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Autore: manubibi    09/05/2011    2 recensioni
Tutti sappiamo che Dave Karofsky ha un grande segreto. Ma se non fosse l'omosessualità, o meglio, se non fosse solo quella? Kurtofsky un pò fantascientifica, che parte dal canon per poi svilupparsi in modo alternativo. Spero vi piacerà! (Avviso, il rating potrebbe cambiare man mano che la scrivo!)
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Dave Karofsky, Kurt Hummel
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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David Karofsky non aveva mai scoperto cos'era quel senso di solitudine e di nostalgia che provava da tutta una vita. Fin da quando riusciva a ricordare era sempre rimasto intrappolato in piccole e grandi paure irrazionali, come quella dei posti affollati o dei raggi laser. Ma ci si era abituato, lentamente, fin dall'età di dieci anni, da quando cioè riusciva a ricordare. Della sua vita precedente la primavera del Duemila non sapeva niente, se non quello che gli veniva raccontato da suo padre. O, per come lo sentiva lui, il suo tutore. Effettivamente avrebbe voluto tantissimo provare tutto l'affetto che poteva verso di lui per quel tipo di legame che sapeva di avere con qualcuno, ma quando lo vedeva non avvertiva alcun segnale dal proprio corpo - anche solo una piccola stretta al cuore, una voglia naturale di sorridere. No, sapeva di doverlo fare, ma non riusciva ad essere spontaneo nelle sue dimostrazioni d'amore, piuttosto goffe ed incerte, che venivano scambiate per rare eccezioni al suo tipico atteggiamento da teenager incazzato col mondo e troppo orgoglioso per ammettere di voler bene a qualcuno.
Almeno era così che la pensava Paul, uno dei tanti padri single che si colpevolizzava ogni volta che il figlio tornava a casa con dei brutti voti o delle multe. Quando David sbagliava, suo padre cominciava con la solita ramanzina da padre apprensivo, alla quale il ragazzo si ribellava alzando la voce anche se non era stato accusato di nulla, semplicemente perché qualche istinto dentro di lui gli diceva di farlo. Non che fosse particolarmente ribelle, anzi la maggior parte delle volte si comportava esattamente come il buonsenso gli diceva di fare, almeno a casa. Non disturbava, faceva i compiti - o fingeva di farlo - e saltuariamente accettava qualche lavoro, tanto per dimostrare di essere già grande.
Il suo interesse maggiore, comunque, era mimetizzarsi. Con quel corpo massiccio era un pò difficile passare inosservato, ma tutto quello che voleva era passare gli anni al Liceo in totale, o quasi, anonimato. Guadagnarsi voti positivi ma non tanto da farsi chiamare secchione, eccellere nello sport ma non tanto da diventare popolare, avere una vita sociale ma non essere un punto di riferimento a Lima. Non c'erano motivazioni particolari dietro a questo atteggiamento, era la sua natura e si trovava perfettamente nel suo piccolo baccello. Non fosse stato, per l'appunto, per quella sensazione costante di distacco. Non sapeva esattamente da cosa, solo che nessun ambiente che frequentava abitualmente lo metteva del tutto a suo agio. Era come un senso di oppressione al petto, come se respirare fosse troppo difficile e riuscisse a farlo solo parzialmente. Questa prigionia mentale era l'unico motivo per cui ogni cosa sembrava essere sbagliata per sé, dato che il football non lo appassionava - anche se dimostrava il contrario - e non c'erano materie scolastiche che lo attiravano particolarmente. Niente sulla Terra sembrava interessante abbastanza.
Niente tranne Kurt Hummel.
Kurt era il figlio del meccanico, dichiaratamente omosessuale e per questo una piccola enorme eccezione in quella scuola piena di macchiette omologate. Piena di tanti David Karofsky che a differenza sua non si interessavano davvero del piccolo e sottile Kurt. Del Principe sempre eccentrico che faceva tutte le cose sbagliate, almeno dal punto di vista di Dave. Vestiti appariscenti, voce cristallina e quasi femminile, atteggiamento da Regina d'Inghilterra e labbra curve, rosse, che sputavano risposte pungenti ed argute almeno metà del tempo.
