesa, sicuro che da un momento all’altro sarebbe certamente arrivato qualcuno, attirato da tutto quel baccano. Aspettò a lungo, ma non vide arrivare nessuno. Rimase ancora un po’ a guardare i cocci rotti, sorpreso, poi decise di passare alla stanza successiva.

Quello che vide lo lasciò interdetto, immobile sulla porta. Di fronte a lui c’era la stessa ragazzina del ritratto, solo un po’ più grande e decisamente meno felice. Il suo sorriso aveva lasciato il posto ad un’espressione stanca e assonnata. La ragazza era addormentata sopra un’immensa pigna di volumi polverosi di anatomia, chimica e medicina. Doveva essere crollata mentre studiava, quasi sicuramente per diventare medico ed aiutare la gente. Sul volto della giovane donna non vi era più l’aria spensierata che tanto gli aveva dato ai nervi nella stanza precedente, al contrario. Il suo bel viso era segnato da profonde occhiaie che le davano un’aria decisamente distrutta.

Sabo scartò subito l’idea di farle del male, colpito da qualcosa in lei che non riusciva bene ad individuare. Non poteva colpirla e basta. Per la prima volta dopo mesi di sofferenza che lo avevano reso insensibile a tutto e a tutti, la sua coscienza tornava a farsi sentire.

Sconvolto da quell’incontro inaspettato, decise di uscire prima di fare altri danni e di lasciare al più presto quel villaggio. Una voce dentro di lui gli suggeriva che per il suo bene doveva restare, ma il rivoluzionario era fermamente deciso a non dargli retta. Forse era la stessa voce che lo aveva fermato poco prima, nella stanza. Non poteva mettere la testa a posto, tornare a fare il bravo ragazzo e fare finta che non fosse mai successo nulla. C’erano colpe che non potevano essere lavate così come c’erano posti dai quali non era proprio possibile fare ritorno.

Rifece il percorso dal quale era entrato al contrario, quasi meccanicamente. La sua mente era altrove, persa in un’infinita lotta con se stessa, ma il suo corpo sembrava non averne bisogno per non farsi scoprire. Era già in giardino quando vide l’ombra aggirarsi nei pressi della casa.

Sabo capì subito di cosa doveva trattarsi. Gli ultimi mesi che aveva passato a fare il criminale gli avevano permesso di concludere che probabilmente quel tizio che si stava nascondendo con un pesante ferro in mano stava per fare quello che non era riuscito a lui.
Sarebbe entrato di soppiatto fino al cuore della casa, avrebbe trovato la ragazzina addormentata e non avrebbe esitato nemmeno un momento prima di spaccarle la testa con quell’arnese e scappare con il bottino. Era lo stesso che avrebbe dovuto fare lui, prima del grande ritorno della sua nemmeno tanto compianta coscienza.

Sabo valutò ancora per qualche istante l’idea di andarsene e di lasciare gli abitanti di quella casa al proprio destino ma si scoprì incapace di farlo sul serio. Cambiare idea fu quasi automatico, disturbato dall’idea della ragazza sola con quel disgraziato. Maledisse se stesso ed il mondo che lo aveva reso un ladro, si voltò e prese a correre.
Fermare il ladro fu incredibilmente semplice, molto di più di quello che Sabo pensava. Schivò senza problemi quell’inutile ferro, lanciandolo lontano, assestò un pugno deciso e questi era già a terra, inerme.
La parte difficile venne dopo. Aveva pensato che una volta messo al tappeto il tizio avrebbe potuto andarsene per la sua strada senza problemi e senza alcun rimorso, ma non aveva fatto i conti con alcuni fastidiosi ragazzini del luogo che erano accorsi attirati dalle urla e dal trambusto.

- Sei un eroe, signore. -
Esclamarono estasiati, fissando increduli il tizio riverso al suoi piedi. 
Nei loro occhi il ragazzo scorgeva una sorta di ammirazione che non vedeva da tanto, troppo tempo. Chiuse gli occhi solo un momento e quando li riaprì si ritrovo su un’altra isola, molto lontana da quella dove si trovava in realtà. I bambini di fronte a lui erano scomparsi ed al loro posto ne era rimasto solo uno, con un grosso sorriso ed un buffo cappello di paglia.

- Eccezionale, fratellone! -
Esclamò quella sorta di fantasma prodotto dalla sua mente che stava di fronte a lui, ostinatamente reale. 
Il rivoluzionario mosse una mano cercando di afferrare Rufy ma questi svanì insieme a quella sorta di visione, lasciandolo solo ed in lacrime in mezzo ad un sacco di gente che lo credeva una sorta di eroe buono.
Sabo imprecò, cercando di dileguarsi, subito bloccato dalla gente era accorsa alle grida dei ragazzini. Tutti sorridevano, gli davano pacche sulle spalle e gli facevano domande. Nessuno di loro aveva capito come stessero realmente le cose. Nessuno metteva in dubbio le sue intenzioni.

- Che succede? -
Chiese Kaja, comparendo sulla porta con un’aria spaventata. 
Sabo si girò lentamente, sorpreso da quella voce tanto sottile e spaventata, per trovarsi di fronte la ragazza che aveva visto poco prima, questa volta sveglia.

- Ti ha appena salvato la vita. -
Spiegò uno dei bambini, correndo incontro alla ragazza che prese a fissare il rivoluzionario con un’espressione decisamente incredula. 
Lo studiò attentamente in modo severo e sospettoso, quasi dubitasse che davvero quello sconosciuto comparso dal nulla potesse davvero avere fatto un gesto tanto nobile, poi sorrise. In pochi istanti fu accanto a lui e si lanciò tra le sue braccia, stringendolo forte.
Sabo non faceva altro che guardarsi intorno, intontito. Era bastava un ora in quel villaggio dimenticato dal mondo ed era passato dallo status di ladro a quello di eroe, senza quasi accorgersene e soprattutto senza che gli altri si accorgessero di quell’imbroglio.
Ora, nonostante le reticenze dell’interessato stavano cercando di convincerlo a partecipare ad una festa in suo onore. Sebbene l’istinto di Sabo continuasse a dirgli di lasciare quel posto, prima che fosse troppo tardi, alla dine decise di lasciarli fare, godendosi quel momento fino in fondo.

Era sempre lo sciacallo, dopo tutto.

***

Nojiko ed il ragazzo sconosciuto vivevano insieme ormai da qualche mese, per quanto gli abitanti del villaggio ritenessero del tutto improbabile quella convivenza. Qualcuno di loro aveva protestato, ma aveva finito per fare i conti con la testa dura della ragazza. 
Come sua madre aveva portato a casa due orfane ed aveva deciso di crescerle come sue figlie, lei aveva deciso che avrebbe aiutato quel ragazzo o quanto meno ci avrebbe provato.
Quello che ripeteva a tutti, furiosa, era che tra loro non c’era assolutamente nulla. Non era di certo innamorata dello sconosciuto, ne credeva seriamente di poter perdere la testa per lui. Nojiko era affascinata da quel ragazzo perché aveva visto qualcosa nei suoi occhi, dietro quello sguardo deluso e spento. Una sorta di spirito battagliero, deciso, in grado di tenerle testa. Insomma, più che un compagno da amare la ragazza lo vedeva come un amico con cui litigare che non tremasse di fronte alla sua rabbia.
Dopo le difficoltà iniziali la convivenza aveva preso ad andare piuttosto bene, tra alti e bassi, litigate e discussioni. In quel lasso di tempo avevano condiviso molte cose, dal tetto al cibo, ma nonostante questo la ragazza non sapeva ancora nulla del suo silenzioso amico. Non sapeva da dove veniva, per quale motivo si fosse ridotto in quel terribile stato e nemmeno il suo nome.

- Il mio nome è maledetto. Chi lo conosce è destinato a soffrire. -
Ripeteva lo straniero quando Nojiko tirava fuori l’argomento, di solito durante i pranzi che consumavano insieme alla piantagione oppure a casa.
La ragazza, dal canto suo, era decisa a non darsi per vinta. La testardaggine di Nojiko era pari solamente alla testa dura di Ace. Ogni volta che erano a tavola la giovane donna si dava da fare per riempire quei silenzi raccontando di se al suo ospite.
Lui non faceva mai domande, ascoltava e basta. A volte sembrava annoiato, altre distante e qualcuna persino affascinato dalle parole della ragazza. Nojiko gli aveva raccontato nei minimi dettagli la guerra che si era consumata nel suo villaggio contro gli uomini pesce, di come erano infine riusciti ad uscirne grazie all’aiuto di una ciurma di pirati sgangherati usciti dal nulla e di come sua sorella aveva deciso di partire con loro per realizzare i suoi sogni. L’unico dettaglio che aveva volontariamente trascurato era il nome della ciurma, spaventata che quell’informazione potesse mettere in qualche modo in pericolo Nami. Contrariamente a quanto si aspettava, il ragazzo non reagì. Si limitò a guardarla a lungo prima di brontolare che gli uomini pesce che aveva conosciuto durante la sua vita in fondo non erano poi così male. Questo aveva scatenato la rabbia della ragazza, svanita quasi subito dopo che il ragazzo si fu allontanato.
Ad ogni modo per la maggior parte del tempo Ace restava immobile, fingendo il massimo disinteresse. Per quanto quella ragazza fosse in gamba e cercasse con tutta se stessa di vincere la barriera di indifferenza dietro la quale lui si nascondeva, non poteva aiutarlo. 

Da quando il mondo gli aveva mostrato tutta la sua crudeltà, portandogli via le due cose che amava di più al mondo, Ace aveva deciso di estraniarsene. Da allora non aveva più letto un giornale, ne chiesto a qualcuno cosa stesse combinando la marina o il governo mondiale. Le tragedie del mondo, così come le conquiste dei pirati sognatori, non erano più affari che suscitavano il suo interesse.

- È una bella giornata, vero? -
Chiese Nojiko una mattina, mentre i due si stavano dirigendo verso il campo di mandarini. 
Il sole era sorto da poco, eppure era già caldo e rendeva il piccolo tratto di strada decisamente piacevole.

- Mhm.. -
Mugugnò l’altro in risposta. 
Le belle giornate lo rendevano ancora più triste e di cattivo umore. Ace amava la pioggia, la neve e tutto ciò al quale si accostava meglio tutto il dolore che provava dentro il suo cuore.

- Perfetta per raccogliere i mandarini da spremere.. -
Continuò Nojiko, ignorando il tetro brontolio del suo compagno.

- Mhm.. -
Ripeté Ace, sbuffando. 
Segretamente sperava che la ragazza la finisse con tutte quelle domande e con tutte quelle chiacchere ma ormai la conosceva abbastanza da sapere che era una speranza vana. Nojiko non sarebbe mai stata zitta, in nessun caso, anche a costo di mettersi a parlare con dei granelli di polvere o con dei fili d’erba.

- Sai, è stata mia madre ha insegnarmi tutto. Questo campo.. -
Cominciò Nojiko, indicando la prima fila di mandarini che spuntava dietro lo steccato.

- Era suo, lo so. Non fai che ripeterlo.. -
Sbuffò Ace, indispettito. 
Nojiko si fermò, fissando intensamente il ragazzo. Qualunque donna sarebbe stata profondamente offesa dal modo in cui era stata zittita, eppure lei rideva. Più la guardava, più la scopriva divertita e sorpresa.

- Ne ero sicura! -
Esclamò la ragazza, saltellando felice.

- Di che parli? -
Chiese Ace, disturbato la tutta quella felicità a cui non riusciva a dare una spiegazione logica. 
Lui l’aveva ferità, eppure lei sembrava la ragazza più felice di tutta l’isola.

- Tu fingi solo di non ascoltarmi.. -
Concluse Nojiko, correndo avanti a lui. 
Ancora una volta Ace avrebbe voluto dire qualcosa ma si obbligò a stare zitto. Non voleva affezionarsi a lei, tutte le persone che gli volevano bene erano destinate a soffrire. Tutte, a partire da suo fratello per continuare con suo padre, i suoi fratelli e chiunque lo avesse conosciuto. Nessuno era scampato a quella maledizione.

Per tutto il resto della giornata, Nojiko ed Ace non si rivolsero più la parola presi come erano dal lavoro nei campi. Il ragazzo eseguì tutti i compiti che lei gli aveva assegnato. Finito il lavoro Ace tornò verso casa. Era solo, Nojiko gli aveva chiesto di aspettarlo in cucina e così lui aveva fatto. Era così che si era trovato di fronte alla foto ed era iniziato tutto. Nella foto c’era una donna con due bambine. Tutte e tre erano felici, sorridevano. Erano una famiglia, proprio quello che lui non aveva più. Subito la sua mente tornò a Rufy e a Sabo e il suo cuore si strinse.
Quando il dolore divenne troppo, Ace si alzò dalla sedia e corse fuori senza meta fino a che non arrivò ad un burrone a strapiombo sul mare. Alla sua destra c’era una lapide, ma il ragazzo non ci fece caso. Nella sua testa c’era spazio solamente per un pensiero; tutto quello che voleva era smettere di soffrire, chiudere gli occhi e non sentire più niente.

Si passo la lama del coltello che aveva usato quella mattina per cogliere i mandarini sui polsi, poi si lasciò cadere nel vuoto.
Mentre cadeva, prima di scivolare lentamente nell’oblio, si sentì libero. 

Finalmente il suo dolore avrebbe avuto una fine.

 ***

Rufy si era trovato davanti Keira una mattina presto, appena sveglio. Era talmente addormentato che all’inizio non l’aveva quasi notata convinto come era di non essere ancora del tutto uscito dal mondo dei sogni. Rey era partito da circa una settimana, giorno più giorno meno, dicendo che avrebbe preparato la nave per il grande incontro fissato per sei mesi più tardi. Rufy aveva annuito, abbozzando un sorriso. Per quanto fosse diventato forte e avesse ancora tempo per migliorarsi, l’idea di tornare dai suoi compagni non lo rendeva felice come avrebbe dovuto essere. Aveva ancora bene impresso nella mente i loro sguardi spaventati e i loro corpi feriti. Il timore di non essere all’altezza di proteggerli era grande, ma il ragazzo di gomma sapeva bene che si sarebbe dovuto rassegnare a conviverci.

Dopo la battaglia al quartiere generale della marina, nulla sarebbe stato più lo stesso. Il suo modo ingenuo e spensierato di guardare il mondo era andato perso, forse per sempre. Ormai si era abituato a fingere, ma in realtà non riusciva a fidarsi di nessuno. La sola idea di affidarsi ad uno sconosciuto, come più volte avevano fatto nel corso del loro viaggio, gli sembrava una pazzia. 
Rufy ricordava bene quando si era svegliato, qualche settimana dopo gli scontri, ed aveva realizzato di essere ancora vivo. Allora aveva iniziato a piangere, come un bambino. Jimbei, al suo fianco, aveva creduto fossero lacrime di gioia, ma aveva subito dovuto ricredersi. Il ragazzo gomma sapeva bene che avrebbe dovuto morire insieme ad Ace e forse una parte di lui l’aveva fatto. Quello che era rimasto di lui aveva promesso che avrebbe protetto i suoi compagni e continuato il viaggio, anche se parte del suo entusiasmo era andato perduto. Insieme a Rey ed al grosso uomo pesce era tornato nel luogo dove aveva perso il fratello per mandare un messaggio ai suoi compagni, poi era sparito. Credeva che due anni lo avrebbero aiutato a tornare quello di prima ma ora, dopo un anno e mezzo, poteva tranquillamente affermare che non erano serviti a nulla. Era diventato più forte, certo, ma i cambiamenti si fermavano a quello. Non si sentiva lo stesso di prima e tanto meno una persona migliore. L’unica cosa che aveva ben chiaro in mente, il suo pensiero fisso, era la necessità di allenarsi che lo portava a non riposare per più di quattro ore.

a Rufy era servita una seconda occhiata per rendersi conto che la ragazza non era del tutto umana e soprattutto era piuttosto minacciosa. Lo fissava dritto negli occhi con una furia che non aveva apparenti spiegazioni.

- Che razza di mostro sei? -
Aveva chiesto il ragazzo di gomma, grattandosi la testa perplesso. 
Keira lo studiò, attenta. Il ragazzo non sembrava spaventato, solo curioso. Forse era convinto che fosse solamente un sogno bizzarro, oppure era davvero coraggioso a parlarle in quel modo senza curarsi di quelle che potevano essere le conseguenze.

- Non sono un mostro, idiota. -
Aveva sibilato lei, in risposta. 
A quelle parole Rufy aveva sospirato, visibilmente sollevato, aveva alzato le spalle e le aveva offerto un grosso frutto succoso. Keira, spiazzata, era rimasta immobile. Mai prima d’ora aveva incontrato un umano così. Persino quel Roger a confronto sembrava essere più sano di mente di lui.

- Sei un tipo strano. -
Dichiarò lo spirito, con una espressione tremendamente seria.
Benchè non fosse la prima volta che qualcuno gli diceva una cosa del genere, Rufy si sorprese. Le parole dello spirito avevano una solennità ed una complessità che affascinava ed allo stesso tempo spaventava il ragazzo.

- Cosa sei? -
Chiese Rufy, serio. 
Ad un’occhiata superficiale quella che si trovava di fronte a lui poteva sembrava una ragazzina di appena qualche anno più grande di lui dall’aspetto bizzarro, ma qualcosa gli diceva che c’era di più. La solennità con cui aveva parlato, la profondità dei suoi sguardi e la sicurezza dei suoi movimenti sembravano portare con se una saggezza secolare.

- Sono uno spirito di questa foresta, proteggo questa isola... -
Spiegò Keira, afferrando il frutto dalle mani del ragazzo e mordendolo avidamente. 
Normalmente non si cibava di vivande umane per rispetto dell’isola, eppure trovò quel frutto estremamente buono.

- Accidenti, allora devi essere vecchia! –
Esclamò il ragazzo di gomma, ingenuo, tornando a grattarsi la testa.

- Insolente, non sono un essere umano! –
Ringhiò Keira, furiosa, meditando vendetta; come poteva un idiota del genere parlargli a quel modo? 
Prima che lo spirito potesse fare qualsiasi mossa, Rufy divenne improvvisamente serio. Keira si sorprese di quella trasformazione, impensabile pochi istanti prima.

- Quindi per te io sarei una specie di minaccia per la tua isola, giusto? -
Chiese il ragazzo, senza ombra di ironia nella voce, guardando affascinato la strana creatura che aveva appena smesso di mangiare e che ora lo fissava senza staccare lo sguardo.

- All’inizio lo pensavo, lo ammetto. -
Dichiarò Keira, stranamente sincera. 
Non era da lei dire la verità, soprattutto di fronte ad un umano, ma per qualche ragione sentiva che doveva fare un’eccezione.

- Cosa ti ha fatto cambiare idea? -
Chiese Rufy, curioso ed affascinato da quella donna che racchiudeva uno spirito ed un’esperienza di secoli nel corpo di una ragazzina.

- Gli spiriti come me hanno segreti che non rivelano. Tuttavia, posso leggerti nel cuore -
Rispose lei, stizzita. 
Avrebbe davvero voluto leggere cosa passava per la testa di quel ragazzo, così come avrebbe voluto essere in grado di prevederne il futuro.

- Non mi va, devo allenarmi.. -
Mormorò Rufy, alzandosi. 
Alle parole di Keira il suo volto si era fatto scuro, quasi temesse che lei potesse arrivare ad indovinare i suoi punti deboli, i suoi demoni e le sue paure.

- Posso leggere il tuo futuro, se vuoi. -
Propose ancora Keira, aspettando attenta la risposta del ragazzo. 
Gli era bastata un’occhiata attenta per capire che quel ragazzo faceva parte di un ristretto gruppo di umani destinati a grandi cose. Ne aveva incontrati molti, ma oltre a lui solamente quel Roger era riuscito a sopravvivere così a lungo sulla sua isola.
Qualunque umano sarebbe stato più che felice di una proposta del genere. Gli spiriti, si sa, non mentono mai. Le loro predizioni sono rare almeno quanto sono preziose.
Imbattersi in uno di loro e vedersi fare una predizione non è un’esperienza che molti possono vantare, nemmeno nella seconda parte della rotta maggiore.

- No, grazie. Se sapessi già tutto per cosa varrebbe una pena continuare questo viaggio? -
Chiese Rufy, sorprendendo lo spirito con la sua ingenua risposta. 
Nessuno prima d’ora aveva risposto in quel modo. Persino Roger l’aveva lasciata fare prima di correre dietro al suo sogno.

- Sei testardo, moccioso. -
Sibilò lei, osservando il ragazzo allontanarsi a grandi passi verso il profondo della foresta.

Avrebbero parlato ancora, ne era certa.

ANGOLO DELL'AUTRICE
per prima cosa, grazie a tutti quelli che hanno letto la mia storia; sia a quelli che commentano che ai lettori silenziosi!
spero che con l'avanzare della storia spariscano anche tutti i vostri dubbi. mi rendo perfettamente conto che la trama di questa storia è complicata. vi assicuro che nella mia testa è ben chiara, forse meno sulla carta!

Akemichan: grazie mille!
questa volta ti ho fatto aspettare un po' di più, mi spiace. per quanto riguarda Sabo, dato che di lui sappiamo veramente poco, mi sono presa la briga di metterci del mio. per come la vedo io è si un rivoluzionario, ma anche piuttosto distratto. lui credeva che non sarebbe mai potuto succedere nulla ai suoi fratelli quindi non si è mai preoccupato di sapere dove fossero. quando ha letto della loro morte è andato in crisi, si è chiuso in se stesso e quindi non è venuto a sapere che il realtà Rufy stava bene.
per quanto riguarda le coppie, invece, posso dire che per il momento non ho in programma di fare nascere storie d'amore. si tratta principalmente di compagni di viaggio che aiuteranno i tre fratelli a capire alcune cose ed andare avanti.
per quanto riguarda gli errori, grazie, lo scorso capitolo ho litigato abbastanza con il mio pc!

Brando: grazie mille!
Ace e Sabo hanno letto il giornale, uscito subito dopo la guerra, nel quale Rufy veniva dato per morto. nessuno dei due si è preso la briga di leggerne altri quindi non sanno della gita con Rey e Jimbei ne tanto meno che il loro fratellino è vivo!

Tre 88: grazie mille!
questa storia si basa sul fatto che ognuno dei tre fratelli crede gli altri due morti quando il realtà sono tutti vivi. spero di averti chiarito le idee e non avertele confuse ancora di più!
riguardo Ace non dico nulla, nel prossimo capitolo la parte dedicata a lui sarà principalmente introspettiva e risponderà a tutte le tue domande!
Keira è uno spirito, non ha età. ha il corpo di una ragazzina ma ha svariate centinaia di anni.

Chibi_Hunter: grazie mille!
spero che questo capitolo non ti abbia deluso e che abbia risposto almeno a qualcune delle tue domande!

Raffa_Chan: grazie mille!
mi spiace, niente anticipazioni su Ace tranne che sono quasi certa che non si metteranno insieme.
:D non ti resta che aspettare!

Koruccha: grazie mille!
ho fatto tesoro dei tuoi consigli e delle tue note!

Micyu_chan: grazie mille!
bah onestamente io un Rufy innamorato non riesco ad immaginarmelo bene. lo vedo più come il compagno di avventure sempre sorridente. ad ogni modo, mai dire mai!

GRAZIE MILLE, AL PROSSIMO CAPITOLO!

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Capitolo 5
*** Partenze ***


- 4 -

PARTENZE

Appena sveglio Ace si ritrovò semplicemente perso, smarrito come quando da bambino aveva realizzato che lui non avrebbe mai avuto una vita normale. Era sdraiato in un letto che non era il su, con i polsi bendati e la gola secca, ed era ancora vivo. Qualcosa, o forse qualcuno doveva essere riuscito ad intervenire mandando a monte il suo assurdo ed improvvisato tentativo di togliersi la vita. Doveva averlo afferrato in tempo, prima che il vuoto lo inghiottisse. Intorno a lui ogni cosa era avvolta nell’oscurità quasi fosse notte, grazie alle tende ben chiuse. Chiunque lo avesse salvato voleva essere sicuro che riposasse per bene. A fatica, nel buio della stanza il ragazzo riuscì ad intravedere una figura assopita, probabilmente Nojiko. Doveva essere stata proprio lei a salvarlo, dopo tutto era l’unica nel villaggio a cui importava qualcosa di lui. Per gli altri era solo una seccatura, un balordo che era arrivato per caso e che avrebbe sicuramente fatto meglio ad andarsene.
La ragazza dormiva appoggiata a lui, agitata e pallida, eppure bastò un movimento quasi impercettibile di Ace a svegliarla.

- Stai bene? -

Chiese subito lei, ansiosa. Non vi era traccia del suo sorriso o della sua solita irruenza, c’era solo molto dolore nei suoi occhi. Ace non rispose e distolse lo sguardo.   

Nojiko aprì la bocca per aggiungere qualcosa, forse una delle sue solite risposte acide, ma la richiuse subito non appena si accorse che il viso del ragazzo era bagnato di lacrime.
Aveva fallito, ancora una volta aveva fallito. Ace chiuse gli occhi e lasciò che la sua mente ripercorresse quegli eventi che aveva invano cercato di dimenticare.

 
La mente di Ace era tornata molte volte alla giornata maledetta in cui la sua vita era cambiata a tal punto da rendergli intollerabili tutte quelle cose che fino a quel momento aveva adorato, ma non era mai riuscito a trovare una spiegazione abbastanza logica che spiegasse perché lui era vivo e Rufy giaceva sepolto chissà in quale luogo. Aveva ripercorso quelle ore a lungo, fino a perderci il senno, ma non era mai riuscito a riordinare i fatti in modo che acquistassero senso. Ogni dettaglio di quelle ore frenetiche ed assurde era scolpito nella sua memoria: la prigione, il patibolo e la guerra che si era scatenata. Ovunque guardasse vedeva uomini che lottavano, venivano colpiti e morivano a causa sua e della sua irruenza. Suo padre, i suoi fratelli, Rufy e persino sconosciuti personaggi da poco evasi da Impel Down. Ognuno di loro si trovava in quel luogo infernale perché un bel giorno lui aveva avuto l’ardire di affrontare Barbanera ed aveva perso. I cadaveri dei pirati e dei giovani marine si contavano già a centinaia quando suo fratello lo aveva liberato, sorprendendo tutti quanti. Nessuno avrebbe mai scommesso nemmeno una moneta su quel piccolo pirata, così fastidioso ed insignificante, eppure lui ci era riuscito. Faticosamente, lottando contro nemici ben più forti di lui e contro la fatica era arrivato fino al patibolo ed aveva raggiunto il suo scopo. Una volto libero, Ace aveva cercato il viso di suo fratello. Nonostante tutto sorrideva, come sempre, orgoglioso di essere riuscito ad andare in soccorso del fratello maggiore almeno per una volta. Guardando il suo viso così spensierato per un istante soltanto Ace aveva davvero creduto che avrebbero potuto farcela ad andarsene da quell’inferno e a prendere di nuovo il mare, insieme. Subito dopo era arrivato Akaniu, mettendo fine a tutte le speranze. Gli attimi che erano venuti dopo erano così confusi che il comandante della seconda flotta di Barbabianca non riusciva ancora a capirci molto. Da lì tutto si faceva sfumato e non sapeva con certezza come erano andate le cose. Il colpo dell’ammiraglio aveva colpito lui, non direttamente Rufy. Ace era sicuro di essere arrivato in tempo per proteggerlo, mettendosi tra il fratello e il nemico, ma non era servito a molto. Era stato un colpo veramente devastante, tanto che ne portava ancora i segni impressi sulla pelle. Del tatuaggio che una volta riempiva tutta la sua schiena era rimasto poco o niente. Mentre le forze lo abbandonavano Ace aveva visto Rufy piangere chino su di lui, aveva sentito le sue lacrime bagnargli le ferite. Lui era ancora vivo. Conciato male, depresso e distrutto, ma vivo. Ne era assolutamente certo. Non doveva essere stato il colpo dell’ammiraglio a finirlo, forse qualcosa che era successo dopo quando lui non era più lì con lui.
Ace era sopravvissuto per caso, ricordava che le forze lo avevano abbandonato e che tutto era diventato nero. Subito dopo l’urto tutti lo avevano creduto morto, anche una strana ciurma che si era incaricata di seppellire il suo corpo.
Quando si era svegliato qualche settimana dopo, si trovava a bordo di una nave che non conosceva dove c’era un sacco di gente rumorosa. Ognuno correva su e giù, da poppa a prua. Tutti urlavano, oppure ridevano, senza che nessuno si prendesse la briga di farli smettere. Il più fuori di testa di tutti sembrava uno strano tizio con i capelli rossi che Ace era abbastanza sicuro di avere già visto da qualche parte prima di quel momento.
Prima ancora di chiedersi dove fosse finito, il ragazzo si stupì di essere vivo. Certo, ogni singolo muscolo, osso e centimetro del suo corpo gli faceva male, ma era pur sempre vivo. Ancora confuso e dolorante, il ragazzo aveva chiesto delle spiegazioni ed uno strano tizio gli era letteralmente saltato al collo. Sembrava essere il medico di bordo anche se l’aria trasandata, il viso arrossato e la bottiglia di rum che teneva tra le mani non gli davano certo un aria professionale e rassicurante.

- Il nostro capitano ha portato via il tuo corpo e quello del vecchio per seppellirvi. Non credevano che tu potessi davvero essere sopravvissuto a quel colpo. Sei in gamba, ragazzo. Davvero. -

Spiegò l’uomo che doveva essersi preso cura di lui mentre era incosciente, incredulo, allungando al ragazzo un sorso di rum.

- Mio padre è morto, vero? -

Chiese Ace, con le lacrime agli occhi ed il groppo in gola. Non doveva andare così, Barbabianca doveva diventare il più grande. Doveva essere lui il Re dei Pirati, non Gol D. Roger. L’uomo sembrò esitare, quasi restio a dargli troppe informazioni per non turbarlo.

- Si ragazzo, l’era di Barbabianca è finita. -

Decretò l’uomo alla fine, facendosi serio.

Era stato il suo capitano Shank a pronunciare quelle parole durante la cerimonia funebre del vecchio pirata. Le aveva dette con le lacrime agli occhi e l’aria triste di uno che sta seppellendo un vecchio amico contro il quale ha lottato, vissuto e combattuto per tanti anni. Nessuno aveva parlato, nemmeno Marco. Quello che era stato il comandante della prima flotta di Barbabianca era rimasto per qualche ora a piangere sulla tomba di suo padre, poi era andato a cercare i suoi fratelli lasciando una Vivre Card che avrebbe permesso ad Ace di raggiungerlo una volta ripresosi.

- Che ne è stato del mio fratellino? -

Chiese ancora Ace, accorgendosi solo in quel momento che Rufy non era con lui. Se fosse stato lì a quel punto gli sarebbe già saltato al collo. L’uomo sospirò ancora, prima di bere un lungo sorso di rum. Sapeva che una volta sveglio il ragazzo avrebbe voluto sapere tutto quanto, eppure aveva a lungo pregato il suo capitano e i suoi compagni perché non lasciassero a lui quell’incombenza.

- Trafalgar Law l’ha portato in salvo, poi di lui si sono perse le tracce. Ha attaccato ancora il quartiere generale della marina o almeno quello che ne restava. -

Iniziò a raccontare l’uomo. La sua voce era stanca, quella di un uomo che ne aveva viste troppe nella sua lunga vita di pirata. Non sembrava nemmeno più lo stesso pirata che poco prima stava ridendo e saltando da una parte all’altra.

- Perché ha fatto una cosa tanto stupida? -

Chiese Ace, incredulo, mentre il pirata gli porgeva un giornale stropicciato. Non lo degnò di uno sguardo e tornò a fissare l’uomo. Voleva delle spiegazioni, doveva capire a tutti i costi dove si trovava suo fratello per poterlo raggiungere.

- Nessuno di noi lo sa, ragazzo. -

Sospirò l’uomo, rimettendosi a sedere. Sembrava svuotato, apatico.

