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di manubibi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


David Karofsky non aveva mai scoperto cos'era quel senso di solitudine e di nostalgia che provava da tutta una vita. Fin da quando riusciva a ricordare era sempre rimasto intrappolato in piccole e grandi paure irrazionali, come quella dei posti affollati o dei raggi laser. Ma ci si era abituato, lentamente, fin dall'età di dieci anni, da quando cioè riusciva a ricordare. Della sua vita precedente la primavera del Duemila non sapeva niente, se non quello che gli veniva raccontato da suo padre. O, per come lo sentiva lui, il suo tutore. Effettivamente avrebbe voluto tantissimo provare tutto l'affetto che poteva verso di lui per quel tipo di legame che sapeva di avere con qualcuno, ma quando lo vedeva non avvertiva alcun segnale dal proprio corpo - anche solo una piccola stretta al cuore, una voglia naturale di sorridere. No, sapeva di doverlo fare, ma non riusciva ad essere spontaneo nelle sue dimostrazioni d'amore, piuttosto goffe ed incerte, che venivano scambiate per rare eccezioni al suo tipico atteggiamento da teenager incazzato col mondo e troppo orgoglioso per ammettere di voler bene a qualcuno.
Almeno era così che la pensava Paul, uno dei tanti padri single che si colpevolizzava ogni volta che il figlio tornava a casa con dei brutti voti o delle multe. Quando David sbagliava, suo padre cominciava con la solita ramanzina da padre apprensivo, alla quale il ragazzo si ribellava alzando la voce anche se non era stato accusato di nulla, semplicemente perché qualche istinto dentro di lui gli diceva di farlo. Non che fosse particolarmente ribelle, anzi la maggior parte delle volte si comportava esattamente come il buonsenso gli diceva di fare, almeno a casa. Non disturbava, faceva i compiti - o fingeva di farlo - e saltuariamente accettava qualche lavoro, tanto per dimostrare di essere già grande.
Il suo interesse maggiore, comunque, era mimetizzarsi. Con quel corpo massiccio era un pò difficile passare inosservato, ma tutto quello che voleva era passare gli anni al Liceo in totale, o quasi, anonimato. Guadagnarsi voti positivi ma non tanto da farsi chiamare secchione, eccellere nello sport ma non tanto da diventare popolare, avere una vita sociale ma non essere un punto di riferimento a Lima. Non c'erano motivazioni particolari dietro a questo atteggiamento, era la sua natura e si trovava perfettamente nel suo piccolo baccello. Non fosse stato, per l'appunto, per quella sensazione costante di distacco. Non sapeva esattamente da cosa, solo che nessun ambiente che frequentava abitualmente lo metteva del tutto a suo agio. Era come un senso di oppressione al petto, come se respirare fosse troppo difficile e riuscisse a farlo solo parzialmente. Questa prigionia mentale era l'unico motivo per cui ogni cosa sembrava essere sbagliata per sé, dato che il football non lo appassionava - anche se dimostrava il contrario - e non c'erano materie scolastiche che lo attiravano particolarmente. Niente sulla Terra sembrava interessante abbastanza.
Niente tranne Kurt Hummel.
Kurt era il figlio del meccanico, dichiaratamente omosessuale e per questo una piccola enorme eccezione in quella scuola piena di macchiette omologate. Piena di tanti David Karofsky che a differenza sua non si interessavano davvero del piccolo e sottile Kurt. Del Principe sempre eccentrico che faceva tutte le cose sbagliate, almeno dal punto di vista di Dave. Vestiti appariscenti, voce cristallina e quasi femminile, atteggiamento da Regina d'Inghilterra e labbra curve, rosse, che sputavano risposte pungenti ed argute almeno metà del tempo.
