Bottled Up Inside. di DreamWanderer (/viewuser.php?uid=74149)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Nonsense. ***
Capitolo 2: *** 4. Recensione. ***
Capitolo 3: *** 5. Deep Inside. ***
Capitolo 4: *** 9. Incanto di Neve. ***
Capitolo 5: *** 13. Here. ***
Capitolo 1 *** 1. Nonsense. ***
1.
Nonsense.
Karen’s
PoV
E
la mia testa è ancora su quel treno.
Viaggia, viaggia,
viaggia senza mai davvero fermarsi, sentendosi come in movimento anche
nei momenti di sosta.
Viaggia, viaggia,
viaggia.
Dove viaggi, non lo so.
La musica ad alto
volume fa vibrare l’aria, mentre io siedo su questa panchina
inchiodata a terra. E anche a me sembra di essere comunque in movimento.
Sto aspettando che quel
treno passi di qui per riportare a casa la mia testa, oppure per
portare a casa me.
Ma il treno ancora
viaggia.
E
viaggia, e viaggia.
Angoletto!
Beh...
eccomi qua, come avevo promesso in "Perdue." Un
po' in ritardo, ma ci sono ^-^'''''
Allora...
questa è una storia originale, la prima che pubblico.
È una storia costruita a spezzoni, una storia composta da
tanti momenti vissuti da Karen.
Scrivo
questa storia per lei. Per darle un po' di giustizia. Per darle un filo
di voce.
Quest'inizio
è corto, è corto da far schifo e ne sono
consapevole. Il prossimo capitolo, "Una Storia Senza Lieto Fine.", lo
troverete presto se navigate nella sezione Originali>Generale.
La storia avrà il titolo "Slices of Life."
Lo so, vi
ho appena confuso le idee. Lasciatemi spiegare:
La saga di
Karen ("Shards & Shades") si articola in quattro storie
principali:
-Bottled Up Inside.
(Originali>Introspettivo)
-Slices of Life.
(Originali>Generale)
-Of Dream and Desire.
(Originali>Romantico)
-From a Friend's Eye.
(Originali> o Introspettivo o Generale, non ho ancora deciso
^-^''''')
Tutte le
storie si articolano lungo il filo conduttore che è la
storia di Karen, ma ho dovuto distinguere questi filoni per motivi di
pubblicazione: sapete, genere, rating... cose di questo tipo.
Lo so,
è un gran casino a spiegarla così, ma non dovete
preoccuparvi: potete anche scegliere di seguire solo una storia, ogni
capitolo può essere letto indipendentemente dagli altri.
Se invece,
come spero, vorrete seguire tutta la saga, potete stare tranquilli:
alla fine di ogni capitolo vi dirò dove trovare quello
seguente.
Per chiunque abbia bisogno
di chiarimenti, vi rimando alla mia pagina su FB: DreamWanderer
Fantastico,
l'angoletto è più lungo della storia.... -.-
Per vostra
gioia, ho finito!
Spero di
ritrovarvi presto nel prossimo capitolo, che dovrebbe essere on-line
entro e non oltre il prossimo weekend!
Un bacio a
tutti voi!
;*
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Capitolo 2 *** 4. Recensione. ***
4.
Recensione.
Karen’s
PoV
È sera,
è buio, e io sono in casa da sola.
Di nuovo.
Eccheppalle!
Il film che ho messo nel lettore DVD scorre sullo schermo, fotogramma
dopo fotogramma, rigorosamente in inglese. Io non sto nemmeno facendo
finta di guardarlo.
C’è il computer acceso vicino a me, con una
finestra aperta sulla pagina della mia mail, una sulla home di Facebook
e una sulla pagina account di EFP. Lo sbircio una volta ogni tanto,
quasi sperando che succeda qualcosa pur di dar tregua alla noia che mi
rende irrequieta.
È sabato sera, e io sono a casa da sola, ad annoiarmi a
morte. A meditare piani omicidi di vendetta, ma so benissimo che non li
considererò nemmeno di striscio… mi faccio i film
solo per passare il tempo.
I miei sono fuori a cena, a dare la caccia a uno di quegli infiniti
piatti del buon ricordo che mio padre ama tanto. Mia sorella invece
è uscita con i suoi amici, è andata a ballare.
Grazie per l’invito, eh.
Certo, logico, io studio in un’altra città, torno
qui per il weekend e regolarmente --no, dico, REGOLARMENTE-- quelli
escono, o fuori per un giretto tra città, o fuori a cena con
amici e colleghi, o a ballare in discoteca o a una festa di compleanno.
E regolarmente --no, dico, REGOLARMENTE-- io sto a casa. Fantastico.
Le parole della mia bellissima sorella mi rimbombano nelle orecchie,
portando anche una bella pugnalata:
--Esci coi tuoi amici, deficiente!--
E non è tanto quel deficiente a ferire, so che lo dice un
po’ per rompere le scatole e un po’ per affetto,
quanto la quarta parola.
Amici.
Averceli gli amici, vorrei ribattere. C’ho provato una volta,
e m’ha riso in faccia. Tanto per cambiare.
Ne ho appena cinque o sei di amici, idiota d’una bionda. Ma
Dalila la sera non esce, con Andrew è un casino da quando
Judith m’ha tirata in mezzo, Mel è in vacanza con
il suo ragazzo. Seli e Annie stanno in altre città.
Apro di scatto gli occhi e fisso la luce, cercando non tanto di
accecarmi quanto di scacciare le ombre che già sento premere
attorno a me.
Le ombre dei miei
pensieri, della mia rabbia, del mio rancore.