- Ora come sta? -

Chiese ancora il giovane pirata ferito, stringendo nervosamente i pugni. La sua mente lavorava frenetica, cercando di ricostruire quello che doveva essere accaduto. Se Law lo aveva portato in salvo voleva dire che Rufy, per quanto malconcio fosse, si era salvato. Trafalgar Law era abbastanza famoso per essere un ottimo chirurgo, forse addirittura uno tra i migliori di tutta la prima parte della rotta del grande blu.

- Non sappiamo nemmeno questo.. -

Sospirò ancora l’uomo, voltando lo sguardo verso la parta opposta della stanza quasi volesse evitare lo sguardo del pirata più giovane.

- Diglielo.. -

Disse un altro pirata, arrivato da poco. I due si scambiarono una lunga occhiata silenziosa, poi il primo uomo parlo anticipando la domanda di Ace.

- La marina lo da per morto. -

Mormorò il medico, con un’espressione seria che ferì Ace. Il ragazzo sentì il suo cuore sussultare, fermarsi e poi riprendere a battere frenetico. Era semplicemente assurdo, una follia. Quei due dovevano essere pazzi. Il troppo sole o forse il rum dovevano avergli fuso il cervello tanto che avevano iniziato a straparlare.

- Non è possibile. -

Esclamò deciso Ace, agitandosi. Suo fratello era sopravvissuto a quella carneficina, lui lo aveva difeso e qualcun altro era riuscito a portarlo in salvo. Non vi era nessuna ragione per tornare al quartiere generale della marina, nessuna. Suo fratello non aveva nessun motivo per morire in un modo tanto stupido.

- Quando lo abbiamo visto noi era ridotto male. Secondo quanto dice il giornale.. -

Continuò a spiegare il secondo pirata, cercando di calmare il ragazzo perché le sue molte ferite non si riaprissero. Ancora una volta il Ace non lo lasciò finire la frase.

- Balle, lui deve diventare il Re dei Pirati. Mi capisci? Non può morire.. Che ne sarebbe dei suoi sogni e dei suoi compagni se lui.. -

Mormorò Ace, interrompendo i due uomini con la voce ormai rotta dalle lacrime.

- Fatti coraggio ragazzo, la vita è dura. -

Lo consolò il pirata, prima di lasciarlo solo con il suo dolore. Ace pianse a lungo come non aveva mai fatto prima di quel momento. Quando si fu calmato notò il giornale che gli aveva passato il medico. I fogli erano rovinati, quasi qualcuno ci avesse versato molte lacrime, ma si leggeva ancora. Diceva che Rufy era andato al quartiere generale della marina, aveva sequestrato un nave, fatto il giro dell’isola, si era tolto il suo cappello per ricordare i morti ed aveva suonato la campana. Di fianco all’articolo vi era una foto che mostrava suo fratello. Era ferito, malconcio e distrutto. Fu allora che capì: Rufy lo credeva morto. Aveva fatto quella follia che gli era costata la vita per lui, per cercare di cancellare tutto il dolore che stava provando. Con quel pensiero si era addormentato, vinto dalla stanchezza. Una volta sveglio aveva trovato ancora il medico al suo fianco, ma non gli aveva più chiesto nulla. Voleva solo guarire e lasciare quella nave. Dopo qualche settimana di convalescenza decise di mettere in pratica il suo piano. I pirati lo avevano implorato di restare con lui, ma Ace aveva ringraziato ed era andato per la sua strada, solo. Da allora aveva vagato, cambiando continuamente isola e finendo per diventare un vagabondo. Un povero alcolizzato che andava di villaggio in villaggio cercando solo di sopravvivere alla meglio.
Quando era partito dalla nave di Shank, declinando la proposta di entrare nella ciurma e rifiutando la Vivre Card del suo amico Marco, era davvero intenzionato a ritrovare il suo fratellino. Ci credeva davvero, allora. Voleva a tutti i costi dimostrare che era ancora vivo, che marina ed il mondo si stavano sbagliando. Non c’erano prove che Rufy fosse morto tranne la parola della marina e uno stupido articolo sul giornale. Una voce dentro di lui gli diceva di sperare e di non arrendersi, e così lui aveva fatto. Aveva cominciato a cercarlo dove era stato visto per l’ultima volta insieme ai suoi compagni, l’arcipelago Sabaody, ma nessuno aveva saputo aiutarlo. Tutto quello che aveva trovato era stato un gruppo di briganti di bassa lega che difendeva una nave con la bandiera dei pirati di Cappello di Paglia. Una nave abbastanza grande, che Ace non aveva mai visto.  Non si era arreso, aveva continuato ad indagare imbattendosi solo in risposte vaghe. Nessuno sapeva nulla.
Alla fine si era convinto che il fratellino era davvero morto, ed era subentrata prima la disperazione, poi il rimorso di essere stato la causa della sua morte.
Rufy era stato l’unica cosa che aveva reso la sua vita migliore, e lui lo aveva ucciso trascinandolo in un guerra ben più grande di lui.

 
La voce di Nojiko distolse Ace dai suoi tristi ricordi, riportandolo alla realtà. La tristezza sul volto della ragazza sembrava essere passata ed avere lasciato il posto ad un’intensa rabbia. Una furia silenziosa che Ace temeva ma che allo stesso tempo lo affascinava.

- Mi senti, straniero? -

Chiese la ragazza, cercando di attirare l’attenzione del ragazzo avvolto dalle coperte.

- Sono una grandissima seccatura, dovresti lasciarmi stare. -

Mormorò Ace piano, debolmente, senza guardarla negli occhi. Non voleva parlare con lei, ne con altri. Non voleva nemmeno sapere chi era stato a salvarlo, la cosa per lui non aveva la minima importanza.

- Nemmeno per sogno, sono troppo testarda. Ti ho capito, sai. Stai male, qualcosa ti manda fuori di testa. Per questo sei diventato un vagabondo senza meta, vero? -

Disse Nojiko, senza arrendersi. La sua voce era dolce e severa allo stesso tempo. Era decisa a non arrendersi, anche se questo voleva dire sopportare l’apatia, il silenzio e la silenziosa rabbia del ragazzo per essere stato salvato contro la sua volontà.

- Potrebbe essere, il mio passato non è affare tuo. -

Decretò Ace, duro. Ancora una volta sperò che i suoi modi sgarbati allontanassero la ragazza nonostante immaginasse fosse inutile.

- Il tuo passato no, ma il tuo futuro si. Non ti lascerò buttare via la tua vita. -

Dichiarò Nojiko, severa. Queste parole sorpresero Ace, lasciandolo senza parole per un lungo istante.

- Quindi che farai? -

Chiese Ace, curioso ed allo stesso tempo divertito. La delusione per non essere riuscito a mettere fine alla sua vita stava pian piano lasciando il posto ad un debole interesse.

- Partirò, e tu verrai con me. Viaggiare ti farà bene e sarai sufficientemente impegnato per smetterla con i tentati suicidi. -

Disse la ragazza, fissando il ragazzo sconosciuto negli occhi. Era decisa, niente avrebbe potuto farla desistere.

- Cosa ti fa pensare che io sia d’accordo con te? -

Chiese Ace, stupito davanti a tutta quella determinazione e confuso dalle parole di Nojiko. Era semplicemente assurdo che lei avesse deciso di partire. La piantagione della madre era tutta la sua vita, non l’avrebbe abbandonata per nulla al mondo. Alle parole di Ace la ragazza tentennò, poi lentamente porse allo sconosciuto un giornale.

- Mia sorella.. Potrebbe essere nei guai.. -

Mormorò lei, indicando un articolo nel quale comparivano alcuni avvisi di taglia. Il ragazzo fissò a lungo le immagini riconoscendo alcuni di quei ragazzi come i compagni di avventura di suo fratello. In particolare la ragazza che Nojiko diceva essere sua sorella era Nami, la navigatrice dai modi burberi con una sfrenata passione per il denaro. Ace lesse velocemente l’articolo, incredulo, mentre una morsa gli stringeva il cuore. Ancora una volta si parlava di suo fratello, anche se indirettamente. Il giornale diceva che dopo la morte del suo capitano la ciurma si era sciolta e che i suoi componenti erano andati incontro a morte insieme al loro capitano, anche se i loro cadaveri non erano mai stati ritrovati dalle autorità.

- Va bene, partiamo. -

Mormorò Ace, scostando le coperte dal letto. Comunque sarebbe finita quella storia, era determinato a saperne di più e a scoprire la verità.

***

Sabo sbuffò, nascondendo alla folla festante il suo vero stato d’animo. In realtà era stanco di tutto quel rumore, non ne poteva più. La festa in onore del suo nobile, o presunto tale, gesto andava avanti da molte ore, praticamente un’eternità tanto da essere troppo persino per uno sciacallo come lui. I brindisi, le torte e i canti in suo onore si erano sprecati. Il ragazzo aveva persino perso il conto di tutti coloro ai quali aveva dovuto raccontare la sua storia, naturalmente ricordandosi di omettere il dettaglio che anche lui all’inizio era intenzionato a rapinare la villa e che quindi non era capitato lì per caso.

Quando i suoi nervi erano davvero molto vicini a cedere, complici anche quei maledetti bambini sorridenti che gli ricordavano Rufy, aveva tagliato la corda senza dare troppo nell’occhio.  Si era ritrovato a vagare per le vie secondarie del piccolo villaggio ed era finito per arrivare al molo. Davanti a lui c’era solamente una fila di grossi navi, pronte a prendere il mare. Sabo sospirò, ringraziando che non ce ne fosse nessuna che assomigliava al grosso galeone che gli aveva fatto da casa per molti anni della sua vita.

- Anche tu scappi dalla folla? -

Chiese una vocina, facendo sobbalzare il rivoluzionario. Si voltò di scatto e ancora una volta si ritrovò di fronte Kaja. La studiò a lungo, sospettoso. Questa volta la ragazza sembrava decisamente meno spaventata e più sicura di sé. Sorrideva, ingenua e felice. Sembrava una bambina, eccitata dopo una grande avventura. Non era minimamente a conoscenza del rischio che aveva corso quella notte.

- Una ragazza che ha appena rischiato la vita non dovrebbe restare sola in un posto del genere.. -

Mormorò Sabo, abbozzando un sorriso. C’era qualcosa in quella ragazza che lo affascinava ed allo stesso tempo lo ripugnava. La sua innocenza, la sua ingenuità ed il suo buon cuore gli ricordavano allo stesso tempo quanto era malvagio e quanto era stato buono fino a prima che la sua vita andasse in frantumi.

- Un eroe come te invece non dovrebbe scappare da una festa in suo onore. -

Lo canzonò lei, sedendosi accanto. Era molto che il rivoluzionario non parlava con qualcuno da sobrio, perciò decise di non allontanarla. Dopo tutto, forse poteva ancora essere piacevole riuscire a sostenere una conversazione con qualcuno di abbastanza intelligente e colto da non dover rapinare la gente per sopravvivere.

- Credimi, non sono un eroe. Sono solo un povero idiota che si è trovato nel momento giusto al posto giusto. -

Disse Sabo, sincero, appoggiando la testa sulle proprie ginocchia. La ragazza sembrò non prenderlo sul serio, abbozzò un sorriso e si voltò pensierosa verso le barche ancorate di fronte a loro. Il vento faceva ondeggiare le bandiere e stuzzicava le vele, legate all’albero maestro. Kaja chiuse gli occhi, assaporando quella brezza leggera e piacevole. Sabo la guardava, ammirato e colpevole.

- Non riesco a smettere di pensare a quello che è successo. -

Mormorò lei, fissando il mare. Sabo sospirò, impacciato. Consolare e tranquillizzare le persone non era mai stato il suo forte, specie in quell’occasione.

- Beh, immagino che sarai ancora sotto shock. Va a dormire, domani andrà meglio. -

Consigliò lui, impaziente di rimanere di nuovo solo insieme ai fantasmi del suo passato.

- Voglio partire.. -

Esclamò lei, cogliendo il ragazzo di sorpresa.

- Cosa? -

Chiese Sabo, incredulo, voltandosi verso la ragazzina ancora persa nella contemplazione dell’orizzonte. Sembrava immersa in un bel sogno. Non si rendeva minimamente conto dei pericoli e dei rischi a cui sarebbe andata in contro se avesse per davvero messo in pratica quell’assurdo desiderio.

- Si, prendere il mare. -

Spiegò meglio lei, incredibilmente seria.

- Una ragazza come te, da sola, in balia di tutti i balordi che solcano i mari. È una pazzia. –

Esclamò Sabo, scuotendo energicamente la testa. Una parte di lui avrebbe voluto urlare che era una stupida ed un’ingenua ma ancora una volta qualcosa lo aveva trattenuto. Non voleva spaventarla, ne tanto meno ferirla distruggendo il suo bel sogno.

- Ci sono anche persone buone, come te. –

Sospirò Kaja, sorridendo con un’aria dolce.

- Io non sono buono! –

Sibilò Sabo, alzando la voce. Quelle parole sembrarono colpire la ragazzina che tuttavia non smise di sorridere. Sembrava incredula ed allo stesso tempo confusa.

- Tu.. Mi hai salvato la vita. –

Disse Kaja, incredula ed impacciata.

- No, io volevo rapinare casa tua, poi ti ho vista ed ho cambiato idea. Quel tizio me lo sono trovato di fronte mentre uscivo. –

Ringhiò Sabo, fuori di sé. Quella ragazza doveva proprio essere cresciuta tra agi, fasti e ricchezze per pensare di poter prendere il mare da sola ed avere sempre qualcuno al suo fianco pronto ad aiutarla invece che farle del male.

- Sei un mostro! -

Urlò Kaja, allontanandosi di corsa. Le parole del ragazzo l’avevano sconvolta, se non fosse stato per l’espressione seria di Sabo forse non gli avrebbe nemmeno creduto. Un delinquente, ecco cosa era. Uno dei tanti bastardi senza cuore sparsi per il mondo e pronti a fare del male senza un perché.

- Te lo avevo detto, no? –

Sospirò Sabo, rimasto solo. Qualcosa lo aveva colpito quando Kaja era corsa via, ma non abbastanza da convincerlo a seguirla. Il suo orgoglio, o almeno quel poco che ne rimaneva, non era pronto ad un gesto del genere.

Prima ancora che la sua coscienza, o quanto meno quello che ne restava, iniziasse a protestare, Sabo si rese conto di non essere solo.

- Che è successo, perché la signorina è corsa via così? –

Chiese uno dei bambini che assomigliavano al suo fratellino, ingenuamente, dopo essere saltato fuori dal nulla. Doveva essere arrivato poco prima, quando Kaja si stava già allontanando. Sicuramente non aveva sentito la sua confessione, oppure sarebbe di sicuro corso a chiamare gli abitanti del villaggio per farlo arrestare.

- Fatti gli affari tuoi, moccioso. –

Sibilò Sabo, lottando contro l’istinto di lanciare il piccolo in acqua.

Il bimbo sembrò non accorgersi del tono furibondo e degli istinti omicidi del rivoluzionario o forse si limitò a non farci troppo caso. Il piccolo si sistemò meglio gli occhiali sul naso, si schiarì la voce e tornò a rivolgersi al ragazzo più grande.

- Kaja è una ragazza straordinaria. Qualche anno fa ha perso i genitori ed stata quasi uccisa dal suo maggiordomo. L’hanno salvata dei pirati sgangherati ed un suo amico, un ragazzo di questo villaggio che diceva un sacco di bugie. –

Iniziò a raccontare il bambino con la voce velata di malinconia per gli orrori che aveva visto Kaja e per quell’amico che l’aveva aiutata e che poi era partito. Gli mancava il suo capitano Usop, specialmente quando ripensava alle storia che gli raccontava la sera prima di andare a letto.

- Che fine ha fatto questo tizio? –

Chiese Sabo, pensieroso.

- Il suo sogno era diventare un pirata, come suo padre, così ha seguito gli altri. Kaja ha dato loro una nave ed ha promesso che avrebbe aspettato il loro ritorno studiando per diventare medico. –

Continuò il piccolo, sospirando. Il rivoluzionario non rispose, ne si mosse.

- Grazie per la chiaccherata.. –

Disse alla fine Sabo, alzandosi e stiracchiandosi.

- Dove vai? -  

Chiese il bambino con gli occhi sgranati per la curiosità.

- Affari miei, moccioso. -

Sbuffò il ragazzo, allontanandosi velocemente prima che al piccolo venisse in mente di raggiungerlo. Le parole del bambino avevano fatto sentire Sabo ancora più in colpa di quanto non si sentisse già, tanto che aveva deciso di partire il prima possibile. Aveva fatto fin troppo male nel poco tempo che si era trattenuto in quel piccolo villaggio.

Alla fine lo sciocco era stato lui. Aveva giudicato Kaja troppo in fretta senza chiedersi se quel sorriso fosse la conseguenza di una vita perfetta o piuttosto nascondesse terribili orrori. Non doveva essere stato facile per la ragazza tornare a fidarsi delle persone e lui aveva finito per rovinare tutto.

Sabo notò un’ombra sfuggente che lo seguiva, ma non ci fece troppo caso. Ormai si era abituato ad essere perennemente seguito da quei terribili bambini, e gli abitanti del villaggio erano troppo presi dalla festa per pensare a lui.

- Aspetta.. –

Disse una voce alle sua spalle che non apparteneva ai bambini che lo seguivano di solito.

- Kaja? Mi spiace.. –

Sussultò Sabo, stupito di vedere di nuovo la ragazza. Nei suoi occhi brillava una luce nuova, decisa. Non sorrideva, ma non aveva nemmeno lo sguardo ferito di poco prima.

- Sta zitto, va bene? Tu hai un debito con me perché mi hai mentito, mi devi un favore. –

Esclamò Kaja, decisa a non farsi interrompere. Malgrado quello che le aveva confessato Sabo, si fidava ancora di lui. Nelle sue parole non ci aveva letto la follia di un mostro quanto la preoccupazione di un fratello maggiore che prova in tutti i modi a mettere in guardia la sorellina testarda e decisa a prendere il mare nonostante tutto.

 - Quindi? –

Chiese Sabo, curioso di scoprire le intenzioni della ragazza.

- Voglio prendere il mare, ritrovare il mio amico Usop e diventare un grande medico e tu mi accompagnerai, intesi? –

Esclamò lei, fissando il rivoluzionario negli occhi a mo’ di sfida.

- Credo di si.. -

Rispose Sabo, sorridendo. Nel volto deciso della ragazzina il rivoluzionario vedeva un nuovo inizio. Forse il senso di colpa per la perdita dei suoi fratelli non si sarebbe mai placato ma almeno doveva provare a dare una svolta alla sua vita.

***

Rufy fissava il mare, aspettando che la nave delle amazzoni comparisse oltre la linea dell’orizzonte. Per la prima volta nella sua vita non era impaziente. Al contrario, una parte di lui desiderava restare ad allenarsi ancora a lungo. Nonostante i due anni passati, gli incredibili progressi e la rinnovata voglia di seguire il suo sogno, non si sentiva ancora pronto. Fino a qualche settimana prima si era illuso di avercela fatta, ma era bastato che arrivasse l’ultimo giorno perché le sue certezze andassero definitivamente in frantumi.

- Ehi, moccioso.. –

Chiamò la voce dello spirito dell’isola mentre lei compariva da un cespuglio, silenziosa e discreta come suo solito. Il ragazzo la guardò a lungo, colpito. Decisamente si trattava di una creatura pericolosa, era una fortuna che non avesse intenzione di fargli del male. Probabilmente non sarebbe riuscito a difendersi sai suoi attacchi. La sua forza non era umana, andava al di là delle possibilità di chiunque.

- Keira, ancora tu? -

Chiese Rufy, sorridendo. Dopo il loro primo incontro il ragazzo di gomma l’aveva intravista molte altre volte ma non ci aveva più parlato. Molte volte gli era parso che lei stesse per venire da lui, ma qualcosa sembrava sempre bloccarla. Lui non si era mai fatto troppe domande. Dopo tutto Rey lo aveva lasciato sull’isola per diventare più forte ed ogni cosa che lo distraeva dall’allenamento non lo aiutava di certo. Ogni volta che il sole tramontava Rufy si rendeva conto che il tempo che gli era stato concesso stava per finire e che di lì a poco avrebbe dovuto riprendere a fare i conti con il mondo intero per dimostrare se era abbastanza forte da difendere sia il suo sogno che i suoi compagni.

- Sono passati sei mesi dal nostro incontro.. -

Iniziò lei, seria, quasi si fosse preparata quel discorso nei minimi dettagli.

- Quindi? –

Chiese Rufy, ingenuamente. Keira sospirò, quasi fosse rassegnata a quella conversazione. Sapeva che i mostri che avevano tenuto in ostaggio il cuore del ragazzo per quei due anni erano ancora tutti lì, ma era arrivato il momento di vincerli per tornare dai suoi compagni. Lei era l’unica che poteva aiutarlo, oppure il suo destino non si sarebbe mai compiuto. Se non fosse partito quel giorno, il suo futuro e quello dei suoi fratelli sarebbe cambiato.

- Che uniti all’altro anno e mezzo che hai passato qui fanno due anni. Non credi che sia ora di tornare? –

Concluse Keira, fissando seria il ragazzo di gomma. Rufy sospirò, distogliendo lo sguardo.

- Come sai tutto questo? Solo i miei compagni potevano capire il messaggio. –

Esclamò Rufy, stupito, quasi temendo una risposta.

- Io leggo nel cuore degli umani anche senza il loro permesso. Vedo ogni cosa, i loro sentimenti, il futuro ed anche il passato. –

Spiegò lei, con un sorriso enigmatico dipinto sul volto. Per tutto il tempo che il ragazzo si era fermato sull’isola lei lo aveva osservato ed aveva letto il suo passato ed il suo futuro.

Rufy sorrise ed abbassò la testa.

- Sai ogni cosa di me, non è vero? –

Chiese il ragazzo, divertito. Per tutto quel tempo lei non gli aveva più parlato perché non gli serviva. Keira sapeva già tutto di lui nel momento stesso in cui era arrivato in quel posto selvaggio insieme a Rey.

- Torna dai tuoi amici e continua il tuo viaggio, cosa aspetti? –

Disse Keira, distogliendo lo sguardo. Era la prima volta che gli spiaceva vedere partire un umano. Ne aveva visti parecchi su quell’isola negli anni. Molti erano morti, altri li aveva uccisi lei. Pochi erano partiti e fino a quel momento non aveva mai sentito la mancanza di nessuno di loro. Quello strano ragazzetto, tuttavia, l’aveva colpita. Non lo avrebbe mai dimenticato, ne era sicura.

- Se hai visto il mio passato allora conosci le mie paure.. –

Iniziò Rufy, serio come mai era stato in tutta la sua vita. Voleva davvero tornare dai suoi amici, l’unica famiglia che gli restava, ma allo stesso tempo aveva paura di non essere all’altezza. Non avrebbe sopportato di perderli di nuovo, per colpa della sua debolezza.

- Credi che se rimarrai tutta la vita su questa isola sperduta proteggerai i tuoi compagni? Loro si aspettano di vederti tornare.. Davvero li vuoi deludere? –

Chiese Keira, tornando a fissarlo negli occhi. Rufy sospirò e si lasciò cadere a terra. Deludere i suoi compagni era doloroso almeno quanto perderli.

- Li ho già delusi. Ho promesso che sarei stato il più forte e mi hanno sconfitto. Ho deluso anche i miei fratelli.. -

Mormorò Rufy a testa bassa, le mani strette intorno ad una foto sbiadita che ritraeva tre bambini, sorridenti e decisi. Keira sospirò, rassegnata.

- Tipico di voi umani, piangervi sempre addosso. Assurdo, davvero inspiegabile. Avanti, tieni e sparisci. –

Esclamò Keira, lanciando un ciondolo al ragazzo di gomma. Si trattava di una pietra azzurra, molto semplice eppure allo stesso tempo misteriosa. In alcuni punti aveva delle venature verdi, in altri sembrava virare verso il marrone ed il nero.

- Che cosa mi hai dato? –

Chiese Rufy, studiando a lungo la forma bizzarra della pietra.

- Nel ciondolo è racchiusa l’essenza di questa isola, portalo sempre con te. –

Rispose Keira, solenne.

- Perché? -  

Chiese ancora il ragazzo, curioso.

- Gli spiriti hanno i loro segreti, ricordi? –

Mormorò Keira, sorridendo. Non poteva svelare di più al ragazzo, ma era certa che il suo dono gli sarebbe stato molto utili in futuro.

- Beh, allora grazie. Ho perso già troppo tempo, dovrò sbrigarmi se voglio arrivare prima dei miei compagni. –

Esclamò Rufy, fissando la barca appena comparsa che stava arrivando a prenderlo.

- Fa con calma, Zoro è già arrivato. –

Mormorò Keira, voltandosi per tornare nella foresta.

- Zoro? Ma si perde sempre.. –

Mormorò Rufy, scuotendo la testa. Era semplicemente impossibile che Zoro arrivasse per primo. Forse Nami, oppure Sanji e Usop, ma Zoro proprio no.

- Il primo ufficiale arriva sempre prima del suo capitano, per prendersi cura dei compagni in sua attesa. -

Spiegò Keira mentre il suo corpo spariva dalla vista di Rufy, lasciandolo pieno di dubbi ma con la certezza che era finalmente tornato il solito ragazzo di gomma di sempre.

ANGOLO DELL'AUTRICE

Per prima cosa, grazie di avere letto la mia storia fino a questo punto. Spero di non avere deluso le vostre aspettative!

Kuruccha: grazie mille!
Sabo è la grande incognita di questa storia, nel senso che non so bene nemmeno io se sia credibile o meno. Con Ace e Rufy è decisamente più facile! Per quanto riguarda Ace, niente paura, basta depressione. Ti assicuro che da ora tornerà ad essere deciso e determinato!  Spero che questo capitolo ti sia piaciuto!

Tre_88: grazie mille!
Spero che ora sia tutto più chiaro, almeno per quanto riguarda Ace. Se hai altri dubbi, esponili pure! Attualmente Nojiko non ha ancora detto nulla di Nami ed Ace non gli ha detto che la conosce per non turbarla. Della serie: "Si, tua sorella.. la navigratrice di mio fratello morto" non è la frase migliore per iniziare una conversazione!  Ad ogni modo, almeno Rufy è tornato quello di sempre. 

Per quanto riguarda il prologo, si, alla fine si incontreranno per davvero!

Raffa_chan: grazie mille!
prima che si incontrino credo che passerà ancora un po', ad ogni modo hanno preso tutti e tre il mare.. è un inizio, no? 

Brando: grazie mille!
alla fine Ace ha capito chi è Nojiko, ma non gli dice di conoscere Nami. Nel prossimo capitolo tornerà la ciurma, contenta?

Akemichan: grazie mille!
Si, niente coppie. Non sono abbastanza romantica e sdolcinata per gestire una coppia, figurarsi tre! no, non fa per me! Mi spiace che non ti vada troppo giù Sabo, spero ad ogni modo che sia almeno un minimo credibile.

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Capitolo 6
*** Il viaggio riprende ***


- CAPITOLO 5 -

IL VIAGGIO RIPRENDE

- Circa sei mesi dopo gli avvenimenti di Marineford -

Ace alla fine aveva finito con il riprendere la via del mare. Era stata una decisione difficile, ma era conscio che era il solo modo per uscire dal baratro di orrore, autodistruzione ed infinita tristezza in cui era caduto. Andare alla ricerca di Nami voleva dire riaprire vecchie ferite, certo, ma anche fare luce sulla sorte di suo fratello e mettere la parola fine su quel triste capitolo della sua vita. Dentro la sua testa una vocina insistente aveva ripreso a sussurrargli che forse Rufy poteva essere ancora vivo, ma lui non voleva crederci. Sarebbe stato troppo doloroso illudersi ancora per poi ritrovarsi con un pugno di mosche in mano. Un altro buon motivo per seguire le tracce di Nami era che lo doveva a sua sorella. Dopo il suo tentato suicidio, Nojiko si era presa cura di Ace senza più perderlo di vista neppure per un attimo. La sola idea che lui potesse tentare di nuovo a togliersi la vita la terrorizzava.

- Come va?
Chiese Nojiko, comparendo all’improvviso alle spalle di Ace come faceva spesso. 

Era pomeriggio tardi, ma non aveva ancora iniziato a fare veramente freddo. Il sole che stava per tramontare aveva colorato ogni cosa con dei colori sorprendenti, tanto che era davvero piacevole stare all’aria aperta.

- Non credi sia una domanda stupida?
Mormorò lui, piano, per nulla sorpreso. 

L’aveva sentita arrivare, nonostante lei avesse cercato di fare più piano che poteva. La ragazza sospirò, sorridendo appena.

- Non esattamente se la fai se il pazzo con cui viaggi ha tentato il suicidio, si addormenta all’improvviso ed è pericolosamente appoggiato ad una balaustra pericolante.
Mormorò lei, portandosi al suo fianco. 

Ace stava guardando dei gabbiani che disegnavano grossi cerchi nel cielo. Erano partiti da poco tempo ma il ragazzo sapeva che Rogue Town sarebbe comparsa alla loro vista di lì a poco. Il pensiero di trovarsi sull’isola dove suo padre, quello biologico, era nato ed era morto lo agitava e lo lasciava indifferente allo stesso tempo. Non provava compassione o nostalgia per il destino di quell’uomo, solamente rabbia. Di tutti i lutti che aveva dovuto sopportare nella sua vita, quello per la morte di Gol D Roger era l’unico a lasciarlo del tutto indifferente.

- Sei pessimista.
Dichiarò Ace, abbozzando un sorriso. 

Parlare con Nojiko la maggior parte delle volte gli faceva bene e gli faceva scacciare i brutti pensieri. Ogni volta riusciva a cancellare tutte le oscure ombre prodotte dalla sua mente, compresa quella di suo padre.

- Tu sei matto.
Sospirò la ragazza, scuotendo la testa. 

Per quanto si sforzasse non riusciva ancora a capirlo, non sempre almeno. Alle volte sembrava essere in un mondo tutto suo, altre rideva e scherzava come se niente fosse. Non le aveva mai detto per quale motivo avesse cercato di togliersi la vita, ne perché aveva accettato così facilmente di partire con lei, ma a Nojiko non importava. Temeva che parlarne avrebbe potuto in qualche modo peggiorare le cose e gettare lo sconosciuto nuovamente nello sconforto.

- Perché viaggi con me?
Chiese Ace, fissando la ragazza dritta negli occhi. 

Tutto il villaggio adorava Nami ed era in pena per lei. Sarebbe bastato mostrare l’articolo a qualcuno per formare una ciurma numerosa pronta a partire, ma lei non lo aveva fatto. Aveva chiesto ad Ace di andare con lei e aveva fatto desistere tutti gli altri dal seguirli.

- Non ho trovato di meglio..
Scherzò Nojiko, diventando improvvisamente più seria. 

Ace sapeva che era il pensiero per la sorte della sorella a preoccuparla così, ma sapeva anche che qualsiasi parole sarebbe stata superflua. Condividere le sue parole e le sue paure con lei avrebbe solo peggiorato il già fragile equilibrio della ragazza.

- Ammettilo che ti sto simpatico, anche se onestamente non capisco perché. Non credo di avere fatto molto per rendermi simpatico, anzi si direbbe il contrario.
Esclamò Ace, cercando di strappare un sorriso alla ragazza che potesse distrarla dai pensieri che dovevano frullarle in testa. 

Nojiko lo guardò a lungo, studiando ogni tratto del suo volto, poi scoppiò a ridere. La sua era una risata cristallina, liberatoria. Ace ricambiò il suo sguardo, perplesso ma felice che la ragazza stesse meglio.

- Non lo so nemmeno io. Forse sono solo pazza. Non so nemmeno il tuo nome..
Sospirò Nojiko, inclinando la testa di lato. 

Rispetto alla prima volta che lo aveva visto era decisamente più curato ma continuava a non essere il suo tipo. Lei aveva bisogno di un tipo tranquillo, non di una testa calda con evidenti problemi di umore.

- Ho molti nomi, ma a quasi tutti sono legati ricordi dolorosi.
Sbuffò Ace. 

Era la prima volta che dava una spiegazione, seppur vaga, al suo rifiuto.

- Se te ne dessi uno io?
Chiese Nojiko, sorprendendo Ace. 