David disapprovava. Non capiva perché non potesse semplicemente ignorarlo, perché una piccola e nera parte di sé volesse soggiogarlo al proprio stile di vita. Specialmente non concepiva la soddisfazione in Hummel nel girare per i corridoi con tutti i ragazzi più sfigati della scuola. La cheerleader che era rimasta incinta ed era stata espulsa dal team; il quarterback che non correva più per i campi per cantare nel club più ridicolizzato di tutti; per non parlare della più ridicolizzata di tutte, quella che girava con vestitini che sembravano rubati al guardaroba di una Apple Scruff degli anni Sessanta. Li guardava passare, Kurt in testa o in mezzo al gruppo, scoppiando a ridere mentre sparivano in qualche aula. Ed ogni volta David si fermava in mezzo al corridoio, con un nodo d'abbandono nel petto, un pungiglione al cuore. Non gli piaceva quella sensazione, per niente. Quel mal di pancia gli faceva paura, non sapeva cosa fosse, non poteva razionalizzarlo e spiegarlo a se stesso per tranquillizzarsi. E Hummel tornava davanti ai suoi occhi anche quando non c'era, sentiva la sua voce anche quando non era nei paraggi, gli pareva di averlo dietro le spalle quando in verità sapeva benissimo che si trovava alle prove del suo Glee Club. Era una presenza costante in quasi ogni momento, e non era confortante. Anzi, quella strana ossessione lo costringeva a deglutire per spingere giù quel groppo cronico senza riuscirci quando Kurt semplicemente compariva davanti a lui.
Conosceva il sesso, ma non a livello pratico. Non sapeva se quella fosse attrazione, odio o semplice ammirazione. Sapeva solo di non avere niente in comune con quel ragazzo dalle guance chiare e gli occhi grandi, la voce ambigua ed il portamento altezzoso. Ma voleva che quella tortura smettesse. Lo faceva incazzare l'essere così spaesato tutto il tempo ed il non riuscire a non pensarci. Non era felice, per niente, e le canzoni che ascoltava erano insolitamente angoscianti, sia che parlassero di allegria - cosa che gli mancava - che di esclusione ed abbandono - che era il suo costante stato d'animo. Aveva sentito parlare di altri ragazzi che si sentivano diversi, ma loro si isolavano volutamente dalla massa per tutta una serie di motivi, come il sentirsi meglio in un gruppo minoritario. Dave però non capiva nemmeno loro, perché il suo obiettivo era amalgamarsi. Non era esattamente un impulso cosciente, sapeva solo che andava fatto, a tutti i costi.
Kurt, nello specifico, sfidava tutte queste convinzioni e queste pulsazioni contrastanti. E lo faceva incazzare soprattutto perché sembrava perfettamente felice di come viveva. Lo faceva uscire di testa il fatto che Hummel gli sbattesse in faccia tutto il tempo la propria palese soddisfazione.
Ed era per questo che occasionalmente si impegnava a rendergli la vita un pò più imperfetta. Perché voleva quella cosa e non potendola avere non riusciva ad accettare che qualcun altro ce l'avesse semplicemente esistendo.
Perciò, senza riflettere, sfruttava la propria forza fisica per colpirlo. Non così forte da mettersi nei guai - non voleva essere al centro dell'attenzione - ma con piccoli assalti mirati. Con tutta la rudezza possibile, lo prendeva a spallate mandandolo contro i muri e gli armadietti del corridoio. Ed, inaspettatamente, provava soddisfazione nei silenzi spaventati di Kurt, come se così si sentisse meno solo in quell'ansia costante, almeno per qualche minuto. Se Kurt era così soddisfatto di se stesso da girare bellamente esaltandosi ogni secondo, doveva aspettarsi reazioni di questo tipo, pensava Dave. Ma ancora, non poteva liberarsi di quel miscuglio di gelo e calore che si diffondeva come un morbo nel suo corpo e lungo la spina dorsale quando vedeva Kurt. Era asfissiante, lo avvelenava solo essendo lì. Voleva che sparisse, era terrorizzato da tutta quell'angoscia. Come si permetteva, Hummel, di provocargli tutte quelle paure senza nemmeno sforzarsi? E più lo maltrattava più Kurt gli urlava contro con quella sua vocetta che gli provocava un enorme fastidio. Eppure voleva sentirla di più, voleva che gli urlasse ancora contro, voleva sentire la paura e la rabbia nella sua voce.
Poi tornava a casa, mettendo un'altra maschera delle infinite che aveva fabbricato negli anni, spingendo tutto quel veleno in una cella della propria identità.