E così ritorno su EFP, recupero una storia e comincio a
recensire un capitolo che avevo lasciato indietro per questioni di
tempo.
E la recensione si forma pian piano, con pazienza infinita, mentre io
allineo ogni parola, ogni punto esclamativo, ogni faccina digitata con
i simboli matematici. E viene lunga, lunghissima.
C’è il saluto iniziale, dove rispondo ai
ringraziamenti, sempre molto calorosi, degli autori. Ad esso,
ovviamente, seguono il solito “chiedo venia” per
aver saltato il capitolo precedente, che prometto di recuperare qui in
seguito. Sono scuse esagerate simpatiche, giocose, tanto per ridere,
anche se il dispiacere d’origine un po’
c’è. E non è per manie di persecuzione,
anche se quelle non mancano, ma perché so benissimo quanto
gli autori apprezzino le mie recensioni.
Dopo questi due primi trafiletti, comincia il vero commento. Ed
è un commento che si articola seguendo i paragrafi della
storia, lasciando un parere e un complimento su ogni aspetto che
ritengo sia di rilievo o che semplicemente mi è piaciuto
tanto. E sono sempre tanti, forse anche troppi, gli elementi che mi
colpiscono. Dal banale aggettivo per caratterizzare il gesto di un
personaggio al cliff-hanger mozzafiato con cui è stato
concluso il capitolo. Sono recensioni complete, quasi professionali, ma
anche simpatiche… perché le urla contro il
personaggio che fa il bastardo non mancano mai, così come
non mancano gli scleri o le faccine.
E infine ci sono le mie “note a fondo pagina”, dove
faccio ulteriori complimenti sullo stile, sulla storia in generale,
sulle descrizioni, sulla trama. E chiudo con la mia firma, il mio
“famoso” bacio.
Io sono contenta che gli autori mi apprezzino tanto, perché
è importante anche per me sapere di aver lasciato una bella
recensione. Anche se è più corta di quelle che
lascio ai miei autori preferiti, anche se contiene una piccola critica
scritta ovviamente con tatto e umiltà --sì,
perché non sono una ruffiana, se faccio dei complimenti vuol
dire che li meritano--. Mi piace far sentire loro che ci sono, che
sarò lì per loro se mai saranno insicuri su un
capitolo, o se hanno paura che i fan li abbandonino perché
hanno un blocco o dei problemi che impediscono loro di pubblicare. Mi
piace far sentire loro che sono un’amica, oltre che una fan,
anche se non li conosco personalmente.
Ma alla fine forse un po’ li conosco, perché
nonostante i personaggi siano tanti lo scrittore è sempre
uno. E da qualche parte, in quei personaggi, c’è
sempre in pezzo d’identità del loro creatore. A
volte è anche più di un pezzo, forse.
E così scrivo ogni frase, mettendoci complimenti, ironia,
stima, rispetto, emozione, risate. Metto tutto quello che posso, e
forse so anche perché. O almeno, lo immagino. Me lo dicono
anche loro che sono un angelo, a scrivere sempre così tanto.
Quello che forse però non sanno, e che di per certo non so
nemmeno io, è che sono sempre in due le persona che
finiscono per beneficiare di quelle recensioni: una è
ovviamente, l’autore; l’altra invece, sono io.
Perché tutte quelle parole messe pazientemente in fila una
dietro l’altro sono le parole che io ho lasciato nella
valigia. Sono tutte le parole che non ho detto mai, che non dico mai,
che non dirò mai. Ed è per questo che il mio
grazie a loro diventa ancora più sentito, più
vero: perché condividendo i loro sogni mi permettono di
immedesimarmi un po’ nei loro personaggi e di vivere altre
esistenze, e di dire altre parole.
E forse anche loro lo sanno, a livello magari inconsapevole,
perché quando mi ringraziano lo fanno con repliche
altrettanto dettagliate, altrettanto intrise di rispetto e gratitudine.
Ecco perché mi piace recensire, perché passo
serate come queste non a scrivere a mia volta ma a stilare un commento
dettagliato della storia di qualcun altro. Perché
è un atto non solo voluto e apprezzato e spontaneo e bello,
ma è anche un atto dovuto. A loro, e anche un po’
a me stessa.
Angoletto!
Ed eccomi qua, puntuale di lunedì sera! Vabbè,
puntuale come i cavoli a merenda, ma sorvoliamo...
Allora,
questo è il secondo capitolo di Bottled Up inside, e il
quarto se
vogliamo prendere in esame tutta la saga. Non ho molto da dire a
riguardo, se non ammettere che è un po' strano e che non ho
la minima
idea di come sia venuto fuori (un po' come quest'intera saga, a dirla
tutta)... ma è venuto fuori, perciò eccolo qui!
E diciamocelo, a chi di noi autori non piacerebbe ricevere sempre
recensioni così? :)
Se
qualcuno di voi lettori ha voglia di lasciare un commento, non
preoccupatevi: apprezzo di sicuro! Per qualsiasi domanda,
curiosità o
quant'altro, vi ricordo che potete trovarmi sia su EFP che qui su
Facebook: DreamWanderer
Un bacio a tutti voi!
;*
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Capitolo 3 *** 5. Deep Inside. ***
5.
Deep
Inside.
Karen’s
PoV
CRASH.
È il suono che riempie il silenzio di
quest’appartamento.
CRASH.
È il suono di un prezioso oggetto di vetro soffiato che va
in pezzi contro la parete.
CRASH.
È il suono della mia rabbia.
CRASH.
È il suono della mia rabbia che trova finalmente una via di
sfogo.
La gente, di solito, preferisce urlare finché le corde
vocali non sono più in grado di emettere alcun suono. Io non
ci riesco.