Si era aspettato che lei cominciasse a fare molte domande sul suo passato, invece lei sembrava più interessata al presente e a quello che li aspettava.

- Puoi provare.
Sospirò Ace, alzando le spalle. 

Nojiko si voltò e se ne andò, sorridendo per quella piccola vittoria.

Nelle ultime settimane tuttavia, nonostante la ragazza non avesse il coraggio di ammetterlo ad alta voce, le cose avevano iniziato ad andare meglio. Certo, non conosceva ancora il nome del suo silenzioso compagno di avventure, ne nulla di quel passato che lo aveva portato quasi alla follia, tuttavia ogni tanto lo sorprendeva ridere. Una risata cristallina, ingenua, che riempiva il cuore della ragazza. Ace sapeva che loro due avevano molto in comune, a partire dall’oggetto delle loro ricerche. Entrambi stavano cercando i propri fratelli, la stessa ciurma di pirati.

Qualche ora dopo lo scambio di battute sul ponte, i due stavano cenando in silenzio. Nojiko sembrava lontana, immersa in chissà quali pensieri, mentre Ace era semplicemente troppo annoiato per iniziare una conversazione. Di giorno era semplice non pensare ai suoi incubi, complice il mare, il sole e il volo dei gabbiani, ma di notte tutto si faceva scuro ed ostile. I fantasmi del suo passato comparivano davanti a suoi occhi, uno dopo l’altro, ed iniziavano a prendersi gioco di lui e del suo destino.

- Ahanu. Potrebbe andare?
Chiese improvvisamente Nojiko, rompendo quel silenzio così strano.

- Prego?
Chiese a sua volta Ace, perplesso, alzando di colpo la testa. 

La ragazza sospirò, appoggiò la forchetta e lanciò un’occhiata impaziente al compagno di viaggio.

- Volevi che ti dessi un nome io. Che ne pensi di Ahanu?
Spiegò pazientemente Nojiko. 

Il ragazzo ci rifletté un po’ su, poi alzò le spalle.

- Se piace a te, allora va bene.
Dichiarò alla fine, riprendendo a mangiare. 

Non gli importava che nome gli avesse dato, l’essenziale era che non gli ricordasse nulla del suo triste passato. Ahanu non gli diceva niente e questo bastava a farne un nome che gli andava di portare.

- Non vuoi nemmeno sapere che significa?
Chiese Nojiko, infastidita dalla reazione del compagno. 

Non si aspettava che facesse i salti di gioia, ma almeno che condividesse con lei le sue sensazioni in proposito. Dopo tutto non capita certo tutti i giorni di sentirsi dare un nome.

- Non credo sia davvero importante.
Disse Ace, pacato. 

La ragazza non rispose, ma riprese a mangiare. Una volta vuotati i piatti li ritirò in un catino e li ripose in un angolo; ci avrebbe pensato il giorno dopo a lavarli. Solo dopo aver fatto questo si voltò, fissando attentamente il volto distratto dell’amico.

- Colui-che-ride.
Scandì Nojiko, facendo sobbalzare Ace dalla sedia.

- Si può sapere che blateri, ragazzina?
Chiese Ace, infastidito per essere stato distolto bruscamente dai suoi pensieri.

- Ahanu vuol dire Colui-che- ride. Quando ero bambina avrei voluto un fratello da chiamare così.
Raccontò Nojiko, abbozzando un sorriso. 

Ace rimase stupito da quelle parole, ma non disse nulla. Di colpo in nome che la ragazza gli aveva dato prese un significato diverso, ricordandogli le corse nei prati, i combattimenti e le risate con i fratelli. Gli ricordava la parte migliore del suo passato, quella che aveva voluto a tutti dimenticare dopo la morte dei suoi fratelli.

- Ahanu.. potrebbe piacermi, credo che mi abituerò!
Esclamò Ace, scoppiando a ridere.

***

- Un anno dopo gli avvenimenti di Marineford -

Da quando aveva preso la via del mare Kaja poteva dirsi felice, finalmente realizzata. Partire insieme a Sabo alla ricerca di Usop e di qualcuno che le insegnasse per davvero l’arte della medicina era stata forse la scelta più avventata che la ragazza avesse mai compiuto nella sua vita ma allo stesso tempo era anche la migliore. Alla fine era riuscita a mettere da parte le sue paure e trovare quel tanto di coraggio che bastava per andare verso l’avventura e l’ignoto. Prima della sua partenza gli abitanti del villaggio avevano manifestato chiaramente i loro dubbi: Sabo era un eroe, ma non sapevano nulla del suo passato. Kaja li aveva rassicurati, guardandosi bene dal raccontare che in realtà il ragazzo era entrato nella sua casa per derubarla e non per salvarla. Ad ogni modo, alla fine si era dimostrato un tipo affidabile e con la testa sulle spalle. L’unico neo era che lei non sapeva quasi nulla di lui se quel poco che le aveva raccontato. Con il passare dei giorni e delle settimane l’umore del rivoluzionario era decisamente migliorato tanto che si erano trovati molte volte a ridere insieme, quasi si conoscessero da una vita intera. Per lo più parlavano di lei, mai del passato del ragazzo. Tutto quello che Sabo aveva raccontato di sé e che una volta faceva parte dell’armata Rivoluzionaria. Non aveva aggiunto altro, ne sembrava avere molta voglia di parlarne. Sembrava quasi che qualcosa lo bloccasse, rendendogli incredibilmente doloroso ripensare al suo passato. Quando non si trattava di parlare di sé tuttavia, Sabo era davvero buffo e divertente. Molte volte a Kaja sembrava di avere di fronte quel buffo ragazzino di gomma con il quale il suo amico Usop aveva preso il mare. La ragazza sapeva bene che doveva trattarsi di una somiglianza assurda, eppure non riusciva a togliersi quella strana idea dalla mente.  Doveva essere per via del modo di fare e di ridere, unito a quella dolcezza e a quell’altruismo con il quale il rivoluzionario la proteggeva quando qualche balordo li attaccava. Ogni volta si riprometteva di parlarne anche a Sabo, ma poi finiva sempre per dimenticarlo.

Una mattina particolarmente calda, Kaja si fermò ad osservare Sabo più a lungo del solito mentre ripensava al ragazzino con cui era salpato Usop. Era passato molto tempo, ma lei ricordava ancora chiaramente quel giorno. Era felice per il suo amico, certo, ma anche tanto triste all’idea di non trovarlo più sull’albero di fronte alla sua finestra a raccontarle qualcuna della sue buffe storie.

- Che c’è?
Chiese il rivoluzionario, facendo sobbalzare la sua compagna di viaggio. 

Era da un po’ che la fissava, persa nei suoi pensieri, senza però trovare il coraggio di disturbarla.

- Mi ricordi una persona.
Rispose Kaja, arrossendo improvvisamente per la brutta figura appena fatta.

- Un tuo amico?
Chiese Sabo, curioso. 

Era sempre bello parlare del passato della ragazza, ogni volta scopriva qualche dettaglio di lei che lo lasciava senza parole.

- Non esattamente. Era un pirata che è passato per il villaggio tempo fa.
Spiegò meglio Kaja, giocherellando con un bastoncino di legno.

- Quello che ti ha salvata e che è partito con il tuo amico?
Ipotizzò il rivoluzionario, ripensando ai racconti dei bambini del villaggio ed a quelli che la ragazza da che viaggiavano insieme.

- Si, proprio lui.
Disse lei, annuendo energicamente. 

Ripensare a quel pirata, sconosciuto e gentile, la metteva sempre di buon umore. Se non fosse stato per lui non sarebbe sopravvissuta, il villaggio avrebbe fatto una brutta fine e il suo amico Usop non sarebbe mai partito verso la realizzazione del suo sogno.

- Raccontami qualcosa, avanti. Non puoi dirmi che assomiglio a qualcuno e poi non raccontarmi nulla.
Sbuffò Sabo, più curioso che mai.

- Non so molto di lui, davvero. Era una persona buona, sorridente e che ispirava fiducia.
Spiegò Kaja, in difficoltà. 

Non sapeva perché gli ricordava quel ragazzo, era così e basta.

- Anche lui aveva cercato di svaligiarti casa?
Chiese Sabo, strappando una risata alla ragazza.

- Scemo!
Sbottò lei, alzando gli occhi al cielo.

- Beh, se era un pirata non doveva essere un tipo affidabile.
Commentò Sabo, pratico, facendo riferimento alla sua conoscenza dei pirati. 

Non ne aveva incontrati molti nella sua vita, ma tuttavia quei pochi gli erano bastati per fargli capire che non si trattava di gente affidabile. Il contrario di quello che sognava da bambino, quando giocava insieme ai suoi fratelli.

- Lui era buono.
Ribatté Kaja, decisa a difendere il pirata che le aveva salvato la vita.

- Un pirata buono?
Chiese il rivoluzionario, perplesso. 

Per esperienza sapeva bene che non esistevano pirati buoni, solo pirati con dei principi morali che nella maggior parte delle volte non facevano nulla senza un qualche tornaconto personale.

- Proprio così. Lui non derubava la gente, la aiutava.
Spiegò lei, infastidita dal fatto che il suo compagno di viaggio stesse mettendo in dubbio la buona fede di quei bravi ragazzi che le avevano salvato la vita senza pretendere nulla in cambio. Certo, alla fine aveva dato loro una nave, ma era sicura che non fosse quello il motivo per cui loro l’avessero salvata.

- Lavorava per la marina in pratica.
Esclamò Sabo, ironico, pensando ai pirati che componevano la Flotta dei Sette. 

Uomini senza troppi scrupoli che rispondevano alla marina e che erano legittimati a fare quello che volevano senza il rischio di incorrere in sanzioni o arresti.

- No, anzi. Ora ha anche una taglia.
Continuò Kaja, sorridendo.

- Se ha una taglia non può essere tanto buono.
Mormorò Sabo, pensieroso. 

Le parole della ragazza non avevano nessun senso. Dipingevano un ragazzo che viveva di ideali, senza pensare al proprio tornaconto e che tuttavia era abbastanza forte da andare contro la marina. In pratica, un pazzo.

- Uffa, sei impossibile.
Dichiarò alla fine Kaja, lasciando il rivoluzionario da solo sul ponte della nave.

***

- Due anni dopo gli avvenimenti di Marineford -

Rufy era ripartito insieme ai compagni verso l’isola degli uomini pesce, conscio di essere arrivato fino a quel punto dopo infinite peregrinazioni dall’esito tutto fuor che scontato; a conti fatti tra ammiragli, membri della flotta dei sette, mostri marini e quant’altro ci avevano messo ben più di due anni a superare quel breve tratto di mare che li separava dalla seconda metà del loro viaggio. Il solo ripensare a quanti grattacapi si erano messi sulla loro strada faceva venire il mal di testa persino ad un tipo deciso come lui. Ad ogni modo, tutto questo non era più importante. L’unico pensiero che occupava la mente di Rufy era proseguire il suo viaggio e riuscire a realizzare almeno qualcuno dei suoi sogni. Quelli che gli restavano. In quei due anni le sue prospettive erano cambiate. Voleva ancora diventare Re dei Pirati, ma non era più il suo pensiero principale. La vita dei suoi compagni, la loro felicità e la loro sicurezza venivano al primo posto.

Non vi era giorno che il ragazzino non pensasse ai suoi due fratelli maggiori ed alla loro fine. Era molto triste pensare che gli uomini che gli avevano insegnato a vivere avevano finito con il lasciarlo solo, in balia di se stesso e della sua incoscienza. Quando pensava a loro, per lunghi istanti il volto di Rufy si faceva serio, fin troppo per i suoi compagni. Rimaneva così, immobile, fino a che qualcuno non diceva qualcosa di stupido e tutti scoppiavano a ridere, capitano compreso. Certi giorni invece ripensare ai fratelli e ai bei momenti passati con loro, scappando da Dadan, da Makino e dagli abitanti del villaggio a cui avevano rubato del cibo lo faceva ridere come un bambino. Rimaneva ore a fissare il mare, sorridendo e parlando da solo. I compagni lo spiavano da lontani, spiazzati dai suoi campi di umore, ma tutto sommato sollevati. Il sorriso di Rufy come al solito aveva il potere di fare tornare il buonumore a tutti quanti.

Quando si erano ritrovati sulla nave, dopo essere sfuggiti ai vari avversari ed avere finalmente preso il largo, il capitano aveva guardato uno ad uno i suoi compagni, cercando sui loro visi i segni delle esperienze che avevano fatto in quei due anni. L’ultima volta che li aveva visti erano spariti uno ad uno sotto i suoi occhi, urlando spaventati il suo nome. Ora erano lì, sorridenti, fieri e determinati. Rufy scrutava ogni segno o cicatrice che tradisse se quei due anni era stati bellissimi oppure lunghissimi. C’era Zoro che era arrivato per primo al punto di incontro grazie a Perona, proprio come aveva predetto Keira. Il suo viso era segnato da una cicatrice nuova, ma per il resto era sempre il solito. Silenzioso ed imperturbabile ma sempre pronto a iniziare a discutere con il cuoco. Non disse nulla quanto si trovò nuovamente al fianco del suo capitano, si limitò a sguainare le sue spade e a ingaggiare una lotta furiosa con i marine che avevano attaccato Rufy. Con lo spadaccino al suo fianco il capitano di gomma si sentì di nuovo bene, completo. Il suo braccio destro era ancora lì, pronto a sostenerlo. Nulla era cambiato nel loro rapporto in quei due anni. Anche Sanji non era cambiato per nulla, tranne per il suo ciuffo. Nonostante lui non gli desse peso, Rufy insisteva nel dire che si trattava di un cambiamento epocale e che ora appariva un uomo nuovo. Il biondo fissò perplesso il suo capitano, fermandosi a soppesare quelle parole a lungo, per poi scrollare le spalle e accendersi l’ennesima sigaretta sbuffando. Fumava meno, ma era lo stesso troppo per Chopper che aveva ripreso ad insistere perché smettesse. La piccola renna non era cambiata per niente, esattamente come Brook. Quei due anni dovevano essere stati molto dolorosi soprattutto per loro due. Il cuore di Rufy si stringeva quando ripensava all’inferno patito dallo scheletro e dalla renna, abbandonati per una seconda volta dal ragazzo che aveva giurato che sarebbe stato la sua famiglia. Il capitano sapeva che forse li aveva delusi, ma cercava di non pensarci troppo. Ora era lì con loro, questa volta non avrebbe permesso a nessuno di attaccarli o ferirli. Sarebbe stato irremovibile e imbattibile. Il buffo cappello di Brook ricordò a Rufy che ora lo scheletro era una star della musica, anche se in fondo restava lo stesso pervertito di sempre. Nami e Robin erano diventate ancora più belle e femminili, tanto che il ragazzo di gomma si stupì che fossero riuscite a tornare senza che qualcuno le rapisse, le portasse via o le implorasse di entrare nella sua ciurma. La navigatrice aveva un piglio deciso, arrabbiato, ma il suo sguardo si addolcì non appena si posò sul suo capitano. Per quanto non condividesse molte delle scelte che lui aveva fatto, era felice che si fossero ritrovati. Robin era misteriosa come sempre, ma guardava il suo capitano con occhi nuovi. In mezzo ai Rivoluzionari aveva scoperto molte cose su Rufy, sulla sua famiglia e su quello che aveva passato in quei due anni. Queste informazioni le avevano dato una consapevolezza nuova ed era più che mai decisa a seguirlo fino alla fine del mondo. Franky se ne stava un po’ in disparte, silenzioso, ostentando la sua aria da duro e il suo nuovo aspetto. Era felice di vederli, forse più tardi avrebbe persino pianto, ma per il momento non tradiva alcuna emozione. Aveva pulito la Sunny dalla poppa alla prua, lucidando ogni pomello, balaustra ed asse della nave perché fosse al meglio per il loro nuovo viaggio verso l’ignoto.

Dopo aver guardato i compagni senza dire nulla Rufy guardò se stesso, quasi fosse davanti ad uno specchio. Riusciva a vedere la sua immagine riflessa negli sguardi curiosi e pieni di aspettative dei suoi compagni. Aveva nuove cicatrici e lo sguardo di un ragazzino che è stato costretto a crescere troppo in fretta, ma tutto sommato era felice. Di fronte a sé aveva la sua ciurma, quella che a poco a poco era diventata la sua famiglia. Li guardò nuovamente, prima nell’insieme, poi soffermandosi su ognuno di loro per qualche istante. 

Erano ancora i suoi compagni? Credevano ancora il lui?

La risposta non tardò ad arrivare, soltanto qualche ora più tardi. Il ragazzo di gomma se ne stava sdraiato sulla polena della nave, fissando il mare. Gli era mancata quella particolare postazione di osservazione dalla quale riusciva a controllare che ogni cosa funzionasse come doveva.

- Capitano..
Chiamò Usop, emozionato, correndo via verso la sala da pranzo avvolta nell’oscurità senza aggiungere altro. Il capitano, curioso, si alzò deciso a scoprire che diamine stesse combinando il suo cecchino.

- Che succede?
Chiese Rufy fissando confuso il punto in cui l’amico era sparito prima di seguirlo sottocoperta. 

Una volta entrato si ritrovò immerso nei ricordi di tutte le conversazioni, le litigate e le decisioni che erano state prese lì dentro. La stanza era senza dubbio la stessa di due anni prima, solo più buia e silenziosa di quanto fosse mai stata in precedenza. Il tavolo era apparecchiato di tutto punto, in attesa che qualcuno si sedesse per consumare di nuovo un pasto. Improvvisamente le luci si accesero, rivelando una lunga serie di prelibatezze, bevande a volontà, un sacco di decorazioni e i suoi compagni sorridenti.

- Festa!
Esclamò Brook, iniziando a suonare una delle melodie che aveva scritto pensando ai compagni e al giorno in cui avrebbe finalmente potuto suonarle per loro. 

Usop, Franky e Chopper non se lo fecero ripetere due volte. Alla prima nota si erano già lanciati in balli scatenati, coinvolgendo anche Nami e Robin. Persino Zoro e Sanji lasciarono perdere il loro solito contegno e si unirono ai festeggiamenti. Non avevano ancora compiuto nessuna impresa straordinaria da che il loro viaggio era ripreso, ma si erano ritrovati. Nessuno aveva mancato di rispondere alla chiamata.

Guardando i suoi amici ridere, scherzare e ballare Rufy aveva sentito gli occhi riempirsi di lacrime, ma le aveva coraggiosamente ricacciate indietro. Non era tempo di piangere, ne di darsi del fallito. I suoi compagni erano ancora lì, erano tornati da lui. Il viaggio era ricominciato, la vita andava avanti.

La mattina dopo la festa tutti quanti si svegliarono di soprassalto a causa di tremende urla. Il fastidio iniziale causato da tutto quel baccano fu presto spazzato via dalla consapevolezza di essere sulla Sunny, insieme dopo due lunghi anni. Nulla poteva cancellare il sorriso dai loro volti, nemmeno le poche ore di sonno, la fame ed il mal di testa che affliggeva tutti i presenti.

- Per l’ultima volta, arrangiati.
Scandì Zoro, ancora troppo addormentato per brandire a dovere una delle sue tre spade ma fin troppo sveglio per litigare con Sanji.

- Non ho chiesto il tuo parere, idiota!
Sbuffò Sanji, minacciando il compagno con una grossa padella unta di olio che era rimasta sui fornelli dalla festa della sera prima. 

Lo spadaccino evitò abbastanza facilmente il colpo, storcendo la bocca in una smorfia di disgusto.

- Allora sta zitto e non importunarmi.
Ribatté Zoro, infastidito, mettendo il broncio. 

Si era svegliato circa un ora prima, ancora intontito dalla festa della sera prima. Gli altri dormivano ancora della grossa e per non svegliarsi aveva deciso di uscire sul ponte, godendosi la brezza del mattino in santa pace. Allenarsi era fuori discussione, aveva talmente sonno che sarebbe finito in acqua senza rendersene conto. Tutto quel baccano era iniziato soltanto qualche minuto prima, quando anche il cuoco si era svegliato e gli aveva intimato senza troppi giri di parole di aiutarlo a sistemare il disastro che era rimasto dalla festa della sera prima. La risposta dello spadaccino era stata secca: arrangiati. Da lì era iniziato il caos che aveva finito per svegliare tutti quanti.

- Ho il mal di testa, avete tre secondi per stare zitti. Tutti e due.
Sibilò Nami, furiosa. 

Quei due erano incredibili, erano talmente incompatibili da litigare in ogni occasione, ma anche questo in fondo era piacevole. Si trattava di un segno inequivocabile che tutto era tornato come prima, liti comprese. In passato i due avevano toccato in fondo una notte, quando i compagni li avevano sorpresi a litigare nel sonno: entrambi erano addormentati e sognavano, ma nel frattempo non si risparmiavano insulti, calci e schiaffi. Quella volta erano davvero andati vicini a farsi male sul serio, rischiando di coinvolgere anche gli altri nella rissa.

- Certo luce dei miei occhi.
Gongolò il cuoco, osservando ammirato la perfezione della sua adorata navigatrice. 

Era bellissima persino appena sveglia, con gli occhi ancora gonfi dal sonno. Dopo due anni passati insieme ad un gruppo di forzutissimi ed insistenti omoni travestiti da donna vedere una figura così perfetta e femminile era un sogno.

- La colazione è pronta?
Chiese Usop, affamato, ignorando gli sguardi in cagnesco che si scambiavano Sanji e Zoro.

- Mi sono alzato cinque minuti da, se hai tutta questa fame arrangiati.
Sbuffò Sanji, seccato, accendendosi la prima di quella che prometteva essere una lunga serie di sigarette. 

Non solo Zoro non collaborava, ma nessuno sembrava prendere sul serio le sue proteste. In poche parole, i suoi compagni nonostante i due anni passati erano rimasti i soliti ingrati.

- Che razza di cuoco sei?
Chiese Zoro, scuotendo la testa e sbadigliando rumorosamente.

- Sta zitto, testa di muschio. Se invece di alzare la voce e svegliare Nami mi avresti dato retta, la colazione sarebbe pronta.
Ringhiò il biondo, completamente fuori di sé. 

Certo, la cucina così come la cambusa e le provviste erano una sua responsabilità, ma un aiuto con i piatti una volta tanto non sarebbe stato un disonore ma solamente una dimostrazione di collaborazione e civiltà.

- Chiamami quando hai fatto..
Mormorò Usop, alzando le spalle e voltandosi a guardare il mare. 

Nonostante la leggera brezza era piatto come una tavola, perfetto per pescare qualcosa di prelibato con cui riempire l’acquario.

- Fermo lì! Nessuno si muove fino a che non mi date una mano a sistemare questo disastro.
Precisò Sanji, gli occhi che ormai mandavano fiamme. 

Ormai non era più una richiesta garbata ma una questione di principio: dovevano aiutarlo, oppure avrebbero dovuto risponderne a lui.

- Stai scherzando?
Chiese Nami, bella e terribile come suo solito, con le braccia appoggiate ai fianchi e un piede che batteva isterico ed insistente. 

Sanji si volto verso di lei, bastò una semplice occhiata perché il suo battito accelerasse e la sua testa iniziasse a vorticare.

- Luce dei miei occhi, non c’è bisogno che tu e Robin roviniate le vostre belle mani. Andate pure, faremo noi.
Gongolò il cuoco, ignorando gli effetti che quelle parole avrebbero portato sui compagni.

- Sei sicuro?
Chiese Robin, preoccupata, sporgendosi per dare un’occhiata al disastro che era rimasto dalla festa della notte precedente. 

La loro nave non era mai stata particolarmente ordinata, ma questa volta la sala da pranzo era conciata peggio del solito. Nemmeno se avessero combattuto una feroce battaglia a bordo avrebbero potuto fare peggio di così.

- Certo bellissima Robin. Facciamo in un baleno, così potremo fare colazione.
Pigolò Sanji, gongolando, pregustando l’istante in cui avrebbe servito le sue pietanze alle sue due principesse ed ignorando le occhiate furbe che si scambiavano gli altri componenti della ciurma mentre lui era distratto.

- Idiota.
Sbuffò Zoro a mezza voce, abbastanza forte perché il biondo lo sentisse chiaramente.

- Vuoi litigare?
Chiese Sanji, più che mai irritato per la scarsa, anzi nulla, collaborazione dei compagni.

- No, ma visto che non hai bisogno di Nami e Robin allora non hai bisogno nemmeno di me.
Concluse lo spadaccino con toni pacati, allontanandosi prima che Sanji riuscisse a realizzare la frase ed elaborare una risposta. 

Il biondo rimase immobile con la sigaretta appoggiata alle labbra che si consumava da sola. Lo avevano fregato. Anzi, a dire il vero si era addirittura fregato da solo.

- La penso come lui.
Dichiarò Franky, grattandosi la testa.

- Anche io.
Si unì Brook, complice.

- Ma ragazzi..
Protestò Sanji, guardando i compagni unirsi e fare fronte comune contro di lui.

- Vieni Chopper, andiamo a pescare. Franky?
Propose Usop, con le canne da pesca già pronte nelle sue mani.

- Arrivo.
Rispose il cyborg, eccitato all’idea di rilassarsi un po’ insieme agli amici.

- Fantastico, siamo alle solite.
Borbottò Sanji, parlando più a se stesso che a qualcuno in particolare. 

Alla fine ognuno aveva trovato da fare e lui era rimasto solo con i piatti, le pentole e la colazione da preparare. 

- Non prendertela, a loro piace scherzare.
Rispose Rufy, cogliendo di sorpresa l’amico che si voltò di scatto.

- Rufy?
Si stupì Sanji, fissando incredulo il capitano. 

Di solito il ragazzo di gomma era sempre il primo a svegliarsi, piombare in cucina e pretendere che il biondino preparasse qualcosa per lui. Normalmente era anche il primo a svignarsela con Usop quando il cuoco cercava volontari per aiutarlo in cucina. Trovarselo davanti era una vera sorpresa.

- Non sono bravo a lavare i piatti, li rompo sempre.. però posso sparecchiare.
Il cuoco continuò a fissare Rufy per un po’, immobile. 

Era l’ultima persona da cui si aspettava collaborazione, eppure era lì. Sorrideva come suo solito, quasi non risentisse degli effetti dei festeggiamenti della notte precedente.

- Grazie.
Mormorò Sanji, arrotolando le maniche per cominciare a lavare i piatti.

- Faccio solo il mio dovere.
Rispose il capitano. 

L’altro non poteva vederlo, ma era sicuro che stesse sorridendo. In quei due anni, semi abbandonato su un’isola praticamente deserta, il ragazzo di gomma aveva dovuto imparare ad arrangiarsi. Non c’era più Sanji, Makino o altri a preparargli il pranzo e la cena. Rey era stato chiarissimo: anche se siamo insieme, dovrai arrangiarti. Questo voleva dire trovare del cibo, assicurarsi che fosse commestibile e cucinarlo in qualche modo. Dopo vari tentativi disastrosi Rufy aveva cominciato a diventare bravo, ma non vi era giorno che non ripensasse ai manicaretti di Sanji o a quanto fosse tutto più semplice insieme ai suoi compagni. Solo allora aveva imparato veramente quanto fosse essenziale un cuoco a bordo, quanto fosse stato fortunato a trovare Sanji e soprattutto quanto era sempre stato egoista a lasciare che facesse tutto lui senza offrirsi mai di aiutarlo.

- No, fai di più. Tu fai sempre di più.
Rispose Sanji, assorto. 

Quel gesto, per quanto piccolo e insignificante fosse, aveva ricordato al cuoco quanto Rufy tenesse a loro. Ogni sua decisione, per quanto poco assennata sembrasse, teneva sempre in conto la loro sicurezza e la loro felicità. Quando tutti lo avevano lasciato solo con i piatti, il capitano era rimasto. Quando i nemici li minacciavano e avevano bisogno di una mano, lui c’era. Non vi era mai stato giorno in quei due lunghissimi anni in Sanji cui non aveva pensato a lui, a quanto il capitano avesse fatto per loro e a come loro non fossero stati in grado di stargli accanto quando dovevano. Era preoccupato, dopo tutto le notizie sul giornale non erano certo confortanti, ma più che altro era determinato. Voleva diventare più forte, essere il braccio sinistro che ancora Rufy non aveva designato. Sapeva che il ruolo di vice capitano era sempre stato di Zoro, eppure lui non voleva essere da meno.

- Ti sei mai pentito di avere lasciato il Baratie per venire con me?
Chiese Rufy improvvisamente, interrompendo il flusso dei pensieri dell’amico. 

Il suo tono era serio, ma tradiva una punta di insicurezza che il cuoco non aveva mai sentito nella voce del suo spensierato capitano di gomma. Sanji si bloccò per qualche istante, stupito dalla domanda ma certo di quale fosse la sua risposta.

- Mai. Sono orgoglioso di fare parte della tua ciurma, capitano.
Disse il biondino, deciso. 

Rufy abbozzò un sorriso, rassicurato.

- Come sono andati questi anni, Sanji?
Chiese ancora il capitano, voltandosi a guardare l’amico. 

La sera prima Usop aveva raccontato loro nei dettagli le sue avventure, con tanto di balli e di canti che aveva composto lui stesso. Nessuno sapeva quanto di vero ci fosse nei suoi racconti, ma li avevano ascoltati volentieri. Solo il capitano ad un certo punto era sparito, prima che il cecchino terminasse il suo racconto. Rufy sapeva che tutti erano impazienti di sapere cosa avesse fatto lui, ma non si sentiva pronto a dividere quelle esperienze con loro. Voleva dimenticarle, non riviverle ancora.

- Sono stati durissimi e terribili, ma sono diventato più forte. Tu, invece?
Disse Sanji, fiero di poter affermare di avere battuto ognuno degli avversari che gli si erano parati davanti. Rufy non rispose subito, ma sembrò quasi esitare.

- È stato uno spasso, davvero. Rey è troppo simpatico. Questi due anni sono passati in un baleno.
Esclamò alla fine, sorridendo. 

Sanji lo guardò appena, giusto un istante. Lo conosceva abbastanza per sapere che stava mentendo. Il suo sorriso, persino il suo entusiasmo non erano gli stessi della sera prima quando si erano rincontrati. C’era qualcosa in quei due anni che il ragazzo di gomma non voleva dividere con i compagni, forse per non rattristarli o forse perché non era ancora pronto. Ad ogni modo, Sanji non si diede per vinto.

- Che mi dici della cicatrice?
Chiese ancora il cuoco, indicando appena il grosso segno che gli deturpava l’addome. 

Era stata la prima cosa che aveva notato quando si era trovato davanti l’amico, ma non aveva fatto domande. Nessuno di loro lo aveva fatto, si erano limitati a salutarlo ed abbracciarlo.

- Non ci pensare, è solo un graffietto.
Lo rassicurò Rufy, accarezzandosi appena la grossa cicatrice. 

Nel farlo la sua mano incontrò il medaglione che gli aveva dato Keira. Ancora una volta il ragazzo si chiese cosa fosse, ma decise di non dargli peso. A tempo debito avrebbe avuto tutte le risposte.

- Allora, questa colazione?
Chiese Zoro, buttando la testa nella stanza con un aria seccata.

- Se tu ci dessi una mano finiremmo molto prima, ma il grande Zoro non si sporca le mani per aiutare i compagni con le faccende di tutti i giorni..
Protestò Sanji, alzando gli occhi al soffitto, troppo impegnato con i piatti e con i misteri del suo capitano per riuscire ad essere veramente cattivo. 

In fondo lo spadaccino gli era mancato in quei due anni. Alle volte, tra un combattimento e l’altro, si trovava a pensare anche a lui. In alcune occasioni aveva anche fatto appello ai suoi insegnamenti in fatto di onore e determinazione per riuscire a vincere.

- Rufy? Che fai?
Chiese Zoro, sorprendendosi di trovare lì il suo capitano. 

In cucina di solito il ragazzo di gomma ci andava solo per mangiare, non certo per aiutare. O meglio, lo faceva solo se costretto e alla prima occasione fuggiva a pescare con Usop, Franky e Chopper.

- Aiuto Sanji, così mangiamo prima!
Rispose Rufy, allegro. 

Zoro si immobilizzò per un attimo, poi si avvicinò al cuoco.