 

[Primo capitolo di questa long della quale so pochissimo, sia in termini di trama che di lunghezza XD però quest'idea ce l'avevo per la testa da qualche giorno e aspettavo di avere l'ispirazione per scriverla... E finalmente è arrivata! Devo ringraziare Lisachan (se siete nell'ambiente delle challenge su LJ, per esempio, la conoscete di sicuro) per avermi spinto a prenderla in mano... Comunque finora non è successo niente, questo è un capitolo di introduzione ed è applicabilissimo al personaggio IC di Glee, è come lo vedo io, ecco. Però dal prossimo capitolo si entra nel vivo :) ho altri due capitoli pronti, pianifico di scrivere ogni giorno ma con l'ispirazione che viene e che va non si sa mai... Spero di farcela a finirla! Le recensioni sono graditissime, anche perché è da poco che sono in questo fandom... D: spero vi piacerà!]

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


"Ehi! Parlo con te!" urlò una volta Hummel, stanco di quei maltrattamenti per lui immotivati, che lo spaventavano e si aggiungevano a tanti altri motivi per cui si sentiva costantemente minacciato. Da quasi tutti. Le azioni di Karofsky aumentavano le proprie paranoie, la convinzione latente di essere sbagliato, in qualche modo. Convinzione che riusciva benissimo a nascondere sotto uno strato di sarcasmo ed uno di zucchero, dietro la propria conoscenza sconfinata della cultura pop e tutti gli impegni che si prendeva per non pensare. 

"Lo spogliatoio delle ragazze è nell'altra stanza" Aveva subito risposto Dave, come a voler dire che il suo disprezzo apparente per Kurt venisse dall'omosessualità ostentata, quando faceva parte di un discorso generale al quale, anche volendo, non avrebbe saputo dar voce. Kurt, sempre più aizzato da se stesso per questo atteggiamento incomprensibile del ragazzo più grosso, aveva scatenato il proprio lato polemico, ma soprattutto l'angoscia repressa per mesi, vedendo in quel particolare spintone l'occasione per tentare di risolvere la situazione. Non ce la faceva davvero più, e nel frattempo si era anche confidato con l'unico amico che sentiva davvero simile a sé, ovvero Blaine.

Blaine veniva da un'altra scuola, nella quale Kurt avrebbe voluto fuggire proprio per colpa di Dave. Ma se avesse risolto il problema non sarebbe stato necessario. Voleva capire il comportamento di Dave strettamente per trovare una cura, un vaccino, un bavaglio. Blaine era l'amico, il confidente che l'aveva spinto a confrontarsi con Dave per capire se la sua fosse solo omofobia o se avesse altri motivi per comportarsi così. Le premesse erano sbagliate, ma loro non potevano saperlo. Così Kurt l'aveva seguito, con il cipiglio offeso degno della persona orgogliosa che era.

"Che problemi hai?" gridò di nuovo, seguendolo a ruota nello spogliatoio, rosso in viso per la rabbia. La bestia nel petto di Dave aveva soffiato come un gatto sotto minaccia, ma l'altra parte di sé lo teneva per le briglie, forzandolo a reprimere l'istinto di colpirlo per difendersi. Non prestava attenzione alle parole di Kurt, in quel momento era troppo impegnato a decidere se fuggire o ignorarlo, sperando che se ne sarebbe andato. E gli conveniva farlo presto, perché la Bestia si stava agitando ogni secondo di più.

"Prego?" Aveva risposto, punto nel vivo dalla parola 'problemi'. Sapeva di averne, ma non voleva ammetterlo a nessun altro. Evidentemente non era riuscito a decidere e si era lasciato trascinare dalla tensione fra loro. 

"Cos'è che ti spaventa tanto?" 

Per un attimo, David provò una fitta al cuore, molto probabilmente di paura. Come faceva Hummel a sapere che era spaventato? Come faceva ad aver centrato il punto senza averci nemmeno parlato una volta? Decise di negare, guardando altrove e rovistando nell'armadietto, come a mostrargli che aveva torto. 

"A parte che tu sia venuto a guardarmi il pacco?" Rispose, coprendo l'ansia crescente ed i ruggiti interiori. Dentro di lui poteva sentire chiaramente un chiasso, come una sala piena di persone sguaiate che urlano da una parte all'altra senza un senso complessivo. E non capiva una sola voce, e voleva uscire subito da quella situazione, ed i muscoli si flettevano da soli, e la pancia faceva male, ed un pezzo di sé voleva rimanere lì, non c'era nemmeno tempo di chiedersi perché.

"Oh, sì, giusto, l'incubo di voi etero è che tutti noi gay vogliamo solo molestarvi e convertirvi. Beh, indovina un pò, non sei il mio tipo".

L'attenzione di Dave fu attirata immediatamente da quell'ultima frase, anche se il suo impulso principale era quello di ignorarlo. Stai zitto, diceva, non rispondere, lascia che se ne vada. Ma in quel momento era colpito, perché un'altra sensazione, assieme alla moltitudine di cose che stava provando, si stava facendo largo, come un novellino rompipalle che nessuno ha mai notato prima.