Ho una seria difficoltà a sfogare qualunque sentimento di
rabbia, ira, frustrazione o dolore. Eccetto comportarmi in modo
parecchio antipatico, bene inteso. Persino questa manifestazione mi
costa fatica: mi viene voglia di mordermi a sangue le labbra, stringere
una mano a pugno e costringere l’altra a rimettere
giù il fragile oggetto che ho appena strappato dallo
scaffale.
Ma non lo
farò.
Oggi, non ho intenzione di cedere al senso di colpa. Oggi, non ho
intenzione di soffocare di nuovo l’istinto di distruzione che
sta trasformando i miei sentimenti in un maremoto. Oggi, per una volta,
non voglio pensare al dopo; perché so alla perfezione che
una volta passato l’uragano mi sentirò male per
aver mandato i pezzi la maggior parte dei ricordi delle mie gite a
Venezia. Oggi non voglio fermare l’inferno che si sta
scatenando nel mio appartamento.
Ci sono frammenti di vetro dappertutto pronti a trasformare questo caos
in sangue, la musica che esprime il lato più
gotico di Within Temptation e Evanescence è talmente alta
che potrebbe addirittura disegnare crepe nei piatti di ceramica esposti
su alcune mensole. I “famosi” Piatti del Buon
Ricordo.
Ne guardo uno con odio, e tiro anche quello contro il muro. Il
frastuono del materiale fragile che va in pezzi mi fa incredibilmente
bene, e qualcosa dentro di me alza la voce con soddisfazione
nell’ammirare altri cocci accasciarsi sul pavimento.
Sì cazzo!
Non del tutto soddisfatta, alzo di più la musica e sbatto
una porta e tiro un’altro piatto. Ormai una cacofonia di
vibrazioni sonore squassa l’aria, ma io sto cominciando a
sentirmi meglio. Decisamente meglio.
Finalmente il mio respiro comincia a calmarsi, e da affannato che era,
inizia a tornare regolare. Il cuore pian piano rallenta e riprende un
ritmo più scandito, molto più
rassicurante di quello impazzito che l’avevo
costretto a imporsi. L’adrenalina lentamente si consuma,
lasciandomi stanca e tremante, anche se posso ancora sentire quanto mi
avesse inebriata prima.
E io ritorno in me
stessa.
Le tempie pulsano fastidiosamente a causa del mal di testa tanto forte
da nausearmi, e allora abbasso la musica per darvi un po’ di
sollievo. Non di tanto però.
Perché la
tempesta dentro continua a infuriare.
La rabbia è sedata, ma la pace è ancora lontana.
Sono solamente stanca di lanciare oggetti, non mi va proprio
più. La musica però mi aiuta, ho bisogno di
tenerla alta per sintonizzare i miei sentimenti su altre frequenze, in
modo che ognuna di queste emozioni indefinite possa trovare la propria
via di sfogo.
Le note cambiano, e il lato classico dei ritmi latini di Enrique
Iglesias riesce finalmente a sedare tutta la furia che si stava ancora
contorcendo dentro di me, a sopprimere l’ira che ancora
frustrava la mia stanchezza.
E ciò che rimane in me, è il nulla.
Il vuoto si fa strada nel mio petto, e io mi stendo sul divano, ora
veramente esausta. Non mi prendo nemmeno il disturbo di accoccolarmi, o
di stringermi le ginocchia al petto: non fermeranno neanche un
po’ ciò che mi sta minacciando adesso.
Penso a quanto sia stata stupida, la scintilla che ha provocato tutto
lo scempio che mi circonda adesso. Una vera cavolata, una semplice,
inutile lite con mia sorella. Peccato che quella banale scintilla abbia
dato fuoco a sentimenti parecchio più insistenti,
più fastidiosi, più radicati, più
pericolosi.
Mancanza.
Il vuoto, appunto. Questo vuoto che riposa in me, ben nascosto sotto
evanescenti presenze, spettri di cose. Sono presenze illusorie, che
dovrebbero rappresentare sia quello che sento di possedere sia quello a
cui sento di appartenere. Sono ombre di realtà banali, quasi
scontate: casa, famiglia, amicizia. Sono quelle presenze che ti tengono
in piedi quanto tutto il resto della tua vita diventa friabile e
comincia sfaldarsi tra le tue mani. Sono presenze che io
m’illudo di avere.
Nostalgia.
Voglia di poter rivedere tutte le persone che sento più
vicine a me, nonostante l’oceano che la vita ha posto tra me
e loro. Desiderio di riuscire finalmente a lasciar andare tutte quelle
che, invece, mi hanno lentamente messa da parte per poi dimenticarmi.
Illusione di avere la possibilità di riprendermi la mia vita
com’era, prima che questi sentimenti cominciassero lentamente
a crescere dentro di me.
Solitudine.
Il senso di isolamento. È l’incapacità
di rendere gli altri partecipi dei miei sentimenti, dei miei pensieri.
È la sensazione di non poter confessare a nessuno
ciò che ho davvero dentro, perché mi riderebbero
in faccia senza prendermi sul serio, oppure scapperebbero a gambe
levate, oppure mi riterrebbero pazza. È la percezione di
camminare sospesa su un filo che nessuno riesce a distinguere: da un
lato la vita di tutti i giorni, dove si trovano tutti gli altri;
dall’altro, le mie ombre, quelle che nessuno ha mai nemmeno
sospettato.
Odio.