David disapprovava. Non capiva perché non potesse semplicemente ignorarlo, perché una piccola e nera parte di sé volesse soggiogarlo al proprio stile di vita. Specialmente non concepiva la soddisfazione in Hummel nel girare per i corridoi con tutti i ragazzi più sfigati della scuola. La cheerleader che era rimasta incinta ed era stata espulsa dal team; il quarterback che non correva più per i campi per cantare nel club più ridicolizzato di tutti; per non parlare della più ridicolizzata di tutte, quella che girava con vestitini che sembravano rubati al guardaroba di una Apple Scruff degli anni Sessanta. Li guardava passare, Kurt in testa o in mezzo al gruppo, scoppiando a ridere mentre sparivano in qualche aula. Ed ogni volta David si fermava in mezzo al corridoio, con un nodo d'abbandono nel petto, un pungiglione al cuore. Non gli piaceva quella sensazione, per niente. Quel mal di pancia gli faceva paura, non sapeva cosa fosse, non poteva razionalizzarlo e spiegarlo a se stesso per tranquillizzarsi. E Hummel tornava davanti ai suoi occhi anche quando non c'era, sentiva la sua voce anche quando non era nei paraggi, gli pareva di averlo dietro le spalle quando in verità sapeva benissimo che si trovava alle prove del suo Glee Club. Era una presenza costante in quasi ogni momento, e non era confortante. Anzi, quella strana ossessione lo costringeva a deglutire per spingere giù quel groppo cronico senza riuscirci quando Kurt semplicemente compariva davanti a lui.
Conosceva il sesso, ma non a livello pratico. Non sapeva se quella fosse attrazione, odio o semplice ammirazione. Sapeva solo di non avere niente in comune con quel ragazzo dalle guance chiare e gli occhi grandi, la voce ambigua ed il portamento altezzoso. Ma voleva che quella tortura smettesse. Lo faceva incazzare l'essere così spaesato tutto il tempo ed il non riuscire a non pensarci. Non era felice, per niente, e le canzoni che ascoltava erano insolitamente angoscianti, sia che parlassero di allegria - cosa che gli mancava - che di esclusione ed abbandono - che era il suo costante stato d'animo. Aveva sentito parlare di altri ragazzi che si sentivano diversi, ma loro si isolavano volutamente dalla massa per tutta una serie di motivi, come il sentirsi meglio in un gruppo minoritario. Dave però non capiva nemmeno loro, perché il suo obiettivo era amalgamarsi. Non era esattamente un impulso cosciente, sapeva solo che andava fatto, a tutti i costi.
Kurt, nello specifico, sfidava tutte queste convinzioni e queste pulsazioni contrastanti. E lo faceva incazzare soprattutto perché sembrava perfettamente felice di come viveva. Lo faceva uscire di testa il fatto che Hummel gli sbattesse in faccia tutto il tempo la propria palese soddisfazione.
Ed era per questo che occasionalmente si impegnava a rendergli la vita un pò più imperfetta. Perché voleva quella cosa e non potendola avere non riusciva ad accettare che qualcun altro ce l'avesse semplicemente esistendo.
Perciò, senza riflettere, sfruttava la propria forza fisica per colpirlo. Non così forte da mettersi nei guai - non voleva essere al centro dell'attenzione - ma con piccoli assalti mirati. Con tutta la rudezza possibile, lo prendeva a spallate mandandolo contro i muri e gli armadietti del corridoio. Ed, inaspettatamente, provava soddisfazione nei silenzi spaventati di Kurt, come se così si sentisse meno solo in quell'ansia costante, almeno per qualche minuto. Se Kurt era così soddisfatto di se stesso da girare bellamente esaltandosi ogni secondo, doveva aspettarsi reazioni di questo tipo, pensava Dave. Ma ancora, non poteva liberarsi di quel miscuglio di gelo e calore che si diffondeva come un morbo nel suo corpo e lungo la spina dorsale quando vedeva Kurt. Era asfissiante, lo avvelenava solo essendo lì. Voleva che sparisse, era terrorizzato da tutta quell'angoscia. Come si permetteva, Hummel, di provocargli tutte quelle paure senza nemmeno sforzarsi? E più lo maltrattava più Kurt gli urlava contro con quella sua vocetta che gli provocava un enorme fastidio. Eppure voleva sentirla di più, voleva che gli urlasse ancora contro, voleva sentire la paura e la rabbia nella sua voce.
Poi tornava a casa, mettendo un'altra maschera delle infinite che aveva fabbricato negli anni, spingendo tutto quel veleno in una cella della propria identità.

 

[Primo capitolo di questa long della quale so pochissimo, sia in termini di trama che di lunghezza XD però quest'idea ce l'avevo per la testa da qualche giorno e aspettavo di avere l'ispirazione per scriverla... E finalmente è arrivata! Devo ringraziare Lisachan (se siete nell'ambiente delle challenge su LJ, per esempio, la conoscete di sicuro) per avermi spinto a prenderla in mano... Comunque finora non è successo niente, questo è un capitolo di introduzione ed è applicabilissimo al personaggio IC di Glee, è come lo vedo io, ecco. Però dal prossimo capitolo si entra nel vivo :) ho altri due capitoli pronti, pianifico di scrivere ogni giorno ma con l'ispirazione che viene e che va non si sa mai... Spero di farcela a finirla! Le recensioni sono graditissime, anche perché è da poco che sono in questo fandom... D: spero vi piacerà!]

   
 
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