- Che devo fare?
Chiese lo spadaccino, senza il solito tono strafottente che di solito usava per rivolgersi a Sanji. 

Il biondo si stupì di quell’improvviso cambio di opinione, ma decise di non essere cattivo. In fondo Zoro era un bravo ragazzo. Un po’ ottuso, certo, ma fedele al suo capitano al punto di decidere di dare una mano anche senza che gli venisse ordinato.

- Ti sei deciso quindi.. bene, finisci di lavare i piatti mentre io vado in cambusa.
Disse Sanji, asciugandosi le mani e lasciando Zoro e Rufy alle prese con quello che rimaneva dei piatti. 

Il biondo aveva provveduto a lavare per prima le cose delicate, in modo che quei due babbei non potessero fare troppi danni una volta lasciati soli.

Per un po’ i due rimasero in silenzio. Era evidente che entrambi avevano molte domande da fare, ma nessuno dei due si decideva ad aprire bocca. Nella loro amicizia parlare era una cosa inutile, riservata solo alle grandi occasioni oppure ai momenti cruciali della battaglia.

- Ti sei allenato con Perona?
Si decise alla fine a chiedere Rufy, curioso. 

Era stato Sanji la sera prima a dire che lo spadaccino era riuscito ad arrivare per primo al punto di incontro solo grazie a lei.

- No, con l’uomo dagli occhi di falco.
Rispose lo spadaccino, pacato, sorprendendo il proprio capitano che si voltò a guardarlo perplesso.

- Credevo volessi batterlo, non diventare suo allievo.
Commentò il ragazzo di gomma, stupito. 

Zoro si lasciò scappare un sorriso. Sapeva che una volta tornato alla Sunny Rufy, Sanji o qualcuno degli altri avrebbe detto una cosa del genere. Era preparato a rispondere a quella domanda dallo stesso momento in cui aveva chiesto al suo nemico di aiutarlo ed allenarlo.

- La famiglia è più importante dell’orgoglio. Avrò tempo per diventare il più forte, ora voglio solo essere abbastanza forte da essere al tuo fianco nel momento del bisogno.

Spiegò Zoro, guardando negli occhi l’amico perché non fraintendesse le sue parole. 

Non si era allenato così a lungo perché non credeva in lui, al contrario, voleva essere degno di poter restare al suo fianco fino alla fine, conservando il suo titolo di vice. Non avrebbe permesso a Sanji di portaglielo via, ne a Nami o agli altri. Lui era arrivato primo, al punto di incontro così come nella ciurma, ed era il braccio destro di Cappello di Paglia, punto. Era sempre stato così e le cose non sarebbe certo cambiate.

- Grazie, senza un vice capitano come te il mio viaggio sarebbe finito tanto tempo fa.
Mormorò Rufy, abbassando gli occhi perché lo spadaccino non notasse la tristezza che vi albergava. 

Era fiero di avere dei compagni così forti e decisi, ma allo stesso tempo aveva paura di non meritarli o di non essere in grado di difenderli nonostante le sue buone intenzioni e la sua determinazione. Due anni prima non era bastato.

- Non è vero, lo sai. Io sono forte, certo, ma è il tuo buon umore e la tua testardaggine che ci tiene uniti. Senza contare che non sono stato io a stendere il tizio con il piccione, o Arlong e nemmeno Crocodile.
Lo corresse Zoro, serio. 

Rufy si immobilizzò per un momento, alzando lo sguardo ad incontrare quello del compagno.

- Credi che io sia ancora all’altezza di essere il vostro capitano?
Chiese Rufy, dando fiato al dubbio che lo tormentava da quasi due anni. 

Zoro si irrigidì, stupito da quella domanda che improvvisamente gli permise di capire quanto era grande l’affetto che il capitano provava per loro. Certo, lui era sempre pronto ad aiutare tutti, ma per i suoi compagni provava un affetto quasi viscerale che lo aveva portato ad accantonare le sue tristezze e le sue paure per essere un capitano forte, un ancora alla quale i suoi amici potevano fare affidamento.

- Perché non dovresti?
Chiese lo spadaccino, senza tradire la minima emozione nella voce.

- Mi sono lasciato sconfiggere, ho permesso che vi spedisse lontano e non sono riuscito a salvare mio fratello. Ho passato due anni ad allenarmi, convinto che se fossi diventato più forte avrei smesso di sentirmi un fallito..
Rispose Rufy, senza prendere fiato. 

Zoro lo ascoltava, il silenzio. Per la prima volta il capitano messo da parte il suo perenne sorriso e aveva condiviso con qualcuno parte dei suoi timori rilevando come dietro la sua inesauribile forza si nascondesse un ragazzino sperduto e insicuro. Non lo aveva fatto perché tenesse a Zoro più che agli altri, ma solo perché sapeva che con lui non c’era bisogno di sorridere per forza. Lo spadaccino lo capiva anche quando era stanco, debole o irritato.

- Vedi questa cicatrice? Ricordi quando me la sono fatta..
Iniziò Zoro, scoprendosi il petto e rivelando la grossa cicatrice che gli aveva lasciato l’Uomo dagli Occhi di Falco tanto tempo prima, quando si erano incontrati per la prima volta nel mare Orientale.

- Certo.
Rispose Rufy, confuso e pensieroso. 

Ricordava bene quel momento. In quei terribili attimi sembrava quasi che il tempo si fosse fermato o quanto meno avesse rallentato bruscamente. Vedeva Zoro che stava per essere colpito, accusare il colpo e cadere in acqua ma non riusciva a fare nulla per aiutarlo. Il suo primo compagno era caduto sotto i suoi occhi, senza che lui avesse potuto aiutarlo. Solo quando Usop gli aveva assicurato che lo spadaccino stava bene si era permesso di riprendere a respirare, non prima.

- La cicatrice che ti solca il petto è un po’ come la mia.
Continuò Zoro, pacato. 

Rufy lo ascoltava, rapito e confuso. Il ragazzo di gomma aveva sempre pensato che lui e lo spadaccino fossero molto simili, ma non aveva mai pensato di poter paragonare anche le cicatrici che portavano addosso.

- Non se ne andrà mai, resterà lì per sempre a ricordarti che quel giorno sei stato debole ma che un giorno avrai la tua occasione per riscattarti. Fino ad allora dovrai allenarti, proprio come faccio io. Una cicatrice non è un disonore per un guerriero, è solo il simbolo del suo coraggio e della sua determinazione a non arrendersi di fronte ad un nemico.
Concluse Zoro, parlando più di quanto avesse mai fatto in vita sua.

- Basta parlare, muoviti con quei piatti.
Sbuffò Nami, sulla porta. 

Rufy sussultò e si voltò verso la navigatrice, sorpreso di trovarla lì. Non disse nulla, si limitò a sorridere e a lanciare uno sguardo di ringraziamento a Zoro. Non serviva altro, lo sapeva bene.

La ragazza aveva sentito tutto il discorso, ma non decise di non dire nulla in proposito. Era una conversazione troppo privata e a dir poco surreale quella che aveva sentito tra il capitano ed il suo vice.

- Ci mancava solo la mocciosa a dare ordini, come se non bastasse il damerino.
Sbuffò Zoro, fingendosi infastidito. 

In quei due anni lo spadaccino non aveva solo migliorato la sua tecnica ma aveva anche imparato che nella vita non esiste solo il combattimento e la lotta. Quello che gli era mancato di più non era l’avventura ma la vita quotidiana fatta di incomprensioni, confusione, faccende domestiche, rumore, discussioni e screzi. Era tutto ciò che dava un senso alla lotta e li spingeva a combattere come fratelli, pronti a dare la vita per difendersi l’un l’altro.

- Dove è finito, Sanji?
Chiese Nami, guardandosi intorno, stranita che il biondo non si fosse ancora precipitato da lei per farle la corte.

- In cambusa.
Rispose Rufy, togliendo le ultime cose dal tavolo.

- Rufy, posso parlarti?
Chiese ancora la ragazza, abbassando lo sguardo. 

Zoro alzò lo sguardo per un momento, poi tornò a dedicare tutte le sue attenzioni ai piatti che stava lavando. Se ne avesse rotto qualcuno Sanji avrebbe cominciato a fare un sacco di storie, annoiandolo a morte.

Rufy sembrava confuso ma seguì l’amica sul ponte, lontano dalle orecchie dei compagni.

- Che c’è?
Chiese Rufy, cercando di indovinare cosa stava passando per la mente della ragazza.

- Ero preoccupata. Ho passato due anni ad odiarti, a maledirti ed a essere preoccupata per te. Alla fine tu sbuchi con quella cicatrice, non dici nulla, aiuti Sanji e non fai il cretino.
Esclamò Nami, isterica ed indignata. 

La reazione del capitano alle sue parole la lasciò di sasso. La ragazza di aspettava che Rufy scoppiasse a ridere, magari dicendo una cavolata delle sue, ma così non fu. Il ragazzo di gomma rimase incredibilmente serio, sostenendo lo sguardo di Nami, poi lo abbassò e parlò a bassa voce.

- Perdonami, non ho mantenuto la mia promessa.
Disse Rufy. 

La ragazza lo fissò a lungo, chiedendosi se il suo capitano fosse cresciuto così tanto in quei due anni o se era stata lei a non accorgersi mai di quanto fosse maturo.

- Quale?
Chiese la navigatrice, confusa.

- Non mi sono preso cura di te, ti ho fatta piangere..
Rispose Rufy, sorridendo mesto.

- Sei diventato grande, Cappello di Paglia?
Chiese Nami, inclinando leggermente la testa di lato.

- No, non credo.. forse solo un pochino..
Esclamò Rufy, scoppiando a ridere.

- Meno male!
Sospirò Nami, più sollevata. 

Quando Rufy sorrideva era impossibile non provare un immediato senso di sicurezza e di protezione. Era tornato. Il suo capitano aveva dovuto affrontare l’inferno da solo, senza che loro potessero sostenerlo, ma alla fine era riuscito a tornare da loro.

- LA COLAZIONE!
Chiamò Sanji, mettendo fine alla conversazione prima che cominciasse a farsi troppo intima ed imbarazzante per entrambi.

- Andiamo, veloci, prima che Brook ci mangi tutto!
Scherzò Rufy prendendo Nami per un braccio e lanciandosi nella sala da pranzo con la sua consueta poca grazia.

ANGOLO DELL'AUTRICE

Eccomi di nuovo qui, con un nuovo e lungo capitolo per farmi perdonare la lunga sparizione. Ho seguito il suggerimento di alcuni di voi e ho inserito dei riferimenti temporali per rendervi tutto più semplice. 

Che altro dire, BUONA LETTURA!

Tre 88: per prima cosa, grazie per i complimenti. immagino che sarai stata felice di apprendere che il vecchio Ace è tornato una persona normale e ha messo da parte la sua tristezza! Nojiko non ha fatto caso al tatuaggio sul braccio, ne lo ha riconosciuto. per lei è solamente uno sconosciuto un po' strambo. nel prossimo capitolo il viaggio continuerà.. vedrai!

Kuruccha: grazie per i complimenti, sono contenta tu abbia apprezzato lo scorso capitolo. :D in questo capitolo tutto si è ribaltato: Rufy e la ciurma hanno decisamente molto più spazio, ma nel prossimo capitolo si parlerà più che altro di Ace e Sabo. :D

Smemo92: ti ringrazio per la franchezza, ed anche per la fiducia. felice di non averti deluso! :D la descrizione che hai fatto di Rufy è semplicemente perfetta, un sogno. hai colto esattamente tutte le sfumature del mio personaggio. con Ace è molto più facile che con Sabo, ma allo stesso tempo con Sabo ho meno limitazioni. hai colto anche il prologo: quello sarà l'apice conclusivo della mia storia. :D

Brando: in questo capitolo ho introdotto delle etichette temporali, spero di averti semplificato le cose. ad ogni modo, si, le avventure si svolgono in tempi differenti! 

raffa_chan: è ancora presto perchè tutti si incontrino, ma diciamo che adesso che sono partiti sono tutti sulla buona strada. solo, come minimo dovrà passare del tempo!

Akemichan: spero che il mio Sabo non ti disturbi al punto da non farti più leggere la mia storia. se hai consigli sono pronta ad ascoltarli, dopo tutto di lui sappiamo talmente poco! :D

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Capitolo 7
*** Sbarco a Logue Town ***


CAPITOLO 6

SBARCO A LOGUE TOWN

- Circa sei mesi dopo gli avvenimenti di Marineford -

Una volta attraccati nel porto della piccola città, l’ultima prima della montagna che segnava l’inizio della Rotta del Grande Blu, Ace e Nojiko scesero dalla nave guardandosi attorno. Era pomeriggio inoltrato ma il sole splendeva come se fosse mezzogiorno, dando ai ragazzi l’illusione di avere tutto il tempo che volevano. I due scorsero degli ufficiali della marina dall’altra parte del porto, intenti a bere birra e a corteggiare qualche bella donna che stava rientrando a casa con le borse della spesa. Decisamente non prestavano attenzione a loro, ma Ace si allarmò lo stesso e decise che era il caso di tenere gli occhi ben aperti ed i problemi ben lontani. Certo, loro non avevano per nulla l’aspetto di una ciurma pirata, ma era sempre meglio andare cauti con la marina nei paraggi. Quelli erano famosi per essere pazzi e totalmente incapaci di prendere decisioni sensate. Era anche vero che probabilmente quelli radunati intorno al tavolo erano troppo giovani per riconoscerlo o avere partecipato alla guerra di qualche mese prima, ma se si fossero insospettiti avrebbero potuto chiamare un loro superiore. In quel caso Ace e Nojiko avrebbero rischiato di trovarsi con parecchie gatte da pelare ancora prima di imboccare la Rotta del Grande Blu e dare inizio alla loro ricerca. La ragazza, a dispetto dei pensieri che tormentavano il compagno di viaggio, era eccitata e curiosa. Con quel primo sbarco la sua avventura poteva ufficialmente dirsi iniziata, anche se non era successo nulla di speciale. A differenza di Nami lei non era partita con una sgangherata ciurma di pirati sempre pronti a cacciarsi nei guai, ma con uno strano e misterioso tipo che parlava poco e sembrava ancora più restio a cacciarsi nei guai. A parte questo particolare non aveva davvero nulla di cui lamentarsi. L’unico dubbio che la tormentava era circa la sorella, lontana e forse in difficoltà. Più Nojiko si guardava intorno e più si trovava a chiedersi se anche lei era passata per quell’isola ed aveva provato le stesse sensazioni all’idea che il suo grande viaggio stava finalmente per iniziare sul serio. Certamente Nami doveva avere meno pensieri e più sogni, ma per molti aspetti potevano dirsi simili.

Persa nei meandri della sua mente, Nojiko si accorse solo dopo un bel po’ che Ace stava fissando la loro nave con quella che aveva tutto l’aspetto di essere un’espressione davvero molto critica. La testa del ragazzo era inclinata di lato, una mano si torturava con fare pensieroso il mento. Decisamente c’era qualcosa che lo convinceva poco.

- Che ti prende?

Chiese Nojiko, preoccupata. Lo sguardo di Ahanu non prometteva nulla di buono.

- La nave..

Rispose enigmatico lui, indicando la polena leggermente scolorita. Si avvicinò, grattò appena un asse scolorito e subito emerse una grossa macchia che pareva di ruggine. Batté con poca forza un asse vicino e lo vide cedere, rivelandosi marcio.

- Non mi sembra danneggiata. Non è nuova, ma non se la passa male.

Replicò la ragazza, pratica, cercando di ignorare i danni che il suo amico aveva evidenziato in pochi minuti di osservazione attenta. Da quando erano partiti era la prima volta che Ahanu si fermava a guardare la nave. Fin dall’inizio era stata lei a occuparsi di tutti i dettagli del loro viaggio, organizzandolo in fretta e furia. Era stato un vecchio pescatore a dare loro quella nave. O meglio, Nojiko aveva dato per scontato che lui fosse d’accordo a concederla in prestito. Ace fin dall’inizio era sembrato dubbioso e aveva proposto di sceglierne un’altra, ma la compagna era stata irremovibile.

- Non credo faremo tanta strada con questa.

Obiettò alla fine Ace, scettico. Sapeva che quelle parole avrebbero creato scompiglio, ma era suo dovere fare in modo che non andassero incontro a morte certa.

- Sei sempre il solito pessimista.

Sbuffò Nojiko, indispettita, mettendo il broncio. Le era sempre piaciuta quella nave, fin da quando lei e Nami erano bambine. Per questo alla fine l’aveva scelta, nonostante il suo aspetto che non era certo dei più rassicuranti. Sicuramente aveva molti anni alle spalle e magari anche qualche toppa di troppo, ma era pur sempre una buona nave. Galleggiava ancora, tanto era bastato perché la ragazza si convincesse a prenderla.

- No, dico davvero. Preferirei tentare il suicidio in modi diversi e più sicuri piuttosto che annegare come un novellino.

Aggiunse Ace, divertito. Aveva intuito che la sua amica aveva un legame molto stretto con quella nave e non voleva certo essere duro con lei, ma allo stesso tempo non poteva nemmeno permetterle di credere che quella bagnarola li avrebbe portati lontano.

- Ma non ci sono falle!

Esclamò la ragazza, affascinata ed allo stesso tempo infastidita da quel suo sorriso che si vedeva così poco. Certo, era affascinante vedere che Ahanu era riuscito ad uscire dalla sua solita apatia ma era anche seccante rendersi conto che lo aveva fatto per prenderla in giro.

- Non ancora. Vedi, per entrare nella rotta del Grande Blu dobbiamo superare quella montagna.

Spiegò pazientemente lui, mettendosi a sedere sopra un barile che doveva essere stato abbandonato da qualche pescatore. La ragazza seguì con lo sguardo il suo dito, ed impallidì. La vetta che indicava Ahanu era enorme, decisamente la più imponente che avesse mai visto.

- Non ci sono vie alternative?

Chiese Nojiko, spaventata. L’amico scosse lentamente la testa, con un movimento impercettibile.

- No, ne esiste una sola. Dobbiamo risalire quella montagna e scendere dalla parte opposta.

Continuò Ace, sicuro.

- Ovviamente scherzi..

Mormorò Nojiko con un filo di voce. Quella che stava descrivendo il suo compagno di viaggio era una follia, un suicidio bello e buono. Senza contare che ne parlava con calma, troppa perché potesse essere veramente così.

- Ovviamente ci serve una nuova nave.

Fece eco il ragazzo, pratico, facendo il verso alla compagna. Nojiko sbuffò.

- Ma, è una pazzia..

Esclamò la ragazza, lasciandosi prendere dall’isteria. Il loro viaggio era appena cominciato ed ecco che apparivano le prime difficoltà, enormi, che bloccavano loro la strada. Quella grossa montagna doveva essere solamente la prima di una lunga serie di seccature che si sarebbe frapposta tra lei e sua sorella. Forse anche una delle più semplici da superare.

- Anche se la nostra nave resistesse alla montagna non credo potrebbe portarci ancora per molto. Dovremo cercarne una dopo, ma credo che nel Grande Blu sarà più difficile.

Continuò Ace, paziente. Era essenziale che anche l’amica fosse preparata a quello a cui sarebbero andati incontro, oppure non avrebbe retto. Sarebbe impazzita e gli sarebbe toccato riportarla indietro prima ancora di arrivare a metà del loro viaggio.

- Cosa altro credi che ci potrebbe servire?

Chiese Nojiko, cercando di recuperare la calma. La volontà di ritrovare Nami era più forte della paura per quello che la aspettava. Ormai aveva preso la sua decisione ed era determinata a portarla avanti fino alla fine. Dopo tutto, non era sola ed il suo compagno di viaggio sembrava saperne molto più di lei. Questo bastava a darle abbastanza coraggio per non arrendersi e seguire Ahanu, per quanto sembrasse pazzo.

- Un log pose, il mio si è rotto tempo fa.

Disse Ace, tenendo la testa bassa e sfiorandosi appena il polso dove una volta teneva il log pose che gli aveva dato Dadan tanti anni prima che lui partisse dalla sua isola, lasciando indietro il suo fratellino ancora troppo piccolo per andare per mare. Barbanera glielo aveva strappato dal polso e lo aveva calpestato poco prima di consegnarlo alla marina. Il primo di una lunga serie di abusi, umiliazioni e vergognose torture che aveva dovuto subire dagli ufficiali della marina che vedevano in lui la reincarnazione del male.

- Un cosa?

Chiese la ragazza, stupita e curiosa. Non aveva mai sentito parlare di nulla con un nome simile e non aveva la minima idea circa i suoi potenziali utilizzi.

- Nel Grande Blu non ci si orienta con le bussole ma con il magnetismo delle isole. Il log pose serve per registrarlo ed a indicare la rotta.

Disse lui, voltando lo sguardo verso il mare. Ripensare a Barbanera alla fine aveva riportato alla mente anche tutto il resto, specie i dettagli che lo facevano soffrire. Per quanto provasse a concentrarsi sul viaggio che li attendeva, sui mostri marini, sulla montagna da superare e sul log pose da trovare non riusciva a togliersi da davanti al volto il viso sorridente di Rufy che si trasformava in una maschera di sangue e dolore.

- Sembri sapere molte cose..

Mormorò Nojiko, pensierosa, distogliendo inconsapevolmente l’amico dalle sue tristi memorie. Ace non rispose subito, limitandosi ad annuire appena.

- In passato ho navigato parecchio per mare.

Disse Ace, asciutto.

- Mio dio, non dirmi che sei un pirata!

Esclamò Nojiko, fingendosi inorridita. Sapeva che il compagno non amava parlare di sé e del suo passato e quello era un banale tentativo di fargli tornare il sorriso. Di fronte a quella reazione teatrale Ace scoppiò a ridere di gusto, come non faceva da un bel po’ di tempo. La ragazza lo guardò stupita, prima di scoppiare a ridere insieme a lui.

- Che hai contro i pirati? Mica sono tutti come quelli che hanno ucciso tua madre.

Disse poi Ace, fissando la ragazza che aveva anche fatto un balzo all’indietro. In fondo non odiava i pirati, non tutti almeno. Come per tutto il resto ne esistevano di buoni e di cattivi. Certo, era conscia che sua sorella e la sua ciurma costituivano un’eccezione, ma sapeva anche che non era giusto generalizzare.

- Gli uomini pesce sicuramente.

Sbuffò Nojiko, offesa per la scarsa comprensione che Ahanu mostrava per lei.

- Ti assicuro che ce ne sono anche di simpatici.

Sospirò Ace, pensando a Jimbei. Anche lui all’inizio aveva provato antipatia ed astio per lui, ma si era dovuto ricredere. Negli ultimi mesi, a Impel Down, quel grosso uomo pesce aveva costituito la sola compagnia degna di questo nome. Si era dimostrato un pirata che sapeva cosa fosse l’onore e la riconoscenza e si era detto pronto a morire per fermare quella assurda quella che alla fine era stata combattuta lo stesso.

- Vuoi dire che nel Grande Blu ne incontreremo parecchi?

Chiese Nojiko, ancora più terrorizzata di quando aveva scoperto dell’esistenza della Reverse Mountain. Fino a quel momento aveva sempre pensato al Grande Blu come una rotta piena di pericoli e fenomeni strani, ma non piena di uomini pesce. Quel dettaglio la rendeva improvvisamente più oscura e più pericolosa.

- Non credo, di solito non si allontanano molto dalla loro isola.

Disse Ace, distratto.

- Esiste un’isola abitata solo da quei cosi?

Chiese la ragazza, perplessa. Ahanu la guardò e scoppiò ancora a ridere.

- Beh, ci sono anche le sirene ed i tritoni.

Aggiunse lui, alzando le spalle. Nojiko lo fissò intensamente, scrutando con attenzione ogni dettaglio del suo volto.

- Come è possibile?

Chiese alla fine, con un tono completamente diverso. Di colpo si era calmata ed era diventata anche più dolce. La paura per gli uomini pesce sembrava di colpo passata.

- Che le sirene abitino con gli uomini pesce?

Chiese Ace, sorpreso da quella domanda apparentemente senza senso.

- No, che un uomo allegro e spensierato come te abbia lasciato il mare e la vita libera per finire a fare il vagabondo nel mio campo di mandarini.

Disse lei, con un sussurro. A quelle parole Ace si bloccò, quasi smise di respirare. Ci mise un bel po’ prima di riuscire a rispondere. Aveva temuto quella domanda fin dal primo giorno che erano partiti e forse da ancora prima, quando lei lo aveva accolto in casa sua e gli aveva offerto un tetto, del cibo ed un lavoro.

- È successo e basta, non mi va di parlarne.

Sussurrò Ace, abbassando lo sguardo e chiudendo i pugni. Cercava di far tacere quella vocina che gli diceva fallito ed allo stesso tempo voleva chiudere quel discorso prima che seguissero altre domande, e poi altre ancora che lo avrebbero di sicuro portato a raccontare di Barbabianca, di Sabo, di Rufy e dei suoi fallimenti.

- Avevi una ciurma? Prima, intendo..

Chiese ancora Nojiko, vinta dalla curiosità. Sapeva che si trattava di un discorso pericoloso da affrontare con Ahanu ma voleva stesso capire fino a che punto poteva spingersi.

- Si, ma di solito viaggiavo da solo.

Rispose lui, sintetico, costringendosi a rispondere invece di scappare lontano da tutto e da tutti per meditare in silenzio su quello che era stata fino a quel momento la sua vita.

- Non è pericoloso?

Si stupì lei, inclinando appena la testa. Dai racconti di alcuni avventurieri che erano passati per il villaggio e dagli articoli di giornale aveva imparato che la Rotta del Grande Blu, e ancora di più il Nuovo Mondo, sono dei posti assolutamente terribili. Pericolosi anche per le ciurme più forti, figurarsi per un pirata solitario.

- So difendermi, dolcezza.

Esclamò Ace, sorridendo. Nojiko rimase per un po’ incantata a guardarlo, stupendosi della sua faccia tosta e dei suoi modi assolutamente lunatici. Fino a poco prima sembrava depresso, l’ombra di se stesso, ora invece rideva come un folle.

- Anche io, cosa credi!

Sbuffò la ragazza, brontolando qualcosa circa il fatto che era impossibile riuscire sul serio a capirlo ed avere a che fare con lui.

- Va bene, che ne dici di fare un giro prima di metterci a cercare una nave ed un log pose?

Propose Ace, guardando ancora verso il porto per assicurarsi che non ci fosse la marina in circolazione. Nonostante non fosse la sua isola preferita doveva ammettere che Logue Town aveva il suo fascino, soprattutto per coloro che vi arrivavano per la prima volta.

- Perfetto, così potrò comprare qualcosa..

Sospirò Nojiko, con fare sognante. Il compagno di viaggio la guardò, critico.

- Comprare? Non credevo avessi con te dei soldi..

Si stupì Ahanu, con fare innocente.

- Fatti gli affari tuoi!

Ringhiò la ragazza, diventato una furia. Dalla reazione Ace intuì che era meglio non fare domande. Forse la sua amica aveva la stessa passione della sorella: i soldi, i mandarini e le belle cose a poco prezzo.

- Come vuoi, divertiti. Ci vediamo alla nave tra qualche ora.

Mormorò il ragazzo, allontanandosi di qualche passo. Aveva voglia di stare un po’ da solo, per pensare. Una volta partiti sarebbe stato a stretto contatto con Nojiko per molto tempo e non sarebbe più riuscito ad assaporare il silenzio e la solitudine. Pensare di passeggiare per quelle vie, le stesse che almeno una volta doveva aver solcato anche il suo fratellino, gli faceva un effetto strano e non voleva nessuno con cui condividere quelle sensazioni e quei pensieri.

- Ehi, Ahanu.. niente pazzie!

Lo ammonì la ragazza, prima di lasciarlo andare. Ace sorrise, stupito dall’affetto che quella piccola mocciosa sembrava provare per lui nonostante lo conoscesse così poco.

- Te l’ho già promesso. Sta tranquilla!

Rispose lui, rassicurandola con un gesto della mano prima di sparire nella folla.

Ace si allontanò calandosi un cappuccio sul viso. Certo, la marina lo credeva morto ma era meglio non sfidare la sorte più di quanto non fosse necessario. Non si sarebbe mai perdonato se la sua imprudenza avesse messo in pericolo Nojiko.

Vagabondando a caso non poté fare a meno di notare un sacco di rimandi al Re dei Pirati, suo padre. Quella era decisamente una città che viveva nel passato, nella gloria di un’era lontana in cui si credeva che ogni cosa fosse possibile. Veneravano un uomo come un dio, senza chiedersi se avesse davvero fatto di tutto per la sua famiglia o se avrebbe potuto fare di più, magari mettendo da parte qualcuno dei suoi sogni per il figlio e per la compagna.

Il ragazzo sbuffò ed entrò nella prima locanda che trovò, un po’ per il caldo e un po’ per non vedere oltre la faccia da schiaffi di Gol D Roger. Una pinta di birra era quello che ci voleva ad aggiustare la giornata, poi si ricordò che non aveva con sé denaro ed imprecò.

- Che hai ragazzo, non sei felice all’idea di stare in un posto pieno di storia?

Chiese un vecchio dietro il bancone, intento a lustrare dei bicchieri che sembravano già perfettamente puliti. A giudicare da questo gesto, così come dalla polvere che ricopriva ogni cosa, Ace immaginò che quella bettola non doveva avere avuto molti clienti negli ultimi tempi tranne forse qualche ratto e parecchi ragni.

- Parli dell’idiota che hanno giustiziato tanti anni fa?

Chiese Ace, indifferente all’entusiasmo che sentiva nella voce dell’uomo ripensando a Gol D Roger. Si guardò attorno, osservando a lungo le pareti spoglie sulle quali facevano bella mostra avvisi di taglia di pirati di un’altra epoca, lontana. Quel vecchio doveva averlo conosciuto davvero Roger, così come doveva aver incontrato anche Barbabianca. Anche lui, come tutti del resto, viveva nel passato per sfuggire al grigiore e alla banalità di quello che gli riservava il presente.

- Credevo fossi un pirata.

Osservò l’oste, fissando il nuovo arrivato con curiosità. Sembrava un tipo sorprendente, uno di quelli che si devono conoscere per forza. Ne erano passati tanti per il suo locale, ma mai nessuno gli era sembrato tanto misterioso. Era palese che il giovane nascondeva una storia incredibile, che non aspettava altro se non una pinta di birra per essere raccontata.

- Lo sono, o forse lo ero.

Sospirò Ace, incerto. Aveva smesso di sapere chi era quando si era svegliato sulla nave di Shank e aveva capito che Rufy era morto, o forse ancora prima, quando era stato catturato da Barbanera e aveva intuito che il suo gesto imprudente aveva finito con il segnare il suo destino e quello di suo padre Barbabianca, condannando entrambi.

- Avanti, bevi. Si vede che sei confuso. Deve essere il caldo.

Disse il vecchio, avvicinando un grosso calice al ragazzo che aveva ancora il cappuccio ben calato su viso.

- Grazie mille, ma non ho soldi per pagare.

Mormorò Ace con un filo di voce. Una volta non si sarebbe fatto problemi a bere, magari anche mangiare, e poi scappare via. Ora qualcosa era cambiato, anche in questo.

- Fa lo stesso, offro io. Sai, un anno fa ho visto un moccioso che era il tuo esatto contrario.

Sorrise il vecchio, sedendosi vicino al suo ospite forse per studiarlo meglio o forse solamente perché era sordo e da lontano sentiva poco.

- Fammi indovinare, un pazzo esaltato che non vedeva l’ora di replicare le avventure di Roger anche a costo di farsi ammazzare?

Ipotizzò Ace, ironico, sorseggiando la birra. L’anziano oste sorrise.

- Esatto.

Confermò, finendo con il ripensare a quel esagitato ragazzino che voleva a tutti i costi vedere il patibolo dove era morto il Re dei Pirati prima di partire per il suo viaggio. Allora aveva riso di quella sua determinazione, ma aveva immaginato che sarebbe diventato grande. E così era stato. Isola dopo isola aveva finito con il rivelarsi un grosso grattacapo per la marina e per il governo mondiale, senza che nessuno dei due riuscisse per davvero a mettere freno alle sue avventure. Aveva seguito le sue avventure sul giornale con la stessa emozione e la stessa impazienza con cui un bambino segue i suoi fumetti preferiti, settimana dopo settimana, gioendo di ogni vittoria e di ogni aumento di taglia.