Il disprezzo che io nutro per la mia vita, ma soprattutto per me
stessa. Mi sento meschina a provare disgusto per la mia esistenza,
perché da un punto di vista esterno non è affatto
male: una bella casa, una famiglia integra, un percorso di studi
promettente, brava gente intorno. Eppure io non mi ci ritrovo. E allora
mi sento un’ingrata, smetto di detestare la mia
vita… e comincio a detestare me stessa. Ogni singolo difetto
diventa insostenibile, insopportabile, intollerabile. Ogni minimo
sbaglio è degno delle una pene capitali, senza
possibilità d’appello. Ogni piccola imperfezione
si trasforma in un errore che dovrebbe essere eliminato.
Bisogno.
La necessità di superare mancanza, solitudine e odio, e
l’incapacità di farlo da sola. L’urgenza
di trovare la mia ancora di salvezza, nonostante io non riesca a capire
cosa debba fare, né cosa voglia davvero.
La musica cambia ancora, e sento il mio corpo rilassarsi come sotto
l’effetto di un’anestesia. Le note di Sarah
McLachlan scendono su di me come un balsamo, spalancando infine le
porte all’ultimo sfogo: lacrime.
Cominciano a scendere lungo le mie gote, tracciando il loro solco
salato sul mio viso ormai inespressivo. Molte scivolano giù
dal mento, ma alcune riescono a insinuarsi tra le mie labbra per
ricordarmi di quanta amarezza siano intrise. Colano sul cuscino, che le
assorbe subito… come se non ci fossero mai state.
Nulla di tutto questo ci sarà, domani: spazzerò
via tutti i cocci da terra, pulirò i segni che alcuni
oggetti colorati hanno tracciato muro, raddrizzerò i quadri
appesi. L’unico elemento che testimonierà
l’esistenza di quest’ora sarà la
mancanza di alcuni ornamenti dalle mensole, il vuoto che
riempirà gli spazi lasciati tra una suppellettile e
l’altra. Ma nessuno noterà niente,
perché riorganizzerò gli scaffali, nascondendo
l’evidenza.
Do uno sguardo agli oggetti rimasti, e noto che almeno sono riuscita a
risparmiare quelli che mi piacevano di più.
Una nebbia di stanchezza cala sui miei pensieri, il mio corpo si
rilassa completamente, gli occhi si chiudono, il respiro si calma, il
battito si fa più lento ma più deciso, scandito.
Come a chiudere il cerchio, l’aspetto più dolce
della musica di Within Temptation e Evanescence si libra
nell’aria, cullandomi nel sonno.
Angoletto!
Eccoci qua gente! Ho
un giorno di ritardo, scusate... mi sono completamente scordata che
fosse lunedì!
Comunque. Questo
capitolo è vecchio. A confessare tutto, mi sembra risalire a
una vita fa. A un'altra persona, quasi. Karen cambia, all'interno di
questa storia. Cambia lei, come tutti gli altri personaggi, d'altra
parte.
Il prossimo capitolo
e quello dopo ancora li troverete in "Of
Dream and Desire.". Spero di sentirvi presto!
Un bacio
;*
|
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Capitolo 4 *** 9. Incanto di Neve. ***
9.
Incanto di Neve.
Karen’s PoV
Sospiro, e sul vetro
appare una nuvoletta di vapore. È inverno, e fa freddo.
Tanto, davvero tanto freddo.
Tuttavia, nonostante
io stia indossando una semplice sottoveste di raso, in questo momento
non lo sento poi troppo. Sono nella casa di campagna della mia
famiglia, dove ci troviamo sempre per Natale. È una
struttura antica, anche se rimessa a nuovo, enorme, tanto che ognuno di
noi può avere la sua stanza.
C’è
appena stata una festa in mio onore. La festa per il mio compleanno.
Una festa a cui io mi sono sentita completamente estranea e assente.
Gli invitati erano
abbastanza, amici delle superiori nella stragrande maggioranza,
più qualcun altro a cui mi sento leggermente più
vicina, assieme a mia sorella Jen e alcune sue amiche. Lei era
l’unica della famiglia: con loro avevo già
festeggiato.
La festa è
finita da qualche ora, e alcuni dei partecipanti si sono fermati a
dormire qui: troppo alcol nel sangue per permettermi di lasciarli
andare a guidare con il cuore in pace. Li ho quasi costretti a rimanere.
Nel mio, di sangue,
non c’è niente di più che qualche sorso
di vodka alla pesca. Non mi fa quasi niente, posso berne anche mezza
bottiglia senza stare male. Buffo, considerando che invece basta appena
un sorso di coca-cola e rum per farmi rimettere l’intera
cena, oltre all’anima.
Una
delle mie contraddizioni.
Fuori, uno stormire di
fronde d’alberi spogli, causato da un’improvvisa
folata del vento gelido che tormenta la mia città da qualche
giorno ormai, mi rivela che la bora non se n’è
ancora andata. Io non rabbrividisco nemmeno.
Quando avevamo
risistemato tutte le stanze, tutti quanti mi avevano dato della
ragazzina: ho insistito fino all’esasperazione per
convincerli a creare una piccola nicchia nella parete esterna, in
corrispondenza della finestra.
Ora
c’è una piccola ansa, foderata da un bel cuscino
morbido e caldo che sta esattamente sopra un termosifone. Il tepore si
spande piacevolmente, imprigionato dalle tende che ho appeso per
proteggere questo mio angolino. La lunghezza di questo
rifugio non è altra che quella della finestra, ma per me
basta e avanza. Ho fatto mettere addirittura una lampadina, per ogni
evenienza che coinvolga una probabile lettura di mezzanotte. Attraverso
il vetro pulito vedo il giardino della casa, immerso
nell’oscurità. La totale assenza di luci intense
mi permette di godermi il cielo invernale in tutto il suo splendore.