"Ah, sì?" Rispose cercando di suonare incolore, mentre la delusione faceva affilare i suoi occhi.

"Sì, non mi piacciono quelli grassi che sudano come maiali e che si ritroveranno calvi fra vent'anni".

David si sentì violato. Non da Kurt, ma da qualcosa di enorme che stava dentro di sé. Come se si stesse lacerando dall'interno. 

Qual era il suo tipo, allora? E lo vedeva davvero così? Lo stava solo provocando? Soprattutto, perché gli importava così tanto dell'opinione di Hummel? Lui era il nemico, ovvio che lo disprezzasse. Ma questo non vuol dire che non facesse male. Così male che aveva l'impressione che la pelle sarebbe esplosa e che--

"Non provocarmi, Hummel" Biascicò, cercando di tenersi a bada. Doveva farlo, perché aveva paura di qualcosa di completamente sconosciuto. Stava uscendo allo scoperto e non aveva idea di cosa fosse. Non era solo una sensazione, era qualcosa di reale, una cosa vera e doveva reprimerla. Ma per farlo doveva prima liberarsi di Kurt. Alzò il pugno, con aria più spaventata che minacciosa, ma non lo sapeva.

"Vai, prendimi a pugni. Fallo, ma non cambierà quello che sono, perché non puoi farmi smettere di essere gay a suon di pugni quanto io non posso farti smettere di essere ignorante!" Sciorinò in un soffio solo il più piccolo, infiammandosi, con gli occhi che brillavano d'orgoglio ma anche di spavento.

David era sopraffatto, non riusciva più a vedere altro che Kurt, non provava altro che la necessità vitale di zittirlo e mandarlo via. Era veleno, eppure c'era ancora quel pezzo del proprio ego che lo voleva ancora lì. Erano istinti opposti che non potevano stare in un corpo solo.

"Lasciami in pace!" Urlò forte, in un disperato tentativo di liberarsi di tutte quelle sensazioni, ma la Bestia non aveva fatto altro che agitarsi di più, ormai del tutto sveglia, prendendo lentamente possesso di lui. Se solo non fosse così confuso da quella cosa che aveva dentro!

"Non sei altro che un ragazzino spaventato che non riesce ad accettare il fatto di essere straordinariamente ordinario!" Lo accusò Kurt, colpendolo più forte di una spallata a football o di un pugno al diaframma. Dave si sentì improvvisamente allo scoperto, come se il fatto che qualcun altro avesse capito cosa provava davvero l'avesse reso improvvisamente nudo, senza più corazze. E David, il ragazzino spaventato che guardava se stesso essere qualcun altro agì di conseguenza, approfittando dell'occasione di uscire allo scoperto. Dopo sei anni di reclusione dentro il proprio stesso corpo. Prese il viso spaventato, caldo e rabbioso di Kurt, come se volesse inglobarlo.

Come se volesse proteggerlo da quella Cosa della quale era stato prigioniero tutto quel tempo, e che allo stesso tempo coincideva proprio con Dave.

Si impossessò delle sue labbra, in un atto completamente indipendente dalla volontà predominante, come la ribellione dei carcerati.

Ottenere quello che non sapeva di aver voluto lo fece sentire così libero da esserne sconvolto e tanto da volerne ancora, ma Kurt era troppo spaventato e scioccato, perciò lo spinse via da sé. 

In quel momento Dave sembrò tornare in sé, anche se quello che era di solito si trattava di un'altra persona, ora lo sapeva. Ma lo spavento era così forte che per un momento perse del tutto il contatto con la realtà. Non sapeva cosa stava succedendo, ma Kurt lo poteva vedere.

Le pupille di Dave si erano espanse fino ad annerire completamente gli occhi, come una macchia d'inchiostro che si allarga sul foglio. E poi, così com'era successo, quasi come fosse stata un'allucinazione, tornarono normali, anche se feriti e spaventati. 

Entrambi rimasero immobili, sapendo che era successo qualcosa di inspiegabile e che tutta quella sceneggiata era servita solo a scoprire la verità.

C'era decisamente qualcosa di strano in Dave, ed ora anche qualcun altro lo sapeva.