- Beh, era uno dei tanti.

Sbuffò Ace, alzando le spalle. Ne aveva visti tanti di ragazzi che credevano nei loro sogni al punto da mollare tutto e partire, ma nessuno aveva fatto una bella fine. Neppure Rufy.

- Non credo, quel ragazzo aveva una strana luce negli occhi. Mi stava simpatico, forse anche per via di quel cappello..

Continuò il vecchio, fissando intensamente il suo interlocutore negli occhi. A quelle parole per poco Ace non si strozzò per la sorpresa.

- Cappello?

Chiese, frenetico, incredulo che quel vecchio avesse sul serio incontrato il suo fratellino prima che questi partisse per il suo viaggio, prima che il suo sogno venisse spezzato.

- Si, di paglia. Dimmi Pugno di Fuoco, che ci fa un morto nella mia locanda?

 Chiese il vecchio oste, con una luce diversa negli occhi.

 

- Circa un anno dopo gli avvenimenti di Marineford –

Circa sei mesi più tardi rispetto all’arrivo di Ace e Nojiko un’altra misteriosa nave entrò silenziosamente nel porto di Logue Town. Niente era cambiato rispetto a pochi mesi prima, persino i marine di guardia al porto era sempre gli stessi ed erano sempre fermi al loro tavolo tra birra, carte e qualche donna che si concedeva loro attratta dal fascino della divisa o forse dalla possibilità di ottenere qualche informazione. Ancora una volta si trattava di una nave che non aveva nessuna bandiera, ne pirata ne di altro genere. Sabo aveva passato gran parte del viaggio a spiegare a Kaja tutti gli imprevisti che avrebbero potuto dover affrontare e tutte le cose che avrebbero dovuto procurarsi. Quando erano giunti a Logue Town, prima tappa del loro viaggio, la ragazzina era preparata a quello che stavano per affrontare.

- Dove si compra un log pose?

Aveva chiesto la ragazza appena sbarcata, pratica. Sabo la guardò, sorpreso e fiero dei risultati dei suoi insegnamenti. Nel corso di quelle settimane, giorno dopo giorno, il ragazzo aveva capito che di fronte a se aveva una ragazza determinata non una frignona pronta a scappare di fronte alla prima difficoltà.

- Non si comprano, è illegale venderli.

Rispose Sabo, coprendosi il viso con un cappello perché nessuno potesse riconoscerlo. Era una vecchia abitudine che gli era rimasta dai tempi in cui andava in giro con Dragon e l’imperativo era per forza di cose non dare troppo nell’occhio. Adesso non faceva più parte dell’armata rivoluzionaria, ma sulla sua taglia pendeva ancora una grossa taglia che avrebbe fatto gola sia ai marine perdigiorno che a qualche avido cacciatore di taglie.

- Perché?

Chiese Kaja, ingenuamente, puntano gli occhi addosso al compagno che appariva seccato.

- Chi vuole compra un log pose vuole entrare nella Rotta del Grande Blu e questo fa di lui un nemico della Marina, pirata o rivoluzionario che sia.

Spiegò pazientemente il rivoluzionario, con una vena polemica nella voce. Personalmente aveva sempre trovato quella legge molto ingiusta, specie per le persone che non erano ne pirati, ne rivoluzionari o nemici del governo. Di certo erano loro i più penalizzati visto che un malintenzionato avrebbe in ogni caso trovato un modo per procurarsene uno. Molti onesti cittadini invece si arrendevano. In larga parte era meglio così, perché questo risparmiava loro pericoli e sofferenze, ma era anche profondamente ingiusto. In un mondo libero tutti dovevano avere il sacrosanto diritto di andare dove gli pare, senza limitazioni.

- Non è giusto, se un semplice cittadino volesse andarci?

Chiese la ragazza, imbronciandosi. Era assurdo che la marina etichettasse chiunque avesse un minimo di intraprendenza come pericoloso pirata nemico del governo prima ancora di capire perché voleva andare nel Grande Blu.

- Secondo la marina quella rotta è troppo pericolosa per i semplici cittadini, solo i pazzi ci vanno.

Sospirò Sabo, presagendo che quella discussione sarebbe andata per le lunghe. Kaja odiava le ingiustizie ed ogni volta che ne sentiva una protestava, tuttavia contro quella legge al momento loro due potevano fare poco.

- Quindi noi siamo pazzi?

Chiese Kaja, imbronciata. Odiava la marina e odiava anche il governo. Odiava tutti quelli che etichettavano il suo sogno di diventare medico e trovare Usop come una pazzia. Condannavano delle persone senza conoscerle, scivolando quasi senza rendersene conto dalla parte del torto.

- Io forse un po’, tu sicuramente.

Rispose il compagno di viaggio, sorridendo.

- Come credi di fare, simpaticone?

Sbuffò la ragazzina, alzando gli occhi al cielo. Sabo era bravissimo a strapparle un sorriso quando era imbronciata, non c’era nulla da fare. Prima di lui l’unico che c’era riuscito era stato il suo amico Usop, tanto tempo prima.

- Lascia fare a me.

Disse Sabo, senza dilungarsi in spiegazioni. Il ragazzo si guardò intorno, studiò attentamente il gruppo di marine e concluse che non costituivano un problema. Era meglio ignorarli piuttosto che combattere con loro. Se lo avessero creduto un timido e indifeso viaggiatore sarebbe di sicuro stato meglio per tutti, in primis per Kaja.

- Spiega..

Mormorò Kaja, preoccupata che Sabo avesse in mente qualcosa di pericoloso o illegale. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, esasperato da tutte quelle domande.

- Un vecchio trucco di quando ero Rivoluzionario.

Continuò Sabo, vago.

- Rubare?

Chiese la ragazza, curiosa e stupita. Il rivoluzionario si voltò verso l’amica, stupito da tante intraprendenza.

- No, quello è un vizio che ho preso dopo!

Rispose Sabo, sorridendo ed alzando le spalle. Buttare ogni cosa sul ridere e non prendere mai nulla troppo sul serio era un modo di fare che aveva imparato dai suoi fratelli, tanto tempo prima. Ormai tutto quello che gli restava di loro non era altro che ricordi, racconti e immagini sfuocate che si inseguivano nella memoria. Non voleva dimenticarli, ma era conscio che doveva andare avanti. Loro erano il passato, Kaja il presente. Forse un giorno di sarebbero incontrati e forse allora avrebbero riso ancora insieme, ma per il momento doveva pensare alle cose concrete.

- Riesci a restare serio per cinque minuti?

Chiese ancora Kaja, esasperata da quel suo strano modo di fare. Il ragazzo annuì, cercando quanto più possibile di tornare serio.

- Dobbiamo andare nelle vecchie locande e parlare con gli osti.

Spiegò alla fine Sabo, appena infastidito per essere stato costretto a rivelare il suo grande segreto. Come tutti i rivoluzionari anche a lui piaceva fare il misterioso, usando frasi ad effetto e tirando fuori dal nulla l’oggetto dei desideri del suo interlocutore. Kaja invece lo aveva costretto a rivelare tutto.

- Tutto qua?

Esclamò la ragazza, stupita. Si era aspettata chissà quale grande segreto e invece si era vista propinare un consiglio che avrebbe potuto dargli chiunque.

- Molti di loro hanno dei log pose a ricordo dei loro viaggi, se gli stai particolarmente simpatico può essere che te lo regalino.

Continuò il rivoluzionario, indicando una fila di vecchietti seduti fuori da altrettanti locali che davano sul porto. Quasi tutti guardavano verso di loro, chiedendosi se la loro fosse o meno una nave pirata. Stare lì, osservare gli sconosciuti e ripensare ai loro viaggi era la loro unica ragione di vita. L’unica cosa che li manteneva ancora vigili e arzilli.

- Andiamo, allora.

Disse la ragazza, prendendolo sotto braccio e lasciandosi condurre per le via della piccola cittadina. Dividersi e fare un giro da sola era fuori discussione. Sabo nei giorni prima dello sbarco aveva dichiarato che non l’avrebbe persa di vista neppure per un istante, qualunque cosa fosse successa. Kaja era onorata di tutte quelle attenzioni, ma era anche convinta che l’amico esagerasse. Certo, il mondo era cattivo e lei era indifesa, ma era anche vero che non potevano incontrare solo persone che avrebbero voluto fare loro del male.

I due ragazzi girarono un po’ prima di trovare la locanda che sembrava fare al caso loro.

- Come fai ad essere sicuro che sia il posto giusto?

Chiese Kaja, guardando scettica la vecchia insegna scolorita che di certo non invitava ad entrare. Sembravano anni che nessuno ci metteva piede, o forse decenni.

- Non lo so infatti, proviamo.

Rispose Sabo, spingendo appena la porta. Se da fuori sembrava un posto poco frequentato, l’interno poco curato e la polvere sui tavoli confermava che quel locale non riceveva clienti da molto tempo, forse mesi.

- Salve, è aperto?

Chiese il rivoluzionario, cercando il proprietario quello strambo locale.

- Certo, venite avanti e fatevi guardare.

Rispose un vecchio oste, accoccolato su una sedia a pochi passi dal bancone. Portava gli occhiali, e aveva un giornale di fronte a sé. Il suo sguardo annoiato si era illuminato non appena li aveva visti entrare dalla porta, forse felice di passare una giornata diversa.

- Come?

Esclamò Sabo, perplesso dalla richiesta. Il vecchio sospirò.

- Vedi, non mi capita spesso di avere clienti da queste parte ma quei pochi che capitano sono sempre tipi interessanti.

Spiegò l’oste, chiudendo il giornale per dedicarsi esclusivamente ai due nuovi arrivati.

- Allora forse noi rovineremo questo suo primato.

Mormorò timidamente Kaja. Loro due non erano certo due tipi strani, forse Sabo ma sicuramente non lei. La cosa più assurda che gli era capitata nella vita era stata finire al centro di un assurdo intrigo voluto dal suo maggiordomo che si era alla fine rivelato un pericoloso pirata. Quella volta, tuttavia, non era stata lei a tirarsi fuori da quel pasticcio. Erano stati Usop ed i suoi nuovi amici, prima di prendere il mare.

- Perché dici così, bella signorina?

Chiese l’anziano signore, passando lo sguardo da Sabo alla ragazza. All’apparenza sembrava una ragazza normale, forse persino di buona famiglia, ma lui era convinto che c’era dell’altro. Una storia intricata, losca e assurda che spiegava perché avrebbe preso il mare. Questo faceva di lei una ragazza speciale.

- Beh, siamo due persone normali.

Rispose lei, incerta. Non sapeva come altro definire lei e Sabo.

- Tutti credono di esserlo, ma molti sono speciali. Siete pirati?

Chiese l’oste, piegando appena la testa come a studiarli meglio.

- No.

Rispose Sabo, deciso. Diventare pirata e navigare con i suoi fratelli era il suo sogno ma non era mai riuscito a realizzarlo. La vita lo aveva portato prima ad essere un rivoluzionario, poi a perdere tutto e a non essere più nulla.

- Lo eravate?

Chiese ancora il vecchio, accigliandosi.

- Nemmeno.

Rispose ancora Sabo, cercando di capire dove volesse andare a parare il vecchio.

- Le cose si fanno interessanti.

Mormorò l’oste, sorridendo appena e buttando giù un sorso di rum.

- Il mio amico era un rivoluzionario, io invece vorrei diventare un dottore.

Spiegò Kaja, per mettere fine a quello strano interrogatorio apparentemente senza senso. L’uomo li fissò ancora, senza mostrarsi stupito o incredulo.

- Una coppia bizzarra, non c’è che dire. State andando nel Grande Blu?

Si informò lui, sicuro che due tipi del genere non potevano andare in un luogo diverso.

- Ci stiamo provando, ma prima dobbiamo trovare un log pose.

Spiegò la ragazza, mentre Sabo si guardava in giro per capire dove fossero finiti. Era fin troppo evidente che il vecchio aveva un debole per i pirati, c’era solo da capire cosa ne pensasse dei rivoluzionari. Non sembravano esserci ritagli di giornale o avvisi di taglia in bella vista, ma non voleva dire molto. Appendere l’avviso di taglia di Gol D Roger a mo’ di poster non faceva perdere le staffe alla marina come invece succedeva con quello di Dragon. Per qualche ragione quei vecchi pazzi erano convinti che bastasse vedere la foto del capo dei rivoluzionari per unirsi alla loro causa e quindi meritarsi la morte.

- Ne avevo uno da qualche parte, ma l’ho regalato qualche mese fa ad un brontolone.

Disse l’oste, sorridendo al ricordo di quel breve incontro che risaliva a sei mesi prima.

- Anche lui era un tipo strano?

Chiese Kaja, curiosa. Quello strano e misterioso tizio cominciava ad affascinarla. Era solo alla prima tappa del viaggio, ancora ben lontana dall’essere diventata un bravo medico o avere trovato Usop, ma aveva già incontrato una persona speciale.

- Naturalmente, tutti lo sono. Anche voi cara la mia dottoressa.

Rispose l’oste, sicuro, battendo il bicchiere ormai vuoto sul bancone.

- Sarei felice se mi chiamasse Kaja.

Mormorò la ragazza, sorridendo. Quel vecchietto dopo tutto le stava simpatico, molto. Sarebbe stato bello poter restare a lungo a parlare con lui, ascoltando tutte le sue storie come faceva con quelle del suo amico Usop tanto tempo prima.

- Bel nome, davvero. Invece il rivoluzionario è Sabo, dico bene?

Chiese l’oste, sicuro, voltandosi verso il ragazzo ancora impegnato a cercare di capire qualcosa di quello strano posto. Il rivoluzionario trasalì a quelle parole.

- Come fa a saperlo?

Chiese, spaventato. Non aveva detto nulla di sé, ne mostrato eccessivamente il suo viso. Era semplicemente impossibile che avesse tirato ad indovinare e che ci avesse preso. Il vecchio scoppiò a ridere.

- Quasi un anno fa un vecchio amico mi ha portato questo. Credo fosse preoccupato per te e mi ha anche chiesto di riferire a lui in caso fossi passato di qua.

Raccontò lui, tirando fuori da sotto il bancone un avviso di taglia sul quale c’era il suo nome e la sua foto. La sua compagna di viaggio prese l’avviso tra le mani e lo guardò con attenzione, rapita, paragonando la foto al viso dell’amico. Non doveva essere passato molto tempo da quando la foto era stata scattata, eppure Sabo appariva del tutto diverso. Sembrava più grande, più stanco ed anche più preoccupato. Nella foto aveva un’aria spensierata e leggera che nella realtà il suo amico aveva perso.

- Un amico, dice?

Mormorò Sabo, perplesso, fissando distratto l’avviso di taglia. Lui non aveva amici, solo compagni di lotta e di armi che tuttavia gli avevano voltato le spalle. Non aveva nemmeno una famiglia, non più almeno. Le parole del vecchio sembravano davvero assurde.

- Si tratta di Monkey D Dragon.

Disse l’oste, senza aggiungere altro. In pochi avrebbero ascoltato quel nome senza reagire, e quel ragazzo era uno di quelli. Probabilmente doveva conoscerlo per bene, magari anche di persona. Kaja invece impallidì, sconvolta.

- Quel vecchio non si fa mai i fatti suoi.

Sbuffò Sabo, infastidito dall’invadenza dell’uomo che lo aveva praticamente fatto cacciare dalla sua nave qualche tempo prima.

- Conosci Dragon?

Chiese Kaja, a metà tra il sorpreso e lo spaventato. Aveva sentito spesso parlare di lui, ma mai con così tanta tranquillità. Sapeva che era un uomo potente e terribile che tutti temevano e che nessuno riusciva a tenere a bada. Persino la marina ed il governo mondiale non avevano la minima idea di dove fosse o cosa stesse combinando.

- È il capo dei rivoluzionari, mi ha praticamente fatto da padre.

Spiegò il rivoluzionario, alzando le spalle quasi quella conversazione avesse poca importanza per lui. Era evidente che non gli andava di parlare del suo passato.

- Visto Kaja, che avevo detto io..

Sussurrò il vecchio, ridacchiando. Aveva ascoltato le parole del ragazzo con avidità, soddisfatto di avere un altro incontro degno da essere raccontato.

- Le capitano spesso incontri come questi?

Chiese la ragazza, sorpresa da quello che aveva appena scoperto sul suo compagno di viaggio. L’uomo annuì, sorridente.

- Di continuo, anni fa capitò qui niente meno che Roger in persona.

Raccontò l’oste, con gli occhi pieni di orgoglio.

- Accidenti.

Esclamò Kaja, sorpresa. Non si era mai interessata troppo di pirateria, ma persino lei conosceva il nome del Re dei Pirati, l’uomo che aveva dato inizio alla grande era della pirateria e che aveva spinto molti giovani, tra cui Usop, a partire.

- Niente foto alle pareti?

Chiese Sabo, ironico, guardandosi intorno. Il vecchio tossì e mandò giù altro rum.

- Non sono quel tipo di persona, ma ammetto che gli avvisi di taglia dei loro figli li ho tenuti.

Rispose il vecchio signore, indicando dei fogli apparentemente buttati a caso. Sabo lanciò un occhiata sul banco e gli si strinse il cuore nel vedere gli avvisi di taglia dei suoi due fratelli mischiati a quelli di altri pirati famosi.

- Rufy, lei lo conosce?

Chiese Kaja, studiando con attenzione la foto del ragazzo che tanto tempo prima era partito con Usop. L’altro ragazzo non lo conosceva, ma sembrava che Sabo fosse rimasto colpito dalle parole dell’oste. Tanto da non notare che lei aveva preso il manifesto di taglia di Rufy in mano e che sembrava conoscerlo.

- Ho conosciuto entrambi, anche Ace. È stato a lui che ho dato il mio log pose, sei mesi fa.

Spiegò il vecchio. A quelle parole Sabo ebbe un fremito.

- Ace è stato qui sei mesi fa? È impossibile, lui è morto.

Esclamò Sabo, sicuro, fissando il vecchio oste negli occhi.

- Anche io mi sono sorpreso, ma le assicuro che non si trattava di un fantasma. Credo che la marina abbia preso parecchi granchi, ma non sarò certo io a dirglielo. Io sto dalla parte dei pirati, e dei rivoluzionari..

Aggiunse il vecchio, ridacchiando e facendo un occhiolino ai due ragazzi.

- Può raccontarmi di Ace e di Rufy, la prego. È importante.

Implorò Sabo, di colpo di gentile con il vecchio oste. Quell’incontro si stava facendo interessante, anche se quel tipo non avesse nessun Log Pose da dare loro. Kaja fissava interessata l’amico, chiedendosi il perché di quel cambiamento improvviso. Doveva esserci qualcosa sotto che era legato al passato del suo amico.

- Rufy l’ho incontrato parecchio tempo fa, prima che entrasse nella Rotta del Grande Blu. Era spensierato e allegro, l’esatto contrario di suo padre.

Iniziò a raccontare il vecchio, giocherellando con il bicchiere ormai vuoto.

- Rufy è il figlio di Dragon?

Chiese Kaja, sorpresa, guardando prima Sabo e poi il vecchio signore.

- Certo Kaja, ormai lo sanno tutti dopo quello che è successo l’anno scorso.

Rispose l’oste, sorridendo. Sabo fissava l’uomo, impaziente. Era evidente che voleva che andasse avanti a raccontare senza perdere altro tempo.

- Mi parli di Ace..

Implorò Sabo, cercando di tenere a freno l’emozione.

- Era venuto qui per caso. È stata dura riconoscerlo, si nascondeva sotto un mantello ed era piuttosto seccato, ma alla fine l’ho riconosciuto.

Disse l’oste, cercando di ricordare i dettagli di quello strano incontro.

 

- Aspetta, tu conosci il mio fratellino?

Aveva chiesto Ace, incredulo, lasciando che il cappuccio gli ricadesse sulle spalle. Ormai era stato riconosciuto, tanto valeva mostrarsi e mettere le cose in chiaro.

- Si, lo conosco.

Aveva detto l’oste, annuendo. Era stupito per la reazione del suo ospite: era bastato nominare Rufy perché Ace riprendesse vita e uscisse da quello strano stato di apatia.

- Lo conosceva, lui non c’è più.

Aveva sussurrato Ace con un filo di voce, diventando all’improvviso triste. A quelle parole il vecchio aveva sorriso e gli aveva appoggiato una mano sulla spalla. Il pirata più giovane si era stupito di quel contatto, ma non si era allontanato.

- Caro ragazzo, solo perché la marina dice che un pirata è morto questo non vuole dire che sia davvero così. Anche tu dovresti essere passato all’altro mondo, eppure sei qui di fronte e mi stai parlando. È sorprendente, sai?

Aveva mormorato il vecchio, pieno di comprensione per il ragazzo che aveva di fronte. Dopo tutto, non capitava certo tutti i giorni di incontrare il figlio di Gol D Roger.

- Credi davvero che mio fratello sia ancora vivo?

Aveva chiesto Ace, smarrito. Aveva bisogno di conferme e forse anche di un buon motivo che lo spingesse a mettersi di nuovo sulle tracce del fratello, dandogli sul serio la speranza di trovarlo.

- Tu no?

Aveva ribattuto l’oste, senza rispondere in modo chiaro.

- Lo credevo, l’ho anche cercato ma nessuno sa darmi sue notizie.

Aveva spiegato Ace, raccontando al vecchio tutta la sua disperazione e la sua frustrazione. Ancora una volta l’altro non aveva risposto subito.

- Questo forse può aiutarti. Guarda bene, sono abbastanza convinto che nasconda un messaggio, ma non so dirti quale.

Aveva risposto l’oste, mostrando un ritaglio di giornale che risaliva a qualche mese prima. C’era una grossa foto nella quale c’era Rufy, vivo, a qualche settimana dalla fine della guerra. Questo provava che era vivo, o che per lo meno non era morto durante la guerra come avevano detto a lui.

- Grazie mille, ora so cosa devo fare.

Aveva esclamato Ace, sicuro, alzandosi in piedi per dirigersi verso il porto. Dovevano partire, andare nel Grande Blu e trovare sia Rufy che Nami. Ora ci credeva anche lui.

- Ferma un attimo, avrai bisogno di questo se vuoi andare a cercare tuo fratello..

Aveva aggiunto il vecchio, porgendo al ragazzo un vecchio Log Pose ancora funzionante.

 

Una volta terminato il racconto il vecchio prese un lungo sorso da una bottiglia, poi la porse ai due ragazzi. Kaja scosse la testa, Sabo sembrava non avere nemmeno notato il gesto del vecchio oste impegnato come era a mettere in moto il cervello.

- Ace è vivo.

Continuava a ripetere, come una litania. Non gli importava di altro, improvvisamente la sua vita aveva di nuovo senso.

- È sorprendente, ma a te perché interessa tanto?

Chiese il vecchio, curioso. Quel ragazzo conosceva Dragon ed era felice di sapere Ace vivo. Le cose cominciavano a farsi veramente interessanti.

- È mio fratello, anche Rufy lo era.. credevo fossero entrambi morti, invece forse Ace è ancora vivo. Devo trovarlo.

Esclamò Sabo, sicuro, lasciando Kaja interdetta e sorpresa. Era la prima volta che il compagno parlava del passato, rivelando cose sorprendenti.

- Ti dirò quello che ho detto ad Ace: per me, anche Rufy è vivo. Guarda qui.

Disse l’oste, mostrando a Sabo lo stesso ritaglio di giornale che sei mesi prima aveva mostrato ad Ace. Il ragazzo si fiondò su quel pezzo di carta, leggendolo avidamente più e più volte. Scrutò la foto, cercando sul viso del suo fratellino tracce del suo luminoso sorriso senza tuttavia trovarne.

- Posso tenerlo?

Chiese Sabo, alzando lo sguardo sul padrone della locanda. L’uomo annuì, sorridendo.

- Certo, prendi anche questo.

Aggiunse l’uomo, prendendo da sotto il bancone un vecchio log pose e mettendolo nelle mani della ragazza che lo guardava sorpresa ed incredula.

- Credevo lo avesse dato ad Ace..

Sussurrò Kaja, ricordando le parole che lo stesso oste aveva pronunciato solo poco prima.

- Ne ho sempre tenuto uno di scorta, per le occasioni speciali.

Rispose il vecchio, ridacchiando, prima di buttare giù un ultimo sorso di rhum.

ANGOLO DELL'AUTRICE

per prima cosa, GRAZIE!!! in questo capitolo ho deciso di non parlare di Rufy e della ciurma per poter ambientare l'intero capitolo a Logue Town. come avete visto le tre storie iniziano ad incrociarsi, toccarsi ed entrare in contatto. il prossimo capitolo, per non fare torti a nessuno, sarà dedicata solo a Rufy ed alla sua ciurma!

Akemichan: onestamente anche a me è mancata una parte un po' più "profonda" quando si sono incontrati, ma immagino che Oda avrà in mente qualcosa per recuperare più avanti. :D  spero che questo capitolo ti sia piaciuto come il precedente!

Niki96: direi che sono tutti decisamente migliorati. nella prima parte ho volutamente esagerato per sottolineare come Ace e Sabo incontrano Nojiko e Kaja nel momento peggiore della loro vita. per il nome ho pensato che se Ace non voleva dirgli quello verò Nojiko doveva pur inventarsi qualcosa. nel senso, tu viaggeresti per mesi con uno che devi chiamare Ehi, tu? :D

Tre 88: beh, grandi cambiamenti in questo capitolo! Ace è convinto che Rufy è vivo. per il nome ho deciso che Ace lo dirà a Nojiko solo quando incontrerà i suoi fratelli, non prima. fino ad allora aveva proprio bisogno di un nome nuovo. mi sono imbattuta in Ahanu dopo qualche ricerca è l'ho trovato assolutamente perfetto! per quanto riguarda la ciurma, beh nelle mie storie Rufy e Zoro hanno sempre un rapporto di amicizia speciale. non potevo non metterci una delle loro chiaccherate! :D

Brando: grazie a te per avermelo suggerito. mi rendo conto che per me è semplice seguire la storia visto che l'ho bene in mente ma che non è altrettanto semplice per voi!

Katy93: innanzitutto, grazie per aver seguito la scorsa storia. il ciondolo, beh.. lo vedrai! non dico altro che se visto che hai letto la scorsa storia potresti anche tirare ad indovinare.. :D

Kuruccha: grazie mille!!! in questo capitolo niente Rufy, ma recupero nel prossimo!

Smemo92: Ace e Nojiko sono una coppia silenziosa. fanno casino, ridono, ma non si fanno domande che potrebbero far soffrire l'uno o l'altra. Sabo e Kaja parlano decisamente di più, con meno segreti. nel prossimo capitolo in cui compariranno Kaja racconterà a Sabo di conoscere Rufy. sono felice che ti piaccia la ciurma, nel prossimo capitolo si replica!

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Capitolo 8
*** Anniversari e ricordi: chiudere con il passato ***


CAPITOLO SETTE
ANNIVERSARI E RICORDI: CHIUDERE CON IL PASSATO

- Due anni esatti dopo gli avvenimenti di Marineford -

La ciurma di Cappello di Paglia navigava per i mari della Rotta del Grande Blu da abbastanza tempo per averne ormai assorbito a pieno le dinamiche. Dopo lo smarrimento iniziale delle prime ore tutto era diventato normale, talmente prevedibile da essere quasi noioso. Da quando avevano ripreso il viaggio, verso l’isola degli uomini pesce, niente era cambiato rispetto a due anni prima. Nami era in grado di prevedere le tempeste, forse ancora meglio di come aveva sempre fatto. Franky ed Usop erano sempre all’opera per inventare qualcosa di nuovo, spesso in gran segreto, portando gli altri all’esasperazione. Zoro e Sanji, quando non litigavano, passavano il tempo allenandosi o cucinando. Il loro rapporto era sensibilmente migliorato, eppure discutere per le sciocchezze rimaneva sempre il loro sport preferito. Chopper e Robin, invece, passavano lunghe ore sul ponte, giocando o leggendo libri che avevano portato con sé dalle isole in cui erano stati. Quei due avevano l’abitudine di stare a lungo in silenzio, con la mente altrove, riuscendo tuttavia a capirsi alla perfezione. Rufy passava molto tempo insieme ai compagni, destreggiandosi tra i giochi con Usop e Chopper, i battibecchi con Nami e gli allenamenti con gli altri. Non voleva lasciare nessuno indietro, i suoi amici gli erano mancati troppo durante quel lungo periodo di separazione. Certo, aveva incontrato Keira, ma la donna non si poteva definire a pieno titolo una sua amica. Con lui era stata criptica, assente e decisamente molto vaga. Insomma, una presenza quasi inquietante a dirla tutta. La cosa che il capitano preferiva in assoluto, tuttavia, era starsene sul ponte ad ascoltare Brook che suonava. Era una delle poche cose che riusciva a rilassarlo davvero dopo una lunga giornata passata a correre ed a giocare. Persino gli attacchi dei pirati, all’inizio frequenti e violenti, si erano fatti rari, complici anche le forti correnti e la pressione esterna alla bolla. Ad ogni modo, era ormai chiaro a tutti che a bordo della Sunny, nonostante l’aspetto non particolarmente spaventoso, navigavano veri e propri demoni appena tornati dall’inferno. Pirati feroci, con taglie da capogiro e abbastanza fegato per fronteggiare gli scocciatori. Dalla loro avevano anche il vantaggio che parte della marina e buona parte del resto del mondo li credeva ormai morti a causa di quei due anni durante i quali non avevano fatto parlare di loro. Certo, la loro partenza dall’arcipelago Sabaody era stato abbastanza caotica ma la notizia non aveva ancora fatto in tempo a fare il giro del mondo. Per ora erano soprattutto voci quelle che si rincorrevano, che avevano finito per alimentare ancora di più le leggende che giravano sul loro conto. Insomma, tutto era tornato alla normalità. Persino Rufy, un primo tempo silenzioso e schivo, era tornato ad essere il solito casinista di sempre, con gran sollievo della ciurma. Tutti quanti temevano che gli avvenimenti svoltisi sull’isola della marina avessero indelebilmente segnato il loro capitano, ma erano stati ben felici di sbagliarsi. Almeno, fino a quel momento era sembrato essere così. Dopo la breve chiacchierata con Nami, Zoro e Sanji, Rufy era tornato quello di sempre. Sorrideva spesso, senza mai stare un momento fermo. Non aveva più parlato di quello che aveva passato nella prigione o sull’isola della marina. Rideva, pescava con Usop, combinava danni con Brook e faceva impazzire Nami. Il solito vecchio capitano. Quella mattina, tuttavia, nessuno sapeva bene che fine avesse fatto. Lui ed il suo cappello di paglia sembravano essere scomparsi.

- Ehi, capitano.

Chiamò Franky sbuffando, guardandosi intorno alla ricerca dell’amico che sembrava improvvisamente sparito. 
Nei giorni precedenti non era mai stato fermo nemmeno un minuto, contribuendo a fare spesso perdere la pazienza e fare sorridere gli altri. Quella mattina, invece, tutto era sembrato diverso. Aveva finito la colazione controvoglia, quasi per non turbare Sanji, poi aveva dichiarato di voler fare quattro passi da solo sul ponte. A tutti era parso strano, persino per uno come Rufy, ma avevano preferito non dire nulla.

- Sono qui.

Rispose Rufy piano, dall’alto dell’albero maestro.
Franky alzò la testa e guardò meglio, incuriosito, per poi alzare le spalle, deciso a non fare commenti. Una giornata no, dopo tutto, poteva capitare a tutti. Fare continuamente domande poteva solo servire a peggiorare le cose.

- Usop ha avvistato una specie di grotta dove possiamo fermarci prima di raggiungere l’isola degli uomini pesce. Nami dice di non averne mai vista una prima e che ci fermiamo. Insomma, tra poche ore sbarchiamo.