È
il mio angolino, quest’ansa.
Mi rannicchio qui ogni
volta che voglio staccarmi dal mondo esterno. Peccato che non basti
tirare le tende per cancellarlo, né per fermarlo.
Sento un mugugno
indistinto, e do uno sguardo veloce nella mia camera.
Luke si sta rigirando
tra le lenzuola del mio letto. A giudicare dalla sua espressione, mi
sembra anche che si stia godendo il soggiorno.
Torno a raggomitolarmi
nella mia nicchia, sollevata dal fatto che non si sia svegliato. Non so
come l’avrebbe presa nel vedermi accoccolata qui.
Lontana
da lui.
Sono stata
praticamente costretta a invitarlo alla mia festa, ma l’avevo
visto un po’ brillo e così ho insistito
perché rimanesse. Io però sono l’unica
che conosce, visto che gli altri che si sono fermati erano i miei
compagni. Non voleva stare da solo, quindi mi ha implorata di lasciarlo
dormire con me. E io, ovviamente, da brava scema, ho ceduto.
L’ho
accompagnato in camera mia prima, dicendo che tornavo giù a
salutare gli altri che dovevano ancora andarsene. In realtà,
ci sono voluti altri tre quarti d’ora buoni per rimandare
tutti a casa, più un altro po’ per mettere a posto
un minimo. L’aiuto dei miei compagni ha sveltito, ma comunque
ci è voluta un’oretta prima che tornassi di sopra.
Una volta salita, l’ho trovato addormentato.
Con
mio sommo piacere.
Mi sono cambiata, e
poi sono scivolata qui nel mio rifugio. Lontana da lui. Si è
preso una specie di sbandata per me, credo. Alcuni dei miei amici mi
incoraggiano, ma non capiscono che la cosa è molto
superficiale.
Luke è
bello. Non è quel tipo di bellezza assoluta o folgorante, ma
non è affatto male. A essere onesta, però, mi
mette un po’ in soggezione: ho una corporatura piuttosto
minuta, e lui ha sia una certa altezza sia le spalle robuste. Mi fa
sentire ancora più fragile di quanto già non mi
veda, e questa cosa non va bene. Judith, una delle mie amiche che
spinge perché vorrebbe che ci mettessimo assieme, mi ha
detto che lo vedrebbe bene a proteggermi, ma io mi sento…
minacciata.
So cosa vuole da me.
È la stessa cosa che si vogliono tutti. Ognuno cerca di
ottenere il mio corpo per poi arrivare alla mia anima, ma non riesce
mai ad affondare fino al mio cuore. Forse perché ha anche
poche possibilità.
Perché
c’è lui, tra me e chiunque cerchi di conquistarmi.
Lui, che mi manca terribilmente. Lui, che, nonostante sia mio amico, da
me vuole quello che vogliono tutti gli altri bastardi: vuole il mio
corpo, perché sa che cercare il mio cuore sarebbe
complicato, vista la nostra situazione… così
cerca di accontentarsi. Lui, che invece potrebbe averlo, se solo non
avessimo le vite che abbiamo.
Ryan.
“Sto facendo
del mio meglio per non innamorarmi di te”, mi diceva. Non
credo si aspettasse che fossi io, a cedere ai sentimentalismi.
I miei occhi scuri
tornano a guardare il cielo, si perdono a contemplare la falce di luna
che spunta fuori a tratti dalle nubi. Li sento farsi lucidi, ma le
lacrime restano impigliate alle mie ciglia. Sospiro.
Il vetro mi rimanda il
mio riflesso, un’immagine semplice e perfettamente ordinaria:
iridi brune, viso da bambina, capelli disordinati, occhiali. Niente di
che. Non si vede nemmeno l’inquietudine che si sta
contorcendo dentro il mio petto. Della rabbia verso me stessa che mi
riempie ogni pensiero di disgusto, nessuna traccia.
Mi sento irrequieta,
in questi giorni, e non riesco a trovare pace, né respiro.
Non c’è una ragione precisa, ma i sensi di
estraneità e inadeguatezza non mi abbandonano nemmeno per un
momento.
Il mio disprezzo per
me stessa è forte. Ho queste emozioni insolite, e non dovrei
provarle. Perché la mia è una vita niente male:
un buon percorso di studi, un rendimento soddisfacente, una famiglia
integra e unita, amici con cui andare a ballare nelle serate libere,
nessuna difficoltà imminente dal punto di vista economico.
Obiettivamente, non sono messa affatto male.
Ecco perché
sto ancora peggio quando mi rendo conto di questi sentimenti sgradevoli
che tempestano la mia anima: perché non sono giustificati.
Selene,
un’amica di quelle vere, mi ha detto che semplicemente non ho
ancora trovato il mio posto, la mia strada. Credo che abbia ragione, ma
non saprei cosa fare per tentare di identificare il luogo dove potrei
stare bene. Anche perché sento di non poter abbandonare
ciò che ho qui. Per cosa, poi? Per una meta utopica e
completamente ipotetica? Non saprei nemmeno dove andare. Preferisco
accontentarmi di questa vita sicura, anche se sento di non appartenerle.
La verità
è che mi manca un sogno. La mia vita è bella, ma
io non so che farmene. Non ho nessun talento particolare da coltivare,
nessuna ambizione da inseguire. Mi limito a fare quello che sento di
poter fare, che mi piace, anche se non è la mia aspirazione.
Tutto sommato, basta fare, almeno per tenere la mente impegnata,
lontana da riflessioni come questa.