 

 

NdA: Sì, sono ancora viva e_e e sono in ritardo vergognoso, ma sono ancora in un periodo di orribile pigrizia produttiva. Cioè, non sono ispirata proprio per niente ç_ç e non ho voglia di scrivere. Comunque mi era sembrato di riscontrare poco interesse nel fandom, però ci riprovo lo stesso. Spero vi interessi un po' di più :) 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Dopo parecchi minuti David fissò gli occhi in quelli immobili di Kurt, che era rimasto a guardarlo sull'attenti, forse temendo un altro fenomeno simile e magari uno scatto più feroce. Perché aveva definitivamente capito che David non era in sé, ma c'era qualcosa di terribilmente strano e sbagliato. Con il buonsenso poi aveva capito che non poteva biasimarlo. E che in quel momento erano definitivamente usciti dal campo del razionale, e questo lo destabilizzava. Kurt non credeva all'Inferno ed al Paradiso, non credeva negli alieni, non credeva nemmeno negli angeli o in altre ipotesi incerte. Ora era costretto a considerare come probabili tutta una serie di ipotesi talmente ridicole ma vere che si sentiva il pavimento sparire da sotto i piedi. Non pensava che il modo di dire 'sentirsi mancare la terra sotto i piedi' potesse essere così letterale. Sentiva tutto il corpo formicolare come quando il sangue smette di circolare in una gamba ed il malessere tipico dello svenimento, eppure per qualche motivo era ancora lì a fissare il viso immobile e pallidissimo di Dave.

"Ti... Cioè, ti prego, non dirlo a nessuno" Lo supplicò David, deglutendo e riprendendo giusto un pò di colore in viso, essendo riuscito a rompere il silenzio che pesava quasi fisicamente sulle loro spalle.

Kurt impiegò qualche altro secondo prima di parlare, sentendo dei conati di vomito spingere lungo la trachea.

"Cosa... Cos'era?" Chiese, facendo un passo indietro e stringendo i pugni. Si sentiva minacciato anche se l'aspetto di David ora era quello che non aveva mai mostrato prima. Era imbarazzato, ma soprattutto impaurito e non sapeva come reagire, specialmente a se stesso. Ora era certo che ci fosse qualcosa che non andava, ma non sapeva ancora cosa.

"Non lo so..." Ammise, deglutendo e chiedendosi effettivamente cosa fosse successo. Sapeva solo che improvvisamente aveva visto tutto bianco in una maniera innaturale, il viso di Kurt ad una risoluzione sovrumana, tanto da poter vedere ogni singolo poro della sua pelle. Ed aveva provato l'istinto quasi incontrollabile di... Andare a casa, per esprimerlo a parole, solo che la 'casa' della quale aveva intuito l'esistenza non era quella a due piani con le tende a decorazioni greche di Lima. Era da un'altra parte. Ma di tutto questo aveva solo una vaga impressione. Dave sapeva solo che quella poteva essere una risposta alla sua costante nostalgia di qualcos'altro. 

"Gli occhi ti sono diventati tutti neri" Balbettò Kurt, respirando leggermente più in fretta e facendosi prendere da un altro breve attacco di paura, col cuore che batteva forte contro la cassa toracica. 

Dave lo fissò, come se all'improvviso Kurt si fosse messo a parlare aramaico ed arabo nello stesso momento. "Cosa?" Esclamò, per poi ammonirsi da solo di abbassare la voce. Dopotutto erano ancora in orario scolastico e qualcuno sarebbe potuto entrare mentre discutevano di occhi che si anneriscono. Kurt si allontanò di un altro passo, iniziando a tremare lievemente, scaricando la tensione. Si stava pian piano convincendo che David non gli avrebbe più fatto del male. Effettivamente, aveva tutta l'aria di un uomo sul patibolo nel momento del pentimento.

"I tuoi occhi... Cioè, sono diventati tutti neri, era come... Non lo so, non si vedeva più il, cioè, la cornea, cioè, capisci cosa intendo?" Rispose Kurt, appiattito contro un armadio.

Dave si irrigidì di nuovo, provando un crampo allo stomaco. Ora anche lui sentiva i conati di vomito, iniziando a sudare col cuore che correva fino alla gola. Deglutì per spingerlo di nuovo al suo posto ed ansimò. "Non... Cioè, non per davvero... Vero?". 

"Ti sto dicendo quello che ho visto, Karofsky!" Esclamò Kurt, battendo un pugno contro lo sportello dell'armadietto per il nervosismo accumulato. 

David zittì, sedendo su una panchina e prendendosi la testa fra le mani, coprendosi gli occhi come a voler evitare di vedere di nuovo in quel modo spaventoso.