Spiegò il cyborg, curioso di vedere la reazione del capitano. 
Tutti quanti, persino Zoro che di solito era il meno interessato ai posti in cui finivano, erano eccitati all’idea di vedere un posto del genere. Nessuno di loro ne aveva mai sentito parlare prima, neppure Nico Robin. Tutti erano stati concordi nel dichiarare che sicuramente il capitano avrebbe perso la testa e avrebbe finito con il mettere tutti nei guai. Chissà quali strani esseri abitavano un posto simile. Con tutta probabilità Rufy avrebbe cercato di reclutare qualche nuovo membro della ciurma, un uomo pesce o una sirena nel migliore dei casi, un mostro marino da tenere come animaletto domestico in quello peggiore.

Rufy annuì, poi tornò a guardare di fronte a sé. Sembrava quasi non gliene importasse un gran che delle notizie portate dal compagno. Franky si grattò la testa, perplesso, poi tornò velocemente dai compagni.

- Allora? Lo hai avvisato?

Chiese Nami, frenetica e impaziente di sapere le impressioni del capitano per poter prendere tutte le precauzioni del caso per evitare danni troppo grossi. L’idea era ricominciare la loro avventura insieme, rischiare la pelle non era nei piani di nessuno. 

- Io.. Beh, si.

Rispose Franky, confuso. 
Il cyborg si grattò perplesso la testa, incerto su come proseguire.

- E allora?

Insistette la navigatrice, eccitata all’idea di sbarcare, vedere posti nuovi e vivere strane avventure con il suo capitano. 
I due anni sull’isola metereologica erano stati belli, utili ma soprattutto noiosi. Circondata da tutta quella prudenza e da tutta quella sicurezza aveva cominciato a rimpiangere l’avventatezza di Rufy e la sua abitudine a cacciarli sempre in qualche strano ed assurdo guaio.

- Non ha detto nulla, ha solo annuito.

Rispose il cyborg, alzando le spalle.

- Impossibile.

Decretò Zoro fino a quel momento profondamente addormentato. 
Sanji, al suo fianco, seguiva la discussione interessato, senza intervenire. Sapeva che il compagno aveva ragione, mai fino a quel momento Rufy si era dimostrato annoiato all’idea di vedere un posto nuovo. Normalmente riusciva a trovare interessante e curioso persino un oggetto o un posto all’apparenza banale.

- Ti assicuro che è così.

Disse Franky, infastidito dal fatto che i compagni mettessero in dubbio le sue parole.

- Ha ragione lui- disse Nami, indicando lo spadaccino - Conosco Rufy da una vita, praticamente da quando ha preso il mare-

Continuò la ragazza, stizzita. 
Quella discussione era assurda, Franky doveva per forza essersi sbagliato. In alternativa voleva dire che il loro capitano aveva un grosso problema.

- Che vorresti dire?

Chiese Chopper, confuso, passando lo sguardo in modo frenetico dalla ragazza al cyborg.

- Ogni volta che Rufy vede un’isola si mette a fare il matto e insiste per sbarcare subito.

Spiegò Zoro, sospirando. 
Il suo tono era tornato calmo, pacato. Sanji invece si era acceso una sigaretta. Lo spadaccino sembrava avere capito che doveva trattarsi di qualcosa di serio, ma non voleva preoccupare i compagni inutilmente. Avrebbe parlato con il capitano più tardi, da solo. Qualunque cosa avesse questa volta lo avrebbe convinto a tornare quello che era, lasciando da parte i brutti ricordi e le sconfitte. Doveva trattarsi per forza di quello, non c’erano molte altre alternative.

- Sarà, ma questa volta è diverso.

Concluse Franky, scuotendo la testa. 
Usop aprì la bocca per dire la sua, ma venne zittito da Robin che aveva intravisto il capitano che si stava avvicinando. Rufy passò davanti ai compagni senza vederli davvero, senza dire nulla. Sembrava stanco, esausto. Ridotto persino peggio di quando aveva affrontato l’uomo con il piccione, tanto tempo prima.

- Credi che riesco a dormire qualche ora prima che sbarchiamo?

Chiese Rufy, guardando Nami e facendo del suo meglio per ignorare le occhiate preoccupate degli altri. 
Non aveva bisogno di alzare la testa per vedere lo sguardo triste e deluso di Zoro o quello terrorizzato di Usop e Chopper.

Alle parole del capitano gli sguardi dei compagni si fecero ancora più cupi. Il fatto che il ragazzo di gomma fosse disposto a rimandare lo sbarco rendeva quella situazione decisamente più problematica ed oscura. Doveva essergli preso qualcosa, ma nessuno riusciva a capire di che si trattava.

- Bhe, suppongo di si.

Rispose la navigatrice, confusa. 
Era la prima volta che Rufy faceva una richiesta del genere. Di solito il suo problema era l’opposto, vale a dire affrettare lo sbarco anche a costo di arrivare su un’isola sconosciuta in piena notte e senza avere idea dei pericoli nei quali sarebbero incorsi o degli avversari che si nascondevano nell’ombra.

- Non vuoi mangiare qualcosa prima di sbarcare? Non si sa mai cosa troveremo sull’isola.

Insistette Sanji, eccitato all’idea di vedere un posto nuovo ed allo stesso tempo preoccupato per il suo capitano. 
La richiesta di un lauto pasto prima di sbarcare normalmente veniva da lui. Una buona scusa per un pranzo extra.

- Giusto, buona idea.

Esclamò Chopper, cercando di coinvolgere Rufy nell’entusiasmo generale. 
Di fronte al cibo il ragazzo di gomma non diceva mai di no, qualsiasi cosa stesse accadendo.

- Ho una fame da lupi.

Aggiunse Usop, pregustando i manicaretti che il cuoco avrebbe preparato per loro. 
Nei due anni che erano stati lontani Sanji aveva imparato nuove ricette, diventando se possibile ancora più bravo. Ormai si poteva affermare senza paura di sbagliarsi che il miglior cuoco che solcasse i mari navigava con loro. Nei giorni precedenti Rufy aveva insistito perché lui cucinasse tutte le sue specialità, sia quelle vecchie che quelle nuove, per poter stabilire una graduatoria delle migliori. Sanji all’inizio aveva protestato, poi lo aveva accontentato. Anche a lui era mancato parecchio cucinare per i compagni.

- Io potrei suonare qualcosa..

Propose Brook, lasciandosi prendere dall’euforia. 
Nei giorni precedenti ogni sera i ragazzi trovavano un pretesto per fare festa. Era proprio Rufy il primo a proporre un po’ di baldoria, riuscendo alle volte a trascinare con sé anche Zoro. La musica dello scheletro, a volte malinconica ed a volte allegra, aveva sempre accompagnato quelle feste.

- Super, si fa festa!

Esclamò Franky, pregustando la cola che avrebbe bevuto. 
Si trattava di una riserva speciale, una delle migliori di tutti i mari, che aveva messo da parte in quei due anni per poterla bere insieme ai compagni.

- Allora capitano? Cosa vuoi che prepari?

Chiese Sanji, felice che sulla nave fosse tornata la normalità. 
Tutti erano allegri, su di giri. L’unico in silenzio era Zoro. Lo spadaccino non aveva mai smesso di fissare Rufy, ancora immobile nella posizione di prima. Gli altri potevano illudersi che tutto fosse tornato alla normalità, lui sapeva che non era così. Lo conosceva troppo bene.

- Per me nulla, vado a sdraiarmi.

Sussurrò appena il capitano, voltandosi verso le cabine. 
Le sue parole furono come una doccia fredda. Gelarono l’entusiasmo di tutti.

- Non hai fame?

Chiese Robin, preoccupata, prendendo a fissare Rufy con insistenza. 
Il ragazzo si voltò, quasi quello sguardo lo facesse sentire a disagio. Non voleva preoccupare i compagni, ma voleva starsene un po’ da solo. Loro non sapevano tutta la storia, non avrebbero capito.

- Stai male?

Si preoccupò Chopper, pronto ad afferrare la sua borsa per visitare l’amico. 
Rufy sorrise e scosse appena la testa, cercando di tranquillizzare il dottore.

- No, sto bene.

Disse Rufy, sorridendo malinconico, voltandosi verso i compagni che non avevano ancora staccato gli occhi da lui.

- Tranquilli.

Aggiunse vedendo i visi spaventati degli amici. 
Pensò di dire qualche sciocchezza che avrebbe li avrebbe convinti a lasciarlo in pace, ma non gli venne in mente niente. La sua mente era svuotata, pensava solo al giornale che aveva intravisto sulla mensola della cucina di Sanji quella mattina. Era bastata un’occhiata per farlo a sentire perso, smarrito ed inutile. Quelle parole e quelle immagini continuavano a rincorrersi nella sua mente.

- Sei strano capitano.

Dichiarò Sanji alla fine, lanciando lontano la sigaretta ormai consumata.

- Perché?

Chiese Rufy, ingenuamente, fissando intensamente il cuoco.

- Beh, non mangi per prima cosa.. E non insisti nemmeno per sbarcare.

Rispose Sanji, pensieroso. 
Non riusciva proprio a capire cosa gli fosse preso. Solo la sera prima rideva e scherzava, persino quella notte aveva fatto il suo solito macello parlando addirittura nel sonno. Quella mattina poi, improvvisamente, era diventato strano. L’ombra di se stesso. Prima era sparito, poi era ricomparso solo per dire ai compagni che voleva stare solo senza spiegare altro. Se c’era una spiegazione logica dietro a tutto questo, a lui sfuggiva. Sembrava solo una cosa assurda ed insensata.

- È quasi sera, forse è meglio aspettare domani mattina. Nami, cosa dici?

Mormorò Rufy, voltandosi verso la ragazza che fissava la scena incredula. 
Solo in un sogno sarebbe potuta accadere una cosa del genere. La navigatrice fissò il capitano e nei suoi occhi non trovò il solito entusiasmo, ma solo tanta preoccupazione. Se non avesse conosciuto meglio Rufy avrebbe detto che l’idea di sbarcare lo terrorizzava.

- Credo di si..

Balbettò la navigatrice, interdetta, cercando l’aiuto dei compagni. 
Sbarcare con il buio era certamente un azzardo, ma mai prima si erano posti un problema del genere. Anzi, di solito la parte difficile era costringere quella massa di teste dure alla prudenza. Per la prima volta il suo capitano si stava comportando in modo assennato, mettendo al primo posto la sicurezza ed il bene della ciurma. Lei in quanto navigatrice avrebbe dovuto esserne felice, invece era solo preoccupata. Come gli altri, del resto.

- Bene, è deciso. Vado a sdraiarmi, Sanji dopo mi cucini qualcosa?

Chiese ancora Rufy, stringendo la mano sulla maniglia della porta della cabina che divideva con gli altri ragazzi.

- Si, certo.

Rispose Sanji, confuso quanto i compagni.

- Grazie.

Mormorò il capitano, sparendo dalla vista della ciurma. 
I ragazzi si guardarono tra loro, increduli. Quello che era appena accaduto era assolutamente assurdo, senza senso. Probabilmente se avessero dovuto raccontarlo a qualcuno non avrebbero saputo da che parte iniziare.

- Forse vuole solo essere lasciato un po’ in pace.

Suggerì Robin, alzando le spalle. 
Il comportamento di Rufy le era parso strano, ma era evidente che c’era qualcosa sotto. Doveva essere successo qualcosa, forse quella mattina, che era sfuggito a tutti loro. Il capitano prima di colazione aveva gettato un’occhiata al giornale e magari vi aveva intravisto qualcosa che lo aveva preoccupato. I ragazzi annuirono appena. Nessuno di loro sembrava davvero convinto, tuttavia decisero che doveva essere così. Dopo tutto avevano pochi elementi per poter capire quello che passava nella testa del capitano. Forse si trattava solo di una giornata storta.

Nessuno vide Rufy fino a sera, neppure per cena. Decisi a non disturbarlo, i ragazzi finirono con il dedicarsi alle loro solite attività fingendo che tutto fosse normale. Solo Zoro rimase sul ponte, deciso a parlare a Rufy ad ogni costo. Era il suo vice, toccava a lui prendersi la responsabilità dei compagni e di affrontare quel discorso.

- Ehi capitano..

Chiamò lo spadaccino, vedendo il cappello del ragazzo di gomma comparire dalla porta. 
Alle parole del suo secondo Rufy si bloccò per qualche istante, valutando l’idea di tornare dentro. Sicuramente Zoro avrebbe insistito per parlare con lui e testardo come era avrebbe finito con il capire facilmente ogni cosa.

- Anche tu sei preoccupato per me?

Chiese Rufy, innocentemente, avvicinandosi al compagno che era appoggiato alla balaustra del ponte. 
Le tre spade gli pendevano dal fianco, avvolte con cura nei loro foderi.

- No, ma dovresti davvero mangiare qualcosa.

Mormorò Zoro, nascondendo a mala pena la sua preoccupazione. 
Doveva arrivare al centro del problema per gradi. Rufy era ingenuo, ma anche testardo. Era lui a dover parlare, non Zoro a metterlo alle strette. Non avrebbe ottenuto nulla, altrimenti.

- Più tardi..

Sospirò il capitano, voltandosi verso il mare per sfuggire allo sguardo indagatore di Zoro. 
Lui capiva tutto, sempre. Forse sapeva già tutto, ma fingeva e aspettava. Sapeva che di lì a poco lui avrebbe finito con il cedere.

- Credo che Sanji impazzirà prima.

Insistette lo spadaccino, sorridendo appena. 
Una scenata del cuoco sarebbe anche stata divertente, ma non era sicuro che Rufy l’avrebbe apprezzata come al solito nello stato in cui si trovava.

- Se non sei preoccupato, perché sei qui?

Chiese Rufy, spazientito, voltandosi verso il suo vice. 
Andare dritti al punto, senza girarci intorno, era una cosa che aveva imparato proprio da lui. Ancora una volta Zoro sorrise, alla fine il capitano aveva perso la pazienza. Stava per raccontargli tutto.

- Vuoi parlarne?

Chiese Zoro, discreto come al solito. 
Rufy sospirò, non si poteva nascondere nulla all’amico. Aveva bisogno di parlare con qualcuno e lo spadaccino era discreto abbastanza per ascoltare le sue preoccupazioni senza peggiorare le cose.

- Credevo di averlo superato, davvero, invece..

Sospirò Rufy, alzando gli occhi al cielo per nascondere le lacrime che sentiva scendere lungo le sue guancie.

- Invece passa un anno, ne passano due ma tu ci stai male ancora come quando la persona a cui volevi bene ti ha lasciato.

Completò Zoro per lui. 
Rufy sospirò, ed annuì. Doveva avere letto il giornale, oppure semplicemente ricordava che la notizia della morte di Ace Pugno di Fuoco era stata data proprio in quel giorno. Erano passati due anni precisi da che Ace gli era morto tra le braccia e quella stupita cicatrice non faceva altro che ricordarglielo. Il sole era sorto e tramontato per settecentotrenta volte, eppure il dolore era ancora tutto lì come il primo giorno. Una semplice occhiata ad un titolo dai caratteri cubitali che celebrava quella tragedia aveva avuto il potere di farlo sentire di nuovo piccolo, stupido e debole. Persino il medaglione che gli aveva dato Keira gli pesava al collo. Lo avrebbe volentieri buttato via, lontano, magari in mare, ma temeva la reazione della ragazza. Mai contrariare una donna gli aveva detto una volta Ace, specie se ha dei poteri di cui non conosci la natura.

- Lo ha fatto per me, voleva difendermi..

Mormorò Rufy, singhiozzando piano. 
Non voleva che il compagno capisse che stava piangendo. Lui era il capitano, doveva essere forte. Zoro si avvicinò appena, lasciando tuttavia qualche metro tra loro.

- Che differenza fa perché è morto?

Chiese Zoro, alzando le spalle. 
Rufy si fermò a riflettere e si trovò a dare ragione allo spadaccino. Se Ace fosse morto per un raffreddore o per un incidente del quale nessuno avesse avuto colpa sarebbe stato lo stesso, forse peggio. Almeno così gli restava la vendetta. Prima o poi avrebbe ucciso quell’ammiraglio, facendogli pagare quel colpo che aveva messo fine alla vita del suo adorato fratello maggiore.

- Tu come hai fatto a non soffrire più?

Chiese Rufy, dopo un po’ che i due erano in silenzio. 
Zoro non rispose subito, rimase per un po’ a pensare. Quella era una strana domanda, che nessuno gli aveva mai fatto. Forse non aveva mai smesso di soffrire per la morte della sua amica, oppure semplicemente aveva preso a non farci più caso.

- La mia promessa. Quina non sarà veramente morta fino a che io non mi arrendo e smetto di seguire il mio sogno.

Raccontò lo spadaccino, parlando di sé come non aveva mai fatto prima.

Per un po’ i due rimasero in silenzio, ognuno immerso nei propri ricordi. Fu il ragazzo di gomma a rompere quell’incanto carico di sofferenza.

- Ho paura, Zoro.

Confessò Rufy alla fine, mentre Sanji si univa alla conversazione in modo discreto. 
Senza dire nulla il cuoco appoggiò un piatto di fronte al proprio capitano e si accese una sigaretta, soffiando il fumo nella direzione opposta. Zoro non disse nulla, lasciando che il capitano avesse il tempo di sfogarsi ancora per qualche minuto.

- Dovresti mangiare qualcosa.

Disse alla fine. 
Rufy lo ignorò e andò avanti.

- Vorrei fare l’idiota come al solito, scendere ed esplorare questa maledetta isola ma ho paura che se lo farò allora succederà qualcosa di brutto a qualcuno di voi,  ed io non sarò in grado di proteggervi.

Continuò Rufy, lo sguardo fisso al pavimento. 
Non riusciva a guardare negli occhi i suoi due compagni perché sapeva di averli delusi. Nessuno avrebbe voluto un capitano che ammetteva le sue paure, passando così per idiota.

- Come non hai protetto tuo fratello?

Chiese Sanji, pensieroso, ripensando a quello che diceva il giornale.

- Proprio così. Ace è morto, Sabo è morto.. Siete voi la mia famiglia ora.

Disse alla fine il capitano, prendendosi la testa tra le mani. 
Quel pensiero lo faceva stare male e bene allo stesso tempo. Aveva perso Ace e Sabo, ma aveva ancora qualcosa. Una famiglia, dei compagni da difendere. Quello che non sapeva era se sarebbe riuscito a proteggerli. L’idea di fallire ancora e di perdere anche loro lo rendeva uno straccio.

- Anche io ho paura, capitano.

Disse il cuoco, cogliendo il capitano e lo spadaccino di sorpresa.

- Io ho paura di un sacco di cose.

Ammise Zoro, inclinando appena la testa. 
Al riparo dal resto del mondo, nascosti dalla luce della luna i tre guerrieri avevano alla fine trovato il coraggio di essere sinceri almeno con se stessi, confessando i propri timori ai compagni di lotta.

- Ti guardi intorno, vedi tutto così grande e ti senti lontano anni luce dal tuo sogno.

Continuò Sanji, accendendosi subito una seconda sigaretta.

- Proprio così.

Annui lo spadaccino, senza fare commenti. 
In quel momento Sanji non era un suo rivale da deridere ma un compagno da appoggiare e sostenere.

- E poi? Che fate quando state così?

Alzando lo sguardo sui due compagni, aspettando con ansia una risposta che potesse aiutarlo a stare meglio.

- Mi ricordo che anni fa stavo per morire, ed un ragazzino mi ha salvato. Mi hai dato un nuovo motivo per andare avanti, per apprezzare la vita. Ho trovato degli amici, una famiglia. Non avrei creduto che uno come me potesse essere adatto a fare il pirata in una ciurma, sai..

Spiegò Zoro sorridendo, fissando negli occhi Rufy. 
Il ragazzo di gomma in quello sguardo vide gratitudine, commozione e vi trovò una famiglia. Un silenzioso fratello che gli era sempre stato accanto fin dal primo giorno.

- Fatico a crederlo anche io..

Commentò Sanji, ironico, riferendosi alla scelta di Zoro di cercare dei compagni.

- Hai da dire?

Sbottò Zoro, deciso a non farsi mettere i piedi in testa dal cuoco. 
Non in un momento simile e davanti al suo capitano. Per un breve istante i due sembrarono pronti a iniziare una delle loro infinite discussioni, ma poi abbandonarono entrambi l’idea.

- Zitto, idiota. Ad ogni modo, ha ragione lui. Noi guardiamo te per andare avanti. Ci hai insegnato a non combattere solo per noi stessi, ma anche per difendere gli amici. Anzi, i fratelli.

Disse Sanji, lanciando lontano la sigaretta ormai finita. 
Rufy fissava i due compagni attonito, senza sapere cosa dire. Il bene che provava per loro non si riusciva ad esprimere con le parole. Nulla sarebbe bastato.

- Grazie, ragazzi.

Mormorò Rufy, commosso. 
Non sapeva che altro dire, per la prima volta nella sua vita era senza parole. O forse, non c’erano altre parole davvero necessarie in quel momento.

- Mangia, si sta raffreddando la cena.

Si raccomandò Sanji, sospirando ed indicando al proprio capitano un piatto di minestra fumante. 
L’aveva preparato con cura, per lui. Accanto al piatto c’era un grosso cosciotto. Rufy guardò entrambe le pietanze e si illuminò. Come al solito Sanji era il migliore.

- È buona lo stesso.

Rispose Rufy, alzando le spalle. 
I due compagni videro che sorrideva. Finalmente era tornato il solito capitano di sempre. In pochi istanti pulì il piatto e si voltò verso Sanji, bramoso, chiedendone ancora. Il cuoco sospirò e riempì ancora il piatto del capitano.

- Vuoi aspettare domani per sbarcare?

Chiese Zoro, pensieroso, mentre Rufy continuava imperterrito a mangiare.

- Neanche per sogno. GENTE, SI SBARCA!

Urlò Rufy ancora con la bocca piena, ignorando il fatto che era notte e che molto probabilmente gli altri erano già andati a letto. 
Sanji e lo spadaccino sorrisero, si strinsero nelle spalle e si prepararono a seguire il capitano nella sua esplorazione. Non potevano di certo lasciarlo solo. La mattina successiva gli altri si sarebbero preoccupati e forse anche arrabbiati, ma andava bene così. In fondo tutti sapevano quanto fosse incosciente Rufy.

-Tu non vieni con noi?

Chiese Zoro, voltandosi verso il cecchino che aveva ascoltato tutta la conversazione nascosto dietro l’albero maestro. 
Sanji e Rufy si voltarono di scatto verso l’amico, imbarazzato per essere stato sorpreso a spiare i compagni.

- Ehi, Usop.. Da quanto sei lì?

Domandò Rufy, ingenuamente, fissando intensamente il suo migliore amico. 
Non era arrabbiato, solo stupito.

- Da un po’..

Rispose il cecchino, fissando le assi della nave nelle speranza che queste si aprissero per inghiottirlo e toglierlo così da quella situazione tanto imbarazzante. 
Si sentiva sporco, quasi un ladro. Aveva origliato tutta la conversazione senza trovare il coraggio di avvicinarsi. Che poteva dire uno come lui?

- Beh, avresti potuto parlare.

Commentò Sanji, serio, raccogliendo i piatti della cena del capitano.

- Non hai ancora risposto, vieni con noi?

Ripeté Zoro, tranquillo. 
Il cecchino sembrò stranito da quella domanda.

- Cosa centro io? Non sono nemmeno lontanamente forte, coraggioso e determinati come voi. Io sono un codardo, un buono a nulla..

Mormorò Usop, senza staccare gli occhi dal pavimento.

- Smettila di dire idiozie. Ti sei dimenticato di tutte le volte che ci hai salvato la pelle?

Lo zittì Sanji, trascinandolo insieme a loro giù dalla nave. 
Nessuno dei tre oppose resistenza. Zoro era zitto, come sempre, Rufy rideva ed Usop piangeva di gioia. Una bella squadra, tutto sommato. Nami fissava i tre compagni ai quali si era appena aggiunto Usop da lontano, sorridendo. Non poteva sapere cosa si stessero dicendo, ma sicuramente le parole di Sanji e Zoro avevano fatto stare meglio Rufy, che adesso sorrideva. Usop invece sembrava imbarazzato come suo solito. Probabilmente doveva essersi messo in una situazione strana.

La ragazza rimase per un po’ a pensare se andare o meno da loro. Quando aveva aperto il giornale aveva capito cosa turbava Rufy: la morte del fratello maggiore. Subito ne aveva parlato con i compagni, indecisa sul da farsi. Zoro era uscito dalla stanza, borbottando qualcosa tra sé. L’articolo che aveva letto conteneva un’intervista di un abitante dell’isola da cui proveniva Rufy nel quale si parlava dell’infanzia del loro capitano. Nami aveva così scoperto l’esistenza di un terzo fratello, morto tanti anni prima, di cui Rufy non aveva mai parlato. Leggendo quella notizia Nami aveva iniziato a piangere silenziosamente. Doveva essere triste essere l’ultimo sopravvissuto di tre fratelli, ma almeno il capitano adesso era di nuovo felice. Anche Robin aveva letto a lungo il giornale, sfogliando nervosamente le pagine senza dire nulla. Ad un certo punto la ragazza era anche impallidita, ma non aveva voluto dare spiegazioni ai compagni.

La mattina successiva la prima cosa che notarono i ragazzi appena svegli fu l’innaturale silenzio e la strana sparizione della colazione. Nessun rumore proveniva dalla cucina, né nessun odore invitante che lasciasse pensare che Sanji stesse preparando la colazione.

- Allora, tutti pronti a sbarcare?

Chiese Chopper, guardandosi intorno frenetico. 
Il ponte era stranamente vuoto e silenzioso e per di più sembravano scomparsi alcuni dei loro compagni. Non vi era traccia del loro chiassoso capitano, ne dello spadaccino perennemente addormentato, del cecchino bugiardo o del cuoco marpione. Che fine potevano avere fatto tutti e quattro?

- Ma sono spariti tutti?

Chiese la piccola renna, guardandosi intorno deluso. 
Dopo la tristezza che si respirava il giorno prima si era aspettato come minimo un po’ di entusiasmo. Certo, l’umore del capitano  non era alle stelle ma loro stavano lo stesso per sbarcare in un posto da sogno.

- A quanto pare..

Commentò Franky, stupito, guardandosi intorno meglio. 
All’appello oltre a Rufy mancavano anche Sanji, Zoro, Nami ed Usop. Neanche la ragazza si era ancora fatta viva.

- Scendiamo?

Chiese Nami, comparendo dalla sua cabina e gettando la scala oltre la fiancata. 
Era seria, tesa, quasi stesse pensando ad altro.

- E gli altri?

Protesto Chopper, preoccupato, continuando a guardarsi intorno. 
Aveva chiamato gli amici molte volte, senza ottenere risposta. Dove potevano essere finiti?

- Sono andati avanti.

Rispose Nami, tranquilla. 
I compagni guardarono la navigatrice. Sembrava sapere quello che stava dicendo, così decisero di fidarsi di lei. Visto che di Rufy e Zoro non c’era traccia il comando era passato a lei.

- I soliti idioti.

Sussurrò Franky, scuotendo la testa.

- Almeno il capitano si è ripreso.

Commentò Brook, allegro.

- Pare di sì.

Commentò Nami, asciutta, guardandosi intorno. 
Vista dalla nave la grotta non sembrava particolarmente grande, eppure una volta entrati nell’interno dovettero ricredersi. Pochi metri più avanti si snodava un infinito ed intricato dedalo di cunicoli, alcuni enormi altri più piccoli. Uno spettacolo da sogno. Trovare i compagni non fu certo difficile. Bastò seguire l’odore di cibo per trovare uno spiazzo dove Sanji aveva preparato una abbondante colazione. Non appena li scorse iniziò a saltare, attirando la loro attenzione ed indicando una lunga serie di dolci che aveva preparato per le sue belle. Tutti iniziarono subito a mangiare, tranne Nami. La ragazza aveva una cosa da fare, prima della colazione.

- Ehi Rufy..

Disse Nami, avvicinandosi al capitano. 
Il ragazzo, troppo preso dal cibo, non la sentì nemmeno. Continuò a mangiare, ignorando la presenza della ragazza.

- Brutto idiota, mi hai sentito?

Urlò la ragazza, scuotendo il compagno con violenza. 
Il ragazzo non fece un piega. Appoggiò la fetta di torta che teneva in mano, si voltò e fissò la compagna a lungo, perplesso di trovarla lì a quell’ora insieme al resto della ciurma.

- Scusa Nami.

disse Rufy con fare innocente, avvicinandosi alla ragazza

- Sei ancora arrabbiata con me?

Aggiunse il capitano, con un’espressione colpevole. 
I compagni lo guardavano, tenendo il fiato, in pena per lui. La reazione di Nami poteva essere terribile, loro lo sapevano bene.

- No, volevo solo parlarti un po’.

Rispose Nami, calma, sorridendo. 
Il resto della ciurma di stranì di questo improvviso cambio di umore. Di solito quando era arrabbiata con qualcuno la navigatrice lo restava a lungo, facendo patire al poveretto le pene dell’inferno.

- Sto bene Nami, te lo assicuro.

Mormorò Rufy, parlando ad alta voce. 
Voleva che anche gli altri sentissero, era stanco dei segreti. Parlare con Sanji e Zoro gli aveva fatto veramente bene. Aveva chiuso un capitolo doloroso della sua vita. I suoi fratelli erano morti, ripensare a loro e torturarsi non li avrebbe riportati da lui. Doveva rassegnarsi, sorridere e guardare avanti pensando al bene dei suoi compagni, la sua nuova famiglia.

- Sai.. Ho letto il giornale, anche gli altri a dire il vero.

Continuò la ragazza, giocando con una ciocca dei lunghi capelli. 
Era nervosa, non sapeva come avrebbe preso quell’informazione Rufy. Forse avrebbe urlato che non erano fatti loro, oppure sarebbe caduto un’altra volta in depressione.

- Davvero? Io non lo leggo mai.. ieri però mi ci è caduto un occhio per sbaglio..

Rispose lui, alzando le spalle. 
Non sembrava arrabbiato, né distrutto. Solo indifferente. Nami sapeva bene che si trattava una maschera, ma non capiva che cosa mascherasse. Dolore o rabbia?

- C’era un’intervista in cui si parlava di te, di Ace e di.. Sabo.

Continuò Nami, incerta. 
Rufy prese a fissare il pavimento, senza dire nulla. Il suo respiro era regolare, nulla faceva pensare che fosse agitato o arrabbiato.

- Perché non ce ne hai mai parlato? Di Sabo dico..

Mormorò Nami, attenta a scegliere con cura le parole. 
Rufy sospirò e rimase in silenzio un momento. Sembrava stesse cercando le parole.

- Non c’era nulla da dire. È morto.

Rispose Rufy, alzando le spalle. 
Sembrava tranquillo, quasi rassegnato. Non c’era traccia della disperazione del giorno precedente.

- È strano, voglio dire.. Dragon è uno dei maggiori ricercati del mondo. È già strano che abbia avuto un figlio, tre addirittura.. è incredibile..

Esclamò Franky, sorpreso. 
Quel pensiero gli girava in mente da quanto aveva letto la notizia. Anche Robin lo trovava assurdo, poi si era ricordata che Ace era figlio di Gol D Roger. Probabilmente anche Sabo non doveva essere il figlio di Dragon, oppure non si sarebbe potuta spiegare la tranquillità dipinta sul volto di quell’uomo quando lo aveva incontrato. Chi perde un figlio non è così tranquillo, al contrario, è disperato. Non vi era traccia di quella silenziosa disperazione sul viso di Monkey D Dragon. La cosa che l’aveva lasciata interdetta, tuttavia, non era certo quella. Nell’ultima pagina del giornale c’era l’intervista ad un vecchio oste di Logue Town, che giurava che Pugno di Fuoco era vivo e che viaggiava con una donna. La marina l’aveva bollata come voce senza senso, eppure quel vecchio non sembrava del tutto fuori di testa. Il nome Sabo, inoltre, non le sembrava nuovo, doveva averlo già sentito solo non ricordava dove.

- Non avevamo nessun legame di sangue.