Qualche volta mi sento
stanca, anche un po’ esasperata, e insofferente verso tutto
ciò che mi circonda. In momenti del genere cerco rifugio nei
soli sogni che posso ancora permettermi: sogni impossibili. Esistenze
alternativo che vivo attraverso la lettura, che costruisco grazie alla
scrittura. È il mondo dell’irrealtà,
dell’invenzione, quello a cui sento di appartenere. Un mondo
che però è fuori dalla mia portata, precluso a
questo universo perché esiste solo a livello creativo. Non
appartiene a questa dimensione più di un riflesso
all’acqua.
Stringo le labbra,
soffocando un gemito di dolore tra le corde vocali. Mi sento sola in
questo momento. Sola e stanca, ma i miei pensieri non mi danno pace.
Nella mia testa si alternano dolore, irrequietezza, rabbia,
esasperazione, impotenza, in un ciclo ripetitivo che toglie il fiato.
Lascio ciondolare la testa all’indietro, con un sospiro.
Succede
all’improvviso, il miracolo.
Tentacoli di silenzio
si avviluppano attorno a ogni cosa, includendo me nel loro abbraccio.
Il tormento causatomi dalle mie riflessioni sembra affievolirsi appena,
la sua presa sulla mia anima ferita si allenta.
Guardo fuori, e vedo
che il prato è imbiancato da una leggera spolverata di
brina. Il candore della rugiada ghiacciata rifulge un poco sotto la
delicata luce sfumata dei tenui lampioni lontani. Il tempo passa, e
sotto i miei occhi meravigliati quel manto chiaro
s’ispessisce, fino a diventare una coltre di neve. I fiocchi
leggeri si attaccano subito, fanno presa senza difficoltà
sul paesaggio già gelato dal freddo del mese invernale.
Sono del tutto
incredula, è semplicemente troppo bello per essere vero.
Apro leggermente la finestra, giusto quello che basta per far passare
la mia mano, dopo aver controllato che le tende siano ben tirate:
l’ultima cosa che voglio è che Luke si svegli
adesso a causa del refolo freddo che si insinua in camera mia, e che
riempie subito il piccolo anfratto in cui mi sono rifugiata. Tremo
appena.
L’aria
fredda di questa notte d’inverno mi punge impietosa la pelle.
Ma il disagio passa in secondo piano, quando avverto tanti piccoli
cristalli di neve sciogliersi al contatto con le mie dita. Stringo il
pugno e lo porto al petto, felice, e richiudo la finestra. Sento gli
occhi farsi lucidi per la gioia, e soprattutto per il sollievo.
Man mano che la neve
ricopre ogni cosa, la quiete s’insinua in me, districa la
matassa ingarbugliata dei miei pensieri e porta un po’ di
tranquillità e di silenzio. Le mie riflessioni da masochista
sono finalmente sopite, e anche se la cosa è temporanea per
ora mi basta.
Mi distendo sul
cuscino, raggomitolandomi, e mi tiro la coperta fin sotto il naso. Con
un braccio sotto la testa, ricoperto dai miei capelli, non levo lo
sguardo dal giardino che s’imbianca, fiocco dopo fiocco.
Socchiudo appena gli occhi, mentre un sorriso inconsapevole distende
sia le mie labbra che il mio volto.
Pace.
Angoletto!
Buongiooorno! Lo so, ho
saltato una settimana. È un mio problema temo, in vacanza
perdo il senso dei giorni e delle settimane... e visto che buona parte
di questa saga è già scritta mi scordo di
pubblicare ^^''''' sì sono un disastro, ne sono consapevole.
Allora, che dire di
questo capitolo? Beh, finalmente cominciamo a scoprire qualche
personaggio in più che fa parte della vita di Karen.
È lontana da Ryan ormai da un po', e per lei è
tempo di ricominciare a lottare un po' ogni giorno. Per quanto ammetto
che sia un personaggio malinconico e un po' lagnoso, devo dire in sua
difesa che sa anche quando è ora di darci un taglio e
ricominciare a mettersi in cammino.
Abbiamo incontrato
un po' di gente in questo capitolo! Abbiamo Luke, che le
darà non pochi pensieri. Abbiamo sua sorella Jen e la sua
amica Judith. E Selene, che per adesso è ancora una presenza
più distante ma non per questo si rivelerà meno
decisiva.
I volti di questa
nuova "folla" li trovate tutti sulla mia pagina autrice di FB, di cui
vi lascio qui l'indirizzo: DreamWanderer
(EFP)
Il prossimo capitolo
lo troverete nella storia Slices
of Life., dove conosceremo un po'
meglio Selene.
E questo
è tutto.
Ci risentiamo
presto, un bacio a tutti voi!
;*
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Capitolo 5 *** 13. Here. ***
13. Here.
13.
Here.
Karen’s
PoV
Lasciatemi
qui.
Lasciatemi
qui, sola, come sono anche troppo spesso.
Lasciatemi
qui, stanca, non so nemmeno io di cosa. Forse di tutta questa vita
vuota, o forse di questo mondo malato e malsano, o forse del mio essere
così costantemente seconda.
Lasciatemi
qui, triste, per qualcosa che nemmeno io riesco a capire. La voglia di
piangere senza motivo a farmi compagnia.
Lasciatemi
qui, fredda, a morire di nostalgia per qualcosa di dolce che non ho mai
nemmeno conosciuto, ma che vorrei sentire anche un po’ mio.
È
una sera come un’altra. Solo una sera di musica e silenzio
come un’altra. Una sera d’insonnia come
un’altra. Con il mio solito vecchio malessere a farmi
compagnia e tante canzoni, alcune giuste, alcune meno, alcune del tutto
sbagliate. Una sera con tante storie da scrivere passata invece a
leggere.