Kurt invece fuggì qualche minuto dopo, assicurandosi che non sarebbe stato seguito e ucciso. Certo, non aveva pensato che David avrebbe potuto ucciderlo davvero, ma la paura era quella. 

Dopo un lasso di tempo indefinito ma sicuramente lungo, Dave si alzò in piedi, tastando il terreno per assicurarsi che non sarebbe svenuto. Certo, sentiva ancora un malessere in fondo allo stomaco ma ora sapeva di aver fatto un passo avanti nell'enigma che sentiva dentro di sé. Lentamente, con la testa satura di pensieri e paure, prese l'auto e la strada di casa, cercando di tornare nei suoi panni abituali, ma la paura di smascherarsi anche di fronte a Paul finì per ingannarlo lo stesso, perché il padre si accorse dal primo momento che c'era qualcosa che non andava.

"David?" Chiese, distogliendo gli occhi dalla televisione ed alzandosi faticosamente, raggiungendolo con un paio di passi claudicanti, prendendo il viso del figlio fra le mani. "E' successo qualcosa a scuola? Che c'è?"

David deglutì, spaventato anche di guardarlo negli occhi, e scosse la testa per liberarsi, senza però reagire in altro modo. "Niente pà, sono stanco, oggi ho giocato".

Paul si accigliò, notando anche il pallore sul viso del figlio e rendendosi conto che non era affatto stanco. Anzi, sembrava fin troppo sveglio.

"Sicuro?" Insistette, fissandolo inquisitorio. 

"Sì, papà, Dio santo!" Scattò, facendo qualche passo indietro e sbuffando, colpevolizzandosi già e rifugiandosi su per le scale, in camera, chiudendo la porta e girando la chiave nella toppa. Paul fissò le scale per un pezzo, prima di decidersi a dimenticare la scena. Dopotutto non era la prima volta che David scattava in quel modo, così tornò a fare zapping alla tv.

David invece si buttò sul letto, respirando a fondo qualche volta e passandosi le mani grandi sul viso, massaggiandosi le palpebre prima di rilassarsi un pò e mettersi a fissare il soffitto. Prese l'iPod dalla tasca dello zaino e si mise ad ascoltare in riproduzione casuale. Non gli importavano le canzoni, gli importava sovrastare il silenzio, così sarebbe riuscito a concentrarsi. Si accigliò e prese a pensare. Kurt aveva detto che gli occhi erano diventati tutti neri. Ipotizzò, dal poco che sapeva, che le pupille si fossero espanse innaturalmente fino a coprire tutta la cornea. Ma non era possibile! Era ridicolo, eppure aveva un suo senso. Si spiegava l'estremo dettaglio con cui aveva potuto vedere il viso di Kurt, coi colori perfetti ma soprattutto un'illuminazione altissima, tanto che per un momento aveva visto tutto bianco, prima di mettere a fuoco per quel secondo in cui era successo il fatto. Insomma, era successo qualcosa che, escludendo alcuni fattori, era probabilmente spiegabile. Ma ancora, perché aveva provato tutte quelle sensazioni contrastanti che l'avevano fatto sentire sull'orlo dell'esplosione? Perché per un attimo aveva creduto di aver intravisto la soluzione a quella domanda che aveva avuto dentro di sé per anni?

Chiaramente la domanda fondamentale era diventata un'altra. Cioè, ora si faceva in lui il dubbio di non essere del tutto umano. Cioè, che qualcosa in lui lo rendesse unico. E, con un moto di paura, realizzò di essere anche solo. E non dipendeva solo dagli occhi che si ingrandivano a dismisura, ma c'era anche quella seconda personalità che, considerò, aveva influenzato il suo modo di agire e le sue scelte da tutta una vita. Non che ora ne sapesse molto di più. Non sapeva se considerarsi pazzo o sfortunato, non sapeva se un giorno se ne sarebbe liberato, non sapeva cosa sarebbe successo ed improvvisamente tutto il suo futuro appariva come una nebula spaventosa. Era un caso isolato? O sarebbe successo di nuovo? Ed esattamente, cosa era successo? Tutte queste domande lo spaventavano, perché aveva scoperto di non avere idea di chi fosse dentro. Spingere tutti i suoi quesiti sotto una maschera era servito solo a farle diventare più grandi e gli aveva impedito di conoscersi. Realizzò che c'era una creatura in quella stanza della quale non sapeva niente. Non sapeva se era malintenzionata, se era buona o meno. E quella creatura era lui.

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