Spiegò Rufy, alzando le spalle. 
La spiegazione sorprese i compagni, tranne Robin. Improvvisamente la ragazza ricordò: era un rivoluzionario cacciato dall’armata, forse lo aveva addirittura intravisto. Possibile che si trattasse della stessa persona e che il fratello di Rufy, incredibilmente, fosse ancora vivo? Forse lo stesso doveva valere per Ace, in fondo la marina era nota per fare girare voci false. Quell’idea la sconvolse, tanto che decise di tenerla per sé. Non aveva ragione di turbare ulteriormente il capitano, senza prove.

- Che differenza fa?

Chiese Usop, alzando le spalle. 
Nemmeno loro avevano legami di sangue, eppure navigavano insieme. Non erano parenti, eppure avrebbero volentieri dato la vita uno per l’altro senza pensarci troppo su. Un fratello di sangue è la famiglia che ti trovi, un amico è quella che vuoi, che ti scegli e che sei pronto a difendere con il sangue.

- Per me nessuna, il mondo però non ci prendeva sul serio.

Rispose il capitano, fissando il vuoto. 
Si poteva percepire chiaramente la malinconia nella voce del capitano, insieme ad una voglia di andare avanti che prima non c’era.

- So di che parli.

Mormorò Nami, sorridendo tristemente. 
Il suo pensiero andò a Nojiko, solo nella loro vecchia casa. Alcune volte le capitava di pensarla, addirittura di sognarla. Ogni volta la vedeva sorridente, impegnata con il campo di mandarini. Quando si svegliava, poi, era triste e malinconica. L’avrebbe voluta più vicina, magari sulla nave insieme a loro.

- Ti senti solo? Senza loro due..

Chiese Chopper, con le lacrime agli occhi. 
Lui aveva sempre voluto una famiglia, dei fratelli. Doveva essere triste per Rufy avere perso tutto questo a causa della cattiveria del mondo. Era straordinario, tuttavia, che nonostante questo lui trovasse ancora la forza di ridere e di guardare al futuro con ottimismo. Anche per questo aveva così tante fede nel suo capitano. Lo avrebbe seguito ovunque, anche in capo al mondo.

- Ogni tanto, ma ora è diverso.

Rispose Rufy, voltandosi verso Zoro, Sanji e Usop. 
I tre sorridevano. Solo loro riuscivano a capire fino in fondo di cosa stava parlando il capitano.

- Che vuoi dire?

Chiese Brook, stranito, guardando alternativamente i compagni.

- Ci siete voi, non permetterò più a nessuno di farvi del male. Non posso promettere una vita tranquilla, ma farò del mio meglio.

Disse il capitano, sorridendo. 
Aveva parlato sorridendo, determinato. La sera prima aveva chiuso un capitolo della sua vita. Ace e Sabo erano stati importanti per lui, ma ora erano il passato. Il suo presente ed il suo futuro era la sua ciurma, tutto qui. Non avrebbe più permesso alla sua mente di tormentarlo con i ricordi di quando era bambino, né al suo cuore di essere triste per i suoi fratelli. Sarebbe andato avanti per la sua strada, senza più pensare ad Ace e Sabo. Doveva guardare in faccia la realtà: erano morti, non aveva senso cercare il loro viso in ogni sconosciuto che incontrava. Chi è morto non può tornare.

- Non vogliamo una vita tranquilla, vogliamo vivere tante avventure con te. Provare l’emozione del vento tra i capelli, il brivido dell’ignoto. Seguirti in pericolose imprese ed affidarci completamente a te, sicuri che troveresti un modo per risolvere la situazione.

Esclamò Nami, decisa, fissando Rufy negli occhi. 
Il ragazzo sospirò. Ancora una volte le parole dei suoi compagni lo avevano scosso.

- Potremo essere attaccati dalla marina o dal governo mondiale in qualsiasi momento.

Ricordò Rufy, sbuffando. 
La paura di perderli era tanta, ma doveva farsi forza.

- Combatteremo al tuo fianco, so che tu ci proteggerai da ogni pericolo.

Disse Robin, sicura. 
Aveva sfidato il governo già una volta, per lei. Lo avrebbe fatto ancora in caso di bisogno. Tutto per i suoi compagni. Erano una cosa sola, una famiglia.

- Potrei essere colui che vi farà arrabbiare per colpa della mia imprudenza.

Protestò ancora Rufy, cercando di metterli in guardia da quello che sarebbe potuto accadere loro proseguendo quello strampalato viaggio insieme a lui.

- Saresti di sicuro anche colui che poi mi farebbe ridere.

Ribatté Usop, deciso a non dargliela vinta.

- Ragazzi, io..

Protestò Rufy, messo alle strette.

- Allora, vogliamo andare a vedere questa grotta oppure no?

Esclamò Sanji, buttando via la sigaretta e chiudendo il discorso. 
Il capitano sorrise e si lanciò nel buio della foresta, seguito dai compagni. 

ANGOLO DELL'AUTRICE
Grazie mille a tutti coloro che sono arrivati a leggere fino a qui.. come al solito mi sorprendete e mi date la voglia di andrare avanti. piccola informazione di servizio: in questa settimana avevo qualche giorno libero, quindi ho postato parecchio. da lunedì si riprendono i soliti impegni, quindi vi toccherà sopportare i miei eterni ritardi. Mi spiace davvero tanto! per ora, tuttavia, godetevi il momento! un grazie particolare va a tutti coloro che hanno commentato l'ultimo capitolo di 3D2Y. è sempre triste quando una storia arriva ad essere completa, ma è stupendo che vi sia piaciuta così tanto. ultimamente ho anche riletto "Inseguirsi lungo i sentieri del destino" e non vi nascondo che mi sta passando per la mente l'idea di pubblicare un seguito.. non so.. vedremo..

niki96: grazie mille per le tue parole!  rufy, a differenza dei fratelli ha perso le speranze di trovarli vivi.. almeno per adesso.. chissà, forse nei prossimi capitoli Robin potrebbe fargli cambiare idea!

Vale2910: grazie mille! il personaggio dell'oste non è una mia invenzione, è il vecchio che Rufy incontra a Lugue Town nell'anime. nella storia gli si da poco spazio, ma mi affascinava l'idea che in una città così grande ci fosse un posto che facesse da connettore tra uomini, mondi ed epoche diverse.

Tre 88: grazie mille! trovare una nave non sarà semplice. va bene un log pose, ma non credo che qualcuno abbia una nave che gli avanza nel taschino della camicia..
Sabo ed Ace non possono incontrarsi, ricordati che la storia è sfalsata di sei mesi: Sabo è arrivato da Kaja quando Ace era già partito con Nojiko. inoltre, se si trovavano subito che gusto c'era? ti anticipo una cosa.. il luogo del prologo potrebbe essere una grotta.. chissà!  la storia del log pose me la sono inventata io, una scusa per far capitare i due dal vecchio oste e fargli scoprire che Ace e Rufy sono vivi.

Brando: Grazie mille!!! decisamente l'umore di Sabo ed Ace è migliorato.. hanno appena scoperto che non sono del tutto soli al mondo! la storia dello sfalsamento temporale manda in confusione, ma se ti dico dove sono Ace e Sabo due anni dopo che gusto c'è? mettiamola così, i due fratelli maggiori conoscono bene la Rotta del Grande Blu e potrebbero addirittura aver superato l'isola degli uomini pesce, oppure avrebbero potuto essere ancora indietro.. chissà..

Katy93: Ho idea che questo intrecciarsi aumenterà la confusione generale, ma va bene lo stesso. questa storia mi piace anche per questo. sotto molti punti di vista è una sfida anche per me. il ciondolo come il bracciale? hai detto tutto tu.. :D

Gol D Ann: grazie mille e complimenti per il nick! sono felice che la storia sia di tuo gradimento. spero di continuare ad affascinarti anche nei prossimi capitoli!

Kuruccha: grazie mille per il commento! non ti preoccupare per il ritardo.. sicuramente io non posso dirti nulla! :D da questo capitolo in poi le vicende dei personaggi si intrecceranno sempre di più, specie quelle di Ace e Sabo. i due fratelli stanno facendo lo stesso viaggio a distanza di qualche mese, è normale che trovino tracce del passaggio dell'altro.

Al prossimo, ed intricatissimo, capitolo!

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Capitolo 9
*** altri incontri ***


CAPITOLO 8
ALTRI INCONTRI 

Sei mesi dopo gli eventi di Marineford

Ace uscì dalla locanda decisamente più scosso di quando era arrivato su quell’isola. Lì si aspettava di trovare solo lo spettro del suo vero padre, non certo notizie sul suo fratellino. In lontananza gli pareva quasi di sentire la risata del vecchio che doveva fissarlo allontanarsi dalla porta, trattenuta a stento. Il pirata decise di non farci caso ed iniziò ad incamminarsi con il cappuccio ben calcato a coprire il volto. Aveva parecchio su cui riflettere, possibilmente senza la marina tra i piedi. Era partito insieme a Nojiko senza speranze ed alla ricerca di un nuovo inizio, adesso era deciso a continuare quel viaggio per trovare delle risposte. Rufy era ancora vivo, doveva per forza essere così. Quel pensiero lo mise di buon umore. Ad ogni passo che faceva ne era sempre più convinto. Come pezzi di un intricato puzzle, ogni dettaglio trovava la sua collocazione. Qualcuno dall’alto, forse proprio lo stesso Sabo, aveva deciso di mettersi del suo per frenare l’elenco di catastrofi che avevano colpito la sua vita. Certo, per il vecchio Barbabianca non c’era più niente da fare, ma poteva rimediare a gran parte dei suoi errori facendo si che il suo fratellino realizzasse il suo sogno. Dopo l’imperatore, solo Rufy era degno di ambire ad un obiettivo come il titolo di Re dei Pirati.

Ace vagò per la città come un fantasma, tenendo la testa bassa e fissa sulla strada che aveva di fronte a sé. Non voleva incontrare nessuno, né caotici bambini né boriosi pirati o peggio giovani reclute impazienti di dimostrare il loro valore. Solo quando si fece buio il ragazzo ricordò di dover tornare al porto dove Nojiko probabilmente lo stava aspettando da un sacco di tempo. Non ci mise molto a scorgerla, seduta su una panchina malmessa. Era decisamente irritata, sul punto di andare su tutte le furie. Sorrise appena, senza quasi darlo a vedere. Era davvero identica a Nami.

- Alla buon ora. Non sai proprio cosa sia la puntualità, tu.

Sbottò la ragazza, mascherando con toni offesi la sua preoccupazione. 
Ogni minuto che passava si faceva sempre più largo la paura che Ahanu avesse potuto fare un’altra delle sue pazzie, venendo meno alla parola data.

- Che?

Chiese Ace, alzando la testa sorpreso. 
Nojiko lo fissò, attenta. Sembrava si fosse appena riscosso da un sogno ma era quasi impossibile dire se si trattava o meno di un incubo. Nonostante lo sguardo perso, sembrava stare bene. Doveva avere vagato senza meta per tutto il tempo, perdendosi a ricordare il suo passato. A lei non aveva raccontato nulla, ma era evidente che ci pensava sempre. Una persona che è arrivata a tentare di togliersi la vita non smette di pensare da un giorno all’altro a ciò che lo fa stare male.

- Lascia perdere, allora?

Continuò la ragazza, insofferente. 
Il suo sguardo era ancora fisso sul pirata, più confuso che mai. Ace sentiva di essersi perso qualcosa, ma non riusciva a capire con esattezza di che cosa si trattava.

- Non capisco..

Disse il compagno, guardandosi intorno. 
Non c’era nessun tipo sospetto nei paraggi, eppure Nojiko non faceva che voltarsi da una parte all’altra quasi si aspettasse qualcosa di improvviso e di spiacevole. Il pirata guardò con attenzione, eppure non scorse nessuna bandiera pirata né tanto meno gruppi di marine pronti a catturarli. Qualsiasi cosa preoccupasse la ragazza, doveva essere di altra natura.

- Il viaggio, il log pose e la nave. Ti sei dimenticato di tutto quanto?

Chiese la ragazza, scuotendo la testa. 
Più passava il tempo, più si convinceva che Ahanu era la persona più distratta sulla faccia della terra. Persino Rufy, il buffo capitano della sorella, non era arrivato a raggiungere quei livelli. Nojiko ci pensò su, scettica, poi scosse la testa. Effettivamente forse il ragazzo di gomma era ancora più distratto, tuttavia il suo compagno di avventura veniva subito dopo in quella strana ed assurda lista di sbadati.

- Scusa, avevo la testa altrove.

Mormorò Ace, sospirando. 
Avrebbe voluto condividere i pensieri con la ragazza, ma sarebbe servito solamente a preoccuparla di più. La sua storia lo avrebbe intristito e avrebbe solamente peggiorato l’umore di Nojiko ed i suoi nervi, già abbastanza compromessi dalla misteriosa sparizione della sorella. Nami, come il resto dell’equipaggio di Rufy, infatti, risultava scomparso. Secondo il giornale e le riflessioni del vecchio oste doveva essere successo qualcosa a Sabaody, prima che il ragazzo di gomma prendesse la decisione di raggiungere il fratello maggiore ad Impel Down per cercare di salvarlo. Per Ace quella versione aveva senso, in particolare perché non aveva visto nessuno dei compagni del fratello a Marineford. Questo dettaglio lo aveva preoccupato da subito: quei ragazzi erano troppo affezionati al loro capitano per avergli voltato le spalle, persino davanti ad un’impresa tanto folle. Senza contare le strane alleanze che Rufy aveva stretto ad Impel Down che lo avevano portato a lottare al fianco di Crodile, un uomo che lui stesso aveva contribuito a sbattere al fresco. Se i compagni del fratello fossero stati presenti non avrebbe mai avuto bisogno di fare una cosa tanto assurda e pericolosa.

- Il log pose l’ho trovato, la nave ancora no.

Continuò il ragazzo, concentrandosi sui dettagli tecnici del loro viaggio e lasciando perdere le sue riflessioni. 
Camminare gli aveva schiarito le idee: non avrebbero certo trovato Rufy né tanto meno Nami se non si fossero mossi da lì.

- Questo è un bel problema.

Sbuffò Nojiko, preoccupata. Il suo volto si fece più scuro e preoccupato.

- Possiamo dare un’occhiata domani.

Suggerì Ace, stranito da quell’improvviso cambio di espressione. Lei scosse energicamente la testa e strinse forte i pugni.

- È in arrivo una grossa tempesta. Se non partiamo stasera stessa dovremo aspettare delle settimane.

Spiegò la ragazza, senza nascondere la sua agitazione. 
Era stata Nami ad insegnarle come fare previsioni attendibili. A Nojiko non era mai piaciuto molto, né si era mai dimostrata particolarmente portata, ma aveva sempre fatto di tutto per accontentare la sorella. Non sapeva molto, solo qualche trucco per stupire i suoi concittadini e per badare al suo frutteto. In quel caso, tuttavia, quelle lezioni le erano tornate piuttosto utili. Doveva ricordarsi di ringraziare Nami, non appena l’avesse incontrata.

- Dannazione.

Imprecò Ace tra i denti, una tempesta in quel momento era davvero una grande seccatura. Li avrebbe rallentati e avrebbe reso tutto dannatamente complicato.

- Che si fa?

Chiese la ragazza, sulle spine. 
L’altro ci pensò un po’ su, considerando tutte quante le possibilità a loro disposizione. Alla fine concluse che non avevano molta scelta, dovevano lasciare quel porto il più presto possibile oppure aspettare che la tempesta fosse passata anche se poteva volerci molto tempo.

- Partiamo adesso e speriamo che la nave regga

Disse alla fine, di colpo di pallido. 
Prendere il mare con una bagnarola in quelle condizioni poteva essere pericoloso, ma loro era altrettanto restare sull’isola con una tempesta in atto. La marina avrebbe potuto riconoscerlo, ma loro non sarebbe potuti scappare. Meglio mettersi al sicuro prima, preoccupandosi dell’imbarcazione in un secondo momento. Avrebbero trovato un carpentiere nella Rotta del Grande Blu e lui avrebbe sistemato tutto quanto al meglio. Nojiko annuì, saltando agilmente a bordo della nave. Il ragazzo la seguì, rapito, stupito del fatto che ogni cosa fosse già pronta per la partenza.

- Credevi che fossi rimasta ad aspettarti facendo la calzetta?

Chiese la ragazza, divertita. 
Ace la guardò, pieno di ammirazione. Decisamente Nojiko era una ragazza che sapeva quello che voleva, proprio come Nami. Aveva passato poco tempo con la navigatrice, ma gli era bastato per imparare ad apprezzare fino in fondo le sue qualità. Rufy era davvero fortunato.

La nave si staccò dal porto lentamente, per poi iniziare a prendere velocità. Alle spalle i due ragazzi si lasciavano un cielo scuro che prometteva pioggia, tutte le loro certezze ed un’isola su cui erano rimasti troppo poco. Di fronte a loro il mistero, i sogni ed i loro fratelli. Nessuno dei due aprì bocca, troppo preso a fare progetti per il futuro. Una volta giunti sulla cima della montagna Ace e Nojiko scoprirono che in fondo la nave non era messa poi così male. Certo, i cavalloni erano forti ma lei sembrava reggere abbastanza bene. Le grosse onde la facevano ballare, vibrare e la scuotevano forte, ma non dava segni di cedimento. Pareva quasi che volesse farsi beffe del pirata, inizialmente scettico a portare avanti quel viaggio senza cambiare nave. Imboccata la discesa che li avrebbe condotti dritti nella Rotta del Grande Blu, Nojiko era ormai convinta che nulla sarebbe potuto andare storto. C’è l’avevano fatta. La nave avevano retto e loro avevano finalmente imboccato la rotta del Grande Blu. Le sue speranze, tuttavia, si infransero contro una grossa montagna che sbarrava loro la strada. La nave, già provata dall’esperienza della corrente e della montagna, andò in mille pezzi trascinando con sé Ace e Nojiko. I due sprofondarono sott’acqua, attratti verso il fondo da una forza sovraumana.

La ragazza riemerse subito, il compagno invece stava affondando tra i flutti.

Subito lei si buttò per recuperarlo, intuendo che doveva avere mangiato un frutto del mare, mentre una balena la fissava dispettosa. Quasi fiera del suo scherzo che era costato una nave e che aveva messo in pericolo le loro vite.

- Brutto pesce troppo cresciuto, dovrebbero farti arrosto così impareresti a non distruggere le navi degli altri.

Imprecò Nojiko, trascinandosi insieme al suo compagno verso un promontorio a pochi metri dal luogo dell’impatto. 
Richiamato dalle urla, comparve uno strano vecchietto. Si guardò velocemente intorno, preoccupato, poi scoppiò a ridere.

- Che diamine vuoi, mocciosa?

Chiese l’uomo, palesemente scocciato per l’invasione e le urla ed allo stesso tempo incredibilmente divertito per quella scena che gli si parava sotto gli occhi.

- È tuo questo merluzzo gigante?

Sbraitò Nojiko, furiosa. 
Non solo un mostro sbucato dal nulla aveva fatto a pezzi la loro nave, ora ci si metteva anche un vecchio ad infastidirla. Era meglio se quella specie di nonno con i bermuda stesse lontano da lei. Quello scherzo stava mettendo in pericolo la possibilità di trovare Nami.

- Si tratta di una balena.

Precisò il vecchio, scandendo con cura le parole quasi stesse parlando con qualcuno che non riusciva a capire la sua lingua. 
Nojiko voltò gli occhi al cielo, scocciata.

- È lo stesso, guarda cosa ha fatto. La nave è distrutta ed il mio amico è quasi annegato.

Esclamò la ragazza, indicando i resti della nave che galleggiavano a pelo dell’acqua ed il corpo del compagno ancora privo di sensi.

- Problemi vostri.

Mormorò il vecchio, alzando le spalle. 
La ragazza aprì la bocca per protestare ancora, ma lo sguardo le cadde sulla balena. Quello dipinto sulla sua testa sembrava la bandiera dei Pirati di Cappello di Paglia. Doveva sbagliarsi, era semplicemente assurdo.

- Accidenti, che volo.

Protestò Ace, aprendo con calma un occhio. Le parole del compagno fecero dimenticare alla ragazza della bandiera dipinta sulla testa del cetaceo.

- Stai bene?

Chiese Nojiko, ansiosa. Il ragazzo sorrise, ed annuì. Sembrava tranquillo, quasi quella brutta avventura non fosse successa a lui.

- Si, non ti preoccupare. Maledizione, la nave è distrutta.

Esclamò Ace, non appena lo sguardo gli cadde sul relitto galleggiante.

- Tutta colpa di questo vecchio e del suo tonno!

Sbuffò la ragazza, stizzita, indicando i due.

- Continua ad essere una balena..

Precisò ancora il vecchio. 
Ace si voltò piano, quasi sicuro di avere riconosciuto quella voce. Sorrise appena, senza muoversi. Nessun altro sarebbe potuto vivere in quel posto sperduto, facendo da balia ad una balena da quasi cinquanta anni.

- La vecchia Lovoon è ancora qua, allora.

Disse, voltandosi piano verso il vecchio. 
A Crocus bastò uno sguardo per capire che quello di fronte a lui non era un semplice mozzo ma uno dei più pericolosi pirati in circolazione. Lo stesso che la marina aveva dato per morto, sbagliandosi clamorosamente. Gli gettò una seconda occhiata, poi sorrise. Non sarebbe stato certo lui ad andare a dire alla marina che aveva preso un clamoroso granchio. In fondo quello strano tipo gli era sempre stato simpatico, esattamente come il fratello e la sua ciurma.

- Tu?

Chiese il vecchio Crocus, sorpreso. 
Nojiko guardò con aria interrogativa prima l’uomo, poi il suo compagno. Decisamente non si aspettava che i due si conoscessero e si fossero già incontrati prima. Pensò di fare una domanda, poi si ricordò che Ahanu le aveva raccontato che prima di finire nel suo frutteto faceva il pirata. Probabilmente dovevano essersi incontrati così.

- Proprio così.

Annuì Ace, sperando che al vecchio non venisse in mente di chiamarlo per nome. 
A Nojiko sarebbe venuto un colpo, poi sarebbe stata presa da una crisi isterica ed alla fine avrebbe preso a picchiarlo con violenza. Quella ragazza sapeva essere incredibilmente aggressiva quando voleva.

- Sei vivo allora..

Continuò Crocus, inclinando leggermente la testa. Era curioso, ma anche abbastanza discreto per non fare domande non necessarie.

- Beh si, sono solo caduto in acqua. Il vero problema è la nave.

Rispose Ace, alzando la testa. 
Nojiko intuì che il vecchio forse si era riferito ad altro, ma ancora una volta decise di non fare domande. A lei importava solo di trovare sua sorella, il passato di Ahanu era affar suo. Aveva promesso di non fare domande e non voleva tradire i patti.

- Forse posso fare qualcosa per voi, prendete questa. È piccola ma per due persone va più che bene.

Disse il vecchio, indicando una piccola imbarcazione ormeggiata vicino al faro.

- Avevi detto che non te ne importava nulla..

Protestò Nojiko, mettendo il broncio. 
Quel vecchio era assurdo, non aiutava una ragazza ma dava il suo più totale appoggio ad un pirata. Altro che gentiluomo.

- Solo gli stolti non cambiano mai idea, ragazzina. Prendi questo, non si sai mai.

Aggiunse Crocus, lanciando qualcosa alla coppia di ragazzi.

- Grazie mille..

Mormorò Ace, sorridente.

- Cosa ci ha dato?

Chiese Nojiko, curiosa. 
Non aveva mai visto un aggeggio simile: era del tutto identico ad un log pose, ma tuttavia sembrava avere una funzione diversa. Per prima cosa non si poteva mettere al polso, inoltre aveva una scritta sopra. Probabilmente il nome di un’isola.

- Un eternal pose. Se rimarremo bloccati in qualche isola potremo andarcene.

Spiegò Ace, mettendo l’oggetto nel suo zaino. Avere con sé un eternal pose era una vera e propria manna quando si viaggiava per mare, specie in una rotta come quella del Grande Blu. Chissà, forse sarebbe potuto tornare utile in futuro.

- Fammi capire, questo coso punta solo su di un isola?

Chiese Nojiko, dubbiosa. Ancora non capiva a che cosa poteva servire dato che avevano già un log pose.

- Proprio così.

Annuì Ace, salendo sulla loro nuova nave. La ragazza lo seguì, guardandosi intorno curiosa. Non era particolarmente nuova, eppure era carina.

-Ehi, mocciosi..

Chiamò Crocus, mentre la nave si staccava dall’ormeggio e prendeva lentamente il largo, cullata dalle onde del mare.

- Dicci, vecchio.

Mormorò Ace, senza più guardarlo.

- Scegliete bene..

Disse il dottore, tornando ai suoi affari.

- Che voleva dire?

Chiese Nojiko, mentre la piccola nave prendeva velocità ed i promontori gemelli diventavano poco più grandi di puntini in lontananza.

- Una volta scelta una rotta, non si può cambiare fino all’isola degli uomini pesce.

Spiegò Ace, alzando le spalle. Per lui non era certo una novità, ma sapeva che quell’informazione avrebbe turbato la sua compagna di viaggio.

- Ma allora noi come facciamo a sapere quale ha preso mia sorella?

Chiese la ragazza, improvvisamente più pallida. 
Di fronte a loro si snodavano diverse rotte, ognuna identica all’altra. Si voltò verso il compagno, stupendosi di trovarlo calmo. Ace sorrise appena, senza dire nulla. Lui sapeva con certezza quale rotta avrebbero dovuto prendere, ma non poteva certo dirlo a lei.

- Beh, per prima cosa sappiamo che l’ultimo posto dove è stata avvistata è l’arcipelago Sabaody.

Disse Ace, dopo aver pensato un po’ sopra a cosa poteva dire e cosa era meglio che taceva, almeno per il momento.

- È positivo?

Chiese Nojiko, inclinando appena la testa. Il ragazzo annuì.

- Tutte le rotte conducono lì.

Mormorò Ace, sorridendo. 
A quelle parole la ragazza sembrò tranquillizzarsi almeno un pochino. Dopo tutto almeno uno dei due sapeva quello che stavano facendo e dove dovevano andare.

- Prima sono passati per Water Seven, lì le hanno dato una taglia.

Aggiunse lei, ricordando improvvisamente le proteste dei suoi concittadini alla vista della taglia della Gatta Ladra. Ace sorrise, riflettendo un attimo.

- Allora dobbiamo prendere questa rotta.

Dichiarò Ace, sicuro, sorridendo appena.

- Sai già che isole incontreremo?

Chiese ancora Nojiko, cercando di nascondere la sua ansia. Non vedeva l’ora di raggiungere la sorella ma allo stesso tempo aveva paura dei pericoli che si sarebbero parati sulla loro strada.

- A grandi linee..

Rispose Ace, vago, prima di chiudersi in un strano mutismo. 
L’ultima volta che aveva preso quella rotta era stato quando era sulle tracce di Barbanera. A distanza di mesi ricordava ancora quei luoghi, la voglia di vendetta e la lunga caccia.

Il pirata passò gran parte del tempo da solo, seduto a fissare il mare. Persino se chiudeva gli occhi gli incubi iniziavano a tormentarlo. Alla fine era tornato nel Grande Blu, il luogo dove tutti i suoi problemi avevano avuto inizio. Solo il pensiero che con lui c’era Nojiko riuscì a risollevargli appena il morale.

Dopo qualche giorno di viaggio avvistarono un’isola, ma decisero di non fermarsi. Avevano lasciato Logue Town da poco e non volevano perdere tempo a meno che non fosse strettamente necessario. Quel posto, inoltre, sembrava abbandonato, quasi fosse caduto in rovina. Qualche giorno dopo ne avvistarono un’altra, decisamente più selvaggia della prima. Una volta arrivati nei pressi il log pose si bloccò e loro dovettero per forza di cose scendere a terra per attendere le indicazioni che li avrebbero condotti all’isola successiva.

- Che posto è?

Chiese Nojiko, curiosa. 
Dava l’idea di essere un’isola deserta, una sorta di perfetto paradiso in cui riposarsi se non fosse stato per l’aura misteriosa che la circondava.

- Non ricordo il nome..

Rispose Ace, distratto, guardandosi intorno. 
Non c’era nulla che facesse pensare ad un posto abitato. Non un villaggio, una casa o delle persone. Decisamente, sembrava solo un’isola deserta.

- Dici che siamo in pericolo?

Chiese ancora la ragazza, facendosi seria. 
Era pronta a combattere ed a difendersi nel caso ce ne fosse stato bisogno, eppure non impazziva dalla voglia di farlo.

- Non saprei, facciamo un giro.

Propose Ace, saltando giù dalla nave. 
La ragazzo lo imitò, tranquillizzata dalla sua flemma e dal suo volto rilassato. Camminarono per un po’, in silenzio, poi Nojiko cacciò un urlo.

- Ahanu, quelli sono giganti.

Urlò spaventata, indicando dei tizi enormi che si scorgevano in lontananza. 
Erano decisamente più alti degli alberi ed anche incredibilmente più robusti. Avrebbero tranquillamente potuto stritolare loro e la nave con una mano sola.

- Accidenti, sono enormi.

Esclamò Ace, sorpreso. 
Quel posto non gli sembrava nuovo, eppure non riusciva a ricordarne le particolarità. Doveva esserci qualcosa sotto, doveva solo sforzarsi un po’ di ricordarlo.

- Stanno combattendo?

Chiese Nojiko, stupita. A quelle parole il ragazzo si fece più pallido: aveva capito.

- Poveri noi, ho capito dove siamo finiti.

Disse Ace, sedendosi sulla sabbia.

- Sarebbe?

Chiese Nojiko, sorpresa da quella strana reazione.

- Un’isola preistorica dove due giganti combattono tra loro cento e passa anni.

Sospirò lui, preparandosi alla reazione della compagna.

- Dimmi che ci vuole poco a registrare il magnetismo..

Pregò la ragazza, sperando con tutte le sue forze in una risposta positiva. 
Non voleva stare a lungo in un posto dove due giganteschi uomini se le davano di santa ragione. Nemmeno se non era sola.

- Almeno un anno, se non ricordo male.. forse anche di più..

Sbuffò lui, atterrito. Erano appena partiti eppure il loro viaggio aveva già iniziato a subire dei grossi ritardi.

- Maledizione!

Imprecò Nojiko, pallida. Non poteva certo stare per un anno in un posto del genere mentre Nami poteva avere bisogno di lei.

- Bella seccatura, credo che ci toccherà prendere il sole.

Sospirò Ace, rassegnato all’idea di aspettare qualche tempo.

- Neanche per sogno, usiamo l’eternal pose.

Esclamò la ragazza, ricordandosi del dono del vecchio.

- Brillante! Finalmente una buona idea.

Concordò lui, frugando nello zaino alla ricerca dell’oggetto.

 

Un anno dopo gli eventi di Marineford

Da quando avevano ripreso il viaggio, dopo l’incontro con l’oste, Sabo e Kaja non si erano ancora rivolti la parola. Non per più di qualche secondo, almeno. Lei era risentita per i troppi segreti del rivoluzionario, lui era ancora scosso dalle parole del vecchio oste: in pochi istanti tutto quello che aveva creduto vero era crollato come un castello di carte. Ace e Rufy erano vivi, da qualche parte nel mondo. La marina non lo sapeva e aveva smesso di cercarli. Per lui questo apriva un ampio ventaglio di possibilità. Aveva ancora una possibilità per riscattare tutti i suoi errori prima che fosse tardi. Forse anche Dragon lo sapeva, per questo lo aveva cacciato dalla nave. Il vecchio rivoluzionario voleva che lui trovasse i fratelli e prendesse a navigare con loro, ma come al solito non aveva voluto dirgli nulla. Da quando lo conosceva poteva dire di averlo sentito parlare appena qualche volta, non di più.

Quando la via che conduceva in cima alla montagna cominciò ad apparire di fronte a loro in tutta la sua terribile magnificenza, Kaja tirò Sabo per un braccio. Era pallida e cercava a fatica di trattenere le lacrime ma non voleva darla vinta al compagno di avventure dichiarando apertamente le sue paure. Lui sorrise, le appoggiò un braccio intorno alla vita per rassicurarla poi le sussurrò di chiudersi nella sua cabina. Lei annuì e corse via, lasciando al rivoluzionario il governo della nave. Rimase per un po’ seduta sul letto, fissando i grossi volumi di anatomia e farmacia che aveva portato con sé. Improvvisamente scattò in piedi e volò fuori. Non capitava tutti i giorni di entrare nella rotta del Grande Blu e lei voleva esserci, anche se era pericoloso. Voleva avere qualcosa da raccontare ai suoi figli.