Una sera come
tante altre. Una sera in cui voglio essere lasciata sola.
Lasciatemi
qui, stasera.
Una sera in
cui io lancio l’ennesimo sguardo al computer, e decido di
chiudere la pagina di musica senza osare riaprire internet. Non voglio
vedere la mail intasata di notifiche inutili, non voglio vedere la
mancanza dell’unico messaggio di cui avrei bisogno in questo
momento.
E
così rimango immobile davanti alla scrivania, a fissare il
monitor nero. Come se potesse accadere un miracolo, come il mio
desiderio potesse emergere dallo schermo. Ma non accade nulla, e io
chiudo il computer, giro lo sguardo per fissarlo al pavimento.
I miracoli non
accadono, mi dico, quasi si trattasse di una lezione che non sono
riuscita a imparare da bambina. No, i miracoli non accadono. Di certo
non a me.
Volto le
spalle alla scrivania e siedo sul letto, anche se il movimento ricorda
più un lasciarsi cadere. Sento una stanchezza profonda
salirmi da dentro, un senso di sfinimento che sembra volermi succhiare
via la forza anche per respirare.
Odio avere il
ciclo, è una di quelle poche cose che mi toglie qualunque
energia, qualunque voglia di fare, di sognare. Mi lascio sfuggire un
sospiro esausto, e anche esasperato, e mi stendo sul materasso. La
morbidezza delle coperte soffici, sotto di me, mi rassicura un
po’. Allungo stancamente la mano, alla cieca, e trovo
immediatamente le casse del mio MP3. Accendo il lettore con un solo
gesto, e la musica, già impostata sull’opzione
shuffle, parte da sola.
E, a dirla
tutta, parte bene: mi offre la canzone giusta, una canzone adatta per
consolare l’angoscia che mi sale a spirale nel petto. A volte
mi sembra quasi che abbia sviluppato una coscienza propria, questo
affarino musicale, mi sembra quasi che mi conosca. È da anni
che ce l’ho, anni passati a cambiare una canzone dietro
l’altra ogni qual volta il mio umore capriccioso mi rendesse
insofferente una particolare canzone. E in tutti questi anni, mi sembra
quasi che un semplice pezzo di tecnologia abbia imparato a captare le
onde inviate dalle mie emozioni per tararsi esattamente sulle melodie
di cui ho bisogno. Ora mi offre note armoniose, note che scivolano
immediatamente sul mio dolore, trasformandolo in malinconia, note che
scendono immediatamente a riempire il vuoto che sento pulsare
fastidiosamente nel mio petto, quel vuoto da cui ho ingenuamente
cercato di proteggermi appallottolandomi come una gattina infreddolita.
Sì,
ho freddo.
Ho freddo
fuori, perché ho il vizio assai discutibile di andare in
giro in maglietta. Anche d’inverno, sì, non ci
posso fare niente: felpe, maglioni, golfini… mi sento
soffocare ogni volta che mi ci avviluppo.
E ho freddo
anche dentro, perché la solitudine in questo momento si fa
sentire, dolorosa quanto il mal di pancia mensile. Ed è un
soffrire talmente sottile, talmente inafferrabile, che nemmeno la
musica riesce a lenirlo del tutto.
Lancio una
veloce occhiata malinconica al computer spento, poi incasso il capo
nelle spalle per accoccolarmi ancora di più su me stessa, in
me stessa. Chiudo gli occhi, per impedire alla luce tenue della
giornata di sole di riflettersi sulle lacrime che hanno ormai
annacquato il mio sguardo, eludendo le mie resistenze.
Perché
quando si arriva a lui, io divento improvvisamente fragile. Mi sembra
d’indebolirmi tutt’a un tratto, come se la forza a
cui mi aggrappo con le unghie e con i denti per sostenere il peso della
vita di tutti i giorni scomparisse all’improvviso.
Mi chiudo
improvvisamente su me stessa, stringo le mani sulla stoffa della mia
maglietta, nascondo il viso tra le braccia. Tremo, e un gemito mi
scivola dalle labbra senza che io possa fare niente per soffocarlo, per
negarlo anche a me stessa. Sento le labbra stirarsi in una smorfia
mentre i ricordi mi esplodono nella mente, annegando ogni altro
pensiero presente nella mia testa.
Tanti,
troppi ricordi.
Il calore
delle sue mani che mi accarezzano i fianchi, la morbidezza dei suoi
capelli che mi solleticano appena il collo, l’arroganza dei
suoi denti che mi mordono le labbra, l’intensità
del suo sguardo che a momenti mi squarcia il cuore, la dolcezza dei
suoi sorrisi che nasconde sulla mia pelle, l’impudenza delle
sue parole che mi fanno arrossire fino a tendere al color pomodoro
maturo.
Annego il viso
nel cuscino, incasso le spalle, stringo un braccio al petto e uno al
ventre, rannicchio le ginocchia. Lo faccio un po’ per
scaldarmi, e un po’ per illudermi che questi semplici gesti
possano arginare la tempesta che sento incombere su di me, una tempesta
che però mi viene da dentro.
Serro le
palpebre, cercando di escludere la luce, per non dover vedere il mondo,
per poter sentire la melodia delle mie illusioni.
Mi mordo le
labbra, cercando di soppiantare il dolore fisico al dolore che sento in
gola, per non lasciarmi andare alla dolcezza delle mie fantasie.
Illusioni.
Fantasie. Desideri. Non vivo d’altro, quando sono lontana da
lui. Costruisco mille castelli fatti di pensieri tanto meravigliosi
quanto irrealizzabili, vivo delle notti tranquille e dense di sogni che
la Luna mi regala una volta ogni tanto.