Quando la vide ricomparire, Sabo sorrise. Quella mocciosa era bravissima a cacciarsi nei guai. Una vera maestra, niente da dire in proposito.

Una volta attraversata la montagna, evitata per un soffio la grossa balena e superato il promontorio, Kaja cominciò a protestare ad alta voce.

- Quel vecchio..

Mormorò la ragazza, guardando di sfuggita il vecchio Crocus che prendeva il sole. 
Non aveva fatto una piega quando li aveva visti comparire. Li aveva osservati, quasi ad accertarsi che non conoscesse qualcuno dei due, poi li aveva lasciati andare. C’era qualcosa di familiare nel biondino, ma non abbastanza per poterlo ricollegare ad un nome o ad una faccia come aveva fatto con Ace Pugno di Fuoco qualche tempo prima.

- Che c’è?

Chiese Sabo, sorpreso, voltandosi appena verso il vecchio. 
Era ancora disteso sulla sdraio, nella stessa posizione di poco prima. Era distratto, eppure sorrideva. Lo aveva visto qualche volta quando era passato di lì con i suoi, ma non si era mai fermato a parlare. La prima regola dei Rivoluzionari era muoversi nell’ombra e non dare mai confidenza a nessuno.

- Hai visto bene come ci fissava?

Chiese Kaja, sbuffando stizzita. Sabo scoppiò a ridere, divertito dalla buffa espressione della ragazza.

- Vive solo nel bel mezzo del nulla, è normale che osservi le navi di passaggio.

Sospirò il rivoluzionario, sorridendo. 
La ragazza sembrò pensarci un po’ su, poi alzò le spalle. Il broncio, le discussioni e i lunghi silenzi parvero essere stati spazzati via in un secondo.

- Forse hai ragione.

Ammise lei, pensierosa, scivolando seduta con la schiena appoggiata alla balaustra della nave. 
Era stanca, non dormiva da quando avevano lasciato Logue Town. Da allora si era tormentata a lungo, inseguendo domande a cui solo Sabo poteva rispondere.

- Ripresa dallo spavento?

Chiese Sabo, sorridendo teso. 
Kaja lo scrutò a lungo, prima di rispondere. Per un po’ cadde di nuovo il silenzio, ma non era pesante e fastidioso come prima. Sembrava più un momento di riflessione prima di una discussione importante. La ragazza sapeva bene che dalla risposta che avrebbe dato sarebbero dipese tante cose, forse anche le sorti del loro viaggio insieme.

- Ti riferisci alla montagna o al fatto che sei il fratello di Rufy?

Chiese a sua volta la ragazza. 
Era evidente che nella sua voce ci fosse ironia e rimprovero. La furia cieca e l’odio che aveva percepito nel suo sguardo non appena avevano lasciato la locanda erano scomparsi. Il rivoluzionario sapeva di avere torto, tanto che abbassò la testa. Il momento della verità sarebbe arrivato comunque, tanto vale parlarne subito e sistemare le cose. Nelle settimane che avevano passato insieme aveva iniziato a provare una sincera amicizia per quella ragazzina tanto dolce ed ingenua. Una sorellina piccola da proteggere. Litigare con lei, o peggio non parlarci, era insostenibile.

- Come potevo immaginare che lo avevi incontrato e che lo conoscevi?

Sbuffò lui, sulla difensiva. 
Ogni volta che la ragazza parlava del suo incontro con i Pirati parlava di un gruppo di ragazzini inesperti con un capitano particolare, senza precisare in quale senso. Se al posto di particolare avesse detto di gomma, fuori di testa e precipitoso forse lui avrebbe capito al volo che di trattava di suo fratello Rufy e avrebbero risolto prima quel mistero.

- Ti ho parlato un sacco di volte di Usop!

Esclamò Kaja, infastidita, lanciandogli un’occhiata di fuoco che tradiva tutta la sua insofferenza. 
A quello sguardo il rivoluzionario impallidì appena. Mai fare infuriare una donna dandole l’impressione di non prestarle attenzione.

- Mai sentito nominare.

Ammise Sabo, grattandosi la testa perplesso. 
Non aveva mai sentito di questo ragazzo di cui lei parlava sempre, né aveva visto la sua foto tra gli avvisi di taglia della ciurma di Cappello di Paglia. C’era Zoro, il temibile spadaccino, Robin, la ragazza tanto cara alla rivoluzione e poi altri che non aveva mai sentito nominare tra cui un tipo davvero assurdo che si faceva chiamare Sogeking. Ricordava anche un tipo dai capelli blu, Franky, ed un tenero animaletto, ma nessun altro che corrispondeva alla descrizione che Kaja faceva di quel suo amico cecchino.

- È impossibile, tuo fratello viaggia con lui.

Protestò la ragazza, fissando intensamente il compagno di viaggio sperando che questi ricordasse e gli potesse dare notizie di Usop. 
I giornali non parlavano più di loro da molti mesi, tanti da spingere una ragazza fifona e timida come lei a partire. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma era in pena per il suo amico al punto di volersi accertare personalmente che stesse bene. La voglia di avventura e di migliorare come medico in fondo era una scusa. O meglio, erano due buone ragioni, ma non le principali.

- Non vedo Rufy da molti anni, credo che pensi che io sia morto.

Spiegò Sabo alla fine, fissando le assi della nave. 
Sapeva che quella rivelazione avrebbe fatto quasi certamente infuriare ancora di più la ragazza, ma tanto valeva essere sincero. Se mai avessero incontrato Rufy sarebbe stato lui stesso a dirle come stavano le cose. La regola numero due era chiara nella mente del rivoluzionario: mai mentire ad una donna.

- Sei un mostro, allora! Come hai potuto dimenticare di dire a tuo fratello che sei vivo?

Esclamò lei, inorridita da quell’ultima rivelazione. 
A suo parere, la peggiore. Sabo sbuffò, preparandosi ad una discussione che non sarebbe finita tanto presto.

- Anche io credevo che lui fosse morto, siamo pari!

Ribatté lui, deciso a non dare l’ultima parola alla ragazzina. 
Lei non sapeva nulla della loro infanzia, di come erano cresciuti e di cosa voleva dire combattere contro tutti. Lei era cresciuta in una bella casa, con una famiglia perfetta, fino a quando un pazzo era comparso e aveva cercato di farle male. Tuttavia, anche quella volta era stata fortunata ed aveva incontrato ragazzi con la testa sulle spalle pronti ad aiutarla senza pretendere nulla in cambio.

- Sei assurdo, vedi di lasciarmi stare.

Protestò lei, voltando le spalle al rivoluzionario. Lui sospirò, ma la lasciò fare.

Per qualche ore ognuno pensò ai propri affari, cercando di ignorare l’altro. Alla fine, ancora una volta, fu Sabo a cedere.

- Davvero sei ancora arrabbiata con me?

Chiese con una vocina da cane bastonato. 
Ignorare qualcuno su una barca di pochi metri era un’impresa che andava oltre le sue possibilità. In generale, Sabo aveva dei grossi problemi ad ignorare la gente a cui voleva bene.

- Secondo te?

Chiese la ragazza, esasperata. 
Il rivoluzionario sorrise, vittorioso. Riusciva sempre a spuntarla e a fare la pace, anche da piccolo con i suoi fratelli era così. Potevano litigare, arrivare alle mani, non vedersi per ore ma alla fine lo sguardo da cane bastonato rimetteva sempre le cose a posto. Rufy non era mai stato il tipo che si arrabbia davvero, non con un fratello almeno, mentre Ace non era così duro come amava dare a vedere.

- Era sempre la solita testa matta, vero? Non è cambiato?

Chiese lui, sorridendo in modo malinconico senza guardare negli occhi la ragazza. 
Non voleva che lei vedesse i suoi occhi lucidi e quella lacrime di nostalgia trattenute appena.

- Stai parlando di Rufy?

Sorrise Kaja, inclinando appena la testa. Sabo annuì, piano.

- Quando era piccolo si metteva sempre nei guai. Io ed Ace eravamo sempre in pena per lui.

Iniziò a raccontare lui, fissando il mare. 
Il suo tono era malinconico, quasi nostalgico. Lasciava trasparire il bene immenso che doveva volere al fratellino. Gli mancava molto, era evidente. Saperlo vivo lo aveva fatto stare meglio, ma saperlo da solo magari in qualche guaio non gli dava tregua. Prima lo avrebbe raggiunto, meglio sarebbe stato. Ace non gli avrebbe perdonato un altro fallimento, tanto meno Dadan, Garp e tutti gli altri.

- Ace? Non ti riferisci a Pugno di Fuoco, vero?

Chiese Kaja, improvvisamente più pallida. 
Non conosceva bene la triste storia di quel pirata, ma il suo nome le metteva lo stesso paura. Per causa sua la marina aveva scatenato una guerra tremenda, che era costata la vita a molte persone.

- Anche lui è mio fratello.

Spiegò il rivoluzionario, pazientemente. 
La ragazza ascoltava, attenta. Improvvisamente tutto il discorso del vecchio oste aveva senso ed allo stesso tempo il triste passato di Sabo prendeva forma. Ora poteva capire cosa lo aveva condotto ad intrufolarsi in casa sua, cercando solo di dimenticare il suo dolore. Doveva essere tremendo perdere i propri fratelli e ritrovarsi soli al mondo.

- Fammi capire, Rufy ed Ace sono i tuoi fratelli e la marina li crede morti. Per questo sei impazzito ed hai lasciato i rivoluzionari?

Ricapitolò velocemente la ragazza, mettendo insieme tutte le informazioni appena ricevute. 
Sabo annuì, pensieroso, riflettendo su quegli ultimi mesi. Era possibile che il suo dolore gli avesse impedito di vedere tutto in modo razionale, facendo si che non riuscisse ad arrivare da solo a quello che il vecchio oste aveva capito semplicemente guardando il giornale? Tutta quella storia aveva dei tratti assurdi, un po’ come tutto il resto della sua vita.

- Credevo alla versione della marina, ma a quanto pare si sbaglia. Ace è vivo ed allora deve esserlo anche Rufy.

Mormorò lui, sorridendo. 
Saperli vivi non era certo una certezza che si sarebbero incontrati ancora, ma tuttavia lasciava qualche speranza. In fondo il mondo è grande, ma non abbastanza da tenere separati tre fratelli.

- La tua famiglia è assurda.

Concluse la ragazza, pratica.

Sabo aveva sorriso, pensando a quante altre persone avevano detto la stessa frase, poi le aveva raccontato tutta quanta la sua storia. Lei aveva ascoltato, assorta. Sembrava una di quelle storie improbabili che raccontava Usop solo che questa volta era tutto vero.

Dopo qualche ora i due avevano raggiunto il fatidico bivio: di fronte a loro c’erano molte strade da prendere, intorno il mare.

- Sabo?

Chiese Kaja, preoccupata, scuotendo l’amico per un braccio.

- Dimmi..

Mormorò Sabo, distratto, alzando appena lo sguardo verso la ragazza. Era evidente che stava ancora pensando ad Ace e Rufy e a come fare per rintracciarli.

- Come facciamo a decidere?

Chiese la ragazza, confusa, indicando le molteplici vie che si snodavano di fronte a loro.
Ognuno conduceva in isole diverse, ma solo adesso potevano scegliere quale sarebbe stato il loro percorso. Sabo sbuffò, tirandosi su. Si era dimenticato quel particolare del viaggio. La strada che avrebbero preso avrebbe certamente influenzato le possibilità di incontrare ancora i suoi fratelli.

- Non lo so. Ace è passato di qui sei mesi fa, credo che dovremmo cercare di seguire lui.

Rispose il rivoluzionario. 
Prendendo la stessa strada di Ace avevano qualche possibilità di incontrarlo. Molte di più rispetto a quante ne avevano di incontrare Rufy e la sua ciurma. Loro erano passati di lì molto tempo prima e dovevano essere da qualche parte nei pressi dell’isola Sabaody. Lì la marina li aveva avvistati l’ultima volta, nei pressi della casa d’asta. Subito dopo doveva essere successo qualcosa che li aveva divisi, e Rufy era corso al quartiere generale della marina. Il resto era un mistero.

- Potrebbe avere preso qualsiasi strada.

Sospirò Kaja, esasperata, guardandosi intorno. Non avevano nessuna certezza, potevano solo basarsi sul calcolo delle probabilità.

- Lo so, dannazione.

Sbuffò Sabo, alzando gli occhi al cielo imprecando silenziosamente. La situazione sembrava bloccata.

- Rufy, invece?

Chiese la ragazza, cercando di ragionare con calma. Il compagno ci pensò un po’ su, meditando in silenzio.

- È stato avvistato a Sabaody prima di sparire. Tutte le rotte convergono in quel punto prima di passare nel Nuovo Mondo.

Disse lui alla fine, sospirando. 
Quella situazione era decisamente intricata. Sembrava non ci fosse modo di uscirne se non prendendo una strada a caso. Sicuramente i suoi fratelli dovevano avere fatto così.

- Dobbiamo pensare come se fossimo Ace. Avanti, devi provare.

Concluse Kaja, scuotendo la testa. 
Sabo sbuffò, poco convinto, ma decise di provarci. Ace doveva essere passato di lì pochi mesi prima ed aveva appena scoperto che Rufy era vivo. Probabilmente anche lui doveva essersi fermato a lungo in quel punto, valutando bene dove andare.

- Ace avrà sicuramente cercato di prendere la stessa strada di Rufy.

Esclamò Sabo, sicuro. 
Conosceva Ace: non si sarebbe dato per vinto e avrebbe continuato a cercare il fratellino in capo al mondo. Doveva fare lo stesso, seguendo le tracce di Rufy avrebbe trovato anche Ace.

- Facciamo lo stesso, allora.

Disse la ragazza, sicura. 
Trovare Rufy era il primo passo per trovare anche gli altri, in particolare Usop. Sapeva che era ancora insieme a loro, anche se adesso si faceva chiamare Sogeking.

- Come? Noi non sappiamo che strada aveva preso Rufy insieme alla sua ciurma.

Protestò il compagno, esasperato. La situazione alla fine si era sbloccata, ma avevano lo stesso pochi elementi per capire quale direzione prendere.

- Il giornale spesso parlava di loro. Se solo mi ricordassi i nomi delle isole..

Sussurrò Kaja, stizzita. Possibile che di tutti quei nomi che l’avevano a lungo perseguitata non ne ricordasse neppure uno?

- Devi riuscirci. Ti prego, Kaja..

Implorò Sabo, con gli occhi sgranati. La possibilità di rivedere i suoi fratelli era completamente nelle mani di quella ragazza e nella sua memoria.

- Seven qualcosa, credo. E anche il regno di Ala-qualcosa.. è possibile?

Chiese Kaja, insicura. Sabo annuì, sorridendo. Era fatta.

- Certo, Water Seven ed il Regno di Alabasta. È quella, ne sono sicuro.

Esclamò il rivoluzionario, entusiasta. Finalmente avevano una pista da seguire.

- Allora forza, avanti tutta.

Urlò l’apprendista medico, al settimo cielo. Il suo amico Usop era sempre più vicino.

Due anni dopo gli eventi di Marineford.

Una volta conclusi i discorsi strappalacrime e finita la colazione, la ciurma decise che era arrivato il momento di muoversi. Erano scesi a terra per esplorare la grotta e non potevano certo restarsene con le mani in mano. Tra una cosa e l’altra avevano perso già abbastanza tempo in chiacchiere.

- Che si fa?

Chiese Brook, guardandosi intorno con circospezione. 
Il luogo in cui si trovavano era certamente spettacolare. Un susseguirsi continuo di tunnel, strade d’acqua ed ampie volte che conduceva sempre più in profondità.

- Esploriamo questo posto, avanti.

Esclamò Rufy, sicuro, iniziando a farsi strada verso l’interno.

Sicuramente quella grotta doveva essere il rifugio di qualcuno. Riusciva ad avvertire chiaramente la presenza di un bel po’ di persone, quasi sicuramente innocue. I compagni lo guardarono allontanarsi, sorridendo. Alla fine il capitano era tornato ad essere lo stesso ragazzo incosciente e spensierato di sempre. Anche se poteva sembrare paradossale, era una bella notizia. Meglio un compagno che ti mette sempre nei guai piuttosto che uno prudente e noioso. In fondo loro erano partiti in cerca di avventura, non per fare una crociera per pensionati.

- Il solito imprudente.

Sbuffò Franky, mentre insieme ai compagni era stato costretto a iniziare a correre per seguire il capitano.

Il gruppo procedette velocemente per qualche centinaia di metri, fino a che il cunicolo in cui stavano camminando si aprì improvvisamente, diventando un ampio spiazzo di terra brulla illuminato da una solitaria fessura sulla parete più alta, sopra le loro teste. Rufy si fermò improvvisamente, scrutando i dintorni. Non riusciva a vedere nulla, ma sentiva che di fronte a loro c’era qualcosa o forse qualcuno.

- Guardate.

Mormorò Usop, fermandosi all’improvviso ed indicando un punto nell’oscurità.

- Cosa, cosa, cosa?

Chiese Rufy, frenetico. 
Non riusciva quasi a stare fermo. Era agitato e preoccupato per i compagni, ma anche parecchio curioso.

- Laggiù sembra ci sia un villaggio.

Continuò il cecchino, cercando di mettere meglio a fuoco l’immagine. 
Si vedeva l’ombra di una casa, dalla quale usciva persino del fumo. Intorno di vedevano altre ombre, più lontane.

- Nelle profondità di una grotta?

Chiese Zoro, perplesso, guardandosi intorno. 
Solo qualcuno che aveva la necessità di nascondersi e passare inosservato avrebbe scelto un posto del genere dove vivere. Forse dei banditi, dei pirati pericolosi o forse dei rivoluzionari. Di chiunque si trattasse, ad ogni modo, era meglio stare all’erta. Sfiorò appena il fodero della spada, poi decise di non sguainarla.

- In effetti è strano..

Concordò Sanji, inclinando appena la testa. 
Si accese una sigaretta, pensieroso. Qualcosa non gli tornava, ma non riusciva a capire con esattezza di cosa si trattasse.

- Stiamo in guardia.

Borbottò Chopper, prudente, dando voce al pensiero di tutti. 
Persino Rufy annuì, distratto. Va bene cercare l’avventura, ma non avrebbe permesso che venisse fatto del male ai suoi compagni.

- Sapete che mi sono mancate davvero tanto queste parole?

Chiese Nami, sorridendo. 
Le parole della ragazza ebbero il potere di sdrammatizzare quella situazione. Sul viso di Rufy si allargò un sorriso altrettanto grande, ma il capitano non disse nulla. Finalmente si sentiva di nuovo a casa.

La ciurma fece qualche passo, questa volta procedendo con prudenza. Zoro teneva la mano destra sul fodero di una delle sue tre spade, pronto a sfoderarla all’occorrenza. Sanji fumava tranquillo, con le mani in tasca, ma era altrettanto pronto al combattimento. Rufy procedeva senza dire nulla, concentrato. Le case davanti a loro dovevano essere tutte disabitate, tranne una. Riusciva a percepire la forza vitale di una sola persona. Non sembrava pericolosa, ma voleva lo stesso vedere di chi si trattava. Nessuno sano di mente si sarebbe mai ritirato a vivere in un posto come quello.

- Una casa?

Esclamò Franky, perplesso, voltandosi verso i compagni. 
I ragazzi alzarono le spalle, senza commentare. Solo Chopper sembrava sull’attenti.

- Sentite anche voi?

Chiese la piccola renna, sforzandosi di sentire meglio il debole rumore che si avvertiva in lontananza.

- A dire il vero no..

Mormorò Brook, confuso. 
Subito il gruppo si mise in ascolto, rapido. Nessuno riusciva a percepire nulla, se non una leggera brezza ed il rumore dell’acqua che entrava nella grotta.

- C’è qualcuno che sta male.

Annuì Robin, facendo comparire qualche orecchia in più per riuscire a sentire meglio. 
Rufy ascoltò meglio, e percepì qualcosa. I due amici avevano ragione. Zoro annuì appena, scettico. Era evidente che lo spadaccino ritenesse quella situazione assurda una trappola.

- Esatto, qualcuno tossisce. Potrebbe avere bisogno di un medico.

Disse Chopper, sicuro, dirigendosi verso la piccola casa.

- Aspetta, potrebbe essere pericoloso.

Urlò Usop, preoccupato, fermando l’amico e trattenendolo per lo zaino. 
Chopper si voltò, fissando il volto del cecchino. Non era spaventato come al solito, eppure teneva tra le mani la sua fionda, pronto al combattimento. Quei due anni di allenamento lo avevano davvero fatto diventare una persona diversa. Alla fine era cresciuto anche lui.

- Già, forse è una trappola.

Concordò Nami, annuendo decisa. 
Li attiravano nella casa con la scusa di un malato, poi saltavano loro addosso e li catturavano. Si trattava di un copione vecchio, già visto molte volte in diverse situazioni. Il medico ignorò i commenti dei due ragazzi ed entrò lo stesso, seguito dagli altri. Trappola o meno, doveva fare il suo dovere di medico. Se all’interno avessero trovato dei nemici avrebbero fatto come tutte le altre volte. Li avrebbero fermati con le cattive.

- Una vecchia signora?

Esclamò Robin, entrando nella stanza. 
Era piuttosto piccola e cupa per via della mancanza di luce naturale, ma la cura con cui era arredata faceva dimenticare che era una casa costruita in una grotta.

- Ecco la vostra trappola..

Mormorò Zoro, quasi divertito. 
Chopper ignorò i commenti dello spadaccino e si precipitò al capezzale dell’anziana signora. Sembrava ridotta piuttosto male, tanto che non si era nemmeno accorta dei nuovi arrivati.

- Signora, non si sente bene?

Chiese la piccola renna, prendendo le sue mani. 
Finalmente lei aprì gli occhi, studiando intensamente Chopper. Robin la scrutò con attenzione, confusa. In quello sguardo provato dalla malattia brillava una luce strana, forse pericolosa.

- Vi manda mio figlio?

Chiese a sua volta la donna, speranzosa e guardinga. 
Anche lei sembrava preparata ad un attacco, o forse ad una trappola.

- A dire il vero no..

Borbottò Usop, perplesso, scuotendo la testa. 
Il sorriso della donna si spense, lasciando al suo posto un’espressione pensierosa.

- Possiamo fare qualcosa per lei?

Chiese Nami, guardandosi meglio intorno per capire dove erano finiti. 
Nulla faceva pensare alla casa di pericolosi criminali. C’erano solamente tante foto ed un’infinità di soprammobili di varie dimensioni e fattura. Insomma, tutto ciò che normalmente si trova nella casa di una vecchia signora di una certa età. Nulla di più.

- Chopper è un dottore.

Spiegò Rufy, sorridendo, indicando l’amico. 
Anche lui aveva percepito qualcosa di strano, ma aveva deciso di non farci caso. Una donna rinchiusa in un letto non poteva certo fare loro del male. Se fosse arrivato qualcun altro, avrebbero pensato al da farsi. Il piano restava lo stesso: aiutavano la vecchia signora, se qualcuno poi li avesse attaccati allora si sarebbero difesi.

- Come siete cari, dei veri angeli. Questa tosse non mi da tregua. È tutta colpa di quei mostri con le pinne.

Rispose la vecchia signora, cercando di mettersi a sedere per riuscire a guardare i suoi ospiti negli occhi. 
Era evidente che voleva capire chi erano prima di fidarsi davvero di loro. In fondo non si poteva darle torto.

- Gli uomini pesce?

Chiese Robin, perplessa. Lei annuì, mentre i suoi occhi prendevano a brillare di rabbia.

- Dannati, avvelenano la nostra acqua ed il nostro cibo per ucciderci.

Continuò lei, agitando le braccia. 
Un colpo di tosse più forte degli altri la costrinse a sdraiarsi di nuovo, mentre Chopper si affrettava a fare qualcosa per lei. Improvvisamente lo sguardo della renna cadde sul comodino.

- Guarda Rufy, quelle sono medicine. Qualcuno deve averla visitata..

Esclamò la piccola renna, perplessa, indicando una fila ordinata di boccette e di pillole. 
Il capitano si voltò, perplesso. Non sembrava esserci nessun altro nei pressi, certamente non un medico, doveva per forza essere passato un altro straniero o qualcosa del genere.

- Si ragazzo, sono stati gli angeli.

Sussurrò la donna, con un’espressione sognante.

- Prego?

Chiese Sanji, perplesso. La signora annuì, decisa.

- Gli angeli mi hanno salvato la vita. L’ho detto anche a mio figlio.

Continuò la donna, sicura di quel che diceva. 
Usop stava per ribattere, ma il rumore della porta che si apriva con violenza lo fece sobbalzare.

- Chi diamine siete?

Esclamò un uomo, visibilmente fuori di sé. 
Rufy scattò sull’attenti, senza intervenire. Zoro e Sanji fecero lo stesso, mentre i compagni misero mano alle loro armi senza dare nell’occhio.

- Sono amici degli angeli, lo so io.

Disse la donna, decisa. 
L’uomo la guardò appena, poi tornò a fissare con astio i nuovi arrivati. Robin dedusse che doveva essere il figlio della donna.

- Abbiamo sentito tossire, pensavano che la signora avesse bisogno.

Spiegò Rufy, tranquillo. 
Non era un tipo pericoloso, era solo spaventato. Non valeva la pena colpirlo con l’Haky dato che non costituiva una minaccia per i suoi compagni.

- Io sono un dottore.

Aggiunse Chopper, portandosi al fianco del suo capitano. 
L’uomo fissò i due ragazzi e poi anche i loro compagni e si lasciò cadere su una sedia, con una mano a coprirgli il volto.

- Scusatemi, qui non ci fidiamo di nessuno. Siamo abituati a difenderci da tutti.

Borbottò a mezza voce, imbarazzato e stupito che un gruppo di stranieri di fosse interessato alle sorti della sua anziana madre.

- Sta male, dovrebbe portarla in ospedale.

Esclamò Chopper, indicando la vecchia signora che aveva preso a parlare da sola.

- Non posso portarla sulla terra ferma.

Sospirò il ragazzo, tormentato, scuotendo appena la testa.

- Possiamo darvi un passaggio noi.

Propose Franky, voltandosi verso il capitano. 
Rufy annuì, sicuro. Tornare a Sabaody avrebbe voluto dire affrontare ancora la marina, ma valeva la pena farlo per aiutare la donna.

- La marina ed il governo ci cercano, non ci danno scampo. Ci sbatterebbero tutti al fresco, magari ad Impel Down.

Sussurrò l’uomo, con un filo di voce. 
Nelle sue parole era racchiusa tutta la silenziosa disperazione di un figlio che vede la propria madre peggiorare senza poter fare nulla di concreto per aiutarla.

- Non credo..

Borbottò Rufy a mezza voce, abbassando la testa. Solo Nami, la più vicina al capitano, sentì quelle parole ma non fece commenti.

- Siete qui per scappare dal governo, allora.

Concluse Robin, cercando di capire perché quelle persone si nascondevano sul fondo del mare. 
Sicuramente doveva esserci sotto qualcosa, solo che non riuscivano a capire di cosa si trattava. Dovevano stare attenti oppure si sarebbero fatti trascinare in una storia più grande di loro come al solito.

- Si, è così. Abbiamo creato questa colonia ma gli uomini pesce non hanno gradito.

Cominciò a raccontare lui, scuotendo la testa.

- È terribile, vi attaccano da tutti i fronti.

Esclamò Sanji, incredulo.

- Che ci dici di questi angeli?

Chiese Nami, incuriosita dal discorso della donna. 
Fin da quando la donna li aveva nominati aveva avuto la sensazione che si trattasse di un dettaglio importante. Il ragazzo alzò appena la testa e sorrise.

- Si tratta di due stranieri, due biondini. Sono passati qualche settimana fa. La ragazza era un dottore e ci ha aiutati. Dopo hanno proseguito il loro viaggio. Non erano di tante parole ma credo cercassero qualcuno.

Raccontò, ricordando i due strani tizi che lo avevano aiutato con sua madre. 
Se non fosse stato per loro forse non avrebbe passato nemmeno la prima notte.

- Con quelle medicine guarirà presto.

Esclamò Chopper, sicuro. Chiunque fosse stato a prescriverle, doveva essere un bravo medico. Sapeva quello che faceva.

- È la migliore notizia che ho da giorni, ma ditemi di voi..

Mormorò l’uomo, inclinando appena la testa. Il suo viso era meno pallido, e lui sorrideva. Sembrava quasi divertito.

- Perché? 

Chiese Zoro, intuendo che il discorso stava per finire in un tema pericoloso.

- Dovreste essere morti, tutti quanti.

Rispose l’uomo, sorridendo appena. 
Non sembrava spaventato, solo incredibilmente divertito. Indicò un giornale, poco lontano, che parlava della fine della ciurma di cappello di paglia. Doveva essere di qualche tempo prima, ma era sorprendente che fosse arrivato fino nelle profondità del mare.

- Sai parecchie cose per essere bloccato in una grotta..

Commentò Rufy, fissando prima il giornale e poi lui. 
Per un po’ cadde il silenzio, poi l’uomo parlò ancora, ignorando l’occhiata attenta del ragazzo di gomma.

 - Se voi siete vivi, allora vuole dire che la marina ha mentito su tante cose nel corso della passata guerra..

Mormorò, senza nascondere il suo divertimento.

- Che vuoi dire?

Chiese Nami, incredula e quasi spaventata. 
Quell’uomo sapeva molte cose, troppe per essere davvero innocuo. Per prima cosa li aveva riconosciuti, e questo era certamente un male. La sua espressione, poi, era tutto tranne che ingenua.

- Lascia perdere. Piuttosto, conoscete i pirati che sono arrivati qualche giorno fa?

Chiese l’uomo, facendosi più scuro in volto. Rufy non disse nulla, era perplesso.

- Non saprei, noi siamo tutti qua.. Non ci sono altri..

Disse Usop, preoccupato. Se c’erano altri pirati su quell’isola potevano essere nemici. In quel caso alla fine avrebbero dovuto combattere, come sempre.

- C’è un sottomarino ancorato da qualche parte, con una bandiera pirata. lo hanno visto in parecchi ormai.

Spiegò il ragazzo, giocherellando con una tenda.

- Chi mai andrebbe in giro con un sottomarino? Voglio dire.. è folle!

Esclamò Sanji, scuotendo la testa perplesso. Nessuno pirata sano di mente avrebbe mai fatto una scelta del genere. Era semplicemente assurdo.

- Trafalgar Law. Voglio incontrarlo!

Urlò Rufy, lasciando la stanza come una furia.

ANGOLO DELL'AUTRICE
per prima cosa, grazie della pazienza. negli ultimi tempi ho avuto qualche problema e non trovavo mai abbastanza tempo per aggiornare! grazie per continuare a leggere la mia storia nonostante questo.
TRE 88: grazie mille!!! beh, due anni non possono cambiare fino in fondo una persona. al massimo possono smussare qualche lato del carattere. che la grotta sia misteriosa è certo, aspetta di vedere chi la abita!
NIKI96: grazie mille!!! la depressione di Rufy è passata, il problema è che adesso si è rassegnato all'idea di avere perso i suoi fratelli. come la potrebbe prendere se mai scoprirà che sono vivi?
KURUCCHA: grazie mille!!! il discorso tra uomini ci stava, dai. adesso che è tornata la pace la ciurma è pronta a cacciarsi di nuovo nei guai. robin non conosce veramente sabo, ne ha sentito parlare e lo ha intravisto appena.
GOL D ANN: grazie mille!!! per l'incontro dovrai portare pazienza, in fondo quello è il finale.. no?
HINA_SMACK: grazie mille!!! che Sabo sia davvero vivo è una bella notizia, su Ace però ho dei dubbi anche se la speranza resta l'ultima a morire. ad ogni modo, grazie per il commento. mi ha fatto moltissimo piacere!

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