Ormai
è buio, ma la mia mente si è inceppata quando
fuori c’era ancora luce, quando sono praticamente inciampata
in chat, e ci ho trovato Ryan.
Abbiamo
chiacchierato un po’, scherzando, raccontando le
novità, stuzzicandoci. Staccarsi dal computer è
stata la parte difficile, anche se a dirla tutta è stata la
precarietà della mia connessione internet a impormi di
chiudere. Mi sono divertita molto però a chiacchierare un
po’ con lui, è stato bello.
È
dopo, che è venuto il dolore.
È
bastato sentire in bocca l’amarezza della distanza, per
riprendere a stare male. È bastato immaginare il modo in cui
mi avrebbe sorriso mentre mi prendeva in giro senza astio, per sentire
un battito di dolore propagarsi nel petto. È bastato
desiderare di essere tra le sue braccia, per ricominciare a soffrire
anche più di prima.
Il fatto di
averlo così lontano da tempo mi ha colpita come mai prima
d’ora. C’è come una patina a dividerci,
e mi è sembrato quasi ritrovarmici invischiata, tanto da non
riuscire nemmeno a respirare. Gli ho mandato una mail per dirgli che
dovevo scappare visto che la mia connessione non ne voleva sapere di
reggere un contatto via chat, e poi ho chiuso tutto.
Sto male,
nemmeno il cielo sa quanto sto male, quanto mi torturi non dirgli che
mi manca come l’aria, che se potessi volerei da lui anche
ora, che mi piacerebbe ricevere una sua visita per portarlo in tutti
quei posti che vorrei mostrargli, che soffro in silenzio mentre i
ricordi mi scorrono impietosi nella mente, nitidi come luce e taglienti
come lame.
Sento di avere
bisogno di lui, un bisogno assurdo, quasi sia lui l’elemento
che mi manca per trovare il mio posto in questa bella vita a cui mi
sento completamente estranea. Perché alla fine è
stato lui a farmi sorridere quando io volevo piangere, a chiamarmi
bella quando io giudicavo il mio riflesso a malapena passabile, a
considerarmi speciale quando io sentenziavo di essere strana e
sbagliata, lui a farmi forza quando la mia improvvisa
fragilità minacciava di mandarmi in pezzi, ad accarezzarmi
quando io mi sarei presa a schiaffi, ad accettare anche la parte
più incasinata di me quando io invece mi sarei
immediatamente buttata via se solo ne avessi avuto
l’occasione, a darmi la spinta giusta quando io tentennavo
troppo. Perché mi vuole bene, perché mi vuole
ancora nonostante le difficoltà che non ci abbandonano,
nonostante la distanza che ci tortura, nonostante la sfortuna che si
mette continuamente tra noi.
Io
senza di lui non riesco a stare.
Non credo che
riuscirò mai a rassegnarmi al ricordo, non credo che
smetterò mai di volerlo, non credo che potrò mai
dimenticarlo. Dovrei costringermi a staccarmi da lui, dovrei davvero.
Ma non posso, non ce la faccio. E nemmeno voglio. Non ancora. A costo
di stare male come un cane ancora per un po’.
Il lettore MP3
mi culla con note dolci, parole malinconiche. E io cerco di
abbandonarmi senza rimpianti a un sonno senza riposo, ma ricco di una
complicità speciale tra musica e sentimenti.
In mente, solo
un desiderio, solo una canzone: “wish
you were here”.
Angoletto!
Eccoci
qui, di nuovo in ritardo, per l'ennesimo capitolo di Shards
& Shades. E di nuovo da un treno. Direi che ormai
posso cominciare a pianificare gli aggiornamenti a seconda di quando
sto sui treni, visto che sembrano essere gli unici momenti in cui
riesco a mettermi qui al computer a scrivere queste due righe e a
postare i capitoli in santa pace!
La
vita è troppo caotica di recente. Sta capitando anche a voi?
Tante cosette tutte assieme, un guaio più grosso degli
altri, un po' di tensione a casa e a scuola, parecchia stanchezza?
Oppure è questa Luna che fa reagire strano qualcosa di
storto dentro di me?
Boh.
Comunque, torniamo al capitolo che mi sa ch'è meglio
^^'''''''
Ecco
qui Ryan, che ritorna a Karen con violenza, con la violenza emotiva che
in un certo senso lo contraddistingue. E Karen torna a far la lagna.
No, disprezzo per le mie stesse parole a parte dai.... a me questo
capitolo piace. L'unica cosa che "odio" di esso è che...
beh, è che è sempre attuale. Ancora oggi, mentre
io scrivo, la "vera" Karen ancora soffre perché il "vero"
Ryan è lontano.
Un'altra cosa. Questo
è in un certo senso un capitolo introduttivo al prossimo,
che troveremo in "Of
Dream and Desire."...
sì, torniamo ai sogni a luci rosse, ma per la prima (e forse
unica ^^''') volta, sarà Karen a sognare e non Ryan. Il
nuovo capitolo è ancora in fase di scrittura,
perciò non so quando sarà pronto, ma
vedrò di darmi una mossa!
Le ultime
raccomandazioni:
1. per chi si fosse
perso lo scorso capitolo, visto che è stato pubblicato in
una nuova storia, lo trovate qui: "From
a Friend's Eye."
2. per chi avesse
bisogno di me (curiosità, commenti, scambiare due parole,
prendere pasticcini XD) mi trovate qui: DreamWanderer
~EFP
Stay tuned people!
Al prossimo treno
;*
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